2. Modifica dell’ordine del giorno (avvenimenti in Palestina)
Presidente. – Onorevoli deputati, buongiorno. Prima di iniziare con i punti all’ordine del giorno, devo comunicarvi una notizia che sapete già. Oggi non avremo la possibilità di ascoltare il Presidente Mahmoud Abbas.
Il nostro ospite di oggi, il Presidente Mahmoud Abbas, a poche dal suo arrivo ieri a Strasburgo è dovuto rientrare a Ramallah. Come noto, tale rientro è stato motivato dai terribili e deplorevoli eventi avvenuti a Gerico, che hanno ingenerato una situazione violenta e pericolosa.
Ieri sera ho comunicato al Presidente Abbas che il Parlamento capisce perfettamente che la crisi scoppiata in Palestina lo avrebbe costretto a rientrare nel suo paese per prendere il controllo della situazione.
Il destino e la casualità hanno creato una situazione fortemente simbolica. Il fatto che il Presidente abbia dovuto lasciare Strasburgo appena arrivato, senza poter intervenire in Parlamento, ha qualcosa che ricorda il simbolismo della tragedia greca.
Il Presidente Abbas rappresenta la maggioranza dei palestinesi che continuano a sostenere una soluzione negoziale al conflitto con Israele, nonostante tutte le sofferenze e le delusioni attraverso cui sono passati. Mahmoud Abbas rappresenta quanti, nonostante tutto, continuano a credere che sia possibile trovare una soluzione con mezzi pacifici.
E’ un uomo che, dagli anni ’70, cerca di arrivare alla pace mediante i negoziati, e dunque la sua presenza oggi in questa sede sarebbe stata un’opportunità unica per sostenere il suo approccio, un’altra opportunità che però è stata persa a causa di un’operazione militare non necessaria e illegale, nonché a causa della violenza che ha provocato.
Il mondo intero si sta chiedendo perché e in che modo una simile operazione militare può contribuire a rafforzare la sicurezza di Israele, come e perché le umilianti immagini che abbiamo visto in televisione e la distruzione della prigione con le ruspe possono contribuire alla sicurezza di Israele. Gli europei dovranno pagare per costruire una nuova prigione, nonché per le molte altre cose distrutte nel corso di questi tragici scontri.
La violenza seguita a questa azione militare è estremamente preoccupante. Come sapete, le notizie di stamani confermano che ci sono tre ostaggi occidentali, di cui due di nazionalità europea, francese per la precisione. Sono circolate voci di altri rapimenti, che però non sono state confermate.
Ieri sera, prima che il Presidente Abbas si recasse all’aeroporto, sono andato a trovarlo in albergo ed egli mi ha parlato degli sforzi compiuti nel corso della giornata per fermare l’operazione militare e arrestare la spirale della violenza prima che diventi incontrollabile.
Il Presidente dell’Autorità nazionale palestinese mi ha pregato di spiegarvi i motivi per cui è dovuto rientrare nel suo paese per cercare di riportare la situazione sotto controllo e impedire il rapimento di altri cittadini occidentali, evenienza, questa, attualmente motivo di viva preoccupazione. Anche il personale UE di sorveglianza al confine tra Gaza e l’Egitto ha avuto problemi di sicurezza.
Devo inoltre comunicarvi che il Presidente Abbas ha promesso di ritornare il prima possibile a Strasburgo per parlare dinanzi al Parlamento europeo: probabilmente nella prossima tornata di aprile. In tal caso avremo la possibilità di sentire come intende affrontare la grave crisi del suo paese.
Gli ho chiesto se voleva che il discorso che doveva pronunciare oggi fosse distribuito in forma scritta ai deputati al Parlamento. Il Presidente Abbas ha ritenuto che il discorso non fosse più attuale e che fosse meglio stare a vedere quale piega avrebbe preso la situazione. Ha quindi espresso l’intenzione di tornare a trovarci non appena la situazione glielo consentirà.
Questo mi sembra un momento adatto per permettere ai leader dei gruppi politici che desiderano intervenire di prendere la parola. Alcuni di loro hanno chiesto di farlo; pertanto, chi lo desidera ha facoltà di parlare per il tempo relativamente breve di tre minuti.
Hans-Gert Poettering, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, onorevoli deputati, siamo tutti profondamente preoccupati per gli eventi verificatisi in Medio Oriente e il mio gruppo si rammarica profondamente per il fatto che il Presidente dell’autorità palestinese Mahmoud Abbas oggi non possa parlare dinanzi al Parlamento europeo.
Signor Presidente, su sua proposta i presidenti dei gruppi politici avevano deciso di invitare in questo consesso il Presidente Abbas perché lo considerano un uomo dotato di sangue freddo e favorevole alla conciliazione e alla pace. Ci rammarichiamo pertanto profondamente che egli non possa parlare qui oggi. Signor Presidente, lei ci ha spiegato le motivazioni sottese a tale decisione.
In simili situazioni siamo davvero del tutto impotenti. Desidero mettere in guardia dal trarre conclusioni precipitose: dobbiamo essere prudenti e non esacerbare la spirale della violenza. Dobbiamo tuttavia chiedere un’indagine sull’assalto alla prigione di Gerico. Dobbiamo ottenere una spiegazione sui motivi dell’accaduto, e tale spiegazione deve essere convincente, ammesso che ciò sia possibile.
Poiché ho messo in guardia dal trarre conclusioni affrettate, in un momento come questo vale la pena di ricordarsi dei principi. Noi sosteniamo uno Stato israeliano entro confini sicuri, ma vogliamo anche uno Stato palestinese entro confini sicuri. Gli israeliani hanno lo stesso status dei palestinesi, e i palestinesi hanno lo stesso status degli israeliani. Sono convinto che, nonostante le immagini viste in televisione, la maggioranza della gente sia in Israele che in Palestina vuole vivere pacificamente. Vogliamo incoraggiare tutti a seguire questa via per giungere a un’intesa. Invitiamo tutte le parti a porre fine alla violenza e a rilasciare gli ostaggi, sia europei che non europei, perché la dignità umana è un diritto per tutti.
Mi auguro che l’Unione europea sarà in grado di contribuire alla pace nella regione con una dichiarazione obiettiva, equa e non faziosa. Il nostro gruppo è favorevolissimo a qualunque iniziativa sia suscettibile di portare la pace in Medio Oriente. Signor Presidente, come lei ha detto, speriamo davvero che verrà presto il momento in cui il Presidente dell’Autorità palestinese Abbas potrà parlare dinanzi al Parlamento europeo. Questo è il nostro sentito auspicio.
(Applausi)
Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei associarmi alle osservazioni dell’onorevole Poettering e in particolare alle sue, signor Presidente. Deploriamo tutti gli eventi delle ultime ore. Siamo particolarmente dispiaciuti per il fatto di non poter ascoltare l’intervento di Mahmoud Abbas. Ci dispiace non solo per noi, ma anche per lui, data la sua disponibilità: il fatto che fosse già qui, che fosse stato disponibile a venire in Parlamento e avesse potuto accettare il nostro invito era un segnale incoraggiante, soprattutto perché avremmo potuto ricevere in questa sede il Presidente palestinese eletto. In tal modo, come ha testé affermato l’onorevole Poettering, stiamo collaborando passo dopo passo in vista di uno Stato palestinese, riconoscendo a Mahmoud Abbas quanto gli spetta, ovvero il futuro ruolo di capo di Stato, che rappresenta il suo paese in quella regione quale partner paritetico sulla base di una piena sovranità. Tale deve essere il nostro obiettivo. Qualsiasi contributo, seppur piccolo, che si possa apportare pacificamente è il benvenuto.
Sarebbe stato bello se il Presidente Abbas avesse potuto cogliere questa occasione, ma l’incontro è stato posticipato. Abbiamo usato volutamente la parola posticipato, giacché ci auguriamo di poter porgergli il benvenuto in questa sede il prima possibile.
Nondimeno, i recenti eventi di Gerico, di cui ho discusso ieri sera e stamani con i deputati che si sono recati nella regione in qualità di osservatori elettorali nelle scorse settimane, fanno riflettere il mio gruppo sull’interrogativo che in simili circostanze si ripresenta immancabilmente in politica internazionale: cui bono? Chi trae vantaggio da quanto è successo? Naturalmente possiamo solo fare congetture al riguardo, e le congetture non sono risposte.
Tuttavia, ho tre domande. La prima è: l’assalto alla prigione va davvero a vantaggio di qualcuno? Le risposte che stiamo ricavando dai mezzi di comunicazione israeliani non sono adeguate. Mi sembra assurdo che uno Stato i cui servizi sono in grado di effettuare assassini mirati abbia bisogno di assaltare una prigione contro l’eventuale rilascio di prigionieri ivi detenuti. Senza dubbio c’erano altri modi per impedire il rilascio senza bisogno di fare irruzione nel carcere.
La mia seconda domanda è: perché poi è stata intrapresa questa azione, visto che gli osservatori internazionali controllavano la prigione in base a un accordo internazionale? Perché questo impegno internazionale non è stato onorato? Perché non vi si è fatto appello?
Terzo, mi auguro che questa operazione non sia stata motivata da ragioni di politica interna israeliana. Sarebbe disastroso se gli eventi politici interni che dovranno svolgersi a marzo fossero il vero motivo. Lo riterremmo estremamente deplorevole perché non andrebbe a vantaggio di nessuno. Tale azione potrebbe riscuotere un successo interno a breve termine, ma a lungo termine danneggerebbe l’intera regione.
(Applausi)
Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, a nome del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, anch’io esprimo il mio rammarico per il fatto che il Presidente Abbas sia dovuto rientrare in patria in simili circostanze, e la ringrazio a nome del mio gruppo per la dichiarazione da lei pronunciata ieri sera al riguardo.
Emerge con chiarezza la necessità di procedere con estrema cautela nei punti in cui le placche tettoniche delle tre grandi religioni monoteistiche mondiali, cristianesimo, ebraismo e islam, sono a contatto e fanno scintille. L’Assemblea non dovrebbe sottovalutare il rischio di una più ampia deflagrazione estesa a tutto il Medio Oriente. I tragici eventi dell’11 settembre e l’altrettanto tragica risposta hanno messo fortemente a repentaglio le possibilità di mantenere la pace mondiale. Come le iniziative diplomatiche dell’Unione europea nei confronti dell’Iran sono minate dal fatto che George Bush non tiene in alcun conto il trattato di non proliferazione nucleare nei negoziati con l’India, così la nostra diplomazia in Medio Oriente è inficiata dalle azioni compiute ieri da Israele. Mi auguro che l’Unione europea, attraverso il Consiglio e la Commissione, protesterà energicamente con il governo israeliano per queste azioni.
Occorrerebbe indagare se non vi sia stata un’intesa con i responsabili britannici e americani della sorveglianza della prigione che se ne sono andati poco prima dell’arrivo di Israele. Auspico che il Consiglio, una volta appurati tutti gli aspetti della situazione, presenti una relazione all’Assemblea.
Niente può giustificare l’assalto alla prigione, né il rapimento di ostaggi che è seguito. Mi auguro che riusciremo rapidamente a riportare la calma e la fiducia. Spero inoltre di rivedere il Presidente Abbas in quest’Aula in circostanze molto più serene, cosicché si possa discutere in modo serio con tutte le parti i possibili modi per garantire una pace sicura e duratura in quella tormentata regione.
(Applausi)
Daniel Marc Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, non è una tragedia il fatto che Mahmoud Abbas non possa parlare in questa sede, ma è un fatto difficile da accettare a livello politico, in quanto la nostra Assemblea sarebbe stata una sede per presentare le prospettive dell’attuale situazione mediorientale.
Politiche unilaterali, come quelle attualmente perseguite nella regione, portano alla catastrofe, e mi riferisco alle politiche unilaterali di entrambe le parti. Il reciproco disprezzo di ciascuna delle parti sfocia nella disumanizzazione dell’azione. Possiamo vederlo in concreto in questa regione. In linea di principio l’Unione europea, il Consiglio, la Commissione e l’Alto rappresentante Solana devono insistere su un punto: non devono più esserci politiche unilaterali. Israele non può decidere di testa propria come deve essere lo Stato palestinese. Tale pretesa non va bene e la comunità internazionale non può tollerarla. I palestinesi e il governo di Hamas non possono decidere di testa propria quando possono o meno usare la forza contro Israele. Di fronte a questi comportamenti l’Europa e il mondo non possono chiudere gli occhi e basta.
La comunità internazionale deve porre fine a uno stato di cose in cui entrambe le parti ritengono che la propria legittima posizione conferisca loro il diritto universalmente valido di agire, prescindendo dai colloqui comuni e disprezzandosi a vicenda. Il che significa anche che la decisione sui tempi e i modi delle azioni intraprese da Israele nei territori palestinesi non spetta unicamente a Israele, neppure in caso di problemi di sicurezza. Onorevole Schulz, è evidente: ci sono le elezioni nazionali. Ehud Olmert e il partito Kadima hanno affermato la volontà di restituire le colonie, e così facendo hanno guadagnato consensi a sinistra. Adesso vogliono guadagnare consensi a destra, e così hanno intrapreso questa azione. Non dobbiamo farci illusioni: è pura propaganda elettorale. L’aspetto peggiore della faccenda è che il futuro della regione viene sacrificato a delle elezioni.
Vorrei pertanto dire a tutti gli astanti che non dobbiamo lasciarci ingannare. L’azione israeliana è stata gravissima. La prigione di Gerico non era più un vero carcere. Questa è la verità. Potevano svolgersi conferenze stampa con 500 giornalisti. Vorrei vedere in quale carcere del mondo – e personalmente mi è capitato un paio di volte di finire in prigione – è possibile tenere una conferenza stampa con 500 giornalisti. Entrambe queste azioni sono state unilaterali e inaccettabili, e non possiamo che riconoscerlo. Vi è la possibilità di rilasciare detenuti secondo le norme dello Stato di diritto, ed è questo ciò che i palestinesi e Hamas avrebbero dovuto fare. Tuttavia, Israele non ha il diritto di assaltare un carcere solo perché c’è qualcosa non va. Dobbiamo pertanto essere sinceri: dobbiamo lottare contro le azioni unilaterali e arbitrarie di entrambe le parti.
(Applausi)
Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, la rapidità con cui il Presidente Mahmoud Abbas ha accettato il suo invito dimostra l’importanza che attribuiva a visitare il Parlamento europeo, il che a sua volta sottolinea la gravità della decisione di rientrare precipitosamente in patria che egli ha dovuto prendere. Il Presidente Abbas ha infatti ritenuto che il suo paese potesse trovarsi in una situazione estremamente grave a causa di questa nuova e, come lei ha ben sottolineato, deliberatamente avvilente escalation della violenza israeliana e delle sue immancabili conseguenze, tutte assolutamente inaccettabili, come i rapimenti, ancorché inevitabili e prevedibili.
Reputo che l’Unione europea sia coinvolta per più motivi in tale questione. Innanzi tutto perché uno Stato membro, il Regno Unito, aveva concluso con gli Stati Uniti e l’Autorità palestinese un accordo in base al quale questi due paesi occidentali dovevano sorvegliare la prigione. Israele ha palesemente violato l’accordo, anche se negli ultimi quattro anni non c’è stato alcun problema nella prigione. Nessun prigioniero è evaso o ha tentato di farlo. Qualora poi, e qui mi rivolgo a lei, onorevole Daniel Cohn-Bendit, Israele avesse ritenuto che ci fosse qualche problema, il Presidente Abbas aveva proposto al governo israeliano di trasferire i detenuti alla Muqata, sotto un’adeguata sorveglianza, davvero internazionale. La decisione di Israele era pertanto priva di qualsiasi alibi o appiglio. Possiamo accettarlo?
Il secondo motivo che, a mio avviso, chiama in causa l’Unione europea è, se posso esprimermi con franchezza, l’atteggiamento sistematicamente compiacente dell’Unione europea nei confronti del governo, prima, di Ariel Sharon e, adesso, del suo successore. Come si può spiegare altrimenti il fatto che un aspirante Primo Ministro osi correre il folle rischio di infiammare la situazione già esplosiva della Palestina e della regione, unicamente – e qui sono d’accordo con i colleghi – per accontentare la frangia più estremista del suo elettorato? E’ inconcepibile! Se costui si permette di comportarsi così è perché sa che, da una parte, i leader americani danno carta bianca a Israele, qualunque cosa voglia, e che, dall’altra parte, Israele si è abituata a godere di un’impunità di fatto, concessale dai leader europei. Adesso dobbiamo chiederci se, visti i risultati di una simile politica, continueremo a stare a guardare passivamente, mentre questa nuova offensiva contro la pace indebolisce a poco a poco i palestinesi più impegnati a favore di soluzioni pacifiche, tra i quali c’è, in primo luogo, il Presidente Mahmoud Abbas.
Credo che sia necessario porsi tali domande. Quanto a me, domani mattina sottoporrò alla Conferenza dei presidenti tre proposte precise, che invocano tutte una reazione immediata del Parlamento europeo al fine di esprimere in modo formale il nostro impegno a favore del diritto e di una pace giusta in Medio Oriente.
(Applausi)
Irena Belohorská (NI) . – (SK) Onorevoli deputati, questa è l’ennesima dimostrazione di intolleranza tra due Stati che rispettiamo, ma che non si rispettano a vicenda. Attaccare una prigione e dei detenuti politici è sempre e comunque inaccettabile, e così è stato anche storicamente. Anche i detenuti politici hanno il diritto di non essere esposti al rischio di processi extragiudiziali durante la detenzione. In un certo senso, l’assalto odierno alla prigione mi fa pensare all’applicazione di tali prassi. Naturalmente questo evento susciterà ulteriori reazioni e tensioni da entrambe le parti, sfociando in quella che si potrebbe definire una storia infinita. Aspettavo davvero con ansia il discorso odierno del Presidente palestinese in quest’Aula, alla conferenza stampa e al pranzo comune, e attendevo di conoscere la visione che la Palestina intende proporre al tavolo negoziale nella speranza di garantire la pace ai cittadini di quella parte del mondo. Mi auguravo, e forse mi aspettavo, che il Parlamento europeo assumesse il ruolo di mediatore. Auspico sinceramente che riusciremo a offrire assistenza in questo modo, in quanto entrambe le parti hanno bisogno di poter vivere, una buona volta, in pace.
Elmar Brok (PPE-DE), presidente della commissione per gli affari esteri. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, questo è uno di quei momenti in cui si è molto incerti, non si sa che cosa accadrà in futuro, e quindi si è preoccupati per eventuali sviluppi negativi, dopo che per anni, con l’inizio del processo di Oslo, avevamo sperato che si sarebbe riusciti a trovare un accordo in quest’area cruciale della politica mondiale. Il Presidente Abbas, che è stato eletto direttamente dai palestinesi e che pertanto è legittimo, sembrava potesse assumere il ruolo di mediatore per negoziare tra chi è a favore della rinuncia alla violenza e per il riconoscimento del diritto di Israele a esistere e Hamas, che finora non ha riconosciuto questo diritto, ma ha vinto le elezioni. In tal modo si potrebbe riuscire a far partecipare anche Hamas. Purtroppo adesso è chiaro che il Presidente Abbas non assumerà questo ruolo, e non sappiamo chi altro potrà farsene carico.
L’operazione di Gerico ha avuto un profondo impatto emotivo che crea problemi alla parte palestinese. Tuttavia, sono ancora più preoccupato per il fatto che il ritiro degli osservatori internazionali degli Stati Uniti e del Regno Unito farà perdere credibilità al Quartetto quale fattore di stabilizzazione e garante della stabilità. Temo che tutto ciò avrà ripercussioni ancora più profonde.
D’altro canto, le azioni di al-Fatah a Gaza hanno dimostrato che quanti prima erano favorevoli alla rinuncia alla violenza, secondo la linea di Abbas, stanno assumendo un nuovo ruolo, dopo aver perso le elezioni e le proprie fonti di lucro. E, dall’altra parte, Hamas non è ancora a questo punto. Chi sosteneva la rinuncia alla violenza ha abbandonato questa posizione, mentre gli altri non vi hanno ancora aderito. Tale mi sembra la situazione presente. Sia il Presidente Abbas che il Quartetto hanno perso credibilità quanto a capacità di gestire bene la situazione. Così mi sembra che stiano al momento le cose. Nel nostro stesso interesse, mi auguro che questa descrizione dei fatti si dimostri sbagliata.
(Applausi)
Véronique De Keyser (PSE), presidente della missione di osservazione dell’UE nei territori palestinesi. – (FR) Signor Presidente, ieri sera, insieme al collega McMillan-Scott ho avuto l’occasione di incontrare per tre quarti d’ora il Presidente Abbas, e vorrei esprimere con sincerità lo sconcerto che abbiamo provato a seguito degli ultimi eventi, nonché la collera che hanno suscitato in noi.
Signor Presidente, lei ha detto che è stata colpa del destino o del caso. In realtà tali eventi non hanno niente a che vedere né con il destino né con il caso. Il fatto che la prigione di Gerico sia stata attaccata proprio mentre il Presidente palestinese si trovava in Europa per perorare la sua causa insieme a Saeb Erakat, l’uomo forte di Gerico, non ha nulla di casuale. Lo spettacolo dei detenuti seminudi, con gli occhi bendati e le braccia legate, non è per nulla casuale in un paese che, come si sa, è tormentato. Un nonnulla può scatenare la violenza e il caso delle vignette satiriche è ancora fresco.
Oggi dunque ci troviamo dinanzi a un evento di estrema gravità che, come ha detto poc’anzi l’onorevole Brok, cerca di indebolire l’uomo che è garante della stabilità tra Palestina e Israele, nonché della resistenza ad Hamas, di cui auspica la trasformazione in una forza di pace. Oggi si è cercato di minare proprio questi obiettivi.
Non so chi trarrà vantaggio da questo crimine, ma so che il Parlamento europeo non deve farsi prendere in giro né condividere la responsabilità di questo fatto, che dobbiamo condannare.
E’ vero che la situazione è difficile, che erano in corso negoziati sul detenuto Saadat, il quale in effetti era stato implicato nell’assassinio di un ministro israeliano, delitto che a sua volta aveva fatto seguito all’uccisione di un responsabile del Fronte popolare di liberazione palestinese. Perpetueremo la spirale della violenza? No, non dobbiamo farlo; dobbiamo mantenere il sangue freddo, ma dobbiamo anche denunciare con fermezza quanto è successo ieri. La situazione è davvero molto, molto grave.
(Applausi)
Edward McMillan-Scott (PPE-DE), presidente della delegazione del Parlamento europeo per l’osservazione delle elezioni in Palestina. – (EN) Signor Presidente, come lei ha detto, ho presieduto la delegazione di questo Parlamento alle elezioni presidenziali del gennaio 2005, quando il Presidente Mahmoud Abbas è stato eletto mediante libere e regolari elezioni dai palestinesi, e poi di nuovo durante le elezioni parlamentari del gennaio 2006, che si sono svolte in circostanze tanto controverse, pur essendo state comunque libere e corrette.
Ci ritroviamo con un uomo, Mahmoud Abbas, di cui è stata descritta la storia a partire dagli anni ’70, l’impegno per la pace e il significato della sua presenza qui oggi in un’Assemblea che riunisce 25 Stati, è eletta a suffragio diretto e rappresenta esattamente gli stessi valori che stiamo cercando di incoraggiare in altre parti del mondo e soprattutto in Medio Oriente: diritti umani, democrazia, Stato di diritto, libertà dei mezzi di comunicazione e via dicendo. Questi sono a mio avviso i valori che il Presidente Mahmoud Abbas era disposto ad accettare e di cui ha parlato nel suo discorso inaugurale del gennaio 2005.
In quanto britannico e persona profondamente impegnata nel processo di pacificazione e democratizzazione del mondo arabo, trovo paradossale e tragicamente ironico che i due paesi che parlano tanto di democrazia nel mondo arabo – Stati Uniti e Regno Unito – siano proprio quelli che se ne sono andati dalla prigione e che sono venuti meno alle proprie responsabilità internazionali, invece di rafforzare la sicurezza di quella struttura. Sapevamo che c’era un problema e anche loro lo sapevano. Avevano il dovere di affrontarlo, invece non lo hanno fatto: se ne sono andati.
Signor Presidente, mi auguro che quando l’Assemblea parlamentare euromediterranea, da lei presieduta, si riunirà a Bruxelles tra pochi giorni, ascolteremo una dichiarazione dettagliata della Commissione e del Consiglio su cosa è successo, perché, quando e chi ha dato gli ordini. Occorre chiarire questi fatti, e può darsi che occorra chiarirli dinanzi alla comunità internazionale, ma a partire da questo Parlamento.
(Applausi)
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, oggi Mahmoud Abbas sarebbe dovuto comparire dinanzi all’Assemblea per pronunciare un discorso, ma, per i motivi che conoscete, il suo intervento è stato annullato. E’ pertanto naturale che i capigruppo e altri importanti deputati siano voluti intervenire.
Vorrei tuttavia cogliere l’opportunità per esprimere brevemente, a nome del Consiglio, la profonda preoccupazione per il perdurare e l’acuirsi della violenza in Medio Oriente. Il ministro degli Esteri austriaco e Presidente del Consiglio Ursula Plassnik ha condannato i violenti attacchi compiuti da estremisti palestinesi contro le Istituzioni dell’UE e ha altresì espresso il proprio sostegno agli appelli lanciati dal Consiglio di sicurezza e dal Segretario generale delle Nazioni Unite al riguardo.
La principale priorità è riportare la pace e l’ordine e proteggere la vita delle persone. Dobbiamo ricordare a tutti i responsabili che hanno il dovere di proteggere la vita delle persone e di liberare quanti sono ancora tenuti in ostaggio.
Come l’onorevole Poettering ha molto opportunamente detto, non è il momento di trarre conclusioni affrettate. Anche il Consiglio discuterà dei passi precisi da compiere. Sono d’accordo anche con l’onorevole Schulz, il quale ha affermato che tutte le Istituzioni, Parlamento, Consiglio e Commissione, hanno il dovere di agire in modo responsabile al fine di assicurare che il processo di pace mediorientale non si interrompa irrimediabilmente, ma possa proseguire.
Esortiamo Israele e l’Autorità palestinese a dare prova di moderazione per evitare un ulteriore acuirsi della violenza. In proposito convengo con l’onorevole Cohn-Bendit sulla necessità di impedire ed evitare azioni unilaterali. Non è questo il modo per risolvere i problemi del Medio Oriente. Negli scorsi mesi e settimane i ministri degli Esteri si sono ripetutamente cimentati con il problema del Medio Oriente, da ultimo a Salisburgo, nella riunione informale dei ministri degli Esteri della scorsa settimana, sulla quale vi riferirà oggi il Ministro Plassnik.
Gli attacchi alle istituzioni, il rapimento di ostaggi e tutte le altre forme di violenza non solo contraddicono i nostri valori, ma distruggono e ostacolano gli sforzi di pace. Ci auguriamo di riuscire insieme a far ripartire il processo di pace.
(Applausi)
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (PT) Onorevoli deputati, condivido la delusione diffusa nell’Assemblea per il fatto che il Presidente Mahmoud Abbas non abbia potuto pronunciare il suo intervento. Avevo fissato un incontro personale con lui e mi rammarico che esso non abbia avuto luogo. Comunque, il Commissario Ferrero-Waldner ha incontrato ieri il Presidente Abbas e, a nome della Commissione, gli ha espresso il nostro sostegno per il perseguimento di una soluzione pacifica al conflitto mediorientale.
Vorrei affermare con estrema chiarezza che condanniamo in modo inequivocabile ogni forma di violenza, da chiunque sia commessa, e invitiamo tutte le parti ad agire in modo responsabile e a usare la massima moderazione. Condividiamo la preoccupazione espressa da alcuni oratori per la situazione estremamente pericolosa nella regione.
Naturalmente dobbiamo ricordare che alcuni europei sono stati presi in ostaggio e che le strutture dell’UE e di alcuni Stati membri presenti nei territori sono state attaccate.
Desidero sottolineare che nessuno ha aiutato i palestinesi più dell’Unione europea. L’UE è stata e continua ad essere un donatore per i palestinesi. Lanciamo pertanto un forte appello affinché sia assolutamente evitata la violenza contro le strutture dell’UE e i suoi cittadini, e invitiamo entrambe le parti a dare prova di moderazione affinché la situazione non peggiori. Lavoreremo insieme affinché israeliani e palestinesi possano vivere in pace.
(Applausi)
Presidente. – Alla fine degli interventi vorrei sottolineare che la Conferenza dei presidenti esaminerà le proposte avanzate dai presidenti dei gruppi politici e che tra dieci giorni si svolgerà a Bruxelles la seduta plenaria dell’Assemblea parlamentare euromediterranea, con cui si concluderà la Presidenza dell’Unione europea di quell’istituzione.
Vorrei invitare ciascuno ad adoperarsi affinché tale riunione sia utilizzata per assicurare un adeguato svolgimento del dialogo da tutti invocato stamani. In particolare, esorto la Commissione e il Consiglio ad assicurare una presenza all’Assemblea parlamentare euromediterranea che sia all’altezza delle circostanze, visto che nelle precedenti riunioni queste Istituzioni forse non sono state presenti come avremmo auspicato o come avevamo richiesto.
Mi auguro che durante l’Assemblea euromediterranea la Commissione e il Consiglio riescano a presentare relazioni, misure e proposte per promuovere il dialogo euromediterraneo e il contributo che può venire dall’Europa alla soluzione dei problemi del Medio Oriente, che certamente non sono migliorati a seguito dei fatti di ieri.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, mi appello all’articolo 142 del Regolamento e agli articoli 132 e 137. La democrazia può funzionare solo se i rappresentanti dei cittadini non agiscono a titolo personale in totale dispregio degli auspici dell’elettorato e delle promesse fatte. Visto che chiediamo, come talvolta dobbiamo fare, di fare sacrifici, visto che i bilanci pubblici sono ridotti, vorrei nuovamente chiederle di iniziare le sedute in orario; oggi abbiamo di nuovo iniziato con cinque minuti di ritardo. La sua personale tendenza ad accumulare ritardi è già costata ai contribuenti centinaia di migliaia di euro. Esorto i deputati, il cui impegno elettorale fondamentale prometteva un utilizzo onesto dei fondi, stando ai maggiori quotidiani mondiali di oggi, l’International Herald Tribune e il New York Times, a mantenere la parola data.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
E’ piuttosto difficile accettare che lei adesso cerchi di impedirmi di parlare.
Presidente. – Onorevole Martin, in cosa consiste il suo richiamo al Regolamento?
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, ho fatto un’osservazione e ho espresso il desiderio che lei, per favore, cerchi di arrivare qui in orario. Il suo predecessore, Pat Cox, ha fatto risparmiare ai contribuenti centinaia di migliaia di euro con la sua puntualità, e lo stesso vale per le commissioni parlamentari; altrimenti si sprecano 12 milioni di euro all’anno. Non possiamo poi dire che manca il denaro per importanti progetti sociali.
Presidente. – Onorevole Martin, questo non è un richiamo al Regolamento. Desidero ricordarle che anche il tempo sprecato da lei è un costo per le tasche dei contribuenti.
Robert Atkins (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, sollevo una mozione di procedura. Non voglio trattenere a lungo l’Assemblea, ma devo sollevare questo punto in ragione della sua gravità. Ai sensi dell’articolo 191, paragrafo 8, sulla commissione per le petizioni, di cui sono membro, il firmatario di una petizione ha facoltà di sollecitarne un esame riservato. Tuttavia, in un recente caso trattato dalla commissione per le petizioni, l’anonimato della signora X, ex membro dei Lloyd’s, è stato violato e come diretta conseguenza di ciò la persona in questione viene perseguita dal governo britannico ai sensi di legge.
Questo non sarebbe successo se il suo anonimato fosse stato mantenuto. E’ pertanto essenziale che il Parlamento tuteli la posizione della persona di cui sopra, salvaguardi i diritti dei firmatari delle petizioni e si opponga al governo britannico. Il presidente della commissione competente le ha scritto una lettera urgente, ma non è stato ancora degnato della gentilezza di una risposta. Signor Presidente, quando intende rispondere? Tutelerà i diritti e le prerogative di questo Parlamento e dei firmatari delle petizioni?
Presidente. – Onorevole Atkins, lei ha il diritto di chiedere quello che vuole, ma non a titolo di richiamo al Regolamento. Neppure lei ha seguito la procedura appropriata. Chiedo a tutti di utilizzare le procedure adeguate previste dal Regolamento per presentare le proprie osservazioni.
Questo punto non riguarda l’ordine del giorno della seduta odierna. Nondimeno, verificherò che fine ha fatto la lettera che lei dice essermi stata indirizzata e la risposta che immagino sia in corso di preparazione.
Vi prego di non servirvi di richiami al Regolamento, che riguardano unicamente i lavori della seduta in corso, per sollevare questioni che, per quanto importanti, non possono essere utilizzate per le richieste da voi formulate.
3. Preparazione del Consiglio europeo / strategia di Lisbona (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sulle dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla preparazione del Consiglio europeo e la strategia di Lisbona.
Poiché abbiamo modificato l’ordine del giorno a causa della cancellazione della seduta ufficiale, questa discussione durerà all’incirca fino alle dodici e la votazione avrà luogo subito dopo.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, a una settimana dal Consiglio europeo di primavera, la discussione di oggi è un’ottima occasione per esaminare insieme le priorità essenziali sulle quali si concentrerà il Vertice. Come sapete, l’attuazione della strategia di Lisbona sarà l’elemento centrale. E’ superfluo dire che la migliore garanzia di successo è una preparazione adeguata, e le formazioni del Consiglio responsabili delle varie tematiche hanno quindi esaminato le priorità del Consiglio europeo dal rispettivo punto di vista e presentato i relativi contributi. I progetti di conclusioni saranno esaminati secondo la procedura prevista.
Il primo giorno del Consiglio europeo, il 23 marzo, si svolgerà come al solito anche il Vertice sociale tripartito, che ha lo scopo di assicurare la cooperazione tra il Consiglio, la Commissione e le parti sociali, in particolare per quanto riguarda l’occupazione, la politica economica e la tutela sociale.
In questo contesto, accogliamo con particolare favore le iniziative delle Istituzioni europee a favore di una maggiore assunzione di responsabilità e partecipazione a livello comunitario, nonché i preziosi contributi offerti, per esempio, dalla seconda riunione interparlamentare tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. In questo ambito si chiede molto anche ai cittadini.
I governi degli Stati membri hanno il compito di spiegare meglio ai loro cittadini l’urgente necessità di attuare questo partenariato per la crescita e l’occupazione. A tal fine, è importante coinvolgere anche le autorità regionali e locali – nel quadro delle rispettive costituzioni nazionali – e la società civile nell’elaborazione e attuazione dei programmi nazionali di riforma.
In questo spirito costruttivo, vogliamo che la discussione di oggi preveda anche un dibattito aperto sulle possibili soluzioni per i problemi economici e sociali comuni all’intera Unione europea e sull’importante ruolo svolto da voi parlamentari, quali rappresentanti dei cittadini.
Come sapete, nel marzo 2005 il Consiglio europeo ha approvato una profonda revisione della strategia di Lisbona e ha anche razionalizzato la procedura. Il nuovo ciclo di governance si basa su partenariato e responsabilità. Al Vertice di Hampton Court, i capi di Stato e di governo hanno dato ulteriore impulso politico alla strategia di Lisbona rinnovata e si sono concentrati su come i valori europei possano rafforzare la modernizzazione dell’economia e della società in un mondo globalizzato.
Un altro aspetto importante è che il Consiglio europeo, alla riunione del dicembre scorso, ha raggiunto un accordo politico sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013. Questo è di per sé un segnale importante del fatto che l’Unione europea è in grado di trovare soluzioni, anche se ovviamente sappiamo che è in corso un dialogo serrato e difficile con il Parlamento, che intendiamo condurre in modo costruttivo al fine di attuare tale accordo tra i governi in cooperazione con voi.
L’Europa deve far fronte a nuove sfide, tra cui le crescenti pressioni – sia economiche che tecnologiche – della concorrenza esterna, l’invecchiamento della popolazione, il drastico aumento dei prezzi dell’energia e la necessità di garantire la sicurezza energetica.
Dalla fine del 2005 si riscontrano segni di ripresa economica lenta, ma sicura. Secondo le previsioni, nel triennio 2005-2007 nell’Unione europea saranno creati sei milioni di nuovi posti di lavoro; la disoccupazione dovrebbe quindi diminuire di quasi un punto percentuale nel 2007. Tuttavia, l’ulteriore riduzione della disoccupazione, che attualmente colpisce quasi 19,5 milioni di persone, l’incremento della produttività e il rafforzamento del potenziale di crescita rimangono le principali sfide cui l’Unione europea deve rispondere.
Questa ripresa economica, sia pure lenta, è un’ottima opportunità per portare avanti con determinazione le riforme strutturali, in linea con i programmi nazionali di riforma, e per realizzare un maggiore consolidamento fiscale, in linea con il nuovo Patto di stabilità e di crescita. Calendari e obiettivi concreti sono uno strumento utile per accelerare l’attuazione delle riforme previste e conseguire migliori risultati in termini di crescita e occupazione.
Alla luce delle sue decisioni della primavera 2005, il Consiglio europeo ha adottato orientamenti strategici integrati. Gli Stati membri hanno quindi utilizzato tali orientamenti come base per elaborare programmi nazionali di riforma, in funzione delle specifiche esigenze nazionali. La Commissione ha presentato un “Programma comunitario di Lisbona”, in cui sono proposte misure da adottare a livello comunitario. Anche la relazione intermedia annuale della Commissione costituisce un importante contributo al processo della strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l’occupazione.
Tutti gli Stati membri hanno elaborato i programmi nazionali di riforma con rapidità e accuratezza. Tali programmi sono adattati alle esigenze e circostanze specifiche di ciascuno Stato membro e servono ad attuare le riforme. I programmi nazionali di riforma sono un primo passo decisivo per procedere con maggiore responsabilità individuale e migliore consapevolezza delle priorità della riforma. Nel complesso, i programmi nazionali costituiscono una buona base per il lavoro futuro nel quadro della riforma.
A parere della Commissione – e a questo punto vorrei ringraziare, in modo particolarmente caloroso, il Presidente della Commissione Barroso per il lavoro della sua Istituzione, di grande rilevanza per la preparazione del Vertice, e soprattutto per la rapidità e l’accuratezza con cui la Commissione ha operato – alcuni programmi dovrebbero tuttavia comprendere calendari e obiettivi più specifici e maggiori particolari sugli aspetti finanziari delle riforme proposte, nonché approfondire le questioni legate alla concorrenza e all’eliminazione degli ostacoli all’accesso al mercato.
Gli strumenti necessari sono disponibili. La massima priorità degli Stati membri per il 2006 sarà quindi la realizzazione puntuale e completa dei nostri obiettivi. A tal fine, è indispensabile che gli Stati membri intensifichino le misure già proposte.
La Commissione non ha proposto alcun aggiornamento degli orientamenti per la crescita e l’occupazione, il che significa che essi rimarranno pienamente applicabili. Dopo le grandi sfide dello scorso anno, l’attenzione dovrà ora concentrarsi su maggiori azioni e maggiore continuità.
In linea con la nuova governance della strategia, gli Stati membri hanno compiuto sforzi concreti per coinvolgere i parlamenti nazionali, i rappresentanti delle autorità locali e regionali, le parti sociali e altri rappresentanti della società civile nella definizione dei programmi nazionali.
I cittadini d’Europa devono ora essere coinvolti in modo più attivo nel processo, e dobbiamo convincerli che un’attuazione tempestiva e adeguata delle riforme contribuirà a garantire una prosperità maggiore e meglio distribuita.
A tal fine, abbiamo realmente bisogno dell’aiuto dell’Assemblea. Il Parlamento europeo può aiutarci a promuovere una maggiore assunzione di responsabilità e adesione alla strategia di Lisbona da parte di tutti gli interessati e a garantirne la futura partecipazione. Discussioni come quella di oggi offrono un’occasione particolarmente positiva per farlo.
In questo contesto, vorrei anche rilevare che la Presidenza austriaca attribuisce grandissima importanza al compromesso riguardante la direttiva sui servizi raggiunto in prima lettura in seno al Parlamento. Il risultato è ben equilibrato e costituisce una solida base per gli sforzi futuri. Il numero considerevole di emendamenti proposti dimostra che la questione è estremamente controversa. Alla luce di questo risultato e delle discussioni condotte finora in seno al Consiglio, la Presidenza ritiene che il Consiglio europeo debba ora invitare la Commissione a presentare la sua proposta modificata quanto prima possibile e si augura che le Istituzioni possano concludere rapidamente il processo legislativo.
E’ intenzione della Presidenza far sì che il Consiglio europeo definisca, nel quadro degli orientamenti integrati adottati l’anno scorso, le misure prioritarie specifiche da attuare entro la fine del 2007. Nell’ambito della strategia di Lisbona rinnovata, il Vertice di primavera sarà quindi dedicato alle questioni cui è data priorità nei programmi nazionali di riforma e nella relazione della Commissione europea, cioè la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione, la politica per le piccole e medie imprese, l’occupazione e l’energia. Naturalmente, dobbiamo anche continuare ad adottare azioni generali nel contesto di tutti e tre i rami della strategia di Lisbona: economico, sociale e ambientale. Per raggiungere una fase di realizzazione concreta e risultati visibili, dobbiamo mirare a una buona combinazione di impegni volontari verificabili da parte dei 25 Stati membri e di raccomandazioni della Commissione. Il livello che le nostre ambizioni dovrebbero raggiungere è tuttora oggetto di discussioni nell’ambito dei preparativi per il Consiglio.
Un pilastro della strategia di Lisbona è costituito dalla ricerca e dall’innovazione, quale forza trainante per la produzione e l’uso della conoscenza. Sono passati quattro anni da quando ci siamo posti l’obiettivo di conseguire in Europa una spesa per la ricerca del 3 per cento entro il 2010, con una quota significativa – due terzi – finanziata dal settore privato. Sarebbe bene che le risorse rese disponibili dall’Unione europea aumentassero di pari passo con i nostri sforzi nazionali. A tal fine, si dovrà anche rafforzare la cooperazione tra università, ricerca e imprese per contribuire a incrementare i finanziamenti per la ricerca.
Tuttavia, come tutti sappiamo, in questo ambito di estrema importanza per il nostro futuro non abbiamo ottenuto grandi risultati: la spesa per la ricerca nell’Unione ammonta attualmente a solo l’1,9 per cento circa.
Gli sforzi congiunti con la Commissione europea ci hanno permesso di dare slancio al processo e sensibilizzare gli Stati membri sull’importanza di adottare obiettivi specifici e impegni volontari per incrementare la spesa a favore della ricerca. Al riguardo, tutti gli Stati membri hanno già elevato il loro livello di ambizione e fissato obiettivi nazionali corrispondenti.
Inoltre, nella nostra società dell’informazione in rapida evoluzione, le moderne strategie di comunicazione svolgono un ruolo essenziale per promuovere l’innovazione. Per quanto riguarda l’istruzione superiore, intendiamo invitare gli Stati membri ad agevolare, entro il 2007, l’accesso a finanziamenti privati supplementari per le università e a eliminare gli ostacoli alla cooperazione tra istituzioni accademiche e imprese, in conformità con le convenzioni nazionali.
In secondo luogo, occorre fare di più per sbloccare le condizioni quadro per le imprese, il potenziale delle imprese e, in particolare, la situazione delle piccole e medie imprese. Il Consiglio europeo dovrà concentrare la sua attenzione anche su questo. Le piccole e medie imprese rappresentano una quota significativa dell’economia europea e possono essere giustificatamente descritte come la sua forza trainante. Nell’Unione europea esistono circa 23 milioni di piccole e medie imprese, nelle quali si contano quasi 75 milioni di posti di lavoro. Le misure volte a rafforzare e promuovere le piccole e medie imprese quale spina dorsale dell’economia europea possono quindi contribuire in modo significativo alla crescita e all’occupazione. Vogliamo anche semplificare le procedure burocratiche per le PMI e ridurre i tempi e i costi di costituzione di nuove imprese.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Presidente. – Sottosegretario Winkler, le chiedo scusa, di solito il tempo di parola del Consiglio e della Commissione non è limitato, ma stamattina abbiamo problemi di orario, dovuti al protrarsi della discussione precedente. Le chiederei, se possibile, di limitare anche il suo tempo di parola per permettere ai deputati di intervenire. Gliene sarei grato.
Hans Winkler,, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, mi scuso se ho parlato troppo a lungo. Abbrevierò le mie osservazioni e concluderò. Vi è urgente necessità di azione su varie tematiche. Il mio intervento non sarebbe completo se non menzionassi il mercato del lavoro, in particolare la promozione dell’integrazione dei giovani nel mercato del lavoro. In seno al Consiglio europeo, intendiamo prestare particolare attenzione alla lotta contro la disoccupazione giovanile. Uno dei nostri obiettivi è ridurre il tasso di abbandono della scuola entro il 2010 e assicurare che un maggior numero di giovani completino l’istruzione secondaria. Anche la lotta contro la disoccupazione di lunga durata va posta al centro dei nostri sforzi.
Infine, la questione dell’energia svolgerà anch’essa un ruolo di particolare rilievo, non solo per l’importanza di questo settore per la creazione di posti di lavoro e per la crescita, ma anche, come ben sappiamo, alla luce dei recenti avvenimenti. Mi auguro che, in questo contesto e su tutte le altre questioni cui ho accennato, il Consiglio europeo sappia dare un impulso poderoso, che influenzi in modo decisivo le attività future di tutte le Istituzioni dell’Unione europea.
Presidente. – No, signor Presidente. Non esistono limitazioni per il tempo di parola della Presidenza del Consiglio e della Commissione, ma oggi dobbiamo spartirci una risorsa scarsa e non rinnovabile qual è il tempo.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, il Consiglio europeo della prossima settimana si svolge in un momento importante. Si osservano ora i primi incoraggianti segni di rafforzamento della fiducia dei consumatori in Europa: gli investimenti riprendono e i tassi di crescita migliorano progressivamente. Sono buone notizie. Approfittiamo di questo contesto economico favorevole per compiere un nuovo balzo in avanti verso i nostri obiettivi di crescita e di occupazione. Cambiamo marcia.
L’anno scorso abbiamo proposto una profonda revisione del modo in cui condurre la politica economica in Europa. Abbiamo deciso di lavorare insieme nel quadro di un partenariato. Ci siamo ripartiti le responsabilità e abbiamo riorientato la nostra strategia e le nostre preoccupazioni sull’essenziale. L’Assemblea ha accordato enorme sostegno a questa nuova strategia e vorrei congratularmi con il Parlamento per il ruolo che svolge al riguardo.
Nella sua relazione al Consiglio di primavera, la Commissione propone diverse azioni prioritarie a favore della crescita e dell’occupazione. Non intendo entrare nei particolari di tutte le misure specifiche che proponiamo di adottare, ma evidenzierò alcuni temi che oggi mi sembrano particolarmente importanti.
Sono lieto che siano stati adottati i 25 programmi nazionali di riforma. Essi espongono il modo in cui ciascuno Stato membro intende attuare, nelle circostanze specifiche nazionali, gli orientamenti comuni per la crescita e l’occupazione. Va detto che i piani nazionali di riforma non hanno tutti lo stesso livello di ambizione, né hanno tutti la stessa qualità. Essi costituiscono nondimeno una buona base di lavoro.
Siamo chiari: questa è solo una prima tappa e tutti sanno che le relazioni non creano occupazione. Ora occorre avere volontà politica e determinazione nell’applicare precisamente queste intenzioni.
Questo è il motivo per cui, quest’anno, è giunto il momento di tradurre le parole in azione. Nei prossimi mesi, la Commissione lavorerà in stretta cooperazione con gli Stati membri al fine di agevolare l’attuazione dei programmi nazionali e assicurarne il seguito. Sono molto riconoscente al Parlamento per il ruolo che ha assunto in questo ambito. Le sedute parlamentari comuni tra il Parlamento europeo e i rappresentanti dei parlamenti nazionali dedicate alla strategia di Lisbona hanno contribuito in modo significativo a sensibilizzare i parlamentari nazionali sulla posta in gioco e li hanno incoraggiati a partecipare al processo.
Tuttavia, onorevoli deputati, è vero che resta ancora da migliorare il grado di convinta adesione da parte dei paesi membri a questa nuova strategia per la crescita e l’occupazione. Nel quadro del partenariato, gli Stati membri traggono insegnamento dall’esperienza degli altri. Ciascuno ha qualcosa da offrire e da imparare, ma non mi stancherò mai di sottolineare che non solo è necessaria l’azione a livello di Commissione, Consiglio e Parlamento europeo, ma occorre anche coinvolgere attivamente i parlamenti nazionali, le parti sociali, i partiti nazionali – non solo quelli europei – e l’opinione pubblica europea. E’ una condizione indispensabile per il successo della nostra strategia rinnovata per la crescita e l’occupazione.
Un’altra questione importante è la libera circolazione dei lavoratori. Ho notato che il Parlamento, nella risoluzione che ha proposto per concludere la discussione, invita, cito: “gli Stati membri a realizzare quanto prima la piena libertà di circolazione dei cittadini e dei lavoratori nell’Unione europea, parallelamente a una decisa azione volta a promuovere la qualità del lavoro in tutti i suoi aspetti”. Faccio interamente mia questa proposta del Parlamento europeo. I fatti vi danno peraltro ragione. Uno studio recente della Commissione dimostra chiaramente che il flusso di lavoratori degli Stati membri dell’Europa centrale e orientale verso i vecchi Stati membri ha sostanzialmente avuto effetti positivi. Questo è solo uno dei motivi per cui la Commissione accoglie con favore l’annuncio fatto di recente – dopo la pubblicazione della nostra comunicazione – innanzi tutto dalla Finlandia, dal Portogallo e dalla Spagna, e poi dai Paesi Bassi, della loro intenzione di aggiungersi all’Irlanda, al Regno Unito e alla Svezia nell’abolire le restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori in Europa. Sono impaziente di vedere altri paesi unirsi a questi.
(Applausi)
In un’economia globalizzata, nessuno Stato membro può permettersi di agire da solo. Non è il momento per il nazionalismo economico. Non è con la retorica nazionalista che possiamo costruire l’Europa di domani.
(Applausi)
Difendere i propri campioni nazionali nel breve periodo in genere ne causa la retrocessione in seconda classe a lungo termine. Le imprese più efficienti, che hanno dovuto affrontare tutti i rigori della concorrenza, si lasceranno i campioni nazionali alle spalle quando si presenteranno sui mercati internazionali. Siamo chiari: non abbiamo bisogno di campioni nazionali, ma di campioni mondiali con sede in Europa, che traggano il massimo profitto dal nostro mercato interno.
(Applausi)
Non devono esistere equivoci. Qualora le imprese abusino della loro posizione dominante sul mercato, la Commissione eserciterà le sue prerogative. Essa è giuridicamente tenuta a proteggere i consumatori e a vigilare sull’applicazione delle regole di concorrenza e si fa pienamente carico di tali doveri.
(EN) La sfida della globalizzazione richiede un rafforzamento del mercato interno. La libera prestazione di servizi è un elemento essenziale del mercato interno e abbiamo già detto che il settore dei servizi, da un lato, e le piccole e medie imprese, dall’altro, sono oggi i principali motori dell’occupazione in Europa.
Vi ringrazio per il risultato della prima lettura del Parlamento della direttiva sui servizi. Avete presentato emendamenti in linea di massima basati su un ampio consenso, che ora può permetterci di compiere passi avanti. La Commissione risponderà in modo positivo al vostro consenso.
All’inizio del mese prossimo presenteremo una proposta modificata, in gran parte fondata sull’esito della prima lettura e sulle discussioni in seno al Consiglio. Sappiamo che la Presidenza austriaca intende preparare subito dopo la posizione comune del Consiglio. Mi auguro quindi che la nuova legislazione possa essere adottata con rapidità, in quanto dobbiamo compiere progressi in questo settore, se siamo seri sulla crescita e sull’occupazione.
(Applausi)
Le sfide energetiche del XXI secolo richiedono una risposta forte ed efficace. Dopo un lungo periodo di relativa stabilità, non possiamo più dare per scontate le forniture sicure di energia a prezzi sostenibili. La maggiore dipendenza dalle importazioni, i prezzi più elevati dell’energia e il cambiamento climatico sono sfide comuni a tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Solo una risposta europea, basata su sostenibilità, competitività e sicurezza, può far fronte a sfide di tale portata.
Nel Libro verde della Commissione abbiamo evidenziato sei azioni prioritarie. Dobbiamo creare un mercato europeo dell’elettricità e del gas che sia davvero unico. Dobbiamo ottenere una migliore integrazione. Migliore integrazione significa solidarietà tra gli Stati membri nei periodi di crisi. Dobbiamo accelerare la transizione verso un’economia basata su basse emissioni di carbonio, utilizzando sia le fonti di energia nuove sia quelle già esistenti per garantire la sostenibilità. Dobbiamo cambiare non solo l’offerta di energia, ma anche la domanda. Esistono notevoli margini per un uso più efficiente dell’energia a vantaggio del clima, dei consumatori e della nostra sicurezza.
L’Europa è all’avanguardia nello sviluppo di tecnologie a basse emissioni di carbonio. Dobbiamo rimanerci. Abbiamo bisogno di più innovazione europea per le fonti rinnovabili e per tutto ciò che riguarda le tecnologie rispettose dell’ambiente. Infine, ma non per questo meno importante, dobbiamo promuovere una strategia più coerente e integrata nelle nostre relazioni con i paesi terzi e nelle sedi internazionali.
A volte sento affermare che una politica energetica europea non è praticabile perché tocca settori in cui gli Stati membri hanno interessi strategici nazionali. Non c’è bisogno di ricordare che la base stessa della Comunità europea di fatto era una politica comune europea per il carbone e l’acciaio, i due settori all’epoca considerati i più sensibili in termini di interessi strategici nazionali degli Stati membri. E’ proprio perché l’energia è un fattore strategico che è necessaria una strategia europea al posto di 25 strategie nazionali. Proprio per questo abbiamo bisogno di tale strategia.
(Applausi)
Nel Libro verde tutti sono invitati a contribuire a questa importante discussione. Sono molto incoraggiato dalle buone reazioni suscitate dal Libro verde e dal sostegno determinato della Presidenza austriaca, e mi auguro che anche il Parlamento europeo accordi un forte sostegno a questa nuova strategia dell’Unione europea.
Vorrei evidenziare anche la necessità di considerare la coesione sociale come parte integrante della strategia per la crescita e l’occupazione. La Commissione è estremamente consapevole della necessità di assicurare posti di lavoro di alta qualità ed evitare condizioni di lavoro precarie. Ritengo che la globalizzazione offra grandi opportunità, ma non possiamo né dobbiamo ignorare le pressioni sulle imprese e sui lavoratori derivanti dalla forte concorrenza internazionale. Questo è il motivo per cui la Commissione ha proposto un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, che agirà da ammortizzatore del potente motore della globalizzazione e integrerà gli sforzi degli Stati membri volti ad assistere e reinserire i lavoratori colpiti. L’importante è far sì che i lavoratori possano ottenere una riqualificazione e rientrare nel mercato del lavoro in modo sostenibile. Dobbiamo coinvolgere le parti sociali nelle nostre discussioni sull’occupazione e sui mercati del lavoro.
Il futuro economico dell’Europa dipende dalla presenza di persone con la migliore istruzione e formazione, con un’intera serie di competenze e l’adattabilità necessaria in un’economia basata sulla conoscenza. Questo è il motivo per cui dobbiamo potenziare in modo significativo gli investimenti nell’istruzione superiore. La Commissione propone un obiettivo del 2 per cento del PIL entro il 2010.
Al tempo stesso, dobbiamo aumentare la spesa europea per la ricerca e lo sviluppo al 3 per cento del PIL entro il 2010. Ciò significa fissare obiettivi nazionali più ambiziosi e adottare misure più ambiziose per conseguirli. Abbiamo ottime università e centri di ricerca che trarranno benefici reali da maggiori finanziamenti. Tuttavia, i nostri sistemi sono frammentati. Sussiste un divario tra istruzione superiore e ricerca, da un lato, e imprese ed economia, dall’altro. Sembra esserci uno scollamento tra questi due ambiti.
Troppi dei nostri migliori cervelli lasciano l’Europa. Per tale motivo la Commissione, nell’ottica dell’eccellenza, ha proposto di creare un istituto europeo per la tecnologia. Tale istituto integrerebbe altre misure e utilizzerebbe le risorse rese disponibili dai partecipanti in modo più efficace, a loro vantaggio e a vantaggio dell’economia dell’Unione europea nel suo insieme. E’ un progetto ambizioso. Chiederò ai capi di Stato e di governo di approvare questa idea e chiedo al Parlamento di sostenerla. I progetti Airbus e Galileo hanno dimostrato l’importanza dei grandi progetti europei vincenti. L’istituto europeo di tecnologia dovrebbe essere il prossimo; è il simbolo di una funzione europea, ma non è soltanto un simbolo: esso valorizza i nostri sforzi collettivi in termini di ricerca, istruzione e innovazione.
Sono consapevole della necessità di fare di più in questo ambito e sono convinto che questo possa essere ora un chiaro impegno per il triangolo della conoscenza. In breve, un maggiore impegno a favore dell’Europa garantirà maggiore prosperità e libertà ai nostri cittadini.
Vi ringrazio calorosamente per il vostro sostegno, espresso molto bene nella proposta di risoluzione. La settimana prossima il Consiglio europeo dovrà dimostrare un impegno analogo a favore della crescita e dell’occupazione. E’ giunto il momento di passare all’azione: non più parole, ma fatti.
(Applausi)
Hans-Gert Poettering, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, Lisbona rappresenta la crescita, l’occupazione e quindi, in sostanza, la competitività dell’economia dell’Unione europea. Mi compiaccio dell’impegno personale del Presidente della Commissione e del fatto che egli stia concentrando gli sforzi della Commissione su queste tematiche.
Vorrei ringraziarlo per aver affermato che un ritorno al nazionalismo economico o – alcuni vogliono darne un’interpretazione positiva – al patriottismo economico significherebbe il crollo dell’economia europea, con il risultato che non saremmo affatto competitivi a livello internazionale nel mondo globalizzato.
(Applausi)
Sono quindi grato per l’atteggiamento combattivo e mi auguro che dirà la stessa cosa al Vertice dei capi di Stato e di governo. Sottosegretario Winkler, abbiamo un’altissima opinione di lei come persona e apprezziamo la sua presenza in Aula, ma quando il Presidente della Commissione è in Aula sarebbe appropriato che la Presidenza del Consiglio fosse rappresentata a un livello analogo, cioè da un ministro. Dobbiamo ricordarlo. Vorrei che fosse chiaro che personalmente nutro il massimo rispetto per lei, ma le Istituzioni devono essere rappresentate allo stesso livello in discussioni come questa. Lo dico a prescindere da qualsiasi affiliazione politica. Si tratta delle Istituzioni dell’Unione europea.
Il Parlamento europeo attribuisce alta priorità al processo di Lisbona, che è un processo continuo e non si limita al 2010. Questo è il motivo per cui abbiamo istituito il gruppo direttivo, presieduto dall’onorevole Daul. Sono lieto che i tre gruppi maggiori – sì, forse un giorno vi arriveranno anche gli altri, onorevole Wurtz – lo stiano ponendo al centro delle loro attività, così come sta ovviamente facendo il gruppo Verde/Alleanza libera europea, sebbene non sia presente, e forse anche alcuni altri...
(Proteste)
... è vero, i leader non sono presenti e voi dovreste rallegrarvi che io presti loro tanta attenzione. Il mercato unico, con la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali, è la condizione essenziale perché l’Unione europea sia competitiva sui mercati globali.
Invito i capi di Stato e di governo e i governi a prendere ad esempio gli sforzi del Parlamento relativi alla direttiva sui servizi. Ai governi dico: chiunque voglia ora conseguire qualcosa di diverso distruggerà il compromesso raggiunto su tale direttiva. Invito quindi i governi a seguire l’esempio del Parlamento europeo.
Accolgo con favore – non è compito mio, ma me ne compiaccio in veste di presidente del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei – il fatto che sia ora presente in Aula anche un leader dei Verdi. Insieme forgeremo l’Europa, onorevole Cohn-Bendit.
Nell’Unione europea abbiamo bisogno di spirito imprenditoriale. Le imprese non sono un concetto astratto, partecipare significa dare espressione concreta alla libertà. Spirito imprenditoriale significa creazione di posti di lavoro. Abbiamo bisogno di una prospettiva positiva in questo contesto.
Presidente Barroso, accogliamo con favore la sua proposta di creare un istituto europeo per la tecnologia. Tale proposta non deve prevedere la creazione di una nuova grande autorità universitaria, ma una rete tra i diversi istituti tecnologici europei esistenti, in modo da ottenere un valore aggiunto e permettere all’Europa di essere veramente un leader globale nella ricerca e nell’innovazione. Ha menzionato Galileo e Airbus. Abbiamo bisogno di nuovi progetti e in tal senso sosteniamo le sue considerazioni.
Un’ultima osservazione, dato che non dispongo di 15 minuti come il Consiglio e la Commissione. A un certo punto, signor Presidente, dovremo pensare al modo in cui ottenere un migliore equilibrio. Ritengo che, in questo ambito, l’Assemblea debba lavorare in stretta cooperazione con i parlamenti nazionali, perché è nostro compito comune, a livello nazionale ed europeo, rendere l’Europa competitiva e assicurare che si sviluppi in modo adeguato sul piano economico e in generale.
(Applausi)
Christopher Beazley (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, un richiamo al Regolamento, a norma dell’articolo 166, paragrafo 1, e dell’articolo 121, paragrafo 2. Mi scuso se interrompo la discussione, ma prima che cominciasse l’onorevole Atkins ha fatto un richiamo al Regolamento, che lei ha dichiarato inadeguato perché non riguardava gli argomenti all’ordine del giorno. In realtà, il collega si riferiva a una questione estremamente importante, prevista dall’articolo 166. Quando il Regolamento del Parlamento è disatteso, è solo normale che un deputato richiami la sua attenzione sulla questione.
L’onorevole Atkins stava dicendo che è possibile che il governo britannico stia agendo in modo arbitrario e in violazione del diritto comunitario per quanto riguarda una violazione dell’anonimato. La commissione competente le ha inviato una lettera. Le chiedo se può fornire la sua risposta all’onorevole Atkins prima della votazione.
Vorrei ricordare ancora una volta che mi riferisco agli articoli 166, paragrafo 1, e 121, paragrafo 2, del Regolamento.
Mi scuso per l’interruzione.
Presidente. – Mi rammarico anch’io per questa interruzione.
Onorevoli deputati, d’ora in poi la Presidenza dovrà essere più severa nel valutare la fondatezza delle mozioni di procedura, perché vi fate continuamente ricorso per fini che esulano da quelli per i quali è stata prevista.
Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, con il lancio del processo di Lisbona si è fatto il primo vero tentativo, e a mio parere un tentativo molto ben ponderato, di dare una risposta europea alle sfide della globalizzazione. Il punto di partenza adottato a Lisbona era che a lungo termine saremmo riusciti a sopravvivere alla concorrenza intercontinentale e a rimanere competitivi rispetto ai concorrenti negli altri continenti se fossimo diventati la società basata sulla conoscenza e l’economia nazionale più forte del mondo, ma a livello europeo.
Era il passo giusto da compiere, ma che cosa è successo d’allora? Coloro che hanno optato per tale passo non sanno decidere se vogliono compierlo a livello europeo o a livello nazionale. Sono combattuti tra il messaggio: “possiamo sopravvivere in questa concorrenza soltanto come un’Europa unita”, che è corretto, e il messaggio all’interno dei loro paesi: “in linea di principio, come governo siamo in realtà abbastanza forti per farlo da soli”, che come sappiamo è più popolare tra gli elettori. Il risultato è che non si è investito abbastanza nel processo di Lisbona né a livello europeo né a livello nazionale. Questa è la situazione dopo sei anni!
(Applausi)
Signor Presidente della Commissione, sono grato per ciò che ha affermato, ma mi rincresce che lei abbia taciuto un aspetto. Esiste un abisso tra ciò che lei ha ancora una volta descritto come un impegno necessario, anche a livello finanziario, e ciò che accade nella realtà. Lei e la sua Commissione avete definito che cosa è necessario in termini di finanziamenti per l’Unione nei prossimi sette anni e il Consiglio ha adottato una base finanziaria. Il problema è che tra la vostra richiesta e ciò che il Consiglio ha deciso sussiste un divario del 40,82 per cento!
Il Consiglio si è accordato sul 40,82 per cento in meno rispetto a quanto avevate chiesto per le prospettive finanziarie. Questi, signor Presidente, sono messaggi diversi, mattoni di forma diversa. Non si può costruire una bella casa con mattoni di forma diversa. Non si può costruire nemmeno una baracca. Non si può costruire nemmeno un capanno per gli sci ad Arlberg am Lech – anzi, Lech am Arlberg – in cui intonare canti marinareschi alla sera. Benvenuto nella valle, signor Presidente! La corsa in discesa è finita.
(Si ride)
La troika sulle prospettive finanziarie, che si svolgerà nei prossimi giorni, e il successivo Vertice richiameranno ancora una volta l’attenzione su questa discrepanza. La troika è governata da spilorci che rastrellano fino all’ultimo euro in modo che i fondi non possano essere dati all’Europa.
(Applausi)
Tre giorni dopo, i capi di Stato e di governo si riuniranno e proclameranno per l’ennesima volta l’importanza del Vertice di Lisbona e degli obiettivi di Lisbona. E’ proprio questo ciò che frena l’Europa: l’assenza di una strategia coerente e continuativa sul processo di Lisbona!
In seno al Parlamento europeo abbiamo cercato di ottenere una combinazione tra la flessibilità di cui l’Europa ha bisogno e la coesione sociale di cui non può fare a meno, perché questi due aspetti sono inscindibili. Se vogliamo avere i cittadini dalla nostra parte – sì, Sottosegretario Winkler, lei ha ragione su questo – se vogliamo avere i cittadini dalla nostra parte, dobbiamo descrivere la globalizzazione come un’opportunità, ma anche ridurre il rischio che essa possa essere usata per smantellare gli standard sociali. Con la direttiva sui servizi abbiamo cercato di dire sì alla flessibilità ove necessario e possibile, ma soltanto se si salvaguarda la coesione sociale. Mi attendo quindi che la decisione del Parlamento europeo costituisca la base su cui la Commissione e il Consiglio proseguiranno le consultazioni relative alla direttiva sui servizi. Posso solo lanciare un monito contro qualsiasi scostamento da tali indicazioni. Lei ha fatto una promessa, Sottosegretario Winkler, e oggi ha detto che la manterrà. Ci assicureremo che lo faccia, ne può essere certo!
E’ vero che si è consumato sufficiente inchiostro sul futuro del processo di Lisbona. Sono necessari investimenti nella ricerca e nelle qualifiche professionali, onde evitare la fuga dei nostri migliori cervelli verso altri continenti. Abbiamo bisogno di investire nell’apprendimento permanente, perché, se una buona qualifica costituisce una condizione essenziale per accedere al mercato del lavoro, l’apprendimento permanente è un diritto fondamentale che garantisce a tutti tale possibilità di accesso.
Ieri il Presidente della Repubblica federale di Germania ha descritto i desideri dei giovani in Europa usando l’esempio del programma ERASMUS. Tuttavia, ERASMUS figura tra i punti sui quali il Consiglio ha operato i maggiori tagli nelle prospettive finanziarie. Quindi, ripeto: nel processo di Lisbona non vi è alcuna coerenza.
(Applausi)
Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, più che in qualsiasi altro momento nella storia dell’Unione si è aperto un divario tra chi cerca di andare avanti e chi vuole tornare indietro, tra chi difende il mercato unico e l’agenda di Lisbona quali migliori strumenti per garantire l’efficienza, la competitività e la crescita a lungo termine e chi rifiuta il libero scambio a favore di un patriottismo economico simile – come ha affermato Giulio Tremonti – a quello diffusosi immediatamente prima della guerra del ’14-’18.
L’aspetto ironico è che questo cosiddetto patriottismo – un malcelato nazionalismo economico – non offrirà benefici né ai cittadini della Francia, della Spagna o della Polonia né al resto d’Europa, perché è la concorrenza leale a trainare il mercato globale, migliorare la qualità e far diminuire i prezzi, ed è la concorrenza leale a essere minacciata dal protezionismo. Se un’impresa individua una logica commerciale nella fusione con un’altra impresa, che interesse abbiamo a interporre ostacoli sul suo cammino? Il grande successo dell’euro, come il Presidente della Commissione ha evidenziato, è che le fusioni e le acquisizioni procedono spedite. L’industria europea si sta preparando alle sfide della concorrenza in un’economia globale.
Sono questioni che il Consiglio di primavera dovrà esaminare. Sono questioni che la Commissione dovrà esaminare, perché in questo clima la Commissione sarà messa alla prova quale custode e garante dei Trattati. Di fronte a un assalto senza precedenti contro il mercato interno, la Commissione deve restare fedele ai Trattati, fedele alle libertà fondamentali e, se necessario, pronunciarsi apertamente – come ha fatto lei, Presidente Barroso, e come hanno fatto anche i Commissari McCreevy e Kroes – e agire in difesa dell’Unione. Tuttavia, non spetta solo alla Commissione difendere il mercato unico; anche il Consiglio ha un ruolo da svolgere, come sottolineiamo nella proposta di risoluzione in esame. Ciò significa che il Consiglio di primavera deve accelerare la trasposizione e l’attuazione delle direttive dell’Unione al fine di realizzare un mercato unico con la libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali. Vogliamo che il Consiglio europeo affronti seriamente la libera circolazione dei servizi, la libera circolazione dei lavoratori e la libera circolazione dei capitali. Quando discuteranno il futuro finanziamento dell’Unione, i capi di Stato e di governo dovranno trovare i fondi necessari per la formazione della nostra forza lavoro, per le reti transeuropee e per la ricerca e lo sviluppo attraverso l’istituto europeo per la tecnologia, che garantirà il dinamismo economico in futuro.
E’ ora che i capi di Stato e di governo formalizzino le riunioni del Consiglio che si svolgono in marzo e in ottobre. Non devono essere descritte esclusivamente come vertici sulla politica economica; la sicurezza energetica, la pace in Medio Oriente e la lotta internazionale contro la criminalità organizzata sono esigenze altrettanto urgenti e devono essere iscritte all’ordine del giorno della prossima settimana. Si devono anche svolgere discussioni pubbliche sulla politica di difesa dell’Unione, che è in rapido sviluppo, ma che attualmente è pianificata a porte chiuse. La Presidenza austriaca ha aperto al controllo pubblico una recente riunione del Consiglio “Ambiente”; perché non trasformare questa apertura in prassi universale del Consiglio?
Il mio gruppo accoglie con favore la proposta della Commissione di presentare un documento di riflessione, al fine di poter esaminare la politica di difesa in seno al Parlamento e coinvolgere i cittadini nella discussione sul futuro del nostro continente.
Signor Presidente in carica del Consiglio, un secolo fa il ministro degli Esteri del suo paese, che aveva studiato a Strasburgo, restaurò il vecchio regime ed egemonizzò la politica del continente per 30 anni. Se il Ministro Plassnik è in grado di emulare i risultati conseguiti da Metternich, l’Europa prospererà. In caso contrario, può sempre seguirne l’esempio e rifugiarsi in Gran Bretagna.
Rebecca Harms, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, Sottosegretario Winkler, Presidente Barroso, col passare del tempo il mio gruppo si è reso conto che la strategia di Lisbona non è più quella che era stata definita all’inizio di questo processo molto interessante. E’ emerso in modo molto chiaro anche dal discorso del Sottosegretario Winkler. Si tratta ora di una strategia unilaterale per la crescita e l’occupazione. L’idea che l’obiettivo di sostenibilità e di giustizia sociale, stabilito a Göteborg, debba anch’esso far parte di questa strategia è stata completamente ignorata. In seguito alle discussioni cui ho assistito nell’ambito della struttura di coordinamento di Lisbona e alla luce della proposta di risoluzione che abbiamo elaborato, sulla quale voteremo oggi, temo vi sia il rischio che il Parlamento non sia più disposto a seguire questa strategia ambiziosa per collegare effettivamente la sostenibilità e la crescita.
Perché dico questo? Non esiste alcuna disponibilità a discutere strumenti importanti, in grado di garantire il successo. Abbiamo cercato di discutere la politica fiscale nell’ambito della struttura di coordinamento. Se non si è disposti a prendere in considerazione la tassazione uniforme delle imprese all’interno dell’Unione, come risolveremo la concorrenza negativa tra luoghi di insediamento? Se non si è disposti a parlare di tasse ecologiche, come potrà uno Stato promuovere la sostenibilità in modo controllato? Alcuni eurodeputati non sono nemmeno disposti a usare il termine “tassa”: temono di spaventare i cittadini. Fanno promesse, ma non si premurano di introdurre strumenti che ci permettano di mantenere realmente queste promesse ambiziose.
Prendiamo ad esempio un tema importante e di grande attualità: la politica energetica. Commissario Verheugen, Presidente Barroso, se non siete disposti a incorporare la politica dei trasporti nelle vostre strategie di politica energetica, se non siete disposti a porre al centro delle vostre strategie la conservazione delle risorse e l’efficienza energetica e se continuate a insistere sul prolungamento della vita utile delle centrali nucleari, siete destinati a fallire. Non ridurrete la dipendenza dalle materie prime, né sarete in grado di garantire prezzi equi sul mercato dell’energia. E’ sufficiente osservare i paesi in cui si produce una quota elevata di energia nucleare. In Francia e in Germania l’elettricità costa poco? No, è cara.
Riguardo al mercato, Presidente Barroso, avrei una richiesta: riponga fiducia nelle proposte avanzate dal Commissario Kroes la scorsa settimana. Al momento, non si può applicare il mercato all’energia. E’ necessaria una separazione tra la produzione e la distribuzione di energia, tra la generazione e la rete. Come ha giustamente affermato il Commissario Kroes, avremo una possibilità contro i giganti dell’energia a livello politico soltanto se faremo valere il mercato contro di loro.
(Applausi)
Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, Presidente Barroso, Sottosegretario Winkler, la Commissione in genere è abile nel trovare patronimici suggestivi per i suoi programmi: ERASMUS, SOCRATES, e così via. Ebbene, essa avrebbe potuto chiamare la sua strategia di Lisbona “Giano”, dal nome della famosa divinità romana solitamente raffigurata con due facce: l’una rivolta al futuro, l’altra al passato. Proprio come l’agenda di Lisbona!
Una delle facce della strategia di Lisbona per il decennio 2000-2010 è attraente. Ricorda, cito il testo delle conclusioni del Consiglio europeo di primavera 2005, la necessità di “investire nel capitale umano”, che “è l’attivo più importante per l’Europa”. Annuncia l’aumento dell’occupazione, addirittura la piena occupazione, e posti di lavoro di migliore qualità. Sottolinea l’importanza della ricerca, dell’istruzione e dell’innovazione e di un solido tessuto industriale in tutto il territorio dell’Unione. Propone persino l’obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010.
Questa faccia del Giano europeo è rivolta verso il futuro. Sembra annunciare un’era di progresso sociale, economico ed ecologico tale che, a prima vista, è difficile comprendere perché la Commissione osservi che “molto resta ancora da fare per convincere i cittadini che le riforme contribuiranno a una maggiore prosperità generalizzata e per riuscire a coinvolgerli nel processo”.
Perché diamine? A causa dell’altra faccia della strategia di Lisbona, rivolta verso le implacabili ossessioni liberali dei leader dell’Unione. Cito dall’ultima comunicazione della Commissione: necessità di migliorare la capacità dell’Europa di attrarre attività economiche, riforme in materia di pensioni, sanità e mercato del lavoro, risanamento del bilancio, innalzamento dell’età pensionistica, aumento della produttività del lavoro, garanzia di una concorrenza efficace nei servizi, promozione della concorrenza sui mercati dell’elettricità e del gas, eccetera.
La Commissione si attende persino che i sindacati svolgano un ruolo nella diffusione di questa strategia liberale e si attende che il Parlamento partecipi a tale sforzo di comunicazione.
I funzionari pubblici tedeschi si mobilitano contro il prolungamento dell’orario di lavoro e la diminuzione delle retribuzioni, i lavoratori italiani esigono una profonda revisione della legge n. 30, che genera precarietà in modo sconsiderato, i giovani francesi si sollevano contro un progetto di contratto di lavoro di due anni che permette ai padroni di licenziarli a piacere, le lavoratrici britanniche si oppongono al progetto di elevare l’età di pensionamento da 60 a 65 anni e i lavoratori dei nuovi Stati membri dell’Europa centrale contestano il fatto che i loro paesi siano considerati una zona a basso costo e rivendicano il loro diritto al progresso sociale. Di fronte a tutte queste persone e a tutti coloro che si oppongono alla strategia di contenimento della spesa pubblica e sociale condotta sotto l’egida del Patto di stabilità, vi dico: non contate su di noi per spiegare loro che si sbagliano, perché, contrariamente alle apparenze, la strategia di Lisbona ha a cuore il loro benessere.
La verità è che i due volti della strategia di Lisbona sono incompatibili. Bisogna neutralizzare il secondo, per far vivere il primo. E’ questa la scelta da compiere.
Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (DA) Signor Presidente, in seguito al rifiuto francese e olandese della Costituzione, il Vertice dell’Unione ha deciso di prevedere una pausa di riflessione sul futuro dell’Europa. Sembra ora che non sia stata una pausa di riflessione, ma abbia invece comportato una modifica riguardo a chi debba ratificare la Costituzione e quando. Dopo i due “no”, la Costituzione è stata approvata in Lussemburgo, Cipro, Malta, Lettonia e, più di recente, in Belgio. Il processo di ratifica è in corso in Estonia e la Finlandia ratificherà la Costituzione prima di assumere la Presidenza il 1° luglio. Una delegazione della commissione per gli affari costituzionali ha visitato Helsinki l’altro ieri. Solo un piccolo partito, che rappresenta i veri finlandesi, rispetterà il “no” francese e olandese. La Costituzione prevede che le ratifiche proseguano finché l’80 per cento dei paesi non avrà approvato il testo, dopo di che si dovrebbe svolgere un Vertice straordinario. Le disposizioni della Costituzione non possono tuttavia servire come base per modificare il Trattato di Nizza, che prevede la regola dell’unanimità. In seguito al “no” francese e olandese, la Costituzione è quindi formalmente morta. Nei Paesi Bassi il governo ha dichiarato che non ratificherà il documento respinto e i leader politici francesi affermano la stessa cosa. E’ quindi illegale proseguire le ratifiche senza una nuova decisione, a meno che la Francia e i Paesi Bassi non facciano il doppio gioco e dicano una cosa nel loro paese e un’altra a Bruxelles.
Vorrei chiedere alla Presidenza se la Francia e i Paesi Bassi hanno formalmente accettato che le ratifiche proseguano senza modifiche del documento respinto. Non sarebbe meglio usare il periodo di pausa per elaborare nuove idee e preparare un documento che i cittadini possano approvare in referendum da svolgere lo stesso giorno in tutti i paesi, un documento i cui titoli principali siano trasparenza, democrazia e vicinanza ai cittadini?
Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, ringrazio il Presidente in carica del Consiglio, il Sottosegretario Winkler, e il Presidente Barroso per le loro dichiarazioni di oggi.
Avendo esaminato e discusso la questione per vari anni, uno degli aspetti che mi colpisce è: che cosa vogliamo veramente dalla strategia di Lisbona? Gli elementi e gli obiettivi fondamentali sono tanto validi oggi quanto lo erano quando si è deciso di fare dell’Europa l’economia più dinamica e innovativa del mondo entro il 2010. Purtroppo, oggi sentiamo dire di tutto su ciò che la strategia di Lisbona dovrebbe realizzare. Forse siamo troppo ambiziosi o troppo eclettici per quanto riguarda i settori che vogliamo includervi.
Una delle questioni più importanti – sollevata da tutti gli oratori oggi in Aula – riguarda gli investimenti nel capitale umano: la questione della formazione e dell’istruzione e il modo in cui tali investimenti favoriscono la ricerca e l’innovazione e lo sviluppo futuri. Esaminiamo realmente ciò che accade al momento nell’Unione europea. Esaminiamo la situazione demografica, con l’invecchiamento della popolazione, il tasso di natalità in calo nella maggioranza degli Stati membri e l’assenza di strategie volte a rispondere a questi fenomeni. Sono necessarie strategie che prendano in considerazione il lato positivo dell’invecchiamento della popolazione, l’esperienza delle persone più anziane, ma anche strategie realistiche, che tengano conto del fatto che alcune persone non hanno opportunità di accedere al nuovo mercato del lavoro. Dobbiamo far sì che tali persone ottengano le competenze e la formazione di cui hanno bisogno per lavorare nella cosiddetta economia digitale.
Nonostante tutte le parole melliflue che si possono declamare in questa sede, in verità chi si trova nella condizione migliore per mettere a frutto tali strategie, chi ha le migliori possibilità di offrire tali competenze ai giovani lavoratori, agli studenti o agli anziani che vogliono ottenere una riqualificazione non è l’Unione europea, ma ciascuno Stato membro. Questo è il motivo per cui abbiamo chiesto piani nazionali con obiettivi chiari che garantiscano il rendimento del capitale investito.
Quando parliamo di strategia europea per l’occupazione, di coesione sociale e di partenariato sociale, è essenziale avere i cittadini dalla nostra parte, ma è anche essenziale che i cittadini si sveglino e comprendano ciò che succede con la delocalizzazione dell’industria – che abbiamo discusso ieri – e la mancanza di investimenti in attività di ricerca e sviluppo. Prendiamo le 20 più grandi imprese di biotecnologia al mondo: 19 sono americane e una è svizzera; nessuna ha sede nell’Unione europea.
Se vogliamo realisticamente essere l’economia più dinamica, dobbiamo prendere decisioni difficili per realizzare questa ambizione.
(Applausi)
Leopold Józef Rutowicz (NI). – (PL) Signor Presidente, la relazione del gruppo di alto livello presieduto da Wim Kok fornisce una descrizione realistica dello stato dell’economia dell’Unione, di fronte alla minaccia di marginalizzazione rispetto ai mercati asiatici e americani. Il mercato globale favorisce le entità economiche efficienti, competitive e che offrono prodotti e servizi di buona qualità a prezzi contenuti. La partecipazione diretta degli Stati membri e dei parlamenti nazionali all’attuazione dei programmi si può contare tra i successi delle attività intese ad attuare la strategia di Lisbona. L’azione relativa al programma per la sicurezza energetica può anche creare condizioni migliori e stabili per lo sviluppo economico. Il fatto che un gran numero di persone prenda parte all’attuazione della strategia può anche essere motivo di ottimismo. Il problema riguarda l’efficacia delle azioni e la resistenza che esse incontrano. Tali azioni comprendono la creazione di un mercato interno, un mercato del lavoro, condizioni giuste per la ristrutturazione e la creazione di imprese, per la crescita e l’innovazione nonché, al tempo stesso, l’eliminazione della disoccupazione e l’aumento delle retribuzioni. Abbiamo bisogno di consenso tra gruppi politici, sindacati e datori di lavoro. Esistono ostacoli particolarmente significativi nel processo di ristrutturazione e organizzazione del mercato agricolo e di contenimento dei costi della produzione agricola. A causa della mancanza di efficienza in alcuni settori produttivi, numerose imprese rischiano la liquidazione e si registra un aumento della disoccupazione e dei terreni inutilizzati. Per questo motivo, è essenziale adottare un’azione rapida e creare un sistema di produzione agricola con un mercato garantito, come quello dei biocombustibili e della biomassa. E’ necessario un programma pluriennale per adattare l’agricoltura alle nuove condizioni di mercato. Il processo di eliminazione del protezionismo, che non crea valore aggiunto ma lo riduce e incrementa i costi sociali, incontra ostacoli enormi. Infine, vorrei citare un’affermazione ottimistica del Presidente tedesco: “Dobbiamo trasformare le sfide in opportunità di successo”. Ritengo si possa fare.
Othmar Karas (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, esprimo i migliori auguri a tutte le Istituzioni per le azioni che dovranno adottare nelle prossime settimane o al Vertice e che costituiranno punti di partenza per il futuro dell’Europa. Il motto per tutte le sedute delle prossime settimane, come ha affermato il Presidente Barroso, dovrà essere: “fatti, non parole”.
Chiediamo azioni che non lascino dubbi sul nostro rifiuto del particolarismo, del protezionismo e della mentalità “pensa prima a te stesso e poi agli altri”. Chiediamo azioni europee coraggiose, concrete e verificabili da parte degli Stati membri a favore della crescita e dell’occupazione e della politica energetica. Chiediamo agli Stati membri di allinearsi infine alla direttiva sui servizi e alle prospettive finanziarie e di porre fine alla loro inattività.
Che cosa vogliamo? Innanzi tutto, vogliamo azioni decisive, che permettano all’Unione europea di continuare a evolversi verso un’unione politica con più coraggio, credibilità e fermezza. L’unione politica è il nostro obiettivo primario.
In secondo luogo, dobbiamo creare un mercato interno funzionante e adottare azioni affinché esso diventi infine un mercato nazionale. Quando potremo parlare in termini di mercato nazionale per tutti? Quando daremo piena attuazione, nel minor tempo possibile, alle quattro libertà per tutti i cittadini di un’Unione senza frontiere interne. Libertà e responsabilità anziché catene, protezionismo, nazionalismo e norme transitorie di compartimentazione: sono questi i nostri obiettivi; essi garantiranno un valore aggiunto comune per i cittadini d’Europa.
(Applausi)
In terzo luogo, chi nazionalizza anziché europeizzare getta sabbia negli occhi dei cittadini. Dove sono le iniziative e i progetti per attuare il piano D e coinvolgere i cittadini nel progetto europeo? In quarto luogo, chiedo la codecisione del Parlamento europeo su tutte le questioni legate al mercato interno, sulle questioni della crescita e dell’occupazione e sulle prospettive finanziarie. E’ evidente che la regola dell’unanimità in seno al Consiglio blocca i progressi, ostacola o impedisce le soluzioni europee e rafforza il particolarismo. Non è ciò che vogliamo.
In quinto luogo, sono necessari progetti europei specifici, non solo piani d’azione nazionali: la creazione di un quadro europeo per la ricerca, la creazione di un’infrastruttura europea, di un mercato europeo dell’energia, di uno spazio aereo europeo, di un’offensiva europea di consolidamento e innovazione, l’ampliamento del programma europeo per l’istruzione. Per tutto questo vogliamo progetti e azioni, non solo dichiarazioni. In sesto luogo, non abbiamo una politica economica comune ed è quindi necessario un coordinamento molto più stretto delle politiche economiche. L’Unione europea è un’opportunità. Il particolarismo e il protezionismo sono i nostri rischi casalinghi.
(Applausi)
PRESIDENZA DELL’ON. McMILLAN-SCOTT Vicepresidente
Robert Goebbels (PSE). – (FR) Signor Presidente, Sottosegretario Winkler, Presidente Barroso, una strategia senza risorse è come Napoleone senza un esercito: impotente e in definitiva inutile. Questa è la minaccia che incombe sulla strategia di Lisbona. Prospettive finanziarie magre, bilanci nazionali non equilibrati e un bilancio comunitario che rappresenta meno di un terzo del disavanzo di bilancio americano: l’Unione è dunque ridotta a fare semplici gesti?
Il progetto di risoluzione che ho preparato assieme all’eccellente collega Lehne fornisce alcune tracce interessanti, anche se il Parlamento a volte si rifiuta di guardare in faccia la realtà. La maggioranza degli eurodeputati ha così ignorato il fatto che buona parte dell’eccedenza di crescita degli Stati Uniti in quest’ultimo anno è derivata dall’integrazione di più di dieci milioni di immigrati legali. E’ necessaria una politica d’immigrazione europea più generosa. Tale politica sarebbe condotta a spese dei paesi in via di sviluppo? Secondo le Nazioni Unite, i trasferimenti monetari degli immigrati alle loro famiglie rappresentano più del doppio degli aiuti internazionali allo sviluppo. Lo sviluppo economico spettacolare dell’India, della Cina, di Taiwan e di Hong Kong deve molto alle imprese create da ex emigrati, rientrati nel loro paese.
L’Europa della ricerca è ancora da costruire. Sono soprattutto le medie imprese a non effettuare investimenti sufficienti. Una causa di questo fenomeno è la burocrazia eccessiva, che ostacola l’accesso ai fondi europei. Un’altra è la mancanza di cooperazione tra imprese e università. Queste ultime dovrebbero potersi procurare più risorse investendo nei giovani talenti e valorizzando le loro attività di ricerca mediante il conferimento di diplomi e lauree associati.
Per quanto riguarda l’energia, l’Europa deve allearsi con gli altri grandi consumatori – gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina e l’India – per controbilanciare i cartelli e gli oligopoli che dominano i settori del petrolio e del gas. Di fronte a un mercato dominato da un numero esiguo di imprese produttrici, è inutile cercare scampo nella sola liberalizzazione del mercato europeo, soprattutto se tale liberalizzazione porta alla creazione di alcuni cosiddetti campioni europei, che finirebbero per ripartirsi il mercato. La liberalizzazione del mercato americano dell’energia è stata tutt’altro che un successo.
L’evoluzione demografica con cui l’Europa deve misurarsi non rappresenta solo una sfida per il finanziamento della sicurezza sociale. L’allungamento della speranza di vita di dieci o vent’anni per popolazioni generalmente forti e sane è anche una grande opportunità. E’ necessario elaborare strategie che permettano l’invecchiamento attivo, la possibilità di scegliere il momento del pensionamento e l’integrazione degli anziani nella vita sociale. L’Europa deve farla finita con i discorsi pessimistici sul futuro e cogliere invece tutte le nuove opportunità per costruire la società dinamica e inclusiva cui aspira la strategia di Lisbona.
PRESIDENZA DELL’ON. ONYSZKIEWICZ Vicepresidente
Alexander Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signor Presidente, un anno dopo la revisione intermedia dell’agenda di Lisbona è giunto il momento di chiedersi ancora una volta a quale stadio sia giunta l’Europa. Purtroppo, la risposta è sconcertante; in seguito alla crisi politica generata dal “no” alla Costituzione, siamo ora minacciati dalla paralisi economica. Lisbona rischia di diventare un fenomeno da baraccone, come la famosa donna priva della parte inferiore del corpo, perché, nonostante vi sia consenso sul fatto che l’attuazione della strategia sia responsabilità degli Stati membri, sono proprio questi ultimi a commettere atti protezionistici sleali nel nome del patriottismo economico, il che è fonte di notevole preoccupazione.
Chi immagina che si possa ottenere “più Lisbona” o rafforzare la nostra competitività con meno mercato interno o ha perso il contatto con la realtà o è disonesto. Il successo economico dell’Europa negli ultimi 50 anni si è basato sulle quattro libertà del mercato interno, tre delle quali sono ora estremamente a rischio. E’ cominciato due anni fa, quando, tra gli altri, la Germania e l’Austria hanno imposto restrizioni alla mobilità della forza lavoro degli Stati membri dell’Europa orientale. Ora risulta che nei paesi che non hanno interferito con la mobilità della forza lavoro, come il Regno Unito, si possono riscontrare gli effetti positivi di tale decisione.
Esaminiamo la libera circolazione dei capitali. L’Italia vieta l’acquisizione di partecipazioni nelle banche italiane; la Polonia si oppone alla fusione tra UniCredit e HBV; la Francia e la Spagna ostacolano l’acquisizione del controllo dei fornitori nazionali di energia. E’ una situazione alquanto ironica, considerato che è proprio nel settore dell’energia che è necessaria un’impostazione europea, o crediamo forse di poter avere una politica energetica comune senza un mercato interno dell’energia? Le parole inequivocabili della Commissione in proposito vanno accolte con grande favore e dobbiamo augurarci che il Consiglio segua le sue raccomandazioni.
Anche la terza libertà – la libera prestazione di servizi – è a rischio. L’indebolimento della direttiva sui servizi a opera della Germania, del Belgio e della Francia significa soltanto che la divisione del lavoro in questo settore è ancora lontana. Se fosse applicata alla circolazione delle merci, essa farebbe sì che, per esempio, la Renault sarebbe autorizzata a esportare le sue automobili in Germania soltanto se, una volta giunte in territorio tedesco, esse costassero esattamente quanto le Volkswagen. E che dire della Skoda? I lavoratori a Mladá Boleslav guadagnano meno dei loro colleghi che assemblano Audi o Citroën. Anche questo è dumping sociale? La logica conseguenza degli argomenti dei sindacati relativi alla direttiva sui servizi è che essi dovrebbero chiedere dazi doganali punitivi sui prodotti industriali provenienti dagli Stati membri in cui le retribuzioni sono più basse, ed è solo questione di tempo perché lo facciano. Posso aggiungere che, se si esamina la questione in modo coerente, la richiesta rivolta ai nuovi Stati membri di aumentare l’imposizione fiscale sulle imprese ha lo stesso identico significato.
Lisbona non è un fine di per sé, così come non lo è il mercato interno. Al centro del continente europeo è necessaria una nuova crescita, una maggiore crescita, per dare ai milioni di disoccupati una nuova speranza per il futuro. E’ un obbligo politico, sociale e, in ultima analisi, morale. Mettere a repentaglio il mercato interno significa recare danno ai disoccupati d’Europa, verso i quali abbiamo degli obblighi, ed è proprio per loro, per i membri più deboli della nostra società, che dobbiamo garantire il successo di Lisbona. Lo stesso vale per gli anziani. La risoluzione del Parlamento sottolinea l’importanza dell’evoluzione demografica e gli anziani, sia quelli di oggi sia quelli di domani, meritano la nostra attenzione. Abbiamo bisogno della crescita per stabilizzare i nostri sistemi di sicurezza sociale; la ridistribuzione da sola non basterà. Aggiungo che, a mio parere, dovremmo condurre questa discussione a Bruxelles, non a Strasburgo.
Pierre Jonckheer (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, Sottosegretario Winkler, Presidente Barroso, Commissario Verheugen, sono ecologista ma non intendo parlare di energia. Ho colleghi, che conoscete, molto competenti in materia.
Vorrei parlare del ruolo della Commissione nella strategia di Lisbona. In numerose occasioni avete giustamente insistito sul fatto che, per la riuscita di questa strategia, è necessario ottenere un ampio sostegno popolare e coinvolgere in modo adeguato tutti i soggetti interessati, compresi i parlamenti nazionali. A tal fine, ritengo che la Commissione dovrebbe trasmettere due chiari messaggi.
Il primo consiste nel dire che la strategia di Lisbona non è sinonimo di concorrenza selvaggia tra gli Stati membri. Sosteniamo anzi un modello di cooperazione e di solidarietà tra gli Stati membri.
Il secondo messaggio consiste nel dire che, in un’Unione europea a 25 Stati membri, non possono esistere cittadini o lavoratori di prima e di seconda classe.
Faccio ora tre esempi concreti, sui quali da parte vostra mi attendo un messaggio più incisivo. Innanzi tutto, la libera circolazione dei lavoratori. Avete accennato all’argomento e avete pubblicato una relazione – il che è molto apprezzabile – e siete soddisfatti che alcuni paesi abbiano aderito alla linea adottata dalla Commissione. Mi aspetto che il Presidente della Commissione e il Collegio dei Commissari, nell’interesse dell’Unione europea, dicano gentilmente agli Stati che non vogliono aderire a tale linea o sono restii a farlo che hanno preso la direzione sbagliata.
Il secondo esempio riguarda la direttiva sui servizi. Il Parlamento ha respinto il principio del paese d’origine. Qual è il problema con questo principio? E’ che non siamo disposti a organizzare il mercato unico sulla base di una concorrenza tra norme nazionali, senza un’armonizzazione adeguata. Per rassicurare i lavoratori, dovreste affermare chiaramente che i portoghesi, i tedeschi e gli slovacchi che lavorano in un cantiere in Polonia devono percepire la stessa retribuzione, e viceversa. In altre parole, la direttiva sul distacco dei lavoratori deve essere rafforzata e spetta a voi farlo.
Il terzo esempio riguarda l’evoluzione dell’imposizione fiscale in Europa. La Commissione ha compiuto progressi in materia di armonizzazione della base imponibile nel quadro della tassazione delle imprese. Nel 2007-2008 dovrete presentare una relazione sul bilancio e sulle risorse future dell’Unione europea. Dovrete avere la volontà politica e il coraggio di dire che non è accettabile – ne hanno parlato anche altri colleghi – che il bilancio sia ridotto al punto di tagliare di un terzo la dotazione prevista per gli studenti o i giovani lavoratori.
In altre parole, Presidente Barroso, mi attendo che, nell’attuare la strategia di Lisbona, non vi limitiate a nascondervi dietro agli Stati membri, anche se essi devono svolgere un ruolo importante, ma andiate oltre il vostro ruolo di intermediario imparziale e, poiché avete il monopolio dell’iniziativa legislativa, troviate realmente la forza di difendere gli interessi europei, minacciati dalla tendenza dei paesi a rinchiudersi sempre più al loro interno.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) E’ ora di ascoltare le proteste e le lotte contro le misure neoliberiste contenute nella strategia di Lisbona, riveduta di recente, le cui conseguenze sono il contrario di ciò che è stato promesso nel 2000 al Vertice di Lisbona.
Con l’intensificazione della liberalizzazione dei mercati, la privatizzazione dei servizi pubblici e la promozione della flessibilità del mercato del lavoro, o “flessicurezza”, come la definisce la Commissione, ciò che abbiamo ottenuto è meno crescita economica, più disoccupazione, più lavoro precario, più povertà e maggiori disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza, nel nome della competitività e della libera concorrenza.
E’ ora evidente che i due pilastri fondamentali delle politiche neoliberiste sono il Patto di stabilità e di crescita e la cosiddetta strategia di Lisbona, cui si aggiungono i tagli drastici dei fondi comunitari, che trasformano la coesione economica e sociale in un semplice miraggio.
Di conseguenza, come proponiamo nella risoluzione che abbiamo presentato, è fondamentale che la strategia di Lisbona sia sostituita con una strategia europea della solidarietà e dello sviluppo sostenibile, che promuova gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione ai fini di uno sviluppo equilibrato e duraturo, nella qualità del lavoro in tutti i suoi aspetti, nel miglioramento delle competenze, in infrastrutture di base che sostengano l’industria, nei servizi pubblici, nella protezione ambientale e nelle ecotecnologie, soprattutto nei settori dell’energia e dei trasporti, nel miglioramento degli standard lavorativi, sociali, ambientali e di sicurezza, in modo da conseguire un’armonizzazione ai massimi livelli, e nell’economia sociale.
E’ altresì necessaria una nuova agenda per la politica sociale, al fine di sviluppare una società...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
John Whittaker (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, il Presidente Barroso vuole che l’Unione europea s’impegni con la società civile; il Sottosegretario Winkler vuole motivare i cittadini dell’Unione. Tuttavia, nulla ha maggiori possibilità di far sbadigliare o sospirare o far dire agli osservatori dell’Unione europea: “oh no, di nuovo!” che parlare dell’agenda di Lisbona. Perché non riusciamo ad accettare che la strategia di Lisbona è affondata, così come è affondato il Patto di stabilità, il che è oltremodo increscioso dato che è su questo che si fonda l’euro? Se la strategia di Lisbona non è affondata, perché continuiamo a doverla rilanciare?
Tutti vogliamo crescita economica e posti di lavoro; tutti vogliamo che le economie d’Europa prosperino. Tuttavia, è ora di riconoscere che non abbiamo la formula giusta. Anziché essere la forza trainante delle riforme necessarie, è proprio l’Unione, con la sua regolamentazione infinita e la sua interferenza, a ostacolare il progresso delle economie d’Europa. I recenti, modesti miglioramenti osservati in alcune economie dell’Unione europea sono stati conseguiti nonostante l’Unione europea, essendo più che altro un risultato dell’evoluzione globale.
Le economie dell’Unione non hanno bisogno della strategia di Lisbona: devono essere lasciate libere di far funzionare i mercati e permettere agli imprenditori di creare posti di lavoro. Non riusciamo a capire che, continuando a parlare della strategia di Lisbona, l’Unione europea dà risalto alla propria impotenza? Raccomando quindi un periodo di silenzio: smettiamo di parlare di un’agenda della quale, anno dopo anno, si riconosce universalmente il fallimento.
Guntars Krasts (UEN). – (LV) Signor Presidente, in seguito alla revisione del processo di Lisbona l’anno scorso è emersa la speranza che la strategia avesse acquisito nuovo vigore, ma i fatti degli ultimi sei mesi dimostrano che l’azione reale volta a conseguire gli obiettivi della strategia è ancora insufficiente.
Nel valutare i programmi degli Stati membri per l’attuazione della strategia di Lisbona, la Commissione europea parla di raddoppiare gli sforzi per conseguirne gli obiettivi. Ritengo che al momento un grande passo avanti sarebbe riuscire a ridurre di almeno la metà gli sforzi profusi per eludere i compiti di Lisbona. L’esempio eclatante più recente è la direttiva sui servizi, che avrebbe dovuto dare uno slancio vitale alla liberalizzazione del mercato interno, rafforzare la competitività e costituire una pietra angolare della strategia di Lisbona. Il testo di compromesso del Parlamento europeo contribuirà ben poco a vivacizzare il mercato comune, almeno fintantoché la strategia di Lisbona rimarrà operativa. Analogamente, in altri ambiti si constata sempre più spesso che qualsiasi cambiamento o riforma incontra una crescente opposizione sociale e politica. Si spendono energie enormi per preservare la situazione esistente e limitare i cambiamenti e le riforme, ma di fatto le riforme del mercato interno dell’Unione europea e la sua maggiore integrazione sono le misure primarie che potrebbero creare un ambiente favorevole all’attuazione della strategia di Lisbona.
Finora si è fatto poco per offrire un sostegno finanziario coordinato per i compiti di Lisbona. Nell’ambito del vivace processo di discussione del quadro finanziario, i rappresentanti dei governi degli Stati membri non avevano in mente considerazioni strategiche e il quadro finanziario presenta solo un legame molto debole con i compiti di Lisbona. Si è fatto altrettanto poco per coordinare l’uso dei Fondi strutturali con le priorità di Lisbona. Si dovrebbero utilizzare i Fondi strutturali e si dovrebbe garantire un coordinamento più stretto della strategia di Lisbona sia a livello di Unione sia a livello di Stati membri, armonizzando i piani di sviluppo nazionali con i programmi di attuazione della strategia di Lisbona.
Alla base di qualsiasi strategia vi è la capacità di subordinare gli interessi a breve termine alle esigenze a lungo termine. Per questo motivo, l’attuazione della strategia di Lisbona dipenderà anche da come e quando gli Stati membri e l’Unione europea nel suo insieme riusciranno a persuadere i cittadini dell’Unione che senza tale strategia non si potranno conseguire gli obiettivi di crescita e di occupazione a lungo termine.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, la strategia di Lisbona è intesa a trasformare l’Europa nell’economia più forte del mondo e ritengo che in seno all’Assemblea vi sia ampio consenso su questo obiettivo, anche se nutro dubbi sul modo in cui lo si sta realizzando. Non posso fare a meno di concludere che l’Europa oggigiorno si preoccupa ancora troppo di sovvenzioni e trascura gli investimenti e l’innovazione.
Responsabili di questo processo sono non solo i diversi Stati membri, ma anche la Commissione. La Commissione ha proposto di raddoppiare la spesa per la ricerca e lo sviluppo e portarla a 10 miliardi di euro l’anno a partire dal 2007, ma il Consiglio ha respinto la proposta in ragione del fatto che ciò avrebbe comportato una notevole riduzione delle sovvenzioni agricole, delle sovvenzioni regionali e anche dei Fondi strutturali.
Quando parlo di Fondi strutturali europei, penso automaticamente al pozzo senza fondo della Vallonia, per esempio, che ogni anno assorbe milioni di euro senza che ciò produca il benché minimo cambiamento strutturale, perché un Parti Socialiste onnipervasivo e corrotto lo impedisce. Ciò è confermato anche da vari responsabili politici e stimati economisti valloni.
Ora si presenta la signora Danuta Hübner, Commissario europeo per la politica regionale, e afferma che la Vallonia riesce a utilizzare i Fondi strutturali in modo efficace e che i progetti valloni sono tipici dei cosiddetti cambiamenti strutturali formidabili in atto nella regione. Bene, considerato che provengono da una persona in parte responsabile di dar seguito alla strategia di Lisbona, tali affermazioni pongono un punto interrogativo sull’intera questione.
Klaus-Heiner Lehne (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei cogliere l’occasione per ringraziare calorosamente il mio correlatore, l’onorevole Goebbels, per l’ottima cooperazione in seno al gruppo direttivo, nel quale siamo riusciti a elaborare, per la seduta plenaria e per la Conferenza dei presidenti, un progetto che è il proseguimento logico di ciò che abbiamo proposto l’anno scorso, quando abbiamo esaminato la revisione intermedia.
Come allora, l’Assemblea approva la strategia della Commissione. In particolare, ribadiamo che la nostra capacità di realizzare gli altri obiettivi primari della strategia di Lisbona nel modo in cui vogliamo dipende dalla crescita e dall’occupazione.
Il Parlamento ha anche contribuito alla definizione delle priorità, tre delle quali sono menzionate nella nostra risoluzione, cioè l’invecchiamento della popolazione, la politica energetica e l’innovazione.
Sono insoddisfatto di un solo aspetto, già menzionato da numerosi oratori. Il nostro problema principale non è l’impostazione strategica; l’impostazione strategica è corretta. Il nostro problema è che cosa succede alla fine. In termini molto pratici e molto chiari, l’aspetto che considero più negativo è ciò che sempre accade quando il Consiglio europeo si occupa della questione: definisce una strategia buona e sostanzialmente valida, la presenta a una conferenza stampa e infine se ne scrive. Il giorno successivo, o alcuni giorni dopo, arrivano i ministri delle Finanze e disdicono ciò che il Consiglio europeo aveva deciso. E’ un problema strategico fondamentale e non ho idea del modo in cui possiamo risolverlo; esso contribuisce in misura considerevole a diffondere tra i cittadini europei l’impressione che la politica europea sia disonesta e ad accrescere la loro esasperazione nei confronti dell’Europa. A questo Vertice si deve affermare in modo molto chiaro che non si possono applicare doppie misure; la politica attuata deve rispecchiare gli orientamenti strategici.
L’ultima questione che voglio affrontare è il modo in cui valutare l’impatto della legislazione, un aspetto menzionato anche nella risoluzione. Vorremmo segnalare che ci attendiamo che la valutazione d’impatto comprenda un fattore indipendente, in modo da assicurare che il risultato sia neutro. Questo fa parte dell’iniziativa “Legiferare meglio” e la richiesta è rivolta alla Commissione.
Harlem Désir (PSE). – (FR) Signor Presidente, il 2005 è stato il primo anno di attuazione della strategia di Lisbona rivista. La strategia è meglio conosciuta, è stata discussa negli Stati membri e i programmi nazionali di riforma sono stati adottati. E’ un progresso, ma è praticamente l’unico.
Del resto, il Sottosegretario Winkler poco fa ha avuto l’audacia di affermare che la strategia di Lisbona è stata rilanciata. In realtà, è piuttosto arenata. Come ha affermato l’onorevole Schulz, essa è frenata da prospettive finanziarie esigue e da una crescita anemica nella zona dell’euro, nonché da una palese mancanza di investimenti nella ricerca e nell’innovazione, nelle università, nella formazione permanente, sia a livello europeo sia a livello di Stati membri. Allo stesso modo, fatichiamo a completare le reti transeuropee, mentre le energie rinnovabili e le biotecnologie sono ancora i parenti poveri nei nostri sforzi d’investimento e di ricerca.
Cambiamo marcia, ha detto, Presidente Barroso. Inserire la prima sarebbe già un inizio, mi vien voglia di risponderle. Perché la strategia di Lisbona abbia successo, sono necessarie risorse, prospettive finanziarie coerenti con priorità definite, investimenti da parte di ciascuno Stato membro e un quadro macroeconomico che sostenga realmente la crescita.
Tuttavia, come lei ha affermato, signor Presidente, è anche necessaria un’adesione da parte dei cittadini. Per avere successo, la strategia per la crescita definita dall’Unione europea deve essere sostenuta. Commetteremmo un duplice errore se rinunciassimo alla dimensione sociale di questa strategia e ci lasciassimo trascinare sulla via della liberalizzazione a oltranza, del lavoro precario e dell’indebolimento dei diritti sociali e dei servizi pubblici. Se lo facessimo, mineremmo le basi della competitività futura dell’Unione, volteremmo le spalle all’Europa dell’eccellenza e allontaneremmo i cittadini dall’Unione europea e dalle sue politiche.
La dimensione sociale non è nemica della competitività. Come abbiamo spesso ricordato nell’ambito di questo dibattito, i paesi nordici sono riusciti ad attuare riforme fruttuose perché le hanno negoziate e le hanno strutturate in modo che, oltre a introdurre una nuova flessibilità economica e importanti contropartite per i lavoratori in termini di prestazioni sociali, di formazione lungo tutto l’arco della vita e di tutela dei diritti, prevedessero anche uno sforzo collettivo d’investimento nella ricerca e nell’innovazione. Tutto ciò comporta tuttavia il mantenimento di un livello elevato di ridistribuzione sociale e di prelievo fiscale. Del pari, la Germania ha tirato fuori tutti i suoi assi nel campo delle esportazioni e, come altri paesi dell’Unione europea, ha dimostrato che, anche con costi salariali elevati e un sistema di protezione sociale tra i più efficienti d’Europa e i più vasti del mondo, può rimanere competitiva a livello internazionale.
Smettiamo dunque di invocare la concorrenza mondiale per ridurre il modello sociale europeo. Invochiamola per investire di più nei punti di forza dell’Europa, nel capitale umano, nella ricerca e nell’innovazione.
Il rilancio della crescita oggi si ottiene essenzialmente attraverso il rafforzamento della domanda interna, la fiducia dei consumatori, l’aumento del potere d’acquisto e una distribuzione più equa del reddito e del valore aggiunto tra azionisti e lavoratori salariati.
Per concludere, Sottosegretario Winkler e Presidente Barroso, vorrei dire che giudicheremo il Consiglio europeo in base a due criteri: da un lato, le lezioni che trarrà dal voto del Parlamento sulla direttiva sui servizi – si deve assolutamente evitare un ritorno alla direttiva Bolkestein – e, dall’altro, la libera circolazione dei lavoratori dei nuovi Stati membri nell’Unione europea. E’ ora di riconoscere loro questa libertà fondamentale.
(Applausi)
Paolo Costa (ALDE). – Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, ritengo positivo che l’Unione europea usi il suo peso per far sì che il tutto valga più della somma delle parti potenziando ricerca e sviluppo, per liberare il potenziale delle imprese, per favorire l’allargamento e il miglior utilizzo della qualità della forza lavoro, per interventi tesi ad assicurare l’energia, ma tutto questo è subordinato a una premessa: il valore aggiunto europeo si esprime pienamente solo se può essere il frutto del lavoro di una società e di un’economia europea veramente unificata, se i risultati sono raggiunti attraverso il core business dell’Unione europea.
La costituzione del mercato unico, di una Comunità unificata socialmente e politicamente proprio nella valorizzazione della ricchezza delle sue identità culturali, questo è un fattore da sottolineare con forza: non vi è mercato unico, non vi è società europea capace di esprimere tutto il suo potenziale senza integrazione fisica dell’Europa, senza infrastrutture e servizi di trasporto che garantiscano mobilità e accessibilità da ogni punto “a” ad ogni punto “b” dell’Unione stessa.
Non si guardi a questo obiettivo come a un obiettivo quasi desueto davanti alle nuove cose che dobbiamo affrontare, è una premessa essenziale: non vi è ricerca sviluppata senza possibilità di contatti faccia a faccia; non vi è potenziale di imprese effettivo se i mercati non sono integrati. Questa è una precondizione fondamentale che un anno fa avevamo solennemente promesso di conseguire con la risoluzione 884-2004 approvata in quest’Aula, assumendo l’impegno di operare per realizzare al più presto, entro il 2020, la rete transeuropea di trasporto.
Purtroppo, di questo obiettivo non si trova più traccia nella comunicazione della Commissione, contrariamente alla proposta iniziale, a quanto era avvenuto l’anno scorso, quando avevano solennemente immaginato e spinto in questa direzione, incitando anche gli Stati membri a muoversi in questo modo. Se a questo si aggiungono le proposte del Consiglio di tagliare in modo drastico il bilancio in questo settore, le quali rendono quasi irrealizzabile o comunque allontanano enormemente nel tempo l’obiettivo, ci troviamo in una situazione di allarme rosso.
In qualche modo mi pare che il Parlamento, con il suo intervento, stia cercando di mettere una pezza nella sua risoluzione e stia invitando tutte le parti implicate ad assicurare che il completamento della rete transeuropea di trasporto diventi una realtà.
Il mio accorato appello in questa sede è che occorre evitare un gravissimo errore politico: precisamente un errore tutto politico per cui, dopo la decisione 884, si sono scatenate in Europa energie intellettuali, politiche, finanziarie e aspettative enormi attorno all’idea di veder proseguire il progetto della rete TEN. Non c’è luogo d’Europa nel quale non si discuta delle TEN. Le TEN costituiscono oggi, di fatto, uno dei capitoli non previsti e quindi non adeguatamente sostenuti di quel piano D che dovrebbe colmare il gap di interesse tra l’Unione europea e i suoi cittadini.
Se non manteniamo le promesse, se non rispondiamo a queste aspettative, inneschiamo effetti enormemente più pesanti e gravi di quelli, invece, che cerchiamo di raggiungere nel tentativo di mettere assieme il progetto europeo. Spero che questa idea non passi e diventi possibile evitare gli effetti disastrosi che un’eventuale interruzione del progetto avrebbe avere sulle aspettative di molti cittadini europei.
Bernat Joan i Marí (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, se vogliamo che l’Europa diventi l’economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo, dobbiamo aumentare gli investimenti nell’istruzione e nelle attività di ricerca e sviluppo. Purtroppo, l’Europa risente ora di una massiccia emigrazione dei nostri ricercatori verso gli Stati Uniti. Nell’Europa di oggi, per un ricercatore il miglior modo di affermarsi è inserirsi in una grande università americana. Dobbiamo competere con gli Stati Uniti migliorando le nostre politiche in modo da incoraggiare i nostri scienziati a rimanere nell’Unione europea.
Dobbiamo lanciare uno spazio europeo della ricerca, al fine di analizzare e trovare soluzioni atte a migliorare il settore della ricerca e farne uno strumento utile per le esigenze e le finalità dei nostri ricercatori. Ritengo si debba collegare la strategia di Lisbona al processo di Bologna, in modo da stabilire un buon collegamento tra il nostro sistema universitario e i nostri obiettivi economici e di politica sociale.
Se non miglioriamo gli attuali strumenti per l’istruzione e la ricerca e sviluppo a livello di Stati membri e a livello di organismi sovrastatali, la cosiddetta strategia di Lisbona si rivelerà un grande fallimento.
Helmuth Markov (GUE/NGL). – (DE) Signor Presidente, va da sé che gli obiettivi della strategia di Lisbona – 20 milioni di nuovi posti di lavoro, una crescita media annua del PIL del 3 per cento e un aumento analogo della spesa per la ricerca e lo sviluppo – sono adeguati, ma devo dire all’onorevole Lehne che il problema non è l’obiettivo, bensì la strategia con cui s’intende raggiungerlo.
Esaminiamo le realtà odierne: la nostra crescita economica è mediamente pari all’1,5 per cento e abbiamo creato solo un quarto circa dei nuovi posti di lavoro sperati, oltre tutto molto mal pagati. Questo è il problema fondamentale. Questo è il corso che seguiamo da sei anni, un corso che si riflette anche negli orientamenti di recente adozione che ora dovranno essere attuati nell’ambito dei piani nazionali.
Proseguiamo l’esame: in tutti gli Stati membri dell’Unione europea gli aumenti di produttività sono alle stelle. E gli aumenti salariali? Non ci sono, le retribuzioni rimangono allo stesso livello! Come intendete dunque stimolare la domanda interna? Si agisce sempre come se le prestazioni sociali esercitassero un effetto negativo sull’economia nazionale, ma non è così: hanno effetti positivi! In definitiva, le retribuzioni elevate producono crescita economica, ma la politica deve essere interamente ripensata.
Ciò di cui davvero non abbiamo bisogno è una continua liberalizzazione e privatizzazione. La concorrenza è necessaria, ma dobbiamo competere per standard sociali e ambientali più elevati. Dobbiamo comprendere che i beni che produciamo devono essere fabbricati in conformità del diritto internazionale del lavoro. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno! Avremo così una possibilità di portare avanti la strategia di Lisbona fino all’obiettivo che ci preme raggiungere, e non intendiamo farlo riducendo continuamente le prestazioni sociali per dare sempre più libertà alle imprese. Questo è il modo sbagliato di affrontare la situazione.
(Deboli applausi)
Johannes Blokland (IND/DEM). – (NL) Signor Presidente, ogni anno in marzo svolgiamo discussioni in preparazione del Vertice di primavera e dal 2001 discutiamo il motivo per cui il processo di Lisbona non realizza gli obiettivi che ci siamo prefissi. A tale questione, la relazione Kok del 2004 ha fornito una risposta inequivocabile: gli Stati membri devono assumersi le loro responsabilità e affrontare il compito di riformare le loro economie e il loro sistema previdenziale, creando margini per una crescita sostenibile e nuovi posti di lavoro. Ora che la crescita economica è di nuovo possibile, le riforme necessarie rischiano di essere rinviate, ma la crescita da sola non basta per conservare intatto il nostro modello sociale.
Può il Commissario indicare che cosa intende fare la Commissione per scongiurare questo pericolo e attuare le conclusioni della relazione Kok? Mi auguro che si parli anche del periodo di riflessione, perché ve ne è estremo bisogno. Sembra che l’élite europea non sia in grado di discutere il futuro dell’Unione senza il bagaglio in eccesso di una Costituzione respinta. Nove mesi di riflessione dovrebbero essere sufficienti per un primo follow-up.
Wojciech Roszkowski (UEN). – (PL) Signor Presidente, è un vero peccato che i discorsi retorici sull’attuazione della strategia di Lisbona non abbiano prodotto altro che parole.
La strategia di Lisbona riguarda in particolare la competitività dell’Unione. Come tutti sappiamo, il rafforzamento della competitività richiede principalmente un aumento della produttività, che a sua volta minaccia i posti di lavoro. Questa minaccia non si materializzerà se l’aumento di reddito generato da una maggiore produttività è sufficiente e non si limita ai singoli paesi, ma si applica anche a economie integrate come quelle dell’Unione.
Tuttavia, una maggiore produttività non solo richiede la realizzazione di progressi tecnologici, ma anche il trasferimento della produzione dai luoghi in cui è più costosa a quelli in cui lo è meno. L’aumento di reddito derivante da queste attività sarà vantaggioso per tutti nell’Unione, mentre rinunciando al processo si rischia la stagnazione e l’indebolimento della competitività, perché il mondo non sta fermo. La scelta è quindi tra la stagnazione certa e un rischio che potrebbe dare buoni risultati.
Non dobbiamo avere paura della strategia di Lisbona. E’ un’opportunità per tutti noi.
Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlo a nome del nuovo PSI. A nostro avviso le azioni per raggiungere gli obiettivi di Lisbona – crescita, occupazione e competitività – sono state poche e poco chiare.
Occorre più sostegno per le piccole e medie imprese, fulcro del nostro tessuto industriale e quindi un miglior accesso al credito, ai finanziamenti europei e ai programmi di ricerca e tecnologia, nonché una maggiore difesa dell’industria europea di qualità contro gli attacchi sleali della concorrenza internazionale; mi riferisco ad esempio al settore tessile e a quello alimentare.
Occorre un piano energetico che renda l’Unione europea indipendente dall’attuale instabilità a livello geopolitico e va dedicata la massima attenzione alle nuove fonti di energia, onde assicurare uno sviluppo sostenibile e durevole anche a livello ambientale.
Occorre investire concretamente nell’istruzione, nella formazione e nella ricerca e nell’innovazione per garantire la competitività ai nostri processi produttivi. Occorre infine salvaguardare la nostra principale risorsa: i lavoratori e il capitale umano.
Bisogna evitare che l’occupazione ed il benessere dei nostri cittadini passino in secondo piano rispetto alle leggi del mercato e del commercio internazionale. Non possiamo dimenticare che l’industria deve essere al servizio dei lavoratori e non il contrario.
Marianne Thyssen (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, signori presidenti, onorevoli colleghi, non è mia abitudine fare complimenti, ma in questa discussione sarebbe davvero imperdonabile non esprimere alcun apprezzamento per i correlatori, onorevoli Lehne e Goebbels. Essi meritano le nostre congratulazioni per la proposta di risoluzione che hanno preparato, che è più che soddisfacente e che sosteniamo al 100 per cento.
E’ superfluo dire che, in veste di coordinatrice del mio gruppo in seno al gruppo direttivo di Lisbona, vorrei esprimere la mia riconoscenza anche ai colleghi del gruppo che hanno fornito i necessari contributi. La discussione di questa risoluzione in Parlamento è stata molto più costruttiva rispetto all’anno scorso, e mi auguro che ciò sia di buon auspicio per l’attesa attuazione della strategia rinnovata per la crescita e l’occupazione.
La revisione intermedia sembra dare i suoi frutti, gli Stati membri sembrano cooperare. Ai paesi più coraggiosi auguro perseveranza, agli altri il coraggio e la convinzione di cominciare o di accelerare il passo. Naturalmente, abbiamo anche noi una responsabilità, in quanto Istituzione europea, e in questo contesto accolgo con favore l’intenzione sia della Commissione sia della Presidenza del Consiglio di affrontare rapidamente la direttiva sui servizi e di rispettare il difficile equilibrio che abbiamo raggiunto dopo un lungo e duro lavoro in seno all’Assemblea.
Abbiamo familiarità con la natura e la portata della sfida cui l’Europa deve rispondere. In Europa ci piace vivere bene, e vogliamo continuare a farlo, ma, per realizzare il nostro sogno, per conservare il nostro livello di prosperità e mantenere intatto il nostro modello sociale, dobbiamo diventare un soggetto globale competitivo.
Non posso trovare espressione migliore di quella usata ieri dal Presidente tedesco: quanto più cari siamo, tanto migliori dobbiamo essere. Dobbiamo trasformare la nostra inquietudine in creatività e avere fiducia nel fatto che solo cambiando possiamo conservare il potenziale per realizzare le nostre ambizioni. Sappiamo che cosa occorre fare. Agiamo di conseguenza su tutti i fronti, perché non esistono alternative.
Poul Nyrup Rasmussen (PSE). – (EN) Signor Presidente, il presidente del mio gruppo, il gruppo PSE, ha parlato della necessità di un’azione immediata. E’ ora di agire. Mi concentrerò su questo. Sappiamo tutti che la crescita economica è leggermente migliorata, ma una crescita media annua del 2,2 per cento anziché del 2,1 per certo non crea posti di lavoro sufficienti per ridurre seriamente la disoccupazione, che colpisce 19,5 milioni di persone. In sostanza, concordo quindi con il Presidente Barroso e il Presidente del Consiglio europeo: abbiamo bisogno di più crescita.
Ho due brevi quesiti. Innanzi tutto, gli investimenti. Signor Presidente della Commissione, prevede che all’imminente Vertice del Consiglio europeo i governi saranno in grado di riunirsi – forse il Trattato non ci dà la facoltà e i poteri per costringerli a farlo – e concludere una specie di accordo intergovernativo per decidere di investire, nei prossimi due o tre anni, negli obiettivi da lei indicati nei suoi documenti e raccomandazioni? Se lo prevedesse, me ne rallegrerei, perché in tal caso avremmo compiuto un passo verso un’azione d’investimento coordinata.
In secondo luogo, sono lieto che il Consiglio “Occupazione” abbia adottato una decisione sulla “flessicurezza”, sulla base delle proposte della Commissione. Signor Presidente in carica del Consiglio, prevede che le conclusioni garantiranno non solo la flessibilità, ma anche la sicurezza moderna? In Francia il governo si concentra solo sulla flessibilità, e ho visto le reazioni dei giovani. Questo è il motivo per cui è assolutamente necessario garantire entrambe. Apprezzerei una risposta e se potesse fornirla oggi stesso sarebbe molto opportuno e saggio.
E’ ora di mantenere le promesse e mi auguro che uniremo tutti le nostre forze. Farò tutto il possibile nel Partito socialista europeo e so che il mio collega, il presidente del mio gruppo, farà tutto il possibile per mantenere le promesse, perché è ora di farlo e perché è ciò che i cittadini si attendono da noi.
Nils Lundgren (IND/DEM). – (SV) Signor Presidente, vorrei proporre alcune riflessioni generali sull’intera agenda di Lisbona. A mio parere, essa si basa su un’incomprensione riguardante il modo in cui le economie – e di fatto le civiltà umane – si sviluppano nel corso della storia.
Vi è stato un periodo nella storia – a partire dalla fine del XVIII secolo fino a tutto il XIX secolo – in cui l’Europa è diventata la regione basata sulla conoscenza più dinamica del mondo. Cominciò con cambiamenti introdotti nel Regno Unito, tra cui la legislazione in materia economica e l’abolizione del sistema delle corporazioni. I progressi furono enormi e rapidi e si diffusero con incredibile rapidità in vaste aree del mondo. Anche altri paesi cominciarono a usare le macchine a vapore e il filatoio multiplo. E’ così che procede lo sviluppo.
L’idea che possano esistere oggi persone straordinariamente sagge, che sappiano esattamente quali misure i paesi europei devono adottare per aiutare l’Europa a diventare una regione dinamica basata sulla conoscenza, è del tutto erronea. Sono i paesi stessi a dover cercare la propria via verso la giusta soluzione, tenendo l’occhio vigile sugli altri e copiando le soluzioni costruttive. E’ così che procede lo sviluppo. Continuando a seguire la direzione attuale finiremo per fare le riflessioni sbagliate. Nell’Unione europea dobbiamo occuparci delle questioni appropriate.
Françoise Grossetête (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, il prossimo Consiglio europeo di primavera dovrà rispondere alle sfide della nostra epoca, tra cui quelle ambientali e quelle della politica energetica. Dovrà tenere conto delle aspettative dei giovani e assicurare il riconoscimento degli anziani, che sono sempre più numerosi. Tutto ciò comporta un adeguamento delle infrastrutture. La nostra società è in piena evoluzione e questo è ciò che preoccupa i cittadini. Dobbiamo quindi aiutarli, anticipando le difficoltà dei prossimi decenni.
Lo Stato previdenziale degli anni ’80 non è più la risposta. Dobbiamo conciliare flessibilità e sicurezza, trovare nuove soluzioni per dare priorità all’occupazione e ridare fiducia ai nostri concittadini: fiducia nella loro politica e in un’Europa che si organizza. Una fiducia che dia spontaneamente impulso alla crescita e aumenti la natalità, la quale è un valido indicatore dello stato della nostra società. Una fiducia che induca a considerare l’immigrazione come una grande opportunità e che, anziché imbrigliare l’iniziativa privata, la liberi, incoraggi e sostenga. Una fiducia ritrovata che permetta di offrire una migliore formazione ai nostri ricercatori e di trattenerli in Europa, nell’interesse di una società della conoscenza di maggior successo – anche se, considerato ciò che accade con ERASMUS, vi è davvero motivo di preoccuparsi. Infine, questa Europa non avrebbe tabù e oserebbe quindi parlare di energia nucleare e di indipendenza energetica. Potrei fornire molti altri esempi di ciò che potrebbe fare.
Tuttavia, senza un bilancio adeguato, a che cosa servono i discorsi? Oggi ci viene detto, Presidente Barroso, che si dovrà scegliere tra le reti transeuropee e Galileo. E’ possibile? No, non è possibile. Abbiamo bisogno tanto di Galileo quanto di completare il mercato interno con vie di comunicazione migliori. Permettetemi di esprimere qui il mio sostegno al collegamento ferroviario Lione-Torino.
Non voglio che stamattina sia l’ennesima occasione per parlare della strategia di Lisbona. Parole, parole, parole... E’ ora di passare all’azione. Invito i capi di governo ad avere coraggio. La strategia di Lisbona è l’unico antidoto alle varie forme di protezionismo nazionale.
Jan Andersson (PSE). – (SV) Signor Presidente, userò il breve minuto a mia disposizione per concentrarmi su un emendamento del gruppo socialista al Parlamento europeo nel quale accogliamo con favore la proposta dei capi di governo di sei paesi di istituire un patto europeo per la parità tra donne e uomini.
Proponiamo misure in tre ambiti. Vogliamo innanzi tutto ridurre gli squilibri tra i sessi sul mercato del lavoro; in secondo luogo, rendere più agevole conciliare una professione remunerativa con le responsabilità familiari; in terzo luogo, introdurre una prospettiva di parità, da adottare in tutte le politiche relative ai vari settori.
Scopo di questo patto per la parità non è creare un nuovo processo, ma rafforzare i processi già esistenti, come quello di Lisbona, per far sì che gli obiettivi di crescita sostenibile, piena occupazione e giustizia sociale diventino realizzabili. Gli obiettivi relativi all’assistenza all’infanzia e alla possibilità di conciliare una professione remunerativa con le responsabilità familiari rivestono particolare importanza.
Timothy Kirkhope (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, l’imminente riunione del Consiglio offrirà ai governi degli Stati membri l’occasione di affermare la necessità imprescindibile che la riforma proceda più rapidamente di quanto abbia fatto finora.
Ritengo che il Consiglio, nelle sue conclusioni, debba esprimersi in modo chiaro ed energico su due questioni. Alla luce della comunicazione della Commissione “E’ ora di cambiare marcia”, adottata in gennaio, questo non è sicuramente il momento di rimanere senza benzina. Sono lieto che il Presidente Barroso sembri funzionare con un carburante ad alto numero di ottani e mi auguro che ciò duri a lungo, ma la marea crescente di retorica protezionistica e di azioni protezionistiche da parte dei governi degli Stati membri è inaccettabile. E’ straordinario che l’Unione europea abbia ancora governi legati a una mentalità protezionistica antiquata e alla promozione del patriottismo economico e industriale.
Accolgo con favore le dichiarazioni della Commissione che criticano tale deriva. Accolgo con favore le recenti osservazioni del ministro dell’Economia tedesco, il quale ha affermato che non abbiamo bisogno di patriottismo industriale e che gli investitori esteri devono essere accolti a braccia aperte, non a malapena tollerati. Se i piani nazionali di riforma presentati dai governi sono anche solo vagamente simili a quelli previsti dal governo del Regno Unito, poveri noi!
Il dibattito sul protezionismo è al centro del dibattito sullo sviluppo economico futuro. Non vi è spazio per le politiche che abbiamo visto ultimamente. Il tempo delle sottigliezze diplomatiche è finito. Dobbiamo permettere alle piccole e medie imprese di far sentire la loro voce.
Per quanto riguarda la direttiva sui servizi, il testo di compromesso adottato dal Parlamento deve essere migliorato dai governi. Abbiamo compiuto progressi, che però non sono sufficienti. Il Consiglio deve riordinare le idee sul ciclo di Doha e lavorare di più a favore di accordi commerciali internazionali.
Temo che al momento non vi sia ancora consenso di opinioni. Esorto il Consiglio europeo a dimostrare lo stesso vigore e la stessa determinazione del Presidente Barroso. Esorto il Consiglio a evitare, al prossimo Vertice, di svicolare come al solito e a fornire una leadership reale. Potremo così giudicarlo in base alla sua determinazione e pronunciare quindi il nostro verdetto.
Maria Berger (PSE). – (DE) Signor Presidente, se persino l’onorevole Poettering, nel suo discorso iniziale di oggi, si è sentito obbligato a criticare la rappresentanza della Presidenza austriaca – in sostanza, l’assenza del Cancelliere Schüssel – è possibile che tale assenza abbia a che fare con il fatto che il messaggio che la Presidenza austriaca avrebbe dovuto comunicare è estremamente modesto e inadeguato. E’ un compito ingrato, che si è ben felici di lasciare a qualcun altro.
Il messaggio è modesto e inadeguato in termini di obiettivi, in particolare per quanto riguarda l’auspicata riduzione della disoccupazione, tenuto conto del numero elevato di disoccupati e del risultato che ci eravamo inizialmente proposti di conseguire con il processo di Lisbona. Tale messaggio non è solo modesto e inadeguato, ma è anche falso per quanto riguarda gli strumenti da utilizzare: questi obiettivi, per quanto modesti, non si conseguiranno con le sole riforme strutturali.
L’Unione europea e gli Stati membri devono reperire più fondi. Senza fondi, niente musica: anche questo abbiamo imparato da Mozart.
Jacek Emil Saryusz-Wolski (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, un’economia europea competitiva come quella descritta nell’agenda di Lisbona non si può costruire su forniture insicure di gas e petrolio. Non si può costruire su una sicurezza e un accesso alle forniture energetiche differenziati e iniqui. Ciò è contrario alla logica del mercato unico e ai principi della concorrenza. E’ quindi positivo che la sicurezza dell’approvvigionamento energetico sia una priorità per la Presidenza e per la Commissione.
E’ più che ora che l’Unione adotti misure concrete in questo campo. La sicurezza dell’approvvigionamento energetico è fondamentale per l’attività economica e per la competitività dell’economia dell’Unione nel suo insieme. L’energia, come abbiamo visto di recente, a volte è anche usata come arma per esercitare pressioni politiche. Di conseguenza, deve essere considerata anche nel contesto della politica estera e di sicurezza dell’Unione.
I recenti problemi connessi con le forniture di energia evidenziano la nostra debolezza, vulnerabilità e dipendenza da terzi. E’ quindi essenziale che l’Unione sviluppi una vera e propria politica di sicurezza energetica. Se prendiamo sul serio il mercato interno e l’agenda di Lisbona, dobbiamo garantire ai nostri operatori economici e ai nostri cittadini la sicurezza e la parità di accesso alle forniture di energia. I provvedimenti adottati dalla Presidenza e, in particolare, il Libro verde della Commissione vanno nella giusta direzione, pur essendo troppo modesti.
La solidarietà è uno dei principi fondamentali dell’integrazione europea; essa crea l’obbligo di assistere tutti gli Stati in difficoltà. Dobbiamo estendere questo principio di solidarietà ai problemi legati alla penuria di forniture energetiche causata dall’azione politica. Per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici esterni abbiamo bisogno di cooperazione e solidarietà, non di concorrenza tra gli Stati membri.
La sicurezza energetica presenta anche un aspetto finanziario: i tagli maggiori nelle prospettive finanziarie, decisi dal Consiglio, riguardano il settore delle reti transeuropee dell’energia. Dobbiamo correggere questa situazione nell’ambito del trilogo sul bilancio, altrimenti le nostre priorità rimarranno solo sulla carta.
La sicurezza energetica costituisce anche una pietra angolare della politica di vicinato. Una stretta cooperazione nel campo della sicurezza energetica è indispensabile ed è la misura più efficace per creare fiducia, sia all’interno dell’Unione europea sia tra l’Unione e i suoi vicini.
Gary Titley (PSE). – (EN) Signor Presidente, sono tre le priorità per il Vertice di primavera: azione, azione, azione. Azione sul fatto che oltre un terzo della nostra popolazione in età lavorativa è economicamente inattiva, il che è una vergogna. Non si può abbracciare la globalizzazione e abbandonare al tempo stesso un gran numero di nostri cittadini. Abbiamo bisogno di mercati del lavoro attivi.
Dobbiamo intraprendere un’azione per dare applicazione alle norme di legge: troppi Stati membri non applicano la legislazione che essi stessi hanno adottato – una situazione francamente inaccettabile.
Infine, 13 anni dopo la creazione del mercato unico, è ora di accettare il fatto che esiste un mercato unico europeo, il quale esige campioni europei, non campioni nazionali.
Facciamo dunque meno discorsi su questo Vertice e orientiamoci invece su più piani d’azione concreti da parte degli Stati membri. Vogliamo fatti, non parole!
Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, la discussione riguarda il Vertice di primavera e abbiamo un’ottima risoluzione con splendide raccomandazioni. Dopo tutto, ai cittadini europei si continua a promettere più crescita e più posti di lavoro, ma non gettiamoci fumo negli occhi, perché la carta può attendere. La settimana prossima, quando ritorneranno nelle loro capitali dopo il Vertice, i capi di governo dovranno portare con sé anche un senso di appartenenza al processo di Lisbona, perché in definitiva saranno gli Stati membri, insieme con le parti sociali, i politici nazionali e regionali, a determinare un aumento dell’occupazione.
Il messaggio agli Stati membri è semplice e chiaro. Il mercato interno deve diventare una realtà, comunque vadano le cose. Occorre fare di più nel settore della ricerca e sviluppo; l’innovazione deve essere sostenuta e l’istruzione e la formazione devono essere organizzate su basi più efficienti e di migliore qualità. Tuttavia, la strategia di Lisbona ha anche una dimensione sociale. Non diventeremo competitivi se riduciamo i nostri principi e valori fondati sulla solidarietà con i più deboli, la responsabilità dei cittadini, la giustizia sociale o le retribuzioni a un livello tale da poter competere con i nostri concorrenti asiatici. Questa non è la risposta europea che ispirerà fiducia ai cittadini.
Le riforme sono tuttavia necessarie. Dobbiamo affrontare l’evoluzione demografica, ovvero l’invecchiamento della popolazione e la diminuzione della natalità. Dobbiamo avere il coraggio di esaminare le modalità di finanziamento dei sistemi di sicurezza sociale, perché la realtà demografica si avvicina a una velocità sempre maggiore. Non ha senso rimuginare su un clima favorevole alle imprese o sulla formazione permanente, se non riusciamo a mantenere la parola data. Dobbiamo metterci al lavoro.
Abbiamo organizzato i programmi strutturali europei in modo da assicurare che tre quarti dei fondi, o 55 miliardi, contribuiscano agli obiettivi di Lisbona, e se mancano i fondi per tali programmi o se gli Stati membri non sono disposti a sborsarli, devo concludere che non otterremo la crescita e l’occupazione in conformità dell’agenda di Lisbona.
Per quanto riguarda l’invecchiamento della popolazione e la diminuzione del numero di giovani, dovremo adeguare la politica in materia di sicurezza sociale e di occupazione in modo che i giovani attivi e gli anziani idonei al lavoro possano offrire il loro contributo alla società e alla prosperità e felicità dei nostri cittadini nel prossimo futuro.
Libor Rouček (PSE). – (CS) Onorevoli colleghi, oggi vorrei parlare di due questioni che considero molto importanti per la realizzazione degli obiettivi di Lisbona, cioè la crescita e l’occupazione. La prima questione è il completamento del mercato unico interno. Sembra che, purtroppo, il concetto delle quattro libertà su cui si fonda l’Unione europea spesso esista solo sulla carta. Abbiamo compiuto un passo molto importante il mese scorso, con la prima lettura della direttiva sui servizi. Sono fermamente convinto che sia stato un passo nella giusta direzione, ma vorrei fare un’osservazione sulla libera circolazione delle persone. La relazione della Commissione europea, già menzionata in Aula, sottolinea che la mobilità della forza lavoro, non solo tra nuovi e vecchi Stati membri, ma anche all’interno della “vecchia” Unione, è ancora insufficiente. Tuttavia, è proprio da questa mobilità che dipende la crescita economica. La seconda questione è l’approvazione delle prospettive finanziarie.
Onorevoli colleghi, se non avremo le prospettive finanziarie entro la metà dell’anno, l’Europa dovrà affrontare una crisi: una crisi economica, una crisi politica e anche, temo, una crisi di fiducia. Vorrei quindi invitare tutte e tre le Istituzioni a lavorare sodo su questa questione, in modo che le prospettive finanziarie arrivino, per così dire, “sane e salve” entro la fine di giugno, in altre parole entro la fine della Presidenza austriaca.
John Bowis (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare il Presidente Abbas per avermi offerto questa opportunità inattesa di contribuire alla discussione. Ringrazio Lisbona per averci dato l’agenda e il figlio di Lisbona al primo banco della Commissione per la sua leadership di tale agenda. Nulla è più importante per l’Europa di assicurare il successo dell’agenda di Lisbona. Questo è il modo in cui dare ai nostri cittadini una nuova speranza che l’Europa contribuirà al loro futuro e che possiamo cooperare per dare insieme nuova speranza anche ad altre regioni del mondo.
Vorrei mettere in risalto due aspetti dell’agenda evidenziati nella risoluzione. Il primo è la salute dei cittadini d’Europa, perché ritengo che questa sia una precondizione di Lisbona. Senza persone in buona salute non si può avere un’economia sana. E’ importante esaminare innanzi tutto alcune minacce per la salute cui dobbiamo far fronte, tra cui una possibile pandemia di influenza, e le opportunità per la salute, come quelle che emergono ora dalla mobilità dei pazienti, e considerarle parte dell’agenda.
Come hanno affermato i miei colleghi, dobbiamo affrontare l’invecchiamento della popolazione in modo tale da assicurare che questo fenomeno sia un’opportunità e non solo un onere. Dobbiamo garantire anche un ambiente sano, quale precondizione per la nostra economia. Anche questa non è una minaccia. Le opportunità per le imprese di innovare e rispondere all’esigenza di norme più elevate che vogliamo per il nostro ambiente le porranno in una buona posizione rispetto al resto del mondo. Abbiamo la possibilità di guidare il mondo in materia di sostenibilità, innovazione, etichette ecologiche e così via, e ritengo sia una sfida cui la Commissione dovrà rispondere assieme al Parlamento.
Infine, permettetemi di riconoscere i meriti della Presidenza austriaca e di renderle omaggio per il lavoro che svolge in entrambi questi ambiti, per quanto riguarda sia la salute dei cittadini sia la salute dell’ambiente, perché tale lavoro condurrà all’economia sana che Lisbona può dare a tutti noi nel prossimo futuro.
Edit Herczog (PSE). – (HU) Signor Presidente, il 15 marzo l’Ungheria commemora la lotta per la libertà e la rivoluzione del 1848. Guardando indietro, possiamo dire che i risultati duraturi della rivoluzione sono il cambiamento del sistema economico, la libertà individuale e la duratura competitività del paese.
Oggi la concorrenza non è più tra Stati nazionali, ma tra continenti, a livello globale. Di conseguenza, anche la competitività duratura deve essere creata a tale livello. L’Unione europea ha bisogno di un cambiamento reale nella sua filosofia economica. Dobbiamo infine passare dalla concorrenza anacronistica e improduttiva tra Stati membri a un mercato interno europeo che garantisca il massimo livello di libertà e di dignità umana ai suoi cittadini.
La strategia di Lisbona non è solo un programma di cinque-dieci anni, ma è il fondamento stesso della nostra competitività e sopravvivenza nei prossimi 100-150 anni. Nel 1848 i rappresentanti politici compresero il messaggio dell’epoca e guidarono il cambiamento. Chiedo al Consiglio, alla Commissione, al Parlamento e ai Primi Ministri che si preparano per il Vertice di primavera di comprendere e infine mettere in pratica il messaggio del XXI secolo. Questo è ciò che noi, cittadini europei, ci attendiamo da loro.
Vito Bonsignore (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel marzo del 2000 i leader europei hanno deciso che cosa avrebbe dovuto diventare l’Europa nel 2010. Avevano compreso che gli interventi di singolo Stato membro sarebbero stati ancora più efficaci se sostenuti dall’azione collettiva degli altri membri.
Oggi il crescente divario in termini di crescita in Europa rispetto all’America e all’Asia, nonché l’invecchiamento delle popolazioni, impongono di applicare con urgenza ed efficacia la strategia di Lisbona al fine di recuperare il tempo perduto. Si potranno inoltre conseguire risultati migliori adottando iniziative complementari e cambiamenti strutturali concertati all’interno dell’Unione europea.
Occorre intervenire tempestivamente nei settori a suo tempo individuati, allo scopo di rendere l’Europa più attraente per i ricercatori e gli scienziati, di completare il mercato interno per consentire la libera circolazione dei beni e dei capitali e di creare un vero mercato unico dei servizi; per creare un contesto più favorevole alle imprese occorre applicare tempestivamente le raccomandazioni della task force europea per l’occupazione.
I singoli Stati membri hanno fatto progressi in alcuni di questi settori, ma nessuno di loro ha ottenuto risultati positivi e duraturi. Per conseguire i suoi obiettivi l’Europa deve dar prova di un impegno nettamente superiore, anche esercitando pressioni sui singoli Stati membri. Gli Stati devono rinunciare alle vecchie pratiche nazionali, dedicare più risorse alla costruzione dell’Europa. Ai cittadini dobbiamo far comprendere che i sacrifici di oggi saranno ricompensati dai vantaggi di domani.
Il Parlamento europeo è un elemento centrale nella strategia di crescita, nell’impegno per costruire la nuova Europa. Deve quindi intervenire sempre più come stimolo per tutti i soggetti interessati nell’operazione di rilancio dell’Europa.
Reino Paasilinna (PSE). – (FI) Signor Presidente, ci siamo evidentemente cacciati in un angolo dell’Unione. La maggioranza degli Stati membri sta rallentando l’attuazione della strategia di Lisbona per motivi totalmente egoistici e anche miopi. Ogni settimana, per esempio, rimaniamo estremamente indietro rispetto agli Stati Uniti d’America e al Giappone in termini di investimenti in tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni. Al tempo stesso, la Cina e l’India esercitano una concorrenza sempre più selvaggia contro di noi. Siamo completamente bloccati, non ci muoviamo in alcuna direzione.
I paesi nordici, tuttavia, hanno mantenuto altissimi livelli di competitività, lo Stato sociale e un ampio ventaglio di conoscenze. Ciò accade ora. Chiedo al signor Barroso, Presidente della Commissione europea, se possa avere il tipo di temperamento meridionale adatto a trasmettere questo esempio a coloro che hanno ancora paura delle soluzioni coraggiose che abbiamo adottato molto tempo fa. Esse non hanno creato scompiglio nei nostri paesi e nemmeno l’inverno rigido ci ha fatto cambiare direzione. In altre parole, è possibile; del resto, perché non dovrebbe esserlo?
Gunnar Hökmark (PPE-DE). – (SV) Signor Presidente, quando discutiamo il processo di Lisbona, possiamo vedere come i diversi paesi riescano a portarlo avanti, in maggiore o minore misura. I paesi che hanno introdotto riforme e cambiamenti affrontano molto meglio la globalizzazione e riescono a essere molto più competitivi. Quelli che non hanno introdotto riforme se la cavano meno bene.
L’aspetto degno di nota, tuttavia, è quanto poco si sia effettivamente realizzato a livello comune europeo, nonché il grado limitato in cui abbiamo concesso alle nuove imprese, servizi e mercati più spazio per espandersi e ai prodotti più possibilità di sviluppo. Il compito primario e generale della Commissione è combattere il nuovo protezionismo che si sta sviluppando tra i governi e i responsabili politici europei. Questo nuovo protezionismo è diretto contro i nuovi Stati membri e il mondo esterno, in cui si trovano i grandi mercati del futuro. Tuttavia, è diretto anche contro i vecchi Stati membri ed emerge sempre più spesso nelle relazioni tra loro.
Per gestire con successo il processo di Lisbona, il compito principale è combattere tale protezionismo, che viola il Trattato e tutto ciò che l’integrazione europea rappresenta. L’Europa ha un potenziale formidabile e là dove abbiamo introdotto riforme abbiamo avuto successo. Prendete ad esempio il mercato delle telecomunicazioni, nel quale abbiamo più successo di tutti.
La Commissione deve comprendere l’importanza di salvaguardare il libero scambio, che è all’origine della prosperità dell’Europa. Deve essere positiva sulla globalizzazione, ma deve soprattutto essere certa di attuare misure che favoriscano la creazione di nuove imprese e nuovi posti di lavoro. Ciò che conta sono i risultati, non gli obiettivi. Solo così saremo in grado di dare all’Europa un nuovo futuro.
Edite Estrela (PSE). – (PT) Signor Presidente, Presidente Barroso, vorrei fare solo un paio di osservazioni. Per conseguire gli obiettivi di crescita e di creazione di posti di lavoro è necessario rafforzare la prospettiva di genere nella strategia di Lisbona, soprattutto negli indirizzi di massima per le politiche economiche e negli orientamenti per l’occupazione. Dobbiamo aumentare il tasso di occupazione femminile, elaborare una strategia di invecchiamento attivo e costruire una società caratterizzata dalla formazione lungo tutto l’arco della vita.
La seconda osservazione riguarda le prospettive finanziarie. Sussiste la necessità urgente di un accordo interistituzionale. Non vi è tempo da perdere. Il Consiglio, la Commissione e il Parlamento devono negoziare rapidamente una soluzione. I cittadini europei non accetteranno ulteriori rinvii. E’ giunto il momento di “lisbonizzare” l’Unione europea e approvare un bilancio che promuova la crescita e la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro per tutti, comprese le donne. Senza le donne, la strategia di Lisbona non avrà successo.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, prometto che sarò breve. Sono state dette molte cose importanti e interessanti su questo argomento e posso assicurare all’onorevole Poettering e all’onorevole Berger che il Cancelliere federale, anche se è assente, segue con grande attenzione le raccomandazioni dell’Assemblea. E’ superfluo dire che il vostro parere svolgerà un ruolo importante nei preparativi. Vorrei dire all’onorevole Berger che la mia presenza in Aula oggi non deve essere considerata come un segno di mancanza di ambizione; al contrario, la Presidenza austriaca ha l’ambizione di conseguire insieme con la Commissione grandi risultati nell’interesse dei cittadini d’Europa.
Posso anche dire all’onorevole Schulz che siamo senz’altro consapevoli della necessità di disporre delle risorse finanziarie necessarie. Qui non si tratta solo di risorse europee, ma anche di risorse nazionali, e ciò che conta è la loro qualità ed efficienza, perché non dobbiamo considerare sempre e unicamente la quantità di risorse, ma anche assicurare che si utilizzino le risorse giuste nel posto giusto.
(EN) Onorevole Watson, sono senz’altro d’accordo con lei sul fatto che vi sono numerosi argomenti che il Consiglio europeo dovrebbe affrontare, ma con il tempo limitato a disposizione non si può affrontare tutto.
Quanto al suo riferimento a Metternich, le assicuro che Metternich per noi non è un modello di comportamento. La sua visione dell’Europa non è la nostra visione dell’Europa. Non vogliamo un direttorio di cinque grandi paesi che dominino su tutti gli altri. Va ricordato che egli era a capo di uno Stato di polizia, e noi non vogliamo nemmeno questo.
(DE) All’onorevole Harms vorrei dire che la sostenibilità ovviamente svolge un ruolo molto importante nell’Unione europea, e ricordo all’Assemblea che la strategia di sostenibilità dovrà essere rivista entro la metà del 2006. Posso assicurarvi che la sostenibilità svolgerà sempre, com’è ovvio, un ruolo importante in tutto ciò che il Consiglio e la Commissione tenteranno di realizzare.
Vorrei rivolgere un’osservazione anche all’onorevole Bonde. Rifiuto con fermezza l’idea secondo cui gli Stati che, nell’esercizio dei loro diritti sovrani, desiderano proseguire il processo di ratifica del Trattato costituzionale agirebbero illegalmente.
(Applausi a destra)
Vi rimando alla decisione del Consiglio europeo di giugno che, nel disporre il periodo di riflessione, ha anche dichiarato espressamente che la validità del processo di ratifica in corso non è messa in discussione.
Ritengo che il Consiglio stia procedendo a pieno ritmo, al fine di conseguire gli obiettivi che ci siamo prefissi.
(EN) E’ ben possibile, onorevole Kirkhope, che il Consiglio non funzioni ad alto numero di ottani, diversamente dal Presidente della Commissione. Forse funzioniamo meglio con i biocarburanti, in linea con lo spirito della nostra epoca.
(DE) Diversi oratori hanno menzionato, in questo contesto, l’iniziativa “Legiferare meglio” della Commissione, e per questo vorrei ringraziare soprattutto il Commissario Verheugen, che oggi è qui con noi, e incoraggiarlo a portarla avanti, perché è il genere di iniziativa che i cittadini comprendono e che li ravvicina all’Unione europea.
L’onorevole Rasmussen e altri deputati hanno accennato alla questione della “flessicurezza”. Posso confermare e sottolineare che si tratta di flessibilità attraverso la sicurezza, quale paradigma generale per le riforme in materia di diritto del lavoro e politica sociale. E’ superfluo dire che l’intenzione è conseguire un rapporto equilibrato tra flessibilità e sicurezza sui mercati del lavoro europei.
(EN) Onorevole Titley, concordo con lei sulla necessità di agire, perché ciò convincerà i nostri cittadini. Noi, insieme con la Commissione, intendiamo adottare opportune misure a favore di tale azione.
Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, sebbene “crescita” e “occupazione” siano le parole chiave della strategia di Lisbona, mi sembra necessario precisare ancora una volta questi concetti.
Quando, nell’Europa del XXI secolo, usiamo il termine “crescita”, non possiamo parlare di alcun tipo di crescita che non sia sostenibile, difendibile dal punto di vista sociale e responsabile sotto il profilo ambientale. Qualsiasi altra cosa significherebbe che non abbiamo tratto alcuna lezione dai decenni passati, e chiedo che se ne prenda atto una volta per tutte. Quando la Commissione parla di crescita, ne parla in termini di crescita sostenibile, il che comporta innovazione ecologica, efficienza energetica, concorrenza per una qualità migliore e non per standard sociali ridotti, standard ambientali ridotti o retribuzioni ridotte. Mi auguro di aver chiarito il concetto una volta per tutte.
Quando parliamo di posti di lavoro, non parliamo di posti di lavoro qualsiasi, perché siamo giunti a riconoscere che la grande questione sociale della nostra epoca è se, in mezzo alle tempeste della globalizzazione, riusciremo a rendere disponibili sufficienti posti di lavoro qualificati e ben retribuiti. Questa è la grande questione che dobbiamo affrontare. Non ci preme creare posti di lavoro qualsiasi; ciò che conta è che siano posti di lavoro in grado di durare nel tempo e resistere anche quando la concorrenza sarà più dura.
Nella situazione attuale, la conseguenza di tutto ciò è che si devono fare richieste precise agli Stati membri e dire loro con fermezza che è chiaramente giunto il momento di cambiare. E’ ora di entrare, con tutta la determinazione che riusciremo a trovare, nella società basata sulla conoscenza. In Europa non possiamo permetterci di avere società le cui politiche in materia di istruzione escludono anziché promuovere, o discriminano anziché integrare. E’ necessaria una politica in materia di istruzione che faccia il più ampio uso possibile delle riserve di istruzione del continente.
Non possiamo permetterci politiche sociali che, da un lato, consentono alle giovani donne di ottenere una buona istruzione e, dall’altro, non offrono loro l’opportunità di utilizzarla per mancanza di compatibilità tra vita familiare e vita professionale; né possiamo permetterci politiche sociali che escludono i lavoratori più anziani dal processo di produzione, perché si ritiene che essi non siano più necessari. Oggi tutto questo non costituisce più una proposta valida e la nostra strategia lo afferma in modo abbondantemente chiaro.
Affermiamo anche che il mercato unico europeo, una politica all’altezza della concorrenza internazionale, è positivo per la crescita e l’occupazione. Per questo motivo la Commissione non crede nel patriottismo economico, qualsiasi forma esso assuma. Ribadiamo che chi vuole un grande mercato interno europeo deve anche accettare il fatto che stanno nascendo imprese che operano su tale mercato senza tenere conto delle frontiere.
(Applausi)
Perché esista un mercato europeo, devono esistere anche imprese europee. La Commissione osserva con preoccupazione la rinazionalizzazione del pensiero economico in alcune regioni dell’Unione europea e mette in guardia contro di essa, perché – come hanno affermato oggi quasi tutti gli oratori – la soluzione corretta è affrontare insieme i problemi dell’Europa.
Tuttavia, ho qualcosa da dire anche alle imprese europee. Da anni seguiamo una politica volta a migliorare le condizioni per le imprese europee, ma ciò che ora ci attendiamo da loro, in un momento in cui le più grandi di esse prosperano più che mai, è che siano consapevoli della loro responsabilità nei confronti dell’Europa quale sede di attività. Le imprese non solo hanno l’obbligo di realizzare profitti a breve termine; esse hanno anche una responsabilità nei confronti del luogo in cui li realizzano.
(Applausi)
Se un’impresa in cui è in corso una ristrutturazione ricorre al licenziamento di personale, la responsabilità primaria di tali licenziamenti non è dei politici; si tratta invece di un fallimento da parte dell’impresa, perché un’impresa è in grado di sapere con buon anticipo quando sarà necessario un cambiamento strutturale e quando dovrà essere introdotto, e noi chiediamo alle imprese europee di fare di più per garantire che le ristrutturazioni abbiano un esito positivo. Licenziare personale è sempre la soluzione peggiore ed è una soluzione alla quale non dovrebbero ricorrere.
(Applausi)
In ogni caso, vi è anche altro da dire alle imprese europee, cioè che è possibile crescere utilizzando i profitti aziendali elevati per creare nuovi prodotti, sviluppare nuove tecnologie e nuove capacità, anziché limitarsi ad acquistare altre imprese.
Vorrei segnalare – nel modo più amichevole possibile – che tutta la nostra esperienza in materia di acquisizione di imprese negli ultimi vent’anni non ha rivelato, nella grande maggioranza dei casi, alcun effetto positivo sull’impresa o sull’economia nel suo insieme. Preferirei che le imprese europee utilizzassero gli enormi profitti realizzati di recente per investire nella ricerca e in capacità di produzione in Europa, anziché per finanziare campagne di acquisizione di altre imprese.
Anche i deputati al Parlamento hanno un compito da svolgere. Si critica, a ragione, il fatto che il grande pubblico non sia stato coinvolto nello sviluppo della strategia per la crescita e l’occupazione. Questo è un compito dei responsabili politici e dei parlamenti nazionali.
Onorevoli deputati, vi chiedo di parlare con i vostri omologhi in seno ai parlamenti nazionali dei paesi da cui provenite per far sì che la questione sia inserita nell’agenda politica nazionale. Dopo tutto, non spetta alla Commissione indurre i politici dell’opposizione negli Stati membri a fare il loro lavoro e assicurare che la questione sia iscritta all’ordine del giorno; spetta ai parlamentari farlo. Vi esorto quindi a esercitare la vostra influenza, perché solo se riusciamo ad avviare un ampio dibattito politico negli Stati membri e nelle loro assemblee legislative potremo compiere un’opera di sensibilizzazione sulla necessità di uno sforzo congiunto, non solo da parte dei responsabili politici, ma anche da parte dei cittadini, al fine di salvaguardare la nostra competitività.
(Vivi applausi)
Martin Schulz (PSE). – (DE) Signor Presidente, vorrei esprimere i miei calorosi ringraziamenti al Commissario Verheugen per l’eccellente discorso che ha appena pronunciato. Con le cuffie, sono riuscito ad ascoltarlo, anche se devo dire, signor Presidente, che se non le avessi usate difficilmente sarei riuscito a sentirlo, nonostante gli altoparlanti presenti in Aula.
(Applausi)
Non ha senso che lei, nel suo modo tipicamente amichevole, parlando al microfono nella sua lingua, inviti i deputati a rimanere seduti; il problema è che non la comprenderanno se ciò che dice non è tradotto dagli interpreti. Se voleva che rimanessero seduti, avrebbe dovuto usare il martelletto.
Vorrei solo rivolgere una richiesta all’Assemblea, e lo faccio in veste di deputato. Considero inaccettabile che non si riesca a usare la cortesia davvero minima di prestare ascolto a chi si rivolge a noi in Aula.
(Applausi)
Presidente. – Mi auguro che tutti i presenti tengano conto di ciò che è stato affermato. Accetto le critiche e quindi richiamerò all’ordine i deputati in una lingua più diffusa dell’Unione o utilizzerò il martelletto.
Comunico di aver ricevuto due proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà mercoledì, alle 12.00.
PRESIDENZA DELL’ON. TRAKATELLIS Vicepresidente
Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Signor Presidente, vorrei sollevare una piccola questione di ordine tecnico. Alcuni di noi non ricevono e-mail dalle 11 di stamattina, eccetto tramite webmail. Non so quante persone siano interessate al problema, perché esiste più di un server. In ogni caso, un server è inattivo ed è stato inattivo anche ieri mattina. Credo che il problema riguardi soprattutto Strasburgo, il che naturalmente è un’altra gioia che si prova a venire in questa sede.
(Applausi)
Può gentilmente accertarsi che l’amministrazione dia priorità alla soluzione di questo problema particolarmente fastidioso?
(Applausi)
Presidente. – Lo terremo presente, onorevole Ludford.
Carl Schlyter (Verts/ALE). – (SV) Signor Presidente, intendevo riferirmi precisamente all’articolo 140 del Regolamento del Parlamento europeo. Secondo tale articolo, abbiamo la facoltà di consultare direttamente i documenti, attraverso il sistema informatico interno del Parlamento. Vorrei che riesaminasse l’accordo con l’impresa privata cui è affidata la prestazione di questo servizio. E’ nel nostro interesse democratico ed economico farlo.
Presidente. – Molte grazie. Esamineremo la questione.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Richard Corbett (PSE). – (EN) Il Consiglio europeo di primavera, dedicato all’economia dell’Europa, si svolge proprio nel momento in cui il protezionismo imperversa in diversi paesi europei, in particolare in Francia.
Il Presidente Chirac spesso cerca di descrivere la Francia come un paladino dell’integrazione europea e attribuisce ad altri paesi la responsabilità di qualsiasi mancanza di entusiasmo. Tuttavia, i risultati della Francia per quanto riguarda l’applicazione del diritto dell’Unione sono tra i peggiori, il suo atteggiamento nei confronti delle fusioni transfrontaliere è ostruzionistico; inoltre, essa è intenzionalmente venuta meno ai suoi obblighi nel quadro del Patto di stabilità e di crescita e ha continuamente rallentato il processo di riforma della PAC.
Il Consiglio europeo dovrebbe offrire agli altri Stati membri l’opportunità di esercitare pressioni sulla Francia affinché metta ordine in casa propria.
Dominique Vlasto (PPE-DE). – (FR) Le tematiche legate alla competitività e alla crescita sono sempre state al centro della strategia di Lisbona.
Oggi – e tengo a dire che è uno sviluppo eccellente – la risoluzione sulla quale siamo chiamati a votare introduce la dimensione sociale. Quest’ultima non deve essere considerata come un freno che rallenta la realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona, perché permette, per esempio, a tutti i cittadini dell’Unione europea di accedere a un’istruzione di alto livello e alla formazione lungo tutto l’arco della vita. Ricordo l’importanza di un programma europeo di scambi per gli apprendisti.
Vorrei anche dare risalto al ruolo svolto dalle piccole e medie imprese nella realizzazione degli obiettivi di Lisbona. Esse sono una delle principali fonti di occupazione futura. Dobbiamo quindi disporre di risorse per eliminare gli ostacoli che impediscono a tali imprese, soprattutto alle più piccole, di esercitare le loro attività, nonché dotarle delle risorse necessarie per l’innovazione. Di conseguenza, è importante prevedere una dotazione ambiziosa per il programma quadro per la competitività e l’innovazione.
Come avrete compreso, deploro l’assenza di un bilancio all’altezza delle ambizioni della strategia di Lisbona e mi auguro che riusciremo a migliorare le prospettive finanziarie al fine di correggere questa situazione.
Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.
(Per i risultati dettagliati delle votazioni: cfr. Processo verbale)
4.1. Accordo di pesca tra la Comunità europea e gli Stati federati di Micronesia (votazione)
4.2. Informazioni minime che devono figurare nelle licenze di pesca (votazione)
4.3. Valutazione del mandato d’arresto europeo (votazione)
4.4. Situazione dei diritti umani nel Ciad (votazione)
4.5. Regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee (votazione)
Sull’emendamento n. 136, seconda parte
Ingeborg Gräßle (PPE-DE), relatore. – (DE) Signor Presidente, chiedo che la seconda parte dell’emendamento venga modificata eliminando la cifra in esso menzionata e introducendo al suo posto un carattere jolly.
(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale)
Ingeborg Gräßle (PPE-DE), relatore. – (DE) Signor Presidente, chiedo che la votazione sul progetto di risoluzione legislativa venga rinviata a norma dell’articolo 53, paragrafo 1, del Regolamento.
(La questione viene rinviata alla commissione competente)
4.6. Prostituzione coatta nel quadro di eventi sportivi mondiali (votazione)
4.7. Quarto Forum mondiale dell’acqua di Mexico City (16-22 marzo 2006) (votazione)
Sull’emendamento n. 1, paragrafo 12
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, poiché il problema del riscaldamento globale non può essere risolto solo dall’Unione europea, il mio emendamento orale è volto ad ampliare il numero degli interessati aggiungendo l’espressione “e la comunità internazionale” dopo “l’UE, i suoi Stati membri”.
(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale)
4.8. Ristrutturazioni e occupazione (votazione)
– Sul paragrafo 9
Roselyne Bachelot-Narquin (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, desidero presentare un emendamento chiarificatore. Verrà istituito un fondo volto a sostenere i lavoratori colpiti dalle ristrutturazioni, che nella relazione Cottigny è denominato Fondo di adeguamento alla crescita. Per evitare eventuali confusioni, propongo di ripristinare il nome utilizzato dalla Commissione europea, ossia Fondo europeo di adattamento alla globalizzazione.
(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale)
4.9. Protezione e inclusione sociali (votazione)
4.10. Orientamenti per la procedura di bilancio 2007 (votazione)
Sul paragrafo 47, seconda parte
Anne E. Jensen (ALDE). – (EN) Signor Presidente, il mio gruppo intende presentare un emendamento orale a questo paragrafo. La nostra votazione per parti separate riguarda la cancellazione del limite temporale. Vorremmo invece inserire l’espressione “che dovrebbe entrare in vigore il prima possibile”, conformemente alla formulazione che verrà proposta al paragrafo 55 della relazione sul discarico 2004.
(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale)
4.11. Metodi di pesca più rispettosi dell’ambiente (votazione)
4.12. Preparazione del Consiglio europeo / strategia di Lisbona (votazione)
Sull’emendamento n. 24
Robert Goebbels (PSE). – (FR) Signor Presidente, inizialmente volevo prendere la parola per proporre il ritiro dell’emendamento n. 1, che alla fine è stato respinto. Quanto all’emendamento n. 24, vorrei proporre ai colleghi del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa di cambiare una parola tramite la presentazione di un emendamento orale. Vorrei che il termine “istruzione” venisse sostituito dall’espressione “istruzione superiore”, perché in questo caso parliamo di cooperazione tra ricerca, settore privato e istruzione superiore. Credo di poter dire che presento questo emendamento orale a nome dell’onorevole Lehne e anche dell’onorevole Lambsdorff, che è dello stesso parere.
(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale)
Presidente. – Con questo si conclude il turno di votazioni.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Ritengo che l’accordo di partenariato tra la Comunità europea e gli Stati Federati di Micronesia (FSM) sulla pesca al largo delle loro coste debba essere concluso alle condizioni previste nella proposta di regolamento del Consiglio.
Il Pacifico occidentale è una delle zone di pesca più ricche di tonni al mondo e studi scientifici dimostrano che attualmente la situazione degli stock è tale da consentire anche ad altri paesi di praticare la pesca in quelle zone.
L’accordo è vantaggioso per entrambe le parti e consente il perseguimento di una politica di pesca sostenibile negli FSM.
Malgrado il mio appoggio all’accordo di partenariato in materia di pesca, vorrei richiamare la vostra attenzione sui canoni eccessivi per le licenze dei palangari, che per alcuni armatori costituiscono un onere eccessivo.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Siamo estremamente critici nei confronti degli accordi in materia di pesca con i paesi terzi e quindi ci dispiace che l’UE si appresti a concludere altri accordi di questo tipo con nuovi paesi.
Diverse relazioni hanno sottolineato le conseguenze negative di tali accordi per le popolazioni costiere dei paesi che li concludono. Le acque di pesca di questi ultimi, infatti, sono state sottoposte ad uno sfruttamento eccessivo a seguito degli accordi in questione, con conseguenze negative per le popolazioni locali. Tuttavia, sia la Commissione che la stragrande maggioranza del Parlamento europeo hanno deciso di continuare ad ignorare questa critica. In un parere del Parlamento si legge che gli accordi di pesca in esame potrebbero inoltre avere conseguenze negative sull’ambiente.
Proprio ora che l’UE insiste sull’aumento degli aiuti, i tributi versati dalla popolazione sono utilizzati per finanziare accordi di pesca che vanno contro lo sviluppo. Una simile politica non è né coerente né credibile.
Riteniamo che gli accordi di pesca dovrebbero essere gradualmente eliminati per essere infine aboliti. Gli Stati membri dell’UE le cui navi operano nelle acque di paesi terzi dovrebbero farsi carico dei costi derivanti dagli accordi di pesca e decidere autonomamente se finanziare tale spesa tassando, a loro volta, i loro pescherecci.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Con la riforma della PCP si è reso assolutamente necessario un adeguamento del regolamento n. 3690/93 del 20 dicembre 1993. Le informazioni sui pescherecci devono adeguarsi alle nuove regole sulla gestione e conservazione degli stock per essere conformi al principio chiave della “gestione dello sforzo di pesca”.
Gli emendamenti proposti, in particolare l’introduzione del numero di registro della flotta peschereccia comunitaria e la riduzione graduale dei metodi di pesca utilizzati dal peschereccio, costituiscono aspetti importanti non contemplati dal regolamento originale.
La proposta della Commissione e gli emendamenti presentati dal relatore nella sua relazione meritano il mio appoggio.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) I moderati hanno scelto di votare a favore della relazione in esame. Deploriamo tuttavia che a livello europeo non si sia dato sufficiente risalto alla tutela dei diritti fondamentali e riteniamo che l’autorità della Corte di giustizia europea vada estesa ai diritti fondamentali individuali anche in rapporto ai problemi di sicurezza interna.
Lena EK (ALDE), per iscritto. – (SV) Grazie alla relazione sulla valutazione del mandato d’arresto europeo presentata per iniziativa dell’onorevole Hazan, abbiamo la possibilità di accrescere ulteriormente la sicurezza giuridica dei nostri cittadini. La relazione si concentra sui progressi compiuti; io desidero invece soffermarmi sui problemi, menzionati nella relazione, che ancora ostacolano la garanzia della sicurezza giuridica.
E’ estremamente importante che alle persone arrestate tramite mandato d’arresto europeo siano garantiti l’assistenza legale e un aiuto pratico in termini di traduzione e interpretazione. Ogni Stato membro deve farsi carico di risolvere questo importante problema che è causa, allo stato attuale, di violazioni dei diritti umani.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La presente relazione dimostra i chiari sforzi fatti per accrescere la cooperazione nell’ambito del diritto penale. Essa chiede al Consiglio di impedire che gli Stati membri reintroducano la verifica sistematica della doppia incriminazione, nonché di integrare il mandato d’arresto europeo nel primo pilastro.
La relazione rileva i principali problemi riscontrati nell’applicazione del mandato d’arresto. Gli Stati membri hanno manifestato chiaramente la loro volontà di conservare elementi del sistema tradizionale di estradizione.
Alcuni paesi si sono rifiutati di attuare il mandato d’arresto europeo contro i propri cittadini, adducendo come motivazione il rischio di discriminazione o di violazione dei diritti fondamentali. Altri hanno conservato o reintrodotto la verifica della doppia incriminazione.
La Lista di giugno ritiene che questi siano chiari segnali del tentativo degli Stati membri di salvaguardare la loro sovranità nell’ambito del diritto penale. Pochi provvedimenti intrapresi contro un individuo hanno conseguenze di vasta portata quanto le azioni giudiziarie o gli ordini di condanna. Per questo la sicurezza giuridica deve avere la precedenza sulla semplificazione e l’efficacia che il mandato d’arresto europeo, a detta della relazione, consentirebbe.
La Lista di giugno si oppone al crescente sovranazionalismo e ritiene che i problemi in esame siano di competenza dei singoli Stati. Abbiamo pertanto scelto di votare contro la proposta.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Come già abbiamo rilevato nel 2001, con il pretesto della lotta al terrorismo la Commissione avanza proposte volte a delegare all’Unione europea aspetti fondamentali della giustizia, eludendo così l’indispensabile cooperazione tra gli Stati membri e gli strumenti giuridici esistenti, quali l’estradizione. Ciò equivale a un’aggressione alla sovranità degli Stati membri e al loro dovere di tutelare i diritti dei cittadini.
In quell’occasione affermammo che il mandato d’arresto europeo, volto inter alia a sopprimere il principio della doppia incriminazione, sebbene entro certi limiti, sarebbe stato un cavallo di Troia che ci avrebbe fatti ulteriormente procedere lungo la strada del sovranazionalismo.
La presente relazione conferma le nostre obiezioni: reputa la sovranità nazionale un ostacolo e fa riferimento all’attuale “ingerenza” delle autorità politiche nella procedura di estradizione, persino nei casi in cui il loro obiettivo è garantire il rispetto dei diritti umani.
E’ significativo che la Corte costituzionale tedesca abbia deciso di annullare la normativa di recepimento del mandato d’arresto europeo e che alla luce di tale decisione vari Stati membri siano ritornati ad applicare gli strumenti di estradizione. La relatrice critica tali decisioni ed è favorevole all’attivazione della “passerella” prevista dall’articolo 42 del trattato UE, che permetterebbe l’integrazione del mandato d’arresto europeo nel primo pilastro.
Marine Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) Come le politiche europee di immigrazione, il mandato d’arresto europeo è molto pericoloso e gravido di conseguenze per tutti. Di fatto riguarda tanto i reati gravi quanto quelli più lievi (terrorismo, furto, danno intenzionale, comportamento oltraggioso durante incontri pubblici, commenti ritenuti razzisti o xenofobi, eccetera) e i diritti dei cittadini sono comunque meno tutelati di quanto lo fossero in passato con la procedura di estradizione, che permetteva al potere politico di acconsentire a un’estradizione o di rifiutarla. Oggi, il mandato d’arresto è diventato una procedura esclusivamente giudiziaria, in seguito all’abolizione della fase politica e amministrativa da un lato, e del controllo esercitato dalle giurisdizioni amministrative dall’altro.
Il mandato d’arresto in esame è stato creato frettolosamente come reazione agli attentati dell’11 settembre e i capi degli Stati e dei governi europei non hanno esitato, più per tutelare la propria immagine mediatica che per assennatezza e ragionevolezza, ad accantonare le libertà individuali e il diritto alla difesa di ogni cittadino.
Il mandato d’arresto europeo, ideato dai nostri burocrati come strumento per tutelare i diritti fondamentali dei cittadini, appare oggi per quello che è veramente: uno strumento di repressione totalitaria, potenzialmente pericoloso per ognuno di noi.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore questa proposta, mirata a una valutazione del mandato d’arresto europeo, della sua efficacia e delle difficoltà riscontrate a partire dalla sua adozione. Il mandato di arresto europeo svolge un ruolo estremamente innovativo nel consolidamento della cooperazione giudiziaria e della fiducia reciproca e consente agli Stati membri di lottare in modo più efficace contro la criminalità organizzata e il terrorismo.
Concordo con la proposta di raccomandazione sulla necessità di coinvolgere maggiormente il Parlamento nella valutazione del mandato di arresto europeo e di garantire, nell’ambito della sua applicazione, i diritti fondamentali, per fare in modo che i cittadini dei vari Stati membri non subiscano discriminazioni.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il mandato d’arresto europeo è un altro anello della catena di provvedimenti volti a completare la rete istituzionale per la salvaguardia del potere del capitale all’interno dello “spazio di sicurezza e giustizia” euro-accentratore. Consente che vengano estradati cittadini degli Stati membri e sostanzialmente abolisce il principio della doppia incriminazione, nonché la possibilità per i dirigenti politici di deliberare circa l’estradizione di un individuo, capovolgendo così i principi e le garanzie fondamentali di tutela dei diritti individuali, salvaguardati dalla precedente legge di estradizione. Il mandato d’arresto europeo riduce la sovranità nazionale, mettendo in dubbio il diritto di ogni Stato membro a esercitare la giurisdizione penale sui propri cittadini, pur facendo nel contempo riferimento ai diritti e alle garanzie individuali difesi dalla Costituzione.
La presente relazione chiede cambiamenti ancora più reazionari per il mandato d’arresto europeo, proponendo di ampliare l’abolizione della doppia estradizione, di privare i dirigenti politici del diritto di intervenire nella procedura di estradizione di singoli individui per ragioni di politica nazionale e di interesse privato, nonché di abolire ogni valutazione giudiziaria sulla compatibilità del mandato d’arresto con i diritti fondamentali.
Ancora una volta “terrorismo e criminalità organizzata” vengono usati dal Parlamento europeo come pretesto per fornire una base più stabile a un’ulteriore restrizione dei diritti e delle libertà, da usare contro la lotta di base e contro tutti coloro che combattono e contrastano l’imperialismo e lo sfruttamento capitalista.
Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) L’entusiasmo per il mandato d’arresto europeo testimoniato dalla relazione dell’onorevole Hazan, approvata oggi in quest’Aula da una larga maggioranza, risulta del tutto incomprensibile. Quello che è più riprovevole è la raccomandazione secondo cui il giudice che esegue il mandato d’arresto non è tenuto a “controllarne sistematicamente la conformità con i diritti fondamentali”. Anche sotto altri aspetti, nel documento si cerca di abolire il controllo esercitato dai giudici. Con questa decisione l’Europa avanza ulteriormente lungo la strada sbagliata dell’opposizione ai diritti fondamentali. Il fatto che le decisioni, che provengano o meno dai tribunali, debbano seguire il principio del riconoscimento reciproco in mancanza di standard unitari, andrà a scapito dei diritti fondamentali nell’Unione europea. L’imputato rischia infatti di venire stritolato tra gli ingranaggi dei sistemi penali totalmente diversi tra loro dell’Unione europea.
La presente relazione non fa il minimo accenno al fatto che i tentativi compiuti dai singoli Stati – come quelli della Germania – per includere il mandato d’arresto europeo nel loro apparato legale sono stati respinti dalle Corti costituzionali a causa della loro evidente incostituzionalità. Ciononostante, la relazione esorta gli Stati membri affinché “adottino quanto prima le misure necessarie in modo da evitare qualsiasi ostacolo di natura costituzionale o giuridica all’applicazione del mandato di arresto europeo ai loro cittadini”. Ciò significa semplicemente che i legislatori tedeschi sono chiamati a violare la loro costituzione per rendere possibile l’applicazione del mandato d’arresto europeo.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’aspetto positivo che emerge dall’analisi del mandato d’arresto europeo è il suo tentativo di realizzare uno dei più importanti meccanismi di cooperazione giudiziaria dell’Unione europea, in un momento in cui tale cooperazione appare sempre più necessaria e sempre più difficile da realizzarsi.
Tradizionalmente, le autorità nazionali non condividono facilmente informazioni in materia di sicurezza e incontrano difficoltà a cooperare in ambito giudiziario. Il mandato d’arresto europeo si oppone a questa tendenza cercando di imporre la cooperazione, di vitale importanza sia per aumentare la sicurezza – è infatti il modo più efficace per impedire che i criminali abusino dei vantaggi offerti dalla libertà di movimento –, sia per accrescere la sicurezza giuridica, elemento altrettanto fondamentale.
Detto questo, trovo deprecabile che si debba ricordare agli Stati membri che essi devono adottare “le misure necessarie in modo da evitare qualsiasi ostacolo di natura costituzionale o giuridica all’applicazione del mandato di arresto europeo ai loro cittadini”. Vorrei inoltre rammentare, con un certo orgoglio, che il Portogallo è stato uno dei primi Stati membri a recepire la decisione quadro in esame.
Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Nella votazione sulla relazione dell’onorevole Grässle, intesa a riformare il regolamento finanziario, mi sono astenuto. Credo che il Parlamento, anziché aumentare la responsabilità degli amministratori, conseguendo in tal modo una maggior flessibilità e regole più chiare, stia incrementando la complessità e la burocrazia del sistema. Tutto ciò non contribuisce a rendere efficace l’azione comunitaria, né conduce a una miglior amministrazione dei fondi dell’Unione.
Non conosco nessun altro ente pubblico, e tanto meno privato, che impieghi il 40 per cento del suo personale in gestione finanziaria e controlli di gestione. L’Unione avrà presto più controllori che persone sottoposte a controllo.
Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Un regolamento finanziario è come una costituzione finanziaria; dunque è importante. Occorre riformare il regolamento vigente, che sta bloccando la macchina burocratica europea, perché costituisce il caposaldo o l’espressione dello sviluppo patologico della burocrazia europea.
Se per comprendere questo regolamento occorrono manuali voluminosi, se è necessario un servizio di assistenza per soccorrere quotidianamente i funzionari smarritisi nel dedalo delle sue procedure, se le imprese, gli istituti, le organizzazioni, i piccoli agricoltori e i cittadini europei non possono usufruire della totalità delle sovvenzioni né partecipare ai mercati, è semplicemente perché il regolamento finanziario poggia su un principio filosofico fondamentale, trasversale all’intera integrazione europea: il principio della facciata, che nel 1905 lo studioso italiano di finanza Puviani definì “delle illusioni finanziarie” e che consiste nel ricorso alla complessità per mascherare la verità – in questo caso la verità europea.
Prostituzione coatta in occasione di eventi sportivi internazionali – (RC-B6-0160/2006)
Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. – (EN) Sostengo incondizionatamente la proposta in esame ed esorto le associazioni e le società calcistiche a contribuire a porre fine alla tratta di esseri umani e alla prostituzione coatta, nonché a impedire che le manifestazioni sportive internazionali provochino aumenti considerevoli di questo spaventoso traffico.
Le associazioni sportive devono “mostrare il cartellino rosso alla prostituzione coatta”. Devono inoltre collaborare con le società sportive per informare ed educare il grande pubblico, in particolare gli appassionati e i tifosi, sul grado di diffusione della prostituzione coatta e della tratta di essere umani.
Quasi 800 000 donne, di cui 100 000 nell’Unione europea, cadono vittime di questa tratta ogni anno. Si tratta di una delle più gravi violazioni dei diritti umani che si registrano oggi al mondo. In questo momento, la criminalità organizzata si sta preparando a trarre profitto dalla Coppa del Mondo di calcio: migliaia di poverette saranno indotte a trasferirsi in Germania attirate da false promesse di lavoro, solo per essere costrette alla prostituzione e a una vita di squallore.
E’ necessario intervenire a livello europeo e coinvolgere, oltre alle forze di polizia e ai politici, anche le associazioni calcistiche, le società e gli stessi tifosi. Raccomando a tutti i tifosi che assisteranno ai Mondiali di calcio la massima vigilanza e li esorto a denunciare ogni caso sospetto in cui dovessero imbattersi.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il mio gruppo ha votato a favore della proposta di risoluzione sulla prostituzione coatta, che prende atto della situazione esistente in Germania e della necessità di approfittare dell’opportunità offerta dalla Coppa del mondo di calcio per condannare il traffico di esseri umani e la prostituzione. Abbiamo sempre affermato, tuttavia, che “prostituzione coatta” non è il termine più adatto, poiché lascia intendere che esiste anche una prostituzione volontaria.
Naturalmente, la lotta alla prostituzione coatta e al traffico di esseri umani ha un’importanza fondamentale, ma non va dimenticato che la prostituzione è sempre coatta, anche quando non c’è traffico di esseri umani: deriva dalla povertà, dall’emarginazione, dalla disoccupazione, dagli impieghi precari o sottopagati e dalla pressione psicologica esercitata dalla società dei consumi. La prostituzione pertanto è sempre un attacco ai diritti umani e alla dignità della donna, oltre che una vera e propria forma di schiavitù. E’ spaventoso che si tenti di commercializzare qualunque cosa, compreso il corpo della donna.
Di qui la nostra lotta a favore dell’inclusione sociale e del diritto di ogni donna alla dignità. Condanniamo inoltre ogni forma di traffico di esseri umani e chiediamo misure efficaci per garantire a ogni donna e a ogni essere umano un’esistenza dignitosa.
Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La distinzione tra prostituzione legale e coatta è artificiale, così come è ipocrita condannare la prostituzione coatta, perché ciò consolida e amplia la prostituzione legale.
Nella prostituzione, sia essa coatta o meno, ciò che è in vendita è il corpo umano, alla stregua di una merce soggetta a tutte le regole del mercato. Il quadro legislativo che stabilisce le norme sanitarie cui le prostitute registrate devono attenersi riconosce sostanzialmente la prostituzione come una professione e risolve il problema. Così, nonostante la vertiginosa ascesa di tale fenomeno sociale, si sta legalizzando la prostituzione come professione; in altre parole, la si sta disgiungendo dai motivi sociali che ne sono la causa e ne provocano l’aumento (disoccupazione, povertà, impoverimento e assenza di provvidenze sociali). In altri termini, si occulta e si assolve la corruzione interna al sistema di sfruttamento, negando le sue responsabilità e ascrivendo il problema alla sfera privata.
La prostituzione non può essere considerata una professione o una libera scelta perché è incompatibile con il valore e la dignità dell’essere umano, e rappresenta il più grave attacco ai diritti umani. Se considerata una professione, la prostituzione passa a far parte del novero degli orientamenti professionali, in alternativa alla disoccupazione che tanto duramente colpisce le giovani donne. Nello stesso tempo, legittima gli investimenti in imprese legate al mercato della prostituzione, affermando la cultura pornografica, e incoraggia la prostituzione di giovani donne. Noi diciamo no a ogni forma di prostituzione.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Sono favorevole alla proposta di risoluzione in esame, il cui obiettivo, in vista della Coppa del Mondo di calcio, è porre fine alla drastica impennata della domanda di prestazioni sessuali, tutelando le donne che sono vittime della criminalità organizzata.
La proposta sottolinea la necessità di una campagna integrata a livello europeo e fa pertanto appello agli Stati membri affinché avviino e sostengano la campagna “cartellino rosso”, in stretta collaborazione con le organizzazioni non governative, la polizia, gli organismi preposti all’applicazione della legge, le chiese e i servizi medici.
Oltre a cercare di informare il grande pubblico, la proposta di risoluzione invita il Comitato olimpico internazionale e le associazioni sportive, quali la FIFA, l’UEFA, la Lega calcio tedesca e altre associazioni, nonché gli stessi sportivi, a sostenere la campagna “cartellino rosso” e a denunciare senza mezzi termini la tratta di essere umani e la prostituzione coatta.
Claude Moraes (PSE), per iscritto. – (EN) Nel votare a favore della presente proposta, mi preoccupa soprattutto il fatto che la Coppa del Mondo FIFA stia provocando un inaccettabile incremento del traffico di donne. Nell’affrontare questi casi, e in generale, la Commissione e le altre Istituzioni devono garantire priorità alla lotta contro le organizzazioni che costringono le donne a questa situazione, anziché seguire una “linea più morbida”, indirizzando le loro azioni verso donne, spesso vulnerabili, ridotte alla schiavitù sessuale.
Jonas Sjöstedt ed Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. – (SV) Appoggiamo la proposta di risoluzione, perché riteniamo importante prendere provvedimenti per ridurre il numero delle vittime del traffico di esseri umani destinate alla schiavitù sessuale. Dal nostro punto di vista, tuttavia, la proposta andrebbe estesa a ogni forma di prostituzione. Il termine “prostituzione coatta” sembrerebbe suggerire implicitamente l’esistenza del suo contrario, la cosiddetta “prostituzione volontaria”. Crediamo che ogni forma di prostituzione sia coatta, poiché nessuna donna sceglie spontaneamente di prostituirsi: si trova costretta a farlo per una o per una serie di ragioni, come la povertà e la disoccupazione. In particolare, tuttavia, esistono chiari legami tra la scelta di una donna di prostituirsi e precedenti violenze fisiche, psicologiche e/o sessuali.
Quarto Forum mondiale dell’acqua che si terrà a Città del Messico il 16-22 marzo 2006 (RC-B6-0149/2006)
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune sul quarto Forum mondiale dell’acqua che si terrà a Città del Messico dal 16 al 22 marzo 2006, poiché sono del parere che l’acqua sia fra gli elementi fondamentali del benessere dei nostri concittadini e della pace del mondo. L’Unione europea deve saper essere all’altezza di tale sfida mondiale, che consiste nel garantire agli esseri umani l’accesso a questa preziosa risorsa naturale che è l’acqua. Abbiamo la responsabilità collettiva di monitorare la questione, che riguarda i diritti fondamentali degli esseri umani, degli animali e dei vegetali. Al contempo, mi domando se non sia giunto il momento di valutare se l’Unione europea non debba pensare a una vasta politica europea dell’acqua, al fine di garantire agli abitanti dell’Unione europea, ovunque essi siano sul territorio comunitario, un approvvigionamento sostenibile e rinnovabile in qualità e quantità sufficienti. Ritengo che la Commissione europea debba anticipare la presentazione al Parlamento europeo e al Consiglio europeo della relazione, conformemente a quanto previsto dall’articolo 18, paragrafo 1, della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque.
Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La natura fornisce acqua gratuitamente; l’acqua appartiene a tutti e tutti hanno il diritto di accedervi. Non può essere una merce per la redditività del capitale, poiché l’accesso all’acqua è un diritto fondamentale, strettamente connesso alla salute, alla tutela ambientale, allo sviluppo e alla qualità della vita.
La gestione delle risorse idriche deve essere esclusivamente di competenza dello Stato, in modo che vi possa essere un approvvigionamento universale di acqua di buona qualità a un prezzo accessibile.
Il quarto Forum mondiale dell’acqua in Messico si svolgerà sostanzialmente sotto l’egida della Banca mondiale e della sua politica classista; in altre parole, la sua politica di privatizzazione dei sistemi di approvvigionamento idrico, che si traduce in una penuria di acqua potabile per le classi povere e popolari e nuovi profitti per il capitale.
L’Unione europea sta attualmente promuovendo una politica di liberalizzazione dei servizi nel quadro della strategia di Lisbona. Durante i negoziati dell’OMC si è accordata sui servizi (GATS) con gli altri centri imperialisti .
La privatizzazione e la distruzione delle foreste e dei massicci montani, che sono importanti aree di immagazzinamento idrico, rientrano nella filosofia della redditività, che disprezza i bisogni umani fondamentali.
Noi europarlamentari del Kommounistiko Komma Elladas esprimiamo la nostra opposizione al quarto Forum mondiale dell’acqua poiché, di fronte al profitto, vengono disprezzati i bisogni umani fondamentali. Sollecitiamo la classe operaia e il popolo a lottare per capovolgere i piani barbarici e antipopolari dei loro sfruttatori.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, in un periodo in cui dividendi e profitti aumentano, e con loro i salari dei manager, i posti di lavoro disponibili, al contrario, diminuiscono. Se si guarda all’Europa intera, la ristrutturazione colpisce altrettanti posti di lavoro quanto l’insolvenza. Soltanto in Austria è stato calcolato che negli ultimi anni sono andati perduti fra i 15 000 e i 20 000 posti di lavoro a vantaggio dei nuovi Stati membri. La ristrutturazione è una panacea che permette alle aziende di oggi di risultare vincenti agli occhi del mondo, almeno sulla carta. Vi sono state addirittura più ristrutturazioni nei servizi pubblici che non nel settore privato, specialmente in risposta alle linee guida dell’Unione europea.
Si comincia ora a prendere atto del fatto che spesso occorre pagare una contropartita elevata per le misure economiche, sotto forma di perdita di qualità, know-how, competenza, motivazione del personale e potenziale strategico. Nonostante il grande rischio di insuccesso, qualora la ristrutturazione sostituisca una chiara strategia, si tratta di una tendenza che le linee guida dell’Unione europea sulla privatizzazione e il trattamento preferenziale per il turismo delle sovvenzioni hanno certamente incoraggiato. E’ giunto il momento che l’Unione europea affronti le proprie responsabilità e desista da ulteriori allargamenti, ai quali tali sviluppi sono in parte attribuibili, e ritorni a occuparsi maggiormente di giustizia sociale.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione sulle ristrutturazioni e l’occupazione, poiché occorre dimostrare continuamente ai nostri concittadini che l’Unione europea è fonte di soluzioni nel quadro dei grandi mutamenti economici e sociali di oggi, e non all’origine dei problemi.
La gravità delle questioni economiche e sociali connesse alle ristrutturazioni, in particolare industriali, richiede una politica europea forte che miri a conciliare i cambiamenti necessari con la competitività dell’Unione europea. Accolgo favorevolmente la proposta di istituire un fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Vi è la crescente necessità di riuscire a conciliare, da una parte, gli inevitabili processi di ristrutturazione industriale legati ai cambiamenti economici e, dall’altra, la protezione delle prime vittime che sono i dipendenti licenziati e le attività economiche collegate ai settori ristrutturati, con specifico riferimento ai subappaltatori. Appoggio pienamente, infine, l’idea di fare intervenire l’Unione europea in favore di quelle regioni che, dopo aver subito i processi di ristrutturazione, devono riconvertirsi a nuove aree economiche.
Jean Louis Cottigny (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di risoluzione sulle ristrutturazioni e l’occupazione, che propone risorse finanziarie, un rafforzamento del ruolo delle parti sociali e strumenti di analisi e di anticipazione delle ristrutturazioni.
Le imprese vengono ristrutturate per diverse ragioni, a volte allo scopo di difenderle e altre per renderle più combattive, ma il processo ha sempre gli stessi effetti sui dipendenti, che sono la variabile di aggiustamento delle strategie dei gruppi industriali interessati.
E’ encomiabile e necessario che l’Unione europea esamini a fondo il problema allo scopo di anticipare le conseguenze delle ristrutturazioni per i dipendenti , ma l’UE ha anche il dovere di definire una politica economica e industriale dinamica, che si preoccupi della salvaguardia e della creazione di nuovi posti di lavoro per i cittadini europei, nonché della coesione sociale e territoriale.
Mi rammarico pertanto del fatto che la stessa Unione europea incoraggi la concorrenza fra gli Stati membri lasciando prevalere il dumping sociale e fiscale.
Brigitte Douay (PSE), per iscritto. – (FR) Le ristrutturazioni industriali sono un fenomeno antico e permanente, generato dal progresso tecnico e dal miglioramento della produttività. Spesso sono inevitabili per garantire il mantenimento della competitività e quindi dell’occupazione a lungo termine. Hanno sempre un costo sociale elevato, soprattutto nelle regioni dove prevalgono le industrie tradizionali, i cui dipendenti poco qualificati e di scarsa mobilità hanno difficoltà a riconvertirsi a una nuova occupazione. Le conseguenze sociali delle ristrutturazioni devono pertanto essere ridotte.
Questo il motivo per cui ho votato decisamente a favore della relazione Cottigny sulle ristrutturazioni e l’occupazione. Mi auguro vivamente che le proposte della relazione vengano riprese dal Consiglio e dalla Commissione europea e diventino azioni concrete. L’Unione europea dovrebbe adeguare le proprie risposte, rafforzare il ruolo di entrambe le parti dell’industria e definire migliori strumenti per anticipare le ristrutturazioni.
La maggiore attenzione verso le PMI, la creazione di un fondo di adeguamento alla globalizzazione, il diritto alla formazione lungo tutto l’arco della vita, eccetera, sono tutte misure che dovrebbero permetterci di mostrare ai cittadini che l’Unione europea è consapevole delle loro preoccupazioni e che è ansiosa quanto loro di realizzare una vera coesione sociale.
Lena Ek e Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto. – (SV) Nella relazione sulle ristrutturazioni e l’occupazione, il relatore Cottigny adotta lo stesso deplorevole atteggiamento presente anche nella relazione sul trasferimento di imprese nel contesto dello sviluppo regionale, votata ieri. Ieri abbiamo votato contro un simile protezionismo economico e altrettanto facciamo oggi. Ribadiamo la nostra ferma posizione, secondo la quale non spetta in alcun modo né allo Stato né all’Unione europea dire alle aziende come affrontare le ristrutturazioni. Ciò detto, è ovvio che non si deve nascondere la testa sotto la sabbia fingendo che le ristrutturazioni e le delocalizzazioni delle aziende, in alcuni casi, non abbiano ripercussioni sulle persone e le condizioni sociali di base dell’area interessata. Appoggiamo la richiesta di un più stretto dialogo fra le parti sociali nei casi riguardanti tali questioni, ma riteniamo sia possibile contrastare i dannosi effetti della ristrutturazione e delocalizzazione in modi diversi e non impedendo lo sviluppo del settore privato. Bisognerebbe invece investire energie nel miglioramento delle condizioni di base in cui un maggior numero di aziende possano creare un maggior numero di posti di lavoro a lungo termine.
Anne Ferreira (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di risoluzione sulle ristrutturazioni e l’occupazione, che propone risorse finanziarie e un rafforzamento del ruolo delle parti sociali, nonché strumenti di analisi e di anticipazione delle ristrutturazioni.
Le imprese vengono ristrutturate per diverse ragioni, a volte allo scopo di difenderle e altre per renderle più combattive, ma il processo ha sempre gli stessi effetti sui dipendenti, i quali diventano la variabile di aggiustamento delle strategie dei gruppi industriali interessati.
E’ encomiabile e necessario che l’Unione europea esamini a fondo tale problema allo scopo di anticipare le conseguenze delle ristrutturazioni per i dipendenti, ma l’UE ha anche il dovere di definire una politica economica e industriale dinamica, che si preoccupi della salvaguardia e della creazione di nuovi posti di lavoro per i cittadini europei, nonché della coesione sociale e territoriale.
Mi rammarico pertanto del fatto che la stessa Unione europea incoraggi la concorrenza fra gli Stati membri lasciando campo libero al dumping sociale e fiscale.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Questo pomeriggio sarò a Le Syndicat, nel dipartimento dei Vosgi, dove si sta verificando una situazione emblematica delle conseguenze delle politiche fissate a Bruxelles.
Il gruppo SEB si appresta a chiudere un’unità di produzione in questo paese, dal momento che la concorrenza delle importazioni cinesi a basso costo è divenuta insopportabile. Oltre 400 dipendenti resteranno senza lavoro, per non parlare dei subappaltatori che perderanno uno dei principali clienti e che dovranno anch’essi licenziare. Quest’area del mercato del lavoro è devastata dalla disoccupazione. Eppure il gruppo SEB sta bene, gli utili crescono. Si stabilisce all’estero, rilevando marche e altro, ma chiude fabbriche in Francia. Non ha altre alternative, intrappolato com’è fra vincoli burocratici e finanziari – direttamente o indirettamente europei – e una concorrenza mondiale senza restrizioni negoziata dall’Unione europea. Non è il gruppo SEB ad aver stabilito le regole del gioco, bensì Bruxelles.
Per cercare di contenere le conseguenze logiche delle politiche europee di concorrenza (ristrutturazioni, delocalizzazioni, eccetera), la relazione Cottigny propone una serie di misure burocratiche che non risolveranno il problema, ma al contrario l’accentueranno e ne accelereranno lo sviluppo. Occorre cambiare l’intera logica, a cominciare dal culto della “libera” concorrenza, insieme alla proliferazione di vincoli normativi e fiscali. Il mercato del lavoro ne guadagnerebbe.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) L’Unione europea adotta da tempo misure politiche per far fronte alle ristrutturazioni in diversi settori. La relazione propone di apportare alcune modifiche costruttive a tali misure, suggerendo ad esempio, di verificare meglio le risorse erogate a titolo dei Fondi comunitari e di non destinare tali Fondi alle delocalizzazioni sul territorio dell’Unione europea.
Secondo la Lista di giugno, le conseguenze di delocalizzazioni e ristrutturazioni sono di competenza dei singoli Stati. Non riteniamo che l’Unione europea debba adottare misure per garantire che le aziende si assumano la responsabilità di tali conseguenze. Su questioni importanti come queste devono essere gli Stati membri a decidere.
Il Parlamento europeo intende, fra l’altro:
– stabilire criteri che disciplinino le condizioni alle quali sia possibile effettuare ristrutturazioni (in modo da salvare posti di lavoro e aumentare la competitività, e non semplicemente, ad esempio, allo scopo di fare profitti);
– istituire uno speciale fondo di “adeguamento alla crescita”;
– fare in modo che l’Unione europea accetti la responsabilità degli “effetti nascosti” delle ristrutturazioni, come quelli riguardanti la salute dei lavoratori, i disturbi psicologici che li affliggono e il maggiore tasso di mortalità fra coloro che vengono licenziati;
– attivare la partecipazione dei dipendenti al capitale dell’impresa, così che possano partecipare alle decisioni relative alle ristrutturazioni;
– redarguire quegli Stati membri che prevedono il prepensionamento come conseguenza delle ristrutturazioni.
Quali che siano le posizioni politiche assunte in relazione ai suddetti punti, si tratta di questioni che devono essere trattate a livello dei singoli Stati. Abbiamo pertanto deciso di votare contro la relazione.
Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) La “strategia” di Lisbona, che dovrebbe offrirci un futuro radioso, si rivelerà un amaro insuccesso, e non sarà qualche fondo di sostegno supplementare a salvare le perdite di un settore industriale che, nella mia regione di Nord-Pas-de-Calais, ha visto posti di lavoro distrutti per niente. Si tratta di un sacrificio che non avrà reso possibile l’esportazione della prosperità economica e sociale altrove nel mondo.
Non abbiamo bisogno di carità, e nemmeno di un’ennesima relazione interventista intesa a correggere le cattive abitudini della Commissione europea. La distruzione dei posti di lavoro in Francia e nell’Europa allargata andrà avanti, benché continuiamo a sfornare tonnellate di carta, esprimendo così solo la nostra impotenza e la nostra sottomissione alle regole della globalizzazione sfrenata e dell’approccio ultraliberale degli zelanti europeisti. L’Europa soffre inoltre di un tipo di neomarxismo che favorisce l’incremento dell’interventismo statale, aggiungendo burocrazia europea a quella nazionale già caratterizzata dalle proprie pesantezze amministrative e da un’enfasi eccessiva sulla tassazione.
Le forze trainanti della nostra economia fuggono, solo per essere sostituite da un’immigrazione massiccia, il cui apporto negativo si traduce in un peso economico e sociale insopportabile. Occorrono un nazionalismo economico, il ripristino delle frontiere doganali e tariffarie, la preferenza comunitaria in Europa e la protezione e la preferenza nazionale in Francia.
Thomas Mann (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione Cottigny, in seguito all’ottenimento di una maggioranza sufficiente per gli emendamenti presentati dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, in cui sono state incorporate alcune delle proposte che avevo presentato alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali. Le ristrutturazioni delle imprese vanno viste sotto una luce diversa.
Da una parte, la delocalizzazione di imprese in sedi estere più convenienti sotto il profilo economico ha come conseguenza lo scontro fra diverse culture imprenditoriali, con la perdita degli effetti sinergici che ne conseguirebbero e il licenziamento dei lavoratori stessi – anche a livello gestionale. D’altra parte, le ristrutturazioni sono necessarie ogni qual volta le imprese si ritrovano a dover rispondere alle richieste di nuovi mercati, alla vicinanza dei clienti e alla necessità di essere più competitive.
Affinché i lavoratori dell’Unione europea siano meglio preparati alla necessaria mobilità, devono essere opportunamente sostenuti nella riqualificazione e nella formazione continua, e devono essere coinvolti in programmi di formazione lungo tutto l’arco della vita. A beneficiare maggiormente degli aiuti per le ristrutturazioni, che devono essere in linea con gli obiettivi di Lisbona, dovrebbero essere le PMI. Per poter stabilire la legittimità delle sovvenzioni, occorre semplificare le procedure per risalire alle fonti dei vari fondi, facilitando così il recupero di finanziamenti erroneamente ottenuti.
Dal momento che i Fondi strutturali attuali sono inadeguati, accolgo favorevolmente la creazione, come espressione delle nostra solidarietà, di un fondo speciale di 500 milioni di euro annui per la riqualificazione e per il sostegno in caso di cambiamento del posto di lavoro. Resta, tuttavia, la necessità di discuterne i criteri, visto che se ne prevede l’attivazione solo in caso di delocalizzazioni in paesi terzi e nel caso in cui una data impresa licenzi più di 1 000 dipendenti. La gestione di questo fondo non deve creare nuova burocrazia all’interno della Commissione europea o delle autorità a livello nazionale.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo favorevolmente la relazione scritta in risposta alla comunicazione della Commissione europea sulle ristrutturazioni e l’occupazione. La relazione conviene che le ristrutturazioni non sono necessariamente sinonimo di regresso sociale, a patto che tali misure siano correttamente anticipate e gestite grazie a una buona collaborazione fra le imprese interessate e i sindacati, oltre a una politica di formazione adeguata per i lavoratori.
Sollecita il sostegno alle PMI e propone che i programmi finanziari all’esame per gli anni 2007-2013 siano maggiormente finalizzati all’anticipazione e alla gestione delle ristrutturazioni. Al fine di evitare “un turismo delle sovvenzioni”, nella relazione si propone che le imprese beneficiarie di aiuti contestuali ai fondi dell’Unione europea che delocalizzano totalmente o parzialmente la loro produzione in seno alla stessa non possano nuovamente usufruire di aiuti comunitari per un periodo stabilito.
Claude Moraes (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione Cottigny sulle ristrutturazioni e l’occupazione. Ho votato a favore del paragrafo 9, seconda parte, relativo alla creazione del fondo di adeguamento alla globalizzazione da parte delle imprese, trattandosi di una donazione volontaria.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La globalizzazione non è solo un processo di avvicinamento, di riduzione delle distanze e di massimizzazione della scala, ma anche un processo di accelerazione. Oggi tutto è movimento e tutto si muove rapidamente. E’ quindi comprensibile che alcune persone siano preoccupate dalla frenesia dei tempi moderni. La fine di un ciclo, lo smantellamento di un modello, una rottura con il passato rappresentano sempre un momento di crisi. E’ chiaramente improbabile che le vittime di tale processo credano nelle virtù di una “distruzione creativa”, la quale, tuttavia, è tanto reale quanto la distruzione stessa.
Formulo queste considerazioni in risposta alla relazione Cottigny sulle ristrutturazioni e l’occupazione, che ritengo inadeguata proprio perché non in sintonia con la realtà. Le strutture sociali, specialmente quelle pubbliche, devono essere pronte ad affrontare l’impatto delle trasformazioni che quest’epoca di rivoluzione economica comporterà. Dopotutto non si può restare indifferenti nei confronti di chi è stato escluso dal progresso, ma non mi sembra neppure auspicabile un’inversione totale del processo. Il nostro obiettivo consiste nel cercare di trarre il meglio da questo momento per le nostre economie e per i nostri cittadini, ed è su questo progetto che devono concentrarsi i nostri sforzi.
Carl Schlyter (Verts/ALE), per iscritto. – (SV) La relazione nel complesso è costruttiva e fa luce su molti dei problemi causati da un’economia orientata alle speculazioni a breve termine. Voto quindi a favore. Tuttavia, nella relazione si allude in termini positivi al fondo che la Commissione europea intende istituire. Questo fondo, erogando pagamenti diretti ai cittadini, segnerebbe l’inizio di un processo tramite il quale all’Unione europea verrebbero conferiti poteri in materia di politiche sociali, il che costituirebbe uno sviluppo quanto mai inopportuno.
Se venisse introdotto tale fondo, tuttavia, sarebbe utile che venissero usati capitali privati per finanziarne una buona parte. Voto contro le nuove direttive dell’Unione europea sulla legislazione del lavoro in relazione alle ristrutturazioni, poiché ciò minerebbe il modello svedese di contratti collettivi fra le parti sociali.
Carlo Fatuzzo (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione di Edit Bauer sull’inclusione e la protezione sociali e vorrei rivolgere al Consiglio europeo, cioè ai venticinque Capi di governo, una domanda alla quale spero rispondano: attualmente i pensionati percepiscono una pensione sempre più bassa, sempre meno sufficiente per vivere e per sopravvivere, perché?
Le riforme che i venticinque Capi di governo stanno attuando sono mirate a dare sempre meno pensione ai pensionati. Nella sola Italia nel 2050, i giovani si troveranno una pensione pari soltanto a un terzo dell’ultimo stipendio.
Questa registrazione su DVD con la mia voce la voglio mandare ai ventisette Capi di governo, spero che dicano chiaro che cosa vogliono fare. Forse abrogare la categoria dei cittadini pensionati o lasciare che sopravvivano anche coloro che hanno lavorato e non possono più lavorare per l’età?
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La relazione contiene un lungo elenco di esortazioni agli Stati membri riguardanti azioni da intraprendere per affrontare la relativa povertà nei singoli Stati membri. Evidentemente vi sono buone ragioni perché gli Stati membri cooperino in questioni di questo genere, ad esempio condividendo volontariamente esperienze e buone pratiche.
L’integrazione sociale e la povertà sono tuttavia temi da affrontare a livello nazionale o attraverso la collaborazione volontaria fra i governi degli Stati membri. Non si comprende quale valore aggiunto e quali specifiche competenze offrirebbe il Parlamento europeo, propinando opinioni su queste e altre questioni analoghe.
La relazione contiene proposte secondo cui:
– gli Stati membri dovrebbero aumentare le opportunità di formazione continua (paragrafo 11);
– gli Stati membri dovrebbero agevolare l’accesso a servizi di custodia dei bambini accessibili e di buona qualità (paragrafo 24);
– i sistemi pensionistici degli Stati membri dovrebbero essere riformati in modo tale da assicurare la massima giustizia sociale (paragrafo 44);
– le riforme dei sistemi pensionistici degli Stati membri non dovrebbero portare a un ulteriore carico di oneri sul lavoro (paragrafo 45);
La Lista di giugno raccomanda che su questioni importanti come quelle elencate poc’anzi vengano adottate decisioni attraverso ampi dibattiti nazionali, in base ai quali gli Stati membri, sia indipendentemente sia tramite una collaborazione volontaria con altri attori interessati, ricorrano ai consueti canali democratici per stabilire un’adeguata normativa e altre misure appropriate. Pertanto abbiamo votato contro la relazione.
Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La relazione della Commissione europea sulla protezione sociale e sull’inclusione sociale conferma che gli Stati membri stanno intensificando gli sforzi per combattere la povertà e per garantire che i regimi pensionistici restino in grado di destinare redditi adeguati ai pensionati. La relazione sottolinea, tuttavia, che nel 2002 più di 68 milioni di persone, il 15 per cento della popolazione dell’Unione europea, erano a rischio di povertà.
Nonostante gli importanti miglioramenti strutturali nel mercato del lavoro dell’Unione europea, l’occupazione e la partecipazione restano insufficienti. La disoccupazione resta alta in molti Stati membri, specialmente fra i giovani, i lavoratori più anziani e le donne. Secondo la relazione, l’esclusione del mercato di lavoro, oltre ad una dimensione nazionale, ha anche una dimensione locale e regionale.
Appoggio totalmente la relazione Bauer, che approva le misure avanzate dalla Commissione europea, intese ad aiutare gli Stati membri a riconoscere le difficoltà affrontate dalle persone svantaggiate e a sostenere la loro integrazione, a favorire la creazione di posti di lavoro, la formazione e l’avanzamento nella carriera, la conciliazione fra vita lavorativa e vita familiare e il diritto a un accesso equo all’assistenza medica e a un alloggio decente, così come a garantire la sostenibilità dei sistemi di protezione sociale.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo favorevolmente la relazione, che si concentra su una serie di priorità politiche fondamentali: accrescere la partecipazione al mercato del lavoro; modernizzare i sistemi di protezione sociale; combattere gli svantaggi nell’istruzione e nella formazione professionale; eliminare la povertà infantile; garantire un alloggio decente; migliorare le condizioni abitative e affrontare la mancanza di alloggi sociali per i gruppi vulnerabili; migliorare l’accesso ai servizi di qualità come servizi di assistenza sanitaria e a lungo termine, servizi sociali e di trasporto; eliminare la discriminazione e aumentare l’integrazione delle minoranze etniche e degli immigranti.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Nella votazione finale abbiamo deciso di votare a favore degli orientamenti relativi alla procedura di bilancio 2007, nonostante serie obiezioni su due punti.
Ci opponiamo alla creazione di uno statuto per gli assistenti dei deputati, che corrono il rischio di vivere in condizioni alquanto differenti rispetto a coloro con cui lavorano a stretto contatto nelle circoscrizioni. Esiste poi il rischio serio che la professione di assistente dei deputati diventi una carriera a vita particolare.
Ci opponiamo inoltre all’istituzione di un centro delle Case d’Europa a Bruxelles, allo scopo di gestire una politica volta a fornire informazioni sull’Unione europea.
Gérard Deprez (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho sostenuto la relazione Grech, che è ben lungi dall’essere politicamente insignificante.
Quindi, se in materia di politica di informazione, ad esempio, si applica il principio generale stabilito ai paragrafi 17, 28 e 62 (riduzione delle attività che non forniscono alcun valore aggiunto), ritengo che si debbano attuare seri cambiamenti! Ogni giorno riceviamo opuscoli di informazione redatti da “specialisti”. Sono convinto che, per ispirare fiducia nei cittadini europei, è meglio informarli attraverso i media che normalmente li raggiungono sul posto, piuttosto che di concepire costosi opuscoli che non leggeranno e non capiranno.
Un altro settore in cui dovrebbero essere applicati i principi della relazione è quello degli ausiliari di sessione. In materia di occupazione, il relatore sostiene l’assunzione di personale a lungo termine piuttosto che l’impiego di agenti contrattuali a tempo determinato. Se si sostiene tale principio – come nel mio caso – che tipo di statuto verrà proposto alla fine di quest’anno per i 300 ausiliari di sessione, il cui contratto non potrà essere rinnovato nella forma attuale, in seguito alla scomparsa della base giuridica prevista dall’articolo 78 del “regime applicabile agli altri agenti”?
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la relazione Grech, dal momento che non condivido il fatto di rimettere in questione l’istituzione della sede del Parlamento europeo a Strasburgo né del Lussemburgo come sede di lavoro.
Claude Moraes (PSE), per iscritto. – (EN) Voto a favore della relazione Grech. Ho votato per entrambe le parti dell’articolo 47, poiché ritengo che entro il 2009 si debba adottare uno statuto per gli assistenti dei deputati.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Accogliamo con favore l’introduzione di metodi di pesca più rispettosi dell’ambiente. Non siamo tuttavia favorevoli alla proposta di introdurre, da parte dell’Unione europea, un meccanismo di sussidi o compensazioni a sostegno dei pescatori negativamente colpiti da tali metodi. La relazione non menziona alcuna somma in particolare a titolo di compensazione. Né indica da quale voce di bilancio verrebbe stanziata tale compensazione.
Siamo favorevoli al coinvolgimento dei pescatori e delle associazioni che li rappresentano nella definizione delle misure di protezione dell’ambiente marino e di ricostituzione degli stock ittici (emendamento n. 1). Non siamo però d’accordo sulla proposta che prevede che le misure di compensazione indicate per i pescatori vengano finanziate a livello comunitario (emendamento n. 2).
Disapproviamo ulteriori spese di bilancio comunitario e abbiamo deciso di votare contro la relazione nella sua totalità.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Facendo seguito al dibattito precedente, accogliamo positivamente l’appoggio del Commissario per la pesca Borg all’emendamento che abbiamo presentato, secondo cui il decentramento e la cogestione sono due principi fondamentali, tanto nel garantire la partecipazione dei pescatori e delle associazioni che li rappresentano alla definizione delle misure di protezione dell’ambiente marino e di ricostituzione degli stock ittici, quanto nel garantire l’efficacia di tali misure, considerando che ad applicarle saranno i pescatori e le loro associazioni, che hanno conoscenza diretta dello stato delle risorse e sono i principali interessati a garantirne la conservazione.
Notiamo inoltre la sua apertura nel considerare l’emendamento da noi proposto, che chiede alla Commissione europea di presentare misure socioeconomiche di compensazione, garantite dal sostegno comunitario, a fronte dei programmi di ricostituzione degli stock ittici.
Ci rammarica il fatto che la maggioranza del Parlamento europeo abbia inspiegabilmente respinto tali proposte.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Un settore della pesca sostenibile, basato sulla più avanzata ricerca scientifica e tecnologica è fondamentale per soddisfare uno dei principali obiettivi dell’Unione europea, ovvero uno sfruttamento delle risorse ittiche viventi in condizioni di sostenibilità sotto il profilo economico, ambientale e sociale.
La comunicazione della Commissione europea rappresenta un passo nella giusta direzione, poiché svolge un ruolo più energico nella promozione di una gestione ecologicamente sostenibile delle attività di pesca.
Vorrei ribadire l’importanza di tali misure per i pescatori, visto che rendere più rispettosa dell’ambiente un’attività economica è nel loro interesse, poiché garantirebbe loro stock in buone condizioni. Dal momento che tali misure potrebbero avere un importante impatto socioeconomico a breve termine, è opportuno coinvolgere le parti interessate nelle riforme programmate ed esaminare a fondo metodi di compensazione per i pescatori colpiti negativamente, a breve e medio termine, da una pesca rispettosa dell’ambiente.
Alla luce dei punti indicati poc’anzi, ritengo che il contenuto della presente comunicazione apporti un contributo importante e significativo alla costruzione di un futuro positivo, per coloro la cui sussistenza dipende dalla pesca e per la tutela ambientale.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho naturalmente votato a favore della relazione che incoraggia metodi di pesca più rispettosi dell’ambiente.
La priorità attuale è quella di riuscire a ridurre l’intensità dell’attività di pesca, al fine di permettere la ricostituzione degli stock. L’argomento, come si sa, è delicato, ma anche urgente. Il 46 per cento delle 28 000 specie di pesci censite al mondo è minacciato. Inoltre il programma di valutazione degli ecosistemi delle Nazioni Unite sottolinea che il 25 per cento delle specie commerciali viene eccessivamente sfruttato.
Occorre evidentemente tener conto degli imperativi socioeconomici e non penalizzare il settore della pesca, già sottoposto a eccessivi vincoli. La riduzione dell’attività di pesca è plausibile se connessa a un sistema di compensazioni. Ma vi sono altre misure che possono fornire risultati significativi, come il rafforzamento della lotta all’inquinamento delle imbarcazioni o la promozione di metodi di pesca sostenibili.
La sostenibilità delle risorse ittiche è un obiettivo essenziale ed è su tale principio che ho basato la mia relazione per parere sulla comunicazione della Commissione europea relativa a un approccio comunitario in materia di programmi di etichettatura ecologica dei prodotti ittici.
Preparazione del Consiglio europeo / Strategia di Lisbona (RC – B6-0161/2006)
Brian Crowley (UEN), per iscritto. – (EN) Appoggio l’obiettivo di modernizzare l’economia europea attraverso il partenariato di Lisbona per la crescita e l’occupazione. Anch’io ritengo che questa strategia debba essere considerata nel più ampio contesto delle esigenze in materia di sviluppo sostenibile, secondo le quali le nostre necessità attuali devono essere soddisfatte senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le loro. L’Europa è sicuramente dotata delle risorse necessarie per sostenere i nostri alti tenori di vita, ma occorre intervenire per sfruttarle.
Vorrei fosse messo a verbale che, pur condividendo lo scopo generale della risoluzione del Parlamento sul Vertice di primavera 2006, non appoggio gli emendamenti secondo cui l’energia nucleare rappresenta una valida alternativa all’attuale dipendenza energetica dell’Europa. L’Irlanda non sostiene in alcun modo il ricorso all’energia nucleare.
Emanuel Jardim Fernandes (PSE), per iscritto. – (PT) E’ trascorso quasi un anno dal rilancio della strategia di Lisbona, convenuto dal Consiglio europeo di primavera lo scorso marzo.
Nella relazione intermedia annuale sulla strategia di Lisbona, pubblicata il 25 gennaio in vista del prossimo Consiglio europeo di primavera, la Commissione afferma che, pur riconoscendo i considerevoli progressi compiuti, la priorità attuale è quella di produrre risultati, e che è giunto il momento di accelerare le riforme.
In tal senso, essa ha individuato quattro settori di intervento prioritari, nei quali i capi di Stato e di governo dell’UE devono impegnarsi ad adottare, a livello nazionale ed europeo, le seguenti specifiche misure aggiuntive: maggiori investimenti nell’istruzione e nell’innovazione, sblocco del potenziale delle imprese e soprattutto delle PMI, risposta alle sfide della globalizzazione e dell’invecchiamento della popolazione e lancio di una politica energetica europea efficace e integrata.
Questa proposta di risoluzione offre alcune considerazioni e suggerimenti sui quattro settori di intervento prioritari che meritano tutto il mio appoggio. Per tale motivo ho votato a favore.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Pur essendo delusa per il fatto che la risoluzione da noi presentata sia stata respinta, vale la pena ricordare che circa 100 deputati dell’Assemblea hanno votato a favore (79) o si sono astenuti (20), vale a dire più del doppio del numero dei deputati del nostro gruppo e addirittura più del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica e del gruppo Verde/Alleanza libera europea messi insieme. Oltretutto, è significativo che un numero ancor più elevato si sia rifiutato di votare per la risoluzione comune che, tuttavia, è stata approvata dalla maggioranza.
L’esperienza ci ha dimostrato che il metodo di coordinamento aperto, previsto nella strategia di Lisbona, non ha diminuito la povertà. La strategia di Lisbona ha portato a considerare prioritarie la liberalizzazione e la privatizzazione dei settori e dei servizi pubblici.
Poiché la povertà è una violazione dei diritti dell’uomo, occorre meglio esaminare le cause che la provocano e adottare le misure necessarie per promuovere l’inclusione sociale, considerandola da un punto di vista multidisciplinare.
Per questo siamo favorevoli a sostituire il Patto di stabilità e di crescita con un vero e proprio patto di sviluppo e progresso, e la strategia di Lisbona con una vera e propria strategia di coesione economica e sociale. Ciò, a sua volta, implica che non si deve insistere sulla proposta di direttiva per la creazione del mercato interno dei servizi.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Voterò a favore della risoluzione insieme ai colleghi del gruppo socialista e della delegazione laburista, anche se devo sottolineare un’omissione importante nella parte riguardante la politica energetica, cioè l’energia maremotrice.
Il riscaldamento globale ci fa abbandonare le fonti di energia convenzionali, mentre il nucleare è minacciato dai timori per la sicurezza. Il problema può essere risolto dalle energie rinnovabili solo con molta difficoltà, che si tratti di energia solare, eolica o di biocarburanti. L’unica possibilità che viene trascurata è quella dell’energia maremotrice. I francesi hanno costruito la centrale elettrica nell’estuario di La Ranche, dimostrando la validità di questa tecnologia; nel Regno Unito il Mersey, su piccola scala, e il Severn, su larga scala, sono luoghi indicati. Il piano del Severn potrebbe, da solo, coprire circa il 10 per cento del fabbisogno energetico del Regno Unito. Perché trascuriamo le “grandi” energie rinnovabili e ci limitiamo a coprire le nostre colline di mulini a vento e i nostri tetti di panelli solari?
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) In genere, le risoluzioni del Parlamento sui preparativi ai Consigli europei sono costituite da una sequela di richieste ai governi e alla Commissione. Il loro punto in comune è non ricordare mai che le difficoltà incontrate dai nostri paesi sono causate dall’integrazione europea, e chiedere sempre più l’ingerenza di Bruxelles nelle politiche degli Stati membri. La salvezza non può arrivare dall’Europa di Bruxelles, perché proprio da là deriva la maggioranza dei problemi citati in questo testo.
Oggi, ad esempio, ci troviamo in una situazione in cui i problemi dovuti alla liberalizzazione del mercato interno dell’energia – voluta da Bruxelles e fondata sull’unico e sacrosanto principio della concorrenza – spingono i deputati a chiedere una politica energetica comune, addirittura unica, benché questo settore d’intervento non sia previsto nei Trattati, e non vi figuri per una buona ragione: l’opposizione dei governi, coscienti dell’importanza strategica di questo settore e della divergenza d’interessi.
L’impressione generale è che l’integrazione europea, allo stato attuale, sia di per sé un fine, e si alimenti delle conseguenze negative dei propri errori. Dobbiamo porre fine a questo circolo vizioso.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) In questa risoluzione, il Parlamento europeo si addentra in settori di cui devono occuparsi i parlamenti degli Stati membri per raggiungere i traguardi europei stabiliti sulla maggiore crescita e occupazione. Il presupposto della strategia di Lisbona è che gli Stati membri realizzino quanto è stato convenuto.
La strategia di Lisbona non deve essere utilizzata come scusa per chiedere continuamente maggiori stanziamenti al bilancio dell’UE. La Lista di giugno crede invece che siano i bilanci dei rispettivi Stati membri a dover provvedere alla strategia di Lisbona. Il paragrafo 3 della risoluzione afferma che occorre aumentare il bilancio dell’UE per garantire il raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona. Per tale motivo scegliamo di votare contro la risoluzione.
Il documento contiene molte proposte positive, ma si basa su una prospettiva finanziaria per l’UE che non condividiamo. La responsabilità di attuazione della strategia di Lisbona spetta agli Stati membri, motivo per cui è importante non aumentare i loro contributi all’UE. Al contrario, essi dovrebbero poter godere di libertà d’azione per adempiere a quanto previsto dalla strategia di Lisbona.
Abbiamo quindi votato contro la proposta di risoluzione presentata dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, dal gruppo socialista al Parlamento europeo e dal gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’evento del 16 e 17 marzo potrebbe essere definito come l’assemblea generale degli imprenditori, e non a caso è stato fissato poco tempo prima del Consiglio europeo. All’evento parteciperanno il Cancelliere austriaco e il Presidente in carica del Consiglio, il Presidente della Commissione e i Commissari, insieme ai pezzi grossi dell’impresa, dell’industria, dell’ambiente, della ricerca e dei media, per non parlare dei rappresentanti di governo dei cosiddetti programmi nazionali di riforma.
I capitani d’industria presenteranno tutti le loro istanze chiedendo l’attuazione delle cosiddette riforme strutturali, un eufemismo per la politica della destra, il cui vero significato è ben noto ai lavoratori: lavoro più precario, salari più bassi, vita lavorativa e orari più lunghi, aumento dell’età pensionabile, smantellamento e successiva liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici, ponendo l’accento su energia e comunicazioni, previdenza sociale, sanità, istruzione e ricerca che porteranno a sfruttamento, disoccupazione e povertà.
La maggioranza del Parlamento ha unito le forze per adottare questo programma, anche se noi abbiamo votato contro.
Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I colleghi conservatori britannici ed io sosteniamo pienamente tutte le misure della strategia di Lisbona tese realmente a potenziare la competitività delle economie europee. Per realizzare questo obiettivo, è necessaria una vera e propria riforma economica che dia maggiori risultati in termini di crescita, flessibilità dei mercati del lavoro e incremento dell’occupazione in tutta l’Unione europea.
Pur appoggiando in toto gli sforzi intrapresi dal Presidente della Commissione e da alcuni Stati membri al fine di ridurre gli oneri gravanti sulle imprese e gli ostacoli alla creazione di posti di lavoro, temiamo che alcune delle misure descritte nel documento possano comportare un aumento dei costi per le imprese e distogliere la nostra attenzione dalla priorità assoluta, cioè rendere l’Europa più competitiva nel mercato globale riducendo considerevolmente i livelli di disoccupazione.
Non possiamo approvare i suggerimenti contenuti nella risoluzione che porterebbero a una prospettiva finanziaria maggiore di quella convenuta al Consiglio europeo nel dicembre 2005.
Per questo e per altri motivi abbiamo deciso di astenerci dal voto.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La proposta di risoluzione comune firmata e promossa al Parlamento europeo dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, dal gruppo socialista al Parlamento europeo e dal gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa sulla strategia di Lisbona intende accelerare ancor più le ristrutturazioni capitaliste mediante l’elaborazione di programmi nazionali. L’attacco lanciato dal capitale euroaccentratore viene esteso a tutti i settori principali, con la commercializzazione e l’invasione dei capitali nel campo della sanità, dell’istruzione e dell’energia, la distruzione dei rapporti di lavoro e l’eliminazione dei diritti acquisiti dalle classi operaie, attaccando nuovamente i diritti alla pensione e all’assicurazione.
La strategia di Lisbona si basa anche sul Trattato di Maastricht e sulle quattro libertà (di libera circolazione dei capitali, delle merci, dei lavoratori e dei servizi) su cui i partiti Nea Dimokratia, Panellinio Socialistiko Kinima e Synaspismos hanno votato congiuntamente nel nostro paese.
Kommounistiko Komma Elladas ha tempestivamente allertato il popolo e la classe operaia sugli obiettivi della strategia di Lisbona, invitando la classe operaia a intensificare la propria lotta contro il barbaro attacco dei capitali, a condurre una lotta antimonopolistica e antimperialista e a formare un’alleanza per garantire potere e prosperità al popolo.
Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) E’ scandaloso che, a 20 anni dal disastro di Chernobyl, due terzi dei deputati al Parlamento europeo approvino ancora l’uso dell’energia nucleare, votando a favore della risoluzione sulla strategia di Lisbona. Il nucleare continua a essere una tecnologia altamente rischiosa, dalle conseguenze incalcolabili.
La vorticosa crescita registrata nello sfruttamento dell’energia nucleare viola i diritti fondamentali e, irreparabilmente, aggrava le condizioni di vita delle generazioni future. L’estrazione di uranio comporta un massiccio ed eccessivo sfruttamento delle risorse naturali e l’inquinamento radioattivo delle acque sotterranee. L’uranio può anche essere arricchito, producendo materiale che può essere utilizzato per le armi atomiche. In effetti è quasi impossibile separare totalmente l’uso “civile” dell’energia nucleare da quello militare. Persino il normale funzionamento dei reattori nucleari comporta uno stato di rischio permanente, dalle radiazioni a basso livello al rischio di contaminazione dei fiumi utilizzati per il raffreddamento.
Vi sono richieste periodiche di ritrattamento degli impianti che producono inquinamento radioattivo in ampie zone terrestri e marine. Sinora nessuno è stato in grado di risolvere il problema della gestione e dello stoccaggio di scorie altamente radioattive, la cui produzione aumenta ogni giorno e che continueranno a emettere radiazioni per almeno altri 10 000 anni. La somma di 3,1 miliardi di euro stanziata a favore della ricerca nucleare dal settimo programma quadro di ricerca dell’UE (2007-2011) è doppia rispetto all’importo erogato dal precedente programma. Anziché investire nelle tecnologie nucleari, l’UE dovrebbe dedicarsi maggiormente allo sviluppo delle forme di energia rinnovabili. La produzione energetica da fonti decentrate e rinnovabili è l’unico modo per garantire la sicurezza a lungo termine dell’approvvigionamento energetico.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sul contributo al Consiglio europeo di primavera 2006 in relazione alla strategia di Lisbona perché approvo la maggioranza delle considerazioni e delle proposte da essa avanzate. Nello specifico, accolgo con molto favore le proposte su un approccio esigente, competitivo e innovativo all’economia europea, che definisce una tabella di marcia per la riforma economica europea e prevede il completamento del mercato interno, investimenti nel settore della ricerca e sviluppo e solidarietà tra le diverse comunità e generazioni.
Vi sono alcuni aspetti che, credo, sia necessario chiarire.
A mio avviso è deplorevole che, a un anno dal Consiglio di primavera del 2005, si sia rimasti quasi esattamente allo stesso punto di prima in molti settori, soprattutto in materia di libera prestazione dei servizi, libero insediamento dei cittadini provenienti dai nuovi Stati membri, approfondimento del mercato interno e riforma delle priorità di bilancio. Questi punti non mi hanno sicuramente indotto a votare contro la risoluzione, ma rafforzano il mio disappunto per la mancanza di impegno nelle riforme comunitarie.
6. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
(La seduta, sospesa alle 13.20, riprende alle 15.00)
PRESIDENZA DELL’ON. DOS SANTOS Vicepresidente
7. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
8. Risultati del Consiglio informale dei ministri degli Affari esteri del 10 e 11 marzo 2006 (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sui risultati del Consiglio informale dei ministri degli Affari esteri del 10 e 11 marzo 2006.
Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, nei Balcani occidentali l’Unione europea può veramente fare la differenza. Se ne è parlato durante la riunione dei ministri degli Esteri “Gymnich” di Salisburgo.
I Balcani occidentali si trovano a un bivio e l’Unione intende guidare quella regione lungo la strada della pace e delle riforme. Negli ultimi anni abbiamo assistito a molti cambiamenti in positivo, ma non dobbiamo cullarci in un fallace senso di sicurezza.
Quest’anno, le questioni ancora in sospeso concernenti lo status di Kosovo e Montenegro devono essere risolte con pazienza e determinazione. Inoltre, dobbiamo far uscire i Balcani occidentali da un’epoca di guerra e creare quindi le condizioni perché sia possibile compiere progressi in materie che interessano veramente i cittadini di quei paesi, come lo sviluppo economico e sociale e l’inserimento in un contesto europeo.
Qual è il modo migliore per incoraggiare gli Stati di quell’area a rispettare un ambizioso programma di riforme? La cosa più importante è che noi, da parte nostra, rispettiamo l’impegno che abbiamo assunto affinché i paesi dei Balcani occidentali possano compiere progressi e avvicinarsi all’Unione europea avendo come fine ultimo l’adesione, previo adempimento dei severi criteri di adesione. Dobbiamo altresì adoperarci per rendere questa prospettiva concreta e tangibile, come ha fatto la Commissione nella sua recente comunicazione. Vorrei ora citare alcuni esempi delle nostre proposte e dei nostri obiettivi concreti.
Primo: dobbiamo eliminare gli ostacoli al commercio, alla produzione e agli investimenti. La Commissione, insieme con i paesi aderenti al Patto di stabilità e i paesi interessati, è impegnata nell’elaborazione di un accordo regionale di libero scambio che dovrebbe sostituire l’attuale pletora di 31 accordi bilaterali di questo tipo. Tale obiettivo può essere raggiunto per mezzo di un contemporaneo allargamento e ammodernamento dell’Accordo centroeuropeo di libero scambio, di cui si parlerà al Vertice CEFTA del prossimo aprile a Bucarest.
Secondo: dobbiamo “europeizzare” la prossima generazione e – perché no? – anche quella attuale. A tal fine abbiamo proposto di migliorare la mobilità dei ricercatori e degli studenti aumentando il numero delle borse di studio loro destinate.
Terzo: dobbiamo facilitare i contatti interpersonali. Presenteremo provvedimenti volti a facilitare la concessione dei visti, e confido che gli Stati membri li approveranno sollecitamente in seno al Consiglio, di modo che potremo avviare negoziati sulle facilitazioni per i visti e sugli accordi di riammissione. Permettetemi di sottolineare che quanto più i paesi dei Balcani occidentali saranno in grado di garantire i controlli alle frontiere e la regolarità dei documenti, tanto più facile sarà convincere gli Stati membri dell’Unione europea a facilitare la concessione dei visti.
Mi fa piacere che lo scorso fine settimana a Salisburgo i ministri degli Esteri dell’Unione abbiano approvato queste misure concrete. Al riguardo, desidero esprimere un particolare apprezzamento nei confronti del Ministro Plassnik, nonostante non sia qui presente oggi, per il suo personale impegno volto a promuovere progressi nei Balcani occidentali.
Devo infine fare un breve commento sulla morte di Slobodan Milošević. Quando abbiamo appreso la notizia della sua scomparsa, alla fine del Vertice “Gymnich”, non ho potuto fare a meno di ripensare alla mia visita a Srebrenica nello scorso luglio, in occasione del decimo anniversario del più terribile massacro compiuto nell’Europa postbellica. Deploro che Milošević sia morto prima che sia stato possibile rendere giustizia alle centinaia di migliaia di vittime dei crimini di cui era accusato.
Nelle sue memorie, il Cancelliere Kohl scrive parole di grande saggezza laddove sostiene che ogni generazione deve adoperarsi per creare una necessaria consapevolezza della storia, affinché non si ripetano gli errori del passato e “le voci delle vittime siano ascoltate”.
Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia sta raccogliendo prove che aiuteranno i serbi della generazione attuale e di quelle future a comprendere che molti crimini sono stati compiuti nel nome della Serbia, ma che la responsabilità di quei crimini ricade su ben determinate persone.
Proprio a seguito della morte di Milošević diventa ancora più importante che il Tribunale dell’Aia porti a compimento il proprio lavoro e sottoponga a processo gli imputati rimasti. In questo modo si aiuterà la Serbia a chiudere il tragico capitolo della sua storia dominato dalla figura di Milošević e a fare i conti con l’eredità del proprio passato.
Oggi la Serbia si trova veramente a un bivio e personalmente mi auguro che i leader e i cittadini serbi abbiano la volontà e la saggezza di optare per il futuro europeo, invece che per il passato nazionalista. Oggi la Serbia ha veramente il proprio futuro nelle sue mani. Possiamo aiutare i serbi a prendere la decisione giusta lasciando loro aperta la prospettiva europea.
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, quella in corso era stata annunciata come una discussione con il Consiglio. Lei ha appena detto che in Aula non sono ancora presenti i rappresentanti del Consiglio; io credo che dovremmo attendere il loro arrivo, dato che è nostra intenzione ascoltare e poi discutere una relazione sul Vertice di Salisburgo. E’ inutile discutere senza aver prima ascoltato la relazione; sarebbe un rituale privo di senso.
Presidente. – Condivido l’osservazione dell’onorevole Posselt, ma mi è stato riferito che il Ministro arriverà tra breve.
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, mi associo alla protesta dell’onorevole Posselt. Ritengo infatti che il Parlamento non debba anticipare la discussione dei punti più importanti semplicemente a causa del mancato adempimento di disposizioni formali; inoltre, se era stata programmata una discussione con la Commissione e il Consiglio, quest’ultimo dev’essere presente.
Signor Presidente, voglio dire che, come se la situazione in Medio Oriente e in Palestina non fosse già abbastanza complicata dopo la vittoria di Hamas, ad aggravare ulteriormente le cose ci si è messo l’assalto alla prigione di Gerico da parte dei soldati israeliani – un fatto che, credo, dobbiamo condannare e che ha scatenato un’ondata di violenze indiscriminate di cui hanno fatto le spese cittadini e interessi dell’Unione europea. Dobbiamo condannare questi eventi con la massima fermezza.
Signor Presidente, poiché so che se n’è parlato al Vertice informale dei ministri degli Affari esteri, vorrei chiedere alla Commissione quale approccio la Commissione e il Consiglio – che sfortunatamente è ancora assente – intendano adottare sul punto degli aiuti comunitari alla Palestina, nonché se insisterà – com’è logico fare – sulla necessità di pretendere che Hamas rinunci alla violenza e riconosca lo Stato d’Israele e gli accordi precedenti.
In secondo luogo, signor Presidente, riguardo alla questione iraniana, che è stata rinviata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, vorrei sapere dalla Commissione se preferisce un approccio graduale, cioè attendere una dichiarazione da parte del Consiglio di sicurezza, o se si augura che saranno applicate sanzioni.
Sul tema dell’allargamento, signor Presidente, e in considerazione dei commenti del ministro francese degli Affari interni Sarkozy, il quale ha affermato che l’allargamento comporta un certo grado di stanchezza, nonché della sua richiesta che il Consiglio di giugno discuta e valuti i limiti della capacità di assorbimento dell’Unione europea – e la relazione dell’onorevole Brok è il prossimo punto all’ordine del giorno –, vorrei sapere se la Commissione condivide la richiesta rivolta dal Ministro Sarkozy al Consiglio e se ritiene che la Presidenza austriaca dell’Unione europea debba dare una risposta definitiva alla questione dei limiti geografici del nostro progetto politico.
Presidente. – Alcuni dei punti da lei sollevati saranno affrontati dal Commissario Ferrero-Waldner, che però non è qui presente in questo momento, mentre molti altri riceveranno risposta durante la discussione sull’Assemblea parlamentare euromediterranea, che avrà luogo a tempo debito.
Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, considerato che in questa discussione il tempo di parola a disposizione della Commissione è limitato e che sarebbe impossibile relazionare su una così vasta gamma di argomenti, che vanno dagli affari esteri alle questioni globali nel loro insieme, è stato deciso che il Commissario Ferrero-Waldner affronterà i temi dell’Iran, della Palestina e della crisi causata dalla pubblicazione delle vignette stasera, quando interverrà qui in Aula, mentre per parte mia ho concentrato il mio intervento sulle politiche riguardanti i Balcani occidentali.
Abbiamo deciso di suddividere il contributo della Commissione in questo modo. Pertanto, dopo la discussione io risponderò alle domande sui Balcani occidentali e il Commissario Ferrero-Waldner risponderà stasera a quelle sulle altre questioni.
Doris Pack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, il Commissario Rehn ha spiegato come stanno le cose. Quindi, direi che adesso potremmo discutere della relazione Brok, che riguarda l’allargamento, per passare poi ad altri argomenti in attesa che arrivi il Ministro Plassnik. La invito vivamente a procedere in questo modo, perché in caso contrario saremmo scorretti nei confronti del Commissario e la discussione non seguirebbe il giusto ordine.
Presidente. – Mi rendo conto della situazione inusuale nella quale ci troviamo; purtroppo, però, l’ordine del giorno ci impone di discutere della relazione Brok dopo le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione.
Elmar Brok (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, vorrei fare anch’io una proposta. Potremmo fare una pausa, se l’assente Presidenza del Consiglio ci invita a bere un caffè nel frattempo.
(Si ride)
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, sono perfettamente consapevole delle pressioni che influenzano la fissazione dell’ordine dei lavori del Parlamento, però lei ha detto che abbiamo un ordine del giorno preciso, nel quale non possiamo inserire un punto che prevede la discussione del Consiglio informale dei ministri degli Affari esteri quando si scopre che il Commissario competente per la maggior parte degli argomenti riguardanti quel Consiglio ha deciso che tale discussione deve avvenire in un momento successivo.
Credo che le proposte degli onorevoli Posselt e Pack siano assolutamente giustificate. Se il Commissario competente a parlare dei punti principali del Consiglio informale dei ministri degli Affari esteri non è presente in Aula, rinviamo questo tema a più tardi e, in attesa dell’arrivo del Commissario, discutiamo intanto della relazione Brok. E’ inaccettabile che l’ordine di discussione degli argomenti sia stabilito senza aver sentito il parere dei deputati.
Presidente. – Comprendo le preoccupazioni che lei ci ha espresso, però devo dire che non mi risulta che il Regolamento contenga alcuna disposizione che possa trarci da questo impaccio.
Hannes Swoboda (PSE). – (DE) Signor Presidente, il problema è, ovviamente, che alcuni deputati che dovrebbero intervenire sulla relazione Brok non sono presenti in Aula in questo momento e arriveranno solo tra un po’. Possiamo senz’altro riorganizzare in parte l’ordine dei lavori. L’onorevole Napoletano era pronta a parlare, e io stesso intervengo adesso perché mi occupo soprattutto del tema dei Balcani. Potremmo semplicemente combinare le due cose, però alcuni deputati sarebbero certo contrariati se non potessero intervenire sulla relazione Brok perché non erano in Aula nel momento in cui se ne è discusso. Questo è il problema!
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, posso soltanto chiederle cortesemente se sa quando il rappresentante del Consiglio dovrebbe arrivare qui in Parlamento? Se quanto ho sentito dire corrisponde a verità, cioè che sarà qui tra un quarto d’ora, possiamo semplicemente aspettare un altro quarto d’ora, dato che in quest’Aula di ritardi di quindici minuti ne abbiamo visti parecchi. Propongo pertanto, se il Consiglio sarà qui tra un quarto d’ora, di sospendere la seduta fino ad allora; se invece sarà qui tra un’ora, dovremo trovare un’altra soluzione. Al riguardo, noi non disponiamo di informazioni di alcun tipo, ma forse lei sa qualcosa.
Presidente. – Propongo di sospendere la seduta per qualche minuto in attesa dell’arrivo del rappresentante del Consiglio.
(La seduta, sospesa alle 15.20, riprende alle 15.35)
Visto che il rappresentante del Consiglio è arrivato, possiamo riprendere i lavori.
Ursula Plassnik, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, domando scusa per il ritardo. Siamo rimasti bloccati a causa di due incidenti stradali, uno andando all’aeroporto di Vienna e uno venendo da Entzheim a qui.
Vi ringrazio per l’opportunità che ci avete offerto di informarvi sulla riunione informale dei ministri degli Esteri, nel cosiddetto “formato Gymnich”, che si è svolta lo scorso fine settimana a Salisburgo. In tale occasione abbiamo discusso principalmente di due grandi tematiche, la prima delle quali ha riguardato le sfide che dobbiamo affrontare in questo momento in politica estera, più in particolare i recenti eventi in Medio Oriente e le imminenti elezioni in Bielorussia e Ucraina. Il secondo giorno è stato dedicato alla situazione nei Balcani, all’agenda di Salonicco, alla sua attuazione e al suo futuro.
Se mi permettete, vorrei parlare dapprima del Medio Oriente e poi dei Balcani.
Per quanto riguarda, dunque, il Medio Oriente, va detto che quella regione si trova in una fase di transizione, dopo le elezioni del Consiglio legislativo palestinese e alla vigilia delle elezioni in Israele. In questa fase, è nostro dovere inviare un messaggio molto chiaro e forte al futuro governo palestinese, perché dobbiamo dire con chiarezza quali sono i principi fondamentali che costuiscono la base per un’ulteriore collaborazione da parte nostra. Tali principi di fondo sono perfettamente evidenti e consistono di tre elementi: al governo palestinese chiediamo di rinunciare alla violenza, di essere disponibile a negoziati – il che comporta il riconoscimento degli accordi esistenti – e di riconoscere il diritto all’esistenza dello Stato di Israele.
E’ su questa base chiara e forte che si sviluppa la nostra politica, ed è su questa stessa base che abbiamo lanciato un appello ai nostri partner in Medio Oriente. Hamas in particolare dovrà prendere atto del bivio di fronte al quale si trova e dovrà quindi decidere quale strada imboccare in futuro. Deve dire con chiarezza quale strada intende percorrere; abbiamo definito le nostre condizioni fin nei dettagli, e non è cambiato nulla a questo riguardo. Continueremo ad appoggiare il popolo palestinese e nella riunione Gymnich abbiamo discusso anche delle possibili forme da dare in futuro al nostro sostegno finanziario. E’ del tutto evidente che qualsiasi aiuto di questo tipo deve andare a vantaggio del popolo palestinese e non deve essere usato a fini di terrorismo o di violenza.
Stiamo perciò seguendo con grandissima attenzione gli sviluppi, gli sforzi che vengono compiuti per costituire il nuovo governo palestinese e per definire il suo programma futuro. Ieri il Presidente Mahmud Abbas e la sua delegazione si sono recati in visita a Vienna, e abbiamo così avuto modo di discutere con lui di questi temi. Il Presidente palestinese e il suo governo provvisorio hanno il nostro sostegno in questo difficile momento. Sarò lieta se più tardi avrò la possibilità di riprendere più in dettaglio questi punti.
Passando, ora, al tema dei Balcani, devo dire che esso era ed è un argomento importante per la Presidenza austriaca. Ritengo pertanto che la riunione Gymnich e il fatto che essa se ne sia occupata rappresentino un segnale di incoraggiamento – un doppio incoraggiamento, invero – ai cittadini degli Stati dei Balcani occidentali. La strada che essi devono ancora percorrere verso l’Europa e verso il soddisfacimento dei criteri europei, per quanto difficile, vale la pena di essere percorsa, e in tale viaggio avranno tutto il nostro sostegno e i nostri migliori auguri.
Tuttavia si tratta di un segnale di incoraggiamento rivolto anche ai nostri cittadini, per confermarli nella convinzione che è senz’altro possibile trovare soluzioni a problemi difficili – anche a quelli più difficili in assoluto. Penso quindi che sia un messaggio di speranza e di fiducia il fatto che, nella dichiarazione di Salisburgo, siamo riusciti a mettere in evidenza e a rendere visibili le prospettive di adesione all’Unione europea degli Stati balcanici.
Soprattutto in un momento in cui si parla di “fatica da allargamento”, era importante lanciare un segnale di tal genere, al fine di dare ai nostri partner un’idea chiara di quanto possono aspettarsi dalle decisioni oltremodo difficili che dovremo prendere nel 2006. Scorrendo l’elenco degli invitati alla riunione di Salisburgo si può comprendere ciò che il percorso che inizieremo quest’anno comporterà in termini di impegno da parte nostra: tra gli ospiti c’erano infatti l’Inviato speciale delle Nazioni Unite per il Kosovo Martti Ahtisaari e il suo vice Albert Rohan, con i quali abbiamo discusso del futuro di quella regione, e avevamo invitato anche l’Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina Christian Schwarz-Schilling; alla riunione erano presenti inoltre il responsabile della missione delle Nazioni Unite in Kosovo Søren Jensen-Petersen con la sua delegazione, nonché il Presidente del Kosovo, e successore di Ibrahim Rugova, Fatmir Sejdiu. Ho notato con piacere che in questa parte della riunione di Salisburgo abbiamo potuto registrare una première grazie alla presenza dell’onorevole Brok, presidente della commissione per gli affari esteri del Parlamento, il quale ha partecipato alle nostre discussioni.
I Balcani si trovano al centro dell’Europa e senza di essi l’unificazione europea sarebbe incompleta. Sappiamo che la strada che abbiamo davanti sarà difficile, ma siamo determinati a percorrerla fino in fondo. Abbiamo deciso di adottare un approccio graduale, affrontando una questione alla volta e trovando soluzioni caso per caso.
Per ognuno di quei paesi, nessuno escluso, l’obiettivo essenziale è lavorare per il raggiungimento degli standard europei. Ieri il Primo Ministro bosniaco mi ha fatto visita a Vienna e mi ha detto che è fondamentale non tanto stabilire una data o un momento particolare nel corso di questo processo, quanto lavorare insieme agli standard europei. Javier Solana, che segue gli sviluppi da lungo tempo, descrive ciò che è stato realizzato dopo il Consiglio di Salonicco del 2003 come un successo, che possiamo vedere riflesso nell’agenda e più specificamente nell’ordine del giorno di Salisburgo, dato che le questioni affrontate durante tale riunione riguardavano la semplificazione e il miglioramento delle disposizioni commerciali, la lotta contro la criminalità organizzata, i giovani e le facilitazioni per i viaggi. Ci siamo occupati della questione dei visti poiché dobbiamo rispondere alle aspettative che i cittadini di quei paesi nutrono nei nostri confronti. Nel contempo, però, dobbiamo indicare loro con chiarezza quali possibilità abbiamo a disposizione e unirci a loro nella ricerca, passo dopo passo, di soluzioni ai problemi tuttora esistenti in questo come in altri settori.
E’ fuori di ogni dubbio che l’Europa sta facendo la differenza nei Balcani occidentali; abbiamo però sottolineato anche la responsabilità che i paesi della regione hanno nei confronti di se stessi, dato che in alcuni di essi, quelli già stabilizzati, si deve ora passare alla fase dell’europeizzazione dinamica. Proseguendo nel nostro cammino, dobbiamo dire loro apertamente che devono avere la volontà di compiere i passi necessari e devono dimostrare di possedere la qualità riassunta così bene nel termine inglese di “ownership”.
Abbiamo ribadito la necessità della cooperazione regionale, soprattutto in vista della realizzazione di un’area regionale di libero scambio regolamentata da un unico accordo, il quale, sull’esempio dell’Accordo centroeuropeo di libero scambio, dovrebbe sostituire gli attuali 31 accordi individuali. Personalmente sono molto grata al Commissario Rehn e alla Commissione nel suo insieme per l’impegno che hanno profuso a tale fine. Il Consiglio e la Commissione stanno lavorando su questo punto nella massima armonia e in stretta collaborazione. Desidero ringraziare la Commissione per la sua comunicazione della fine di gennaio e per la disponibilità a continuare a lavorare con noi per raggiungere gli obiettivi fissati nella dichiarazione di Salisburgo.
Ma anche i ministri dei governi nazionali devono continuare a lavorare, nell’ambito delle rispettive competenze, perché avranno tra l’altro il compito di mettersi in rete con i loro omologhi dei paesi balcanici per affrontare i problemi concreti. In particolare, i ministri degli Interni sono seriamente impegnati a questo scopo e hanno una grande responsabilità, dato che da loro e dalla loro cooperazione dipendono i progressi tangibili che si potranno ottenere su questioni importanti.
Abbiamo discusso anche della capacità di assorbimento dell’Unione europea, di cui abbiamo analizzato le implicazioni. Come sapete, si tratta di un tema su cui ho richiamato l’attenzione l’autunno scorso, credo opportunamente, dato che la nostra intenzione non è quella di creare un nuovo ostacolo bensì, in buona sostanza, di acquisire maggiore consapevolezza di qualcosa che dovrebbe essere del tutto ovvio, cioè che non dobbiamo soltanto pretendere che i paesi candidati all’adesione compiano il loro dovere, bensì anche noi come Unione europea dobbiamo dare il nostro contributo.
Nella riunione congiunta di Salisburgo, mentre eravamo tutti raccolti intorno a un tavolo, abbiamo vissuto insieme un’esperienza che è stata allo stesso tempo, oltre che inquietante, anche motivo di speranzosa fiducia. E’ successo quando i nostri lavori sono stati interrotti dalla notizia della morte di Slobodan Milošević. E il fatto che, in un momento simile, siamo stati in grado di lavorare per il nostro comune futuro europeo è stato un evento di grande significato simbolico per l’Europa.
(Applausi)
Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, vorrei proporvi soltanto due brevi osservazioni sul tema del Medio Oriente. Primo: facciamo bene a pretendere da Hamas che prenda atto della realtà e rinunci alla violenza; questo però non autorizza Israele a continuare la sua politica di violenza unilaterale, di cui abbiamo appena visto un esempio. Secondo: l’Europa e gli Stati Uniti devono essere coerenti nelle loro politiche nucleari, soprattutto alla luce della diversità di trattamento tra India e Iran, mentre all’Agenzia internazionale per l’energia atomica di Vienna va attribuito un ruolo più rilevante nell’ambito di un sistema multilaterale di arricchimento dell’uranio e di smaltimento delle scorie nucleari. Se ci atterremo a questi principi, potremo fare progressi.
Venendo, ora, ai Balcani, mi sorprende che le nostre azioni siano guidate dal principio secondo cui per progresso si intende tutto ciò che non è un regresso. Devo dire che il mio gruppo e io siamo molto imbarazzati dal colpevole comportamento di alcuni Stati membri che stanno contrapponendo il compito di mettere l’Europa in grado di accogliere nuovi paesi membri alle prospettive di adesione dei paesi balcanici. L’Europa, però, non diventerà più forte se i paesi balcanici saranno derubati delle loro prospettive di adesione o se le vedranno rinviate a un lontano futuro. Il principio guida deve continuare a essere quello dell’adesione all’Unione europea, a favore del quale il Parlamento europeo – compreso il mio gruppo – si è ripetutamente espresso all’unanimità. Per quanto sia perfettamente comprensibile che si chieda all’Unione europea di migliorare la sua capacità di accogliere nuovi membri – penso, in proposito, alla Costituzione e alle basi finanziarie –, tale richiesta non può tuttavia essere usata contro i paesi dell’Europa sudorientale, né come uno strumento per scoraggiare i loro sforzi in vista dell’adesione. La preparazione all’adesione deve andare di pari passo sia da parte nostra che da parte dei Balcani. Entrambe le parti devono avere una preparazione coerente e accurata, nel cui ambito è necessario compiere passi concreti per preparare i paesi dei Balcani all’adesione all’Unione europea, tra l’altro semplificando e facilitando le procedure per la concessione dei visti. In aggiunta a quanto ha detto sui ministri degli Interni, mi auguro che essi faranno qualcosa di concreto per offrire soprattutto ai giovani di quella regione la possibilità di conoscere finalmente l’Europa. Nonostante la morte di Slobodan Milošević, che è stata prematura sotto molti punti di vista, è tuttora nell’interesse delle vittime nonché del futuro comune dell’Europa che tutti coloro che si sono macchiati di crimini siano portati all’Aia e sottoposti a processo, e su questo dobbiamo sicuramente insistere.
I paesi dei Balcani, che nella storia del nostro continente troppo spesso sono stati un giocattolo nelle mani delle grandi potenze europee, devono essere progressivamente integrati nell’Unione europea, e in nessun caso accetteremo che siano riportati a uno stadio precedente delle loro relazioni con l’Unione. Domani, quando voteremo per approvare la relazione Brok, dovremo mettere bene in chiaro che il voto riguarda soltanto ciò che si dice nel testo, lasciando da parte le interpretazioni che purtroppo ne sono state date in queste ultime ore, con il risultato di falsificare il contenuto effettivo della relazione. Noi sosteniamo le prospettive dei paesi balcanici di diventare membri dell’Unione europea.
(Applausi)
Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, avevo sperato che la Conferenza sui Balcani avrebbe lanciato un messaggio forte e positivo, e credo che questo fosse l’auspicio anche del Presidente in carica del Consiglio e della Commissione. Poiché nessuno di voi due, però, può permettersi di dar voce alla propria delusione, mi incaricherò io di farlo a nome vostro.
Noi tutti riconosciamo che l’intera regione dei Balcani è tuttora mutevole e potenzialmente instabile, e proprio per tale motivo è assolutamente necessario fare chiarezza. Nella dichiarazione congiunta alla stampa, decisamente più debole rispetto alle dichiarazioni precedenti, si afferma che il futuro dei Balcani occidentali è nell’Unione europea. Notiamo, in tale dichiarazione, l’assenza di qualsiasi riferimento all’adesione. Vi si dice, inoltre, che nel 2006 è prevista una discussione sulla strategia di adesione e che è necessario tener conto della capacità di assorbimento dell’Unione europea. Tutto ciò è deludente. Riprenderò questi punti durante la successiva discussione sulla relazione Brok.
Vorrei fare un’osservazione sul Medio Oriente. Condivido pienamente la reazione del presidente del mio gruppo alla deplorevole e inaccettabile azione compiuta ieri a Gerico da Israele, per non parlare dello strano comportamento – per usare un eufemismo – delle truppe statunitensi e britanniche. E’ ovvio che fatti del genere complicano la posizione dell’Unione europea. Il mio gruppo, pur condividendo il parere che Hamas debba rinunciare alla violenza e accettare i trattati e gli accordi internazionali esistenti, rileva con tristezza che il comportamento di Israele rende viepiù difficile sostenere questa linea. Nondimeno continueremo a farlo, però dobbiamo anche dire molto chiaramente che azioni come quelle di ieri sono in assoluto contrasto con la ricerca di una soluzione pacifica.
Angelika Beer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, Ministro Plassnik, abbiamo sospeso la nostra seduta in attesa del suo arrivo perché ci sono alcune cose che ci preoccupano molto e di cui desideriamo discutere con lei.
All’inizio della sua Presidenza, l’Austria aveva in programma di organizzare un Salonicco II; però, nella dichiarazione di Salisburgo, non se ne fa menzione, né si è più parlato della possibilità di adesione all’Unione europea da parte dei paesi dei Balcani occidentali. La dichiarazione è un compromesso che, per quanto inconsistente, è stato accolto negativamente nei Balcani e non ha lanciato alcun segnale d’incoraggiamento, lasciando – nella migliore delle ipotesi – spazio a errori d’interpretazione. Questa è, in ogni caso, la mia valutazione delle affermazioni dell’onorevole Brok, che ha partecipato anch’egli alla riunione di Salisburgo e che, da lunedì, va parlando con i media tedeschi della fine delle prospettive di adesione all’Unione europea dei paesi dei Balcani occidentali e sostenendo quella che lui definisce la terza via, ovvero un partenariato privilegiato.
Se l’Europa vuole essere almeno un po’ credibile, deve mantenere aperta la prospettiva dell’adesione per i Balcani non soltanto a parole ma anche nei fatti, e qui sono d’accordo con il Commissario Rehn.
Onorevole Brok, vorrei concludere ricordandole che una terza via è esattamente ciò che il capo di Stato libico, il colonnello Gheddafi, cercava di ottenere parecchio tempo fa, negli anni ’80. Per fortuna, il tentativo di Gheddafi è miseramente fallito, e ora lo stesso succederà al suo.
Elmar Brok (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei dire solo poche parole sulle questioni che non hanno nulla a che fare con i paesi candidati all’adesione, di cui parlerò tra un po’ nell’ambito della mia relazione. Vorrei intervenire brevemente sul Medio Oriente.
Ci troviamo ad affrontare difficoltà sempre crescenti, a causa non solo degli avvenimenti dei giorni scorsi ma anche di ciò che è successo nelle scorse settimane e negli ultimi mesi. Da un canto, c’è la situazione di fronte alla quale entrambe le parti della Terra Santa ci stanno ponendo; dall’altro, c’è la questione della possibilità di dissuadere l’Iran dall’attuare un programma militare nucleare. E se, come è di fatto possibile, si chiuderà il cerchio – con l’Iran, la Siria, un accordo multilaterale in Libano con gli hezbollah e contatti con Hamas – sorgerà il grave pericolo di un’alleanza che sarebbe altamente problematica e alla quale dovremmo reagire, non solo per garantire la pace e contrastare il terrorismo, ma anche per assicurare le nostre forniture energetiche.
Signora Presidente in carica del Consiglio, ringrazio di aver potuto presenziare ad alcune delle discussioni. Durante i negoziati ci occuperemo della dura realtà politica, ma dovremo anche rendere possibile un dialogo effettivo tra le culture, per evitare che i fondamentalisti impediscano ai moderati – che sono presenti in tutte le regioni – di costituire la maggioranza.
Forse, signora Presidente in carica del Consiglio, potrei affrontare un altro aspetto molto importante sotto alcuni punti di vista, ovvero la missione dell’Unione europea in Congo. Vorrei sapere se al riguardo esista già un mandato che stabilisca i compiti della missione, la sua durata e la zona geografica d’intervento, e se le autorità congolesi hanno richiesto ufficialmente un progetto del genere con la partecipazione dell’Unione europea. Se si devono prendere decisioni a tale proposito sia in questa sede che altrove, è della massima importanza sapere ciò che la Presidenza del Consiglio e l’Alto rappresentante stanno facendo per organizzare un simile mandato.
Cecilia Malmström (ALDE). – (SV) Signor Presidente, signor Commissario, signora Presidente in carica del Consiglio, trovo eccellente che lei attribuisca un così alto profilo alla questione dei Balcani. E’ evidente che siamo tutti interessati alla stabilizzazione e alla democratizzazione di quella regione, e in tale contesto l’Unione europea ha senz’altro l’opportunità di svolgere un ruolo di rilievo. Auguro a entrambi buona fortuna nel compito di portare le ambizioni dei vostri colleghi degli altri Stati membri allo stesso alto livello delle vostre. A tal fine, potete contare sul sostegno del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa.
Le varie iniziative volte a indurre i paesi a collaborare tra loro e con noi sono eccellenti. Ed è positivo anche che, alla fine, si sia deciso di prendere a riferimento l’Accordo centroeuropeo di libero scambio, già esistente e operativo, invece di creare qualcosa di nuovo, come si era prospettato in precedenza. Credo che si tratti senz’altro di una saggia decisione. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che abbiamo a che fare con paesi diversi che hanno tradizioni diverse, storie diverse e livelli di sviluppo diversi. E’ quindi importante che continuiamo a lanciare il messaggio che saremo lieti di accogliere la domanda di adesione all’Unione europea di tutti quei paesi, se vorranno presentarla, e che li valuteremo ciascuno sulla base dei rispettivi meriti. In certi ambienti c’è il timore che sia nostra intenzione fare di ogni erba un fascio e trattare quei paesi nuovamente come se fossero una cosa sola. Penso che tale timore sia esagerato, però occorre essere molto chiari su quanto è stato deciso, ovvero che ogni paese dovrà essere valutato per i propri meriti.
Quanto alla morte di Slobodan Milošević, va detto che egli è stato un odioso dittatore, responsabile della morte di centinaia di migliaia di persone e di gran parte della tragedia che è avvenuta. Deploro che non sia stato possibile portare a termine il processo contro di lui. Abbiamo assistito alla fine di un uomo, io credo, decisamente patetico. Dobbiamo continuare a insistere con forza sull’assoluta necessità che Radovan Karadzić e Ratko Mladić siano estradati quanto prima possibile: su questo punto non è ammesso alcun compromesso.
Margie Sudre (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, signora Ministro, signor Commissario, onorevoli colleghi, sabato i ministri degli Esteri dell’Unione hanno ridefinito le prospettive europee dei Balcani occidentali e stabilito che lo scopo ultimo del processo di stabilizzazione e associazione in atto con quei paesi è niente di meno che l’adesione all’Unione europea. Si sono dunque spinti più in là della dichiarazione di Salonicco del 2003, in cui si parlava della grande sfida rappresentata dall’integrazione dei cinque paesi balcanici e della loro futura adesione all’UE. I rappresentanti dell’UMP al Parlamento europeo condividono tale idea e tale prospettiva e sono convinti che, senza i Balcani, l’unificazione europea sarebbe incompleta. Condividono altresì l’opinione che la strada da percorrere sarà lunga e irta di ostacoli; nondimeno chiedono, in primo luogo, che si definiscano chiaramente quelle che sono le questioni reali, in riferimento tanto ai Balcani quanto a qualsiasi altro possibile allargamento futuro. E quali sono le questioni reali? Primo: l’Unione europea ha la capacità di accogliere quei paesi? Vorrei sottolineare che questo è uno dei criteri di Copenaghen, un criterio troppo spesso dimenticato e che si riferisce alla capacità di assorbimento non solo in termini finanziari e istituzionali ma anche in termini politici. I nostri Stati membri e i loro cittadini sono pronti a ricevere altri Stati membri nell’Unione e, se sì, come e quando?
Inoltre, un altro membro dell’Unione, la Francia, ha modificato la sua Costituzione rendendo obbligatoria la consultazione referendaria su ogni allargamento futuro, dopo l’adesione di Romania, Bulgaria e Croazia. I nostri partner possono plaudire a tale decisione oppure deplorarla, ma essa è un innegabile dato di fatto istituzionale.
Infine, per anni i rappresentanti dell’UMP al Parlamento europeo hanno sollecitato un approfondito dibattito all’interno dell’Unione sul tema dei confini dell’Europa. E’ ora che esso abbia finalmente luogo! Dobbiamo prendere atto della realtà e decidere in modo maturo sul futuro dell’Unione europea dal punto di vista dei suoi contenuti politici e dei suoi confini geografici. E’ nostro dovere farlo, ed è un dovere che abbiamo nei confronti dei paesi che stanno bussando alla nostra porta. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità.
Silvana Koch-Mehrin (ALDE). – (DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, desidero confermare ciò che l’onorevole Neyts-Uyttebroeck ha detto riguardo alla posizione del mio gruppo sulle azioni politiche compiute da Israele negli ultimi giorni, e nel contempo rispondere a quanto lei ha affermato sull’importanza di questa fase di transizione. In una fase del genere, l’Unione europea dovrebbe inviare un messaggio chiaro per ribadire i principi su cui si fonda la cooperazione, ovvero la rinuncia alla violenza, l’accettazione degli accordi esistenti e il riconoscimento del diritto di Israele a esistere. Si tratta di principi estremamente importanti, dai quali l’Unione non si deve distanziare in alcun modo. Per tale motivo ritengo che l’Unione compia un grave errore continuando a fornire sostegno finanziario al governo provvisorio.
Se l’Unione deve senz’altro inviare aiuti umanitari alle zone palestinesi e aiutare le persone che vi vivono, non deve invece sostenere le autorità di quei territori, posto che Hamas non ha mai riconosciuto il diritto di Israele a esistere né ha rinunciato alla violenza. Il messaggio che stiamo lanciando è un messaggio letale, visto che Hamas ha ribadito la propria opinione secondo cui la decisione dell’UE di continuare a fornire sostegno finanziario implica l’accettazione della linea politica di Hamas stesso, che continua a rifiutarsi di negoziare con Israele con la motivazione che non ne riconosce la legittimità.
Lo scopo ultimo degli aiuti comunitari è quello di promuovere il processo di pace; tuttavia è errato fornire sostegno finanziario a coloro che cercano di affossarlo. L’Unione deve continuare sulla strada che ha percorso sinora e non cessare gli aiuti finanziari, che rappresentano la sua più importante contropartita negoziale. Per tale motivo vi invito a riconsiderare questo punto.
PRESIDENZA DELL’ON. SARYUSZ-WOLSKI Vicepresidente
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, desidero anzitutto complimentarmi con lei per il risultato storico ottenuto a Lussemburgo, dove ha aperto la strada per l’adesione della Croazia, l’unico paese dell’Europa centrale – oltre alla Svizzera – che non fa parte dell’Unione europea. Mi congratulo con lei anche per il grande coraggio con cui ha avviato la discussione sulle frontiere dell’Europa, una discussione ormai non più rinviabile.
In secondo luogo, vorrei esprimerle la mia gratitudine per aver affermato a Salisburgo che agli altri paesi dell’Europa sudorientale deve essere offerta la prospettiva dell’adesione. Credo sinceramente che dobbiamo insistere su questa posizione, ché non deve esserci alcun dubbio sul fatto che gli Stati dell’Europa sudorientale sono, appunto, europei e hanno il diritto di diventare membri a pieno titolo dell’Unione europea non appena avranno soddisfatto i criteri – e sarà soddisfatto anche il criterio per l’allargamento che si applica per noi.
In terzo luogo – e qui non posso essere d’accordo con l’onorevole Koch-Mehrin – voglio dire che ciò che dovremmo fare per la Palestina non è semplicemente dare aiuti umanitari, bensì anche aiutarla a realizzare il pluralismo – pur riconoscendo che si tratta di un’ardua impresa. Per quanto corrotto e dubbio fosse lo Stato guidato da Fatah, ancor più discutibile sarebbe uno Stato guidato da Hamas. Dobbiamo promuovere il processo di pace e il pluralismo con ogni strumento a nostra disposizione per prevenire il formarsi di una zona d’influenza iraniana dal Golfo al Mediterraneo.
In quarto luogo, l’Iran, che è secondo solo alla Cina come più antica grande potenza mondiale, non è un blocco monolitico; per tale motivo, per affrontare la questione iraniana dobbiamo ricorrere a una combinazione di severità e di intensa attività diplomatica. Anche in questo caso, per quanto inaccettabile sia quel paese sotto la guida del suo attuale presidente, non dobbiamo perdere la fiducia nel dialogo. L’Iran è più che il suo presidente, è uno degli Stati più antichi del mondo, e noi europei dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per rafforzare gli ambienti pluralisti al suo interno ed evitare che degeneri in un paese monolitico e aggressivo.
Ursula Plassnik, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, per quanto riguarda i Balcani, credo veramente che i tempi siano maturi, e mi sento ancor più confermata nella mia decisione di fare di quella regione una priorità della Presidenza austriaca del Consiglio. I tempi erano maturi per una discussione sull’allargamento, e quella che abbiamo avuto a Salisburgo è andata bene. Credo che si possa parlare di un progresso, dato che la cosa peggiore da fare è restare in silenzio e non affrontare le tematiche che devono essere esaminate, non informarne l’opinione pubblica o non spiegarle qual è la posta in gioco, cosa si sta facendo e perché. Sono quindi lieta che abbiamo avuto questa discussione, prestando attenzione anche alle frustrazioni dei paesi dei Balcani occidentali.
Respingo l’idea che la dichiarazione di Salisburgo sia stata un compromesso superficiale o addirittura un passo indietro, e vi invito a studiarne meglio il testo. Vorrei ricordarvi che, nel paragrafo 3, parliamo esplicitamente di adesione all’Unione europea come obiettivo di lungo termine, come l’obiettivo ultimo in conformità della dichiarazione di Salonicco. Quindi, ciò che conta, e che è stato al centro delle nostre discussioni, è la necessità di rendere più credibile e più tangibile la prospettiva dell’adesione, specialmente per i cittadini dei Balcani occidentali. Ciò spiega perché abbiamo discusso di determinati argomenti e perché ne abbiamo discusso in uno spirito altamente costruttivo.
Passando ora al Congo, posso dire che stiamo operando per definire con chiarezza le condizioni concernenti i tempi, le competenze e i contenuti. Lo stiamo facendo a livello di Consiglio, insieme con l’Alto rappresentante Solana, e d’intesa con le autorità congolesi. E’ sicuramente nell’interesse di tutti noi chiarire tale questione.
Quanto all’Iran, ci troviamo in una fase di dispute diplomatiche in seno alle Nazioni Unite. Come osservato da un oratore, ciò che conta veramente è potenziare l’autorità dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, nonché dare spedita applicazione alle molte risoluzioni adottate in materia.
Vorrei concludere con un breve cenno agli avvenimenti di Gerico e Gaza. Quanto è successo ieri è motivo di grave preoccupazione per la Presidenza. Abbiamo sottolineato la necessità di compiere azioni atte a ripristinare la pace e l’ordine, abbiamo detto che tanto l’uso della forza da parte di Israele a Gerico quanto la risposta degli estremisti palestinesi sono tali da destabilizzare ulteriormente una situazione mediorientale già tesa di per sé.
Abbiamo insistito sia presso le autorità israeliane che presso quelle palestinesi perché assumano un comportamento più controllato. Ora entrambe le parti devono valutare con molta attenzione le conseguenze delle rispettive azioni. Abbiamo denunciato con fermezza il sequestro di persone e – come vi ha già detto il Ministro Winkler – abbiamo immediatamente sollecitato l’Autorità palestinese affinché faccia quanto è necessario, sia ora che in futuro, per garantire la sicurezza e la protezione dei cittadini e degli edifici europei. Pur ribadendo la nostra disponibilità a fornire aiuti – intendo dire aiuti di tipo umanitario –, va rilevato però che essi potranno essere impiegati efficacemente solo in un contesto di pace ed è compito di tutte le parti in causa dare il proprio contributo alla creazione di un ambiente pacifico.
Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, come vi avevo annunciato prima dell’interruzione, il Commissario Ferrero-Waldner vi illustrerà stasera le posizioni della Commissione sul Medio Oriente, sulla Palestina e sull’Iran.
Vorrei fare un commento sul prossimo punto all’ordine del giorno: le questioni connesse con l’allargamento e la capacità di assorbimento. Colgo quest’occasione per complimentarmi con il Ministro Plassnik per il suo personale impegno a favore della politica per i Balcani occidentali. Tale impegno è stato molto importante e la Presidenza austriaca ha compiuto nuovi passi avanti verso l’integrazione di quella regione nelle politiche dell’Unione europea, integrazione che è irrinunciabile ai fini della sicurezza e della stabilità dell’intera Europa e dell’intera Unione.
Tutti gli intervenuti nella discussione hanno riconosciuto che la strada che i Balcani occidentali hanno davanti a sé presenta grandi sfide, e che sarà necessario attuare molte riforme prima che essi siano in grado di soddisfare i criteri stabiliti.
E’ altrettanto chiaro che nel Parlamento esiste un consenso sul ruolo essenziale che l’Unione europea svolge ed è tenuta a svolgere nei Balcani occidentali fornendo una prospettiva di adesione che sia credibile – per quanto a medio o a lungo termine, ma pur sempre credibile, posto che una simile prospettiva è la forza che alimenta le riforme e costituisce la base del nostro lavoro a favore della sicurezza e della stabilità.
Soprattutto in relazione al processo sullo status del Kosovo dobbiamo dare tutti prova di grandissimo senso di responsabilità per quanto riguarda i Balcani occidentali e la loro stabilità. Non dobbiamo compromettere la prospettiva comunitaria, che rappresenta il fondamento della sicurezza e della stabilità della regione. Quindi, per evitare di minare la nostra stessa credibilità, non possiamo riprenderci con la mano sinistra ciò che abbiamo dato con la destra. Gli obiettivi chiave per i quali dobbiamo impegnarci sono la sicurezza, la stabilità e il progresso nei Balcani occidentali.
Presidente. – La discussione è chiusa.
9. Documento strategico per l’allargamento (2005) (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0025/2006), presentata dall’onorevole Brok, a nome della commissione per gli affari esteri, sul documento 2005 di strategia per l’allargamento della Commissione (2005/2206(INI)).
Elmar Brok (PPE-DE) , relatore. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signora Presidente in carica del Consiglio, fino a oggi l’allargamento dell’Unione europea è stato l’aspetto più ricco di risultati della politica estera comunitaria, in quanto ha rappresentato un modo per ampliare l’area di stabilità e pace in Europa, nonché per far progredire la causa della pace, della libertà, dei diritti umani e dello Stato di diritto. Si tratta di un punto importante, che non dobbiamo perdere di vista né ora né in futuro.
Tuttavia, dobbiamo anche prendere atto che la stabilità è un obiettivo realizzabile soltanto se l’Unione europea è sufficientemente forte da sviluppare la capacità di far fronte a tali compiti; per tale motivo, ad esempio, la Costituzione ha rappresentato un tentativo retroattivo di rendere effettivamente fattibile l’aggiunta di dieci nuovi Stati membri in termini sia di Istituzioni sia di obiettivi coinvolti, e la ragione delle nostre attuali difficoltà risiede nella fase di stallo in cui versa il processo di ratifica.
Occorre inoltre rendersi conto del fatto che la capacità dell’Unione di accogliere nuovi membri è uno degli aspetti essenziali dei criteri di Copenaghen, benché vi siano ragioni fondate alla base del carattere puramente dichiarativo di tale capacità. Quando raggiungeremo l’interfaccia che emergerà dopo l’adesione di Bulgaria e Romania, tale concetto dovrà comunque essere rimesso in discussione e ridefinito. Per tale ragione chiediamo alla Commissione di chiarire entro la fine dell’anno che cosa si intende con capacità di assorbimento dell’Unione europea in tale contesto, e ciò ci consentirà di sfruttare tale strumento. Ciò che la rende straordinariamente importante è il fatto che si tratta di una questione non soltanto costituzionale, bensì che riguarda altre problematiche correlate alla capacità finanziaria dell’Unione europea e ad altri aspetti.
Ritengo inoltre che occorra chiarire in quale misura l’Unione europea sia in grado di accogliere nuovi membri in modo tale che ciò possa influire in ultima analisi sulla decisione “sì o no?”. La possibilità di un ingresso nell’UE deve essere prospettata non solo ai paesi che hanno già avviato i negoziati di adesione, che sono candidati o ai quali è stata promessa una candidatura dopo Salonicco – una promessa, ci tengo a sottolinearlo per fugare dubbi precedenti e per chiarire la questione, che non può essere ritirata – bensì deve costituire anche un incentivo per le riforme interne estremamente necessarie in paesi quali l’Ucraina, in Stati europei attualmente sottoposti a un regime dittatoriale e che hanno bisogno di una tale prospettiva se devono continuare a rivolgere lo sguardo verso l’Occidente.
A tal fine, la politica di vicinato da sola non è sufficiente. In alcuni casi, i paesi stessi o l’Unione europea hanno difficoltà a coniugare tale politica con la prospettiva dell’adesione a pieno titolo, in quanto in molti casi sono necessari non meno di quindici anni per realizzare tale obiettivo. Se tale progetto vuole essere credibile, occorre una via di mezzo tra le due, che consenta a tali paesi di avere la prospettiva della piena adesione senza essere sottoposti a pressioni poco realistiche di poterla conseguire immediatamente.
Tale possibilità dovrebbe essere aperta a tutti gli Stati che attualmente non fanno parte dell’Unione europea. Vorrei sottolineare ancora una volta che questa potrebbe essere la fase finale per paesi quali la Norvegia – che fa anche parte della Convenzione di Schengen – che dovessero prendere tale decisione sulla base della loro partecipazione allo Spazio economico europeo. Se mi si consente di utilizzare il termine di “Spazio economico europeo plus”, ritengo che si possa fare molta strada con un progetto multilaterale di questo tipo nel campo del mercato interno, della politica interna e di sicurezza, della politica ambientale e di molti altri ambiti.
Potrebbe tuttavia rappresentare anche una fase intermedia. Se gli Stati che oggi, dopo Salonicco, intravedono la prospettiva di un’adesione – quali ad esempio i paesi dei Balcani occidentali, con prospettive di sviluppo tra loro diverse – dovessero decidere di utilizzarla quale passo intermedio prima dell’adesione a pieno titolo, ciò che è stato loro promesso a Salonicco continuerebbe comunque a essere sensato. E’ su tale base che possiamo raggiungere un nuovo livello di flessibilità, rendendo credibile tale prospettiva, perché le cose possono succedere all’improvviso senza che siano necessari quindici anni di negoziati, per poi dover esprimere un “sì” o un “no”.
Mi rendo conto che in alcuni paesi l’allargamento implica una consultazione popolare e pertanto non possiamo sapere se avrà luogo la ratifica. Ciò significa che vogliamo tentare di non adottare semplicemente una strategia del “tutto o niente”, bensì di creare un modo per offrire a tali paesi prospettive credibili, salvando e promuovendo nel contempo il progetto politico rappresentato dall’Unione europea.
(Applausi)
Ursula Plassnik, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, desidero ringraziare la vostra Assemblea e il presidente della commissione per gli affari esteri per l’esaustiva relazione sul documento 2005 di strategia della Commissione. Il tema in questione è oggetto di dibattiti costanti in seno al Consiglio, non da ultimo in riferimento alle decisioni pratiche che dobbiamo prendere. In linea con quanto riferito, nella riunione “Gymnich” abbiamo dato vita a un dibattito approfondito e di qualità sull’argomento, che non si è ancora esaurito. Ritengo che sia un punto decisamente essenziale, in quanto astenersi da un dibattito suscita sospetti nell’opinione pubblica, e noi dobbiamo adoperarci al fine di rafforzare la familiarità del pubblico europeo col progetto europeo nel suo complesso, e allo scopo di creare più fiducia e chiarezza. Si tratta di una delle questioni che più mi stanno a cuore nella mia qualità di Presidente in carica, ed è per tale ragione che accolgo con favore il dibattito attualmente in corso.
L’esigenza di assicurarci il sostegno pubblico a favore del processo di allargamento ci obbliga a migliorare il flusso di informazioni e la nostra attività di pubbliche relazioni, e contemporaneamente a spiegare meglio le singole fasi. Dobbiamo semplicemente dire con chiarezza che saremo precisi e cauti e che, pur non agendo precipitosamente, non faremo nemmeno in modo di frenare arbitrariamente il processo. Si tratta di una considerazione essenziale per me.
Non voglia il Cielo che, introducendo tale concetto di “capacità di assimilazione”, imponiamo un ostacolo aggiuntivo e arbitrario; al contrario, si tratta di prendere personalmente consapevolezza e di sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di certe verità fondamentali cruciali ed evidenti. Ogni passo del processo di allargamento, ogni nuova adesione richiede due partecipanti, uno dei quali è l’Unione europea, e l’altro il paese che ne vuole entrare a far parte.
Vogliamo prepararci alle prossime adesioni con il maggior impegno possibile. Anche in tal senso Salisburgo ha rappresentato a mio parere un traguardo importante, perché era essenziale rivolgere lo sguardo ai tre anni passati e alle misure concrete future: tale occasione ci ha consentito di chiarire meglio la nostra attuale posizione e la nostra effettiva preparazione, a livello interno o estero. Possiamo inoltre contare sulla consapevolezza che ci deriva dalla competenza da noi acquisita in occasione dell’ultimo allargamento, e dobbiamo essere risoluti nell’applicare anche nei confronti del partenariato la nostra conoscenza della trasformazione.
Come già ribadito nel dibattito precedente, anche la responsabilità locale mette in luce gli standard europei che, seppur equi, devono essere rispettati rigorosamente, come indubbiamente chiarito nella relazione della Commissione del novembre 2005.
In questa discussione dovremmo tuttavia anche essere onesti sulle aspettative che i cittadini nutrono nei confronti dell’Unione europea, soprattutto sulle attese di coloro che nell’Unione vivono. Meritiamo la chiarezza reciproca, e solo noi possiamo garantirla. Non dobbiamo firmare assegni senza avere il capitale per coprirli.
Chiedo inoltre un approccio meno omologato a ogni singolo paese: dobbiamo infatti adottare un atteggiamento onesto nei confronti di ciascuna di tali nazioni, e ciò deve essere una certezza. Nel dibattito in corso, la Presidenza presterà pertanto particolare attenzione ai contributi provenienti dalla vostra Assemblea.
Vorrei ora descrivervi in breve le decisioni effettive su cui stiamo lavorando. La prima riguarda la Romania e la Bulgaria: a tale proposito le relazioni sono incoraggianti e abbiamo già un obiettivo di adesione fissato per il 1° gennaio 2007, seppure con la possibilità che venga rinviato di un anno. Sono stati avviati i negoziati di adesione di Turchia e Croazia; il segnale di inizio è stato lanciato ufficialmente il 3 ottobre dello scorso anno. Siamo attualmente impegnati nel processo di analisi dell’acquis comunitario. Noi, la Presidenza, abbiamo scritto a Croazia e Turchia invitandole a definire la loro posizione negoziale sul primo capitolo, “Ricerca e sviluppo”.
Condividiamo il parere della vostra Assemblea che occorra un progresso continuo nell’adempimento di tutti i criteri politici ed economici e nella realizzazione dei diritti fondamentali, dello Stato di diritto e della democrazia. Per quanto riguarda la Turchia, la Presidenza ha accolto con favore la risoluzione del caso Orhan Pamuk e, in occasione della riunione della troika tenutasi recentemente a Vienna, ha dichiarato apertamente di attendersi che i processi tuttora in corso ai sensi dell’articolo 301 del codice penale turco vengano gestiti in maniera analoga oppure che la legge venga addirittura modificata.
Anche noi stiamo seguendo con attenzione l’attuazione del protocollo di Ankara, e faremo in modo che quest’anno gli organi competenti provvedano a rivederlo, in conformità alla dichiarazione del Consiglio del 21 settembre 2005.
Reputiamo altrettanto importante l’avvio del partenariato di adesione con la Croazia, e abbiamo espresso il nostro plauso nei confronti dell’iniziativa del Primo Ministro croato di garantire una cooperazione incondizionata con il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e il proseguimento della medesima. Condividiamo l’opinione della vostra Assemblea secondo cui la Croazia sta contribuendo maggiormente alla cooperazione regionale, ma sono necessari ulteriori sforzi.
Sul tema dei Balcani occidentali ho detto tutto quello che c’era da dire. Anche la strategia del Consiglio volta a ottenere la piena collaborazione di Serbia e Montenegro con il Tribunale internazionale per i crimini di guerra è chiara, e abbiamo trasmesso un segnale molto chiaro in tal senso nella nostra ultima riunione. Appoggiamo il lavoro dell’inviato speciale dell’ONU per il Kosovo, Martti Ahtisaari, e riteniamo che l’Unione europea, grazie all’intervento del proprio delegato speciale Javier Solana, sia in grado di fornire un contributo, in maniera straordinariamente positiva e diplomatica, per raggiungere un accordo sulle condizioni per il referendum del 21 maggio.
(Applausi)
Olli Rehn , Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, visto che è ancora presente, vorrei congratularmi con l’onorevole Brok per questa importante relazione. Come ha giustamente rilevato, l’allargamento rappresenta effettivamente uno degli strumenti politici più potenti a disposizione dell’UE per perseguire la pace e la prosperità, la libertà e la democrazia. L’allargamento a est del 2004 ha sigillato la riunificazione pacifica tra l’Europa occidentale e orientale. La nostra energia è ora rivolta all’unificazione pacifica dell’Europa sudorientale. Il nostro processo di adesione graduale e gestito con prudenza si basa su tre principi chiave.
In primo luogo, abbiamo consolidato la nostra agenda per l’allargamento. Significa che dobbiamo essere prudenti prima di assumere nuovi impegni, ma allo stesso modo dobbiamo attenerci alle promesse prioritarie da noi formulate ai paesi candidati o ai potenziali candidati le cui procedure sono già in corso. La nostra agenda consolidata per l’allargamento riguarda precipuamente l’Europa sudorientale: Bulgaria e Romania, Turchia e Croazia, e gli altri paesi dei Balcani occidentali.
In secondo luogo, applichiamo una condizionalità rigorosa. Se affiancata da una prospettiva di adesione credibile, la condizionalità funziona. Ha contribuito a trasformare i paesi dell’Europa centrale in moderne democrazie. Più di recente, ha ispirato riforme coraggiose e radicali in Turchia, e in modo crescente anche nei Balcani occidentali. Ciò è dimostrato anche da alcuni importanti eventi recenti: il generale Ante Gotovina è infatti dietro le sbarre a L’Aia mentre lo scrittore Orhan Pamuk è libero di esprimere le proprie opinioni.
La politica di allargamento e la politica di vicinato si completano a vicenda. Inoltre, la Commissione è disposta ad approfondire e a migliorare qualitativamente la cooperazione con i nostri partner confinanti una volta che saranno state adeguatamente affrontate le priorità principali dei piani d’azione attuali.
Nel contempo, dovremmo evitare le trappole insite in un dibattito eccessivamente astratto sui confini definitivi dell’Europa. Poiché ora disponiamo di un’agenda consolidata per l’allargamento, una discussione teorica – ad esempio se l’Ucraina debba o meno aderire all’Unione europea – non gioverebbe né a noi né agli ucraini, ora che sono in gioco l’orientamento futuro e lo sviluppo democratico del paese.
Il ritmo dell’allargamento deve indubbiamente tener conto della capacità di assimilazione dell’UE. La Commissione ha sempre sostenuto tale posizione. L’allargamento consiste nella condivisione di un progetto sulla base di principi, politiche e istituzioni comuni. L’Unione deve garantire di poter mantenere la propria capacità di azione e decisione in base a un equilibrio ragionevole all’interno delle proprie Istituzioni, rispettando i limiti di bilancio e attuando politiche comuni che funzionino bene e realizzino i fini per i quali sono state concepite.
Per più di tre decenni l’UE ha assorbito con ottimi risultati un insieme molto eterogeneo di paesi, come possiamo ad esempio constatare osservando la composizione di quest’Assemblea, in particolar modo il Presidente che vigila su questo dibattito e il Commissario competente. Sviluppando le proprie politiche e Istituzioni, l’Unione ha reagito efficacemente alle nuove circostanze, quali la caduta delle dittature, il collasso del comunismo e l’emergere della globalizzazione economica. L’allargamento si è dimostrato un ottimo ammortizzatore per l’Europa.
In terzo luogo, occorre migliorare la comunicazione. La relazione chiede giustamente una strategia per la comunicazione, e di fatto un ampio sostegno pubblico è essenziale per tutto ciò che fa l’Unione, compreso l’allargamento. Mi affido al sostegno politico e finanziario del Parlamento per lo svolgimento di un dibattito informato sull’allargamento.
Per concludere, il consolidamento si è rivelato necessario per evitare di mettere a dura prova i nostri impegni di allargamento. Non dobbiamo tuttavia dimenticare il nostro interesse strategico: sarebbe immensamente irresponsabile scompaginare un processo prezioso che sta contribuendo alla creazione di partner solidi ed efficaci nelle aree più instabili d’Europa. Se dovessimo vacillare sulla prospettiva europea dei Balcani occidentali, intaccheremmo seriamente la nostra presenza benefica, la nostra influenza politica e il nostro impatto, proprio nel momento in cui la regione inaugura un periodo difficile di trattative sullo status del Kosovo.
La prospettiva comunitaria è la chiave di una soluzione sostenibile per il Kosovo e di uno sviluppo democratico in Serbia e nel resto della regione. Sono le basi su cui poggia un futuro pacifico e riformista della regione. Pertanto, per il bene dell’Europa, non scuotiamo tali fondamenta, e assicuriamoci che l’edificio ancora fragile dei Balcani non si sgretoli ai nostri piedi, nel nostro stesso cortile di casa!
(Applausi)
Giorgos Dimitrakopoulos , a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, vorrei iniziare ringraziando il relatore e presidente della commissione per gli affari esteri, onorevole Brok, per la sua importante relazione e, nel contempo, desidero congratularmi con lei, signora Presidente in carica del Consiglio, per l’interesse e la risolutezza di cui sta dando prova, in qualità sia di ministro austriaco per gli Affari esteri sia di Presidente in carica del Consiglio, per quanto riguarda la questione dei Balcani. Mi congratulo anche con il Commissario per la comunicazione completa ed esauriente della Commissione che ha sottoposto alla nostra attenzione.
Vorrei soffermarmi molto brevemente sui seguenti punti.
In primo luogo, è giusta l’idea centrale su cui si fonda la relazione Brok, vale a dire l’importanza delle prospettive europee di numerosi paesi, la maggior parte dei quali si trova nei Balcani. Nel contempo, i paragrafi 5, 9 e 10 della relazione, se considerati nel loro complesso, forniscono il punto di riferimento sulla base del quale l’Unione europea prende ora in considerazione i futuri allargamenti.
Per quanto riguarda la Turchia, desidero esprimere il mio sostegno alla prospettiva europea di questo paese, tuttavia ritengo, come è stato giustamente osservato, che dobbiamo concentrarci in primo luogo sulla questione del Protocollo di Ankara. Solo il Protocollo – ripeto, solo il Protocollo – deve essere ratificato, non la dichiarazione unilaterale e, ovviamente, la questione dell’aggiornamento del quadro giuridico entro il quale opera il paese.
Per quel che concerne il Kosovo, concordo sul fatto che durante i negoziati occorra prestare attenzione allo status finale, ma è anche necessario prepararci a come applicare la decisione assunta in merito allo status definitivo del paese.
Per quanto riguarda la ex Repubblica jugoslava di Macedonia, attualmente gode dello status di paese candidato, e fin qui nessuna obiezione, ma proprio questa sua condizione implica diritti e doveri, uno dei quali consiste nel dare prova di un atteggiamento costruttivo nel dialogo con la Grecia, in modo da risolvere l’ultima questione ancora in sospeso, quella del nome.
Infine, in merito alla Serbia, convengo sulla necessità e sul fatto che la cooperazione della Serbia con il Tribunale dell’Aia rappresenti un obbligo, ma ciò fa parte di una serie di criteri che la Serbia deve soddisfare, e vorrei che facessimo attenzione a non “croatizzare” il caso della Serbia. Anche lei ha un’opinione personale in proposito, signora Ministro.
Jan Marinus Wiersma , a nome del gruppo PSE. – (NL) Signor Presidente, nel proprio documento la Commissione non usa mezzi termini: benché non preveda nuove tornate di allargamento con l’adesione contemporanea di un ampio numero di paesi, nel contempo sostiene – e a ragione, secondo me – che l’Unione europea è e sarà un’organizzazione che rimane aperta ad accogliere nuovi membri, seppure a determinate condizioni. Benché l’adesione dei dieci nuovi membri nel 2004 sia stata coronata dal successo, non tutti i cittadini concordano su ciò. Occorre pertanto uno sforzo ulteriore per pubblicizzare tale processo andato a buon fine.
A nome del gruppo, posso dire che sosteniamo a grandi linee la relazione Brok, che ringrazio per gli interessanti lavori preparatori in cui siamo stati coinvolti negli ultimi mesi. I socialdemocratici sono decisamente a favore dell’attenzione ulteriore che viene devoluta al criterio della capacità di assorbimento. Lo stallo in cui versa la ratifica della Costituzione svolge un ruolo importante in tal senso. In assenza di riforme interne, sarà difficile guidare efficacemente l’adesione di nuovi Stati membri.
Come espresso in occasione di precedenti risoluzioni, siamo del parere che il Trattato di Nizza non costituisca una base per prendere nuove decisioni sull’adesione. Occorre tuttavia maggiore chiarezza sul concetto di capacità di assorbimento come è stato espresso nei criteri di Copenaghen, e la relazione rivolge opportunamente l’attenzione anche a questo aspetto.
Vorrei cogliere l’occasione per illustrare il punto di vista dei socialdemocratici circa la possibile adesione di vari paesi. Per quanto riguarda i nostri vicini orientali Ucraina e Moldova, ritengo che non sia il momento adatto di discutere la loro adesione. Dovremmo invece investire nella cooperazione concreta. Abbiamo siglato piani d’azione con tali paesi, e dovremmo tentare di portarli efficacemente a termine.
Relativamente ai Balcani, appoggiamo la posizione del Consiglio. In linea di principio, i paesi dei Balcani occidentali hanno la prospettiva di un’adesione, anche se scaglionata. Per quanto riguarda la Turchia, noi personalmente proseguiremo lungo il percorso già scelto. Siamo in procinto di avviare un processo che durerà molti anni, ed è estremamente importante attenersi fermamente alle promesse, ma anche alle condizioni che abbiamo delineato a tale proposito.
Sempre per restare sul tema dei Balcani, vorrei aggiungere che mentre l’importanza vitale dei criteri di Copenaghen è per noi fuori discussione, il gruppo socialista al Parlamento europeo continua ad attribuire una notevole rilevanza alla cooperazione con il Tribunale per l’ex Jugoslavia come criterio di massima. Ritengo inoltre – e se ne è discusso molto – che la cooperazione regionale possa offrire un contributo degno di nota al riavvicinamento di tali paesi all’Unione.
Infine – e sto per menzionare il punto verosimilmente più importante della discussione – la relazione accenna alla possibilità di creare un nuovo quadro multilaterale per i paesi europei non ancora membri dell’Unione. Per alcuni paesi potrebbe rappresentare l’alternativa all’adesione, mentre per altri potrebbe essere una fase intermedia prima dell’ingresso. Per Ucraina e Moldova, ad esempio, una struttura del genere potrebbe rappresentare un passo successivo interessante, mentre per i paesi già riconosciuti quali potenziali membri porrei l’accento sul fatto che si tratta di un’opzione e non di un obbligo.
La questione è formulata chiaramente in questi termini anche nella relazione Brok. E’ una soluzione per cui tali paesi potrebbero optare se lo giudicassero utile. Non è un’alternativa alla prospettiva di adesione. Si applica alla Turchia così come ai paesi balcanici. Voglio sottolineare che questa è la nostra interpretazione del paragrafo 10 del progetto di risoluzione. E’ in questi termini, e non in altri, che noi della commissione per gli affari esteri abbiamo raggiunto un accordo con il relatore.
Cecilia Malmström , a nome del gruppo ALDE. – (SV) Signor Presidente, l’allargamento rappresenta il più grande coronamento della politica di cooperazione europea. L’unificazione di Oriente e Occidente nel maggio 2004 ha segnato la fine della divisione dell’Europa e ha mostrato il potere del sogno di un’Europa unita basata sulla democrazia, il libero commercio e il rispetto per lo Stato di diritto. L’adesione all’Unione è stato l’incentivo che ha aiutato le forze potenti della riforma nelle ex dittature comuniste. La prospettiva di un ingresso nell’Unione è anche immensamente importante per i negoziati e le riforme in Turchia e nei paesi balcanici. In tali regioni, l’UE dispone di riserve incredibili di ciò che viene definito il potere soft, che contribuisce a creare un’Europa più stabile e democratica. Noi del mio gruppo riteniamo che sia importante, come sancito dal Trattato, tenere aperta la porta dell’allargamento. Ovviamente i criteri vanno applicati, e la capacità dell’UE di accogliere nuovi paesi è una considerazione basilare. Tuttavia, occorrono cambiamenti a livello interno e l’avvio di un dibattito sull’allargamento che non miri a colpevolizzarlo.
Sono al corrente del fatto che in molti paesi è in corso un dibattito e serpeggiano timori a proposito del ritmo serrato dell’allargamento dell’Unione e degli sviluppi che potrebbero scaturirne. Tale dibattito va condotto in maniera rispettosa e diretta, ma dobbiamo anche avere il coraggio di difendere i vantaggi dell’allargamento e di richiamare l’attenzione su di essi. In tale contesto, il dibattito sul protezionismo economico è estremamente preoccupante. Abbiamo una responsabilità nei confronti dei paesi vicini. Le nostre promesse ai paesi balcanici e alla Turchia vanno mantenute. Sono loro a stabilire il ritmo, e noi dobbiamo fare il possibile per accelerare le cose. Dobbiamo inoltre tenere la porta aperta per accogliere altri paesi quali l’Ucraina e forse, un giorno, anche la Bielorussia, benché al momento la situazione del paese sia estremamente critica. La speranza di entrare nell’UE è la forza che tiene in vita l’opposizione e le forze della democrazia in tali nazioni.
Per tale motivo ci opponiamo alla definizione dei confini geografici dell’Europa. Il Parlamento ha conferito slancio all’allargamento e, un anno fa, eravamo nell’Aula di Bruxelles, con le nostre sciarpe arancione al collo, ad applaudire il Presidente Yushchenko. Abbiamo adottato una risoluzione in cui ci siamo soffermati sulle prospettive di adesione dell’Ucraina. E’ un obiettivo, e forse remoto. Come ha detto l’onorevole Brok, il popolo ucraino è sospeso tra la democrazia e la dittatura. Se fissassimo i confini dell’Europa, dal punto di vista di quel popolo sarebbe come vedersi sbattere la porta in faccia. Sarebbe un errore di portata storica.
Invece di introdurre nuovi concetti quali gli accordi multilaterali, dovremmo – come ha osservato anche il Commissario Rehn – cogliere l’opportunità di personalizzare la strategia di vicinato a seconda dei potenziali Stati membri e di dotarla di una forma concreta. Presentare nuovi concetti che non abbiamo discusso a dovere e dei quali ignoriamo le implicazioni non sembra una mossa molto produttiva al momento.
(Applausi da vari banchi)
Joost Lagendijk , a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signor Presidente, in seno alla commissione per gli affari esteri il mio gruppo ha votato a favore della relazione Brok per due ragioni. Riteniamo che sia necessario definire più puntualmente il concetto di capacità di assorbimento. Si tratta di un concetto che va di moda ed è molto versatile, a cui è possibile associare tutto ciò che si vuole, e ciò significa che occorre trovare una risposta alla questione dei confini geografici, in quanto non la possiamo più eludere.
Condividiamo il parere secondo cui l’Unione si debba impegnare a riflettere su uno stadio intermedio tra adesione a pieno titolo e vicinato, nell’interesse di quei paesi che non dispongono ancora di una prospettiva di adesione. Non mi riferisco quindi alla Turchia o ai Balcani occidentali, bensì all’Ucraina, alla Moldova o alla Bielorussia. Devo ammettere che il mio gruppo e io siamo rimasti profondamente delusi, e francamente anche molto contrariati, nel vedere che nei giorni immediatamente precedenti l’odierno dibattito i mass media hanno travisato le parole della relazione in modo controproducente per molti punti centrali.
Se si leggono le notizie diffuse poco prima del presente dibattito, la conclusione che se ne ricava è la necessità di creare uno stadio intermedio per paesi quali la Turchia e i Balcani occidentali. Siamo onesti: non è una coincidenza che ciò corrisponda guarda caso all’opinione del relatore, che non ha mai avuto alcuna intenzione di dissimularla. L’onorevole Brok è sempre stato contrario all’apertura dei negoziati con la Turchia e, dopo la bocciatura della Costituzione, è divenuto via via più scettico nei confronti della prospettiva di adesione dei Balcani occidentali. Il relatore ha tutti i diritti di avere tale opinione, che però non coincide con quella della maggioranza della commissione per gli affari esteri. Per di più, non corrisponde nemmeno al contenuto della sua relazione.
Al relatore converrebbe esprimere con chiarezza il contenuto della relazione al di fuori di quest’Aula senza confonderlo con le sue opinioni personali. Nella relazione il Parlamento ribadisce di non voler interferire con la prospettiva di adesione della Turchia e dei Balcani occidentali e afferma che i passi intermedi costituirebbero un’opzione per tali paesi solamente se decidessero a favore di tale soluzione. Tutti sanno benissimo, me compreso, che i paesi dei Balcani occidentali e la Turchia non vogliono percorrere tale via; vogliono la piena adesione. Smettiamola di creare ambiguità in quest’Assemblea ma, soprattutto, al di fuori di quest’Aula.
Erik Meijer , a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Signor Presidente, fino a poco tempo fa un allargamento rapido e di ampia portata veniva considerato un enorme passo avanti, e una mossa meritevole di sostegno universale. Veniva visto alla stregua della riunificazione d’Europa e della vittoria dell’Occidente nella guerra fredda. Dopo l’allargamento su vasta scala del 2004, il clima è mutato radicalmente. L’opinione pubblica nei vecchi Stati membri non percepisce tale allargamento come un processo riuscito, soprattutto in seguito al crescente sfruttamento delle disparità che sussistono tra i paesi con retribuzioni elevate e quelli con bassi livelli salariali.
Anche i politici stanno prendendo le distanze. Tale mutamento si percepisce nella relazione sulla strategia per l’allargamento, oggetto del dibattito odierno. Si richiama l’attenzione sulla capacità di assorbimento dell’UE, sui suoi confini esterni, sui costi che l’allargamento comporta e sui problemi amministrativi riconducibili all’assenza di una Costituzione europea. Di conseguenza, Romania e Bulgaria saranno presumibilmente gli ultimi paesi a cui sarà concesso di aderire nel breve termine. Gli altri Stati europei dovranno accontentarsi della politica di vicinato. Persino per i paesi che sono già stati selezionati come candidati, non è stata stabilita alcuna data di adesione.
In tutti i Balcani occidentali, nei paesi riconosciuti come negli Stati federali o nei protettorati che lottano per l’indipendenza, dove vivono gruppi di persone che parlano lingue diverse e praticano confessioni religiose diverse e che, negli anni ’90, erano ai ferri corti, l’opinione pubblica si attende i miracoli di un rapido processo di adesione all’Unione europea. L’UE sfrutta tali aspettative per esigere riforme e, in tal modo, dà luogo a ingerenze profonde nelle scelte amministrative compiute in tali paesi.
Al momento l’UE non vuole l’allargamento, ma ambisce a esercitare un’influenza al di fuori dei propri confini. Per questo in Bosnia-Erzegovina vige ora un sistema fiscale che nessuno aveva richiesto, e l’autonomia regionale garantita nell’accordo di Dayton viene via via ridimensionata. Stando alle affissioni propagandistiche, è merito della presenza militare dell’Unione se questo paese sta per aderire all’Unione europea. L’opinione pubblica in Montenegro e Kosovo, aree in cui quattro anni fa, parallelamente ai 12 Stati membri, è stato introdotto l’euro quale valuta legale, dà per scontato che i propri paesi verranno ammessi a breve nell’Unione in qualità di Stati indipendenti, mentre la popolazione di lingua ungherese della Vojvodina si aspetta di essere tutelata dal predominio slavo.
Finora le azioni dell’UE hanno deluso tali popoli. Non abbiamo di meglio da offrire a questi paesi dei Balcani occidentali che non l’invito a formare un mercato comune nel territorio della ex Jugoslavia e ad adeguare il loro governo e la loro economia ai nostri desideri, senza poter entrare nell’Unione prima del 2020? Il mio gruppo non riesce a mostrare troppo entusiasmo per tale proposta.
Tuttavia, riconosciamo che tale testo ci consente di sottolineare che l’imminente referendum indetto in Montenegro dovrà essere preso sul serio, e che il conflitto sull’utilizzo del nome “Macedonia” andrebbe risolto celermente nell’ambito di un’efficace consultazione tra la Grecia e il paese confinante a nord. Un altro aspetto positivo è che in Kosovo dovrà essere individuata quanto prima una soluzione che concili le esigenze della vasta maggioranza albanese e delle minoranze serbe e rom.
Bastiaan Belder , a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, è difficile conciliare l’ipernazionalismo, noto anche col nome di sciovinismo, con l’adesione all’Unione europea, e ciò vale naturalmente anche per i paesi candidati. Purtroppo, uno di tali paesi candidati è estremamente sciovinista: mi riferisco alla Turchia, che è già oggetto di molte dispute.
Nello scenario attuale, ho due domande che vorrei rivolgere al Commissario Rehn. E’ vera l’informazione che mi è stata trasmessa ieri sera da un esperto secondo cui la posizione delle chiese cristiane in Turchia si è visibilmente deteriorata?
Alla luce di tale notizia, l’omicidio del sacerdote italiano Andrea Santoro, avvenuto il 5 febbraio nel porto di Trabzon, non è un caso isolato. Un tentato omicidio identico a questo è stato perpetrato di recente nella città di Mersin, e alle chiese vengono indirizzate telefonate minatorie o minacce dirette persino dalle pagine dei giornali. A tale proposito, secondo il vicario anglicano Ian Sherwood, attivo a Istanbul, l’élite turca considera intellettualmente inaccettabile, se non potenzialmente criminale, la diffusione della letteratura cristiana in turco. Signor Commissario, come si riconcilia tutto ciò con la libertà religiosa in Turchia? Per quanto ne so, non è stato compiuto alcun progresso relativamente a questo aspetto importante dei criteri politici di Copenaghen.
Ieri sera mi è capitato di appurare che Trabzon si trova nella cosiddetta valle dei lupi. “La valle dei lupi” è anche il titolo di un film di produzione turca che trasuda sciovinismo, nel vero senso del termine, e che è noto per essere radicalmente anticristiano, antisemita, antiamericano e anticurdo. E’ già un enorme successo di botteghino in Turchia, e ha suscitato il plauso entusiasta dell’entourage più stretto del Primo Ministro Erdogan e del Presidente del parlamento turco.
Vorrei chiedere al signor Commissario se con il Primo Ministro Erdogan e il Ministro Gul ha già affrontato il tema dello sciovinismo turco, che è totalmente incompatibile con i valori europei.
Konrad Szymański , a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, è molto importante che la relazione prodotta dall’onorevole Elmar Brok ci abbia fornito oggi l’opportunità di parlare dell’allargamento.
Dobbiamo sicuramente rafforzare la politica di vicinato e ci occorre un nuovo rapporto più serio tra l’Unione e i paesi con cui quest’ultima condivide i confini. Fino ad ora la politica di vicinato non si è dimostrata uno strumento sufficiente. Ciò è stato comprovato dal fatto che, nel corso della sua attuazione, i paesi da essa interessati hanno attraversato periodi di crisi e destabilizzazione su larga scala.
Le nuove forme di cooperazione proposte nella relazione non possono tuttavia chiudere la porta alle adesioni. Oggi dobbiamo essere consapevoli che se non offriamo ai paesi limitrofi orientali la prospettiva dell’adesione, i nostri appelli a favore di democrazia, economia di mercato e rispetto dei diritti umani cadranno nel vuoto. Se non verrà loro offerta per lo meno la prospettiva di un’adesione in un lontano futuro, tali paesi rientreranno nella sfera dell’influenza russa, con tutto ciò che questo comporta in termini di democrazia e di diritti umani.
Tuttavia, nella medesima relazione emergono e si rafforzano opinioni sull’allargamento in termini di capacità di assorbimento. Tale termine non è mai stato definito con chiarezza e oggi non rappresenta null’altro che un pretesto apparentemente intelligente, una spiegazione a buon mercato per tirarsi indietro dal processo di allargamento. Se la capacità di assorbimento deve basarsi sull’accettazione della Costituzione, l’impressione che si ricava è che gli autori del testo in questione vogliano indubbiamente chiudere la porta in faccia a tutti. Il Trattato, nella versione in cui lo conosciamo oggi, non potrà mai sopravvivere.
Imporre alla Commissione europea di definire i confini dell’Unione è un errore. Susciterà solamente discussioni politiche imbarazzanti di stampo geografico e indebolirà sicuramente l’influenza esercitata dall’Unione sui processi di democratizzazione, stabilizzazione e rafforzamento della politica a favore dell’Occidente nei paesi limitrofi. Questo Parlamento è spesso stato paladino del processo di integrazione. Ha stabilito obiettivi ambiziosi. Oggi, questo stesso Parlamento si sta dimostrando un organo estremamente conservatore e passivo. Nasce spontanea la domanda: perché?
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, vorrei richiamare la vostra attenzione su alcune imperfezioni e contraddizioni contenute nella relazione sulla Turchia. La relazione enumera un tale catalogo di problemi di fondo che viene da chiedersi sconcertati perché non si sia ancora giunti all’unica conclusione logica possibile, vale a dire che l’avvio dei negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione europea è stato di per sé un errore colossale.
Come ha testé spiegato nel dettaglio l’onorevole Belder, sussistono violazioni dei diritti delle minoranze nazionali e religiose. La tortura continua a essere praticata senza ritegno e, ai sensi dell’articolo 310 del codice penale, per citarne soltanto uno, la libertà di parola e di stampa non possono essere garantite. Inoltre, la Turchia non ottempera palesemente agli obblighi che le spettano in relazione all’unione doganale. Le navi e gli aerei ciprioti non hanno ancora il permesso di accedere al territorio turco.
Nelle ultime settimane abbiamo inoltre assistito all’acuirsi della tensione tra le autorità turche e determinati gruppi di etnia curda. Il comandante in seconda dell’esercito turco, nientemeno, è accusato di aver architettato un bombardamento la cui responsabilità doveva essere attribuita ai curdi. Alcuni militari considerano tale atto d’accusa alla stregua di una manovra orchestrata dal governo, che vorrebbe destabilizzare il generale in questione a causa del suo atteggiamento nei confronti del fondamentalismo islamico.
In alcuni ambienti si ventila persino la possibilità di un nuovo colpo di Stato militare, nel caso in cui la situazione dovesse subire un’ulteriore escalation.
Occorre ammettere che il futuro non è poi così roseo, e questo in un paese che aspira a entrare nell’Unione europea tra pochi anni. Dovremmo dire la verità e ammettere che è assolutamente insensato. La relazione ci ricorda a ragione che tra i criteri di Copenaghen figura la nostra capacità di assorbimento. Questa base da sola sarebbe sufficiente per revocare la nostra decisione di avviare i negoziati con la Turchia.
Doris Pack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signora Presidente in carica del Consiglio, in qualità di presidente della delegazione per l’Europa sudorientale, appoggio incondizionatamente ciò che afferma la relazione Brok a proposito di ogni singolo paese e delle richieste che vengono avanzate. Ciascuna nazione ha i propri problemi specifici e deve essere giudicata sulla base dei risultati raggiunti; di conseguenza, sarebbe decisamente auspicabile prendere in considerazione l’ipotesi di un’adesione tempestiva della Croazia. Ciò trasmetterebbe un segnale importante di stabilizzazione all’intera regione, in quanto i traguardi raggiunti dalla Croazia nella sfera sia politica sia economica non sono in alcun modo inferiori a quelli dei due paesi di prossima adesione.
Tuttavia, adesso che ci avviamo alla chiusura del dibattito, vorrei sollevare un punto, un concetto che non traspare apertamente dalla relazione Brok e che invece assume maggiore rilevanza nei mass media pubblici. Mi riferisco alle presunte modifiche della strategia per l’allargamento. Nessuno risponde alla domanda sui confini dell’Unione europea. Lo stesso Commissario Rehn ha ribadito che si tratta di una domanda cui va data una risposta, ed è proprio questo che suscita la preoccupazione dei cittadini. La mia opinione personale è che con l’adesione di Bulgaria, Romania e dei paesi dei Balcani occidentali l’UE raggiungerà i propri limiti. Per tutti gli altri paesi abbiamo elaborato il nuovo strumento della politica di vicinato e dobbiamo iniziare ad affrontarlo seriamente. I negoziati precipitosi con la Turchia sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso in termini di insicurezza e disorientamento dei cittadini.
Sosteniamo da dieci anni che non ci dev’essere alcun allargamento senza una riforma istituzionale dell’UE, tuttavia il Consiglio non ha iniziato a prendere in considerazione tale necessità fino a dopo l’ultimo allargamento, e siamo stati tutti penalizzati per questo dai risultati dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi. Tuttavia, se su quella base dovessimo concludere che non devono essere permesse ulteriori adesioni, le conseguenze sarebbero fatali. Dobbiamo affrettarci a mettere mano agli strumenti necessari previsti naturalmente dalla Costituzione e a utilizzarli per ripristinare la nostra capacità di accogliere nuovi membri. Se non vogliamo compromettere quello che fino ad oggi è stato il nostro grande impegno nei confronti dei Balcani, dobbiamo essere coerenti e risoluti nel continuare ad avvicinare tali paesi all’UE.
Accolgo con entusiasmo ciò che hanno affermato sul tema sia il Commissario Rehn sia la Presidente in carica Plassnik. A tutte queste nazioni era stata giustamente promessa l’adesione all’UE a condizione che avessero soddisfatto i criteri. Ciò era e continua a essere un motore importante di cambiamento nell’era successiva ai conflitti terribili che hanno dilaniato la ex Jugoslavia e alla dittatura di Ever Hoxha in Albania. E’ evidente a chiunque osservi razionalmente la cartina geografica che questa regione si trova nel cuore dell’UE. La sua stabilità è anche la nostra stabilità. Negli anni ’90 abbiamo vissuto e sofferto tutti la situazione opposta, tuttavia temo – e posso dire alla Presidente in carica del Consiglio che la vaghezza e l’imprecisione di ciò che è stato dichiarato a Salisburgo giustificano questa mia paura – che certi europei abbiano intenzione di piantare in asso per la seconda volta gli Stati dell’Europa sudorientale, e noi non possiamo permetterlo.
Helmut Kuhne (PSE). – (DE) Signor Presidente, accolgo con favore il cambiamento di prospettiva che emerge dalla relazione dell’onorevole Brok. I nostri dibattiti non possono più riguardare la nostra preferenza per un paese o per un altro; è invece tempo di rispondere alla domanda relativa al tipo di sistema politico che l’Unione europea si può effettivamente permettere se deve diventare in grado di prendere decisioni e di tradurle in pratica. Da tale questione fondamentale dipendono tutte le altre.
Per tale ragione la nostra prossima mossa dev’essere il chiarimento di determinati termini che finora non sono stati mai definiti. I criteri di Copenaghen fanno riferimento al concetto di “capacità di assorbimento”, ma non lo definiscono. Dal mio punto di vista, va per lo meno tenuto conto degli accordi politici e istituzionali sanciti nella Costituzione.
Ho seguito con attenzione le parole del signor Commissario, al quale chiedo di correggermi se sbaglio, ma non l’ho sentito soffermarsi su tale tema. Nella decisione sul criterio relativo alla capacità di assimilazione è insita una potenziale fonte di dissenso tra noi e la Commissione. Tra i criteri importanti figurano il fatto che l’Unione europea dovrebbe essere finanziata in modo tale da avere un futuro sostenibile ed essere accettata dalle persone che vivono nel suo territorio. Se dobbiamo parlare di credibilità, tale credibilità e i criteri che possono essere adeguatamente applicati alla capacità di assimilazione impongono che nel futuro più prossimo non debba essere possibile autorizzare l’adesione di altri paesi dopo la Bulgaria e la Romania. La credibilità va oltre la promessa di accogliere i cittadini in un momento non ben precisato; riguarda la definizione accurata delle condizioni alle quali tale adesione può avvenire, e ciò significa che dobbiamo essere più precisi su concetti quali “prospettiva di allargamento” o “prospettiva di adesione”.
Dobbiamo avere ben chiaro in mente che la convinzione che l’adesione di un paese possa risolvere le tensioni e i problemi di sicurezza interna è sbagliata. Tali tensioni e problemi devono essere affrontati prima dell’avvio dei negoziati di adesione.
PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA Vicepresidente
Annemie Neyts-Uyttebroeck (ALDE). – (NL) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, la relazione Brok pone interrogativi pertinenti e ne fornisce le risposte, anche se non concordo con ognuna di esse. Rispecchia inoltre anche i dubbi di molti riguardo a eventuali ulteriori allargamenti. Per questo viene attribuita un’enorme importanza alla capacità di assorbimento che, se la relazione dovesse essere approvata senza alcun emendamento, acquisirebbe anche una dimensione geografica.
Condivido il parere della maggioranza dei membri del mio gruppo secondo cui la capacità di assorbimento non richiede alcuna demarcazione geografica preliminare per essere tradotta in realtà, poiché la linea di demarcazione dell’Unione sarà in primo luogo politica – non che ciò sia più semplice. Ciò che conta di più è che l’UE mantenga le promesse fatte in materia di allargamento, e soprattutto per quanto riguarda i paesi dei Balcani occidentali. Benché gli Stati in questione siano ancora molto lontani da una possibile adesione, è giunto il momento di definire accordi concreti in materia e persino di presentare un calendario. Va da sé che è necessario soddisfare tutti i criteri, in particolare quelli politici.
Se non sbaglio, è esattamente quello che ha detto la Presidente in carica del Consiglio nella sua risposta. A mio parere la vaghezza sulla data definitiva di adesione non può che ritardare la soddisfazione dei criteri, in quanto tale incertezza verrebbe addotta come pretesto, il che non gioverebbe a nessuno.
Cem Özdemir (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la presente relazione chiede una delimitazione dei confini geografici dell’Unione europea e una definizione della sua natura. Alcuni democratico-cristiani, ma anche qualche socialdemocratico, si stanno guardando intorno per individuare alternative all’adesione all’Unione europea. Vorrei ricordare all’Assemblea che qualche anno fa politologi e analisti non si sarebbero mai immaginati che un giorno la cortina di ferro sarebbe scomparsa. E invece è successo, e non possiamo che gioirne. Faccio appello all’Assemblea affinché sia prudente nel prevedere cosa diventerà l’Unione europea tra venti, trenta o quarant’anni, quando la maggior parte di noi avrà da tempo cessato di condurre una vita politica attiva. Ritengo che ciò converrebbe a tutti, viste le previsioni errate formulate dalla maggior parte di noi riguardo ciò che sarebbe successo nel 1989.
L’altro aspetto che vorrei sollevare è che tutti parlano della necessità di attuare il Protocollo di Ankara, e a ragione, ma ciò che va aggiunto è il fatto che anche la Turchia e la parte nord di Cipro sono favorevoli a una soluzione, e noi abbiamo fatto determinate promesse. Va applicata l’antica massima “pacta sunt servanda”, e ciò significa che occorre porre fine all’isolamento della parte settentrionale dell’isola, come ha promesso l’Unione europea.
All’onorevole Brok vorrei dire che auspicherei che Helmut Kohl non comparisse solamente nei libri di storia, bensì potesse anche, di tanto in tanto, svolgere un ruolo nell’elaborare la politica europea della CDU.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, il mio gruppo politico non voterà a favore della relazione Brok, principalmente per i seguenti motivi:
La relazione, in particolar modo il paragrafo 10 con la sua deliberata astrusità, formula una duplice strategia. Lascia aperta la porta sul retro affinché le prospettive di adesione si trasformino in una formula di rapporto speciale, una soluzione che entusiasma i democratico-cristiani tedeschi. Il punto sul Kosovo, con la sua formulazione confusa, riflette la tortuosità dei discorsi interni all’Unione e la tendenza al graduale disimpegno rispetto alle condizioni espresse con chiarezza nella risoluzione 1244 dell’ONU.
Il mio gruppo politico ribadisce l’esigenza che la Turchia attui i requisiti stabiliti in base a un calendario specifico, a partire dall’adozione fedele, e senza violazioni, del Protocollo di Ankara.
Infine, il mio gruppo politico appoggia tra gli altri l’emendamento n. 19 concernente una risoluzione reciprocamente accettabile del problema relativo al nome della ex Repubblica jugoslava di Macedonia, e l’emendamento n. 4 rivisto su Cipro.
Georgios Karatzaferis (IND/DEM). – (EL) Signor Presidente, il primo tema su cui dobbiamo discutere è: dove finisce l’Europa? Non sappiamo più dove si trova l’Europa: abbiamo raggiunto Diabakir, ma se domani gli americani ci dicessero che l’Iraq deve entrare in Europa per ragioni di equilibrio, ci estenderemmo fino all’Oceano Indiano? E’ questo il problema. Chi decide chi far entrare in Europa? Fino a poco tempo fa escludevamo la Croazia. Il procuratore, la signora Carla del Ponte, era contraria, poi l’Austria ha fatto pressione e la Croazia è ora candidata. E’ questa la volontà politica dell’Europa? Ovviamente non è molto intelligente essere costretti a dire ai nostri amici turchi che non devono insultare il Presidente del Parlamento europeo. Non è molto intelligente da parte nostra portare loro 139 milioni di euro nelle aree occupate mentre loro bersagliano i membri del Parlamento europeo con uova e sassi. Devono cambiare atteggiamento, non soltanto un articolo della loro costituzione. Non si meritano questo trattamento speciale. Non possono minacciare uno Stato europeo con la guerra, con un casus belli, mentre noi discutiamo della loro adesione. Non possono riconoscere un governo che è stato legittimato dagli altri 24? Non sono formulazioni logiche.
Ciò mi porta a parlare della ex Repubblica jugoslava di Macedonia che, ovviamente, esige un nome. Posso ricordarvi che, quando avete fatto domanda di adesione all’ONU come Repubblica germanica d’Austria, la Germania – che a quei tempi era appena stata sconfitta – ha opposto il veto e voi avete aderito col nome di Austria? Posso ricordarvi che i bretoni non hanno permesso alla Gran Bretagna di aderire a causa del nome della loro regione – Bretagna – e hanno costretto i britannici a entrare col nome di Regno Unito? E quindi perché non ci dovreste sostenere, quando abbiamo una storia lunga 3 000 anni in comune con la Macedonia?
Perché non chiamiamo le cose col loro nome? Perché dopo tanto non abbiamo ancora una politica indipendente e dobbiamo seguire il gioco americano di indisporre la Russia acquisendo i suoi paesi satellite e aprendo un fronte con l’Iran e così via? L’Europa quando deciderà finalmente – ecco la questione cruciale – che l’America non è un suo tutore? Non ci occorrono tutori per sviluppare le nostre iniziative.
Inese Vaidere (UEN). – (LV) Onorevoli colleghi, l’allargamento dell’Unione europea fino ad oggi si è dimostrato una formula efficace, in quanto ha incoraggiato riforme in molti Stati ampliando l’area della pace, della stabilità e dello Stato di diritto in Europa.
Un ulteriore allargamento dell’Unione europea è necessario, ma dovremo individuare nuovi meccanismi e sistemi che consentano all’Unione di uscire dalla situazione di stallo in cui versa la sua capacità attuale di assorbire nuovi paesi. Definendo criteri precisi, la Commissione europea deve sicuramente sviluppare tale concetto di capacità di assorbimento. Oltre alla possibilità di un’adesione a pieno titolo, dobbiamo anche offrire svariate forme di cooperazione multilaterale e di partenariato con i paesi che, almeno nel breve termine, non saranno in grado di aderire all’Unione europea. Su questo punto vorrei esprimere il mio pieno accordo con quanto affermato dall’onorevole Brok. Potrebbe essere un modo per avvicinare alla via delle riforme e ai valori europei la Turchia, l’Ucraina e i Balcani, ad esempio, e in futuro anche altri paesi.
Ryszard Czarnecki (NI). – (PL) Signor Presidente, è un’illusione che l’Unione possa diventare forte e competitiva senza ulteriori allargamenti. Un’altra illusione è la convinzione che l’Unione possa estendere i propri confini all’infinito, per esempio consentendo alla Russia di aderire all’UE.
Limitiamoci semplicemente a considerare le priorità quando si tratta di allargamento. Dopo Romania e Bulgaria, che dovrebbero accedere all’Unione nel 2007 e non nel 2008, dovrebbe essere il turno dei paesi dell’Europa sudorientale. Dopo Croazia e Macedonia, dovremmo aprire un’altra serie di porte a Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Kosovo e Albania. E’ questo il percorso logico da seguire. E’ una questione di strategia e anche di maggiore sicurezza nel Vecchio Continente. In ultima analisi si rivelerà vantaggioso da un punto di vista economico, in quanto spenderemo meno ampliando l’Unione ai prossimi Stati balcanici che non versando denaro nelle casse senza fondo della preadesione dei Balcani. La pacificazione dei conflitti permanenti in questa parte d’Europa costa di più che non ammettere questi Stati in Europa e costringerli pertanto a seguire le regole del gioco comunitarie in ambito politico ed economico.
Non dobbiamo temere di espandere l’Unione con l’adesione dei pochi Stati prossimi all’ingresso. So che tale timore è divenuto in un certo senso “di moda”. Si rivela particolarmente utile durante le campagne elettorali che si stanno susseguendo l’una dopo l’altra nei vari Stati membri. Se vogliamo che l’Unione sia economicamente più efficace e non accumuli ritardi nei confronti di America e Asia, si deve abolire progressivamente la divisione del continente in due parti: l’Europa di serie A, o in altre parole l’Unione europea, e l’Europa di serie B, cioè tutte le nazioni che non sono parte dell’Unione. La storia ha anche dimostrato che un’Unione che si amplia è un’Unione più sicura. L’invito ad accedere ai negoziati, anche in assenza di prospettive di adesione all’Unione nell’immediato futuro, è come la bandierina che viene sollevata per segnare la partenza di una corsa automobilistica. I piloti devono avere un obiettivo a cui puntare, devono sapere dov’è la linea del traguardo. A quel punto potranno fare molta strada, superare molte curve e persino risolvere i problemi al motore. Ciò che importa, tuttavia, è mettere in moto le ruote dell’adesione.
La proposta di risoluzione del Parlamento evidenzia a ragione il fatto che è proprio questo incentivo che ha sostenuto le riforme in Turchia, in Croazia e nei paesi dei Balcani occidentali. Tuttavia, l’allargamento ha un prezzo elevato, soprattutto nel breve termine, ma è un investimento redditizio nel lungo periodo.
Jacek Emil Saryusz-Wolski (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, accolgo con favore la relazione complessivamente positiva dell’onorevole Brok. Approvo il coraggio con cui riconosce il fatto che i Balcani occidentali dovrebbero essere parte integrante dell’Unione europea in futuro. Sono convinto che i nostri impegni vadano rispettati; non possiamo chiudere la porta in faccia a quei paesi a cui era stata offerta una prospettiva di adesione o a quegli Stati che si meritano tale prospettiva in futuro in virtù delle disposizioni del Trattato sull’Unione europea.
Non ripetiamo tuttavia gli errori passati. Dobbiamo essere preparati per l’allargamento. In primissimo luogo dobbiamo stanziare i finanziamenti. Dobbiamo anche preparare i nostri cittadini alla prospettiva di allargamento spiegandone i grandi vantaggi. Dobbiamo smettere di fare degli allargamenti passati e futuri il capro espiatorio dei nostri problemi interni, soprattutto nazionali, e della nostra inattività.
Nel prepararci all’allargamento dobbiamo essere rigorosi, aderire alla condizionalità, essere franchi con i nostri partner. Cerchiamo tuttavia di non essere eccessivamente dogmatici. E’ perfettamente fattibile aprire le porte alla Croazia senza la Costituzione. E’ sufficiente introdurre i necessari adeguamenti nel trattato di adesione. La Croazia non dovrebbe essere una vittima o un ostaggio a causa delle nostre difficoltà relative alla Costituzione.
Accolgo con favore l’aspetto innovativo e il coraggio espressi nella relazione. Potremmo prendere in considerazione l’idea dei passi intermedi nel cammino verso l’adesione a condizione che non fossero permanenti – passi intermedi sì, ma non in sostituzione dell’adesione. Diverse considerazioni non dovrebbero essere utilizzate come alibi per non agire o per chiudere la porta in faccia a paesi che un giorno meriteranno l’adesione, come l’Ucraina. I confini dell’Unione sono già definiti dal Trattato sull’Unione europea, che sancisce che “ogni Stato europeo, che rispetti i principi ...”, eccetera.
Per concludere, consentitemi di ribadire che l’allargamento è una delle politiche dell’Unione maggiormente coronate dal successo e pertanto dovremmo sfruttarne il potenziale per costruire un’Unione forte, sicura e influente, fedele ai propri valori di solidarietà, democrazia e apertura.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signor Presidente, vorrei porre l’accento sulla particolare responsabilità che spetta all’Unione europea di creare una comunità di Stati, nazioni e cittadini nel continente europeo basata sulla pace, la democrazia liberale, i diritti umani, l’economia di mercato e lo Stato di diritto.
Tuttavia, oggi dobbiamo capire se l’Unione europea è in grado di sostenere ulteriori allargamenti e di aprire veramente le porte, e nel contempo dobbiamo definire il carattere dell’Unione europea, compresi i confini geografici.
La capacità di assorbimento è attualmente complicata dalla fase di stallo in cui si trova il processo di ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa e dagli ostacoli che si frappongono a un’integrazione politica e strategica più profonda dei 25 Stati membri dell’Unione europea. Nel contempo, nei prossimi anni le Istituzioni dell’Unione europea devono attuare strategie di allargamento basate su termini definiti in maniera rigorosa che tengano conto degli obblighi dell’Unione europea verso la Turchia, la Croazia e gli Stati dei Balcani occidentali. L’Unione europea dovrebbe anche elaborare una prospettiva europea a lungo termine in relazione ai paesi dell’Europa orientale, e dell’Ucraina in particolare.
Alexander Lambsdorff (ALDE). – (EN) Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando discutiamo dell’allargamento parliamo in sostanza di come intendiamo l’Unione europea. Riteniamo che sia un mezzo per realizzare un fine o la vediamo come un’entità politica a se stante? Vogliamo un’OSCE del libero commercio per stabilizzare paesi limitrofi problematici, o vogliamo un’unione politica che abbia la facoltà di agire sulla base delle proprie leggi? La relazione Brok è un documento positivo, nel senso che cambia veramente la prospettiva a favore della seconda opzione.
Di noi politici in generale si dice che non siamo capaci di esprimere elogi, eppure l’onorevole Kuhne della SPD è appena intervenuto sulla base di un documento eccellente adottato dai socialdemocratici tedeschi, e la cosa assolutamente mirabile a tale proposito è che definisce la posizione della SPD sull’allargamento.
E’ vero che, per quanto riguarda Romania e Bulgaria, le decisioni sono già state prese, ma dobbiamo prendere in considerazione la possibilità di trattarle separatamente se i loro risultati lo giustificheranno. Non sono i mezzi a essere cruciali, bensì i fini. E’ senza dubbio possibile che i negoziati con la Turchia producano un esito diverso dalla piena adesione, ed ecco la frase chiave: “Non accetteremo più il progressivo allentamento dei criteri di adesione”, affermano i socialdemocratici tedeschi e noi democratici liberi tedeschi concordiamo al cento per cento.
Viene definita anche la capacità di assimilazione; in tal senso, il problema maggiore è che la capacità dell’Unione europea di assorbire nuovi membri dipende in parte dall’accettazione di massima dei cittadini degli Stati membri. Ritengo che tale aspetto sia cruciale se vogliamo che il pubblico ci segua. Se vogliamo che continuino a essere buoni cittadini fedeli all’Unione europea dovremo tenere conto dei loro desideri.
Tatjana Ždanoka (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, apprezzo molto il riferimento che viene fatto nella relazione Brok alla necessità di rispettare i diritti e le libertà fondamentali, soprattutto i diritti delle minoranze in Turchia, in Croazia e nei paesi dei Balcani occidentali.
Mentre discutevamo della domanda di adesione della Turchia all’Unione, ho esortato la Commissione a non ripetere gli errori commessi al momento dell’adesione del mio paese, la Lettonia, nel non aver sfruttato tale processo per promuovere i diritti delle minoranze. Il gruppo dell’Alleanza libera europea ha chiesto alle Istituzioni europee di esortare il governo turco a migliorare la sua politica nei confronti delle minoranze etniche, religiose e linguistiche. Purtroppo, non abbiamo assistito ad alcun progresso in questo senso e, in particolare, in Kurdistan si continuano a uccidere cittadini innocenti. Due settimane fa sono stati uccisi i genitori di Derwich Ferho, importante difensore dei diritti umani e presidente dell’Istituto curdo con sede a Bruxelles. In base alle indicazioni, c’è stato il coinvolgimento di forze speciali turche. Sono a favore di ulteriori allargamenti, ma soltanto se basati rigorosamente sui criteri di Copenaghen.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, per quanto riguarda il paragrafo 29 della relazione, la decisione del Consiglio di bloccare gli aiuti finanziari ai turcociprioti è stato uno sviluppo nella giusta direzione, per il quale desidero ringraziare la signora Ministro.
Per quanto riguarda la questione del commercio, può essere tuttora affrontata nel quadro del recente accordo sulle discussioni relative a un pacchetto di misure volte a rafforzare la fiducia. Nella loro dichiarazione congiunta dopo la riunione di Parigi, il segretario generale dell’ONU e il Presidente Papadopoulos hanno dichiarato, tra l’altro, che se si potessero compiere progressi nell’ulteriore disimpegno delle forze armate, nella demilitarizzazione dell’isola, nello sminamento completo di Cipro e nella questione di Famagusta, ciò sarebbe utile per tutti gli interessati e migliorerebbe l’atmosfera per i colloqui futuri.
In particolare, eventuali progressi nella questione di Famagusta potrebbero tradursi in miglioramenti in campo commerciale. Siamo tutti a conoscenza della proposta in tal senso del governo di Cipro, secondo cui la restituzione di Famagusta ai legittimi residenti e la riapertura del porto di Famagusta potrebbero risolvere la questione degli scambi da e verso le aree occupate. Purtroppo però la Turchia e la leadership turcocipriota non hanno ancora assunto una posizione su tale questione.
Roger Knapman (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, in primo luogo il nostro incauto relatore esprime compiacimento per il fatto che il documento di strategia della Commissione “preveda un’Unione rivolta verso l’esterno”. In realtà non intende dire un’Unione rivolta verso l’esterno, bensì un’Unione che si espande e non, a quanto pare, un periodo di riflessione dopo i referendum olandese e francese – niente affatto! Tali consultazioni hanno detto “no”, in particolar modo alla Turchia. Il risultato di tutto ciò è un maggiore accentramento e nel contempo una più ampia espansione al fine di ottenere un tutto ingestibile, e questo nella settimana in cui alla Germania è stata fatta presente la necessità di risistemare l’assetto economico! Invece che inviare enormi quantità di denaro in Europa orientale, dovrebbero piuttosto assicurarsi di non pregiudicare la prosperità dell’Europa nel suo complesso.
In questo periodo va di moda fingere che esista una lunga coda di paesi desiderosi di entrare qui. Il fatto è che i paesi balcanici si sono appena lasciati alle spalle un’organizzazione prepotente, burocratica e corrotta chiamata Jugoslavia, e non desiderano aderire a un’organizzazione con caratteristiche analoghe semplicemente per la loro salute. La verità è che vogliono soldi. Vogliono ancora più soldi. Quello che non dovrebbero fare nei paesi balcanici è cedere la propria sovranità come se fosse merce di scambio, altrimenti resteranno profondamente delusi. Temo che li attendano grandi delusioni.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, mi rivolgo ai membri del gruppo socialista al Parlamento europeo, in particolare a quelli di Germania e Austria: complimenti! Invece che comportarvi come fate di solito e utilizzare il populismo come una mazza – il termine l’ho mutuato da voi – con cui colpire i vostri ex leader di partito o i candidati di rilievo, stavolta la mazza ve la siete data in testa da soli. E’ in corso una presa di coscienza progressiva di ciò che affermano gli elettori, delle cifre economiche reali e, si auspica, ciò porterà a una maggiore comprensione. I dibattiti in corso da parecchi anni nel vostro gruppo hanno prodotto un documento con cui possiamo effettivamente intraprendere qualcosa.
Ottimo lavoro, onorevole Kuhne! Cambiamento di prospettiva, aspettative di adesione, capacità di assorbimento – è di questo che si tratta esattamente. C’è motivo di speranza, perché quello che sostenete potrebbe farvi ottenere il sostegno di una maggioranza non solo tra i vostri elettori, ma anche in tutta Europa. Con una prospettiva specifica, le cose possono andare avanti, cosa che invece non accadrà se continueremo a menare il can per l’aia come abbiamo fatto finora.
Camiel Eurlings (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, gli allargamenti hanno giovato all’Unione europea, non solo alla popolazione dei paesi appena entrati, bensì anche agli abitanti dei paesi già membri, non c’è dubbio.
Durante il referendum la sensazione dominante nel mio paese è stata la paura di essere sopraffatti da un’ondata di idraulici polacchi. La realtà è diversa: dal più recente allargamento a tali paesi, i Paesi Bassi hanno tratto un profitto di 2 miliardi di euro annui. Sono proprio le persone che hanno sempre sostenuto tale allargamento che devono trasmettere questo dato in proposito, e al contempo non devono perdere di vista l’equilibrio tra allargamento e approfondimento, in quanto tale equilibrio al momento è precario. Il Trattato di Nizza non andava bene per 25 paesi, e certamente non sarà sufficiente quando a breve si uniranno a noi altri due paesi, vale a dire Romania e Bulgaria. A mio parere, sarebbe utile impegnarci per prima cosa a rimettere in sesto la nostra situazione interna mediante un nuovo trattato prima di accogliere altri due paesi. Dovremmo impegnarci spontaneamente in tal senso.
In secondo luogo, è importante che i nostri paesi limitrofi non aspettino che l’Unione europea porti a termine i propri compiti interni prima di avviare il processo di approfondimento con una sorta di partenariato. Se vogliono diventare membri veri, e se l’Europa sembra essere in grado di accoglierli, il passo successivo per tali paesi potrebbe essere un avvicinamento all’adesione.
Tale relazione non intacca i diritti dei paesi candidati ad avere tale status al momento, e desidero che ciò sia detto con chiarezza. Tale credibilità deve tuttavia andare di pari passo con il nostro considerare credibili i criteri. Ciò significa, e la Presidente Plassnik lo ha giustamente rilevato, che la Turchia deve controllare la libertà di parola, per il bene non solo di questo scrittore, ma anche degli altri; significa inoltre che va garantita la libertà di religione e anche che occorre compiere progressi per quanto riguarda Cipro.
Accogliamo con favore l’accordo Age Package, ma sarebbe magnifico – e spero che il signor Commissario ne stia prendendo atto – se la Turchia potesse essere convinta a ratificare e attuare il Protocollo. Come intende conseguire tale chiarezza, signor Commissario? Poiché una volta fatto ciò, verranno realizzati molti progressi anche in relazione alla stessa Cipro. In tal senso sono pienamente a favore dell’emendamento n. 4, in cui l’Assemblea ribadisce ancora una volta la volontà di compiere il proprio dovere per il bene dei cittadini sia della parte sud sia della parte nord dell’isola.
Richard Howitt (PSE). – (EN) Signor Presidente, l’allargamento è la storia più fortunata d’Europa, che ha diffuso e diffonderà stabilità, sicurezza, ricchezza e democrazia nel nostro continente. Tuttavia, nel momento in cui l’opinione della maggioranza in sette Stati membri, il mio compreso, è contraria ad allargamenti futuri, è tempo di proporre la questione alla cittadinanza e confrontarsi con coloro che tentano di bloccare il progresso; è tempo di respingere l’opinione di coloro che persino in questa risoluzione cercano di utilizzare espressioni quali “possibilità operative” o “ridefinizione dei confini” per compromettere gli impegni già assunti dall’Unione; è tempo di affrontare coloro che, come i conservatori britannici, affermano che l’Europa deve scegliere tra ampliamento e approfondimento – noi no; è tempo di fronteggiare l’estrema destra, che alimenta di proposito i timori secondo cui le nuove migrazioni minacciano i posti di lavoro e il sostentamento dei cittadini, quando i fatti dimostrano il contrario; è tempo di esporre coloro che, persino in questa risoluzione, accolgono con favore i progressi della Croazia ma non quelli della Turchia; è tempo di riconoscere che le popolazioni di maggioranza musulmana in Macedonia, Bosnia e Albania condividono anch’esse un destino europeo, ed è tempo di sottolineare che una pausa di riflessione sulla Costituzione non può essere un pretesto per rifiutare per principio ogni nuovo allargamento.
István Szent-Iványi (ALDE). – (HU) Signor Presidente, l’integrazione regionale nei Balcani occidentali rappresenta un elemento cruciale della strategia di allargamento della Commissione. Tale tentativo è sensato, in quanto incoraggia la cooperazione e l’assunzione di responsabilità, e comporta anche vantaggi economici.
Tuttavia, non è giusto imporre un’unità economica o politica non voluta dai diretti interessati, o che di per sé non è fattibile. Sarebbe molto più sensato procedere all’allargamento del CEFTA già esistente, come proposto dal governo croato, in quanto si è già dimostrato un esempio di cooperazione positiva e proficua, ed è in tale formula che andrebbero coinvolti gli Stati balcanici.
La vera garanzia di stabilità nei Balcani occidentali è la promessa autentica di integrazione europea. In tal senso, è molto preoccupante che, stando alla proposta del Consiglio, i paesi interessati non riceveranno sostegni finanziari adeguati in futuro, e l’anno prossimo e negli anni a venire potranno contare su un sostegno inferiore a quello ricevuto finora. Ciò mette in dubbio la credibilità dell’intero processo di adesione. Esigiamo pertanto un incremento considerevole dei fondi disponibili.
In terzo luogo, quando valutiamo ciascun paese, dobbiamo considerarne i risultati individuali, e non deve essere ammesso nessun tipo di valutazione complessiva o in blocco, in quanto tali paesi devono mostrare la loro maturità singolarmente.
La Croazia si è impegnata molto al fine di diventare membro dell’Unione europea quanto prima. Dobbiamo riconoscere tali sforzi, poiché la Croazia merita una conclusione positiva e quanto mai tempestiva dei negoziati.
Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE). – (LT) Vorrei innanzi tutto ringraziare l’onorevole Brok per la sua relazione molto costruttiva e razionale. Sono certa che se l’Unione europea fosse sempre in grado di formulare la propria posizione su tutte le questioni come nel caso in questione, godrebbe di un appoggio e di una comprensione maggiore presso i cittadini. Vorrei soffermarmi sulla sezione della relazione che riguarda la Turchia. Sono del tutto d’accordo sul fatto che la strategia di espansione dell’Unione europea ha sicuramente incoraggiato le riforme democratiche, politiche e di altro genere in Turchia e negli altri Stati citati nella risoluzione. E’ tuttavia altrettanto importante notare che, per citare le parole esatte, “sebbene il processo di transizione politica della Turchia sia ancora in corso, il ritmo di cambiamento è rallentato nel 2005 e l’attuazione delle riforme rimane non omogenea”. E’ la stessa risposta che ho ricevuto ieri dal Commissario Rehn alla mia interrogazione orale concernente l’attuazione della risoluzione del Parlamento europeo sull’avvio dei negoziati con la Turchia. Ciò viene menzionato anche nel progetto di risoluzione che abbiamo dibattuto oggi, vale a dire che il ritmo delle riforme in Turchia nel 2005 non solo è stato insufficiente, ma ha anche subito un rallentamento. Ciò potrebbe essere interpretato come un’impreparazione da parte della Turchia all’attuazione delle riforme che la avvicinerebbero all’Unione europea, oppure persino come una mancata disponibilità del paese a impegnarsi nei confronti di obblighi basilari o di una eventuale adesione.
Condivido inoltre il rammarico espresso nella relazione dell’onorevole Brok e nella risoluzione a proposito della dichiarazione unilaterale rilasciata dalla Turchia al momento della firma del Protocollo aggiuntivo all’accordo di Ankara. Ritengo che sia necessario ricordare alla Turchia che il riconoscimento di tutti i paesi membri dell’Unione europea è una componente essenziale del processo di adesione.
Ciò che sto per dire non è nella relazione, ne sono consapevole, tuttavia sono certa che gli atti di genocidio commessi contro la nazione armena 90 anni fa dovrebbero essere riconosciuti dalla Turchia ai massimi livelli, in quanto tale gesto più di qualsiasi altro sarebbe un segnale del fatto che la posizione della Turchia, persino nei confronti di tali dolorosi eventi del passato, è in sintonia con lo spirito dei criteri di Copenaghen.
Csaba Sándor Tabajdi (PSE). – (HU) Signor Presidente, la relazione Brok non definisce nulla di concreto rispetto alle minoranze etniche. L’Unione europea utilizza spesso due pesi e due misure o addirittura tre quando richiede e si aspetta qualcosa di completamente diverso da due paesi candidati, mentre raramente esige spiegazioni dai propri Stati membri su questioni che concernono le minoranze etniche.
In seguito a un’insurrezione armata, agli albanesi che risiedono in Macedonia è stata concessa un’autonomia amministrativa e persino territoriale amplissima, mentre nel caso della Romania l’Unione europea non preme per l’autonomia territoriale a favore di quasi un milione di ungheresi che vivono nel territorio degli Székely. L’Unione europea ha promesso l’indipendenza al Kosovo, ma per quanto riguarda la Vojvodina non raccomanda nemmeno l’autonomia che era stata negata da Milošević.
Vi invito a sostenere gli emendamenti ungheresi volti a preservare il carattere multietnico della Vojvodina, la protezione delle minoranze e l’ampliamento dell’autonomia provinciale. Il Commissario Olli Rehn sa benissimo che senza autonomia non c’è alcuna soluzione per i finlandesi di lingua svedese in Finlandia, e nemmeno per i curdi che vivono in Turchia.
Panagiotis Beglitis (PSE). – (EL) Signor Presidente, dobbiamo essere molto franchi e accettare che la strategia per l’allargamento non è la ragione alla base dell’attuale crisi istituzionale dell’Unione europea. Tuttavia, quale obiettivo strategico, l’allargamento può rappresentare il capro espiatorio del ristagno collettivo europeo e ciò andrebbe evitato, a mio parere. In questo contesto, assume una particolare rilevanza il messaggio lanciato dalla Presidenza austriaca e la riunione dei ministri degli Esteri a Salisburgo concernente l’obiettivo finale dell’integrazione dei paesi dei Balcani occidentali nell’Unione europea. Siamo a favore dell’integrazione dei paesi e contrari ai rapporti speciali.
Da questo punto di vista, la Commissione dovrebbe accelerare la presentazione della proposta per la concessione di visti di ingresso ai cittadini dei paesi balcanici. La questione è profondamente politica, non burocratica. L’ambiguità dell’Unione europea sul Kosovo è motivo di preoccupazione. L’assenza di una politica comunitaria comune eserciterà conseguenze negative.
Infine, per quanto riguarda Cipro, ritengo che sia giunto il momento di intraprendere iniziative politiche volte a creare la necessaria osmosi politica e sociale a livello di società civile tra i grecociprioti e i turcociprioti. All’Unione europea spetta il ruolo di elemento catalizzatore.
Marianne Mikko (PSE). – (ET) Onorevoli colleghi, il relatore, onorevole Brok, ha svolto un lavoro minuzioso nell’indicare ai paesi dei Balcani occidentali la via che conduce all’Unione europea.
Nella mia veste di capo della delegazione moldova è tuttavia mio dovere ricordare a tutti noi che ci sono due paesi ancor più vicini al centro d’Europa che necessitano della promessa di adesione all’Unione europea tanto quanto i paesi balcanici e la Turchia.
Il Parlamento europeo ha espresso chiaramente il proprio sostegno a favore delle aspirazioni di Ucraina e Moldova a divenire paesi candidati all’adesione. La Moldova sta compiendo sforzi enormi a tal fine già da due anni.
Anche l’Ucraina ha recentemente manifestato il desiderio di divenire un paese europeo. L’ho percepito chiaramente in occasione della mia visita in Ucraina la scorsa settimana.
Mi delude tuttavia l’enfasi eccessiva che la relazione pone sul quarto criterio di Copenaghen. Nel contempo, concordo con Elmar Brok sul fatto che la Commissione europea dovrebbe definire quanto prima la natura della capacità di assorbimento, che non dovrebbe rappresentare un pretesto vago per respingere i paesi che ambiscono ad accedere all’Unione europea.
Dal Vertice di Salonicco del 2003, la nostra unione è stata riformata; sono gli stessi risultati eccellenti conseguiti dai paesi che hanno rispettato i criteri di Copenaghen. In futuro i potenziali paesi candidati devono essere valutati sulla base di criteri trasparenti.
L’espansione deve continuare, perché l’Europa ha bisogno della stabilità come dell’aria che respira.
Ursula Plassnik , Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, sono grata di questo dibattito entusiasmante e sicuramente acceso, che anche il Consiglio giudicherà importante.
Onorevoli deputati, provengo da un paese che, stando alle cifre e ai dati disponibili, ha beneficiato considerevolmente dell’ultimo allargamento eppure, nonostante ciò, la posizione diffusa nei confronti sia dell’Unione europea stessa sia dell’allargamento è molto critica, per cui consentitemi di esprimere qualche considerazione personale sull’argomento.
Non ci sarà nessuna Europa senza frontiere; “L’Europe sans frontières n’existera pas” – eppure l’Europa è sempre stata un progetto politico. Per tale ragione, per le decisioni politiche che dobbiamo prendere sarà totalmente inutile far ricorso a geografi, storici o strumenti di misura; a decidere su tali questioni sarà la volontà comune di coloro che condividono tale comunità di valori e leggi, vale a dire noi e – come accade di regola nelle democrazie – il popolo in prima persona. E quindi da dove cominciamo adesso? Il 3 ottobre dello scorso anno abbiamo obiettivamente assistito all’assunzione di decisioni politiche con implicazioni di ampio respiro; ciò che ci attende – che attende cioè il Consiglio e la Commissione con i nostri partner di tutto il mondo – è un periodo di impegno sereno per risolvere tali questioni.
Vorrei solamente esprimere tre ulteriori considerazioni sulle questioni geografiche nei Balcani: di che cosa si tratta in buona sostanza? Su che cosa stiamo lavorando? Secondo me stiamo lavorando sull’Europa quale progetto di pace, sulla sua riunificazione, sul superamento della divisione tra Oriente e Occidente, sul risanamento delle fratture create dal comunismo. E’ intollerabile che i Balcani debbano essere confinati in un qualche terra di nessuno europea; dobbiamo ribadire ancora una volta con chiarezza dove sta il valore aggiunto per noi, per i nostri popoli e per le popolazioni dei Balcani – un valore aggiunto fatto di Stato di diritto, di sicurezza e di opportunità economiche.
Se posso passare al tema Turchia, a cui hanno fatto riferimento molti onorevoli colleghi, nel processo attualmente in corso la Commissione e il Consiglio stanno esaminando non solo i risultati conseguiti dalla Turchia nel processo di riforma, ma anche – in maniera decisamente specifica e diretta – ciò che rimane ancora da fare in aree quali la libertà religiosa e di parola. Ce ne siamo occupati in occasione della riunione della troika.
Consentitemi di esprimere un parere sull’Ucraina. La signora Commissario Ferrero-Waldner e io abbiamo partecipato di recente a una missione della troika in Ucraina, e vi posso trasmettere il medesimo messaggio che ho già espresso in quell’occasione, vale a dire che l’Europa, l’Unione europea, vorrebbe che l’Ucraina diventasse un paese stabile, con fiducia in se stesso e di successo, ma soprattutto un paese che affronta il compito della trasformazione e lo fa con determinazione. La politica europea di vicinato e il piano d’azione che verrà rivisto per la prima volta sotto la Presidenza austriaca ci forniscono una serie di strumenti positivi e appropriati. Esiste inoltre un potenziale considerevole per conseguire risultati quali un accordo più profondo che potrebbe in futuro contemplare un ampio accordo di libero scambio.
Olli Rehn , Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei comunicarvi innanzi tutto qualche notizia dell’ultima ora: le decisioni della fine del 2005 hanno creato un quadro politico solido per la nostra politica di allargamento relativa al periodo dal 2006 al 2010, e in alcuni casi anche oltre. Ad esempio, i negoziati di adesione con la Turchia dureranno verosimilmente 10-15 anni. Non mi aspetto che nessuno metta seriamente in discussione gli impegni già assunti nell’Europa sudorientale, in quanto costituisce veramente una questione di sicurezza e stabilità il poter promuovere la pace, la democrazia e la ricchezza in questa regione particolarmente sensibile.
Abbiamo ora a disposizione un’agenda per l’allargamento consolidata e sufficientemente impegnativa. Il treno dell’allargamento non è un treno ad alta velocità, né un Eurostar; è un treno normale, in alcuni casi persino un locale, ma la cosa più importante è che il treno si sta muovendo, è in corsa e sta pertanto trasformando i paesi che si trovano nelle immediate vicinanze dell’Unione europea.
Per quanto riguarda i confini dell’Europa, la Commissione agisce sulla base dell’articolo 49 del Trattato che istituisce l’Unione europea, che sancisce che tutti i paesi europei che rispettino e applichino i valori europei della democrazia, dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali possono presentare domanda di adesione all’Unione. Ciò non significa che tutti i paesi europei devono inoltrare tale domanda o che l’UE deve accettare qualsiasi paese; significa tuttavia che non è sensato chiudere per sempre le porte tracciando una linea sulla cartina per delimitare una volta per tutte l’Europa, un aspetto che danneggerebbe seriamente le nostre possibilità di esercitare un’influenza benefica e un potere strategico sui paesi limitrofi.
Nel contempo, benché non siano ancora stati stabiliti confini definitivi per l’Unione, l’UE sta sviluppando altre forme di partenariato e cooperazione con i nostri paesi confinanti, ad esempio sotto forma di politica europea di vicinato, che può essere ulteriormente sviluppata e potenziata.
Sono stati espressi alcuni commenti e sollevati punti concernenti la capacità di assorbimento. Vorrei fornire una breve panoramica storica. Tale concetto è stato menzionato espressamente per la prima volta a Copenaghen nel 1993, quando il Consiglio europeo ha dichiarato che la capacità dell’Unione di assorbire nuovi membri pur mantenendo l’accento sull’integrazione europea è anch’essa una considerazione importante nell’interesse generale sia dell’Unione sia dei paesi candidati. Tale concetto e le sue conseguenze sono state esaminate regolarmente dalla Commissione.
Nell’Agenda 2000 – e sono lieto di farvi riferimento, in quanto sono stato membro del gruppo direttivo dell’Agenda 2000, adottata nel 1997 – la Commissione ha esaminato l’impatto dell’adesione sui paesi dell’Europa centrale e orientale da due angolazioni: il suo impatto sulle politiche comunitarie quali la politica agricola o regionale e le sue conseguenze in termini di bilancio. Di conseguenza, tale attività ha portato alla definizione di parametri cruciali nei negoziati successivi, nelle decisioni del marzo 1999 al Vertice di Berlino e nel 2003, quando ai paesi dell’Europa centrale e orientale è stato concesso di aderire all’Unione europea. Ciò ha agevolato l’adesione dell’UE-10 e, tramite ciò, siamo riusciti a mettere insieme efficacemente la missione storica di riunificare il continente europeo e di occuparci delle conseguenze pratiche, anch’esse fonte di preoccupazione per i cittadini di oggi.
In un secondo momento abbiamo esaminato tale concetto nel corso dei negoziati di adesione, e in particolare in alcuni capitoli, quali la libera circolazione delle persone, e i capitoli finanziari; più di recente, la Commissione ha anche approfondito tale tema nel documento sulle questioni del 2004, relativo alle problematiche derivanti dalla prospettiva di un’adesione della Turchia.
Raccomanderei tale documento dell’ottobre 2004 a tutti i deputati al Parlamento europeo. E’ una lettura tuttora utile, che delinea in maniera puntuale le ampie conseguenze di un’eventuale adesione turca all’Unione qualora tale paese dovesse un giorno soddisfare tutti i criteri di adesione.
L’aumento della capacità costituisce pertanto un concetto importante, a cui si è fatto riferimento anche nel quadro dei negoziati per la Turchia e la Croazia. Vi assicuro che tale concetto è il filo conduttore di tutti i nostri negoziati, oltre che un principio guida del nostro documento strategico dello scorso novembre. Basiamo il nostro lavoro su tale concetto, ed è una considerazione molto importante.
Infine, per quanto riguarda ciò che ha affermato l’onorevole Eurlings sull’approfondimento e l’ampliamento, appartengo allo schieramento che sostiene che l’approfondimento dell’integrazione politica sia indispensabile per rendere più efficiente e democratica l’Unione europea. Dobbiamo far funzionare meglio l’Unione: questo era ed è lo scopo della Costituzione. Ci occorre pertanto un dibattito costituzionale e, col tempo – prima piuttosto che poi – dovremo decidere come riformare le nostre strutture per renderle più efficaci e democratiche, per consentire all’Unione europea di avere maggiore voce in capitolo nelle relazioni esterne, nella politica estera e di sicurezza comune e nel garantire la sicurezza dei cittadini rispetto alla criminalità e al terrorismo internazionali.
Sono compiti che riguardano il futuro più immediato, e non lontano – non tra 10 o 15 anni, ad esempio, quando la Turchia potrebbe essere in grado di aderire – per il bene dell’Europa, e devono essere assolti già nell’Unione europea a 25 o 27 Stati membri. Pertanto, invece che parlare di capacità di assorbimento, io preferirei soffermarmi sulla capacità di funzionamento dell’Unione europea, in modo da garantire un servizio migliore ai nostri cittadini in termini sia di politiche sia di Istituzioni.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, giovedì, alle 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Cristiana Muscardini (UEN). – La relazione dell’onorevole Brok è esauriente e completa per quanto riguarda l’attuale stato dell’allargamento e prende in considerazione paesi che indubbiamente stanno mettendo in atto apprezzabili sforzi per raggiungere gli obiettivi politici ed economici richiesti per l’ingresso nell’Unione europea.
In particolare siamo d’accordo con l’invito rivolto alla Croazia di “risolvere i problemi bilaterali che riguardano le proprietà”, ma notiamo con rammarico che non si fa alcun cenno ai problemi che riguardano l’adeguamento della legislazione di quel Paese per quanto riguarda l’accesso al mercato immobiliare da parte di cittadini comunitari e specificatamente per gli italiani e gli esuli giuliani e dalmati. A nessun cittadino dell’UE può essere precluso l’insediamento in uno Stato membro e l’accesso al mercato immobiliare.
Giustificare il divieto con l’applicazione del principio di reciprocità non é sufficiente per affermare oggi che la Croazia soddisfa tutti i requisiti per essere candidabile ad un futuro ingresso nell’Unione. Partendo dal mancato rispetto di un principio di libertà, ormai acquisito in tutti gli Stati membri, noi, pur votando a favore della relazione, chiediamo che si inviti la Croazia a colmare questa grave lacuna che, se si prolunga, ci impedirà di accoglierne l’adesione.
10. Modifica dell’ordine del giorno: (discussione su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto): vedasi processo verbale
11. Fusioni nel mercato interno (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulle fusioni nel mercato interno.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, questo è un dibattito che naturalmente sarà in ampia misura dominato dall’intervento della Commissione. Posso immaginare che i deputati presenti saranno particolarmente interessati ad ascoltare ciò che ha da dire la Commissione. Mi limiterò pertanto a formulare solo alcune osservazioni a nome del Consiglio; riteniamo infatti che, applicando le nuove disposizioni e le norme comunitarie in materia di concorrenza, la Commissione darà prova di grande responsabilità nel perseguire gli obiettivi della politica di concorrenza in linea con la strategia di Lisbona.
Gli studi settoriali, che la Commissione sta già approntando e che intende portare a termine con la massima cura, formano una base essenziale a tal fine, e a questo proposito diventa rilevante anche la questione della definizione del mercato. E’ importante ricordare che, quando si tratta di adottare decisioni sulle fusioni, occorre tenere conto anche degli aspetti a medio e lungo termine.
L’economia non è statica, ma dinamica, e quindi le imprese si trovano costantemente dinanzi alla sfida di doversi preparare per il futuro, mantenendosi competitive. Complessivamente esistono oltre 23 milioni di imprese nell’Unione europea e ogni giorno se ne creano di nuove e se ne chiudono altre.
Riallacciandomi al dibattito di questa mattina, dobbiamo sottolineare ancora una volta che il 99 per cento delle imprese è costituito da PMI, che assorbono l’80 per cento della forza lavoro. Anche la competitività ha effetti notevoli sul mercato del lavoro e presuppone quindi una concorrenza efficace. La concorrenza nel mercato interno non deve essere distorta poiché è una delle basi essenziali del successo dell’economia europea.
A fronte del completamento del mercato interno e dell’unione economica e monetaria, dell’allargamento dell’UE e della riduzione degli ostacoli agli scambi internazionali e agli investimenti si accentuerà ancor più la riorganizzazione delle imprese, anche sotto forma di concentrazioni. Questo tipo di riorganizzazione deve essere accolto con favore laddove va a soddisfare i presupposti per garantire dinamismo alla concorrenza e laddove è suscettibile di accrescere la competitività dell’industria europea, migliorando le condizioni per la crescita economica e innalzando il tenore di vita all’interno della Comunità. Questi obiettivi sono perfettamente in linea con la strategia di Lisbona di cui abbiamo discusso oggi.
Il dibattito in corso verte sui casi attuali di concentrazioni, in particolare nel settore energetico. A questo proposito per l’opinione pubblica, e quindi per i consumatori, sono particolarmente importanti le tendenze dei prezzi, che subiscono il contraccolpo di una concorrenza insufficiente, e la garanzia del posto di lavoro.
I consumatori comprendono immediatamente che l’unico modo per impedire un ingiustificato aumento dei prezzi è garantire un livello adeguato di concorrenza. E’ anche vero, però, che nel lungo termine è possibile garantire l’occupazione solo se le imprese sono competitive. A tale proposito dobbiamo attivamente perseguire una politica paneuropea di concorrenza nel contesto delle quattro libertà fondamentali.
Un altro compito importante della politica di concorrenza consiste nell’impedire che le istanze di riorganizzazione e concentrazione arrechino danni irreparabili alla concorrenza. Proprio per questo motivo, come sapete, il diritto comunitario prevede disposizioni sulle concentrazioni suscettibili di provocare distorsioni alla concorrenza nell’intero mercato comune o in buona parte di esso.
Lo ribadisco: siamo convinti che la Commissione avvierà azioni appropriate e agirà in maniera responsabile. Lo Stato di diritto e di conseguenza la prevedibilità delle decisioni sono elementi altrettanto essenziali per il successo dell’Europa quale sede di attività economiche. A tal fine, il lavoro sull’adozione di un approccio di stampo più spiccatamente economico dovrà essere svolto in maniera ancora più approfondita. Se, dopo una fase di valutazione, emergerà la necessità di integrare il quadro giuridico per le fusioni in tale ambito, il Consiglio si farà carico anche di questo aspetto.
E’ parimenti evidente che i quadri normativi non possono materialmente prevedere tutte le possibili eventualità; occorre invece un certo livello di astrazione. La Presidenza del Consiglio ritiene inoltre che, nell’adottare le sue ormai imminenti decisioni, la Commissione giudicherà con la massima attenzione questioni quali la definizione del mercato e la determinazione dell’efficienza.
Neelie Kroes, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, l’Unione europea prospera proprio perché smantella le barriere tra gli Stati membri invece di crearle. I mercati aperti e competitivi sono la forza trainante della crescita e dell’occupazione in Europa. Le imprese che operano con successo nel mercato europeo si trovano altresì in una posizione favorevole per competere a livello mondiale.
La Commissione guarderà sempre con apprensione ai tentativi, diretti e indiretti, messi in atto dai governi nazionali per interferire in maniera indebita nel processo di ristrutturazione aziendale transfrontaliera in Europa. Nel Trattato è racchiuso il principio che vieta tutte le restrizioni ingiustificate alle libertà fondamentali da esso sancite – in particolare la libera circolazione dei capitali – e al diritto di stabilimento. Affinché questi diritti possano trovare espressione concreta, è fondamentale che le imprese siano libere di ristrutturare, ricorrendo anche al passaggio di proprietà.
Negare per principio questa possibilità alle imprese oppure non applicare correttamente le norme della legislazione comunitaria settoriale che introducono la concorrenza sui mercati – come quello dell’energia, delle telecomunicazioni e dei servizi finanziari – significherebbe limitare gravemente la capacità delle imprese di adattarsi alle sfide poste dall’integrazione dei mercati nell’Unione europea, ai rapidi progressi tecnologici che investono molti comparti e, in generale, alle dinamiche evolutive dell’odierna attività imprenditoriale europea.
L’industria europea sa essere all’altezza di queste sfide, come dimostra anche la costante crescita del numero di imprese europee transfrontaliere. Se, da un lato, gli effetti delle singole fusioni devono essere esaminati caso per caso conformemente alle norme applicabili in materia di concorrenza, le fusioni tra imprese aventi sede in Stati membri diversi con ogni probabilità accresceranno la concorrenza tra i paesi membri interessati, contribuendo in tal modo ad apportare vantaggi concreti ai consumatori europei, i quali potranno così contare su prezzi inferiori e su una scelta più ampia. Si pensi ad esempio al settore energetico. Il Libro verde pubblicato la settimana scorsa dalla Commissione è estremamente chiaro. L’energia potrà essere sostenibile, competitiva e sicura solo grazie a mercati energetici aperti e competitivi, fondati sulla concorrenza tra imprese che aspirano a diventare competitive sul piano europeo piuttosto che conquistare posizioni dominanti a livello nazionale. L’apertura dei mercati rafforzerà l’Europa e le permetterà di affrontare i suoi problemi. Al contempo, il processo di ristrutturazione transfrontaliera la competitività delle imprese europee mettendole in condizione di potere competere sui mercati globali.
Qualsiasi interferenza dei governi nazionali in questo processo, che non sia giustificata dal legittimo interesse conformemente a quanto stabilito dai Trattati, dalla legislazione secondaria o dalla giurisprudenza, rischia di pregiudicare seriamente l’eventualità che l’Europa possa trarre vantaggio dalle opportunità offerte dall’integrazione dei mercati e dalla globalizzazione.
La Commissione, come sapete, può avvalersi di due importanti strumenti giuridici – le norme sul mercato unico contenute nel Trattato CE e l’articolo 21 del regolamento CE sulle fusioni – per far fronte alle interferenze indebite delle autorità nazionali nella ristrutturazione aziendale, e ha quindi il dovere di pretendere l’applicazione delle norme laddove si riveli necessario.
In qualità di custode del Trattato CE, e come Istituzione responsabile del controllo delle fusioni nel contesto della concorrenza a livello europeo, la Commissione è determinata a garantire che le imprese possano effettivamente beneficiare dei vantaggi del mercato unico comunitario. Per tale ragione l’applicazione di queste disposizioni è e rimarrà una delle priorità centrali della Commissione.
Klaus-Heiner Lehne, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mercato interno è messo a dura prova; si potrebbe persino dire che, nel settore energetico in particolare, è a rischio. Promuovendo i campioni nazionali, si consente la creazione di monopoli nei singoli paesi, il che significa che viene meno la concorrenza sia in ambito nazionale che a livello del mercato interno. Si tratta di un pessimo scenario per i consumatori.
Le imprese energetiche europee devono affrontare un ulteriore problema, poiché se non riusciranno a essere competitive in Europa, in futuro non potranno più esserlo nemmeno a livello internazionale. Anche questo fattore contribuisce ad aggravare la situazione nel continente. Tra l’altro, si aggrava così anche la situazione di tutte le altre imprese, che sono costrette a pagare a caro prezzo l’energia e quindi perdono competitività anche sulla scena internazionale.
Pur sostenendo espressamente gli sforzi compiuti in quest’ambito dalla Commissione, e dal Commissario in particolare, ritengo che le opzioni della Commissione siano semplicemente limitate. L’Esecutivo sta cercando di presentare strumenti che afferiscono al diritto della concorrenza, ma la famosa regola dei due terzi prevista dal regolamento sulle fusioni si applica quasi sempre nel settore dell’energia in particolare e di conseguenza l’ambito d’intervento della Commissione è minimo.
So che il Commissario Kroes sta valutando l’ipotesi di operare un cambiamento in quest’ambito, ma tale modifica richiederebbe l’approvazione unanime del Consiglio, e non credo che nella situazione attuale sia possibile ottenerla. Per questo è fondamentale che anche il Consiglio si occupi del problema. E’ infatti presumibile che i governi si attengano allo spirito e alla lettera dei Trattati e del diritto comunitario. In ultima analisi vogliamo un mercato interno soprattutto nel settore delle imprese energetiche. Per questo mi aspetto che il Consiglio si interessi alla questione.
Passo ora a fare una considerazione sulla normativa in materia di acquisizioni. Secondo quanto riportato ultimamente dalla stampa, le disposizioni europee sulle acquisizioni promuoverebbero questo genere di sviluppo. Personalmente non ne sono affatto convinto. E’ presumibile che gli Stati membri recepiscano la legge sulle acquisizioni, ma si tratta di una questione che attiene alle relazioni tra le imprese; non ha nulla a che vedere con l’esercizio del potere politico. L’influenza politica infatti non è prevista dalle decisioni che devono essere adottate a livello europeo nell’ambito della normativa sulle acquisizioni, e va evitata e impedita. E’ indispensabile mettere apertamente la questione sul tavolo del Consiglio e rivolgere un appello a tutti i responsabili al suo interno.
Ieke van den Burg, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, supponiamo che il prossimo fine settimana il Presidente Barroso convochi una conferenza stampa per annunciare la fusione di Euronet, della Deutsche Börse e del London Stock Exchange. Uno scenario da sogno o da incubo? Né l’uno né l’altro, oserei dire, ma vorrei semplicemente rilevare che è piuttosto improbabile che ciò avvenga.
Il mio gruppo intende tuttavia esortare il Presidente Barroso, la signora Commissario e i suoi colleghi a non farsi mai cogliere alla sprovvista nella situazione in cui ci troviamo ora, con le fusioni, le acquisizioni e gli sviluppi ai quali assistiamo nei mercati finanziari, energetici e in altri settori – settori che sono tutti molto importanti per l’economia europea.
Noi socialdemocratici continuiamo a credere che nell’economia lo Stato debba svolgere un ruolo importante come mediatore, come legislatore e come difensore dell’interesse pubblico. Non sto affatto dicendo che noi politici dovremmo stare al centro della scena e assumere atteggiamenti da primadonna alle conferenze stampa; ritengo invece che dovremmo svolgere il nostro ruolo con silenziosa diplomazia e creando le condizioni più appropriate in un dialogo con le imprese; oltre a partire da quanto è già accaduto, dovremmo anche riuscire ad anticipare ciò che accadrà.
Per tale ragione, signora Commissario, non condivido il suo approccio, che è esclusivamente negativo e cerca di impedire alle autorità di interferire nelle vicende che interessano le imprese. Ritengo invece sia necessario adottare un approccio proattivo ed elencherò tre questioni su cui dovremmo tenere un dibattito esaustivo in Europa.
La prima è la politica industriale. Ho apprezzato molto alcune delle osservazioni formulate dal Commissario Verheugen questa mattina, espresse in un’ottica maggiormente incentrata sulla politica industriale.
La seconda – citata anche dall’onorevole Lehne – riguarda ciò che sta accadendo nel campo delle acquisizioni e il modo in cui le organizziamo. Occorre tenere un dibattito sull’argomento, non solo sulla democrazia degli azionisti, predicata dal Financial Times e dall’Economist, ma anche su altri aspetti.
La terza questione è la contrapposizione tra approccio europeo e approccio nazionale.
Vittorio Prodi, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo realmente di fronte ad una situazione molto importante per l’Europa: gli Stati membri restano ancora legati alla percezione di una dimensione nazionale ritenuta comunque prevalente, mentre dimentichiamo che c’è stato un salto di dimensioni e che dobbiamo avanzare consapevolmente verso una dimensione continentale, sapendo che andiamo in quella direzione e sapendo anche governarla.
Ecco perché non riesco a capire le difficoltà sollevate, per esempio a livello delle fusioni bancarie in Polonia, noi in Italia abbiamo accettato una presa di controllo della Banca Nazionale del Lavoro proprio in questa prospettiva. Ravviso in dette difficoltà un conflitto di interessi, proprio perché molto spesso si tratta di aziende completamente pubbliche o perlomeno a maggioranza pubblica.
E’ un conflitto di interessi tra l’interesse politico immediato e l’interesse a lungo termine, non solo dei consumatori, ma pure dell’efficienza complessiva del sistema Europa. Così è successo anche nel caso di Enel e Suez, dove emerge un contrasto precipuo di interessi tra la necessità di razionalizzare le nostre aziende perché diventino realmente dei soggetti in grado di sopportare la concorrenza a livello mondiale e l’esigenza di evitare che vengano mortificate in una scala a così breve termine.
Chiedo che si possa organizzare anche la concorrenza; stamattina ne abbiamo parlato anche con la Commissaria Kroes, che ringrazio per la disponibilità sulla concorrenza dell’energia. Occorre creare reti elettriche, gas e elettricità a livello completamente europeo. Questa è la nostra missione e sollecito una rapida azione velocemente in questo senso.
Claude Turmes, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, capisco benissimo la rabbia di Italia e Spagna per quello che definirei imperialismo energetico franco-tedesco in Europa. A pagarne il prezzo più alto però sono l’economia francese e quella tedesca. In Austria i prezzi di elettricità e gas sono del 20 per cento inferiori a quelli della Germania, grazie a costi di rete più bassi e a un mercato interno caratterizzato da una concorrenza maggiore rispetto al mercato tedesco.
I campioni europei, Commissario Kroes e Presidente Barroso, non sono la risposta a quanto è accaduto nelle ultime settimane. I campioni energetici europei spillerebbero addirittura più soldi alle nostre principali industrie e ai nostri consumatori, e a noi cittadini, per consegnarli agli azionisti. L’unica risposta può quindi essere data solo da mercati competitivi, la cui attuazione deve avvenire per opera di legislatori forti e indipendenti, autorità della concorrenza competenti e attraverso la piena disaggregazione della proprietà.
Roberto Musacchio, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo sempre detto che l’energia e l’Europa avevano bisogno non di liberismo, ma di politiche valide e condivise. Quello che accadde ora lo conferma: l’Europa fatica enormemente ad avere una politica energetica innovativa commisurata ai problemi posti dal Protocollo di Kyoto e all’esigenza di un nuovo sviluppo diverso.
Il mondo conosce drammatiche guerre per il controllo delle risorse petrolifere e ora questo conflitto si sposta anche all’interno dell’Europa: ovviamente la soluzione non è il protezionismo, bensì un uso più equo dell’energia disponibile e la promozione del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili. Ribadisco la nostra ferma contrarietà a fonti pericolose come il nucleare.
Bisogna dar vita a modelli economici e sociali non energivori, puntare alla cooperazione con gli altri continenti; come si vede, è cosa ben diversa dal coinvolgimento in guerre commerciali che nulla hanno a che vedere con il nostro futuro. Ridurre tutto a merce e commercio è un grave errore. Né liberismo, né protezionismo, ma una diversa politica energetica condivisa e solidale in Europa e nel mondo – questo deve essere il nostro ruolo!
Adam Jerzy Bielan, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, desidero intervenire sulla fusione di due gruppi bancari: Unicredito Italiano e HVB. E’ una questione che ha suscitato grandi polemiche in Polonia.
Nel 1999 Unicredito ha acquisito la quota di maggioranza nella Pekao S.A., una delle principali banche polacche. Questa mossa si è rivelata molto proficua, poiché a sette anni di distanza il valore delle azioni si è quadruplicato. Al momento dell’acquisto della banca polacca, tuttavia, gli italiani avevano dovuto impegnarsi a non investire alcun capitale in altre società che avrebbero potuto essere in concorrenza con la Pekao. L’acquisizione dell’HVB e, analogamente, anche di un’altra banca polacca, la BPH, rappresenta dunque una chiara violazione dell’accordo di privatizzazione. Le autorità polacche sono pertanto costrette a opporsi a questa fusione e a pretendere il rispetto dei termini dell’accordo.
Vale la pena di sottolineare che questa controversia non è assolutamente un tentativo messo in atto dal governo polacco per impedire a un’entità straniera di acquisire il controllo di una società nazionale, come è invece avvenuto ultimamente in Francia, in Spagna e in Italia. Le accuse di protezionismo che sono state mosse al governo polacco sono quindi assolutamente infondate in questo caso. Dovremmo inoltre ricordare che, mentre la Commissione europea controlla le fusioni a livello comunitario, gli obblighi sanciti dagli accordi e il controllo sulle banche restano di competenza dei governi nazionali.
Spero quindi che la Commissione europea tenga conto di tali considerazioni e che la Polonia cessi di essere il bersaglio della raffica di accuse suscitate da questo caso.
Antonio Tajani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’unificazione dei mercati è un obiettivo fondamentale dell’Unione, ma è anche più di questo: il mercato è uno dei pilastri su cui si è retto e si regge l’intero processo di integrazione europea.
Un vero mercato esige in primo luogo che i capitali circolino liberamente e si collochino laddove sono meglio remunerati; in secondo luogo che le imprese assumano una dimensione transfrontaliera e che si stabiliscano dove ritengono sia più interessante per la loro competitività attraverso fusioni e acquisizioni anche ostili. Il mercato poi non tollera abusi di posizione dominante che impediscono una libera concorrenza. Un mercato aperto e ben funzionante è determinante per la competitività dell’Europa sui mercati internazionali.
Provoca effetti opposti il protezionismo, cui abbiamo assistito in questi ultimi mesi. Con gli Stati che bloccano OPA, fusioni o acquisizioni transfrontaliere per tutelare interessi strategici nazionali. In realtà il protezionismo è destinato a difendere imprese deboli e inefficienti, oppure a creare artificialmente campioni nazionali. I danni che provoca sono rilevanti per gli utenti, che non possono disporre di beni e servizi ai prezzi migliori, e sono gravi per la collettività, che deve sopportare i costi di imprese non competitive. C’è da aggiungere che il protezionismo per sua natura non è in grado di garantire ai lavoratori prospettive certe e durature di occupazione. Con il protezionismo l’Europa torna indietro.
Per funzionare bene il mercato deve essere efficiente, non vi devono esistere asimmetrie. Tutti devono rispettare le regole: non si può ammettere la concorrenza sleale di quegli Stati e di quelle imprese che da un lato si proteggono e dall’altro sfruttano le aperture virtuose degli altri.
Per questo chiediamo alla Commissione europea di agire in maniera ferma al fine di garantire la libera circolazione di capitali e la libera concorrenza. Giudichiamo perciò positivamente quanto detto alla signora Kroes in quest’Aula. Avere il coraggio di fare queste scelte significa essere europeisti sul serio: la competitività, la crescita, il benessere dei cittadini che derivano da un mercato integrato, sono indispensabili per preparare il terreno alla nascita della Costituzione europea.
Pervenche Berès (PSE). – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, se volete veramente che il mercato funzioni correttamente, allora dovete rinunciare al forsennato liberalismo che ci proponete e che non riesce evidentemente a realizzare i propri obiettivi. Abbiamo bisogno di una strategia sulle fusioni che funzioni, certo, la quale però deve essere accompagnata da una strategia di politica industriale correttamente regolamentata e dotata di strategie economiche in linea con gli obiettivi delle norme di carattere sociale e ambientale.
Il Presidente in carica del Consiglio, a mio avviso, ha giustamente affermato che è necessario inserire anche obiettivi a medio e lungo termine che un liberalismo sfrenato non è in grado di realizzare. Inoltre, affinché la direttiva sulle OPA funzioni correttamente, gli Stati membri dovranno assumersi una grande responsabilità. Forse dovremo anche prevederne la revisione – secondo quanto stabilito nel testo – in modo che il potere degli azionisti non diventi una sorta di potere assoluto che, senza tener conto di alcun interesse, né dello Stato in questione, né della strategia industriale in atto, né degli interessi dei lavoratori, potrebbe causare la distruzione di imprese che, nell’arco degli anni, hanno acquisito competenze e una strategia imprenditoriale in grado di recare un utile contributo alla politica industriale europea.
(Applausi a sinistra)
Umberto Pirilli (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte a due possibili fusioni. La prima, tra Gaz de France e Suez, è innaturale perché crea in Belgio un monopolio energetico nel settore del gas e dell’elettricità e chiude ulteriormente il mercato francese alla presenza di competitori; la seconda fusione, tra Enel e Suez, potrebbe dare luogo invece a una diversificazione nel mercato francese e belga dell’energia.
Il principio di reciprocità nei rapporti tra paesi europei nel settore energetico appare essenziale per un mercato europeo dell’energia al servizio del consumatore e per una politica europea comune nel settore energetico.
In Italia è stato dato ampio spazio alle imprese energetiche degli altri paesi mediante politiche di privatizzazione e liberalizzazione. Questo è accaduto anche in altre nazioni europee. La violazione del principio di reciprocità da parte della Francia, in questo caso, non si giustifica con l’esigenza di garantirsi un’autonomia energetica mediante campioni nazionali, è espressione invece di una politica di nazionalismo eccessivo: la Francia ha già i suoi campioni energetici nazionali, non ha bisogno di crearne altri.
La fusione tra Gaz de France e Suez che controlla la belga Electrabel comporterebbe il grave rischio di incentivare le tendenze protezionistiche, non solo nel settore energetico, ma anche in altri settori industriali, finanziari e dei servizi.
La Commissione europea ha impiegato, in altri casi e con rigore, i suoi strumenti antitrust per bloccare lo sviluppo di posizioni dominanti e di ritorsioni della concorrenza internazionale. E’ accaduto di recente per i casi di ABN-AMRO / Banca Antonveneta e per il caso BBVA / Banca Nazionale del Lavoro, che ora sembra sia andato a beneficio di BNP Paribas, una banca francese.
E’ auspicabile che la Commissione usi lo stesso rigore per assicurare il libero movimento dei capitali, anche in queste circostanze il principio deve valere per tutti, in Europa non si possono ammettere paesi più uguali degli altri.
Cristóbal Montoro Romero (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, signora Commissario, oggi pomeriggio teniamo questo dibattito a fronte di fatti molto gravi avvenuti sui mercati energetici, ed essenzialmente su quelli dell’elettricità e del gas. Siamo dinanzi ad OPA guidate dai governi – come accade in Spagna – o impedite dai governi – come avviene in Francia. Tutto questo è un controsenso e viola lo spirito dell’Unione europea.
Abbiamo sentito discorsi pronunciati dai massimi esponenti politici di importanti paesi europei che non esitano a mettere in dubbio i principi fondamentali dell’Unione europea: la libera circolazione dei capitali e la piena concorrenza dei mercati. Discorsi, come quelli che abbiamo ascoltato in questi ultimi giorni per bocca di ministri, che sembrano parlare di pianificazione, la più antiquata e becera forma di programmazione economica. Parlano senza pudore di protezionismo, di patriottismo economico, di nazionalismo; in definitiva, portano avanti un discorso populista della peggior specie.
Data la situazione, dobbiamo convogliare tutti i nostri sforzi verso la costruzione europea, ovvero verso la libera integrazione dei mercati, riconoscendo l’esistenza di asimmetrie al loro interno, perché le asimmetrie indubbiamente non mancano! Probabilmente non esiste alcun esempio di integrazione economica in cui non vi siano state asimmetrie. Eppure, nonostante tutto, eccoci qua, siamo arrivati a questo punto, e le posizioni politiche cui ho accennato non fanno altro che aggiungere altri problemi e difficoltà ai problemi e alle difficoltà che abbiamo già dovuto affrontare.
Stiamo parlando di settori strategici, ma le comunicazioni, i trasporti e le finanze hanno un’importanza altrettanto strategica. Dinanzi a queste tentazioni nazionaliste, chiediamo alla Commissione europea di dare priorità all’obiettivo e all’ideale dell’integrazione europea e, dinanzi a questo atteggiamento populista e isolazionista, la esortiamo a dedicarsi all’obiettivo della creazione di un mercato unico. In definitiva, chiediamo alla Commissione europea di svolgere il suo ruolo di custode dei Trattati e di promuovere politiche reali di sviluppo e occupazione per tutti i cittadini europei.
(Applausi a destra)
Pier Luigi Bersani (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il processo di concentrazione industriale e finanziaria può rafforzare l’Unione europea nel mondo.
In alcuni casi e per alcune fasi esso può avvenire utilmente per vie nazionali, ma queste ultime sono sovente difensive e rischiano di innescare una pericolosa spirale protezionistica che va assolutamente fermata: bisogna far muovere ulteriormente il quadro giuridico, occorre promuovere maggiore convergenza delle regole nazionali per acquisizioni e fusioni, in caso contrario la rincorsa a clausole di reciprocità schiaccerà tutti i paesi sulla norma più chiusa e protettiva.
Infine, in alcuni settori avremo inevitabilmente assetti oligopolistici, ad esempio nell’energia. Questi assetti non devono essere collusivi o sfavorevoli ai consumatori e il controllo pubblico di alcune aziende non deve portare a facili abusi di mercato. Insomma, ci vuole più forza e più integrazione per l’autorità di regolazione, più forza all’antitrust e nell’immediato un atteggiamento più attivo e più incisivo da parte della Commissione.
Ivo Belet (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, signora Commissario, come sa, ora in Belgio sono moltissimi ad avere gli occhi puntati su di lei. L’aspettativa generale è che dica senza mezzi termini ai gruppi francesi Suez e Gaz de France, fusisi di recente, che la loro posizione su un mercato di modeste dimensioni come quello belga è insostenibilmente monopolistica. So che ai suoi servizi non è ancora giunta la notizia ufficiale della fusione, ma a nostro parere ciò non significa che, nella fase attuale, lei non possa affermare chiaramente che questo tipo di situazioni viola il diritto comunitario; si prevede infatti che il gruppo fusosi di recente fornirà non meno del 90 per cento del gas erogato in Belgio. Mi auguro che possa confermare che una società con una concentrazione di mercato di questo tipo sarà costretta a cedere una parte considerevole delle proprie attività.
Signora Commissario Kroes, lei è la sola garanzia sulla quale i consumatori, e mi riferisco sia a soggetti privati che all’industria, possono contare per non dover pagare un prezzo inammissibilmente elevato per l’erogazione di gas ed elettricità in futuro. Lei ha anche il potere di ripristinare la fiducia dell’opinione pubblica nell’Europa, perlomeno in una certa misura. Può farlo spiegando a questi colossi industriali che stanno approfittando della liberalizzazione, che ciò che stanno facendo è illegale ed è in contrasto con le regole della concorrenza.
Lei ha anche affermato che presto presenterà nuove proposte per porre fine alla concentrazione di potere nel settore della distribuzione energetica. Vorrei sapere se può confermare che con questo intende dire che ai principali produttori verrà chiesto di rinunciare al diritto di veto nelle imprese di distribuzione.
Concluderò dicendo, signora Commissario, che può passare alla storia esercitando la sua influenza e affermando a chiare lettere che le autorità europee sanno tener testa a queste megafusioni. Lei ha la fama di essere un osso duro e le saremmo grati se nelle prossime settimane ci desse ragione di credere che la sua reputazione non è usurpata.
Antolín Sánchez Presedo (PSE). – (ES) Signor Presidente, condivido il parere del Commissario, secondo cui non ha senso parlare di campioni nazionali e di colossi continentali e che, in materia di diritto della concorrenza, occorre adottare un approccio che permetta di decidere caso per caso.
La politica di concorrenza è fondamentale, ma in campo energetico non è la panacea di tutti i mali, così come non lo è la politica del mercato interno. Parlare di energia significa parlare di sicurezza e di interessi generali. L’energia è essenziale e, sostanzialmente, rientra nelle competenze attuali degli Stati membri.
Al momento esistono 25 mercati energetici caratterizzati da grandi disparità, da asimmetrie normative e da molteplici gestori che operano attenendosi a opzioni strategiche e a impegni di politica estera di diversa natura.
E’ necessario un sistema omogeneo disciplinato da condizioni operative armonizzate. I grandi gestori non possono imporre né predeterminare queste condizioni. Un mercato energetico europeo, con servizi energetici europei, non si creerà da sé, ma sarà il frutto del metodo europeo, dell’azione e dell’impegno comuni. L’Europa deve dotarsi di un programma e dare prova di leadership per realizzare questo obiettivo.
Noi socialisti siamo favorevoli a una politica energetica europea, secondo quanto previsto, per la prima volta, dalla Costituzione europea. Anziché parole di risentimento contro il patriottismo, sono necessarie azioni intelligenti a favore dell’europeismo.
Iles Braghetto (PPE-DE). – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la delegazione italiana UDC-SVP ha presentato nelle scorse settimane un’interrogazione scritta alla Commissione per evidenziare le contraddizioni di una politica energetica europea apparentemente in crisi.
La decisione del governo francese di creare un altro colosso dell’energia violando i principi del mercato europeo avrà conseguenze negative. La fusione tra le aziende Suez e Gaz de France rischia di innescare una lotta fratricida tra Stati membri proprio nel momento in cui l’Europa si accinge a liberalizzare al cento per cento il mercato del settore. Tale iniziativa politica si sta realizzando in barba ad ogni proposito di trasparenza e di libera concorrenza e sta sostituendo di fatto quella titolarità del gioco finanziario che dovrebbe appartenere al solo mercato.
Inoltre preoccupa il recepimento della direttiva OPA in Francia, la cui discussione, dopo un lungo silenzio, riprenderà domani all’Assemblea nazionale. Tale progetto di legge può ostacolare le possibili operazioni sul capitale di Suez conferendo eccessivi poteri alle società oggetto di offerta. Davanti a una simile anomalia non abbiamo potuto fare a meno di sollevare responsabilmente il problema, chiedendoci quale politica energetica la nostra Europa intenda perseguire.
Vogliamo ribadire in quest’Aula, signor Presidente, il timore di una pericolosa deriva verso un’Europa delle nazioni in contrasto con gli ideali e lo spirito dei trattati, in contrasto con quello spirito e quei valori che De Gasperi, Adenauer, Schuman, Monnet, ci hanno tramandato.
L’Europa, che si dà una moneta unica, che cerca di armonizzare leggi, norme, statuti, istituzioni, che crea una Banca centrale, che istituisce l’area di Schengen, non può ridursi ad un gioco in cui gli interessi nazionali prevalgono su quelli comunitari e dove la politica si sostituisce rapidamente al mercato.
La prospettiva di un contesto industriale paneuropeo rilanciata dal Presidente Barroso con l’approvazione del Libro verde sull’energia ci fa finalmente ben sperare. La creazione di mercati aperti a beneficio dei consumatori e la centralità di politiche globali europee al riparo degli egoismi nazionali dovranno essere gli obiettivi prioritari della Commissione per i prossimi mesi.
Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Signor Presidente, quando sento che alcuni colleghi considerano sacrosanto il principio della libera circolazione dei capitali, dimenticando gli obiettivi sociali sanciti dal Trattato, quali l’occupazione, lo sviluppo di un’economia equilibrata e il mantenimento della solidarietà e della coesione, ho l’impressione che alcuni eurodeputati non abbiano letto i Trattati dell’Unione europea.
In materia di offerte pubbliche di acquisto, in linea generale, occorre tenere conto, ad esempio, degli interessi dei lavoratori, riconosciuti nella direttiva concernente le offerte pubbliche di acquisto, e, in secondo luogo, degli obblighi di servizio pubblico.
Come ha affermato poc’anzi l’onorevole Turmes, attualmente in alcuni paesi le grandi multinazionali impongono prezzi superiori a quelli che i loro utenti sono costretti a pagare in paesi in cui non esiste la libera circolazione. Chi, come me, proviene da regioni periferiche insulari si chiede chi pagherà i costi supplementari che emergeranno per queste regioni svantaggiate.
Vorrei infine dire che non è vero che la direttiva concernente le offerte pubbliche di acquisto non contempla interventi politici: l’articolo 4, paragrafo 5, prevede l’introduzione di deroghe in virtù delle circostanze nazionali. I legislatori dell’Unione europea dovranno tenerne conto.
José Manuel García-Margallo y Marfil (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, prendendo spunto dalle affermazioni del mio connazionale, onorevole Sánchez Presedo, parlerò delle OPA, al plurale, sulla società Endesa.
Che cosa ha fatto il governo socialista spagnolo in questo caso? In primo luogo ha occupato sistematicamente i vertici di tutte le autorità di regolamentazione e del Tribunale della concorrenza. Per la prima volta nella storia della democrazia spagnola i presidenti di questi tre organismi sono individui notoriamente schierati a livello politico.
In secondo luogo il governo spagnolo ha appoggiato spudoratamente una determinata OPA sulla società Endesa, al punto che il Consiglio dei ministri l’ha approvata contro la relazione-parere del Tribunale della concorrenza.
In terzo luogo ha eretto un muro – confermato oggi dal ministro dell’Economia e dal ministro dell’Industria – contro l’OPA presentata da un’altra impresa comunitaria.
All’“alto là” imposto dal Primo Ministro, il ministro dell’Industria ha dispiegato tutte le armi di “ostruzione di massa” a sua disposizione arrivando addirittura a cambiare le regole del gioco a partita in corso – la cui modifica, tra parentesi, è dovuta avvenire nella fase che intercorre dall’approvazione del Consiglio dei ministri alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dello Stato – trasformando la Spagna in una specie di repubblica delle banane in cui la certezza giuridica viene calpestata.
Se parliamo di patriottismo economico, ciò di cui la Spagna ha bisogno per continuare a crescere e creare occupazione è una maggiore concorrenza e non un maggior protezionismo, un maggiore liberalismo e non mercanteggiamenti o ingerenze politiche, una maggiore sicurezza energetica, che è sinonimo di integrazione in Europa, e non un protrarsi dell’isolazionismo in ambito energetico.
Alla Commissione chiedo innanzi tutto di dissipare i dubbi di natura politica che offuscano queste operazioni. Non appena è stata presentata questa OPA, ho chiesto al Commissario Kroes di cercare di risolvere la questione, avvertendola dei rischi politici che questa offerta pubblica di acquisto avrebbe comportato. Non ha voluto saperne e oggi ci troviamo a questo punto.
In secondo luogo, chiedo di garantire l’applicazione delle norme sulla concorrenza nella loro forma attuale. In terzo luogo, come ha affermato la signora Commissario, chiedo l’integrazione in un mercato comune, che sarà l’unico modo di assicurarsi la sufficienza energetica, un’energia a basso costo e un mercato interno; queste sono le nostre aspirazioni. Questo è patriottismo spagnolo ed è anche patriottismo europeo.
Andrzej Jan Szejna (PSE). – (PL) Signor Presidente, il diritto comunitario disciplina fusioni e acquisizioni sul mercato interno attraverso una politica della concorrenza che è una delle prime e principali politiche comunitarie e che, in teoria, dovrebbe garantire l’eliminazione degli ostacoli agli scambi interni nel mercato unico, impedendo che ad essi subentrino azioni da parte di imprese e governi che distorcerebbero la concorrenza.
Purtroppo, i fatti avvenuti di recente hanno dimostrato che in alcuni Stati membri si conducono attività protezionistiche e miopi. Ne sono un esempio l’impresa tedesca E.ON, che sta cercando di acquisire la società spagnola Endesa, la fusione tra il colosso del gas francese Gaz de France e Suez, la multinazionale italiana dei combustibili e dell’energia e la recente opposizione del governo polacco alla fusione tra la banca Pekao S.A. e la banca BPH, che è il risultato di una fusione tra la tedesca HVB Group e l’italiana Unicredito.
L’opposizione del governo polacco si fonda su una dubbia base giuridica rispetto al diritto comunitario e mette la Polonia in cattiva luce nei confronti degli investitori stranieri. Purtroppo questo caso è diventato anche un’arma nella battaglia che il governo di destra sta conducendo contro l’indipendenza della Banca nazionale polacca, che è anche la banca centrale.
Alexander Radwan (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sapevate che lo yogurt è oggetto di interesse nazionale? Lo ha sostenuto un grande Stato membro fondatore quando è stata avanzata l’ipotesi di un’acquisizione della Danone, benché il fatturato e gli introiti di questa società vengano prevalentemente generati all’estero.
Questa discussione è sorprendente. Tutti vogliono che le società del proprio paese s’imbarchino in folli acquisizioni in Europa e nel mondo, ma nessuno vuole che questo avvenga entro i confini nazionali. Non ho sentito nessuno spagnolo lamentarsi dell’acquisizione dell’operatore tedesco-britannico O2 da parte della spagnola Telefónica né dell’acquisizione di un grande fornitore di servizi finanziari britannico da parte del Banco de Santander. Non ho visto nessuno agitarsi per il tentativo della Francia di acquisire una banca italiana o per l’acquisizione di una quota di Energie Baden-Württemberg AG da parte francese o per l’acquisizione di Hypo-Vereinsbank da parte dell’italiana Unicredito, anche se ABN AMRO ha incontrato problemi quando ha cercato di avviare un’iniziativa analoga in Italia.
Gli Stati membri e il Consiglio stanno dando prova di grande ipocrisia sulla questione. Stanno chiudendo le porte dei loro paesi dietro di sé nel tentativo di fare affari altrove e, così facendo, indeboliscono l’economia europea. Stiamo orientando i nostri sforzi nella direzione sbagliata se crediamo di poter realizzare gli obiettivi di Lisbona e di poterci rafforzare ricorrendo al protezionismo nazionale, quando non siamo nemmeno in grado di far fronte alla concorrenza all’interno dei nostri stessi paesi. Abbiamo bisogno di imprese forti, e anche di imprese che vadano in altri paesi portandovi una maggiore concorrenza.
La Commissione deve affrontare sfide su due livelli. Deve esaminare attentamente ogni singolo caso e rispondere alle seguenti domande. La fusione arreca beneficio ai consumatori? Rafforza la concorrenza? Questo è il vero compito che spetta alla Commissione quando esamina i vari casi, e la risposta è spesso affermativa e talvolta anche negativa. La Commissione deve adottare una linea dura nei confronti del Consiglio, poiché negli ultimi anni la certezza che gli Stati membri e il Consiglio pensino in termini di approccio europeo e di mercato interno è stata fortemente intaccata.
Elisa Ferreira (PSE). – (PT) Accolgo con favore l’iniziativa della Commissione di rivedere il regolamento sulle fusioni. La legislazione è diventata inefficace, come hanno evidenziato le decisioni giuridiche prive di equilibrio ed economicamente insostenibili che sono state adottate in merito al mercato energetico in Portogallo e in Spagna.
Il recente avvento di operatori di grandi dimensioni a livello europeo acuisce i problemi normativi, soprattutto nei paesi più piccoli e dotati di minori risorse. Beni e servizi essenziali che dovrebbero essere universalmente forniti al minor prezzo possibile cominciano ora a essere erogati da imprese private in regime di monopolio e oligopolio. Quando le imperfezioni del mercato diventano la regola, anziché l’eccezione, gli obiettivi che la concorrenza dovrebbe realizzare diventano irraggiungibili ed è proprio in questo caso che il ruolo della regolamentazione si rivela fondamentale.
Signora Commissario, la revisione legislativa in corso darà risposta ad alcuni di questi problemi? Come pensa la Commissione di disciplinare il potere degli oligopoli europei? L’Europa può vivere senza una profonda riflessione sulla politica industriale e sui servizi di interesse economico generale?
La ringrazio anticipatamente per la risposta che fornirà a queste domande.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, non ho molto da aggiungere alle mie affermazioni iniziali. Ho dichiarato apertamente il mio sostegno, a nome del Consiglio, alla concorrenza nell’interesse dei consumatori. All’inizio del dibattito l’onorevole Lehne ha chiesto al Consiglio di affrontare la questione. L’onorevole Radwan ha rivolto al Consiglio un appello analogo. Posso solo dire che, laddove sia richiesto uno sforzo da parte nostra e laddove ne abbiamo la competenza e il potere di agire, non esiteremo ovviamente a intervenire e lo faremo conformemente alle pertinenti disposizioni dei Trattati.
Vorrei cogliere quest’opportunità, se me lo permettete, per fare una piccola autopromozione. Desidero richiamare l’attenzione dell’Assemblea su un evento che le Presidenze del Consiglio di Austria e Finlandia stanno organizzando congiuntamente e che potrebbe interessare gli onorevoli deputati. In occasione dell’ormai tradizionale Giornata europea della concorrenza, Austria e Finlandia, i due paesi che deterranno la Presidenza del Consiglio nel 2006, organizzeranno una conferenza intitolata “Diritto della concorrenza e temi correlati – collegamenti e nuove tendenze”, che si terrà a Vienna il 19 giugno 2006.
Questa conferenza verterà essenzialmente sulle tendenze attuali nell’ambito delle fusioni e del controllo delle fusioni. Sotto il titolo “Le fusioni mantengono le promesse?”, si cercherà di capire fino a che punto il regolamento sulle fusioni abbia introdotto un nuovo approccio, prendendo spunto dagli esempi di una fusione e dalla situazione in cui versa un’economia in fase di transizione. Avremo il piacere di accogliere il Commissario Kroes e anche Martin Bartenstein, il ministro federale austriaco dell’Economia e del Lavoro tra gli ospiti dell’evento. Immagino che questa iniziativa riscuoterà un certo interesse.
Neelie Kroes, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, mi congratulo per l’iniziativa della Presidenza austriaca che a giugno, insieme alla prossima Presidenza finlandese, organizzerà un’importantissima giornata: la Giornata della concorrenza. Quanto agli altri aspetti, sono molto colpita dalla priorità che è stata accordata alle PMI. La questione è stata affrontata in un modo che costituisce davvero un grande passo avanti. La Presidenza non ha solamente portato a termine un programma, ma ha anche cercato di trovare soluzioni in maniera molto pragmatica. Siamo consapevoli che la questione non interessa solo gli eurodeputati, ma anche altri soggetti, soprattutto le PMI.
Ringrazio molto tutti i parlamentari che, nei loro interventi, hanno accordato un chiaro sostegno alla politica della Commissione, ma prendo anche atto che non tutti la condividono. Tuttavia, spero vivamente che in tutti noi vi sia la consapevolezza che mercati aperti e competitivi sono la forza trainante della crescita e dell’occupazione in Europa. E’ stato giustamente affermato che gli obiettivi che ci eravamo impegnati a realizzare nell’agenda di Lisbona sono proprio questi: nuovi e migliori posti di lavoro e crescita economica.
Come avete riconosciuto in molti, un mercato interno ha un potenziale enorme. Dobbiamo fare in modo che le nostre imprese e industrie lo sfruttino al massimo, conformemente alle decisioni adottate. Tale processo prevede, tra l’altro, le ristrutturazioni aziendali. Sembra una prospettiva promettente; non si tratta però solo di considerare il mercato interno, ma anche di esaminare la posizione del mercato interno al di fuori dell’Europa. Dobbiamo infatti essere consapevoli che esiste una competitività globale e, se intendiamo davvero prendere parte al gioco, dobbiamo sapere che, in determinate circostanze, occorre ristrutturare.
Se, da un lato, gli effetti delle singole fusioni devono essere valutati caso per caso conformemente – questo è indubbio – alle norme applicabili in materia di concorrenza, dall’altro le fusioni tra imprese situate in Stati membri diversi accresceranno con ogni probabilità la concorrenza, che a sua volta apporterà vantaggi concreti ai consumatori europei, i quali potranno quindi contare su prezzi più bassi e su una scelta più ampia. Per questo la Commissione ribadirà la propria preoccupazione dinanzi a interferenze ingiustificate in questo processo da parte dei governi nazionali.
Per quanto concerne la libera circolazione dei capitali, cui hanno fatto giustamente cenno diversi deputati, la Commissione rispetterà le norme sul mercato unico, proprio come vi aspettate che faccia. Saremo severi nei confronti di quegli Stati membri che non applicano correttamente le disposizioni della legislazione settoriale CE che introduce la concorrenza su mercati quali l’energia, le telecomunicazioni, i servizi finanziari e le attività bancarie. Quanto alle singole fusioni, applicheremo il regolamento in materia con equità, obiettività e coerenza. Ricorderete che, ai sensi del regolamento sulle fusioni, la Commissione ha la competenza esclusiva di controllare, sulla base della concorrenza, gli effetti delle fusioni con una dimensione comunitaria.
Prendo accuratamente nota delle preoccupazioni espresse in questa sede su casi specifici nel settore energetico. Al momento non sono in possesso di informazioni e quindi non sono in grado di parlarne. Ribadisco nuovamente che controlliamo le fusioni solo per ragioni legate alla concorrenza, ed è su questa base che la Corte rivede le nostre decisioni. Come sapete, l’articolo 21 del regolamento sulle fusioni ci fornisce inoltre uno strumento con cui far fronte ad eventuali interferenze indebite da parte delle autorità nazionali nella ristrutturazione delle imprese. Vorrei aggiungere che non esiterò ad avvalermi di tale strumento ogniqualvolta si renderà necessario.
La regola dei due terzi per le fusioni, cui hanno fatto riferimento alcuni deputati, verrà invece modificata? La separazione di competenze dovuta alla regola dei due terzi può dare adito ad approcci incoerenti nei confronti di fusioni sostanzialmente simili. Questo è ovvio. Penso che possa sembrare una misura particolarmente inadeguata nel settore energetico in cui si profila al momento una politica sulla liberalizzazione a livello europeo – non è ancora del tutto pronta, ma è attualmente in fase di implementazione – e in cui i diversi operatori dovrebbero ricevere lo stesso trattamento nei vari Stati membri. Nessuna differenza di trattamento, quindi, tra uno Stato membro e l’altro.
Il processo di elaborazione della Commissione, tuttavia, è ancora in una fase molto embrionale. In primo luogo terremo una consultazione con le parti interessate negli Stati membri sull’opportunità di modificare o meno la regola sui due terzi. So che avremo bisogno del sostegno del Consiglio e so quanto sarà difficile ottenerlo. Si tratta di uno strumento possibile e sono favorevole ad affrontarlo, ma il mio obiettivo non è questo. Il mio obiettivo è garantire un trattamento equo e paritario, e non un trattamento più equo per alcuni a svantaggio di altri. Pertanto, se si presenterà la possibilità di realizzare tale politica, a prescindere dalla strada seguita, sarà un giorno fatidico per questa parte della mia politica.
La Commissione ha il dovere di far applicare le norme laddove si rivela necessario. In qualità di custode dei Trattati, la Commissione svolgerà il proprio lavoro in modo imparziale ma deciso, come ha giustamente affermato la Presidenza austriaca.
Vi ringrazio nuovamente per il sostegno, di cui vi sono grata. Abbiamo urgentemente bisogno di fare il nostro lavoro quanto più rapidamente possibile, poiché nei paesi interessati dalle fusioni la situazione è piuttosto convulsa.
Presidente. – La discussione è chiusa.
PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES Presidente
12. Politica euromediterranea / Preparazione in vista della prossima riunione dell’APEM (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla politica euromediterranea e la preparazione in vista della prossima riunione dell’Assemblea parlamentare euromediterranea a Bruxelles.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, durante il breve dibattito sul Medio Oriente tenutosi oggi in seguito agli ultimi avvenimenti, è stata giustamente menzionata anche la cooperazione euromediterranea. Questa cooperazione è di vitale importanza non solo per quanto riguarda la questione mediorientale, ma anche in altri contesti. Non ribadirò ora quanto ho già affermato oggi a nome del Consiglio sugli eventi in Medio Oriente. Nel frattempo anche la Presidenza ha rilasciato una dichiarazione in merito. Ora invece vorrei passare al processo Euromed.
La Presidenza austriaca si riallaccia a quanto deciso lo scorso novembre dal Consiglio di Barcellona sul decimo anniversario del primo Vertice di Barcellona, che ha adottato un programma di lavoro quinquennale per il partenariato orientato alle riforme politiche ed economiche, insieme a un codice di condotta sulla lotta al terrorismo. Credo che questi accordi e documenti siano della massima importanza.
Insieme ai nostri partner del Mediterraneo abbiamo altresì deciso di aumentare gli investimenti nell’istruzione e affrontare insieme tutti gli aspetti dell’immigrazione legale e clandestina. Questo è un altro tema molto importante.
Spetta ora alla Presidenza austriaca impegnarsi a realizzare tutti questi progetti, e lo faremo di buongrado, con energia e convinzione. Colgo inoltre l’occasione per annunciare che il 24 marzo si terrà a Marrakech un incontro dei ministri del Commercio, e che il 25 e 26 giugno a Tunisi ci sarà una riunione dei ministri delle Finanze Euromed.
Oltre a ciò, aiuteremo in particolare la Commissione nel dare priorità ai media, perché siamo convinti che essi svolgano un ruolo primario nel favorire la comprensione interculturale. A tale proposito, il seminario Euromed sulla xenofobia e sul razzismo nei media, da tempo pianificato, si terrà nel mese di maggio nel corso della Presidenza austriaca.
Come l’Assemblea ha già avuto modo di ascoltare dal ministro degli Esteri austriaco nonché Presidente del Consiglio “Affari generali e Relazioni esterne”, nelle ultime settimane il Consiglio si è molto occupato della vicenda delle vignette, anche durante la riunione informale dei ministri degli Esteri a Salisburgo. Ne ho già parlato in questa sede. Questo problema, in particolare, ci ha fatto chiaramente capire che dobbiamo imboccare la via del dialogo lungimirante tra UE e mondo islamico e con le comunità musulmane in Europa. Il partenariato euromediterraneo offre, in tal senso, una tribuna ideale e molto importante per il dialogo con i paesi mediterranei. Ritengo che tale dialogo sia fondamentale a tutti i livelli, soprattutto in termini di contatto diretto tra i giovani, e credo che il partenariato euromediterraneo possa e debba svolgere un ruolo centrale in questo senso. Proprio a tal fine infatti lo scorso anno è stata istituita la Fondazione Anna Lindh per il dialogo tra le culture che, ora più che mai, deve assolvere a questa funzione primaria.
Le conclusioni del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” dell’UE del 27 febbraio 2006 fanno esplicito riferimento al processo di Barcellona e alla Fondazione Anna Lindh, oltre ad altre organizzazioni multilaterali che svolgono un ruolo in questo settore, e questo per noi è motivo di grande soddisfazione.
Adesso è importante avvalerci di tutti gli strumenti a disposizione del partenariato euromediterraneo e sfruttarli per allentare le tensioni, come quelle registrate di recente. Già il 22 febbraio si è tenuto un incontro tra alti funzionari Euromed che ha portato a uno scambio di opinioni molto aperto sulle ultime vicende, dando a tutti i partecipanti la possibilità di proporre misure specifiche.
In sostanza è stato generalmente riconosciuto che in effetti esistono già le strutture necessarie ad affrontare il problema, non credo quindi che occorra crearne di nuove. Il nostro compito, ora, è sfruttare tutte le possibili occasioni di dialogo per continuare ad avvicinare i popoli delle due sponde del Mediterraneo, come del resto facciamo già da tempo.
L’Assemblea parlamentare euromediterranea riunisce i rappresentanti dei popoli che vivono sulle due sponde del Mediterraneo, e ci aspettiamo che dia un contributo sostanziale per smorzare sempre più i toni e per promuovere la comprensione.
L’Assemblea parlamentare euromediterranea ha attribuito al processo di Barcellona una nuova dimensione di cui esso aveva urgentemente bisogno conferendogli, soprattutto, una maggiore legittimità. Le varie commissioni di lavoro si sono attivate anche per prepararsi al Vertice di Barcellona del novembre 2005.
La commissione per gli affari politici, la sicurezza e i diritti umani dell’Assemblea parlamentare euromediterranea ha discusso approfonditamente e con serenità il problema delle vignette in occasione dell’incontro tenutosi il 6 di questo mese, e anch’essa ha evidenziato la necessità di approfondire il dialogo. Sono convinto che la seduta plenaria prevista per il 26 e 27 marzo fornirà una risposta adeguata alle questioni sollevate. Da parte sua, la Presidenza austriaca segue e appoggia le diverse iniziative intraprese in tal senso.
Proprio oggi, durante l’incontro del comitato per il processo di Barcellona composto da alti funzionari, ossia il comitato Euromed, su richiesta dei nostri partner mediterranei per rispetto ai sentimenti religiosi è stato cambiato il titolo di un seminario che si terrà a Vienna.
Sono convinto che vi sia la possibilità di migliorare ulteriormente la comunicazione tra le tradizionali commissioni Euromed e l’Assemblea parlamentare euromediterranea. Spero che, con un po’ di immaginazione, riusciremo a fare ulteriori passi avanti durante la Presidenza austriaca, a vantaggio di tutti le commissioni Euromed e dell’intero partenariato.
Infine, soprattutto alla luce degli ultimi sviluppi, potremmo rafforzare la cooperazione ad esempio mediante l’OSCE o addirittura l’“Alleanza delle civiltà” che, come sappiamo, è un’iniziativa turco-spagnola patrocinata dalle Nazioni Unite. L’Austria vuole continuare a essere presente in questo più ampio contesto, e ha già invitato il gruppo ad alto livello dell’Alleanza delle civiltà a tenere il suo terzo incontro a Vienna alla fine di maggio.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, siamo qui a discutere del processo di Barcellona e della preparazione in vista della prossima riunione dell’Assemblea parlamentare euromediterranea.
Permettetemi di dire alcune parole sugli ultimi avvenimenti che hanno avuto luogo nei territori palestinesi, poiché oggi c’era pochissimo tempo a disposizione durante gli interventi sulla riunione informale ed erano presenti solo due Commissari. Ho ceduto il posto al Commissario Rehn per il dibattito sui Balcani occidentali e ora, se me lo permettete, vorrei fare alcune considerazioni sugli episodi di ieri. Non solo è un tema di attualità, ma è anche centrale per il partenariato euromediterraneo, per il nostro comune obiettivo di creare una regione di pace, stabilità, prosperità e opportunità. Non riesco a capire come quanto è accaduto ieri possa avere, in qualche modo, contribuito a questi obiettivi.
L’attacco israeliano al carcere di Gerico e il trattamento pubblico che gli israeliani hanno riservato alle guardie carcerarie e ai detenuti sono inammissibili e devono essere condannati. Deploro inoltre la violenza, i sequestri e gli attacchi agli uffici della Commissione e agli altri uffici degli Stati membri a Gaza e in Cisgiordania.
Le prime vittime di questo crollo dell’ordine pubblico sono gli stessi palestinesi. Allo stato attuale, in vista delle importanti scadenze politiche previste in Israele e nei territori palestinesi, è più importante che mai che entrambe le parti diano prova di moderazione e responsabilità. Gli attacchi come quelli di ieri e le dichiarazioni provocatorie sicuramente non aiutano a migliorare le prospettive, e l’Autorità palestinese deve metter fine alla violenza e all’insicurezza. Ieri sera ho avuto una lunga discussione – come sicuramente anche lei, signor Presidente – con il Presidente Abbas prima che rientrasse per affrontare la spirale di violenza e di scontri. In questo momento egli si trova a dover svolgere uno dei compiti più difficili al mondo, che non è stato in alcun modo semplificato dagli avvenimenti di ieri. La costituzione del nuovo governo in seno all’Autorità palestinese si ripercuoterà sulle prospettive di pace in Medio Oriente e su noi tutti.
L’Unione europea è un partner affidabile del popolo palestinese, che mai è stato tanto aiutato da altri donatori. Per l’ennesima volta ho reiterato al Presidente Abbas che intendiamo continuare a offrire il nostro sostegno per un futuro migliore, di pace e prosperità, ma che rimaniamo saldi nei nostri principi lasciando la porta aperta a sviluppi positivi. La futura assistenza al nuovo governo dell’Autorità palestinese sarà rivista a seconda della posizione che esso assumerà sui principi più importanti, cioè porre fine alla violenza, il riconoscimento di Israele e il rispetto degli accordi esistenti, compresa la roadmap. Chi intrattiene negoziati con il Presidente Abbas deve sapere e capire che le proprie decisioni su questi temi avranno ripercussioni importanti.
Parlerò ora del partenariato euromediterraneo. Il Vertice di Barcellona dello scorso novembre ha raggiunto grandi risultati per il futuro. Il programma di lavoro quinquennale concordato al vertice e il codice di condotta sulla lotta al terrorismo rappresentano un programma molto ambizioso che conferirà al partenariato maggiore concretezza, rilevanza politica e capacità operative.
Per dare seguito al Vertice, dobbiamo ora garantire il contributo costruttivo ed efficace di tutti i partner allo scopo di realizzare gli obiettivi, decisi di comune accordo, sulla riforma politica ed economica, la crescita e la creazione di posti di lavoro, i diritti umani e le questioni di genere, l’istruzione e la gestione della migrazione, la stabilità regionale e la lotta al terrorismo.
La Commissione ha già iniziato a lavorare all’attuazione del programma quinquennale. Sono state intraprese iniziative con l’attuale Presidenza del Consiglio e quella entrante, oltre che con i partner mediterranei, per assicurare il successo di questo impegno comune. Abbiamo destinato un finanziamento adeguato a favore del sostegno e dell’assistenza, stanziato mediante MEDA e il futuro strumento europeo di vicinato e partenariato, compreso un importante strumento per incoraggiare i progressi sulla riforma della governance che per l’appunto abbiamo chiamato “strumento di governance”.
A partire da quest’anno saranno avviate nuove misure innovative, mentre sono già in fase avanzata i preparativi per organizzare il primo incontro ministeriale Euromed sulle questioni di genere, alla fine dell’anno.
Due conferenze subregionali, una nel Maghreb e l’altra nel Mashrek, faranno da premessa all’analisi dei rappresentanti di governo e della società civile sull’importanza che l’uguaglianza di genere riveste per lo sviluppo economico e sociale, e proporranno misure concrete per migliorare l’accesso della donna al mondo del lavoro e alla vita pubblica.
Al Vertice di Barcellona, i partner Euromed hanno sottolineato l’importanza della migrazione, dell’integrazione sociale, della giustizia e della sicurezza come temi di interesse comune per il partenariato, che devono essere affrontati in maniera globale ed equilibrata. Sono stati inoltre avviati i preparativi in vista di un incontro ministeriale per discutere i vari temi, dall’emigrazione clandestina al traffico di esseri umani.
Questa iniziativa regionale è accompagnata dai nostri programmi bilaterali tesi al consolidamento delle capacità istituzionali, alla gestione della migrazione legale, al miglioramento dei controlli alle frontiere, alla lotta all’immigrazione clandestina e alla tratta di esseri umani.
Il Presidente Winkler ha già menzionato l’incontro dei ministri del Commercio, che vedrà la partecipazione del Commissario Mandelson e porterà avanti l’obiettivo di una zona europea di libero scambio.
Speriamo altresì di assistere a progressi analoghi nel commercio sud-sud nel contesto del “processo di Agadir”. La cosiddetta crisi innescata dalle vignette ha già evidenziato i pericoli che incombono con la diffusione del pregiudizio, della disinformazione e dell’equivoco. Siamo rammaricati dell’offesa arrecata da quelle vignette ai musulmani di tutto il mondo, ma abbiamo condannato con forza tutti gli atti di violenza e le minacce alle cose e alle persone nell’Unione europea e negli altri paesi. Il sostegno al dialogo interculturale, a tutti i livelli, è importante, e sono lieta che a Salisburgo sia stato fortemente raccomandato. Siamo convinti che il processo di Barcellona sia già dotato di una sua struttura e architettura: c’è la Fondazione Anna Lindh e altre 35 strutture all’interno di un’intera rete.
Dobbiamo rivolgerci alla società civile e ai media, e tutti i seminari sui media previsti dalla Presidenza austriaca sono benaccetti.
In questo contesto, sono molto lieta che sia già stato previsto uno scambio di opinioni in materia alla prossima Assemblea parlamentare Euromed. Da là mi recherò al vertice della Lega araba a Khartoum, perché è molto importante che ora si sfruttino tutte le opportunità per dialogare realmente con i nostri amici e colleghi arabi.
In questo momento critico il nostro messaggio deve essere chiaro: solo attraverso uno scambio di opinioni forte ma pacifico, nel pieno rispetto della libertà di espressione, si può costruire il rispetto e migliorare la comprensione. Questa, in effetti, è la quintessenza del processo di Barcellona. Quello che noi vogliamo, quindi, è dare più speranza al progresso. Insieme, vogliamo realizzare gli obiettivi di sicurezza, stabilità e prosperità.
(Applausi)
Edward McMillan-Scott, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, è un grande piacere vederla presiedere l’inizio di questo dibattito sull’Assemblea parlamentare Euromed, che lei si impegna sempre a promuovere e a valorizzare. Tra i colleghi presenti in Aula vi sono moltissimi antesignani della politica euromediterranea a sinistra, ma non così tanti al centro-destra, con le debite eccezioni degli onorevoli Busuttil, Kasoulides e Saïfi, tra gli altri.
Come già precedentemente ricordato, ieri sera ho avuto l’onore di incontrare il Presidente palestinese insieme all’onorevole Véronique De Keyser. Siamo profondamente dispiaciuti per le circostanze che lo hanno indotto a rientrare. Trovo sia tragico, e al tempo stesso ironico, che i due paesi che più parlano di incoraggiare la democrazia in Medio Oriente – il Regno Unito e gli Stati Uniti – siano stati proprio i due che, ieri, hanno abbandonato Gerico. I loro governi avrebbero dovuto rafforzare i propri presidi, non ritirarli.
Nel corso dell’Assemblea europarlamentare Euromed sarebbe giusto sapere, in particolare dal Consiglio, chi è responsabile di queste decisioni, chi le ha prese e quando e perché sono state adottate. Spero, se possibile, che alla riunione venga rilasciata una dichiarazione del Consiglio con il sostegno della Commissione.
Il lavoro di Euromed si basa, in gran parte, sulle commissioni. Siamo profondamente grati per quanto è stato fatto in questa sede e per l’opportunità, unica al mondo, che l’Assemblea fornisce a Israele e Palestina di lavorare insieme. Si tratta di una riunione insolita, che si svolge alla vigilia di un’elezione israeliana e in seguito all’elezione palestinese del 25 gennaio. Forse i rappresentanti dei due paesi non saranno presenti, ma ciò non significa che ci siamo scordati di loro; al contrario, sono sempre tra le nostre priorità. Credo che questo incontro – l’ultimo che lei presiederà alla Presidenza del Parlamento europeo – sarà per la Commissione, il Consiglio e il Parlamento la grande occasione di ricordare il nostro impegno nell’attribuire contenuti autentici alla dimensione parlamentare del Mediterraneo.
Spero che il lavoro da me svolto nella sottocommissione possa dare al Parlamento europeo l’opportunità di diventare il fulcro operativo e organizzativo dell’Assemblea Euromed in futuro, così come è nelle mie intenzioni.
(Applausi)
Pasqualina Napoletano, a nome del gruppo PSE. – Signora Commissaria, signor Ministro, signor Presidente, onorevoli colleghi, le drammatiche vicende di queste ore in Palestina ci obbligano ad un giudizio e, come ha detto lei, Signora Commissaria, toccano al cuore il partenariato euromediterraneo.
Vorrei dire alle autorità israeliane che una campagna elettorale, per quanto importante, non può comportare lo stravolgimento dei riferimenti di legalità esistenti. Uno di questi, il principale, è il ruolo del Presidente Abu Mazen, colpito ed esautorato dall’atto irresponsabile dell’assalto alla prigione di Gerico e dalla cattura di prigionieri la cui detenzione era di competenza dell’autorità palestinese. Vorrei inoltre sentire dal Consiglio un giudizio sul comportamento delle forze del Regno Unito e degli Stati Uniti presenti in loco.
Al Presidente dell’Autorità palestinese, che avrebbe dovuto essere qui oggi tra noi, va tutto il nostro sostegno politico e morale. Siamo consapevoli della sua difficilissima posizione, soprattutto dopo il risultato delle elezioni legislative in Palestina. L’Europa, signora Commissaria, come lei ha detto, deve richiamare le autorità israeliane al rispetto del diritto e degli interlocutori legittimi, come stiamo pretendendo dalla stessa Hamas. Rompere il quadro della legalità vuol dire aprire la porta alle ritorsioni e alle violenze che già si stanno verificando e che dobbiamo cercare di arginare. Siamo sollevati a questo proposito dalla notizia della liberazione degli ostaggi.
Sulla crisi iraniana, altro capitolo doloroso, ho apprezzato le dichiarazioni del Ministro Jacques Straw, che mi auguro mantenga fino in fondo. Egli ha affermato che non esiste alcuna opzione militare. Il Ministro ha reso esplicita una posizione che l’intera Europa dovrebbe assumere e che il gruppo socialista sottoscrive in pieno, essendo anche la nostra posizione. Scostarsi dal negoziato porterebbe alla dinamica disastrosa già conosciuta in Iraq.
Questo non ci rende più deboli, al contrario apre la possibilità ad un dialogo serrato, rassicura le popolazioni iraniane e siriane che si sentono minacciate. Allentiamo la tensione, evitiamo che si creino alleanze innaturali costruite in nome della lotta contro l’occidente! Manteniamo unita la comunità internazionale nella pressione sull’Iran affinché rispetti gli obblighi sottoscritti dalla firma del trattato di non proliferazione, nella prospettiva del disarmo nell’area mediorientale e dell’intero mediterraneo!
C’è da sperare che in questo passaggio estremamente delicato l’Europa sia capace di esprimersi con una sola voce, con autonomia ed efficacia, e che la prossima assemblea del Parlamento euromediterraneo diventi un’ottima occasione per affrontare questi temi.
Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, anch’io desidero condannare l’attacco sferrato ieri dalle forze di difesa israeliane al carcere di Gerico. Simili azioni non possono che rendere ancora più radicale la politica di Hamas e, di conseguenza, complicare ancor più le relazioni, già molto tese, in questa regione.
Considerando le violazioni del diritto internazionale e dei diritti dell’uomo e le sfide democratiche presenti nella regione, dobbiamo deplorare il fatto che le dichiarazioni e gli impegni derivanti dal Vertice di Barcellona non si siano accompagnati a un impegno più forte e più concreto nella promozione dei diritti umani e della democrazia.
La libertà di espressione è un diritto universale, fondamentale ed essenziale per lo sviluppo di ogni democrazia; l’Unione europea non deve, quindi, risparmiarsi nel difenderla e promuoverla.
Non si tratta solo degli avvenimenti che hanno fatto seguito alla pubblicazione delle vignette. In Algeria chi attacca il Presidente viene processato per diffamazione e condannato alla reclusione o al pagamento di un’ammenda. E’ il caso di Ali Dilem, corrispondente di Sud-Ouest d’Alger, come di Bachir El Arabi e Hakim Laâlam, giornalista di Soir d’Algérie.
Mohammed Benchicou, direttore di Le Matin, si trova nel carcere di El-Harrach dal 14 giugno 2004. Benché le sue condizioni di salute siano in continuo peggioramento, le autorità rifiutano di prestargli la necessaria assistenza sanitaria. Egli è stato condannato o accusato di quasi cinquanta reati giornalistici: si tratta di un detenuto per reati d’opinione, e non di un criminale, come affermano alcuni.
In Tunisia, la cui delegazione sarà presto alla presidenza dell’APEM, Mohammed Abbou, avvocato e strenuo difensore dei diritti umani, si trova in stato di reclusione da oltre un anno per la pubblicazione di due articoli critici. Già si rifiutava di parlare per protesta contro l’incarcerazione e le condizioni in cui è detenuto, ora invece prevede di iniziare uno sciopero della fame.
In Marocco Aboubakr Jamai e Fahd Iraki, del giornale L’Hebdomadaire, sono stati condannati a pagare l’equivalente di 143 volte il salario minimo annuale marocchino. Il 2 febbraio 2006 è stata proibita la diffusione del quotidiano spagnolo El Mundo a causa di un articolo scritto da Ali Lmrabet. Anche i giornalisti del settimanale TelQuel sono stati condannati per diffamazione.
Concluderò lanciando un appello affinché i diritti umani e la democrazia siano presi in maggiore considerazione nei dibattiti dell’APEM, come ci invitano a fare i vincitori del Premio Sacharov 2005, Reporter senza frontiere.
Luisa Morgantini, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, “al diavolo voi e i vostri i soldi”, così mi ha detto Ayman al Karni crossing checkpoint di Gaza, non perché in realtà non accettasse i nostri aiuti e ne fosse ben felice, ma per dire “basta, abbiamo bisogno di libertà e di dignità, non soltanto di aiuti umanitari”. Nel contempo noi stessi non possiamo avere la coscienza felice solo perché continuiamo ad aiutare, dobbiamo proprio continuare ad aiutare i palestinesi.
L’azione di ieri, come tante altre, è illegale, cinica, disumana. Illegale perché illegale, ma anche cinica perché pensa alle elezioni: manifesta in realtà vendetta e colonialismo brutale. Credo che sia il tempo che Israele comprenda come la sua stessa vita, il suo stesso amore per la democrazia può esistere soltanto se rispetta gli altri popoli; ma non lo sta facendo e noi non possiamo certo essere complici di ciò e non lo siamo.
La Commissaria e il Consiglio stamattina lo hanno detto molto apertamente. La nostra assemblea parlamentare è estremamente importante, ma dovremmo affrontare un problema: la partecipazione della rappresentanza palestinese all’assemblea parlamentare. Dobbiamo assolutamente accettare la presenza di chi sarà indicato dal Consiglio legislativo palestinese.
E’ un peccato che ciò avvenga un giorno prima delle elezioni israeliane, perché vuol dire che è una componente essenziale dell’assemblea non sarà presente. Dobbiamo però fare in modo che funzioni, che lavori, anche perché se non risolviamo la questione palestinese, la nostra Assemblea avrà costantemente come centro e come discussione il tema Palestina e Israele. Non potremo neppure affrontare i problemi che il Commissario e che il Consiglio hanno esposto molto chiaramente, che sono quelli di riuscire ad avere un Mediterraneo che coopera davvero.
Paul Marie Coûteaux, a nome del gruppo IND/DEM. – (FR) Signor Presidente, approfitto di questo dibattito per congratularmi con l’Ufficio di presidenza dell’Assemblea parlamentare euromediterranea per il comunicato pubblicato sulle infami vignette. La figura di Maometto potrebbe essere definita come il comune denominatore di un islam che è più fragile e diverso, e anche più diviso, di quanto non si creda. Mirare a questa figura vuol dire mirare dritto al suo cuore. Non si poteva non saperlo, così come non si poteva non pensare alle conseguenze di questa azione, lo scoppio di un conflitto tra civiltà. Chi trae vantaggio da queste caricature: chi ha interesse a fomentare questi conflitti? Vorrei fare questa domanda. Sicuramente non noi, europei, e sicuramente non la Francia, che è la prima potenza sul mar Mediterraneo la cui influenza dipende da un sottile equilibrio tra, da una parte, la politica continentale europea e, dall’altra, la politica mediterranea e africana.
Indubbiamente questa affermazione genera una duplice paura: da una parte, l’APEM e l’Euromed sono ancora fragili barche gettate in tra le onde. Fragili non solo a livello di risorse, ma soprattutto in termini di ispirazione intellettuale, perché mi sembra siano ancora aggrappate a una concezione molto eurocentrica della democrazia e dei diritti umani – ne abbiamo appena avuto l’ennesimo esempio – che non solo sa di colonialismo, ma che oltretutto ci impedisce – l’abbiamo visto anche a dicembre a Barcellona – di occuparci di ciò che è veramente importante, cioè la cooperazione economica, finanziaria, commerciale e la gestione dei flussi migratori. Contrariamente a quanto appena detto dalla Commissione, tenderei a parlare di cooperazione e non di zona di libero scambio, che mi sembra una formula molto pericolosa.
La seconda paura è che il tema delle civiltà è da tempo ovvio, per noi risale ai tempi di Carlo Martello: non abbiamo dovuto aspettare i pensatori americani per ricordarcelo. Solo se ci cullassimo stupidamente nell’illusione della globalizzazione, potremmo renderci conto, all’improvviso, che le civiltà non sono intercambiabili, e gli uomini ancor meno, e che la coesistenza tra i popoli non è automatica. Questo approccio alla Huntington è chiaramente volto a lanciare un messaggio diverso, cioè che tutti noi siamo destinati a far parte di un “Occidente” – chiaramente virgolettato – con capitale necessariamente a Washington e con gli europei che dovrebbero semplicemente seguire le imprese di guerra degli Stati Uniti. Questa stessa idea dell’Occidente è, come sappiamo, una finzione ideologica. E’ proprio perché le civiltà si scontrano di continuo che ci vuole una politica, che dobbiamo fare politica, che bisogna avere la volontà di vivere collettivamente, e l’APEM e l’Euromed ci offrono la struttura giusta per farlo. Cominciamo quindi rafforzandoli, perché mi sembra stiamo diventando sempre più fragili mentre, anno dopo anno, diventano sempre più necessari.
Simon Busuttil (PPE-DE). – (MT) E’ un peccato che, non appena facciamo un passo avanti nel processo di Barcellona, in Medio Oriente succeda qualcosa che impedisce ogni altro sviluppo. Desidero comunque rimanere sul nostro tema e parlare in qualità di membro della commissione economica dell’Assemblea parlamentare euromediterranea. Vorrei che la Commissione e il Consiglio analizzassero uno studio realizzato dall’università di Manchester dal titolo “Studio di valutazione dell’impatto sostenibile della zona di libero scambio Euromed”. Abbiamo iniziato a discutere questo studio nella commissione economica dell’Assemblea, ed esso dipinge un quadro preoccupante dell’impatto della politica dell’Unione europea sulla creazione di una zona di libero scambio nel Mediterraneo, prevedendo effetti piuttosto negativi sui nostri paesi partner del Mediterraneo che dovrebbero trarre vantaggi, e non svantaggi, dal processo di Barcellona. Tra gli effetti negativi esso cita la possibilità che in questi paesi si inneschino fenomeni quali un aumento della disoccupazione, una diminuzione dei salari e un grande impatto sulle risorse, ad esempio sull’acqua e sulla biodiversità, insieme ad altre conseguenze di natura ambientale. Ovviamente la relazione non intima di bloccare o demolire il piano sulla creazione di una zona di libero scambio, ma consiglia di prendere in seria considerazione questi effetti negativi e adottare sin d’ora misure preventive, prima che sia troppo tardi. Chiedo quindi alla Commissione e al Consiglio di darci il loro parere sullo studio, indicandoci quali misure intendono adottare per porre rimedio a possibili impatti negativi derivanti dall’istituzione di una zona di libero scambio nel Mediterraneo. E’ indubbio, ad esempio, che la politica dell’Unione europea nei confronti di questi paesi debba necessariamente controbilanciare l’aspetto commerciale con una maggiore cooperazione nel settore finanziario, sociale e dell’istruzione, così come nel settore ambientale. Concludo rivolgendo un appello alla Commissione e al Consiglio affinché partecipino più attivamente all’Assemblea parlamentare euromediterranea e rispondano agli interrogativi posti dai deputati.
Carlos Carnero González (PSE). – (ES) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziarla per la sua presenza e, soprattutto, voglio congratularmi con lei per avere diretto così bene i lavori dell’Assemblea parlamentare euromediterranea nei sei mesi in cui è toccato a quest’Aula dirigerli.
Dobbiamo essere capaci di riconoscere i nostri meriti e anche i nostri demeriti. In questo caso, riconosciamo i nostri meriti. Il processo euromediterraneo è stato un successo, così come il Vertice di Barcellona dello scorso novembre. Si tratta di un processo vivo e in continuo sviluppo.
Pensiamo a quale sarebbe stata la situazione nel caso in cui il processo euromediterraneo non fosse esistito, alla luce degli avvenimenti a cui abbiamo assistito sulla crisi delle caricature e di quanto successo ieri a Gerico, ad esempio. Il problema sarebbe enorme: come stabilire il dialogo, come cercare metodi di cooperazione per risolvere i problemi.
Il piano d’azione approvato a Barcellona contiene punti estremamente importanti, alcuni dei quali sono stati citati. Reputo fondamentale approvare la zona di libero scambio, accompagnata però da una coesione economica e sociale. Su questo abbiamo molte conoscenze in Europa, e sarà questo l’elemento chiave per il successo del primo obiettivo.
Un’altra questione affrontata è stata il codice di condotta sulla lotta al terrorismo. In una zona come questa, un simile codice di condotta era inimmaginabile solo alcuni anni fa. Oggi lo abbiamo.
Inoltre, il Vertice di Barcellona ha accettato l’iniziativa congiunta ispano-turca sull’Alleanza delle civiltà, il che non significa accettare il relativismo culturale, ma indirizzare le culture nella stessa direzione: la difesa della democrazia, la libertà, i diritti umani e l’uguaglianza tra esseri umani.
In questo contesto, l’Assemblea parlamentare euromediterranea è un’importantissima tribuna di dibattito politico di cui possiamo avvalerci. Credo che, in vista della riunione del 26 e 27, dobbiamo realizzare quattro obiettivi: accelerare il processo decisionale, riorganizzare i dibattiti con i relatori per commissione, garantire la presenza e la partecipazione della Commissione e del Consiglio in base alle necessità, come richiesto questa mattina dal Presidente Borrell all’inizio della seduta, e, infine, coinvolgere la società civile.
In questo modo andremo nella giusta direzione.
David Hammerstein Mintz (Verts/ALE). – (ES) Signor Presidente, in questo breve minuto a mia disposizione vorrei fare una proposta molto concreta.
Ovviamente sottoscrivo appieno le opinioni espresse sugli avvenimenti di Gerico.
Da un punto di vista politico, tenuto conto della spirale di violenza e del conflitto causato dalle vignette su Maometto, ora più che mai dobbiamo combattere per una coesistenza pacifica nel Mediterraneo.
All’interno della commissione dell’APEM per gli affari culturali, abbiamo proposto la creazione di un comitato di contatto culturale composto da autorevoli esperti aperti al dialogo per rispondere ai conflitti culturali e religiosi, per mediare, chiarire e sciogliere le tensioni tra le due sponde del Mediterraneo.
La Fondazione Anna Lindh, con sede ad Alessandria, sarebbe perfettamente in grado di organizzare questo comitato di esperti, che potrebbe agire in forma preventiva in caso di simili conflitti, per chiarire le incomprensioni sulle culture degli altri, per chiarire eventuali dubbi su quanto è realmente successo.
Credo che in questo modo, all’Assemblea del 26, potremo compiere un piccolo passo avanti verso la tolleranza che vogliamo nel Mediterraneo.
Tokia Saïfi (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, signor Ministro, signora Commissario, dobbiamo ammettere che i lavori del Vertice di Barcellona non sono stati all’altezza delle enormi sfide. Dobbiamo quindi guardare al futuro con maggiore determinazione e raggiungere immediatamente dei risultati.
Visti gli ultimi avvenimenti, l’Assemblea parlamentare euromediterranea è la sede ideale per consolidare il nostro partenariato basato sul dialogo, sullo scambio e sulla comprensione reciproca. L’APEM deve, più che mai, essere rafforzata e sostenuta nelle proprie azioni. Stabilire la pace e garantire la sicurezza sono obiettivi che, soprattutto adesso, devono essere prioritari nelle nostre decisioni ed essere accompagnati da azioni concrete.
E’ urgente intervenire di fronte alla difficile situazione locale e alle crescenti incertezze sul piano regionale. Credo che oggi l’Unione europea abbia grandi responsabilità, e lo dico in qualità di presidente della commissione politica dell’APEM che, a fianco di un vicepresidente palestinese e di un vicepresidente israeliano, desidera considerare prioritaria la risoluzione della questione mediorientale nei nostri lavori. L’Unione deve esprimersi con un’unica voce e condannare la malvagità delle azioni che alimentano la spirale di violenza e minano il già fragile processo di pace.
E’ riprovevole che il Presidente palestinese Mahmoud Abbas non abbia potuto parlare dinanzi all’Assemblea a causa degli avvenimenti di Gerico, e vorrei, in questa sede, esprimere la mia preoccupazione per questa situazione.
Signora Commissario, l’abbiamo ascoltata. Abbiamo visto la sua convinzione e la sua volontà. Nell’APEM, con il Presidente Borrell, siamo determinati ad andare avanti. Credo infatti che sia giunto il momento di smettere di deludere la gente.
Véronique De Keyser (PSE). – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, non c’era niente di casuale negli avvenimenti di Gerico, che ci hanno privato della possibilità di incontrare Mahmoud Abbas. Questi fatti hanno una valenza politica. La prima persona colpita è stata sicuramente Mahmoud Abbas: aveva appena lasciato il paese quando le forze israeliane hanno sferrato l’attacco alla prigione.
Egli però non è l’unico a subirne le conseguenze. Non è stato detto che Ahmed Sa’adat era membro del neoeletto consiglio legislativo palestinese. Nessuno ha sottolineato che Hamas, che aveva fatto qualche timido passo avanti nel riconoscimento dello Stato di Israele nei suoi confini del 1967, non ha più potuto procedere in questo senso dopo la diffusione di immagini umilianti di prigionieri mezzi nudi, legati e con gli occhi bendati.
Anche noi europei siamo stati snobbati. Aspettavamo Mahmoud Abbas, ma non è venuto. E’ in gioco tutta la nostra politica sulla Palestina. Oggi, dopo che i nostri uffici sono stati saccheggiati e i nostri connazionali sono stati presi in ostaggio, alcuni deputati di questa Assemblea mi dicono che noi, i principali donatori, non dobbiamo continuare a finanziare la Palestina dopo l’ingratitudine dimostrata. Questo è stato l’effetto di Gerico.
Rivolgendomi ai colleghi che esitano a sostenere la Palestina, devo dire loro che oggi non c’è un solo palestinese che non darebbe i soldi da noi offerti in cambio di una chiara posizione politica dell’Unione europea sugli avvenimenti attuali. Possiamo forse fingere di non vedere che Israele ha scelto una via unilaterale, incentrata sull’ordine pubblico, che non ha più niente a che vedere con la roadmap? Il piano Olmert è unilaterale, come lo erano il disimpegno di Gaza – molto applaudito –, l’annessione della Cisgiordania e la presa di Gerusalemme Est. La realtà della Palestina è un’interminabile occupazione, un muro condannato dall’Aia che però rimane in piedi. Tutti i soldi che diamo alla Palestina per aiutarla a sopravvivere non le permettono di sfuggire a questa realtà. In altre parole, il processo di pace va avanti a ritroso.
Per concludere, signora Commissario, se deve esserci un piano B per aiutare la Palestina l’Europa deve prendere una posizione politica chiara e coraggiosa. Come volete, altrimenti, che i palestinesi abbiano ancora speranze e che credano in noi, quando parliamo della roadmap?
Ioannis Kasoulides (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, gli avvenimenti di Gerico sono stati oggetto di lunghe discussioni da parte dei colleghi questa mattina e sono certamente destinati ad avere ulteriore eco; il tema delle vignette sarà sicuramente dibattuto anche in seno alla commissione per la qualità della vita, gli scambi tra società civili e la cultura.
Dobbiamo essere espliciti nel condannare i contenuti delle caricature. Il rispetto dei valori religiosi e dell’identità altrui, ad esempio dei nostri concittadini europei musulmani, è un valore europeo che solo la stupidità può non comprendere, ma in Europa siamo costretti a difendere persino il diritto alla stupidità di esprimersi liberamente, e i nostri partner arabi lo devono capire.
Per quanto riguarda la questione della migrazione, sono encomiabili le nuove iniziative della Commissione e le recenti decisioni del Consiglio di gestire i flussi migratori, invece di parlare solo di immigrazione clandestina. Politiche come l’accoglienza legale, prevista e organizzata, degli immigrati necessari sui mercati nazionali; la circolazione dei cervelli, in contrapposizione alla fuga dei cervelli; la facilitazione delle rimesse; l’integrazione civica degli immigrati; la politica di asilo comune e così via risulteranno più allettanti per i nostri partner mediterranei.
E’ vero che alcuni di questi paesi, in passato paesi di origine o di transito, sono diventati paesi di destinazione. Per questo dobbiamo lavorare insieme condividendo le risorse tecniche, le competenze e le responsabilità, per combattere la tratta degli esseri umani e l’immigrazione clandestina.
PRESIDENZA DELL’ON. McMILLAN-SCOTT Vicepresidente
Béatrice Patrie (PSE). – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, come presidente della delegazione parlamentare europea per le relazioni con i paesi del Mashrek, ovviamente mi associo a quanto appena dichiarato in merito ai recenti avvenimenti verificatisi in Palestina e, in particolare, alla condanna dell’attacco alla prigione di Gerico, che certamente non rappresenta un passo avanti verso la pace e la democrazia.
Vorrei ricordare la Fondazione Anna Lindh, che promuove il dialogo tra civiltà ed è stata oggetto di un gruppo di lavoro dell’Assemblea parlamentare euromediterranea (APEM). Questa istituzione già incontra una serie di difficoltà strutturali. Alcuni Stati partner devono ancora organizzare le loro reti nazionali e sono stati registrati forti ritardi nel versamento dei contributi. Permangono poi grandissime incertezze sulla continuità dei finanziamenti dopo il 2008.
Occorre quindi porre subito rimedio a queste difficoltà garantendo la continuità finanziaria della Fondazione Anna Lindh, dando maggiore visibilità alle misure intraprese dalla fondazione e alle sue priorità, rendendo più flessibili le norme europee sul finanziamento dei progetti, creando una stazione televisiva europea di lingua araba e mettendo sullo stesso piano le tre lingue di lavoro della struttura ai fini della comunicazione.
Per concludere, l’APEM, insieme al Consiglio e alla Commissione, deve fare tutto il necessario per esaminare seriamente la questione.
Jamila Madeira (PSE). – (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo i recenti tragici eventi le conclusioni del nostro ultimo incontro a novembre, che erano estremamente chiare, si sono rivelate molto pertinenti. La prosperità economica e il progresso sociale non sono alla portata di tutti, e per questo gli episodi di violenza sono molto visibili.
Già sappiamo che le persone a cui sono negati l’assistenza sanitaria e il diritto di acquisire conoscenze qualitative e quantitative sono solitamente i nostri partner nel sud del Mediterraneo e, soprattutto, i gruppi sociali meno privilegiati, cioè le donne e i poveri.
Lo scenario futuro è per noi motivo di preoccupazione, soprattutto se valutiamo l’impatto sulla sostenibilità della zona euromediterranea di libero scambio, che vogliamo vedere operativa entro il 2010, com’è stato detto dal Commissario. In questo caso i dati mostrano che, riducendo la povertà, i vantaggi immediati sarebbero assai esigui, anche se altri benefici possono derivare dalle profonde trasformazioni nelle economie dei nostri partner mediterranei. Nei settori della sanità e dell’istruzione ci sono poche possibilità di conseguire miglioramenti a breve termine; pertanto se l’impatto previsto non sarà attenuato, si produrranno effetti negativi su questi due settori.
Per quanto riguarda i diritti umani, è fondamentale esaminare la pressoché totale assenza di un approccio metodologico nell’UE e nelle istituzioni euromediterranee sul tema dei diritti sociali ed economici e sul ruolo che questo svolge nel processo di Barcellona.
Penso che soprattutto nella situazione attuale – ma, in realtà, anche in generale – si tratta di una questione di grande importanza a cui attribuire la giusta rilevanza nel programma MEDA.
Le priorità più urgenti in questo partenariato devono essere il rafforzamento del dialogo sociale, la lotta al lavoro minorile, la cooperazione nella lotta alla discriminazione nel settore della previdenza sociale, il dialogo sulle riforme sociali e la promozione delle pari opportunità tra uomini e donne.
Nella realtà in cui viviamo oggi, questo tema deve essere presente nel processo di Barcellona.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, sono grato a tutti voi per aver ricordato l’impatto positivo del partenariato euromediterraneo nei vostri interventi. Ovviamente è possibile elencare una lunga serie di questioni in cui permangono grosse lacune, come ha appena rimarcato l’onorevole Madeira. E’ proprio questa infatti la ragione per cui non possiamo assolutamente adagiarci sugli allori – come del resto non stiamo facendo – bensì dobbiamo porci l’obiettivo di continuare a lavorare in tutti i settori citati dall’onorevole Madeira: l’assistenza sanitaria, il dialogo sociale, la sostenibilità, le questioni di genere, le opportunità nell’istruzione e molte altre questioni. Non possiamo farlo da un giorno all’altro. Sarebbe un inganno pensare che questo partenariato possa, da solo, permetterci di apportare cambiamenti in breve tempo, ma dobbiamo lavorarci e, come ha detto il Commissario, siamo dotati degli strumenti per farlo.
La questione dei diritti umani è stata ricordata più volte: è un tema di particolare interesse per me, personalmente, e per l’intero Consiglio. Inoltre non credo che il Consiglio o l’Unione europea in quanto tale possano essere accusati di non avere una politica coerente e metodica in materia; al contrario, credo che ne siamo provvisti. Tra l’altro, sono convinto che l’Agenzia per i diritti dell’uomo, che spero sarà presto istituita e godrà del vostro appoggio, sia in grado di contribuire a un approccio metodico alla questione dei diritti umani.
(EN) Signor Presidente, desidero altresì ringraziare tutti i deputati molto impegnati, come lei e la sua sottocommissione, l’onorevole De Keyser e altri che lavorano con costanza e grande zelo per promuovere una migliore comprensione tra i popoli del partenariato euromediterraneo. Dobbiamo essere loro grati e fare del nostro meglio per appoggiarvi e aiutarvi, anche se non siete pienamente d’accordo su qualche misura del Consiglio.
(DE) Anche l’Iran è stato citato nel dibattito. A tale proposito mi preme ricordare che la politica del Consiglio si basa ovviamente sul ricorso a strumenti pacifici e al negoziato per raggiungere i risultati prefissati.
L’onorevole Carnero González ha detto qualcosa di molto importante, e cioè che il Vertice di novembre ha avuto risvolti che sarebbero stati impensabili solo alcuni anni fa. A un’attenta analisi di questa dichiarazione sul terrorismo, ovvero dal codice di condotta sulla lotta al terrorismo, emerge che esso propone un buon approccio anche per le questioni più difficili e delicate – e ovviamente la lotta al terrorismo, con tutti i ben noti problemi politici, è un tema estremamente difficile. E’ un approccio che ci consente di continuare a raggiungere maggiori risultati, e il Consiglio ne condivide l’obiettivo.
Desidero ringraziare tutti i deputati per le buone idee e i suggerimenti avanzati che, sicuramente, saremo lieti di prendere in considerazione ed esaminare.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, sono pienamente d’accordo sull’importanza della prossima riunione dell’Assemblea parlamentare Euromed. E’ estremamente importante e posso confermare la mia presenza sin d’ora. Questa volta mi è possibile e sicuramente è mia intenzione prendervi parte.
La vostra proposta di risoluzione è eccellente. In essa sono racchiusi tutti i punti più importanti: la libertà di espressione e il rispetto del credo religioso, la prospettiva di un partenariato autentico. Questo è ciò che vogliamo. Ciò significa che non solo noi dobbiamo assicurare risultati utili, ma anche i nostri partner devono realizzarne. Insieme dobbiamo trovare il giusto equilibrio per migliorare sempre più. Vi sono questioni specifiche su cui dobbiamo porre l’accento, una delle quali mi sta molto a cuore ed è anche presente nella nostra comunicazione: l’istruzione. Ho sempre pensato che con l’istruzione si possa favorire la prossima generazione. Possiamo fare del nostro meglio per far smuovere le cose.
Inoltre concordo pienamente con l’onorevole Carnero González. Credo che Barcellona sia stato un successo, anche se non è giusto dire che non è stato pienamente un successo perché erano presenti solo i capi di Stato. I contenuti sono stati positivi. Ora dobbiamo assicurarci che le misure adottate trovino piena espressione attraverso il piano quinquennale. Sono favorevole alla liberalizzazione, ma anch’io credo che si debba tenere altresì conto della coesione sociale e della stabilità sociale, dei diritti sociali, delle questioni energetiche e, ovviamente, dell’istruzione.
Vorrei rapidamente ricordare che tra i vari studi realizzati lo studio di Manchester è piuttosto negativo, ma ve ne sono altri molto più positivi. Come ho affermato, quello che volevamo creare con il partenariato Euromed è proprio questo: un partenariato, il che significa che entrambe le parti dovranno fare del proprio meglio per cambiare le cose, e molte riforme sono ancora necessarie.
Promovendo gli scambi, puntiamo anche a creare più posti di lavoro – cioè più posti di lavoro per un maggior numero di giovani – oltre, ovviamente, a cercare di dare le giuste prospettive al mercato del lavoro, e a garantire uno sviluppo sostenibile che tenga conto degli imperativi sociali e ambientali. La politica di vicinato è la politica che cerca di completare questo partenariato Euromed. Pur concentrandosi chiaramente sui diritti umani, essa mira altresì a promuovere tutti gli altri fattori che, in futuro, garantiranno una vita migliore a questi paesi.
Per concludere, purtroppo questo scenario è offuscato dal conflitto israelo-palestinese e sfortunatamente il momento attuale non è dei migliori; siamo in una situazione molto critica, cruciale. Se tutto andrà bene, però, riusciremo a costruire un futuro migliore, anche in questa fase critica.
Presidente. – La discussione è chiusa.
(La seduta, sospesa alle 19.50, riprende alle 21.00)
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) Il Presidente dell’Alta Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, è stato costretto a tornare urgentemente nel suo paese e a cancellare l’allocuzione al Parlamento per la gravità degli ultimi avvenimenti.
L’UE deve assumere una chiara posizione sui continui attacchi perpetrati da Israele contro la Palestina, di cui la distruzione della prigione di Gerico è uno degli episodi più gravi e umilianti. Israele ha commesso questo crimine dopo un recente accordo tra Autorità palestinese, Stati Uniti e Regno Unito sulla sicurezza dei detenuti, eppure non si è fatto niente per evitarlo.
L’atteggiamento di compiacenza della Commissione e del Consiglio verso il governo israeliano e la spirale di violenza criminale contro la Palestina non devono continuare. Occorre adottare misure per impedire che Israele continui ad agire in questa maniera spaventosa, minando i diritti più elementari della Palestina.
Alla prossima riunione dell’Assemblea parlamentare euromediterranea, il Parlamento deve assumere una chiara posizione di solidarietà verso la Palestina e condannare la violenza perpetrata da Israele, che compromette la pace in Medio Oriente. Bisogna rispettare le risoluzioni dell’ONU e difendere la volontà del popolo palestinese.
PRESIDENZA DELL’ON. MOSCOVICI Vicepresidente
13. Sessantaduesima sessione della commissione per i diritti dell’uomo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (CDHNU, Ginevra) (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla sessantaduesima sessione della commissione per i diritti dell’uomo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (CDHNU, Ginevra).
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, il tema di cui stiamo discutendo, a quest’ora relativamente tarda, costituisce anche una mia grande preoccupazione personale, motivo per cui era importante per me rimanere in Aula per discuterne. Sono quindi lieto di avere l’opportunità di essere presente qui con voi per questa discussione.
Come sapete, l’anno scorso si è tenuto a New York un Vertice sulla riforma delle Nazioni Unite e naturalmente fu chiesto ai partecipanti – capi di Stato e di governo – se considerassero la riunione un successo o meno. Il Presidente della Repubblica d’Austria dichiarò che la considerava senz’altro un successo. Chiaramente – come sempre avviene in un contesto multilaterale – alcuni punti sono stati approvati e altri no, ma, in ultima analisi, il Vertice delle Nazioni Unite dell’anno scorso a New York può essere definito un successo. E’ stato un successo in quanto è stato raggiunto un accordo, essenzialmente, su una serie di punti molto importanti in particolare per noi come Stati membri dell’Unione europea e per l’Occidente nel suo insieme. Tutti noi difendiamo i diritti umani e le libertà fondamentali. La decisione di principio presa lo scorso settembre a New York di istituire un Consiglio per i diritti umani in sostituzione della Commissione per i diritti dell’uomo è stata tale da giustificare una valutazione positiva del Vertice.
Chiaramente, la decisione dello scorso settembre è stata solamente una decisione di principio e sono stati necessari difficili negoziati per dare vita a questo Consiglio per i diritti umani. Io credo che un ringraziamento speciale sia dovuto in questo frangente al Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Jan Eliasson, per aver lavorato instancabilmente al fine di rendere possibile l’adozione di una decisione sul Consiglio per i diritti umani, avvenuta alcune ore fa a New York. I risultati del voto che adotta questo Consiglio per i diritti umani sono impressionanti: 170 voti a favore, 4 contrari e 3 paesi astenuti. I paesi che hanno votato contro sono stati gli Stati Uniti, Israele, Palau e la Repubblica delle Isole Marshall. Il Venezuela, l’Iran e la Bielorussia si sono astenuti.
Onorevoli deputati, 170 voti nelle Nazioni Unite sono un grande successo. L’Unione europea ha presentato un fronte unito all’Assemblea generale delle Nazioni Unite con una posizione comune. Possiamo esserne orgogliosi e possiamo congratularci con noi stessi e con la comunità internazionale per questo successo.
L’istituzione del Consiglio per i diritti umani rappresenta un passo importante, direi persino storico, verso l’ulteriore rafforzamento del sistema delle Nazioni Unite in materia di diritti umani e di tutela dei diritti dell’uomo in tutto il mondo.
Naturalmente, su alcuni punti anche l’Unione europea è rimasta delusa. Avremmo voluto un esito diverso su questo o quell’altro tema, ma, dopo tutto, i compromessi sono necessari in un quadro multilaterale, e dobbiamo domandarci se il risultato che si è dimostrato possibile alla fine sia comunque, essenzialmente, coerente con ciò che in realtà volevamo. Per quanto riguarda il Consiglio per i diritti umani nella sua forma attuale, la risposta è decisamente positiva. Sono molto grato a tutti coloro che hanno contribuito all’adozione di questa decisione. Sono lieto che il Consiglio abbia ottenuto a tal fine l’appoggio di tutti gli Stati membri.
Desidero a questo punto concentrarmi non tanto sugli aspetti che non sono andati a buon fine, quanto su una serie di aspetti particolarmente positivi – a mio giudizio – del nuovo sistema del Consiglio per i diritti umani.
In primo luogo, diversamente dalla Commissione per i diritti dell’uomo, che operava sotto l’egida dell’ECOSOC, che si riuniva una volta l’anno a Ginevra per una sessione di sei settimane, il Consiglio per i diritti umani si riunirà durante tutto l’anno e sarà direttamente responsabile dinanzi all’Assemblea generale. E’ stata lasciata aperta l’opzione di far diventare un giorno il Consiglio per i diritti umani uno degli organi principali delle Nazioni Unite. Questo richiederebbe ovviamente di modificare la Carta delle Nazioni Unite e noi tutti sappiamo quanto sarebbe difficile, ma l’opzione è aperta. In ogni caso, comunque, ora è un organo permanente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Anche l’elezione diretta e individuale dei membri subordinata al requisito di una maggioranza assoluta di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite rappresenta un progresso. Tutti coloro che, come me, vi hanno partecipato assai di frequente negli ultimi anni saranno lieti che questo significherà ora auspicabilmente se non una fine, almeno una riduzione sostanziale del processo – spesso non dignitoso – di mercanteggiamento dei voti: chi vota per chi, quando votare su una cosa, se votare in cambio per un’altra. Un altro aspetto nuovo è la possibilità di sospendere i membri del Consiglio per i diritti umani in caso di violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani, a condizione che si pronunci in tal senso una maggioranza di due terzi. Tra l’altro, questa è in fin dei conti la ragione decisiva per la quale gli Stati Uniti non hanno dato il loro appoggio al Consiglio per i diritti umani. Gli Stati Uniti hanno tentato fino alla fine di far approvare il requisito della maggioranza dei due terzi per l’appartenenza, nonché l’esclusione automatica dei membri ai quali il Consiglio di sicurezza abbia imposto sanzioni. L’Unione europea si è offerta di fare una dichiarazione – e così ha fatto – nell’Assemblea generale in occasione dell’istituzione del Consiglio per i diritti umani, prendendo l’impegno politico di non votare a favore dell’ammissione al Consiglio per i diritti umani di qualsiasi paese che sia stato accusato dal Consiglio di sicurezza di violazioni dei diritti umani e sia oggetto di sanzioni del Consiglio di sicurezza. Anche a questo proposito l’Unione europea ha inviato un importante segnale politico.
In terzo luogo, tutti i paesi saranno sottoposti a regolari controlli in relazione ai diritti umani grazie alla creazione di un meccanismo di revisione universale, che contribuirà anche in futuro a evitare le accuse di doppi metri di giudizio e di selettività.
In quarto luogo, il Consiglio per i diritti umani ha la competenza di rivolgere raccomandazioni dirette a tutti gli organi delle Nazioni Unite, incluso il Consiglio di sicurezza. Noi crediamo che ciò abbia il potenziale di rafforzare in modo sostanziale il sistema di tutela dei diritti umani delle Nazioni Unite nel suo insieme.
Il quinto punto è che, in ultima analisi, gli importanti risultati conseguiti dalla Commissione per i diritti dell’uomo rimangono, vale a dire il sistema dei relatori speciali e la partecipazione attiva delle organizzazioni non governative alle sessioni.
Anche se non è stato possibile realizzare tutto, questo nuovo Consiglio per i diritti umani rappresenta un chiaro miglioramento rispetto alla Commissione per i diritti dell’uomo, che aveva perso la sua efficacia. La Commissione per i diritti dell’uomo si riunirà ancora – si presume per breve tempo – al fine di concludere le proprie attività e passare il testimone al Consiglio per i diritti umani. A maggio di quest’anno – quindi assai presto – dovrebbero essere eletti i primi membri del Consiglio per i diritti umani, e la sessione inaugurale del Consiglio si dovrebbe tenere già a giugno. Noi – come Unione europea e come Consiglio europeo – faremo tutto il possibile affinché il Consiglio per i diritti umani sia in grado di svolgere il suo lavoro con successo e con efficacia sin dall’inizio.
Anche se gli Stati Uniti non hanno approvato questa proposta, credo tuttavia che si sia instaurata una certa fiducia in questi ultimi giorni e settimane, in particolare nelle relazioni transatlantiche tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, poiché questi ultimi hanno dichiarato, in occasione dell’istituzione del Consiglio per i diritti umani, che non era loro intenzione ostacolare l’istituzione e il finanziamento di tale Consiglio e che concordavano in linea di principio sugli obiettivi di quest’ultimo, ma che i due problemi che ho menzionato – le questioni dell’elezione e dell’esclusione dei membri – erano troppo gravi per poter votare a favore.
Spero che il lavoro del Consiglio per i diritti umani nei prossimi anni convincerà tutte le parti della bontà di questa scelta, del progresso che esso rappresenta e del fatto che, in ultima analisi, abbiamo anche fatto qualcosa di concreto per la protezione dei diritti umani in tutto il mondo. Io credo che noi, come Unione europea, possiamo essere orgogliosi di aver dato un contributo a questo scopo.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei dire: eureka! Abbiamo un Consiglio per i diritti umani! E’ straordinario e sono molto felice di essere qui stasera per festeggiare questo evento con il Consiglio e il Parlamento europeo.
Come sapete, l’Unione europea e la Commissione europea hanno contribuito in modo sostanziale a questo risultato. La settimana scorsa, quando l’Unione ha deciso di sostenere la proposta di risoluzione presentata dal Presidente Eliasson, abbiamo fatto sì che numerosi paesi seguissero i nostri passi. Avevamo sperato che sarebbero state incluse nella risoluzione varie nostre proposte. Comunque, sono d’accordo con la Presidenza che il testo di compromesso rappresenta un netto miglioramento rispetto alla Commissione per i diritti dell’uomo, ed è importante.
Consentitemi di dire qualche parola sulla Commissione per i diritti dell’uomo. Durante gli ultimi mesi sono emerse molte critiche nei confronti di questa Commissione. E’ accusata di usare due metri di giudizio, di essere troppo politicizzata o di essere talvolta troppo debole di fronte a flagranti violazioni dei diritti umani. C’è senza dubbio una parte di verità in quelle accuse, e non è per caso che il documento del Vertice ONU ha proposto di sostituire tale Commissione.
E’ anche vero tuttavia che ciò che si poteva fare è stato fatto. Fu quella Commissione che, nel 1948, sovrintese all’elaborazione della più importante dichiarazione dei principi in materia di diritti umani: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ho voluto menzionarla perché ora, naturalmente, stiamo guardando avanti, ma avremmo dovuto guardare anche al passato.
Vorrei anche richiamare l’attenzione del Parlamento su un elemento del Consiglio per i diritti umani: la revisione periodica universale. Se attuata correttamente, dovrebbe contribuire a risolvere le questioni dei due metri di giudizio e della selettività, che hanno afflitto la Commissione per i diritti dell’uomo. Dopo tutto, vediamo che la revisione tra pari funziona in modo molto efficace in altri campi, per esempio nel commercio con il meccanismo di revisione del processo commerciale, o anche nel conflitto sui diamanti e nel processo di Kimberley.
E’ degno di nota che, in tutto il complesso e lungo processo di negoziato sul Consiglio per i diritti umani, l’Unione europea sia stata in grado di mantenere una posizione comune. Indubbiamente ciò ha influito in senso positivo sui negoziati. La Commissione ha quindi accolto con molto sollievo che, dopo le recenti divergenze tra Stati membri sulla proposta finale di risoluzione, l’Unione europea sia stata ancora una volta capace di adottare una posizione comune e di dimostrare così il suo impegno per la parte principale del processo di riforma dell’ONU.
La Commissione, come gli Stati membri, è preoccupata per il voto degli Stati Uniti contro il testo. Tuttavia, d’altro lato, ci conforta la dichiarazione di questo paese che esprime il desiderio di lavorare con il Consiglio per i diritti umani. Kofi Annan ha detto oggi di aver inteso che gli Stati Uniti, anche se forse non hanno potuto votare per l’attuale proposta sul Consiglio, potrebbero collaborare con quest’ultimo, e sono sicura che gli Stati Uniti, che hanno fatto tanto per i diritti umani, troveranno un modo per lavorare con gli altri Stati membri affinché il Consiglio divenga quello che dovrebbe essere. Ritengo quindi che gli auspici, nel complesso, non siano negativi.
Dobbiamo rendere omaggio alla Commissione per i diritti dell’uomo, ma ora vogliamo assistere a un’evoluzione e speriamo che insieme saremo in grado di attuarla.
Simon Coveney, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, la creazione di una Commissione per i diritti umani efficace, funzionante e con un ampio sostegno è una parte essenziale del pacchetto di riforma dell’ONU delineato l’anno scorso da Kofi Annan. Diversamente dal campo minato politico che circonda la riforma del Consiglio di sicurezza, l’ONU ha dimostrato la capacità di accordarsi su una nuova struttura per affrontare le questioni relative ai diritti umani.
Quasi tutti sono d’accordo sul fatto che l’attuale Commissione per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, così grande, che si riunisce una volta l’anno a Ginevra per sei settimane, è ormai obsoleta e deve essere sostituita. Abbiamo bisogno di un meccanismo permanente che possa rispondere tutto l’anno alla moltitudine di crisi che emergono in relazione ai diritti umani. Gli argomenti di cui si è discusso nel formulare la nuova struttura per i diritti umani sono stati molti:
1. La necessità di una struttura/consiglio permanente.
2. I membri di tale consiglio devono avere credibilità sulle questioni relative ai diritti umani.
3. Il consiglio non deve essere troppo grande.
4. Il consiglio dovrebbe riflettere la diversità geografica a livello mondiale.
5. Non dovrebbe essere visto come un consiglio elitario, un piccolo gruppo che predica agli altri.
6. La questione di come selezionare o eleggere i membri del consiglio.
7. La necessità di un ruolo costante per le ONG.
8. Un meccanismo di sospensione per i membri che adottino costantemente un comportamento inadeguato nel campo dei diritti umani.
Cercare un accordo e, se necessario, un compromesso su tutte queste considerazioni non è stato semplice in nessun momento. A mio parere, la proposta di risoluzione del Presidente dell’Assemblea generale è comunque un tentativo ragionevole di fare proprio questo, sforzarsi di trovare un terreno comune. Accolgo con favore il forte sostegno espresso dall’ONU questa sera nei confronti di tale proposta di risoluzione. Peccato che gli Stati Uniti non abbiano potuto appoggiarla.
Non considero perfetto il documento, comunque, e sarei critico in particolare su due punti. Innanzi tutto, penso che il Consiglio sia troppo grande: 47 membri sono troppi. In secondo luogo, la procedura di elezione secondo cui i membri sono eletti a maggioranza assoluta non è ideale. Sarei stato d’accordo con gli Stati Uniti e avrei preferito a tal fine una maggioranza di due terzi.
Vorrei concludere dicendo che oggi l’ONU ha fatto un buon lavoro e penso che aumenterà la credibilità della propria posizione sulle questioni inerenti ai diritti umani.
Panagiotis Beglitis, a nome del gruppo PSE. – (EL) Signor Presidente, oggi si è registrato davvero uno sviluppo molto positivo con l’accordo raggiunto a New York. Questo accordo, con una vastissima maggioranza di 170 paesi, costituisce un compromesso dinamico e progressivo mirato a migliorare e a rafforzare l’efficacia del sistema internazionale per la difesa dei diritti umani.
Tra le riforme e i cambiamenti molto seri che sono stati fatti, vorrei soffermarmi in particolare sulla disposizione che prevede la partecipazione delle organizzazioni non governative internazionali e delle agenzie che lavorano per la difesa dei diritti umani ai lavori del nuovo Consiglio. Sono certo che la Commissione e il Commissario lavoreranno con le organizzazioni non governative per rafforzare il ruolo e l’efficacia del Consiglio.
Queste evidenti riforme possono dare all’istituzione del Consiglio un nuovo impulso a favore dei diritti umani e ridurre la mancanza di credibilità e di efficacia dell’ONU. Analogamente, l’Unione europea può lavorare con l’ONU e con gli altri paesi nel quadro del Consiglio per rafforzare la nuova istituzione. Purtroppo, la pretenziosa ricerca di un risultato migliore da parte degli Stati Uniti mina il positivo compromesso raggiunto oggi. E’ ora che i valori umanitari fondamentali prevalgano sulle convenienze politiche.
Cecilia Malmström, a nome del gruppo ALDE. – (SV) Signor Presidente, questo è, chiaramente, per molti aspetti, un giorno di portata storica – il giorno in cui abbiamo istituito un Consiglio per i diritti umani. Il Parlamento europeo ha propugnato la questione in passato, e sappiamo che è realmente possibile cambiare la situazione dei diritti umani lavorando sodo e all’unisono. Noi sosteniamo l’ONU in questo lavoro.
Quella riguardante il Consiglio per i diritti umani è stata una delle poche decisioni pratiche prese a settembre ed è quindi molto gratificante che ora tale Consiglio esista davvero e che abbiamo ottenuto un organo permanente grazie al quale non saranno più necessarie quelle sei settimane di manovre intensive a Ginevra, caratterizzate, come lei ha detto, da un continuo mercanteggiamento su chi dovesse sostenere quale risoluzione. Se otteniamo un organo permanente che può assumere la direzione in materia, si spera che elimineremo anche la situazione in cui alcuni dei peggiori Stati canaglia hanno talvolta presieduto le sessioni a Ginevra.
Condivido anche l’analisi secondo cui il Consiglio è più debole di quanto si era sperato. Sono d’accordo con l’onorevole Coveney che una maggioranza di due terzi sarebbe stata migliore. Il sistema di quote regionali che attualmente si applica nel nominare i rappresentanti del Consiglio significherà purtroppo che saranno rappresentati anche gli Stati che violano i diritti umani. Comunque, il voto segreto e la possibilità di escludere paesi costituiscono un grande passo avanti.
Io spero che, in futuro, l’Unione europea adotti un approccio unanime e coerente e non abbia paura di puntare il dito se un paese rappresentato nel Consiglio è colpevole di gravi violazioni dei diritti umani. Se infatti saprà agire di concerto, l’Unione europea potrà svolgere un ruolo straordinariamente importante nell’ONU. Il mio gruppo vorrebbe vedere col tempo un seggio comune europeo nel Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Quello di oggi è un grande passo avanti. Ora è il momento di riflettere, ed è importante non solo essere in grado di agire prontamente quando sopravvengono le crisi, ma anche ricordare eventi che non sono così attraenti dal punto di vista dei media, vale a dire le violazioni permanenti dei diritti umani commesse contro persone in luoghi dimenticati e lontani. Se il Consiglio per i diritti umani saprà salvaguardare i diritti di queste persone, avremo compiuto un grande passo avanti.
Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, mi complimento per la lungimiranza del Parlamento, che ha organizzato questa discussione a distanza di alcune ore dall’adozione della risoluzione e che provvederà ad adottarla domani. Possiamo esprimere insieme la nostra soddisfazione e il nostro grande sollievo nel vedere adottata questa risoluzione. Certo, non tutto è perfetto. Ad esempio, i membri del Consiglio non saranno eletti alla maggioranza dei due terzi; certi gruppi hanno visto aumentare il loro numero di seggi; sono stati aggiunti paragrafi. Non è necessario che vada avanti.
Detto questo, la risoluzione adottata istituisce un Consiglio permanente per i diritti umani, dotato di notevoli qualità. Ad esempio, i membri saranno eletti con voto segreto dall’Assemblea generale. Questo Consiglio potrà riunirsi durante tutto l’anno, invece che meno di tre volte l’anno; potrà reagire rapidamente alle situazioni di crisi nel campo dei diritti umani; mantiene i meccanismi speciali delle Nazioni Unite; garantisce un ruolo particolare alle ONG, anche se a questo riguardo – lo considero un punto di estrema importanza – è necessaria una riforma delle Nazioni Unite per garantire una migliore rappresentanza delle ONG indipendenti, ivi comprese quelle non riconosciute; questo Consiglio introduce un sistema di esame della situazione dei diritti umani nei paesi che ne fanno parte. Sono tutti aspetti assolutamente positivi. Vi sarà anche la possibilità di sospendere un paese colpevole di violazioni dei diritti umani, con una maggioranza di due terzi dei membri dell’Assemblea. Questi punti erano al centro delle rivendicazioni del Parlamento e dell’Unione europea nel complesso e hanno avuto il nostro pieno appoggio.
Passo ora alla sessantaduesima sessione della Commissione per i diritti dell’uomo. Sarà molto probabilmente un comitato di transizione, essenzialmente incaricato della trasmissione dei fascicoli al Consiglio. Invito tuttavia gli Stati membri a restare vigili e a garantire il voto su questioni importanti come l’adozione del progetto di convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone scomparse, la dichiarazione sui popoli autoctoni e il rinnovo dei mandati, come quello della rappresentante speciale per i difensori dei diritti umani.
Vittorio Agnoletto, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’approvazione avvenuta oggi all’ONU rappresenta un passo avanti di enorme importanza. Finora era in vigore la regola dei due pesi e due misure: non è accettabile che la Russia non sia mai stata condannata per l’odioso comportamento delle sue forze speciali in Cecenia; non è accettabile che la Cina non sia mai stata condannata per la drammatica repressione dei diritti fondamentali del popolo tibetano; non è accettabile che gli Stati Uniti non debbano rispondere del loro comportamento in Iraq, dove un’occupazione illegale sul piano del diritto internazionale ha prodotto oltre centomila vittime tra la popolazione civile; o che dire di Israele che impone illegali misure di punizioni collettive contro il popolo palestinese espressamente proibite da convenzioni internazionali? La ragione di Stato non si può giustificare con la negazione dei diritti di milioni di uomini, donne e bambini in tutto il pianeta.
L’Unione europea deve dimostrare maggior coraggio su questo punto: è in gioco la nostra credibilità e la nostra politica di promozione dei diritti umani. Non è sufficiente protestare contro i paesi che non sono protetti da spesso discutibili alleanze internazionali. I diritti umani sono sanciti nei codici, i trattati giuridici valgono per tutti, a maggior ragione per chi è potente.
Il colpo di grazia e la credibilità dell’ormai defunta commissione dei diritti umani di Ginevra è stato dato dalla presenza in quella istituzione di governi che rappresentano dittature e che hanno usato la loro posizione istituzionale dentro l’ONU per evitare critiche alle loro politiche e ai loro comportamenti. A che titolo, ad esempio, il governo sudanese può far parte, come succede oggi, della commissione di Ginevra? Benvenute dunque, tutte le riforme annunciate che dovranno trasformare la commissione di Ginevra in un ristretto consiglio dei diritti umani.
Plaudo alla notizia appena giunta che l’ONU ha approvato la risoluzione di riforme radicali di quell’organo malgrado l’opposizione degli Stati Uniti. Condivido le indicazioni della risoluzione che approveremo domani, soprattutto quando afferma che possono far parte del futuro consiglio soltanto paesi che dimostrano di rispettare i diritti fondamentali. Dobbiamo anche riconoscere un ruolo più importante alle ONG internazionali, realmente democratiche e indipendenti, attraverso la creazione di un comitato ONU delle ONG che devono poter svolgere un ruolo di stimolo e di critica del sistema ONU dei diritti umani.
Inese Vaidere, a nome del gruppo UEN. – (LV) Onorevoli colleghi, l’obiettivo delle riforme dell’ONU e in particolare dei cambiamenti da apportare alla Commissione per i diritti dell’uomo era quello di creare istituzioni migliori, non uguali o peggiori. Un compromesso è stato finalmente raggiunto e ha appena preso forma il Consiglio per i diritti umani, il che costituisce in sé una cosa positiva. Comunque, l’attuale soluzione secondo la quale all’Assemblea generale è sufficiente una maggioranza per eleggere uno Stato nel Consiglio, mentre per la sua esclusione occorrono i voti di due terzi dei presenti, è un compromesso molto debole. Non c’è alcuna certezza che, con questo metodo, Stati nei quali sono perpetrate evidenti violazioni dei diritti umani non possano ottenere di entrare a far parte del Consiglio. Sarà ancor più difficile rimuoverli dal Consiglio. Esiste quindi la possibilità che possano continuare a operare all’interno del Consiglio, screditandolo, Stati che non rispettano i diritti umani. L’accordo in base al quale il Consiglio per i diritti umani si riunirà ora non per sei settimane l’anno, ma per dieci settimane, non è comunque motivo di ottimismo. Questi compromessi fanno dubitare che la posizione dell’Europa sulle questioni riguardanti le riforme dell’ONU sia stata espressa con forza sufficiente. Nel campo dei diritti umani, se non siamo noi nell’Unione europea ad assumere un ruolo di guida, nessun altro lo farà. La Commissione europea dovrebbe quindi mobilitare il massimo appoggio possibile per un’ulteriore appropriata riforma dell’istituzione dell’ONU per i diritti umani, nonché per l’elezione al Consiglio di Stati che non lo screditino, ma che gettino una base solida per un efficace lavoro futuro.
Francisco José Millán Mon (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, il documento finale del Vertice delle Nazioni Unite tenutosi a settembre ha gettato le basi, in alcuni casi minime, sulle quali costruire le riforme istituzionali.
Così è avvenuto con il Consiglio per i diritti umani: si è raggiunto un accordo solo sulla sua creazione, il resto è rimasto incerto. E’ stato difficile raggiungere in qualche mese un accordo per istituire l’organismo che avrebbe sostituito la screditata Commissione per i diritti dell’uomo.
La proposta finale del Presidente Eliasson, che è appena stata votata a larga maggioranza a New York, è il frutto di un difficile negoziato. Non era la proposta ideale – è al di sotto delle ambizioni europee – ma crea un nuovo organo che è migliore di quello che abbiamo ora.
I membri del nuovo Consiglio saranno eletti a maggioranza assoluta dall’Assemblea, si richiederà cioè un minimo di 96 voti a favore. Inoltre, durante il suo mandato, tutti i membri del Consiglio saranno soggetti a scrutinio e potranno persino, come si è detto, essere sospesi. Inoltre, come abbiamo chiesto, la frequenza e la durata delle riunioni saranno di gran lunga superiori a quelle dell’attuale Commissione per i diritti dell’uomo.
Il nuovo Consiglio rappresenta, quindi, un chiaro avanzamento rispetto alla CDHNU. Tuttavia, mi rammarico del fatto che la quota di paesi assegnata al gruppo dell’Europa occidentale sia inferiore a quella di cui godevamo nella Commissione.
Signor Presidente, mi sarebbe piaciuto che questa proposta del Presidente Eliasson venisse adottata per consenso, ma, alla fine, è stata messa in votazione. Mi dispiace molto che gli Stati Uniti abbiano votato contro. E’ un paese chiave nelle Nazioni Unite e speravo che avessero successo le iniziative mirate a ottenerne il consenso a favore della proposta del Presidente Eliasson e che, alla fine, il nuovo Consiglio nascesse con l’appoggio di Washington. Sono lieto tuttavia che, in ogni caso, abbiano assicurato una collaborazione costruttiva con il nuovo Consiglio.
Per il resto, il lavoro e il funzionamento del Consiglio saranno rivisti dopo cinque anni, cosa che ci permetterà di superare le carenze del nuovo meccanismo: si tratta di uno degli obiettivi più ambiziosi del documento finale del Vertice di settembre.
Signor Presidente, in questo documento la lotta contro la povertà occupa un posto prioritario e vorrei ricordare che la povertà dovrebbe essere considerata, come ha già dichiarato questo Parlamento, una violazione dei diritti umani, poiché mina la dignità della persona e impedisce di godere di altri diritti fondamentali.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signor Presidente, oggi l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato a favore della creazione di un Consiglio per i diritti umani in sostituzione della Commissione per i diritti dell’uomo, la cui posizione è stata compromessa.
Il nuovo Consiglio dell’ONU non soddisfa molti dei criteri che garantiscono un’efficace controllo dei diritti umani e una reazione contro le violazioni di questi diritti in tutto il mondo. Comunque, rappresenta un passo verso l’istituzione di una nuova struttura internazionale basata sul rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà politiche. La creazione del Consiglio è stata sostenuta da vincitori del Premio Nobel per la pace, nonché da organizzazioni operanti nel settore dei diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch, Open Society Institute e Soros Foundation Network.
L’Unione europea dovrebbe ora svolgere un ruolo chiave nel Consiglio per i diritti umani dell’ONU. Il Parlamento europeo ha l’opportunità di assumere un ruolo di guida nel sostenere gli sforzi del Consiglio al fine di creare un nuovo sistema globale per la protezione dei diritti umani. Nell’ambito del dialogo transatlantico, l’Unione europea dovrebbe incoraggiare gli Stati Uniti a collaborare più strettamente con il Consiglio per i diritti umani e a lavorare per l’ulteriore riforma dell’ONU. Gli Stati Uniti sono stati uno dei quattro paesi che hanno votato contro la creazione del Consiglio.
Frithjof Schmidt (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, quando abbiamo parlato del Vertice sulla riforma delle Nazioni Unite, alla fine di settembre dell’anno scorso, una delle poche cose che abbiamo davvero potuto definire un successo è stato il progetto di sostituire la screditata Commissione per i diritti dell’uomo con un nuovo Consiglio per i diritti umani. L’unico punto rimasto da stabilire riguardava la sua composizione e le procedure. Sarebbe stata una grave sconfitta per la causa di diritti umani, ma anche per le Nazioni Unite, se avessimo fallito nel tentativo di sostituire in maniera opportuna questa Commissione screditata con un nuovo Consiglio per i diritti umani.
Per questa ragione, il risultato odierno dei lunghi negoziati è stato un importante successo, anche per il Presidente Eliasson. Ci congratuliamo con lui a questo riguardo, poiché si sono compiuti effettivi miglioramenti. In sintesi: i membri di questo nuovo Consiglio per i diritti umani devono essere eletti con votazione segreta da almeno 96 paesi. I membri possono essere esclusi dal Consiglio per i diritti umani da una maggioranza di due terzi se sono colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani. Il Consiglio per i diritti umani deve riunirsi almeno tre volte all’anno. E’ stata introdotta una maggiore continuità nel lavoro e si deve svolgere regolarmente un esame della situazione dei diritti umani in tutti gli Stati membri dell’ONU. Questi sono cinque importanti successi. Non sono riuscito a capire, quindi, perché gli Stati Uniti abbiano tentato di bloccare tutto questo.
Signor Presidente in carica, gli Stati Uniti hanno avanzato non solo esplicite richieste, ma anche la richiesta che i cinque membri del Consiglio di sicurezza mantenessero il loro status privilegiato, entrando a far parte del Consiglio per i diritti umani, per così dire, senza essere eletti. Sarebbe stato un grave errore, se si considera la situazione dei diritti umani nella Repubblica popolare cinese. E’ positivo che il voto di oggi abbia sostenuto le proposte in questa forma.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, con l’abolizione della Commissione ONU per i diritti dell’uomo e la creazione di un Consiglio con un numero di gran lunga inferiore di membri si intende escludere ed eventualmente espellere i paesi non sottomessi agli Stati Uniti d’America, all’Unione europea o ad altre forze imperialiste. Lo scopo è quello di avere un Consiglio asservito che possa essere trasformato in un organismo che giudichi le violazioni dei diritti umani con parzialità e secondo il criterio delle ambizioni imperialiste. Così, decisioni su misura offriranno il pretesto per vari interventi, persino per la guerra, nel nome della difesa dei diritti umani.
Gli Stati Uniti d’America hanno fatto davvero molto per i diritti umani: hanno assassinato decine di milioni di persone da Hiroshima e Nagasaki, passando per il Vietnam, fino all’Iraq di oggi. Quello è il loro contributo. Per parafrasare Brecht – perché il tempo scarseggia – che scrisse: “Quando gli imperialisti parlano di pace stanno preparando la guerra”, potrei dire che quando oggi parlate di proteggere i diritti umani vi state preparando a massacrarli, come fate ogni giorno.
Tuttavia, né il Consiglio per i diritti umani, né la Commissione per i diritti dell’uomo né l’ONU possono fermare la lotta dei popoli contro la loro sottomissione.
Jana Hybášková (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, signora Commissario, avrei apprezzato che questa discussione si fosse svolta qualche tempo fa, mentre oggi giunge forse un poco in ritardo, ma comunque tutti condividiamo una grande e precisa nuova speranza, e chiaramente accogliamo tutti con favore la creazione del nuovo Consiglio. Soprattutto, ci congratuliamo con il Presidente svedese dell’Assemblea generale, non solo per quello che è riuscito a negoziare tra i paesi membri dell’ONU, ma specialmente per il modo in cui è riuscito a riunire le organizzazioni volontarie del settore non governativo che ora gli stanno dando un grande appoggio. Naturalmente siamo lieti di disporre di periodi più lunghi per esercitare pressioni a Ginevra. Speriamo che il miglioramento delle relazioni transatlantiche cui abbiamo assistito nelle ultime settimane non si dissolva e che si dimostri possibile un rovesciamento del voto attuale. A mio parere, è importante che l’Unione europea si sia espressa e che abbia una posizione chiara e unita, che condivide con l’intero mondo sviluppato. Tuttavia, è il mondo in via di sviluppo ad avere la maggioranza.
Nonostante il gran parlare riguardo alla perdita di civiltà, è chiaro che il nuovo Consiglio deve aderire pienamente al principio dell’universalità dei diritti umani, applicando le stesse regole a ogni donna e a ogni uomo. E’ sempre evidente se i diritti umani sono stati difesi o violati e in questo esame preliminare il Consiglio svolgerà un ruolo molto importante. Anche lo strumento di esclusione è molto importante in questo contesto, anche se richiede una maggioranza di due terzi, e a mio parere crea un’opportunità nuova per la politica estera europea, un’opportunità nuova per affrontare davvero la violazione dei diritti umani, un problema che deriva dall’incapacità di alcuni Stati di funzionare in modo corretto. Signora Commissario, spero che avremo il coraggio, noi e soprattutto lei, di compiere passi chiari verso la difesa dei diritti umani universali in tutto il mondo.
Richard Howitt (PSE). – (EN) Signor Presidente, l’anno scorso ero presente con la delegazione del Parlamento a Ginevra alla sessione della Commissione per i diritti umani e ho visto con i miei occhi quanto tale organo fosse screditato e tenuto in ostaggio da paesi che erano i peggiori colpevoli di violazioni dei diritti umani. Accolgo quindi con favore, come i colleghi dell’intera Assemblea questa sera, la creazione del nuovo Consiglio per i diritti umani. Credo che costituirà un passo avanti per il fatto che si riunirà durante tutto l’anno, sarà eletto da una maggioranza dell’Assemblea generale dell’ONU, avrà un sistema di sospensione per i paesi membri che violano i diritti umani e continuerà la tradizione dell’accesso per le organizzazioni non governative.
Sono molto orgoglioso del ruolo che abbiamo avuto come deputati al Parlamento europeo a margine di questo processo. Quando abbiamo incontrato a Ginevra Louise Arbour, Commissario per i diritti umani, e quando lei ricambiò la nostra visita recandosi a Bruxelles, abbiamo esplorato in dettaglio le sue proposte per la procedura di revisione universale che ora è stata approvata, che consentirà, a quanto si dice, un esame molto più approfondito e più obiettivo della situazione in tutti i paesi.
Nelle nostre risoluzioni abbiamo insistito affinché l’appartenenza al Consiglio per i diritti umani fosse aperta solo ai paesi che trasmettono inviti aperti e senza impedimenti ai relatori speciali. Questo fa parte dell’accordo odierno. Il Sudan, l’Arabia Saudita, il Nepal e lo Zimbabwe non saranno e non devono essere membri di questo nuovo Consiglio.
Infine, questa riforma dell’ONU è il risultato del Vertice di riesame del Millennio e giunge in un momento storico nella difesa del principio del multilateralismo nel mondo. Il Parlamento europeo dovrebbe inviare un messaggio agli Stati Uniti – non soltanto al governo, ma al popolo statunitense – sottolineando che, sia riguardo al Consiglio per i diritti umani, sia in relazione a Kyoto, sia riguardo al Tribunale penale internazionale, sia per quanto riguarda il principio stesso del multilateralismo, gli Stati Uniti sono profondamente e pericolosamente isolati e non è questo il ruolo che deve svolgere l’ultima superpotenza che rimane al mondo. Se gli Stati Uniti vogliono essere nominati in questo nuovo Consiglio, dovranno permettere l’accesso senza impedimenti alla Baia di Guantánamo. Mi chiedo se gli Stati Uniti si candideranno.
Milan Horáček (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, sono d’accordo con gli oratori precedenti: è importante che si sia deciso di non lasciare questo Consiglio per i diritti umani in uno stato embrionale. Il rispetto per i diritti umani in senso classico è una delle pietre angolari della concezione europea dei valori, che sarà rafforzata dalla creazione di questo nuovo organismo.
Anche se la proposta adottata non è ideale, costituisce un netto miglioramento rispetto alla Commissione per i diritti dell’uomo, che era ancora soggetta all’influenza di paesi che avevano commesso violazioni dei diritti umani estremamente gravi. E’ un passo importante per i diritti umani nel mondo.
Un organismo funzionante sarà in grado di intervenire più rapidamente in casi urgenti e dovrà obbligare i paesi a sostenere, a difendere e a promuovere i diritti umani. Bloccare questo organismo avrebbe significato una perdita di credibilità per la comunità internazionale nella lotta contro i crimini nel campo dei diritti umani.
Per questa ragione è molto positivo che questo progetto non sia fallito, anche in considerazione dell’importante lavoro delle numerose ONG.
Bogusław Sonik (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, il lavoro dell’attuale Commissione per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite è stato criticato severamente da quasi tutte le parti. Le accuse erano quelle di un’eccessiva politicizzazione e di un esagerato attivismo, nonché di corruzione. Dovremmo quindi accogliere con favore gli ambiziosi tentativi di riformare tale Commissione e di trasformarla nel Consiglio per i diritti umani, il cui lavoro sarà più indipendente.
Anche se la portata di questi cambiamenti sembra ben meditata, c’è il pericolo che siano in parte ridotti nel corso dei colloqui internazionali sulle proposte. Il Parlamento europeo dovrebbe affermare chiaramente la sua posizione sulla questione, evidenziando la necessità che questi cambiamenti promuovano e sviluppino una cultura basata sul principio della legalità e sul governo democratico in tutto il mondo.
La sfida più importante connessa a questa riforma è, come è già stato accennato, l’indipendenza del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Chiedere che diventi uno degli organi principali dell’ONU è uno dei principali mezzi per realizzare questo obiettivo.
Quello che davvero dovrebbe cambiare è il modo in cui sono eletti i candidati. Dovrebbero essere eletti dall’Assemblea generale con una maggioranza di voti che renda impossibile l’ingresso a un paese il cui governo si comporta in modo tale da suscitare dubbi sulle sue credenziali in materia di diritti umani. E’ altresì importante che si svolga una votazione sulla candidatura di ogni paese, anche se vi fossero meno candidati provenienti da una data regione rispetto al numero di seggi riservati a quella stessa regione. Evitare la presenza di paesi come la Libia, come è accaduto di recente, o di Cuba, come avviene attualmente, è uno dei passi fondamentali affinché l’ONU possa riguadagnare la propria credibilità nel campo della protezione dei diritti umani nel mondo. E’ anche importante ridurre le dimensioni di questa istituzione in modo che le sue azioni possano essere più efficienti e le sue decisioni più efficaci.
La riforma della Commissione per i diritti dell’uomo è una grande opportunità per apportare miglioramenti significativi alla situazione dei diritti umani in tutto il mondo. Tuttavia, non possiamo trattare questo tema come una trasformazione una tantum. Dobbiamo considerarlo un’opportunità per avviare un processo di costante miglioramento del sistema per la protezione dei diritti umani, in modo tale che possa conquistare la fiducia dell’opinione pubblica mondiale e lo status di un meccanismo che richiama l’attenzione sulle più gravi violazioni dei diritti umani nel mondo e che non è vincolato da legami politici.
Ana Maria Gomes (PSE). – (PT) Le notizie provenienti da New York ci recano sollievo e soddisfazione. Il compromesso proposto dal Presidente dell’Assemblea generale Eliasson non sarà perfetto, ma è buono, per le ragioni già espresse da vari colleghi nonché, in un articolo, da vari vincitori del Premio Nobel per la pace, tra i quali l’ex Presidente Jimmy Carter.
Deploriamo il fatto che gli Stati Uniti abbiano votato contro, anche se non ne siamo sorpresi, dato che questo paese – che tradizionalmente ha lavorato tanto per i diritti umani e per il diritto internazionale in materia di diritti umani e l’ONU – si trova attualmente alla mercé di un’amministrazione che non ha alcuna credibilità né coerenza al riguardo. E’ un’amministrazione che passerà alla storia per l’ignominia dell’invasione dell’Iraq, per Guantánamo, per Abu Ghraib e per l’Extraordinary rendition act.
Eleanor Roosevelt e gli altri meritevoli difensori dei diritti umani si stanno rivoltando nella tomba. L’amministrazione Bush non è riuscita a fermare la creazione del nuovo Consiglio nei negoziati dell’ultimo minuto. Dobbiamo fare in modo che non riesca neppure nell’eventuale tentativo di boicottare i lavori del nuovo Consiglio. L’Unione europea ha la responsabilità di continuare a garantire una cooperazione ferma e lungimirante con il Presidente Eliasson, attraverso la Presidenza austriaca e le Presidenze future, e tramite l’Alto rappresentante Solana e il Presidente Barroso, che vorremmo si esprimessero con più forza e più chiarezza su questo tema. L’Europa deve usare tutta la sua influenza per sostenere l’entrata in funzione in tempi rapidi del Consiglio per i diritti umani.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). – (PL) Signor Presidente, è inaccettabile che di fronte alle ordinarie violazioni dei diritti umani il mondo non disponga di un’organizzazione attraverso la quale condannare questi eventi.
Purtroppo la Commissione per i diritti dell’uomo dell’ONU è diventata, nel corso degli ultimi anni, un simbolo dell’indolenza di questa organizzazione. Era una sorta di club di vecchi compagni di scuola, dove potevano riunirsi paesi noti per violazioni dei diritti umani come la Cina, il Sudan, lo Zimbabwe o la Russia. Il loro scopo principale era quello di impedire qualsiasi discussione sulle loro attività.
La proposta di un Consiglio per i diritti umani è un tentativo di creare un’istituzione che reagisca più rapidamente alle crisi in tutto il mondo e le cui attività vadano oltre il semplice invio di una missione ONU simbolica nel paese oggetto della critica. Il progetto non è perfetto, ma sembra che il dovere del Consiglio per i diritti umani di eseguire una valutazione della situazione in ciascuno dei suoi Stati membri impedirà almeno gli abusi perpetrati sino ad ora dai membri della CDHNU.
La creazione di un Consiglio per i diritti umani è senza dubbio la migliore soluzione disponibile al problema della Commissione ONU, la cui integrità è stata compromessa. L’Unione europea dovrebbe dare alla nuova istituzione il suo pieno appoggio in modo che possa affrontare efficacemente le sfide globali nel campo della protezione dei diritti umani.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio vivamente per i pareri qui espressi, che confermano in ampia misura che l’Unione ha adottato la posizione giusta. Le aspettative nutrite nei confronti del nuovo Consiglio sono alte, ed è necessaria una posizione coerente sul suo utilizzo perché possa soddisfare tali aspettative e funzionare in modo corretto.
Ovviamente, non possiamo abolire da un giorno all’altro le leggi della realtà politica, ma credo davvero che abbiamo di fronte un’opportunità. L’Unione europea deve svolgere un ruolo chiave in tutto questo. Sono riconoscente al Parlamento per l’appoggio che avete espresso qui.
E’ stato più volte sottolineato che l’elezione dei membri del Consiglio per i diritti umani è della massima importanza. Tutti ci rammarichiamo che non sia stato possibile adottare la proposta originaria di una maggioranza di due terzi. Vorrei tuttavia ribadire che l’impegno dell’Unione europea, di cui ho parlato prima, a votare solamente a favore dei paesi che hanno una fedina penale pulita per quanto riguarda i diritti umani è estremamente importante. Non stiamo parlando qui di soli 25 o 27 voti, ma, se includiamo i paesi associati – la comunità delle nazioni democratiche nel suo insieme – stiamo parlando di un elevato numero di voti, che può bloccare l’ingresso nel Consiglio di paesi che di fatto sono colpevoli di flagranti violazioni dei diritti umani.
L’onorevole Coveney ha detto che il numero di 47 membri che compongono il nuovo Consiglio per i diritti umani è troppo elevato, che lo strumento è troppo grande. Questo aspetto è aperto alla discussione. Si tenga presente, in ogni caso, che il numero dei membri del Consiglio per i diritti umani è di poco inferiore a quello della Commissione per i diritti dell’uomo. Rispetto ai 191 Stati membri delle Nazioni Unite, personalmente considero il numero di 47 membri del tutto adeguato. Tra l’altro, ciò ha significato di fatto una riduzione dei seggi per il gruppo occidentale, dal momento che ora i membri devono essere eletti non all’ECOSOC ma direttamente nell’Assemblea generale. Anche questo è deplorevole, ma dobbiamo accettare il lato positivo e quello negativo della situazione. Se vogliamo uno strumento potente, relativamente piccolo, dobbiamo accettare il fatto che avremo meno voti.
Concordo con l’onorevole Schmidt su tutto quello che ha detto. La richiesta degli Stati Uniti di accordare ai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza l’appartenenza automatica al Consiglio per i diritti umani era una proposta espressa in una fase relativamente iniziale, che non è più stata sostenuta nella fase successiva. Non avrebbe avuto certamente l’appoggio dell’Unione europea, e come tale non avrebbe mai potuto realmente ottenere una maggioranza.
L’onorevole Flautre ha sottolineato che gli importanti fascicoli di cui si sta ancora occupando la Commissione per i diritti dell’uomo devono essere completati. L’Unione europea farà in modo che le questioni pendenti siano portate a termine, a beneficio dei diritti umani, e che questi fascicoli possano essere immediatamente trasmessi al Consiglio per i diritti umani.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, il fatto che la proposta di risoluzione che istituisce il Consiglio per i diritti umani sia stata adottata con una maggioranza così clamorosa – 70 voti a favore, 4 voti contrari e 3 astensioni – induce davvero a pensare che questo Consiglio avrà una certa credibilità.
Non c’è dubbio che il 9 maggio, giorno dell’elezione dei membri del Consiglio, sarà un momento importante per la nascita del nuovo Consiglio. A questo riguardo confido che i paesi candidati presentino la loro candidatura un mese prima del voto, secondo l’invito dell’Unione.
Il Consiglio dovrebbe riunirsi per la prima volta a Ginevra il 16 giugno. Spero che saremo numerosi ad assistere a quella sessione. Se è vero che il Consiglio per i diritti umani è innegabilmente un risultato felice dell’ultimo Vertice delle Nazioni Unite, è altresì vero che è soprattutto l’architettura multilaterale che è stata coronata di successo con la creazione, nel dicembre 2005, anche del Comitato di consolidamento della pace, che dovrebbe parimenti riunirsi presto.
Il 2006 dovrebbe, infatti, essere un anno positivo per il multilateralismo. In entrambi i casi, l’Unione ha dimostrato il suo impegno nei confronti di un effettivo multilateralismo, la sua capacità di assumere la leadership e di avere un’influenza anche nella riforma delle Nazioni Unite. Credo che si possa continuare insieme su questa strada.
Presidente. – Per concludere la discussione, ho ricevuto quattro proposte di risoluzione(1) conformemente all’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento.
14. Specialità tradizionali garantite di prodotti agricoli e alimentari – Protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:
– la relazione (A6-0033/2006), presentata dall’onorevole Friedrich-Wilhelm Graefe zu Baringdorf, a nome della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, sulla proposta di regolamento del Consiglio relativo alle specialità tradizionali garantite dei prodotti agricoli e alimentari [COM(2005)0694 – C6-0026/2006 – 2005/0270(CNS)], e
– la relazione (A6-0034/2006), presentata dall’onorevole Friedrich-Wilhelm Graefe zu Baringdorf, a nome della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, sulla proposta di regolamento del Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari [COM(2005)0698 – C6-0027/2006 – 2005/0275(CNS)].
Ripeto agli oratori che intervengono in questa discussione ciò che ho detto per la precedente, vale a dire che abbiamo una seduta serale estremamente lunga e che, quindi, sarò assolutamente intransigente sul rispetto del tempo di parola. Risparmiatemi di conseguenza di dover adottare misure disciplinari, attenendovi al tempo di parola che vi è assegnato ufficialmente. Questa osservazione non vale evidentemente per il Commissario Neelie Kroes, alla quale do subito la parola.
Neelie Kroes, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto ringrazio l’onorevole Graefe zu Baringdorf e i membri della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale per tutto il lavoro che hanno svolto su entrambe le relazioni, la prima sulla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine e la seconda sulle specialità tradizionali garantite.
La Commissione apprezza l’efficiente organizzazione del vostro lavoro, che ha consentito l’adozione delle relazioni in tempi brevi. Nella mia dichiarazione di apertura vorrei parlare di entrambe le relazioni, concentrando quindi l’attenzione sul contesto generale che ha condotto a queste proposte della Commissione.
In primo luogo, riguardo alla relazione sulla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine, quasi 14 anni fa la Comunità europea istituì un sistema volontario di indicazioni geografiche per prodotti agricoli e alimentari ad esclusione dei vini e delle bevande alcoliche. Dal 1993 sono state registrate più di 700 denominazioni. Quasi 300 domande sono attualmente in attesa di registrazione; questi dati danno un’idea del successo di questo sistema.
Tale successo può spiegare l’interesse dimostrato dai nostri partner commerciali per questo regolamento. Le conclusioni dei recenti panel dell’OMC sulle denunce presentate dagli Stati Uniti e dall’Australia ci impongono l’obbligo di aprire il regime comunitario alle domande e alle opposizioni dirette provenienti da individui di paesi terzi.
Questa è la ragione fondamentale sottesa alla proposta in discussione: assicurare la conformità con le conclusioni dei panel OMC. Alla luce dell’esperienza acquisita nella gestione della procedura di registrazione, ci siamo resi conto che il sistema attuale non sarebbe sopravvissuto a un carico aggiuntivo di domande dirette provenienti da operatori di paesi terzi. Così abbiamo dovuto semplificare il sistema e renderlo più efficiente.
Se ci conformiamo semplicemente alle regole dell’OMC senza rendere più efficiente il funzionamento del sistema, l’intero processo di approvazione potrebbe bloccarsi. Dovrei aggiungere che per evitare qualsiasi rischio di nuovi reclami a livello dell’OMC, la procedura per le denominazioni di paesi terzi e dell’Unione europea dovrebbe essere il più possibile simile.
Siamo tutti rimasti sorpresi dalla portata dei cambiamenti richiesti dalla sentenza dell’OMC. Mentre la Comunità ha convinto il panel sulla questione del marchio sostanziale, abbiamo perso sulle questioni procedurali. Abbiamo anche incluso un chiaro cambiamento di politica, promuovendo l’uso dei loghi comunitari per migliorare la credibilità del sistema. A parte ciò, non vi sono, tuttavia, iniziative di politica, poiché lo scopo primario della proposta è quello di adeguarsi alle conclusioni dei panel dell’OMC entro il termine.
Le numerose richieste e i suggerimenti per lo sviluppo della politica esposti negli emendamenti approvati in seno alla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale sono questioni che meritano più tempo per poter essere trattate adeguatamente.
Passo ora all’altra proposta, che riguarda le specialità tradizionali garantite. Nonostante il modesto numero di prodotti registrati, alcuni produttori hanno mostrato interesse per questo regolamento. Sono stati registrati solamente 50 nomi come specialità tradizionali garantite, ma vi sono 19 domande pendenti a livello comunitario e alcune altre all’esame negli Stati membri. Questo regolamento non è stato modificato dopo la sua adozione nel 1992. Le procedure non sono state formulate né per 25 né per 27 Stati membri, né per affrontare un numero significativo di domande.
Analogamente, è necessario semplificare e standardizzare il contenuto delle domande, in modo da adottare procedure più efficienti e in modo che i produttori che fanno lo sforzo di impegnarsi in sistemi di qualità non siano delusi a causa di ritardi di parecchi anni nell’iter di approvazione.
Considero altresì importante correggere una serie di incoerenze e tenere conto dei sostanziali sviluppi negli standard delle formulazioni giuridiche dal 1992. Allo stesso tempo, proponiamo semplificazioni e chiarificazioni e altri miglioramenti identici a quelli proposti per le indicazioni geografiche e le denominazioni d’origine.
Infine, desideriamo affermare chiaramente in questo regolamento che le regole dell’OMC sono rispettate e prevenire così qualsiasi critica.
In conclusione, queste proposte realizzano la conformità all’OMC e introducono una revisione limitata, ma necessaria, intesa a semplificare e chiarire le procedure. Possiamo così sostenere i meccanismi ed essere più utili per i produttori e i consumatori che contano sulle denominazioni. In particolare, alla luce del termine dell’OMC del 3 aprile 2006, non abbiamo comunque proposto cambiamenti di politica più profondi, che saranno affrontati a tempo debito nel quadro di un’ampia riflessione sulla politica di qualità per il settore agricolo.
Friedrich-Wilhelm Graefe zu Baringdorf (Verts/ALE), relatore. – (DE) Signor Presidente, sono contento che il Commissario sia qui presente a rappresentare la Commissione nella discussione odierna su questa relazione. Il suo collega, Commissario Fischer Boel, non può essere presente, ma la sua assenza non dovrebbe impedirci di svolgere una proficua discussione.
Il Commissario ha detto che questo non è l’inizio di un processo legislativo, ma che stiamo solo rispondendo a una richiesta dell’OMC. Gli inizi di un quadro legislativo per la garanzia di qualità risalgono al 1992, ben 14 anni fa, ma, naturalmente, non è stato l’inizio di una produzione di alta qualità nei settori protetti a quell’epoca. E’ avvenuto piuttosto che, come con l’agricoltura biologica, la questione dei prodotti qui in discussione era stata introdotta sul mercato dai produttori molto tempo fa, nell’arco di un periodo di decenni, e ha continuato a conquistare l’accettazione dei consumatori. Seguirono poi le misure di armonizzazione e di semplificazione, i chiarimenti e le salvaguardie.
Riguardo alla politica di qualità, vi sono soltanto due settori all’interno dell’agricoltura che sono denominati “di qualità”: il settore oggi in discussione e l’agricoltura biologica. Tutto il resto è coperto dal concetto di sicurezza alimentare. Qui, comunque, stiamo parlando e ci stiamo concentrando in particolare sulla qualità.
Come ha già affermato il Commissario, non è una questione trascurabile, è un giro d’affari miliardario. Accordare alle regioni e alle imprese la protezione di indicazioni geografiche, denominazioni d’origine o di specialità crea un vero valore aggiunto. E’ comprensibile che anche altri desiderino questo valore aggiunto.
La controversia è con gli Stati Uniti, in particolare – e quando dico Stati Uniti, intendo le grandi multinazionali. Queste ultime stanno esaminando molto attentamente se i prodotti che ora sono protetti qui come denominazioni d’origine possano essere incorporati come marchi nei loro imperi. Esattamente come se si trattasse della Coca-Cola, vogliono includere la feta, il parmigiano, gli Spreewälder Gurken (cetriolini di Spreewald), le Karlsbader Oblaten (cialde di Karlsbad), il Thüringer Rostbratwurst, e anche lo speck tirolese – sia dell’Austria che del Sud Tirolo (Südtiroler Speck) – con i loro marchi; non perché li considerano particolarmente buoni, ma perché possono diventare una fonte di guadagni. Per questo motivo anche le grandi multinazionali hanno partecipato alla discussione nell’OMC e ora stiamo presentando la nostra risposta.
L’aspetto positivo della discussione è che l’OMC ha affermato dall’inizio, come questione di principio, che le nostre regole sono conformi alle norme dell’OMC. Il punto che non è conforme alle sue regole e che va migliorato, è la questione dell’accesso dei paesi terzi a queste indicazioni di qualità protette. Stiamo rimediando a questa lacuna, il che mi sembra sensato.
Vorrei inoltre sottolineare, comunque, che qui emerge anche un altro tipo di desiderio. Per esempio, i produttori di prosciutto di Parma o di speck tirolese potrebbero pensare tra sé: se comprassimo i maiali sul mercato mondiale sarebbe più economico che doverli allevare nella regione o pattuire che le regioni dalle quali li otteniamo siano specificamente dedicate a tale produzione – perché questo significherebbe naturalmente un aumento dei costi di produzione.
Se non lo facciamo, comunque, corriamo il rischio, nelle discussioni internazionali all’interno dell’OMC – e le multinazionali continueranno ad assillarci su questo – di cadere nell’arbitrarietà, di minare le nostre stesse indicazioni di qualità e di finire col perdere la protezione. In tal caso, sarebbe un affare estremamente equivoco credere che sia possibile comprare materie prime a prezzi più convenienti, e per questa ragione abbiamo pattuito e stiamo pattuendo che vi sia una relazione speciale tra le regioni a tale riguardo.
In conclusione, vorrei dire qualche parola sulla procedura. Come anche il Commissario sa, il Consiglio ha già preso una decisione. Ancora una volta stiamo svolgendo in questa sede una discussione, nonostante che tutto sia già stato deciso, il che è inaccettabile. La questione doveva essere discussa prima. Spero che potremo chiarire questo punto nella Costituzione quando sarà ratificata.
Abbiamo esaminato la possibilità di rinviare nuovamente la questione in commissione per puro sdegno, perché, ancora una volta, siamo stati trascurati e il lavoro dei nostri esperti viene ignorato. Tuttavia, riteniamo che questo proietterebbe all’esterno la nostra mancanza di unità nei lavori dell’OMC e consentirebbe ad altri di dire: ecco, non sono neppure d’accordo fra loro. Siccome siamo favorevoli a rafforzare e consolidare la posizione dell’Unione europea, faremo passare la questione, ma vorremmo chiarire dove sono i punti deboli del Consiglio in certi aspetti, e auspicheremmo che il Commissario Kroes li rendesse noti in virtù del ruolo che ricopre, cosicché riconsideri le sue decisioni.
(Applausi)
Giuseppe Castiglione, a nome del gruppo PPE-DE. – Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, il tema delle indicazioni geografiche e delle specialità tradizionali per dei prodotti agricoli alimentari rappresenta un importante strumento per lo sviluppo e la sostenibilità dei prodotti di qualità.
In complesso ritengo assai positivo il lavoro svolto dalla Commissione: dato che erano stati previsti due momenti di analisi della domanda, uno nazionale e uno comunitario, era assolutamente necessario garantirne il coordinamento.
Sono convinto che le maggiori responsabilità affidate dagli Stati membri, i termini precisi che scandiscono la procedura e il nuovo regime delle opposizioni rispondono a tale esigenza: un riconoscimento più celere e più efficiente, un esame rapido, ma allo stesso tempo dotato della caratteristica principale della completezza.
La possibilità di accedere al sistema europeo di protezione dei prodotti agricoli per i paesi terzi rende necessario proteggere il consumatore da un’erronea associazione tra i simboli comunitari e la provenienza effettiva del prodotto. L’indicazione dell’origine del prodotto in etichetta insieme alla diversificazione del colore dei loghi comunitari e l’autorizzazione per l’uso della dicitura dei prodotti trasformati, sono tutte novità che rispondono ad una maggiore tutela dei consumatori. D’altra parte ritengo che queste misure incentiveranno i produttori a sfruttare meglio e di più le diciture d’eccellenza proseguendo sulla linea di politica di qualità agroalimentare di cui l’Unione europea è promotrice.
Infine sostengo gli emendamenti 48 e 50 volti a consentire la collaborazione delle autorità regionali nella fase di verifica nazionale ed una più forte tutela delle DOP e IGP rispetto ad altre formule di tutela come i marchi. Spero che i colleghi condivideranno domani il mio punto di vista approvando questi due emendamenti.
Infine rivolgo un apprezzamento alla Commissione, che ha inteso inviare all’esame del Parlamento, al riguardo mi ricollego anche a quanto detto prima dal collega, per queste procedure e il riconoscimento delle produzioni di qualità, rispondendo così ad un’esigenza diffusa di celerità, ma anche e soprattutto alla tutela dell’eccellenza delle aree rurali europee.
María Isabel Salinas García, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, come ha detto molto bene il relatore, sono convinta che la qualità sia il grande punto di forza dell’agricoltura europea.
Considerando il mercato globale nel quale dobbiamo essere sempre più competitivi, a causa dei costi estremamente bassi della manodopera, degli scarsi requisiti ambientali e di igiene – il che significa prezzi più bassi – ritengo che sia la qualità a dover fare la differenza. Abbiamo quindi bisogno di una qualità garantita e certificata per mezzo di un sistema più semplice, facilmente riconoscibile e che goda della fiducia dei consumatori, sia in Europa che all’estero − ed è su questo che stiamo lavorando.
E’ essenziale, inoltre, il riconoscimento di queste denominazioni all’esterno dell’Unione, nell’OMC, in modo che possiamo stabilire un mercato di prodotti agricoli di alta qualità. Stiamo lavorando a tal fine e credo che il lavoro svolto in seno alla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale sostenga questa posizione.
La prima sfida che ci è posta è quella di rafforzare ulteriormente il nostro sistema di consumatori e produttori. E’ necessario un sistema più agile, con termini e procedure chiaramente definiti, nel quale le competenze siano ben assegnate. A mio giudizio la percezione da parte del settore stesso è importante quanto quella del consumatore; occorre rendergli evidenti i vantaggi economici di un mercato di alta qualità: la sicurezza di un sistema di denominazione che controlli correttamente i prodotti non conformi alle condizioni fissate e una procedura agile e non troppo gravosa.
Ritengo che il tema in discussione sia molto importante, soprattutto per paesi come il mio, che sono pionieri dell’agricoltura ecologica. Penso che, come ho detto, il tema meriti una riflessione più ampia, che dobbiamo affrontare una volta soddisfatti, il più presto possibile, i requisiti dell’OMC, semplificando l’accesso al sistema per i prodotti dei paesi terzi.
Nell’approfondimento e nella riflessione che avremo successivamente in Parlamento, credo che sia essenziale ascoltare il settore ed essere attenti alle sue necessità, sempre pensando a orientare i nostri prodotti e la nostra qualità al mercato globale, poiché questi sono i valori di un settore agroalimentare europeo realmente competitivo.
Jan Mulder, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, l’onorevole Graefe zu Baringdorf ha svolto ancora una volta con il consueto entusiasmo il suo dovere di relatore e mi congratulo con lui al riguardo. Concordo con il succo delle sue conclusioni. Alla luce della crescente liberalizzazione del commercio dei prodotti agricoli, è necessario che riconosciamo più indicazioni geografiche e denominazioni d’origine per prodotti agricoli e alimentari a livello internazionale. Le sue conclusioni sono quindi del tutto giustificate.
Un altro aspetto che secondo me entra in gioco è la definizione precisa di un’indicazione geografica in Europa. L’onorevole Graefe zu Baringdorf ha citato l’esempio del prosciutto di Parma, che dovrebbe avere origine in quella regione. Sono sempre stato perplesso per il fatto che la Germania, e non i Paesi Bassi, sia il principale paese produttore del formaggio olandese Edam, e penso che si debba cambiare questo stato di cose.
Se discipliniamo questo aspetto nell’OMC – e sono lieto che il collega veda la cosa esattamente come me – e chiediamo agli altri di riconoscere i nostri prodotti, mi sembra naturale che riconosciamo anche i loro. Non sono del tutto d’accordo con l’onorevole Graefe zu Baringdorf quando afferma che attualmente vi sono solo due categorie di qualità dei prodotti agricoli nell’Unione europea, vale a dire quelli a indicazione geografica e quelli di produzione biologica. Forse è così al momento, ma dobbiamo andare molto più avanti.
E’ necessario introdurre un marchio di qualità europeo per i prodotti agricoli. Se chiediamo ai nostri agricoltori di rispettare le norme in materia di benessere degli animali, gli obiettivi ambientali e così via, poi sarebbe molto ingiusto aspettarsi che essi competano con il resto del mondo, con agricoltori che non devono conformarsi a quelle stesse norme. Poiché i consumatori devono poter distinguere i prodotti nei negozi, dobbiamo elaborare un marchio di qualità per i prodotti diversi da quelli a indicazione geografica o biologici.
Daniel Strož, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Signor Presidente, signora Commissario, sul tema della proposta di regolamento del Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, desidero richiamare l’attenzione su un punto che compare nella relazione dell’onorevole Graefe zu Baringdorf, vale a dire che la proprietà intellettuale è l’ultima materia prima di cui dispongono gli europei. Proprio per questa ragione possiamo esprimere stupore e rammarico per il fatto che ci è mancato finora un piano mirato per sviluppare un sistema specifico per la protezione della proprietà intellettuale. Il nuovo strumento dovrebbe finalmente eliminare le continue controversie in seno all’OMC tra l’Unione europea e alcuni dei suoi partner commerciali. Una volta risolta tale questione, possiamo solo sperare che la Commissione ritornerà alla questione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine con chiari fini concettuali.
Vorrei aggiungere che denominazioni d’origine e indicazioni geografiche sono parte integrante della proprietà intellettuale, secondo l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale. Ai sensi del Regolamento del Parlamento europeo, la questione della proprietà intellettuale rientra inequivocabilmente ed esclusivamente tra le competenze della commissione giuridica. E’ strano quindi, sia da un punto di vista procedurale che da un punto di vista pratico, che l’elaborazione di questa relazione sia stata affidata alla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, senza includervi neppure un parere della commissione giuridica.
Witold Tomczak, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signor Presidente, gli obiettivi di entrambe le proposte di regolamento sembrano ben fondati. E’ difficile non sostenere un aumento di reddito per gli agricoltori, condizioni eque di concorrenza e protezione dalle contraffazioni di prodotti originali. Vi sono, tuttavia, dubbi sul realismo di tali obiettivi.
Esaminiamo il risultato a oggi delle soluzioni esistenti. Nel quadro delle specialità tradizionali garantite, sinora in tutta l’Unione sono stati registrati solo 15 prodotti agricoli e alimentari. E’ veramente necessario creare procedure complesse ed espandere la burocrazia a beneficio di una dozzina o poche decine di prodotti? L’agricoltore produttore ci guadagnerà davvero qualcosa? Nel quadro del sistema per la protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine, sono stati registrati più di 700 nomi nell’intera Unione europea, inclusi 150 formaggi, 160 tipi di carne o prodotti a base di carne, 150 tipi di frutta e verdura e 80 tipi di olio d’oliva. Vi sono inoltre 300 nuove domande in attesa di esame. Creando questa legislazione, non ci troveremo presto in una posizione ridicola, ai limiti del grottesco? Tra qualche anno avremo migliaia di nomi di prodotti originali che vorranno conquistare i supermercati dell’intera Unione europea. Come clienti, ne saremo nauseati e il costoso sistema burocratico risulterà inefficiente nel trattare le domande.
Non sarebbe meglio rinunciare all’idea di regolamentare le specialità locali? Se trasformiamo le specialità in prodotti di massa, non saranno più specialità. Lasciamo che rimangano un’attrazione naturale di particolari luoghi o regioni, ma senza il sostegno dell’Unione europea.
Janusz Wojciechowski, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, a nome del gruppo UEN desidero congratularmi con l’onorevole Graefe zu Baringdorf per le sue ottime relazioni. Sono lieto che realizzeremo le necessarie semplificazioni nelle procedure di registrazione per i prodotti alimentari locali e che avremo a disposizione una maggiore quantità di questi prodotti, o meglio ci saranno più familiari, poiché naturalmente stiamo parlando di prodotti tradizionali che sono sul mercato da molto tempo.
Il vero futuro dell’Europa sta nel sostenere i prodotti tradizionali regionali che rappresentano i successi delle comunità locali. E’ un settore nel quale possiamo eccellere, nel quale possiamo battere la concorrenza e grazie al quale possiamo costruire un mercato europeo che sia un mercato comune e comunque ricco grazie alla varietà delle specialità regionali. E’ una grande opportunità per i produttori regionali. Comunque, è soprattutto una buona notizia per i consumatori, poiché questi prodotti sono fatti secondo ricette tradizionali e con metodi antichi di generazioni e sono più sani e migliori dei prodotti industriali. E’ anche il modo migliore per affrontare la sfida posta dalle imprese di biotecnologia, che vogliono costringerci a consumare i loro alimenti prodotti in serie che sono il risultato dell’ingegneria genetica.
Dobbiamo essere chiari su questo argomento. Vogliamo consumare alimenti sani, vari e prodotti usando metodi tradizionali, regionali, e non vogliamo essere costretti a consumare prodotti alimentari i cui metodi di produzione ingannano la natura.
Jan Tadeusz Masiel (NI). – (PL) Signor Presidente, in questi ultimi decenni la politica agricola comune ha incoraggiato gli agricoltori a produrre di più, prescindendo dalla qualità. La conseguenza è che gli agricoltori hanno due Mercedes in garage e i negozi sono pieni di prodotti che non sono né gustosi né convenienti. Dobbiamo pagare di più per i cosiddetti prodotti “biologici”, per acquistare cioè prodotti che dovrebbero essere la norma.
E’ cinico affermare che oggi i consumatori privilegiano la qualità piuttosto che la quantità nell’alimentazione. Essi vogliono semplicemente poter gustare di nuovo cibi che non vedono da molto tempo e che hanno il diritto di avere a disposizione. Nel frattempo stiamo destinando la maggior parte del nostro bilancio alla politica agricola comune, principalmente nei vecchi Stati membri.
Speriamo che, semplificando le attuali procedure, questi regolamenti relativi alla protezione delle indicazioni geografiche, delle denominazioni d’origine e delle specialità tradizionali favoriscano gli agricoltori che producono alimenti sani e gustosi.
Desidero ringraziare la Commissione e il relatore per aver affrontato questa importante questione. Io spero che gli agricoltori, specialmente quelli dei nuovi Stati membri che non hanno ancora avuto il tempo né le risorse economiche per intraprendere una produzione agricola su scala industriale, saranno ricompensati per i loro metodi di produzione tradizionali. In questi paesi non abbiamo metodi di lavorazione così straordinari come quelli per i quali è famosa la cucina francese, ma abbiamo comunque prodotti e alimenti genuini e gustosi.
Astrid Lulling (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, è inutile che ripeta quanto profondamente siamo legati al nostro sistema delle indicazioni geografiche protette e delle denominazioni di origine protetta, alla loro difesa e al loro rispetto, all’interno e all’esterno dell’Unione europea.
Stando così le cose, dopo le ripetute riforme, a mio parere troppo frequenti, della politica agricola comune, in molte delle nostre regioni i produttori possono sopravvivere solamente grazie alla qualità dei loro prodotti e alla loro competenza, che i consumatori, fortunatamente, apprezzano sempre di più e che sono pronti a pagare un prezzo giusto, contribuendo così al mantenimento dei posti di lavoro a monte e a valle e, quindi, allo sviluppo rurale.
E’ un fatto di rilevanza quasi storica che gli Stati Uniti e l’Australia abbiano avuto la sfrontatezza di attaccare, in sede di Organizzazione mondiale del commercio, la nostra normativa in materia, che invece è molto riuscita. Dal 1993 sono state registrate più di 700 denominazioni di prodotti alimentari. Il loro valore commerciale è stimato in oltre dieci miliardi di euro e, devo dire che è stato registrato, tra l’altro, il Tiroler Speck, particolarmente caro all’onorevole Ebner, che mi ha ceduto i suoi due minuti di parola in questo dibattito.
L’organo competente dell’Organizzazione mondiale del commercio è giunto fortunatamente alla conclusione che la nostra normativa non viola le regole dell’OMC. Dobbiamo solamente adattarla – entro il 20 aprile prossimo, quindi non c’è tempo da perdere – per porre i cittadini dei paesi terzi in condizioni di parità con i cittadini dell’Unione per ciò che riguarda le domande e i diritti di opposizione.
Vorrei congratularmi con il relatore, onorevole Graefe zu Baringdorf, e ringraziarlo per l’eccellente spirito di collaborazione, che non è sempre presente tra le varie fazioni politiche del Parlamento. Mi rallegro del fatto che con il nostro relatore e con altri esperti della commissione per l’agricoltura e per lo sviluppo rurale, tra i quali il presidente Joseph Daul, siamo riusciti a raggiungere un accordo su alcuni emendamenti mirati a chiarire, precisare e semplificare le questioni, garantendo mediante un controllo adeguato il rispetto di questa proprietà intellettuale dei nostri agricoltori, che costituisce una delle ultime materie prime di cui dispongono gli europei.
Vogliamo soprattutto, mediante scadenze precise – sei mesi per l’esame delle domande di registrazione da parte della Commissione, quattro mesi per sollevare obiezioni – evitare ritardi dannosi per gli operatori interessati. Vogliamo che i simboli comunitari, i nostri loghi, siano contraddistinti da colori specifici e non possano essere utilizzati dai paesi terzi. Vogliamo infine che in caso di annullamento della registrazione di un prodotto DOP o IGP, questo non possa essere registrato come marchio per cinque anni, onde evitare pressioni economiche sui produttori.
So che molti colleghi hanno avuto molte idee e proposte per migliorare la legislazione, ma invitiamo il Consiglio – poiché il tempo stringe – ad attuare, in un primo tempo, soltanto le modifiche imposte dalla decisione arbitrale dell’OMC. Come ha detto...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Bogdan Golik (PSE). – (PL) Signor Presidente, mi congratulo con il relatore per le due eccellenti relazioni. Sono convinto che proprio questi nuovi regolamenti approvati dal Parlamento favoriranno lo sviluppo della produzione agroalimentare, in particolare infondendo nuova vita alle aree rurali, promuovendone le tradizioni e i valori culturali e aumentando l’occupazione al di fuori del settore agricolo. Penso che una procedura di registrazione trasparente e semplificata e una suddivisione chiara delle competenze tra gli Stati membri e la Commissione forniranno una protezione più effettiva per i consumatori e i produttori, per i cittadini dell’Unione e soprattutto per coloro che producono questi prodotti. Saranno protetti dalle contraffazioni, dall’abuso dei nomi originali, dalla copia delle liste degli ingredienti e da altre pratiche fraudolente usate da chi cerca di realizzare veloci profitti.
I regolamenti proposti contribuiscono davvero a garantire un sistema credibile per proteggere la qualità dei prodotti registrati nei quali si ha fiducia e la cui popolarità è in aumento nell’Unione e in tutto il mondo. Questi prodotti ora recheranno non solo l’etichetta del produttore, ma anche l’etichetta dell’Unione europea.
Giusto Catania (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’Europa deve essere in grado di garantire e proteggere la qualità della sua produzione agricola e alimentare. Per raggiungere questo obiettivo è necessario difendere le specialità tradizionali e le indicazioni geografiche, anche contro gli attacchi scagliati in seno all’Organizzazione mondiale del commercio dagli Stati Uniti e dall’Australia.
Il relatore ha fatto un ottimo lavoro per migliorare i due regolamenti: bisogna tutelare i prodotti per aprire una grande incidenza per la sicurezza alimentare e contro l’omologazione del gusto in atto su scala globale! Purtroppo troppo spesso assistiamo a fenomeni di contraffazione: il più grande mercato del Mezzogiorno d’Italia, quello di Vittoria in Sicilia, ogni giorno è attraversato da prodotti contraffatti che vengono immessi nel mercato come prodotti IGP, per esempio il pomodorino di Pachino.
Allora per questo motivo riteniamo che sia necessaria un’etichettatura che deve riportare l’indicazione del luogo d’origine e di trasformazione del prodotto. Bisogna però interrogarsi su un punto: chi favorisce l’indicazione DOP e IGP, troppo spesso la commercializzazione, troppo poco invece la produzione.
Kathy Sinnott (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare il relatore per aver contribuito a proteggere la specificità regionale e l’autosufficienza rurale.
L’Europa ha una tale ricchezza e varietà di prodotti e di alimenti che certamente dobbiamo proteggerli dai fautori della liberalizzazione commerciale a tutti i costi. La ricetta di famiglia, il sapore locale, il prodotto fatto a mano, la qualità e l’unicità richiedono la nostra protezione per mantenere la ricchezza delle nostre regioni.
Ma a cosa servirà tutto questo prezioso lavoro se, contemporaneamente, permettiamo agli OGM di insinuarsi nei nostri raccolti e quindi nei nostri alimenti e prodotti? Qui stiamo cercando di proteggere la specificità dei prodotti e l’unicità degli ingredienti locali. Come possiamo affermare che i nostri ingredienti sono locali se sono tutti modificati in laboratorio? Quei semi non sono affatto una varietà della stessa famiglia; sono sementi Monsanto prodotti in serie, di un particolare numero di lotto, un seme esattamente uguale a milioni di altri in giro per il pianeta.
Come possiamo affermare allora che i nostri prodotti sono unici, che rappresentano il nostro intenso gusto regionale o che provengono proprio dalla nostra regione? Onestamente, non dovremmo etichettare i nostri prodotti “Monsanto Company, prodotto a St. Louis, Missouri”? Dobbiamo permettere alle regioni di scegliere se desiderano essere geneticamente modificate e dobbiamo proteggere chi non lo desidera.
Dobbiamo apprezzare e preservare non solo le specialità locali, ma anche i mercati degli agricoltori nei quali talvolta sono ancora venduti localmente. Dobbiamo evitare di strangolare i mercati superstiti degli agricoltori locali tradizionali con la regolamentazione del mercato alimentare,.
Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN). – (PL) Signor Presidente, considero positiva la presente discussione comune sulle relazioni dell’onorevole Graefe zu Baringdorf. In una delle relazioni, al punto 5 della motivazione, il testo afferma che “scopo delle proposte è semplificare le procedure e chiarire le responsabilità delle diverse autorità chiamate a intervenire nell’esame delle domande”. Insieme ad altre annotazioni, come quelle al punto 9, questo ci fa sperare che nei regolamenti definitivi del Consiglio saremo in grado di evitare burocrazia e discordanze giuridiche. Ciò è particolarmente importante per il regolamento sulla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari. Dobbiamo ricordare che le indicazioni geografiche fanno parte del patrimonio di alcune comunità locali e di singole nazioni e che queste sono responsabili della loro protezione.
La protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine di prodotti alimentari a livello comunitario dovrebbe adempiere solamente una funzione di appoggio e prevenire pratiche disoneste. Comunque, “imporre sanzioni spetta alle autorità nazionali” a livello nazionale, come affermato all’articolo 11, paragrafo 3.
I prodotti e gli alimenti regionali devono sostenere lo sviluppo regionale e ampliare la gamma delle attrazioni turistiche, tra cui l’agriturismo. Nessuno vuole un’Unione in cui tutti, ovunque, vestono allo stesso modo, mangiano lo stesso cibo e parlano nella stessa maniera.
James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, accolgo con favore queste relazioni perché è giusto e necessario proteggere le specialità regionali. Le regioni hanno il diritto di sfruttare e proteggere tali specialità a proprio vantaggio economico.
Si valuta che, negli Stati membri in cui questo avviene, si producono circa 5 miliardi di euro l’anno, in termini di valore aggiunto, promuovendo le indicazioni geografiche. Ovviamente si crea anche un effetto domino in termini di impatto, di creazione di posti di lavoro e di mantenimento della popolazione nelle aree rurali.
Il mio unico rammarico è che, sinora, la mia regione – l’Irlanda del Nord – non si è ancora avvalsa di questa opportunità, anche se direi, pur essendo di parte, che siamo ricchi di tali prodotti.
Il manzo dell’Ulster, che tutti gli europei potranno presto nuovamente gustare non appena sarà revocato il bando sulla carne bovina, ha un gusto e una qualità che sono rinomati e che hanno reso l’etichetta di Greenfield sinonimo della massima qualità. Il nostro pane di frumento e il pane lievitato col bicarbonato sono specialità da assaggiare assolutamente e le mele Armagh Bramley sono famose e rinomate.
Inviterei quindi il governo britannico in questo dibattito ad avvalersi immediatamente delle opportunità disponibili in virtù di questi regolamenti.
Riguardo ai regolamenti, ho riscontrato la lamentela secondo cui la procedura di presentazione delle domande è indebitamente gravosa e burocratica. Lancio quindi un appello affinché si compia il massimo sforzo per semplificare tale procedura in modo che i prodotti regionali possano essere protetti e promossi più agevolmente, e accolgo con soddisfazione ciò che ha detto il Commissario a tale riguardo.
Nel contesto dell’OMC, è essenziale che l’Europa difenda i diritti acquisiti in virtù di tali regolamenti e non ceda alle pressioni provenienti da paesi terzi. Sono fortemente d’accordo con il relatore sulla necessità che l’Unione europea usi tutta la sua influenza e abilità diplomatica per difendere le indicazioni geografiche. Se, da un lato, dovremmo essere incoraggiati dal rifiuto dell’organo di risoluzione delle controversie dell’OMC nei confronti dei recenti attacchi sferrati dagli Stati Uniti e dall’Australia, dall’altro non possiamo permetterci alcun tipo di autocompiacimento.
Agnes Schierhuber (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, anch’io desidero ringraziare il relatore per le relazioni davvero eccellenti, nonché i relatori ombra per l’efficientissima cooperazione su questo tema.
Considero entrambe le relazioni fra le questioni principali di questa legislatura: in particolare la relazione sulle indicazioni geografiche protette e le denominazioni d’origine protette. Come ha detto il Commissario, sono già stati registrati più di 700 prodotti e sono state presentate altre 300 domande. Si tratta di un aspetto chiave per quanto riguarda l’agricoltura e le aree rurali europee.
Sono convinta che anche la proprietà intellettuale sia pertinente per questi prodotti, i quali, per così dire, contribuiscono all’identità di una regione. Se apriamo i nostri mercati ai prodotti provenienti da paesi terzi, dobbiamo subordinare tale apertura all’applicazione da parte di questi paesi delle stesse norme applicate all’interno dell’Unione europea in termini di qualità e di aspetti sociali. Il fatto è che viviamo in un mondo globalizzato, ma comunque una concorrenza equa si può produrre soltanto se gli stessi requisiti e le stesse regole sono applicati all’interno dell’OMC e sono messi in pratica.
In generale, comunque, dobbiamo far sì che la procedura comporti una valutazione accurata e che non vi sia un livellamento al ribasso. La qualità ha il suo prezzo. Come ha detto ieri Horst Köhler, Presidente della Repubblica federale di Germania, i prezzi più alti dell’Unione europea devono essere accompagnati dalla superiorità qualitativa. Per citare un esempio, in Austria vi sono 180 000 agricoltori impegnati nella produzione. E’ comprovato che questi agricoltori salvaguardano circa 600 000 posti di lavoro a monte e a valle, il che rivela anche quanto siano importanti per le aree rurali le imprese agricole attive e le aziende a conduzione familiare impegnate nella produzione.
Robert Navarro (PSE). – (FR) Signor Presidente, innanzi tutto mi congratulo con il relatore e con i miei colleghi della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale per questa relazione, che ha il merito di mettere in rilievo un concetto fondamentale: l’agricoltura europea sopravvivrà solamente grazie alla qualità. Di conseguenza, la difesa delle etichette e di altre denominazioni protette, che è l’unico modo per garantire la competitività sostenibile dei prodotti europei in un mercato globalizzato, deve essere al centro di qualsiasi azione politica dell’Unione europea, in particolare nei forum internazionali come l’OMC.
Personalmente, vengo da una regione che conta più di 30 prodotti registrati DOP, IGP e STG. Queste denominazioni costituiscono innegabilmente una carta vincente per i produttori che ne beneficiano. E’ un’idea simile a quella che applichiamo in un altro settore, che non rientra direttamente nel campo di applicazione di questo testo, ma che ha bisogno della protezione e del sostegno dell’Europa. Parlo ovviamente della viticoltura, che conta decine di migliaia di posti di lavoro nella mia regione, il sud della Francia, e centinaia di migliaia di posti di lavoro in Europa e che attualmente sta attraversando una grave crisi. Se non si fa nulla, anche a livello europeo, l’Europa rischia di perdere la sua anima.
Andrzej Tomasz Zapałowski (IND/DEM). – (PL) Signor Presidente, oggi stiamo discutendo come proteggere i prodotti agricoli e le specialità tradizionali.
Il regolamento indica un periodo di produzione di durata pari a quella di una generazione umana perché un prodotto possa essere definito “tradizionale”. Sono state sollevate preoccupazioni riguardo all’emendamento che restringe la definizione ai prodotti il cui uso sul mercato risale alla Seconda guerra mondiale. Questo discriminerebbe i paesi dell’Europa orientale.
Infatti, in seguito alla Seconda guerra mondiale, la Polonia perse metà del suo territorio e molti milioni di persone si spostarono in regioni che erano state riconquistate. La continuità della tradizione fu quindi interrotta. Durante il governo comunista, fu proibita anche la produzione di prodotti tradizionali per scopi commerciali. Solamente negli ultimi dieci anni circa, dopo la riconquista dell’indipendenza, le comunità in specifiche regioni sono ritornate a metodi di produzione tradizionali e genuini per i prodotti alimentari, come ad esempio le salsicce e i prosciutti tradizionali polacchi, il che era in precedenza impossibile.
Inoltre è estremamente importante appurare se i controlli degli alimenti saranno sufficienti a garantirne la qualità e ad evitare che la crescente fornitura di piante geneticamente modificate in tutta l’Europa possa condurre a una contaminazione dei prodotti tradizionali. In fondo, vi sono paesi in Europa in cui le piante geneticamente modificate si sono diffuse oltre ogni controllo e certamente minacceranno presto i prodotti tradizionali, in quanto cambierà la lista degli ingredienti. Il registro allegato dei prodotti classificati come prodotti tradizionali dovrebbe essere ampliato a includere anche i prodotti gastronomici.
María Esther Herranz García (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, nella relazione sulle indicazioni geografiche e le denominazioni d’origine che ci ha presentato, la Commissione afferma di aver concepito il testo al fine di chiarire le procedure e allineare la normativa comunitaria a una sentenza dell’Organizzazione mondiale del commercio.
La protezione delle indicazioni geografiche ha, naturalmente, una grande importanza, perché è fondamentale per informare correttamente i consumatori sulla qualità, l’origine e i metodi di produzione dei prodotti che consumano. Pertanto, sembra logico che si debba evitare di creare confusione nei consumatori e, per questo motivo, non si dovrebbe autorizzare l’uso del logo comunitario su prodotti di paesi terzi.
Inoltre, i deputati al Parlamento europeo hanno l’obbligo di difendere la diversità e la ricchezza del patrimonio gastronomico europeo, che finora gode di fama internazionale.
Dobbiamo allinearci alla sentenza dell’organo di risoluzione delle controversie dell’Organizzazione mondiale del commercio – su questo non c’è dubbio e questo è lo scopo – e occorre modificare il regolamento per garantirne la conformità a tali requisiti.
Tuttavia, finché l’OMC non include nel dibattito il sistema internazionale delle indicazioni geografiche e finché, quindi, non abbiamo un registro internazionale delle indicazioni geografiche, non sembra molto sensato che le modifiche al regolamento comunitario vadano oltre lo stretto indispensabile.
Dobbiamo inoltre assicurare che i cambiamenti al regolamento non finiscano per causare ritardi nel registro né discriminazioni tra l’Unione europea e i paesi terzi, perché la procedura per l’autorizzazione comunitaria richiede di soddisfare requisiti molto elevati di qualità e sicurezza alimentare. La Commissione potrebbe assicurare che i prodotti di paesi terzi si adeguino alle stesse norme? Sinceramente, credo di no.
Credo quindi che si debba sostenere l’emendamento presentato dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei e credo, inoltre, che i pareri diversi tra gli Stati membri sui sistemi sanitari debbano garantire che gli agricoltori e i produttori non siano gli unici a pagare l’estensione della normativa sull’igiene degli alimenti alle denominazioni d’origine.
Luis Manuel Capoulas Santos (PSE). – (PT) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, anch’io mi congratulo con il relatore. L’istituzione della denominazione d’origine protetta (DOP), dell’indicazione geografica protetta (IGP) e della specialità tradizionale garantita (STG) è un passo molto positivo per lo sviluppo delle aree rurali. Contribuirà sia a preservare il patrimonio naturale e culturale sia a estendere l’offerta di prodotti di qualità a un numero crescente di consumatori esigenti e informati.
Posso testimoniarlo per l’esperienza del mio paese, dove sono registrati nel quadro di tali regimi più di 100 prodotti, la maggior parte dei quali costituiscono notevoli successi commerciali. In alcuni casi, il successo del mercato rappresenta allo stesso tempo la riabilitazione di razze autoctone in via di estinzione e di metodi operativi che altrimenti sarebbero oggi gravemente minacciati o persino scomparsi.
La parte essenziale delle proposte all’esame consente di migliorare il quadro normativo esistente e di allinearlo alle regole dell’OMC, che desideriamo rispettare. Sottolineo che l’identificazione più chiara dei simboli comunitari, mediante la colorazione, l’identificazione dell’origine e del luogo di trasformazione dei prodotti di paesi terzi, e il fatto che sia stata mantenuta la decisione della Commissione, rendono il processo più credibile e permettono la riduzione dei prezzi e della burocrazia.
Mairead McGuinness (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, prima di affrontare il tema oggi in discussione, ritengo che sia importante informare l’Assemblea del fatto che l’industria saccarifera irlandese cesserà totalmente la produzione. L’annuncio è stato dato oggi in Irlanda. Quando parliamo dell’OMC, l’Irlanda è la prima vittima per quanto riguarda la produzione di barbabietola da zucchero. Trecento lavoratori perderanno il posto e 3 500 coltivatori subiranno pesanti conseguenze. E’ questo il segnale di avvertimento di ciò che ci aspetta, mano a mano che si intensifica il potere dell’OMC di plasmare la nostra agricoltura in Europa? Se oggi viene sacrificata la barbabietola da zucchero, come è avvenuto in Irlanda, cosa accadrà domani dell’allevamento di bovini nell’UE?
Riguardo al presente testo, ringrazio il relatore per l’ottimo lavoro svolto. Temo, tuttavia, che talvolta parliamo di questo tema con grande fervore – come è giusto – ma ignoriamo il quadro più ampio della produzione di merci nell’Unione europea, che ha altrettanto bisogno di protezione.
Purtroppo in Irlanda abbiamo solamente tre prodotti registrati come IGP, ma abbiamo molte centinaia di piccole aziende alimentari che potrebbero avvalersi della protezione offerta da questi regolamenti e io le esorto a farlo. Avremo bisogno sempre di più di specialità se vogliamo affrontare le sfide relative alla riforma della PAC e le pressioni dell’OMC. Dobbiamo riconoscere che la continuazione della produzione alimentare in Europa dipende da un impegno a favore del settore e dal riconoscimento che questo non può sopravvivere all’assalto dell’accesso illimitato al mercato da parte di merci a basso costo prodotte al di fuori dell’Unione secondo norme diverse e meno elevate.
Dobbiamo proteggere e incoraggiare con ogni mezzo coloro che vogliono produrre specialità, ma anche riconoscere che l’agricoltura dell’Unione produce merci di alto livello che hanno bisogno di protezione.
Marc Tarabella (PSE). – (FR) Signor Presidente, devo innanzi tutto congratularmi anch’io con il relatore, onorevole Graefe zu Baringdorf, per il suo notevole lavoro mirato a offrire una migliore informazione e una migliore protezione per gli agricoltori, i produttori e i consumatori, senza per questo propugnare un protezionismo conservatore, ma dimostrando, al contrario, rispetto e riconoscimento per le nostre competenze. Tale approccio non piace a tutti, tuttavia, e la migliore prova ne è linea dura adottata negli Stati Uniti e in Australia. Questi paesi vogliono che le indicazioni geografiche siano ammesse solo in via eccezionale e vogliono limitarle a certi vini e alcolici.
L’Unione europea deve fare tutto il possibile per difendere le indicazioni geografiche e deve dar prova di grande abilità diplomatica, in particolare nel quadro dei prossimi negoziati per la trasposizione delle decisioni di Hong Kong. Le indicazioni geografiche costituiscono un eccellente mezzo per giungere a un approccio qualitativo nel commercio internazionale. Purtroppo, non si constata nessun segno di riconoscimento duraturo delle indicazioni geografiche in seno all’OMC. La Commissione europea deve potere svolgere a questo riguardo un ruolo importante. Dobbiamo essere consapevoli che la qualità e il riconoscimento sono motivo di speranza per il futuro dell’agricoltura europea.
Friedrich-Wilhelm Graefe zu Baringdorf (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, ringrazio i colleghi e vorrei restituire a mia volta una parte di questi elogi ai miei collaboratori. Onorevole Mulder, sono lieto anche del suo contributo. Siamo d’accordo sulla sostanza, ma sono contento anche che lei abbia riconosciuto il mio impegno. Ovviamente, siamo entrambi abbastanza avanti con gli anni e ci occupiamo di queste cose da tanto tempo, ma ci preoccupiamo ancora, non ci siamo stancati di lottare per ciò che consideriamo giusto. Quando lei contesta che vi siano solo due tipi di indicazione di qualità, condivido la sua critica. Dobbiamo ampliarli; dobbiamo non solo garantire la sicurezza, nel senso che nessuno muoia per aver mangiato qualcosa, ma anche rispettare il piacere di mangiare, nonché la qualità, l’origine e gli sforzi di generazioni.
Questa combinazione di economia di libero mercato e garanzia di qualità è proprio ciò di cui abbiamo bisogno. L’orientamento al mercato è una buona cosa, ma deve combinarsi con l’apprezzamento di quanto si sta realizzando qui. In risposta alla domanda di poco fa, devo dire che non è solo una questione amministrativa, è un sistema sviluppato da generazioni al quale ora vengono date salvaguardie legislative e amministrative, il che è ben diverso da un sistema che ci venga imposto.
Se non vi fosse nulla da guadagnare, non avremmo alcuna discussione nell’OMC. E’ ovvio che le multinazionali guardano con occhio attento al valore aggiunto che si crea qui – che è considerevole. Fra noi, l’Irlanda – che è stata citata due volte – purtroppo deve ancora dare l’esempio e io esorterei questo paese a incoraggiare le sue regioni che producono tali prodotti a presentare una richiesta. Non ci devono essere omissioni a tale riguardo. Questo è un aspetto dell’informazione che noi, Parlamento compreso, siamo in grado di fornire.
Vorrei parlare anche della collaborazione con l’onorevole Lulling, la quale ci supera tutti, non per età, ma per anzianità di servizio in questo Parlamento. Chiunque abbia lavorato con lei sa che non è sempre facile, e non solo a causa dell’orientamento politico, ma anche della sua personalità. Eppure, siamo riusciti a presentare emendamenti comuni in alcuni campi. Vorrei menzionarne uno particolarmente importante.
Per motivi ignoti, il Consiglio ha introdotto una disposizione secondo cui qualsiasi persona fisica o giuridica, che ha un interesse legittimo, può ottenere l’annullamento della registrazione di una denominazione d’origine o di un’indicazione di qualità particolare. Poiché qui si parla di valore aggiunto, sorgerà certo il desiderio di trasformare tali registrazioni in marchi. Per dimostrare che qui non stiamo compiendo un’operazione commerciale, abbiamo proposto un emendamento comune. Chiedo alla Commissione di fare in modo davvero che il Consiglio lo accolga.
Se una denominazione protetta è annullata, non può essere trasformata in un marchio per un periodo di cinque anni. Questo ci dà un certo spazio e rende il tutto un po’ più costoso per coloro che desiderano trasformare le denominazioni in marchi e offrono qualcosa in cambio alle persone o alle regioni. Dobbiamo procedere con molta prudenza in tali situazioni. Spero che il Commissario porterà avanti questo punto. Ringrazio vivamente per questa positiva discussione.
Neelie Kroes, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, il relatore ha ricevuto lodi da un gran numero di onorevoli deputati e, a nome della Commissione, vorrei aggiungere al novero il mio elogio personale. Vi ringrazio ancora per l’interessante scambio di pareri. Vorrei fare qualche osservazione su alcuni dei punti sollevati nel corso della discussione.
Come osservazione generale – su un punto toccato dall’onorevole Graefe zu Baringdorf e dall’onorevole Castiglione – vorrei sottolineare di nuovo che con queste proposte la Commissione vuole allineare la nostra legislazione alle conclusioni dei panel dell’OMC. Questo allineamento comprende numerosi aspetti di procedura ed elementi di semplificazione, affinché il sistema possa recepire l’attuazione delle conclusioni dell’OMC. Questo punto è stato menzionato dall’onorevole Allister e, a mio parere, quanto è stato detto risponde alle sue preoccupazioni.
In risposta all’onorevole Mulder, ribadisco l’intenzione della Commissione di proseguire l’anno prossimo la revisione di varie questioni di politica non connesse alle conclusioni dell’OMC e della questione più ampia della politica comunitaria in materia di qualità agricola. Ho imparato molto questa sera, compreso quanto ha detto l’onorevole Mulder sul formaggio Edam. Dovrei spiegare all’onorevole Mulder che l’Edam è un tipo di formaggio che può essere prodotto ovunque. E’ una norma del Codex. Comunque, l’Edam del nord dell’Olanda è protetto e questo è un prodotto di qualità olandese. Quindi mangi più Edam del nord dell’Olanda!
Vorrei ora soffermarmi più in dettaglio sullo scambio di pareri e affrontare alcune delle questioni da voi sollevate. Riguardo ai loghi, i tre loghi stabiliti dalle regole della Commissione sono già diversi uno dall’altro. Voglio anche affermare chiaramente che qualsiasi vantaggio dato ai produttori comunitari – e credo che l’uso di un simbolo comunitario sia un vantaggio – sarà aperto ugualmente ai produttori dei paesi terzi. La risposta è per l’onorevole Castiglione e l’onorevole Herranz García. Comunque, la Commissione concorda sulla necessità di esaminare ulteriormente questo aspetto, il che avverrà nel quadro della revisione della politica più vasta, che la Commissione intende condurre non appena sia stata attuata questa proposta.
Molti emendamenti riguardano gli obblighi degli Stati membri e della Commissione, menzionati dall’onorevole Podkański. La Commissione non ha alcuna intenzione di alterare l’attuale ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e la Commissione.
Gli emendamenti nn. 23 e 24 chiedono un termine entro il quale la Commissione deve esaminare e pubblicare le domande. Sono d’accordo che la Commissione debba compiere i suoi doveri entro un periodo di tempo ragionevole. Le onorevoli Lulling e Salinas García hanno toccato questo argomento. Concordo sulla necessità di prendere in considerazione la definizione di un periodo di tempo ragionevole, che non è facile, data la complessità delle domande. Non è certamente realistico pensare di esaminare e pubblicare tutte le domande entro sei mesi; dodici mesi sarebbe un termine più accettabile.
I vostri emendamenti sui controlli riflettono l’obiettivo della proposta della Commissione, che è quello di garantire in tutta la Comunità la presenza di autorità responsabili dell’attuazione delle norme comunitarie in materia di indicazioni geografiche e specialità tradizionali. Non vi è dubbio che questi controlli saranno eseguiti nel quadro del regolamento (CE) n. 882/2004 relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti.
Vorrei menzionare alcuni punti riguardanti soltanto la relazione sulle indicazioni geografiche. Si tratta dell’uso di ingredienti in prodotti trasformati e dell’origine delle materie prime. Confermo che le vostre proposte riguardanti l’uso di nomi protetti in relazione agli ingredienti usati in prodotti trasformati rispondono ad alcune delle preoccupazioni della Commissione. Comunque, le regole generali sull’etichettatura coprono già i casi di informazione ingannevole. Ulteriori restrizioni all’uso di nomi depositati per prodotti trasformati comporterebbero un cambiamento notevole della politica che merita di essere valutato in modo adeguato e approfondito.
Ho preso nota di vari emendamenti riguardanti l’etichettatura di origine o altre condizioni applicabili alle materie prime. La Commissione condivide l’obiettivo dell’onorevole Graefe zu Baringdorf di evitare che i consumatori siano fuorviati a questo riguardo. Dobbiamo comunque essere molto prudenti. Qualsiasi cambiamento della politica in questo campo potrebbe colpire diritti già accordati agli utenti di certe denominazioni.
Passo infine alla relazione sulle specialità tradizionali garantite (STG). Nel regolamento in vigore sulle specialità tradizionali garantite manca una definizione del termine “tradizionale”. Noi proponiamo di introdurre l’obbligo di dimostrare l’uso per un periodo di almeno 25 anni. Riteniamo che sia un buon compromesso.
Di conseguenza, la Commissione può accettare in linea di principio gli emendamenti nn. 1, 10, 11, 15, 25, 29 e 31 alla relazione sulle indicazioni geografiche. Degli emendamenti dell’ultimo minuto presentati per questa tornata, la Commissione può accettare in linea di principio gli emendamenti nn. 41, 43, 49 e 54. Per la relazione sulle specialità tradizionali, può accettare gli emendamenti nn. 6, 10, 13 e 16. La Commissione non può accettare gli altri emendamenti a queste relazioni.
Presidente. – La discussione congiunta è chiusa.
La votazione si svolgerà domani.
15. Professioni legali e interesse generale relativo al funzionamento dei sistemi giuridici (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sull’interrogazione orale, presentata dall’onorevole Gargani alla Commissione a nome della commissione giuridica, su professioni legali e interesse generale relativo al funzionamento dei sistemi giuridici (O-0003/2006 – B6-0005/2006).
Klaus-Heiner Lehne (PPE-DE), in sostituzione del relatore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, in realtà sono qui per rappresentare l’onorevole collega Gargani, il quale, in qualità di presidente della commissione giuridica, è il vero autore dell’interrogazione in oggetto. Sono tuttavia onorato di assolvere questo compito.
Prima di esporre nel dettaglio le motivazioni dell’interrogazione citata, vorrei spendere due parole sulle premesse. La questione in oggetto, vale a dire quella legata alle libere professioni e in particolare alle professioni legali trattata nell’interrogazione di cui sopra, ha infatti una storia che risale a diversi anni fa. Come dimostrano le risoluzioni seguite alla presentazione di due interrogazioni orali, il Parlamento se n’è occupato nel corso della precedente legislatura basandosi soprattutto sulle attività della DG Mercato interno e Servizi dell’allora Commissario per la concorrenza Mario Monti e sui risultati dello studio realizzato dall’Istituto di studi superiori di Vienna che costituisce il punto di partenza dell’intero dibattito.
Non vi nascondo l’opinione largamente diffusa tra tutti gli schieramenti politici all’interno della commissione giuridica secondo cui l’approccio adottato dallo studio di Vienna citato non solo sarebbe unilaterale e troppo sbilanciato verso questioni economiche, ma non terrebbe nemmeno conto del ruolo specifico delle libere professioni, in particolare di quelle legali, per l’amministrazione della giustizia. La commissione giuridica ha anche temuto – e i documenti in certa misura la confermano – che la Commissione non sempre avesse tratto le giuste conclusioni dalla documentazione relativa allo studio di Vienna e che, per di più, avesse deliberatamente perseguito una politica secondo noi opinabile in taluni casi specifici. Dopo tutto, le libere professioni, per l’importanza che rivestono, non sono paragonabili al supermercato dietro l’angolo in termini di politica e di diritto in materia di concorrenza. L’origine è diversa e diversa è l’importanza che rivestono nel funzionamento della società.
L’interrogazione orale presentata oggi, che fa seguito all’ultima relazione intermedia del Commissario Kroes e a cui seguirà una risoluzione la prossima settimana, praticamente costituisce una prosecuzione della tradizione iniziata nella scorsa legislatura.
A questo punto vorrei che fosse assolutamente chiaro che anche secondo noi è necessario liberarsi degli usi antiquati. Non siamo più nel Medio Evo e il sistema delle corporazioni appartiene al passato. Ciò nonostante, dobbiamo ovviamente considerare in modo adeguato le caratteristiche peculiari delle libere professioni e in particolare di quelle legali che interessano alla commissione giuridica. Esse sono parte integrante del sistema giudiziario e devono funzionare. Se il sistema non funziona il cittadino ne risente in quanto non gli è garantita una tutela legale sufficiente; ciò significa anche che uno degli elementi costitutivi della democrazia, vale a dire il ruolo del diritto, è a rischio. Per questa ragione le norme che regolano l’esercizio delle libere professioni devono essere analizzate scrupolosamente e fin nei minimi dettagli valutando attentamente quali siano le condizioni necessarie affinché una tutela legale e un accesso alla giustizia il più efficaci e sicuri possibile diventino una realtà per tutti i cittadini. Ovviamente nel fare ciò si dovrà sempre tenere nella giusta considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee.
Vorrei ora affrontare un problema specifico citato anche dall’interrogazione in oggetto e che costituisce una delle ragioni per cui la commissione giuridica ha voluto riprendere il dibattito sulla questione oggi in plenaria. Si tratta dello specifico ruolo delle tariffe nell’ambito delle professioni legali visto che le stesse hanno una natura e un’importanza particolari in diversi Stati membri dell’Unione, soprattutto in relazione alle norme che regolano il rimborso delle spese legali e per quelle situazioni in cui le società che forniscono un’assicurazione sulle spese legali intendono rimborsare le stesse a nome dei loro clienti. Queste operazioni sono virtualmente impossibili senza tariffe, tanto più che le stesse sono profondamente radicate nella tradizione giuridica di molti Stati membri. Di conseguenza, esse non dovrebbero essere messe a rischio senza un motivo valido, anche perché costituiscono un aspetto fondamentale della tutela del consumatore e vorrei che questo concetto fosse chiaro.
La giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in passato ha affrontato la questione sempre con molta cautela. Proprio recentemente, poche settimane fa, abbiamo assistito ad un caso concreto nell’ambito del quale anche l’Avvocato generale ha tentato di procedere con la dovuta cautela in merito a questioni come quelle in esame. E’ per noi molto importante che la Commissione tratti una materia fondamentale come quella in oggetto, che riveste un ruolo essenziale per il funzionamento delle professioni legali negli Stati membri, in una maniera diversa da quella che i documenti della Commissione stessa sembrano suggerire. La Commissione non può utilizzare per le libere professioni lo stesso trattamento riservato ai supermercati perché esse hanno un’importanza e un ruolo particolari.
Attualmente alcuni Stati membri dell’UE hanno abolito le tariffe, ed è interessante notare che i prezzi, ad esempio per avvocati e semplici consumatori, sono aumentati raggiungendo livelli medi sensibilmente più alti rispetto agli Stati membri che invece hanno mantenuto il sistema delle tariffe, e ciò malgrado tale sistema abbia garantito, anche in relazione alla tendenza generale dei prezzi, che la tutela legale rimanesse accessibile e finanziariamente sostenibile per tutti i consumatori
Ora saremmo lieti di ricevere una risposta alla nostra interrogazione orale da parte del Commissario Kroes, il quale ha già avuto occasione di discutere con noi su questo tema in qualità di rappresentante della Commissione all’interno della commissione giuridica. In questo modo potremo a nostra volta rispondere sia nell’ambito del dibattito, sia, la settimana prossima, nell’ambito della risoluzione.
Neelie Kroes, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la Commissione ringrazia la commissione giuridica per la sua interrogazione e l’onorevole Lehne per l’ottimo lavoro svolto stasera in questa sede illustrando la sua posizione in modo molto chiaro.
La Commissione riconosce l’importanza del settore dei servizi legali per amministrare bene la giustizia e promuovere l’accesso ai relativi servizi, non è certamente questo che si vuole mettere in discussione. Tuttavia, per riprendere l’esempio citato dall’onorevole Lehne, la Commissione riconosce anche che i supermercati sono elementi estremamente importanti e degni di considerazione nella nostra società. Quello che noi sosteniamo, piuttosto, è la necessità di riesaminare la normativa attuale per individuare eventuali punti da riformare al fine di promu