Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La Commissione ha proposto un programma d’azione comunitaria in materia di salute e tutela dei consumatori che abbina due precedenti programmi esistenti in tali ambiti partendo dalla premessa che ciò creerebbe sinergie tra i due. Così facendo, si trascura tuttavia il fatto che i due programmi si sovrappongono in termini di obiettivi, strategie e strumenti.
Il 30 giugno 2005, la Conferenza dei presidenti ha poi deciso di suddividere nuovamente il programma, per cui la presente relazione si riferisce unicamente al programma riguardante la salute che, ad ogni modo, aveva un campo di applicazione limitato e stanziamenti ridotti.
Superfluo dire che non vi è nulla di più importante della salute, e tutelarla è nell’interesse di tutti, senza eccezione alcuna. In questo contesto, la relazione sottoposta oggi al Parlamento amplia le competenze e propone di aumentare sia i fondi complessivi che i fondi specificamente destinati alle misure da attuare.
Siamo consapevoli del fatto che comunque resteremo ben lontani dai livelli che sarebbero necessari per soddisfare la domanda e l’interesse destato dal programma. Abbiamo però votato a favore della relazione in quanto migliora notevolmente la proposta formulata dalla Commissione.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) La relazione raccomanda che l’Unione europea istituisca un programma comunitario in materia di salute per il periodo 2007-2013. Il Parlamento europeo sostiene che il bilancio per tale programma dovrebbe ammontare a 1 200 milioni di euro (laddove la Commissione indica 969 milioni di euro). La Lista di giugno è fermamente persuasa del fatto che i temi legati alla salute siano essenzialmente di competenza dei singoli Stati membri.
Diversi obiettivi che secondo il relatore dovrebbero essere inclusi nel programma, per esempio la lotta alle malattie causate da tabacco, alcol e regime alimentare scorretto, potrebbero essere perseguiti indipendentemente dagli Stati membri. In altre parole, non si tiene sufficientemente conto del principio di sussidiarietà.
Come è ovvio, occorre la cooperazione internazionale per quanto concerne, ad esempio, epidemie virali e complessi problemi medici. La cooperazione internazionale dovrebbe tuttavia concretizzarsi principalmente attraverso accordi multilaterali e nell’ambito del lavoro già intrapreso dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
Siamo contrari allo stanziamento di altre risorse a tal fine e, sulla base del ragionamento che precede, abbiamo scelto di votare contro la presente relazione.
Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore del presente testo.
Sono particolarmente preoccupata dalla crescente resistenza dei batteri agli antibiotici, fenomeno che costituisce una minaccia reale. E’ dunque auspicabile potenziare la ricerca in questo campo e fornire informazioni ai pazienti spiegando loro i pericoli derivanti da un uso improprio di tali medicinali.
Uno dei grandi vantaggi dell’Unione europea è proprio lo scambio di dati, soprattutto nel campo delle malattie rare. Su questo punto, mi aspetto che vengano profusi maggiori sforzi per incoraggiare sinergie.
Tale programma di azione è altresì un’opportunità per affrontare il tema della mobilità dei pazienti. In Europa si creano situazioni paradossali. Ho incontrato, ad esempio, una paziente che abita a Strasburgo, la quale, per curare il tipo particolare di tumore dal quale è affetta, deve andare a Marsiglia, mentre lo stesso tipo di terapia è disponibile a cinque chilometri da casa sua. Purtroppo, però, l’istituto si trova a Kehl, in Germania.
E’ inoltre essenziale che i fondi corrispondano agli sviluppi.
Vi è infine un punto che non posso appoggiare, vale a dire la medicina complementare o alternativa. Tali pratiche non sono medicina, ma sicuramente rappresentano un’alternativa alla medicina. L’Unione europea deve concentrarsi sull’essenziale e non è corretto che contribuisca al finanziamento di questo tipo di pratiche.
David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Appoggio il piano di azione della Comunità sulla salute pubblica. Ritengo infatti che la salute sia un bene di importanza primaria e che la sua protezione riguardi tutti, senza eccezione alcuna.
Gli obiettivi del programma tutelano i cittadini dalle minacce che gravano sulla loro salute, promuovono politiche che conducono a uno stile di vita più sano e contribuiscono allo sviluppo di sistemi sanitari più efficaci ed efficienti.
Sostengo in particolare la sfida, che riguarda tutti, di contribuire a garantire una prevenzione più efficace, servizi sanitari più adeguati e una migliore qualità della vita. Colmare i divari esistenti tra i servizi sanitari degli Stati membri, creando nel contempo sinergie tra i servizi sanitari nazionali, dovrebbe essere riconosciuto come un aspetto importante del programma.
Evangelia Tzampazi (PSE), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore del considerando 3 ter (nuovo) sulla definizione della durata di una vita sana, anche se ritengo che la versione inglese del testo sia scorretta perché utilizza la frase “disabily-free life expectancy indicator”, a differenza della traduzione greca che non pone tale problema.
Vorrei infatti sottolineare che la disabilità non comporta incapacità; implica invece un diverso stato di salute che dovrebbe essere tenuto presente quando si elaborano e applicano tutti i programmi e le politiche comunitari.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. (PT) Lo scopo di questa proposta della Commissione è sostituire il regolamento (CEE) n. 2082/92 relativo alle attestazioni di specificità dei prodotti agricoli e alimentari con un nuovo testo che introduca una serie di semplificazioni e precisazioni conformemente alle norme dell’OMC.
Comprendo la necessità di emendare la legislazione comunitaria esistente in questo campo e concordo con la spinta impressa dalla proposta della Commissione, per cui voterò a favore della relazione Graefe zu Baringdorf.
In tale ambito, vorrei in particolare sottolineare gli emendamenti nn. 6 (in virtù del quale uno Stato membro può richiedere qualunque altra informazione, a condizione che la richiesta sia debitamente giustificata) e 13 (che stabilisce un termine per la richiesta di accreditamento da parte degli organismi di ispezione privati già in essere), in merito ai quali voterò a favore.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La specificità dei prodotti agricoli e alimentari beneficia della protezione comunitaria dal 1993. Ciò ha garantito che ai prodotti tradizionali con caratteristiche specifiche per quanto concerne produzione e preparazione fosse attribuito il giusto valore.
La relazione sottoposta alla nostra attenzione introduce moltissime semplificazioni e precisazioni in merito alle procedure e alle responsabilità delle varie autorità coinvolte nell’esame delle domande presentate.
Tale strumento è importante non solo perché consente di attribuire ai prodotti il valore che meritano, ma anche perché tutela i consumatori da pratiche sleali, assicurando in tal modo che il commercio si svolga in condizioni di equità.
Lo strumento contribuirà a creare valore aggiunto nelle zone rurali dell’Unione europea e, nel farlo, creerà nuove zone di interesse per il turismo, il che comporterà, a cascata, effetti socioeconomici molto positivi sia per le attività legate al turismo che per la crescita e la coesione territoriale dell’Unione.
Da ultimo vorrei sottolineare che è fondamentale attribuire ai nostri prodotti tradizionali il loro giusto valore, salvandoli, se necessario, e proteggendoli, perché è nostro compito trasmettere intatto alle future generazioni il patrimonio che abbiamo riavuto.
Carl Schlyter (Verts/ALE), per iscritto. (SV) Ritengo che le denominazioni di origine per i prodotti agricoli e alimentari siano spesso utili in quanto, contrastando il predominio dei marchi commerciali dei colossi dell’OMC sul mercato globale, stimolano e sviluppano la produzione e il commercio locali. Sono tuttavia contrario ad una decisione dell’Unione europea che imponga l’etichettatura obbligatoria di tali prodotti. E’ un’operazione che, anche in futuro, dovrebbe essere volontaria.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione sulla proposta di regolamento del Consiglio concernente la protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine per i prodotti agricoli e alimentari in quanto stava diventando urgentemente necessario adeguare il nostro sistema di protezione dei produttori di specialità regionali ai vincoli dell’Organizzazione mondiale del commercio, come hanno dimostrato i negoziati di Hong Kong (Cina) dello scorso dicembre. Dobbiamo essere pronti a combattere in tale ambito poiché alcuni paesi, e segnatamente Stati Uniti e Australia, che sono all’origine del problema, non si arrenderanno facilmente. Dobbiamo consentire ai cittadini di paesi terzi un maggior accesso al sistema europeo e concedere loro gli stessi diritti garantiti ai cittadini dell’Unione europea in termini di formulazione di domande od obiezioni. Tutto considerato, l’Unione europea deve difendere le indicazioni geografiche con tutti gli strumenti a sua disposizione di fronte all’Organizzazione mondiale del commercio perché sono un fattore decisivo per creare valore aggiunto. Infine, nell’applicazione e alla luce delle quasi 300 domande ancora in sospeso, ora i servizi della Commissione europea devono agire più celermente nel riconoscimento di tali meccanismi di salvaguardia.
Mario Borghezio (NI), per iscritto. Abbiamo dato il nostro voto positivo alla relazione sulla proposta di regolamento del Consiglio perché con essa l’UE stabilisce un regime di tutela nei confronti dei produttori delle “specialità regionali” nel quadro delle produzioni agricolo-alimentare. E’ infatti estremamente importante per i nostri produttori padani che sia adeguatamente normato il campo di applicazione di tale regime di tutela tanto nella protezione delle denominazioni d’origine controllate tanto in quella delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli.
In questo quadro intendiamo però sottolineare la necessità che un particolare intervento di tutela venga posto in essere a favore dell’importantissimo settore della floricoltura europea che in Padania, e particolarmente nella provincia di Imperia, ha la sua zona di eccellenza.
Vi è infatti da segnalare il grave fatto che le misure di liberalizzazione doganale hanno finito per privilegiare la produzione floricola di paesi extraeuropei – come Israele, Kenia, Colombia, Ecuador, Zimbabwe e Sudafrica – che hanno visto aumentare in maniera esponenziale la loro quota di mercato a danno della produzione europea.
Occorre pertanto rinegoziare la politica degli accordi internazionali sulle importazioni e specificamente che
- non si concedano agevolazioni tariffarie alle produzioni di paesi terzi che non rispettino gli standard europei in materia di lavoro (compreso il lavoro minorile), ambiente, fisco....
(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163 del Regolamento)
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Le indicazioni geografiche protette e le denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari offrono un contributo notevole al miglioramento degli standard di vita delle comunità delle zone rurali dell’Unione europea, Portogallo compreso.
Diffondendo l’idea che i regolamenti esistenti siano incompatibili con gli accordi commerciali internazionali, non da ultimi i famosi accordi TRIPS concernenti i servizi di proprietà intellettuale relativi al commercio, Stati Uniti e Australia stanno esercitando una pressione intollerabile. Lo stesso tribunale arbitrale dell’OMC ha stabilito che, in linea generale, sono invece compatibili con gli obblighi dell’OMC.
Detto questo, l’Unione europea è stata costretta a migliorare l’accesso dei paesi terzi al suo mercato. La Commissione, a sua volta, sta tentando di introdurre adeguamenti, che, nella maggior parte dei casi, il Parlamento ha deciso di migliorare, per contribuire alla tutela degli agricoltori e del mondo rurale.
In termini generali, noi accettiamo tali miglioramenti, e ciò spiega perché abbiamo votato a favore. Riteniamo infatti fondamentale che denominazioni di origine, indicazioni di geografiche protette e specialità tradizionali garantite siano difese.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. (PT) Lo scopo di questa proposta della Commissione è sostituire il regolamento (CEE) n. 2082/92 relativo alle attestazioni di specificità dei prodotti agricoli e alimentari con un nuovo testo che contenga norme più chiare e semplici nel rispetto della decisione adottata dall’organo per la composizione delle controversie dell’OMC in risposta ai reclami depositati da Stati Uniti e Australia. Il termine per l’applicazione di tale decisione è il 3 aprile 2006.
Poiché comprendo la necessità di emendare la legislazione comunitaria in materia, concordo sulla spinta impressa dalla proposta della Commissione e, pertanto, voterò a favore della relazione Graefe zu Baringdorf.
Christa Klaß (PPE-DE), per iscritto. (DE) In un mondo di globalizzazione, standardizzazione e accesso universale al cibo, la consapevolezza della nostra origine, della nostra tradizione e, in ultima analisi, anche della nostra cultura costituisce una base corretta e solida sulla quale poter costruire e ulteriormente svilupparci. La tradizione europea e l’origine europea sono un’unità nella diversità, e tale diversità contraddistingue l’Europa, le sue regioni e, soprattutto, il suo popolo, che si è adeguato a condizioni regionali notevolmente diverse, dando vita a stili di vita e prodotti tradizionali. A etichette tradizionali e geografiche noi associamo idee e aspettative alquanto differenti.
Oggi i nostri prodotti sono commercializzati in tutto il mondo. Ciò rende tuttavia necessario regolamentare tali prodotti che si presentano al mondo piuttosto come “ambasciatori” di una città o una regione. Dobbiamo garantire che qualsiasi cosa stia dietro a un nome riconosciuto valido continui ad essere valido, e dobbiamo garantire che continui a esistere un collegamento tra la denominazione di un prodotto e la sua origine in una specifica regione. Tutto questo va regolamentato nella maniera più semplice possibile, ma con estrema efficacia. La presente relazione risponde a tale obiettivo sotto tutti gli aspetti.
Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Ispirato alle AOC (appelations d’origine contrôlée) francesi, lo strumento giuridico europeo per la protezione dei nostri prodotti agricoli con etichette come l’identificazione geografica protetta è al centro del conflitto agricolo tra Europa e paesi anglosassoni. Per gli Stati Uniti, l’agricoltura deve essere industriale con logo e marchi, vino compreso. Per l’Europa, l’agricoltura è in primo luogo un’azienda a conduzione familiare di qualità con terreni i cui prodotti vengono protetti per quanto concerne la loro origine geografica. Un esempio eloquente è rappresentato dal vino, prodotto della fermentazione e segno di civiltà, mentre in Australia è una merce industriale.
In sede di OMC, il conflitto tra Stati Uniti ed Europa, emisfero meridionale ed Europa, mondo anglosassone ed Europa, è un vero e proprio scontro di civiltà tra falce e McDonald’s. A Hong Kong, tuttavia, la Commissione non ha neanche sfiorato la questione del registro multilaterale di etichette di origine per proteggere i vini dei nostri piccoli agricoltori in concorrenza con i grandi commercianti vinicoli.
A Ginevra, alla fine di aprile, continuare a ridurre la protezione tariffaria agricola e permettere che 1,2 milioni di tonnellate di carne dell’emisfero meridionale e quei liquidi australiani colorati industrialmente, barricati, fruttati, addolciti e chiamati vini si riversino sui nostri mercati significherà distruggere la nostra identità agricola della quale le indicazioni geografiche protette sono uno strumento.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) La protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari consente ai produttori interessati di salvaguardare la produzione, la trasformazione e la preparazione di un prodotto di una specifica origine attraverso la sua registrazione.
Nel contesto dell’esigenza di emendare i regolamenti e alla luce della decisione arbitrale dell’OMC, la presente relazione migliora tali strumenti, che hanno offerto un contributo significativo a un accesso al mercato a prezzi superiori e sono serviti a creare posti di lavoro nelle zone rurali dell’Unione europea, senza contare che si sono registrati effetti socioeconomici molto positivi per le attività legate al turismo.
L’Europa ha tradizioni antiche che destano notevole interesse nei turisti. Porto e Roquefort sono prodotti europei che hanno stabilito uno standard nel mondo. E’ tuttavia importante, come è ovvio, definire chiaramente quali informazioni vadano fornite al consumatore, non solo per tutelare tali prodotti, ma anche per garantirgli il diritto di formulare obiezioni.
Vorrei infine sottolineare l’importanza di un chiarimento della ripartizione dei poteri tra Stati membri e Commissione, sempre rammentando la necessità che le attività dell’Unione rispettino in ogni caso il principio di sussidiarietà, al fine di garantire che si tragga il massimo beneficio dalle misure previste.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) Indicazioni geografiche e denominazioni di origine sono fonti di arricchimento per l’Europa. Condividere tradizioni culinarie migliora la vita. Nel contempo, però, occorre tener presenti gli svantaggi di tali denominazioni. Noi non vogliamo che le denominazioni di origine siano utilizzate a fini protezionistici. Per un paio di secoli, nelle loro terre natie, gli emigranti europei hanno prodotto cibi e bevande sulla base delle tradizioni che avevano portato con loro dai propri paesi di origine. L’Unione europea ha bisogno, all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio, di mostrare comprensione per tali tradizioni e per il fatto che nomi generici e designazioni di origine possono talvolta risultare in conflitto gli uni con le altre.
Le due relazioni stilate in materia dal Parlamento europeo sono soltanto ulteriori proposte nell’ambito della procedura di consultazione e non riteniamo che aggiungano molto all’argomento, sebbene sia meglio formulare una qualche proposta che non formularne affatto. Crediamo invece che il tema debba essere affrontato dal Consiglio dei ministri. Respingiamo inoltre fermamente l’idea che a un’autorità dell’Unione europea possa essere assegnato il compito di monitorare indicazioni geografiche e denominazioni di origine. Siamo persuasi che, per questo ambito specifico, si debba fare affidamento sulle autorità degli Stati membri.
Abbiamo dunque deciso di votare contro ambedue le relazioni.
Roger Knapman (IND/DEM), per iscritto. (EN) Voteremo contro la presente relazione in quanto vogliamo mantenere la nostra sovranità sulla registrazione dei prodotti agricoli. Il processo di presentazione delle domande è eccessivamente burocratico. Non possiamo accettare che un’agenzia comunitaria abbia la responsabilità della procedura di registrazione in quanto riteniamo che tale responsabilità debba spettare agli Stati membri. Analogamente, siamo contrari a un’etichetta comunitaria. Noi vogliamo proteggere la nostra clotted cream, proprio come i greci vogliono difendere la loro feta, ma dobbiamo essere imparziali. Non capiamo perché, sempre che l’etichettatura sia chiara, come nel caso della feta dello Yorkshire, che è ovviamente diversa dalla feta greca, non si possa permettere che ambedue i prodotti coesistano nei negozi di alimentari britannici. Non riteniamo che l’armonizzazione sia un’idea valida.
Bernd Posselt, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, parlerò per due minuti a nome del mio gruppo, il quale mi ha chiesto di fornire una spiegazione ufficiale del voto sulla relazione Brok.
Alcuni articoli apparsi sulla stampa hanno dato l’impressione in molte parti d’Europa che il Parlamento europeo abbia fatto marcia indietro per quanto concerne la sua richiesta che alla Croazia venga concessa l’adesione a tutti gli effetti, argomento sul quale ha votato diverse volte. Come tutti sapete, il nostro gruppo ha sostenuto con vigore l’avvio dei negoziati di adesione con la Croazia affinché giungano a una conclusione positiva prima delle elezioni europee del 2009. A nome del mio gruppo, vorrei dire che confermiamo incondizionatamente la nostra volontà di conseguire tale obiettivo e che emerge con sufficiente chiarezza dalla relazione Brok come la Croazia sia un candidato all’adesione che soddisfa i relativi criteri straordinariamente bene.
Vi sono alcuni punti criticabili, è vero, ma mi dispiacerebbe che la Croazia fosse in qualche modo candidata alla nuova struttura di cooperazione multilaterale proposta dalla relazione Brok. Nel caso della Croazia tale proposta non è applicabile. La Croazia è un paese dell’Europa centrale che di fatto avrebbe dovuto essere accolto nell’Unione europea nel 2004 e che soddisfa ampiamente i criteri previsti al riguardo. Le nostre critiche si rivolgono unicamente ad aspetti di secondaria importanza discutibili soltanto nel contesto di un paese che è relativamente vicino all’adesione. Nel caso della Turchia, invece, non è garantita neanche l’abolizione della tortura.
Vorrei pertanto ribadire nuovamente con estrema chiarezza, a nome del mio gruppo, che la Croazia è un paese candidato all’adesione. Va dunque giudicata per i risultati conseguiti e distinta in tutto e per tutto dai negoziati di adesione con la Turchia offrendole chiare prospettive di adesione entro la fine del decennio.
(Applausi a destra)
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, è noto che nella storia molti imperi sono crollati perché sono cresciuti troppo rapidamente e, in tale crescita, non sono stati in grado di controllare culture e movimenti conflittuali al loro interno. A mio parere, pertanto, una discussione sulla capacità dell’Unione europea di accogliere nuovi membri si impone già da tempo. Non dobbiamo dimenticare che la stessa denominazione “Unione europea” implica un limite evidente dettato dal termine “europea”. Dobbiamo inoltre avere chiaramente presente il fatto che l’Europa poggia su un fondamento di valori cristiani, il che rappresenta di per sé un motivo per il quale io concordo pienamente con l’onorevole Posselt in merito alla Croazia.
D’altro canto, va comunque detto che gli eventi del recente passato mostrano, in particolare, che credere nella tolleranza infinita, fenomeno oggi così diffuso, induce in errore. La tolleranza dovrebbe essere bidirezionale, ma sinora, nella nostra società sempre più multiculturale, quella tolleranza ha assunto la forma di un’immigrazione musulmana che si aspetta un adeguamento da parte dei paesi ospiti cristiani e sempre più spesso lo chiede facendo ricorso alla violenza. Nei negoziati di adesione, la Turchia ha ripetutamente mostrato il suo vero volto senza mezze misure. Basti pensare, per esempio, all’accordo di Cipro, accompagnato da minacce di punizione per presunti oltraggi allo Stato, o all’attuale controversia sulle vignette. E’ tempo che la verità finalmente si affacci nella mente anche degli ultimi romantici sostenitori dell’allargamento: l’Unione europea deve fissare limiti chiari.
(Applausi a destra)
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, come la maggior parte dei miei colleghi della delegazione dei conservatori britannici, ho votato a favore dell’eccellente relazione dell’onorevole Brok e mi complimento con lui. Nondimeno, il mio partito è contro il Trattato costituzionale per l’Unione europea e, pertanto, abbiamo votato per la soppressione del paragrafo 6, poiché è chiaro che l’attuale ondata di allargamenti da 15 a 25 Stati membri ha funzionato perfettamente con la formula di Nizza senza una Costituzione europea.
I conservatori britannici ritengono che le precedenti cinque ondate di allargamenti siano state un successo, come lo sarà l’adesione di Romania e Bulgaria, che con tutta probabilità, secondo le attuali previsioni, avverrà il 1° gennaio 2007. Un ulteriore allargamento potrà essere organizzato con nuove conferenze intergovernative. Noi conservatori crediamo in un’Unione europea più ampia e flessibile di Stati nazione cooperanti, da cui il nostro pieno sostegno all’eccellente relazione dell’onorevole Brok.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). – (FI) Signor Presidente, vorrei segnalare separatamente che ho votato a favore dell’emendamento n. 13 alla risoluzione dell’onorevole Brok nel quale si chiede che l’organizzazione razzista e antisemita Grey Wolves sia dichiarata illegale. L’organizzazione è responsabile di ripetuti attacchi terroristici ai danni di istituzioni ebraiche e cristiane in Turchia. La formulazione è ovviamente forte, ma purtroppo rispecchia la realtà. Questo gruppo terrorizza la gente proprio come facevano le bande di Hitler prima che conquistasse il potere; il fenomeno non raggiunge la stessa ampiezza, ma l’arroganza e alcuni dei metodi sono i medesimi. A mio giudizio, il problema merita l’attenzione di quest’Aula. Le comunità ebraiche e le chiese cristiane sono diventate bersagli del terrorismo fisico e spirituale ad opera del gruppo Grey Wolves, e il problema richiede un coinvolgimento internazionale.
(Applausi)
Jan Andersson, Anna Hedh, Ewa Hedkvist Petersen, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. (SV) Noi socialdemocratici svedesi vogliamo vedere un’Unione europea aperta in cui la solidarietà sia la norma e che accolga favorevolmente l’adesione di nuovi paesi sulla base dei criteri di Copenaghen. Ci rammarichiamo pertanto per il fatto che la relazione si concentri eccessivamente sulla capacità di assorbimento dell’Unione europea perché può dare l’impressione che il Parlamento europeo metta in discussione la capacità dell’Unione europea di includere più Stati membri. La capacità di assorbimento dell’Unione europea dipende in ultima analisi dalla sua disponibilità a includere più Stati membri. Vediamo anche con preoccupazione la crescente propensione a escludere l’adesione di paesi sulla base, per esempio, della loro situazione economica.
Georgios Dimitrakopoulos (PPE-DE), per iscritto. – (EL) Noi parlamentari di Nea Dimokratia vorremmo precisare che la seconda parte del paragrafo 43 della relazione non esprime i nostri punti di vista su tale argomento specifico.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) Questa relazione d’iniziativa discute l’importante tema del continuo allargamento dell’Unione europea.
In linea di principio, la Lista di giugno è favorevole al continuo allargamento dell’Unione europea, a condizione che i paesi candidati condividano i valori essenziali che costituiscono il fondamento dell’Unione europea per ciò che essa rappresenta, tra cui, soprattutto, diritti dell’uomo, democrazia e principio dello Stato di diritto. Per quanto concerne le normative che non chiamano in causa tali valori, gli Stati nazione sono sovrani.
Il relatore propone inoltre un incremento molto considerevole del bilancio, corrispondente a circa 25 miliardi di corone svedesi, aumento che noi contestiamo.
Per questo, abbiamo votato contro la relazione.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Sebbene l’Unione europea sia ancora digerendo i dieci paesi che hanno aderito nel 2004, con Bulgaria e Romania sulla buona strada, sono stati messi in moto gli ingranaggi per l’adesione della Turchia e dei paesi balcanici. Un appetito insaziabile dopo il coinvolgimento proattivo nella distruzione della Repubblica federale di Jugoslavia.
Dalle nebbie della “correttezza politica” emergono sempre i veri obiettivi di questa corsa, ossia la creazione di una zona di libero scambio e la condizione di risorse naturali in cambio di incentivi pratici; in altre parole, predominio economico e sfruttamento di questi popoli e dei loro paesi da parte dei grandi gruppi finanziari ed economici delle principali potenze dell’Unione europea, Germania in testa. Non è un caso, visto che la Germania, insieme agli Stati Uniti, è la forza dominante nella regione ed è coinvolta nella sua occupazione militare.
Che dire di questa interferenza con uno Stato sovrano da parte della maggioranza in Parlamento? “attira l’attenzione… sulle difficoltà…, ad esempio l’eccessivo intervento dello Stato nell’economia, le complesse disposizioni… che caratterizzano l’amministrazione pubblica e che ostacolano lo sviluppo del settore privato e gli investimenti esteri diretti”.
Si noti anche il sostegno alla divisione della Serbia, eludendo il diritto internazionale, negli inviti a “un Kosovo la cui integrità territoriale venga garantita dall’ONU e dall’Unione europea…”.
(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163 del Regolamento)
Richard Howitt (PSE), per iscritto. (EN) Il partito laburista al Parlamento europeo appoggia un atteggiamento positivo nei confronti del futuro allargamento dell’Unione, soprattutto onorando gli impegni assunti con i paesi candidati e potenziali candidati. In tal senso, è inappropriato proporre altre “possibilità” nel paragrafo 10 della risoluzione, in quanto i rapporti con i paesi limitrofi sono chiaramente coperti dal processo di adesione e dalla politica europea di vicinato.
Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto. (SV) Il 1° maggio 2004, l’Unione europea è stata allargata a dieci nuovi Stati membri dell’Europa centrale e orientale. Con l’aiuto della politica del bastone e della carota attuata dall’Unione, paesi che prima erano dietro la cortina di ferro sono stati trasformati in democrazie con economie di mercato. Un evento epocale! Ora dobbiamo assolvere i nostri impegni per quanto concerne il futuro allargamento dell’Unione europea includendo Stati come Romania, Bulgaria e Croazia, ma dobbiamo anche essere aperti a nuove domande di adesione. I paesi che soddisfano i requisiti devono poter divenire Stati membri.
Oggi votiamo un documento strategico sul futuro dell’allargamento contenente la proposta che l’Unione europea definisca i suoi confini geografici, proposta che respingerò con il mio voto. I confini non possono essere chiusi. Una definizione dei confini dell’Europa verrebbe interpretata da popoli come per esempio quello ucraino, attualmente in sospeso tra democrazia e dittatura, come una chiusura da parte nostra, il che rappresenterebbe un passo indietro di portata storica.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione, le decisioni di Consiglio e Commissione e la discussione in seno al Parlamento europeo coincidono con il 7° anniversario dell’esecrabile guerra USA-ΝΑΤΟ-UE contro la Jugoslavia e l’uccisione organizzata di Milošević. I piani degli imperialisti europei e americani, carnefici dei Balcani, che puntavano all’annessione e alla creazione di protettorati subordinati all’Unione europea e all’imperialismo, oltre che a consentire al capitale euro-unificante di saccheggiare le loro risorse produttive, sono stati oltraggiosamente svelati. La situazione dei popoli balcanici, già drammatica, non potrà che peggiorare con l’adesione all’Unione europea. La concorrenza e i numerosi cambiamenti a livello di confini stanno creando nuove tensioni.
Il partito Kommounistiko Komma Elladas, ribadendo la sua posizione contro l’Unione europea e il suo allargamento, contribuirà a galvanizzare la lotta dei popoli contro l’imperialismo europeo e americano che ha imposto l’occupazione della regione.
Quanto all’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, ribadisce che il problema è legato agli interventi imperialisti e agli spostamenti di confine, abbinati peraltro a una recrudescenza delle problematiche relative alle minoranze, in merito alle quali Nea Dimokratia, Panellinio Socialistiko Kinima e Synaspismos in passato hanno taciuto o acconsentito, concentrandosi sulla denominazione del paese confinante. Qualsiasi esaltazione demagogica e compromesso politico da parte degli altri partiti è un tentativo di disorientare il popolo ed esimersi dalle gravi responsabilità politiche derivanti dalla loro accettazione dell’imperialismo.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) La relazione Brok sull’allargamento fotografa in maniera esemplare i candidati della prossima fase dell’allargamento dell’Unione europea. Tuttavia, aspetto ancora più importante, rappresenta anche un monito, in quanto sottolinea le difficoltà che ne deriveranno.
In proposito, ritengo che due idee vadano espresse con chiarezza.
La prima è l’“impasse costituzionale”. Vista l’esigenza di chiarire, o anche riorganizzare, la struttura istituzionale prima di qualsiasi ulteriore allargamento, parrebbe emergere anche il problema che a cittadini e leader politici non dovrebbe essere offerta una sola soluzione istituzionale/costituzionale per l’allargamento.
Il fattore legato alla “capacità di assorbimento” sta diventando sempre più uno dei criteri fondamentali. La prospettiva di adesione e la politica di vicinato hanno contribuito alla democratizzazione e allo sviluppo dei paesi potenziali candidati, ma non sono di per sé sufficienti. L’Unione europea deve anche essere pronta ad accogliere nuovi partner, e ciò deve rientrare in uno sforzo teso a garantire le stesse condizioni a quanti aderiscono, in contrapposizione all’approccio egoistico dei paesi già membri. Questo sarebbe un atteggiamento responsabile per rispondere all’esigenza che i cittadini europei sottoscrivano il processo di allargamento.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Oggi il Parlamento ha espresso il suo parere sulla strategia per gestire i futuri allargamenti dell’Unione europea.
Allargamenti che devono “ricongiungerci” ai nostri fratelli in Europa – bulgari, rumeni, croati, macedoni e altri, arbitrariamente separati da noi dopo Yalta. Essi sono destinati a unirsi a noi, come l’Unione europea è destinata ad integrarli. Non contesto dunque la sostanza, ma la forma e i tempi, e questo è il motivo per il quale ho votato a favore dei paragrafi 5 e 6.
E’ tempo che l’Unione europea avvii un opportuno dibattito sui propri confini, discussione accuratamente evitata in tutto il lavoro della Convenzione, un buco nero nella Costituzione che ha ampiamente alimentato scetticismo e ansia. Evitare le cose spiacevoli è un atteggiamento indegno di noi e dei nostri elettori, e chiedere un dibattito non ci rende refusenik contrari all’allargamento.
Un’Europa senza confini è inutile per quanti vogliono una potenza europea.
I nostri confini possono ovviamente essere geografici, storici e morali, ma sono indispensabili per preservare un modello, una visione e valori comuni.
Geoffrey Van Orden (PPE-DE), per iscritto. (EN) Sono un forte sostenitore dell’allargamento dell’Unione europea. Pertanto, sebbene la relazione contenga molti elementi che condivido, non posso appoggiare il parere negativo espresso sulla Turchia e, soprattutto, l’affermazione imprecisa contenuta al paragrafo 31 secondo cui la Turchia starebbe in qualche modo intralciando il lavoro all’interno della NATO. Inoltre, come altri conservatori britannici, sono profondamente contrario a una Costituzione europea e non posso accettare il linguaggio del paragrafo 6.
Sessantaduesima sessione della Commissione dei diritti dell’uomo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (CDHNU, Ginevra) (B6-0150/2006)
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Ieri è stata adottata una risoluzione per istituire il Consiglio per i diritti umani, che dovrebbe subentrare alla Commissione dei diritti dell’uomo.
Tale processo è stato caratterizzato dai tentativi degli Stati Uniti di creare uno strumento che potessero manipolare in modo da poter giustificare la loro politica di interferenza e aggressione nei confronti di popoli e Stati sovrani, un processo in cui, aumentando continuamente le loro richieste, hanno cercato di imporre il massimo numero di condizioni possibile. Gli Stati Uniti avrebbero voluto che fosse anche peggio e solo per questo motivo abbiamo votato contro.
Tra le molte altre modifiche e i tanti ulteriori aspetti che potrebbero essere approfonditi, vorrei sottolineare che nel nuovo Consiglio siede un numero ridotto di paesi; si è infatti passati da 53 a 47 (gli Stati Uniti ne volevano 30). I suoi membri sono eletti dall’Assemblea generale dell’ONU a maggioranza assoluta (Stati Uniti e Unione europea volevano un sistema di voto nel cui ambito essi e i loro alleati avessero potere di veto), sebbene fossero state richieste restrizioni.
Questo è un processo che per alcuni rappresenta unicamente un primo passo nel quadro di un più ampio tentativo, da parte degli Stati Uniti e dei lori alleati, di dominare e manipolare l’ONU.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) Nel contesto del voto sulla risoluzione comune in merito alla sessantaduesima sessione della Commissione dei diritti dell’uomo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (CDHNU, Ginevra), vorrei citare quella che, a mio parere, potrebbe rappresentare una soluzione praticabile, sebbene non ideale, per quanto concerne uno dei punti più importanti sollevati nel corso della discussione.
Una delle maggiori lacune dell’ONU in materia di diritti dell’uomo è sempre stata l’illegittimità di alcuni membri della sua Commissione dei diritti dell’uomo, soprattutto quando l’hanno presieduta. L’elenco è stato ben documentato e non credo occorra ripercorrerlo in questa sede. L’esito, ossia il metodo di elezione dei membri del futuro Consiglio per i diritti umani, non garantisce che ciò non accada nuovamente, ma quantomeno rappresenta un tentativo di legittimarne effettivamente i membri, aspetto che va riconosciuto.
Ritengo inoltre che questa sia un’opportunità per rafforzare l’idea che gli Stati membri dell’Unione europea e i loro alleati debbano cercare di dare l’esempio in materia di diritti dell’uomo nei rispettivi paesi o nelle loro relazioni internazionali.
Preparativi per la riunione COP-MOP sulla biodiversità e la biosicurezza (Curitiba, Brasile) (B6-0170/2006)
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Abbiamo votato a favore della presente risoluzione sebbene riteniamo che alcuni suoi punti siano poco chiari e, per certi versi, incoerenti. Siamo del parere che la biodiversità vada tutelata e che debba esistere il più ampio accordo possibile sulla salvaguardia della biodiversità. La Convenzione sulla biodiversità traduce concretamente tale impegno. Di conseguenza, l’Unione europea e i suoi Stati membri devono assumere una posizione adeguata in occasione della Conferenza delle parti a Curitiba, Brasile, alla fine del mese.
Sappiamo tuttavia che è altrettanto, se non più importante l’esigenza di contrastare la perdita di biodiversità integrando le finalità della Convenzione nella politica di sviluppo e, segnatamente, nelle politiche comunitarie quali la politica agricola e silvicola volte ad arrestare la diffusione degli OGM e sostenere le aziende a conduzione familiare e la silvicoltura tradizionale, in quanto questo è il modo migliore per proteggere la biodiversità.
La biodiversità marina deve essere salvata dalle pratiche distruttive. La pesca costiera tradizionale, migliore salvaguardia della biodiversità, deve essere sostenuta.
Da ultimo, anche le precedenti risoluzioni sull’argomento devono essere prese in considerazione, soprattutto per quanto concerne la lotta all’abbattimento illegale degli alberi e al loro commercio.
Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la risoluzione sulla Conferenza di Curitiba sulla biodiversità in quanto il Parlamento sta commettendo un grave errore confondendo biodiversità e ingegneria genetica.
La diversità delle cose viventi nel suo complesso è frutto di cambiamenti della struttura genetica di tutti gli organismi viventi. Coloro che, in Europa, proseguono la battaglia reazionaria contro l’agricoltura transgenica si rifiutano di capire che non arreca alcun danno alla salute umana nel resto del mondo. Nel 2004, nove milioni di piccoli agricoltori hanno coltivato circa 90 milioni di ettari di OGM nel mondo, mentre, nell’Unione europea dei 25, 11 milioni di piccoli agricoltori ne hanno coltivati 97 milioni di ettari, di cui alcune decine di migliaia unicamente destinati a colture transgeniche.
L’Europa sta perdendo un’altra battaglia.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Concordiamo sulla maggior parte dei risultati, che confermano il degrado ambientale, la distruzione degli ecosistemi delle foreste e la continua perdita di biodiversità, come anche concordiamo su molte proposte, salvo quelle cui viene fatto riferimento nel quadro dell’ordinamento giuridico esistente, in quanto in molti Stati, come negli Stati membri dell’Unione europea, queste cose accadono legalmente. L’uso degli organismi geneticamente modificati (OGM) nella produzione agricola e alimentare che minacciano l’ambiente e la biodiversità è stato liberalizzato dai regolamenti comunitari, le foreste sono commercializzate conformemente ai regolamenti comunitari, con il risultato che vengono distrutte anche più rapidamente, e si potrebbero citare tanti altri esempi.
Siamo invece in totale disaccordo con quanto suggerito nella proposta di risoluzione che “invita la Commissione europea e gli Stati membri a dare un esempio convincente prendendo e agevolando misure concrete per la protezione della biodiversità a livello interno e internazionale” perché è come chiedere ai lupi di prendersi cura delle pecore. Così facendo, si esortano i responsabili della distruzione ad assumere la guida in base alla loro politica.
Noi esortiamo invece i movimenti di base e le loro organizzazioni (sindacati, organizzazioni ecologiste, agenti, eccetera) affinché combattano per imporre misure e politiche che evitino ulteriori degradi dell’ambiente, distruzioni di foreste o perdita di biodiversità.
Marie Anne Isler Béguin (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, la salvaguardia della biodiversità è un argomento affascinante. Il mio gruppo, il gruppo Verts/ALE, è pienamente soddisfatto per il fatto che la risoluzione sia stata approvata da una larghissima maggioranza del Parlamento europeo, come è anche pienamente soddisfatto per il fatto che il Parlamento stia inviando all’ottava Conferenza sulla biodiversità, tre anni dopo Kuala Lumpur, una delegazione che difenderà la salvaguardia della biodiversità. In tale contesto, onorevoli colleghi, vorrei rammentarvi alcuni principi di base, troppo spesso dimenticati in quest’Aula.
La sicurezza alimentare dipende da tre fattori: acqua, suolo e diversità fitogenetica, e soltanto 12 varietà vegetali, tra cui grano, riso, mais e patate, soddisfano praticamente l’80 per cento del fabbisogno energetico della popolazione mondiale. E’ dunque naturale che l’industria sia fortemente tentata dal desiderio di acquisire il monopolio sulle sementi facendo uso delle tecnologie derivanti dalla biotecnologia.
Di conseguenza, ci rivolgiamo al Consiglio dell’Unione europea, che sarà presente, affinché appoggi la moratoria attualmente in essere sulle sperimentazioni e la commercializzazione delle varietà geneticamente modificate al fine di limitarne l’uso. In parole povere, onorevoli colleghi, Terminator non deve riemergere sotto le spoglie di qualche innovazione biotecnologica.
Inoltre, per limitare la natura invasiva per i nostri ecosistemi delle varietà di origine biotecnologica, la biodiversità deve essere protetta da protocolli che obblighino i ricercatori a svolgere gli esperimenti in aree confinate.
In conclusione, occorre ricordare che la lotta all’erosione della biodiversità presuppone una qualche forma di intervento nel campo della conservazione. Ovviamente, ciò non significa custodire la biodiversità in provette da laboratorio, ma piuttosto consentire alle popolazioni indigene, che peraltro sosteniamo, di continuare a far uso delle loro competenze tradizionali e della loro supremazia sulle risorse genetiche.
E’ necessario inoltre prendere coscienza del fatto che, anche in questo caso, è sempre questione di denaro. Vi chiederò pertanto di sostenere il Fondo mondiale per l’ambiente. Sappiamo perfettamente che, nel caso di Natura 2000, qualora l’Unione europea non dovesse stanziare fondi per la rete, la biodiversità non sarà protetta. Analogamente, se non dovessimo erogare denaro per il Fondo mondiale per l’ambiente, la conservazione della natura sarà, ancora una volta, soltanto un tessuto di belle parole dette in plenaria.