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Procedura : 2005/2162(INI)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo del documento : A6-0053/2006

Testi presentati :

A6-0053/2006

Discussioni :

PV 22/03/2006 - 16
CRE 22/03/2006 - 16

Votazioni :

PV 23/03/2006 - 11.12
CRE 23/03/2006 - 11.12

Testi approvati :

P6_TA(2006)0113

Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 22 marzo 2006 - Bruxelles Edizione GU

16. L’impatto in materia di sviluppo degli accordi di partenariato economico (discussione)
Processo verbale
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sulla relazione (A6-0053/2006), presentata dall’onorevole Luisa Morgantini a nome della commissione per lo sviluppo, sull’impatto in materia di sviluppo degli accordi di partenariato economico [2005/2162(INI)].

 
  
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  Luisa Morgantini (GUE/NGL), relatrice. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, “Mangerai quando sarai competitivo” è lo slogan di un poster: sullo sfondo un ragazzo africano pelle e ossa. La frase è enfatica, ma sembra proprio che l’Unione europea stia, e questo è un eufemismo, sopravvalutando l’efficacia del commercio nella lotta alla povertà.

La relazione oggi in discussione è monca, il progetto prevedeva infatti alcuni punti in cui si mettevano in discussione gli effetti della liberalizzazione sull’economia dei paese in via di sviluppo. Diversi studi econometrici, un rapporto di Christian Aid, lo studio Winners and losers di Sandra Polanski, pubblicato la settimana scorsa, hanno mostrato che molti paesi in via di sviluppo, soprattutto nell’Africa subsahariana, vivrebbero migliori condizioni oggi se non avessimo introdotto misure di liberalizzazione selvaggia.

Lo studio della Polanski, che analizza i vincenti e i perdenti delle liberalizzazioni lanciate con il ciclo di Doha, conferma dati che erano già stati diffusi dall’UNCTAD e dall’UNDP ed arrivano ad alcune conclusioni: i paesi in via di sviluppo saranno verosimilmente i perdenti del gioco, visto che non hanno capacità agricole e industriali per competere con i paesi ricchi; i vincenti saranno proprio i paesi ricchi: gli Stati Uniti, l’Europa e il Giappone, ma anche la Cina.

Il libero commercio produrrà modesti guadagni a livello globale, anche perché i costi di aggiustamento, che i paesi devono affrontare quando si impegnano nel processo di liberalizzazione promosso dai paesi industrializzati, possono essere maggiori dei benefici.

Non si tratta di essere contro il commercio, l’apertura dei mercati può essere anche un efficace strumento di lotta alla povertà, ma come ogni strumento deve essere usato con molta cautela. Bisogna, prima di tutto, mettere in condizione i paesi di fare fronte alle proprie esigenze interne, rafforzando la capacità produttiva in funzione, soprattutto, di obiettivi interni di sovranità alimentare, poi bisogna permettere di far fronte alla concorrenza e alle limitazioni all’atto dell’offerta, fornendo risorse adeguate non presenti al momento nelle prospettive finanziare.

Bisogna, poi, in secondo luogo, lavorare sulla base di calendari realistici, che tengano conto del tempo che gli aggiustamenti strutturali chiedono e, in terzo luogo, bisogna limitare l’apertura del mercato, prevedendo anche meccanismi per sospendere il processo di liberalizzazione, se necessario, e dando la possibilità ai paesi ACP di proteggere le proprie industrie nascenti e strategiche; del resto questo criterio lo abbiamo utilizzato noi stessi durante tutto lo scorso secolo e qualcuno in realtà tenta ancora di riproporlo oggi.

Questi principi sono quasi presenti nella relazione, anche perché queste sono le richieste dei paesi ACP, sono loro che le formulano. Perché un principio effettivo di partnership impone di tener conto delle richieste dei nostri interlocutori, soprattutto se giustificate, soprattutto se sostenute dalla società civile in Europa e nei paesi ACP. Anche e soprattutto perché gli accordi di partenariato economico nascono dal quadro legale e istituzionale dell’accordo di Cotonou, firmato dall’Unione europea – lo sottolineo – e hanno come obiettivo ultimo lo sviluppo e la lotta alla povertà.

In base a questo stesso principio di partenariato non abbiamo diritto di imporre accordi. Credo che siano loro a doverlo fare e uno dei punti principali della relazione è la richiesta alla Commissione di studiare fin da subito le alternative affinché i paesi ACP possano, valutando le opzioni, scegliere se firmare o meno tali accordi. La reciprocità, poi, con cui si sta richiedendo l’attuazione delle liberalizzazioni, significa applicare leggi uguali tra soggetti non uguali economicamente e per grado di sviluppo; ciò non porta affatto uguaglianza e democrazia.

Pensare allo sviluppo solo in termini di aumento del prodotto interno lordo in un paese è molto riduttivo. Lo sviluppo è difficile da definire, ma quando nella mia relazione si chiede alla Commissione di proteggere dalla liberalizzazione i settori dell’acqua, della salute e dell’istruzione, si parla sostanzialmente di diritti che devono essere garantiti, come quando si cita la dichiarazione di Città del Capo, l’Assemblea paritetica ACP-UE ha anche la competenza per fissare indicatori di sviluppo per valutare il conseguimento dei risultati e dei negoziati commerciali, chiedendo che si includano gli indicatori sociali e ambientali come la creazione di lavoro dignitoso, la salute, l’istruzione, la parità dei sessi.

Si parla di diritti, di quelli stessi diritti per i quali in Europa ci siamo battuti, di quelli stessi valori su cui si fonda l’Unione europea. Il Parlamento europeo non può voler cancellare questi valori. Siamo in un momento cruciale della lotta alla povertà, dobbiamo anche rispondere agli obiettivi che ci siamo posti.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevole Morgantini, onorevoli deputati, a nome della Commissione mi congratulo con la commissione per lo sviluppo e in particolare con la sua presidente, onorevole Morgantini, per questa relazione, che pone la questione dello sviluppo al centro dei negoziati sugli accordi di partenariato economico (APE). Concordiamo tutti sul fatto che lo sviluppo è il punto di partenza, l’elemento essenziale e la priorità della nostra azione. Continueremo naturalmente a insistere su tale aspetto durante tutti i negoziati nonché in sede di attuazione degli APE.

Vorrei dire prima di tutto che sono lieto che su moltissimi punti siamo dello stesso parere, ad esempio sull’importanza del dialogo con la società civile e con i parlamenti nazionali dei paesi ACP, sull’obiettivo dell’integrazione regionale e della governance economica, sul ruolo degli investimenti e della diversificazione delle esportazioni. Nella relazione ritrovo pareri e posizioni che io stesso ho manifestato sovente ai nostri partner, i quali devono svolgere un ruolo fondamentale in questo contesto.

L’obiettivo primario è quello dello sviluppo, il che comporta anche un approccio flessibile che permetta di tener conto delle debolezze economiche dei paesi interessati, paesi che è nostra intenzione rafforzare. La peculiarità di tale approccio risulta evidente, per esempio, nel modo in cui la liberalizzazione del commercio è positivamente squilibrata a favore dei paesi ACP, nella flessibilità riguardo all’apertura dei loro mercati, nella misura in cui noi acquistiamo i loro prodotti e nei necessari meccanismi di salvaguardia. Tutti questi principi sono stati definiti con chiarezza nelle nostre posizioni negoziali sin dal primo giorno, e il Commissario Mandelson in persona li ha confermati in numerose occasioni.

Nondimeno, ho rilevato anche che, su determinate questioni delicate, la relazione solleva dubbi a mio parere ingiustificati, ad esempio laddove si chiede quanto la nostra posizione sugli accordi di partenariato economico sia coerente con gli impegni assunti nell’ambito dell’accordo di Cotonou o con la recente dichiarazione sulla politica europea per lo sviluppo. Forse si tratta di un problema di comunicazione, che cercherò di risolvere oggi stesso. Tra noi non devono esserci incomprensioni perché, nella delicata fase negoziale in cui ci troviamo e che dovrebbe concludersi tra poco più di un anno, la Commissione ha ovviamente più bisogno che mai del sostegno del Parlamento.

In primo luogo, credo che dobbiamo riportare nella sua giusta prospettiva la compatibilità tra gli accordi di partenariato economico e le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. E’ chiaro che tale compatibilità è un imperativo se vogliamo garantire la stabilità degli APE, al pari di tutti gli altri nostri accordi economici, e la Commissione deve adoperarsi a tal fine. E’ altresì nostra intenzione migliorare, ove possibile, le regole dell’OMC. In quest’ottica sono state avanzate alcune proposte; credo tuttavia che non dovremmo farci illusioni e che dobbiamo essere consapevoli delle limitazioni e delle difficoltà oggettive di un simile approccio. Ma soprattutto non va dimenticato che il vero motivo per cui abbiamo istituito gli accordi di partenariato economico non è l’OMC, bensì l’urgente necessità, ampiamente dimostrata e confermata nell’accordo di Cotonou, di usare il commercio più efficacemente come forza trainante della crescita economica nei paesi ACP, come è già avvenuto in molti altri paesi, tra cui anche quelli in via di sviluppo.

A mio parere, il successo degli accordi di partenariato economico dipenderà da tre fattori chiave, tutti di pari importanza. Primo: negoziati mirati realmente allo sviluppo dei nostri partner, il che è, come ho detto, il nostro unico obiettivo strategico. Secondo: l’impegno dei nostri partner ACP a istituire un quadro normativo che favorisca gli investimenti. Terzo: il sostegno che l’Unione europea, ma anche i suoi Stati membri e altri donatori, saranno in grado di fornire ai paesi interessati, al fine di preparare e concretizzare l’applicazione degli APE. Comprendo l’attenzione con cui i nostri partner e il Parlamento guardano a quest’ultimo punto. Il giorno stesso in cui ho assunto l’incarico di Commissario europeo ho promesso che avrei garantito che sarebbero state trovate le risposte necessarie.

Siamo riusciti a ottenere l’impegno da parte degli Stati membri ad aumentare progressivamente, fino a raddoppiarli, i loro aiuti allo sviluppo, e ringrazio il Parlamento per il sostegno che ci ha dato al riguardo, senza il quale non avremmo raggiunto questo risultato. Mi permetto di ricordarvi che in tal modo gli aiuti allo sviluppo aumenteranno di oltre 20 miliardi di euro a partire dal 2010. Siamo riusciti a trovare un accordo sul rafforzamento della cooperazione tra la Commissione e gli Stati membri nel quadro del consenso europeo adottato a dicembre nonché sulla ribadita necessità di dare la priorità all’efficacia degli aiuti. Abbiamo deciso di concentrarci dapprima sull’Africa, e per quel continente abbiamo elaborato una strategia coerente. E’ già operativo un fondo fiduciario per le infrastrutture, comprese quelle mirate a promuovere il commercio. Nel contesto del programma per il decimo Fondo europeo di sviluppo, stiamo decidendo insieme con i nostri partner quali siano i mezzi migliori per sostenere l’integrazione economica a livello regionale, per la quale anche i nostri partner hanno definito le loro agende.

Gli accordi di partenariato economico fanno parte di quest’azione, di cui rappresentano un elemento importante. In tale contesto, la tempistica riveste un ruolo essenziale; ad esempio, dopo l’entrata in vigore degli APE si verificherà un calo del gettito fiscale a causa dell’eliminazione dei dazi doganali, calo che potrà essere compensato in parte dalla prevista crescita economica e in parte dalla razionalizzazione del sistema fiscale che è già stata avviata in molti paesi, spesso con il nostro aiuto. Inoltre, per facilitare la transizione, sono già state previste per determinate regioni alcune misure di sostegno a livello macroeconomico. Vi posso dire che sono attivamente impegnato a individuare misure volte a sostenere gli accordi di partenariato economico, in particolare per quanto attiene alle conseguenze che essi potrebbero comportare, in un primo momento, dal punto di vista delle risorse necessarie a garantire l’operatività dello Stato sovrano.

So che taluni sarebbero favorevoli a un dibattito sulle possibili alternative agli accordi di partenariato economico. Personalmente non ritengo utile una discussione accademica di questo tipo, prima di tutto perché un dibattito approfondito c’è già stato a Cotonou quando è stato concordato che gli APE avrebbero offerto i vantaggi migliori in termini di sviluppo, di accesso al mercato compatibile con l’OMC e di sostegno al buon governo e all’integrazione regionale. In secondo luogo, tutti i paesi ACP stanno tuttora negoziando tali accordi. Infine, i paesi beneficiano degli effetti derivanti dall’accesso a mercati aderenti al sistema di preferenze generalizzate e all’iniziativa “Tutto fuorché le armi”. Nel frattempo, dopo praticamente mezzo secolo di preferenze unilaterali nell’ambito della Convenzione di Lomé e dell’accordo di Cotonou, sappiamo che tale accesso preferenziale al nostro mercato di per sé non basta a soddisfare le esigenze dei nostri partner.

In conclusione, la relazione esprime la nostra posizione comune su una vasta gamma di temi. Per avviare un così gran numero di paesi sulla strada dello sviluppo e della crescita, sono pronto a continuare a collaborare con voi sugli obiettivi e sulle sfide che noi e i nostri partner abbiamo davanti in questo progetto complesso, ambizioso e d’importanza vitale che sono gli accordi di partenariato economico.

Domani parteciperò a un seminario sull’Africa orientale. Sapete che sto facendo il giro di tutte le organizzazioni regionali e che, durante ogni visita, tutte le persone che collaborano allo sviluppo mi manifestano i loro timori. Voi avete trasmesso tali timori perfettamente, e vi prego di credermi quando vi dico che ne sono profondamente consapevole. Sono perfettamente a conoscenza delle questioni reali e concrete che sollevate, e vi posso dire in tutta sincerità che le valutazioni e le discussioni stanno facendo progressi importanti, come pure le riflessioni creative, in vista della definizione di una serie di strumenti atti a sostenere meglio i paesi partner e a dare risposte più dirette alle loro preoccupazioni.

Concludo esprimendovi la mia gratitudine. Condivido appieno le linee essenziali di questa eccellente relazione. Sono più disponibile che mai a discutere con voi, in particolar modo dei modi più idonei a sostenere questo processo.

 
  
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  Maria Martens, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, gli accordi di partenariato economico riguardano le relazioni commerciali con i paesi ACP, le quali sono regolamentate dall’accordo di Cotonou. Le disposizioni attualmente vigenti, però, non sono più conformi alle norme approvate dall’Organizzazione mondiale del commercio, dato che il trattamento speciale riservato ai paesi ACP rispetto agli altri paesi in via di sviluppo costituisce una violazione delle norme dell’OMC e deve pertanto essere uniformato ad esse.

Il sistema attuale può restare in vigore fino al 2008 e dovrà essere modificato al più tardi entro quella data.

Alcuni deputati al Parlamento europeo sono contrari agli accordi di partenariato economico in linea di principio, perché non credono che un certo grado di liberalizzazione commerciale, non importa sotto quale forma, possa contribuire allo sviluppo dei paesi poveri.

Il mio gruppo, invece, è convinto che il commercio e, in particolare, la liberalizzazione del commercio tra i paesi ACP, possa effettivamente svolgere un ruolo importante. Non abbiamo quindi alcuna obiezione di fondo agli APE, purché ci si arrivi sulla base di accordi validi che stabiliscano, ad esempio, un congruo periodo di tempo per consentire ai paesi interessati di adeguarsi alle nuove condizioni e la possibilità di dare loro aiuti in tal senso. E’ importante che gli APE prevedano queste condizioni.

Quindi, per parte nostra non ci sono obiezioni agli accordi di partenariato economico, purché essi ci pongano in condizione di contribuire alla lotta contro la povertà. Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei vuole che tali accordi perseguano come obiettivo prioritario quello dello sviluppo; ciò significa che la liberalizzazione dev’essere graduale, deve andare a beneficio dei paesi ACP ed essere adattata alle diverse e specifiche esigenze dei singoli paesi, in modo tale che servizi di base importanti come l’acqua, l’istruzione, i trasporti e l’energia restino disponibili a tutti. Il PPE vuole che sia fissato un calendario realistico, ovvero che sia previsto un tempo sufficiente per apportare i cambiamenti necessari. Il gruppo PPE-DE vuole che siano previste sufficienti misure di sostegno, ad esempio sotto forma di assistenza tecnica, di sviluppo di capacità e di riforme in settori come quello doganale e fiscale; vuole altresì che venga promossa la cooperazione su base regionale tra i paesi ACP.

Le aree su cui il gruppo PPE-DE nutre preoccupazioni sono quattro, che mi accingo a illustrare.

La prima preoccupazione riguarda la scarsità delle informazioni fornite dalla Commissione durante i negoziati. La seconda riguarda i tempi ristretti nei quali tali negoziati vengono ora condotti e in cui dovranno essere successivamente attuati. I negoziati sono in corso dal 2002 e non abbiamo ancora ricevuto bozze di documenti.

Ci sono infine gli aspetti finanziari. Il successo degli accordi di partenariato economico dipenderà dall’assegnazione di importi adeguati, i quali dovranno provenire, innanzi tutto, dal Fondo europeo di sviluppo e, poi, anche da altre fonti di finanziamento. Al momento la provenienza degli stanziamenti non è ancora chiara. Esistono norme per situazioni di emergenza che stabiliscono le modalità di finanziamento, e tali norme sono necessarie. Qualora il sistema non dovesse funzionare in alcuni luoghi, dovrebbe esserci la possibilità di rallentare il ritmo del processo o di sospenderlo per un certo periodo di tempo – una possibilità che è già contemplata dalle vigenti regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. Per ora non abbiamo proposte specifiche da avanzare in merito. Il Commissario ha già affrontato la questione nei dettagli; ora mi auguro che potremo collaborare più strettamente e ricevere informazioni più particolareggiate.

 
  
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  Glenys Kinnock, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, nel ringraziare il Commissario desidero riallacciarmi innanzi tutto alla sua osservazione secondo cui parlare di alternative agli accordi di partenariato economico sarebbe, a suo dire, un esercizio “accademico”. L’accordo di Cotonou stabilisce con grande precisione che le alternative fanno parte delle disposizioni alle quali i paesi ACP possono decidere se attenersi oppure no. Quindi, signor Commissario, non si tratta di un esercizio accademico, bensì chiaramente di un’opzione a disposizione dei paesi ACP.

Gli accordi di partenariato economico sono molto complessi e complicati per i paesi ACP e rappresentano i negoziati più complessi e più complicati ai quali quei paesi abbiano mai preso parte. Ho il sospetto, peraltro, che tali negoziati presentino qualche difficoltà anche per la Commissione, se non altro per le tensioni che esistono naturalmente tra le preoccupazioni e le priorità della DG “Sviluppo” e le preoccupazioni e le priorità della DG “Commercio”, che sono molto diverse tra loro. La nostra esperienza qui in Parlamento ci insegna che non sempre c’è la necessaria coerenza tra i nostri obiettivi.

Ho l’impressione che alcune delle preoccupazioni siano comuni a tutti i negoziati regionali, e me ne sto occupando molto da vicino. Da alcuni segnali emerge l’intenzione della Commissione di realizzare in via prioritaria un quadro per facilitare il commercio. Le regioni ACP sono invece molto più interessate a risolvere questioni quali le restrizioni relative all’offerta e il collegamento tra gli accordi di partenariato economico e il sostegno allo sviluppo. L’accesso al mercato rimane sicuramente un tema di importanza fondamentale.

La proposta apertura delle economie dei paesi ACP – la maggior parte dei quali figura tra i meno sviluppati in assoluto – è motivo di grave preoccupazione. I vantaggi dell’integrazione regionale, dell’accesso al mercato e del commercio e dello sviluppo integrati, come ha detto l’onorevole Martens, sono assolutamente evidenti. Tuttavia, la commissione per lo sviluppo ritiene che qualsiasi beneficio potenziale potrebbe essere vanificato dai costi potenziali che quei paesi potrebbero trovarsi a dover pagare; è pertanto possibile che gli accordi che i paesi meno sviluppati potrebbero dover stipulare per l’accesso al mercato – apertura del mercato – non siano esattamente ciò di cui essi hanno bisogno, e che dunque per quei paesi potrebbero rivelarsi più vantaggiosi altri tipi di accordo.

Per essere competitivi e commercializzare i propri prodotti, i paesi ACP devono investire in misura sostanziale nella loro capacità di agire in tal senso. Hanno bisogno di preparazione e devono migliorare la loro forza lavoro; hanno bisogno di infrastrutture, trasporti e capacità istituzionale migliori. Queste sono tutte questioni di prioritaria importanza per i paesi ACP.

Va precisato che non spetta alla Commissione dire ai paesi ACP come dev’essere un buon accordo di partenariato economico; spetta a quei paesi, previa consultazione dei rispettivi parlamenti, dell’Assemblea parlamentare paritetica e della società civile, prendere una decisione del genere. Qualsiasi criterio stabiliremo per gli accordi di partenariato economico, esso dovrà essere fondato sulla sua correlazione con gli Obiettivi di sviluppo del Millennio.

Vorrei porre al Commissario una domanda. Le trattative con l’Africa centrale vengono descritte come un modello esemplare di negoziati regionali. Secondo le mie fonti d’informazione, la DG “Sviluppo” al suo massimo livello – il che probabilmente significa lei, signor Commissario – nutrirebbe seri timori sulla capacità del Segretariato della Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale di portare avanti i negoziati. E’ questo il motivo per cui lei, signor Commissario, ha pubblicamente chiesto l’allontanamento del segretario esecutivo e del responsabile CEMAC per i negoziati sugli accordi di partenariato economico? Se la risposta è sì, come si concilia questo fatto con l’affermazione della DG “Commercio” che parla di un modello esemplare di negoziato?

Infine, vorrei richiamare la vostra attenzione sulla dichiarazione di Città del Capo dell’Assemblea parlamentare paritetica, del 2002, la quale stabilisce i criteri di riferimento per valutare la condotta e il risultato dei negoziati sulla base dei principali indicatori sociali e ambientali, tra cui la creazione di lavoro a condizioni dignitose, sanità, educazione e parità tra i sessi. Che il potenziale per fare tutto ciò esista è stato confermato l’anno scorso dal Consiglio ACP. Il Commissario intende rispondere a queste proposte?

 
  
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  Fiona Hall, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Morgantini è stata accolta molto favorevolmente da parte della commissione per lo sviluppo perché prende una posizione netta riguardo ai principi fondamentali sui quali dovrebbe fondarsi un partenariato economico.

Come hanno rilevato i Commissario Michel e Mandelson, gli accordi di partenariato economico devono essere mirati a promuovere lo sviluppo. Ciò vuol dire che, per forza di cose, la liberalizzazione dev’essere asimmetrica. Non è ammissibile costringere i paesi ACP ad aprire i loro mercati interni alle merci europee fino a quando tali mercati non saranno molto più consolidati e stabilizzati di quanto lo siano ora. Per parte nostra, a livello europeo possiamo offrire aiuti per l’attuazione di misure di carattere commerciale finalizzate alla creazione di quei mercati e all’imposizione di restrizioni relative all’offerta.

Degli emendamenti presentati in plenaria, il gruppo ALDE appoggerà quelli nei quali si chiede che siano gli stessi paesi ACP a stabilire il ritmo di apertura dei loro mercati e che l’Unione europea abbia la possibilità di collaborare molto più strettamente con i partner ACP nell’ambito dei negoziati sul commercio mondiale. Insieme, i paesi ACP e l’Unione europea formano un blocco notevole.

Il gruppo ALDE appoggerà inoltre gli emendamenti del gruppo PPE-DE che migliorano la formulazione del testo ed evitano definizioni eccessivamente restrittive per quanto riguarda, ad esempio, gli indicatori per la creazione di lavoro a condizioni dignitose.

Alcune organizzazioni non governative hanno lanciato una campagna che consiste esclusivamente nel dire “no” agli accordi di partenariato economico, ma tale posizione potrebbe equivalere a buttare il bambino con l’acqua sporca. L’integrazione regionale che fa parte del processo avviato con questi accordi aiuterà i paesi ACP a crescere e prosperare, ad aumentare gli scambi sud-sud e a eliminare le barriere tariffarie tra paesi ACP confinanti.

L’elemento chiave di tutte le fasi del processo negoziale APE è quello di assicurare che il risultato ottenuto vada a favore dello sviluppo. Mi auguro che la Commissione si ispirerà in ogni momento, in modo reale e coerente, a tale principio e a questa relazione.

 
  
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  Margrete Auken, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DA) Signor Presidente, lo scopo dell’accordo di Cotonou e degli accordi di partenariato economico è quello di eliminare la povertà e di promuovere uno sviluppo sostenibile. In nessun caso questo obiettivo può venir meno. La mentalità del quid pro quo, ovvero l’idea della reciprocità fondata su un principio di uguaglianza, è quindi del tutto fuori luogo. C’è un dato di cui dobbiamo tener conto, cioè che i due partner, l’Unione europea e i paesi ACP, non si trovano affatto su un piano di parità; pertanto, non sono i paesi ACP a dover aiutare l’Unione, bensì dovrebbe accadere l’esatto contrario. Sono assolutamente certa che su questo punto l’onorevole Morgantini è d’accordo con me.

I paesi più poveri possono esportare esclusivamente prodotti agricoli e materie prime, nonché prodotti ad alta intensità di lavoro, come ad esempio i tessili, e dovrebbero avere la possibilità di esportarli qui, nell’Unione europea, senza restrizioni. I paesi ACP hanno inoltre economie estremamente deboli; non possiamo quindi pretendere che liberalizzino il 90 per cento dei loro mercati solo per ricompensare l’UE dell’apertura dei mercati comunitari. Anche questa posizione è sostenuta nella relazione dell’onorevole Morgantini. Mi auguro pertanto di interpretare correttamente il paragrafo 17 della relazione nel dire che, ovviamente, sono soltanto i paesi ACP ad avere il diritto di introdurre limitazioni temporanee alle importazioni per le industrie minacciate da un improvviso e forte aumento delle importazioni. Sarebbe alquanto inopportuno se ci venisse riconosciuto il diritto di impedire ai paesi ACP di venderci i loro prodotti tessili e agricoli solo perché non siamo stati abbastanza abili da adattarci alle mutate condizioni della concorrenza in un mondo globalizzato. Il fatto è che anche a noi è stata concessa la facoltà di proteggere i nostri mercati quando le nostre economie erano ancora in fase di sviluppo. Detto ciò, proteggere i propri mercati non è il modo migliore per promuovere la crescita né un’economia sana, e pertanto tale misura dovrebbe essere applicata, anche nei paesi in via di sviluppo, in modo limitato, anche dal punto di vista temporale.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS ROCA
Vicepresidente

 
  
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  Gabriele Zimmer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Parlamento ha già avuto modo, in diverse occasioni e con ampi consensi, di trovare un’intesa sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio, nonché di sbandierare l’eliminazione della povertà dalla faccia della Terra come il nostro compito più importante per i prossimi decenni.

L’ottima relazione dell’onorevole Morgantini ci mette ora a disposizione una valutazione del contributo che gli accordi di partenariato economico possono fornire all’effettivo adempimento di tale compito. Ci attendiamo che la Commissione, durante i negoziati, riconosca una netta priorità allo sviluppo e all’eliminazione della povertà nei paesi ACP. Le critiche che sto per esprimere riguardano chiaramente la presenza di un rappresentante della DG “Commercio” a una riunione della commissione per lo sviluppo. Onde evitare malintesi, preciso che noi non vogliamo negoziati condotti nello stile e con il comportamento di una potenza coloniale; crediamo invece che debba essere garantito il sovrano potere decisionale dei nostri partner nei paesi ACP.

Tale potere sovrano va incoraggiato promuovendo gli investimenti nelle infrastrutture commerciali e, ovviamente, appoggiando le strategie nazionali di lotta contro la povertà, il che è del tutto conforme al principio di sussidiarietà tanto apprezzato nell’Unione europea. Se i governi esercitano il loro potere sovrano dando una valutazione scettica degli accordi di partenariato economico, allora devono essere disponibili alternative come quelle previste dall’accordo di Cotonou. E’ per questo motivo che mi chiedo come mai il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei voglia depennare il riferimento all’accordo. Perché il gruppo PPE-DE improvvisamente non si sente più vincolato dagli accordi? Esso sta anche cercando di cancellare dalla relazione praticamente tutte le frasi in cui si riconosce ai governi dei paesi ACP un sovrano potere negoziale e uno spazio politico autonomo per decidere se la liberalizzazione debba essere attuata in un dato settore, in quale misura ed entro quali scadenze. Vorrei sapere i motivi di questo comportamento.

La relazione Morgantini chiede che servizi di base, come la fornitura di acqua potabile, l’istruzione e altri servizi pubblici essenziali, siano esclusi a priori dalla liberalizzazione. Il gruppo PPE-DE vuole che tale disposizione sia tolta dalla relazione e si stabilisca che le forniture di acqua possono essere liberalizzate sulla base di prezzi sostenibili. A mio parere, questo è puro cinismo: vista la diffusa povertà in molte regioni dei paesi ACP, tale proposta è semplicemente irricevibile. Vi invito quindi a respingere domani questi emendamenti.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio innanzitutto la relatrice Morgantini per l’ottimo lavoro svolto. In una società ormai dominata da un mercato economico globalizzato, l’incentivazione della cooperazione allo sviluppo è un dovere per le istituzioni comunitarie, in un contesto mondiale in cui tre miliardi di esseri umani vivono con meno di due dollari al giorno e oltre un miliardo sopravvive con un dollaro.

Per questa finalità condivisa dobbiamo ricercare i mezzi adeguati che possono condurre sia ad un miglioramento della situazione economica nei paesi in via di sviluppo, sia ad una condizione di integrazione al mercato mondiale progressiva e crescente. Le politiche di cooperazione dell’Unione devono racchiudere priorità finalizzate alla trasformazione dei processi interni a questi paesi, che promuovano un clima politico stabile, aperto e democratico nonché un incremento del welfare. In questo ambito si può affermare che gli accordi di partenariato economico raffigurano un mezzo adeguato per rafforzare ed implementare le relazioni commerciali ACP-Unione europea.

Dobbiamo inoltre porre l’accento su un altro punto: vanno monitorati costantemente gli investimenti per lo sviluppo nei settori cosiddetti sensibili, quali l’istruzione, la salute e l’energia, ricorrendo, se necessario, ad una limitazione delle liberalizzazioni economiche. Dobbiamo ricordarci sempre che un’efficace integrazione e crescita economica, per avere successo e incidere positivamente sul tessuto sociale dei paesi in via di sviluppo, deve essere necessariamente accompagnata da un miglioramento delle condizioni di vita generali della popolazione. In questa cornice è necessario un impegno preciso, concreto e coerente.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, desidero anzi tutto ringraziare l’onorevole Martens per l’eccellente discorso e per gli emendamenti che ha proposto. Questo approccio rafforza la relazione in esame e appoggia gli scopi che essa si prefigge, ovvero di rendere gli accordi di partenariato economico uno strumento operativo utile a raggiungere gli obiettivi dell’Unione europea nell’ambito della cooperazione allo sviluppo.

Le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio ci obbligano a stipulare accordi di partenariato economico separati perché il rapporto commerciale fondato sulle Convenzioni di Lomé e sull’accordo di Cotonou non è reciproco ed è, quindi, incompatibile con la clausola di abilitazione dell’OMC. Tale clausola autorizza i paesi industrializzati ad accordare un trattamento preferenziale unilaterale e non reciproco a due sole categorie di paesi: o a tutti i paesi meno sviluppati o a tutti i paesi in via di sviluppo. Posto che i gruppi regionali dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico comprendono Stati appartenenti a entrambe le categorie, le preferenze originarie concesse ai paesi ACP sono incompatibili con le vigenti regole dell’OMC, e il nostro periodo di transizione durante il quale è possibile esercitare il diritto di recesso scade nel 2008.

Per rendere il rapporto commerciale tra l’Unione europea e i paesi ACP compatibile a lungo termine con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, si è fatto ricorso agli accordi di partenariato economico. Con questa soluzione, il rapporto commerciale tra l’Unione e i vari gruppi regionali ACP diventerà reciproco. In base all’articolo XXIV del GATT, paesi con livelli di sviluppo diversi possono aderire a un accordo reciproco di libero scambio purché la liberalizzazione di sostanzialmente tutto il commercio avvenga entro un periodo di tempo ragionevole. Nell’ambito degli accordi di libero scambio, con tale disposizione s’intende che all’incirca il 90 per cento del commercio deve essere liberalizzato entro un periodo di 10-12 anni.

E’ evidente che dare applicazione a un accordo reciproco di libero scambio costituirà una sfida notevole per i paesi ACP, i cui livelli di sviluppo sono molto differenti. La reciprocità rappresenta un grande cambiamento nell’approccio dell’Unione alle sue politiche commerciali e di sviluppo nei confronti dei partner ACP.

D’altro canto, sappiamo che il sostengo fornito nel quadro di Lomé e di Cotonou non è riuscito ad arrestare il declino della quota di mercato detenuta dai paesi ACP. Dato che siamo preoccupati degli effetti di una liberalizzazione prematura, dobbiamo chiederci se, in questo contesto, possa essere contemplata una liberalizzazione tempestiva. Talvolta è necessario compiere azioni ardite, il che significa che, allo stesso tempo, dobbiamo accertarci che l’eventuale risultato dei negoziati sugli accordi lasci un margine di tempo sufficiente per consentire ai mercati regionali e nazionali dei paesi ACP di adeguarsi alla nuova realtà.

Personalmente ritengo anche che sia importante concedere a chiunque accesso indisturbato ai servizi “gratuiti” della natura; quindi, nella Giornata mondiale dell’acqua credo sia doveroso ricordare, ad esempio, l’importanza di un’equa gestione delle risorse idriche.

In alcuni casi, l’apertura dei mercati ha causato anche un aumento della povertà nei paesi in via di sviluppo; per tale ragione occorre vigilare da vicino sull’andamento dei negoziati. I negoziati devono essere imparziali e per tutta la loro durata nessuna delle parti deve essere sottoposta a pressioni.

 
  
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  Kader Arif (PSE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, voglio ringraziare l’onorevole Morgantini per l’ottima relazione che ci ha presentato oggi riguardante l’impatto sullo sviluppo degli accordi di partenariato economico.

L’impostazione generale della relazione è giusta. Essa invoca la necessità della solidarietà dell’Unione di fronte a una regolamentazione che comporta il rischio di una liberalizzazione incontrollata. La relazione è stata approvata all’unanimità dalla commissione per lo sviluppo; mi auguro e spero che tale sarà anche l’esito della votazione di domani.

I nostri ragionamenti devono essere guidati da un principio fondamentale: lo sviluppo deve essere conforme all’accordo di Cotonou e in stretto collegamento con quest’ultimo. Questo è l’obiettivo primario di tutti i negoziati e dell’attuazione degli accordi di partenariato economico con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico.

Comprendo la necessità di allineare i rapporti commerciali tra l’Unione europea e i paesi ACP con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio; mi riferisco all’accesso preferenziale unilaterale tra i mercati dell’Unione. Nondimeno, la compatibilità con le regole dell’OMC non deve avere la precedenza rispetto ai nostri impegni internazionali di promuovere uno sviluppo sostenibile e di eliminare la povertà.

Condivido i timori dei nostri partner ACP e di molte organizzazioni non governative riguardo al modo in cui la Commissione sta conducendo i negoziati e alla logica sottesa ad essi. C’è effettivamente una vistosa asimmetria tra le due parti. Se non vi poniamo rimedio, l’armoniosa e tranquilla apertura reciproca dei mercati di cui ci si vuole convincere sarà inevitabilmente squilibrata e porterà, temo, soltanto a delusioni.

La liberalizzazione del commercio tra partner diseguali non solo non promuoverà lo sviluppo previsto, ma potrebbe addirittura produrre effetti devastanti sulle fragili economie dei paesi interessati e sulla loro vulnerabile popolazione. E tutto ciò avverrebbe esattamente nel momento in cui, nei nostri discorsi, dichiariamo di voler aiutare quei paesi a raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio – obiettivi che, come sappiamo già, non sarà possibile realizzare.

Credo che se tali accordi saranno definiti gradualmente e in modo concertato, all’interno di un quadro razionale e prevedibile, nell’ottica di promuovere il commercio e gli investimenti in quell’area, costituiranno per i paesi ACP un’occasione concreta, un’opportunità sia in termini di diversificazione economica e di armoniosa integrazione regionale, sia in termini di effettiva e fruttuosa integrazione nell’economia mondiale.

Si devono stabilire alcune priorità. La prima di esse è l’esclusione delle questioni di Singapore e dei servizi pubblici essenziali, senza trascurare il principio del diritto di quei paesi di ricorrere a clausole di salvaguardia per tutelare i loro settori strategici più sensibili. La seconda priorità è il rispetto del nostro impegno di individuare sistemi commerciali alternativi agli accordi di partenariato economico per i paesi che ne facciano richiesta, come stabilisce l’articolo 37, paragrafo 6, dell’accordo di Cotonou. Tali alternative devono fondarsi sul principio di non reciprocità previsto dal sistema di preferenze generalizzate (SPG), nonché sull’introduzione di una clausola che preveda un trattamento speciale, differenziato a livello di Organizzazione mondiale del commercio. Queste priorità dipendono in gran parte dalla volontà dell’Unione europea di far sentire tutto il suo peso all’interno dell’OMC al fine di facilitare miglioramenti normativi dal punto di vista delle priorità dello sviluppo.

Infine, non ha senso esprimere un desiderio senza avere a disposizione gli strumenti necessari a realizzarlo. Concluderò dicendo che, a prescindere dalle preoccupazioni per le prospettive finanziarie dell’Unione, dobbiamo, da un canto, mantenere le promesse fatte dal Presidente della Commissione a Gleneagles sugli aiuti per il commercio e, dall’altro canto, assumere nuovi impegni finanziari per compensare i costi che i paesi ACP devono sostenere per l’eliminazione delle preferenze e delle tariffe doganali; dobbiamo inoltre potenziare gli aiuti tecnici ai paesi ACP e, infine, onorevoli colleghi, respingere l’inaccettabile riduzione del Fondo europeo di sviluppo. Tuttavia, poiché non credo che tali obiettivi potranno essere raggiunti rapidamente, propongo che la Commissione, in riferimento all’apertura reciproca dei mercati, valuti la possibilità di prolungare il periodo di transizione in conformità delle specifiche esigenze dei paesi ACP, come stabilito durante i negoziati, dando così un segnale di buona volontà.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signor Presidente, mi auguro che gli accordi di partenariato economico saranno uno strumento utile per eliminare la povertà e ci permetteranno di passare dalle parole ai fatti. Ho ascoltato con grande interesse gli interventi di stasera; in particolare, giudico eccellente quello dell’onorevole Eija-Riitta Korhola. Dal punto di vista qualitativo, non sono in grado di aggiungere nulla; vorrei però fare ugualmente qualche breve osservazione sulla relazione dell’onorevole Luisa Morgantini.

L’importanza della cooperazione allo sviluppo non deve essere sottovalutata. In quanto società del benessere e comunità europee, noi vogliamo aiutare gli altri esseri umani che, sia nei nostri paesi sia altrove, versano in condizioni peggiori delle nostre. In un certo senso, questo dà la misura del nostro grado di civiltà.

E’ vero che oggi, in molti Stati membri dell’Unione europea, si sta discutendo della parte di finanziamenti che dovrebbero essere destinati alla cooperazione allo sviluppo. Ad esempio, nel mio paese, la Finlandia, la questione è appena stata oggetto di dibattito e so che l’obiettivo dello 0,7 per cento raccomandato dalle Nazioni Unite non è stato raggiunto; siamo rimasti infatti intorno alla quota dello 0,4 per cento. C’è da augurarsi inoltre che gli altri paesi europei, Finlandia inclusa, compiano progressi da questo punto di vista. Spero che come Unione europea troveremo una volontà comune, e anche i finanziamenti, per soddisfare le esigenze dei nostri fratelli e dei paesi che se la passano peggio di noi.

A mio avviso, dovremmo tuttavia garantire che gli aiuti da noi erogati siano in armonia con i principi dello sviluppo sostenibile. I fattori economici, sociali e ambientali devono essere sempre presi in considerazione nell’ambito della cooperazione allo sviluppo dell’Unione europea. A contare non sono soltanto i soldi, ma anche e soprattutto le relazioni di partenariato, che favoriscono lo sviluppo e aiutano i paesi a partire col piede giusto.

Dobbiamo altresì preoccuparci di diffondere, attraverso la cooperazione allo sviluppo, i valori europei, come la democrazia e i diritti umani. E’ importante tener conto anche di questo aspetto nell’ambito della cooperazione allo sviluppo.

 
  
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  Vittorio Agnoletto (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione Morgantini è un importante tentativo di limitare i danni degli EPA. Credete veramente per ridurre e cancellare fame e povertà servi proprio un accordo di libero scambio?

Consideriamo il Burundi: l’abolizione teorica delle tariffe, così come prevista dagli EPA, consentirebbe un guadagno a favore dell’Unione europea di una quota di commercio pari a 12,4 milioni di dollari, che il Burundi invece perderebbe, e questo dopo aver già calcolato il guadagno dei consumatori locali. Tale fatto emerge da uno studio della Commissione economica per l’Africa, un’organizzazione dell’ONU, la quale ha evidenziato anche come quel continente abbia già una quota assai elevata di ricchezza posseduta dai residenti all’estero più di qualunque altra regione del mondo: ben il 39%.

L’idea che un’ulteriore espansione del liberismo possa produrre ricchezza in quelle zone è smentito anche dai dati relativi ai sussidi. In Nigeria la carne più economica è quella tedesca e inglese e in Senegal 52 000 tonnellate di cipolle esportate nel solo 2005 dall’Olanda hanno messo in serissima difficoltà i contadini. Gli EPA erano stati inizialmente concepiti nel quadro dell’accordo di Cotonou, che sancisce proprio la lotta alla povertà e allo sviluppo sociale, sono invece diventati qualcosa che non promuove lo sviluppo sociale, bensì ulteriore povertà.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Onorevoli deputati, condivido alcuni dei punti che avete sollevato. Riguardo all’apparente mancanza di informazioni da parte della Commissione, devo precisare che la Commissione è, naturalmente, ben disponibile a fornire tutte le informazioni di cui dispone. Forse avete l’impressione che esse siano troppo poche; in ogni caso, da parte mia cercherò di darvi tutte le informazioni di cui dispongo.

Quanto alla necessità di disporre di ingenti somme di danaro, voglio dire che, se occorrono fondi extra, è compito degli Stati membri stanziarli. Sapete bene quali importi sono disponibili nell’ambito del Fondo europeo di sviluppo: io ho soltanto i soldi che sono stati destinati a me.

In merito all’intervento dell’onorevole Kinnock vorrei sgombrare il campo da ogni malinteso. Quando ho parlato di una discussione “accademica” sulle alternative, non volevo essere impertinente. E’ infatti possibile avanzare proposte alternative a coloro che non vogliono negoziare, ma come lei ben sa, onorevole Kinnock, in questo momento stanno negoziando tutti. Forse la parola scelta non era la più felice, ma iniziare una discussione sulle alternative quando tutti sono già impegnati nei negoziati non mi pare molto utile.

Vorrei dirvi che condivido in buona parte le altre osservazioni che sono state fatte. Mi associo, quindi, ai vostri commenti sull’accesso al mercato; dovrete però ammettere anche che l’accesso al mercato non è tutto. La nostra cinquantennale esperienza nel campo della liberalizzazione ci insegna che si tratta di una misura insufficiente e che occorre prendere in considerazione tutta una serie di altri fattori. Non troverete nessuno più convinto di me del fatto che dobbiamo concentrarci sui vantaggi dello sviluppo; sono pertanto assolutamente d’accordo su questo principio.

In merito ai problemi di produzione, è evidente che la produzione è uno dei settori nei quali i nostri aiuti ai paesi interessati sono più preziosi. E’ a questo livello che è possibile fornire i fondi necessari per il progresso tecnico e tecnologico, per il trasferimento di tecnologia, per la qualità dei prodotti – in sintesi, finanziare il valore aggiunto essenziale per ottenere accesso al mercato.

Sono d’accordo con voi sul fatto che l’Unione europea non deve imporre diktat. Ciò non sarebbe affatto coerente né con le mie convinzioni né con l’idea che ho dello sviluppo. E’ in corso un negoziato, ed è prassi che durante un negoziato ciascuna delle parti coinvolte presenti le proprie argomentazioni; in questo non c’è alcun diktat. Mi associo inoltre al parere dell’onorevole Martens secondo cui occorre stabilire un calendario realistico. Anch’io sono assolutamente convinto che è necessario tutelare l’accesso alle fonti idriche ed energetiche e a tutta una serie di beni essenziali. Condivido appieno le vostre opinioni a tale proposito e nutro profondi dubbi sull’ipotesi di liberalizzare questi settori.

Onorevole Kinnock, sulla richiesta di allontanamento del segretario che mi viene attribuita, devo dire che, primo, non ho il potere di far allontanare il segretario in questione e, secondo, non ho chiesto l’allontanamento di nessuno. La verità è che – e lo dico perché intendo fermamente assumermi la piena responsabilità di quanto ho fatto –, in risposta a una richiesta del segretario della CEMAC, la Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale, ho detto semplicemente che non sono d’accordo di concedere danaro extra a una persona che non ha fatto nulla, e posso provare che quella persona non ha fatto nulla di ciò che doveva fare. Inoltre, non sono l’unico ad aver deplorato questa vicenda. A propria giustificazione, il segretario ha detto che non aveva diritto di ingiunzione nei confronti degli Stati membri. La realtà è che il lavoro che doveva essere fatto non è stato fatto e noi non abbiamo ricevuto le pezze d’appoggio che avevamo richiesto. C’è quindi un problema di trasparenza nella gestione da parte di quella persona. Date le circostanze, ritengo che rientri tra i miei doveri indicare alcuni dei principi fondamentali della governance, soprattutto quando ci troviamo di fronte a una richiesta di fondi rivolta alla Commissione. Mi assumo pertanto la responsabilità delle mie azioni, ma ribadisco che non ho mai chiesto l’allontanamento di nessuno – e, in ogni caso, non avrei il potere per farlo.

In sintesi, posso dire che il pacchetto in discussione durante i negoziati deve essere completo e coerente. Il Commissario Peter Mandelson è incaricato delle trattative sugli accordi di partenariato economico, mentre a me è riservato un ruolo di supporto; lavoriamo, quindi, in coppia. Il mio punto di partenza è, ovviamente, lo sviluppo e, più nello specifico, lo sviluppo economico come forza trainante della crescita. Vorrei altresì sottolineare che, nei loro programmi di lotta contro la povertà, i paesi hanno inserito anche questo aspetto. Le regioni interessate dai programmi di integrazione economica ci chiedono aiuto, e noi glielo diamo. Tale integrazione include l’aspetto della liberalizzazione commerciale reciproca, che noi appoggiamo. Anche gli accordi di partenariato economico vanno incontro a questa domanda di integrazione regionale.

Ritengo che alcuni dei vostri timori siano giustificati; vi posso però rassicurare sul fatto che, almeno per quanto mi riguarda, l’aspetto dello sviluppo sarà una priorità. E’ questo il fulcro intorno al quale ruoteranno i negoziati, mentre le misure di sostegno dovranno rendere possibile, conformemente al ritmo che quei paesi saranno in grado di mantenere, un allineamento verso l’alto che consenta loro, a lungo termine, di avere un accesso molto più facile non solo ai mercati regionali integrati ma anche al mercato mondiale.

Concluderò dicendo che comprendo tutte le vostre apprensioni e i vostri timori. Sono pronto – e credo che questo sia un punto realmente importante – a uno scambio di vedute con voi, anche su tutte le misure di sostegno. Vi chiedo di dare prova di tutta la creatività di cui siete capaci e sono assolutamente disponibile ad affrontare questi temi senza alcun preconcetto. Vi posso ad ogni modo garantire che sono più che pronto a continuare a cercare le migliori soluzioni possibili per sostenere i paesi in via di sviluppo nel contesto degli accordi di partenariato economico.

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, signor Commissario.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani alle 11.00.

 
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