Presidente. Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo, interrotta giovedì 16 marzo 2006.
2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
3. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
4. Dichiarazioni scritte (articolo 116 del regolamento): vedasi processo verbale
5. Seguito dato alle risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
6. Professioni legali e interesse generale relativo al funzionamento dei sistemi giuridici (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
7. Comunicazione della Presidenza
Presidente. – Prima di esaminare l’ordine del giorno, devo, una volta tanto, comunicarvi una buona notizia: è una notizia positiva che riguarda la situazione spagnola, ma, a mio parere, è positiva per l’Europa intera.
Mi riferisco al comunicato in cui oggi l’ETA ha annunciato un cessate il fuoco permanente.
(Applausi)
Vediamo finalmente balenare la possibilità di un futuro senza terrorismo. E’ il momento di agire con calma e prudenza, ed è anche il momento di ricordare le vittime del terrorismo, che sono state molte. E’ il momento della speranza e dell’unità tra tutte le forze politiche democratiche. Vorrei ribadire che si tratta di una buona notizia non solo per la società spagnola, ma per l’Europa intera, perché dimostra che il terrorismo si può combattere con la forza della democrazia.
Onorevoli colleghi, vi ringrazio per gli applausi.
(Applausi)
I gruppi politici desiderano intervenire dopo questa comunicazione della Presidenza?
Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, come potrà immaginare, la notizia che ha annunciato oggi in Aula ha suscitato una vivace reazione all’interno del PSE. Il gruppo socialista al Parlamento europeo annovera tra i suoi 200 membri una deputata che è a sua volta una vittima del terrorismo dell’ETA, poiché suo marito è stato ucciso proprio da questa organizzazione. Spero che mi permetterà di chiedere alla collega Dührkop Dührkop di pronunciare alcune parole a nome del nostro gruppo.
(Applausi)
Bárbara Dührkop Dührkop, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’annuncio dell’ETA di un cessate il fuoco permanente, che è stato confermato, è una notizia che riempie di speranza tutti i cittadini spagnoli e, di conseguenza, tutti i cittadini europei.
Rivolgiamo un appello all’unità, attuale e futura, di tutti i democratici europei, affinché sia possibile raggiungere una pace definitiva.
Inoltre, come lei ha detto, signor Presidente – e lo affermo con profonda emozione –questo è il momento di ricordare le vittime.
(Prolungati applausi)
Hans-Gert Poettering, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, inizierò il mio intervento riprendendo le osservazioni conclusive della stimatissima collega Dührkop. I nostri pensieri, infatti, vanno oggi agli uomini e alle donne che sono stati uccisi dall’ETA e alle loro famiglie.
L’annuncio del cessate il fuoco ci riempie ovviamente di gioia, ma affermiamo con altrettanta determinazione che questo comunicato non deve arrecare all’ETA alcuna ricompensa politica. In un momento come questo, in cui speriamo in un futuro di pace per tutto il paese basco e per l’intera nazione spagnola, i nostri pensieri vanno a tutti coloro che, nel mondo, muoiono a causa del terrorismo o vengono privati delle libertà individuali, come accade attualmente in Bielorussia, paese in cui alcuni membri dell’opposizione vengono arrestati e condotti in carcere.
Come deputati liberamente eletti al Parlamento europeo, abbiamo il dovere morale di levare la nostra voce ogniqualvolta la protezione e la dignità della vita umana sono a rischio. La dignità e la salvaguardia della vita umana, infatti, sono il valore supremo in Europa e nel mondo.
(Applausi)
Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, in genere, quando lei invita i leader dei gruppi politici a prendere la parola, è perché qualche tragedia è venuta ad abbattersi sul nostro mondo. Oggi è un piacere essere chiamati a celebrare un avvenimento che può essere considerato solo come una vittoria.
Nell’Europa occidentale, grazie agli esponenti politici della generazione del dopoguerra, viviamo nella democrazia. In una democrazia, sono le urne a determinare i cambiamenti e non le pallottole. Le azioni dell’ETA, dell’IRA, delle Brigate Rosse e di altri gruppi terroristici emersi in passato sono stati ingiustificabili atti terroristici. A nome dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa, accolgo con favore il processo che ha condotto l’ETA ad annunciare il cessate il fuoco. Spero vivamente che il dialogo e la democrazia siano alla base del cambiamento in Spagna e nel nostro continente.
(Applausi)
Daniel Marc Cohn-Bendit , a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro gruppo è venuto a conoscenza della notizia sul comunicato dell’ETA circa due ore fa e vorremmo affermare quanto segue. La dichiarazione dell’ETA dimostra due fatti.
Primo, le democrazie fanno bene a contrastare il terrorismo.
(Applausi)
Secondo, questa svolta dimostra che le democrazie, pur facendo bene a contrastare il terrorismo, devono anche saper negoziare e parlare. E’ quanto avvenuto in Irlanda del Nord ed è quanto sta accadendo anche in Spagna. Mi congratulo con tutte le forze politiche spagnole, che hanno saputo opporsi al terrorismo e negoziare; infatti, per evitare stragi, entrambe le parti devono saper dialogare. Mi congratulo quindi con il governo spagnolo e mi congratulo con tutti coloro che hanno avuto la forza di dimostrare che, invece di soccombere al terrorismo, sono in grado di opporvisi e intendono porvi fine, e la fine del terrorismo passa sempre attraverso i negoziati.
Inoltre, abbiamo chiesto all’ETA di inviare la sua lettera di cessate il fuoco ad Hamas, affinché questa organizzazione possa trarne ispirazione.
(Applausi)
Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, desidero unirmi ai colleghi che hanno espresso il loro apprezzamento per questa decisione dell’ETA. Purtroppo, per le molte vittime è troppo tardi, ma pensiamo alle vittime future che avranno salva la vita grazie alla decisione adottata oggi.
Mentre guardiamo al futuro di pace e negoziati che si apre in Spagna a seguito di questa decisione, vorrei imprimere nella mente delle persone questo concetto: i cessate il fuoco e i negoziati non sono sinonimo di sottomissione. La stima deve essere reciproca; la divergenza di opinioni deve essere rispettata, ma soprattutto non dobbiamo mai dimenticare che sono stati compiuti inutili sacrifici in termini di vite umane perché le persone si sono rifiutate di parlarsi su un piano di parità. Negli oltre 50 anni della sua esistenza, l’Unione europea ha quanto meno dimostrato di essere fautrice del miglior processo di pace possibile, poiché si fonda sul dialogo, sul rispetto reciproco, sulla comprensione, sulla tolleranza – non sull’accettazione – di tutte le idee diverse. Si basa sul rispetto delle persone che hanno idee diverse e si concentra sui possibili modi di collaborare.
Infine, se è vero che l’occasione offerta in questo momento dalla decisione dell’ETA non ha eguali, non dobbiamo dimenticare che quest’occasione non durerà per sempre: dobbiamo saperla cogliere ora e adoperarci per realizzare le idee in essa racchiuse.
(Applausi)
Sylvia-Yvonne Kaufmann, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, vorrei associarmi a tutto ciò che hanno affermato i precedenti oratori e ringraziare in particolare l’onorevole Dührkop Dührkop.
Su un punto non devono esserci dubbi: nulla può giustificare il terrorismo. E’ importante che tutti i partiti democratici, tutti i cittadini che vivono in pace e democrazia, affermino a chiare lettere che non accetteranno mai il terrorismo; non è questo che vogliamo, vogliamo vivere in pace e amicizia gli uni con gli altri. Ogni vittima del terrorismo è una vittima di troppo.
Democrazia e diritti dell’uomo sono i valori che tutti sosteniamo. Mi auguro che oggi, con l’annuncio dell’ETA, i problemi della Spagna sfocino davvero in una soluzione politica e pacifica.
(Applausi)
James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, mi unisco senz’altro al coro di approvazione che ha accolto questo annuncio. Mi associo inoltre alle espressioni di cordoglio e solidarietà per le innumerevoli vittime mietute inutilmente dall’ETA. In un certo qual modo lo faccio a titolo personale, perché anche noi, nell’Irlanda del Nord, siamo stati vittime di inutili atti di terrorismo per decenni.
In base all’esperienza maturata in Irlanda del Nord, mi associo al vostro invito alla prudenza. La notizia di questo cessate il fuoco è sicuramente positiva, e ci auguriamo che si tratti di una decisione permanente, ma l’onorevole Poettering ha assolutamente ragione: non può né deve esserci alcuna ricompensa per chi fa ciò che è giusto fare. L’errore commesso nel mio paese, quando nel 1994 l’organizzazione collegata all’ETA dichiarò il cessate il fuoco, fu che tutti si precipitarono a elargire riconoscimenti politici per questa decisione. Tale comportamento si rivelò disastroso, alimentando la convinzione che si potesse tenere il piede in due scarpe. Non si può essere un terrorista di notte e un politico di giorno. E’ necessaria una transizione totale a mezzi esclusivamente pacifici.
Le autorità spagnole devono quindi trarre insegnamento dall’esperienza dell’Irlanda del Nord. Devono mettere alla prova l’impegno e la buona fede dell’ETA e rendersi conto che non si devono né si possono elargire ricompense per azioni che è necessario e giusto compiere.
Nell’accogliere con favore il cessate il fuoco, offro questo consiglio e rinnovo l’invito alla prudenza prendendo spunto dall’esperienza del mio paese.
(Applausi)
Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (DA) Signor Presidente, anch’io mi rallegro per il cessate il fuoco e sono lieto che le armi vengano deposte e sostituite con schede elettorali. Provengo da una zona di confine tra la Danimarca e la Germania che per un’infinità di anni è stata devastata da guerre e conflitti e in cui, grazie al riconoscimento di diritti reciproci, al rispetto delle minoranze nazionali e alla definizione della linea di frontiera per via referendaria, è stato possibile giungere a una situazione in cui i nemici di un tempo sono diventati amici. Ho vissuto di persona questo processo in Irlanda del Nord. Quando abbiamo visitato per la prima volta la provincia in qualità di deputati al Parlamento europeo, prima di entrare nel nostro albergo siamo stati sottoposti a un minuzioso controllo finalizzato alla ricerca di armi. Quando ci siamo recati sul posto in occasioni successive, abbiamo visitato un’Irlanda pacifica. Il processo è possibile. Mi auguro che la pace verrà finalmente stabilita anche in Spagna e nei Paesi baschi.
Alejo Vidal-Quadras Roca (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, l’annuncio dell’organizzazione terroristica ETA non modifica in alcun modo la situazione spagnola. Nel comunicato si legge che l’ETA cesserà di uccidere per un periodo che sarà essa stessa a decidere e che agirà in tal senso per realizzare i suoi presunti obiettivi politici.
Questo comunicato, che non contiene una sola parola di pentimento, che non contiene una sola richiesta di perdono, che non contiene il minimo accenno all’adesione allo Stato di diritto, non fa altro che dimostrare per l’ennesima volta il cinismo e la miseria morale di questo gruppo criminale.
Spero che il governo spagnolo ammetta solo un comunicato dell’ETA: quello in cui annuncerà il proprio scioglimento e la consegna delle armi e in cui chiederà perdono alle innumerevoli persone cui ha causato tante sofferenze e tanto dolore ingiusto.
(Applausi al centro e a destra)
Presidente. – Grazie a tutti per le reazioni espresse all’annuncio dell’ETA.
James Nicholson (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, desidero unirmi a lei e al popolo spagnolo nel rallegrarmi per le buone notizie che avete ricevuto. Penso che si tratti di un fatto molto positivo per il vostro paese.
Anch’io sono un deputato che proviene dall’Irlanda del Nord e, nella prima parte dei 16 anni trascorsi in seno a questo Parlamento, ho dovuto chiedere la parola quasi ogni mese per esprimere le condoglianze agli abitanti del mio paese. E’ un gesto che non sento la mancanza di compiere in quest’Aula ora che nell’Irlanda del Nord regna un certo livello di normalità. Mi auguro che anche per il popolo spagnolo avvenga la stessa cosa.
Riprendo le parole dell’onorevole Poettering: è molto più facile fare la guerra che fare la pace, come peraltro mi ha insegnato la mia stessa esperienza. Sono d’accordo con l’onorevole Poettering, quando afferma che chi ha condotto quella guerra e ha tolto la vita a quelle persone non merita alcuna ricompensa per aver ora posto fine a tali attività.
(Applausi)
Willy Meyer Pleite (GUE/NGL). – (ES) Signor Presidente, credo che siamo dinanzi a una notizia molto importante, non solo per la Spagna, ma per l’intera Unione europea, poiché effettivamente l’annuncio dell’ETA è una realtà. Si apre una nuova prospettiva per l’avvio di un processo negoziale che potrebbe portare a una pace definitiva nei Paesi baschi e, pertanto, in parte dell’Unione europea.
Sta per iniziare una fase complessa e difficile, ed io mi auguro che il Parlamento europeo contribuisca in seconda battuta – perché in primis spetta alla Spagna e precisamente al governo spagnolo intervenire – al superamento di tutti gli ostacoli, che indubbiamente si presenteranno, nel corso di questo processo negoziale.
Credo dunque che siamo indiscutibilmente dinanzi a una situazione nuova, che richiede l’attenzione e l’appoggio di tutti affinché si possa trovare una soluzione definitiva al problema.
Proinsias De Rossa (PSE). – (EN) Signor Presidente, anch’io provengo da un’isola che per quasi 30 anni è stata vittima del terrorismo. Il processo di pace è in corso da dieci anni e oltre. Sono davvero lieto per l’annuncio formulato oggi dall’ETA. La critica che rivolgo a questa organizzazione è la stessa che, in Irlanda, ho mosso all’IRA per moltissimi anni: quella di avere adottato un metodo inutile, vano e antidemocratico per cercare di realizzare i suoi obiettivi.
In ultima analisi, tuttavia, come politici dobbiamo trovare il modo di giungere a una soluzione politica democratica del problema. Ritengo che il governo spagnolo meriti le nostre congratulazioni perché è riuscito a creare una situazione che ha portato all’annuncio del cessate il fuoco. Tutti i democratici – sia in Spagna che in Europa – hanno il dovere di sostenere il governo spagnolo nella continuazione di questo processo, poiché se permettiamo a organizzazioni come l’ETA o l’IRA di cogliere una divergenza tra i democratici sul possibile modo di costruire la pace, noi ne usciremo sconfitti e loro vittoriosi.
Enrique Barón Crespo (PSE). – (ES) Signor Presidente, non avevo intenzione di prendere la parola dopo il commosso intervento della collega Dührkop; tuttavia, in seguito alle parole pronunciate dal Vicepresidente Vidal-Quadras, vorrei dire solo una cosa, poiché credo che qui siamo tutti d’accordo nel chiedere che i democratici europei diano prova di unità sostenendo questo processo.
Vorrei solo dire all’onorevole Vidal-Quadras Roca che mi auguro che il suo partito politico e il suo gruppo si comportino analogamente a quanto fece il gruppo socialista quando il partito popolare e il governo da esso guidato ebbero la responsabilità di avviare un processo negoziale in seguito a un cessate il fuoco sostanzialmente identico a questo, ma dal contenuto diverso.
(Applausi)
Presidente. – Con questo si concludono gli interventi sull’argomento.
8. Benvenuto
Presidente. – Onorevoli colleghi, sono lieto di comunicarvi che una delegazione del parlamento danese, guidata dal suo presidente Christian Mejdahl, è presente in tribuna d’onore.
(Applausi)
Ho avuto occasione di tenere una riunione con il signor Mejdahl e con la sua delegazione e ora desidero porgere loro il più cordiale benvenuto nel nostro Emiciclo; mi auguro che il vostro soggiorno a Bruxelles e la vostra visita alle Istituzioni europee siano proficui e positivi.
9. Ordine del giorno
Presidente. – E’ stata distribuita la versione definitiva del progetto di ordine del giorno, elaborata dalla Conferenza dei presidenti, riunitasi giovedì 16 marzo 2006, ai sensi degli articoli 130 e 131 del Regolamento.
Martin Schulz (PSE). – (DE) Signor Presidente, prendo la parola ai sensi degli articoli 103 e 130 del Regolamento. L’articolo 130 riguarda l’ordine del giorno, mentre l’articolo 103 verte su dichiarazioni e proposte della Commissione.
Non mi riferisco tuttavia all’ordine del giorno odierno, bensì a quello della prossima tornata, per il quale desidero avanzare la seguente richiesta. All’ordine del giorno della prossima tornata del Parlamento europeo sono state iscritte una discussione e una risoluzione parlamentare sulla situazione in Bielorussia. Approfittando della presenza del Presidente, del Vicepresidente e di altri membri della Commissione, colgo l’occasione per chiedere quanto segue. La situazione in Bielorussia è preoccupante. Non credo che l’Unione europea possa rimanere passiva mentre un dittatore distrugge spudoratamente una democrazia in Europa. Si devono dunque valutare le misure che l’Unione europea può intraprendere per mettere Alexander Lukashenko al suo posto.
Oggi vorrei quindi chiedere alla Commissione di avanzare proposte adeguate su questo punto dell’ordine del giorno prima della discussione prevista per la prossima tornata e pregarla di spiegare le misure che la Commissione intende proporre o è in grado di proporre per intervenire contro la Bielorussia e il suo attuale governo e per rafforzare l’opposizione nel paese.
(Applausi)
Presidente. – Onorevole Schulz, l’ordine del giorno della prossima seduta verrà stabilito dalla prossima Conferenza dei presidenti. Prendiamo accuratamente nota della sua volontà di vedervi iscritto questo punto. Ne discuterà la Conferenza dei presidenti.
Martin Schulz (PSE). – (DE) In questo caso, signor Presidente, chiedo che il punto venga iscritto all’ordine del giorno della prossima Conferenza dei presidenti.
Presidente. – Molto bene, questo punto verrà iscritto all’ordine del giorno della prossima Conferenza dei presidenti.
Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE). – (NL) Signor Presidente, prendo la parola ai sensi degli articoli 133 e 144 del Regolamento. L’onorevole Schulz parla della prossima tornata, ma mi chiedevo se non potremmo approfittare di questa tornata parlamentare per discutere della situazione in Bielorussia. Possiamo indubbiamente attendere che la Commissione proponga le sue misure, ma anche noi possiamo avanzarne qualcuna. E’ assurdo non approfittare dello slancio generato dalle persone scese in strada.
Propongo di tenere un dibattito sulla Bielorussia oggi o domani.
Presidente. – Molte grazie, onorevole Hennis-Plasschaert.
Stiamo facendo notevoli progressi, perché ora i deputati che chiedono la parola per un richiamo al Regolamento citano già gli articoli su cui si basa il loro intervento. E’ un passo avanti. Tuttavia, oltre a citarli, sarebbe opportuno che li leggessero, perché se lo facessero noterebbero che in tali articoli si afferma che le richieste in oggetto devono essere presentate per iscritto almeno tre ore prima dell’inizio della seduta.
Pertanto, conformemente a tali articoli, non posso sottoporre all’Aula la sua proposta.
Mi spiace, ma è quanto stabilito dal nostro Regolamento. Discuteremo pertanto la questione in seno alla prossima Conferenza dei presidenti.
Mario Borghezio (NI). – Signor Presidente, onorevole colleghi, sarò molto breve; mi riferisco alla seduta di Strasburgo, precisamente chiedo delucidazioni su quanto comunicato dalla Presidenza durante la tornata a Strasburgo circa la composizione del gruppo IND-DEM. Intendo informare la Presidenza che oggi i parlamentari della delegazione di cui faccio parte e i parlamentari della delegazione polacca hanno ricevuto una convocazione per una riunione del gruppo IND-DEM indetta alle 14.00.
Ma noi vogliamo sapere a che titolo siamo stati convocati, dato che la Presidenza ha comunicato che il gruppo IND-DEM ci aveva escluso con una procedura del tutto incomprensibile e assolutamente irregolare.
Voglio solo dichiarare che questa riunione non sana minimamente le irregolarità compiute dalla dirigenza del gruppo IND-DEM nei confronti di 11 deputati della cosiddetta minoranza interna del gruppo che, forse non casualmente, dichiarano anche di essere totalmente estranei alle vicende oscure che hanno posto la dirigenza all’attenzione della Corte dei conti europea.
(Il Presidente toglie la parola all’oratore)
Presidente. – Onorevole Borghezio, i deputati non possono venire in Aula e chiedere la parola solo per dare voce a loro eventuali problemi. Lei non ha invocato alcun articolo per motivare il suo intervento.
Il problema da lei sollevato riguarda esclusivamente l’organizzazione interna del suo gruppo politico. La Presidenza non dispone di alcuna informazione al riguardo né è autorizzata a interferire nel modo in cui il suo gruppo politico decide di organizzare o meno eventuali riunioni su qualsivoglia questione.
Pertanto, onorevole Borghezio, mi rammarico di non averle potuto togliere la parola come invece avrei dovuto fare.
Kathalijne Maria Buitenweg (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, vorrei richiamarmi anch’io alle disposizioni degli articoli 133 e 134 del Regolamento. Capisco che, dal punto di vista tecnico, lei possa benissimo avere ragione sul fatto che la richiesta avrebbe dovuto essere presentata tre ore prima dell’inizio della seduta. Si è trattato di un errore. Ma ciò vuol forse dire che ora in quest’Aula non discuteremo della Bielorussia, paese in cui la gente è scesa in strada a manifestare, solo perché, a livello tecnico, non abbiamo presentato una richiesta tre ore prima della seduta? Dal punto di vista politico, questo è completamente assurdo!
(Applausi)
La prego di non tenere conto delle tre ore e di farci votare per decidere se svolgere o meno una discussione sulla Bielorussia. Forse i colleghi non vogliono discutere di questo argomento: benissimo, possono votare “no”. Cerchiamo però di evitare che la burocrazia ci impedisca di discutere di un problema di grande attualità vanificando in tal modo del tutto l’utilità della nostra Istituzione.
(Applausi)
Presidente. – Onorevole Buitenweg, quando le regole non ci soddisfano, le definiamo burocratiche. Tuttavia, le regole sono le regole, e se vuole che le dica ciò che afferma l’articolo – del cui contenuto lei dovrebbe essere a conoscenza –, posso garantirle che non parla solo della presentazione per iscritto prima della seduta: dice che la richiesta deve essere presentata da una commissione – e in questo caso non è così –, da un gruppo politico – e in questo caso non è nemmeno così – o da almeno 37 deputati – e non siamo nemmeno dinanzi a questa circostanza. Pertanto, nessuno dei requisiti previsti dal Regolamento è stato rispettato. Il Presidente deve attenersi al Regolamento e agire di conseguenza: la questione è chiusa. Chiusa: la richiesta deve essere presentata da 37 deputati prima della seduta, prima della seduta.
Mi spiace, onorevoli colleghi: il Regolamento stabilisce di presentare una richiesta per iscritto prima della seduta. Se la questione vi stava tanto a cuore, avreste potuto darvi la pena di presentare la richiesta prima della seduta, perché immagino che non vi siate resi conto del problema della Bielorussia mezz’ora fa, vero? Prendetevi la briga di leggere il Regolamento e di applicarlo.
Hans-Gert Poettering (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, vi sono situazioni in cui occorre giungere a un compromesso. Sicuramente la sua interpretazione del Regolamento è corretta, ma domattina terremo un’altra seduta e io chiedo, a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, di discutere della situazione in Bielorussia domani in quest’Aula...,
(Prolungati applausi)
in modo da poter esprimere la nostra solidarietà ai democratici di quel paese.
Presidente. – Molte grazie, onorevole Poettering. L’Assemblea è sovrana e si farà ciò che verrà ritenuto opportuno conformemente alla volontà manifestata, ma il Presidente deve attenersi al Regolamento.
Martin Schulz (PSE). – (DE) Signor Presidente, sono d’accordo; il nostro gruppo capisce la sua posizione. Possiamo discutere della Bielorussia in quest’Aula domani mattina, non è certo un problema. Dovremo però discutere anche dell’ipocrisia di cui è appena stato dato sfoggio in questa sede. Se un gruppo riteneva che si dovesse discutere della questione oggi o domani, onorevole Poettering, allora sarebbe bastata una telefonata. Ci siamo sentiti per telefono cinque minuti prima dell’inizio di questa seduta, ma lei non ha minimamente accennato alla questione.
Avevo appena chiesto che l’argomento venisse iscritto all’ordine del giorno della prossima tornata, ma poi una collega ha chiesto di discuterne ora.
(Reazioni diverse)
Anche la vostra capacità di ascoltare dà prova delle vostre credenziali democratiche! Non ho ancora finito di parlare.
Una collega ha chiesto di discutere della questione ora, e possiamo farlo tranquillamente. Ma non possiamo tollerare questa messinscena, come se lei – e lei solo – fosse il difensore degli interessi della Bielorussia. Possiamo discutere della questione domani, ma non con il suo atteggiamento farsesco.
(Mormorii di disapprovazione)
Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE). – (EN) Signor Presidente, non intendo intervenire su un argomento specifico, ma vorrei portare nuovamente alla sua attenzione la questione della Bielorussia. Ora stiamo raccogliendo 37 firme. Penso che domattina potremo procedere subito con la richiesta dei presidenti dei nostri gruppi politici. Non intendo presentare una dichiarazione scritta sulla questione, ma le 37 firme raccolte durante la seduta dovrebbero essere sufficienti, e resto in attesa di una sua conferma.
(Applausi)
Miloslav Ransdorf (GUE/NGL). – (CS) Desidero ricordare agli esimi colleghi che attualmente chiedono che ci si occupi quanto prima della situazione in Bielorussia – alcuni dei quali sono austriaci – le sanzioni imposte all’Austria dall’UE qualche tempo fa. Il Commissario Ferrero-Waldner, che ora chiede di esercitare pressioni sulla Bielorussia, era all’epoca un membro del governo Schüssel, incorso nelle sanzioni UE. Vi chiedo di considerare attentamente le azioni che intendete avviare, onde evitare di trovarvi nell’imbarazzante prospettiva di doverle ignorare in futuro.
Daniel Marc Cohn-Bendit (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzi tutto sono sempre contento quando la grande coalizione inizia a tremare. Si tratta sempre di un bene per il Parlamento.
(Applausi)
La seconda cosa che vorrei dire – e in questo caso l’entusiasmo è immotivato, giacché ritengo che l’onorevole Poettering abbia ragione, anche se forse l’illuminazione gli è venuta solo quando è arrivato in Aula, e anche questo potrebbe non essere negativo, onorevole Schulz – è che noi, come Parlamento europeo, dobbiamo discutere della situazione e adottare una posizione chiara nei confronti della Bielorussia e della Russia, perché, se non ci fosse Putin, Alexander Lukashenko non sarebbe più al potere da un pezzo! Se domani agiremo in tal senso, ci saremo guadagnati le stelle dell’Unione europea.
Presidente. – Onorevole Cohn-Bendit, al momento ci stiamo occupando delle mozioni di procedura; le chiedo dunque di non entrare nel merito della questione.
Graham Watson (ALDE). – (EN) Signor Presidente, prendo la parola per elogiarla per aver garantito il rispetto delle norme parlamentari e aver dato prova di flessibilità andando incontro alla richiesta dei colleghi di tenere una votazione domani, e propongo quindi di procedere al prossimo punto dell’ordine del giorno.
Hans-Gert Poettering (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando poco fa sono entrato in Aula – e intervengo solo perché sono stato chiamato in causa dall’onorevole Schulz –, ho pensato: “Da quando sono presidente del mio gruppo, questa è la prima seduta in cui non devo prendere la parola”. Le cose sono invece andate diversamente: lei ha dato l’annuncio sull’ETA ed io sono intervenuto perché lo hanno fatto anche altri.
Quando ho parlato al telefono con l’onorevole Schulz, su sua iniziativa, alle tre meno cinque o alle due meno cinque – non ricordo con precisione –, non avevo certamente idea che oggi in questa sede si sarebbe tenuto un dibattito sulla Bielorussia. Vi prego di credermi, gioco a carte scoperte quando dico che, se avessi voluto avviare tale dibattito, avrei parlato non solo con l’onorevole Schulz, ma anche con gli onorevoli Watson, Cohn-Bendit, Frassoni, Wurtz, Crowley, con tutti. Sono arrivato in Aula senza sapere nulla di questo dibattito, ho ascoltato gli interventi dei colleghi e ho pensato che avrei potuto dare prova di buona volontà suggerendo di discutere della questione domattina. Continuo a credere che si tratti di una buona proposta.
(Applausi)
Presidente. – D’accordo, adattiamo il Regolamento, ma rispettiamolo, perché se oggi siamo noi a non rispettarlo affermando che si tratta di un fastidioso apparato burocratico, domani anche altri potrebbero considerarlo alla stessa stregua, e rimarremmo del tutto senza regole. Pertanto, se questa sera – come stabilisce il Regolamento – verrà presentata per iscritto una richiesta firmata da 37 deputati o da un gruppo politico, domani si terrà il dibattito sulla Bielorussia. Vi chiedo però per favore di rispettare le procedure previste.
Per altre modifiche all’ordine dei lavori: cfr. Processo verbale.
10. Benvenuto
Presidente. – Prima di dare la parola agli oratori che intervengono a nome dei gruppi, desidero informare l’Assemblea che il ministro per le Relazioni esterne del Perù, Oscar Maúrtua De Romaña, è presente in tribuna d’onore.
(Applausi)
Colgo questa opportunità per ringraziare il governo del Perù dell’inestimabile aiuto accordatoci in occasione del Vertice UE/America latina e Caraibi tenutosi a Lima nel giugno dello scorso anno. Tutti gli eurodeputati che hanno preso parte a tale conferenza – in particolare il Vicepresidente dos Santos – hanno parlato dell’ottimo trattamento loro riservato e della splendida organizzazione. La preghiamo di porgere i nostri ringraziamenti al governo del suo paese, signor Ministro.
11. Strategia politica annuale 2007 (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sulla strategia politica annuale 2007.
Do la parola al Presidente della Commissione, e vorrei scusarmi con lui per il ritardo.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, il dibattito odierno consiste nel fare il bilancio del passato e nel pianificare il futuro, nonché nel raggiungere un accordo sulle azioni prioritarie per il 2007. Si tratta di cooperare in modo da preparare adeguatamente il terreno per gli interventi futuri.
La Commissione ha posto l’attuazione efficace delle politiche al centro dei propri obiettivi, ma per conseguire tale risultato è indispensabile stringere un autentico partenariato tra le Istituzioni europee. La relazione sul 2005 mostra che la caricatura di un’Europa in preda alla paralisi è ben lontana dalla verità. Abbiamo effettivamente registrato progressi considerevoli. La Commissione si è concentrata sui propri obiettivi e ha raggiunto un tasso di esecuzione pari a quasi il 90 per cento per le azioni prioritarie. Il Patto di stabilità e di crescita, l’agenda sociale rivista e la strategia dello sviluppo sostenibile hanno assunto un nuovo orientamento. Ritengo tuttavia che questa settimana constateremo in primo luogo che la revisione della strategia di Lisbona sull’occupazione e la crescita è giunta a una svolta, poiché è finalmente riuscita a dotare questa agenda degli strumenti necessari a tradurre le aspirazioni in realtà.
Il Vertice di Hampton Court ci ha consentito di raggiungere un nuovo consenso sugli elementi chiave per l’azione dell’Unione in un mondo in via di globalizzazione. Ha aperto le porte alle misure che si profilano oggi all’orizzonte. Penso per esempio alla politica energetica europea e al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione.
L’Unione ha dato prova della propria capacità di rispondere rapidamente alle esigenze dei cittadini dopo lo tsunami e gli attentati di Londra. Ha inoltre dimostrato di essere capace di operare all’unisono: il consenso europeo sullo sviluppo, cui aderisce anche lo stesso Parlamento europeo, è espressione di un approccio autenticamente comune. Certo, il nostro compito è lungi dall’essere concluso. Per quanto riguarda le prospettive finanziarie, tuttavia, ritengo che siamo quanto mai vicini al raggiungimento di un accordo. Se troveremo presto una soluzione, avremo ancora tempo a sufficienza per avviare l’attuazione della maggior parte dei programmi all’inizio del prossimo anno, un aspetto particolarmente importante per i paesi e le regioni meno abbienti del nostro continente.
Per quel che concerne il futuro del dibattito europeo, siamo ancora in tempo per sfruttare gli eventi e dedicare tale periodo al raggiungimento di un consenso autentico sulla direzione da prendere. Ritengo che siamo sulla strada giusta: la relazione annuale sui progressi nell’attuazione della strategia di Lisbona, il Libro verde sulla politica energetica, i biocarburanti, l’Istituto europeo di tecnologia e la tabella di marcia per la parità di genere sono numerose, importanti iniziative che sono già all’ordine del giorno.
E il 2007?
A mio avviso, il 2007 sarà un anno cruciale in termini di conseguimento degli obiettivi strategici stabiliti dalla nostra Commissione per il suo mandato. I nostri obiettivi strategici per il quinquennio – prosperità, solidarietà e sicurezza – e, naturalmente, la loro influenza al di fuori dell’UE riconfermano tutto il loro valore. Formano un quadro politico coerente per guidare l’operato dell’Unione europea. Riflettono le sfide cui si trova confrontata l’Europa e le questioni più importanti che preoccupano gli europei, e per le quali cercano di individuare una soluzione. Rimarranno il caposaldo dell’azione della Commissione. Di fatto sono convinto che costituiscano una base solida da cui rivalutare la direzione che deve intraprendere la nostra Unione. In vista dell’imminente cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma, che ricorre nel 2007, si concentrerà giustamente l’attenzione sui grandi valori e sugli obiettivi generali dell’Unione europea.
(EN) L’obiettivo principale deve continuare a essere la crescita sostenibile, al fine di creare posti di lavoro migliori e più numerosi in Europa. Alla luce di prospettive macroeconomiche più positive, dobbiamo cogliere tutte le opportunità che ci si presentano per accelerare le riforme e tradurle in pratica. So che questo Parlamento ha tutte le intenzioni di fare la propria parte in un autentico partenariato per la crescita e l’occupazione.
Nel 2007, svariati Stati membri dovranno accelerare i lavori preparatori in vista dell’adozione dell’euro. Se soddisferanno le condizioni necessarie, nel 2007 Bulgaria e Romania aderiranno all’Unione, e attendo con impazienza il loro contributo.
L’energia continuerà a richiamare la nostra attenzione. Porremo principalmente l’accento sulla promozione della gestione sostenibile e sulla protezione delle risorse naturali. Formuleremo proposte per una politica marittima dell’Unione europea. Proseguiremo le attività concernenti il Libro verde sul diritto del lavoro. Il 2007 sarà anche l’Anno europeo delle pari opportunità per tutti. Nel campo della sicurezza e della libertà, l’obiettivo primario sarà l’estensione della zona Schengen, i controlli dei movimenti migratori e delle frontiere, e la lotta contro la criminalità. Le questioni sanitarie resteranno una priorità, grazie a un aumento dell’impegno preventivo contro le pandemie. Al di là dei nostri confini, assicureremo un seguito adeguato ai negoziati di Doha, progressi nella stabilizzazione dei Balcani occidentali – in particolare del Kosovo – e il completamento degli accordi di partenariato con i paesi ACP.
Come potete vedere, il 2007 sarà un anno ricco di impegni. Il prossimo anno saranno inoltre stabiliti i nuovi orientamenti per la seconda metà del mandato della Commissione. Ci prepareremo per il futuro, lavorando intensamente sulla revisione completa del bilancio dell’Unione che porterà alla pubblicazione di un Libro bianco nel 2008-2009. Tale revisione dovrà basarsi su una profonda riflessione e dovrà tener conto di tutte le diverse opinioni, tra cui è ovviamente compreso il parere del Parlamento europeo, e da parte mia accolgo con favore la vostra intenzione di partecipare attivamente a tale processo.
Consentitemi inoltre di spendere qualche parola sulla nostra capacità di attuare tali priorità. Dobbiamo tradurle in azioni pratiche e scegliere gli strumenti di esecuzione più adeguati. La Commissione è migliorata in tal senso. In primo luogo, disponiamo di un ciclo strategico di pianificazione e programmazione che ci consente di attuare con efficacia e puntualità le nostre priorità e di concentrare le nostre risorse su tali compiti. La Commissione dichiara le proprie intenzioni, promuove consultazioni per verificarle, adotta il programma di lavoro e riferisce regolarmente sulla sua attuazione. Dobbiamo tuttavia rafforzare ulteriormente la rilevanza e sostanza politica della nostra discussione sulla pianificazione e programmazione strategica.
In secondo luogo, abbiamo attuato una serie di strumenti volti a promuovere normative migliori e una buona governance e, a mio avviso, ciò sta esercitando un impatto effettivo sulla precisione del nostro lavoro e sulla qualità dei risultati. Abbiamo compiuto sforzi notevoli per condurre valutazioni di impatto sulle nostre proposte più importanti. Fino ad ora ne abbiamo portate a termine più di cento, e continueremo a migliorare la loro qualità e ad assicurare che facciano veramente la differenza nel nostro processo decisionale.
La Commissione porterà inoltre a termine il proprio programma in materia di semplificazione, che copre svariati campi: dall’ambiente all’industria, alla modernizzazione del diritto del lavoro, alla difesa dei diritti dei consumatori e a settori fondamentali del mercato interno. Tuttavia, non dimentichiamo che la governance e normative migliori rappresentano le responsabilità condivise di tutte le Istituzioni europee e degli Stati membri europei. Come ho detto poc’anzi, è assolutamente indispensabile disporre di normative migliori per liberalizzare il nostro potenziale economico, in particolare per le piccole e medie imprese. Alle nostre imprese in Europa serve il tappeto rosso, non il semaforo rosso della burocrazia. Occorre compiere sforzi a tutti i livelli per dimostrare che le iniziative europee poggiano su basi solide e offrono un valore reale. In molti settori – che sia a livello europeo o nazionale – tante normative non servono.
Come diceva Montesquieu – nel migliore dei modi – e lo citerò in francese:
(FR) Les lois inutiles affaiblissent les lois nécessaires”.
(EN)
Quali sono quindi i prossimi passi? La decisione sulla strategia politica annuale costituisce la base del nostro dialogo in vista della preparazione del programma di lavoro della Commissione per il 2007. Ogni Commissario è ora pronto a discutere con le commissioni le priorità politiche che sono state presentate nel suo settore di competenza. E’ essenziale distogliere per un attimo l’attenzione dall’ordine del giorno per prepararci al futuro. Ho accolto con molto favore l’iniziativa del Parlamento dello scorso anno di raccogliere le fila del discorso nella propria relazione. Ciò ha esercitato un impatto effettivo sul programma di lavoro di quest’anno.
Signor Presidente, onorevoli deputati, la Commissione presenta questa strategia in uno spirito di partenariato. Attendo con impazienza le vostre opinioni sugli aspetti su cui l’Europa dovrà concentrare le proprie energie nel 2007.
(Applausi)
Françoise Grossetête, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, nel 2005 i cittadini europei hanno avuto l’occasione di comunicarci non solo che si aspettavano grandi cose da noi, ma anche che si interrogavano sul loro futuro e su quello dell’Europa nel contesto della globalizzazione.
La strategia politica per il 2007 deve permetterci di fornire risposte adeguate. Come procediamo se al momento non disponiamo ancora dell’accordo interistituzionale né delle prospettive finanziarie? Ci troviamo in una situazione che definirei di ipocrisia totale. Vogliamo parlare di azioni che sono importanti per gli europei mentre il Consiglio, da parte sua, sempre sordo alle nostre ragioni, non sta praticamente proponendo alcuno sviluppo in termini di bilancio. Il nostro Parlamento non getterà la spugna sulle prospettive finanziarie. Le esigenze sono enormi: formazione dei giovani, ricerca, trasporti, programmi sanitari, ambiente; enumerarle tutte porterebbe via troppo tempo. Presidente Barroso, lei ci parla di un potenziale, imminente accordo, ma non le ho sentito pronunciare la parola “ambizioso” – un accordo ambizioso – e quindi rimango scettica.
Nel dialogo che stiamo per avviare, può contare sul dinamismo della nostra Assemblea nel formulare le priorità politiche per il 2007. Sono inoltre lieta di constatare che la Commissione europea sta finalmente riconoscendo che la coesione economica, la solidarietà e la protezione ambientale possono essere riconciliate con i nostri obiettivi in termini di crescita e di occupazione.
Proponete quattro settori prioritari: conoscenza, imprese – segnatamente, le PMI – occupazione e invecchiamento e, da ultimo, energia. Dobbiamo infatti rappresentare il meglio della società basata sulla conoscenza. Vediamo con i nostri occhi quello che sta accadendo in Asia, e non dobbiamo restare con le mani in mano. L’Unione europea sopravviverà solamente se risponderà alla sfida posta dalla conoscenza, una conoscenza che assume la forma degli sviluppi tecnici e industriali. Per quanto riguarda le PMI, dobbiamo dare vita a condizioni normative competitive e aiutare le nostre aziende a posizionarsi meglio sui mercati internazionali.
Volete inoltre sbarazzarvi delle leggi europee che non hanno alcuna utilità, le famose leggi inutili cui ha appena accennato, che indeboliscono le leggi necessarie. Siamo totalmente d’accordo con lei, Presidente Barroso, e il nostro Parlamento ha intenzione di partecipare pienamente alle decisioni adottate per semplificare la legislazione. Tuttavia, essere semplici significa anche esprimersi con chiarezza. Volete che il 2007 segni un anno importante per quanto riguarda la comunicazione, e io approvo la vostra ambizione. Coniare nuovi termini, tuttavia, non è mai stata una buona strategia di comunicazione. Nel contesto della priorità principale, quella dell’occupazione, avete introdotto un termine orribile, “la flessisicurezza”. Che cosa significa? Dinanzi a un termine tanto tecnocratico, gli europei fuggiranno a gambe levate. “Bruxelles ha inventato l’ennesima parola da dimenticare”, è questo il commento che rischiamo di sentire.
L’energia è il tema fondamentale. L’anno 2007 dovrà essere decisivo per quanto riguarda gli orientamenti della politica energetica. Dovremo essere obiettivi, ignorare tutte le ideologie, smettere di considerare tabù l’energia nucleare e ricordarci che la nostra dipendenza energetica non deve mai superare il 50 per cento. Come abbiamo visto di recente, l’energia sta diventando una vera e propria arma con cui esercitare pressioni politiche. Inoltre, se in futuro un paese terzo dovesse decidere di tagliare le forniture e di lasciare l’Europa al buio, come reagiremo? Occorre pertanto migliorare i sistemi di trasporto dell’energia e pensare, in primissimo luogo, alla solidarietà tra gli Stati membri.
Nell’area della sicurezza e delle libertà, l’estensione della zona Schengen preoccupa i nostri cittadini. Hanno sempre l’impressione che i nostri confini siano permeabili e che il dibattito sull’immigrazione si trovi ancora nella fase del pio desiderio. Il futuro allargamento a Romania e Bulgaria dovrà essere deciso nel corso di quest’anno. Giacché sono in argomento, rileviamo con interesse l’indispensabile condizione posta dalla Commissione, vale a dire la piena osservanza dell’acquis comunitario da parte di tali paesi. Inoltre, se la politica di vicinato dovesse diventare una politica a tutti gli effetti, deploro che non si sia fatto di più per stabilire il partenariato strategico.
Il periodo 2007-2013 segnerà anche il lancio di nuovi programmi europei. Ce ne saranno molti e, se vogliamo avviarli, ci serviranno le prospettive finanziarie. Conosciamo fin troppo bene il dibattito sul programma ERASMUS. Infine, seguiremo con molta attenzione la preparazione del vostro Libro bianco sulla riforma del bilancio comunitario. Vi chiediamo di coinvolgere il Parlamento in questo compito.
Nel 2007 ricorrerà il cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma. Non potremmo cogliere l’occasione per far entrare in vigore la Costituzione europea, da una parte, e per dichiarare il 2007 l’anno dell’Europa in tutti gli Stati membri dall’altra, in modo da far finalmente cessare la politica dei due pesi e delle due misure e da poter dire la verità sul modo in cui l’Europa apporta vantaggi alla vita quotidiana dei cittadini?
PRESIDENZA DELL’ON. COCILOVO Vicepresidente
Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, se parliamo del programma strategico della Commissione, dobbiamo anche interrogarci sul ruolo che la Commissione stessa svolgerà nell’attuazione di tale pianificazione strategica. E’ su questo che desidero soffermarmi.
In linea di massima, Presidente Barroso, siamo tutti concordi sul contenuto delle sue affermazioni e sul documento scritto che ci ha presentato. Una strategia di Lisbona rivista? Ma certo! Definire il ruolo dell’Europa nel mondo globalizzato in materia di migrazione? Ottimo! Una sfida chiave! Migliorare l’approvvigionamento energetico europeo, promuovere un’efficienza energetica migliore e una maggiore sicurezza? Consenso in tutta l’Aula! Incentivare la tecnologia, investire nelle tecnologie del futuro per mantenere e ampliare la competitività globale dell’Europa quale continente basato sulla conoscenza? D’accordo! Rafforzare la sicurezza interna e ampliare il ruolo dell’Europa nella sicurezza internazionale? Approvato! Stupendo! Meraviglioso! Oggi sentiremo molti altri oratori dire: “E’ proprio quello che ci vuole! Il Presidente Barroso ha ragione, è questa la strada che dobbiamo percorrere!”.
Quello che tuttavia non ci viene dato sono le prospettive finanziarie corrispondenti, ossia le risorse necessarie a conseguire i suddetti obiettivi. Mercanteggiamo con il Consiglio – su questo l’onorevole Grossetête ha ragione – per un miliardo in più o in meno. L’approccio coraggioso sostenuto da lei e dai suoi Commissari al momento della presentazione delle vostre prospettive finanziarie, Presidente Barroso, è stato ridotto di 200 miliardi di euro in sede di Consiglio europeo. Avete chiesto 1 022 miliardi di euro per sette anni, il Consiglio ha deciso di stanziarne 840.
Mi chiedo che fine abbia fatto l’indignata protesta strategica del Presidente Barroso contro tale politica finanziaria scorretta. Ha detto al Parlamento che avrebbe combattuto per ottenere la dotazione finanziaria necessaria alla realizzazione degli obiettivi strategici previsti. E poi è venuto a dire al Parlamento che la decisione del Consiglio è eccellente. Non c’era altro da fare, lo capisco, perché non otterrà altri fondi, per lo meno non se non lotteremo con maggiore entusiasmo. In qualità di Presidente della Commissione, deve convivere con la stupidità dei capi di Stato e di governo. La mia critica è pertanto rivolta non tanto a lei e alla sua Commissione quanto ai partner dall’altra parte della barricata.
Non realizzeremo gli obiettivi strategici previsti se li definiremo senza mettere a disposizione le risorse necessarie alle Istituzioni che devono agire. Questo è certo! Perciò sostengo che gli obiettivi strategici della Commissione sono corretti, ma bisogna anche trattare la questione con i singoli Stati membri! Come Presidente della Commissione, lei ha il dovere di chiamare le cose col loro nome! Per ogni singola voce, lei e i suoi Commissari dovete dire chiaramente che non si può annunciare ai quattro venti di voler conferire maggiori poteri a Europol, di voler combattere il terrorismo e la criminalità in maniera più efficiente a livello europeo – tra l’altro, la lotta congiunta contro la criminalità e una maggiore sicurezza interna sono i temi europei che riscuotono il più alto tasso di approvazione da parte dei cittadini – se poi il Consiglio taglia gli stanziamenti di 7,8 miliardi di euro – e tutto ciò tre giorni prima di adottare il programma supplementare per Europol, una notizia che sui giornali fa la sua bella figura.
I vostri obiettivi strategici sono giusti. Ma la Commissione deve difenderli a spada tratta contro quei capi di Stato e di governo, contro quei ministri e consigli dei ministri che il lunedì non sono disposti a pagare il prezzo dei discorsi pronunciati la domenica. Mi aspetto che la Commissione lo faccia. Sosterremo indubbiamente gli obiettivi strategici che avete delineato – avete definito i giusti obiettivi strategici –, ma ci attendiamo che vi schieriate al nostro fianco nella battaglia che il Parlamento intende condurre contro i capi di Stato e di governo al fine di assicurare un pizzico di credibilità in più alla politica europea.
Se riusciremo a raggiungere un accordo su questo punto, il 2007 sarà un anno entusiasmante e, ne sono certo, ricco di risultati per le Istituzioni europee.
(Applausi)
Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, oggi discutiamo delle priorità della Commissione per il 2007, ma domani i nostri capi di Stato e di governo dovranno trovare i mezzi, la forza e il coraggio di tradurre tali propositi in realtà.
Abbiamo dinanzi un progetto per il futuro che pone l’enfasi su conoscenza, imprese, occupazione ed energia. La strategia politica annuale per il 2007 riesce a dare corpo alle proposte di Hampton Court, e ciò potrebbe contribuire a rendere l’Europa l’economia più dinamica e competitiva del mondo, se solo gli Stati membri riuscissero ad andare oltre le banalità espresse nell’annuale Consiglio di primavera sulla strategia di Lisbona. Ho dato un’occhiata al progetto di conclusioni del Consiglio. Belle parole pronunciate da persone poco determinate! L’Europa si merita di meglio. Merita la responsabilità condivisa menzionata dal Presidente Barroso. Per questo motivo i Liberali e i Democratici accolgono con favore l’ambizione espressa dalla Commissione europea.
Il documento in oggetto promette ciò che le precedenti strategie politiche annuali non sono evidentemente riuscite a offrire: proposte pratiche per il rinnovamento europeo mediante la creazione di canali di immigrazione legali e di un sistema europeo comune in materia di asilo – con il loro corollario in termini di migliore gestione delle frontiere – grazie ai quali l’Europa potrà disporre dei lavoratori e della sicurezza di cui ha bisogno; proposte che prevedono una corsia privilegiata per una politica energetica europea, il completamento del mercato interno per l’energia e il gas, investimenti nelle tecnologie del carbone pulito e l’equilibrio tra flessibilità e protezione sociale da una parte, e le esigenze del mercato per promuovere crescita e competitività dall’altra.
C’è una cosa che la Commissione non ha capito. Inserisce l’utilizzo delle risorse e la protezione ambientale nella categoria della solidarietà, quando invece dovrebbe metterle nella sezione dedicata alla prosperità, perché fin quando non impareremo che l’ambiente e la crescita ecologicamente compatibile fanno parte della ricchezza e non della solidarietà, non avremo una prospettiva corretta su tali questioni. Se a ciò si aggiungono l’allargamento dell’area euro e l’adesione di Bulgaria e Romania, il 2007 potrebbe essere un anno memorabile per l’Europa, soprattutto se riusciremo a rimettere in moto il processo costituzionale.
La buona riuscita dipende tuttavia da un fattore che è mancato fino a questo momento, e che non può essere sostituito da alcuna proposta della Commissione: l’assunzione della responsabilità delle riforme necessarie da parte degli Stati membri. Chi può dare fiducia a una leadership che dice una cosa e ne fa un’altra, che approva politiche ma poi torna sui propri passi, scompaginandone e indebolendone l’attuazione? Non mi riferisco solo agli attacchi sferrati dai protezionisti dell’economia contro le direttive sui servizi e sulle acquisizioni, ma parlo di una miopia più diffusa che impedisce agli Stati membri di visualizzare il contesto generale; è la medesima miopia che ha indotto il Consiglio a respingere le proposte di citare e umiliare pubblicamente i paesi che conseguono risultati scadenti e a rifiutare finanziamenti adeguati per le aree europee prioritarie. E’ anche una delle ragioni per cui le ambizioni della strategia politica annuale dello scorso anno di far progredire i negoziati di Doha, gli obiettivi di Lisbona e la Costituzione sono fallite miseramente.
E’ questa la sfida che dovranno affrontare i leader europei quando domani si riuniranno per il Consiglio di primavera. L’Europa ha bisogno che diano vita a una coalizione nel segno della coerenza.
Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo ora discutendo di un’altra strategia, di un altro libro e di un altro set di priorità; allo stesso modo in cui noi abbiamo discusso degli altri, vorremmo mettere l’accento su due o tre questioni, in primo luogo sull’accordo concernente le prospettive finanziarie.
Presidente, lei sa benissimo che a trovare un accordo oggi in questo momento con il Consiglio vuol dire ridurre in modo assoluto le nostre ambizioni e quelle ovviamente dei cittadini. La invitiamo pertanto a fare un accordo e a lavorare per un accordo, però alle nostre condizioni, che dovrebbero essere anche le sue. Condivido al massimo l’accordo sulle prospettive finanziarie, ma non alle condizioni del Consiglio. Fino a quando non potremo contare su un accordo e su un’alleanza chiara con la Commissione su questo, anche discussioni come quelle di oggi resteranno un po’ velleitarie.
In secondo luogo, lei ha citato alcuni temi e vorrei riferirmi in particolare a due: uno è la questione dell’immigrazione e della sicurezza interna. Lei ha detto che le priorità saranno Schengen, repressione, frontiere, e anche se nel testo le si cita, al riguardo non ha detto nulla: il problema riguarda un aspetto per noi prioritario, ossia le vie legali dell’immigrazione. Nei suoi testi quest’elemento c’è, ma è assente nell’azione e nel linguaggio! Il fatto che la Commissione non sia capace di dire una parola, dico una, sul tema dei mille morti fra la Mauritania e le Canarie e sulla questione che il mio paese, l’Italia, ha ancora un accordo sconosciuto con la Libia, nascosto a lei e a questo Parlamento, che ha provocato la morte di un sacco di gente in quel deserto, fa sì che parlare di una politica d’immigrazione comune sia ancora qualcosa di velleitario. Ci farebbe piacere su questo tema sentire da lei una parola che non sia solo generica.
In terzo luogo la questione dell’energia. Abbiamo un problema, lei sa che esistono differenze di opinioni in materia e in particolare che a nostro parere non si può mettere sullo stesso piano l’energia nucleare e l’energia rinnovabile, sono due cose diverse. Prendiamo atto del fatto che in questo continente c’è l’energia nucleare, ma non possiamo pensare che questa sia un’energia di futuro per il nostro continente, anche perché, e questo non è un elemento secondario, comunque l’uranio lo dobbiamo importare, il sole e il vento no! Già questo è un aspetto importante, almeno da un punto di vista concettuale, e non bisogna metterlo sullo stesso piano! Dobbiamo considerare in modo molto chiaro e molto concreto che non possiamo dipendere dal nucleare, il nucleare risponde oggi soltanto ad una parte delle nostre esigenze e sicuramente non è un’opzione per il futuro.
Inoltre, sulle questioni dell’energia, esiste sempre un buco totale nella strategia della Commissione ed è il silenzio sulla questione dei trasporti: il 70 per cento della nostra dipendenza sul petrolio riguarda i trasporti e anche in questo Parlamento non siamo riusciti ad aiutarla molto, sono d’accordo, per quanto riguarda una prospettiva innovativa sui trasporti, ma credo che la Commissione su questo ci dovrebbe aiutare.
Finisco, signor Presidente, dicendo che c’è un’altra priorità trascurata in materia, precisamente quella delle città. Le città sono un momento non soltanto di laboratorio ma anche di utilizzo dell’Europa, oggi insufficiente sia dal punto di vista del sostegno finanziario che dal punto di vista delle grandi strategie. Forse è meglio partire dalle città piuttosto che dalle grandi infrastrutture, che peraltro non saranno finanziate nemmeno dall’Europa.
Kyriacos Triantaphyllides, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, la questione essenziale sollevata dal mio gruppo politico non riguarda esclusivamente le politiche per le quali sono stati stanziati fondi specifici per il 2007, ma anche i dubbi che sorgono nelle nostre menti riguardo all’orientamento strategico generale conferito alla costruzione europea nel suo complesso.
Per noi è inaccettabile assistere ogni giorno alle apprensioni e alle proteste tumultuose scatenate dalle nuove antidemocratiche leggi francesi in materia di occupazione; di recente siamo stati spesso testimoni delle reazioni dei cittadini a varie direttive. E’ inaccettabile che l’Unione nasconda la testa sotto la sabbia continuando a perseguire politiche che promuovono i vantaggi delle grandi aziende a discapito dei lavoratori.
L’UE dà seguito alla strategia di Lisbona che, nel tentativo di disorientare i lavoratori, viene ora considerata una strategia “riformata”. E’ forse stata riformata o modificata nella sostanza da quando è stata definita, o è forse riuscita a promuovere lo sviluppo di un’agenda di politiche sociali volte a salvaguardare gli standard sociali di base, l’occupazione di qualità e la riconciliazione tra lavoro e vita privata? No.
Nel nome della competitività, i diritti dei lavoratori sono quotidianamente nel mirino degli attacchi dell’Europa capitalista. Gli orari di lavoro si allungano, le retribuzioni si riducono, i contratti collettivi vengono revocati, la disoccupazione e le disparità retributive aumentano e il regime del welfare sta scomparendo completamente. I primi a subirne le conseguenze sono i giovani, proprio le persone cui chiediamo – e questa è l’ironia – di costruire un’Europa con un futuro.
Al contempo, si promuovono politiche che apparentemente sembrerebbero agevolare l’immigrazione. Ma com’è possibile, se il loro obiettivo sono ancora una volta i criteri stabiliti per proteggere gli interessi economici dell’Europa, se gli immigrati e le persone che necessitano di protezione internazionale vengono tenuti sul territorio europeo in condizioni di detenzione, quando l’unico reato che hanno commesso è stato cercare una vita umana?
Le risorse europee dovrebbero essere impiegate non per finanziare le politiche volte a rafforzare la chiusura delle frontiere, le deportazioni e i rimpatri, bensì per porre rimedio alle cause effettive dell’emigrazione e per promuovere i diritti umani in maniera efficace, nel quadro di una politica di vicinato reciprocamente vantaggiosa, lontana dalla filosofia delle riforme dell’Organizzazione mondiale del commercio, della Banca mondiale e dalla politica dell’intervento militare.
Guntars Krasts, a nome del gruppo UEN. – (LV) Per ridurre il divario esistente tra gli obiettivi fissati dall’Unione europea a Lisbona e la realtà, il programma di lavoro della Commissione per il 2007 deve essere ambizioso. L’azione della Commissione deve coprire tutte le sfere, e al contempo deve assegnare priorità a quelle iniziative che sono importanti non solo per un settore specifico, bensì anche per lo sviluppo complessivo dell’Unione europea.
Nel programma della Commissione, il lancio del programma spaziale e la valutazione periodica della strategia rappresentano le misure più importanti per l’attuazione della strategia di Lisbona nel 2007. Pur non contestando l’importanza di tali misure, ritengo che provvedimenti specifici volti a promuovere lo sviluppo delle piccole e medie imprese e del settore dei servizi offrirebbero un sostegno più ampio al processo di Lisbona, ma tali misure non sono state inserite nell’elenco. Benché lo sviluppo delle piccole e medie imprese figuri tra le priorità elencate, tale impegno non trova affatto riscontro nel novero delle azioni più importanti. Tuttavia, è proprio lo sviluppo di tale settore che può di fatto fornire il contributo più tempestivo al raggiungimento degli obiettivi dell’occupazione e della crescita. Benché lo sviluppo del settore dei servizi si riconfermi uno degli strumenti principali per attuare la strategia di Lisbona nella strategia della Commissione per il 2007, non sono previste misure specifiche per la promozione del terziario. Ci auguriamo che l’esclusione del settore dei servizi dalla strategia politica della Commissione per il 2006 non sia il risultato di un gesto intenzionale, bensì del mancato coordinamento tra la strategia istituita e le misure operative.
Anche l’adozione della direttiva sui servizi nel 2007 spianerà la strada a nuove iniziative da parte della Commissione europea in settori che sono stati scelti per la liberalizzazione dei servizi. La creazione di sportelli unici costituirà un intervento specifico in tal senso.
Il 2007 sarà decisivo per i dibattiti sul futuro dell’Unione europea. Uno dei criteri principali in base ai quali il pubblico europeo giudicherà la fattibilità e le prospettive future dell’Unione europea nel 2007 saranno i risultati concreti di azioni intraprese dalle Istituzioni comunitarie, compresa la Commissione. Tale specificità dovrà tuttavia emergere già nella presentazione delle priorità e dei compiti, mediante la definizione delle misure previste per il 2007, e in termini non solo di proseguimento del lavoro già iniziato, bensì di conseguimento di risultati concreti.
Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (DA) Signor Presidente, la Commissione non ha onorato l’impegno specifico di presentare un programma annuale completo, contenente una descrizione esaustiva della legislazione proposta e delle rispettive basi giuridiche. Finora abbiamo ricevuto informazioni solo su una minima parte delle leggi e dei regolamenti prodotti dalla Commissione. Non ci sono stati forniti dati specifici sulle basi giuridiche, pertanto non siamo in grado di capire se la Commissione stia proponendo un coordinamento volontario o norme vincolanti. E’ difficile discutere di orientamenti strategici senza punti di riferimento. La Commissione vuole maggiori poteri, accentramento e regolamentazione bizantina, o vuole incitare gli Stati membri a unire gli sforzi nell’interesse della creazione di posti di lavoro e incoraggiare i paesi a competere per fare le cose nel modo migliore?
Il gruppo Indipendenza/Democrazia ambisce a una maggiore libertà per gli Stati membri e a un minore accentramento del potere a Bruxelles. La Commissione deve essere aperta con i cittadini. Diteci chi vi dà buoni consigli nei vostri 3 000 gruppi di lavoro segreti. Vediamo chi si nasconde dietro a tali consulenze. Diteci come spendete i soldi dei contribuenti. Concedete ai revisori dell’UE, al mediatore e alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo la piena libertà di indagare su tutte le spese. Mettete la vostra posta su Internet per consentirci di studiare tutti gli approcci dei gruppi di interesse. Mostrate di avere fiducia nella gente. Dateci le informazioni che vi chiediamo, a meno che non vi sia – in via del tutto eccezionale – una valida argomentazione per l’esclusione della discussione pubblica.
Vorrei inoltre ringraziare il Presidente per aver citato Montesquieu. Anch’egli era favorevole alla triplice divisione dei poteri, la cui assegnazione doveva però avvenire secondo modalità non propriamente analoghe alla mescolanza di potere legislativo, esecutivo e giudiziario di cui gode la Commissione. Al momento della designazione dei poteri, a mio avviso, la Commissione si è ispirata più a Machiavelli che non a Montesquieu.
Jan Tadeusz Masiel (NI). – (PL) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, purtroppo gli europei ricorderanno il 2005 come l’anno in cui la Costituzione è stata respinta in due degli Stati membri fondatori dell’UE. Ciò dovrebbe servire da monito a noi politici del fatto che non prestiamo sufficiente attenzione ai cittadini. L’Unione europea non è ancora riuscita a conquistare l’unità in seguito all’ultimo allargamento a 10 nuovi Stati membri, eppure si sta già preparando all’adesione futura della Turchia.
Se i vecchi Stati membri dessero prova di maggiore apertura verso i nuovi paesi, in particolare per quanto riguarda la liberalizzazione dei loro mercati del lavoro, il 2007 potrebbe offrire l’occasione di creare un’Europa più unita e più solidale. Purtroppo pochi paesi danno prova del coraggio di Spagna e Portogallo, che dal passato recente hanno appreso quanto sia difficile essere cittadini di seconda classe nell’Unione europea. Propongo che gli allargamenti futuri dell’Unione siano completi o che non vengano effettuati affatto. Nel dire ciò, spero di esprimere anche la volontà dei cittadini olandesi e francesi. Non è troppo tardi per approfondire l’unità europea garantendole un bilancio che sia all’altezza delle sue ambizioni.
Il 2006 ha richiamato l’attenzione degli europei sul problema delle forniture di energia. Oggi più che mai, all’Europa occorre una politica energetica comune; ciò costituirebbe una buona opportunità per migliorare le prospettive degli agricoltori, in particolare nei nuovi Stati membri, che potrebbero venire coinvolti nella produzione di biocarburanti.
Il processo mondiale di globalizzazione è inevitabile e l’Europa deve considerarlo come una nuova sfida e come un’opportunità di sviluppo. E’ nostro compito aiutare i paesi in via di sviluppo, ma anche rafforzare il nostro modello sociale europeo e prenderci cura dei cittadini che sono meno in grado di provvedere al proprio sostentamento.
József Szájer (PPE-DE). – (HU) Signor Presidente, come hanno già affermato alcuni membri del nostro gruppo che mi hanno preceduto, accogliamo con favore le idee concernenti la politica della Commissione per il 2007. Sono favorevole rispetto sia alle questioni procedurali, sia ai contenuti.
Per quanto riguarda gli aspetti procedurali, sono lieto dell’iniziativa già avviata lo scorso anno in seguito all’accordo raggiunto dal Parlamento europeo e dalla Commissione, che garantisce un maggiore coinvolgimento del Parlamento europeo e di tutte le sue commissioni, offrendo loro l’opportunità di partecipare all’elaborazione della strategia politica annuale e del programma legislativo. Auspico che le difficoltà dello scorso anno non ricompaiano anche quest’anno.
Anche il contenuto del documento presentato dalla Commissione è cambiato molto rispetto agli anni precedenti, e va nella direzione giusta. Paradossalmente, potremmo anche dire che il fatto che il documento non contenga specifiche di bilancio a causa della mancanza di prospettive finanziarie ha avuto su di esso un effetto positivo, in quanto ha consentito di prestare maggiore attenzione agli obiettivi e ai compiti politici cui l’Unione europea si trova confrontata.
Al contempo, non dovremmo dimenticare il contesto in cui tale piano è stato elaborato. Gli anni scorsi, in molte occasioni abbiamo avuto la sensazione che l’Europa non stesse andando avanti, bensì indietro, e che non facesse i passi giusti. Durante lo scorso anno, siamo riusciti a compiere alcuni passi esitanti nella direzione giusta, ma i progetti non completati sono ancora numerosissimi. Esaminiamoli uno per uno.
Uno di tali progetti è la Costituzione, che secondo me dobbiamo completare quanto prima. Se vogliamo evitare un Parlamento europeo pullulante di gruppi di euroscettici, dobbiamo assicurarci che la Costituzione sia orientata nella giusta direzione prima dell’inizio delle elezioni del Parlamento europeo.
Non abbiamo nemmeno le prospettive finanziarie. Di conseguenza, gli obiettivi formulati correttamente in questo bilancio settennale non sono attualmente confermati né poggiano su una base solida. Abbiamo compiuto un passo nella giusta direzione anche in tal senso, ma noi eurodeputati non siamo attualmente soddisfatti del bilancio.
Quando parliamo del 2007, parliamo anche di allargamento, visto che molto probabilmente in quell’anno Romania e Bulgaria aderiranno all’Unione europea. Pur ritenendo che le tensioni scatenatesi nell’Unione europea in relazione all’ultimo allargamento, e dovute al calo della solidarietà, non siano ancora state risolte, inauguriamo il 2007 in modo tale da adoperarci per eliminare le tensioni emerse durante l’ultima tornata di adesioni.
Hannes Swoboda (PSE). – (DE) Signor Presidente, signor Presidente Barroso, vorrei che nel suo documento la Commissione dedicasse maggiore attenzione a una strategia destinata a comunicare più incisivamente al pubblico i contenuti e gli obiettivi da essa giustamente definiti.
Presidente Barroso, la competitività è uno dei vostri temi salienti e anche dei nostri! Cionondimeno, vedo molti cittadini che ritengono che non abbia nulla a che vedere con loro, che sia soltanto una questione relativa all’industria, alle grandi imprese. No, in mancanza di una maggiore competitività non riusciremo a salvaguardare il sistema sociale europeo, in assenza di una maggiore competitività non riusciremo a mantenere il modello sociale dell’Europa.
Lo stesso vale anche per l’istruzione. L’istruzione non è prerogativa esclusiva di un’elite, bensì deve riguardare ampie fasce della popolazione se vogliamo conseguire uno degli obiettivi essenziali dell’Europa, cioè prevenire l’esclusione di persone o di gruppi. L’istruzione è inoltre particolarmente importante se si considera che di fatto siamo un continente meta di immigrazioni. Per l’integrazione dei nuovi immigrati è essenziale sviluppare il settore dell’istruzione.
Per quanto riguarda il Fondo per la globalizzazione da voi menzionato, di fatto riusciremo a finanziarlo solamente se aumenteremo la nostra competitività in modo tale da non rischiare di dover attingere troppo spesso a tale risorsa.
Un secondo esempio che voglio citare, visto che nel documento della Commissione occupa un posto centrale, è la politica energetica. Non voglio anticipare ciò che diranno i colleghi che interverranno dopo di me, ma un argomento importante da lei menzionato è la sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Sono molto lieto della visita che ha effettuato di recente a Mosca, che – da quanto ho appreso – è stata una missione coronata dal successo, anche se sotto molti punti di vista spetta ancora alla Russia prendere le decisioni, in particolare sul capitolo dell’energia.
Infine, ho anche sentito che ci ha invitati a soffermarci sul tema dell’energia nucleare. Si tratta di una richiesta ragionevole, e attendo con impazienza l’imminente intervento del Commissario per l’Energia. Malgrado il mio scetticismo verso l’energia nucleare, è comunque necessario parlarne, anche per sottolineare i rischi che comporta. Poiché in questi giorni stiamo parlando della proliferazione in correlazione all’Iran, va detto che un incremento dell’energia nucleare è anche sinonimo di maggiori pericoli, a meno che non garantiamo, in maniera congiunta e multilaterale, la massima riduzione possibile dei rischi ad esso associati.
Tale argomento andrebbe trattato in modo più approfondito, sia da parte sua che nel Libro verde. Ciò vale soprattutto per lo sviluppo infrastrutturale. Infatti, senza maggiori infrastrutture – oleodotti e gasdotti in particolare, ma anche altre aree – non saremo mai in grado di offrire a questo continente la sicurezza energetica, e non imprimeremo all’Europa la nuova spinta tecnologica corrispondente. Mi associo pienamente a ciò. Le auguro tuttavia maggiore determinazione e coraggio per l’attuazione di tali decisioni.
Lei ha citato Montesquieu, mentre altri propendevano piuttosto per Machiavelli. Io le auguro la saggezza di Montesquieu, ma anche la forza e l’astuzia di Machiavelli affinché possa attuare il suo programma.
Andrew Duff (ALDE). – (EN) Signor Presidente, la citazione di Montesquieu del Presidente Barroso mi ha indotto a setacciare la strategia politica annuale in cerca di un indizio su ciò che la Commissione propone di fare in relazione alla Costituzione. Non ho trovato nulla. Una strategia politica che non si occupa dell’ostacolo politico maggiore che si trova a dover affrontare l’Unione dovrebbe essere il bersaglio di ragionevoli critiche. Senza la Costituzione, l’Unione non avrà la capacità di agire per soddisfare le ambizioni che la Commissione nutre in tal senso. L’opinione pubblica continuerà a essere scettica nei confronti del progetto europeo e, senza il sostegno dell’opinione pubblica, la Commissione non avrà presa sufficiente in seno al Consiglio.
La funzione classica della Commissione consisterebbe nel fare da mediatrice per il raggiungimento di un accordo tra i partner belligeranti in crisi. Auspico che il Presidente Barroso, quando si rivolgerà all’Assemblea parlamentare il 9 maggio, riesca a presentare una strategia completa della Commissione per individuare la soluzione alla crisi. Nonostante il valore da noi attribuito al piano D, il modo migliore per aumentare la fiducia mediante l’azione consisterebbe nel recuperare la Costituzione. Forse è giunto il momento di passare al piano B.
Georgios Karatzaferis (IND/DEM). – (EL) Signor Presidente, le intenzioni del Presidente Barroso sono sicuramente innocenti. Temo tuttavia che non riuscirà ad attuarle, proprio perché mancano le risorse. Non c’è altra soluzione, né la vostra politica consentirà all’Europa di prosperare. Non c’è neanche un cittadino europeo i cui introiti finanziari di quest’anno supereranno quelli dell’anno scorso. Gli stabilimenti produttivi lasciano l’Europa per trasferirsi altrove. Le donne acquistano borsette di marca francese realizzate in Marocco. Le vostre giacche di pelle sono state disegnate da stilisti europei, ma fabbricate in Turchia. Che cosa significa tutto ciò? Significa maggiore disoccupazione. Significa licenziamenti più numerosi. Significa che stiamo diventando tutti ostaggi dell’industria, che impone politiche quali quelle francesi, una politica che voi non avete respinto. Significa pertanto una vita peggiore e rincari dei prezzi. Nulla di ciò che avete in mente può essere creativo se non ci scrolliamo di dosso gli indicatori di Maastricht. In assenza di una revisione di Maastricht, l’Europa è destinata a trasformarsi in un quartiere povero.
Hans-Peter Martin (NI). – (PT) Mi piacciono il Portogallo e i portoghesi.
(DE) Signor Presidente, signor Commissario, posso darvi un consiglio inequivocabile e molto sentito? A partire da maggio 2007, quando il Portogallo deterrà verosimilmente la Presidenza del Consiglio, la storia vi offrirà nuovamente una finestra aperta storica per il progetto europeo.
Sì, mi riferisco al piano B dell’onorevole Duff e a molte altre cose. Avrete un’altra possibilità di mettere insieme in maniera sensata questa specie di cosa europea che abbiamo davanti agli occhi. Mi riferisco a questo grande progetto europeo. Potreste riuscire a farlo decollare e a farlo passare alla storia, o potreste fallire miseramente. Ora, però, vi invito a esaminare tutti i contributi che vengono effettivamente apportati al dibattito sulla Costituzione e sul posizionamento dell’Unione europea. Cercate di uscire dagli schemi antiquati che ci hanno causato tutti questi problemi. Guardate oltre l’oceano sconfinato! Adottate la mentalità di Vasco de Gama – e non parlo solo della Chindia – e organizzate il tutto in modo da poter trarre effettivamente vantaggio da questa opportunità storica, che si ripresenterà nuovamente prima che il progetto europeo vanga semplicemente meno o imploda.
Sono curioso di sentire cosa ci direte dopo il maggio 2007. Dovreste anticiparci già adesso cosa avete intenzione di dire allora, altrimenti ricadremo nel medesimo vecchio trucchetto che non potrà che portare al fallimento.
Malcolm Harbour (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, quando sono intervenuto a proposito della strategia politica della Commissione alla fine dell’anno scorso, avevo sottolineato che non si capiva quali fossero le sue priorità. In questo splendido nuovo documento abbiamo 62 priorità. Ho anche notato che, anziché di “passare alla marcia superiore”, ora si parla di “accrescere la fiducia con le azioni”. Non sono sicuro che il Commissario Wallström sia ancora presente e non so se sia stata lei a inventare queste meravigliose espressioni, ma dalla Commissione abbiamo bisogno di una impostazione strategica più strutturata e pratica di queste fantasiose parole.
Nel documento leggo anche, Presidente Barroso, che con lei “gli obiettivi saranno raggiunti a velocità di crociera”! Francamente ciò significa che al momento tutto sta procedendo a passo d’uomo. Vogliamo che la Commissione decolli e che non si limiti a viaggiare a velocità di crociera. Il problema della sua strategia non è la mancanza di nuove idee o di nuove iniziative, bensì la mancata attuazione delle politiche che genereranno posti di lavoro e crescita, temi a lei tanto cari. Quale punto del documento lascia intendere che assegnerà risorse e priorità concrete alla soluzione dei problemi del mercato interno? Un breve paragrafo afferma che la Commissione razionalizzerà l’approccio normativo, e questo è fantastico, ma dove si ritrova questa idea nelle azioni prioritarie?
Lei ha usato una bella espressione – e me ne congratulo – affermando che occorre stendere il tappeto rosso alle piccole imprese. Non c’è una sola azione prioritaria, Presidente Barroso, che menzioni le piccole imprese. Siamo dunque molto lieti di tenere un dibattito su questo argomento, ma ci serve materiale di migliore qualità, ci serve materiale che si concentri maggiormente su una strategia reale e sull’utilizzo delle risorse, anziché su queste parole fantasiose che sembra le vengano suggerite dal Commissario Wallström. Vogliamo qualcosa da cui si capisca che lei dà priorità alla realizzazione delle vere fondamenta dell’Unione europea e a un migliore funzionamento del mercato interno, e che non si limita a presentare una serie di priorità che sulla carta sembrano promettenti, ma delle quali non si sa minimamente se funzioneranno davvero nella realtà.
Libor Rouček (PSE). – (CS) Onorevoli colleghi, oggi desidero concentrarmi su alcune priorità dell’Europa per il 2007 dal punto di vista dell’allargamento europeo. Ormai si può affermare che l’allargamento del 2004 è stato un grande successo per l’Europa, dal punto di vista politico, economico, sociale e della sicurezza, e sono certo che questo successo continuerà nel 2007. In quell’anno è prevista l’adesione all’euro da parte dei primi nuovi Stati membri. A tale proposito, desidero invitare la Commissione a essere propositiva nell’aiutare questi paesi a prepararsi per l’arrivo dell’euro e a sorvegliare con rigore il rispetto dei requisiti, i cosiddetti criteri di Maastricht. Sono sicuro che la soddisfazione dei criteri, siano essi quelli di Maastricht o quelli del Patto di stabilità e di crescita, sia fondamentale per mantenere la credibilità politica, finanziaria e comunitaria della moneta unica europea.
Nel 2007 i nuovi Stati membri dell’Europa centrale e orientale aderiranno anche all’area Schengen allargata. L’abolizione dei controlli alle frontiere interne tra gli Stati membri, che darà luogo a una vera libertà di circolazione all’interno dell’Unione, non dovrà assolutamente significare libera circolazione di tutte le forme di criminalità, dell’immigrazione clandestina, e così via. La lotta alla criminalità e alla violenza in Europa, insieme al lancio della seconda generazione del sistema Schengen, devono a mio avviso figurare tra le priorità chiare e concrete dell’UE per il 2007.
Infine, il 2007 dovrebbe anche essere l’anno del prossimo allargamento, con l’adesione di Romania e Bulgaria all’Unione. A tale proposito vorrei lanciare un appello alla Commissione, affinché aiuti questi due paesi a prepararsi all’adesione, garantendo il loro pieno rispetto dei criteri di adesione. Romania e Bulgaria devono essere adeguatamente preparate per l’adesione, così come lo erano i dieci paesi che hanno aderito nel 2004. Ritengo che ciò sia estremamente importante per la credibilità dei futuri allargamenti e per l’accettazione di questo processo da parte dell’opinione pubblica europea.
Presidente. – Avviso i colleghi che il Presidente della Commissione, signor Barroso, è costretto a ripartire e quindi ha chiesto di poter anticipare il suo intervento per dare alcune risposte e chiarimenti. Gli cedo la parola e subito dopo il suo intervento riprenderemo il dibattito.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (PT) Purtroppo tra poco dovrò lasciare l’Aula perché ho un impegno ufficiale con le autorità belghe. Non pensavo che la seduta si sarebbe protratta così a lungo, dopo la prima parte dei lavori parlamentari che hanno preceduto la discussione su questo punto dell’ordine del giorno. Succeda quel che succeda, la Commissione sarà presente fino al termine del dibattito. Riuscirò anche a rispondere ad alcune delle domande.
Innanzitutto desidero ringraziarvi per i commenti espressi, che in gran parte erano favorevoli al nostro programma. Resta, ovviamente, la questione di fondo delle prospettive finanziarie, che tratterò tra un attimo. Tuttavia, in generale penso di poter affermare che gli obiettivi della Commissione per il 2007 sono stati accolti positivamente.
Più precisamente, l’onorevole Watson ha chiesto perché abbiamo inserito gli obiettivi riguardanti la conservazione energetica e la protezione dell’ambiente nella sezione della solidarietà e non in quella della prosperità. Ovviamente potrebbero e dovrebbero figurare nella sezione della prosperità, ma li abbiamo inseriti nella sezione della solidarietà per sottolinearne la grande importanza, poiché il termine “solidarietà” si riferisce alla solidarietà verso le generazioni future. La lotta per un ambiente pulito e per lo sviluppo sostenibile riguarda direttamente il nostro futuro. Per questo motivo, a livello di presentazione, abbiamo collocato le questioni ambientali nella sezione della solidarietà.
Per quanto riguarda l’immigrazione, l’onorevole Frassoni ha detto che non abbiamo mai espresso la nostra opinione sull’immigrazione clandestina e sulla tragedia dei molti africani che muoiono nel Mediterraneo. Mi spiace, ma questo non è vero. Sulla questione la Commissione si è espressa chiaramente più di una volta, nella persona del Commissario Frattini, e la verità è che stiamo lottando per trovare un’impostazione comune agli Stati membri, quando possibile.
L’onorevole Frassoni ha anche posto una domanda concernente la mancata menzione dei trasporti nel contesto della politica energetica. Mi spiace, ma il Libro verde afferma che abbiamo proposto le azioni possibili seguenti agli Stati membri, e cito dalla pagina 11 del testo inglese:
un considerevole sforzo volto a migliorare l’efficienza energetica nel settore dei trasporti e in particolare migliorare rapidamente i trasporti pubblici urbani nelle principali città europee”.
Ovviamente si tratta solo di un Libro verde, per fini consultivi, ma quella riga c’è. In materia di efficienza energetica, riteniamo che il settore dei trasporti rivesta un’importanza cruciale. Facciamo in modo che nessuno ne dubiti.
Un deputato ha parlato dell’apertura dei mercati del lavoro in Europa. Sapete che la Commissione è favorevole. Sulla scorta della nostra relazione alcuni Stati membri – non solo quelli citati, ovvero Portogallo e Spagna, ma anche la Finlandia e il governo olandese – hanno annunciato la loro intenzione di promuovere la liberalizzazione dei mercati del lavoro in Europa il prima possibile. A essi si sono associati anche Regno Unito, Irlanda e Svezia. Suppongo che anche altri stiano riflettendo sulla promozione della libera circolazione dei lavoratori nell’UE.
L’onorevole Swoboda ha chiesto come ci si possa presentare meglio ai cittadini o, in altre parole, cosa possiamo fare per spiegare il valore aggiunto dell’Europa, un elemento, questo, molto importante. E’ più facile per alcune questioni che per altre. Oggi, infatti, abbiamo annunciato una misura molto importante, la “lista nera” per la sicurezza aerea, che è il primo testo legislativo approvato dalla Commissione, con l’appoggio del Parlamento e del Consiglio. In questo caso i vantaggi derivanti dalla natura comunitaria dell’azione sono più che chiari per i cittadini. Per questioni come queste dobbiamo compiere uno sforzo ulteriore per fornire spiegazioni e per far capire il nostro punto di vista. Ed è proprio questo il compito della Commissione, ma devo aggiungere, con il vostro permesso, che tutti noi siamo responsabili: è anche responsabilità del Parlamento, degli onorevoli deputati, dei parlamenti nazionali, di tutti coloro cui sta a cuore l’interesse dell’Europa e di tutti coloro che sentono la necessità di spiegare qual è il valore aggiunto che l’Europa apporta.
Sulla questione nucleare, onorevole Swoboda, la nostra posizione è molto chiara: rispettiamo il principio di sussidiarietà. E’ una questione complessa in Europa: alcuni Stati membri sono favorevoli, altri sono contrari. Per quanto mi riguarda, non è evitando il dibattito che si segue la strada giusta. L’onorevole Swoboda si è riferito al mio incontro con il Presidente Putin. Devo dirle che, nonostante le grandi ricchezze naturali della Russia in termini di petrolio e gas, il Presidente Putin ha dichiarato che una delle maggiori priorità della Russia in futuro è lo sviluppo dell’energia nucleare. E’ dunque un argomento che non possiamo evitare; è una questione che è all’ordine del giorno e che deve essere discussa sinceramente. La Commissione non sta assumendo alcuna posizione nel dibattito sull’energia nucleare. Stiamo promuovendo il principio secondo cui ogni Stato membro deve trovare forme di energia sostenibile e di lunga durata nel proprio mix energetico, garantendo al contempo il rispetto del principio di sussidiarietà.
L’onorevole Duff e altri hanno sollevato la questione della Costituzione. Non è di questo che stiamo discutendo oggi, ma desidero confermare che la Commissione resta fedele ai principi e ai valori sanciti nel progetto di Trattato costituzionale e stiamo lavorando su questo argomento. Stiamo pensando di presentare qualche idea sul futuro del dibattito europeo al Consiglio europeo di giugno. Speriamo che queste idee siano un contributo prezioso. Sebbene il Trattato costituzionale, come dice il nome stesso, sia un trattato intergovernativo, la Commissione intende assumersi le proprie responsabilità e intende fornire il proprio contributo al periodo di riflessione.
Non so se questo contributo potrà competere con le esplorazioni di Vasco de Gama in termini di ambizione, come indicato dall’onorevole Martin, ma sarà comunque il nostro contributo. In ogni caso, sono lieto di avere sentito citare nel dibattito odierno Montesquieu, Machiavelli e Vasco de Gama, il che dimostra che il livello del dibattito in Parlamento aumenta costantemente.
Ora farò qualche commento in inglese – parlo sempre in inglese quando parlo di soldi! Ho preso questa abitudine durante la Presidenza britannica. Ecco dunque qualche osservazione in inglese sulle prospettive finanziarie.
A mio avviso, ieri tra le Istituzioni si è registrato un vero progresso. Sulla base dei testi di compromesso presentati dalla Commissione, ieri pomeriggio si è svolto un terzo trilogo con la Presidenza austriaca, il gruppo negoziale del Parlamento e la Commissione. Riteniamo che l’esito della riunione sia stato estremamente positivo. Sull’accordo interistituzionale l’accordo è quasi totale, anche sull’idea di aggiungere una nuova parte terza sulla sana gestione finanziaria.
Fatte salve le verifiche tecniche finali, si è trovato un accordo su punti importanti dei testi quali il regolamento finanziario, la certificazione da parte degli Stati membri e la clausola di revisione. Quando dico “accordo” intendo accordo tra le delegazioni. Si tratta di accordi ad referendum. Tutti questi punti sono stati considerati elementi fondamentali in varie risoluzioni adottate dal Parlamento. Sono lieto che le tre Istituzioni siano state in grado di giungere a un consenso su tali punti e sono orgoglioso del contributo fornito dalla Commissione.
Per quanto riguarda le cifre, il Parlamento e il Consiglio hanno espresso le loro idee e le loro valutazioni basandosi sui massimali decisi dal Consiglio europeo di dicembre. Siamo onesti! C’è ancora una grossa differenza tra le cifre proposte dal Parlamento e quelle proposte dal Consiglio. Voglio essere chiaro. La Commissione appoggia l’accordo più ambizioso possibile. Francamente la questione è la seguente: il Consiglio fino a che punto è disposto ad arrivare? Lancio dunque un appello affinché si giunga ad un accordo quanto prima. Se non si troverà un compromesso, ciò avrà ripercussioni negative per tutti noi nell’Unione europea, soprattutto per i nuovi Stati membri e per quegli Stati membri e quelle regioni che hanno bisogno della nostra solidarietà per il loro sviluppo.
Una soluzione potrebbe essere quella di trovare il giusto equilibrio fra tre elementi: flessibilità, modi per mobilizzare i fondi nei vari meccanismi di flessibilità e, infine, i massimali complessivi.
C’è la luce alla fine del tunnel! Il 4 e 5 aprile a Strasburgo è previsto un ultimo trilogo. Sono fermamente convinto che in quell’occasione si riuscirà a trovare un accordo. Nel frattempo la Commissione continuerà a svolgere il suo ruolo attivo nella ricerca della posizione più ambiziosa ma, alla fine, abbiamo bisogno di ambizione con un accordo. Pertanto, sono favorevole all’ambizione, ma con realismo e responsabilità, cercando di coinvolgere tutte le Istituzioni.
So che la Presidenza austriaca sta attivamente cercando un accordo con tutti gli Stati membri. Lasciatemi dire che ai vari incontri che ho avuto con i capi di Stato e di governo – e questa settimana ne ho avuti parecchi – li ho esortati, sia pubblicamente sia in privato, ad accettare un aumento della spesa complessiva. Ho citato, in particolare, la necessità dell’istruzione e della cultura: i programmi ERASMUS e cittadinanza. Almeno in questo settore dovremmo compiere un vero sforzo e sarà possibile registrare qualche progresso. Impegniamoci tutti a fondo per concludere un buon accordo e poi, se le nostre intenzioni saranno buone, seguiranno una buona strategia e buone politiche. Speriamo anche di avere a disposizione buoni strumenti nel quadro delle prospettive finanziarie.
(Applausi)
Bronisław Geremek (ALDE). – (PL) Signor Presidente, è molto importante che in Parlamento si svolga questo dibattito sulla strategia. Il 2007 sarà un anno fondamentale per il futuro dell’Unione europea. Affinché in Parlamento si svolga un dibattito strategico, quest’Aula deve poter scegliere tra varie opzioni. Il Presidente della Commissione europea non ha presentato le opzioni di cui dispone la Commissione, sebbene la politica sia l’arte della scelta.
Innanzitutto il problema della Costituzione. La Commissione europea ritiene che la Costituzione verrà approvata nel 2007, e dispone di mezzi e metodi per raggiungere tale obiettivo?
In secondo luogo c’è l’importante questione dell’occupazione. La crescita economica, la fiducia nel libero mercato e la libera circolazione dei lavoratori sono davvero la risposta alla disoccupazione? In caso contrario, perché non ritornare a Colbert e al protezionismo economico, una volta chiamato patriottismo economico?
In terzo luogo, la questione della strategia di Lisbona è un problema fondamentale per il futuro dell’Unione europea. Questo problema è stato ridotto alla retorica poiché da un lato affermiamo che il futuro dell’Unione europea dipende dalla strategia di Lisbona e, dall’altro, quando si tratta di fissare il bilancio, quando si tratta di ridurre il bilancio, in primo luogo si tagliano i fondi per la ricerca scientifica e l’istruzione. L’Unione europea può rendere l’Europa innovativa, rendendola un attore mondiale, ma per questo è necessaria una strategia.
Penso che il dibattito di oggi dimostri l’importanza del Parlamento. Sarebbe auspicabile che tutte le altre Istituzioni europee considerassero seriamente il Parlamento.
Jeffrey Titford (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, ho letto tutte le 15 tediose pagine di questo documento e penso che si tratti di una relazione del passato piuttosto che di un documento per il futuro. Viene in mente una frase che si legge spesso sulle pagelle scolastiche: “potrebbe fare meglio”. In realtà se il suo sogno è quello di cambiare la mentalità degli abitanti dell’Unione europea, si dovrebbe dire: “deve fare meglio”.
Ci vengono offerte espressioni come “obiettivi strategici”, “strategia politica”, “nuovi orientamenti”, “comunicazione efficace” e “autentico dialogo”. Ci vengono promessi maggiori stanziamenti per i fondi regionali, i fondi di coesione, i fondi sociali, i fondi per la globalizzazione, i fondi per la pesca, eccetera – tutto per guadagnare la fiducia e l’impegno dei cittadini. Ma dove sono le parole “libertà”, “scelta” e “l’individuo”? Viene in mente 1984 di George Orwell – solo che Orwell sbagliò l’anno, ma ormai non manca molto, e poi sarà “controllo, controllo, controllo” dell’individuo.
Considerati i referendum sull’UE, o addirittura le elezioni, i veri sentimenti dei cittadini mostreranno che la maggioranza vuole dire “no” a questo incubo burocratico.
John Bowis (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, sono dispiaciuto che il Presidente Barroso sia stato convocato dalle autorità belghe. Sono sicuro che, se la prossima volta parcheggerà meglio l’auto, potrà rimanere fino al termine dei nostri dibattiti, ma indubbiamente il messaggio gli sarà riferito.
Accolgo con favore il titolo di questo documento: “accrescere la fiducia con le azioni”. A volte la fiducia la si accresce con l’azione, a volte con l’inazione. A volte la si accresce revocando l’azione, con le clausole sunset, con le revisioni, e la si aumenta sempre controllando con molta cautela tutti i dettagli delle proposte. Non aumentiamo la fiducia dei nostri elettori perdendoci in facezie come è successo questa settimana nel Regno Unito a proposito degli organi delle chiese e dell’intenzione dell’Unione europea di vietare, ai sensi della direttiva RAEE, le riparazioni e la costruzione di organi per le chiese perché contengono piombo. E’ una sciocchezza e spero che, qualora si corresse questo rischio, arrivi una telefonata dal Vaticano che affermi che la Basilica di San Pietro non tollererà questa assurdità. Comunque, questi sono dettagli.
Penso che dovremmo ristabilire il contatto con i nostri elettori, dovremmo ricollocare l’obiettivo dell’avventura europea comunicandolo all’opinione pubblica. Lo si può fare, ad esempio, in occasione del prossimo dibattito sull’energia, mostrando che stiamo lavorando insieme in uno spirito di solidarietà per affrontare qualunque tipo di minaccia.
E’ stato citato Montesquieu. Come ha scritto Dumas, “uno per tutti e tutti per uno”: abbiamo bisogno della rete europea dell’energia, grazie alla quale sarà possibile contrastare ogni eventuale tentativo di colpire uno Stato membro. Dobbiamo anche occuparci del settore sanitario, lavorando in modo collettivo per prepararci alla pandemia di influenza. Dobbiamo accettare la proposta quadro austriaca sul diabete; dobbiamo lavorare a fondo sulla proposta della Commissione sulla salute mentale. Il Commissario Wallström converrà con me sulla forte necessità di convincere l’opinione pubblica che possiamo trovare le soluzioni giuste per le sostanze chimiche e l’inquinamento, l’eco-etichettatura e tutte le altre questioni che sono importanti per i cittadini. Ciò verrebbe visto come il valore aggiunto dell’Unione europea e così non avremmo gli stessi problemi incontrati recentemente da alcuni Stati membri in occasione dei referendum.
Margarita Starkevičiūtė (ALDE). – (LT) Basandomi sull’esperienza del mio paese in fatto di riforme, c’è una sola cosa che posso dire con certezza: i programmi economici e politici sono impossibili da attuare senza la riforma delle istituzioni esistenti. Mi risulta difficile capire perché la Commissione europea, che dichiara la semplificazione come suo obiettivo, non cambi le sue strutture, non riorganizzi le attività dei suoi servizi che, in ultima analisi, creano questi documenti complessi. Questi comportamenti sono semplicemente incomprensibili e incoerenti. Vi faccio un semplice esempio. Recentemente ho ricevuto la visita di una delegazione di professori universitari lituani. Hanno visitato varie direzioni sperando di ricevere informazioni sulle loro attività. Hanno ricevuto ovunque le stesse informazioni. Il Commissario che ha partecipato alla riunione della commissione per i bilanci ha addirittura affermato che per le relazioni pubbliche e le campagne informative non vengono utilizzati tutti i fondi. Ma tutto il lavoro viene duplicato. I professori lituani erano piuttosto attoniti. Dobbiamo assolutamente fare qualcosa per la riforma del funzionamento della Commissione europea. Il Parlamento europeo sta almeno dando prova di iniziativa e intende modificare le sue attività in modo da realizzare obiettivi ambiziosi. E’ un peccato, secondo me, che non ci si basi sull’esperienza dei nuovi paesi. Noi, i nuovi paesi, capiamo veramente che, innanzitutto, dobbiamo riformare le nostre istituzioni. Sono certa che la Commissione europea presenterà un programma di riforma della sua struttura il prima possibile.
PRESIDENZA DELL’ON. ONYSZKIEWICZ Vicepresidente
Alexander Stubb (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, vorrei fare tre osservazioni.
Innanzitutto, io sto recitando la parte del “poliziotto buono”, in contrapposizione a Malcolm Harbour che fa il “poliziotto cattivo”. Penso che questa strategia sia molto valida. La Commissione la presenta in un momento molto opportuno, in cui regna un’atmosfera di nazionalismo e protezionismo. Infatti, a differenza di molte delle strategie che lei ha presentato in passato, Presidente Barroso, e che io chiamerei “nato”, no action talk only (niente azioni solo parole), questa prevede molta azione.
Tuttavia, sono d’accordo con l’onorevole Harbour sul fatto che forse avrebbe potuto proporre un altro nome. Lei ha intitolato questo documento – non necessariamente molto a proposito – “accrescere la fiducia con le azioni”. Forse dovrebbe farsi consigliare da un’agenzia pubblicitaria prima di lanciare il prossimo slogan. E’ molto difficile catturare l’attenzione e in questo modo non ce la farà.
In secondo luogo, penso che sia giusto porre l’accento sulla comunicazione. Commissario Wallström, a questo proposito lei svolge un ruolo indubbiamente molto importante. Non abbiamo un deficit democratico, né un deficit dell’informazione – di informazione ne abbiamo fin troppa – ma certamente abbiamo un deficit di comunicazione. Il documento presentato sulla comunicazione europea è molto valido. Abbiamo grandi problemi: John Bowis un attimo fa ha parlato degli organi delle chiese e sappiamo tutti che è una sciocchezza assoluta. Tuttavia, quando giornali rispettabili come The Independent escono con titoli come “L’UE obbliga a riciclare i peni artificiali”, allora ci si trova nei guai. Si trattava di una direttiva sulle apparecchiature elettroniche: se si restituisce l’elettrodomestico al negozio, questo deve essere riciclato. Ma è proprio questo il tipo di comunicazione di cui dobbiamo sbarazzarci.
Infine, voglio dire che molto spesso l’UE viene utilizzata come capro espiatorio. Tutte le cose cattive arrivano dall’UE e tutto ciò che è buono proviene dagli Stati membri. Quindi, la incoraggerei, Commissario Wallström, a concentrarsi maggiormente sulla comunicazione sulla Costituzione. Si tratta di una buona Costituzione e ne abbiamo bisogno; manteniamola in vita fino alla primavera 2007 e poi vedremo cosa succederà.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, presentiamo questo documento e la strategia politica annuale al Parlamento europeo per ricevere i vostri contributi e le vostre idee su come migliorarli. Per questo motivo vi ascoltiamo molto attentamente. Abbiamo già sentito molte osservazioni che migliorerebbero il nostro documento. Lo stesso vale per la discussione che ho avuto con la conferenza dei presidenti di commissione. Ciò sarà molto utile per noi, perché saremo in grado di portare avanti una discussione veramente politica sulle nostre priorità, sull’equilibrio che vogliamo raggiungere e sul messaggio che vogliamo lanciare.
Penso che si stia tornando al fatto che vogliamo ottenere risultati e vogliamo guadagnare fiducia. Queste sono condizioni basilari e centrali per noi, per costruire un’Unione europea più forte. Qualunque titolo noi scegliamo, sorgeranno problemi linguistici o di altro tipo. Non so se riusciremo mai a trovare qualcosa che possa mettere tutti d’accordo. Tuttavia, mostrando buoni risultati e ottemperando ai nostri impegni, miriamo a creare fiducia. Se intraprendiamo una discussione democratica e dialoghiamo con i cittadini, sarà anche più facile spiegare perché abbiamo bisogno di una riforma costituzionale per raggiungere quei buoni risultati. Ecco perché dobbiamo agire: dobbiamo impegnarci con i cittadini in modo democratico.
Sono molto lieta di poter dire agli abitanti del Regno Unito che le canne degli organi delle chiese non rientrano nel campo di applicazione della direttiva sui rifiuti elettrici ed elettronici. Potete riempire le vostre chiese con tutte le canne di piombo che volete. La Commissione non interferirà. Fate però in modo che di tanto in tanto i poveri abitanti del Regno Unito sentano la verità, poiché raramente ricevono informazioni corrette. Potete star certi che la direttiva non riguarda le canne degli organi delle chiese.
Spero, inoltre, che le riunioni del Consiglio possano diventare pubbliche. La Presidenza finlandese si sta preparando affinché ciò diventi realtà, e questo aiuterà sicuramente a porre fine al gioco dello scaricabarile. Se i cittadini potranno seguire quello che fanno i loro ministri in seno al Consiglio – le posizioni che assumono e le dichiarazioni che rilasciano, sempre che siano presenti – ciò contribuirà a porre fine al gioco dello scaricabarile. Agendo in partenariato, dovremo tutti spiegare cos’è e cosa fa l’Unione europea. Forse riusciremo a compiere qualche progresso. Spero che durante la Presidenza austriaca si compiano progressi, perché questa è anche una vostra preoccupazione. Sotto la Presidenza finlandese, durante la quale potremo fare un ulteriore passo avanti, dovremo assolutamente compiere progressi.
Grazie per tutti i vostri saggi commenti sulla strategia politica annuale. Indubbiamente farò tesoro di tutte le vostre osservazioni e le inoltrerò agli altri Commissari.
(Applausi)
Presidente. – La discussione è chiusa.
12. Sicurezza degli approvvigionamenti energetici nell’Unione europea (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale (O-0007/2006 – B6-0009/2006) dell’onorevole Chichester a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, al Consiglio, sulla sicurezza degli approvvigionamenti energetici.
Giles Chichester (PPE-DE), autore. – (EN) Signor Presidente, sono lieto di formulare questa interrogazione a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, che fa seguito alla discussione svolta a gennaio sulla questione della sicurezza dell’approvvigionamento energetico.
La situazione si è un po’ evoluta rispetto ad allora. Abbiamo adesso il Libro verde della Commissione e le conclusioni del Consiglio della scorsa settimana. Entrambi i documenti sono molto interessanti e dimostrano chiaramente che molti punti sollevati nelle discussioni precedenti sono stati recepiti. Per questo motivo ringrazio il Commissario e mi congratulo con il Consiglio. E’ altresì positivo che le questioni energetiche siano balzate in cima all’ordine del giorno.
Il problema riguarda fondamentalmente la dipendenza dalle importazioni per una serie di carburanti. La nostra interrogazione chiede quindi che cosa intenda fare la Commissione per reagire opportunamente agli sviluppi e ai mutamenti della situazione geopolitica, strategica e diplomatica. Vorrei tuttavia sottolineare che, a mio parere, questi aspetti rientrano nella sfera di competenza della commissione per gli affari esteri, più che della nostra. Sono molto lieto di lasciare ai colleghi che interverranno nella discussione il compito di esaminarli.
L’aspetto più importante da evidenziare per quanto riguarda la sicurezza dell’approvvigionamento è il requisito essenziale della diversità: diversità di carburanti, diversità delle fonti e diversità delle tecnologie. E’ assolutamente essenziale.
Devo dire che sono rimasto un po’ deluso dal Libro verde – che discuteremo nei particolari a tempo debito – perché forse non contiene un sufficiente riconoscimento del ruolo cruciale dell’energia nucleare, che fornisce la quota maggiore di elettricità nell’Unione europea. Il Parlamento ha di recente adottato un emendamento, volto a raggiungere l’ambizioso ma realistico obiettivo di produrre il 60 per cento dell’elettricità dell’Unione europea da fonti con emissioni di carbonio ultrabasse o nulle. Ciò è possibile solo con una combinazione di fonti energetiche rinnovabili ed energia nucleare. Rilevo con grande piacere che le conclusioni del Consiglio fanno riferimento a “sistemi energetici sostenibili ed efficienti”. La prima cosa che mi viene in mente al riguardo è l’energia nucleare.
Tuttavia, vi sono altre fonti energetiche, che non vanno dimenticate. In seguito all’allargamento dell’Unione, la nostra dipendenza dalle importazioni di carbone è scesa dal 50 al 35 per cento, perché un particolare Stato membro è un importante produttore di carbone. Non dobbiamo perdere di vista i vantaggi e il potenziale offerti dalla tecnologia pulita del carbone, allorché disponiamo di questa significativa fonte di energia interna.
La proposta di risoluzione associata a questa interrogazione orale pone l’accento, tra l’altro, su una maggiore efficienza nel settore dei trasporti, sull’importanza delle attività di ricerca e sviluppo relative alle tecnologie energetiche future e su proposte volte a migliorare l’efficienza energetica negli edifici.
Abbiamo sottoposto al Commissario quattro quesiti e siamo impazienti di sentire la sua risposta. Vogliamo sapere che cosa possiamo fare per ridurre la nostra dipendenza dalle importazioni di petrolio e gas. Vogliamo sapere quali altre fonti ritiene si possano sviluppare. Forse può esporre qualche idea in materia di forniture di gas, gestione delle riserve di gas e strutture di stoccaggio per il gas.
Infine, ci attendiamo che la Commissione inserisca nella problematica della sicurezza dell’approvvigionamento la questione collegata del cambiamento climatico e il modo in cui adeguare la nostra politica energetica in un’era post-Kyoto per conseguire i nostri tre obiettivi di sostenibilità, competitività e sicurezza dell’approvvigionamento.
(Applausi)
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto ringrazio l’onorevole Chichester per la sua interrogazione, che giunge al momento opportuno. In realtà, la Presidenza austriaca era in carica esattamente da otto ore quando ha dovuto prendere atto del fatto che l’energia è un problema europeo, un problema di tutti noi, perché il 1° gennaio 2006, alle 8 di mattina, è cominciata la controversia sul gas tra la Russia, l’Ucraina e la Moldavia. E’ risultato chiaro che il problema doveva essere affrontato, sebbene non fosse del tutto nuovo. Tuttavia, la sua rilevanza è diventata evidente soprattutto nel corso di quest’anno.
E’ chiaro che l’approvvigionamento energetico riveste la massima importanza per l’Europa. Ecco perché il Consiglio europeo, nella riunione di domani, affronterà la questione in via prioritaria.
Abbiamo anche convocato una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri dell’Energia, alla quale lei ha accennato, al fine di preparare la riunione del Consiglio europeo nel miglior modo possibile. A tale riunione dei ministri dell’Energia sono emerse proposte molto valide e utili, che saranno discusse domani e dopodomani.
E’ altresì diventato evidente, in relazione con la controversia sul gas tra Russia, Ucraina e Moldavia, che l’approvvigionamento energetico non è una questione che possiamo discutere solo tra noi. Ieri, quando ho avuto il piacere di riferire in materia alla commissione per gli affari esteri, è stato dato particolare risalto al fatto che si tratta di una questione di politica estera dell’Unione europea, in quanto dobbiamo cooperare con i nostri partner e con i nostri vicini al fine di tenere conto dei loro problemi. Per noi è importante porre l’accento sulla stabilità politica ed economica del paese di transito, per esempio. Dobbiamo coinvolgere anche i paesi fornitori e i paesi consumatori nelle nostre discussioni.
Per questo motivo, manteniamo strette relazioni con l’OPEC, la Russia e altri importanti paesi, quali la Cina e l’India. Siamo attivi anche per quanto riguarda gli strumenti internazionali. Mi limito a citare l’Agenzia internazionale per l’energia, i forum internazionali sull’energia e il partenariato euromediterraneo, che svolge un ruolo importante. Esistono altri importanti accordi internazionali, per esempio l’accordo sull’energia con l’Europa sudorientale. Mi auguro, onorevole Chichester, che otterremo presto l’approvazione dell’Assemblea, che speriamo di ricevere prima del Vertice dei ministri di giugno.
(DE) La sicurezza degli approvvigionamenti energetici naturalmente presenta anche altri importanti aspetti, quali la diversificazione delle fonti, in particolare l’inclusione delle fonti interne, e soprattutto la questione delle fonti energetiche rinnovabili. Tuttavia, anche la gestione della domanda, tra cui il miglioramento dell’efficienza nell’uso di energia, riveste la massima importanza in questo contesto.
Nei contatti con i suoi partner, il Consiglio sottolinea regolarmente che anche gli investimenti in infrastrutture ed esplorazione sono essenziali. Per questo motivo, il Consiglio attribuisce la massima importanza anche alla rapida adozione della risoluzione del Parlamento europeo e del Consiglio sulle reti transeuropee nel settore dell’energia, in quanto sarà impossibile diversificare le forniture e quindi assicurare maggiore sicurezza dell’approvvigionamento senza risorse per espandere la rete energetica europea. Per quanto riguarda, in particolare, la sicurezza dell’approvvigionamento, il Consiglio già in passato ha adottato misure giuridiche, che ora non intendo esaminare nei particolari per motivi di tempo. Farò un breve riferimento anche alla direttiva sulle misure volte a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas naturale, adottata nel 2004.
Per passare ora al suo quesito sulle fonti energetiche alternative, onorevole Chichester, il Consiglio ritiene che due componenti primarie della politica energetica, alle quali ho già accennato, meritino a questo proposito particolare attenzione: la diversificazione delle fonti di combustibili e l’efficienza energetica. Come è già stato affermato nella discussione di oggi – l’energia è stata giustamente un elemento chiave nella discussione che avete appena concluso –, spetta agli Stati membri decidere quale mix energetico scegliere per dare espressione alle loro politiche nazionali. A prescindere dalle decisioni che gli Stati membri prenderanno, la diversificazione delle fonti di combustibili ovviamente comprende – aspetto che considero particolarmente significativo – la diversificazione dei paesi fornitori, per quanto riguarda le importazioni di energia; tuttavia, anche le fonti energetiche rinnovabili sono importanti.
In questo contesto, il Consiglio può indicare anche un’intera serie di strumenti, cui farò solo un breve accenno. Riguardo alla diversificazione delle fonti di combustibili, soprattutto tramite l’uso di energie rinnovabili, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno già adottato una direttiva sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel 2001. Vorrei richiamare la vostra attenzione anche sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili per i trasporti. Lo scorso dicembre è stato raggiunto l’accordo con il Parlamento europeo sul progetto di direttiva concernente l’efficienza energetica e i servizi energetici, la cui adozione potrà forse avvenire nei prossimi mesi; stiamo lavorando a tal fine. Questo è tutto, per quanto riguarda il risparmio energetico.
Vorrei altresì rilevare che il programma “Energia intelligente per l’Europa” sta già apportando un importante contributo nell’ambito del sesto programma quadro di ricerca. Anche il settimo programma quadro di ricerca e il programma “Energia intelligente per l’Europa”, attualmente in discussione nell’ambito del programma CIP, conterranno una priorità adeguata e commensurata.
Vi sono anche misure in campo non legislativo; l’anno scorso, per esempio, i ministri dell’Energia hanno presentato un contributo per il Consiglio europeo di primavera 2005. Il Consiglio sta esaminando con grande urgenza e attenzione il piano d’azione sulla biomassa, al quale attribuiamo alta priorità.
Onorevole Chichester, per concludere vorrei fare riferimento alla sua domanda su Kyoto dopo il 2012, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e la competitività dell’Unione europea e dire che, a nostro parere, gli effetti possono essere sostanzialmente positivi. Mi preme dire, in particolare, che siamo convinti che una politica ambientale ben congegnata avrà un effetto positivo sulla crescita e sull’occupazione.
Le misure volte a promuovere l’efficienza energetica portano a innovazioni ecologiche e a tecnologie ambientali e la domanda di tali innovazioni è in crescita costante in tutto il mondo. Ne scaturiscono opportunità anche per le nostre economie. Con la diversificazione delle fonti di energia e, soprattutto, con la promozione delle fonti energetiche rinnovabili, vogliamo anche contribuire alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico e al tempo stesso contenere il cambiamento climatico e rafforzare la competitività dell’Unione nel suo insieme.
(Applausi)
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, nella discussione precedente sul programma di lavoro della Commissione si è parlato molto di energia. Ve ne sono molto grato e vi ringrazio anche per l’interrogazione rivolta alla Commissione, che ha permesso di svolgere questa discussione.
In un certo senso, il Libro verde “Una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura” ha fornito risposte sul modo in cui procedere e affrontare le sfide descritte nell’interrogazione. Dobbiamo anche comprendere che si tratta di una sfida globale: la rigidità dell’offerta e della domanda, il cambiamento climatico, la dipendenza dalle importazioni e la necessità di investimenti nel settore dell’energia sono tutte sfide globali. La risposta dell’Unione europea è una politica energetica comune. Possiamo contare su un sostegno significativo da parte dei cittadini. In un recente sondaggio di opinioni, il 47 per cento dei cittadini europei si è dichiarato favorevole a un’azione a livello comunitario. Abbiamo ricevuto grande sostegno da molti Stati membri e parlamenti nazionali dopo la pubblicazione del Libro verde. E’ chiaro che il valore aggiunto principale di questo documento risiede nell’impostazione comune, nella quale sottolineiamo che la sicurezza dell’approvvigionamento, la competitività e la sostenibilità non possono essere separate nella nostra politica in materia di energia. Tutte e tre devono interagire tra loro.
Al tempo stesso, è altrettanto chiaro che non possiamo trovare una soluzione miracolosa e che non esiste una soluzione miracolosa. Ciò significa che, nell’ambito della politica energetica, dobbiamo concentrarci su un insieme di misure in contesti specifici. In primo luogo, ai fini della sicurezza dell’approvvigionamento, della sostenibilità e della competitività è importante creare nell’Unione un mercato interno realmente competitivo, aperto e trasparente. Ciò è essenziale per la sicurezza dell’approvvigionamento. Proponiamo alcune azioni che assicurano realmente non solo una maggiore concorrenza, ma anche scambi transfrontalieri: scambi di energia a livello transfrontaliero. E’ un aspetto estremamente importante e mi attendo il sostegno dell’Assemblea su tali questioni in futuro.
La seconda questione, che riveste enorme importanza – come ha osservato il Presidente in carica del Consiglio – è la solidarietà. L’Unione è forte quando vi è solidarietà. Solidarietà significa, innanzi tutto, essere pronti a far fronte a situazioni estreme; in secondo luogo, comporta l’intervento del meccanismo di solidarietà e, in terzo luogo, richiede molte informazioni su ciò che accade sui mercati dell’energia. Concordo sul fatto che la diversificazione è la questione più importante, ma perché sia utilizzata nel miglior modo possibile sono necessarie molte informazioni e molta trasparenza. Prevediamo misure a tal fine nel quadro della revisione della direttiva sulle riserve di petrolio, prestando maggiore attenzione alla sicurezza dell’approvvigionamento di elettricità e di gas e ricercando nuovi meccanismi che rispondano realmente alle esigenze dei nostri cittadini, i quali vogliono sapere che, se si presentasse una situazione estrema, disponiamo di un meccanismo e di riserve cui si può fare ricorso in tale emergenza.
Vi è poi la questione del mix energetico, che deve essere di competenza dei singoli Stati membri: è una questione di sussidiarietà. Tuttavia, sappiamo che l’azione in uno Stato membro influenza tutti gli altri Stati membri, o almeno quelli vicini. Ciò significa che dobbiamo agire tenendo conto delle politiche energetiche dei nostri vicini e cercare di dare impulso alle migliori azioni possibili.
Una revisione strategica della politica energetica nell’Unione, che ci permetta di riesaminare continuamente queste tematiche, è necessaria per permettere la migliore impostazione possibile in termini di mix energetico per ciascun paese. L’efficienza energetica e lo sviluppo di energie rinnovabili senza dubbio aumenteranno nella definizione del mix energetico. Tuttavia, al tempo stesso, ritengo che l’energia nucleare ora presente nel mix sarà utilizzata in molti Stati membri. Nondimeno, è importante assicurare l’uso sicuro e sostenibile di tale energia.
Credo anche nella diversificazione, che potrebbe portare a nuove tecnologie, e nel carbone pulito, nella cattura del carbonio, eccetera. Abbiamo ora un buon esempio, fornito dal progetto della Shell e della Statoil, riguardante la cattura e la ricombustione del carbonio. Non si tratta di un progetto dimostrativo: per la prima volta, un vero progetto industriale da 860 MW introduce nuove possibilità per una diversificazione del mix energetico che risponde agli obiettivi della nostra politica.
Secondo alcuni, non si presta sufficiente attenzione all’efficienza energetica. Non sono d’accordo, perché si dà grande risalto a questo aspetto. Il Parlamento ha discusso il Libro verde sull’efficienza energetica. Proporremo un piano d’azione europeo molto ambizioso in materia, che porrà un forte accento sui trasporti. Tuttavia, in tutti gli Stati membri si continuerà a prestare attenzione all’efficienza energetica nei rispettivi piani d’azione nazionali, il che riveste enorme importanza.
Per quanto riguarda la tecnologia, mi limito a un solo esempio: l’Europa è in grado di sviluppare nuove tecnologie, ma dobbiamo sfruttare tutte le possibilità in modo coerente. Ritengo che il piano strategico europeo per le tecnologie energetiche possa fare una differenza reale.
Ultimo aspetto, ma non per questo meno importante, i settori sui quali vorrei richiamare la vostra attenzione sono internazionali. La migliore risposta per la sicurezza dell’approvvigionamento non è solo la diversificazione, ma è data anche da mercati del gas e del petrolio globali, trasparenti e competitivi. Questa è la visione che può garantire la necessaria diversificazione. A tal fine, dobbiamo favorire la stabilità dei paesi produttori di gas e petrolio. Dobbiamo costruire infrastrutture che ci permettano di importare più gas da diverse regioni del mondo, perché solo così possiamo garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas e petrolio. Dobbiamo promuovere la nostra visione del mercato presso i nostri vicini immediati. La comunità energetica deve espandersi.
Domani il Consiglio europeo avrà l’opportunità di discutere queste problematiche. Ritengo che lo stimolo creato dal Libro verde a definire una politica energetica comune europea perdurerà. Sono grato per la discussione e attendo con impazienza di lavorare con l’Assemblea per definire una politica energetica europea che risponda alle esigenze di base dei nostri cittadini.
Paul Rübig, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, Commissario Piebalgs, onorevoli colleghi, da diversi mesi siamo coinvolti in un nuovo dibattito strategico. Vediamo il conflitto con l’Iran, la guerra in Iraq, ma anche un conflitto con i paesi dell’OPEC, con i quali nessuno pensava che si sarebbero verificati sviluppi del genere. Vediamo la Cina fare acquisti strategici sui mercati dell’energia, la Russia allontanarsi da una politica continua e affidabile e osserviamo sviluppi molto dinamici sui mercati mondiali. Dobbiamo quindi restare fedeli ai nostri obiettivi, gli obiettivi dell’agenda di Lisbona.
Vogliamo crescita e occupazione. Di conseguenza, la politica energetica – e vorrei ringraziare il Commissario Piebalgs per aver dato risalto all’efficienza energetica – è una massima priorità. Può aprire interi nuovi settori di attività per le nostre piccole e medie imprese. Crea posti di lavoro nell’artigianato e cicli economici brevi che assicurano la sicurezza energetica.
D’altro canto, non dobbiamo dimenticare la competitività della nostra industria energetica. Al riguardo, chiedo in particolare alla Commissione di esaminare con attenzione l’impatto del protocollo di Kyoto dopo il 2012 sulle nostre industrie primarie ad alto consumo di energia, come quella dell’acciaio e dell’alluminio e molti altri settori, e sulla nostra generazione di energia. Ritengo che si debbano esaminare anche gli aspetti ambientali della sostenibilità, con particolare riguardo per la competitività.
Invito la Commissione e il Presidente Barroso a fare ricorso ai vari servizi della Commissione – che si tratti di strategia di comunicazione, politica fiscale, relazioni economiche esterne, politica estera, politica di concorrenza o politica ambientale – nell’assumere questo compito importante, di enorme significato per il nostro futuro in Europa.
Robert Goebbels, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, viviamo in un mondo sempre più affamato di energia. I grandi consumatori, gli americani e gli europei, non possono negare ai cinesi, agli indiani e ad altri il diritto di aspirare al nostro tenore di vita e di consumare più energia.
Con una domanda mondiale in aumento, i paesi consumatori devono allearsi per far fronte ai mercati organizzati in cartelli al fine di influenzare la determinazione dei prezzi. In un contesto simile, i risparmi energetici e una migliore efficienza energetica costituiscono la priorità principale. L’Agenzia internazionale per l’energia ha calcolato che sarebbe sufficiente imporre ai produttori di computer di ridurre il consumo di energia in modalità stand-by a 1 W, al posto dei 10 W attuali, per risparmiare l’equivalente di 20 centrali elettriche da 1 000 MW.
Dobbiamo fare maggiore ricorso alle energie rinnovabili: il Brasile produce 700 milioni di litri di etanolo, un sottoprodotto dell’industria dello zucchero, l’isola di Maurizio risparmia 20 000 tonnellate di petrolio bruciando residui di fibre nelle sue centrali termiche, la Svezia intende imporre a tutte le sue stazioni di servizio di offrire biocarburanti e alle Figi si fanno funzionare i motori diesel con olio di copra.
Ciò detto, le energie rinnovabili non possono sostituire totalmente le fonti energetiche tradizionali. Sono necessari progressi tecnologici per l’energia solare, le pile all’idrogeno, eccetera. Anche l’energia eolica, per la quale l’Europa dispone di un importante potenziale offshore, richiede investimenti cospicui nella sicurezza delle reti. Il mondo non potrà rinunciare al carbone e all’energia nucleare dall’oggi al domani. La scelta spetta agli Stati membri, che devono decidere liberamente il loro mix energetico.
L’Europa dovrà investire di più nella ricerca sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili, sulla cattura del carbonio, sul carbone pulito, sulla sicurezza nucleare e sulla fusione. L’Unione dovrà attuare una politica energetica più solidale. Dovrà completare il suo mercato interno, evitando una ripartizione dei mercati a vantaggio degli oligopoli. Concludo dicendo che il Consiglio di primavera deve prendere una decisione: un’Europa senza una politica energetica comune può solo essere una potenza debole.
Lena Ek, a nome del gruppo ALDE. – (SV) Signor Presidente, signor Commissario, signori rappresentanti dell’Austria, onorevoli colleghi, è difficile immaginare quanto l’Europa sia incredibilmente dipendente dalle importazioni, il che ci mette in una situazione molto allarmante. Dobbiamo riorganizzare la produzione e la distribuzione e disciplinare il mercato in modo che funzioni correttamente. In altre parole, si devono regolamentare i diritti dei consumatori e la capacità di trasporto, nonché esaminare la posizione dominante delle grandi imprese energetiche.
Non usiamo la tecnologia esistente. Riduciamo gli stanziamenti per la ricerca nei negoziati in corso sul bilancio e non diamo all’industria i chiari segnali di cui ha bisogno per osare investire a lungo termine. Gli Stati membri scelgono il proprio mix energetico e ciò va benissimo. Ora è stato pubblicato il Libro verde. In seno al gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa sosteniamo il Libro verde e lo consideriamo estremamente costruttivo, al pari del lavoro del Commissario Kroes sulla questione della concorrenza.
Sottosegretario Winkler, lei ha tuttavia esordito affermando che, alle otto di mattina del 1° gennaio, l’Europa ha subito uno shock riguardante l’energia provocato dalla Russia. In questa situazione, molti capi di governo diventano nervosi e vogliono ricominciare a regolamentare. Vogliono il protezionismo nel settore dell’energia, uno sviluppo che sarebbe diametralmente opposto a ciò che il Consiglio aveva affermato di volere e a ciò che la Commissione e il Parlamento vogliono. Ciò è increscioso in un momento in cui, schierandoci al loro fianco, possiamo aiutare i nuovi Stati membri a ottenere la stabilità in termini di forniture energetiche e in cui possiamo risolvere problemi ambientali di grande rilievo. E’ increscioso proporre tali misure quando si possono anche creare molti posti di lavoro in Europa. Mi spiace dire che il capo del governo svedese, Göran Persson, oggi ha affermato che intende regolamentare di nuovo il mercato svedese dell’energia.
Se si continua a fare ciò che si è sempre fatto, si continua a ottenere ciò che si è sempre ottenuto, come si suol dire. In ogni caso, non possiamo più permetterci una situazione del genere in Europa. Dobbiamo prendere decisioni molto difficili e l’Austria, che domani presiederà la riunione del Consiglio dei ministri, ha una grossa responsabilità.
Claude Turmes, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, i capi di Stato e di governo si riuniranno domani per un Vertice sull’energia. Discuteranno l’energia? Temo di no. Domani il Presidente Berlusconi inscenerà un grande spettacolo e l’Enel annuncerà l’acquisizione del controllo della Suez. In altre parole, sarà uno spettacolo per la campagna elettorale italiana e il Primo Ministro Villepin e il Presidente Chirac useranno l’intera questione per assumere ancora una volta il ruolo di eroi nazionali in un governo francese che cade a pezzi.
Sono tutte bombe fumogene sul mercato interno. Qual è il problema reale del mercato interno dell’Unione? Così come funziona attualmente, è il più grande errore economico che l’Europa abbia mai conosciuto. L’Enel salassa i consumatori italiani, l’Endesa salassa i consumatori spagnoli, la Suez salassa i consumatori belgi e la E.ON salassa i consumatori tedeschi. Ora dovremmo discutere se abbiamo campioni nazionali o – come dice il Presidente Barroso – campioni europei ancora più grandi che dominano sempre più i mercati e pongono i consumatori e la competitività in Europa sempre più a rischio. No, la questione non è questa! La questione è: in definitiva, vinceremo politicamente, saremo in grado di regolamentare in modo adeguato e indipendente e di separare le reti da tutto il resto? La politica dei trasporti deve essere un elemento centrale della politica energetica e, finché non lo sarà, tutti questi documenti saranno solo tigri di carta.
I contributi più importanti che dobbiamo apportare tramite le nostre politiche sono obiettivi a lungo termine, energia rinnovabile, efficienza e obiettivi in materia di CO2, perché altrimenti non può esistere alcuna sicurezza per gli investimenti. Ciò che manca in questo dibattito, a mio parere, è una nuova metodologia. Finora non siamo riusciti a ottenere un buon coordinamento a tutti i livelli. In altre parole, abbiamo bisogno di nuovi partenariati. E che cosa fa il Presidente Barroso, con il suo tipico tatto da elefante in una cristalleria? Pone l’energia, una questione che divide i cittadini europei più di qualsiasi altra, al centro del dibattito! E’ mai possibile agire con meno senso politico di quanto stia facendo il Presidente Barroso con la stampa?
Esko Seppänen, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FI) Signor Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, conosciamo le previsioni delle grandi imprese petrolifere. Affermano che nel 2030 circa l’80 per cento dell’energia mondiale continuerà a essere prodotto con combustibili fossili. La storia dimostra che queste previsioni sono credibili, anche se dovessimo fare tutto il possibile per risparmiare energia, migliorare l’efficienza energetica, sostenere l’uso di fonti energetiche alternative e utilizzare i biocombustibili, e persino se costruissimo più centrali nucleari smantellando al contempo i vecchi reattori.
E’ risaputo che non esistono più grandi riserve di petrolio nei paesi dell’Unione e anche il gas nella nostra regione si esaurirà nel corso dei prossimi 10 anni. Secondo il Libro verde appena pubblicato, la dipendenza dalle importazioni dell’Unione nel suo insieme raggiungerà il 71 per cento entro il 2030.
Se le previsioni delle imprese petrolifere, secondo cui il nostro fabbisogno energetico sarà principalmente soddisfatto da combustibili fossili, si avvereranno, la concorrenza per tali combustibili sarà sempre più selvaggia. L’Unione vuole soddisfare tutta la crescita del suo fabbisogno energetico utilizzando il gas. Lo sviluppo del gas liquefatto aggraverà la situazione, favorevole ai paesi dell’Unione, in cui la maggioranza delle riserve mondiali di gas si trova nel continente eurasiatico, all’estremità finale dei gasdotti.
La disponibilità e il prezzo del petrolio e del gas sono fortemente influenzati dalla concorrenza esercitata dalla Cina e da altri paesi dell’Estremo Oriente per le stesse risorse naturali, risorse che finora sono state utilizzate quasi esclusivamente dai paesi dell’OCSE.
Il nostro gruppo sostiene la Commissione nella sua ricerca di alternative. Non esiste altra soluzione altrettanto semplice. Se continuiamo a seguire una politica basata sui combustibili fossili, l’Unione dovrà instaurare buone relazioni commerciali con la Russia.
Infine, consentitemi di fare una brevissima osservazione sulle “soluzioni europee”. Una politica che determina un aumento del prezzo dell’elettricità in alcuni paesi in modo che possa diminuire in altri è inaccettabile. Per alcuni paesi, si tratta di una forma di solidarietà troppo costosa.
Umberto Pirilli, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, signor Commissario, onorevole colleghi, quanto è accaduto nelle scorse settimane con il caso Suez-Enel e quanto sta accadendo in questi giorni in merito all’opa di E.on su Endesa, ostacolata dal decreto del governo spagnolo con cui sono state aumentate le competenze della Commissione nazionale dell’energia, rappresenta la conferma di una tendenza involutiva degli Stati rispetto ai principi e alle regole che ispirano l’Unione.
Il Presidente Barroso proprio ieri ha dichiarato “spero che i capi di governo rispondano alla domanda: hanno una volontà politica per trovare soluzione europee a problemi europei”?
Il problema energetico è stato esaminato dalla Commissione in tutti i suoi aspetti con un’analisi quasi puntuale e apprezzabile che qui non richiamo perché è nota a tutti. Nella risoluzione comune presentata da PPE, PSE, ALDE e UEM vengono espresse le preoccupazioni che tutti i cittadini europei oggi nutrono e sono proposte le soluzioni che gran parte dei cittadini e degli Stati auspicano.
In un punto però la proposta resta carente: quello che riguarda i centri decisori. Quanti e quali sono? Sempre nelle dichiarazioni di ieri, il Presidente Barroso ha parlato dell’esistenza di 25 mercati energetici e 25 politiche diverse nel settore. A questo dato devastante rispetto alle auspicate politiche convergenti dell’UE va aggiunta l’esigenza di garantire la sicurezza fisica dell’infrastruttura energetica dell’Europa contro i rischi di catastrofi naturali e attacchi terroristici nonché la sicurezza contro i rischi politici comprese le interruzioni dell’approvvigionamento.
La domanda che pongo a tutti e a ciascuno di noi è: “Può l’Europa essere governata da 25 governi diversi, ovvero è forse giunto il momento che la strategia europea in tema di politica estera, sicurezza ed energia abbia un unico centro decisionale per poter affrontare con tempestività e coerenza le sfide che il galoppante mondo moderno oggi impone?”
Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, le recenti interruzioni delle forniture energetiche hanno rinnovato la consapevolezza della vulnerabilità dell’energia importata. L’energia è essenziale per ogni paese. Quali lezioni possiamo trarre sulla sicurezza dell’approvvigionamento?
E’ ormai assodato che la politica energetica e la politica estera sono collegate. L’Unione europea deve tutelarsi contro le pressioni esercitate dai paesi produttori di energia e, a tal fine, una maggiore diversificazione dei fornitori è una necessità politica.
Inoltre, la situazione di crisi tra la Russia e l’Ucraina ha nuovamente portato alla ribalta l’ipotesi di importare gas naturale liquefatto da altre regioni. Anche il debole funzionamento del mercato interno esige la nostra attenzione e il recente dibattito sulla creazione di campioni nazionali non dovrebbe distrarci da questa necessità. Gli Stati membri dispongono già di strumenti efficaci per affrontare la problematica dell’approvvigionamento energetico. Oltre ad attingere a una più ampia varietà di fonti di energia, essi possono anche fare maggiore ricorso alle loro riserve di emergenza.
Tali misure, così come un rafforzamento della cooperazione tra gli Stati membri, permettono progressi che una politica energetica europea dettagliata non consentirebbe di compiere. Anche la prudenza è un requisito fondamentale per quanto riguarda la conclusione di un accordo con la Russia sull’energia. La distanza critica è preferibile all’ulteriore integrazione nel settore dell’energia di paesi con i quali intratteniamo relazioni meno stabili.
Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la dipendenza europea nel settore energetico è preoccupante come documenta il Libro verde della Commissione. L’Italia è ancora più dipendente in fatto di energia, come testimoniano inconfutabili i dati Enea e Istat. L’Italia ha una capacità di produzione energetica pari solo a circa 30 milioni di tonnellate equivalenti a petrolio, deve importare energia dall’estero e la crescita della dipendenza ha raggiunto circa l’85 per cento nel 2005 contro l’83 per cento del 2001 e l’81 per cento del 1995.
Nell’Unione solo Irlanda, Lussemburgo e Portogallo registrano una dipendenza superiore a quella italiana. Il fabbisogno energetico italiano è quindi fortemente dipendente dal petrolio per il 45 per cento e dal gas per il 32 per cento. Il rialzo dei prezzi e l’energia si trasforma per tutti in una spesa maggiore dal benzinaio, sulle bollette dell’elettricità e del gas, ma anche le preoccupazioni ambientali influenzano le scelte in materia tanto che l’opzione nucleare torna di attualità.
Per contrastare la dipendenza energetica occorre rendere più flessibile il sistema agli approvvigionamenti, razionalizzare l’uso dell’energia, distribuire l’energia a livello locale, sia con piccoli impianti tradizionali sia con quelli rinnovabili, investire di più nell’attività di ricerca: appaiono non più procrastinabili il solare termodinamico, la geotermia, lo sfruttamento delle biomasse, l’introduzione di nuovi cicli combinati a gas nei sistemi di generazione elettrica e, infine, il rilancio del nucleare.
Questi sono i temi e le sfide del futuro, ma occorre chiedersi perché l’Italia e l’Europa continuano a cedere terreno alla Russia e soprattutto alla Cina? Gas e petrolio dall’Iran alla Cina e alla Russia, flussi e risorse energetiche sulle quali le imprese europee hanno per decenni investito enormi capitali di ricerca, tutto sprecato per il servilismo agli interessi extraeuropei.
Questo fa sì che l’Europa perda ancora una volta una grande opportunità di sviluppo, sicurezza e benessere sociale, aumentando la sua dipendenza, oltre che energetica anche politica. L’Europa trovi il coraggio di scelte geopolitiche confacenti i suoi interessi, se veramente vuole assicurare ai suoi popoli una prospettiva. Questa è l’azione rivoluzionaria oltre alle direttive in essere che gli europei si attendono dalla Commissione e dal Consiglio.
Jacek Emil Saryusz-Wolski (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, come abbiamo visto di recente, l’energia a volte è usata anche come arma per esercitare pressioni politiche da Stati che detengono una posizione quasi monopolistica, come nel caso Russia/Ucraina. In realtà è stato proprio questo a risvegliare un improvviso interesse per la politica energetica. Il problema va quindi esaminato come questione di politica estera e di sicurezza e quindi, oltre al Commissario Piebalgs, mi rivolgerei volentieri anche all’Alto rappresentante Solana e al Commissario Ferrero-Waldner.
E’ essenziale che l’Unione sviluppi una vera dimensione estera e di sicurezza in relazione con le forniture di gas e petrolio, che sia distinta dalle politiche energetiche in senso stretto. Non dobbiamo confonderle. La questione è: quale valore aggiunto può offrire l’Unione in caso di tagli delle forniture energetiche dovuti a motivi politici? Le proposte contenute nel Libro verde vanno nella direzione giusta, sebbene siano ancora troppo modeste. La solidarietà, uno dei principi fondamentali dell’integrazione europea, crea l’obbligo di assistere tutti gli Stati membri in difficoltà. Dobbiamo estendere questo principio di solidarietà ai problemi legati alle forniture energetiche insufficienti dovute all’azione politica.
Per garantire l’approvvigionamento energetico esterno, abbiamo bisogno di cooperazione e solidarietà, non di concorrenza tra Stati membri, come avviene oggi. Il prossimo Consiglio di primavera dovrà esaminare soprattutto tre questioni della massima importanza: in primo luogo, l’assistenza reciproca tra Stati membri in caso di tagli delle forniture energetiche; in secondo luogo, meccanismi di consultazione reciproca tra Stati membri per i grandi contratti di fornitura di gas; in terzo luogo, l’inclusione di una clausola relativa alla sicurezza energetica in tutti gli accordi dell’Unione con i paesi terzi, che siano fornitori di energia o paesi di transito. La clausola relativa alla sicurezza energetica dovrebbe imporre l’obbligo di conformarsi a un determinato codice di condotta e di impegnarsi a non utilizzare le forniture di energia come strumento per esercitare pressioni politiche. E’ giunto il momento di andare oltre le dichiarazioni.
Pasqualina Napoletano (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la politica energetica ha un’evidente dimensione esterna, drammaticamente emersa dalla crisi del gennaio scorso tra Russia e Ucraina. L’Unione, da parte sua, in questi anni ha messo in atto politiche quali la cooperazione strategica con la Russia, il partenariato euromediterraneo, la politica di vicinato, l’accordo con il Consiglio di cooperazione del Golfo. Queste relazioni coinvolgono i principali paesi produttori di petrolio e di gas.
La questione energetica è stata affrontata in modo frammentario: dalla liberalizzazione dei mercati alla sicurezza degli approvvigionamenti, all’efficienza e al migliore utilizzo delle risorse. Tutto ciò finora non si è configurato come una politica organica. Il Consiglio europeo di domani e dopodomani affronterà questi temi, ma i governi europei sembrano divisi tra la necessità di avere una politica comune e quella di continuare a praticare relazioni bilaterali dettate da motivi storici, geografici o politici.
Come Parlamento europeo appoggiamo lo sforzo della Commissione e allo stesso tempo chiediamo di più, ma questo non sarà possibile senza rispondere ad alcune grandi questioni. Pensiamo di ridurre complessivamente la dipendenza dai combustibili fossili? E di quanto? Siamo in grado di stimare il fabbisogno futuro in questo senso? Ci poniamo l’obiettivo di coordinare la domanda con gli altri paesi importatori, soprattutto i paesi in via di sviluppo? Ci presenteremo con una proposta e con una sola voce al G8 prossimo di San Pietroburgo?
Le risposte a queste domande presuppongono qualcosa che si avvicina molto ad un piano energetico a dimensione europea. Il Libro verde costituisce un primo passo, c’è da fare molto di più e il Parlamento europeo naturalmente vuole essere pienamente coinvolto in questa politica.
Šarūnas Birutis (ALDE). – (LT) Questa risoluzione è un documento molto opportuno e importante, che esprime la posizione del Parlamento europeo sull’evoluzione della situazione nel settore energetico dell’Unione europea. La risoluzione segna l’inizio del dibattito sul Libro verde per una politica energetica sicura, competitiva e unitaria. Assieme all’efficienza energetica, la varietà di fonti di energia menzionate nella risoluzione costituisce il fattore fondamentale per ridurre la dipendenza degli Stati membri dell’Unione europea dai paesi terzi per le forniture di risorse energetiche. Si presta particolare attenzione all’energia nucleare, in quanto elemento inseparabile del settore europeo dell’energia. Essa è molto importante per la Lituania e per altri Stati che non hanno sufficiente energia eolica, solare e geotermica, né altre fonti alternative al gas e al petrolio. E’ giusto che le iniziative volte a sviluppare l’energia nucleare rimangano di competenza degli Stati membri. E’ necessario adottare una legislazione che permetta di destinare parte dei fondi stanziati per la politica agricola allo sviluppo e alla produzione di biomassa e alle esigenze energetiche. Il principio di solidarietà energetica tra Stati membri è estremamente importante. E’ importante nelle trattative con il mondo esterno. Nel pianificare progetti nel settore dell’energia, gli Stati membri devono valutare le conseguenze che tali progetti avranno per altri paesi. Ritengo quindi che ci si debba concentrare sulla revisione degli allegati delle reti transeuropee nel settore dell’energia. L’elenco di progetti contiene pareri divergenti su quello che definirei il gasdotto politico del Nord Europa nel Mar Baltico. Purtroppo, non si fa alcuna menzione dei progetti importanti per i paesi del Baltico e per la Polonia, come il gasdotto Amber o i collegamenti per l’elettricità, che permettono alla regione isolata del Baltico di inserirsi rapidamente nell’area europea.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, temo fortemente che la proposta della Commissione relativa al gas naturale, adottata in seguito alla crisi tra la Russia e l’Ucraina, non sia commensurata alle circostanze o esigenze. E’ inadeguata.
Per conseguire gli obiettivi fissati dalla Commissione, dobbiamo investire sempre di più nel notevole potenziamento delle fonti energetiche rinnovabili, nel risparmio energetico e nello sviluppo di reti nel settore dell’energia. Con i bilanci che state preparando, questi obiettivi non si possono conseguire. Con i fondi previsti nel settimo programma quadro per tali obiettivi, non si possono compiere progressi significativi verso una politica energetica comune, né si può ottenere una tecnologia meno costosa e migliore per le fonti rinnovabili e il risparmio energetico e, con le misure che proponete per la politica energetica comune, non si possono contrastare le pratiche dei cartelli che dominano – vivono e dominano – a spese dei consumatori e di un’Europa unita in materia di energia.
Un’ultima osservazione: le fonti energetiche rinnovabili sono una cosa e l’energia nucleare è un’altra. Non cercate di fare di tutta l’erba un fascio, né di usare le fonti di energia rinnovabili come grande cortina dietro cui nascondere la verità, ovvero che gran parte dei cittadini europei nutre riserve o si oppone all’uso dell’energia nucleare. Questo non si può far sparire con una bacchetta magica.
Konrad Szymański (UEN). – (PL) Signor Presidente, l’affidabilità delle forniture energetiche all’Unione europea si riduce di mese in mese, mentre cresce la nostra dipendenza dalle importazioni di energia. L’unica cosa che possiamo permetterci di perdere in questo contesto sono i partner inaffidabili e imprevedibili. Il loro ruolo sul mercato europeo dell’energia deve essere mantenuto entro limiti sicuri.
Cogliendo di sorpresa numerosi paesi europei – ma assolutamente non tutti – la Russia ha ultimamente dimostrato di essere un partner inaffidabile. Le forniture della Russia di recente sono diventate limitate a causa delle condizioni climatiche in Siberia, della scarsa sicurezza dei gasdotti nel nord del paese e della voglia incontrollabile di usare l’energia come mezzo per esercitare pressioni politiche sui vicini filoccidentali.
Per questo motivo, la cooperazione nel settore dell’energia non può limitarsi ai paesi dell’Unione europea. I nostri problemi energetici hanno infatti origine al di fuori dell’Unione europea. Tuttavia, anche alcune soluzioni si trovano al di fuori dell’Unione europea, per esempio i giacimenti petroliferi norvegesi, motivo per cui non solo la politica energetica, ma anche le reti transeuropee devono trascendere i confini dell’Unione europea. Di conseguenza, una politica di vicinato rafforzata deve includere l’energia ed è per questo che la proposta polacca relativa a un patto per l’energia basato sulla solidarietà, che trascenda coraggiosamente i confini dell’Unione europea, dovrebbe essere oggetto di una più seria discussione al prossimo Vertice.
La sicurezza energetica è soprattutto una questione di politica estera e di difesa. E’ ingenuo fingere che le nuove fonti di energia o l’imposizione di restrizioni all’industria, come gli accordi sul clima, siano la soluzione. Per molto tempo le fonti di energia rinnovabili continueranno a essere un supplemento costoso delle nostre risorse energetiche. L’imposizione di restrizioni eccessivamente severe all’industria europea, spesso sulla base di ipotesi scientifiche dubbie, è un fattore che limita la nostra competitività.
PRESIDENZA DELL’ON. TRAKATELLIS Vicepresidente
Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, la caotica liberalizzazione del mercato dell’energia dell’Unione ha già causato enormi distorsioni. I buoni europei, come il Regno Unito, liberalizzano diligentemente i loro mercati, ma i cattivi europei, come la Francia e la Germania, si rifiutano di farlo.
La liberalizzazione è la causa diretta di enormi aumenti del prezzo all’ingrosso del gas nel Regno Unito. L’Unione europea ha aggiunto più di 200 sterline all’anno alla bolletta media del gas nel Regno Unito. Ora l’Unione vuole una politica energetica comune, per poter mettere le mani su ciò che rimane delle riserve britanniche di gas e petrolio. L’onorevole Chichester chiede in che modo il Consiglio e la Commissione intendano reagire agli sviluppi del mercato mondiale dell’energia e in che modo si garantiranno le forniture: è la domanda corretta, ma è rivolta alle persone sbagliate. Dovrebbe porla al governo britannico.
Il partito conservatore, nella persona dell’onorevole Chichester, sta di nuovo invitando l’Unione europea a immischiarsi in modo ancora più ampio e profondo negli affari britannici. Il Regno Unito dovrebbe seguire l’esempio della Francia e della Germania e proteggere i propri interessi nazionali e quelli dei consumatori nazionali di energia.
Alejo Vidal-Quadras Roca (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, nei prossimi giorni i capi di Stato e di governo discuteranno la possibilità di lanciare una politica energetica comune.
Sia i governi sia i cittadini hanno preso coscienza della gravità della situazione, della vulnerabilità del nostro sistema di approvvigionamento, della nostra dipendenza dalle importazioni e dell’urgente necessità di adottare misure all’altezza delle circostanze.
Il Parlamento europeo condivide pienamente le preoccupazioni dei cittadini e, per questo motivo, l’Assemblea deve trasmettere un messaggio forte e chiaro a favore dell’indipendenza energetica dell’Unione.
A tal fine, dobbiamo sostenere un mix energetico completo, con un ruolo preminente per le fonti di energia senza emissioni, come quella nucleare e quelle rinnovabili. E’ giunto il momento di prendere in seria considerazione la possibilità di investire in fonti di approvvigionamento alternative, per ridurre l’impatto di situazioni come quella creatasi di recente, con la crisi tra la Russia e l’Ucraina.
Sul versante della domanda, dobbiamo porre l’accento sul miglioramento dell’efficienza energetica a tutti i livelli di consumo e di produzione. In quest’ottica, la divulgazione di informazioni e di buone pratiche è fondamentale.
Dobbiamo adottare una ferma posizione a favore di un mercato interno dell’energia realmente libero, migliorando le infrastrutture e le interconnessioni e abbandonando una volta per tutte l’idea superata dei grandi campioni nazionali.
Siamo nel XXI secolo, in un’Unione europea sempre più integrata, e non è il momento di fare passi indietro. A scanso di equivoci: il protezionismo non solo danneggia le nostre economie e la nostra competitività, ma danneggia anche e soprattutto i consumatori. In un mondo globalizzato i giganti nazionali sono nani nel contesto mondiale e a poco servono i discorsi europeisti, se, nel momento in cui si devono prendere decisioni, alle parole non seguono azioni concrete.
Concludo, signor Presidente, invitando il Consiglio a non lasciarsi sfuggire questa opportunità.
Reino Paasilinna (PSE). – (FI) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, siamo in mezzo a una crisi energetica persistente. Il motivo è ovvio: il divario tra consumo e offerta è così stretto che qualsiasi cosa può far salire i prezzi. Possono aumentare, per esempio, in conseguenza di un uragano dall’altra parte dell’oceano, e di molte altre cose.
Abbiamo una buona soluzione per questo problema: la cooperazione energetica all’interno dell’Unione. Tuttavia, tale cooperazione è impedita da un “moto di antisolidarietà” da parte di alcuni Stati membri, che di fatto si è sviluppato tra i membri fondatori. Non permettono la concorrenza all’interno dei loro confini, ma acquistano imprese energetiche in altri paesi utilizzando questo denaro inattivo. In tal modo non si ottiene nulla. Lo hanno fatto anche nel settore delle telecomunicazioni, quando si è trattato di liberalizzare tali mercati. Di conseguenza, abbiamo avuto di nuovo acquirenti stranieri.
Se nell’Unione europea non dimostriamo solidarietà, possiamo dimenticarci le soluzioni energetiche discusse in questa sede. Una condizione per una politica energetica comune è avere obiettivi comuni, che i nostri leader si impegnino a realizzare, non semplicemente a sfruttare, come avviene ora.
In che modo ottenere questo obiettivo? Propongo che la Finlandia organizzi un Vertice sull’energia, in cui i capi di governo possano definire un modus operandi. Potremo così prendere una direzione che ci allontani da una situazione di costante vulnerabilità alle crisi. La Finlandia potrebbe organizzare la riunione a titolo di favore, soprattutto perché la questione dell’energia russa riveste grande importanza per il paese, aspetto cui hanno alluso molti deputati. Abbiamo una lunga esperienza in questo campo. Il dialogo sull’energia con la Russia, che ha compiuto ben pochi progressi ed è quasi segreto, dato che il Consiglio raramente vi prende parte, potrebbe essere legato al Vertice. Si potrebbero così prendere due piccioni con una fava e rafforzare la solidarietà.
Fiona Hall (ALDE). – (EN) Signor Presidente, sono lieta che la risoluzione comune sia equilibrata e non una reazione impulsiva. L’energia è balzata in cima all’agenda politica, ma le iniziative geopolitiche sono solo un modo di affrontare il problema della sicurezza di approvvigionamento. La strada da seguire si trova ancora in gran parte in casa nostra. Dobbiamo affrontare il lato dell’equazione relativo alla domanda, compiendo sforzi concreti per attuare misure in materia di efficienza energetica e sviluppando fonti interne di energia, in particolare quelle rinnovabili. Ciò è evidenziato nei paragrafi relativi alle fonti di energia sostenibili e ampliato da diversi emendamenti che noi del gruppo ALDE intendiamo sostenere.
Anche per quanto riguarda l’approvvigionamento di gas gran parte della risposta si trova vicino a casa. I grandi utilizzatori industriali nel nord-est dell’Inghilterra hanno dovuto lottare per ottenere forniture di gas persino a prezzi gonfiati, perché il mercato semplicemente non funziona. Il Consiglio di primavera domani deve avere coraggio e denunciare gli Stati membri che non hanno aperto i loro mercati del gas.
Diamanto Manolakou (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, l’approvvigionamento energetico e l’uso di tutte le fonti di energia sono una scelta politica che deve mirare a un’impostazione combinata riguardo a tutte le esigenze di base, per esempio ridurre la dipendenza energetica, promuovere il risparmio energetico, assicurare la sicurezza ai cittadini, proteggere l’ambiente e salvaguardare i prodotti energetici come bene sociale, non commerciale.
L’Unione europea promuove la politica di liberalizzazione sacrificando il soddisfacimento delle esigenze di base sull’altare della redditività degli investitori privati. Il Libro verde rientra in questo quadro di competitività e dell’antidemocratica strategia di Lisbona, e addirittura usa le fonti di energia rinnovabili come veicolo per introdurre il capitale privato nel settore dell’energia. Il riferimento alla protezione dell’ambiente è ipocrita e nasconde gli obiettivi spirituali dell’Unione europea riguardanti l’accelerazione della liberalizzazione, la promozione dei relativi prodotti comunitari e la limitazione della dipendenza dai carburanti importati.
Una soluzione potrebbe essere fornita da un’agenzia unica per l’energia, che appartenga al popolo e operi nel quadro di un’economia con mezzi di produzione di base nazionalizzati. Ciò risponderebbe alle questioni cruciali e assicurerebbe che l’energia sia un bene sociale e non commerciale.
Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). – (PL) Signor Presidente, la Polonia è particolarmente vulnerabile alle politiche che sfruttano le forniture di gas naturale e di petrolio greggio quale mezzo per esercitare pressioni politiche. Politiche del genere sono attuate dal principale fornitore di tali combustibili, la Russia. Questo è il motivo alla base dell’iniziativa del governo polacco, presentata alle Istituzioni europee, che potrebbe permetterci di trovare una soluzione al problema della sicurezza energetica sulla base del principio “uno per tutti, tutti per uno”, in altre parole il principio di solidarietà. Purtroppo, l’iniziativa è stata accolta con freddezza dagli Stati membri più grandi, in quanto gran parte di essi tenta di imporre soluzioni a proprio vantaggio, anche se a spese di altri Stati membri.
Un esempio perfetto di tale politica è la costruzione del gasdotto del Nord Europa attraverso il Mar Baltico, in seguito a un accordo concluso tra la Russia e la Germania. Sebbene tale progetto rafforzi notevolmente la sicurezza energetica futura della Germania, esso minaccia gli interessi economici e la sicurezza energetica di paesi come la Polonia, la Lituania, la Lettonia, l’Estonia e altri al di fuori dell’Unione europea, come l’Ucraina.
E’ quindi necessaria un’azione concertata da parte degli Stati membri, in altre parole una politica energetica comune. Questo è il motivo per cui l’iniziativa polacca cui ho accennato merita una seria discussione.
Elmar Brok (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, non vorrei parlare di politica energetica in quanto tale, ma di azioni di politica estera e di sicurezza ad essa associate. Alla luce del fatto che quest’inverno la Russia – a quanto sembra – ha usato l’energia come arma politica, e considerata la situazione in Medio Oriente, dobbiamo comprendere che la questione della sicurezza dell’approvvigionamento energetico è estremamente problematica, più di quanto non lo sia stata per molto tempo. Per questo motivo, dobbiamo sviluppare e attuare diverse misure in stretta cooperazione tra la commissione per gli affari esteri e la sua commissione, onorevole Chichester. Per esempio, dobbiamo invitare la Russia ad adottare infine la Carta sull’energia e a ratificarla, al fine di garantire la sicurezza energetica.
Dobbiamo chiarire – attraverso misure di politica estera, ma anche tramite la promozione della concorrenza – che deve esistere una differenza di proprietà tra i produttori e i fornitori cui appartengono i gasdotti, onde evitare, per esempio, che Gazprom abbia ancora più possibilità non solo di essere il maggiore produttore, ma di controllare anche la catena dell’approvvigionamento e quindi avere tutti gli assi nella manica.
A mio parere, dobbiamo lavorare in più stretta cooperazione con l’Ucraina e con il Caucaso meridionale per modernizzare e sviluppare le reti nel settore dell’energia. In particolare, tuttavia, ritengo si debba creare una rete all’interno dell’Unione europea: una rete che non sia mirata contro qualcuno, che non sia una “NATO dell’energia”, ma sia invece una rete interna atta a garantire che, se qualcuno volesse escludere un paese, tale paese sarebbe automaticamente rifornito da tutti gli altri. Perché in tal caso non vi sarebbero esclusioni? Perché sarebbe troppo costoso per il paese fornitore, soprattutto perché dovrebbe rinunciare alle sue entrate.
Ritengo che le clausole di solidarietà sulla falsariga del Trattato NATO non siano la soluzione corretta: dobbiamo creare una rete di solidarietà che non sia mirata contro altri e dobbiamo organizzare concretamente la solidarietà interna attraverso tale rete.
Vorrei quindi dire, in particolare, che la decisione del precedente governo tedesco di costruire il gasdotto sotto il Mar Baltico, aggirando la Polonia e gli Stati baltici, è stata una cattiva decisione. Come esempio della rete cui accennavo, dobbiamo assicurare che esistano diramazioni, per esempio verso la Polonia, in modo da garantire la sicurezza. Esaminiamo la situazione dei paesi baltici: anch’essi devono poter contare su un approvvigionamento energetico sicuro, qualora la Russia dovesse interrompere le sue forniture. Dobbiamo risolvere la questione anche al nostro interno; è un aspetto che dovremo discutere.
Mechtild Rothe (PSE). – (DE) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare il Sottosegretario Winkler e il Commissario Piebalgs per i loro contributi. Concordo con voi sul fatto che è assolutamente essenziale adottare una vera e propria politica energetica comune.
La questione non è se, ma come possiamo realizzare una politica energetica europea che risponda agli obiettivi di sicurezza dell’approvvigionamento, competitività e sostenibilità. Parte della risposta – come hanno già detto alcuni oratori – è un mercato interno dell’energia con una concorrenza realmente leale, e sappiamo che siamo ancora ben lontani dal conseguire questo obiettivo. In realtà mi aspettavo una dichiarazione un po’ più chiara da voi al riguardo. (Posso solo chiedere come mai l’orologio è fermo? Non riesco a capire quanto tempo mi resta.)
Avete entrambi sottolineato la necessità di sviluppare ulteriormente le energie rinnovabili. Sono totalmente d’accordo. Al tempo stesso, tuttavia, speravo che avreste presentato proposte più specifiche. Come sapete, al momento abbiamo obiettivi solo fino al 2010: obiettivi per l’elettricità, per i biocarburanti e per l’energia nel suo insieme. Sapete anche che il Parlamento europeo ha chiesto un obiettivo del 20 per cento entro il 2020.
Il Libro verde della Commissione s’interroga sulla necessità di fissare nuovi obiettivi. Se sono bene informata, il Consiglio sta discutendo un nuovo obiettivo del 15 per centro per il 2015, che è un chiaro passo indietro. Sarebbe più importante accertare che si possa conseguire il nostro obiettivo per il 2010: il 12 per cento del consumo totale di energia prodotto da fonti rinnovabili. E’ quindi molto importante e necessario che si realizzi ciò che lei, Commissario Piebalgs, ha annunciato al Parlamento, cioè che sia presentata una proposta di direttiva riguardante il riscaldamento e il raffreddamento mediante fonti di energia rinnovabili, perché è proprio in questo ambito che esistono carenze.
Ciò è della massima importanza per compiere progressi in materia di sicurezza energetica. L’esempio della Germania è molto chiaro: l’eliminazione graduale dell’energia nucleare in Germania significa che entro il 2010 si dovranno sostituire 33 miliardi di kWh. Secondo le previsioni attuali, nel 2010 51 miliardi di kWh saranno prodotti mediante fonti energetiche rinnovabili. Finora la realtà ha sempre superato le previsioni per quanto riguarda le energie rinnovabili.
A coloro che affermano che l’energia atomica riveste estrema importanza dico quindi: abbiamo la possibilità di sostituire questa fonte di energia. E’ anche necessario farlo, perché è una fonte non rinnovabile e perché per l’uranio dipendiamo totalmente dalle importazioni. E’ altresì indispensabile promuovere l’efficienza energetica. Lo avete affermato entrambi e sinceramente mi auguro, Commissario Piebalgs, che il piano per l’efficienza energetica che intende presentare sia davvero ambizioso.
Patrizia Toia (ALDE). – Signor Presidente, onorevole colleghi, è davvero tempo per l’Europa di avere una strategia complessa e completa per l’energia nella quale chiediamo, signor Commissario e signor rappresentante del Consiglio, che il Parlamento abbia un ruolo centrale. Essenziale in questa strategia è la creazione di un mercato unico europeo e una conseguente politica comunitaria.
La liberalizzazione oggi è avvenuta nei singoli mercati nazionali, ma questo non basta, in campo energetico alcuni paesi hanno superato la logica dei monopoli, altri non lo hanno fatto. Se ci limitiamo solo a chiedere il completamento dei singoli mercati nazionali avremo come risultato un mercato europeo asimmetrico e dunque debole: debole al suo interno, cioè incapace di correggere quelle distorsioni a noi ben note, quei limiti che sono analizzati anche nelle nostre relazioni; debole all’esterno, perché incapace di avere una forza contrattuale verso i paesi consumatori; si profila inoltre il grave rischio che diventi vittima, come dice un emendamento della nostra risoluzione, di nuovi oligopoli che si possono formare tra aree produttrici del mondo.
Secondo punto essenziale: nel mix di energia che dobbiamo realizzare, occorre definire, oltre alle scelte nazionali, obiettivi e indicatori di riferimento conseguenti europei, risparmio energetico, efficienza. Ci aspettavamo dal Consiglio più coraggio nelle scelte degli obiettivi e infrastrutture oltre che una politica della ricerca. Questi sono obiettivi europei di una politica comunitaria dell’energia.
Jerzy Buzek (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, dopo le osservazioni politiche fatte dagli oratori precedenti, vorrei affrontare un paio di aspetti tecnici. In Europa le crisi energetiche emergono sempre a causa di una carenza di offerta di due fonti di energia, il gas e il petrolio. Non siamo autosufficienti per tali combustibili, il che ci lascia due alternative. La prima è creare più fonti energetiche interne europee e la seconda è diversificare le forniture.
Creare più energia interna richiede soprattutto ricerca e sviluppo, maggiore efficienza energetica e più energie rinnovabili. Dimentichiamo che l’Europa dispone di vaste riserve di lignite e carbone fossile. Non riesco a capire perché le tecnologie pulite del carbone siano state totalmente ignorate nella nostra risoluzione parlamentare. Altri conducono programmi commerciali e di ricerca in questo campo da anni. L’energia nucleare è un’altra necessità, soprattutto con la minaccia dell’effetto serra. Più risorse per la ricerca e per le nuove tecnologie devono essere una chiara richiesta del Parlamento europeo.
La seconda questione che vorrei affrontare è la diversificazione delle forniture. Non abbiamo ancora fatto uso delle vaste risorse di uno dei nostri vicini, l’Ucraina. Ieri sera, non lontano da qui, a Solvay, il governo ucraino ha fornito una descrizione del potenziale del paese: le più grandi riserve di gas naturale in Europa e gasdotti e oleodotti di transito dal Turkmenistan al Mar Caspio, indipendenti da Gazprom. Tutto ciò potrebbe essere oggetto di cooperazione tra l’Unione europea e l’Ucraina. Questo significa lasciare i gasdotti ucraini in mano agli ucraini. Richiede investimenti, costruzione e riparazione di condutture e noi, l’Unione europea, dobbiamo aiutare l’Ucraina a compiere questi sforzi. Abbiamo la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, le reti transeuropee e una politica di vicinato rafforzata a nostra disposizione per farlo. Rafforzeremmo la nostra sicurezza, dimostreremmo maggiore solidarietà e avremmo una solida base per una politica energetica comune per l’Unione europea.
Adam Gierek (PSE). – (PL) Signor Presidente, la politica energetica dell’Unione ha due dimensioni: la dimensione esterna o geopolitica, e la dimensione interna, perché sicurezza energetica significa anche uso razionale dell’energia.
Al momento, l’Europa deve organizzare il suo potenziale energetico e migliorarne l’uso incrementando l’efficienza termodinamica. Alcuni esempi del modo in cui realizzare questo obiettivo sono i moderni isolamenti termici degli edifici e di altre strutture, la modernizzazione e l’uso più diffuso di fonti diversificate di riscaldamento ed elettricità, in particolare nei nuovi Stati membri dell’Unione, che dispongono di un vasto potenziale di cogenerazione e di conservazione dell’energia, nonché l’uso ragionevole delle fonti energetiche rinnovabili, soprattutto la biomassa. Al tempo stesso, tuttavia, ritengo che utilizzare la biomassa per generare elettricità sia un errore.
Costruendo reti transfrontaliere, l’Unione europea allargata può utilizzare le notevoli differenze di fuso orario tra i suoi confini orientali e occidentali per alleggerire i picchi di carico sulle reti dell’elettricità e potrebbe persino sfruttare le differenze di temperatura stagionali lungo l’asse nord-sud.
Anche l’energia utilizzata per generare reddito nazionale deve essere ulteriormente ridotta, il che deve trovare espressione nella politica doganale. E’ quindi incomprensibile che si imponga un dazio doganale del 6 per cento sull’alluminio primario ad alta intensità energetica. Importare tale alluminio equivale a importare energia, che l’Unione europea quindi risparmierebbe.
Herbert Reul (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, ho l’impressione che la nuova situazione creatasi all’inizio dell’anno abbia chiarito a tutti che l’energia è importante non solo per lo sviluppo economico in Europa. E’ anche sempre più evidente che siamo a corto di energia e che si stanno sviluppando dipendenze politiche a un livello ovviamente imprevisto da gran parte della società.
Tuttavia, questa crisi ci offre anche un’opportunità enorme, in quanto stiamo infine discutendo i problemi energetici in modo oggettivo e ragionevole e potremmo riuscire a scendere dal pero, lasciarci alle spalle i vecchi conflitti e smettere di sciorinare dogmi. Ciò significa tuttavia – e da questo punto di vista ho molti quesiti sulle proposte della Commissione – che dobbiamo essere obiettivi e fare il punto della situazione. Come stanno le cose, quali opportunità esistono, di quante risorse disponiamo, dove le recuperiamo, quali sono i rischi, qual è il potenziale? Sono praticamente sicuro che non troveremo una risposta che prevede un’unica soluzione. Non sarà così, non lo è mai stato. Dobbiamo tuttavia sforzarci di discutere insieme tutte le questioni in modo aperto e trovare soluzioni generali.
Non possiamo, come ha appena affermato il collega polacco, fare a meno delle attuali risorse di carbone, è fuori dubbio. Dobbiamo studiare un modo pulito in cui utilizzarle, ma non possiamo assolutamente farne a meno. Non possiamo ignorare alcuna fonte potenziale, comprese quelle rinnovabili. Tuttavia, dobbiamo anche essere abbastanza onesti da riconoscere che il loro potenziale è limitato e che esse non risolveranno i nostri problemi di approvvigionamento. Di conseguenza, ritengo anche che non si possa eludere il fatto che, onestamente, non possiamo fare a meno dell’energia nucleare. Il nostro motto non può essere “no carbone, no nucleare, tutto deve essere senza emissioni di CO2 e rispettoso dell’ambiente”.
A mio parere, dobbiamo smettere di discutere sulla base di sogni e dogmi. E’ necessario condurre un dibattito realistico e ragionevole. Abbiamo il dovere di assicurare che i nostri figli continuino ad avere energia in futuro, e in quantità sufficiente, perché è una condizione fondamentale per la prosperità dei nostri paesi in Europa.
Considero inoltre immorale acquistare tutto il potenziale energetico del mondo, perché abbiamo le risorse per farlo, e magari lasciare i paesi privi di risorse – intendo i paesi in via di sviluppo – allo stremo delle forze. Abbiamo anche l’obbligo di utilizzare le tecnologie moderne. L’uso dell’energia nucleare è per noi un obbligo morale.
Katerina Batzeli (PSE). – (EL) Signor Presidente, non vi sono più dubbi in merito all’importanza delle sovvenzioni comunitarie a favore di nuove tecnologie a risparmio energetico per le fonti di energia rinnovabili. Inoltre, promuovendo la diversificazione delle fonti di energia, compresa quella eolica e solare, e dei paesi d’origine e di transito, contribuiremo a creare nuove condizioni favorevoli allo sviluppo, all’occupazione e al rafforzamento dello sviluppo sostenibile.
In questo contesto, vorrei anche evidenziare e sottolineare la necessità di sostenere la produzione di biomassa, elaborando piani d’azione nazionali che salvaguardino la sicurezza economica e imprenditoriale e la fiducia di investitori e produttori e, al tempo stesso, offrano uno sbocco per la produzione agricola. Va altresì rilevato che l’armonizzazione del mercato interno nel settore dell’energia dovrebbe mirare a proteggere i consumatori e non imporre loro altri costi. Queste sono politiche che non possono essere salvaguardate dall’intervento di concentrazioni oligopolistiche.
Infine, per quanto riguarda il rafforzamento degli investimenti in nuove forme di energia più rispettose dell’ambiente, vorrei dire che se ne può ottenere la promozione tramite una tassa ecologica, una tassa in cui l’energia nucleare non sia e non possa essere inclusa.
Signor Presidente, signor Commissario, in tutte le epoche, e persino ora, i grandi conflitti sono scoppiati per due motivi: in primo luogo per l’energia e in secondo luogo per l’acqua. L’Europa deve tenere testa a questo problema internazionale e farvi fronte con politiche stabili.
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, la sicurezza energetica e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento quest’anno sono drammaticamente balzate in cima all’agenda politica, in seguito all’uso dell’“arma gas” da parte di Gazprom contro l’Ucraina e la Moldavia nel periodo di Capodanno. Non si tratta più di una questione tecnica d’interesse esclusivo dei tecnocrati; essa rientra ora tanto nella PESC quanto nelle competenze dei ministri dell’Energia.
In veste di relatore per la politica europea di vicinato, sapevo bene che molti paesi aderenti – per esempio l’Algeria e l’Azerbaigian – sono produttori di petrolio e di gas e altri paesi sono fondamentali in termini di sistemi di condutture per il trasporto di combustibili verso l’Europa occidentale, come l’Ucraina. Ho più volte sostenuto la necessità dell’adesione di un Kazakistan stabile alla politica europea di vicinato, in quanto tale paese è fortemente interessato a scongiurare il rischio di un dominio economico e politico da parte della Russia e della Cina e di fatto potrebbe fornire all’Unione europea non solo petrolio e gas, ma anche uranio, perché dovremo inevitabilmente costruire altri reattori nucleari per rispettare gli obiettivi di Kyoto e non dipendere eccessivamente da regioni instabili del mondo – quali il Medio Oriente, il Venezuela o la Nigeria, per citarne solo alcuni – per i combustibili fossili.
Rispetto la volontà dei paesi contrari al nucleare, come l’Austria e l’Irlanda, ma ritengo che le nuove tecnologie, come la trasmutazione, un giorno risolveranno le preoccupazioni dei cittadini in merito ai rifiuti fortemente radioattivi a lungo termine.
Ovviamente, anche gli Stati membri hanno molto da fare – preferibilmente tramite la cooperazione intergovernativa – per promuovere una maggiore efficienza energetica, sviluppare più tecnologie nel campo delle energie rinnovabili, ma anche per interconnettere le loro reti dell’elettricità in un sistema paneuropeo, che faccia scendere i prezzi e permetta di disporre di capacità di riserva. E’ altresì necessario collegare i gasdotti e gli oleodotti esistenti tra gli Stati membri dell’Unione. La Spagna sembra essere praticamente autosufficiente, ma è isolata in questo contesto, e i paesi baltici dipendono troppo dalle connessioni con la Russia, ma hanno ora deciso, il che torna a loro merito, di condividere tra loro una nuova centrale nucleare.
Sono anche convinto che si debba incoraggiare la Russia ad aderire alla Carta sull’energia, al fine di impedirle di negare ai paesi terzi l’uso dei suoi gasdotti. Sussiste inoltre una chiara lacuna, in quanto l’Agenzia internazionale per l’energia prevede solo riserve strategiche di petrolio, ma non di gas. Sembra che alcuni Stati membri dell’Unione europea non dispongano affatto di riserve.
Toomas Hendrik Ilves (PSE). – (ET) Innanzi tutto, vorrei ricordare a tutti noi il motivo per cui la questione è discussa oggi in Aula. All’inizio dell’anno, la controversia sul gas tra l’Ucraina e la Russia ha rivelato la vulnerabilità del sistema energetico europeo e, aspetto più importante, che l’energia può essere usata come strumento politico estremamente potente.
La controversia sul gas tra Ucraina e Russia ha dimostrato che se un paese ha un leader adeguato, come il Presidente Lukashenko, esso ottiene energia a basso prezzo dalla Russia. Se la linea adottata da un paese non piace alla Russia, come nel caso dell’Ucraina, esso non ottiene energia a basso prezzo. Questa politica ha avuto ripercussioni sull’intero sistema energetico europeo.
Finché l’Unione europea non avrà una politica energetica comune, e finché ogni Stato membro o capo di governo tenterà di assicurarsi il miglior accordo possibile con un’impresa di un grande paese al di fuori dell’Unione europea, rimarremo dipendenti e vittime di accordi conclusi di nascosto.
L’Europa ha bisogno di una politica energetica comune proprio come ha bisogno della nostra politica commerciale comune, che rende l’Unione europea estremamente efficace nei negoziati. Immaginate la situazione in cui si troverebbero la Germania o la Francia, per non parlare del mio piccolo paese, l’Estonia, se dovessero negoziare individualmente con gli Stati Uniti o con la Cina in sede di OMC. Le circostanze attuali, tuttavia, in cui ogni paese è responsabile del proprio approvvigionamento energetico e conclude accordi bilaterali, non sono diverse da tale situazione.
Inoltre, resta il fatto che i due gasdotti che dovranno essere costruiti tra la Russia e la Cina potrebbero compromettere del tutto le forniture.
Se dovete alla banca 100 000 euro, siete di proprietà della banca. Se alla banca dovete invece 100 milioni di euro, la banca è di vostra proprietà. Lo stesso vale per l’energia. Con una politica energetica divisa, dipendiamo dai capricci politici del monopolio di Stato di un paese. Una politica energetica comune, invece, sarebbe decisa dall’Europa stessa.
Ján Hudacký (PPE-DE). – (SK) Per quanto riguarda la strategia geopolitica dell’Unione, vorrei segnalare il fatto importante (seppur ben noto) che la maggioranza dei nuovi Stati membri dipende totalmente dalla Russia per le forniture di petrolio e di gas e in questo senso si distingue da molti vecchi Stati membri, le cui forniture di combustibili sono più diversificate. In questo contesto, sono certo che non sia necessario ricordare le conseguenze negative della dipendenza subite di recente dall’Ucraina.
I nuovi Stati membri osservano la gestione delle questioni legate alla sicurezza dell’approvvigionamento di combustibili con particolare sensibilità. Nell’impeto di raggiungere i livelli di sviluppo economico dei vecchi Stati membri, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico sta diventando una questione sempre più pressante. Per quanto riguarda, in particolare, l’approvvigionamento di elettricità, diversi nuovi Stati membri hanno ereditato un mix dominato dalla generazione di energia nucleare. Personalmente, ritengo che il principio di sussidiarietà debba essere applicato allo sviluppo di questo tipo di energia. Tuttavia, non posso ignorare il principio di solidarietà, che dovrebbe permettere ai singoli Stati membri di sviluppare questo tipo di energia almeno senza essere esposti a interferenze esterne negative. Accolgo con favore l’iniziativa della Commissione volta a sostenere la ricerca in questo campo, al fine di rafforzare la sicurezza della generazione di energia nucleare, per esempio tramite la ricerca sulle tecnologie di riciclaggio o di fusione nucleare e in altri campi collegati. Devo tuttavia sottolineare che le nuove prospettive finanziarie non prevedono fondi sufficienti per questa ricerca specifica.
Il Libro verde sulla politica energetica presta maggiore attenzione alle fonti di energia rinnovabili. Non ho grandi riserve in proposito. Tuttavia, la Commissione deve agire in modo responsabile e accettare il fatto che alcuni Stati membri vorrebbero continuare a sviluppare l’energia nucleare in futuro, per due motivi in particolare. In primo luogo, il potenziale di sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili non è elevato in tali paesi e, di conseguenza, non è possibile contare sulla sostenibilità a lungo termine di queste fonti. In secondo luogo, tali paesi hanno avuto esperienze molto positive con l’energia nucleare, che è sicura, rispettosa dell’ambiente e sostenibile a lungo termine.
Eluned Morgan (PSE). – (EN) Signor Presidente, accolgo con favore la risoluzione quale riconoscimento dell’esistenza di una crisi energetica in Europa. Posso confermarlo, come eurodeputata che rappresenta il Regno Unito, dove il prezzo del gas è pari al triplo di quello applicato nei Paesi Bassi e le fabbriche sono state avvisate che potrebbero dover chiudere per un certo periodo a causa della carenza di gas. Il mercato unico europeo dell’energia non funziona. La risposta non è ritirarsi in un gretto nazionalismo, ma cooperare e far funzionare meglio il sistema. Dobbiamo sviluppare la politica energetica comune europea.
L’uragano Katrina e il recente comportamento di Gazprom/Russia sono due incidenti significativi che ci hanno forzato la mano sulla questione. In seguito alle notizie incoraggianti emerse da Hampton Court, temo vi siano state alcune manovre deludenti da parte degli Stati membri: il continuo inadempimento dell’obbligo di applicare la legislazione esistente in questo campo, la fissazione dei prezzi sul mercato dell’energia, il nuovo protezionismo e la creazione di nuovi campioni nazionali. Niente di tutto ciò è di buon auspicio per la riunione di domani, alla quale ci auguriamo di non vedere il Consiglio fare altri passi indietro.
E’ la prima volta che il Parlamento ha l’occasione di formulare osservazioni sul Libro verde. La nostra prima reazione è di delusione: non sono previsti nuovi obiettivi né proposte concrete per definire una politica energetica comune. Non avete alcuna possibilità di ottenere investimenti per mille miliardi di euro senza una maggiore pianificazione a lungo termine.
Il Libro verde elude completamente la questione dei trasporti e dell’aviazione e il loro contributo al dibattito sull’energia. Richiede molto lavoro da parte del Parlamento. Mi auguro che riusciremo a cooperare in questo campo e che non sia necessario un terzo incidente grave perché gli Stati membri comprendano che è necessario agire al riguardo.
Vytautas Landsbergis (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, la sicurezza dell’approvvigionamento come formula per un problema reale deve prevedere casi concreti di insicurezza, che dovrebbero anche essere specificamente elencati. Si devono adottare misure idonee a far fronte alla situazione, anche in caso di bombardamento dei gasdotti o delle linee per la trasmissione dell’elettricità. Entrambi i problemi hanno colpito di recente la Georgia, dove nessuno ha avuto dubbi sulle motivazioni politiche sottese a tali azioni. Anche alcuni tipi di catastrofi naturali possono interrompere le forniture. Il documento sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico in Europa non menziona il grado di preparazione dell’Europa a tali calamità, per non parlare di eventuali colpi di testa che influiscono sulle forniture. Un potenziale aggressore, se intende usare l’energia come arma, può essere fermato solo dalla consapevolezza che la sua azione non porta alcun vantaggio politico, ma solo svantaggi per se stesso, mentre lo Stato colpito è immediatamente assistito e compensato dalle azioni di solidarietà reciproca dell’Unione.
E’ su questo punto, trascurato dalla risoluzione, che dobbiamo lavorare senza indugio. Poiché stiamo ora discutendo la sicurezza rispetto all’insicurezza, esiste anche un’insicurezza ambientale reale per quanto riguarda la costruzione di un gasdotto e l’approvvigionamento dell’Occidente attraverso condutture molto vulnerabili sul fondo del Mar Baltico. Si mantiene uno strano silenzio sulle bombe chimiche e le bombe della Seconda guerra mondiale che giacciono in grandi quantità e arrugginiscono in attesa del loro Armageddon.
Con lo scorrere del tempo, quest’opera meccanica di costruzione di gasdotti può procedere sempre più veloce verso un enorme disastro. Chi ne risentirebbe? Nessuno, se non alcune piccole nazioni senza importanza sulla costa orientale del Mar Baltico. Chi fornisce garanzie alle nazioni baltiche sia per l’energia sia per la sopravvivenza biologica? La Germania? I Commissari dell’Unione divisa? Abbiamo il diritto di attenderci politiche adeguate e garanzie europee concrete. Solo così l’Europa avrà motivo di usare la parola solidarietà.
Gunnar Hökmark (PPE-DE). – (SV) Signor Presidente, per quanto riguarda il nostro compito comune europeo in materia di politica energetica, vi sono due aspetti che è importante definire e che ritengo debbano essere chiariti.
Il primo è che uno dei nostri compiti comuni più ovvi è garantire il buon funzionamento del mercato interno, per il quale esistono ormai numerosi ostacoli. Dobbiamo fare tutto il possibile, dal garantire che le imprese possano crescere insieme attraverso i confini all’assicurare che il mercato interno possa funzionare sia in termini giuridici sia dal punto di vista tecnico.
Abbiamo bisogno di reti comuni, perché offrono la possibilità di conseguire numerosi obiettivi condivisi. Tramite le reti comuni si ottengono più concorrenza e prezzi più moderati. Per consentire lo sviluppo dei combustibili rinnovabili, abbiamo bisogno di un mercato più vasto in cui immetterli e svilupparli a livello commerciale. Tramite le reti comuni possiamo ridurre la nostra vulnerabilità e, al tempo stesso, abbiamo la possibilità di garantire l’accesso a un’elettricità sicura e a prezzi contenuti.
Il secondo compito comune riguardante la politica energetica ovviamente riguarda questioni rientranti sia nella politica estera sia nella politica commerciale. Anche in questi settori ritengo che, per quanto riguarda la solidarietà tra i nostri paesi, sia fondamentale disporre di reti comuni. Possiamo parlare di solidarietà e di clausole di solidarietà quanto vogliamo, ma, sostanzialmente, soltanto attraverso le reti comuni paesi come l’Estonia, la Lettonia e la Lituania – o qualsiasi altro paese esposto a ricatti politici – potranno riuscire a ottenere solidarietà nella pratica. Tale solidarietà diventerà quindi una realtà, non solo un insieme di obiettivi politici.
Nella politica estera e nella politica commerciale, la cooperazione con la Russia dovrà basarsi su condizioni chiare e trasparenti che disciplinino gli scambi e la distribuzione. L’Unione deve sostenere una politica che induca la Russia a impegnarsi a fornire energia in condizioni sicure a ogni Stato membro. In tal modo, otterremo una politica energetica proficua, la solidarietà e un’Europa migliore.
Peter Liese (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, l’Europa dipende troppo dai combustibili fossili. Le ultime settimane hanno reso più che mai evidente che la situazione deve cambiare. I prezzi aumentano drasticamente per le imprese e per i consumatori privati. Non esiste una reale sicurezza dell’approvvigionamento, né alcuna garanzia che le nostre attuali forniture di energia siano sostenibili in termini climatici. Stamattina l’onorevole Morgan ha parlato di Katrina. Vi è stata un’intera serie di altri uragani e gli scienziati ci dicono che è molto probabile che si tratti di un sintomo del cambiamento climatico.
Questo è il motivo per cui dobbiamo ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili. Ritengo che tre elementi siano decisivi. Il primo è l’energia nucleare: non dobbiamo chiudere le centrali nucleari sicure solo per motivi politici. Sostengo quindi l’adozione dell’emendamento proposto dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei su questo aspetto. E’ deplorevole che il Cancelliere tedesco Merkel non lo abbia affermato nel suo discorso stamattina, perché facciamo parte di una coalizione con i socialdemocratici, ma sono lieto che i socialdemocratici in seno al Parlamento europeo comincino a riesaminare la questione; forse tra un anno il Cancelliere Merkel potrà difendere l’energia nucleare a nome dell’intero governo federale.
Il Cancelliere tedesco e tutti noi possiamo sostenere diversi altri aspetti, e la stessa Angela Merkel lo farà nel suo discorso principale al Vertice di domani: abbiamo bisogno di efficienza energetica. L’energia è sprecata in Europa e non possiamo continuare a permetterlo. E’ necessaria un’efficiente espansione delle energie rinnovabili. E’ indispensabile utilizzare più energie rinnovabili, ma dobbiamo farlo senza sovvenzioni a lungo termine. Vorrei quindi segnalare ancora una volta la richiesta dell’Assemblea di una direttiva concernente il riscaldamento e il raffreddamento. E’ un ambito che presenta un potenziale enorme e in cui i costi sono relativamente bassi e dovremmo quindi passare rapidamente alla fase di realizzazione.
Sostengo la risoluzione perché contiene queste richieste e perché incoraggia la Commissione e il Consiglio ad agire rapidamente in questo campo.
Renato Brunetta (PPE-DE). – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, per costituire una politica d’energia comune la Commissione deve innanzitutto portare a termine la liberalizzazione del mercato del gas e dell’elettricità. Basta con le asimmetrie, basta con i furbi. La Commissione deve contrastare tutte le misure intese a bloccare la libera circolazione dei capitali, evitando tutte le forme di distorsione della concorrenza causate dal supporto protezionistico dei governi ai campioni nazionali, ne va della sua stessa credibilità, signor Commissario.
L’energia, come si sa, è al tempo stesso una fattore di produzione e un bene di consumo, entrambi essenziali per lo sviluppo della nostra economia e per mantenere standard di vita elevati. La politica energetica comune, assieme ad una politica estera comune, sono gli strumenti per perseguire questi obiettivi nell’Europa allargata. Questo è il punto politico, ne saremo capaci?
L’Europa è divisa su due fronti: chi ha fiducia nella Russia e chi è ipercritico nei suoi confronti, anche se dipende quasi esclusivamente dalle sue risorse energetiche. Nel mercato energetico europeo la Russia è un fornitore inevitabile, al quale non si può tuttavia restare troppo legati. La diversificazione dell’approvvigionamento energetico è, dunque, essenziale ed è fondamentale trovare soluzioni europee nel campo dell’approvvigionamento. Insomma, dobbiamo parlare con una voce sola, ne saremo capaci?
Diversificare le risorse dell’approvvigionamento sembra una risposta obbligata, così come migliorare le reti di trasporti di energia, i gasdotti e i porti. E’ importante sviluppare una dimensione energia nella strategia e sicurezza dell’Unione europea e incrementare gli investimenti pubblici e privati nelle risorse alternative e in quelle rinnovabili. Ne saremo capaci?
Insomma una politica dell’energia come costituzione materiale della nuova Europa, è questo il messaggio da dare ai nostri cittadini, ne saremo capaci?
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, quando si sono spente le luci in California, a Torino e persino nella mia città natale, Wexford – per non parlare del recente incidente Gazprom – ci si è improvvisamente concentrati sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, che riveste importanza critica per noi dal punto di vista sia strategico sia economico, in particolare alla luce della dipendenza dalle importazioni di energia e della crescita esponenziale dei costi. Come si afferma nel recente Libro verde sulla politica energetica, se nei prossimi vent’anni non riusciremo a rendere la nostra energia interna più competitiva, le importazioni copriranno il 70 per cento del fabbisogno energetico dell’Unione contro l’attuale 50 per cento, e in gran parte proverranno da regioni minacciate da instabilità geopolitica.
Questa cifra, tuttavia, cela la dipendenza più elevata dalle importazioni di energia dei mercati periferici e geograficamente isolati, come quelli del Baltico, dell’Irlanda e di altre comunità insulari. In Irlanda, siamo passati da una dipendenza del 65 per cento dall’energia importata nel 1990 a una dipendenza odierna superiore al 90 per cento e tuttora in aumento. Le nostre fonti indigene di combustibili fossili – torba e gas naturale – sono in rapido esaurimento dal 1995, mentre la crescita record sia economica sia industriale ha fatto lievitare la domanda.
Se il mix energetico deve continuare a rimanere di competenza degli Stati membri, in un mercato unico l’attacco a uno è un attacco a tutti in termini di energia. La solidarietà all’interno dell’Unione europea sarà essenziale per garantire forniture esterne equamente distribuite, tramite il completamento di un mercato interno dell’energia competitivo e integrato. Ciò non può avvenire senza una capacità fisica supplementare, sotto forma di reti transeuropee nel settore dell’energia, che ci colleghino tutti a una rete europea.
All’interno di ogni Stato membro, la disaggregazione efficace tra le attività di rete e di fornitura di gas ed elettricità deve diventare una realtà: in Irlanda questo non è ancora avvenuto.
A livello di Unione e tramite incentivi degli Stati membri, dobbiamo mirare seriamente allo sviluppo e all’introduzione dei 21 tipi di energie rinnovabili, non ultimo alla luce dei nostri impegni in materia di cambiamento climatico. Ho l’impressione che, soprattutto per quanto riguarda i biocarburanti, non vi sia affatto mancanza di interesse: le comunità di ricerca e di investimento si muovono, ma temono di compiere un salto nel buio. Dialogo, buona volontà e interesse non sono sufficienti; abbiamo bisogno di seri catalizzatori finanziari e normativi per dare impulso alla ricerca e promuovere lo sviluppo di progetti pilota, utilizzando tecnologie rinnovabili all’avanguardia.
La separazione tra crescita economica e consumo di energia e l’intera questione della gestione della domanda non si possono ignorare. Si prevede che la domanda mondiale di energia e le emissioni di biossido di carbonio aumenteranno del 60 per cento entro il 2030. Solo aumentando le misure volte a migliorare l’efficienza energetica, possiamo ridurre la domanda di oltre il 20 per cento entro il 2020.
Signor Commissario, non aspetti che le luci si spengano di nuovo! Agiamo ora e teniamo la sicurezza energetica in cima all’agenda politica in tempo di pace.
Romana Jordan Cizelj (PPE-DE). – (SL) L’energia è fondamentale per le nostre attività ed è un elemento centrale per il nostro successo nell’attuazione delle politiche che abbiamo definito. La situazione nel settore dell’energia determinerà in larga misura il modo in cui conseguiremo gli obiettivi della strategia di Lisbona e se di fatto riusciremo a conseguirli.
Signor Commissario, lei è a conoscenza della situazione, ed è per questo che ha presentato proposte e pubblicato il Libro verde su una politica energetica comune europea all’inizio del mese. E’ ormai ora di dare risposta a questi interrogativi: come garantire forniture di energia sicure e adeguate a prezzi competitivi e al tempo stesso proteggere l’ambiente? Come formulare il nostro mix energetico in futuro? Quanto sono stabili le regioni dalle quali possiamo importare risorse energetiche? Qual è il loro costo attuale e quanto costeranno in futuro? In che modo il loro uso influisce sull’ambiente, e così via?
Le nostre risposte a tali domande devono essere una valutazione realistica del contributo delle fonti energetiche primarie nel mix energetico generale europeo e una valutazione onesta dell’efficacia delle tecnologie esistenti e del potenziale delle nuove tecnologie in evoluzione. E’ altresì necessario esaminare le risorse naturali degli Stati membri. E’ giunto il momento di abbandonare la retorica politica e affrontare la situazione reale.
In particolare, vorrei rilevare che l’energia nucleare non può e non deve essere un argomento tabù nell’arena politica europea. Al momento l’energia nucleare non produce emissioni di gas a effetto serra, ci permette di importare uranio da diversi paesi, compresi quelli politicamente stabili, e proprio per questo motivo gode di un prezzo stabile e competitivo. Le future attività di ricerca e sviluppo dovrebbero migliorarne l’efficienza, ridurre la quantità di rifiuti radioattivi e rafforzarne la sicurezza. Deve ora occupare un posto commensurato a questi fattori sia nei documenti strategici europei sia nell’adozione di misure concrete.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, la discussione di oggi era molto importante in vista del Consiglio di domani e delle intense discussioni sulla questione dell’energia che i capi di Stato e di governo vi svolgeranno e vorrei ringraziare tutti coloro che sono intervenuti. Non ho tempo per rispondere a tutto ciò che è stato affermato – sono state dette alcune cose molto importanti – e mi limiterò a trattare alcuni punti per concludere.
L’onorevole Rübig ha giustamente affermato che è necessario un dibattito più esauriente su questo problema e che tutti i settori di attività nell’Unione europea devono prestare attenzione all’energia. La Presidenza ne è consapevole e naturalmente collabora con la Commissione al riguardo; a questo punto vorrei ringraziare, in particolare, il Commissario Piebalgs per la sua cooperazione sin dalla fase iniziale. Penso sia stato il primo Commissario con cui abbiamo lavorato in stretta cooperazione e per questo gli sono molto grato.
Tuttavia, è necessario coinvolgere anche gli Stati membri, perché soltanto uno sforzo congiunto ci permetterà di conseguire il nostro obiettivo di sicurezza dell’approvvigionamento, competitività e sostenibilità, che sono i punti principali su cui deve concentrarsi la politica energetica europea.
L’Europa deve esprimere una sola voce con i paesi terzi in materia di politica energetica. Ciò è stato sottolineato da diversi oratori, tra cui l’onorevole Brunetta e l’onorevole Brok, presidente della commissione per gli affari esteri. Anche questo riveste particolare importanza ed è un compito cui dobbiamo dedicarci.
L’onorevole Goebbels e il Commissario Piebalgs hanno entrambi parlato di solidarietà. La solidarietà è realmente un fattore essenziale e domani i capi di Stato e di governo lo riconosceranno nella loro dichiarazione e nelle conclusioni che adotteranno. L’onorevole Goebbels ha chiesto una politica energetica più solidale, ed è una buona espressione.
L’onorevole Turmes ha già anticipato ciò che i capi di Stato e di governo diranno domani. Devo ammettere che io non lo so: forse altri sono meglio informati. Tuttavia, una cosa posso dire: la discussione di domani sull’energia è stata preparata in modo approfondito, anche dai ministri dell’Energia e dal Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”. Naturalmente, non conosciamo i contenuti definitivi del testo che sarà adottato dai capi di Stato e di governo, ma – posso supporre – conterrà alcuni elementi molto importanti. Non sarà una dichiarazione di interessi nazionali; anzi, domani sarà adottata una politica energetica europea. Almeno questo possiamo già dirlo.
(EN) L’onorevole Ek ha accennato alla necessità di salvaguardare la concorrenza. Vorrei ricordarvi, innanzi tutto, la discussione svolta dieci giorni fa a Strasburgo, nella quale, a nome del Consiglio e insieme con il Commissario responsabile della concorrenza, ho affermato in modo molto chiaro che siamo pienamente favorevoli e dobbiamo salvaguardare le regole di concorrenza, soprattutto nel settore dell’energia. Vorrei accennare a un breve paragrafo relativo alla politica energetica per l’Europa. Il paragrafo, che tratta esattamente ciò che lei ha chiesto, rileva che, nel realizzare i suoi obiettivi principali, la politica energetica per l’Europa dovrebbe assicurare la trasparenza e la non discriminazione dei mercati, essere coerente con le regole di concorrenza, essere coerente con gli obblighi di servizio pubblico e rispettare pienamente la sovranità degli Stati membri sulle fonti primarie di energia e sulla scelta del mix energetico.
(DE) Molto di tutto ciò è stato affermato anche in questa sede e posso solo confermarlo e sottolinearlo.
L’onorevole Rothe ha chiesto di fissare obiettivi specifici per l’espansione delle fonti di energia rinnovabili e sono totalmente d’accordo con lei. La Presidenza austriaca è molto impegnata e molto ambiziosa. Come questa discussione ha dimostrato, tuttavia, su molti punti manca l’accordo. Una politica energetica coerente e costante per l’Europa non si può costruire nel giro di una notte.
E’ importante che i capi di Stato e di governo domani diano uno stimolo significativo e che gli Stati membri, il Consiglio e la Commissione si basino quindi sui principi che saranno definiti e adottati domani per conseguire infine ciò che vogliamo: sicurezza dell’approvvigionamento, maggiore efficienza e dialogo costruttivo con i paesi terzi, al fine di garantire l’uso di energia pulita in futuro e per le generazioni future.
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, dopo una discussione tanto stimolante e interessante, vorrei prendermi la libertà di fare un intervento conclusivo un po’ più lungo del solito.
Nella situazione in cui ci troviamo oggi, di solito guarderemmo alla storia per trovarvi decisioni coraggiose prese in materia di politica energetica. Finora ne ho trovata una: è antecedente alla Prima guerra mondiale, quando Winston Churchill, che all’epoca era responsabile della Marina, decise di cambiare il carburante per la Marina britannica sostituendo al carbone – prodotto internamente in Galles – il petrolio. Interrogato sulla sicurezza, affermò che la risposta era la diversità. Ci attende una sfida altrettanto grande di quella che affrontò Churchill. Tuttavia, dobbiamo anche avere coraggio. Né l’OPEC né la Russia hanno l’asso nella nostra partita a poker. L’asso è in mano nostra.
Ritengo che, nella sfida attuale, il vantaggio più competitivo sarà che parte del mondo non solo sarà efficiente sotto il profilo energetico, ma sarà anche in grado di gestire la domanda. E’ questa la chiave del successo. Altrimenti, persino con la migliore diversificazione possibile, non saremo sostenibili. E’ una sfida fondamentale quella che dobbiamo affrontare.
La seconda importante questione è che, se in un ambiente più complesso – non un ambiente in cui si passa solo dal carbone al petrolio – vogliamo avere successo e conseguire gli obiettivi che ci siamo prefissi, dobbiamo sapere di essere in grado di conseguirli, così come siamo stati in grado di conseguire i nostri obiettivi precedenti. Questo è cruciale.
La solidarietà è estremamente importante. Tuttavia, dobbiamo tutti comprendere che, per prepararci alla solidarietà, vi sono alcuni compiti da portare a termine e vi è un prezzo da pagare. Dobbiamo essere convinti, per esempio, che il ponte energetico tra la Lituania e la Polonia non è solo una questione commerciale, ma anche di solidarietà. Va costruito, ma non sulla base di argomenti commerciali.
Ho sentito molte osservazioni scettiche sui mercati. Tuttavia, il mercato costituisce la vera forza dell’Unione europea. Vi è molta agitazione sui campioni nazionali. Tuttavia, ogni caso sarà giudicato sulla base del diritto europeo della concorrenza. Se sia necessario rafforzare il diritto è tutt’altra questione. La discussione infiamma sempre gli animi, ma il diritto sarà applicato alla lettera e la concorrenza prevarrà.
Le nuove tecnologie sono assolutamente necessarie. Il prezzo del petrolio sta di fatto stimolando lo sviluppo. Di recente ho ricevuto una proposta molto interessante relativa a superreti che riuniscono insieme molti parchi eolici offshore. Quando si incontrano i rappresentanti delle piccole e medie imprese che si occupano di energie rinnovabili e riscaldamento e si chiede loro a quali misure sarebbero favorevoli, essi affermano che i prezzi del petrolio dovrebbero attestarsi sul livello attuale. Ciò aumenta la diversità e stimola lo sviluppo tecnologico tra i nostri ricercatori. Tuttavia, questo ci riporta al fatto che saremo forti solo quanto lo è la nostra volontà. Se siamo deboli e non ci crediamo, nessun altro ci aiuterà, né la Russia né l’Arabia Saudita. Dobbiamo aiutarci da soli.
Al riguardo, ritengo che queste discussioni siano necessarie. La revisione strategica della politica energetica dell’Unione permetterà di svolgere un dibattito molto professionale e di adottare le giuste decisioni. Resto nondimeno convinto che la risposta fondamentale risieda nei nostri punti di forza in quanto Unione, ovvero la democrazia, la nostra visione delle relazioni internazionali e il mercato. Tuttavia, perché il mercato funzioni, dobbiamo garantire condizioni stabili e prevedibili per gli investimenti. Il mercato fornirà così ciò che gli viene chiesto.
Vi ringrazio molto per la discussione. Sono davvero convinto che riprenderemo il dibattito e approveremo i contenuti di una politica energetica europea.
PRESIDENZA DELL’ON. DOS SANTOS Vicepresidente
Presidente. A conclusione della discussione, comunico di aver ricevuto cinque proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento.
13. Criteri dell’Unione europea per l’imposizione della pace, in particolare nella Repubblica democratica del Congo (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca la dichiarazione del Consiglio sui criteri per l’imposizione della pace, in particolare nella Repubblica democratica del Congo.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, penso sia condivisibile da tutti che l’Unione europea si fonda sui valori e che s’impegna fortemente nella promozione di tali valori in tutto il mondo. Tale impegno comprende contributi concreti alla pace, allo sviluppo sostenibile, al rispetto dei diritti umani, alla diffusione e alla promozione della democrazia nel mondo intero.
L’Unione europea ha a disposizione una gamma di strumenti molto ampia per intervenire in tali aree, tra cui una politica commerciale e di sviluppo, iniziative diplomatiche nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune, e operazioni di gestione delle crisi civili e militari nell’ambito della politica europea in materia di sicurezza e difesa.
La nostra politica in Africa è una prova particolarmente valida dell’impiego di tali molteplici risorse. Il dibattito odierno sul coinvolgimento dell’Unione europea nella Repubblica democratica del Congo ne è un esempio particolarmente calzante. Non dobbiamo tuttavia dimenticare le altre attività in questo campo, quali le azioni a sostegno delle forze di pace AMIS II dell’Unione africana in Darfur.
La strategia complessiva per l’Africa adottata dal Consiglio europeo alla fine dello scorso anno, la “posizione comune sulla prevenzione, gestione e risoluzione dei conflitti in Africa” e il “piano d’azione per il sostegno PESD alla pace e alla sicurezza in Africa” danno all’Unione europea un’indicazione chiara: la logica conseguenza dell’impegno assunto in tali documenti a favore della pace e della sicurezza come premessa indispensabile allo sviluppo dell’Africa è l’impegno a contribuire alla risoluzione dei conflitti in Africa potenziando le capacità africane di gestione delle crisi, per mezzo, tra l’altro, di finanziamenti a titolo del Fondo per la pace in Africa e mediante opportune operazioni nell’ambito della politica europea in materia di sicurezza e difesa.
L’impegno dell’Unione europea nella Repubblica democratica del Congo riflette la vasta portata di tali ambizioni europee: la base principale delle relazioni tra l’Unione europea e la Repubblica democratica del Congo, e quindi anche dell’assistenza comunitaria per la stabilizzazione del paese, è data innanzi tutto dall’accordo di Cotonou e dai finanziamenti messi a disposizione a tale scopo dal Fondo europeo di sviluppo. A tale proposito vale la pena di citare anche i finanziamenti a titolo del Fondo per la pace cui ho accennato brevemente poc’anzi, che non sono legati direttamente all’accordo di Cotonou. Parte di questo denaro viene usato per finanziare iniziative che contribuiscono in modo molto diretto al miglioramento delle condizioni di sicurezza in Congo, ad esempio creando abitazioni adeguate per i soldati e per le loro famiglie o fornendo attrezzature moderne.
Nella Repubblica democratica del Congo, inoltre, appare chiaro che la PESD, con risorse relativamente modeste, può contribuire in modo significativo alla stabilizzazione del paese, assistendone la riforma del settore della sicurezza in ambito sia civile che militare. Vorrei citare la missione civile PESD, EUPOL Kinshasa, che di recente è stata prorogata fino al termine dell’anno. Fornisce formazione e consulenze all’unità integrata di polizia, contribuendo così ad assicurare che il mantenimento dell’ordine nella capitale Kinshasa non sia solo efficace, ma anche compatibile con i concetti di base del moderno Stato di diritto.
La missione militare PESD, EUSEC Congo, a sua volta sostiene le autorità militari congolesi nel portare avanti le necessarie riforme e la modernizzazione delle forze armate.
Sono certo che è superfluo dirvi che il lavoro del rappresentante speciale dell’Unione europea nella regione africana dei Grandi Laghi, Aldo Ajello, è estremamente importante per la stabilizzazione della situazione nella Repubblica democratica del Congo.
Vorrei dunque porre l’accento su alcune questioni che riguardano specificamente la missione in Congo. Innanzi tutto, vi sono quattro punti centrali che caratterizzano la posizione del Consiglio in merito a un’operazione di supporto alla missione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo (MONUC).
In primo luogo, l’Unione europea risponde a un’espressa richiesta da parte delle Nazioni Unite. A questo proposito confidiamo nella valutazione del Segretario generale, Kofi Annan. Senza dubbio siete consapevoli del fatto che in passato il Consiglio ha compiuto sforzi notevoli per sostenere le Nazioni Unite, e che, nell’ambito della PESD, si è intensificata la presenza dell’ONU nella regione. Certamente converrete con me che l’Unione europea, impegnata a favore del multilateralismo, è tenuta a dare un contributo efficace in quest’ambito, come auspicano anche gli Stati membri.
In secondo luogo, sia il Presidente della Repubblica democratica del Congo che i suoi Vicepresidenti sono a favore di tali azioni di sostegno. Il Consiglio supremo per la difesa ha inoltre richiesto espressamente questa missione, il che è contenuto in un comunicato stampa al riguardo. Questo dimostra che è nell’interesse della Repubblica democratica del Congo avere a disposizione ulteriori deterrenti credibili, al fine di evitare l’opzione militare. Vorrei sottolineare soprattutto che si tratta di una missione intesa a prevenire l’uso della forza, e ci auguriamo che la presenza di questo deterrente eviti l’impiego effettivo di risorse militari. Tale effetto deterrente è proficuo, anche se secondo le autorità congolesi non dovrebbe essere necessario l’utilizzo delle truppe messe a disposizione. Devono però essere disponibili. Non vediamo alcun motivo per mettere in dubbio la valutazione congolese.
In terzo luogo, la Repubblica democratica del Congo è il paese più vasto e più popolato della regione. Anche per questo motivo l’Unione europea, come sapete, è più coinvolta nel processo di transizione alla democrazia in Congo che in qualunque altro paese africano. In passato l’Unione europea ha già utilizzato la sua ampia gamma di strumenti per porre fine al conflitto e per compiere passi avanti nel processo di pace. L’Unione europea ha contribuito con 700 milioni di euro a progetti di sostegno alla transizione, di cui 200 milioni sono andati a sostegno delle sole elezioni. Ho già menzionato la missione di polizia. Come sapete, già nel 2003 abbiamo inviato una missione militare per prevenire un’escalation del conflitto nella parte orientale del paese, che minacciava i negoziati conclusivi del processo di pace e quindi l’istituzione del governo transitorio. Secondo gli Stati membri, ora è ragionevole e necessario mettere al sicuro questo precedente investimento nella pace nella Repubblica democratica del Congo, e fare in modo che lo sviluppo pacifico della democrazia proceda.
In quarto luogo, i parametri politici e militari della missione come nel caso di missioni precedenti, tra cui quelle nella Repubblica democratica del Congo vanno elaborati e stabiliti in cooperazione tra le formazioni competenti del Consiglio e i centri operativi.
Karl von Wogau, a nome del gruppo PPE-DE. (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, come abbiamo udito, le Nazioni Unite si sono rivolte all’Unione europea per invitarla a contribuire alle elezioni in Congo inviando una missione militare. Che cosa dobbiamo rispondere?
Dobbiamo tenere a mente diversi elementi. Innanzi tutto, dobbiamo chiederci se, al momento attuale, l’Unione europea dispone delle capacità necessarie a completare tale operazione. In secondo luogo dobbiamo chiederci se non abbiamo altre priorità nelle immediate vicinanze dell’Unione europea, ad esempio nei Balcani, dove il mantenimento della pace è il nostro primo e principale compito. In terzo luogo, non rischiamo di farci coinvolgere in un conflitto da cui poi non riusciremo a liberarci tempestivamente? Queste sono domande che a me, in qualità di deputato al Parlamento europeo, vengono poste ripetutamente in relazione a tale argomento.
D’altro canto, come ha affermato il Presidente in carica del Consiglio, dobbiamo riconoscere che la stabilità di questo paese nel cuore dell’Africa è interesse dell’Unione europea. Il fatto che anche l’Unione europea stessa sia coinvolta dev’essere chiaro a chiunque abbia rivolto lo sguardo a Ceuta, Melilla o Lampedusa e alle scene terribili che si sono svolte lungo queste frontiere della povertà. La stabilità in Africa va nell’interesse dell’Unione europea e dei suoi cittadini.
Dobbiamo essere consapevoli delle nostre responsabilità verso le Nazioni Unite. Ci dev’essere chiaro che la prevenzione della violenza, che rappresenta lo scopo di questa operazione, è in particolare accordo con la strategia di sicurezza dell’Unione europea. Non dobbiamo inoltre dimenticare che un gran numero di osservatori del Parlamento europeo e di altri parlamenti, sotto la guida dell’onorevole Morillon, stanno già lavorando in Congo per assicurare il regolare svolgimento delle elezioni.
Quali sono le nostre condizioni per l’intervento dell’Unione europea in Congo? Innanzi tutto, vi dev’essere un limite temporale chiaro. Un simile intervento non può avere lo scopo di stabilizzare il Congo nel suo complesso, il che è un obiettivo a lungo termine, e responsabilità delle Nazioni Unite. Per questo motivo vi sono 17 000 soldati dell’ONU in Congo. Dobbiamo concentrarci sul prestare aiuto al fine di stabilizzare le elezioni del 18 giugno.
In secondo luogo, l’avvicendamento dev’essere disciplinato in modo chiaro, spiegando come le Nazioni Unite da un lato e l’esercito congolese dall’altro riprenderanno in mano tali attività dopo il nostro intervento. Inoltre vi dev’essere un limite geografico, e dev’essere chiaro, ad esempio, che la responsabilità del Katanga e delle province orientali del Congo deve continuare a essere delle Nazioni Unite e non dell’Unione europea.
Va inoltre chiarito che questa operazione è decisamente europea. Non devono essere coinvolte solo un paio di nazioni europee, ma devono impegnarsi in questo compito più paesi. Occorre un invito formale da parte del governo transitorio. Anche in questo caso pare sussistere ancora qualche dubbio in merito alle effettive dichiarazioni ufficiali del governo del Congo.
Tuttavia occorre soprattutto un piano convincente, un piano in grado di convincere chiunque progettasse azioni di disturbo che è meglio accettare i risultati delle elezioni, incoraggiando altresì i cittadini del Congo a esercitare il diritto di voto. Sono le condizioni che permetterebbero all’Unione e al Parlamento europeo di dare l’assenso a tale missione. Ora dobbiamo, con la massima urgenza, ottenere risposte alle domande che restano ancora senza risposta.
Ana Maria Gomes, a nome del gruppo PSE. (PT) La situazione della Repubblica democratica del Congo rappresenta un’immensa sfida per noi e con “noi” intendo coloro che, all’interno dell’Unione europea, prendono in seria considerazione la “responsabilità di proteggere” sancita nel corso dell’ultimo Vertice di alto livello delle Nazioni Unite svoltosi nel settembre 2005.
Il conflitto che ha devastato la Repubblica democratica del Congo e l’intera regione dei Grandi Laghi è stato il più sanguinoso dalla Seconda guerra mondiale a questa parte. Ha già causato quattro milioni di morti, la stragrande maggioranza dei quali civili. Una pace vera e duratura nel paese è un presupposto fondamentale per la regione dei Grandi Laghi e per l’Africa centrale nel suo complesso. In questo contesto, l’ONU, che in Congo ha la più grande missione di pace della sua storia, si è rivolta all’Unione europea affinché assista lo svolgimento pacifico delle elezioni previste per il 18 giugno. Il gruppo di osservatori elettorali verrà guidato dall’onorevole Morillon, e la missione gode del sostegno dell’intero Parlamento.
Secondo il parere del gruppo socialista al Parlamento europeo, queste elezioni sono in un certo senso un momento decisivo per il Congo. Le istituzioni nate nel contesto della guerra civile dovranno essere sostituite da istituzioni elette democraticamente, oppure, com’è più probabile, il Congo resterà alla mercé di milizie sanguinarie.
Tuttavia, le elezioni e la sfida posta dalle Nazioni Unite rappresentano il momento della verità anche per l’Unione europea. La PESD si dimostrerà credibile? Possiamo contare sugli Stati membri per l’attuazione della strategia di sicurezza europea?
Vorrei sottolineare tre punti della risoluzione comune che abbiamo presentato. L’intervento va visto come parte di una soluzione temporanea al problema della stabilità interna del paese, che verrà risolto solo quando l’esercito del Congo diventerà un fattore stabilizzante. Nel corso delle recenti operazioni congolesi nella regione del Katanga è emerso che la popolazione ha ancora motivo di dubitare delle capacità delle autorità di proteggerla dalle milizie. La comunità internazionale deve indirizzare i propri sforzi verso il rafforzamento delle unità integrate di polizia già esistenti e accelerarne la creazione di nuove. A meno che non si compiano rapidi miglioramenti nel settore della sicurezza, purtroppo l’Unione europea e l’ONU in futuro potranno essere chiamate a intervenire in Congo in molte altre occasioni.
In secondo luogo, la legittimità politica della missione deve rappresentare un fattore decisivo per il suo successo. Di conseguenza, dev’essere una missione autenticamente europea, e considerandola come tale accogliamo con favore la notizia della solida partecipazione di vari Stati membri, sotto la guida della Germania, tra cui anche il mio paese, il Portogallo. Dev’essere sostenuta senza riserve anche dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Tutti i partecipanti, interni ed esterni, vanno informati del fatto che l’attuale governo congolese accoglie con favore questa missione. L’idea di questa missione implica che l’Unione europea sia sinceramente disposta a sostenere il processo elettorale, nonostante i rischi che esso comporta.
L’obiettivo primario della presenza delle forze europee è contribuire in modo visibile e credibile alla stabilità del processo elettorale congolese. Questo è ciò che le persone in Congo e in Africa si aspettano da noi.
Philippe Morillon, a nome del gruppo ALDE. (FR) Signor Presidente, Sottosegretario Winkler, ciò che sta accadendo in questo momento nella Repubblica democratica del Congo, con il sostegno della comunità internazionale e, più specificamente, dell’Unione europea, è d’importanza cruciale per il futuro di questo grande paese, che da anni è lacerato da guerre civili e contro paesi stranieri.
Il popolo congolese è oggi unito nel profondo desiderio di pace e stabilità e nell’aspirazione a una democrazia che le renda possibili. Lo ha dimostrato iscrivendosi in massa alle liste elettorali nel luglio 2005, e lo ha dimostrato a dicembre, durante il voto referendario a favore di un progetto di costituzione destinato a porre fine all’attuale periodo di transizione.
In qualità di capo della missione di osservazione di tale referendum, ho preso parte alle cerimonie che hanno accompagnato la promulgazione della costituzione, svoltesi il 18 febbraio a Kinshasa, e ho potuto sentire l’intensa emozione dei partecipanti e dell’intera nazione. E’ sorta la speranza che alla fine della fase successiva, che vedrà l’elezione di un Presidente e di un parlamento l’estate prossima, il paese riuscirà finalmente a uscire dal caos e dalla povertà che ancora dilagano. Sono in gioco gli interessi dei cittadini congolesi, gli interessi dell’intero continente africano, e quindi gli interessi dell’Europa.
Esiste tuttavia il rischio che coloro che finora hanno tratto beneficio dal caos e dalla povertà non vedano con favore il fatto che il voto li privi del potere e che siano tentati, da un lato, di usare strategie di terrore per evitare un’elezione regolare e, dall’altro, di usare la forza per contestare l’esito delle elezioni. Le condizioni di sicurezza sono assicurate dalle forze dell’ONU, schierate principalmente nelle province orientali, in cui sono ancora attive bande organizzate. In tale contesto, e al fine di rendere più sicure le prossime elezioni, l’ONU ha chiesto l’aiuto dell’Unione europea, come si è detto.
Sarà compito del Consiglio determinare la forma di tale aiuto. Appartengo al novero di coloro che credono che tale impegno varrà come forte segnale politico per qualunque potenziale elemento di disturbo e che avrà l’effetto deterrente previsto, e per questo motivo sarò tra coloro che accorderanno il proprio sostegno all’operazione.
Angelika Beer, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signor Presidente, il dibattito delle scorse settimane ha messo completamente a nudo il problema della mancanza di un indirizzo politico. Sarebbe un errore se ci limitassimo a tentare di sorvolare.
Dalla lettera del Sottosegretario generale dell’ONU Guéhenno del 27 dicembre circa l’impegno militare nella Repubblica democratica del Congo, che è giunta nel periodo delle vacanze di fine anno e ha sorpreso persino il Consiglio di sicurezza, sono trascorse 12 settimane, e tuttora le domande sono più numerose delle risposte. Vi è ancora un enorme abisso tra parole e fatti. Non siamo ancora convinti. Non sosteniamo la risoluzione comune: vorrei spiegarne il motivo.
Il gruppo Verde/Alleanza libera europea è senza dubbio favorevole a sostenere il processo di democratizzazione in Congo, ma com’è potuto accadere che la questione del coinvolgimento comunitario si sia ridotta alla presenza militare a Kinshasa e al conteggio dei soldati? Come mai ci troviamo a discutere di inviare soldati, ma non della questione di un maggior numero di osservatori elettorali comunitari? Perché non s’indaga sulle azioni nell’ambito della PESC e PESD in tutta la loro estensione? Come mai ogni giorno emergono nuove giustificazioni, quali l’interesse europeo a respingere i profughi? Vi chiedo che cos’ha a che fare tutto ciò con l’agevolare le elezioni democratiche in Congo.
Le verbose discussioni delle ultime settimane ci hanno indotto a chiederci se il previsto dispiegamento di forze militari a Kinshasa sia davvero a favore della democratizzazione o se non sia piuttosto un tentativo dell’Unione europea di salvare la faccia. Dico “salvare la faccia”, perché la dinamica messa in moto dall’inchiesta ha assunto vita propria. Sono passati mesi dall’indagine e dall’inconcludente missione d’inchiesta in Congo, nonché da New York, ma ancora non vi è alcun segno di un progetto politico o di un incarico chiaro.
Onorevoli colleghi, un bel gesto da parte del Presidente Chirac non può nascondere i problemi che non abbiamo ancora affrontato, ossia come l’invio di 1 500 soldati a Kinshasa garantirà lo svolgimento di libere elezioni in tutto il Congo. Come possiamo respingere l’accusa di stare dalla parte di Kabila? Come può l’Unione europea avere un ruolo nell’intero Congo in seguito a un dispiegamento di forze di questo tipo? E se il problema è l’evacuazione, che è diventata il tema fondamentale, chi è che deve effettivamente essere evacuato? Abbiamo bisogno di schierare truppe sotto il mandato dell’ONU per promuovere la causa della democrazia in Congo?
In conclusione, onorevoli colleghi, pongo una questione davvero fondamentale. Parliamo con tanto fervore della responsabilità dell’Europa nei confronti dell’Africa, ma come possiamo conciliare il dibattito odierno con la nostra inerzia riguardo all’incessante genocidio in Darfur?
Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. (DE) Signor Presidente, a dispetto di ogni ragionevolezza, l’Unione europea programma l’impiego di forze militari nella Repubblica democratica del Congo. Ufficialmente, si tratta di proteggere l’integrità dell’appuntamento elettorale, ma qualcosa sembra essere andato alquanto storto nella corsa alle elezioni. Si sono presentati solo 60 candidati per 500 seggi parlamentari, e le candidature chiudono domani sera, cioè giovedì sera. L’Unione europea prevede di inviare 1 500 soldati nella terza nazione africana per grandezza, un paese con un regime autoritario. Come ha osservato un politico tedesco della SPD, è come se 750 soldati atterrassero in Europa sostenendo di voler stabilizzare l’intero continente.
In termini militari, tale spiegamento di forze non ha alcun senso. Allora a che scopo mandare queste truppe? Il ministro tedesco della Difesa, Franz Joseph Jung, ha parlato senza peli sulla lingua. Ha detto che si tratta esclusivamente di respingere i profughi e che anche la stabilità in regioni ricche di materie prime è ottima per l’economia tedesca. I deputati della CDU in Germania hanno confermato questa motivazione, facendo riferimento a materie prime strategiche quali il tungsteno e il manganese. E ora il governo tedesco ha deciso di non prendere una decisione in merito al dispiegamento di forze militari fino all’inizio di maggio. L’esercito manifesta in modo sempre più chiaro il proprio disaccordo rispetto a tale dispiegamento. La posizione è relativamente chiara: una volta in Congo, non è così facile tornare indietro non si tratterà solo di quattro mesi.
La proposta di risoluzione non è limitata geograficamente e il limite temporale è espresso solo in termini molto vaghi. Per questo motivo chiediamo a tutti i deputati che sono scettici al riguardo di votare contro la proposta di risoluzione. Non mi farò scrupoli al riguardo: in gioco c’è l’accesso alle materie prime e l’idea di respingere i profughi con mezzi militari. In quanto gruppo di sinistra, vogliamo dire un chiaro “no” alla proposta di risoluzione, che non sosterremo con il nostro voto.
Helmut Kuhne (PSE). (DE) Signor Presidente, a parte il dibattito tecnico su questo dispiegamento di forze militari, vi sono anche altri aspetti che vanno discussi in questa sede. In parte, qui si ha a che fare con pregiudizi meschini. Nel mio paese, la Germania, anziché parlare apertamente di un’Africa nera in cui le persone vengono perennemente coinvolte in lotte intestine per motivi di pura necessità, alcuni politici della CSU, ad esempio, suggeriscono che si farebbe miglior uso dell’esercito tedesco mettendolo a guardia degli stadi dei campionati del mondo nell’immediato futuro piuttosto che mandarlo nella Repubblica democratica del Congo.
A mio avviso, dobbiamo dire con assoluta chiarezza che questa è una visione del mondo incredibilmente limitata. Ammetto, onorevole Beer, che restano moltissime questioni da risolvere, problemi molto seri che ancora non hanno trovato soluzione. Sono altresì molto fiducioso che verranno risolti, anche da parte dei nostri colleghi del Bundestag tedesco.
Ciò che dovrebbe interessarci a livello europeo, tuttavia, finora non è stato menzionato. A mio parere, nelle ultime settimane sono venute alla luce gravi mancanze nel processo decisionale europeo, mancanze che vanno ancora colmate. E’ inammissibile che alcuni chiedano piani per il dispiegamento delle truppe prima di metterle a disposizione, mentre altri affermano che tali piani verranno elaborati solo quando saremo certi che non dovremo partire da soli. Questo non va, e porterebbe a una sorta di blocco autoimposto. Senza richiedere improbabili emendamenti al Trattato, dobbiamo raggiungere un risultato che permetta di rivedere al più presto i processi decisionali a livello del Consiglio, in modo che, nelle situazioni in cui si debbano prendere decisioni con maggior rapidità rispetto a ora, sia in effetti possibile prendere tali decisioni.
Marie-Hélène Aubert (Verts/ALE). (FR) Signor Presidente, è un’ottima cosa che l’Unione europea sia pienamente coinvolta nel sostegno al processo elettorale nella Repubblica democratica del Congo, e ci auguriamo anche che sia più vigile per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani che da qualche tempo, mi spiace dirlo, si sono aggravate.
Tuttavia, il modo in cui oggi si sta delineando l’operazione militare comunitaria nella Repubblica democratica del mondo è davvero strano e a dir poco curioso. Si parla di qualche centinaio di uomini, mentre MONUC ne ha già 16 000. Lei dice che tali uomini non verrebbero coinvolti direttamente, ma solo messi a disposizione in caso di necessità: ma allora dove? Quale sarebbe la missione di questa forza militare, e quale mandato avrebbero questi soldati nel caso in cui la violenza scoppiasse durante o dopo le elezioni, soprattutto a Kinshasa? E’ possibile che non s’impari dal passato, quando le forze dell’ONU si sono trovate in situazioni impossibili e di conseguenza sono state accusate su tutti i fronti perché non avevano né un mandato chiaro né risorse sufficienti?
Esistono pertanto due possibilità: o l’Unione europea adempie appieno alla richiesta delle Nazioni Unite fissando condizioni e investendo risorse sostanziali a sostegno di MONUC, oppure dedica tali risorse al buon esito del processo elettorale, al coinvolgimento totale della società civile, al rispetto dei diritti umani e, inoltre, al controllo e alla trasparenza del modo in cui le risorse naturali della Repubblica democratica del Congo, tanto preziose e ambite, vengono sfruttate.
E’ chiaro che, da parte nostra, preferiamo di gran lunga questa seconda prospettiva a quella del sostegno a un’operazione militare che per il momento è molto limitata, ha obiettivi poco chiari e della quale attualmente sappiamo poco.
Richard Howitt (PSE). (EN) Signor Presidente, nella risoluzione che chiude questo dibattito, è giusto porre l’accento su una strategia integrata per la missione nella Repubblica democratica del Congo, su un chiaro limite temporale per il dispiegamento delle forze, su una strategia d’uscita, nonché sottolineare che occorre protezione per le forze militari stesse. Vorrei tuttavia contestare l’idea, espressa nel considerando A, secondo cui si dovrebbe accordare priorità alla sicurezza nei paesi immediatamente vicini, e in particolare nei Balcani. Senza dubbio i paesi vicini sono fondamentali, ma con l’avvicinamento dei paesi dei Balcani all’adesione e alla stabilizzazione, dovremmo parlare di riduzione delle truppe comunitarie, non di mantenerle ai livelli attuali.
Di volta in volta il Parlamento approva risoluzioni in materia di PESC in cui l’Europa si erge a guida degli affari del mondo. Diciamo che il terrorismo sulle nostre strade nasce da Stati fragili in tutto il mondo, ma allora perché dovremmo tentare di limitare le nostre ambizioni ai paesi vicini all’Unione? Approviamo risoluzioni per la lotta alla povertà nel mondo, ma siamo disposti a metterle in pratica nel nono paese al mondo per povertà, con uno dei tassi di mortalità infantile più alti? Come afferma il gruppo per le crisi internazionali, “tutto, dalle elezioni all’assistenza umanitaria, all’attività economica dipende dall’istituzione di un ambiente sicuro”.
Dieci anni di guerre nella Repubblica democratica del Congo sono costati quattro milioni di vite, e mille persone al giorno tuttora muoiono per cause ascrivibili alla guerra. Riceviamo quotidianamente notizie di massacri, uccisioni di civili, stupri e violenza sessuale diffusi.
Queste elezioni sono un momento di speranza. L’Europa offre il più grande aiuto che sia mai stato concesso a sostegno del processo elettorale. La richiesta che queste elezioni siano accompagnate da forze di sicurezza è stata formulata da tutti i gruppi del governo nazionale transitorio. E’ una richiesta cui dovremmo acconsentire.
Glyn Ford (PSE). (EN) Signor Presidente, sono molto favorevole allo sviluppo di una politica estera e di sicurezza comune nell’Unione europea. Ora che l’Unione europea è più grande e più ricca degli Stati Uniti, e che fornisce al Terzo mondo maggiore assistenza degli USA, è più che giusto adeguare la PESC a tali sviluppi.
In questo senso, naturalmente, nessuno mette in dubbio il valore della richiesta da parte delle Nazioni Unite di una missione nella Repubblica democratica del Congo. Il problema è che la missione viene discussa a porte chiuse e occorre un’analisi democratica. Poiché inviamo sempre più frequenti missioni ad Aceh iniziativa che apprezzo molto in veste di ex osservatore capo delle elezioni in Indonesia e nella Repubblica democratica del Congo, abbiamo bisogno di tale controllo democratico.
Il problema è che se, dinanzi a un eventuale deterioramento della situazione nella Repubblica democratica del Congo a seguito delle elezioni, non vi sarà un’analisi democratica, rischieremmo di farci sfuggire di mano la missione e di finire invischiati in una situazione di stallo.
Stiamo inviando una missione di osservazione elettorale, ma anche questa missione. Possiamo essere rassicurati sull’esistenza di uno stretto coordinamento tra le due?
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, non posso rispondere a tutte le domande, poiché, come ho già spiegato, la precisa strategia militare e politica e i parametri militari che saranno alla base della decisione finale del Consiglio vengono elaborati contemporaneamente a questa discussione, e ringrazio di cuore l’onorevole Kuhne per aver accennato, a tale proposito, che è necessario elaborare in questa fase la base decisionale adeguata.
L’onorevole von Wogau ha domandato che cosa ha detto effettivamente il governo. Nel mio intervento iniziale ho affermato che i commenti del Presidente e dei due Vicepresidenti erano molto chiari, e potrei forse citare solo un paragrafo dal comunicato stampa pubblicato dopo il Consiglio di difesa di lunedì:
(FR) “Durante l’incontro svoltosi lunedì 20 marzo, presieduto dal capo di Stato, sua eccellenza Joseph Kabila”.
(DE) Il capo di Stato presiede tale organo.
(FR) “Il Consiglio supremo della difesa ha esaminato, insieme ad altre questioni, quella del contingente militare europeo in corso di formazione dietro richiesta delle Nazioni Unite”.
(DE) Il Consiglio è quindi giunto alla seguente conclusione:
(FR) “Ansioso di rafforzare le disposizioni in materia di sicurezza per il processo elettorale, il Consiglio supremo ha raccomandato, alla luce di una relazione presentata dal ministro degli Esteri, di sostenere l’iniziativa di schierare tali forze speciali europee”.
(DE) Si tratta dunque di un’affermazione chiara, e non vi è ragione di metterla in discussione. Inoltre, i commenti sui dubbi circa l’opportunità della missione sono stati menzionati ancora una volta in tale comunicato stampa.
(FR) “Va sottolineato che tale contingente avrà principalmente la funzione di deterrente”.
(DE) Ringrazio molto l’onorevole Morillon per aver fatto specifica menzione anche di questo elemento.
Posso solo ribadire ciò che ho già detto. Credo sia responsabilità dell’Unione europea dare un contributo significativo al processo democratico nella Repubblica democratica del Congo. Dobbiamo mettere in chiaro che, dell’ampia gamma di opzioni a nostra disposizione, il dispiegamento di truppe militari va considerato accanto ad altri tipi di interventi di assistenza allo sviluppo democratico, quali la cooperazione allo sviluppo, l’assistenza nell’istituzione dello Stato di diritto e dei processi democratici e nella tutela dei diritti umani.
Si tratta di una responsabilità che spetta all’Unione europea e cui il Consiglio sta adempiendo.
Presidente. A conclusione del dibattito, comunico di aver ricevuto tre proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento(1).
14. Revisione dell’accordo di Cotonou e fissazione dell’importo del decimo FES (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale (O-0004/2006 B6-0006/2006) dell’onorevole Margrietus van den Berg, a nome della commissione per lo sviluppo, al Consiglio, sulla revisione dell’accordo di Cotonou e la fissazione dell’importo del decimo FES.
Glenys Kinnock (PSE), in sostituzione dell’autore. (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare il Consiglio per la sua partecipazione a questo importante dibattito sul Fondo europeo di sviluppo (FES). Come il Consiglio certamente sa, a causa della discussione ancora aperta sull’iscrizione in bilancio del FES, nell’accordo di Cotonou rivisto non è stata inserita alcuna clausola relativa al quadro finanziario. Nell’allegato 1, tuttavia, si dichiara esplicitamente che “l’Unione europea manterrà il suo aiuto a un livello perlomeno equivalente a quello del 9° FES”.
A mio avviso dunque, signor Presidente, si sono indotti i paesi ACP a credere di poter fare affidamento sui futuri finanziamenti del 10° FES. Secondo il calcolo della Commissione, per il 10° FES 24 948 milioni di euro avrebbero costituito una dotazione adeguata, ma a dicembre, a Bruxelles, il Consiglio si è accordato su un importo di 22 682 milioni di euro a prezzi correnti, per il periodo 2008-2013.
Signor Presidente, riporto queste informazioni poiché le ritengo pertinenti alla posizione assunta dalla commissione parlamentare per lo sviluppo, la quale chiede rassicurazioni e chiarimenti prima di dare la sua approvazione all’accordo di Cotonou rivisto.
I passati accordi dovrebbero far comprendere sia al Consiglio che alla Commissione che quando la commissione per lo sviluppo assume una posizione forte, come ha fatto a proposito del DCCI, i suoi membri restano assolutamente fermi sui loro principi. Questi si incentrano sullo sviluppo e, se non vengono presi in considerazione, il Consiglio deve sapere che non daremo la nostra approvazione alla proposta, fino a quando non verranno accolti in modo integrale.
Una delle nostre preoccupazioni riguarda l’opinione espressa da alcuni membri del Consiglio, secondo cui 0,3 miliardi di euro andrebbero detratti a beneficio dei ventun paesi e territori d’oltremare dell’Unione europea, e altri 0,9 miliardi per coprire le spese amministrative. Ieri, durate la riunione della commissione, il direttore generale della DG sviluppo ha detto esplicitamente che la Commissione non condivide la posizione del Consiglio sui PTOM. Il Consiglio chiarirà dunque qual è la sua posizione al riguardo? Come parlamentare britannica conosco bene la posizione del Regno Unito, che ha ricoperto l’ultima Presidenza del Consiglio. Ad ogni modo, signor Presidente, vorrei sapere qual è la sua.
Inoltre, per quanto riguarda le spese amministrative, è ragionevole pensare che la Commissione stessa debba sostenere le spese amministrative delle proprie risorse? Non ha senso e sono certa che nemmeno il Consiglio ricorre a questa pratica nelle sue attività amministrative. Gli Stati membri il Consiglio sarebbero disposti a considerare l’eventualità di stanziare somme supplementari per coprire le spese dei PTOM? Non si tratta di ammonimenti trascurabili. Non ne sto parlando incidentalmente: desidero realmente sapere dal Consiglio come può prendere decisioni in cui afferma di non volerci garantire che le risorse stanziate a favore dei paesi ACP costituiscano fondi destinati a questi paesi in modo inequivocabile e trasparente.
Dissento inoltre dall’affermazione secondo cui il 10° FES rappresenterebbe un progresso significativo rispetto al 9° FES. In termini reali, direi che non è altro che un ristagno. La commissione per lo sviluppo non può farsi abbindolare e non lo farà dagli aspetti ambigui della questione.
Il 9° FES comprendeva le rimanenze del FES precedente: “somme non spese”. Se al 9° FES si aggiungono tali importi, le cifre dichiarate con tanta enfasi dal Consiglio sono comparabili solo in maniera teorica. In ultima analisi, il 10° FES dovrà essere ratificato e questo per noi è motivo di grosse preoccupazioni se si pensa che il processo di ratifica dovrà coinvolgere i venticinque Stati membri.
L’effetto degli stanziamenti non spesi in passato è stata l’istituzione di varie iniziative per l’acqua, per la pace , solo in minima parte sottoposte a controllo democratico. Signor Presidente, questo, per lei, non è motivo di preoccupazione?
La nostra prossima discussione verterà sugli accordi di partenariato economico: uno dei punti per noi più controversi, che solleveremo, è il finanziamento di aiuti a sostegno degli scambi commerciali previsto da tali accordi. Chiarirà, signor Presidente, se intendete stanziare fondi aggiuntivi per i negoziati APE, o se prevedete che tali fondi vengano erogati a titolo del 10° FES per i paesi ACP?
Per concludere, se tali accordi comprenderanno l’Unione africana, come si compenserà il fatto che molti membri dell’Unione africana non sono paesi ACP? Ritiene che tali paesi beneficeranno dei contributi del FES se il Consiglio deciderà di sovvenzionare l’Unione africana attingendo al 10° FES?
Stiamo parlando di un accordo vincolante con i paesi ACP; mi auguro quindi che le decisioni del Consiglio relative al 10° FES tengano conto di questo presupposto.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. (DE) Signor Presidente, onorevole Kinnock, cercherò di rispondere nel modo più esauriente possibile alle sue domande. Temo però di non poterle soddisfare tutte, in parte perché in alcune aree i negoziati non sono ancora conclusi e perché il Consiglio non ha ancora adottato una posizione su ognuno dei problemi in esame. Spero tuttavia di poterle fornire alcuni chiarimenti.
Innanzi tutto, per quanto riguarda la dotazione finanziaria del 10° Fondo europeo di sviluppo e i criteri di contribuzione degli Stati membri, rinvio all’accordo stipulato dal Consiglio europeo nel dicembre 2005, cui si è arrivati mediante un processo lungo e difficoltoso. Tale accordo, come certamente saprà, prevede che i futuri finanziamenti per lo sviluppo destinati ai paesi ACP avvengano nell’ambito del 10° Fondo europeo di sviluppo e non in quello del bilancio generale. L’importo le è noto: il Consiglio europeo si è accordato per una somma di 22,6 miliardi di euro: tale è l’impegno preso dall’Unione europea con i paesi ACP in occasione della revisione dell’accordo di Cotonou nel febbraio 2005. A riguardo, va ricordato che in quell’occasione ci si è impegnati chiaramente con i paesi ACP a mantenere gli aiuti al livello del 9° FES, esclusi gli stanziamenti residui dei fondi precedenti, tenendo però conto dell’incidenza dell’inflazione, della crescita nell’Unione europea e dell’ingresso dei dieci nuovi Stati membri. La motivazione è semplice: non si è voluto ricompensare l’inefficienza dimostrata dal mancato impiego dei fondi. L’Unione europea si è assunta nei confronti dei paesi ACP un impegno chiaro. L’importo proposto inizialmente dalla Commissione e mi auguro con questo di rispondere alla sua domanda ammontava a 24,9 miliardi di euro, ed è stato calcolato includendo nel 9° FES gli stanziamenti residui. La rettifica apportata alla proposta della Commissione è dunque esatta, e conforme all’impegno preso con i paesi ACP. Di fatto e credo che ciò vada riconosciuto l’impegno assunto dall’Unione, consistente nell’importo menzionato in precedenza, rappresenta un aumento reale e considerevole delle risorse in confronto al 9° FES, che ammontava, com’è noto, a 13,8 miliardi di euro. Il contributo medio annuo dei vecchi quindici Stati membri viene aumentato in base ai nuovi criteri di contribuzione. I dieci nuovi Stati membri parteciperanno e contribuiranno al FES per la prima volta, in modo del tutto conforme all’accordo preso dal Consiglio nel maggio 2005, che prevede un sensibile aumento degli aiuti pubblici entro il 2015.
Lei chiede inoltre chiarimenti sui contributi di Bulgaria e Romania. Nel calcolo della somma totale stanziata dal 10° FES e dei singoli contributi degli Stati membri, sui quali si basa la decisione, è già previsto l’ingresso di Bulgaria e Romania atteso per il 2007. Come tutti sappiamo, il 10° FES ha decorrenza solo a partire dal 2008. Ciò significa che, quando questi Stati entreranno effettivamente a far parte dell’Unione europea, al FES non toccheranno risorse supplementari: tale prassi è del tutto in linea con quella seguita per i precedenti allargamenti. Il Consiglio ha messo inoltre a disposizione 18 milioni di euro dal 9° FES per Timor orientale, da poco entrato nell’accordo di Cotonou, per poter coprire gli aiuti allo sviluppo previsti dall’Unione dopo l’ingresso di Timor orientale nel gruppo dei paesi ACP e a seguito della ratifica dell’accordo di Cotonou per il 2007. Logicamente, Timor orientale cesserà di ricevere gli aiuti stabiliti dalle linee di bilancio previste per l’Asia e a partire dal 2008 beneficerà dei fondi del 10° FES.
Allo stato attuale il Consiglio non può ancora fornire ragguagli sulla ripartizione delle risorse a titolo del 10° FES, tema che verrà discusso nel corso dei negoziati previsti entro breve, relativi agli aspetti giuridici, ovvero al protocollo finanziario dell’accordo di Cotonou e agli accordi finanziari interni relativi al 10° FES. Obiettivo della Presidenza austriaca è raggiungere un accordo con i paesi ACP sul protocollo finanziario in occasione del Consiglio dei ministri ACP-UE, cui io stesso prenderò parte.
Un’ulteriore questione che devo affrontare, giacché è stata da lei sollevata, onorevole Kinnock, riguarda il trattamento dei territori d’oltremare e delle spese di amministrazione. Questi temi sono ancora oggetto di negoziazione e in attesa di un accordo.
La proposta della Commissione relativa alla distribuzione delle risorse tra i paesi ACP è attualmente all’esame della Commissione e degli Stati membri. Per quanto riguarda l’applicazione dell’accordo regionale di partenariato economico credo che una delle sue domande vertesse su questo , i paesi ACP verranno presumibilmente sostenuti tramite fondi stanziati per la cooperazione regionale a titolo del 10° FES. Il Consiglio inoltre ha stabilito che gli aiuti all’Unione africana proseguano nell’ambito del 10° FES.
E’ essenziale far presto. A gennaio, in occasione del colloquio della Commissione con il governo austriaco, il Commissario responsabile Louis Michel ha fatto pressioni perché si agisse rapidamente, per permettere all’attuale programma del 9° FES di passare senza soluzione di continuità al 10° FES all’inizio del 2008. Come il Commissario Michel ci ha spiegato in termini molto drastici, questa volta abbiamo a disposizione circa la metà del tempo della volta scorsa, per cui occorre agire molto in fretta. Per assicurare tale rapidità, parallelamente alle trattative relative al 10° FES già menzionate, si è già avviato anche il processo di programmazione territoriale. Sulla scia dell’adozione del Consenso europeo sullo sviluppo e della Dichiarazione di Parigi, si stanno compiendo sforzi per pervenire a programmi comuni tra i vari paesi, tra i quali vanno annoverati non solo i programmi della Commissione europea, ma anche quelli degli Stati membri. Approviamo quest’evoluzione e continueremo a sostenerla.
Jürgen Schröder, a nome del gruppo PPE-DE. (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, credo che il problema non consista tanto nella distribuzione delle fondi, nelle questioni giuridiche, nei programmi e così via, quanto purtroppo nel fatto che i fondi sono stati ridotti. Tutti noi in quest’Aula guardiamo con apprensione agli sviluppi della revisione dell’accordo di Cotonou e dei negoziati relativi al 10° Fondo europeo di sviluppo. Il Consiglio si era seriamente impegnato ad aumentare i fondi per gli aiuti allo sviluppo. Lo si era annunciato tra una pacca sulla spalla e l’altra in occasione dei vertici tenutisi a luglio e dicembre del 2005. La Commissione aveva calcolato che per il 10° FES, relativo al periodo 2008-2013, sarebbe stata stanziata una dotazione di poco inferiore a 25 miliardi di euro.
Mi rincresce molto che ora il Consiglio, contravvenendo agli impegni presi, si sia potuto impegnare solo per un importo inferiore a 23 miliardi di euro. A prescindere dalla somma ridotta, ciò significa che, crescendo gli aiuti pubblici per lo sviluppo ma rimanendo fisso il bilancio per il FES, gli aiuti europei allo sviluppo verrebbero di fatto razionalizzati. Ciò rappresenterebbe un passo indietro rispetto agli sforzi compiuti per perfezionare il coordinamento degli aiuti europei allo sviluppo e di certo non può essere nei nostri interessi.
Approvo tuttavia il fatto che in quest’Aula si sia elaborata una proposta di risoluzione trasversale ai vari schieramenti politici intesa a chiarire questa deplorevole situazione. Chiedo al Consiglio di mantenere la parola data e di stanziare i fondi europei per gli aiuti allo sviluppo, di cui c’è grande urgenza. Due miliardi di euro in più o in meno non sono un’inezia. Stiamo parlando dell’eliminazione della povertà, della realizzazione di uno sviluppo sostenibile e della graduale integrazione dei paesi ACP nell’economia mondiale.
Signor Presidente del Consiglio, stanziare due miliardi di euro in meno significherebbe far economia nel modo sbagliato.
Marie-Arlette Carlotti, a nome del gruppo PSE. − (FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, in merito alla cooperazione tra l’Unione europea e i paesi ACP sono state messe sul tavolo diverse cifre, in un primo momento dalla Commissione, poi dal Consiglio nel dicembre 2005, e nel giro di poche settimane sono scomparsi quasi 2,5 miliardi di euro. Voglio credere si tratti soltanto di un grossolano errore di calcolo.
Fortunatamente, lo scorso 17 marzo la Commissione ha avanzato alcune nuove proposte, contrassegnate da due significativi passi avanti: innanzi tutto, un finanziamento aggiuntivo di quasi un miliardo di euro per il 10° FES, destinato a coprire le spese d’amministrazione, e in secondo luogo un finanziamento supplementare di quasi 300 milioni di euro per i PTOM, che verrebbero così reintegrati nel FES, come essi d’altronde chiedono. Credo che le proposte della Commissione si muovano nella direzione giusta e rappresentino un passo avanti sulla strada indicata dal Parlamento. Resta però il fatto che esse ora sono nelle mani del Consiglio, e che sua è la responsabilità di tentare di trovare una soluzione migliore. Di fatto, sono in gioco il parere dell’Unione europea e il suo impegno nella lotta alla povertà.
Il parere dell’Unione europea è quello inserito nell’allegato I dell’accordo di Cotonou rivisto. Non si può negare che la sua formulazione fosse intenzionalmente ambigua, mirando a conseguire un accordo con i nostri partner ACP su questioni politiche controverse e, vorrei aggiungere, discutibili; non era però ambigua al punto di giustificare i calcoli fantasiosi del Consiglio. Non permettiamo che i nostri partner africani pensino che il nuovo motto dell’Unione europea sia: “Ogni promessa è debito solo per chi ci crede”.
Effettivamente, nel 2005 si sono fatte delle promesse. In questo modo, al Vertice del Consiglio europeo di giugno, l’Unione e gli Stati membri si sono impegnati ad aumentare regolarmente i loro finanziamenti pubblici allo sviluppo fino al 2015. Al summit del G8 di luglio, inoltre, l’Unione europea si è impegnata con gli altri donatori a raddoppiare i finanziamenti pubblici all’Africa entro il 2010. Dato il bilancio sempre più ridotto proposto dal Consiglio per il 10° FES, riusciremo a tener fede a questi impegni? La risposta è no, e il Consiglio non può asserire il contrario.
Anche rispetto alle modalità di gestione e di versamento del 10° FES ho alcune perplessità, ma le mie richieste di chiarimento sono indirizzate tanto al Consiglio quanto alla Commissione. Mi riferisco innanzi tutto al finanziamento della dimensione “sviluppo” negli accordi di partenariato economico in via di negoziazione e, in secondo luogo, ai nuovi criteri di prestazione per l’assegnazione dei fondi del FES stabiliti dalla Commissione nel documento esecutivo del 13 gennaio, che verrebbero aggiunti al tradizionale criterio dei “bisogni”.
Per concludere, vorrei spendere alcune parole sull’iscrizione in bilancio del FES. In più occasioni questo Parlamento si è pronunciato a favore di tale proposta, essendo in gioco il controllo democratico degli stanziamenti di bilancio. Penso che si possa iscrivere il FES in bilancio nel pieno rispetto dei nostri partner ACP: occorre infatti liberarsi delle consuetudini intergovernative che danno origine al patteggiamento, con le conseguenze per il FES che abbiamo visto a dicembre nella riunione del Consiglio. Questo argomento certamente esula dalla questione in esame oggi − ogni cosa a sua tempo − ma non va comunque dimenticato.
Thierry Cornillet, a nome del gruppo ALDE. − (FR) Signor Presidente, al Presidente Winkler non è sfuggito che la risoluzione in esame non è solo comune, ma anche unanime. Tutti i gruppi politici, indipendentemente dal loro orientamento, le ricordano i suoi doveri.
E’ una questione d’onore per l’Unione europea, oltre che di rispetto. Non si è fatta semplicemente una promessa: sono stati assunti degli impegni, ed è in gioco la credibilità del nostro operato all’estero. Questa non dipende esclusivamente dall’ammontare dei finanziamenti, ma anche dalla loro efficacia.
Con il suo permesso, vorrei fare due osservazioni a questo proposito. Per quanto riguarda l’importo, si potrebbe pensare che la discussione in corso sia soltanto teorica, dal momento che lo scarto tra 22 e 24 miliardi di euro, tenendo conto degli stanziamenti residui e dei fondi non impiegati, non sembra fornire tutto sommato motivazioni sufficienti a battersi per due miliardi di euro in più, che potrebbero anche non venire spesi. E’ proprio qui che lei ha una grande responsabilità: quella di fare in modo che questa somma venga effettivamente spesa e inoltre quella di stanziare la somma più ingente possibile per progetti regionali su vasta scala. Intendo “regionali” facendo riferimento al NEPAD.
La mia seconda osservazione verte su un problema che suscita in me forti perplessità. Di fatto, se teniamo fede al nostro impegno di passare dallo 0,31 per cento allo 0,56 per cento del PIL entro il 2010, avremo a disposizione altri 50 miliardi di euro da stanziare a favore di finanziamenti pubblici allo sviluppo, di cui 25 miliardi − ovvero l’intero importo annuo del FES − solo per l’Africa, conformemente agli impegni che abbiamo appena assunto. Sono totalmente sconcertato al pensiero che l’impegno a versare tale somma dovrà essere sostenuto per l’80 per cento dagli Stati membri e non dall’Unione. Considerata la reazione degli Stati membri alla proposta di stanziare per il FES 24 miliardi di euro validi per cinque anni, dubito che siano in grado di stanziare fondi per 25 miliardi con cadenza annuale, o quasi.
Ci muoviamo pertanto nel regno della realtà virtuale. Penso che corriamo due rischi: il rischio di renderci ridicoli, annunciando cifre troppo elevate rispetto all’esiguità dei risultati effettivamente raggiunti e, soprattutto, un effetto boomerang per quanto riguarda i nostri elettori contribuenti, i quali saranno curiosi di sapere che uso potremo mai fare delle somme annunciate.
PRESIDENZA DELL’ON. MAURO Vicepresidente
Margrete Auken, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DA) Signor Presidente, il mondo si trova ad affrontare sfide enormi: povertà, cambiamento climatico, gravi malattie e scontri armati. Se il Consiglio vuole dar prova di senso di responsabilità globale, non può essere più avaro della Commissione e compiere tagli di oltre due miliardi di euro. Occorre aumentare considerevolmente il volume totale degli aiuti alle popolazioni più povere del pianeta, in modo da tener fede ai nostri impegni. Non va dimenticato che gli Stati membri si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo ONU di innalzare gli aiuti allo 0,7 per cento del PIL comunitario entro il 2015, con l’obiettivo intermedio di raggiungere entro il 2010 lo 0,56 per cento. Stanziare aiuti allo sviluppo è importante, ma altri obiettivi sono ancora più importanti, come il commercio equo e solidale. Se l’Unione europea mantiene allo stesso tempo i suoi esorbitanti sussidi agricoli, continua a tutelare i propri mercati e, per concludere l’opera, riduce gli aiuti allo sviluppo, ne conseguirà una miscela letale, che colpirà prima i più poveri, poi tutti noi. E’ quindi nell’interesse del nostro futuro collettivo tener fede agli impegni che abbiamo assunto.
Luisa Morgantini, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 2005 è stato l’anno della retorica sullo sviluppo e la lotta alla povertà. Sotto la Presidenza inglese, in diverse sedi istituzionali e multilaterali – Consiglio europeo, Vertice G8, Vertice del Millennio, 5 settembre 2005 – l’Unione europea si è impegnata ad aumentare l’impegno finanziario per il raggiungimento degli obiettivi degli sviluppi del Millennio, anche attraverso un aumento degli aiuti allo sviluppo.
Non rispettare questi impegni significherebbe in realtà fare un passo indietro rispetto a tutti gli impegni internazionali presi negli ultimi anni per la lotta alla povertà e confermare che si è trattato di retorica. E’ stato un errore ridurre il decimo FES, anche se non sono stati spesi i soldi del nono, bisognerebbe invece prevedere la copertura finanziaria delle grandi riforme strutturali richieste ai paesi ACP nell’ambito dei negoziati EPA.
Come si può pensare che questi paesi – ricordo che stiamo parlando di paesi dove vive la maggioranza delle popolazioni più povere al mondo – possano riuscire a portare avanti riforme macroeconomiche, nazionali e regionali senza un aiuto finanziario europeo? Come faranno ad attutire gli impatti sociali e ulteriori riforme che andranno ad assommarsi alle ristrettezze già imposte dalle riforme delle istituzioni finanziarie internazionali? Perché dovrebbero procedere ad ulteriori riduzioni delle tariffe e quindi un’ulteriore riduzione dei fondi pubblici a disposizione, come richiesto nell’ambito dei negoziati EPA, se dal lato europeo i paesi membri non sono disposti a nessuno sforzo per aumentare il sostegno al budget pubblico dei paesi ACP? In nome di quale partenariato?
Credo che non ci sia molta chiarezza anche sull’impegno concreto dell’Unione europea nel processo di finanza per lo sviluppo +5 e su quale sia esattamente la dimensione della finanza per lo sviluppo nell’ambito del negoziato EPA. Come possiamo mantenere fede agli impegni presi se riduciamo il budget europeo per lo sviluppo? Anche pensando alla situazione geopolitica internazionale, penso che sarebbe strategicamente più lungimirante, da parte nostra, da parte dell’Unione europea, investire oggi un rapporto di reciproco sostegno politico con i paesi più poveri, quindi rafforzare il partenariato UE-ACP.
Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’Unione europea, primo donatore a livello mondiale, ha il dovere di onorare gli impegni presi più volte nel 2000 con la definizione degli obiettivi del Millennio e recentemente nel Consiglio e nel G8 tenutisi nel 2005.
Signor ministro, ridurre la dotazione proposta per il FES non è un segnale positivo per i nostri partner mondiali, in particolare per i paesi ACP, proprio in un momento in cui è chiaro che gli obiettivi del Millennio sono ben lontani dall’essere raggiunti. La globalizzazione impone ogni giorno nuovi e difficili sfide ai paesi in via di sviluppo.
Oltre all’entità della dotazione, inoltre, affinché i nostri fondi siano realmente efficaci per la lotta contro la povertà, dobbiamo assolutamente puntare sulla trasparenza, sulla coerenza con le altre politiche dell’Unione, sul criterio della performance dei beneficiari e soprattutto sulla partecipazione integrata dei governi interessati e sulla coordinazione di diversi strumenti, sia a livello europeo che per quanto riguarda le politiche di sviluppo intraprese singolarmente dai vari Stati membri al fine di snellire le pratiche amministrative che occupano ancora una parte troppo importante delle spese globali.
Risulta fondamentale che il Consiglio accetti di stanziare i fondi necessari al rispetto degli impegni presi e che la Commissione, anche sulla base delle raccomandazioni ricevute dalla Corte dei conti nel settembre 2005, si impegni a mettere in opera un sistema trasparente, efficiente ed efficace per un’attenta gestione degli stessi.
Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (PPE-DE). – (EL). Signor Presidente, l’oggetto della discussione di oggi è molto importante per l’azione esterna dell’Unione europea, nonché in linea con gli sforzi necessari per tener fede all’impegno politico di realizzare gli Obiettivi del Millennio. E’ giusto che ci chiediamo se la dotazione proposta per il 10° FES sia più bassa di quella calcolata dalla Commissione europea e che ci siamo impegnati a stanziare, o sia invece soddisfacente dal punto di vista sia dei nostri obiettivi che delle nostre necessità.
Tuttavia, non dobbiamo preoccuparci esclusivamente dell’ammontare dei finanziamenti. Più volte abbiamo rilevato problemi che devono essere affrontati subito, e che riguardano la velocità dell’erogazione e un accumulo di fondi non utilizzati pari a 11 miliardi di euro, come ha ricordato il Presidente in carica del Consiglio.
Inoltre, l’iscrizione in bilancio del Fondo europeo di sviluppo appianerà molte complicazioni e difficoltà nell’impiego dei successivi fondi regionali europei, permetterà di accelerare il loro flusso di liquidità e cancellerà l’attuale deficit democratico, come ha dichiarato in più occasioni il Parlamento europeo.
In modo analogo, signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, le risorse finanziarie gestite dal Fondo europeo per gli investimenti non vengono sottoposte alla verifica della Corte dei conti né del Parlamento europeo. Occorre aumentare la trasparenza nel passaggio di informazioni relative a queste risorse. E’ necessaria una descrizione dettagliata per tipo di impiego e un quadro completo dei risultati, della cooperazione sulle domande inevase e del valore aggiunto.
Ci siamo impegnati con i paesi ACP a realizzare gli Obiettivi di sviluppo del Millennio e, facendo seguito all’accenno dell’onorevole Cornillet al rispetto che dobbiamo ai contribuenti, voglio dire che dobbiamo tenere in gran conto i meccanismi di attuazione e controllo sia all’interno delle nostre Istituzioni sia nei paesi beneficiari. In questo modo ci dimostreremo più democratici e più coerenti rispetto agli impegni assunti con i contribuenti europei e più efficaci nel raggiungimento degli Obiettivi del Millennio.
Karin Scheele (PSE). (DE) Signor Presidente, gli aspetti finanziari si trovano al centro di molti dibattiti inerenti alle politiche di sviluppo. In questo momento ciò è più che mai evidente, data l’intensità con sui sono stati condotti i negoziati tra il Parlamento europeo e il Consiglio sulla dotazione finanziaria dell’Unione per i prossimi sette anni. Sappiamo che la proposta della Commissione rende irrealizzabili molti obiettivi che sono stati dichiarati e ribaditi più volte. Ciò vale per svariati ambiti: programmi di scambio per studenti, conservazione della diversità biologica, e in particolar modo ovviamente anche per i programmi di sviluppo, di eliminazione della povertà e di promozione dello sviluppo sostenibile.
Per quanto riguarda la presente discussione sulla revisione dell’accordo di Cotonou, non stiamo tenendo conto della prospettiva finanziaria, attualmente al centro di un così acceso dibattito, perché il Fondo europeo di sviluppo non fa parte del bilancio generale. I problemi in questione, tuttavia, sono gli stessi. Si fanno grandi discorsi noi stessi non facciamo eccezione per poi stanziare somme troppo basse. Il Parlamento europeo deplora che l’importo totale concordato dal Consiglio per il 10° Fondo europeo di sviluppo sia inferiore a quello calcolato dalla Commissione. Le cifre esatte sono già state citate più volte. La riduzione di due miliardi di euro contraddice gli impegni che l’Unione europea ha assunto nell’ambito della revisione dell’accordo di Cotonou, e non tiene conto della promessa di aumentare considerevolmente gli aiuti allo sviluppo. Facciamo appello agli Stati membri perché aumentino sensibilmente il loro contributo al 10° FES, in modo da tener fede agli impegni presi e alle promesse fatte.
Sono inoltre molto lieta del fatto che si tratterà una risoluzione unanime, perché questo darà un sostegno forte alle posizioni espresse oggi da vari colleghi. Vorrei tuttavia ribadire il mio appoggio agli emendamenti proposti, fortemente interessati ad accertare le modalità attraverso le quali la dimensione economica degli accordi di partenariato economico verrà finanziata. Verrà sovvenzionata una “dimensione per lo sviluppo” attingendo ai fondi previsti per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, o come noi pretendiamo e come vorrei trovare evidenziato anche nella proposta di risoluzione verranno impiegati fondi aggiuntivi? Vorrei esprimere nuovamente il mio sostegno a favore dell’invito fatto dall’onorevole Kinnock a stanziare, al momento dell’ingresso − previsto tra breve − di Romania e Bulgaria, fondi aggiuntivi per il FES.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. − (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, ho ascoltato con molta attenzione e devo convenire che l’opinione generale in quest’Aula è unanime. Vorrei però far presente che il Consiglio naturalmente si atterrà agli impegni presi. Come ho già detto e insisto nel dire, riteniamo che il Consiglio stia tenendo del tutto fede agli impegni presi con i paesi ACP.
Molto importante è anche la questione della distribuzione e assegnazione dei finanziamenti, perché in questo contesto occorre affrontare anche problemi strutturali: si è accennato, per esempio, al problema degli stanziamenti residui. Ovviamente è anche nel nostro interesse che essi rimangano quanto più bassi possibile. Ciò richiede una verifica attenta: la intraprenderemo e riesamineremo il problema.
E’ stata anche sollevata la questione dell’aumento dei finanziamenti APS. Vorrei far notare che l’accordo finanziario interno prevede anche la possibilità di un cofinanziamento tra gli Stati membri a favore del FES o per suo tramite.
Si è più volte accennato alla questione del partenariato economico. Nell’ambito di tali accordi, che riteniamo certamente strumenti di aiuto allo sviluppo, una delle nostre ambizioni è quella di sostenere gli Stati ACP nella realizzazione del loro potenziale di integrazione economica e nell’incremento della concorrenza potenziandone le capacità commerciali. Le regioni ACP verranno inoltre rafforzate attraverso la loro integrazione regionale politica ed economica e il loro inserimento nell’economia mondiale. Riteniamo quindi particolarmente importante sostenere gli accordi di partenariato economico con gli aiuti allo sviluppo stanziati a titolo del 10° FES.
Infine, vorrei nuovamente richiamare l’attenzione sull’aumento degli stanziamenti in relazione a Bulgaria e Romania. Il Consiglio si è del tutto attenuto alla prassi adottata finora e ha incluso Bulgaria e Romania, che per allora saranno entrate a far parte dell’Unione, nei calcoli sulla dotazione del 10° FES per il 2008. Ritengo tale prassi assolutamente corretta e non credo che il Consiglio abbia agito in modo irregolare.
Molte delle questioni discusse e sollecitate oggi sono ancora oggetto di negoziazione. Naturalmente tutto ciò dipende anche dalla prospettiva finanziaria. Vorrei sottolineare ancora una volta che la Presidenza austriaca è disposta a confrontarsi con voi sulle tematiche dello sviluppo in qualsiasi momento. In questo senso va interpretata la nostra proposta di fornire ragguagli alla commissione parlamentare per lo sviluppo in seguito alla prossima riunione del Consiglio “Affari generali e relazioni estere”, che si terrà l’11 aprile e verterà esclusivamente su problemi in materia di sviluppo. In via informale, è già stata proposta a questo scopo la data del 24 aprile.
Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento.
15. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
Presidente. – L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.
Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Oggi prendo la parola per parlare di una grande tragedia umanitaria attualmente in atto.
Dal 1° gennaio di quest’anno, oltre mille immigranti africani hanno raggiunto le acque delle Isole Canarie, ma altrettanti sono annegati nella traversata dalla Mauritania. Si tratta di un’enorme ecatombe.
Il governo spagnolo e il governo della Mauritania hanno cominciato a collaborare, ma spero che l’Unione europea, e specificamente la Commissione e il Consiglio, adottino presto misure volte a risolvere questa grande tragedia umana.
Arūnas Degutis (ALDE). – (LT) L’espansione e la realizzazione della rete transeuropea costituiscono quasi un punto di forza nel nostro impegno per il conseguimento degli obiettivi presentati nel Libro bianco del 2001 della Commissione europea e nella messa in opera della strategia di Lisbona. Tuttavia, i progetti delle reti transeuropee sono stati valutati soltanto se sono stati pianificati, finanziati e attuati in modo adeguato. Tenendo presente la proposta sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013 fatta dal Consiglio europeo a dicembre, diventa chiaro che emergeranno ovviamente difficoltà finanziarie al momento di valutare i progetti. Ritengo quindi che l’Unione europea debba contribuire in maggior misura alla realizzazione promuovendo un approccio più flessibile all’utilizzo dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione per il finanziamento delle reti transeuropee, nonché il finanziamento dei programmi Galileo a carico della linea di bilancio per la ricerca scientifica. Ai progetti deve inoltre essere applicato un ordine di priorità, dando la precedenza a progetti come, ad esempio, quelli del settore ferroviario, nel quale si sono compiuti sinora i massimi progressi con i cosiddetti corridoi ferroviari transfrontalieri.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) I problemi arrecati ai coltivatori portoghesi dalla pessima annata agricola, in seguito all’estrema siccità dell’anno scorso, sono stati aggravati dall’interruzione unilaterale da parte del governo di misure agroambientali stabilite nel 2005 con gli agricoltori e cofinanziate per l’85 per cento dall’Unione europea. Questa situazione è anche un esempio delle conseguenze dell’applicazione dei criteri irrazionali del Patto di stabilità e di crescita, che conduce a drastici tagli al bilancio per controllare il disavanzo, indipendentemente dai problemi economici e sociali così causati, impedendo anche l’uso di fondi comunitari mancanti nel bilancio portoghese, come ha indicato il governo, per il 15 per cento del contributo nazionale.
Ciò solleva due questioni: in primo luogo, quando si porrà fine ai criteri irrazionali del Patto di stabilità e di crescita e, in secondo luogo, se la Commissione ha una strategia per alleviare i problemi degli agricoltori portoghesi.
Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, il Regno Unito gode attualmente di una deroga fiscale sulla nafta rossa che si applica alle imbarcazioni da diporto. Tale deroga scade a dicembre 2006 e, se non sarà prorogata, il prezzo del carburante per barche a motore potrebbe triplicare. Se si verificherà tale situazione, si registrerà inevitabilmente una riduzione della navigazione da diporto. Lo Scacchiere riceverà un gettito fiscale inferiore, non superiore, e le comunità locali subiranno un danno economico. Il prolungamento della deroga è una questione che riguarda il Consiglio e la Commissione, ma la politica fiscale dovrebbe essere prerogativa esclusiva dei governi nazionali sovrani.
Tutti i deputati britannici al Parlamento europeo dovrebbero esercitare pressioni sul ministro responsabile affinché la deroga continui. Dovrebbero altresì aderire alla campagna per il mantenimento della deroga lanciata dal periodico Motorboat Monthly. Sarò lieto di informarli sulle modalità di adesione.
Urszula Krupa (NI). – (PL) Signor Presidente, questa è la terza volta nel corso dell’attuale legislatura parlamentare che prendo la parola in una seduta plenaria per protestare contro la discriminazione ai danni dei cattolici. Questa volta vorrei parlare del blocco delle trasmissioni interattive di Radio Maryja su Internet, che rappresenta l’unica fonte affidabile di informazioni per i deputati di fede cristiana. Le nostre attività, come quelle del nostro elettorato, sono collegate a questi mezzi di informazione e il fatto che sia stata bloccata la ricezione di questa stazione significa quindi che da due mesi siamo privati di qualsiasi contatto con il nostro elettorato.
Le richieste e i solleciti inoltrati ai servizi di informazione e telecomunicazioni non hanno sortito alcun risultato, motivo per cui mi sento costretta a intervenire in Aula facendo riferimento all’articolo 10 della Convenzione per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. La situazione attuale costituisce una violazione evidente dei principi sanciti nella Convenzione. Noi speriamo che nel Parlamento europeo saranno garantite, a noi e ad altre minoranze, le nostre libertà.
Tunne Kelam (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, vorrei esprimere la mia preoccupazione per le condizioni in cui le autorità russe tengono i loro prigionieri. In violazione della legge, Mikhail Khodorkovsky della Yukos Company è stato trasferito a 7 000 chilometri di distanza dalla sua famiglia. Il suo avvocato si è recato nel campo di detenzione siberiano – impiegando sei ore di aereo, tredici ore di treno e un paio d’ore in auto – per preparare un appello al Tribunale per i diritti umani di Strasburgo. Le è stato permesso di incontrare il suo cliente soltanto dopo le 18. Dopo alcuni incontri serali, Khodorkovsky è stato improvvisamente trasferito in una speciale cella di isolamento, dove si trova tuttora. La ragione apparente era quella di impedirgli di completare il suo appello al Tribunale di Strasburgo. Invito i colleghi a reagire a queste azioni arbitrarie da parte delle autorità russe, le quali sfidano manifestamente le loro stesse leggi.
Marianne Mikko (PSE). – (ET) Domenica sono stati arrestati a Minsk due giovani estoni, osservatori non ufficiali delle elezioni, ai quali è stato intimato: “Non venite a Minsk con la vostra rivoluzione arancione”. Anche questa volta le elezioni in Bielorussia non sono state libere. Sono invece convinta che le elezioni che si svolgeranno in Ucraina questo fine settimana saranno democratiche, corrette e libere. Lo posso confermare perché sono appena stata a Kiev.
L’Estonia è solidale con la Moldova, l’Ucraina e la Bielorussia, perché non abbiamo dimenticato la nostra storia.
Questa settimana, l’Estonia piange una persona senza la quale il nostro ritorno in Europa sarebbe stato notevolmente più difficile. Nei necrologi il Presidente Lennart Meri è celebrato come un grande estone. Fu nominato europeo dell’anno cinque anni prima che l’Estonia entrasse nell’Unione europea. Lennart Meri ha dedicato tutta la sua energia a lottare contro una mentalità europea ristretta.
L’Unione europea non dovrebbe comportarsi in maniera miope o poco lungimirante. Deve sostenere tutti i paesi che tentano di liberarsi dalle pastoie del passato e di unirsi a un’Europa democratica.
Dobbiamo affermare inequivocabilmente che l’adempimento dei tre criteri di Copenaghen offre anche agli Stati vassalli dell’Unione Sovietica l’opportunità di divenire Stati membri dell’Unione europea.
Danutė Budreikaitė (ALDE). – (LT) Con l’avvicinarsi della decisione relativa all’ampliamento della zona euro, i criteri per l’introduzione della moneta unica stanno diventando sempre più politicizzati. La direzione della Banca centrale europea ha dichiarato che i criteri devono essere soddisfatti a lungo termine, non solo durante il periodo di valutazione. Di recente, il prezzo elevato delle forniture di energia – un fattore esterno, indipendente dalla gestione dell’economia di un paese – sta influenzando uno dei criteri di Maastricht – l’aumento dell’inflazione. E’ molto complesso mantenere tassi elevati di crescita economica e un basso tasso di inflazione. Inoltre, nel determinare i criteri riguardanti l’inflazione, dobbiamo tenere conto anche della riduzione fortuita del prezzo di certi beni in Finlandia e nei Paesi Bassi, che vantano i tassi di inflazione più bassi, e migliorare quindi i mezzi per la definizione dei criteri. In Lituania l’inflazione supera forse in lieve misura il parametro fissato dai criteri. Da sei anni è notevolmente più bassa rispetto ai requisiti di Maastricht, ma in un’economia che sta emergendo così rapidamente, mantenere bassi i prezzi è un compito veramente complesso. Dopo l’esito negativo del referendum sul Trattato costituzionale e senza una politica estera e sull’energia comune, almeno ampliamo la zona dell’euro e imprimiamo all’Unione europea un rinnovato impulso per la crescita.
Mario Borghezio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’esclusione dal gruppo IND-DEM della delegazione polacca e della Lega Nord è uno scandalo, avvenuto con una procedura illegale dalla A alla Z, di stampo sovietico.
Vi è una lettera indirizzata al Presidente del Parlamento europeo da parte dell’allora presidente dell’ufficio di presidenza dell’IND-DEM, l’on. Piotrowski. Vogliamo sapere dal Presidente quando sarà data una risposta ufficiale a questo reclamo.
Siamo pronti a ricorrere alla Corte di giustizia europea e nel frattempo coloro che con procedura sovietica ci hanno esclusi da questo gruppo con una defenestrazione, che ricorda appunto il comunismo, sono indagati alla Corte dei conti per pasticci fatti nell’uso dei fondi, pasticci ai quali noi e gli amici e colleghi della delegazione polacca ci siamo sempre opposti in nome dei principi di trasparenza. Fate chiarezza su questa questione, che fa vergogna al Parlamento europeo.
Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE). – (LT) Domenica scorsa il Parlamento europeo attendeva le elezioni presidenziali che erano in programma in Bielorussia. E’ vero, la campagna elettorale ha lasciato poco spazio alla speranza che le elezioni sarebbero state democratiche, libere e corrette, poiché è stata condotta in un’atmosfera di minacce, di arresti dei leader dell’opposizione e di repressione della stampa indipendente. Responsabile di tutto questo è il regime di Lukashenko, ma alcuni speravano comunque che almeno le elezioni sarebbero state corrette. Purtroppo, invece che alle elezioni abbiamo assistito a una farsa, a una consultazione truccata, come quelle organizzate negli anni ’30 o negli anni ’50 nell’Europa orientale e in Lituania durante l’occupazione sovietica. Questo è confermato dalle conclusioni della missione degli osservatori OSCE, ma la “rivoluzione dei jeans” non è finita. Circa 600 giovani hanno trascorso un’altra notte in tenda nella piazza di ottobre a Minsk, affrontando una temperatura di 10 gradi sotto zero. Ieri 11 ambasciatori dell’UE sono andati a far loro visita per dimostrare la solidarietà dell’Unione europea. Signor Presidente, dobbiamo esigere l’organizzazione di nuove elezioni presidenziali in Bielorussia.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). – (PL) Signor Presidente, accogliamo con soddisfazione i chiari progressi compiuti nei negoziati con il Consiglio sulle nuove prospettive finanziarie. Il risultato del trilogo di ieri, tuttavia, è stato solo il primo passo sulla via verso un accordo, e questo passo è stato compiuto a metà del semestre di Presidenza austriaca. Ci sono voluti tre mesi interi perché il Consiglio avviasse i negoziati. Nel frattempo, tra nove mesi scadrà l’accordo interistituzionale, comincerà un nuovo periodo di programmazione e l’Unione europea avrà due nuovi Stati membri, eppure non sappiamo ancora quale sarà il nostro bilancio e che tipo di Unione europea ci stiamo sforzando di realizzare.
Non abbiamo tempo per negoziati che si trascinano per mesi, in particolare per il fatto che i cittadini dell’Unione europea non capiscono perché sia così difficile giungere a un accordo se stiamo tutti lavorando per lo stesso fine, vale a dire per lo sviluppo equilibrato nell’interesse di tutti gli Stati membri. Il tempo lavora contro i progressi, tuttavia, e i ritardi nell’attuazione dei nuovi programmi equivalgono di fatto a occasioni di investimento e opportunità perdute. Di questo saremo responsabili di fronte ai cittadini dell’Europa unita. In ogni caso, non possiamo permetterci di sprecare le prossime settimane. Dobbiamo giungere a un compromesso al più presto.
Marios Matsakis (ALDE). – (EN) Signor Presidente, la settimana prossima a Cipro ricorre la giornata di commemorazione per coloro che persero la vita nella sollevazione popolare del 1955 contro il dominio coloniale britannico. Centinaia di civili, compresi donne e bambini, furono uccisi o giustiziati dall’esercito britannico durante la lotta per la libertà, durata quattro anni, che terminò nel 1959, dopo che il Regno Unito fu costretto a concedere a Cipro una forma di indipendenza. Oggi, Cipro e il Regno Unito, in uno spirito di perdono e di riconciliazione, sono paesi amici e partner attraverso l’appartenenza all’Unione europea e cooperano strettamente nel tentativo di ottenere la pace e la prosperità.
Tuttavia, le relazioni tra i due paesi rischiano purtroppo di deteriorarsi a causa della presenza permanente di truppe britanniche a Cipro. Circa diecimila soldati britannici sono di guarnigione in un’area equivalente al quattro per cento circa del territorio dell’isola, nota come basi sovrane britanniche. Molte migliaia di civili ciprioti vivono in queste aree nelle quali, stranamente, non si applica l’acquis comunitario. I diritti umani di questi cittadini sono pesantemente violati dal Regno Unito.
Faccio appello ai colleghi britannici perché comprendano i sentimenti e rispettino i diritti dei cittadini ciprioti ed esercitino pressioni sul loro governo affinché restituisca questo territorio delle basi britanniche al legittimo proprietario: il popolo di Cipro.
So che questo è un punto dolente, ma spero che siate d’accordo con me sul fatto che è del tutto inaccettabile che il Regno Unito, uno Stato membro dell’Unione europea, occupi parte di un altro Stato membro, Cipro.
Dariusz Maciej Grabowski (NI). – (PL) Signor Presidente, l’Unione europea ha parteggiato per la banca UniCredito Italiano nella sua controversia con il governo polacco. Così facendo, ha ignorato l’antico principio Pacta sunt servanda – gli accordi devono essere rispettati – poiché UniCredito non ha mantenuto l’accordo sottoscritto. L’Unione ha ignorato il fatto che, a seguito delle azioni della banca, i servizi bancari sul mercato polacco sono stati monopolizzati. Essenzialmente, i funzionari dell’UE stanno proteggendo gli interessi e i profitti di UniCredito Italiano.
Con questo atteggiamento i funzionari dell’Unione europea vogliono forse dimostrare che l’idea secondo cui le Istituzioni europee esistono per proteggere i consumatori, gli imprenditori e la concorrenza è solo un luogo comune e che ciò che conta realmente sono gli interessi delle grandi imprese? Questo è un diktat al quale noi deputati polacchi ci opponiamo.
Csaba Sándor Tabajdi (PSE). – (HU) Signor Presidente, vorrei parlare dell’ultima discriminazione ai danni dei nuovi Stati membri. La tornata di Strasburgo del Parlamento europeo è sempre una dura prova per i deputati. Molti parlamentari possono accedere a Strasburgo solamente via Francoforte. Questo comporta un faticoso viaggio di due ore e mezzo in pullman.
Adesso abbiamo però un ulteriore inconveniente oltre a quelli incontrati sinora. All’aeroporto di Francoforte i passeggeri che viaggiano con compagnie aeree di nuovi Stati membri devono ora superare due controlli di sicurezza, mentre gli altri passeggeri solo uno. E’ piuttosto interessante che i passeggeri diretti in Afghanistan debbano superare un solo controllo di sicurezza, mentre quelli diretti nelle capitali dei nuovi Stati membri, come Tallinn, Riga, Vilnius, Varsavia, Praga, Bratislava, Budapest e Lubiana, ne devono superare due.
Questo è un esempio di un’altra evidente discriminazione ai danni delle compagnie aeree dei nuovi Stati membri e dei passeggeri diretti in questi paesi, perché aumenta i costi sostenuti da tali compagnie. Vorrei chiedere ai deputati tedeschi di adoperarsi affinché sia messa fine alla discriminazione contro i nuovi Stati membri.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, vorrei affrontare molto brevemente due questioni. La democrazia e i diritti umani sono molto importanti per gli europei: ci teniamo a custodirli e preservarli. L’onorevole Tunne Kelam ha già sollevato la questione riguardante la situazione dei diritti umani in Russia e, in particolare, il trattamento subito da Mikhail Khodorkovsky. Se realmente nell’Unione europea sosteniamo i diritti umani, non possiamo accettarlo. Dobbiamo intervenire nel caso Khodorkovsky, nonché in generale riguardo alla situazione dei diritti umani in Russia.
Un’altra questione connessa alla democrazia è la necessità di sapere con precisione nell’Unione europea come vengono spesi gli euro dei contribuenti europei. Non possiamo sostenere organizzazioni terroriste come Hamas, che ora è salito al potere nella regione autonoma palestinese. Al contrario, dovremmo promuovere la democrazia, cessare la cooperazione con le organizzazioni terroristiche e smettere di finanziarle.
James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, in seguito all’attuazione della direttiva sui nitrati, il settore agricolo nel mio collegio elettorale e altrove è costretto a ingenti esborsi di capitale allo scopo di aumentare radicalmente la capacità di stoccaggio dei liquami. Per aiutare il settore, il Regno Unito ha annunciato un programma statale di sovvenzioni che prevede la possibilità di presentare domande entro la fine di questo mese. In seguito, all’inizio del mese, lo stesso dipartimento ha annunciato unilateralmente che il programma veniva sospeso, perché l’importo ad esso destinato – appena 45 milioni di sterline – era già stato superato.
Gli agricoltori che in buona fede stavano lavorando per rientrare nei termini stabiliti si trovano evidentemente svantaggiati. La giustificazione per ottenere la sovvenzione, vale a dire la necessità di intraprendere un lavoro eccessivamente costoso, sussiste ancora. Tuttavia, ora l’assistenza finanziaria è stata annullata. Questo non è corretto, in quanto i 45 milioni di sterline erano evidentemente insufficienti. Questa sera mi avvalgo quindi della possibilità di intervenire in quest’Aula per esortare il governo del Regno Unito a destinare fondi sufficienti per permettere la realizzazione di quest’opera essenziale, altrimenti l’attuazione della direttiva sui nitrati sarà impossibile.
Joseph Muscat (PSE). – (EN) Signor Presidente, il 19 febbraio 2006 un piccolo gruppo di giovani maltesi appartenenti a Moviment Graffitti ha organizzato una protesta pacifica in favore della pace e contro la guerra. Essi intendevano esprimere la loro disapprovazione per la presenza di cinque navi da guerra della NATO nei porti maltesi, esponendo semplicemente striscioni recanti le scritte “Pace, non guerra” e “Le navi da guerra uccidono”. Le autorità di polizia hanno impedito a questi attivisti di esporre i loro striscioni – una piccola e legittima protesta pacifica – sul Pinto Wharf e sui bastioni del Grand Harbour.
Inoltre, pare che agli attivisti sia stato comunicato che tali dimostrazioni non saranno permesse in futuro. Questo atteggiamento è inaccettabile e viola il diritto fondamentale della libertà di espressione. Ho pertanto chiesto alla Commissione di esprimersi su questo caso. Dovremmo dimostrare piena solidarietà a questi giovani ed esortarli a continuare ad esercitare il diritto di esprimere le proprie opinioni in maniera pacifica.
Presidente. – La discussione è chiusa.
16. L’impatto in materia di sviluppo degli accordi di partenariato economico (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sulla relazione (A6-0053/2006), presentata dall’onorevole Luisa Morgantini a nome della commissione per lo sviluppo, sull’impatto in materia di sviluppo degli accordi di partenariato economico [2005/2162(INI)].
Luisa Morgantini (GUE/NGL), relatrice. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, “Mangerai quando sarai competitivo” è lo slogan di un poster: sullo sfondo un ragazzo africano pelle e ossa. La frase è enfatica, ma sembra proprio che l’Unione europea stia, e questo è un eufemismo, sopravvalutando l’efficacia del commercio nella lotta alla povertà.
La relazione oggi in discussione è monca, il progetto prevedeva infatti alcuni punti in cui si mettevano in discussione gli effetti della liberalizzazione sull’economia dei paese in via di sviluppo. Diversi studi econometrici, un rapporto di Christian Aid, lo studio Winners and losers di Sandra Polanski, pubblicato la settimana scorsa, hanno mostrato che molti paesi in via di sviluppo, soprattutto nell’Africa subsahariana, vivrebbero migliori condizioni oggi se non avessimo introdotto misure di liberalizzazione selvaggia.
Lo studio della Polanski, che analizza i vincenti e i perdenti delle liberalizzazioni lanciate con il ciclo di Doha, conferma dati che erano già stati diffusi dall’UNCTAD e dall’UNDP ed arrivano ad alcune conclusioni: i paesi in via di sviluppo saranno verosimilmente i perdenti del gioco, visto che non hanno capacità agricole e industriali per competere con i paesi ricchi; i vincenti saranno proprio i paesi ricchi: gli Stati Uniti, l’Europa e il Giappone, ma anche la Cina.
Il libero commercio produrrà modesti guadagni a livello globale, anche perché i costi di aggiustamento, che i paesi devono affrontare quando si impegnano nel processo di liberalizzazione promosso dai paesi industrializzati, possono essere maggiori dei benefici.
Non si tratta di essere contro il commercio, l’apertura dei mercati può essere anche un efficace strumento di lotta alla povertà, ma come ogni strumento deve essere usato con molta cautela. Bisogna, prima di tutto, mettere in condizione i paesi di fare fronte alle proprie esigenze interne, rafforzando la capacità produttiva in funzione, soprattutto, di obiettivi interni di sovranità alimentare, poi bisogna permettere di far fronte alla concorrenza e alle limitazioni all’atto dell’offerta, fornendo risorse adeguate non presenti al momento nelle prospettive finanziare.
Bisogna, poi, in secondo luogo, lavorare sulla base di calendari realistici, che tengano conto del tempo che gli aggiustamenti strutturali chiedono e, in terzo luogo, bisogna limitare l’apertura del mercato, prevedendo anche meccanismi per sospendere il processo di liberalizzazione, se necessario, e dando la possibilità ai paesi ACP di proteggere le proprie industrie nascenti e strategiche; del resto questo criterio lo abbiamo utilizzato noi stessi durante tutto lo scorso secolo e qualcuno in realtà tenta ancora di riproporlo oggi.
Questi principi sono quasi presenti nella relazione, anche perché queste sono le richieste dei paesi ACP, sono loro che le formulano. Perché un principio effettivo di partnership impone di tener conto delle richieste dei nostri interlocutori, soprattutto se giustificate, soprattutto se sostenute dalla società civile in Europa e nei paesi ACP. Anche e soprattutto perché gli accordi di partenariato economico nascono dal quadro legale e istituzionale dell’accordo di Cotonou, firmato dall’Unione europea – lo sottolineo – e hanno come obiettivo ultimo lo sviluppo e la lotta alla povertà.
In base a questo stesso principio di partenariato non abbiamo diritto di imporre accordi. Credo che siano loro a doverlo fare e uno dei punti principali della relazione è la richiesta alla Commissione di studiare fin da subito le alternative affinché i paesi ACP possano, valutando le opzioni, scegliere se firmare o meno tali accordi. La reciprocità, poi, con cui si sta richiedendo l’attuazione delle liberalizzazioni, significa applicare leggi uguali tra soggetti non uguali economicamente e per grado di sviluppo; ciò non porta affatto uguaglianza e democrazia.
Pensare allo sviluppo solo in termini di aumento del prodotto interno lordo in un paese è molto riduttivo. Lo sviluppo è difficile da definire, ma quando nella mia relazione si chiede alla Commissione di proteggere dalla liberalizzazione i settori dell’acqua, della salute e dell’istruzione, si parla sostanzialmente di diritti che devono essere garantiti, come quando si cita la dichiarazione di Città del Capo, l’Assemblea paritetica ACP-UE ha anche la competenza per fissare indicatori di sviluppo per valutare il conseguimento dei risultati e dei negoziati commerciali, chiedendo che si includano gli indicatori sociali e ambientali come la creazione di lavoro dignitoso, la salute, l’istruzione, la parità dei sessi.
Si parla di diritti, di quelli stessi diritti per i quali in Europa ci siamo battuti, di quelli stessi valori su cui si fonda l’Unione europea. Il Parlamento europeo non può voler cancellare questi valori. Siamo in un momento cruciale della lotta alla povertà, dobbiamo anche rispondere agli obiettivi che ci siamo posti.
Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevole Morgantini, onorevoli deputati, a nome della Commissione mi congratulo con la commissione per lo sviluppo e in particolare con la sua presidente, onorevole Morgantini, per questa relazione, che pone la questione dello sviluppo al centro dei negoziati sugli accordi di partenariato economico (APE). Concordiamo tutti sul fatto che lo sviluppo è il punto di partenza, l’elemento essenziale e la priorità della nostra azione. Continueremo naturalmente a insistere su tale aspetto durante tutti i negoziati nonché in sede di attuazione degli APE.
Vorrei dire prima di tutto che sono lieto che su moltissimi punti siamo dello stesso parere, ad esempio sull’importanza del dialogo con la società civile e con i parlamenti nazionali dei paesi ACP, sull’obiettivo dell’integrazione regionale e della governance economica, sul ruolo degli investimenti e della diversificazione delle esportazioni. Nella relazione ritrovo pareri e posizioni che io stesso ho manifestato sovente ai nostri partner, i quali devono svolgere un ruolo fondamentale in questo contesto.
L’obiettivo primario è quello dello sviluppo, il che comporta anche un approccio flessibile che permetta di tener conto delle debolezze economiche dei paesi interessati, paesi che è nostra intenzione rafforzare. La peculiarità di tale approccio risulta evidente, per esempio, nel modo in cui la liberalizzazione del commercio è positivamente squilibrata a favore dei paesi ACP, nella flessibilità riguardo all’apertura dei loro mercati, nella misura in cui noi acquistiamo i loro prodotti e nei necessari meccanismi di salvaguardia. Tutti questi principi sono stati definiti con chiarezza nelle nostre posizioni negoziali sin dal primo giorno, e il Commissario Mandelson in persona li ha confermati in numerose occasioni.
Nondimeno, ho rilevato anche che, su determinate questioni delicate, la relazione solleva dubbi a mio parere ingiustificati, ad esempio laddove si chiede quanto la nostra posizione sugli accordi di partenariato economico sia coerente con gli impegni assunti nell’ambito dell’accordo di Cotonou o con la recente dichiarazione sulla politica europea per lo sviluppo. Forse si tratta di un problema di comunicazione, che cercherò di risolvere oggi stesso. Tra noi non devono esserci incomprensioni perché, nella delicata fase negoziale in cui ci troviamo e che dovrebbe concludersi tra poco più di un anno, la Commissione ha ovviamente più bisogno che mai del sostegno del Parlamento.
In primo luogo, credo che dobbiamo riportare nella sua giusta prospettiva la compatibilità tra gli accordi di partenariato economico e le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. E’ chiaro che tale compatibilità è un imperativo se vogliamo garantire la stabilità degli APE, al pari di tutti gli altri nostri accordi economici, e la Commissione deve adoperarsi a tal fine. E’ altresì nostra intenzione migliorare, ove possibile, le regole dell’OMC. In quest’ottica sono state avanzate alcune proposte; credo tuttavia che non dovremmo farci illusioni e che dobbiamo essere consapevoli delle limitazioni e delle difficoltà oggettive di un simile approccio. Ma soprattutto non va dimenticato che il vero motivo per cui abbiamo istituito gli accordi di partenariato economico non è l’OMC, bensì l’urgente necessità, ampiamente dimostrata e confermata nell’accordo di Cotonou, di usare il commercio più efficacemente come forza trainante della crescita economica nei paesi ACP, come è già avvenuto in molti altri paesi, tra cui anche quelli in via di sviluppo.
A mio parere, il successo degli accordi di partenariato economico dipenderà da tre fattori chiave, tutti di pari importanza. Primo: negoziati mirati realmente allo sviluppo dei nostri partner, il che è, come ho detto, il nostro unico obiettivo strategico. Secondo: l’impegno dei nostri partner ACP a istituire un quadro normativo che favorisca gli investimenti. Terzo: il sostegno che l’Unione europea, ma anche i suoi Stati membri e altri donatori, saranno in grado di fornire ai paesi interessati, al fine di preparare e concretizzare l’applicazione degli APE. Comprendo l’attenzione con cui i nostri partner e il Parlamento guardano a quest’ultimo punto. Il giorno stesso in cui ho assunto l’incarico di Commissario europeo ho promesso che avrei garantito che sarebbero state trovate le risposte necessarie.
Siamo riusciti a ottenere l’impegno da parte degli Stati membri ad aumentare progressivamente, fino a raddoppiarli, i loro aiuti allo sviluppo, e ringrazio il Parlamento per il sostegno che ci ha dato al riguardo, senza il quale non avremmo raggiunto questo risultato. Mi permetto di ricordarvi che in tal modo gli aiuti allo sviluppo aumenteranno di oltre 20 miliardi di euro a partire dal 2010. Siamo riusciti a trovare un accordo sul rafforzamento della cooperazione tra la Commissione e gli Stati membri nel quadro del consenso europeo adottato a dicembre nonché sulla ribadita necessità di dare la priorità all’efficacia degli aiuti. Abbiamo deciso di concentrarci dapprima sull’Africa, e per quel continente abbiamo elaborato una strategia coerente. E’ già operativo un fondo fiduciario per le infrastrutture, comprese quelle mirate a promuovere il commercio. Nel contesto del programma per il decimo Fondo europeo di sviluppo, stiamo decidendo insieme con i nostri partner quali siano i mezzi migliori per sostenere l’integrazione economica a livello regionale, per la quale anche i nostri partner hanno definito le loro agende.
Gli accordi di partenariato economico fanno parte di quest’azione, di cui rappresentano un elemento importante. In tale contesto, la tempistica riveste un ruolo essenziale; ad esempio, dopo l’entrata in vigore degli APE si verificherà un calo del gettito fiscale a causa dell’eliminazione dei dazi doganali, calo che potrà essere compensato in parte dalla prevista crescita economica e in parte dalla razionalizzazione del sistema fiscale che è già stata avviata in molti paesi, spesso con il nostro aiuto. Inoltre, per facilitare la transizione, sono già state previste per determinate regioni alcune misure di sostegno a livello macroeconomico. Vi posso dire che sono attivamente impegnato a individuare misure volte a sostenere gli accordi di partenariato economico, in particolare per quanto attiene alle conseguenze che essi potrebbero comportare, in un primo momento, dal punto di vista delle risorse necessarie a garantire l’operatività dello Stato sovrano.
So che taluni sarebbero favorevoli a un dibattito sulle possibili alternative agli accordi di partenariato economico. Personalmente non ritengo utile una discussione accademica di questo tipo, prima di tutto perché un dibattito approfondito c’è già stato a Cotonou quando è stato concordato che gli APE avrebbero offerto i vantaggi migliori in termini di sviluppo, di accesso al mercato compatibile con l’OMC e di sostegno al buon governo e all’integrazione regionale. In secondo luogo, tutti i paesi ACP stanno tuttora negoziando tali accordi. Infine, i paesi beneficiano degli effetti derivanti dall’accesso a mercati aderenti al sistema di preferenze generalizzate e all’iniziativa “Tutto fuorché le armi”. Nel frattempo, dopo praticamente mezzo secolo di preferenze unilaterali nell’ambito della Convenzione di Lomé e dell’accordo di Cotonou, sappiamo che tale accesso preferenziale al nostro mercato di per sé non basta a soddisfare le esigenze dei nostri partner.
In conclusione, la relazione esprime la nostra posizione comune su una vasta gamma di temi. Per avviare un così gran numero di paesi sulla strada dello sviluppo e della crescita, sono pronto a continuare a collaborare con voi sugli obiettivi e sulle sfide che noi e i nostri partner abbiamo davanti in questo progetto complesso, ambizioso e d’importanza vitale che sono gli accordi di partenariato economico.
Domani parteciperò a un seminario sull’Africa orientale. Sapete che sto facendo il giro di tutte le organizzazioni regionali e che, durante ogni visita, tutte le persone che collaborano allo sviluppo mi manifestano i loro timori. Voi avete trasmesso tali timori perfettamente, e vi prego di credermi quando vi dico che ne sono profondamente consapevole. Sono perfettamente a conoscenza delle questioni reali e concrete che sollevate, e vi posso dire in tutta sincerità che le valutazioni e le discussioni stanno facendo progressi importanti, come pure le riflessioni creative, in vista della definizione di una serie di strumenti atti a sostenere meglio i paesi partner e a dare risposte più dirette alle loro preoccupazioni.
Concludo esprimendovi la mia gratitudine. Condivido appieno le linee essenziali di questa eccellente relazione. Sono più disponibile che mai a discutere con voi, in particolar modo dei modi più idonei a sostenere questo processo.
Maria Martens, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, gli accordi di partenariato economico riguardano le relazioni commerciali con i paesi ACP, le quali sono regolamentate dall’accordo di Cotonou. Le disposizioni attualmente vigenti, però, non sono più conformi alle norme approvate dall’Organizzazione mondiale del commercio, dato che il trattamento speciale riservato ai paesi ACP rispetto agli altri paesi in via di sviluppo costituisce una violazione delle norme dell’OMC e deve pertanto essere uniformato ad esse.
Il sistema attuale può restare in vigore fino al 2008 e dovrà essere modificato al più tardi entro quella data.
Alcuni deputati al Parlamento europeo sono contrari agli accordi di partenariato economico in linea di principio, perché non credono che un certo grado di liberalizzazione commerciale, non importa sotto quale forma, possa contribuire allo sviluppo dei paesi poveri.
Il mio gruppo, invece, è convinto che il commercio e, in particolare, la liberalizzazione del commercio tra i paesi ACP, possa effettivamente svolgere un ruolo importante. Non abbiamo quindi alcuna obiezione di fondo agli APE, purché ci si arrivi sulla base di accordi validi che stabiliscano, ad esempio, un congruo periodo di tempo per consentire ai paesi interessati di adeguarsi alle nuove condizioni e la possibilità di dare loro aiuti in tal senso. E’ importante che gli APE prevedano queste condizioni.
Quindi, per parte nostra non ci sono obiezioni agli accordi di partenariato economico, purché essi ci pongano in condizione di contribuire alla lotta contro la povertà. Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei vuole che tali accordi perseguano come obiettivo prioritario quello dello sviluppo; ciò significa che la liberalizzazione dev’essere graduale, deve andare a beneficio dei paesi ACP ed essere adattata alle diverse e specifiche esigenze dei singoli paesi, in modo tale che servizi di base importanti come l’acqua, l’istruzione, i trasporti e l’energia restino disponibili a tutti. Il PPE vuole che sia fissato un calendario realistico, ovvero che sia previsto un tempo sufficiente per apportare i cambiamenti necessari. Il gruppo PPE-DE vuole che siano previste sufficienti misure di sostegno, ad esempio sotto forma di assistenza tecnica, di sviluppo di capacità e di riforme in settori come quello doganale e fiscale; vuole altresì che venga promossa la cooperazione su base regionale tra i paesi ACP.
Le aree su cui il gruppo PPE-DE nutre preoccupazioni sono quattro, che mi accingo a illustrare.
La prima preoccupazione riguarda la scarsità delle informazioni fornite dalla Commissione durante i negoziati. La seconda riguarda i tempi ristretti nei quali tali negoziati vengono ora condotti e in cui dovranno essere successivamente attuati. I negoziati sono in corso dal 2002 e non abbiamo ancora ricevuto bozze di documenti.
Ci sono infine gli aspetti finanziari. Il successo degli accordi di partenariato economico dipenderà dall’assegnazione di importi adeguati, i quali dovranno provenire, innanzi tutto, dal Fondo europeo di sviluppo e, poi, anche da altre fonti di finanziamento. Al momento la provenienza degli stanziamenti non è ancora chiara. Esistono norme per situazioni di emergenza che stabiliscono le modalità di finanziamento, e tali norme sono necessarie. Qualora il sistema non dovesse funzionare in alcuni luoghi, dovrebbe esserci la possibilità di rallentare il ritmo del processo o di sospenderlo per un certo periodo di tempo – una possibilità che è già contemplata dalle vigenti regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. Per ora non abbiamo proposte specifiche da avanzare in merito. Il Commissario ha già affrontato la questione nei dettagli; ora mi auguro che potremo collaborare più strettamente e ricevere informazioni più particolareggiate.
Glenys Kinnock, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, nel ringraziare il Commissario desidero riallacciarmi innanzi tutto alla sua osservazione secondo cui parlare di alternative agli accordi di partenariato economico sarebbe, a suo dire, un esercizio “accademico”. L’accordo di Cotonou stabilisce con grande precisione che le alternative fanno parte delle disposizioni alle quali i paesi ACP possono decidere se attenersi oppure no. Quindi, signor Commissario, non si tratta di un esercizio accademico, bensì chiaramente di un’opzione a disposizione dei paesi ACP.
Gli accordi di partenariato economico sono molto complessi e complicati per i paesi ACP e rappresentano i negoziati più complessi e più complicati ai quali quei paesi abbiano mai preso parte. Ho il sospetto, peraltro, che tali negoziati presentino qualche difficoltà anche per la Commissione, se non altro per le tensioni che esistono naturalmente tra le preoccupazioni e le priorità della DG “Sviluppo” e le preoccupazioni e le priorità della DG “Commercio”, che sono molto diverse tra loro. La nostra esperienza qui in Parlamento ci insegna che non sempre c’è la necessaria coerenza tra i nostri obiettivi.
Ho l’impressione che alcune delle preoccupazioni siano comuni a tutti i negoziati regionali, e me ne sto occupando molto da vicino. Da alcuni segnali emerge l’intenzione della Commissione di realizzare in via prioritaria un quadro per facilitare il commercio. Le regioni ACP sono invece molto più interessate a risolvere questioni quali le restrizioni relative all’offerta e il collegamento tra gli accordi di partenariato economico e il sostegno allo sviluppo. L’accesso al mercato rimane sicuramente un tema di importanza fondamentale.
La proposta apertura delle economie dei paesi ACP – la maggior parte dei quali figura tra i meno sviluppati in assoluto – è motivo di grave preoccupazione. I vantaggi dell’integrazione regionale, dell’accesso al mercato e del commercio e dello sviluppo integrati, come ha detto l’onorevole Martens, sono assolutamente evidenti. Tuttavia, la commissione per lo sviluppo ritiene che qualsiasi beneficio potenziale potrebbe essere vanificato dai costi potenziali che quei paesi potrebbero trovarsi a dover pagare; è pertanto possibile che gli accordi che i paesi meno sviluppati potrebbero dover stipulare per l’accesso al mercato – apertura del mercato – non siano esattamente ciò di cui essi hanno bisogno, e che dunque per quei paesi potrebbero rivelarsi più vantaggiosi altri tipi di accordo.
Per essere competitivi e commercializzare i propri prodotti, i paesi ACP devono investire in misura sostanziale nella loro capacità di agire in tal senso. Hanno bisogno di preparazione e devono migliorare la loro forza lavoro; hanno bisogno di infrastrutture, trasporti e capacità istituzionale migliori. Queste sono tutte questioni di prioritaria importanza per i paesi ACP.
Va precisato che non spetta alla Commissione dire ai paesi ACP come dev’essere un buon accordo di partenariato economico; spetta a quei paesi, previa consultazione dei rispettivi parlamenti, dell’Assemblea parlamentare paritetica e della società civile, prendere una decisione del genere. Qualsiasi criterio stabiliremo per gli accordi di partenariato economico, esso dovrà essere fondato sulla sua correlazione con gli Obiettivi di sviluppo del Millennio.
Vorrei porre al Commissario una domanda. Le trattative con l’Africa centrale vengono descritte come un modello esemplare di negoziati regionali. Secondo le mie fonti d’informazione, la DG “Sviluppo” al suo massimo livello – il che probabilmente significa lei, signor Commissario – nutrirebbe seri timori sulla capacità del Segretariato della Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale di portare avanti i negoziati. E’ questo il motivo per cui lei, signor Commissario, ha pubblicamente chiesto l’allontanamento del segretario esecutivo e del responsabile CEMAC per i negoziati sugli accordi di partenariato economico? Se la risposta è sì, come si concilia questo fatto con l’affermazione della DG “Commercio” che parla di un modello esemplare di negoziato?
Infine, vorrei richiamare la vostra attenzione sulla dichiarazione di Città del Capo dell’Assemblea parlamentare paritetica, del 2002, la quale stabilisce i criteri di riferimento per valutare la condotta e il risultato dei negoziati sulla base dei principali indicatori sociali e ambientali, tra cui la creazione di lavoro a condizioni dignitose, sanità, educazione e parità tra i sessi. Che il potenziale per fare tutto ciò esista è stato confermato l’anno scorso dal Consiglio ACP. Il Commissario intende rispondere a queste proposte?
Fiona Hall, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Morgantini è stata accolta molto favorevolmente da parte della commissione per lo sviluppo perché prende una posizione netta riguardo ai principi fondamentali sui quali dovrebbe fondarsi un partenariato economico.
Come hanno rilevato i Commissario Michel e Mandelson, gli accordi di partenariato economico devono essere mirati a promuovere lo sviluppo. Ciò vuol dire che, per forza di cose, la liberalizzazione dev’essere asimmetrica. Non è ammissibile costringere i paesi ACP ad aprire i loro mercati interni alle merci europee fino a quando tali mercati non saranno molto più consolidati e stabilizzati di quanto lo siano ora. Per parte nostra, a livello europeo possiamo offrire aiuti per l’attuazione di misure di carattere commerciale finalizzate alla creazione di quei mercati e all’imposizione di restrizioni relative all’offerta.
Degli emendamenti presentati in plenaria, il gruppo ALDE appoggerà quelli nei quali si chiede che siano gli stessi paesi ACP a stabilire il ritmo di apertura dei loro mercati e che l’Unione europea abbia la possibilità di collaborare molto più strettamente con i partner ACP nell’ambito dei negoziati sul commercio mondiale. Insieme, i paesi ACP e l’Unione europea formano un blocco notevole.
Il gruppo ALDE appoggerà inoltre gli emendamenti del gruppo PPE-DE che migliorano la formulazione del testo ed evitano definizioni eccessivamente restrittive per quanto riguarda, ad esempio, gli indicatori per la creazione di lavoro a condizioni dignitose.
Alcune organizzazioni non governative hanno lanciato una campagna che consiste esclusivamente nel dire “no” agli accordi di partenariato economico, ma tale posizione potrebbe equivalere a buttare il bambino con l’acqua sporca. L’integrazione regionale che fa parte del processo avviato con questi accordi aiuterà i paesi ACP a crescere e prosperare, ad aumentare gli scambi sud-sud e a eliminare le barriere tariffarie tra paesi ACP confinanti.
L’elemento chiave di tutte le fasi del processo negoziale APE è quello di assicurare che il risultato ottenuto vada a favore dello sviluppo. Mi auguro che la Commissione si ispirerà in ogni momento, in modo reale e coerente, a tale principio e a questa relazione.
Margrete Auken, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DA) Signor Presidente, lo scopo dell’accordo di Cotonou e degli accordi di partenariato economico è quello di eliminare la povertà e di promuovere uno sviluppo sostenibile. In nessun caso questo obiettivo può venir meno. La mentalità del quid pro quo, ovvero l’idea della reciprocità fondata su un principio di uguaglianza, è quindi del tutto fuori luogo. C’è un dato di cui dobbiamo tener conto, cioè che i due partner, l’Unione europea e i paesi ACP, non si trovano affatto su un piano di parità; pertanto, non sono i paesi ACP a dover aiutare l’Unione, bensì dovrebbe accadere l’esatto contrario. Sono assolutamente certa che su questo punto l’onorevole Morgantini è d’accordo con me.
I paesi più poveri possono esportare esclusivamente prodotti agricoli e materie prime, nonché prodotti ad alta intensità di lavoro, come ad esempio i tessili, e dovrebbero avere la possibilità di esportarli qui, nell’Unione europea, senza restrizioni. I paesi ACP hanno inoltre economie estremamente deboli; non possiamo quindi pretendere che liberalizzino il 90 per cento dei loro mercati solo per ricompensare l’UE dell’apertura dei mercati comunitari. Anche questa posizione è sostenuta nella relazione dell’onorevole Morgantini. Mi auguro pertanto di interpretare correttamente il paragrafo 17 della relazione nel dire che, ovviamente, sono soltanto i paesi ACP ad avere il diritto di introdurre limitazioni temporanee alle importazioni per le industrie minacciate da un improvviso e forte aumento delle importazioni. Sarebbe alquanto inopportuno se ci venisse riconosciuto il diritto di impedire ai paesi ACP di venderci i loro prodotti tessili e agricoli solo perché non siamo stati abbastanza abili da adattarci alle mutate condizioni della concorrenza in un mondo globalizzato. Il fatto è che anche a noi è stata concessa la facoltà di proteggere i nostri mercati quando le nostre economie erano ancora in fase di sviluppo. Detto ciò, proteggere i propri mercati non è il modo migliore per promuovere la crescita né un’economia sana, e pertanto tale misura dovrebbe essere applicata, anche nei paesi in via di sviluppo, in modo limitato, anche dal punto di vista temporale.
Gabriele Zimmer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Parlamento ha già avuto modo, in diverse occasioni e con ampi consensi, di trovare un’intesa sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio, nonché di sbandierare l’eliminazione della povertà dalla faccia della Terra come il nostro compito più importante per i prossimi decenni.
L’ottima relazione dell’onorevole Morgantini ci mette ora a disposizione una valutazione del contributo che gli accordi di partenariato economico possono fornire all’effettivo adempimento di tale compito. Ci attendiamo che la Commissione, durante i negoziati, riconosca una netta priorità allo sviluppo e all’eliminazione della povertà nei paesi ACP. Le critiche che sto per esprimere riguardano chiaramente la presenza di un rappresentante della DG “Commercio” a una riunione della commissione per lo sviluppo. Onde evitare malintesi, preciso che noi non vogliamo negoziati condotti nello stile e con il comportamento di una potenza coloniale; crediamo invece che debba essere garantito il sovrano potere decisionale dei nostri partner nei paesi ACP.
Tale potere sovrano va incoraggiato promuovendo gli investimenti nelle infrastrutture commerciali e, ovviamente, appoggiando le strategie nazionali di lotta contro la povertà, il che è del tutto conforme al principio di sussidiarietà tanto apprezzato nell’Unione europea. Se i governi esercitano il loro potere sovrano dando una valutazione scettica degli accordi di partenariato economico, allora devono essere disponibili alternative come quelle previste dall’accordo di Cotonou. E’ per questo motivo che mi chiedo come mai il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei voglia depennare il riferimento all’accordo. Perché il gruppo PPE-DE improvvisamente non si sente più vincolato dagli accordi? Esso sta anche cercando di cancellare dalla relazione praticamente tutte le frasi in cui si riconosce ai governi dei paesi ACP un sovrano potere negoziale e uno spazio politico autonomo per decidere se la liberalizzazione debba essere attuata in un dato settore, in quale misura ed entro quali scadenze. Vorrei sapere i motivi di questo comportamento.
La relazione Morgantini chiede che servizi di base, come la fornitura di acqua potabile, l’istruzione e altri servizi pubblici essenziali, siano esclusi a priori dalla liberalizzazione. Il gruppo PPE-DE vuole che tale disposizione sia tolta dalla relazione e si stabilisca che le forniture di acqua possono essere liberalizzate sulla base di prezzi sostenibili. A mio parere, questo è puro cinismo: vista la diffusa povertà in molte regioni dei paesi ACP, tale proposta è semplicemente irricevibile. Vi invito quindi a respingere domani questi emendamenti.
Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio innanzitutto la relatrice Morgantini per l’ottimo lavoro svolto. In una società ormai dominata da un mercato economico globalizzato, l’incentivazione della cooperazione allo sviluppo è un dovere per le istituzioni comunitarie, in un contesto mondiale in cui tre miliardi di esseri umani vivono con meno di due dollari al giorno e oltre un miliardo sopravvive con un dollaro.
Per questa finalità condivisa dobbiamo ricercare i mezzi adeguati che possono condurre sia ad un miglioramento della situazione economica nei paesi in via di sviluppo, sia ad una condizione di integrazione al mercato mondiale progressiva e crescente. Le politiche di cooperazione dell’Unione devono racchiudere priorità finalizzate alla trasformazione dei processi interni a questi paesi, che promuovano un clima politico stabile, aperto e democratico nonché un incremento del welfare. In questo ambito si può affermare che gli accordi di partenariato economico raffigurano un mezzo adeguato per rafforzare ed implementare le relazioni commerciali ACP-Unione europea.
Dobbiamo inoltre porre l’accento su un altro punto: vanno monitorati costantemente gli investimenti per lo sviluppo nei settori cosiddetti sensibili, quali l’istruzione, la salute e l’energia, ricorrendo, se necessario, ad una limitazione delle liberalizzazioni economiche. Dobbiamo ricordarci sempre che un’efficace integrazione e crescita economica, per avere successo e incidere positivamente sul tessuto sociale dei paesi in via di sviluppo, deve essere necessariamente accompagnata da un miglioramento delle condizioni di vita generali della popolazione. In questa cornice è necessario un impegno preciso, concreto e coerente.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). – (FI) Signor Presidente, desidero anzi tutto ringraziare l’onorevole Martens per l’eccellente discorso e per gli emendamenti che ha proposto. Questo approccio rafforza la relazione in esame e appoggia gli scopi che essa si prefigge, ovvero di rendere gli accordi di partenariato economico uno strumento operativo utile a raggiungere gli obiettivi dell’Unione europea nell’ambito della cooperazione allo sviluppo.
Le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio ci obbligano a stipulare accordi di partenariato economico separati perché il rapporto commerciale fondato sulle Convenzioni di Lomé e sull’accordo di Cotonou non è reciproco ed è, quindi, incompatibile con la clausola di abilitazione dell’OMC. Tale clausola autorizza i paesi industrializzati ad accordare un trattamento preferenziale unilaterale e non reciproco a due sole categorie di paesi: o a tutti i paesi meno sviluppati o a tutti i paesi in via di sviluppo. Posto che i gruppi regionali dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico comprendono Stati appartenenti a entrambe le categorie, le preferenze originarie concesse ai paesi ACP sono incompatibili con le vigenti regole dell’OMC, e il nostro periodo di transizione durante il quale è possibile esercitare il diritto di recesso scade nel 2008.
Per rendere il rapporto commerciale tra l’Unione europea e i paesi ACP compatibile a lungo termine con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, si è fatto ricorso agli accordi di partenariato economico. Con questa soluzione, il rapporto commerciale tra l’Unione e i vari gruppi regionali ACP diventerà reciproco. In base all’articolo XXIV del GATT, paesi con livelli di sviluppo diversi possono aderire a un accordo reciproco di libero scambio purché la liberalizzazione di sostanzialmente tutto il commercio avvenga entro un periodo di tempo ragionevole. Nell’ambito degli accordi di libero scambio, con tale disposizione s’intende che all’incirca il 90 per cento del commercio deve essere liberalizzato entro un periodo di 10-12 anni.
E’ evidente che dare applicazione a un accordo reciproco di libero scambio costituirà una sfida notevole per i paesi ACP, i cui livelli di sviluppo sono molto differenti. La reciprocità rappresenta un grande cambiamento nell’approccio dell’Unione alle sue politiche commerciali e di sviluppo nei confronti dei partner ACP.
D’altro canto, sappiamo che il sostengo fornito nel quadro di Lomé e di Cotonou non è riuscito ad arrestare il declino della quota di mercato detenuta dai paesi ACP. Dato che siamo preoccupati degli effetti di una liberalizzazione prematura, dobbiamo chiederci se, in questo contesto, possa essere contemplata una liberalizzazione tempestiva. Talvolta è necessario compiere azioni ardite, il che significa che, allo stesso tempo, dobbiamo accertarci che l’eventuale risultato dei negoziati sugli accordi lasci un margine di tempo sufficiente per consentire ai mercati regionali e nazionali dei paesi ACP di adeguarsi alla nuova realtà.
Personalmente ritengo anche che sia importante concedere a chiunque accesso indisturbato ai servizi “gratuiti” della natura; quindi, nella Giornata mondiale dell’acqua credo sia doveroso ricordare, ad esempio, l’importanza di un’equa gestione delle risorse idriche.
In alcuni casi, l’apertura dei mercati ha causato anche un aumento della povertà nei paesi in via di sviluppo; per tale ragione occorre vigilare da vicino sull’andamento dei negoziati. I negoziati devono essere imparziali e per tutta la loro durata nessuna delle parti deve essere sottoposta a pressioni.
Kader Arif (PSE). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, voglio ringraziare l’onorevole Morgantini per l’ottima relazione che ci ha presentato oggi riguardante l’impatto sullo sviluppo degli accordi di partenariato economico.
L’impostazione generale della relazione è giusta. Essa invoca la necessità della solidarietà dell’Unione di fronte a una regolamentazione che comporta il rischio di una liberalizzazione incontrollata. La relazione è stata approvata all’unanimità dalla commissione per lo sviluppo; mi auguro e spero che tale sarà anche l’esito della votazione di domani.
I nostri ragionamenti devono essere guidati da un principio fondamentale: lo sviluppo deve essere conforme all’accordo di Cotonou e in stretto collegamento con quest’ultimo. Questo è l’obiettivo primario di tutti i negoziati e dell’attuazione degli accordi di partenariato economico con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico.
Comprendo la necessità di allineare i rapporti commerciali tra l’Unione europea e i paesi ACP con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio; mi riferisco all’accesso preferenziale unilaterale tra i mercati dell’Unione. Nondimeno, la compatibilità con le regole dell’OMC non deve avere la precedenza rispetto ai nostri impegni internazionali di promuovere uno sviluppo sostenibile e di eliminare la povertà.
Condivido i timori dei nostri partner ACP e di molte organizzazioni non governative riguardo al modo in cui la Commissione sta conducendo i negoziati e alla logica sottesa ad essi. C’è effettivamente una vistosa asimmetria tra le due parti. Se non vi poniamo rimedio, l’armoniosa e tranquilla apertura reciproca dei mercati di cui ci si vuole convincere sarà inevitabilmente squilibrata e porterà, temo, soltanto a delusioni.
La liberalizzazione del commercio tra partner diseguali non solo non promuoverà lo sviluppo previsto, ma potrebbe addirittura produrre effetti devastanti sulle fragili economie dei paesi interessati e sulla loro vulnerabile popolazione. E tutto ciò avverrebbe esattamente nel momento in cui, nei nostri discorsi, dichiariamo di voler aiutare quei paesi a raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio – obiettivi che, come sappiamo già, non sarà possibile realizzare.
Credo che se tali accordi saranno definiti gradualmente e in modo concertato, all’interno di un quadro razionale e prevedibile, nell’ottica di promuovere il commercio e gli investimenti in quell’area, costituiranno per i paesi ACP un’occasione concreta, un’opportunità sia in termini di diversificazione economica e di armoniosa integrazione regionale, sia in termini di effettiva e fruttuosa integrazione nell’economia mondiale.
Si devono stabilire alcune priorità. La prima di esse è l’esclusione delle questioni di Singapore e dei servizi pubblici essenziali, senza trascurare il principio del diritto di quei paesi di ricorrere a clausole di salvaguardia per tutelare i loro settori strategici più sensibili. La seconda priorità è il rispetto del nostro impegno di individuare sistemi commerciali alternativi agli accordi di partenariato economico per i paesi che ne facciano richiesta, come stabilisce l’articolo 37, paragrafo 6, dell’accordo di Cotonou. Tali alternative devono fondarsi sul principio di non reciprocità previsto dal sistema di preferenze generalizzate (SPG), nonché sull’introduzione di una clausola che preveda un trattamento speciale, differenziato a livello di Organizzazione mondiale del commercio. Queste priorità dipendono in gran parte dalla volontà dell’Unione europea di far sentire tutto il suo peso all’interno dell’OMC al fine di facilitare miglioramenti normativi dal punto di vista delle priorità dello sviluppo.
Infine, non ha senso esprimere un desiderio senza avere a disposizione gli strumenti necessari a realizzarlo. Concluderò dicendo che, a prescindere dalle preoccupazioni per le prospettive finanziarie dell’Unione, dobbiamo, da un canto, mantenere le promesse fatte dal Presidente della Commissione a Gleneagles sugli aiuti per il commercio e, dall’altro canto, assumere nuovi impegni finanziari per compensare i costi che i paesi ACP devono sostenere per l’eliminazione delle preferenze e delle tariffe doganali; dobbiamo inoltre potenziare gli aiuti tecnici ai paesi ACP e, infine, onorevoli colleghi, respingere l’inaccettabile riduzione del Fondo europeo di sviluppo. Tuttavia, poiché non credo che tali obiettivi potranno essere raggiunti rapidamente, propongo che la Commissione, in riferimento all’apertura reciproca dei mercati, valuti la possibilità di prolungare il periodo di transizione in conformità delle specifiche esigenze dei paesi ACP, come stabilito durante i negoziati, dando così un segnale di buona volontà.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, mi auguro che gli accordi di partenariato economico saranno uno strumento utile per eliminare la povertà e ci permetteranno di passare dalle parole ai fatti. Ho ascoltato con grande interesse gli interventi di stasera; in particolare, giudico eccellente quello dell’onorevole Eija-Riitta Korhola. Dal punto di vista qualitativo, non sono in grado di aggiungere nulla; vorrei però fare ugualmente qualche breve osservazione sulla relazione dell’onorevole Luisa Morgantini.
L’importanza della cooperazione allo sviluppo non deve essere sottovalutata. In quanto società del benessere e comunità europee, noi vogliamo aiutare gli altri esseri umani che, sia nei nostri paesi sia altrove, versano in condizioni peggiori delle nostre. In un certo senso, questo dà la misura del nostro grado di civiltà.
E’ vero che oggi, in molti Stati membri dell’Unione europea, si sta discutendo della parte di finanziamenti che dovrebbero essere destinati alla cooperazione allo sviluppo. Ad esempio, nel mio paese, la Finlandia, la questione è appena stata oggetto di dibattito e so che l’obiettivo dello 0,7 per cento raccomandato dalle Nazioni Unite non è stato raggiunto; siamo rimasti infatti intorno alla quota dello 0,4 per cento. C’è da augurarsi inoltre che gli altri paesi europei, Finlandia inclusa, compiano progressi da questo punto di vista. Spero che come Unione europea troveremo una volontà comune, e anche i finanziamenti, per soddisfare le esigenze dei nostri fratelli e dei paesi che se la passano peggio di noi.
A mio avviso, dovremmo tuttavia garantire che gli aiuti da noi erogati siano in armonia con i principi dello sviluppo sostenibile. I fattori economici, sociali e ambientali devono essere sempre presi in considerazione nell’ambito della cooperazione allo sviluppo dell’Unione europea. A contare non sono soltanto i soldi, ma anche e soprattutto le relazioni di partenariato, che favoriscono lo sviluppo e aiutano i paesi a partire col piede giusto.
Dobbiamo altresì preoccuparci di diffondere, attraverso la cooperazione allo sviluppo, i valori europei, come la democrazia e i diritti umani. E’ importante tener conto anche di questo aspetto nell’ambito della cooperazione allo sviluppo.
Vittorio Agnoletto (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione Morgantini è un importante tentativo di limitare i danni degli EPA. Credete veramente per ridurre e cancellare fame e povertà servi proprio un accordo di libero scambio?
Consideriamo il Burundi: l’abolizione teorica delle tariffe, così come prevista dagli EPA, consentirebbe un guadagno a favore dell’Unione europea di una quota di commercio pari a 12,4 milioni di dollari, che il Burundi invece perderebbe, e questo dopo aver già calcolato il guadagno dei consumatori locali. Tale fatto emerge da uno studio della Commissione economica per l’Africa, un’organizzazione dell’ONU, la quale ha evidenziato anche come quel continente abbia già una quota assai elevata di ricchezza posseduta dai residenti all’estero più di qualunque altra regione del mondo: ben il 39%.
L’idea che un’ulteriore espansione del liberismo possa produrre ricchezza in quelle zone è smentito anche dai dati relativi ai sussidi. In Nigeria la carne più economica è quella tedesca e inglese e in Senegal 52 000 tonnellate di cipolle esportate nel solo 2005 dall’Olanda hanno messo in serissima difficoltà i contadini. Gli EPA erano stati inizialmente concepiti nel quadro dell’accordo di Cotonou, che sancisce proprio la lotta alla povertà e allo sviluppo sociale, sono invece diventati qualcosa che non promuove lo sviluppo sociale, bensì ulteriore povertà.
Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Onorevoli deputati, condivido alcuni dei punti che avete sollevato. Riguardo all’apparente mancanza di informazioni da parte della Commissione, devo precisare che la Commissione è, naturalmente, ben disponibile a fornire tutte le informazioni di cui dispone. Forse avete l’impressione che esse siano troppo poche; in ogni caso, da parte mia cercherò di darvi tutte le informazioni di cui dispongo.
Quanto alla necessità di disporre di ingenti somme di danaro, voglio dire che, se occorrono fondi extra, è compito degli Stati membri stanziarli. Sapete bene quali importi sono disponibili nell’ambito del Fondo europeo di sviluppo: io ho soltanto i soldi che sono stati destinati a me.
In merito all’intervento dell’onorevole Kinnock vorrei sgombrare il campo da ogni malinteso. Quando ho parlato di una discussione “accademica” sulle alternative, non volevo essere impertinente. E’ infatti possibile avanzare proposte alternative a coloro che non vogliono negoziare, ma come lei ben sa, onorevole Kinnock, in questo momento stanno negoziando tutti. Forse la parola scelta non era la più felice, ma iniziare una discussione sulle alternative quando tutti sono già impegnati nei negoziati non mi pare molto utile.
Vorrei dirvi che condivido in buona parte le altre osservazioni che sono state fatte. Mi associo, quindi, ai vostri commenti sull’accesso al mercato; dovrete però ammettere anche che l’accesso al mercato non è tutto. La nostra cinquantennale esperienza nel campo della liberalizzazione ci insegna che si tratta di una misura insufficiente e che occorre prendere in considerazione tutta una serie di altri fattori. Non troverete nessuno più convinto di me del fatto che dobbiamo concentrarci sui vantaggi dello sviluppo; sono pertanto assolutamente d’accordo su questo principio.
In merito ai problemi di produzione, è evidente che la produzione è uno dei settori nei quali i nostri aiuti ai paesi interessati sono più preziosi. E’ a questo livello che è possibile fornire i fondi necessari per il progresso tecnico e tecnologico, per il trasferimento di tecnologia, per la qualità dei prodotti – in sintesi, finanziare il valore aggiunto essenziale per ottenere accesso al mercato.
Sono d’accordo con voi sul fatto che l’Unione europea non deve imporre diktat. Ciò non sarebbe affatto coerente né con le mie convinzioni né con l’idea che ho dello sviluppo. E’ in corso un negoziato, ed è prassi che durante un negoziato ciascuna delle parti coinvolte presenti le proprie argomentazioni; in questo non c’è alcun diktat. Mi associo inoltre al parere dell’onorevole Martens secondo cui occorre stabilire un calendario realistico. Anch’io sono assolutamente convinto che è necessario tutelare l’accesso alle fonti idriche ed energetiche e a tutta una serie di beni essenziali. Condivido appieno le vostre opinioni a tale proposito e nutro profondi dubbi sull’ipotesi di liberalizzare questi settori.
Onorevole Kinnock, sulla richiesta di allontanamento del segretario che mi viene attribuita, devo dire che, primo, non ho il potere di far allontanare il segretario in questione e, secondo, non ho chiesto l’allontanamento di nessuno. La verità è che – e lo dico perché intendo fermamente assumermi la piena responsabilità di quanto ho fatto –, in risposta a una richiesta del segretario della CEMAC, la Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale, ho detto semplicemente che non sono d’accordo di concedere danaro extra a una persona che non ha fatto nulla, e posso provare che quella persona non ha fatto nulla di ciò che doveva fare. Inoltre, non sono l’unico ad aver deplorato questa vicenda. A propria giustificazione, il segretario ha detto che non aveva diritto di ingiunzione nei confronti degli Stati membri. La realtà è che il lavoro che doveva essere fatto non è stato fatto e noi non abbiamo ricevuto le pezze d’appoggio che avevamo richiesto. C’è quindi un problema di trasparenza nella gestione da parte di quella persona. Date le circostanze, ritengo che rientri tra i miei doveri indicare alcuni dei principi fondamentali della governance, soprattutto quando ci troviamo di fronte a una richiesta di fondi rivolta alla Commissione. Mi assumo pertanto la responsabilità delle mie azioni, ma ribadisco che non ho mai chiesto l’allontanamento di nessuno – e, in ogni caso, non avrei il potere per farlo.
In sintesi, posso dire che il pacchetto in discussione durante i negoziati deve essere completo e coerente. Il Commissario Peter Mandelson è incaricato delle trattative sugli accordi di partenariato economico, mentre a me è riservato un ruolo di supporto; lavoriamo, quindi, in coppia. Il mio punto di partenza è, ovviamente, lo sviluppo e, più nello specifico, lo sviluppo economico come forza trainante della crescita. Vorrei altresì sottolineare che, nei loro programmi di lotta contro la povertà, i paesi hanno inserito anche questo aspetto. Le regioni interessate dai programmi di integrazione economica ci chiedono aiuto, e noi glielo diamo. Tale integrazione include l’aspetto della liberalizzazione commerciale reciproca, che noi appoggiamo. Anche gli accordi di partenariato economico vanno incontro a questa domanda di integrazione regionale.
Ritengo che alcuni dei vostri timori siano giustificati; vi posso però rassicurare sul fatto che, almeno per quanto mi riguarda, l’aspetto dello sviluppo sarà una priorità. E’ questo il fulcro intorno al quale ruoteranno i negoziati, mentre le misure di sostegno dovranno rendere possibile, conformemente al ritmo che quei paesi saranno in grado di mantenere, un allineamento verso l’alto che consenta loro, a lungo termine, di avere un accesso molto più facile non solo ai mercati regionali integrati ma anche al mercato mondiale.
Concluderò dicendo che comprendo tutte le vostre apprensioni e i vostri timori. Sono pronto – e credo che questo sia un punto realmente importante – a uno scambio di vedute con voi, anche su tutte le misure di sostegno. Vi chiedo di dare prova di tutta la creatività di cui siete capaci e sono assolutamente disponibile ad affrontare questi temi senza alcun preconcetto. Vi posso ad ogni modo garantire che sono più che pronto a continuare a cercare le migliori soluzioni possibili per sostenere i paesi in via di sviluppo nel contesto degli accordi di partenariato economico.
Presidente. – Molte grazie, signor Commissario.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani alle 11.00.
17. Partiti politici europei (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0042/2006), presentata dall’onorevole Jo Leinen a nome della commissione per gli affari costituzionali, sui partiti politici europei [2005/2224(INI)].
Jo Leinen (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, signora Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, il regolamento sul finanziamento dei partiti politici europei che abbiamo adottato nel 2004 ha colto un lusinghiero successo. La separazione tra il Parlamento e i suoi gruppi politici da un lato, e i partiti politici dall’altro, si è rivelata un successo; questo regolamento risponde così a una richiesta che la Corte dei conti aveva fatto già da molti anni.
Nel frattempo, si sono registrate dieci famiglie di partiti politici; esse vengono pure sostenute dalla relativa linea di bilancio. Ciò dimostra che a livello europeo la cultura politica è ancora diversificata e fiorente. L’esistenza di dieci famiglie di partiti rappresenta un notevole successo: prima ce n’erano solo quattro, e il loro numero dunque è più che raddoppiato.
L’esperienza che abbiamo maturato con il finanziamento dei partiti politici è stata positiva. La nuova relazione comprende tuttavia un breve elenco di richieste – richieste di maggiore sicurezza a livello di pianificazione finanziaria e di flessibilità nel funzionamento dei partiti europei. Si vorrebbe inoltre che, all’inizio di ogni legislatura, l’Ufficio di presidenza e la commissione per i bilanci garantissero la sicurezza della pianificazione per l’intera durata della legislatura stessa. Questo non rende superfluo il bilancio annuale che noi adottiamo, ma a mio avviso sarebbe opportuno conservare questa linea di bilancio per svilupparla secondo le esigenze dell’allargamento o di un eventuale aumento del numero dei partiti politici.
I partiti hanno risorse proprie: donazioni e quote versate dagli iscritti. Naturalmente, i regolamenti dell’Unione europea in materia di finanziamenti non possono proporsi come obiettivo che tali risorse proprie vadano perdute, se non vengono spese entro la fine dell’anno. Noto dunque con piacere che a Strasburgo abbiamo già soddisfatto uno dei requisiti indicati nella relazione, cioè quello in base al quale ai partiti deve essere consentito di utilizzare fino al 25 per cento delle risorse proprie per costituire riserve. In fondo si tratta di denaro che appartiene a loro, e i regolamenti dell’Unione europea in materia di finanziamenti non devono imporre ai partiti limitazioni eccessive.
Un’altra richiesta, tuttavia, è quella di poter utilizzare il 25 per cento dei fondi concessi in un esercizio finanziario anche nel primo trimestre dell’esercizio successivo. La politica è un’attività densa di risvolti imponderabili, e nel caso di eventi imprevedibili dev’essere possibile spendere un determinato importo nel trimestre successivo, così da non costringere i partiti a darsi a frenetiche spese di fine anno in dicembre.
La relazione comprende anche altre proposte, ma io preferirei soffermarmi sulla seconda fase che stiamo introducendo con la relazione stessa. E’ necessario un vero e proprio statuto europeo dei partiti politici; non è accettabile che i partiti europei debbano registrarsi conformemente alle leggi di uno Stato membro, e obbedire a quelle medesime leggi. Secondo tutti i partiti, identici diritti e doveri devono valere in tutti gli Stati membri, e questo è possibile solo qualora vi sia uno statuto unico. A questo proposito la commissione per gli affari costituzionali vuole indicare la strada da seguire; signora Vicepresidente, sarei lieto se la Commissione accogliesse la nostra proposta, usando il proprio diritto d’iniziativa per presentare una nuova proposta legislativa.
La seconda idea cui dovremmo dare espressione riguarda l’importanza della comunicazione politica transfrontaliera. In molti paesi a tale scopo sono state create fondazioni politiche; riteniamo opportuno creare fondazioni politiche anche a livello europeo. Anche in questo campo, chiediamo alla Commissione di presentare una proposta legislativa oppure una proposta di bilancio.
Dobbiamo considerare la possibilità che, nelle future elezioni europee, siano presenti anche liste europee. In tal modo, i nostri cittadini avrebbero virtualmente a disposizione due voti: uno per la lista nazionale o regionale, e uno per una lista comune europea dei partiti. Solo con una lista di tal genere, infatti, sarebbe possibile una campagna elettorale comune. Attualmente, in occasione delle elezioni europee abbiamo 25 campagne elettorali differenti, che le liste europee potrebbero unificare.
Vorrei infine accennare ai movimenti giovanili dei partiti. I giovani sono il nostro futuro; dobbiamo promuovere con particolare cura organizzazioni e movimenti politici giovanili, che rappresentano il futuro dei partiti, i quali a loro volta sono un elemento del processo democratico. Questa relazione costituisce un significativo progresso. Desidero ringraziare i segretari generali dei partiti, nonché l’amministrazione del Parlamento, per aver gestito le risorse con efficienza; ringrazio anche i segretari generali per le ottime proposte che hanno presentato e che sono state inserite nella relazione.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare l’onorevole Leinen per quest’importante relazione, che offre un’ottima occasione per riconsiderare i risultati già ottenuti nel settore dei partiti politici europei, nonché quelli che si potrebbero raggiungere in futuro.
Il regolamento che disciplina le attività dei partiti politici a livello europeo è stato adottato dal Parlamento e dal Consiglio appena tre anni fa, nel 2003, sulla base di una proposta avanzata dalla Commissione. Le Istituzioni hanno così tradotto in pratica l’obiettivo fissato dal Trattato di Amsterdam e la nuova base giuridica offerta dal Trattato di Nizza. Come si sottolinea nel Trattato della Comunità europea, i partiti politici operanti a livello europeo sono un importante fattore per l’integrazione in seno all’Unione. Essi contribuiscono a formare una coscienza europea, a esprimere la volontà politica dei cittadini e a promuovere il dibattito politico a livello europeo. Sta di fatto che, dopo l’entrata in vigore del regolamento, si sono formati dieci partiti politici europei.
Potremmo scorgere in questa circostanza il segnale della graduale formazione di uno spazio pubblico europeo, nel cui ambito i cittadini possano sperare di farsi udire più chiaramente dalle Istituzioni; guardo con grande favore a questa tendenza, che del resto costituisce uno dei concetti su cui s’impernia il Libro bianco sulla comunicazione. Ci occorre una cultura politica europea, e ci occorre aiuto per promuoverla; tuttavia, c’è ancora molto da fare per collegare il progetto europeo e le Istituzioni europee ai cittadini. Questo è un altro dei problemi chiave affrontati dalla Commissione nel Libro bianco sulla politica europea della comunicazione.
Sono convinta che non solo governi e parlamenti, ma anche partiti politici e organismi pubblici debbano porre il tema dell’Europa al centro dell’attenzione pubblica. Dobbiamo inoltre riflettere sulla scarsa affluenza alle urne che ha contraddistinto le elezioni europee, e cercare insieme soluzioni che permettano di incrementare la partecipazione degli elettori, come la Commissione ha già proposto nel piano D. Non è sempre semplice individuare modalità che permettano di raggiungere quest’obiettivo, ma credo che le Istituzioni abbiano un interesse comune a promuovere un’alta affluenza alle urne e un’intensa partecipazione al dibattito su queste elezioni.
La relazione dell’onorevole Leinen sottolinea che i partiti politici devono operare per ottenere il coinvolgimento dei cittadini, non solo per mezzo delle elezioni europee, ma anche in tutti gli altri aspetti della vita politica europea: è una valutazione che condividiamo pienamente.
Il paragrafo 12 della relazione analizza alcune questioni importanti, che riguardano il ruolo della fondazione europea. Come ha osservato l’onorevole Leinen, si tratta in questo caso dell’influenza che i partiti europei possono esercitare nei referendum europei, oltre che del ruolo che possono svolgere per valorizzare le organizzazioni giovanili. La Commissione sarebbe lieta di veder fiorire un dibattito ampio e approfondito su questi temi, che si inseriscono nel graduale processo di costruzione di uno spazio pubblico europeo; anche in questo caso, si tratta di proposte che consideriamo con particolare favore.
I partiti politici sono un elemento essenziale della struttura democratica dell’Unione ed è quindi opportuno che ricevano qualche forma di sostegno dal bilancio comunitario.
Prendiamo atto dei suggerimenti avanzati nella relazione per rendere più flessibile il sistema di finanziamento pubblico; parecchie delle idee delineate nella relazione si potrebbero realizzare adattando le regole interne fornite dal Parlamento.
Dovremo invece considerare in un contesto più ampio gli altri suggerimenti, che comporterebbero modifiche del regolamento concernente i partiti politici o del regolamento finanziario. Avrete notato la cautela con cui mi esprimo su questo punto; come sapete, in questo momento stiamo riesaminando il regolamento finanziario e le sue norme attuative. Dovremmo valutare la situazione alla luce di tale riesame, poiché, anche in questo caso, occorre trovare un punto di equilibrio con l’esigenza di considerare altri finanziamenti – o per esempio le ONG – per individuare gli strumenti più adatti a migliorare la situazione odierna.
Infine, considereremo con interesse l’idea avanzata nel paragrafo 4 della relazione, ossia la richiesta che la commissione per gli affari costituzionali esamini la questione dello statuto europeo dei partiti politici a livello europeo, che potrebbe rappresentare un ulteriore passo avanti rispetto al regolamento esistente. Fra gli spunti che la commissione per gli affari costituzionali potrebbe prendere in esame c’è la possibilità di definire con maggior precisione diritti e doveri dei partiti europei.
La Commissione europea seguirà naturalmente con attento interesse l’operato della commissione parlamentare in questo campo; desidero anzi esprimere il mio impegno personale in quest’importante riflessione che, ripeto, corrisponde pienamente alle idee espresse nel Libro bianco. Si tratta di creare, in campo politico, uno spazio pubblico europeo in cui sia possibile discutere e in cui i partiti politici svolgano un ruolo di primo piano.
Klaus-Heiner Lehne (PPE-DE), relatore per parere della commissione giuridica. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresento il collega López-Istúriz White, che ha redatto il parere della commissione giuridica, e farò qualche breve osservazione relativa a tale parere, a nome del collega e a nome del mio gruppo.
Aderisco all’opinione del relatore principale, onorevole Leinen: in linea di principio lo statuto esistente si deve certamente considerare un completo successo, ed è stato giustissimo da parte nostra distinguere nettamente il finanziamento dei partiti dal finanziamento dei gruppi parlamentari. Introdurre tale distinzione era anche, per noi, un dovere nei confronti dell’opinione pubblica.
I partiti politici contribuiscono a formare la volontà del popolo – nel contesto europeo dovremmo dire “dei popoli” – e per tale motivo è essenziale che le Istituzioni europee stabiliscano i prerequisiti e creino le condizioni per l’adeguato funzionamento dei partiti europei. In questo quadro attribuisco particolare importanza a quattro aspetti.
In primo luogo è essenziale creare un quadro finanziario permanente e sostenibile, che consenta ai partiti di ottenere finanziamenti a lungo termine; le sovvenzioni attualmente versate ai partiti europei non costituiscono una base adeguata per una pianificazione davvero sostenibile. Attualmente la pianificazione è legata agli anni della legislatura; gli importi delle sovvenzioni possono poi cambiare se compaiono nuovi partiti politici e il volume dei finanziamenti deve essere adeguato alla nuova situazione. Sto dicendo semplicemente che le disposizioni attuali non consentono ai partiti di pianificare la propria attività futura con un sufficiente livello di sicurezza finanziaria; in tali circostanze, quindi, un cambiamento è vivamente auspicabile.
In secondo luogo dobbiamo consentire ai partiti europei di costituire riserve finanziarie che non vadano perdute da un anno all’altro. Anche l’onorevole Leinen ha affrontato questo tema, che figurava del resto nelle discussioni che si sono svolte in seno alla commissione giuridica. Egli ha accennato assai opportunamente al noto fenomeno delle frenetiche spese di dicembre. Da parte nostra, desideriamo rendere possibile una pianificazione sostenibile di lungo termine del finanziamento dei partiti, e vogliamo evitare una situazione in cui, con l’approssimarsi del Natale, il denaro viene praticamente buttato dalla finestra perché se non si riesce a spenderlo si è condannati a perderlo.
In questo quadro, vale anche la pena di chiedersi se non sia il caso di riesaminare il limite del 20 per cento, previsto per i trasferimenti da una rubrica di bilancio all’altra, in modo da renderlo più flessibile. I partiti europei devono avere la libertà di reagire al presentarsi di nuove esigenze, come ad esempio quelle determinate da una crisi politica, ristrutturando le proprie risorse in maniera più radicale di quanto consenta lo statuto attuale.
In quarto luogo, credo che in tale contesto lo statuto dei partiti politici europei debba essere modificato per consentire ai partiti europei di operare più efficacemente a beneficio dell’intera popolazione, svolgendo la propria funzione di forza motrice del processo decisionale politico. Al contempo, tuttavia, non posso negare che i partiti potrebbero operare con più decisa autonomia per giungere all’obiettivo di avvicinare l’Europa ai cittadini, coinvolgendoli negli avvenimenti europei.
Personalmente non credo che una lista europea di candidati, parallela alle liste nazionali, potrebbe risolvere questo problema. Le liste di partito sono un concetto astratto e i seggi vengono assegnati ai vari partiti, cosa con cui molti cittadini non possono identificarsi. Occorre invece un processo elettorale europeo assai più personalizzato, e c’è un mezzo molto semplice per raggiungere quest’obiettivo: se almeno due partiti europei di massa potessero decidere di presentarsi alle elezioni europee scegliendo un leader che sarebbe poi il loro candidato alla carica di Presidente della Commissione, le elezioni ne verrebbero fortemente personalizzate in breve tempo. I cittadini si identificherebbero così in maniera assai più stretta con i singoli candidati e con le dichiarazioni programmatiche di carattere politico; ciò basterebbe presumibilmente ad aumentare in maniera considerevole l’affluenza alle urne nelle elezioni europee.
Mi auguro che i partiti politici abbiano il coraggio di compiere questo passo.
Jean-Luc Dehaene, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signor Presidente, anch’io mi rallegro per la possibilità, che questa relazione offre, di compiere un significativo progresso verso il consolidamento dei partiti politici europei.
Sono fermamente convinto che, se vogliamo davvero costruire un’autentica democrazia parlamentare europea, in essa dovranno svolgere un ruolo importante partiti politici effettivamente europei. A mio avviso, la risoluzione adottata alcuni anni fa – che prevedeva di finanziare i partiti in maniera del tutto separata dai gruppi – costituisce un passo molto importante in questa direzione; non è detto però che essa sia bene accolta dall’opinione pubblica, che la considera superflua.
In una solida democrazia parlamentare, tuttavia, i partiti non si possono concepire che come un essenziale anello di collegamento tra l’opinione pubblica e il processo decisionale – anello che non può essere privo di costi. In altre parole, dobbiamo avere il coraggio di dire ai non addetti ai lavori che la democrazia ha un prezzo; in questo non c’è nulla di anormale, ed è preferibile che i finanziamenti siano trasparenti e provengano da fonti pubbliche, anziché da ogni sorta di canali oscuri e clandestini.
Come ho già detto, un importante progresso in questo campo è stato compiuto alcuni anni fa. Mi sembra che ora sia giunto il momento di apportare alcune migliorie; dal punto di vista strutturale, la più importante di esse è senza dubbio la possibilità, per i partiti politici, di pianificare su periodi di tempo più lunghi anziché essere costretti a lavorare con bilanci di un anno, senza la minima certezza riguardo a ciò che avverrà l’anno seguente.
Vi sono inoltre due significativi emendamenti tecnici, relativi alla flessibilità amministrativa del bilancio.
Ora vorrei forzare, in un certo senso, i limiti di questa piattaforma per osservare che il problema di trasferire all’anno successivo i crediti accumulati in un determinato anno non si pone solo per i partiti politici; a quanto pare, questo principio si è insinuato nella normativa generalmente imposta dalla Commissione. Devo misurarmi con lo stesso problema nella mia qualità di Presidente del consiglio di amministrazione del Collegio d’Europa, che ha anch’esso l’obbligo di spendere il proprio denaro entro l’anno per evitare che altrimenti sorgano problemi, col risultato finale di peggiorare la qualità della gestione. Sotto questo aspetto è dunque opportuno introdurre maggiore flessibilità, come stiamo proponendo in questa sede per i partiti politici. Vorrei far notare alla signora Commissario che questo problema non riguarda solamente i partiti politici; si tratta, sembra, di una norma generale applicata dalla Commissione benché influisca negativamente sulla qualità della gestione. Inoltre, essa è stata escogitata da esperti di contabilità, il cui modo di ragionare non mi è sempre chiaro.
Concluderò sottolineando che ora siamo in grado di compiere – in collaborazione con la commissione per gli affari costituzionali – considerevoli e importanti progressi verso la meta di un adeguato statuto dei partiti politici, che dovrà includere – benché ciò possa dimostrarsi svantaggioso per le finanze del mio paese – uno statuto fiscale più congruente con quello delle Istituzioni europee. In tal modo risulterà perfettamente chiaro che i partiti politici sono un elemento di quello specifico livello di gestione, e rappresentano parte integrante del quadro istituzionale europeo.
Richard Corbett, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, la ringrazio per avermi concesso la parola in quella che, a questo punto della serata, sembra più che altro una seduta aperta della commissione per gli affari costituzionali, con la gradita partecipazione di qualche altro collega.
Il mio gruppo sostiene la relazione presentata dal relatore, che è il presidente della commissione per gli affari costituzionali; come abbiamo sentito, essa propone alcune modifiche del sistema da noi adottato più di un anno fa. Tali modifiche sono rese necessarie dai problemi, che potremmo definire di svezzamento, che abbiamo scoperto iniziando a servirci del sistema. Esse sono, inoltre, ispirate a ragionevole pragmatismo, e invito quindi la Commissione europea ad accoglierle, per le parti della relazione che riguardano la Commissione stessa, come quelle relative al regolamento finanziario. I partiti politici non sono ONG, bensì organizzazioni che svolgono una funzione del tutto differente e che sono di vitale importanza per il funzionamento del nostro sistema democratico.
Abbiamo istituito, e ora stiamo cercando di perfezionare, un sistema di finanziamento dell’attività svolta dai partiti politici a livello europeo che – anche agli occhi dell’opinione pubblica – sia chiaro, trasparente ed equo, ossia presenti quelle caratteristiche che, come si è visto di recente, non sempre si riscontrano a livello nazionale. A livello europeo stiamo costruendo una solida struttura per il finanziamento dei partiti politici europei, e di questo dovremmo andare orgogliosi. E’ importante agire in questo senso, perché i partiti politici offrono agli elettori la possibilità di scegliere tra differenti visioni e differenti programmi, differenti idee e differenti proposte. Tale possibilità di scelta è la linfa vitale del dibattito politico a livello europeo.
Ma c’è di più: in tal modo emerge che le scelte cui ci troviamo di fronte a livello europeo sono davvero scelte politiche, non scelte fra punti di vista e visioni nazionali. Troppo spesso la stampa, nel riferire sulle riunioni del Consiglio dei ministri, le dipinge come combattimenti di gladiatori fra interessi nazionali contrapposti, ma in realtà le vere scelte che si devono operare sono scelte politiche: volete standard ambientali più elevati, ma con maggiori costi, oppure no? Volete mercati totalmente liberi, oppure mercati dotati di regole a tutela dei gruppi sociali più vulnerabili? Sono tutte scelte politiche che vengono messe in risalto dall’attività dei partiti politici, e che invece passano spesso inosservate in sede di Consiglio. E’ questo un elemento essenziale per l’efficace funzionamento dell’Unione.
Si sono già registrati dieci partiti, e ciò dimostra che il sistema funziona. Alcuni hanno affermato che esso avrebbe finanziato solo i grandi partiti; si può ribattere che dieci partiti finanziati sono moltissimi.
Alcuni colleghi che non sono presenti stasera – tra cui l’onorevole Hannan del gruppo PPE-DE – hanno detto che il sistema avrebbe finanziato solo i partiti filoeuropei, come se esistesse una norma che permetta di discriminare nei finanziamenti, a favore di una determinata posizione politica. Naturalmente le cose non stanno così.
Quello che abbiamo costruito e visto all’opera, e che ora speriamo di migliorare, è un sistema valido, indispensabile e capace di migliorare la qualità del dibattito democratico a livello europeo.
Jules Maaten, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, in questa fase dello sviluppo europeo – che qualcuno potrebbe definire “mancanza di sviluppo europeo” – non si possono sopravvalutare il significato e l’importanza di questa relazione. In realtà, essa non riguarda solo i partiti politici: proprio questo, a mio giudizio, è l’aspetto più positivo della relazione e dell’intero lavoro cui il relatore si è accinto.
L’onorevole Leinen poteva limitarsi a constatare l’esistenza di dieci partiti politici, ed esaminarne rapidamente l’operato e l’uso che possiamo farne. Invece, egli ha preferito un approccio filosofico di respiro ben più ampio: è stata una scelta saggia, poiché il problema è strettamente connesso a quello dello spazio politico europeo, che anche la signora Commissario ha messo in luce. Infatti, non solo durante le campagne elettorali, ma anche tra un’elezione e l’altra, i cittadini ripetono una costante domanda: a che serve il Parlamento europeo, se non esiste uno spazio politico europeo? Hanno ragione; questo spazio non c’è, e non c’è nemmeno un’opinione pubblica europea. Non esiste e la sua esistenza non è neppure possibile.
Anzi, non esisterà mai se si continua a operare perché non veda mai la luce quello spazio politico europeo che è invece indispensabile per lo sviluppo di un dibattito politico europeo che superi le frontiere.
Consideriamo la situazione attuale: vi sono 25 Commissari, scelti in primo luogo in base alla nazionalità. Il Consiglio, naturalmente, è composto sulla base delle nazionalità. Anche il Parlamento viene eletto non con un’elezione europea, ma attraverso 25 elezioni nazionali, che si svolgono all’incirca nello stesso momento, ma non sono esattamente una sola elezione. In tal modo è ovvio che non si riuscirà a costruire uno spazio politico europeo.
Proprio di uno spazio politico europeo abbiamo bisogno se vogliamo vedere un Presidente della Commissione eletto: eletto dalla nostra Assemblea o, come mi sembrerebbe preferibile, dagli elettori europei. Da quest’elemento potrebbe germogliare un dibattito politico europeo e transfrontaliero. Ancora, se si deve tenere un referendum europeo, auspichiamo che non vi siano 25 referendum nazionali, bensì un unico referendum europeo, ad esempio sul quesito se passare a una nuova Costituzione o mantenere quella precedente.
Io sono comunque favorevole, qualunque sia il metodo, a conferire – perlomeno in qualche misura – un elemento europeo alle elezioni europee. Allora avremo un dibattito politico europeo, per il quale saranno necessari uno spazio politico europeo e partiti politici europei, se si vuole una democrazia rappresentativa, come da noi auspicato; vogliamo infatti che gli esponenti politici – come noi stessi – siano controllati, e ciò sarà possibile solo per mezzo di partiti politici forti, certo più forti di quanto siano oggi.
Sarà necessario che questi partiti siano gestiti in maniera corretta ed efficiente; ciò significa che sarà necessario soddisfare le loro specifiche esigenze finanziarie. Sono lieto che questa relazione prenda in considerazione tale problema, per esempio garantendo la flessibilità necessaria per trasferire i finanziamenti da un anno all’altro.
A livello europeo i partiti politici non operano da un anno all’altro, bensì sulla base di cicli quinquennali. Vale naturalmente la pena di notare che altre ONG sono ora sottoposte a regolamenti assai rigidi, che alcune di esse giudicano del tutto inopportuni; anche di questo dovremmo forse occuparci. In tale quadro, mi sembra molto acuta l’osservazione dell’onorevole Dehaene: non è assolutamente assurdo concedere anche agli altri la flessibilità che chiediamo per i nostri partiti politici.
Mi soffermerò infine sulla richiesta di uno statuto unico: è una proposta cui sono molto favorevole, e in merito alla quale concordo senza riserve con il relatore. Dobbiamo considerare seriamente l’idea delle fondazioni europee; la mia preferenza va alle fondazioni politiche su base di partito; ritengo che da questo punto di vista il sistema tedesco sia il più avanzato del mondo, e se fossimo in grado di riprodurlo a livello europeo sarebbe per noi un grande arricchimento.
Vi chiedo inoltre – questa volta concludo sul serio – di prendere in considerazione gli emendamenti presentati a nome del mio gruppo dall’onorevole Guardans, sul tema della partecipazione delle donne ai partiti politici.
Gérard Onesta, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signora Vicepresidente della Commissione, onorevole Leinen, onorevoli colleghi, mi sembra che come Parlamento europeo abbiamo dato un grande contributo alla nascita di questa creatura che sono i partiti politici europei; ora però dobbiamo nutrirla per farla crescere sana e forte. Da questo punto di vista la relazione dell’onorevole Leinen è importantissima, perché sottolinea tutte le imperfezioni ancora presenti in questo pargolo che stiamo conducendo al battesimo.
Un partito politico europeo è innanzi tutto un partito politico; vi sembra possibile, onorevoli colleghi, che un partito esista senza partecipare alle elezioni? Per questo è così importante l’affermazione dell’onorevole Leinen: i partiti politici europei devono essere in grado di partecipare, in quanto tali, alle elezioni europee. L’unico modo che consenta loro di partecipare alle elezioni è quello di far eleggere in maniera transnazionale, in futuro, almeno una parte del nostro Parlamento; solo allora i partiti saranno veramente compresi, dal punto di vista pratico, dai cittadini. I cittadini li comprenderebbero anche se fosse possibile iscriversi individualmente ai partiti; so che alcuni partiti – ma non tutti – lo permettono; sarebbe a mio avviso un buon metodo per coinvolgere più a fondo i cittadini.
Sono un po’ più scettico per quanto riguarda la proposta avanzata dalla commissione per gli affari costituzionali, secondo la quale lo statuto dovrebbe contemplare persino regole concernenti l’organizzazione dei congressi dei partiti e la nomina dei candidati; le iscrizioni individuali mi sembrano invece un obiettivo da perseguire, così come dovrebbe essere un nostro obiettivo che questi partiti obbediscano al diritto comunitario. Mi sembra assurdo che i partiti siano talvolta associazioni senza fini di lucro, con tutto il rispetto per le associazioni senza fini di lucro; ritengo che il diritto comunitario debba incoraggiare l’emergere di questi nuovi organismi giuridici.
Per quanto riguarda il bilancio, la distribuzione su tre mesi a fine anno, che ci viene proposta, è a sua volta molto importante. Credo che alcuni partiti politici si siano già trovati in difficoltà, a dicembre, avendo ancora denaro da spendere; in tal caso occorreva farsi venire in fretta qualsiasi idea e correre a comprare penne o magliette, ossia cose che non sono affatto di immediato interesse per un partito politico. Di conseguenza, la possibilità di ripartire quest’eccedenza su parecchi mesi costituisce una regola di buona amministrazione, che è opportuno sostenere.
Infine, i partiti europei sono partiti giovani, ma non ancora partiti di giovani. Credo che a questo livello si renderà necessario uno sforzo particolare per individuare il contesto giuridico più adatto, oltre che per reperire finanziamenti tali da consentire alle organizzazioni politiche giovanili europee di partecipare a questo grande dibattito; in questo senso ho presentato alcuni emendamenti. In termini generali questa è comunque un’ottima relazione.
Sylvia-Yvonne Kaufmann, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, signora Vicepresidente della Commissione, come membro del Partito della sinistra europea, fondato nel maggio 2004, sono fermamente convinta che con l’avanzare del processo d’integrazione i partiti politici europei potranno svolgere un ruolo importante a favore della progressiva crescita e coesione del nostro continente, incoraggiando soprattutto lo sviluppo sempre più forte di un’identità europea in tutti i nostri paesi.
Di certo, i partiti politici non sono né gli unici né i migliori attori sulla scena della nostra democrazia; sono però un elemento chiave, e per questo nel titolo del Trattato costituzionale dedicato alla “vita democratica dell’Unione” è stata inserita una clausola sul ruolo dei partiti politici. A differenza degli altri partiti politici europei, il Partito della sinistra europea è un partito europeo giovane e quindi, in qualche misura, è ancora impegnato a svilupparsi come partito. Tuttavia, riflettendo sugli accesi dibattiti degli ultimi tempi – e in particolare sul dibattito che ha avuto per oggetto l’importantissima direttiva sui servizi – devo concluderne che il nostro partito si è dimostrato pronto e capace di agire e in grado di darsi un proprio profilo particolare.
Il paragrafo 12 della relazione chiede a tutti i partiti politici di discutere modalità specifiche che consentano ai partiti stessi di svolgere un ruolo più attivo nei dibattiti pubblici intorno al futuro dell’Unione europea: si tratta di un invito cui aderisco senza esitazione. L’attuale pausa di riflessione nelle discussioni sulla Costituzione europea non deve degenerare in un’interruzione della riflessione. Personalmente credo che sia ormai giunto il momento di addentrarci in nuovi territori, per esempio in quello delle elezioni europee. Sono passati ormai molti anni da quando il Parlamento ha proposto di emendare la legislazione elettorale; perché mai, alle prossime elezioni, i cittadini europei non dovrebbero finalmente avere l’opportunità di scegliere tra varie liste europee di candidati, presentate dai partiti europei? Per riprendere le osservazioni dell’onorevole Lehne, questo non mi sembra un “concetto astratto”, bensì il punto di partenza di una nuova politica. Nulla vieta, naturalmente, di unire alle liste europee campagne elettorali più personalizzate.
Consentitemi, infine, di ringraziare l’onorevole Leinen per la sua relazione. Le sue proposte in materia di disposizioni finanziarie sono equilibrate, e il Partito della sinistra europea le sostiene. Godendo di una maggiore sicurezza finanziaria per la pianificazione a lungo termine, e di maggiore flessibilità per l’amministrazione delle risorse ricevute, ogni partito potrà sviluppare più agevolmente le proprie attività politiche.
Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (DA) Signor Presidente, ho votato contro questa relazione e, insieme ad altri 22 deputati della precedente legislatura del Parlamento europeo, ho vanamente cercato di avviare un procedimento legale contro il principio per cui i contribuenti dovrebbero finanziare i partiti politici europei. I partiti sono sempre del tutto artificiali; non si può votare su niente, non si può diventare membri di niente e non si può influire su niente. L’unica eccezione, curiosamente, è costituita dai democratici dell’Unione europea, la nuova alleanza di partiti e movimenti europei fondata dai critici dell’UE. E’ possibile visitare la nostra home page, EUDemocrats.org, e in tal modo aderire direttamente e gratuitamente, informarsi e partecipare alle varie manifestazioni.
Le norme valide per i partiti politici sono discriminatorie nei confronti dei movimenti minori, dei partiti minori e, per esempio, delle minoranze nazionali. Tutti questi gruppi non riusciranno mai a ottenere lo status di partiti europei e a far così finanziare le proprie attività, che talvolta sono sotto ogni aspetto identiche alle attività per cui i partiti maggiori – spesso loro diretti concorrenti – ricevono finanziamenti dell’Unione europea. Dal punto di vista dell’ordinaria amministrazione il regolamento sui partiti politici europei è discriminatorio e dunque illecito; inoltre, non possiamo neppure sottoporlo al giudizio della Corte di giustizia. Il regolamento è stato adottato a maggioranza dal Consiglio dei ministri, ossia da persone che avevano tutte un interesse finanziario nell’esito del voto. Cosa più importante ancora, gli appartenenti ai centri decisionali sono essi stessi membri di partiti politici che ricevono denaro da elettori che votano per i loro concorrenti politici per prendere decisioni da cui i loro concorrenti sono esclusi. Il regolamento è appoggiato dalla maggioranza del Parlamento europeo, i cui deputati hanno ovviamente in gran parte un preciso interesse finanziario a discriminare le minoranze scomode. Nessuno degli appartenenti ai centri decisionali sospetta che esista un problema di competenze, e nessuno di loro si accorge di violare il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazione, sanciti dal diritto comunitario.
Il mio gruppo vuole che questo regolamento sia abolito, o almeno modificato in maniera tale da porre su un piano di parità tutti coloro che, per esempio, svolgono attività transfrontaliere allo scopo di diffondere informazioni. Perché mai le conferenze internazionali organizzate dai socialdemocratici o dai democratici cristiani – o, quanto a questo, dai democratici dell’Unione europea – devono ricevere finanziamenti dai contribuenti dell’UE, mentre 21 minoranze nazionali non hanno il diritto di fruire di sovvenzioni per discutere forse proprio gli stessi argomenti nelle loro conferenze corrispondenti? E’ una situazione ingiustificabile, frutto di una discriminazione chiaramente illegale: se c’è parità per Loki ci dev’essere parità anche per Thor, come usiamo dire in Danimarca.
James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, questa risoluzione è dedicata alla frattura che divide l’opinione pubblica dalle Istituzioni europee. Chi ritiene che questo problema si possa risolvere con un’Europa più forte, dotata di partiti politici di estensione europea, non coglie a mio avviso i termini della questione. La responsabilità ricade sulle Istituzioni, non sui cittadini, il cui disgusto è ormai evidente: basti pensare alla misera affluenza alle urne che si registra nelle elezioni europee. In proposito si può anzi osservare che gran parte degli eletti a quest’Assemblea hanno ricevuto un mandato così debole da risultare imbarazzante. Non mi sembra che i cittadini europei si riversino nelle strade per chiedere il diritto di votare per i partiti politici europei, ma noto che essi rifiutano nettamente – com’è avvenuto l’anno scorso in Francia e nei Paesi Bassi – un’Europa sempre più centralizzata.
I partiti politici europei – che dovrebbero, si auspica, oscurare quelli nazionali – possono forse inserirsi nel disegno dell’integrazione europea, ma sono destinati a naufragare sullo scoglio del rifiuto democratico allorché dovranno misurarsi con l’arduo compito di ottenere un mandato popolare da persone in carne e ossa su problemi concreti. Un conto è giocare al superstato nella rarefatta atmosfera di quest’Assemblea, ma affrontare i problemi concreti dei nostri elettori è tutt’altra cosa.
L’angusta prospettiva politica di quest’iniziativa emerge del resto con evidenza dai considerando A e B. Si parla delle prossime tappe dell’integrazione europea e della costruzione dello spazio politico europeo; è chiaro che questi partiti sono concepiti come ingranaggi del meccanismo di un’Europa federale. L’esistenza di partiti federalisti, formati da politici federalisti, ha forse una sua logica, ma sarei ben lieto di battermi contro di loro nel mio collegio elettorale, in qualunque momento.
Aggiungo che non è corretto cercare di comprarsi il successo riversando sui partiti europei immense quantità di denaro dei contribuenti. Non illudetevi! I nostri elettori non hanno di noi un concetto così alto da chiedere il privilegio di pagare per trasformarci in partiti politici europei. Pensavo che forse l’onorevole Corbett, basandosi sull’esperienza maturata dal suo partito nel Regno Unito, avrebbe proposto di finanziare quest’iniziativa mediante l’istituzione di una camera alta, i cui seggi sarebbero stati venduti al miglior offerente. Considerando alcuni episodi che avvengono in questo Parlamento, non sarebbe del tutto fuori luogo.
Íñigo Méndez de Vigo (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, io sono una persona in carne e ossa che intende parlare di problemi concreti!
(ES) Mi rivolgo agli onorevoli Allister e Bonde.
La differenza tra gli ultimi oratori e la maggioranza dell’Assemblea è che noi – la maggioranza – vogliamo costruire, vogliamo collaborare, vogliamo che l’Europea progredisca, perché crediamo che l’Europa sia una buona soluzione per i problemi dei cittadini. In altre parole, non ci arrocchiamo su posizioni difensive, non abbiamo un atteggiamento ipercritico e non vediamo discriminazioni dappertutto. Niente affatto, noi vogliamo semplicemente riunire in un’azione comune l’entusiasmo dei diversi partiti del Parlamento, delle diverse famiglie politiche del Parlamento, per risolvere i problemi dei cittadini.
Ecco la differenza fondamentale che ci divide, signor Presidente; non dobbiamo ingannarci. A questo proposito i partiti politici svolgono un ruolo fondamentale: partiti politici che in realtà sono emersi dai gruppi parlamentari di quest’Assemblea, analogamente a quanto, in origine, avvenne nei diversi Stati nazionali. L’origine dei gruppi politici si può individuare nei gruppi parlamentari di quest’Assemblea.
A mio avviso, se i partiti politici europei hanno un problema, si tratta del fatto che essi sono federazioni o associazioni di partiti politici nazionali: la realtà è questa. Negli ultimi anni abbiamo compiuto alcuni progressi, che però non sono ancora sufficienti; molto resta da fare.
Perché? Perché a mio avviso i partiti politici a livello europeo possono dimostrarsi capaci di incoraggiare il dibattito europeo, evitando che i dibattiti su questioni europee avviati a livello nazionale si trasformino in dibattiti di politica interna – fenomeno cui ancor oggi frequentemente assistiamo.
Penso per esempio che, se il Consiglio europeo avesse dato ascolto al Parlamento, che chiedeva di far svolgere nel medesimo giorno tutti gli eventuali referendum sulla Costituzione europea, saremmo riusciti a imperniare il dibattito su temi europei anziché su problemi interni.
Se tuttavia guardo al futuro, signor Presidente, credo che, nel momento in cui un numero sempre più folto di noi sente l’esigenza delle disposizioni della Costituzione europea, i partiti politici europei debbano svolgere un ruolo di primo piano in questa fase di riflessione; a tale proposito mi rallegro vivamente che sia presente qui oggi la Vicepresidente Wallström, che è responsabile per queste iniziative in seno alla Commissione.
L’8 e 9 maggio terremo in questa sede il primo Forum interparlamentare. Il ruolo dei partiti politici europei sarà essenziale per unire le sinergie dei deputati al Parlamento europeo e dei loro colleghi dei parlamenti nazionali e procedere quindi nella direzione auspicata dalla maggioranza di noi, che ritiene la Costituzione europea necessaria per il progresso dell’Europa.
In questo campo ci attendono insomma grandi sfide, che ovviamente non si possono affrontare solo con bei discorsi, ma richiedono anche adeguati finanziamenti, come ha giustamente sottolineato l’onorevole Onesta. A mio parere la relazione dell’onorevole Leinen – con il quale voglio esplicitamente congratularmi – mette in risalto le difficoltà insite nel regolamento e le formule che dobbiamo utilizzare per superarle nel modo migliore.
Quindi, signor Presidente, il gruppo PPE-DE sosterrà la relazione dell’onorevole Leinen e voterà anche a favore degli emendamenti presentati dal gruppo PSE, dall’onorevole Onesta a nome del gruppo Verts/ALE – in materia di organizzazioni giovanili – e dagli onorevoli Maaten e De Sarnez.
Signor Presidente, questo dimostra – mi sembra – che noi desideriamo costruire, opponendoci a coloro che vogliono solamente distruggere.
Javier Moreno Sánchez (PSE). – (ES) Signor Presidente, signora Vicepresidente, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Leinen per la sua relazione che sostengo senza riserve – oltre che per tutto il lavoro da lui svolto sul tema dei partiti politici europei.
L’onorevole Leinen, instancabile paladino dei partiti politici europei e del loro sviluppo, è anche uno dei padri dell’attuale regolamento. Nella mia veste di vicesegretario generale del gruppo socialista al Parlamento europeo, mi sono tenacemente battuto insieme a lui e ad altri colleghi presenti oggi per ottenerne l’approvazione.
Questo regolamento ha reciso il cordone ombelicale di natura finanziaria e amministrativa che univa questi partiti ai gruppi politici del Parlamento europeo. Esso si proponeva l’obiettivo di conferire a tali partiti trasparenza finanziaria e amministrativa, regolandone l’attività e il finanziamento per mezzo di norme chiare e trasparenti.
Questo regolamento non è però che un primo passo, una soluzione provvisoria destinata a protrarsi solo fino all’adozione di un autentico statuto che disciplini i partiti europei e il loro finanziamento, come prescrive l’articolo 191 del Trattato che istituisce la Comunità europea.
Invitiamo perciò la Commissione a presentare una proposta che preveda l’entrata in vigore di tale statuto prima delle prossime elezioni europee, così da garantire un processo elettorale competitivo a livello europeo. E’ pure necessario conferire a tali partiti una personalità giuridica sulla base del diritto comunitario, affinché essi operino in maniera trasparente ed efficiente in tutti gli Stati membri.
Il ruolo dei partiti politici è essenziale per avvicinare l’Unione ai cittadini e stimolarli alla partecipazione politica, in modo che essi possano sentirsi i soggetti e i protagonisti di un destino e di un progetto politico comuni. Questi partiti costituiscono pure la base della dimensione transnazionale del processo di integrazione politica dell’Unione.
Inoltre dobbiamo aprire ed esplorare nuove strade che permettano di creare fondazioni politiche europee, finanziate con il bilancio dell’Unione sotto il controllo democratico del Parlamento. Queste fondazioni costituiranno uno strumento essenziale per estendere l’azione dei partiti politici europei e rafforzare il legame coi cittadini e svolgeranno altresì una funzione importante dal punto di vista dell’informazione e della formazione politica.
Signor presidente della commissione per gli affari costituzionali, continui il suo lavoro e conti sul mio incondizionato sostegno.
Andrew Duff (ALDE). – (EN) Signor Presidente, sostengo con forza le riforme che ci metteranno a disposizione un sistema equo, elastico e trasparente per il finanziamento pubblico dei partiti politici; un sistema che, purtroppo, oggi non esiste nel Regno Unito.
Lo sviluppo di partiti politici europei è l’elemento essenziale per risolvere la crisi della democrazia europea. Perché? Perché palesemente i partiti politici nazionali non sono in grado di raccogliere la sfida dell’integrazione europea; essi non sono in grado di articolare un discorso convincente sui problemi europei, né di fungere da collegamento tra i livelli nazionale, regionale e locale in Europa.
Confido che il periodo di riflessione fornirà ai partiti politici europei – compresi i rappresentanti del partito dell’onorevole Bonde – gli spunti e gli stimoli per contribuire alla soluzione della crisi, soprattutto con la pubblicazione di documenti europei sui problemi fondamentali del futuro dell’Europa.
Eva-Britt Svensson (GUE/NGL). – (SV) Signor Presidente, nonostante il successo dei dieci partiti europei che è stato descritto, la legittimazione democratica del Parlamento, per fare un solo esempio, è venuta costantemente declinando da un’elezione all’altra. La relazione nota l’esistenza di una frattura tra l’opinione pubblica e le Istituzioni europee; l’osservazione è esatta, ma la soluzione del problema non consiste nel sostegno finanziario ai partiti europei. Occorre invece, per esempio, aumentare la democrazia restituendo potere ai parlamenti nazionali.
La relazione afferma inoltre che un’Unione europea vicina ai propri cittadini costituisce la precondizione del sostegno pubblico alle prossime fasi dell’integrazione europea. In altre parole, per convincere i cittadini ad accettare la Costituzione già respinta occorre elargire sovvenzioni ai partiti europei. Qualsiasi forza democratica può naturalmente formare un partito, ma agire in base al presupposto che l’erogazione di forti sovvenzioni possa indurre l’opinione pubblica ad accettare il progetto di Costituzione non equivarrebbe solamente a comperare col denaro l’adesione alla Costituzione, ma sarebbe anche un procedimento assai discutibile dal punto di vista della democrazia.
Patrick Louis (IND/DEM). – (FR) Signor Presidente, dal momento che l’unica sede naturale del dibattito politico e democratico si colloca a livello nazionale, ne consegue che partiti coerenti, dotati di programmi globali, trovano il loro posto solamente nell’ambito degli Stati membri. Al deficit democratico dell’Unione europea si troverà rimedio solo tramite la rappresentanza di partiti nazionali provvisti di una propria particolare identità, di partiti responsabili nei confronti di cittadini che li conoscono e li comprendono.
I partiti politici europei, che in pratica sono finanziati dall’Unione europea, devono conservare la propria indipendenza e non trasformarsi nell’ennesimo strumento di comunicazione e propaganda europea nei confronti degli elettori. I partiti politici europei devono quindi rimanere un semplice mezzo di cooperazione tra i partiti politici nazionali, un luogo di discussione aperto ove ogni membro sia rispettato. Essi non devono assolutamente riflettere né veicolare un’opinione pubblica europea che non esiste e non esisterà, poiché le differenze linguistiche sono un dato di fatto e l’Unione europea è un mezzo, non un fine in sé.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, in Europa la cooperazione transfrontaliera fra partiti politici non è certo una novità, ma anche partiti di identica matrice ideologica rappresentano spesso culture politiche differenti. Benché si preveda di sostenerli con milioni di euro, essi non saranno mai in grado di raggiungere un accordo politico che vada al di là di un minimo comune denominatore, limitatosi finora alla stesura di manifesti e appelli elettorali. E’ certo che neppure i partiti europei saranno in grado di farci uscire da questo dilemma.
Tutti sono d’accordo sul fatto che l’Unione europea è in crisi, ma le sue Istituzioni hanno deciso ancora una volta di riversare forti somme di denaro, questa volta sui partiti politici europei, anziché affrontare una volta per tutte le cause della crisi medesima. Le ragioni di questa ben nota sfiducia nei leader dell’UE sono molteplici: le illusorie promesse fatte all’epoca dell’adesione dei vari Stati membri, il frettoloso allargamento a est dell’Unione contro la volontà di gran parte dei cittadini, l’imposizione dall’alto della Costituzione europea, l’aumento dei contributi e ora l’idea di tasse europee.
E’ sempre interessante notare quanto le élite politiche dell’Unione europea sopravvalutino l’ingenuità dei cittadini: l’affluenza alle urne crolla, l’esito dei referendum è negativo, cresce l’esasperazione nei confronti dell’UE, ma tutto questo non viene mai interpretato come una critica nei confronti dell’Unione, ed è anzi disinvoltamente liquidato come un brusco ammonimento ai governi degli Stati membri. La formazione di nuovi partiti politici europei non servirà certo a cambiare questa mentalità; ci piaccia o no, l’unico modo per costruire fiducia è quello di ottenere buoni risultati.
In un modo o nell’altro, l’Unione europea è riuscita non solo a sperperare un patrimonio di buona volontà, ma anche ad attraversare quasi nel sonno sviluppi decisivi e persino ad avviarli nella direzione sbagliata; tra le principali conseguenze pubbliche di questi errori segnaliamo la crescita della disoccupazione e il vistosissimo aumento dei prezzi in euro. Anche se investiremo il previsto importo annuo di 8,4 milioni di euro nel progetto relativo ai partiti, è improbabile che ciò contribuisca alla creazione di un’identità europea; tale identità potrà formarsi solamente se offriremo finalmente ai cittadini animati da spirito critico l’opportunità di partecipare direttamente alle decisioni più importanti, come quelle relative all’allargamento o alla Costituzione.
Othmar Karas (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signora Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, nessuno di noi pretende di avere risposte per tutti i problemi, ma è davvero triste vedere come gli avversari dell’Unione europea, che pure siedono nel Parlamento europeo, cerchino di stroncare tutte le misure con cui noi tentiamo di favorire lo sviluppo dell’Unione e di coinvolgere i cittadini in questo progetto, come essi cerchino di schiacciare anziché curare ogni germoglio che noi piantiamo.
Nessuno di noi crede che i partiti politici costituiscano un fine in sé. Tutti sappiamo che essi sono potenzialmente uno strumento – uno strumento indispensabile in una democrazia parlamentare – per coinvolgere i cittadini nel processo legislativo e dare adeguata voce alle loro opinioni. Nessuno di noi ha detto che lo statuto dei partiti possa essere sufficiente per indurre i partiti ad adottare una giusta linea di condotta.
Chi paga comanda, o come si dice dalle mie parti, senza denaro niente musica. La musica però non è il prodotto del denaro, ma scaturisce dal lavoro di un’orchestra composta da musicisti provvisti di spirito critico e di una formazione qualificata. I musicisti hanno bisogno di strumenti, di spartiti, di persone che scelgano il repertorio, di un direttore d’orchestra. Invito quindi tutti i partiti politici a usare questo denaro e questo statuto dei partiti per operare in maniera positiva, per partecipare e per garantire l’integrazione dei partiti nazionali nelle strutture europee. A mio avviso la dimensione europea del dibattito politico si sviluppa in maniera troppo lenta e stentata, persino tra i partiti europei; questi ultimi non sono mere appendici, ma partiti che esercitano un impatto sia interno che esterno.
Per noi un punto è comunque chiaro: l’Unione europea deve diventare più politica, più democratica, più trasparente e deve avvicinarsi ai cittadini. La gran parte di noi offre quotidianamente un contributo costruttivo alla realizzazione di tale obiettivo. Apprezziamo l’iniziativa della Commissione, che intende sostenere l’informazione e la comunicazione in Europa per mezzo del piano D. Deploriamo che il dibattito europeo non venga stimolato, e che invece si indulga in maniera indecorosa al particolarismo, al populismo, al nazionalismo e all’egoismo: basti pensare alla politica energetica, alle prospettive finanziarie, alla politica estera europea. Vogliamo rafforzare il Parlamento europeo, sostenere l’indipendenza dei suoi deputati e allentare i legami che li vincolano a perseguire interessi puramente nazionali. Deploriamo ancora l’assenza di un’opinione pubblica europea. Molti di noi sono favorevoli a referendum su scala europea, e a un meccanismo che consenta di ottenere referendum europei per mezzo di petizioni pubbliche.
A nostro giudizio, dunque, lo statuto dei partiti è lo strumento con cui i partiti possono contribuire a mutare la pessima situazione che ho descritto, per cogliere poi le opportunità create da un tale cambiamento. Uno statuto dei partiti politici europei contribuirà a rendere il dibattito politico trasparente e indipendente, conferendogli una prospettiva europea; esso rafforzerà la nostra opera, tesa a dare una dimensione europea alle politiche nazionali, anziché a rinazionalizzare le politiche europee.
Concluderò dichiarandomi incondizionatamente favorevole a introdurre liste elettorali europee a integrazione delle liste nazionali, in quanto una lista europea incoraggerà i partiti europei a effettuare la campagna elettorale indicando un leader europeo di grande autorevolezza. Sì, per l’attribuzione delle cariche più importanti sono favorevole alla candidatura di partiti europei piuttosto che di partiti nazionali; inoltre, vogliamo che i partiti politici europei intensifichino le attività di formazione, promuovano proprie fondazioni politiche e si dedichino al settore giovanile. Per tutti questi motivi siamo favorevoli alla relazione.
Carlos Carnero González (PSE). – (ES) Signor Presidente, credo che il relatore, onorevole Leinen, abbia svolto un ottimo lavoro, e mi congratulo con lui. Dobbiamo essere sinceri: i primi a non credere nei partiti politici europei sono spesso i partiti nazionali che li formano.
Quante volte abbiamo udito dai nostri colleghi attivi a livello nazionale osservazioni come questa: “certo, il partito cui apparteniamo in campo europeo è molto importante, prende iniziative ottime, ma l’importante è quello che facciamo qui”? Sono ragionamenti che si sentono dovunque. In questo caso vale una frase molto semplice: la funzione crea l’organo. Quando entreranno in vigore leggi europee – a cominciare dalla Costituzione – che rendano obbligatoria l’esistenza di tali partiti, attribuendo loro funzioni specifiche, allora avremo vinto la battaglia per la costruzione europea.
Per esempio, la Costituzione europea afferma che, quando il Consiglio avanza la sua proposta sull’elezione del Presidente della Commissione da parte di quest’Assemblea, deve tener conto dei risultati delle elezioni europee. In tal caso, i partiti europei dovranno meditare seriamente sulle personalità da mettere a capo delle proprie liste, oltre che sui propri programmi. Allora acquisteranno pienezza di senso non le liste transnazionali – un termine che dobbiamo dimenticare – ma le liste europee: quella di liste europee è la definizione più corretta.
Ora abbiamo di fronte a noi un periodo di riflessione e di dibattito, e a questo dibattito dobbiamo fornire la spina dorsale: il Parlamento e i partiti politici europei. La Convenzione europea è stata coronata da successo perché ha lavorato sulla base delle famiglie politiche europee; le riunioni interparlamentari e il periodo di riflessione saranno a loro volta un successo se potremo lavorare come famiglie politiche, per comprenderci a vicenda e raggiungere accordi.
A questo scopo il ruolo dei partiti politici europei è essenziale; un altro punto essenziale saranno i referendum europei, che ci eviteranno lo spettacolo di referendum nazionali presi in ostaggio dai problemi dei singoli paesi.
In questo caso, la relazione in esame rappresenta un ulteriore e positivo progresso.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, negli ultimi decenni la carriera del relatore, onorevole Jo Leinen, ha conosciuto una parabola assai simile a quella della popolarità dei partiti politici in Europa: dopo un brillante inizio, entrambe sono precipitate negli abissi. Solo il due per cento della popolazione tedesca ha ancora fiducia nei partiti politici. Questi programmi di finanziamento, nel modo in cui sono attualmente concepiti, non riusciranno certamente a rovesciare questa clamorosa perdita di credibilità.
A che si deve tale erosione? E’ un fatto che la democrazia è sempre stata identificata con i partiti politici piuttosto che con i cittadini. In breve, nel nostro sistema la sovranità non appartiene ai cittadini bensì ai partiti politici, la cui supremazia si intende consolidare, rafforzare e ingigantire con i preistorici progetti che lei ci presenta. Questi piani sono destinati al fallimento; per l’Europa non rappresentano il minimo progresso. Le elezioni del futuro saranno elezioni personalizzate e verificabili, con candidati le cui convinzioni effettive siano immediatamente riconoscibili: in altre parole candidati che, a differenza del relatore, non si impegnino nella campagna elettorale per la SPD per abbandonare tale campagna dopo essersi garantiti un posto sicuro nella lista del partito, e iniziare a propagandare chimerici partiti politici europei.
Maria da Assunção Esteves (PPE-DE). – (PT) Quando, nella risoluzione di gennaio sul periodo di riflessione, il Parlamento ha dato il segnale d’avvio per un secondo dibattito sulla Costituzione europea, è stato chiaro che l’Europa aveva bisogno di partiti politici. I termini di questa sfida sono chiari per tutti: l’Europa deve acquisire caratteristiche politiche più accentuate, e non deve rifuggire dal dotarsi di una struttura di partiti forti, attivi e responsabili.
Nella realizzazione delle ambizioni europee e nel miglioramento qualitativo della democrazia europea ai partiti tocca un ruolo cruciale; essi fungono da ponte tra i cittadini e le autorità, da catalizzatore per l’opinione pubblica europea e da stimolo per l’impegno e la partecipazione della società civile.
La funzione dei partiti politici è, e dev’essere, ben diversa da un ruolo meramente parlamentare e rappresentativo. Incomprensibilmente, i partiti politici europei non sono riusciti a rafforzarsi con lo stesso ritmo e le stesse proporzioni con cui lo ha fatto il Parlamento europeo; le cause sono da ricercarsi nella mancata conoscenza del sistema, o forse nella scarsa consapevolezza del proprio ruolo da parte degli stessi partiti europei. Eppure, in tutto il corso del suo sviluppo, l’Europa non ha mai chiesto ai partiti di dimostrarsi dinamici. I partiti, per esempio, sono stati accusati di aver brillato per la propria assenza nel dibattito sulla Costituzione europea, che finora si è mantenuto su un piano strettamente istituzionale. Mentre l’Europa è in attesa che i suoi partiti politici assolvano la propria funzione, occorre urgentemente creare un statuto unico europeo per i partiti politici europei, in modo da rafforzare le strutture di partito. Uno statuto di tal genere rafforzerebbe il controllo democratico, favorirebbe la competizione politica in seno al Parlamento e libererebbe i partiti politici europei da compiti strettamente parlamentari, per consentire loro di adeguarsi al ritmo e alle varie dinamiche della scena pubblica europea. E’ chiaro inoltre che, se vogliamo rafforzare i partiti, si rendono necessari uno statuto unico, una personalità giuridica basata sul diritto europeo, la possibilità di una responsabilità indipendente, strutture più articolate per la riflessione di partito e un finanziamento adeguato alla concreta capacità di definire priorità politiche.
Le proposte della relazione Leinen, quindi, hanno un significato che va molto al di là della semplice riforma contabile dell’attività dei partiti politici europei. Essa ci indica la direzione di una comprensione strategica tra i partiti, e del riconoscimento della loro importanza per una soluzione strutturale del persistente deficit democratico che affligge l’Europa.
Per realizzare riforme strutturali occorre rendere più agile il mercato politico, rafforzare i legami tra i partiti politici europei e i partiti nazionali e rendere più allettante la politica europea e il sistema elettorale europeo. La relazione contribuisce anche alla creazione di una certa coscienza di partito a livello europeo; in tal modo noi, che ci siamo organizzati nel tentativo di assumere le nostre responsabilità nei confronti del mondo, potremo comprendere che anche queste organizzazioni hanno acquisito una nuova dimensione. Questa responsabilità cresce man mano che l’Unione europea raggiunge nuovi importantissimi traguardi, come la Costituzione e l’allargamento; in questo quadro si rendono necessarie una nuova prassi politica e una reinterpretazione del ruolo delle Istituzioni, dei cittadini e dei partiti.
Marie-Line Reynaud (PSE). – (FR) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare il relatore per la qualità del suo lavoro.
I partiti politici europei sono un elemento essenziale per la formazione e l’espressione di un’autentica opinione pubblica europea. In effetti, ricade in gran parte su di loro l’arduo compito di stimolare l’effettiva partecipazione dei cittadini, e questo non solo ogni cinque anni, in occasione delle elezioni europee, ma ogni giorno e in ogni aspetto della vita politica europea.
La relazione dell’onorevole Leinen contiene suggerimenti che garantirebbero ai partiti europei i mezzi necessari per cogliere tale obiettivo. Apprezzo in maniera particolare i punti seguenti: il miglioramento delle norme in materia di finanziamento, incrementando trasparenza, flessibilità, indipendenza e sicurezza finanziaria a medio termine; l’indispensabile sostegno offerto alle organizzazioni e ai movimenti giovanili europei; una migliore rappresentanza delle donne nelle liste elettorali e soprattutto tra gli eletti.
Andrzej Jan Szejna (PSE). – (PL) Signor Presidente, l’articolo 191 del Trattato che istituisce la Comunità europea afferma che i partiti politici a livello europeo rappresentano un importante fattore per l’integrazione in seno all’Unione europea. Essi contribuiscono a formare una coscienza europea e ad esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione. Quest’aspetto assume oggi immensa importanza, nel momento in cui siamo impegnati in riflessioni di ampio respiro sul futuro dell’Europa che impongono di avviare un vasto dialogo con i cittadini. In quest’ambito ai partiti politici di livello europeo spetta una funzione essenziale: promuovere un’ulteriore integrazione e difendere il Trattato costituzionale. Il gruppo socialista al Parlamento europeo ha ottenuto molti risultati in questo campo, accumulando una notevole esperienza.
I partiti politici europei hanno senza dubbio un’importante funzione da svolgere per quanto riguarda i referendum su questioni europee, le elezioni del Parlamento europeo e l’elezione del Presidente della Commissione; inoltre, i risultati delle elezioni europee devono riflettersi nella scelta del candidato a Presidente della Commissione. Per raggiungere tali obiettivi, i regolamenti che disciplinano i partiti politici rappresentano un elemento essenziale a livello europeo; occorre quindi uno statuto dei partiti politici, che ne definisca diritti e doveri e consenta loro di assumere personalità giuridica.
Mi congratulo infine con l’onorevole Leinen per la sua splendida relazione e per l’eccezionale competenza che ha dimostrato.
Aloyzas Sakalas (PSE). – (LT) Desidero in primo luogo ringraziare l’onorevole Leinen per la relazione che ha preparato con tanto equilibrio. Vorrei porre in evidenza il fatto che sostenere l’operato dei partiti politici europei a livello di Istituzioni dell’Unione è oggi particolarmente importante. Ecco il motivo: alcuni studiosi di scienze politiche, almeno in Lituania, affermano che i partiti politici hanno perso le proprie basi ideologiche e stanno diventando sempre meno distinguibili. Se fosse davvero così le decisioni dei partiti, prive di basi ideologiche, sarebbero imprevedibili; in altre parole, gli elettori non potrebbero più sapere chiaramente cosa aspettarsi dai vari partiti, una volta che questi giungessero al potere. Per gli elettori la scelta tra un partito e l’altro perderebbe quindi importanza, e alcuni potrebbero chiedersi se davvero valga la pena di partecipare alle elezioni. Tale tendenza è particolarmente pericolosa; di conseguenza in Europa è essenziale potenziare con ogni mezzo, anche finanziariamente, i partiti locali europei provvisti di ideologie di destra o di sinistra, che diventerebbero un punto di riferimento per i partiti di destra e di sinistra nei vari paesi. Propongo quindi di approvare la relazione.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signor Presidente, i partiti politici affondano le proprie radici nella rivoluzione industriale, nella creazione degli Stati nazionali e nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale. A seguito della globalizzazione – con le nuove sfide che questa comporta per la nostra civiltà – e della democratizzazione del sistema politico dell’Unione europea, i partiti politici europei hanno un importante ruolo da svolgere nella vita pubblica europea; essi devono diventare autentiche istituzioni della democrazia rappresentativa, fungendo da intermediari tra i cittadini e i centri decisionali dell’UE. A tal fine, è necessario elaborare uno statuto per i partiti politici europei in modo da definirne con precisione diritti e doveri, consentendo loro di assumere personalità giuridica conformemente al diritto europeo; uno statuto di questo tipo deve operare in modo efficace nell’ambito degli Stati membri.
Attualmente l’Unione deve affrontare la crisi del sistema europeo della democrazia liberale; alla crisi costituzionale nell’UE si associano razzismo, intolleranza e pregiudizi nei confronti degli immigrati, mentre si innalzano barriere tra gli Stati nazionali. L’Unione europea deve sostenere le basi politiche dell’Europa, promuovendo e rafforzando le organizzazioni politiche e i movimenti giovanili europei; essa deve altresì rispondere alla crisi odierna con una politica davvero europea, come propone la relazione Leinen che è stata presentata alla nostra Assemblea.
Zita Gurmai (PSE). – (EN) Signor Presidente, i partiti politici rappresentano un elemento vitale nella realizzazione e nel rafforzamento di uno spazio politico europeo; essi svolgono infatti un ruolo importante e cruciale nel promuovere valori democratici come libertà, tolleranza, solidarietà e uguaglianza di genere. Parallelamente abbiamo bisogno di un ampio dialogo con i cittadini sul futuro dell’Europa, nell’ambito del quale i partiti politici devono svolgere un ruolo chiave.
La relazione dell’onorevole Leinen molto opportunamente esprime il proprio sostegno ai partiti politici europei e raccomanda di migliorare la situazione attuale; il gruppo PPE-DE ha tuttavia impedito all’onorevole Leinen e alla nostra famiglia politica di menzionare il ruolo vitale che i partiti politici europei svolgono a favore della causa dell’uguaglianza di genere. Chiedo quindi ai colleghi di riconsiderare questo punto, e mi rivolgo soprattutto ai membri del gruppo PPE-DE che in seno alla commissione per gli affari costituzionali hanno votato contro un emendamento in cui si affermava che, al momento di conferire le nomine di partito e di redigere le liste elettorali, i partiti politici europei devono tener conto del principio delle pari opportunità. Non dobbiamo dimenticare infatti che le donne costituiscono la maggioranza della nostra popolazione.
Nella mia veste di presidente delle donne del gruppo del PSE sono consapevole dell’ingente lavoro che la nostra famiglia politica svolge in questo settore attraverso il Parlamento europeo; anche gli altri partiti politici dovrebbero seguire il nostro esempio. Invito quindi i colleghi del gruppo PPE-DE a rivedere la propria posizione e a sostenere i valori dell’Unione europea.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, il nostro è un dibattito sulla democrazia: sui suoi punti di forza, sulle sue lacune, sulle sfide che derivano da una realtà in rapida evoluzione. Finora il sistema di cui disponiamo per esercitare e articolare la democrazia ha operato attraverso i partiti politici; questo vale per l’attività politica in Europa, a livello nazionale, locale e regionale. Non è certo un sistema perfetto, e richiede uno sforzo costante per mobilitare la popolazione, giacché sappiamo che l’ignoranza e l’apatia sono i nostri peggiori nemici. Questo vale anche per l’attività politica a livello europeo. Possiamo affermare che non basta più lasciare il potere decisionale e la gestione della democrazia a un’élite politica ristretta – questa, almeno, è la mia analisi della situazione. Dobbiamo mobilitare i cittadini anche a livello europeo per consentire uno sviluppo democratico anche a livello europeo. Soltanto attraverso i partiti politici potremo chiamare i cittadini ad assumere le proprie responsabilità, e saremo in grado di garantire apertura e trasparenza, con un’attività decisionale efficace.
Siamo ancora in una fase embrionale: anche se siamo riusciti a creare dieci partiti europei, non possiamo dire di aver conseguito un totale successo. Si è trattato di un contributo utile, ma ciò non toglie che sia necessario operare anche per spingere i partiti nazionali a inserire le problematiche europee nei propri programmi politici, nei propri dibattiti e nelle proprie decisioni. Dobbiamo fare entrambe le cose, e dobbiamo muoverci su entrambi i fronti.
Inoltre è necessario assicurare che i media europei diano spazio all’attualità; a tal fine dovremo impegnarci per garantire un’attività giornalistica affidabile, che consenta ai cittadini e agli organismi democratici di seguire gli eventi e prendere posizione. E’ altresì necessario realizzare punti d’incontro, che offrano ai cittadini l’opportunità di discutere. Queste tre componenti sono essenziali per sviluppare la democrazia a livello europeo; può essere virtuale, geografica o reale, ma tutte e tre le componenti sono necessarie.
I partiti politici europei sono un elemento di importanza cruciale. Possiamo discuterne i criteri, e dobbiamo discutere le questioni che sono state sollevate in questa sede. Sono molto cauta, e quindi non posso fare alcuna promessa in merito ai risultati che emergeranno dalla revisione del regolamento finanziario. Sarebbe assurdo da parte mia indicare una data precisa in cui la Commissione presenterà una nuova proposta; questa sarà presentata in relazione e a seguito del dibattito in corso sulla revisione del regolamento finanziario e sulle norme attuative, e sarà quindi il risultato e la conseguenza di tale dibattito. Credo tuttavia che la vostra Assemblea abbia posto e presentato gli elementi e le componenti necessarie alla discussione sui partiti politici europei.
Come molti hanno sottolineato, però, abbiamo rapporti anche con altre organizzazioni, di cui dobbiamo tener conto per poter garantire, un giorno, una proposta equilibrata; è certamente opportuno fare previsioni sulla data in cui questa sarà pronta, ma in questo momento non posso fare alcuna promessa a nome della Commissione.
Il dibattito odierno è di grande rilevanza. Accolgo con favore gli emendamenti che sottolineano quanto sia importante promuovere l’uguaglianza fra uomini e donne; a mio avviso – ribadisco tale particolare anche perché vedo che l’onorevole Gurmai è presente – si tratta di un aspetto di assoluta evidenza. Se l’onorevole Allister fosse ancora qui, gli chiederei per chi preferirebbe votare. Voterebbe – e sarebbe disposto a pagare – per qualcuno che afferma “entro in questa sala o in quest’istituzione con ambizioni, speranze e sogni, e prometto di fare del mio meglio e di lavorare per il futuro dell’Unione europea”? O voterebbe piuttosto per chi proclama “non credo in quest’istituzione e penso che non dovrebbe nemmeno esistere; mi sembra che si occupi di questioni senza senso e non mi importa neanche troppo di quel che succede qui dentro”? Per chi sarebbe disposto a pagare, se fosse nei panni di un normale contribuente? Mi pare che la risposta sia ovvia, ma in ultima analisi qui si tratta di offrire ai cittadini la possibilità di scegliere, come hanno notato l’onorevole Corbett e altri. Si tratta di dare ai cittadini europei la possibilità di scegliere, ed è perciò una questione di democrazia.
Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, vorrei scusarmi con il Commissario signora Wallström per quei deputati che pronunciano il loro intervento e poi abbandonano il dibattito; non è certo questa la consuetudine della nostra Assemblea. Mi scuso a nome dei colleghi.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.
18. Diritto contrattuale europeo e revisione dell’acquis: prospettive per il futuro (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0055/2006), presentata dall’onorevole Klaus-Heiner Lehne a nome della commissione giuridica, sul diritto contrattuale europeo e la revisione dell’acquis: prospettive per il futuro [2005/2022(INI)].
Klaus-Heiner Lehne (PPE-DE), relatore. (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei dire, in un certo senso, un’eresia. Le relazioni importanti vengono discusse in quest’Aula poco prima di mezzanotte, e le ciance esoteriche rappresentate dalle risoluzioni vengono discusse di giorno nelle fasce orarie di trasmissione migliori. Se dobbiamo parlare della questione della riforma del Parlamento e naturalmente esiste una proposta in tal senso da parte del Presidente dell’Assemblea direi che, prima di deliberare seriamente in merito alla riduzione dei diritti dei deputati, dovremmo discutere dell’eventualità di dare al programma delle plenarie una struttura più logica in cui ai temi importanti venga assegnato il posto che meritano.
La relazione riguarda il diritto civile. Con parole semplici, il suo scopo è far definire alla Commissione ampie aree del diritto civile europeo creando un quadro comune di riferimento in un particolare campo di attività, in modo tale che interessi la legislazione degli Stati membri e dell’Unione europea nell’ambito del diritto civile per molte generazioni a venire.
Vi è anche una sorta di dibattito circa l’eventualità che il lavoro in discussione possa infine portare a un codice civile europeo uniforme. Benché lo dica con la dovuta cautela, si tratta di un progetto davvero significativo e decisivo.
Da molti anni l’Assemblea segue gli sforzi compiuti dalla Commissione europea per giungere a un codice civile europeo, esprimendo la propria approvazione e prestando il proprio sostegno in numerose risoluzioni fin dal 1989. Il medesimo proposito anima anche la presente proposta di risoluzione.
Siamo giunti a una fase molto critica. In questo momento, si sta lavorando al quadro di riferimento e alla revisione dell’acquis comunitario in materia di protezione dei consumatori. Il motivo della criticità di questa fase è che i presenti sforzi determineranno se tale lavoro andrà a buon fine o se non riuscirà a dare gli esiti sperati, il che dipende molto dalla qualità dei contenuti che emergeranno dal presente lavoro.
Pertanto è opinione del Parlamento che, benché giusto in linea di principio, ciò che ha iniziato la Commissione vada migliorato sotto molteplici aspetti. Ad esempio, abbiamo l’impressione che la cooperazione tra i gruppi di ricerca che stanno elaborando il quadro comune di riferimento per il diritto contrattuale comunitario e i professionisti sul versante della rete non stia funzionando correttamente. Vogliamo assicurare che l’esperienza pratica apportata a questo progetto dagli specialisti della rete venga presa in considerazione dai gruppi di ricerca nell’ambito di un quadro adeguato. A tale scopo, noi della commissione giuridica stiamo esercitando forti pressioni.
Un’altra questione importante è che va fatta una distinzione tra operazioni contrattuali tra imprese e quelle tra imprese e consumatori. Desideriamo tutelare i consumatori, ma anche i commercianti devono avere ampia libertà d’azione per concludere contratti l’uno con l’altro, e tale libertà non dev’essere limitata dall’eccessiva burocrazia.
Occorre inoltre assicurare che ciò che si sta elaborando entro questo quadro di riferimento, che in seguito formerà un insieme molto cospicuo di soft law, almeno a livello comunitario, e che avrà un impatto su tutta la legislazione in materia di diritto civile, non venga semplicemente creato senza alcun coinvolgimento da parte delle Istituzioni legislative, ossia Parlamento e Consiglio. Non è sufficiente che Parlamento e Consiglio comunichino i rispettivi pareri in merito al procedimento di elaborazione; devono anche essere coinvolti nell’elaborazione dei contenuti di tale quadro di riferimento, perché saranno loro ad adottare leggi che contengono elementi del quadro di riferimento e che dovranno giustificare al pubblico tale adozione.
In questo contesto, è importante che anche il Parlamento venga coinvolto sul piano dei contenuti, il che, dal nostro punto di vista, deve implicare due processi. In primo luogo, la Commissione deve tenere informato il Parlamento in modo costante ed esaustivo in merito ai progressi nella formulazione del quadro di riferimento e nel miglioramento dell’acquis comunitario in materia di protezione dei consumatori, e dobbiamo avere l’opportunità di pronunciarci in ogni momento nell’arco di un processo continuo.
Il secondo processo, per il quale abbiamo già intrapreso i primi passi organizzativi in seno all’Assemblea, è l’istituzione di un gruppo di progetto che comprenda i relatori e i relatori ombra delle due commissioni partecipanti, un gruppo di lavoro il cui scopo sarebbe seguire da vicino l’attività della Commissione, dei gruppi di ricerca e della rete, nonché indicare un indirizzo politico in merito a particolari questioni di politica giuridica, quali la questione della linea di demarcazione tra operazioni tra imprese e operazioni tra imprese e consumatori.
A nostro avviso, si tratta di questioni cruciali, che ancora devono essere regolate e in cui un maggior coinvolgimento del Parlamento è non solo benvenuto, ma anche necessario. Questi sono gli elementi chiave della risoluzione in discussione. In conclusione, vorrei dire che lo reputo il progetto più importante intrapreso dalla Commissione europea e dalle altre Istituzioni nel corso della presente legislatura. E’ di gran lunga il più importante, ed è per questo motivo che mi aspetterei che provassimo a portarlo a termine in modo positivo. Avrà inoltre una parte importante nel determinare se il mercato unico europeo continuerà a convergere a beneficio di tutti, consumatori e commercianti.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare l’onorevole Lehne per la sua relazione. La Commissione accoglie con grande favore l’interesse del Parlamento per il quadro comune di riferimento (QCR) per il diritto contrattuale e per la revisione dell’acquis nel campo della protezione dei consumatori. La Commissione è lieta di constatare che il Parlamento condivide in gran parte le sue opinioni in merito alla necessità di adottare un elevato livello di protezione dei consumatori nella revisione del relativo acquis.
Il Parlamento ritiene che lo sviluppo del QCR sia imprevedibile e che il risultato ultimo a lungo termine possa essere la redazione di un codice di doveri o perfino di un vero e proprio codice civile europeo. Vorrei sottolineare che la Commissione, e il Commissario Kyprianou in persona, hanno chiaramente e ripetutamente affermato di non aver intenzione di produrre un codice civile europeo. E’ opinione della Commissione che il QCR sarà uno strumento legislativo migliore per raggiungere la coerenza nella revisione della legislazione esistente e nell’adozione di nuovi strumenti nel campo del diritto contrattuale, e in particolare per quanto riguarda i consumatori, verso cui si è orientato il corso del nostro lavoro.
Si deve ancora decidere la forma giuridica di tale strumento, e se e in che misura potrebbe essere vincolante. Se la Commissione ritiene che tale strumento andrà oltre l’utilizzo interno per la Commissione, si tratterebbe chiaramente di una decisione politica e in quanto tale dovrebbe essere adottata da Commissione, Parlamento e Consiglio.
La Commissione comprende appieno che il Parlamento voglia essere informato e coinvolto nella prosecuzione dei lavori per il QCR. Pertanto accogliamo con favore la partecipazione del Parlamento al processo relativo al quadro comune di riferimento, in particolare alla creazione del gruppo di lavoro. La Commissione continuerà a informare il Parlamento degli sviluppi nel modo più appropriato. Il Commissario Kyprianou discuterà regolarmente con le commissioni parlamentari pertinenti i progressi dei lavori per il QCR, e in particolare le fasi intermedie di rilevanza politica.
In conclusione, vorrei ringraziare il Parlamento per l’incoraggiamento e il sostegno accordato al nostro lavoro in merito a questo importante dossier.
Diana Wallis (ALDE), relatore per parere della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. (EN) Signor Presidente, accolgo con estremo favore la relazione Lehne, a tal punto che il mio gruppo politico voterà contro eventuali proposte di emendamento. Nonostante l’accordo generale e l’ora tarda, siamo tutti dell’opinione che sia indispensabile discutere di questa importante relazione.
Nel parere della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, abbiamo sottolineato il fatto che si tratta di un esercizio di migliore attività legislativa. Il quadro comune di riferimento e la revisione dell’acquis possono contribuire in misura considerevole a migliorare il funzionamento del mercato interno. Tuttavia ed è stata la nostra preoccupazione principale la compilazione del QCR è un esercizio politico, che implica scelte politiche. Pertanto il Parlamento europeo dev’essere pienamente coinvolto in qualità di colegislatore.
Siamo tutti favorevoli all’istituzione del gruppo di progetto, che è di buon auspicio per una buona cooperazione futura con la Commissione. Resta tuttavia ancora la preoccupazione di garantire che la Commissione presenti un orientamento coerente. Questo significa che è necessario coinvolgere appieno nel processo non solo la DG Sanco, ma anche la DG Giustizia e la DG Mercato interno.
In particolare, tale progetto ha un’importanza pratica per il mercato interno, per quanto riguarda sia i consumatori che le imprese. Nel mio paese che non è noto per il sostegno a qualcosa che possa anche vagamente assomigliare a un codice contrattuale europeo una ricerca indipendente condotta da un grande studio legale ha messo in evidenza i costi di transazione di un diritto contrattuale incoerente nel mercato interno.
Credo che questo dimostri ciò che molti di noi hanno sempre pensato: simili progressi pratici del diritto civile comunitario possono contribuire a fare accettare maggiormente l’Europa, se lavoriamo bene. A tale scopo, tuttavia, dobbiamo svolgere discussioni e dibattiti. Non si tratta soltanto di un esercizio giuridico tecnico, ma di un esercizio politico. Se mai arriveremo alla fase di un codice contrattuale europeo, non potremo rischiare che vada incontro allo stesso destino subito l’anno scorso dalla proposta di Costituzione. Deve godere di sostegno politico, e mi auguro che insieme siamo riusciti a istituire il meccanismo adeguato per fare in modo di raggiungere tale risultato.
Giuseppe Gargani, a nome del gruppo PPE-DE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, come il Commissario ha detto poco fa, a settembre del 2005 la Commissione ha presentato una prima relazione annuale sullo stato di avanzamento del diritto contrattuale europeo e sulla revisione dell’acquis comunitario. Una delle misure previste è la creazione, come ha ricordato il relatore, di un quadro comune di riferimento per il diritto contrattuale comunitario.
La Commissione ritiene che il campo di azione del quadro comune di riferimento possa comprendere la possibilità che i legislatori nazionali utilizzino proprio questo anche in settori non disciplinati dal diritto comunitario. Il Corpus giuridico vigente, che riguarda prevalentemente la protezione dei consumatori, va migliorato e ad esso si deve aggiungere un complesso di principi comuni che rappresenti un punto di riferimento certo ma flessibile per i cittadini e gli operatori del diritto.
Il relatore, l’onorevole Lehne, che ha svolto un lavoro prezioso e importante nella commissione, che stasera ha per l’appunto esposto le sue osservazioni su un provvedimento che riveste un’importanza storica, ha finalizzato la sua relazione a tracciare una prospettiva strategica per l’attività futura della Commissione, coinvolgendo naturalmente e chiedendo fortemente di coinvolgere il Parlamento europeo.
E’ stato avviato, e vorrei dirlo proprio per sottolineare il lavoro che il relatore ha fatto, come presidente della commissione giuridica, un grande processo di armonizzazione e addirittura di codifica per settori del diritto contrattuale europeo. E’ un evento storico, anche al di là dei risultati che si possono ottenere, perché fino ad oggi l’armonizzazione comunitaria era fatta da ambiti ristretti o più estesi delle direttive in materia: il contratto dei consumatori al quale si aggiungono le direttive sull’applicazione delle tecnologie elettroniche e informatiche.
Da oggi i compiti non si limitano più al coordinamento del diritto vigente, saranno proiettati al futuro, a definizioni uniformi dei termini indicati nelle direttive, all’individuazione di principi comuni in materia di contratto che potrà ridurre le notevoli divergenze. E’ un processo di regolazione e di conoscenza che potrà andare al di là del diritto vigente per formare un codice moderno: si era pensato addirittura ad un codice uniforme di diritto contrattuale cui pure arriveremo, formulato per principi. Si parte dall’esame delle direttive in contraddizione con i dispositivi di attuazione dei paesi membri e si provvede alla definizione di una sorta di base comune del diritto contrattuale comunitario.
Concludo dicendo che il processo di convergenza del diritto privato, e in particolare del diritto del contratto europeo, è una realtà sospinta sia dal diritto comunitario che dall’approfondimento di studi di analisi comparata. Sostengo il ruolo primario del diritto civile: il diritto civile e il diritto contrattuale non fanno che potenziare la cittadinanza europea e gli scambi economici e civili in Europa.
Manuel Medina Ortega, a nome del gruppo PSE. (ES) Signor Presidente, penso che questa sia l’ora giusta per discutere della questione, perché in realtà è un tema che invita alla riflessione; in mano abbiamo ben poco. Non si tratta di un dibattito acceso su qualcosa che si sta facendo ora: è qualcosa cui la Commissione sta dando inizio e che noi in Parlamento sosteniamo.
Quelli di noi che sono presenti in Aula sono probabilmente tra i pochi a credere in quest’obiettivo o in questa possibilità, ma non credo che un mercato unificato, un mercato interno comunitario, possa esistere senza diritto contrattuale.
Quando parlo di diritto contrattuale, intendo precisamente questo: diritto. Mi preoccupano le dichiarazioni del Commissario Wallström, secondo cui non sappiamo che tipo di strumento giuridico avremo. Nell’Unione europea non vi è soft law; il grande vantaggio dell’Unione è che ha sviluppato un diritto solido, positivo, che viene applicato dalle corti di giustizia, e occorre essere precisi.
L’elemento più importante del diritto è la precisione giuridica: precisione per quanto riguarda la natura degli obblighi e precisione per quanto riguarda i contenuti. Perciò credo sia importante che iniziamo a pensare a strumenti giuridici definiti con valore vincolante, che non siano mere raccomandazioni. Né l’autoregolamentazione, né la coregolamentazione, né il diritto non vincolante saranno in grado di risolvere i problemi giuridici in questo campo.
A tale proposito, la relazione della Commissione non si limita a riferirsi alle possibilità di un diritto contrattuale, ma cita anche una revisione dell’acquis nel campo della protezione dei consumatori.
Ritengo che si debba tenere presente che a questo punto nessuno può pensare che, in materia di contratti, il consumatore possa essere trattato allo stesso modo di un’impresa. Le relazioni tra consumatori e imprese sono spesso di natura giuridica diversa e gli ordinamenti attuali devono riconoscerlo. E’ questo l’intento degli emendamenti presentati dalle onorevoli Berger e Patrie: mantenere un certo livello di protezione per i consumatori.
Ad ogni modo, vorrei ringraziare gli onorevoli Lehne e Wallis per il lavoro svolto, e ringraziare anche la Commissione, che persiste in tale direzione, perché credo che il futuro dell’Unione europea debba prendere forma attraverso il diritto privato, come ha affermato l’onorevole Gargani, e, in particolare, nell’immediato futuro, attraverso il diritto vincolante in materia di contratti e non attraverso mere raccomandazioni.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.
19. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale