Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0041/2006), presentata dall’onorevole Bushill-Matthews a nome della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, sulle sfide demografiche e la solidarietà tra generazioni (2005/2147(INI)).
Philip Bushill-Matthews (PPE-DE), relatore. – (EN) Signora Presidente, sono favorevole alla priorità che il Commissario Špidla ha attribuito a questo tema, priorità riconosciuta e sostenuta da tutti i gruppi politici rappresentati in Parlamento. La presentazione di oltre 200 emendamenti in sede di commissione per quella che è stata ed è una relazione d’iniziativa viene considerata, com’è auspicabile, una conseguenza della sua priorità e non è interamente dovuta in primo luogo all’inadeguatezza del relatore.
Vorrei innanzi tutto ringraziare i colleghi della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, soprattutto i relatori ombra per il loro importante contributo. Desidero ringraziare la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare e in particolare la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere – con la quale abbiamo intensificato la cooperazione, sia in via ufficiale che in pratica – per i preziosi pareri espressi e per le molte idee con cui hanno contribuito anche loro alla stesura della relazione.
Tuttavia, una conseguenza diretta di tutto ciò è la lunghezza eccessiva della relazione, forse dovuta al nostro entusiasmo collettivo. Spero, con l’aiuto dei colleghi che voteranno oggi, che riusciremo a ridurla un po’.
In ogni caso, il senso della relazione deve restare chiaro: le sfide di una popolazione che sta invecchiando, con un maggior numero di abitanti che vivono molto più a lungo, con più persone anziane inattive che hanno bisogno dell’aiuto altrui, e persone anziane attive che devono provvedere a se stesse, costituiscono problemi che riguardano non solo gli anziani, ma l’intera società. Le sfide di un tasso di natalità in calo, con meno soggetti in età lavorativa, che non sono matematicamente in grado di mantenere i pensionati che li superano per numero; i tanti genitori che vogliono avere più figli e che sono alle prese con le difficoltà che comporta coniugare il lavoro con la vita familiare, ma che non riescono matematicamente ad arrivare alla fine del mese. Questi non sono solo problemi per i giovani, ma lo sono anche per l’intera società. Si tratta di sfide per i governi; sfide per le imprese. Non ci sono soluzioni adatte a tutti, ma, come dicono nella serie X-Files, la verità è là fuori!
Ci sono molte idee differenti in merito e diverse esperienze cui attingere, non solo nell’Unione. La relazione contiene molte opinioni e molti suggerimenti. Ora abbiamo bisogno di menti più aperte, ma dobbiamo innanzi tutto darci da fare per mettere in pratica queste idee.
Spero che il Commissario Špidla possa riconoscere nella relazione non soltanto le sue priorità, ma anche il suo personale senso di urgenza, e che tutti concordino sul fatto che il vero lavoro comincia adesso.
Vladimir Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Signora Presidente, onorevoli deputati, vorrei ringraziare l’onorevole Bushill-Matthews, la commissione per l’occupazione e gli affari sociali e la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere per la loro relazione davvero stimolante. Mi rallegro del sostegno espresso dal Parlamento per il nostro Libro verde. La relazione del Parlamento è arrivata al momento giusto per imprimere una spinta al lavoro della Commissione in merito alla nuova comunicazione sui dati demografici, dal momento che la ultimeremo nelle prossime settimane. Tale tempestività ci permette quindi di fare un uso molto concreto della vostra relazione, comprendente alcuni punti importantissimi che meritano un posto nella nuova comunicazione, le cui conclusioni sono basate sulle risposte che abbiamo ricevuto sul nostro Libro verde e da studi di impatto finanziati tramite l’azione pilota organizzata dal Parlamento europeo. La relazione afferma inoltre l’opportunità di portare avanti la cooperazione a livello europeo sulle questioni demografiche.
Onorevoli deputati, negli ultimi tempi l’Europa ha conseguito alcuni successi straordinari. Vorrei affermarlo senza possibilità di equivoco, in modo che possiamo imprimercelo in mente. L’invecchiamento demografico della nostra società, relativamente a due angoli e due punti della piramide demografica, è una conseguenza di questi successi. L’aspettativa media di vita è aumentata in virtù degli enormi progressi registrati dalla medicina che hanno, per esempio, sconfitto in larga misura le malattie cardiovascolari, fornendo così un contributo significativo all’aspettativa media di vita delle persone di mezza età. Grazie agli importanti progressi della medicina nel campo dell’assistenza pediatrica e perinatale, le cifre relative alla mortalità infantile e neonatale sono scese a livelli mai visti prima d’ora e che probabilmente erano imprevedibili fino a qualche decennio fa. Si tratta di un successo incontestabile. Oggi beneficiamo, per così dire, di una vita due volte più lunga rispetto ai nostri antenati, e mi ha fatto piacere scoprire, in occasione di dibattiti con le compagnie di assicurazione, che ora queste ultime si servono di tabelle di mortalità che arrivano non fino a 80, ma fino a 120 anni.
Questo successo ha ovviamente le sue conseguenze, poiché l’invecchiamento demografico modifica l’intera nostra società in tutti i settori. È importante rendersi conto che occorre una risposta olistica, una risposta che sia completa e globale. L’invecchiamento demografico va oltre le questioni dei sistemi previdenziali, della salute, dell’istruzione, dell’urbanistica e così via. Dubito infatti che si possa trovare un settore dell’attività umana che non sia interessato dall’invecchiamento demografico, compreso quello delle forze armate. Pertanto dobbiamo sforzarci di assicurare che l’invecchiamento attivo diventi una realtà. Dobbiamo sviluppare i nostri servizi di assistenza per i bambini e per gli anziani, dobbiamo sviluppare nuovi prodotti e nuovi servizi per rispondere meglio alle esigenze delle persone che invecchiano e ovviamente alle esigenze di una società che invecchierà nel suo complesso, dal momento che il suo profilo d’età cambia. Infine dobbiamo investire di più nello sviluppo e nel mantenimento del nostro capitale umano in modo da conseguire livelli elevati di occupazione e permettere agli anziani di rimanere attivi più a lungo in seno alla forza lavoro. Nelle risposte alle consultazioni sul Libro verde, soprattutto nelle risposte degli Stati membri, è stato dato grande risalto all’esigenza di una migliore armonizzazione della nostra vita privata, familiare e professionale.
Di fatto, in alcuni Stati membri, gli immigrati stanno già invertendo la tendenza al declino demografico. Per avere un effetto davvero benefico, l’immigrazione deve andare di pari passo con un impegno maggiore per l’integrazione e per il superamento delle differenze. Malgrado tutto ciò, onorevoli deputati, resta chiaro che gli immigrati su cui contiamo – in quanto prerogativa stabile delle nostre società nel futuro – non costituiscono la risposta ai problemi dell’invecchiamento demografico. Sono una delle componenti, ma non devono mai essere considerati la soluzione.
Vorrei citare alcuni temi da includere nel nostro programma di lavoro per gli anni a venire. Vorremmo rinnovare il nostro impegno per armonizzare la famiglia con la vita professionale, perché è chiaro che i cittadini europei vogliono avere più figli di quanti non ne abbiano attualmente. E per soddisfare i loro desideri e le loro aspirazioni naturali, dobbiamo osservare con profonda attenzione, a mio avviso, la nostra società nel suo complesso, le nostre abitudini, il nostro modo di fare le cose e le consuetudini a noi comuni. Vorremmo istituire un forum europeo sulla popolazione e sui dati demografici che ci permetta di capire meglio i vari aspetti che comporta l’inclusione di una componente demografica nelle singole politiche, un forum sostenuto sia da esperti riconosciuti nel settore che da organizzazioni di volontariato. Nel 2007 la Commissione presenterà una relazione sulle misure adottate dagli Stati membri per incorporare nelle rispettive legislazioni nazionali le disposizioni della direttiva 2000/78/CE relative alla discriminazione basata sull’età. Ogni due anni, in coincidenza con le sedute plenarie del forum, la Commissione pubblicherà un documento sulla popolazione e sui dati demografici in Europa, in cui saranno descritte le tendenze demografiche del continente nel contesto degli sviluppi mondiali.
Onorevoli deputati, il valore aggiunto dell’Europa consiste in massima parte nell’organizzare lo scambio di informazioni, nel mettere a confronto tesi collaudate e nella presentazione e diffusione dei dati ottenuti, cosa che stiamo già realizzando in molti settori, soprattutto in quelli relativi alla strategia di Lisbona. Onorevoli deputati, gli sviluppi demografici stanno cambiando la nostra società. L’hanno cambiata nel corso della storia e continueranno a farlo in avvenire. La nostra società sta diventando tecnicamente più vecchia in termini demografici, ma possiamo anche affermare con certezza che sta divenendo più saggia, perché la saggezza è legata all’esperienza ed è, in tutte le società, una caratteristica di coloro che hanno avuto la fortuna di vivere abbastanza a lungo da avere l’opportunità di attingere alla propria esperienza. Credo che troveremo nei nostri dibattiti le soluzioni per rispondere alle sfide conseguenti all’enorme successo che la nostra società ha avuto nel prolungare la vita e nel migliorarne la qualità, e lo faremo in modo che le generazioni future seguano la strada da noi tracciata, una strada che comporterà una consapevolezza più profonda della qualità della vita, della dimensione umana e dei valori sociali che noi tutti abbiamo a cuore.
Thomas Ulmer (PPE-DE), relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto ringraziare sinceramente l’onorevole Bushill-Matthews per l’eccellente relazione. Vorrei dire al Commissario Špidla che, personalmente, vivrei con piacere fino a 120 anni. Devo arrivare a 116 prima di chiudere in pareggio il mio piano pensionistico.
Sono sorpreso che il Libro verde sui cambiamenti demografici non tenga in maggior conto gli aspetti relativi alla sanità. I problemi per una società che invecchia non si limitano soltanto agli aspetti economici. Come si può già notare, sono divenute d’attualità nuove sindromi: le forme di demenza – si tratti dell’Alzheimer o della demenza subcorticale –, le affezioni vascolari, dalle cardiopatie coronariche all’insufficienza renale; le malattie metaboliche – soprattutto il diabete –, le artrosi della colonna vertebrale e delle grandi articolazioni e l’osteoporosi, per citarne solo alcune. Per questo sono tanto più importanti la prevenzione e la garanzia che ci siano buone condizioni di vita per tutti prima delle cure mediche e, se queste sono necessarie, la certezza che siano le migliori possibili per tutti gli europei. Si tratta di conservare tanto la qualità della vita quanto la mobilità.
Ci serve un nuovo orientamento sociale per affrontare queste sfide. Attualmente il periodo trascorso in pensione costituisce un terzo della durata della vita. Abbiamo bisogno di un’occupazione adeguata, di doveri sociali e compiti soddisfacenti per gli anziani, di una vita senza barriere, nuove forme residenziali e, se occorre, di un’eccellente assistenza medica e sanitaria.
Tuttavia, trovo criticabile il fatto che nel Libro verde si presuma implicitamente, in modo acritico, che il calo della popolazione avrebbe soltanto conseguenze negative per il modello sociale esistente. Auspico pertanto che siano presi in considerazione gli aspetti seguenti: in che misura le conseguenze negative del calo della popolazione possono essere controbilanciate dall’innovazione, da un aumento del tasso di occupazione e della modernizzazione del sistema di protezione sociale, e il calo della popolazione può avere anche aspetti positivi, per esempio sotto il profilo dell’ambiente, del traffico, dell’utilizzo delle superfici? E’ possibile, infine, definire una sorta di “ottimo paretiano” circa il numero ottimale di abitanti dell’Europa?
Edite Estrela (PSE), relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. – (PT) Vorrei congratularmi con l’onorevole Bushill-Matthews per l’eccellente relazione e per la collaborazione che abbiamo stabilito nel procedimento di stesura delle nostre rispettive relazioni.
Nel 2003 la crescita naturale della popolazione europea è stata dello 0,04 per cento. Tra il 2005 e il 2030 si prevede un calo di circa 20 milioni di persone. Si presume che, fino al 2025, la popolazione della Comunità europea aumenterà lievemente per via dell’immigrazione, ma poi ricomincerà a diminuire. L’immigrazione è solo una soluzione parziale. Gli europei non hanno il numero di figli che desiderano. I sondaggi rivelano che vorrebbero averne in media 2,3, ma ne hanno solo uno e mezzo, un numero troppo esiguo per reintegrare la popolazione.
Tra le cause della bassa natalità annoveriamo: l’accesso ritardato o precario all’occupazione; difficoltà a trovare casa; l’età inoltrata in cui i genitori hanno il primo figlio; la mancanza di incentivi fiscali e di sussidi alla famiglia; l’insufficienza di permessi parentali; strutture inesistenti per la custodia dei bambini e delle altre persone a carico; divario salariale tra uomini e donne; difficoltà nel conciliare la vita familiare con quella professionale.
Secondo Philip Longman, esperto di demografia, in Europa sono i conservatori cristiani e musulmani ad avere più figli, cosa che comporterà un mutamento nella composizione della società. Cosa si può fare per ristabilire la situazione? Philip Longman dà alcuni suggerimenti: la Svezia è riuscita ad aumentare i suoi tassi di natalità migliorando le prestazioni sociali e istituendo centri di custodia diurna e asili nido. In Italia sarebbe utile agevolare la concessione di prestiti per l’acquisto della prima casa, perché attualmente è molto difficile ottenerne. Una cosa è certa: nella maggior parte degli Stati membri esiste una forte correlazione tra tassi elevati di occupazione femminile e tassi elevati di natalità, e viceversa.
PRESIDENZA DELL’ON. SARYUSZ-WOLSKI Vicepresidente
Struan Stevenson, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, secondo quanto afferma il Commissario Špidla, i cambiamenti demografici non costituiscono solo un tema di attualità, ma anche una delle più grandi sfide che l’Europa affronta oggi. Ecco perché la relazione dell’onorevole Philip Bushill-Matthews è tempestiva e assai pertinente.
Il problema di noi politici, al giorno d’oggi, è che pensiamo solo in termini di periodi quinquennali. Non si ritiene che sia politicamente vantaggioso occuparsi di questioni che avranno un impatto drammatico sulle nostre vite fra dieci o vent’anni. Certo, negli ultimi mesi ho presieduto un gruppo di lavoro del PPE-DE che trattava aspetti specifici dei cambiamenti demografici. Siamo giunti ad alcune conclusioni piuttosto proficue sul tema.
In primo luogo, nel campo della demografia e della famiglia, l’Unione non deve rassegnarsi a un calo della propria popolazione. Il fatto di migliorare la situazione generale dei bambini e dei giovani e aumentare la compatibilità del lavoro e della vita familiare per uomini e donne, insieme all’attuazione di incentivi fiscali, potrebbe avere un impatto significativo sui tassi di natalità.
In secondo luogo, è chiaro che in Europa è necessario che ci sia una maggiore scelta e flessibilità nel mercato del lavoro. A questo riguardo, dobbiamo aumentare la partecipazione alla forza lavoro delle donne, dei giovani e degli anziani, offrendo nuove opportunità grazie, per esempio, alla flessibilità dell’orario di lavoro, alla promozione di posti a tempo parziale e del lavoro autonomo. I sistemi scolastici vanno riformati per aumentare l’efficacia e abbreviare i tempi dell’istruzione superiore, permettendo così un ingresso anticipato nella vita lavorativa.
In terzo luogo, i lavoratori qualificati provenienti da paesi terzi vanno sì attirati, ma il nostro gruppo di lavoro ritiene che non si debba considerare l’immigrazione come l’unica soluzione per risolvere i problemi del futuro demografico e del mercato del lavoro in Europa. Gli immigrati devono avere doti e professionalità di cui l’Europa scarseggia e devono essere pronti a integrarsi nelle nostre società e ad accettare i valori comuni europei.
Per potere far fronte alla sfida dei cambiamenti demografici e sostenere una società in continuo mutamento, dobbiamo assicurare la ferma applicazione dell’agenda di Lisbona. Lo status quo non è una scelta. Per svilupparsi e prosperare, l’Europa ha bisogno – per usare uno dei neologismi del Presidente Barroso – di “flexicurity” – ovvero del bilanciamento tra flessibilità e sicurezza – e di innovazione. La sicurezza e la flessibilità del mercato del lavoro ci permetteranno di rispondere alle sfide della globalizzazione. Per riuscirci dobbiamo riformare i nostri sistemi pensionistici e concentrarci sulla crescita e sull’occupazione, introducendo misure innovative a sostegno del tasso di natalità e avvalendoci dell’immigrazione in modo assennato.
Solo tramite l’innovazione e reinventando noi stessi possiamo essere sicuri che la sfida costituita dai cambiamenti demografici diverrà l’opportunità per la crescita di domani.
Joel Hasse Ferreira, a nome del gruppo PSE. – (PT) L’importanza del tema in esame è innegabile. Buona parte dell’Europa sta invecchiando. Salvo rare eccezioni, i tassi di natalità sono bassi. La sostenibilità di vari meccanismi di protezione sociale, di solidarietà e sicurezza sociale è in pericolo. Evidentemente l’immigrazione dai paesi extraeuropei ha permesso di equilibrare i tassi di attività in alcuni Stati membri, ma occorre considerarne le conseguenze sociali sia sul piano dell’integrazione sociale che del sostegno alle famiglie.
Il dibattito sulle sfide demografiche ha acquisito nuova urgenza a seguito della recente attuazione, da parte dei paesi scandinavi, del modello sociale europeo. Combinare i vantaggi che comporta l’incremento di produttività e di competitività con una forte partecipazione femminile al mercato del lavoro è molto importante. Al tempo stesso, i tassi di natalità sono aumentati e ora c’è maggior comprensione per quanto riguarda i permessi di paternità e un maggior sostegno alla maternità.
Di conseguenza, dal punto di vista europeo, in ogni Stato membro è dunque necessario concentrare tutti gli sforzi per conciliare la vita professionale con quella familiare, concordando orari di lavoro più flessibili e creando infrastrutture di sostegno all’infanzia più adeguate e capillari. Oltre a ciò, occorre approfondire la conoscenza reciproca dei diversi sistemi di sicurezza sociale, nonché offrire alla gente l’opportunità di passare liberamente da un sistema nazionale all’altro, sia esso pubblico, privato o di qualsiasi altro genere, per esempio mutualistico. Ciò è molto importante per i lavoratori che versano i contributi della sicurezza sociale in un determinato Stato membro; avranno vita più facile una volta tornati nel loro paese di origine e quando si trasferiranno per lavoro in un altro Stato membro.
Occorre inoltre un impulso per rinnovare i sistemi di protezione sociale. Anche l’invecchiamento attivo va incoraggiato. Tutti questi temi sono stati dibattuti nelle relazioni degli onorevoli Bushill-Matthews e Estrela, nonché di tutti i membri delle commissioni che lavorano con tanta dedizione in questo campo. Concluderei affermando che le sfide demografiche presenti oggi in Europa sono importanti, ma le risposte a queste sfide ci sono. Perciò mostriamoci all’altezza della sfida di garantire una maggiore solidarietà intergenerazionale.
Marian Harkin, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, vorrei congratularmi col relatore per il documento oltremodo esaustiva su questo tema di grande importanza per tutta l’Europa dei Venticinque, ovvero la sfida posta dai cambiamenti demografici e l’importanza della solidarietà intergenerazionale. In sostanza, ciò che la relazione propone è il miglioramento per tutti della qualità della vita, in tutte le sue fasi, e un riconoscimento del fatto che le decisioni politiche e le leggi emanate devono contribuire a quest’obiettivo centrale. Farò solo due brevi osservazioni, considerato il poco tempo a disposizione.
Sono lieta di vedere che questa relazione include una raccomandazione che esorta gli Stati membri a migliorare la prestazione di servizi di interesse generale nelle zone rurali, promuovendo così un giusto equilibrio fra vita rurale e vita urbana, soprattutto per le persone anziane.
Inoltre chiedo che venga sostenuto l’emendamento n. 20, finalizzato al riconoscimento del potenziale delle case protette. Porto a modelli il progetto del villaggio di San Brendan nella contea di Mayo, nell’Irlanda occidentale, e il programma di edilizia protetta Habitat della SLE a Lille, in Francia.
In una relazione presentata dal comitato europeo di collegamento per l’edilizia sociale a suggello dell’Anno dell’Anziano indetto dalle Nazioni Unite, una delle raccomandazioni principali è quella secondo cui i governi e gli erogatori di servizi devono agevolare la permanenza delle persone, quando invecchiano, nella propria comunità. Secondo la relazione, le due iniziative che ho appena menzionato rappresentano buoni esempi di progetti costruiti per soddisfare le esigenze locali. Aiutano a far restare gli anziani nelle comunità in cui hanno passato la maggior parte della loro vita, con l’appoggio della famiglia, degli amici e dei servizi, e in ambienti familiari. Questa è indubbiamente solidarietà intergenerazionale.
Tutti quanti noi presenti in quest’Aula – se siamo abbastanza fortunati da vivere abbastanza a lungo – invecchieremo. Per alcuni di noi, questo momento è più vicino che per altri. Personalmente, comunque, preferirei vivere autonomamente nella mia comunità con il livello di assistenza sociale e medica che mi occorre. I due progetti cui ho fatto riferimento sono modelli europei di migliori pratiche in quest’ambito e potrebbero essere applicati in tutta l’Europa dei Venticinque.
Sepp Kusstatscher, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, i cambiamenti demografici costituiscono, insieme a quelli climatici, la sfida verosimilmente più impegnativa del nostro tempo. Ci sono moltissime ragioni per cui il nostro tasso di natalità si abbassa, con il conseguente declino delle prospettive future per la nostra società.
Sceglierei solo un singolo aspetto di questo tema estremamente complesso: l’accantonamento pensionistico per le madri. Il lavoro svolto dalle madri, specialmente da quelle con parecchi figli, è troppo misconosciuto. Uno dei problemi principali è costituito dal fatto che la maggior parte delle madri, dal momento in cui non possono o non vogliono esercitare una professione perché impegnate nella cura e nell’educazione dei figli, incontrano svantaggi evidenti dapprima nella loro carriera e successivamente nell’età avanzata.
Nella nostra società del benessere, all’assistenza e all’educazione dei figli dovrebbe essere riconosciuta almeno la stessa importanza data alle attività nel settore produttivo e in quello dei servizi, e pertanto tali periodi dovrebbero essere pienamente conteggiati ai fini dei diritti pensionistici. Un reddito di base incondizionato per tutti rappresenterebbe la soluzione più semplice e di più vasta portata.
Ilda Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) I cambiamenti demografici che si registrano nell’Unione sono, nel complesso, più benefici che dannosi per la società. Grazie al miglioramento delle condizioni di vita e dell’assistenza sanitaria l’aspettativa di vita è aumentata, il che, ovviamente, crea nuove sfide che devono essere affrontate.
Tra queste sfide – che non sono state debitamente affrontate dalla Commissione nel Libro verde – figurano l’importanza della salute sessuale e riproduttiva, il gender mainstreaming in tutte le analisi e in tutte le politiche, il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, una maggiore coesione e inclusione sociale.
Pertanto, nelle proposte presentate dal nostro gruppo, si è posto l’accento sulla necessità dell’occupazione stabile, della sicurezza sul luogo di lavoro e della diminuzione dell’orario lavorativo per garantire che i lavoratori di qualsiasi età possano in egual misura ottenere l’accesso a un’occupazione adeguatamente retribuita. Ciò permetterà ai lavoratori di disporre di più tempo da dedicare alla famiglia, per occuparsi dei figli e perseguire la propria formazione permanente.
Le priorità principali nella gestione dei cambiamenti demografici sono dunque i diritti connessi all’occupazione, una distribuzione più equa dei redditi, una forte sicurezza sociale pubblica basata sulla solidarietà intergenerazionale e servizi pubblici di alto livello, particolarmente in settori come la sanità, l’istruzione, la casa e la protezione sociale. In altre parole, ciò che stiamo proponendo è l’inversione della tendenza attuale che dà priorità alla concorrenza e al liberismo, al lavoro sempre più precario e scarsamente retribuito, alla disoccupazione, alla privatizzazione dei servizi pubblici e alla violazione dei diritti dei lavoratori. Perciò sottolineiamo la necessità di una svolta radicale in queste politiche.
Kathy Sinnott, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, nel 1981, in Irlanda, ho assistito a una lezione del dottor Herbert Ratner, un professore docente di sanità pubblica ed etica medica, che in quell’occasione aveva illustrato la demografia dell’Europa continentale occidentale e preconizzato esattamente il quadro che stiamo vedendo ora: un tasso di natalità in caduta libera entro l’anno 2000 e il calo definitivo della popolazione entro il 2020, cosa ormai inevitabile.
Nel corso di quella lezione il dottor Ratner aveva messo in guardia i suoi ascoltatori irlandesi affinché continuassero a optare per la vita e, tra i molti benefici che ciò comporta, evitassero il suicidio demografico dei nostri vicini europei. Abbiamo optato per la vita due anni dopo, in un referendum per tutelare la vita dell’essere umano dal concepimento fino alla morte naturale. Il tasso di natalità dell’Irlanda è ora in calo, ma abbiamo differito il trend di 20 anni e, benché oggi siamo sotto il livello di sostituzione, abbiamo ancora il miglior tasso di natalità, la forza lavoro più giovane e l’economia più forte dell’Unione. Come afferma il Libro verde della Commissione sulla demografia, non c’è crescita economica senza crescita di popolazione.
Posso rammentare molte buone ragioni che l’Unione ha per abbracciare la cultura della vita, la dignità della persona umana e Dio. Tuttavia, se non altro per la crescita economica e per un futuro praticabile per l’Europa, dobbiamo riconsiderare il nostro atteggiamento nei confronti della sacralità della vita, della posizione della famiglia e del sostegno alle madri e agli altri che si prendono cura delle persone.
Amalia Sartori (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio anch’io il relatore per questo ottimo lavoro svolto. Per quanto mi riguarda, le questioni che voglio mettere in evidenza sono le due grandi sfide di fronte alle quali noi ci troviamo: la prima, quella di un mondo che invecchia e al quale vogliamo garantire una vecchiaia la migliore possibile e dignitosa, e nel contempo la mancanza di nascite; vogliamo che nel nostro continente si riprenda una giusta corrispondenza con le aspettative delle donne e dei nostri paesi.
Per affrontare la prima sfida è necessario seguire due politiche: una è abolire qualsiasi disincentivo a prolungare la vita lavorativa, da un lato, e quindi consentire tutte le politiche volte a permettere alle persone anziane di rimanere il più a lungo possibile coinvolte direttamente nel mondo del lavoro e l’altra politica è offrire agli anziani la possibilità di rimanere il più lungo possibile all’interno della loro comunità. Tutte le politiche sociali vanno rivolte a questo obiettivo: rimanere nell’ambito familiare, nell’ambito della propria casa e, solo come estrema ratio, l’istituzionalizzazione.
Per quanto riguarda la politica della natalità, credo che come sempre nella vita aiutino i fatti concreti. Va osservato come in questi ultimi anni, un esempio interessante è la Francia, proprio i paesi che hanno fatto di una nuova fiscalità una politica intelligente, hanno poi ottenuto buoni risultati. Quindi nuova fiscalità, grandi possibilità di lavoro per le donne, la possibilità di entrare nel mondo del lavoro e sicuramente una nuova e diversa qualità di servizi.
Karin Jöns (PSE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, non c’è dubbio che i cambiamenti demografici rappresentino oggigiorno una delle più importanti sfide per tutti gli Stati membri dell’Unione.
Tuttavia i cambiamenti demografici vanno anche visti come un’occasione per propiziare una nuova solidarietà intergenerazionale che garantisca ai giovani una buona istruzione, crei lavoro per tutti e consenta una vecchiaia decorosa. Un passo importantissimo in questo senso sarebbe costituito dall’introduzione trasversale dell’impatto sui cambiamenti demografici tra i fattori di cui tenere conto in tutti i campi della politica, sia a livello nazionale che europeo. Questo discorso deve valere anche per il lavoro della Commissione.
Inoltre questo è un altro dei campi nei quali dobbiamo imparare di più l’uno dall’altro e intensificare lo scambio delle esperienze non solo tra i governi, ma anche tra le parti sociali, che contribuiscono in maniera decisiva a ciò che contraddistingue il modello sociale europeo, ovvero la solidarietà sociale. Perciò apprezzo l’invito rivolto agli Stati membri ad avviare nuovi partenariati con le parti sociali e anche l’invito a consultarle senza indugio sul tema della conciliabilità tra vita familiare e professionale.
Gabriele Zimmer (GUE/NGL). – (DE) Signor Presidente, non ci può essere un dibattito serio sui cambiamenti demografici se si considerano le persone come fattori economici anziché come individui; eppure, a mio avviso, sia il Libro verde della Commissione che la presente relazione dell’onorevole Bushill-Matthews commettono proprio questo errore.
Ritengo inoltre che il dibattito debba considerare i cambiamenti demografici come un tema di portata globale. E’ evidente che né gli Obiettivi di sviluppo del Millennio né la lotta contro la povertà nel mondo svolgono un ruolo, seppur minimo, nel nostro dibattito sui cambiamenti demografici. Dopo tutto, il problema principale non è il calo della popolazione europea, bensì, in primo luogo, la sproporzionalità di tale calo fra regione e regione; in secondo luogo, la convivenza nella società è a rischio; in terzo luogo, non mettiamo in relazione i cambiamenti demografici in Europa col boom della popolazione mondiale.
Stiamo osservando il fenomeno dell’invecchiamento della società europea quasi esclusivamente dal punto di vista della diminuzione della forza lavoro e, contemporaneamente, stiamo trascurando del tutto lo sviluppo della produttività, che al tempo stesso sfruttiamo come espediente per ridurre le prestazioni sociali, di malattia, sanitarie e pensionistiche e per prendere in considerazione un consistente prolungamento della la vita lavorativa. Mi riferisco qui solo allo studio approntato e pubblicato dalla Commissione, che ipotizza come limite i 71 anni.
Chiedo di cambiare le priorità. Abbiamo bisogno di una società vicina all’infanzia, che voglia davvero accogliere i bambini. Ci occorre un genere diverso di dibattito, perché non possiamo considerare i figli soltanto come un investimento per tutelare la manodopera e le pensioni. Inoltre non possiamo continuare a cercare soltanto una migliore armonizzazione della vita professionale con quella familiare e dell’orario di lavoro col tempo libero. Dobbiamo preoccuparci di qualcosa di più: dei bambini, perché sono loro a essere importanti in questo contesto. I bambini devono rivestire un ruolo centrale e vanno considerati come individui.
Ovviamente la società deve anche affrontare le sfide dell’invecchiamento, per esempio tramite l’espansione dei servizi sociali o, naturalmente, tramite lo sviluppo urbano: per esempio, gli alloggi per gli anziani e i trasporti pensati per i bambini e gli anziani. La questione ha molte più sfaccettature di quanto non pensiamo.
Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, non c’è bisogno di essere un economista o un politologo per capire che la tendenza a volere speculare sulle cose e la scomparsa del verde nella nostra società comportano parecchie conseguenze.
I politici in quanto tali sanno – ma la maggior parte del pubblico no – che la globalizzazione e i cambiamenti demografici sono la causa di un gran numero di problemi. La relazione dell’onorevole Bushill-Matthews cerca di offrire speranze, e di questo lo ringrazio calorosamente. Non dovremmo, però, limitarci a guardare a ciò che dice la Commissione. Se è vero che dobbiamo assicurare l’incremento del tasso di natalità, non spetta a noi politici, ma ai genitori, assicurare che i bambini nascano.
Quello che i politici devono fare è creare una società a misura d’infanzia, una società in cui i bambini non costituiscano un peso, bensì un beneficio in più. Ciò significa anche che dobbiamo assicurare che la gente si prenda adeguatamente cura dei bambini, il che comporta implicazioni per la flessibilità nel mercato del lavoro, per la flessibilità durante tutta la vita e per la flessibilità nell’orario di lavoro. E’ qui che noi politici entriamo nuovamente in azione.
Se vogliamo creare una società sana ed equa in cui possano svolgere un ruolo tanto i giovani quanto gli anziani – ed è questo di cui abbiamo bisogno –, dobbiamo anche garantire che la legislazione sia a favore dell’infanzia non solo a livello europeo, ma indubbiamente anche a livello nazionale.
Marianne Mikko (PSE). – (ET) Onorevoli colleghi, signor relatore. L’onorevole Bushill-Matthews ha preparato una relazione di cui si avvertiva grande necessità. Se continuiamo a occuparci esclusivamente di politica quotidiana, l’Europa verrà colpita da una catastrofe sociodemografica paragonabile allo tsunami asiatico.
La sostenibilità dello stile di vita europeo è in pericolo. La generazione più giovane lavora con orari pesanti per un tozzo di pane, con conseguente stanchezza fisica e mentale. Quello che viene presentato come una loro libera scelta è in realtà una costrizione loro imposta dalla società del “chi vince prende tutto”. La schiavitù salariale o la disoccupazione, salire i gradini della carriera o vedersi sbattere la porta in faccia: queste sono le scelte con cui si confrontano i nostri giovani altamente qualificati.
Quando, malgrado la legge, una persona lavora 12 ore e più al giorno, non possono essere di aiuto né l’orario lavorativo flessibile né un orario di apertura più lungo nei settori del commercio e dei servizi. Non c’è semplicemente tempo per la vita privata o per avere figli.
Tutto questo, sotto l’aspetto macroeconomico, nasce dall’esigenza di finanziare i pensionamenti anticipati e l’assistenza sanitaria della generazione più anziana, esigenza che sta diventando sempre più dispendiosa. La relazione dev’essere solo un punto di partenza. Per mantenere un elevato livello di vita in Europa occorre che i politici facciano molto di più e lo facciano rapidamente.
Grazie per l’attenzione.
Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, il relatore, onorevole Bushill-Matthews, che è noto per la sua attenzione ai dettagli e la sua grande sensibilità e che ha pazientemente preparato la relazione, ha messo perfettamente in evidenza le possibili soluzioni al problema demografico, cominciando dai mezzi per affrontare risolutamente la bassa crescita economica e gli alti tassi di disoccupazione.
Si impone un approccio diversificato secondo le circostanze, che deve – com’è stato giustamente sottolineato – rispettare la libertà di scelta e agevolare l’esercizio di un diritto umano fondamentale delle famiglie europee, quello di avere tanti figli quanti ne desiderano, senza gli ostacoli che sorgono dalla difficoltà di coniugare la vita professionale con quella familiare. Identificare questi ostacoli e quelli esistenti sia all’interno che fuori dal posto di lavoro – come il regime fiscale, l’alloggio e il costo dell’istruzione, della sanità e delle assicurazioni – è compito degli Stati membri, poiché solo gli Stati membri regolano sia la politica dello sviluppo che quella della famiglia.
Beninteso, nel corso della storia l’immigrazione ha spesso risolto il problema del rinnovamento della popolazione e oggi colma il divario sorto dalla nostra scelta di non avere figli o di averne solo uno in età avanzata. Che cos’è che ci ha condotti a queste scelte di vita in tempi di pace e di abbondanza? Cercare le cause dei cambiamenti demografici non spetta alla Commissione europea né ai governi. Non rientra nelle competenze dell’Unione, bensì in quelle di ciascun cittadino europeo che voglia andare oltre le proprie capacità umane, sia nel pianificare l’inizio dell’esistenza che nell’imporne la fine.
Certamente l’istruzione, la formazione e la ricerca di lavoro in un ambiente di sviluppo sostenibile sono requisiti indispensabili per uno standard di vita elevato. Tuttavia, se vogliamo scongiurare i problemi demografici, se vogliamo che nuovi europei possano nascere e invecchiare in condizioni decorose, in futuro i genitori dovranno esigere spontaneamente che le loro relazioni personali siano affidabili e, in generale, avere una visione della vita per il presente e l’avvenire.
Aloyzas Sakalas (PSE). – (LT) Come deputato eletto in Lituania al Parlamento europeo, ritengo il problema demografico particolarmente rilevante, soprattutto perché il numero degli abitanti in Lituania sta diminuendo costantemente, non tanto in seguito all’emigrazione, ma piuttosto per la rapida diminuzione del tasso di natalità, cosa che ha già portato alla chiusura di molte scuole. I passi intrapresi dal governo lituano per risolvere questo problema sono chiaramente insufficienti; ben venga, dunque, la pubblicazione di documenti a livello europeo. Tuttavia, la contrazione del tasso di natalità non costituisce un problema solo per la Lituania, ma anche per tutta l’Europa, e se le nostre famiglie hanno, secondo le statistiche, meno di 1,5 figli ciascuna, nei paesi asiatici, compresa la Turchia – paese candidato all’Unione – i bambini nascono come funghi dopo la pioggia. Le conseguenze che può comportare questo fenomeno in un futuro non troppo lontano costituiscono un argomento degno di essere meditato. Possiamo e dobbiamo superare questa crisi demografica tramite azioni e programmi concreti che rendano conveniente per ogni famiglia avere almeno tre figli. E’ proprio questo lo spirito del documento presentato. Una volta approvato, devono seguire soluzioni di ordine pratico.
Roselyne Bachelot-Narquin (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio l’onorevole Philip Bushill-Matthews per l’eccellente relazione.
Per fare fronte all’impatto del grave regresso demografico, si usa ricorrere a tre provvedimenti: una politica attentamente ponderata e regolamentata in materia di immigrazione, la mobilizzazione della forza lavoro e politiche incentrate sulla famiglia e sull’aumento del tasso di natalità.
Quest’ultimo tipo di approccio è in genere demandato agli Stati membri. Tuttavia l’Unione farebbe malissimo a privarsi di questi mezzi. La loro efficacia è ben nota, e l’esempio francese ne è testimone: incentivi fiscali per le famiglie, congedi parentali, aiuti finanziari e, soprattutto, l’assistenza ai figli – assistenza di tipo parascolastico, una gamma di prestazioni per la custodia dei più piccoli e dei bambini disabili. Per di più, è importante ricordare che non sarà possibile recuperare le donne al mercato del lavoro in misura massiccia se non si prendono adeguati provvedimenti per la custodia dei loro figli.
L’Europa non manca di mezzi, a patto che abbia la volontà politica e le risorse finanziarie. E’ dunque essenziale che i regolamenti in materia di politiche di coesione territoriale mettano in evidenza, in modo più netto, la necessità di finanziare le strutture di custodia dei bambini. Mentre imperversa il dibattito sul carattere del modello sociale europeo, i bambini e le famiglie, avendo riguardo per le loro diversità, devono costituire un elemento fondamentale di tale modello.
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Onorevoli deputati, vorrei ringraziarvi per questo dibattito che ha dimostrato come la questione demografica sia una delle più importanti con cui l’Europa oggi deve confrontarsi, e per molti versi ha fatto luce sull’argomento. Credo che abbiamo avuto una netta conferma dell’idea di fondo secondo cui abbiamo a che fare con mutamenti fondamentali che richiedono una strategia olistica o trasversale, com’è stato affermato. Contemporaneamente sono stati presi in considerazione vari aspetti del problema in senso ampio. Per esempio, è stato affermato che il Libro verde non dedica la stessa attenzione a due ordini di problemi, ovvero quelli relativi al settore sanitario e quelli in un contesto internazionale. Forse avrete notato dalla mia relazione che il contesto internazionale va trattato nelle relazioni periodiche, perché da questo punto di vista c’è già una risposta preliminare specifica. La questione della sanità è una tra le più cruciali e credo che il dibattito ci abbia stimolato a sviluppare ulteriormente in futuro le nostre idee su questo settore.
Questo problema solleva non solo questioni di carattere tecnico e organizzativo, ma anche tutta una serie di questioni etiche, perché una popolazione che invecchia creerà un numero sempre maggiore di situazioni in cui la gente vive in condizioni limite per il combinarsi del destino e del loro stato di salute. Ciò significa che sarà estremamente difficile trovare una soluzione eticamente adeguata, giacché richiede una lunga e profonda riflessione.
Penso inoltre fosse chiaro che un tema su cui è stata concentrata l’attenzione, a mio avviso legittimamente, sia quello dell’infanzia, del tasso di natalità bassissimo e del modo in cui possiamo intervenire o almeno influire su questo fenomeno. Dal dibattito è anche emerso chiaramente che si trattava di una questione europea di carattere generale perché, nonostante l’Irlanda, per esempio, abbia attualmente il più alto numero di parti vitali per donna in età fertile, questo paese ha anche registrato negli ultimi vent’anni un calo più brusco di qualunque altro, e il livello attuale non basta a mantenere la stabilità demografica. Ovviamente ci sono altri Stati che si trovano in una posizione nettamente peggiore, Stati in cui la situazione potrebbe diventare estremamente difficile nel giro di qualche generazione.
E’ altresì evidente che dobbiamo considerare seriamente che non tutte le società vanno incontro alle esigenze della gente. Un antico detto latino recita “Inter arma silent Musae”: in altre parole, quando la società si trova sottoposta a qualunque tipo di tensione o è in una situazione estrema, la creatività ne soffre. Avere figli, secondo me, implica un’esigenza e un desiderio profondi. Educare i figli e occuparsi di loro è anche, a modo suo, un’attività che richiede livelli elevatissimi di creatività, ed è chiaro che i cittadini europei, se vogliono scegliere di avere bambini, hanno bisogno di maggiore sicurezza in un mondo che sta subendo enormi cambiamenti.
Il dibattito ha anche toccato questioni relative all’uguaglianza di genere, a mio avviso giustificatamente. Permettetemi di citare un unico dato tratto da uno studio spagnolo: “In Spagna gli uomini dedicano 52 milioni di ore all’anno all’assistenza di persone non autosufficienti, ovvero dei bambini e dei familiari anziani. Le donne dedicano 200 milioni di ore all’anno a questo tipo di assistenza”. Pertanto quest’onere, che è molto comune, non è distribuito equamente, perché ricade sulle donne in misura quattro volte maggiore. Penso che dobbiamo considerare attentamente anche queste tematiche. Onorevoli deputati, vorrei ringraziarvi per il dibattito e per la relazione assai concisa, che dimostra come le nostre tesi tendano a convergere in misura rilevante nel contesto del pensiero sociale e politico relativo all’Europa. A mio avviso, questo fa sperare in una posizione coordinata capace di superare i mutamenti, spesso problematici, susseguenti alle elezioni, perché cinque anni costituiscono un periodo assai breve per molte tematiche.
Presidente. La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani alle 11.00.
Dichiarazioni scritte (Articolo 142 del Regolamento)
Zita Gurmai (PSE). – (EN) Le sfide demografiche e la solidarietà intergenerazionale rappresentano una questione complessa che ha un vasto impatto sulle nostre società europee. Queste sono due sfide di ampia portata che gli Stati membri hanno il dovere di affrontare con un approccio a lungo termine e orientato al futuro.
La soluzione dev’essere una strategia di vasto respiro, globale, coerente ed equa che incentivi la comprensione e la solidarietà duratura fra il crescente numero di generazioni che vivono fianco a fianco.
Le soluzioni politiche per le sfide demografiche come l’invecchiamento, il genere, il mercato del lavoro, le pensioni e l’immigrazione devono dare origine a una visione nuova e coerente di una società europea.
Benché ci siano differenze considerevoli nelle condizioni finanziarie locali degli Stati membri, le sfide e gli obiettivi sono analoghi – ovvero affrontare la sfida sempre più impegnativa posta dall’invecchiamento della società europea, tenendo conto degli obiettivi di Lisbona che consistono nel rendere l’Europa l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, con una maggiore coesione sociale, una capacità di crescita economica sostenibile e posti di lavoro migliori e più numerosi.
Per fronteggiare le sfide demografiche occorre una soluzione a lungo termine che vada anche oltre le scadenze di Lisbona. Per conseguire questi obiettivi occorrono strategie complesse a livello politico e socioeconomico.
Nils Lundgren (IND/DEM). – (SV) Gli Stati membri affrontano sfide demografiche importanti. Tuttavia i problemi e le condizioni di base differiscono da uno Stato membro all’altro. Urgono, sia per questo motivo che per ragioni democratiche, soluzioni peculiari per le singole nazioni. Per il Parlamento europeo non ha senso proporre raccomandazioni politiche dettagliate, aspettandosi che soddisfino tutti gli Stati membri.
La presente relazione contiene un lungo elenco di esortazioni in merito al tipo di misure che gli Stati membri devono adottare in settori importanti come le assicurazioni sociali, le tasse, gli orari di lavoro e l’immigrazione. Le vie da seguire per i singoli Stati membri nell’ambito di importanti specifici settori della politica devono essere determinate da processi democratici nazionali e non imposte dall’alto.
Il progresso politico e sociale ha luogo grazie a paesi che sperimentano e tentano soluzioni diverse che si possano mettere a confronto. I paesi apprendono quindi l’uno dall’altro. E’ tramite questi processi che la cultura europea si è sviluppata e, in pratica, ha conquistato il mondo. Le soluzioni e i modi di pensare dell’Europa hanno avuto successo proprio perché sono sorti dalla concorrenza istituzionale tra paesi diversi anziché venire determinati da un potere centrale.
La relazione oggetto del nostro dibattito costituisce un ulteriore esempio del modo in cui, lentamente ma inesorabilmente, il Parlamento europeo cerca di esercitare un influsso sempre maggiore sulle questioni di politica nazionale. Deploro questo processo e disapprovo il fatto che l’opposizione a questo processo antidemocratico sia quasi inesistente nel Parlamento europeo.
David Martin (PSE). – (EN) E’ chiaro che, se l’Europa vuole far fronte alle proprie sfide demografiche, in futuro dovrà occuparsi con maggiore efficacia di quanto non faccia oggi della questione dell’equilibrio tra lavoro e vita familiare. Se vogliamo attrarre i genitori di figli piccoli, gli anziani o altri gruppi che trovano impossibile svolgere un lavoro standard a tempo pieno, dobbiamo rendere più flessibile l’orario di lavoro e disporre di norme migliori e più accessibili in materia di assistenza all’infanzia, politiche fiscali che favoriscano maggiormente le famiglie, nonché una maggiore parità sul posto di lavoro. Tuttavia è chiaro che, se attiriamo nella forza lavoro un numero di persone superiore a quello degli attuali residenti europei, dovremo ancora far fronte alla carenza di manodopera qualificata. Perciò dobbiamo anche disporre di una politica equilibrata in materia d’immigrazione.