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Procedura : 2005/2147(INI)
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Testi presentati :

A6-0041/2006

Discussioni :

PV 23/03/2006 - 5
CRE 23/03/2006 - 5

Votazioni :

PV 23/03/2006 - 11.14
CRE 23/03/2006 - 11.14
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2006)0115

Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 23 marzo 2006 - Bruxelles Edizione GU

12. Dichiarazioni di voto
Processo verbale
  

– Relazione Brok (A6-0059/2006)

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE), per iscritto. (FI) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Brok è prettamente tecnica, ma è comunque molto importante. Ho votato a favore della relazione e credo che approvando questo accordo il Parlamento europeo dimostri il desiderio di rafforzare le relazioni con lo Stato indipendente di Israele, l’unico paese democratico in Medio Oriente.

E’ di capitale importanza che il Parlamento europeo sostenga i paesi in cui vigono i valori europei come la democrazia, i diritti umani e i principi dello Stato di diritto. Di conseguenza Israele ha bisogno del nostro unanime sostegno.

Mi auguro che l’esito della votazione invierà il segnale che il Parlamento europeo rispetta i valori europei fondamentali e che non possiamo permettere cooperazione né negoziati con l’organizzazione terroristica di Hamas, che ha preso il potere nei territori autonomi palestinesi. Prima di poter anche solo parlare di negoziati, Hamas deve senza ambiguità 1) riconoscere il diritto di Israele a essere uno Stato ebraico, 2) porre fine a tutti gli atti terroristici, 3) deporre le armi, 4) rifiutare di sostenere altri gruppi violenti e 5) rispettare gli accordi internazionali vigenti tra Israele e l’Autorità palestinese (Accordi di Oslo, roadmap, e via dicendo).

Mi auguro che l’Unione europea si atterrà ai suoi valori fondamentali. E’ fondamentale sostenere uno Stato di Israele indipendente e democratico e il suo diritto a esistere.

 
  
  

– Relazione Thyssen (A6-0032/2006)

 
  
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  Andreas Schwab (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, l’Aula sta iniziando a svuotarsi, quindi sarò breve. Poiché la settimana scorsa non sono riuscito a prendere la parola a Strasburgo durante le votazioni, vorrei ribadire l’importanza di separare il programma per la protezione dei consumatori da quello per la salute, in quanto, anche se la Commissione non ha espresso in merito un parere particolarmente positivo, in definitiva i due programmi hanno basi giuridiche diverse e quindi la protezione dei consumatori deve essere affrontata in modo diverso.

In secondo luogo, vorrei utilizzare questa dichiarazione di voto per far presente che in linea di massima non è un modo efficace di procedere quello di cercare di creare altre agenzie UE e quindi di ripartire più ampiamente le competenze delle varie autorità diminuendo così la trasparenza. Per tale motivo accolgo con favore la relazione Thyssen elaborata dalla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, che tiene pienamente conto di questa preoccupazione. Reputo positiva la soluzione di approvare oggi la relazione e l’emendamento orale sul finanziamento.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Abbiamo votato a favore di questa relazione poiché dà autonomia al programma per la protezione dei consumatori, in contrasto con il tentativo della commissione di creare un programma unico comprendente anche la salute.

Oltre a questo cambiamento decisivo, che sosteniamo, la relazione introduce significativi miglioramenti in relazione alle aree di intervento, agli importi complessivi di risorse considerate e all’aumento della spesa per il funzionamento delle organizzazioni europee dei consumatori che rappresentano gli interessi dei consumatori.

Anche se in alcuni settori avremmo voluto andare oltre, adesso ci auguriamo che Commissione e Consiglio tengano conto della posizione del Parlamento.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Reputo positivo il programma d’azione comunitario inteso a creare un programma comune per la salute e la tutela dei consumatori. Il programma d’azione si prefigge l’obiettivo di pronunciare un parere sulla protezione dei consumatori da sottoporre alla commissione competente, vale a dire la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori.

Tale obiettivo verrà conseguito mediante l’armonizzazione della protezione dei consumatori nel mercato unico, permettendo ai cittadini di spostarsi liberamente in seno all’UE e di acquistare merci con fiducia proprio come nei loro paesi di origine.

Migliorando la conoscenza dei consumatori e dei mercati, questo programma d’azione protegge i cittadini da rischi e minacce che sfuggono al controllo individuale. Sono inoltre particolarmente favorevole a questo programma d’azione in quanto metterà le questioni inerenti alla salute e ai consumatori al centro delle politiche comunitarie.

 
  
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  Bernadette Vergnaud (PSE), per iscritto. – (FR) Vorrei congratularmi con l’onorevole Thyssen per l’eccellente lavoro svolto. La ringrazio anche per aver voluto recepire gli emendamenti da me presentati sulle relazioni tra consumatori e imprese artigianali.

Ogni giorno gli artigiani svolgono un ruolo essenziale fornendo informazioni e consigli ai consumatori con cui sono a diretto contatto.

Sono altresì soddisfatta per il fatto che i due programmi, salute e protezione dei consumatori, siano rimasti separati. Queste politiche sono entrambe parimenti importanti per i cittadini e ciascun programma non potrà che risultarne rafforzato.

Sono però ancora estremamente preoccupata per le proposte del Consiglio relative al bilancio comunitario per il periodo 2007-2013, che nel giro di pochi anni potrebbero sfociare in una drastica riduzione dell’attuale politica di protezione dei consumatori a livello europeo. E’ impensabile che questo bilancio venga ridotto a 5 milioni di euro all’anno nel 2009, pari a una quota annua di un centesimo di euro per ciascun consumatore europeo. Questo importo è del tutto insufficiente a finanziare una politica dei consumatori degna di questo nome, che peraltro è fondamentale nella vita quotidiana dei cittadini.

Nonostante questo, voto a favore della relazione.

 
  
  

– Sicurezza degli approvvigionamenti energetici nell’Unione europea (RC-B6-0189/2006)

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, mi riferisco anche alla relazione Parish quando affermo che l’Europa in futuro deve garantirsi tre cose: primo, un ambiente salubre, soprattutto in termini di aria, acqua e territorio, secondo, alimenti sani e in quantità sufficienti e, terzo, l’energia.

Le aree rurali sono in grado di offrirci tutte e tre le cose in misura sufficiente e a prescindere da fonti esterne che possono solo creare dipendenza. In proposito è stato deplorevole quando alcuni mesi fa Tony Blair ha insultato gli agricoltori, soprattutto quelli europei, definendoli arretrati. Ogni centesimo che investiamo nell’agricoltura e nelle regioni rurali è un investimento per il futuro dell’Europa. Questi sono i tre settori vitali che hanno grandi potenzialità innovative e prospettive per il futuro.

Le nostre aree rurali e le strutture rurali decentrate rappresentano in crescente misura l’elemento strategico per garantire il futuro dell’Europa, sviluppo, questo, che è rivoluzionario e che non è ancora tenuto in debita considerazione.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, vorrei proporre un calcolo che giustifica il mio voto a favore dell’energia nucleare. Se le emissioni di anidride carbonica dell’UE verranno ridotte approssimativamente di 100 milioni di tonnellate nella prima fase di scambio delle quote di emissione, il prezzo di mercato delle emissioni consentite sarà di 2,5 miliardi all’anno in base ai prezzi attuali. Secondo una stima prudente, il prezzo dell’elettricità nel mercato europeo all’ingrosso dell’elettricità potrebbe aumentare in media di 10 euro per megawatt all’ora a seguito dello scambio di quote di emissioni.

Poiché il consumo annuo di elettricità nell’UE si attesta approssimativamente sui 3 000 terawatt all’ora, il costo dello scambio delle quote di emissione nel mercato dell’elettricità all’ingrosso si aggirerà sui 30 miliardi di euro all’anno. Tassare l’elettricità sarebbe un’opzione che contrasta il principio del mercato. Non sto ventilando questa opzione, ma sto proponendo un esperimento ben ponderato. Se lo scambio di quote di emissione fosse sostituito con una tassa sull’elettricità e gli utili venissero utilizzati per investimenti effettivi finalizzati alla riduzione delle emissioni, questi circa 30 miliardi all’anno potrebbero essere utilizzati per investimenti di sostegno intesi a incrementare in modo sostanziale la capacità, il che eliminerebbe la necessità di combustibili fossili.

L’energia nucleare è un esempio di forma di energia che non produce emissioni, che non riceve sostegni dal mercato dell’elettricità e che in realtà non ne ha neppure bisogno, a differenza di molte altre forme di energia. Se tuttavia si pensa che un investimento di 3 miliardi permetterebbe una riduzione pari a circa 10 milioni di tonnellate di anidride carbonica grazie all’uso dell’energia nucleare, di fatto i 30 miliardi determineranno quella riduzione annuale delle emissioni grazie alla costruzione di centrali nucleari, con la differenza che si potrebbe continuare a vendere l’elettricità prodotta.

(Applausi)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione comune presentata da quattro gruppi politici sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico nell’Unione europea. La questione energetica diventerà decisiva nell’epoca postpetrolifera per garantire uno sviluppo economico rispettoso dell’ambiente e il progresso sociale. E’ positivo che l’energia nucleare non sia più un argomento tabù e mi rallegro per l’importanza accordata alle fonti energetiche sostenibili, nonché all’urgente necessità di accelerare i programmi di ricerca e sviluppo nel settore. Mi dispiace che non sia stata accolta l’idea di introdurre uno strumento comunitario mirato al controllo dei prezzi del petrolio. La presente proposta di risoluzione non si prefigge l’obiettivo di contrastare l’aumento dei prezzi petroliferi, tendenza che è inevitabile, ma di renderne meno drastici gli effetti, con una ripartizione su base annuale. Infine è di capitale importanza che il Consiglio europeo elabori una politica chiara in questo settore, che però, va detto, non rientra nella sfera delle competenze europee. In tal modo si eviterà di alimentare le false speranze nei cittadini, i quali, se non saranno soddisfatti, diventeranno ancora più contrari all’ideale europeo.

 
  
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  Giles Chichester (PPE-DE), per iscritto. (EN) Il gruppo del PPE-DE ha deciso di astenersi sui paragrafi 10, 22, 27 e 29 non perché sia contrario al contenuto, ma perché questi paragrafi sono stati chiaramente attribuiti al gruppo Verts/ALE.

Questo gruppo abusa regolarmente della procedura negoziale delle proposte comuni. Fino all’ultimo momento ottiene abilmente l’inserimento di vari paragrafi derivanti dalla sua risoluzione e la cancellazione di parti di testo non gradite, poi però alla fine rifiuta di firmare la risoluzione comune per motivi fittizi, come la presenza nel testo di una parola ritenuta inaccettabile dai Verdi.

Il compromesso prevede che entrambe le parti facciano e ottengano concessioni e alla fine accettino un testo anche se non riflette esattamente le richieste iniziali.

Il gruppo del PPE-DE ritiene che il gruppo Verts/ALE debba stare al gioco se vuole svolgere il proprio ruolo in modo equo e democratico.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Come afferma la relazione, la dipendenza dell’UE a 25 dalle importazioni di energia è estremamente elevata – con una quota del 48 per cento nel 2002 – e potrebbe raggiungere il 71 per cento entro il 2030, se non verranno adottate misure supplementari.

Alcuni dati delineano un quadro estremamente chiaro:

– nell’UE le importazioni soddisfano il 76,6 per cento della domanda di petrolio, il 53 per cento della domanda di gas, il 35,4 per cento della domanda di carbone e quasi il 100 per cento della domanda di uranio e di prodotti dell’uranio;

– nella produzione lorda di energia dell’UE a 25 intervengono per il 31 per cento il nucleare, per il 25 per cento i combustibili solidi (prevalentemente carbone), per il 18 per cento il gas, per il 14 per cento le fonti di energia rinnovabile e per il 5 per cento il petrolio;

– l’uso finale di energia nell’UE a 25 è stato del 28 per cento nel settore industriale, del 31 per cento nel settore dei trasporti e del 41 per cento nel settore dell’edilizia.

Emerge pertanto con chiarezza la necessità di adottare misure per rafforzare la cooperazione, la ricerca e le politiche pubbliche e di effettuare investimenti adeguati al fine di ridurre la dipendenza degli Stati membri e di accrescere l’efficienza energetica. La risoluzione contiene numerose proposte su cui nutriamo riserve, come l’importanza attribuita alla liberalizzazione del settore, alla concorrenza e al mercato interno dell’energia. Tale via non farà che rafforzare i gruppi economici e finanziari e non produrrà alcun miglioramento per i paesi economicamente più deboli né per i loro abitanti.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Siamo in parte d’accordo con le affermazioni della presente risoluzione, sulla preoccupazione per la dipendenza energetica dei nostri paesi e per le eventuali conseguenze sociali ed economiche, sulla necessità di promuovere fonti di energia rinnovabile locali più rispettose dell’ambiente e di investire nell’efficienza energetica o nella ricerca di nuovi modi per risparmiare energia. Tuttavia, la relazione non presta sufficiente attenzione al preannunciato esaurimento delle riserve mondiali di idrocarburi.

Non siamo invece d’accordo sul ruolo che la Commissione si è autoassegnata nel settore energetico. Tale ruolo non è previsto dai Trattati e in proposito persino la Costituzione europea si limitava alla constatazione della situazione esistente, ma il Parlamento intende andare oltre.

La liberalizzazione del mercato del gas e dell’elettricità determinerà solo un aumento dei prezzi dell’energia per i consumatori, interruzioni nella fornitura e una generale tendenza alla fusione di imprese. Persino il mio paese, la cui produzione di elettricità deriva quasi al 90 per cento dal nucleare o da fonti di energia rinnovabile e che tradizionalmente ha sempre avuto una produzione eccedentaria, oggi deve affrontare questi problemi, grazie a Bruxelles!

La mera logica di mercato non è compatibile con il conseguimento di obiettivi strategici nazionali né con la salvaguardia degli interessi vitali di un paese. Gli Stati membri devono rimanere gli unici padroni della propria politica energetica.

 
  
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  Claude Moraes (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della risoluzione perché, in quanto europarlamentare londinese, ritengo che dalle indagini sul settore energetico rese note di recente emerga che alcune imprese europee si sono rese colpevoli di aver fissato i prezzi. Esigo una risposta decisa al riguardo dalla Commissione europea. Sono inoltre preoccupato per il fatto che questa risoluzione non affronta i problemi cruciali legati alla penuria di combustibile nella mia circoscrizione elettorale.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) Il Libro verde della Commissione su una politica energetica sostenibile, competitiva e sicura per l’Europa traccia un’accurata analisi dei problemi in materia di approvvigionamento energetico recentemente emersi.

Quella che si potrebbe definire “questione energetica” è la prevista conseguenza del progresso economico associato alla limitata capacità di produzione e trasformazione delle fonti energetiche tradizionali. L’aspetto più grave è che gli elementi dell’equazione sono molto difficili da cambiare. La crescita economica di giganti come Brasile, Russia, India e Cina è un dato di fatto prevedibile e, per fortuna, incontrovertibile. Inoltre, se anche ci fosse un aumento delle capacità di produzione e di trasformazione, ammesso che si riescano a migliorare le capacità delle raffinerie in tempo utile, occorre tener presente che il carattere finito di queste risorse è altrettanto irreversibile. Vorrei altresì precisare che nutro forti dubbi sull’immediata efficacia della riduzione dei consumi, a meno che tale processo si possa estendere alla produzione di merci e attrezzature, ai trasporti e all’edilizia.

Reputo inoltre che questo dibattito possa essere realistico solo se comprenderà l’energia nucleare e quella rinnovabile.

In conclusione, sostengo il Libro verde e la risoluzione soprattutto perché introduce nel dibattito la questione della sicurezza.

 
  
  

– Criteri per l’imposizione della pace nella Repubblica democratica del Congo (B6-0190/2006)

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, chiunque abbia sorvolato l’Africa alla luce del giorno sa che la Repubblica democratica del Congo rappresenta il cuore geostrategico di questo continente. Pertanto dobbiamo fare tutto il possibile per garantire la democrazia e la stabilità nel paese.

Tuttavia, l’odierna discussione critica dovrebbe essere considerata come un ultimo avvertimento circa l’esigenza di creare finalmente le strutture necessarie, anche per permettere all’Europa di tutelare i propri interessi in un continente vicino e di così grande rilevanza strategica. Giustamente interveniamo nella politica di altri continenti assumendo la responsabilità per il mantenimento della pace e della libertà, ma non riusciamo a fornire gli strumenti necessari. E’ giunto il momento di istituire un esercito europeo, un esercito professionale oltre a quello di leva e agli altri. Gli eserciti nazionali devono continuare ad occuparsi della sicurezza interna, ma per quanto riguarda gli interventi in altri continenti sostanzialmente ci mancano gli strumenti per farlo. Rischiamo di assumere un impegno troppo gravoso e per questo dico sì a questo dispiegamento di truppe. Dobbiamo tuttavia considerare questa occasione come un serio incentivo a garantire che la nostra politica estera e di sicurezza comune sia finalmente dotata degli strumenti necessari per il mantenimento della pace.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) L’attuale situazione nella Repubblica democratica del Congo è molto preoccupante. Il paese ha vissuto per lungo tempo in uno stato di grande instabilità che ha portato carestia e violenze contro i civili e dato origine ad una situazione molto difficile in tutta la regione dei Grandi laghi. Un segnale di speranza è tuttavia rappresentato dalle ormai prossime elezioni.

Noi della Lista di giugno siamo fortemente contrari a che la missione nella Repubblica democratica del Congo continui ad essere utilizzata per consolidare la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea.

La situazione nella Repubblica democratica del Congo deve essere risolta, ma non attraverso il dispiegamento di un esercito comune europeo. Spetta ai singoli Stati, su richiesta delle Nazioni Unite, decidere se inviare o meno le proprie truppe.

Pertanto abbiamo votato contro la risoluzione.

 
  
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  Pedro Guerriero (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’Africa è un frutto molto appetitoso. Le grandi potenze capitaliste tentano di estendere il proprio dominio e di sfruttare le immense risorse di questo continente; prova ne è la presenza sempre più massiccia e l’aumento delle operazioni e basi militari di paesi come Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna o Germania.

L’intervento militare nella Repubblica democratica del Congo è intriso di questa logica e apre la strada ad altre operazioni militari in futuro. Non dimentichiamo che questo è il secondo intervento nel paese sotto l’egida dell’Unione europea, dopo quello del 2003 denominato “Artemis”, con truppe francesi.

Invece di contribuire alla fine dello sfruttamento illegale delle risorse naturali, ivi incluso quello perpetrato da imprese europee, e dell’ingerenza esterna nel paese, invece di rispondere alle richieste di aiuti umanitari delle Nazioni Unite e di incentivare e sostenere finanziariamente il processo di disarmo e lo sviluppo economico e sociale garantendo che lo sfruttamento delle risorse naturali sia interamente appannaggio della popolazione locale, le grandi potenze europee come Francia e Germania, supportate dal governo portoghese, hanno inviato altre truppe in un paese in cui già stazionano oltre 15 000 militari per la Missione di osservazione delle Nazioni Unite in Congo (MONUC). Da ciò deriva il nostro voto contrario.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La decisione dell’Unione europea di inviare forze militari dell’esercito comunitario nella Repubblica democratica del Congo rientra nella lotta tra le potenze imperialiste per il controllo dei mercati e delle risorse produttive del Congo e dell’Africa in generale, che ha pagato questa politica con milioni di vite.

L’UE sta utilizzando il mantenimento della pace e il controllo sul processo elettorale come pretesto per nascondere i suoi reali obiettivi e creare un precedente in caso di futuri interventi.

Inoltre, questa missione rappresenta la prima applicazione di quella riforma reazionaria delle Nazioni Unite che mira ad integrare nel circuito di questa organizzazione anche entità a carattere regionale (NATO, esercito europeo) al fine di “legalizzare” interventi di tipo imperialistico.

Non a caso la risoluzione fa riferimento ad una ricostruzione della Repubblica democratica del Congo secondo gli standard previsti per l’Iraq dalla dichiarazione dell’ONU pronunciata in occasione del 60esimo anniversario.

La seconda missione dell’esercito europeo dopo la Bosnia dimostra inoltre il proprio carattere aggressivo e interventista.

I popoli del Congo e dell’Africa non hanno bisogno di “tutori internazionali”, che sono comunque responsabili delle guerre e della situazione disperata in cui essi si trovano.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I conservatori britannici sono contrari al coinvolgimento dell’UE in attività militari, che costituiscono un aspetto dell’integrazione politica dell’Unione stessa, non migliorano le nostre capacità militari e mettono a repentaglio le alleanze militari già esistenti. In Congo sta per consumarsi una tragedia, ma il dispiegamento di truppe proposto non servirà ad evitarla. L’Unione europea non è nata per affrontare situazioni del genere dal punto di vista militare né ha gli strumenti adatti per farlo. Ed è giusto che sia così. L’Unione europea non è nemmeno stata in grado di adempiere agli obblighi, peraltro non troppo gravosi, che le sono stati affidati per il mantenimento della sicurezza in Sudan, dove ha insistito per intervenire malgrado lo avesse già fatto anche la NATO. Ci sono state due missioni civili in Congo e non è chiaro quale dovrebbe essere a questo punto il mandato di un’eventuale missione militare dell’UE. Il governo congolese non ne ha fatto richiesta. L’operazione è pertanto meramente esteriore ed è finalizzata a pubblicizzare l’immagine dell’UE, più che a risolvere i problemi del Congo. L’UE dovrebbe soddisfare le richieste delle Nazioni Unite utilizzando gli strumenti politici, umanitari, di osservazione elettorale e assistenza allo sviluppo a sua disposizione. A seconda del contesto, questioni come quella in oggetto sono di competenza delle singole nazioni, della NATO o dell’ONU. I conservatori britannici sono sostengono le Nazioni Unite nello svolgimento delle loro difficili missioni, ma non le avventure militari dell’UE. Pertanto noi abbiamo votato contro la risoluzione.

 
  
  

– Relazione Leinen (A6-0042/2006)

 
  
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  Carlo Fatuzzo (PPE-DE). – Signor Presidente, signori colleghi, sono ben felice di spiegare per quale motivo ho votato a favore della relazione di Jo Leinen sulla regolamentazione dei partiti politici europei e sul loro finanziamento. Quando grido in Italia “all’attacco pensionati!” mi seguono tutti i pensionati, anche i giovani insieme ai pensionati, perché credono nel Partito pensionati del quale sono leader.

Sono sicuro che se gridassi nelle 25 lingue dell’Unione europea “all’attacco pensionati!” mi seguirebbero anche i pensionati degli altri 24 Stati dell’Unione europea, perché il Partito politico europeo va al cuore della gente. Sono sicuro e sono certo che creeremo l’Europa quando avremo creato i partiti europei così come il Partito pensionato sta creando il Partito pensionati europeo. All’attacco pensionati!

 
  
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  Frank Vanhecke (NI). – (NL) Signor Presidente, l’idea di base della relazione dell’onorevole Leinen è la necessità di avere dei partiti politici europei maturi in quanto costituirebbero un reale beneficio per la democrazia in Europa.

Ritengo che non sarebbe un’esagerazione affermare che in realtà è vero esattamente il contrario. La progressiva e smisurata complicazione del processo decisionale in un’Europa che, si badi bene, dovrebbe essere costituita da Stati membri molto diversi e pienamente sovrani è il modo più sicuro per ridurre il livello di democrazia e rendere il processo decisionale ancora meno trasparente mediante l’introduzione di una burocrazia virtualmente impossibile da monitorare, come del resto dimostrano numerosi esempi attualmente sotto i nostro occhi. Basti pensare alla reazione totalitaria del Parlamento nei confronti del rifiuto della Costituzione europea espresso da Francia e Paesi Bassi mediante referendum democratici.

Il vero scopo dei partiti politici europei è quindi quello di spillare molti più soldi ai contribuenti da destinare ai partiti politici, ma, s’intende, solo a quelli politicamente corretti. Pertanto, quando l’Europa parla di democrazia faremmo meglio ad essere cauti.

 
  
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  Richard Corbett (PSE). (EN) Signor Presidente, desidero esprimere il mio disaccordo con il precedente oratore affermando che anche a livello europeo è necessario avere partiti tra i quali i cittadini possano scegliere; al tempo stesso, tuttavia, vorrei sottolineare che non sono d’accordo nemmeno con una delle proposte contenute nella relazione dell’onorevole Leinen, vale a dire quella relativa alle liste europee per le elezioni al Parlamento europeo. Una simile proposta comporterebbe, tanto per cominciare, una modifica dei Trattati, proprio ora che siamo ancora in una fase di riflessione sulle modifiche da apportare al Trattato.

Ritengo inoltre che le liste europee siano superflue. C’è il rischio che i deputati eletti su queste liste non siano vicini ai cittadini quanto lo sono quelli eletti nelle singole regioni, come la maggior parte di noi. Un modo efficace per ampliare le possibilità di scelta da parte dei cittadini nell’ambito delle elezioni europee è quello suggerito pochi minuti fa dal nostro relatore, vale a dire la nomina da parte di ciascun partito politico europeo del proprio candidato alla Presidenza della Commissione. In questo modo si creerebbe quella connessione tra il voto per il Parlamento e la successiva composizione dell’Esecutivo cui gli elettori sono abituati con le elezioni politiche nei singoli paesi europei.

 
  
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  Jan Andersson, Anna Hedh, Ewa Hedkvist Petersen, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) E’ importante che abbiamo partiti politici a livello europeo. Essi svolgono un ruolo importante per la diffusione dell’informazione e delle conoscenze sulla politica europea, oltre che per la promozione dei valori democratici e la creazione di una consapevolezza europea. Riteniamo tuttavia che non spetti all’UE decidere in merito ai membri, alle liste e alle nomine, ma ai singoli partiti che dovranno dotarsi di regole proprie su questioni come quelle citate.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il nostro voto contrario è coerente con la posizione da noi assunta nei confronti dei partiti politici europei. La frattura tra i cittadini e le Istituzioni europee non potrà certo essere eliminata creando nuovi partiti o aumentando i finanziamenti a quelli già esistenti. Ciascun partito nazionale deve mantenere la facoltà di organizzarsi autonomamente, anche per quanto riguarda le sue relazioni con l’Unione e il Parlamento europeo.

Ciò che occorre per incentivare i cittadini a partecipare più attivamente alla politica, anche a livello comunitario, è un profondo cambiamento delle politiche neoliberali, la fine del Patto di stabilità, il ritiro della cosiddetta direttiva Bolkestein e la sostituzione della strategia di Lisbona con una nuova strategia basata sulla solidarietà, lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale. Ciò che occorre è un maggior numero di posti di lavoro qualificati e con diritti, migliori servizi pubblici, più investimenti atti a creare occupazione e una maggiore inclusione sociale unita ad una più equa distribuzione della ricchezza.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) I partiti politici europei sono organizzazioni a scopo puramente di lucro. Il punto centrale della relazione è la richiesta di maggiori finanziamenti e di una maggiore libertà di utilizzo di tali risorse, di uno status più favorevole e di un regime di esenzione fiscale. Ma a che scopo? Al momento solo per il gusto di esistere e di incontrarsi.

L’obiettivo è infatti quello di affidare ai citati partiti il compito di diffondere la buona novella europeista. D’altronde la loro creazione dipende dalla concessione, da parte di questa Istituzione, di un intollerabile certificato di “buon pensiero” europeo sulla base dei programmi che sono obbligati a depositare presso le relative autorità. Sappiamo anche che voi vorreste che almeno alcuni seggi di questo Parlamento fossero riservati ai deputati eletti dalle liste costituitesi a livello europeo, le quali non potranno che essere presentate da partiti europei. Il massimo per voi sarebbe che questi ultimi potessero partecipare in quanto tali agli scrutini nazionali e locali, consentendo così un’inaccettabile ingerenza a tutti i livelli decisionali all’interno degli Stati membri.

La democrazia consiste nel permettere ai popoli di governare sé stessi o di eleggere dei rappresentanti che tutelino i loro interessi presso gli organi decisionali, i parlamenti o i governi. Imporre entità artificiali rappresentative solo di se stesse e asservite all’ideologia di Bruxelles è tutto fuorché democrazia.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Siamo contrari al sistema di finanziamento ai partiti europei attualmente allo studio. I partiti devono essere creati interamente da quelli esistenti negli Stati membri. Se questi ultimi non trovano giustificazione per l’aumento degli stanziamenti destinati ai loro omologhi europei, bisognerebbe interrogarsi sull’effettiva necessità dei partiti politici europei. Siamo contrari all’istituzione di partiti a livello comunitario il cui finanziamento sia in gran parte a carico dei contribuenti.

Pertanto voteremo contro la relazione.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Oggi circa l’85 per cento dei deputati a questo Parlamento hanno approvato un aumento dei finanziamenti a favore dei rispettivi partiti e norme meno severe per l’utilizzo di tali fondi. Inoltre, l’attuale bilancio di 8,4 milioni di euro spesi lo scorso anno per finanziare i partiti sarà incrementato e quelli tra loro che non utilizzeranno l’intera somma nell’arco di un anno avranno la facoltà di accantonare gli importi residui.

Molto spesso i politici sviluppano una logica tutta loro piuttosto distante da quella dei rispettivi elettori. Ciò si è verificato con la fallita proposta di una Costituzione per l’Europa e si verifica ancor più chiaramente nel caso dei finanziamenti citati. Inizialmente i finanziamenti approvati dal Parlamento sono stati illegalmente utilizzati per la cooperazione a livello europeo tra partiti politici. Il 18 giugno 2003 votai contro la legalizzazione di un simile abuso e oggi voterò contro questa ulteriore espansione. Se i partiti nazionali vogliono unirsi in partiti europei possono farlo, ma non vedo il motivo per cui non dovrebbero finanziarsi autonomamente. L’attuale richiesta di maggiori finanziamenti e di regole più flessibili per la gestione degli stessi dà l’impressione che ai politici stiano più a cuore gli interessi dei rispettivi gruppi che quelli degli elettori.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il partito comunista greco si oppone alla decisione dell’Unione europea di creare partiti politici europei da sottoporre al proprio controllo e utilizzare per difendere o promuovere una strada a senso unico in Europa.

La relazione promuove l’attribuzione a tali partiti di un ruolo più importante e una maggiore flessibilità del sistema di finanziamento, in modo che possano essere utilizzati nell’ambito di quel meccanismo di lavaggio del cervello che è stato studiato per minare le fondamenta dell’opposizione in vista della Costituzione europea e della relativa politica.

Nell’ambito della cosiddetta “politica di comunicazione europea”, in altre parole dell’attacco ideologico da parte del capitale, e approfittando del “periodo di riflessione”, l’Unione europea sfrutta iniziative, autorità regionali, organizzazioni non governative, mass media, giornalisti e partiti politici a favore di una strada a senso unico per l’Europa, a scopo di propaganda e per far rinascere la Costituzione europea e risollevare l’immagine negativa dell’UE agli occhi dei lavoratori europei.

Particolare importanza è attribuita ai giovani grazie al rafforzamento dei partiti politici al fine di creare organizzazioni giovanili europee.

Al tempo stesso la relazione fa salvi il controllo assoluto e la mancanza di indipendenza dei citati partiti, al punto da definirne regole e procedure interne.

Voteremo contro la relazione e rifiuteremo qualsiasi dichiarazione di fedeltà all’alleanza imperialista del capitale, l’UE, e invitiamo all’opposizione, all’insubordinazione e alla disobbedienza.

 
  
  

– Relazione Bushill-Matthews (A6-0041/2006)

 
  
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  Carlo Fatuzzo (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di prendere l’aeroplano ieri per venire a Bruxelles oggi, come sempre ho gridato “all’attacco pensionati!”. Mi sono voltato e ho visto che mi seguivano anziani e giovani perché nel Partito pensionati si lavora tutti insieme, sia gli anziani sia i giovani.

Nella relazione dell’onorevole Philip Bushill-Matthews, che ringrazio per il consueto impegno, si parla giustamente di solidarietà fra le generazioni. Signor Presidente, mi hanno chiesto tutti, giovani e pensionati e me lo chiedo anch’io: sono forse gli anziani che debbono dare ai giovani o non sono invece i giovani che debbono dare agli anziani? Sicuramente sono gli anziani che, dopo avere dato tutta la loro vita alla società e a tutti, anche da anziani dovrebbero dare la loro pensione ai giovani. Credo che questo vorrebbero i governi dei 25 Stati dell’Unione europea, ma siamo proprio sicuri che sia il meglio? Non è forse meglio dare finalmente agli anziani il riconoscimento che spetta loro da parte dei giovani? Evviva i pensionati!

 
  
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  Frank Vanhecke (NI). – (NL) Signor Presidente, mi sono astenuto dal voto sulla relazione Bushill-Matthews oggi in discussione in quanto sono contrario ad alcune delle raccomandazioni in essa contenute.

Penso in particolare al considerando 70 sulla politica dell’immigrazione, anche se devo ammettere, per inciso, che persino questo considerando contiene una frase decisamente significativa per questo Parlamento.

Devo ammettere che la relazione è in realtà relativamente imparziale e, se non altro, ha il merito di riportare all’ordine del giorno il problema demografico in Europa. Tuttavia, secondo me la relazione non dice che molti genitori ancora oggi rimangono volontariamente a casa scegliendo la famiglia, e che probabilmente molti di più opterebbero per questa soluzione se il governo la rendesse economicamente percorribile.

A questo proposito il mio gruppo da tempo si batte per l’istituzione di veri e propri salari per i genitori, con diritto alla sicurezza sociale e alla maturazione dei diritti pensionistici per il genitore che rimane a casa per badare ai figli minori. Sono convinto che una simile misura costituirebbe un grosso passo avanti per rispondere all’enorme sfida demografica che attualmente dobbiamo affrontare.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, i mass media al giorno d’oggi esaltano i single come misura di tutte le cose. Le famiglie con molti figli sono viste addirittura come antisociali. Eppure, quanto più alta è la percentuale di famiglie senza figli oggi, tanto più alta sarà quella dei giovani che non vorranno figli domani. Ritengo che i genitori di domani debbano crescere con i bambini per imparare ad apprezzarli. Per questo dobbiamo intraprendere azioni per recuperare il concetto di famiglia.

Se vogliamo evitare che le uniche famiglie di tipo tradizionale presenti nelle città siano quelle di immigrati, dobbiamo a mio parere estendere la promozione dell’idea di famiglia anche alla popolazione europea autoctona.

Un altro punto di partenza importante è, naturalmente, la conciliazione di famiglia e carriera. Non a caso i paesi che sono riusciti ad ottenerla presentano alti tassi di natalità.

 
  
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  Jan Andersson, Anna Hedh, Ewa Hedkvist Petersen, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) Abbiamo votato a favore della relazione sulle sfide demografiche e la solidarietà tra generazioni. Tuttavia, abbiamo votato contro l’affermazione secondo cui l’aumento della pressione fiscale per finanziare la sicurezza sociale sarebbe una soluzione meno sostenibile nel lungo termine. Riteniamo inoltre che l’aumento dell’età pensionabile debba riferirsi all’età pensionabile effettiva piuttosto che a quella legale. A causa della formulazione non sufficientemente chiara su questo punto non abbiamo potuto dare il nostro appoggio. Allo stesso modo non siamo d’accordo sull’appello rivolto dal Parlamento europeo agli Stati membri e alle società private affinché spezzino il rapporto direttamente proporzionale tra età e livello di retribuzione.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner e Gunnar Hökmark (PPE-DE), per iscritto. – (SV) I conservatori svedesi hanno scelto di astenersi dall’odierna votazione sulle sfide demografiche e la solidarietà tra generazioni.

Malgrado le molte proposte importanti avanzate dalla relazione non possiamo accordarle il nostro sostegno in quanto riguarda questioni di competenza dei singoli Stati Membri.

 
  
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  Gérard Deprez (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Bushill-Matthews sulle sfide demografiche e la solidarietà tra generazioni.

I fatti sono sotto gli occhi di tutti e sono inconfutabili: l’Europa invecchia. Nel mio paese l’equazione è semplice: viviamo in un sistema di ripartizione del pagamento delle pensioni legali in base al quale ogni generazione attiva paga le pensioni della generazione che l’ha preceduta e ciò significa, in sostanza, che un numero inferiore di lavoratori dovrà finanziare le pensioni e le spese sanitarie di un numero maggiore di pensionati che vivranno sempre più a lungo.

Se non facciamo qualcosa, le nuove generazioni dovranno sopportare costi molto maggiori a scapito del proprio standard di vita, oppure, nel caso in cui si rifiutassero di farlo, i pensionati di domani si troveranno progressivamente ridotti ad un livello di sussistenza e al razionamento delle spese sanitarie.

E’ evidente che nessuna di queste possibilità è accettabile, né sarebbe in ogni caso accettata. Dobbiamo trovare altre soluzioni con la massima urgenza. Questa sfida riguarda tutti gli Stati dell’Unione europea. Una democrazia ha il dovere di guardare avanti e di trovare una soluzione alle sfide che sa essere inevitabili. Lo dobbiamo alle future generazioni di europei.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo favorevolmente la relazione in quanto fornisce una risposta alle tendenze che sono alla base dei cambiamenti demografici.

Secondo la Commissione, per affrontare il cambiamento demografico in atto, l’Europa dovrebbe concentrarsi su tre obiettivi prioritari: ritrovare la strada della crescita demografica, garantire un equilibrio tra le generazioni e inventare di “nuove transizioni tra le età”.

In una società come la nostra è più importante che mai affrontare le sfide demografiche e sfruttare al meglio le conoscenze dei cittadini più anziani.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Dalla Cina all’Europa, passando per la Russia, per non parlare dell’Africa, sta emergendo un profondo problema demografico. Il mondo sta invecchiando, e il peggio è che in alcuni Stati europei, come la Germania o la Russia, la popolazione sta diminuendo o si appresta a farlo.

Le conseguenze demografiche sono ben note: aumento della spesa sanitaria e previdenziale, la necessità di milioni di addetti all’assistenza alla persona e una carenza di personale che richiama flussi migratori, lo spostamento verso un atteggiamento psicologico di prudenza e immobilismo e verso quelle politiche no future di stampo maltusiano di cui il “patto di austerità finanziaria” è espressione fin dal Trattato di Maastricht.

In altre parole, chi pagherà le imposte per finanziare tutto ciò? Gli dei dello stadio, o gli anziani all’ultimo stadio?

Certamente le politiche per la famiglia cercheranno di far nascere nuovi contribuenti e contributi. Ma in attesa delle nuove nascite, e, quindi, di nuovi lavoratori, nel vuoto dei prossimi 20 anni che si apre davanti a noi, le leggi belga, olandese o svizzera sull’eutanasia, mascherate dal diritto a decidere della propria morte, mostrano il “Viaggio al termine della notte” intrapreso dalla politica, soprattutto europea.

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’Europa si sta confrontando con un problema demografico senza precedenti.

Nel 2030 l’Europa avrà 18 milioni di giovani in meno rispetto ad oggi e nel 2050 avrà 60 milioni di abitanti in meno. Tra il 2005 e il 2030 ci sarà un aumento del 52,3 per cento degli ultrasessantacinquenni (+40 milioni), mentre si registrerà un calo del 6,8 per cento nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni (-21 milioni). Il rapporto tra popolazione inattiva (minori, anziani e altre persone dipendenti) e popolazione in età lavorativa passerà dal 49 per cento nel 2005 al 66 per cento nel 2030.

Questa evoluzione dipende da due fattori: da un lato la maggiore longevità delle persone, dall’altro il calo delle nascite. A partire dal 1960 l’aspettativa di vita media per un sessantenne è aumentata di cinque anni per le donne e di quasi quattro anni per gli uomini, il che significa che il numero di ottantenni aumenterà del 180 per cento entro il 2050. D’altra parte il tasso di natalità è in calo e nel 2003 è stato di 1,48 figli per donna, mentre per mantenere invariato il livello della popolazione sarebbero necessari almeno 2,1 figli per donna.

Consapevole delle conseguenze dei citati fattori sulla prosperità, il livello di vita e le relazioni tra generazioni, ho votato a favore della relazione.

 
  
  

– Relazione Parish (A6-0040/2006)

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, sono fortemente favorevole al massimo sviluppo della bioenergia, tuttavia, quando parliamo della promozione delle colture per scopi non alimentari in relazione all’autosufficienza energetica, dobbiamo tener presente che i biocarburanti non sono efficienti in termini di costi. Inoltre l’UE non riuscirà neppure a produrre sufficienti biocarburanti per soddisfare gli obiettivi previsti nella direttiva sui biocarburanti.

Mi sembra importante chiamare le cose con il proprio nome al fine di evitare che, a nostra insaputa, la Direzione generale “Agricoltura” inizi a gestire la politica energetica dell’UE. Tale politica pertanto riguarderà le sovvenzioni per l’agricoltura, non l’efficienza dell’anidride carbonica né l’autosufficienza energetica, finché i costi dei biocarburanti liquidi saranno sensibilmente maggiori a quelli dei carburanti tradizionali che dovrebbero sostituire, o se l’energia fossile necessaria per produrli è maggiore di quella che se ne ricava. Così stanno attualmente le cose, soprattutto nel settore energetico nordico.

Di conseguenza un aumento dell’uso dei biocarburanti determinerebbe un aumento dei costi energetici dell’UE e del prezzo degli alimenti, il che avrebbe un inevitabile impatto sulla competitività dell’Unione europea. I biocarburanti liquidi richiedono l’effettuazione di un’onesta analisi del ciclo di vita, che dovrebbe essere svolta da un’agenzia imparziale e indipendente.

(Applausi)

 
  
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  Liam Aylward (UEN), per iscritto. (EN) Signor Presidente, sostengo la relazione Parish.

Onorevoli colleghi, vi invito a ricordare che utilizzando lo zucchero come materia prima, il Brasile è la prima superpotenza mondiale dell’etanolo, con un’interessante partecipazione diretta al settore, non tutto brasiliano.

Sono profondamente deluso e rattristato per la decisione di chiudere l’ultimo zuccherificio irlandese. Verranno tagliati centinaia di posti di lavoro. E’ un colpo duro per quanti da generazioni lavorano fedelmente nel settore. La decisione della Commissione di riformare il settore dello zucchero e di tagliare il sostegno erogato ai produttori non ha mai favorito l’industria saccarifera Irlandese. Adesso dobbiamo fare in modo che quanti da anni lavorano con dedizione in tale settore ricevano un’equa compensazione.

Adesso occorre riservare attenzione a tutta la gamma di colture alternative utilizzabili inter alia per la produzione di bioetanolo assicurando il nostro sostegno sia a livello comunitario che nazionale, in particolare per il settore della barbabietola da zucchero.

I biocarburanti offrono nuove eccellenti opportunità e possono sfruttare le competenze maturate dai coltivatori, in particolare da quelli irlandesi. I biocarburanti contribuiranno all’autosufficienza energetica dell’UE, in quest’epoca di prezzi petroliferi in aumento e vista anche la recente controversia sugli approvvigionamenti di gas russo.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner e Gunnar Hökmark (PPE-DE), per iscritto. (SV) Abbiamo votato a favore della relazione sulla promozione delle colture per usi non alimentari perché pensiamo che sia una buona idea far piantare agli agricoltori colture diverse da quelle tradizionali, quando queste ultime non sono più redditizie. Lo sviluppo tecnologico è importante, quando si parla di forme alternative di energia, e siamo inoltre consapevoli delle opportunità fornite dalla ristrutturazione della politica agricola.

A nostro avviso tuttavia bisognerebbe evitare che il passaggio alle colture energetiche rallenti lo smantellamento della politica agricola comune. E’ importante che questi nuovi prodotti si diffondano e prosperino in un mercato libero e senza sovvenzioni. Sempre che vengano erogati, occorrerebbe prevedere aiuti temporanei finalizzati a sovvenzionare non la produzione, ma le misure infrastrutturali necessarie ad avviare e far funzionare le attività.

 
  
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  Gérard Deprez (ALDE), per iscritto. – (FR) In occasione dell’approvazione di questa relazione, che ho sostenuto, vorrei parlare dei recenti sviluppi nel settore delle bioenergie in Belgio. Oltre ai progetti di nicchia per l’uso dei biocarburanti in agricoltura, finalmente stanno vedendo la luce nel mio paese progetti industriali di grandi proporzioni, con mia grande soddisfazione. Nella settore della produzione sono attualmente in corso sei grandi progetti, i due più importanti dei quali sono situati a Ghent (settore del biodiesel) e a Wanze (settore del bioetanolo).

Inoltre, il programma di esenzione fiscale per i biocarburanti adottato in Belgio e approvato dalla Commissione europea, fissa la percentuale di biodiesel addizionabile al diesel tradizionale al 3,37 per cento nel 2006 e al 4,29 per cento per il 2007. La percentuale di bioetanolo addizionabile è stata fissata al 7 per cento. Di questo passo forse potremmo addirittura raggiungere l’obiettivo fissato nella direttiva 2003/30, ovvero una quota “verde” del 5,75 per cento del consumo complessivo di carburante entro il 2010.

A tal fine la relazione Parish chiede che gli obiettivi siano vincolanti. L’utilizzo di prodotti agricoli a scopi energetici, che è una reale opportunità per il futuro dei nostri agricoltori e nel contempo una prassi rispettosa dell’ambiente, richiede davvero la definizione di obiettivi rigorosi, soprattutto se sono ragionevoli.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Il relatore afferma, e siamo d’accordo con lui, che “la produzione di materie prime rinnovabili e l’utilizzo di rifiuti organici possono contribuire a migliorare l’ambiente, la produzione sostenibile di energia, l’occupazione e l’equilibrio regionale, svolgendo al contempo un ruolo nel rendere più varia e autosufficiente l’agricoltura multifunzionale”.

Tuttavia, riteniamo che occorrerebbe prestare attenzione alle attuali capacità in materia di energie alternative e alle relazioni intercorrenti tra energia, ambiente e agricoltura nel quadro dello sviluppo sostenibile, il che in definitiva andrà a beneficio dei cittadini, della loro qualità di vita nonché dei settori economici interessati.

Riteniamo peraltro che occorra trovare un equilibrio adeguato tra colture alimentari ed energetiche in modo da evitare di mettere a rischio l’autonomia e la sicurezza alimentare.

La produzione di colture a scopi non alimentari non è protetta dalla PAC, dato che gli aiuti sono inferiori a 80 euro annui per ettaro, e il relatore chiede che siano create le condizioni per porre fine agli aiuti pubblici. Questa misura renderebbe tale produzione dipendente dal settore energetico e dalle regole dell’Organizzazione mondiale del Commercio (OMC). Per tale motivo mi sono astenuta.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. (EN) In linea di massima reputo positiva la relazione del collega Neil Parish sulla promozione delle colture a scopi non alimentari. Anche se tali tecniche non risolveranno i nostri problemi energetici, potranno apportare un piccolo, ma significativo contributo. Pioppi e salici a crescita rapida potranno essere utilizzati, come ho visto alcuni anni fa in Austria, per produrre calore ed elettricità in piccole quantità nelle regioni ultraperiferiche e isolate. Semi oleiferi di colza e grano possono servire nella produzione di biocarburanti da aggiungere sia al diesel che alla benzina limitando le emissioni di anidride carbonica. Consentitemi però un ammonimento: i progetti devono essere parte della soluzione, non del problema. Se hanno senso a livello economico, ambientale ed energetico, sono favorevole, se invece mantengono in vita la spesa agricola a spese del buon senso, allora sono contrario.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) La relazione è l’unica parte di competenza del Parlamento europeo e non prevede alcuna procedura legislativa. Il testo mira ad estendere l’attuale politica agricola comune nell’ambito del settore delle colture energetiche. Vi è molto di più da dire nella discussione sulle colture energetiche.

Abbiamo deciso di votare contro la relazione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) La relazione sulla promozione delle colture per usi non alimentari è estremamente opportuna, data la rapida diminuzione delle riserve di combustibili fossili. La coltivazione di biomassa, ad esempio, può contribuire in modo efficace a diminuire l’effetto serra, causato principalmente dall’anidride carbonica, limitando tali emissioni.

Sono favorevole alla promozione dell’energia rinnovabile mediante la produzione di colture. Svariate tecnologie attuali, come l’energia ricavata dalla biomassa, sono redditizie e competitive in termini economici e a loro volta apriranno nuovi mercati per gli agricoltori dell’Unione europea stimolando così la crescita economica, sociale e ambientale.

 
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