Presidente. – L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.
Molti deputati si sono iscritti a parlare, e devo ricordarvi ancora una volta che, se ognuno di voi non rispetterà rigorosamente il tempo di parola di un minuto, non tutti coloro che hanno chiesto di intervenire potranno farlo, soprattutto se vi saranno altre richieste di intervento nel corso della seduta, come sempre avviene.
Marcin Libicki (UEN). – (PL) Signor Presidente, da parecchi anni ormai il Parlamento si occupa del caso Lloyd’s in relazione alla prima direttiva sulle assicurazioni non vita, e al modo in cui tale direttiva è stata applicata – o piuttosto non è stata adeguatamente applicata –, soprattutto negli ultimi 20 anni prima che la legge venisse modificata in seguito all’apertura di una procedura di infrazione contro il Regno Unito nel 2001.
Signor Presidente, l’ultimo scambio di lettere avvenuto tra di noi in merito al caso Lloyd’s mirava a chiudere la questione e a garantire ai firmatari delle petizioni il sostegno del Parlamento europeo. Posso chiederle se ha da aggiungere qualche particolare, che ci permetta di portare a conclusione questa vicenda?
Presidente. – Onorevole Libicki, come lei sa, le ho scritto in merito alla vicenda dei firmatari delle petizioni sui Lloyd’s il 17 gennaio 2006. Come le ho ricordato in quella lettera, la più recente risoluzione del Parlamento europeo su questo problema – adottata nel giugno 2005 – conferma l’impressione che vi siano motivi solidi e sostanziali per ritenere che la prima direttiva sulle assicurazioni non vita e le sue successive versioni modificate non siano state adeguatamente recepite e applicate nel Regno Unito.
Marie-Noëlle Lienemann (PSE). – (FR) Signor Presidente, desideravo richiamare l’attenzione del Parlamento europeo sul grave progetto concepito dal governo francese con l’introduzione di un “contratto di primo impiego”.
Si tratta evidentemente di una seria minaccia al modello sociale francese, ma mi risulta – ne parleranno in seguito alcuni colleghi – che analoghe minacce incombano anche in altri paesi, ove l’unica soluzione che si offre a molti di coloro che entrano nel mondo del lavoro – e soprattutto ai giovani – è un lavoro casuale quasi privo di sicurezza. Nella prospettiva degli impegni presi con la strategia di Lisbona, per mezzo della quale l’Unione europea vuol diventare l’area più competitiva del mondo, sviluppando contemporaneamente un modello sociale originale, mi sembrerebbe quanto mai opportuno che le Istituzioni europee ammonissero la Francia a non rimettere in discussione un principio specificamente sostenuto dall’Ufficio internazionale del lavoro, ossia il divieto di licenziare senza giusta causa.
Quale che sia la situazione, scorgiamo nei giovani europei una forte ansietà per il futuro, e penso che sarebbe importante riaffermare il nostro desiderio di combattere contro la precarietà e il cosiddetto lavoro atipico.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signor Presidente, vorrei richiamare l’attenzione dei colleghi sugli iniqui criteri fiscali attualmente vigenti in Polonia per i cittadini polacchi che lavorano all’estero. Questo problema riguarda in primo luogo le parecchie centinaia di migliaia di persone che lavorano nel Regno Unito e l’accordo sulla doppia tassazione firmato tra Regno Unito e Polonia nel 1976.
Il metodo usato dalla Polonia per calcolare le imposte sul reddito percepito dai cittadini polacchi nel Regno Unito è sfavorevole, e può produrre una doppia tassazione. Il governo britannico e soprattutto quello polacco devono impegnarsi a rinegoziare al più presto l’accordo, nell’interesse dei cittadini dell’Unione europea. I polacchi che scelgono di lasciare il proprio paese per lavorare all’estero contribuiscono alla ricchezza dell’intera Unione europea; spesso svolgono lavoro durissimi in cambio di bassi salari, e vivono in condizioni di grande difficoltà. In molti casi sono sfruttati da intermediari disonesti.
Il ministro delle Finanze polacco non dovrebbe imporre alcuna tassa sul reddito percepito all’estero da cittadini polacchi e poi portato in patria. Contemporaneamente il Parlamento europeo deve intervenire a difesa di queste persone, vigilando sulla giustizia e sul diritto dei cittadini dell’Unione a una vita decorosa.
Geoffrey Van Orden (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, vorrei sollevare il problema dello Zimbabwe. Come tutti sappiamo, purtroppo in quel paese non si è registrato alcun miglioramento; al contrario, la situazione politica continua a deteriorarsi e metà della popolazione rurale sopravvive solo grazie agli aiuti alimentari internazionali.
Il Parlamento europeo ha costantemente sostenuto che l’assistenza dell’Unione europea deve giungere allo Zimbabwe solo per mezzo delle ONG; non deve assolutamente passare per le mani del governo. Apprendo quindi con una certa inquietudine la notizia che la Commissione intenderebbe – a quanto sembra – fornire allo Zimbabwe aiuti per un milione di euro, destinati a una cosiddetta “riforma parlamentare” e amministrati – si ammette – tramite il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. Questo Programma dell’ONU dà di se stesso la seguente definizione: “imparziale e stimato partner del governo dello Zimbabwe”. Spero che la Commissione, prima di inviare qualsiasi aiuto, possa fornirci una spiegazione e rassicurarci in merito.
Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, vorrei sottolineare la necessità di rispettare e tutelare i diritti umani di tutti i cittadini europei, senza alcuna eccezione; speciale tutela e rispetto, tuttavia, merita quella vasta maggioranza che, per ragioni “storiche”, sembra godere dei propri diritti e quindi non si organizza per rivendicarli con proteste o pressioni.
L’attribuzione dei diritti della popolazione dell’Unione europea su questioni per le quali nessuno, ovviamente, pensa di negare il diritto di non discriminazione può spesso produrre dubbi ed equivoci riguardo all’eventualità che questo ovvio principio si applichi alla maggioranza silenziosa per ogni tipo di diritto: il diritto alla vita e alla dignità umana e al rispetto per la libertà di espressione e di scelta. Inoltre, la maggioranza della popolazione rispetta e sostiene gli inalienabili diritti umani fondamentali, per cui la tutela dei diritti delle minoranze non può dare l’impressione di risolversi nell’abolizione dei diritti della maggioranza.
Maria Matsouka (PSE). – (EL) Signor Presidente, le agitazioni cui assistiamo in Francia non possono lasciare indifferente la mia generazione, alla quale è specificamente rivolto il famoso “contratto di primo impiego” o, per esprimersi in maniera differente, il modello del “lavoratore usa e getta”.
E’ possibile che i giovani europei, minacciati dalla disoccupazione, decidano di partecipare a questo esperimento, per di più con l’inevitabile rischio di uno scontro generazionale. I lavoratori più anziani vedranno nei giovani i propri concorrenti; essi verranno cacciati dai giovani “lavoratori usa e getta”, dallo spostamento di una manodopera disciplinata e poco costosa. Queste soluzioni coercitive, proposte dai paladini del liberismo economico, sottovalutano palesemente il soggetto della storia, cioè il cittadino, il lavoratore, la persona; e questo sarà il loro errore fatale.
Di recente il Trattato costituzionale è stato respinto dagli elettori; ora divampano scontri sociali tesi a ottenere il completo ritiro della legge sulle “pedine del lavoro”. Il movimento sociale si rafforza, rifiuta le imposizioni e avanza richieste. Si può e si deve combattere la disoccupazione, ma non in maniera disordinata, non chiudendo gli occhi sulle esigenze della società e certamente non a spese di una generazione che non ha colpe per il mondo che ha ereditato.
(Applausi)
Andrzej Tomasz Zapałowski (NI). – (PL) Signor Presidente, da qualche tempo a questa parte alcuni organi di stampa dell’Europa occidentale tendono a etichettare come nazionalisti sia il governo polacco che la sua base di potere; per milioni di polacchi questa definizione è scandalosa e offensiva. Questo governo e i suoi sostenitori affondano le proprie radici nell’orgogliosa storia di eventi come la Seconda guerra mondiale, allorché decine di migliaia di polacchi rischiarono la vita per aiutare ebrei e persone di altra nazionalità, e migliaia affrontarono per questo la morte.
Questa cosiddetta correttezza politica, che soffoca la libertà di parola nell’Unione europea, bolla col marchio dello sciovinismo, del nazionalismo e forse addirittura del fascismo tutti coloro che difendono il patriottismo, le tradizioni nazionali e l’importanza dei valori cristiani per l’Europa. Costoro considerano normali tutti i comportamenti che vanno contro natura e contro i valori tradizionali dell’Europa cristiana, ma si affrettano a giustificare qualsiasi offesa ai sentimenti dei cattolici e dei fedeli di altre religioni.
Qualunque cosa vada proclamando la stampa dell’Europa occidentale, la Polonia rimarrà fedele alle sue tradizioni e ai valori democratici.
Jörg Leichtfried (PSE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei cogliere oggi quest’occasione per discutere il trattamento riservato dalla Commissione alle interrogazioni che riceve dai deputati al Parlamento europeo. Poco tempo fa ho rivolto alla Commissione un’interrogazione molto dettagliata, che riguardava tre argomenti specifici: per tutta risposta ho ricevuto un breve estratto da un testo giuridico.
Credo che da un’organizzazione come la Commissione sia plausibile attendersi che affronti veramente i problemi posti dai deputati di quest’Assemblea nelle loro interrogazioni, fornendo risposte che vadano alla sostanza delle interrogazioni stesse; la Commissione non può limitarsi a inviare un testo giuridico che io, da avvocato, avrei potuto benissimo trovare da solo. Non è certo questo il senso, né lo scopo, della nostra attività.
Signor Presidente, vorrei mettere a sua disposizione la mia interrogazione e la risposta che ho ricevuto; forse lei condividerà la mia indignazione per tale risposta e potrà fare qualche cosa per migliorare questa situazione.
Presidente. – Onorevole Leichtfried, cercherò molto volentieri di comunicare la sua protesta alla Commissione, affinché in futuro le risposte non consistano meramente di fotocopie di testi noti a tutti.
Jelko Kacin (ALDE). – (SL) La questione dei diritti umani è un elemento essenziale delle basi stesse dell’Unione europea. L’ultima relazione del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti sulla situazione dei diritti umani, datata 8 marzo 2006, segnala tra l’altro la mancata applicazione di una sentenza della Corte costituzionale austriaca, che da anni chiede l’installazione di cartelli regionali bilingui – in tedesco e sloveno – nella zona meridionale della provincia austriaca della Carinzia, dove è presente una minoranza slovena.
Proprio nello stesso giorno, però, Jörg Haider, governatore della Carinzia, ha promosso l’avvio di un procedimento per “abuso di funzione pubblica” contro il governatore distrettuale August Muri, che aveva finalmente emanato un’ordinanza per l’affissione di cartelli bilingui a Bleiburg/Pliberk. I due cartelli bilingui sono stati anche esposti nell’edificio del nostro Parlamento a Bruxelles.
Come sapete, la Russia ha proposto ufficialmente di inserire nell’agenda del Vertice UE-Russia la questione delle violazioni dei diritti della minoranza slovena in Austria. Mi interesserebbe sapere come la Commissione intenda muoversi per risolvere questo vistoso esempio di violazione dei diritti della minoranza slovena, proprio nel momento in cui l’Austria detiene la Presidenza dell’Unione europea.
Feleknas Uca (GUE/NGL). – (DE) Signor Presidente, siamo sconvolti dalle immagini e dalle notizie che, fin da lunedì della settimana scorsa, ci giungono da molte città curde ma soprattutto da Diyarbakir; colpisce la somiglianza tra queste immagini e quelle provenienti da Gaza o dalla Cisgiordania. Finora le forze di sicurezza turche hanno ucciso 11 persone, tra cui un bambino di tre anni.
I feriti si contano a centinaia, e molti di essi sono in gravi condizioni; altre centinaia di persone sono state imprigionate. E’ necessario impedire che la situazione si aggravi ulteriormente. Le dichiarazioni del Primo Ministro Erdogan – il quale per esempio ha affermato testualmente: “Le nostre forze di sicurezza intraprenderanno tutte le azioni necessarie contro coloro che si rendono strumenti del terrorismo, anche se si tratta di donne e bambini” – non contribuiscono certo a una soluzione pacifica del problema curdo.
Chiedo alla Commissione e a lei, Presidente Borrell, di mettersi in contatto col sindaco di Diyarbakir, signor Beydemir, e chiedo anche di istituire una delegazione che si rechi a verificare nei dettagli gli eventi che hanno interessato quelle zone.
Richard Corbett (PSE). – (EN) Signor Presidente, desidero attirare l’attenzione dei colleghi su una rete paneuropea di organizzazioni truffaldine che prende di mira le piccole imprese. Tra queste organizzazioni, la più nota è European City Guide in Spagna, ma ve ne sono anche altre: Construct Data in Austria, Novachannel e Intercable Verlag in Svizzera, Deutsche Addressdienst e TVV Verlag in Germania. Tutte inviano per posta alle piccole imprese di tutta Europa documenti formulati in maniera volutamente ingannevole: camuffati da moduli di aggiornamento gratuiti, essi recano in caratteri piccolissimi l’avvertenza che, firmando il modulo, si incorrerà in costi enormi.
Di recente un giornale svizzero ha rivelato che dietro a gran parte di queste organizzazioni si nasconde una persona sola: Meinolf Lüdenbach. Costui controlla anche le agenzie di recupero crediti che perseguitano le vittime che sono state fraudolentemente indotte a firmare; la rete delle sue organizzazioni configura una cospirazione per truffare le piccole imprese europee.
Queste organizzazioni si spostano di continuo da un paese all’altro, sfruttando le discrepanze dei nostri sistemi giuridici per sfuggire alla giustizia. Sono quindi lieto che il Commissario Kyprianou abbia deciso di esaminare questa vicenda, e invito tutti i colleghi nei cui collegi elettorali si sono verificati casi del genere – so che siete in molti – a scrivergli per fornire informazioni che gli permettano di completare il suo dossier.
Manolis Mavrommatis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, all’occasione numerosi colleghi hanno sottolineato i tempi con cui gli organismi istituzionali competenti rispondono alle interrogazioni presentate dai deputati.
L’episodio più recente riguarda l’interrogazione scritta da me presentata il 27 settembre 2005 in merito alla riunione del Consiglio dei ministri dell’11 ottobre 2005. L’organismo istituzionale competente ha risposto alla mia interrogazione cinque mesi più tardi – precisamente il 9 marzo 2006 – con tre righe in cui mi si informava che il Consiglio non aveva discusso, né aveva in programma di discutere, la questione su cui avevo richiesto una presa di posizione.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, qual è dunque la funzione del Parlamento e il ruolo dei suoi deputati, dov’è il rispetto per i cittadini europei e che ne è delle responsabilità che abbiamo verso di loro, che ci hanno affidato la posizione che noi oggi occupiamo? Quale giustificazione darò ai cittadini per questa risposta che essi attendevano e non abbiamo mai ricevuto?
Presidente. – Onorevole Mavrommatis, la sua lamentela è del tutto giustificata. A mio avviso, l’unico motivo plausibile per averla fatta attendere tanto a lungo, per poi risponderle semplicemente che il Consiglio non aveva affrontato il problema, è che forse questa Istituzione stava aspettando di occuparsene, ma anche in questo caso un’attesa tanto lunga non mi sembra ragionevole. Farò presente al Consiglio e alla Commissione la necessità di rispondere alle interrogazioni dei deputati in tempo utile – come non è avvenuto nel suo caso – e in maniera appropriata; in altre parole le risposte devono giungere entro limiti di tempo ragionevoli, e devono avere un adeguato contenuto concreto. Sono certo che le autorità competenti in seno al Consiglio e alla Commissione prenderanno accuratamente nota di tale richiesta.
Margrietus van den Berg (PSE). – (NL) Signor Presidente, come lei ha annunciato poco fa, Charles Taylor, accusato di crimini di guerra, è stato tradotto dinanzi al Tribunale delle Nazioni Unite per la Sierra Leone. Nella mia veste di capo osservatore della missione di osservatori elettorali dell’Unione europea in Liberia, ho invitato la neoeletta Presidente Ellen Johnson-Sirleaf a insistere per ottenere l’estradizione. Ella si è dichiarata d’accordo, a condizione di ottenere il sostegno del Presidente della Nigeria e dell’Unione africana. L’arresto e la comparsa in giudizio di Charles Taylor costituiscono un trionfo per la nuova Liberia, ma anche per l’Unione africana e certamente per l’Unione europea: entrambe hanno infatti superato l’esame a pieni voti, conferendo valore al lavoro che abbiamo compiuto. Con quest’arresto si è dissolta una cupa ombra che gravava sull’Africa occidentale, regione che vede schiudersi un orizzonte di pace e la possibilità di costruire la democrazia. In qualità di osservatore capo della missione di osservazione elettorale in Liberia, sono vivamente favorevole all’idea dei presidenti di invitare la Presidente liberiana a parlare dinanzi alla nostra Assemblea plenaria, e mi auguro che nel frattempo l’Unione europea continui a sostenere decisamente gli Obiettivi del Millennio e la democratizzazione di quel paese: i cittadini della Liberia lo meritano senz’altro.
Presidente. – Onorevole van den Berg, come ho comunicato in precedenza, la Presidente della Liberia verrà invitata e ci auguriamo che possa venire al più presto.
Mirosław Mariusz Piotrowski (NI). – (PL) Signor Presidente, le ho scritto il 16 e il 23 marzo di quest’anno nella mia veste di presidente dell’ufficio del gruppo IND/DEM, in merito alla cosiddetta ricostruzione del gruppo Indipendenza e Democrazia, di cui le autorità del Parlamento sono state informate da parte dei dirigenti del gruppo nel corso dell’ultima seduta plenaria. A parere della delegazione polacca, la procedura che ha condotto all’esclusione dal gruppo IND/DEM di due delegazioni nazionali, quella italiana e quella polacca, è stata irregolare. Posso chiederle quando potremo aspettarci di avere una risposta alle lettere da me citate?
Presidente. – Onorevole Piotrowski, prima dell’inizio della seduta ho incontrato gli onorevoli Bonde e Farage; abbiamo discusso quest’argomento e attendo ora che essi mi comunichino per iscritto il loro punto di vista sulla situazione e sulle misure da prendere. Spero di poterle comunicare qualcosa in merito all’inizio della seduta di domani.
Marc Tarabella (PSE). – (FR) Signor Presidente, esattamente 1 500 giorni fa Ingrid Betancourt e la sua collega Clara Rojas furono rapite dalle FARC in Colombia, ed entrarono così a far parte della folta – troppo folta! – schiera di 3 000 ostaggi, per non parlare delle migliaia di persone che in quel paese sono sparite nel nulla.
Parlo oggi a nome della Federazione internazionale comitati Ingrid Betancourt; insieme alla famiglia di Ingrid, noi avanziamo tre richieste. In primo luogo, sostenere attivamente gli sforzi di mediazione compiuti da tre paesi (Francia, Svizzera, Spagna). In secondo luogo, esercitare forti pressioni sulle FARC, tramite le organizzazioni che le sostengono all’estero e specialmente in quei paesi che non le hanno incluse nel loro elenco di organizzazioni terroristiche, affinché esse rispondano positivamente alla proposta avanzata dal gruppo di tre paesi, dimostrando in tal modo il sincero desiderio di raggiungere un accordo umanitario. In terzo e ultimo luogo, esercitare forti pressioni sul governo colombiano per convincerlo ad applicare la Convenzione di Ginevra, che la Colombia ha ratificato. Tale Convenzione prevede in effetti che, in caso di conflitto interno, il governo sia obbligato – conformemente agli impegni assunti in precedenza – a concludere accordi umanitari che consentano di salvare il maggior numero possibile di vite umane.
Ryszard Czarnecki (NI). – (PL) Signor Presidente, la notte scorsa ha segnato il primo anniversario della morte di un grand’uomo e di un grande europeo: Papa Giovanni Paolo II.
Sono lieto di avere la possibilità di rendere omaggio a un uomo che è stato, e rimarrà, il simbolo del dialogo interconfessionale: tra cristianesimo ed ebraismo, tra cristianesimo e islam. Giovanni Paolo II è anche un simbolo di tolleranza e rispetto per tutti gli esseri umani, indipendentemente dalle origini etniche e nazionali, dal genere, dalla classe sociale o dalle condizioni economiche. Questo papa che proveniva dall’Europa centro-orientale ha ripetutamente proclamato l’unità d’Europa, anche all’epoca del muro di Berlino e della cortina di ferro. Circa vent’anni fa, a Santiago de Compostela in Spagna, egli disse che l’Europa rappresentava l’unità nella diversità: la mia speranza è che queste parole abbiano conservato ancor oggi il loro significato.
Presidente. – Onorevole Czarnecki, è effettivamente trascorso un anno dalla morte di Sua Santità, Papa Giovanni Paolo II. A quell’epoca mi trovavo in visita ufficiale in Lituania e ho potuto constatare la grande emozione suscitata, negli europei dei paesi dell’est, dalla scomparsa di una persona che tanto aveva contribuito al processo destinato a condurre al successivo allargamento dell’Unione europea.
Ioannis Gklavakis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, a causa delle forti piogge che si sono recentemente abbattute sulla Bulgaria e sulla Grecia settentrionale, il fiume Evros ha superato gli argini, inondando migliaia di acri di terreno agricolo: hanno subito danni sia l’orticoltura, nelle zone in cui si era appena seminato, sia l’allevamento, dal momento che sono annegati più di 3 000 capi di bestiame tra suini, bovini, capre e pecore. Molti villaggi sono stati allagati, e molti edifici sono stati completamente ricoperti dall’acqua.
Parallelamente alle azioni che saranno prese in merito dai singoli Stati membri, l’Unione europea è pronta a dimostrare il suo sostegno in un momento tanto difficile, segnalando agli agricoltori dei paesi colpiti che l’UE è al loro fianco poiché, come sappiamo, la solidarietà è il principio fondante dell’Unione?
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, vorrei esprimere la mia disapprovazione per la dichiarazione finale dall’Assemblea parlamentare euromediterranea svoltasi il 27 marzo. Comprendo naturalmente l’importanza di un dialogo fra la sponda settentrionale e quella meridionale del Mediterraneo, ma non sono affatto persuaso che un tale dialogo abbia alcuna utilità se si risolve in un’ammissione di colpa unilaterale, in questo caso da parte dell’Europa; non mi sembra che questa dichiarazione finale si possa definire altrimenti. In primo luogo, la condanna delle vignette danesi comprende una breve frase, o clausola, d’obbligo sulla violenza che si è scatenata a seguito della loro pubblicazione; il giudizio sulle vignette è estremamente specifico, ma tutto il resto si mantiene su un piano alquanto vago e generico. Si parla di promuovere la democrazia, ma non si fa il minimo riferimento alle discriminazioni inflitte nel mondo musulmano ai cristiani o ad altri gruppi minoritari. Per trovare esempi in questo senso non occorre certo andare in Afghanistan: in Turchia, per esempio, chi cambia religione deve segnalare la propria conversione al governo. In quel paese, poco tempo fa un sacerdote cattolico italiano è stato assassinato a causa di ciò che egli rappresentava; e sempre in Turchia è praticamente impossibile far restaurare un edificio cristiano. Mi rammarico che questi fatti non siano stati ricordati nella discussione.
Presidente. – E’ vero che questi fatti non sono menzionati nelle conclusioni ma, come lei sa, l’Assemblea parlamentare euromediterranea non ha concluso i suoi lavori. Essa continuerà le discussioni, e spero che i rappresentanti del nostro Parlamento in seno all’Assemblea raccoglieranno il suo suggerimento e ne parleranno. L’unico modo per far apparire queste considerazioni nelle conclusioni è che i membri dell’Assemblea parlamentare sollevino il problema in quella sede.
Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, un cittadino residente nel mio collegio elettorale, Alexander Litvinenko, è un ex tenente colonnello dell’FSB della Federazione russa, l’organismo che ha preso il posto del KGB. Avendo denunciato le attività illegali dell’FSB, il signor Litvinenko è stato costretto a cercare asilo politico all’estero; prima di scegliere il luogo in cui rifugiarsi, egli ha consultato il suo amico generale Anatoly Trofimov, ex vicedirettore dell’FSB. A quanto sembra, il generale Trofimov ha dato al signor Litvinenko il seguente consiglio: “Non andare in Italia, perché lì tra gli uomini politici ci sono molti agenti del KGB; il nostro agente in Italia è Romano Prodi”. Nel febbraio 2006 Alexander Litvinenko ha comunicato quest’informazione a Mario Scaramella della commissione Guzzanti, che indaga sulle infiltrazioni del KGB nella politica italiana.
Tale accusa, rivolta contro un ex Presidente della Commissione europea, è estremamente grave e occorre verificarla accuratamente; il Parlamento europeo dovrebbe avviare un’inchiesta in merito.
Presidente. – Tutti i suggerimenti vanno accolti con rispetto. Lei sta forse invitando il Parlamento europeo a indagare sulla possibilità che alcuni uomini politici italiani siano agenti del KGB? E’ questa la sua proposta?
Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Io dico che sarebbe opportuno che il Parlamento avviasse un’inchiesta in merito, in quanto Romano Prodi è un ex Presidente della Commissione europea. Mi sembra che le tanto esaltate credenziali democratiche di questo Parlamento trarrebbero grande vantaggio da tale inchiesta.
Presidente. – Temo che non vi sia il tempo per svolgere un’inchiesta del genere prima delle prossime elezioni italiane, ma potremo sempre avviarla in seguito – se il Parlamento lo giudicherà opportuno, naturalmente.
Csaba Sándor Tabajdi (PSE). – (HU) Negli ultimi tempi parecchi Stati membri dell’Unione europea sono stati colpiti da gravi inondazioni. Nella Repubblica Ceca, in Germania, in Ungheria e in Austria migliaia di persone lottano eroicamente contro le acque che minacciano case, averi e aziende agricole. Tra il 1998 e il 2004 in Europa si sono registrate più di 100 gravi inondazioni, e quelle cui abbiamo assistito l’anno scorso e quest’anno confermano la necessità di un’azione comune a livello europeo. Nel gennaio 2006 la Commissione europea ha proposto una direttiva per la gestione delle inondazioni in Europa; tale direttiva si propone di mitigare i rischi e gli effetti delle inondazioni, nonché di incoraggiare l’azione comune. Adottare la direttiva al più presto e agire insieme per tutelarci dalle inondazioni costituisce una priorità di livello europeo; invito il Presidente Borrell ed esorto il Consiglio a prendere al più presto le misure necessarie per sviluppare un sistema unico europeo per la difesa contro le inondazioni.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, la settimana scorsa a Diyarbakir, in Turchia, quattro persone sono morte e circa altre 500 sono rimaste ferite negli incidenti scoppiati alla conclusione di un funerale; le vittime erano tutte curde, mentre la responsabilità è da ascriversi alle forze speciali della polizia turca.
Due settimane fa l’esercito turco ha iniziato un’operazione tesa a schiacciare il movimento dei lavoratori curdi, nel corso della quale sono state uccise altre 14 persone. In tal modo la Turchia sta ovviamente dimostrando che non intende risolvere questo problema per mezzo di un processo democratico, bensì ricorrendo alla violenza, con una sorta di selezione naturale. Di conseguenza noi ci stiamo rendendo complici dello sterminio di un popolo, proprio mentre accogliamo la Turchia nella famiglia europea.
Questa politica è paradossale; dovremmo ricordare alla Turchia – nella sua veste di paese candidato – quale sia il significato della tradizione democratica europea.
Glyn Ford (PSE). – (EN) Signor Presidente, voglio parlare di un’impresa sita nel mio collegio elettorale. Hygrade – filiale dell’azienda danese Tulip – propone la chiusura di due stabilimenti a Chard e Chippenham, con la perdita, rispettivamente, di 300 e 500 posti di lavoro; per queste due città di vocazione commerciale, si tratta di una prospettiva devastante. Attualmente, sulle chiusure proposte è in corso un processo di consultazione, che però è francamente grottesco: a Chippenham, gli abitanti dei nuovi centri residenziali vicini alla fabbrica trovano già inserita nel proprio mutuo ipotecario una clausola di garanzia che prevede la chiusura dello stabilimento; a Chard, l’azienda prepara già la rimozione dei macchinari. Spero che lei voglia esporre il problema alla Commissione.
Sull’impresa che agisce in questo modo non incombe lo spettro del fallimento; essa accumula anzi cospicui profitti, ma nei negoziati offre ai lavoratori che le sono rimasti fedeli per 22 lunghi anni la minima indennità di licenziamento possibile.
Quest’impresa fornisce beni e servizi soprattutto a Co-op e Tesco, due aziende per la lavorazione dei prodotti alimentari; mi auguro che l’opinione pubblica eserciti pressioni su queste due imprese, che spesso amano parlare di commercio equo, per garantire un equo trattamento ai lavoratori delle fabbriche che le riforniscono.
Presidente. – E’ possibile che il caso da lei menzionato rientri nel campo di applicazione del Fondo di adeguamento alla globalizzazione, che è stato proposto dalla Commissione e verrà incluso nei futuri bilanci. Speriamo che, quando si tratterà di stanziare tali risorse, si tenga conto di questa vicenda.
Marios Matsakis (ALDE). – (EN) Signor Presidente, la libertà di espressione e quella di dimostrare pacificamente costituiscono una parte fondamentale dell’acquis. Purtroppo, in una vasta zona ai margini della mia città natale di Limassol la libertà di espressione non è consentita, poiché in quella zona l’acquis non si applica. Si tratta di un’area che è sotto occupazione militare britannica sin dall’epoca coloniale, e benché faccia parte di Cipro e sia abitata da civili ciprioti, il Regno Unito ha fatto in modo che essa rimanesse al di fuori dei confini dell’Unione europea; l’acquis comunitario quindi non vi si applica.
Sabato scorso – il giorno in cui a Cipro si celebra la Festa della Libertà – un cittadino cipriota ha cercato di dimostrare pacificamente contro la presenza di basi britanniche a Cipro; egli non disturbava nessuno e non ha oltrepassato i confini di alcuna proprietà militare. Nel giro di qualche minuto è stato assalito da militari britannici che gli hanno puntato addosso i mitra, minacciando di sparargli; è stato poi trattenuto sulla pubblica via contro la propria volontà sotto la minaccia delle armi fino all’arrivo della polizia militare e della stampa locale; è stato rilasciato solo quando si è capito che era un parlamentare: un deputato di questo Parlamento! Fino a quando la nostra Assemblea tollererà che truppe britanniche occupino parte di un altro Stato membro infliggendo tali soprusi ai suoi cittadini?
Eoin Ryan (UEN). – (EN) Signor Presidente, vorrei rammentare che alla fine della settimana scorsa il governo britannico ha deciso di vendere British Nuclear Group, mettendolo in mano ai privati; in tal modo finirebbe in mani private anche la centrale nucleare di Sellafield. Considerando che l’80 per cento di tutte le scorie nucleari britanniche si trova a Sellafield, impianto che può trattare 5 000 tonnellate di scorie all’anno, ossia circa un terzo delle scorie mondiali; e considerando inoltre i seri problemi di sicurezza che interessano da anni la centrale, ove si sono verificati numerosi incidenti, vorrei sapere quali garanzie può offrire il governo britannico agli interessati e al popolo irlandese in merito al rispetto dei più elevati standard di sicurezza, allorché Sellafield sarà gestita da privati.
Si può certo affermare che le cose non potrebbero andar peggio di così, e che quindi è giusto affidare la centrale a privati. E’ doveroso tuttavia per il governo britannico fornire garanzie inequivocabili del rispetto dei più rigidi standard di sicurezza, poiché tale questione suscita fortissima inquietudine nei cittadini irlandesi e in molti altri.
Presidente. – Onorevole Ryan, comprendo benissimo la sua preoccupazione e sono certo che il governo britannico si dimostrerà sensibile al problema da lei sollevato.
Eluned Morgan (PSE). – (EN) Signor Presidente, mi dispiace di essere arrivata così tardi: è colpa di Air France. Vorrei far presente che questa compagnia aerea ha cancellato alcuni voli da Londra.
Vorrei soffermarmi sul problema delle 84 direttive di Lisbona che sono state approvate dal Parlamento. Ormai, 76 di esse dovrebbero essere entrate in vigore e la loro applicazione dovrebbe essere completa, ma in realtà solo 13 di queste 84 direttive di Lisbona sono state completamente applicate da tutti gli Stati membri. La direttiva sul quadro normativo comune per le comunicazioni elettroniche si sarebbe dovuta applicare completamente entro il 24 luglio 2003, ma Belgio, Grecia e Lussemburgo devono ancora notificare l’applicazione alla Commissione.
La strategia di Lisbona è quindi a rischio a causa del negligente comportamento degli Stati membri. Mi sembra però incoraggiante apprendere che la Commissione avvierà 50 procedure contro gli Stati membri che non applicano la liberalizzazione dei mercati energetici: sinceramente, era ora.
Presidente. – Abbiamo esaurito l’elenco dei deputati che avevano chiesto di intervenire, ma mi è sembrato di vedere l’onorevole Hennicot-Schoepges alzare timidamente la mano; non volevo negarle la parola, onorevole Hennicot-Schoepges.
Erna Hennicot-Schoepges (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, sono d’accordo coi due colleghi che si sono lamentati delle tardive risposte fornite alle interrogazioni dei deputati. Credo che lei sia il custode del nostro Regolamento, e vorrei chiederle di far sì che la Commissione risponda tempestivamente alle nostre interrogazioni.
La questione cui mi riferisco è quella dei distributori via cavo in Lussemburgo, che si sono rivolti alla Commissione nel marzo 2005 e sono stati rinviati da un primo Commissario a un altro; quest’ultimo, nel settembre 2005, ha dato loro una risposta che contraddiceva quella fornita – con tre mesi di ritardo – alla mia interrogazione parlamentare.
Signor Presidente, se vogliamo legiferare meglio anche i servizi giuridici della Commissione devono funzionare in maniera adeguata; lei, da parte sua, deve garantire la piena applicazione del nostro Regolamento.
Bogusław Rogalski (NI). – (PL) Due settimane fa abbiamo assistito al bizzarro epilogo delle elezioni bielorusse, in cui naturalmente ha prevalso Alexander Lukashenko. Queste elezioni sono state falsate dall’uso della forza da parte del KGB bielorusso, della polizia e dell’esercito.
Signor Presidente, in che modo il Parlamento e l’Unione europea hanno reagito a questa situazione? Sono stati arrestati molti osservatori, insieme a giornalisti e anche a un parlamentare polacco; alcune di queste persone sono ancor oggi in carcere.
Ci siamo preoccupati delle elezioni in Liberia e in vari altri paesi esotici, ma in Bielorussia non abbiamo mandato neppure un’efficiente delegazione di osservatori. Il Parlamento e l’Unione europea devono prendere una posizione decisa e risoluta sulla Bielorussia, per riuscire finalmente a rovesciare l’ultima sanguinaria dittatura che ancora affligge l’Europa.
Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN). – (PL) In Polonia la politica agricola dell’Unione europea suscita un malumore sempre più diffuso. Lo stato d’animo degli agricoltori polacchi è illustrato in maniera eloquente dai loro striscioni di protesta: “L’Unione significa il fallimento delle campagne polacche”.
Gli agricoltori chiedono, tra l’altro, di rinegoziare il trattato di adesione, di avviare procedure di protezione per i mercati degli ortaggi, della frutta a polpa morbida e delle mele, di sospendere la liberalizzazione del mercato dello zucchero e di liberare la quota di ristrutturazione del mercato del latte, pari a 416 000 tonnellate.
Alla Polonia è stata assegnata una quota di 9,3 milioni di tonnellate di latte, mentre il nostro fabbisogno è di circa 12,5 milioni di tonnellate; di conseguenza agli agricoltori sono già state inflitte multe per la sovrapproduzione, e a causa di tale situazione dal 2010 la Polonia dovrà importare latte e latticini. La Polonia sta così perdendo la sua sicurezza alimentare, come del resto la sta perdendo l’Europa intera. Dobbiamo porci una domanda fondamentale: qual è il nostro obiettivo?
Presidente. – Siamo giunti alla fine degli interventi. Come vedete, la Presidenza fa ogni sforzo per consentire a tutti di parlare, senza escludere nessuno. Questo ritarda l’inizio dei dibattiti; mi scuso con la Presidenza per averla fatta attendere più a lungo del previsto.