Presidente. – Ieri, durante gli interventi di un minuto, alcuni deputati hanno parlato della situazione di un gruppo politico e io avevo anticipato che oggi sarei stato in grado di rispondere alle preoccupazioni sollevate.
Vi informo che ho ricevuto una lettera dagli onorevoli Bonde e Farage, copresidenti del gruppo Indipendenza/Democrazia, in cui mi si chiede di ritirare la dichiarazione della Presidenza del 15 marzo sulla nuova composizione di questo gruppo politico.
Di conseguenza, in risposta alla richiesta dei copresidenti di questo gruppo la dichiarazione della Presidenza è ritirata ed è da considerarsi nulla e senza effetto. La composizione del gruppo Indipendenza/Democrazia resta esattamente com’era prima del 15 marzo 2006.
Sulla base di questa composizione, che resta com’era anteriormente alla dichiarazione della Presidenza, la direzione del gruppo convocherà le riunioni che riterrà opportune per continuare a lavorare al proprio interno.
3. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
4. Situazione dei campi per i rifugiati a Malta (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
5. Decisione sull’applicazione della procedura d’urgenza
Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla conclusione di un accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco [COM(2005)0692 – C6-0040/2006 – 2005/0280(CNS)]
Philippe Morillon (ALDE), presidente della commissione per la pesca. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome della commissione per la pesca, di cui sono presidente, vi informo che con un’ampia maggioranza di quattordici voti favorevoli e nove contrari questa commissione ieri sera si è pronunciata contro la richiesta di applicazione della procedura d’urgenza presentata dal Consiglio per l’esame della relazione del collega Varela Suanzes-Carpegna sul regolamento relativo alla conclusione di un accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco.
In effetti, accogliere tale richiesta equivarrebbe a lasciare carta bianca per questo accordo in un momento in cui le discussioni in seno alla nostra commissione sono lungi dall’essere terminate, come ha dimostrato la vivacità delle discussioni di ieri, e la commissione per lo sviluppo, particolarmente interessata a questo tipo di accordo, non ha ancora espresso il proprio parere. Beninteso, siamo perfettamente consapevoli dell’importanza dell’accordo sia per il governo marocchino che per i pescatori europei stessi. Ecco perché proponiamo di trattare la questione con una procedura accelerata che permetta, dopo un nuovo scambio di pareri in occasione della prossima riunione della commissione del 18 e 19 aprile prossimi, di votare questa relazione il 2 maggio e conseguentemente di presentarla al Parlamento nel corso della prossima seduta plenaria di maggio.
A quanto sappiamo i primi pagamenti dovrebbero essere effettuati solo alla fine del mese di giugno. Riteniamo quindi che questo periodo finale di riflessione, a nostro avviso necessario all’Assemblea, non presenti grossi inconvenienti.
Heinz Kindermann (PSE). – (DE) Signor Presidente, sono favorevole ad applicare la procedura d’urgenza a tale questione. E’ davvero necessario nell’interesse dei pescatori spagnoli permettere loro di pescare a partire dall’inizio della stagione, il 1° maggio. Da anni ormai non hanno alcuna possibilità di esercitare le loro attività di pesca e un ritardo non produrrebbe alcun cambiamento sostanziale nell’attuale processo di ratifica o nel contenuto dei Trattati.
Carmen Fraga Estévez, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, il mio gruppo politico è contrario alla richiesta del Consiglio di applicare la procedura d’urgenza fino a quando non verranno fornite al Parlamento le informazioni necessarie a garantire che questo accordo è il quadro giuridico atto a consentire il normale svolgimento delle attività di pesca della flotta comunitaria.
Daniel Varela Suanzes-Carpegna (PPE-DE), relatore. – (ES) Signor Presidente, intervengo ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del Regolamento, per informare l’Assemblea che, in qualità di autore della relazione, sono contrario all’applicazione della procedura d’urgenza. Sono contrario perché, considerando che si tratta di una questione molto delicata, che non è stata del tutto definita, che comprende un accordo tuttora oggetto di sostanziali modifiche da entrambe le parti, non si possono negare alla commissione competente, la commissione per la pesca, la relazione, il dibattito e la votazione cui ha diritto.
Onorevoli deputati, non vogliamo che in futuro l’applicazione di questo accordo produca un impatto violento, come è avvenuto in passato. Vogliamo offrire al settore della pesca garanzie di certezza giuridica, di piena applicabilità e di redditività in merito a questo accordo. La commissione per lo sviluppo ha già espresso il proprio parere e terremo conto della sua relazione; la commissione per la pesca non lo ha ancora fatto.
Il compromesso da me proposto ieri al presidente della commissione per la pesca, che è stato approvato da questa commissione, non intende ritardare la relazione, ma accelerarne i tempi in modo che possa essere presentata all’Assemblea a maggio e che si possa concludere la questione nelle condizioni migliori, in quanto la prima scadenza per la prima compensazione finanziaria è il 30 giugno. Saremo in tempo e, alla luce delle affermazioni dell’onorevole Kindermann, vorrei far presente che molte delle specie menzionate nell’accordo non saranno interessate perché nel mese in corso e in quello venturo inizia un periodo di riposo biologico.
Per detti motivi chiediamo che la nostra commissione lavori nel tempo restante in modo da presentare all’Assemblea la relazione della commissione competente. Per questo motivo oggi respingiamo la richiesta di applicazione della procedura d’urgenza.
(Il Parlamento respinge la richiesta di applicazione della procedura d’urgenza)(1)
Proposta di regolamento del Consiglio recante modifica dei regolamenti (CEE) n. 2771/75 e (CEE) n. 2777/75 per quanto riguarda l’applicazione di provvedimenti eccezionali di sostegno del mercato [COM(2006)0153 – C6-0111/2006 – 2006/0055(CNS)]
Joseph Daul (PPE-DE), presidente della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale. – (FR) Signor Presidente, ieri la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale ha deciso all’unanimità di approvare la richiesta di applicazione della procedura d’urgenza presentata dalla Commissione europea in relazione all’applicazione di provvedimenti eccezionali di sostegno del mercato delle uova e dei volatili.
Alla luce della grave crisi che il settore avicolo sta attraversando in numerosi Stati membri, ci sembra indispensabile deliberare con rapidità. Applicando la procedura d’urgenza il Parlamento europeo sarà in grado di pronunciarsi sulla proposta della Commissione. Il Parlamento dimostrerà così di essere in grado di reagire prontamente e di rispondere alle attese dei cittadini. La Commissione ha presentato richiesta di applicazione della procedura d’urgenza alla fine della settimana scorsa e noi risponderemo giovedì. Credo che per i nostri cittadini ciò sia un esempio positivo di risposta a una crisi grave.
(Il Parlamento approva la richiesta di applicazione della procedura d’urgenza)(2)
6. Linee direttrici per le politiche degli Stati membri in materia di occupazione – Indirizzi di massima per le politiche economiche per il 2006 (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:
– la relazione (A6-0086/2006), presentata dall’onorevole Magda Kósáné Kovács a nome della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, sulla proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione [COM(2006)0032 – C6-0047/2006 – 2006/0010(CNS)], e
– la relazione (A6-0077/2006), presentata dall’onorevole José Manuel García-Margallo y Marfil a nome della commissione per i problemi economici e monetari, sulla situazione dell’economia europea: relazione preparatoria sugli indirizzi di massima per le politiche economiche per il 2006 [2006/2047(INI)].
Günther Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli orientamenti economici integrati costituiscono il nucleo stesso della nuova politica per la crescita e l’occupazione con la quale cerchiamo di portare avanti l’agenda di Lisbona; sono integrati perché riflettono la presa di coscienza del fatto che non riusciremo a realizzare la missione di dare all’Europa più crescita e più posti di lavoro se non stabiliamo un legame diretto tra obiettivi macroeconomici, microeconomici e occupazionali.
Gli indirizzi economici costituiscono l’ambito nel quale gli Stati membri e le Istituzioni comunitarie fanno confluire i loro rispettivi piani per l’attuazione della strategia per la crescita e l’occupazione. La Commissione li ha presentati per la prima volta lo scorso anno, e sono grato al Parlamento per aver loro dedicato così tanta attenzione. Essi costituiranno infatti una guida – non solo nell’anno in corso ma anche successivamente – in merito a quello che stiamo pensando di fare e ai principi in base ai quali agiremo.
La realtà è che la strategia per la crescita e l’occupazione, che stiamo cercando di attuare da circa un anno, è un processo completamente nuovo. E’ ancora difficile esprimere un giudizio definitivo sugli elementi di questo nuovo processo, ma una cosa può essere detta oggi, anche se con molta cautela, ed è che gli Stati membri nei loro programmi nazionali di riforma si sono fatti sostanzialmente guidare dalle priorità definite negli orientamenti economici integrati, così come ha fatto la Commissione con la sua proposta di programma d’azione comunitario.
E’ importante segnalare che la strategia per la crescita e l’occupazione si basa su un ciclo triennale. E questo significa che non c’è l’intenzione di emendare gli orientamenti da un anno all’altro. Possono essere tuttavia adattati per tenere conto delle realtà che si sono modificate e delle lezioni che ci vengono dall’esperienza, e questo sarà naturalmente necessario, ma ora non vediamo alcuna ragione per modificare questi orientamenti per il 2006; essi costituiscono ancora una base solida per i dialoghi che la Commissione ha avviato con gli Stati membri, il cui obiettivo è quello di attivare concretamente i programmi nazionali di riforma.
(Applausi)
Per quanto riguarda i singoli pilastri della strategia, i miei colleghi, Commissari Almunia e Špidla, sicuramente potranno aggiungere qualcosa sui suoi aspetti macroeconomici e occupazionali. Io vorrei discutere brevemente della dimensione microeconomica e sottolineare i significativi progressi compiuti a questo riguardo in alcuni settori, in particolare per quanto concerne il tema fondamentale per il futuro economico dell’Europa, ossia la transizione verso la società basata sulla conoscenza e la sua trasformazione in economia basata sull’innovazione, la ricerca e lo sviluppo. Per questo motivo, abbiamo insistito così tanto sull’imposizione di obiettivi quantitativi per la ricerca e lo sviluppo.
Sapete sicuramente che si tratta di un settore in cui i programmi nazionali di riforma hanno prodotto esiti piuttosto deludenti: il risultato si è attestato al massimo al 2,2 per cento per il 2010, invece dell’auspicato 3 per cento. Nelle poche settimane di quest’anno durante le quali abbiamo potuto affrontare questo tema, siamo comunque riusciti a fare in modo che gli Stati membri si impegnino in misura più significativa. Se manterranno il loro impegno, potremo raggiungere il 2,6 per cento entro il 2010, il che rappresenta un miglioramento, ma – e devo essere molto chiaro al riguardo – non è sufficiente, e pertanto la Commissione continuerà a esercitare pressione su di loro.
Anche il Consiglio europeo, che si è tenuto due settimane fa e di cui discuterete domani, ne ha parlato e ha elaborato conclusioni su aspetti importanti dell’attuazione della strategia; vi rimando in particolare alle risoluzioni del Consiglio sulla promozione delle piccole e medie imprese, sul miglioramento del processo legislativo e sulla politica energetica.
Nell’ambito degli orientamenti, la discussione verte regolarmente sull’opportunità che la Commissione, nelle sue valutazioni future dei programmi nazionali di riforma, debba o meno trasmettere raccomandazioni specifiche ai paesi in questione. Nella prima tornata non l’abbiamo fatto per un motivo che reputiamo importante, ossia il fatto che non sapevamo come sarebbero stati i programmi nazionali di riforma. Vorrei però segnalare che la Commissione si riserva naturalmente la facoltà di includere raccomandazioni specifiche per paese nelle sue future relazioni intermedie, e di questa facoltà ci serviremo come e quando necessario.
Attualmente, tuttavia, mi sembra che la cosa più importante sia lavorare tutti insieme affinché il grande pubblico si renda conto che ora abbiamo una strategia comune per la crescita e la creazione di posti di lavoro, che abbiamo priorità comuni e che stiamo lavorando insieme per realizzarle.
(Applausi)
Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, sono d’accordo con la valutazione appena espressa dal Vicepresidente Verheugen sul modo in cui stiamo portando avanti la strategia di Lisbona riveduta che abbiamo attuato lo scorso anno.
Leggendo la relazione dell’onorevole García-Margallo sull’economia europea e gli indirizzi di massima per le politiche economiche, constato un notevole grado di consenso, consenso che abbiamo anche osservato in seno alla Commissione, con gli stessi obiettivi e lo stesso processo verso la loro realizzazione, in occasione dell’ultimo Consiglio europeo. Credo che questo consenso di base tra le tre Istituzioni europee sia fondamentale per la credibilità del processo e per l’accettazione degli obiettivi di questa strategia da parte di tutti i soggetti economici e sociali, non solo da parte delle Istituzioni europee e nazionali, e che sia una delle condizioni – che ritengo essenziale – per incrementare crescita e occupazione nell’Unione europea.
Per quanto riguarda le problematiche macroeconomiche, vorrei discutere di tre punti. In primo luogo, è chiaro che, come abbiamo detto in varie occasioni, e credo che a questo riguardo ci sia convergenza rispetto al punto di vista del Parlamento, era importante ottenere una maggiore sincronizzazione tra gli obiettivi della strategia di Lisbona, per assicurare più crescita e più occupazione, e l’applicazione del Patto di stabilità e crescita. Lo scorso anno ci siamo riusciti. Ora c’è più coordinamento e più intercorrelazione e mi sembra che si stiano raggiungendo risultati positivi nella pratica. L’economia europea sta compiendo maggiori progressi verso il consolidamento fiscale rispetto a un anno fa, e sappiamo che questa è una delle condizioni necessarie per una crescita più solida, in grado di generare occupazione. La fiducia dei soggetti economici migliora, i risultati d’attività sembrano indicare che nel 2006 si conseguiranno risultati migliori rispetto al 2005 e anche le prospettive che si delineano per il futuro sono positive.
In secondo luogo, sono assolutamente d’accordo con quanto afferma la relazione dell’onorevole García-Margallo in merito all’importanza di prestare maggiore attenzione alla sostenibilità delle finanze pubbliche e, in particolare, in merito alle modalità di affrontare le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione. Alcune settimane fa, la Commissione e il comitato di politica economica, in cui sono rappresentati tutti gli Stati membri, hanno pubblicato una relazione sulle conseguenze economiche e di bilancio dell’invecchiamento della popolazione. Le conseguenze sono significative, ma la relazione osserva anche che, agendo puntualmente e realizzando le riforme, come quelle contenute in molti programmi nazionali in attuazione della strategia di Lisbona e quelle che i vari Stati membri promuovono mediante loro iniziative interne, in particolare le iniziative del Commissario Špidla in campo demografico, i risultati diventano visibili, e ci sono paesi europei che oggi si trovano in una situazione migliore rispetto a cinque anni fa per quanto riguarda le azioni nei confronti dell’invecchiamento della popolazione. In ottobre, la Commissione pubblicherà una relazione in materia, che spero sarà anche discussa e verificata al Parlamento.
Un’ultima osservazione: mi fa molto piacere che, oltre a un’analisi generale dell’economia europea, del ruolo della strategia di Lisbona e dei vari strumenti contenuti negli indirizzi di massima per le politiche economiche per l’economia dei 25, la relazione dell’onorevole García-Margallo riporti un riferimento particolare alle sfide e alle necessità della zona euro, in cui i dodici paesi che condividono la moneta unica, l’euro, hanno bisogno di meccanismi di coordinamento e di un’attenzione particolare per ottenere i migliori risultati possibili dall’Unione economica e monetaria. Desideriamo ringraziare l’onorevole García-Margallo per aver segnalato questo aspetto nella sua relazione.
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, a nome della Commissione desidero ringraziare la relatrice, onorevole Kósáné Kovács, per l’eccellente relazione che ha presentato a nome della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. La relazione è doppiamente costruttiva: arricchisce le conoscenze di base e dovrebbe accelerare l’adozione da parte del Consiglio, rispetto a quanto avvenuto negli anni precedenti.
In occasione del Consiglio europeo di primavera si è affermato che l’Unione sarebbe stata in grado di creare due milioni di posti di lavoro all’anno. Sappiamo tuttavia che non sarà possibile creare posti di lavoro e ridurre la disoccupazione a meno che non approfittiamo dell’attuale crescita economica per portare avanti le riforme necessarie. Il Consiglio europeo ha confermato che gli orientamenti integrati rimangono validi e allo stesso tempo ha individuato le priorità sulle quali dovrebbe essere posta una maggiore enfasi. Mi fa piacere che la commissione parlamentare raccomandi un approccio simile e che non abbia accettato modifiche eccessive ai principi di base della politica per l’occupazione. Siamo inclini ad accettare le modifiche laddove giustificate, ma allo stesso modo e per la stessa ragione vogliamo attenerci alla formulazione originale del testo.
Lo scorso anno la strategia di Lisbona è stata ridefinita per quanto riguarda l’insieme integrato di principi fondamentali alla base della politica per l’occupazione e degli indirizzi di politica economica. La strategia ha una durata di tre anni, proprio per creare un quadro politico chiaro e stabile per gli organismi incaricati della sua attuazione. Uno studio condotto dalla Commissione sui primi programmi nazionali di riforma ha messo in evidenza alcune lacune in termini di attuazione da parte degli Stati membri, che tuttavia non compromettono la validità dei principi fondamentali. Sarebbe pertanto sbagliato dare a questo punto l’impressione che vogliamo modificare la direzione o il contenuto delle politiche. Il testo proposto dalla Commissione ha deliberatamente lasciato aperta la possibilità di integrare con priorità politiche specifiche gli elementi per i quali sia giustificato farlo. Si allinea pertanto al desiderio del Parlamento di includere tra questi punti alcuni elementi di natura economica e sociale che richiedono particolare attenzione, soprattutto nei casi in cui coincidono con le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo di primavera.
Il Consiglio europeo ha posto l’enfasi sulla necessità di incrementare l’occupazione tra i giovani, le donne, gli anziani e le persone con problemi di salute, gli immigrati legali e le minoranze. Nel caso dei giovani, è stato confermato l’obiettivo di ridurre del 10 per cento il numero degli studenti che non terminano gli studi e di offrire a tutti i giovani un posto di lavoro, esperienze lavorative e corsi di specializzazione entro i sei mesi successivi alla conclusione degli studi entro il 2007 ed entro i quattro mesi successivi alla conclusione degli studi entro il 2010, come stabilito dagli attuali principi fondamentali. Nel caso dei lavoratori anziani, l’accento è stato posto sulla necessità di introdurre una strategia integrata basata su posti di lavoro di qualità e formazione specialistica. Per quanto concerne poi le pari opportunità tra uomini e donne, il Consiglio europeo di primavera ha adottato il Patto europeo per la parità tra i generi, e il Consiglio ha anche approvato la proposta della Commissione di avviare un dibattito approfondito che dovrebbe portare all’adozione di principi comuni nel settore della flessibilità e della sicurezza (“flessicurezza”) entro la fine del 2007. L’obiettivo di questa discussione con gli Stati membri e le parti sociali è quello di ridurre la segmentazione del mercato del lavoro e di realizzare il giusto equilibrio tra flessibilità e sicurezza.
Inoltre vorrei esprimere tutta la mia soddisfazione per il fatto che la proposta della Commissione di costituire un fondo europeo per l’adeguamento alla globalizzazione sia stata favorevolmente accolta al Vertice di primavera, a testimonianza della volontà di fare un uso più efficace dei fondi comunitari per sostenere la strategia europea per l’occupazione, conformemente agli auspici del Parlamento europeo.
PRESIDENZA DELL’ON. ONYSZKIEWICZ Vicepresidente
Magda Kósáné Kovács (PSE), relatore. – (HU) Ai cittadini europei non piacciono le parole cifrate utilizzate dagli esperti. Purtroppo, anche il “processo di Lisbona” sta cominciando a diventare una frase cifrata, sebbene rappresenti il nostro futuro comune. Se gli Stati membri dell’Unione sono competitivi, avremo più posti di lavoro migliori. Se più persone trovano lavoro, si ridurrà la povertà. Sarebbero così disponibili più risorse per la riforma dei sistemi sociali che ci consentirebbero di preservare il nostro ambiente per i nostri nipoti. Desidero sottolineare con forza che, se il lavoro non è accompagnato e sostenuto dalla sicurezza sociale, non può produrre risultati economici significativi. E se questo è vero, e lo è, possiamo accogliere favorevolmente la decisione del Consiglio e della Commissione secondo cui gli Stati membri dovrebbero valutare l’attuazione delle direttive sull’occupazione e lo sviluppo economico in direttive integrate, esaminando i due aspetti in relazione l’uno con l’altro. Possiamo osservare che il quadro si è arricchito, soprattutto per il fatto che la commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha ora valutato i piani d’azione di 25 Stati membri. La commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha accettato che, sulla base degli accordi interistituzionali, il Parlamento non modificherà gli orientamenti ogni anno – e credo che questo vada anche nell’interesse degli Stati membri – e che li modificherà unicamente nel caso in cui si verifichino problemi sul mercato del lavoro dell’Unione europea. Allo stesso tempo, nelle specifiche degli obiettivi politici – contenute nel preambolo – abbiamo ritenuto importante includere nel documento del Parlamento le lezioni tratte dalla prima relazione elaborata dopo l’adesione dei dieci nuovi Stati membri all’Unione europea. La Commissione ha espresso un accordo quasi unanime su una partecipazione più attiva del Parlamento alla verifica dell’applicazione degli orientamenti. A tale riguardo, contatteremo il funzionario competente della Commissione. Nella mia relazione, ho voluto integrare la presentazione della Commissione su tre questioni di principio che rivestono molta importanza; i miei colleghi, i membri della commissione, hanno dato un contribuito significativo al fine di garantire che tali questioni fossero presentate in modo chiaro e comprensibile. In primo luogo, abbiamo attirato con grande forza l’attenzione sul miglioramento delle opportunità sul mercato del lavoro per i gruppi sociali in vario modo sfavoriti. E, come ricordato dai Commissari, questa è anche una premessa per un’ulteriore crescita economica. Una grande riserva di cui si dispone per aumentare le risorse del mercato del lavoro consiste, in primo luogo, nell’accrescere l’attività delle donne, in secondo luogo nel mantenere i lavoratori anziani o non più giovanissimi nel mercato del lavoro o incoraggiarne il rientro e, terzo, nell’aiutare i giovani a trovare lavoro e a entrare nel mercato del lavoro. Riteniamo tuttavia che l’eliminazione degli svantaggi che oggi tengono molte persone lontane dal mercato del lavoro sia almeno altrettanto importante. Attiriamo inoltre l’attenzione sull’anomalia che fa sì che i lavoratori provenienti dai paesi terzi godano talvolta, sul mercato del lavoro, di una posizione più favorevole di quella dei cittadini dei nuovi Stati membri. Avremo la possibilità di discutere di questo aspetto nell’ambito del dibattito sulla relazione Őry, ma vorrei comunque già segnalare che, alla luce di quanto abbiamo recentemente saputo, desideriamo dare il benvenuto ai Paesi Bassi nel “club dei 6” (come settimo paese, dal 2007). Terza e ultima osservazione, riteniamo che, senza prospettive finanziarie a lungo termine, non sia nemmeno possibile dotare gli Stati membri delle risorse sufficienti per svolgere i compiti definiti come obiettivi fondamentali negli orientamenti integrati.
Le parole cortesi sono qui d’uso, ma questa non è né cortesia né forza dell’abitudine: desidero rivolgere un sincero ringraziamento ai miei colleghi – a prescindere dalla loro affiliazione politica – e ai rappresentanti dei vari gruppi politici per il loro aiuto e il loro contributo, in particolare all’onorevole Ana Mato Adrover, correlatrice per questa relazione. Nutriamo la speranza che la frase “unità attraverso la diversità” non sia solo uno slogan, ma anche un’opportunità.
José Manuel García-Margallo y Marfil (PPE-DE), relatore. – (ES) Signor Presidente, signori Commissari, negli scorsi anni la discussione degli indirizzi di massima per le politiche economiche ci ha provocato non poche preoccupazioni.
Per evitare che le preoccupazioni siano così gravi anche quest’anno, mi limiterò a tre domande: perché il Parlamento ha deciso di elaborare una relazione anche se la Commissione ha deciso di ratificare le relazioni precedenti? Come possiamo fare in modo che le nostre relazioni siano ascoltate? E terzo, che cosa vogliamo che senta la Commissione?
In primo luogo, perché una relazione? Perché le relazioni precedenti contenevano enormi quantità di raccomandazioni di cui la Commissione non ha tenuto conto. Secondo, perché, da quando abbiamo discusso la relazione precedente, sono intervenuti nuovi fattori: il relativo fallimento della Costituzione europea, le nuove prospettive finanziarie, qualche aumento dei tassi di interesse, tre candidati che chiedono di aderire alla zona euro e il round di Doha, che porta avanti i negoziati commerciali di Hong Kong.
Secondo, perché ci sono certi fattori che abbiamo già inserito in altre relazioni ma che sono diventati più importanti con il tempo. Il Commissario Almunia ha fatto riferimento all’invecchiamento della popolazione, ma dovremmo discutere anche delle conseguenze dell’immigrazione, dell’impatto delle importazioni cinesi, una volta terminate le restrizioni quantitative, degli squilibri mondiali, fondamentalmente rispetto agli Stati Uniti, e infine della crisi energetica.
Che cosa possiamo fare perché la nostra voce sia ascoltata? La relazione è stata redatta in uno spirito di consenso, il che ha obbligato molti di noi a cedere su certe nostre posizioni, e di questo desidero ringraziare in particolare tutti i rappresentanti degli altri gruppi parlamentari.
Se vogliamo essere ascoltati, la prima cosa da ricordare è che in passato non lo siamo stati. Questa relazione inizia con una sorta di cahier de doléances, un elenco di raccomandazioni che abbiamo fatto e che la Commissione non ha tenuto in considerazione.
Abbiamo chiesto il recepimento di direttive, che non sono state recepite, la riduzione dei disavanzi – il Commissario Almunia ha segnalato che 12 dei 25 Stati membri hanno attualmente un disavanzo eccessivo – una comunicazione sulla globalizzazione per spiegare chiaramente ai cittadini le opportunità e le sfide che essa comporta – se questa comunicazione ci fosse stata, ci avrebbe risparmiato qualche preoccupazione – nonché l’applicazione delle Carte per le piccole e medie imprese, ma nemmeno questo è stato fatto.
Secondo, la relazione affronta quelle che potremmo definire questioni istituzionali, di natura costituzionale o non costituzionale. Durante questo periodo di riflessione attiva – che non è né di riflessione né attiva – stiamo affrontando le tematiche trascurate dalla Convenzione e che non avevano trovato risposta: quali sono gli obiettivi e le competenze dell’Unione? Quali sono le responsabilità della Banca centrale europea, pur nel rispetto della sua indipendenza in qualsiasi momento? Che cosa dovremmo fare per rafforzare il Patto di stabilità e crescita? Quali sono le basi giuridiche per la modifica dell’imposizione fiscale nell’Unione e negli Stati membri?
C’è una raccomandazione esplicita di cui vorrei chiedere alla Commissione di tenere particolare conto: il Parlamento non approverà nessuna direttiva mediante la procedura Lamfalussy se il problema del diritto di avocazione o call-back non sarà risolto entro il 2008, in definitiva poi la rappresentanza internazionale della zona euro.
Il Vicepresidente della Commissione ha parlato del coordinamento degli indirizzi di massima per le politiche economiche e degli orientamenti a favore dell’occupazione in un unico documento: è vero, ma tali orientamenti sono ancora oggetto di procedure di informazione e consultazione diverse, motivo per cui sono difficili da capire. Inoltre, è necessario integrare altri documenti per evitare che il quadro sia frammentario.
Per quanto riguarda l’imposizione fiscale in senso istituzionale, esortiamo la Commissione a rispondere a quanto detto dall’Alta Corte di giustizia: una definizione uniforme della residenza fiscale, come estensione della cittadinanza, il principio di non discriminazione e una convenzione sulla doppia imposizione fiscale. Per quanto riguarda il coordinamento, mi hanno fatto piacere le gentili parole del Commissario Almunia: è vero che dobbiamo assicurare un maggiore coordinamento, elaborare una diagnosi precisa e definire una cura corretta, un’analisi di quanto è avvenuto, e definire il ruolo dell’Eurogruppo.
Nell’ambito della politica macroeconomica, non entriamo nella problematica dei tassi di interesse, non esprimiamo il nostro parere. Diciamo che dobbiamo fare tutto il possibile per garantire che i prezzi non aumentino e che gli interessi rimangano bassi. Parliamo del debito pubblico, con i termini utilizzati dal Commissario: meno interessi, meno rimborsi significa spendere di più per l’invecchiamento, più Lisbona.
Per quanto concerne il clima imprenditoriale, chiediamo una riflessione seria. Gli Stati Uniti sono davanti a noi. 144 tra le prime imprese del mondo sono imprese dell’Unione europea, mentre nel caso degli Stati Uniti, la cifra è di 206. Le piccole e medie imprese raddoppiano il numero dei dipendenti nei primi due anni, cosa che non accade in Europa. Chiediamo che sia applicata la discriminazione positiva a favore delle piccole e medie imprese, soprattutto per quanto riguarda il finanziamento del capitale di rischio.
Per quanto concerne l’imposizione fiscale, in parole povere, chiediamo che alle imprese sia applicata l’imposizione fiscale del paese della sede, in applicazione del principio del luogo di origine utilizzato per l’IVA.
Non ho nulla da dire per quanto concerne il capitale umano. La collega ha affrontato molto bene questo punto.
Per gli investimenti: reti transeuropee. Ci vorrebbero 20 anni per finirle.
Energia, ricerca + sviluppo + innovazione, più mercato, più concorrenza, più competitività.
(Applausi)
Ana Mato Adrover, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero iniziare sottolineando l’ottimo lavoro e la splendida cooperazione della relatrice, onorevole Kósáné Kovács, e congratularmi con lei per l’impegno messo in atto e per la relazione che ha presentato.
Come ben sappiamo, poco meno di un anno fa sono stati approvati gli orientamenti a favore dell’occupazione, e in quell’occasione ho avuto l’onore di essere relatrice. Detti indirizzi definivano l’approccio generale all’occupazione e le priorità per i successivi tre anni, e il loro obiettivo era quello di dare un contributo efficace alla crescita dell’occupazione, alla produttività dell’economia e, naturalmente al rafforzamento dell’inclusione sociale e della coesione.
Questi orientamenti, discussi congiuntamente con gli indirizzi di massima per le politiche economiche, che quest’anno sono stati brillantemente presentati dall’onorevole García-Margallo y Marfil, sono stati ripresi e tradotti in obiettivi concreti nei programmi nazionali di riforma, approvati poco meno di sei mesi fa dagli Stati membri. Per buon senso – sono stati approvati meno di un anno fa e coprono tre anni – e in ragione del loro stesso contenuto, ci siamo limitati ad aggiornarli.
Che cosa ha riguardato questo aggiornamento? Tre ampie aree.
In primo luogo, abbiamo ripreso i temi prioritari evidenziati in occasione dei grandi Vertici europei tenutisi quest’anno: primo, gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione e la diffusione delle tecnologie dell’informazione, un aspetto ancora molto lontano dalla piena realizzazione degli obiettivi di Lisbona; secondo, vere pari opportunità, elemento sempre sostenuto dal nostro gruppo e che include l’integrazione delle donne, la loro permanenza e possibilità di avanzamento nel mercato del lavoro e, naturalmente, parità salariale; e, terzo, sosteniamo con convinzione un’occupazione stabile, e lo dico perché la maggior parte dei posti di lavoro che si creano sono precari. Nel mio paese, per esempio, il 52 per cento del totale dei posti di lavoro creati negli ultimi due anni è interinale, e questo è inaccettabile.
Secondo, abbiamo ribadito certi temi fondamentali che non sono stati adeguatamente trattati dalla Commissione. Nella lotta contro gli infortuni sul lavoro, abbiamo sostenuto un ampio consenso a livello europeo, che riteniamo essenziale, perché in Spagna, per esempio, 990 lavoratori hanno perso la vita nel 2005, e anche aiuti per facilitare la ricerca di un posto di lavoro per le vittime della violenza domestica.
Infine, poiché stiamo procedendo a un aggiornamento, vogliamo che il Parlamento possa controllare gli orientamenti e il loro rispetto da parte degli Stati membri.
(Applausi)
Udo Bullmann, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, Commissario Verheugen, Commissario Almunia, Commissario Špidla, onorevoli colleghi, siamo tutti d’accordo che il mercato unico europeo ci offre una grande opportunità: l’opportunità per noi, con i nostri 450 milioni di abitanti o giù di lì, di trovare la nostra strada nella globalizzazione, una strada che deve essere caratterizzata dalla prosperità economica e da finanze solide e che produca allo stesso tempo risultati concreti per i comuni cittadini.
La domanda che ci dobbiamo porre – e questo dibattito è fondamentale a tal fine – è la seguente: ci siamo davvero dotati di tutti gli strumenti di cui avremo bisogno durante questo viaggio e stiamo davvero utilizzando nel modo corretto gli strumenti di cui disponiamo per dare al mercato interno la cornice più adeguata e influenzare i processi di sviluppo economico a lungo termine?
Vorrei esprimere due osservazioni che travalicano il contesto del dibattito odierno e queste relazioni. Non riusciremo a realizzare questo obiettivo se non faremo in modo – e presto – di dare all’Unione europea una base finanziaria indipendente e responsabile, e non ci riusciremo nemmeno se non parleremo dei temi tabù, come per esempio la necessità di una politica fiscale comune in questa nostra Unione europea.
La ragione per cui lo dico è che, nella situazione economica in cui ci troviamo, nessun tabù, di nessun tipo, può più essere giustificato. Chiunque porti un soffio d’aria nuova nella discussione ha il mio sostegno. Infatti, se consideriamo la situazione economica, ci rendiamo conto che non possiamo permetterci di continuare ad accettare i dibattiti ritualistici e di lasciare fuori dall’Aula e dai nostri dibattiti questa aria nuova. Nel 2005, il nostro sviluppo economico è stato inferiore ai livelli del 2004; la nostra disoccupazione è tuttora elevata a un livello preoccupante che si aggira attorno al 9 per cento, mentre la disoccupazione di lungo periodo in particolare ha ripreso a crescere. Mi fa molto piacere sentire il Commissario Almunia dire – e le sue parole trovano il mio pieno appoggio – che ci sono segnali che indicano che l’economia si sta sviluppando nella giusta direzione, ma devo dirgli che non c’è alcuna garanzia che l’Unione europea sia in grado di stimolare la propria ripresa.
Per questo dobbiamo parlare dei punti che devono essere iscritti all’ordine del giorno. Quando introdurremo finalmente nell’Unione europea una politica comune di investimenti? E’ la cosa più urgente da fare. Quando cominceremo ad investire, come Comunità, in ricerca e sviluppo? Negli ultimi dieci anni siamo riusciti ad accrescere tali investimenti dall’1,8 all’1,9 per cento. Quando inizieremo a fare investimenti migliori e a più lungo termine nell’istruzione, con una strategia coordinata negli Stati membri? Quando inizieremo ad utilizzare il grande potenziale dell’efficienza energetica? E’ qui la chiave per la prossima rivoluzione tecnologica, e allora mettiamoci al lavoro!
In questo settore, dove investono gli Stati membri? Dove è la guida della discussione a livello europeo in materia? Se guardiamo al settore dei trasporti, talvolta abbiamo l’impressione che dovremmo forse riscrivere il Libro bianco di Delors, viste le numerose lacune in termini di recepimento in questo settore, e se le affrontassimo e investissimo di più, potremmo fare qualche progresso.
Le strutture per l’infanzia costituiscono uno dei temi centrali. Se investiamo di più per le strutture per l’infanzia, i tassi di natalità aumenteranno e aumenterà il numero degli attivi – in particolare donne – nel mercato del lavoro; è dimostrato chiaramente dalle statistiche. Sosteniamo tutti coloro che vogliono fare progressi in questo settore.
Vi esorto, una volta per tutte, a dare una corretta base istituzionale alla cooperazione con il Parlamento; se lo farete, vedrete che non sarà più necessario – e ringrazio l’onorevole García-Margallo per averlo segnalato – passare il nostro tempo a redigere solo relazioni di iniziativa, ma le discussioni in Aula avranno una base diversa e stabile.
Margarita Starkevičiūtė, a nome del gruppo ALDE. – (LT) Un po’ di tempo fa, gli scienziati hanno affermato che non ci sono medicine miracolose che possono aiutarci a creare posti di lavoro, a risolvere tutti i problemi di occupazione e a incoraggiare la competitività, ma che esistono invece molteplici fattori e che dobbiamo semplicemente trovare la giusta combinazione tra di essi. Il problema è che questa combinazione di fattori varia da paese a paese e deve tenere conto delle specificità dell’economia nazionale. Sulla scorta dell’esperienza sfortunata del Fondo monetario internazionale relativamente al tentativo di creare un unico modello universale, non sappiamo se dobbiamo cercare di creare un modello di strategia economica su scala europea. Credo che occorra sottolineare tre punti fondamentali. Primo, dovremmo condividere la posizione dell’onorevole García-Margallo secondo cui dobbiamo consolidare tutti i documenti di politica economica; ce ne sono troppi e sono ripetitivi. Secondo, dobbiamo individuare un meccanismo di interazione tra le strategie economiche a livello nazionale ed europeo. E terzo, tutto questo può essere realizzato definendo priorità chiare e concrete che si integrino a vicenda.
Elisabeth Schroedter, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli colleghi, il Commissario ha detto che il posto giusto per gli orientamenti per le politiche a favore dell’occupazione è al centro della strategia di Lisbona, e su questo ha ragione. Gli orientamenti per le politiche a favore dell’occupazione non servono solo come base formale per i programmi nazionali per l’occupazione, ma fanno sentire la loro influenza anche sulla forma e sullo sviluppo dei mercati del lavoro nazionali, e quindi non è irrilevante che il Consiglio porti a casa senza troppe difficoltà il quarto pilastro della politica europea per l’occupazione, le pari opportunità per le donne nel mercato del lavoro. Le donne sono colpite più duramente dalla disoccupazione degli uomini; sono ancora loro a occupare la maggior parte dei posti a tempo parziale. Guadagnano ancora il 15 per cento in meno degli uomini per lavori comparabili e hanno meno opportunità di carriera. Per loro è tuttora più difficile rientrare nel mercato del lavoro, soprattutto laddove non ci sono strutture per l’infanzia aperte tutto il giorno, ad ampia diffusione territoriale e gratuite.
L’integrazione della dimensione di genere deve essere ancora sostenuta da misure proattive per promuovere gli interessi delle donne, e sono pertanto veramente grata all’onorevole Kósáné Kovács per averci dato la possibilità di trovare un accordo su un compromesso, almeno nei considerando, al fine di integrare negli orientamenti indicatori misurabili per la promozione delle pari opportunità.
Desidero anche attirare la vostra attenzione su un secondo emendamento. Vogliamo che sia cancellato l’orientamento 22. Crediamo che i salari debbano essere stabiliti dalle parti sociali e debbano essere tenuti fuori dalle risoluzioni politiche. Non posso fare a meno di notare, con mia grande preoccupazione, che in Aula sembra esserci un accordo tacito tra i due gruppi principali per fare in modo che in futuro le decisioni politiche governative, sotto forma di programmi nazionali per l’occupazione, garantiscano l’allineamento dell’andamento salariale all’aumento della produttività nel ciclo economico. Credevo che l’economia pianificata, che conoscevamo bene nell’ex Germania dell’est, fosse stata bandita dall’Europa una volta per tutte, fino a quando mi sono resa conto che gli orientamenti prevedono il sostegno da parte del Fondo sociale europeo. Sarebbe incoerente che fosse il Fondo sociale europeo a stabilire i salari: questo è un compito che viene svolto benissimo dalle parti sociali e dovrebbe rimanere di loro competenza.
Ilda Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Per la maggior parte, gli orientamenti integrati per la crescita dell’occupazione contengono i principali ostacoli a una vera politica per l’occupazione che privilegi la creazione di posti di lavoro di elevata qualità tutelati da diritti, la coesione sociale e territoriale e il benessere dei cittadini.
Questo avviene innanzi tutto perché si privilegiano la garanzia della stabilità economica, l’ampliamento e il consolidamento del mercato interno, l’apertura dei mercati e la promozione della concorrenza, come pure la creazione di un ambiente più favorevole all’impresa. Tutto questo è musica per le orecchie dei grandi gruppi economici e finanziari e per i signori del commercio internazionale, che, godendo dei frutti dello sfruttamento della manodopera a basso costo dei paesi terzi, preferiscono l’elevatissima redditività derivante dalla delocalizzazione della produzione al mantenimento e allo sviluppo di posti di lavoro tutelati da diritti negli Stati membri dell’Unione.
Oltre tutto, gli orientamenti per l’occupazione sono troppo vaghi, in quanto trascurano aree fondamentali, come la necessità di accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e di assicurare posti di lavoro di elevata qualità tutelati da diritti. Tale intervento potrebbe aiutarci a combattere quella discriminazione a livello salariale e di progressione di carriera di cui continuano a essere vittime le donne, e non porterebbe alla creazione di posti di lavoro precario, miseramente pagati, come quelli di oggi.
E’ anche fondamentale dare un impulso alle economie regionali, promuovere le microimprese e le piccole e medie imprese e creare posti di lavoro in regioni in cui il livello di disoccupazione è elevato.
Anche le famiglie devono essere aiutate, sia per quanto riguarda la riorganizzazione e la riduzione dell’orario di lavoro, senza perdita di diritti, sia per quanto riguarda gli investimenti nei servizi pubblici per sostenere la famiglia, in quanto si contribuirebbe così a creare posti di lavoro meglio rispondenti alle esigenze locali e regionali. Sono pertanto urgenti investimenti pubblici più elevati nei settori della sanità, degli alloggi e della garanzia di accesso a istruzione e formazione di alto livello e gratuite. In tale ottica abbiamo avanzato una proposta volta ad allegare questi orientamenti alle proposte presentate, poiché riteniamo sia fondamentale integrarli negli orientamenti per l’occupazione.
Eoin Ryan, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, gli indirizzi di massima per le politiche economiche sono fondamentali al fine di fornire un quadro coerente in grado di guidare gli Stati membri verso la realizzazione degli obiettivi di Lisbona. La sfida per l’Irlanda e per l’Europa sarà quella di applicare gli indirizzi convenuti attraverso programmi nazionali di riforma. E’ di fondamentale importanza che l’Europa acquisisca stabilità economica.
Respingo tuttavia con determinazione tutte le sezioni di questa relazione che chiedono di appoggiare la base imponibile comune consolidata proposta dalla Commissione per le società. La definizione di una base comune è intrinsecamente legata a un’aliquota armonizzata. Gli Stati membri devono essere realistici e riconoscere che l’introduzione di una base imponibile comune non è che la prima di una lunga serie di azioni dirette all’armonizzazione fiscale.
Non è giusto che l’Irlanda o qualsiasi altro Stato membro intervengano nella definizione dell’aliquota fiscale di un altro Stato membro. L’unità dell’Europa non è compromessa dalla diversità delle politiche fiscali; è vero invece che la competitività dell’Unione europea è indebolita da politiche fiscali sbagliate. La concorrenza può avere effettivamente un effetto di armonizzazione. Credo che la concorrenza fiscale armonizzi le opportunità all’interno dell’Unione europea e consenta ai paesi piccoli alla periferia dell’Unione di essere concorrenziali.
Infine, accolgo in modo generalmente favorevole il ruolo degli aiuti di Stato in vista del sostegno agli obiettivi di Lisbona. Tuttavia, desidero sottolineare che le regole in materia di aiuti di Stato non dovrebbero essere utilizzate per impedire all’Irlanda o a qualsiasi altro Stato membro di competere con paesi non membri dell’Unione europea per assicurarsi investimenti diretti esteri rilevanti. L’Europa ha bisogno di flessibilità per progredire e fare fronte alle sfide della globalizzazione. L’Europa deve riformare le proprie economie e tutti i paesi dovrebbero farlo.
Derek Roland Clark, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, la relazione sulle politiche a favore dell’occupazione è sovraccarica di frasi chiave il cui tono è chiaro sin dall’inizio: legislazione, procedure comunitarie di controllo e di esecuzione. Poi abbiamo la particolare importanza dei lavoratori giovani e anziani; e ancora l’Unione europea senza barriere – eliminiamole, dice – con priorità chiare e misurabili; revisione degli orientamenti ogni tre anni, ma il Parlamento deve essere più attivo negli intervalli; verifica dei programmi nazionali di riforma degli Stati membri. Bene, facciamo tutto questo. I francesi hanno optato per una settimana lavorativa di 35 ore, non di 48 ore. Ma quando lo scorso anno ha preso corpo la direttiva sull’orario di lavoro, molti lavoratori francesi hanno protestato per l’interferenza dell’Unione europea.
I lavoratori portuali hanno protestato all’inizio dell’anno per altre interferenze dell’Unione europea. Le città francesi sono ora sotto assedio a causa di nuove politiche in materia di occupazione giovanile. Chi dirà a Chirac o a de Villepin che si sbagliano, che non rispettano gli orientamenti? Voi no, naturalmente. I francesi si governeranno da soli, come dovremmo fare tutti, in quanto democrazie adulte. Ma la cosa più disastrosa di tutte è l’orientamento 19: revisione costante degli incentivi e dei disincentivi derivanti dai sistemi fiscali e di indennità. Un collega stamattina ha già parlato di una politica fiscale comune. E’ questo l’inizio dell’armonizzazione delle politiche fiscali nell’Unione europea – che si era detto non ci sarebbe mai stata? Onorevoli colleghi, i vostri regimi fiscali sono in pericolo. Siete stati avvisati!
Jana Bobošíková (NI). – (CS) Le relazioni oggetto del dibattito odierno forniscono un chiaro quadro del triste stato dell’economia dell’Unione europea e individuano correttamente le sue cause: inadeguatezza del quadro regolamentare, mancanza di riforme strutturali e sociali e mancanza di flessibilità nell’economia. Abbiamo anche un dinamismo insufficiente a livello di imprese, mercati del lavoro deboli, una crescita lenta della produttività, assenza di investimenti, assenza di innovazione e sistemi di istruzione e formazione di scarsa qualità. Qui chiediamo di incoraggiare lo spirito imprenditoriale, di ridurre i costi del lavoro e di migliorare gli standard dell’insegnamento della matematica e delle scienze naturali. La descrizione è molto succinta, ma molto ipocrita. Il Parlamento potrebbe adottare iniziative concrete per la produttività, la flessibilità e per incoraggiare l’imprenditorialità e liberalizzare nella sostanza – e non solo nella forma – il mercato dei servizi, invece di cedere con codardia ai manifestanti che dimostrano poco lontano da qui. Temo che le relazioni di oggi non porteranno ad alcun risultato fino a quando i governi avranno lo stesso atteggiamento populistico e ipocrita di questo Parlamento, non affronteranno verità difficili e non adotteranno misure scomode ma necessarie per la sopravvivenza.
José Albino Silva Peneda (PPE-DE). – (PT) Signor Presidente, in un momento in cui il fenomeno della globalizzazione interviene su molti degli aspetti dei sistemi economici e sociali di tutti i nostri paesi, dobbiamo essere consapevoli del fatto che ogni ostacolo alla libera circolazione di persone, beni, capitali e servizi costituisce un grave ostacolo alla competitività, alla crescita e alla creazione di posti di lavoro. Il concetto secondo cui gli interessi di un dato paese possono essere tutelati limitando la libertà di circolazione all’interno dell’Unione europea è una vana illusione. Questo tipo di atteggiamento può funzionare come panacea a breve termine, ma non potrà mai risolvere le sfide cui è confrontata l’Unione.
Affinché l’Europa possa conquistarsi una posizione più solida in un mondo sempre più globalizzato, deve come prima cosa portare avanti la liberalizzazione dei mercati. Come ben sappiamo, la situazione demografica nel continente europeo e il fenomeno della globalizzazione ci obbligano ad attuare una serie di riforme dei modelli sociale ed economico di molti Stati membri dell’Unione europea. Maggiore è la crescita economica in Europa, più semplice sarà realizzare queste riforme, ma perché tale crescita ci sia, il mercato interno deve funzionare nella sua integrità. Mentre l’Europa cresce a tassi dell’1, 2 o anche 3 per cento, è molto difficile attuare queste riforme, così vitali per la pace e la stabilità sociale nell’Unione europea.
Desidero pertanto sottolineare il fatto che il completamento del mercato interno comporta naturalmente una componente economica, ma c’è un altro elemento cruciale, ossia la politica sociale. E questo è un altro motivo per il quale appoggio l’impegno che la Commissione ha finora messo in atto in tale settore.
Vorrei esprimere un’ultima osservazione sulla libera circolazione dei lavoratori. Erigendo barriere di un certo tipo alla libera circolazione dei lavoratori, alcuni Stati membri si trovano in realtà nella situazione assurda in cui favoriscono l’accesso ai posti di lavoro dei lavoratori di paesi terzi, privilegiandoli rispetto a quelli dei nuovi Stati membri.
Jan Andersson (PSE). – (SV) Signor Presidente, desidero ringraziare la relatrice, onorevole Kovács, per il lavoro molto costruttivo. Noi del Parlamento naturalmente ci siamo espressi a favore di orientamenti a lungo termine che coprano un periodo di tre anni e siano integrati. Una volta introdotti adeguati orientamenti integrati e a lungo termine, sarà fondamentale esaminare i programmi nazionali di riforma. E’ importante che lo faccia la Commissione, ma è anche importante che il Parlamento sia coinvolto nell’esame dei programmi nazionali di riforma e nel seguito che viene loro dato.
Il Commissario Almunia ha detto che le prospettive economiche sono migliorate. E’ vero, ma la situazione dell’occupazione in Europa è tutto tranne che incoraggiante. E’ sicuramente possibile migliorarla, ma consentitemi di affrontare tre aspetti estremamente preoccupanti.
Primo, il problema della disoccupazione giovanile. E’ causa di grande preoccupazione perché, se i giovani finiscono di studiare e si trovano immediatamente disoccupati – e oltre tutto, per lunghi periodi – è difficilissimo farli poi rientrare nel mercato del lavoro. Non credo nel modello francese e non credo nemmeno, come hanno detto molti altri partiti, che l’occupazione possa essere incrementata rendendo meno sicuro un gruppo piuttosto che un altro. L’occupazione può essere stimolata attraverso politiche industriali e del mercato del lavoro proattive.
Per quanto riguarda i lavoratori anziani, ci troviamo di fronte ad un dilemma: nell’Unione europea i lavoratori lasciano il mercato del lavoro troppo presto. I lavoratori anziani devono avere la possibilità di sviluppare maggiormente le loro competenze, ma dobbiamo anche migliorare la salute e la sicurezza nel luogo di lavoro.
Passo infine all’uguaglianza di genere, che deve essere applicata ovunque. Accolgo con favore il Patto per la parità di genere che è, o diverrà, parte integrante del processo di Lisbona. E’ importante in particolare che le strutture per l’infanzia e altri settori siano sviluppati affinché sia gli uomini sia le donne possano lavorare e avere allo stesso tempo una vita familiare soddisfacente. Vorrei che includeste questi aspetti.
Wolf Klinz (ALDE). – (DE) Signor Presidente, il problema principale dell’Unione europea è l’elevata disoccupazione. Se vogliamo che i nostri 20 milioni di disoccupati ricomincino a guadagnarsi da vivere, è necessario modificare la politica, in pratica e non solo in teoria. Gli orientamenti costituiscono lo strumento principale per coordinare le politiche economiche degli Stati membri con l’efficacia necessaria, ma finora, in pratica, i progressi sono stati purtroppo insoddisfacenti.
Il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa chiede pertanto un nuovo impegno; vogliamo dagli Stati membri politiche di bilancio più solide, vere riforme strutturali del mercato del lavoro, della sanità e del sistema pensionistico, e più investimenti per istruzione e ricerca. A livello europeo, chiediamo la creazione di una base imponibile comune per le società, miglioramenti dei regimi IVA, adozione della 14a direttiva sul diritto societario, che favorirà l’internazionalizzazione delle imprese, ulteriori riduzioni delle sovvenzioni, introduzione di un brevetto comunitario e apertura coerente dei mercati. Solo dopo aver fatto ordine a casa nostra, potremo pensare all’introduzione di imposte comunitarie, che è quello che vuole l’onorevole Bullmann. Solo se ci sarà un vero cambiamento della politica, l’Europa sarà in grado di affrontare in modo efficiente le grandi sfide.
Jiří Maštálka (GUE/NGL). – (CS) Onorevoli colleghi, vorrei iniziare rivolgendo i miei più sinceri ringraziamenti all’onorevole Kovács per la sua relazione. La relatrice ha affrontato alcuni temi fondamentali in materia di occupazione che nella fase attuale – in cui siamo ossessionati dalla crescita economica – sono spesso trascurati. Tra questi vi sono i temi delle pari opportunità per uomini e donne, l’accesso all’occupazione per i giovani e gli anziani, salute e sicurezza nel luogo di lavoro in tutta l’Unione. Alla luce dell’esperienza della Repubblica ceca e delle conversazioni con i colleghi, e considerando anche la situazione attuale in Francia, so che il problema del primo impiego per i laureati, per esempio, è spesso uno dei più impegnativi.
Malgrado il fatto che la Commissione europea si sia impegnata in vista di una soluzione, le raccomandazioni e gli strumenti della Commissione europea finora non hanno avuto molti effetti, in parte a causa dell’attuazione disomogenea negli Stati membri, come ha affermato anche la relatrice. Proprio questo aspetto dovrebbe essere al centro della nostra attenzione, unitamente alla discriminazione basata sull’età nel mercato del lavoro. Quello delle pari opportunità per uomini e donne sul mercato del lavoro è incontestabilmente un tema importante. Sappiamo dalle statistiche che, anche se le donne costituiscono un segmento sempre più grande della società, questa tendenza non si riflette nella loro quota di occupazione. Ma la cosa che colpisce di più è la proporzione di donne che rivestono incarichi dirigenziali. Dobbiamo esortare gli Stati membri ad applicare scrupolosamente le leggi antidiscriminatorie, per invertire tale tendenza.
Guntars Krasts (UEN). – (LV) Grazie, signor Presidente. Innanzi tutto, desidero ringraziare la relatrice per aver attirato l’attenzione, nella relazione, sulle restrizioni che impediscono la libera circolazione dei lavoratori nel mercato interno dell’Unione europea.
Purtroppo, l’ultimo allargamento dell’Unione europea è stato percepito nel mercato interno come una minaccia, e non come nuova opportunità. Il famoso idraulico polacco, che nella vita reale sarebbe il benvenuto, ma è difficile da trovare, illustra chiaramente i timori che dominano dopo l’allargamento nel mercato interno dell’Unione. Osserviamo un atteggiamento negativo nei confronti di tutte e quattro le libertà del mercato, e non solo la libera circolazione dei lavoratori.
E’ pertanto un peccato che la relazione non fornisca alcuna valutazione del progetto di direttiva sui servizi nella versione annacquata da questo Parlamento, e che, nella variante presentata dalla Commissione, si supponeva che potesse diventare nei prossimi anni il principale impulso per il mercato del lavoro nell’Unione europea.
Analogamente, la relazione non ha esaminato le ripercussioni negative sull’occupazione delle restrizioni alla libera circolazione dei capitali, per esempio le restrizioni adottate dal nostro Parlamento nel corso della tornata del mese scorso a Strasburgo. Faccio riferimento alla relazione intitolata “Ristrutturazioni e occupazione” e in particolare alla relazione intitolata “Trasferimento di imprese nel contesto dello sviluppo regionale”. Il leitmotiv principale delle due relazioni è l’introduzione di restrizioni che impediscono alle imprese di delocalizzare liberamente nel mercato interno dell’Unione europea.
Si sprecano attualmente molte opportunità per stimolare il mercato del lavoro dell’Unione europea. Lo sviluppo e il consolidamento del mercato interno dell’Unione europea sono gli strumenti più efficaci per preparare il mercato del lavoro degli Stati membri alla crescente competitività mondiale. Dovremmo pertanto considerare l’approccio fondamentale delle politiche occupazionali degli Stati membri in stretta relazione con l’obiettivo di sviluppare il potenziale del mercato interno dell’Unione europea.
Johannes Blokland (IND/DEM). – (NL) Nel 2003 l’onorevole García-Margallo y Marfil ha redatto la sua precedente relazione sugli indirizzi economici e ora, tre anni dopo, a giudicare dal ruolo che l’ambiente riveste nella politica economica, sembra che la cooperazione mediante il metodo di coordinamento aperto non sia riuscita a produrre gli effetti necessari.
Al Vertice di Stoccolma si era deciso che si sarebbe dovuto cercare di integrare la politica ambientale e quella sociale negli indirizzi per le politiche economiche, con l’obiettivo di creare un’economia di mercato sostenibile e sociale nell’Unione europea. Poiché, a mio avviso, agli aspetti ambientali della politica economica non è certo riservato il trattamento che meriterebbero, chiedo l’inclusione negli indirizzi per le politiche economiche di obiettivi ambientali chiari e specifici, oltre ai riferimenti all’importanza dell’ambiente. Ci dovrebbero essere anche degli obiettivi in termini di consumo energetico e di riduzione delle emissioni di CO2. La crescita economica dovrà andare di pari passo con un uso responsabile delle risorse naturali, e per questo sostengo gli emendamenti dell’onorevole Lipietz.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, il compito di coloro che, come me, in questo Parlamento sono deputati-autori, deve essere senza dubbio quello di utilizzare le critiche in modo positivo e costruttivo per svegliare i grandi, che, dopo essere stati così risvegliati, devono rispondere alle nostre critiche in modo pratico. Vedo che il prossimo iscritto a parlare è l’onorevole Karas; guarda, Othmar, questa è una palla facile per te. Ecco l’effetto di quello che sta avvenendo: nell’Unione europea l’atteggiamento generale è quello di strofinarsi gli occhi e dire, “sì, abbiamo davvero un problema”, ma io vi chiedo di pensare già alla mossa successiva. Lo studio Prognos è una solenne dimostrazione del fatto che non raggiungeremo sicuramente la piena occupazione nei prossimi due decenni. Al contrario, andremo verso quello che uno dei giornalisti del New York Times definisce “the disposable American”, tradotto nella nostra realtà, l’“europeo usa e getta”. E’ a questo problema che dobbiamo trovare soluzioni. Abbiamo un problema enorme determinato dalla perdita dei servizi che avevano creato quei posti di lavoro che erano andati a sostituire posti di lavoro industriali che ora non ci sono più. E’ a questo livello che dobbiamo fare passi avanti, è a questo livello che abbiamo bisogno di strategie valide a lungo termine e non solo per il presente. Proprio così: un tema centrale, un punto di partenza potenziale è la ridistribuzione di tutti quei milioni e miliardi ancora nascosti nel bilancio dell’Unione europea e che sono sprecati per cose inutili. Penso per esempio al fatto che il settore agricolo più sovvenzionato in Francia è la produzione di riso. Vista l’attuale assenza di prospettive finanziarie definitive, abbiamo anche la possibilità di realizzare altri miglioramenti e fare ora quello che altrimenti farete solo tra cinque o dieci anni, quando, ancora una volta, sarà troppo tardi.
Othmar Karas (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, Commissario Almunia, Commissario Špidla, onorevoli colleghi, perché abbiamo bisogno di indirizzi per le politiche economiche? Ne abbiamo bisogno perché non abbiamo una politica economica comune e la ragione per la quale non abbiamo una politica economica comune è che gli strumenti di una politica economica proattiva sono nelle mani degli Stati membri – la politica della ricerca, la politica fiscale, la politica dell’istruzione, per citare solo tre settori.
Dalla nostra ultima relazione, le condizioni sono diventate più critiche da molti punti di vista. E’ sempre più chiaro ai nostri occhi che il potenziale di crescita dell’Unione europea non è sfruttato completamente, che non siamo sufficientemente preparati al cambiamento demografico e che non abbiamo ancora sfruttato appieno le opportunità che la globalizzazione offre al nostro continente. La crisi energetica e l’alto tasso di disoccupazione dimostrano che i nostri problemi non hanno solo un’origine interna, ma sono anche determinati da cause strutturali e globali, e proprio queste cause devono essere affrontate in modo proattivo.
Chiediamo la codecisione per il Parlamento europeo in tutte le questioni relative al mercato unico, poiché proprio a questo livello abbiamo bisogno di più Europa di quella che c’è oggi nella realtà per quanto riguarda la cooperazione con gli Stati membri. Questa relazione costituisce pertanto la nostra richiesta di recepimento di tutte le direttive sul mercato interno, la cui attuazione incoerente provoca distorsioni della concorrenza e ha un prezzo in termini di crescita e posti di lavoro.
Chiediamo misure di consolidamento del bilancio da parte degli Stati con disavanzi eccessivi, perché l’incapacità di risanare i nostri sistemi di sicurezza sociale e pensionistici ci impedirà di partecipare alla concorrenza mondiale. Chiedo anche che sia rapidamente applicata nella sua integrità la Carta europea per le piccole e medie imprese.
Pervenche Berès (PSE). – (FR) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli colleghi, questa seduta è ovviamente importante poiché il dibattito sugli orientamenti fornisce gli strumenti per attuare la strategia di Lisbona. Costituisce anche un’opportunità di coordinamento ex ante delle politiche economiche degli Stati membri.
In questo Parlamento, abbiamo appoggiato l’integrazione degli orientamenti per le politiche a favore dell’occupazione negli indirizzi di massima per le politiche economiche. Credo che, dal punto di vista della coerenza intellettuale, questo sia l’iter corretto, a condizione che non si perda nulla in termini di sostanza, e in particolare a condizione che anche i poteri del Parlamento europeo siano armonizzati. Appoggio le proposte del relatore in tal senso.
Visto il contesto degli indirizzi di massima per le politiche economiche, ci troviamo di fronte a un paradosso: mentre la Banca centrale ha appena aumentato, in tempi molto ravvicinati tra loro, i tassi di interesse di un punto percentuale, mentre l’aumento del prezzo del petrolio compromette seriamente le condizioni per la ripresa economica in seno all’Unione europea, mentre le condizioni per la ripresa della domanda interna sono ampiamente sottovalutate da vari rappresentanti a livello dell’Unione europea, questi indirizzi di massima non cambiano.
Ci sembra che, da questo punto di vista, dobbiamo agire in modo più coordinato, almeno su un punto: mi riferisco alla strategia in materia di investimenti. Il mio gruppo ha presentato un emendamento in tal senso che, spero, sarà approvato dalla plenaria. Pone l’enfasi sulla necessità, se davvero vogliamo attuare la strategia di Lisbona, di elaborare, a livello di Unione europea, i programmi di investimento di cui abbiamo bisogno per sostenere le politiche che devono consentirci di affrontare le sfide che ci attendono in materia di conoscenze, formazione e occupazione.
Per concludere, vorrei insistere sul tema dell’imposizione fiscale, che è alla base di tutto il nostro apparato economico. Spero che la Commissione nel suo insieme, ma anche il Consiglio, facciano eco a tutto questo e sostengano l’impegno del Commissario Kovács in materia.
Danutė Budreikaitė (ALDE). – (LT) I cambiamenti dell’economia mondiale, i processi di globalizzazione e i loro effetti sulla competitività dei blocchi economici e delle imprese delle economie nazionali sono le nuove sfide per l’Unione europea, che sta perdendo sempre più competitività e non è pronta a raccogliere le sfide della globalizzazione. L’Unione europea sta perdendo la guerra della concorrenza con gli Stati Uniti, la Cina e l’India. L’Unione europea dovrebbe prepararsi per le sfide della globalizzazione riformandosi dal suo interno. Non abbiamo approvato la Costituzione, le prospettive finanziarie sono in un vicolo cieco e sono stanziati meno fondi per le reti transeuropee. Senza una politica energetica comune, l’approvvigionamento di risorse energetiche, che costituisce la base delle competitività di un’economia, è minacciato, così come è minacciata la sicurezza. Con l’ammissione dei nuovi candidati, la Slovenia e la Lituania, l’allargamento della zona euro costituirebbe una delle azioni e delle decisioni che potrebbero stimolare la crescita economica. Desidero citare due importanti fattori per la crescita della competitività europea: gli investimenti in formazione e innovazioni e la rapida elaborazione di una politica energetica comune. Sono fattori interdipendenti: le innovazioni permettono ai leader di emergere, e nel settore energetico, fondamentale per la competitività, le innovazioni permettono la creazione di nuove fonti energetiche e l’uso razionale ed economico di quelle esistenti. Mentre i negoziati sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013 sono ancora in corso, dovremmo ripensare alle priorità di finanziamento e accrescere i finanziamenti per la scienza, la ricerca e le reti transeuropee. In materia di competitività dell’economia dell’Unione europea, desidero ricordare uno dei progetti di maggiore successo dell’Unione: l’introduzione della moneta unica, l’euro, in dodici Stati membri. La prospettiva dell’allargamento della zona euro mette in evidenza anche alcuni difetti: i requisiti del Patto di stabilità e crescita non sono rispettati, il debito pubblico è rilevante e, anche se in tempi diversi, quasi nessuno dei membri della zona euro è riuscito a rispettare l’indice di stabilità dei prezzi. L’esperienza di cinque anni dimostra che è necessario migliorare gli stessi criteri di Maastricht. Tuttavia, e questo è l’aspetto fondamentale, la zona euro era ed è ancora un progetto politico, che ha dimostrato la sua utilità e deve proseguire con una nuova fase dell’allargamento.
Konrad Szymański (UEN). – (PL) Signor Presidente, se ci fosse chiesto di individuare una parola chiave nell’ambito della politica europea a favore dell’occupazione, tale parola sarebbe “flessibilità”.
Una normativa in materia di occupazione flessibile per quanto riguarda sia il luogo che l’orario di lavoro incoraggia le donne a essere attive sul mercato del lavoro. Per la vita professionale delle donne, la maternità rappresenta una sfida enorme. La flessibilità permette anche ai lavoratori più giovani e più anziani di entrare nel mercato del lavoro e di trovare un impiego, cosa che attualmente è molto problematica. Non tutti in Europa sono a favore di tale flessibilità, come emerge chiaramente da quanto sta accadendo nelle strade di Parigi. Quindi l’unica azione che possiamo adottare a livello europeo è l’alleggerimento dell’armonizzazione in questo settore, in modo da realizzare la flessibilità almeno in alcuni paesi e zone dell’Unione europea.
Se ci fosse chiesto di individuare una parola chiave in materia di politica economica, tale parola sarebbe “concorrenza” accompagnata da “concorrenza fiscale”. Contrariamente a quanto viene affermato nella relazione, la concorrenza non è nociva al finanziamento delle necessità pubbliche. E’ vero il contrario, in quanto i bilanci nazionali dei paesi che di recente hanno riformato radicalmente il loro regime fiscale, in particolare riducendo le imposte sulle società, hanno registrato maggiori entrate. La concorrenza fiscale in paesi come l’Irlanda o la Slovacchia contribuisce anche ad accrescere la competitività dell’Europa nel suo insieme, migliorando così la nostra competitività a livello mondiale.
Di conseguenza, la concorrenza fiscale non minaccia affatto l’Europa, anzi rappresenta un’eccezionale opportunità. Temo tuttavia che essa sia, probabilmente, una delle poche opportunità concrete di cui possiamo beneficiare, se non l’unica.
Georgios Karatzaferis (IND/DEM). – (EL) Signor Presidente, in Europa abbiamo bisogno di 40 milioni di posti di lavoro. Solo in Grecia, ce ne serve un milione. Li possiamo promettere? No, non possiamo. L’Europa non può garantire questi posti di lavoro. Il 10 per cento della popolazione attiva vivrà al di sotto della soglia di povertà; vivrà di sussidi di disoccupazione. Non abbiamo fonti energetiche nostre. Il gas viene dalla Russia, il petrolio dal Medio Oriente, e i prezzi di queste fonti energetiche continueranno a salire in ragione di un eccesso di domanda da parte di Cina e India. Abbiamo una valuta molto forte che rende proibitive le esportazioni; guardate le esportazioni degli Stati Uniti, risultanti dal dollaro debole. Con i rigorosissimi indicatori di Maastricht, gli indicatori prosperano e la gente soffre. E’ questa la realtà.
I prodotti cinesi continuano a invadere il mercato e lo faranno sempre di più. Non si trova più nemmeno una bambola prodotta in uno stabilimento europeo: anche le bambole sono cinesi. Gli stabilimenti europei si trasferiscono nei paesi terzi e i salari se ne vanno con loro. Gli agricoltori soffrono. In Grecia il cotone e il tabacco sono stati messi al sicuro in magazzini. Dobbiamo cambiare l’ordine delle cose, altrimenti i cittadini europei non potranno sopravvivere.
Sergej Kozlík (NI). – (SK) Nel mio intervento vorrei riprendere varie idee contenute nella risoluzione sulla relazione concernente il settore energetico, e desidero farlo nel contesto dei grandi obiettivi dell’economia politica per il 2006.
Queste idee toccano il cuore del problema senza indulgere in inutili lamenti sul rallentamento economico in Europa. I miracoli non esistono, e sono pertanto d’accordo sulla necessità di condurre un’analisi approfondita delle politiche di riforma strutturale dell’ultimo decennio per chiarire le cause all’origine di tassi di crescita costantemente bassi e produttività insoddisfacente. E’ importante anche la richiesta della cosiddetta “strategia di crescita intelligente”, che dovrebbe unificare le diverse strategie per la politica economica dell’Unione europea in un approccio coerente.
L’obiettivo è il rafforzamento del potenziale dell’Unione europea riguardo a una nuova generazione di prodotti e metodi di produzione utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Appoggio anche l’invito rivolto agli Stati membri di promuovere gli investimenti privati. Sarà importante inoltre indirizzare la spesa pubblica e privata verso gli investimenti che generalmente accrescono il rendimento economico e la produttività. Tuttavia, sarà necessario perseguire e applicare questo approccio anche nel contesto dei finanziamenti dell’Unione europea, in quanto vale il detto secondo cui le aree che hanno più bisogno di attenzione sono spesso quelle più vicine a casa.
Ján Hudacký (PPE-DE). – (SK) Innanzi tutto, desidero ringraziare il relatore, onorevole García-Margallo, della sua relazione molto equilibrata e pertinente. Come la relazione ribadisce più volte, uno dei gravi problemi cui è confrontata attualmente l’Unione europea è il fatto che la maggior parte degli Stati membri sottovaluta la necessità di una riforma strutturale di largo respiro. Paradossalmente, alcuni Stati membri hanno cercato di affrontare il problema della perdita di competitività, conseguenza naturale del rifiuto di tale riforma, adottando nuove misure per proteggere i loro mercati, il che non fa che peggiorare il problema. Dobbiamo ammettere ancora una volta che il mercato interno non è pienamente funzionale e non consente la libera circolazione dei lavoratori o la libera prestazione di servizi. Le conseguenze di questa strategia sono fortemente negative. Le imprese hanno delocalizzato le loro attività in regioni caratterizzate da una manodopera a più basso costo o, in alternativa, le hanno esternalizzate, causando altre perdite di posti di lavoro.
A livello macroeconomico, evidenti risultati di tale politica sono una crescita lenta e, vista la struttura invariata delle finanze pubbliche, un disavanzo pubblico sempre più grave e diffuso, spesso oltre i limiti imposti dal Patto di stabilità e crescita. Se consideriamo gli scarsi volumi di investimento per la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione, e se ci aggiungiamo la pesante dipendenza energetica della maggior parte degli Stati membri, difficilmente possiamo prevedere un aumento significativo della competitività dell’economia europea rispetto ai principali global player come gli Stati Uniti e la Cina. Dobbiamo reagire con rapidità a queste sfide, realizzando un mercato interno pienamente funzionale, che operi senza discriminazioni e libero da normative superflue.
L’armonizzazione della legislazione europea deve potenziare e non ostacolare il contesto competitivo. Gli sforzi volti ad armonizzare l’imposta sulle società costituiscono un triste esempio di tali ostacoli. Per accrescere la competitività interna degli Stati membri, e quindi di tutta l’Unione europea, il principio di sussidiarietà deve diventare una componente significativa di tutte le iniziative della Commissione. A tale riguardo, accolgo favorevolmente anche il programma d’azione sulla riforma degli aiuti di Stato che introduce le condizioni per la crescita degli investimenti per la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione a favore delle piccole e medie imprese. Allo stesso modo, dovremmo elogiare il Libro verde su una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura.
Zita Gurmai (PSE). – (EN) Signor Presidente, la strategia europea per l’occupazione, adeguatamente e pragmaticamente portata avanti dagli Stati membri, è in grado di realizzare gli obiettivi per l’occupazione definiti nell’ambito della strategia di Lisbona. Dovrebbe anche riflettere un’ampia politica antidiscriminatoria, la promozione dell’uguaglianza di genere, fornendo uno strumento per risolvere il problema delle disparità tra i generi sul mercato del lavoro.
La strategia europea per l’occupazione non deve essere considerata solo come uno strumento per attirare più persone verso il mercato del lavoro, ma dovrebbe offrire anche un’opportunità favorevole e aperta di entrare nel mercato del lavoro a coloro che hanno un accesso particolarmente limitato all’occupazione, come le donne anziane, i genitori soli e le minoranze etniche. Si deve riconoscere che la sfida costituita dall’invecchiamento della società europea può essere affrontata solo con una maggiore partecipazione di questi specifici gruppi al mercato del lavoro, come ha detto il Commissario Špidla.
Ogni sorta di ostacolo deve essere eliminato. Stiamo lottando per avere più posti di lavoro migliori, dato che abbiamo dichiarato il 2006 l’Anno europeo della mobilità dei lavoratori. Per i lavoratori europei, la mobilità offre nuove competenze, nuove esperienze, flessibilità e capacità di adattarsi a diverse condizioni di lavoro e ad esigenze di mercato in continuo cambiamento. La mobilità è un valore che va a vantaggio di tutta l’economia europea. E’ un’assoluta necessità che deve essere riconosciuta da quegli Stati membri che ancora erigono barriere nei confronti dei lavoratori dei nuovi Stati membri dell’Unione europea.
Infine, credo che la strategia europea per l’occupazione abbia il potenziale per diventare la strategia che ci può consentire di avvicinarci all’obiettivo della piena occupazione, rendendo il lavoro un’opzione reale per tutti, aumentando la qualità e la produttività del lavoro e anticipando e gestendo il cambiamento, mettendo in luce una società più coesa di pari opportunità per chiunque lotti per promuovere la diversità e la non discriminazione.
La mia collega ungherese, onorevole Kósáné Kovács, ha elaborato un’eccellente relazione, estremamente preziosa, e propongo che le sue raccomandazioni siano adottate.
Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). – (PL) Signor Presidente, nel mio intervento in questo dibattito desidero segnalare che alcune raccomandazioni agli Stati membri contenute nelle relazioni non favoriranno la crescita economica e l’occupazione nell’Unione europea. Ne commenterò solo alcune.
In primo luogo, la volontà di contrastare la concorrenza fiscale e la proposta di soluzioni di armonizzazione per quanto riguarda l’imposta sul reddito dovuta dalle persone giuridiche, in una situazione in cui la riduzione delle aliquote dell’imposta sul reddito ha un effetto ovvio sull’accelerazione della crescita economica. Secondo, la volontà di contrastare la delocalizzazione, che è un processo economico oggettivo mirato a ridurre i costi di produzione e migliorare così la competitività delle imprese nell’economia mondiale. Terzo, l’introduzione di ulteriori normative in materia di processi economici e sociali, mentre quello che è davvero necessario è una riduzione drastica di tali misure. Infine, nonostante le esperienze positive di paesi come il Regno Unito e l’Irlanda, a seguito dell’apertura dei loro mercati del lavoro, osserviamo che i mercati del lavoro dei paesi più grandi dell’Unione europea rimangono chiusi ai lavoratori dei nuovi Stati membri.
Questa è in realtà una delle ragioni per cui l’Unione europea si sviluppa molto più lentamente degli Stati Uniti e per cui i vecchi Stati membri dell’Unione registrano tassi di sviluppo più bassi di quelli nuovi.
Leopold Józef Rutowicz (NI). – (PL) Signor Presidente, desidero ringraziare i relatori per il loro ottimo lavoro. Si osserva tuttavia che la relazione non si concentra adeguatamente sul settore più difficile dell’economia, quello che assorbe la maggior parte delle risorse dell’Unione, esige protezione ed è insufficientemente sfruttato in termini economici. Parlo del settore agricolo in senso lato.
I pagamenti più sostanziosi vanno a vantaggio dei giganti del mercato, mentre le piccole aziende agricole smettono di lavorare e la superficie di terra non coltivata aumenta, così come aumenta il numero di coloro che hanno perso il lavoro e qualsiasi speranza per il futuro. L’enorme potenziale del settore rimane inutilizzato, sebbene politiche valide potrebbero consentirgli di dare un contributo positivo allo sviluppo dell’economia nel suo insieme.
Il programma di attività teso a sviluppare le colture industriali non è abbastanza ambizioso, e il programma di ricerca e di attuazione non fornisce il sostegno sufficiente per un progresso rapido. Siamo in ritardo rispetto a paesi con economie efficienti a questo riguardo. Il tema merita un ampio dibattito ed esige che sia avviata un’azione rapida ed efficace nel corso del 2006.
Gunnar Hökmark (PPE-DE). – (SV) Signor Presidente, vorrei dapprima riflettere su due aspetti. Il primo è che attualmente lo sviluppo economico più elevato si registra nelle economie europee più aperte alla globalizzazione. Il secondo è che la maggiore crescita in termini di creazione di nuovi posti di lavoro si osserva nei paesi con i mercati del lavoro più flessibili. Proprio alla luce di ciò, desidero ringraziare il relatore, onorevole García-Margallo y Marfil, per il lavoro che ha svolto, perché proprio i cambiamenti e l’orientamento politico proposti nella sua relazione rappresentano la strategia che può creare nuovi posti di lavoro e maggiore prosperità.
Ora la cosa fondamentale è capire se tutto questo determinerà cambiamenti e se ci saranno modifiche delle politiche a livello europeo e nazionale. Un politico svedese una volta disse che “se si lascia che le cose vadano avanti come è sempre stato, le cose andranno avanti immutate”. Ora abbiamo più di 20 milioni di disoccupati; si tratta di un problema economico, ma anche, e in grandissima misura, di un problema sociale. Ai fini della protezione sociale, nulla è più importante della creazione di nuovi posti di lavoro. In questo settore, la Commissione deve svolgere una serie di compiti.
Primo, deve attuare le direttive che favoriscono una maggiore concorrenza. Secondo, deve intraprendere azioni tese a favorire una maggiore imprenditorialità, e questo riporta l’attenzione su tutta la politica della concorrenza. Nuova imprenditorialità non significa solo crescita delle piccole imprese; significa anche la capacità di costituire in Europa nuove imprese transfrontaliere che possano essere dei “campioni mondiali”. La Commissione deve assumersi la responsabilità di tutto questo, ma anche gli Stati membri hanno una responsabilità per quanto riguarda l’attuazione delle riforme che daranno vita a questa nuova attività di impresa. Infine, dobbiamo garantire la presenza in Europa di mercati del lavoro più flessibili. Se non lo faremo, escluderemo milioni di persone dal mercato del lavoro e dalla protezione sociale. Chi è a favore della protezione sociale e dello sviluppo economico, è a favore anche di mercati del lavoro più flessibili. E lo dico volentieri proprio rivolgendomi ai socialdemocratici, perché sono le riforme a garantire la sicurezza.
Dariusz Rosati (PSE). – (PL) Signor Presidente, il dibattito odierno riguarda il futuro dell’Unione europea. Le economie europee si sviluppano lentamente, abbiamo un elevato tasso di disoccupazione e le nostre finanze pubbliche sono in crisi. La situazione è invariata da molti anni e potrebbe determinare per l’Europa la perdita del suo ruolo di primo piano nel mondo. E’ necessaria una radicale riforma strutturale associata a un cambiamento della politica economica.
Gli indirizzi di massima per le politiche economiche presentati dalla Commissione individuano correttamente le azioni fondamentali che sono necessarie, per esempio la creazione di mercati del lavoro più flessibili e di un ambiente più favorevole alle imprese, oltre al sostegno per l’istruzione, la formazione e la ricerca. La Commissione lo sostiene da anni, ma senza grandi risultati. Desidero ricordare all’Aula che le ragioni della debolezza delle economie europee sono note, così come lo è la natura delle azioni necessarie a stimolare la crescita economica e a creare nuovi posti di lavoro. Purtroppo, i politici degli Stati membri sono riluttanti ad adottare le misure necessarie per paura di perdere popolarità o per miopi calcoli politici o talvolta per pura ignoranza. L’Europa soffre in realtà di una crisi di leadership politica.
Il dibattito odierno dovrebbe essere rivolto principalmente verso i governi degli Stati membri e gli ambienti politici che li sostengono. Dovrebbe lanciare segnali di allarme che facciano capire che, se non saranno attuate le riforme essenziali, l’Europa probabilmente sarà vittima della stagnazione e perderà terreno. Anche il progresso economico e sociale che ha raggiunto sarà minacciato. Il compito dei politici è quello di risolvere problemi specifici e non quello di essere asserviti ai sondaggi di popolarità e ai capricci degli elettori. Confidiamo che i politici negli Stati membri intraprendano le riforme necessarie e convincano i loro cittadini della loro reale necessità.
Esorto la Commissione a intraprendere un’azione forte e decisiva a tal fine.
Andreas Schwab (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, sono naturalmente lieto di poter prendere la parola più o meno secondo i tempi che erano stati originariamente stabiliti per il mio intervento. Signori Commissari, onorevoli colleghi, vorrei iniziare ringraziando sinceramente il relatore per l’impegno con cui ha affrontato questo tema. La relazione esprime ancora una volta il fatto che l’Unione europea offre ai cittadini europei, di fronte alla globalizzazione, la possibilità di raggiungere un equo compromesso tra le condizioni economiche da una parte e le condizioni sociali dall’altra. Il problema è tuttavia che i cittadini europei ne sono totalmente all’oscuro. I 20 milioni di disoccupati e le centinaia di milioni di persone che temono per il loro posto di lavoro imputano questo stato di cose più all’Unione europea che alla globalizzazione. Gli altri, i cui posti di lavoro sono garantiti dall’Unione europea e dal lavoro della Commissione e di questo Parlamento, non sanno nulla e imputano la situazione ai governi nazionali.
Vorrei dire che condivido ampiamente quanto affermato dall’onorevole Rosati: sarebbe effettivamente auspicabile, quando si parla di questi temi così importanti, che il Consiglio, che è l’unico competente ad intervenire per molti di questi aspetti nel contesto della strategia di Lisbona, si applicasse con maggiore serietà a questa problematica e che i dibattiti del Parlamento non fossero solo nelle mani dei suoi membri e dei membri della Commissione. Mentre è vero che la Commissione ha un importante compito da svolgere quando si tratta di verificare che le misure già adottate a livello del Consiglio siano effettivamente attuate dagli Stati membri, dobbiamo essere tuttavia onesti, in quanto – come vedremo probabilmente in seguito, quando esamineremo la relazione Őry – quello che conta alla fine dei conti è che gli Stati membri tengano fede alle decisioni che loro stessi avevano preso.
Per tale motivo, è molto positivo che la Commissione abbia indicato – lo ha detto il Commissario Špidla ai media tedeschi – che una maggiore flessibilità per i mercati del lavoro è l’unico modo per dare ai cittadini europei più lavoro e, trattandosi di uno strumento destinato a creare posti di lavoro, non deve essere motivo di ansia. E’ questo quello che vogliamo.
Vi esorto pertanto a dire esplicitamente e con maggiore enfasi agli Stati membri che le decisioni prese dal Consiglio devono, almeno, essere attuate.
Alejandro Cercas (PSE). – (ES) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli colleghi, vorrei iniziare dicendo che sono più ottimista di alcuni oratori intervenuti prima di me; ritengo infatti che le relazioni che esaminiamo oggi e questo dibattito possano essere utili e costituire un’ulteriore opportunità per promuovere la strategia europea per l’occupazione e il processo di Lisbona.
Alla fine dei conti, questa è la nostra unica speranza: l’unica speranza che l’Europa lavori in modo coordinato nella direzione assunta lo scorso anno, al fine di arricchire il progetto economico e sociale con nuovi orientamenti che si situino in questo contesto di integrazione.
Il Commissario Verheugen ha detto che tale strategia deve essere visibile. E’ uno dei nostri deficit, e abbiamo anche un deficit di credibilità, come ha dichiarato il Commissario Almunia. Abbiamo bisogno di questi posti di lavoro, come ha detto il Commissario Špidla.
Nel brevissimo tempo di parola di cui dispongo vorrei dunque chiedervi di leggere queste due relazioni del Parlamento. Sono relazioni orizzontali, nelle quali si identifica la stragrande maggioranza dei deputati del Parlamento, e che, credo, esprimono una grande lungimiranza e un grande impegno verso l’unità.
Leggete quello che dicono le relazioni e fate vedere di quale leadership l’Europa ha bisogno oggi. I membri della Commissione devono agire concretamente al fine di obbligare i governi ad applicare questa strategia europea per l’occupazione.
Vi prego di essere coerenti e di guardare anche i nostri emendamenti; per esempio, l’emendamento n. 2. E’ necessario che la legislazione europea già in vigore sia applicata, perché rende più coerente il lavoro tra gli Stati membri.
Leggete anche il nostro emendamento n. 5. Nell’Anno europeo della mobilità, adottate misure volte a eliminare gli ostacoli alla mobilità dei lavoratori europei.
Manuel António dos Santos (PSE). – (PT) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli colleghi, le raccomandazioni elaborate dall’onorevole García-Margallo, con cui mi congratulo, arrivano nel momento più opportuno per modificare la situazione economica dell’Unione europea. Tutto quello che resta da fare è tenere conto di queste raccomandazioni.
Visto come stanno le cose, dovremmo parlare di approfondimento, piuttosto che di revisione, della strategia di Lisbona, dato che ora assistiamo – ed è avvenuto sin dall’inizio – a un incremento della crescita economica e dei posti di lavoro, due elementi che contribuiscono a sostenere i modelli sociali a lungo termine e a promuovere una sufficiente coesione sociale a breve termine.
Nonostante i recenti progressi, i temi fondamentali rimangono immutati. La disoccupazione ha raggiunto livelli intollerabili e la crescita economica generale non è sufficiente a invertire questa tendenza. Conseguentemente, sono necessari una maggiore integrazione e un migliore coordinamento delle politiche economiche, e deve essere sviluppato il lavoro delle istituzioni che costituiscono il governo economico dell’Unione che si sta formando.
Il Consiglio ha deciso di appoggiare la Commissione nell’elaborazione di una politica energetica comune. Anche se è stata una decisione valida, è comunque insufficiente rispetto alle necessità. La dipendenza energetica dell’Unione è insostenibile. Le importazioni di petrolio rappresentano attualmente il 2,3 per cento del PIL dell’Unione, due volte e mezzo il bilancio stanziato per tutte le politiche europee. Di qui al 2030, tale dipendenza rischia di rivelarsi travolgente, soprattutto nel settore petrolifero (94 per cento di dipendenza esterna). I semplici accordi tra gli Stati membri promossi dal Consiglio sono pertanto insufficienti.
La crescita della concorrenza è una premessa necessaria per l’istituzione di una politica energetica comune. Una normativa comune esigerà soprattutto investimenti elevati se vogliamo che le reti esistenti siano migliorate e che sia rilanciato un reale progresso nel settore dell’energia alternativa e del risparmio energetico. Tutto questo è fondamentale per accrescere la competitività e lo sviluppo sostenibile.
Günther Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, il dibattito ha messo in evidenza quanta strada abbiamo fatto insieme, ma ha anche rivelato che c’è una sempre maggiore comprensione per la nuova strategia per la crescita e l’occupazione, nonché una sempre maggiore pressione affinché le priorità che abbiamo definito siano prese sul serio e attuate concretamente. La Commissione ha ascoltato con molta cura e presteremo estrema attenzione a quello che ci hanno detto i gruppi e gli oratori; nei dibattiti futuri, cercheremo di tenere conto degli auspici e delle proposte del Parlamento.
Vorrei concludere ribadendo, in modo molto esplicito, la ragione per la quale la crescita e l’occupazione sono le priorità per i prossimi anni: senza una maggiore crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro, non riusciremo a realizzare i nostri obiettivi politici ampi e importanti. Non saremo in grado di mantenere norme ambientali elevate, non saremo in grado di mantenere norme sociali elevate né saremo in grado di mantenere un elevato livello di vita se non avremo solide basi economiche che possano sostenerne l’onere. Per questo diciamo che la crescita e l’occupazione costituiscono la nostra missione numero uno.
Gli orientamenti, di cui si è discusso oggi, sono tra gli strumenti essenziali che ci possono permettere, forse, di fare di necessità virtù. La nostra incapacità di elaborare e attuare una politica economica comune è naturalmente un difetto, ma può diventare un pregio se riusciremo a trovare un accordo su un nuovo tipo di cooperazione come quella sviluppata con il partenariato per la crescita e l’occupazione.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà oggi alle 12.00.
Dichiarazione scritta (Articolo 142 del Regolamento)
Gábor Harangozó (PSE). – (EN) In questi ultimi anni, l’Unione europea ha affrontato gravi problemi economici: la crescita dell’Unione è inferiore al suo potenziale se confrontata con gli Stati Uniti o i paesi emergenti, come Cina o India. L’economia europea soffre di un calo dei tassi di crescita demografica, di occupazione e di produttività. L’Europa deve prevedere strategie a lungo termine e risorse sufficienti da investire nel suo futuro. Le strategie sono state elaborate per affrontare questi problemi, ma la situazione sta peggiorando. Questa situazione ha varie cause: la mancanza di un’infrastruttura adeguata, investimenti pubblici e privati insufficienti, ritardi nello sviluppo di tecnologie innovative, formazione professionale e istruzione inadeguate.
L’Europa ha bisogno di un progetto chiaro per un’economia più competitiva. Per essere in linea con gli obiettivi di occupazione e crescita della strategia di Lisbona, sono necessari cambiamenti strutturali: sostegno a ricerca e sviluppo, incentivi agli investimenti privati e pubblici, sviluppo di azioni innovative per settori come le biotecnologie, le energie sostenibili e le TIC. Oltre ai cambiamenti strutturali e allo sviluppo di settori innovativi, la protezione dell’ambiente e la qualità dei prodotti devono rimanere, nell’ambito dell’economia globale, una vera specificità europea. Infine, è assolutamente fondamentale promuovere l’istruzione e la formazione professionale al fine di soddisfare le esigenze e raccogliere le sfide dello sviluppo economico.
7. Regime transitorio che limita la libera circolazione dei lavoratori sui mercati del lavoro dell’UE (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sulla relazione (A6-0069/2006), presentata dall’onorevole Őry a nome della Commissione per l’occupazione e gli affari sociali, sul regime transitorio che limita la libertà di circolazione dei lavoratori sui mercati del lavoro dell’Unione europea [2006/2036(INI)].
Vladimir Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Onorevoli parlamentari, grazie, ma per come sono abituato, nella presentazione delle relazioni prima interviene il relatore e solo dopo il Commissario per rispondere. Se avete deciso di modificare tale consuetudine, ovviamente sono pronto a cominciare.
Onorevoli parlamentari, desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Őry per la sua eccellente relazione su un tema che rappresenta uno dei pilastri dell’integrazione europea. L’obiettivo delle misure temporanee di cui al Trattato di adesione è consentire agli Stati membri di lavorare progressivamente per raggiungere prima possibile l’obiettivo irrevocabile di offrire a tutti i lavoratori migranti degli Stati membri che hanno aderito all’Unione europea nel 2004 libero accesso all’occupazione in tutti gli Stati membri. Questa è una delle libertà fondamentali sancite dal Trattato di Roma. Come si afferma nel Trattato di adesione, la Commissione ha valutato il funzionamento delle disposizioni temporanee nella prima fase iniziale di due anni allo scopo di assistere gli Stati membri nella decisione se mantenere in vigore tali regimi transitori o abbandonarli. Sulla base delle statistiche per il 2004, e in alcuni casi anche per il 2005, e in seguito alle consultazioni successive con i singoli partecipanti, la Commissione ha elaborato alcune conclusioni specifiche relative alla prima fase del periodo transitorio.
Il numero dei lavoratori registrati a partire dall’adesione è generalmente molto basso: raramente raggiunge l’1 per cento della popolazione attiva del paese ospite. Inoltre, risulta che l’afflusso dei lavoratori dai nuovi Stati membri ha avuto un effetto sostanzialmente positivo. La ragione è che l’allargamento ha contribuito a far emergere dall’area dell’illegalità i lavoratori in nero degli otto Stati membri dell’UE. L’adesione ha altresì portato ad una riduzione della penuria di manodopera e ha migliorato i risultati economici in Europa. I paesi che non hanno introdotto restrizioni dopo il maggio 2004 hanno registrato una crescita economica più forte, un tasso di disoccupazione inferiore e un tasso di occupazione superiore. I lavoratori che hanno ottenuto accesso legale al mercato del lavoro non hanno sperimentato grandi difficoltà nell’entrare sul mercato. Evidentemente sono soltanto gli Stati membri a poter decidere se applicare o no misure temporanee, ma la Commissione potrebbe invitare gli Stati membri a una valutazione oggettiva dei vantaggi e degli svantaggi di tali regimi. In realtà, la vera fase di transizione è la seconda, che, totalmente o in parte, ci condurrà all’obiettivo della libera circolazione dei lavoratori. In tal senso, gli Stati membri che applicano le restrizioni in forza del Trattato di adesione non devono trattare i cittadini degli otto Stati membri dell’UE che risiedono già legalmente sul proprio territorio in modo più restrittivo rispetto ai cittadini di paesi terzi che sono residenti di lungo periodo, come riferito nella precedente seduta plenaria. Una lettera esplicativa in tal senso è stata trasmessa ai ministri degli Interni per chiarire la situazione giuridica. Poc’anzi il relatore ha citato il problema dei cittadini dei paesi terzi; spero pertanto che mi consentirete di sottolineare ancora una volta che, nel contesto delle direttive e dei Trattati di adesione, non è consentito riservare ai cittadini dei paesi terzi che sono residenti di lungo periodo in uno Stato membro dell’UE un trattamento più favorevole rispetto ai cittadini degli Stati membri dell’UE; ciò significa che, in presenza di restrizioni applicabili ai cittadini UE, tali restrizioni, logicamente, si applicano anche ai cittadini dei paesi terzi che sono residenti di lungo periodo nello Stato membro in questione.
Per i medesimi motivi la Commissione sta vigilando anche sul rispetto delle disposizioni che vietano agli Stati membri di imporre ai lavoratori degli otto Stati membri restrizioni nell’accesso al mercato del lavoro più consistenti rispetto a quelle applicate precedentemente alla firma del Trattato di adesione, cioè il 16 aprile 2003. La Commissione, allo stesso tempo, sostiene l’appello rivolto agli Stati membri di applicare scrupolosamente la regolamentazione comunitaria, in particolare nell’ambito del distacco dei lavoratori. Riconosco che è necessario rafforzare notevolmente il monitoraggio statistico sulla mobilità dei lavoratori all’interno dell’UE, poiché vi sono molte ipotesi meritevoli di discussione che sono impossibili da verificare utilizzando le risorse statistiche ed analitiche esistenti. La Commissione sostiene le proposte del Parlamento intese a rafforzare il dialogo sociale a livello sia europeo sia nazionale, allo scopo di tutelare i diritti dei lavoratori dei nuovi Stati membri. La Commissione è altrettanto favorevole a una sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema della libera circolazione dei lavoratori e della legislazione afferente. La proclamazione del 2006 come Anno europeo della mobilità dei lavoratori dovrebbe contribuire a tale fine.
Nonostante i timori espressi rispetto a un allargamento graduale, la libertà di circolazione dei lavoratori non ha creato tensioni nei mercati del lavoro tra gli Stati. La libera circolazione delle persone è un principio fondamentale che si applica a tutti i cittadini, e qualunque limitazione a tale principio può soltanto essere temporanea e deve essere espressa strettamente nello spirito dei trattati.
Onorevoli parlamentari, nel mio discorso ho pronunciato un paio di volte l’espressione “nuovi Stati membri”. Occorre dire che i nuovi Stati dell’Europa centrale hanno una storia lunga quasi tanto quanto quella degli Stati di altre regioni d’Europa e con l’allargamento dell’Unione europea ora sono Stati membri. Pertanto dichiaro che non utilizzerò più il termine “nuovi Stati membri”.
Csaba Őry (PPE-DE), relatore. – (HU) In seguito all’allargamento dell’Unione europea del 2004 è stata seguita con particolare attenzione la questione dell’apertura dei mercati del lavoro e, in relazione a ciò, il funzionamento delle misure temporanee considerate necessarie dai dodici vecchi Stati membri.
Come stipulato nei trattati di adesione, gli Stati membri – sulla base delle proprie esperienze sul mercato del lavoro – abrogheranno tali restrizioni progressivamente tra il 2004 e il 2011, e la Commissione europea e il Parlamento europeo valuteranno a loro volta la situazione alla luce delle esperienze degli Stati membri. La posizione delle Istituzioni europee ha una valenza politica ed è intesa in primo luogo a chiarire agli occhi degli oltre 450 milioni di cittadini europei dell’Unione l’interesse paneuropeo alla tematica estremamente importante della circolazione dei lavoratori. In altri termini: qual è l’interesse dell’Unione europea in quanto importante attore sullo scenario politico ed economico mondiale? Questa logica di tenere a mente gli interessi europei è stata decisiva nel corso della preparazione della relazione. L’unico punto di partenza possibile per valutare la situazione attuale è stata l’analisi delle sfide globali cui l’Unione europea deve far fronte all’inizio del XXI secolo.
Da tale punto di vista basta riferirsi al fatto che i nostri competitori economici del sud-est asiatico stanno accelerando sia la produzione industriale sia la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione. Se vogliamo aumentare la nostra competitività per tenere il passo sia con l’America sia con l’Asia, dobbiamo trovare una soluzione alle tensioni strutturali nelle economie europee.
La soluzione è inequivocabilmente la seguente: bisogna aumentare la mobilità nell’Unione europea e incoraggiare con tutti i mezzi possibili la creazione di un mercato unico europeo del lavoro che sia il più flessibile possibile. Ovviamente vi sono soluzioni alternative all’aumento della mobilità (si potrebbe anche parlare di sollecitare l’immigrazione o altre misure analoghe), ma il comune denominatore di tali alternative è che il loro costo sociale è incommensurabilmente più elevato, mentre la loro efficienza è nettamente inferiore. La strada per lo sviluppo economico – in linea con la strategia di Lisbona – porta sostanzialmente a un aumento della mobilità e all’utilizzo delle riserve occupazionali rappresentate dalla popolazione inattiva. Questo è l’unico modo per preservare le conquiste sociali che sono tanto care ai cittadini europei e che tanto spesso rammentiamo.
Un passo importante nel processo di aumento della mobilità è abrogare quanto prima le restrizioni temporanee nei confronti dei nuovi Stati membri. Molti Stati membri hanno già concordato di farlo nel maggio 2006; possiamo soltanto sperare che nel corso degli anni successivi – magari addirittura prima del maggio 2009 – altri Stati membri li seguiranno, perché è importante sottolineare che la possibilità giuridica che altri Stati membri adottino una decisione simile è sempre disponibile.
I timori di un’eventuale migrazione di massa si sono dimostrati infondati. Le esperienze hanno indicato nettamente che la presenza di lavoratori dei nuovi Stati membri nei vecchi Stati membri che hanno deciso di aprire completamente i propri mercati nel 2004 non ha causato tensioni nell’economia o nel mercato del lavoro. Al contrario! La valutazione della Commissione europea, come pure di uno dei governi interessati – il governo britannico -, ha dimostrato che una migrazione limitata dai nuovi Stati membri ha portato vantaggi economici ai paesi ospiti. Pertanto, la conclusione è chiara: la scelta più vantaggiosa per l’Unione europea e i suoi Stati membri è che i governi interessati abbandonino prima possibile il regime di misure temporanee che restringono la libera occupazione nell’Unione.
Unitamente alla relazione abbiamo altresì presentato proposte di compromesso che sono state preparate tenendo in conto le speciali sensibilità di alcuni Stati membri riguardo a questo tema importante, perché, come la nostra esperienza ha evidenziato, in alcuni Stati membri la celere applicazione della libera circolazione della forza lavoro è impedita da difficoltà di carattere non soltanto economico ma, spesso, anche politico, sociopsicologico o di comunicazione. Le proposte di compromesso esaminano inoltre la questione nell’ottica dell’interesse paneuropeo, cercando di tenere presente le aspirazioni e le sensibilità di Stati membri vecchi e nuovi. Pertanto, speriamo che la relazione, nella sua forma, riceva il più ampio consenso nel voto del Parlamento.
Vi ringrazio per l’attenzione e desidero ringraziare per la cooperazione tutti i miei colleghi, i gruppi politici e la Commissione europea. Non è una coincidenza che il contenuto dell’introduzione del Commissario Špidla mi abbia alleggerito significativamente dal dover presentare la relazione nel dettaglio. In buona sostanza le nostre linee di pensiero coincidono e le nostre esperienze sono simili. Confido che tali rimangano anche in futuro.
PRESIDENZA DELL’ON. MOSCOVICI Vicepresidente
Ria Oomen-Ruijten, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signor Presidente, desidero innanzi tutto esprimere le mie congratulazioni all’onorevole Őry, che ha svolto il suo compito in modo assai coscienzioso e ha prodotto una valida relazione.
Dobbiamo la prosperità di cui godiamo in Europa alle quattro libertà fondamentali che abbiamo ancorato nell’Unione europea. La libera circolazione dei lavoratori ne forma parte integrante. Mi pare che nei vecchi Stati membri il processo di allargamento sia stato dominato dal timore e che la paura di essere tagliati fuori dal mercato del lavoro, che è già, o era, sottoposto a forti pressioni, sia la molla che ha determinato le restrizioni alla libera circolazione. Ho sempre ritenuto che le decisioni non andrebbero adottate sulla spinta della paura e che avremmo servito meglio i nostri interessi se avessimo aperto il mercato del lavoro dal punto di partenza. Ciò si evince chiaramente anche dagli studi svolti in Regno Unito e Svezia, anche se occorre notare che nel Regno Unito la sicurezza sociale non è applicata come vorremmo.
Di che cosa si ha timore? La gente ha paura di essere esclusa dal mercato del lavoro, e per impedirlo si chiudono le frontiere; tuttavia nulla potrebbe essere più distante dalla realtà. Molti arrivano nei nostri Stati membri e faticano tante ore per una paga irrisoria. Abitano in condizioni disagiate, creano la propria squadra composta di loro stessi e competono con le piccole e medie imprese.
Quale dovrebbe essere la risposta? Piuttosto che cedere alla paura, la risposta dovrebbe essere aprire le frontiere e garantire che vi siano adeguati controlli per verificare non che siano corrisposti salari minimi, ma piuttosto se sono rispettate le condizioni salariali e di lavoro previste dai contratti collettivi, come pure le condizioni relative alla sicurezza del lavoro. Questo è uno sviluppo positivo nei nuovi Stati membri come in quelli vecchi.
Richard Falbr, a nome del gruppo PSE. – (CS) Signor Presidente, come è stato ricordato, il 2006 è stato dichiarato l’Anno europeo della mobilità dei lavoratori. Su iniziativa della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, è stata elaborata una risoluzione che la commissione ha approvato il 21 marzo a larghissima maggioranza. Il merito della preparazione della relazione va in special modo all’onorevole Őry. La caratteristica centrale della risoluzione è l’invito ad abolire i regimi transitori. Immediatamente dopo l’approvazione della proposta sono cominciate ad arrivare proposte di emendamento intese a sopprimere questo messaggio del Parlamento orientato al futuro. Vale la pena di notare che ogni emendamento comincia con le parole “Sostengo la libera circolazione dei lavoratori, ma…”. Ritengo pertanto che il Parlamento dovrebbe adottare la medesima versione approvata dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali.
Vorrei ricordarvi che tanto i gruppi dei datori di lavoro quanto la Confederazione europea dei sindacati hanno chiesto l’immediata abolizione dei regimi transitori. Sono consapevole che taluni governi non hanno agito in tal senso, mentre coloro che lo hanno fatto meritano i nostri ringraziamenti. In risposta alle lamentele che ho sentito oggi nei discorsi sulla situazione difficile dell’Unione europea, vorrei dire che i nostri modelli non possono essere né quello americano né quello cinese, e che in seguito alla grave crisi in Asia di qualche anno fa molti paesi in quella regione stanno pensando di sviluppare il tipo di strutture che alcuni oggi cercano di demolire. Pertanto sarebbe un’ottima cosa rendersi conto che la strada verso la prosperità non passa né per i livelli salariali di tipo cinese né per il tipo di relazioni industriali prevalenti negli Stati Uniti.
Jan Jerzy Kułakowski, a nome del gruppo ALDE. – (PL) Signor Presidente, credo che nell’analizzare la relazione Őry sul regime transitorio che limita la libertà di circolazione dei lavoratori sui mercati del lavoro dell’Unione europea si debbano tenere a mente quattro criteri fondamentali.
Primo: la libertà di circolazione delle persone è una delle quattro libertà fondamentali del mercato interno e un diritto di ogni cittadino dell’Unione europea. Il riconoscimento di tale diritto esige l’abrogazione del regime transitorio alla prima occasione utile. Ciò non implica promuovere movimenti di massa attraverso l’Unione europea. Occorre fare una distinzione tra migrazioni scatenate dalla necessità di cercare un impiego e la libera circolazione delle persone come diritto dei cittadini.
Secondo: la relazione giustamente sottolinea i benefici ottenuti dai paesi che non hanno imposto alcun regime transitorio e hanno aperto immediatamente i propri mercati del lavoro. Ciò è in linea con la visione della Commissione europea. Tuttavia sarebbe altrettanto appropriato valutare come la libera circolazione delle persone può minacciare o invece favorire i paesi di origine dei cittadini interessati.
Terzo: è importante che i cittadini degli Stati membri non siano discriminati a favore di cittadini di paesi terzi sui mercati del lavoro dell’Unione europea. Certamente ciò non significa che siamo indifferenti agli interessi dei cittadini dei paesi terzi o che non desideriamo esprimere anche a loro la nostra solidarietà.
Infine, la libera circolazione delle persone dovrebbe essere considerata una caratteristica centrale del modello sociale europeo. In considerazione del fatto che la relazione Őry e la posizione della commissione per l’occupazione e gli affari sociali ottemperano ai criteri di cui sopra, il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa voterà a favore della relazione. Vorremmo altresì ringraziare il relatore Őry per il suo lavoro.
Elisabeth Schroedter, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, il gruppo dei Verdi è favorevole alla realizzazione della libera circolazione e appoggia la relazione equilibrata del collega Őry, perché i regimi transitori, pur essendo molto ben visti dalla popolazione, non sono forieri di successo.
Secondo i giornali tedeschi, il governo aveva deciso di non accogliere sul nostro territorio lavoratori a basso costo con la motivazione di tutelare la forza lavoro locale dall’afflusso di lavoratori migranti a basso costo provenienti dai paesi vicini. Tutto ciò non ha alcun senso: i regimi transitori non tengono lontani i lavoratori migranti. Essi arrivano comunque e lavorano in nero o come para-autonomi. Le disposizioni transitorie gettano le persone nella morsa del lavoro illegale e ne fanno manodopera ancora più a basso costo e dunque oggetto di sfruttamento brutale, senza protezione a titolo del diritto del lavoro, senza sicurezza sociale e senza la certezza di ricevere un salario.
Al di fuori della tutela della legge non esistono diritti. La pressione sui salari nei settori sensibili e sui mercati del lavoro colpiti è ancora maggiore. Gli accordi salariali, infatti, non si applicano sul mercato nero, che ha le sue regole e non è controllabile. I governi che continuano a mantenere in vigore regimi transitori incoraggiano le persone a lavorare illegalmente e semi-illegalmente, danneggiando così in modo assai più grave la coesione sociale.
Per consentire ai lavoratori di avvalersi dei propri diritti occorre farli emergere dal sommerso. Più trasparenza significa anche una migliore sorveglianza dei mercati del lavoro. Dobbiamo modellare il mercato europeo che esiste de facto secondo il principio “salario uguale per lavoro uguale e uguali condizioni di lavoro nello stesso posto”. Ciò rafforza i negoziati collettivi nazionali e regionali e garantisce a tutti i medesimi diritti sociali. Rispetto al governo tedesco, ad esempio, ciò significherebbe estendere senza ulteriori indugi la direttiva sul distacco dei lavoratori a tutti i settori sensibili, perché sappiamo che in Germania e in Austria le disposizioni temporanee per il settore dei servizi dipendono dal regime transitorio per la libera circolazione. Soltanto misure proattive proteggono realmente in modo efficace da eventuali derive sul mercato del lavoro.
(Applausi)
Gabriele Zimmer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, la mancanza di libertà di circolazione per i lavoratori degli Stati membri, che chiamerò ancora “nuovi”, determina che molti sono costretti al lavoro nero, a condizioni di vita e di lavoro intollerabili e all’illegalità. Ciò significa inoltre discriminazione, perché la libera circolazione delle persone è una delle libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario.
Notoriamente i lavoratori godono di questa libertà dalla creazione della Comunità europea nel 1957. Il fatto che nel 2006 non ne possano beneficiare milioni di persone nell’Unione europea è inaccettabile. La sinistra socialmente impegnata – come ad esempio il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica – al Parlamento europeo ha sempre insistito affinché siano poste le condizioni atte a fare sì che con l’adesione di nuovi Stati membri la libera circolazione dei lavoratori possa realizzarsi senza produrre distorsioni nella società.
Dell’allargamento dovrebbero approfittare tutti, nei vecchi e nei nuovi Stati membri, invece si torna sempre di più soltanto al tema della concorrenza globale. Mentre nei paesi scandinavi è stato dimostrato che la libera circolazione serve a tutelare gli standard sociali esistenti, il governo federale tedesco ha prorogato il regime transitorio senza nemmeno spiegare cosa intende fare in concreto per sfruttare tali misure temporanee allo scopo di realizzare davvero la libera circolazione dei lavoratori.
In linea di massima il mio gruppo concorda con l’onorevole Őry sul fatto che, in effetti, non abbiamo bisogno di regimi transitori. Tuttavia la relazione in esame difficilmente potrà sensibilizzare a una maggiore responsabilità sociale sul mercato del lavoro europeo. Gli emendamenti presentati dal nostro gruppo in tal senso non hanno sortito per ora alcun effetto.
Chiedo che la libera circolazione entri in vigore subito per tutti i lavoratori che vivono nell’UE e che siano introdotti salari minimi e standard sociali che tutelino dalla povertà. La lotta alla povertà deve diventare una priorità politica assoluta nell’Unione europea.
Roberts Zīle, a nome del gruppo UEN. – (LV) Signor Presidente, molto recentemente abbiamo subito una bruciante delusione riguardo alla liberalizzazione del mercato dei servizi, ma ora ci accorgiamo che soltanto alcuni dei governi dei vecchi Stati membri sono disposti ad aprire i loro mercati ai lavoratori dei nuovi Stati membri. La maggioranza dei governi, continuando a limitare il numero dei lavoratori dei nuovi Stati membri, si trova di fatto a combattere con problemi ancora più gravi di immigrazione dai paesi non UE.
La parziale apertura del mercato del lavoro, per esempio, ai lavoratori edili, ai custodi e ai camerieri, come proposto dalla Francia, non testimonia della disponibilità rispetto alle libertà fondamentali europee ma piuttosto dello scarso prestigio di tali professioni, visto il livello elevato della disoccupazione giovanile in Francia. Tuttavia, quest’apertura selettiva del mercato professionale a una manodopera scarsamente qualificata significa che ci sarà un incentivo per molti lavoratori qualificati a lasciare i nuovi Stati membri, a cambiare mestiere per guadagnare immediatamente un salario più elevato. A lungo termine, però, ciò indebolirà la competitività europea.
Infine, lancio un appello ai giovani dimostranti francesi, delusi dal loro governo a causa di una legislazione discriminatoria nei loro confronti e li invito a venire nei nuovi Stati membri e ad avviare lì la loro carriera. La disoccupazione tra i giovani da noi è molto bassa e essi non subiscono alcuna discriminazione.
Derek Roland Clark, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, mi stupisce il semplice fatto che sia stata presentata una relazione come questa. Pensavo che l’UE avesse a che vedere proprio con la libera circolazione delle merci, dei servizi e della manodopera. E invece cosa scopriamo? Quando i nuovi dieci Stati membri hanno aderito nel 2004 non hanno ottenuto la parità. Soltanto tre Stati membri dell’ex Europa a 15 hanno ammesso i loro lavoratori senza restrizioni: Irlanda, Svezia e Regno Unito. Ciò è molto strano, se si pensa che questi sono tre tra gli Stati membri dell’UE più riluttanti. L’Irlanda ha bocciato il Trattato di Nizza la prima volta e lo ha accettato in seguito grazie a una impressionante manipolazione nel secondo referendum. La Svezia è entrata nell’UE soltanto dopo un referendum vinto con uno scarto di solo l’1 per cento. Quanto al Regno Unito, di noi sapete tutto. Nessuno di voi ha dato proprio un caloroso benvenuto al Primo Ministro Blair, nel dicembre scorso, alla fine di quella che tutti voi avete considerato una pessima Presidenza britannica. Avevate ragione. Avete addirittura affossato la sua proposta di bilancio per i sette anni – il suo inutile tentativo di riscatto – votando a larga maggioranza la relazione Böge. Quindi ora mi trovo nella felicissima posizione di invitarvi a seguire l’esempio di Regno Unito, Irlanda e Svezia. Lasciate perdere i regimi transitori, rispettate le vostre regole, aprite le vostre frontiere, accogliete la vostra quota di lavoratori, diciamo polacchi; in Regno Unito ne abbiamo 250 000 e non sono tutti idraulici.
Marek Aleksander Czarnecki (NI). – (PL) Signor Presidente, l’ultima relazione dell’OCSE rivela che la Svezia, la Finlandia e il Regno Unito sono i paesi con il tasso di sviluppo più rapido nell’Unione europea. Due di questi paesi hanno aperto i loro mercati del lavoro e occorre notare che anche l’Irlanda ha fatto altrettanto e il suo PIL ne ha tratto vantaggio di conseguenza.
La relazione smonta il mito secondo cui l’afflusso di lavoratori stranieri produce un impatto distruttivo sull’economia del paese in questione; è vero semmai il contrario. Dovremmo ricorrere a politiche occupazionali di questa natura per salvare la strategia di Lisbona. Tutti gli Stati membri dovrebbero aprire il proprio mercato del lavoro.
Le preoccupazioni circa la valanga di manodopera a basso costo si sono rivelate infondate. La migrazione economica è limitata. Pertanto credo che sia essenziale abbattere le barriere che potrebbero in qualche modo ostacolare la libera circolazione dei lavoratori in Europa.
Thomas Mann (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, abbiamo voluto l’allargamento dell’UE a 10 Stati membri per motivi culturali, economici e politici. In qualità di eurodeputato tedesco ho fatto per anni campagna a favore di questo progetto e ho cercato di convincere la gente.
Uno dei presupposti per l’accettazione da parte dell’opinione pubblica era il diritto degli Stati membri di limitare la libera circolazione dei lavoratori in funzione della situazione sui mercati del lavoro nazionali. In sede di commissione per l’occupazione e gli affari sociali è stato sostenuto che il fatto che non si siano manifestati flussi migratori massicci significa che le misure temporanee sancite dal Trattato devono essere immediatamente abrogate.
Devo constatare che in molti Stati membri, quali la Germania, l’Austria o la Francia, la situazione è completamente diversa. L’immigrazione si orienta verso i paesi dove è corrisposto per ora di lavoro un salario sensibilmente più elevato e dove è garantita la sicurezza sociale. Quest’immigrazione deve essere controllata, occorre impedire il lavoro nero e il fenomeno dei lavoratori para-autonomi. Nei paesi con un tasso di disoccupazione elevato, l’ingresso continuo di migranti non porta né alla creazione di nuovi posti di lavoro né all’aumento della competitività delle imprese.
Anche se la relazione in esame non è vincolante dal punto di vista giuridico – è soltanto un appello – potrebbe ugualmente essere strumentalizzata per mettere questo o quel paese sul banco degli imputati, per fare propaganda contro di loro, per istigare campagne che invitano i consumatori a boicottare i prodotti di questi paesi. Del resto, una cosa del genere è già accaduta. Chi prova a spingere gli Stati membri vecchi e nuovi gli uni contro gli altri, mette a repentaglio l’idea che l’Unione europea sia più di una semplice zona di libero scambio.
Ho collaborato alla stesura degli emendamenti di compromesso e ringrazio il nostro relatore Őry. Possiamo riflettere sulla riduzione delle misure temporanee, ma sulla base di analisi dettagliate dei mercati del lavoro nazionali. Inoltre devono essere elaborate norme che dimostrino che i lavoratori dei nuovi Stati membri non sono svantaggiati rispetto ai lavoratori dei paesi terzi.
Ci vogliono decisioni ben ponderate. La concorrenza globale richiede a tutti gli Stati membri dell’UE di creare condizioni adeguate, come ad esempio la riforma dei sistemi di sicurezza sociale. Con questo tipo di atteggiamento il nostro progetto comune europeo rischia di rimanere al palo.
Jean Louis Cottigny (PSE). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la relazione del collega Őry, con cui mi congratulo per il suo lavoro, può rivelarsi un atout per i lavoratori europei. Le misure che limitano la libera circolazione dei lavoratori comportano effetti nefasti, tra cui la diffusione del lavoro nero. Ancora negli ultimi mesi sono stati scoperti in Francia operai polacchi alloggiati in stamberghe, mal nutriti, senza assistenza, senza salario, che erano stati fatti entrare nel paese da una società tedesca di subappalto. Colmo dell’ironia, questi operai lavoravano nella costruzione di un palazzo di giustizia. Quale giustizia? Fatti del genere sono inammissibili.
La libera circolazione dei lavoratori deve costituire una delle leve del progresso sociale, uno degli strumenti che mirano a sconfiggere il dumping sociale. La fine dei regimi transitori obbligherà i datori di lavoro a offrire ai loro dipendenti condizioni di vita decenti, nel rispetto della legislazione sociale del paese di accoglienza. Protezione sociale, un alloggio decente, un salario decente, orari di lavoro equi: ecco i diritti fondamentali che la libera circolazione deve apportare, e noi vigileremo perché sia così. Non si può tollerare che certi datori di lavoro possano giocare sulle diverse nazionalità dei lavoratori per contenere i costi di esercizio, come altri giocano in borsa. Ricordiamoci che il progetto fondatore europeo mira a unire i popoli, non a dividerli. Continuare a restringere la libera circolazione dei lavoratori non può che alimentare i timori dei cittadini di alcuni Stati membri, terrorizzati all’idea di essere trattati come cittadini europei di serie B. Ha ragione, signor Commissario: ormai dobbiamo parlare di cittadini europei. Queste restrizioni devono essere revocate ovunque. Ciò è possibile, ma occorrerà rafforzare i controlli perché i primi a beneficiare di tali misure non ne diventino anche le prime vittime.
Šarūnas Birutis (ALDE). – (LT) Accolgo con favore i vostri commenti sui cittadini dei paesi terzi e sul problema in generale. Mi congratulo con il relatore per aver preparato una relazione molto equilibrata. La libera circolazione dei lavoratori non è soltanto uno dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ma un’espressione della solidarietà tra vecchi e nuovi paesi. Pertanto, sono lieto di vedere che tutti i miei colleghi mostrano un sostegno unanime all’abolizione delle restrizioni. Nel reagire alle sfide poste dalla moderna economia globalizzata, credo che l’abolizione degli ostacoli alla libera circolazione dei cittadini e della manodopera nel mercato dell’Unione europea sia uno degli obiettivi principali della strategia di Lisbona e uno dei fattori per stimolare la crescita economica.
Con il loro capitale umano accumulato, i lavoratori attivi dei nuovi Stati membri dell’Unione europea sono in grado di stimolare la crescita economica a lungo termine. Inoltre, il mercato potrebbe diventare più efficace in quanto i lavoratori stranieri di solito reagiscono più attivamente alle differenze regionali delle opportunità economiche. Avere acconsentito l’ingresso ai lavoratori dei nuovi Stati membri ha rappresentato solo un beneficio per Irlanda, Regno Unito e Svezia. Questi paesi sono noti per la rapida crescita economica, per la minore disoccupazione e per una maggiore occupazione rispetto agli altri Stati. Inoltre si può concludere che i cittadini dei nuovi Stati membri hanno integrato ma non sostituito i cittadini dei vecchi Stati membri nei loro mercati del lavoro. Le statistiche degli Stati membri dell’Unione europea indicano che l’immigrazione dai paesi terzi è superiore al flusso migratorio all’interno dell’Unione europea. Dovremmo congratularci e rallegrarci della decisione di quei paesi che hanno optato per aprire il loro mercato del lavoro ai nuovi paesi dell’Unione europea da maggio di quest’anno. Mi verrebbe da dire che è una vergogna che l’Austria, che ha attualmente la Presidenza dell’UE, e la Germania siano incapaci, a causa delle loro fobie, di discutere con i loro stessi cittadini. Ovviamente, l’apertura del mercato del lavoro è un diritto sovrano di ogni Stato.
Jean Lambert (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, a mia volta desidero ringraziare il Commissario e il nostro relatore per il loro lavoro sull’argomento.
Come molti hanno sostenuto, la parità di trattamento è un principio cardinale per l’Europa dei cittadini, che dovremmo applicare alle condizioni di lavoro e all’accesso ai servizi nei nostri Stati membri in tutta l’Unione. Tuttavia, discutendo dei cittadini di paesi terzi, è cruciale essere molto chiari – come lo è stato il relatore – nel dire che non intendiamo far regredire i diritti che questi si sono faticosamente conquistati, ma piuttosto estendere i diritti che spettano ai nostri nuovi Stati membri.
Abbiamo sentito tante argomentazioni nel corso degli ultimi mesi a favore del mantenimento dei regimi transitori. Molti di noi non le reputano convincenti. Riteniamo che – come è stato già affermato – siano evidenti fenomeni di lavoro subordinato irregolare e para-autonomo. Sono pronta a scommettere che in tutti i nostri paesi esistono cittadini di Stati membri in situazioni non chiare.
Quando il Regno Unito ha introdotto il programma di registrazione per i cittadini degli otto nuovi Stati membri, ha scoperto che il 40 per cento dei polacchi registrati si trovavano già nel Regno Unito. Mi pare una dimostrazione del fatto che la gente vuole lavorare legalmente. Dobbiamo incoraggiarla a farlo. Sono necessarie migliori indicazioni in anticipo, un maggiore sforzo a livello di ispezioni e sostegno a chi denuncia irregolarità e una maggiore chiarezza circa i diritti, per evitare lo sfruttamento cui si riferiva l’onorevole Cottigny, che minaccia di ridurre le condizioni di lavoro e sfrutta gli individui. E’ molto più facile chiedere la parità di trattamento quando si beneficia di diritti chiari.
Il Regno Unito – come detto – ha aperto l’accesso con alcune modifiche della sicurezza sociale. Sono arrivati lavoratori con competenze di ogni tipo. Non abbiamo riscontrato alcuna evidenza di un aumento nelle richieste di prestazioni sociali. L’impatto economico pare modesto e gli arrivi hanno cominciato a rallentare verso la fine dell’anno scorso.
Bairbre de Brún (GUE/NGL). – (L’oratore ha parlato in irlandese)
(EN) Le esperienze positive dell’Irlanda dovrebbero incoraggiare gli altri paesi che hanno introdotto misure transitorie ad abrogare tali restrizioni. Il partito Sinn Féin e il movimento sindacale hanno sostenuto la decisione di non introdurre misure transitorie in Irlanda. Ho firmato la dichiarazione scritta del Parlamento europeo che chiede l’abolizione di tali restrizioni. Riaffermo questa richiesta oggi in quest’Aula e accolgo con favore la relazione Őry in tal senso.
Tuttavia dobbiamo andare oltre: non possiamo ignorare la questione delle condizioni di lavoro e dello sfruttamento dei lavoratori. Anche in Irlanda, datori di lavoro senza scrupoli hanno utilizzato la mancanza di libera circolazione dei lavoratori nell’UE per introdurre la discriminazione nei salari e nelle condizioni di lavoro sulla base della nazionalità. Dobbiamo contrastare questa tendenza fermamente.
L’onorevole Oomen-Ruijten accennava alle restrizioni relative alla sicurezza sociale. Dobbiamo altresì combattere qualunque discriminazione nell’accesso alla protezione sociale per i cittadini UE che si recano in un altro Stato membro per lavorare o per cercare lavoro.
Jacek Protasiewicz (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Őry, iniziatore e autore della relazione sul regime transitorio che limita la libertà di circolazione dei lavoratori sui mercati del lavoro dell’Unione europea. Nella sua versione iniziale il documento indicava già, a ragione, che l’impossibilità di un impiego legale nella maggioranza dei cosiddetti vecchi Stati membri alimenta il lavoro nero e lo sfruttamento dei lavoratori.
L’onorevole Őry sottolinea altrettanto opportunamente il fatto che in certi Stati membri dell’Unione europea al momento sono imposte più limitazioni alla circolazione dei lavoratori dai nuovi Stati membri rispetto a quelle in vigore al momento della firma del Trattato di adesione. Sottolinea inoltre che esistono questioni che riguardano il trattamento preferenziale dei cosiddetti cittadini dei paesi terzi residenti di lungo periodo a scapito dei cittadini dell’Unione dei dieci nuovi Stati membri.
Inoltre, l’autore della relazione afferma chiaramente che non vi sono state conseguenze socioeconomiche negative per i paesi che hanno già aperto i propri mercati del lavoro. Al contrario, la riduzione dell’occupazione irregolare dei lavoratori ha prodotto entrate aggiuntive nei bilanci nazionali.
Il progetto iniziale dell’onorevole Őry è stato anche posto in discussione e in votazione nella commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento e il testo è risultato notevolmente migliorato nel corso di tale processo. Ciò vale in particolare per il paragrafo 1. Nella versione presentata dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, il Parlamento si esprime chiaramente a sostegno dei cittadini e del loro diritto alle libertà fondamentali sancite dai Trattati.
Sono fermamente convinto che questa sia la posizione che il Parlamento europeo deve adottare. L’Aula deve esprimersi in modo chiaro e univoco in difesa dei diritti e delle libertà fondamentali. Dovrebbe intervenire per difendere gli interessi della Comunità e di tutti i cittadini dell’Unione europea, al di là di specifiche preoccupazioni nazionali. Ecco perché sono dell’opinione che dovremmo sostenere il testo emerso dal dibattito e dal voto in sede di commissione per l’occupazione e gli affari sociali.
Karin Jöns (PSE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, anch’io sono contraria a un’appartenenza all’Unione europea di serie B. Naturalmente la libertà di circolazione deve applicarsi prima possibile a tutti i lavoratori dell’UE, ma vi sono dei motivi che hanno giustificato la facoltà di introdurre la regola 2+3+2 per limitare l’accesso ai mercati nazionali. Voler trarre dall’esperienza di tre paesi conclusioni automaticamente valide per tutti gli altri Stati, come la Commissione fa, mi sembra alquanto rischioso.
Al collega Őry, con tutto il rispetto, voglio dire apertamente che capisco che egli condivida la posizione della Commissione, al pari di molti altri colleghi. Tuttavia, se mi è concesso, vorrei ricordare che è stato il ministro del Lavoro ceco, tra gli altri, già alla fine dell’anno scorso, ad annunciare che anche il suo paese stava riflettendo sull’opportunità di introdurre eventualmente un regime transitorio per la libera circolazione nei confronti di Romania e Bulgaria.
Diversamente da Regno Unito, Svezia e Irlanda, la Germania non ha un tasso di disoccupazione di solo il 5 per cento circa, bensì del 12 per cento. Alle nostre porte abbiamo un paese con un tasso di disoccupazione del 18 per cento. E’ del tutto comprensibile che ciò crei in molti lavoratori l’ansia per il posto di lavoro. Il fatto che un governo cerchi di tenerne conto, è altrettanto comprensibile, tanto più sapendo che la Germania già oggi, dal punto di vista percentuale, ha rilasciato ai cittadini dei nuovi Stati membri il tasso di permessi di lavoro più alto.
Karin Resetarits (ALDE). – (DE) Signor Presidente, qualche settimana fa il Parlamento ha votato la direttiva sui servizi. La maggioranza ha appoggiato il compromesso che mira a mantenere gli elevati standard sociali secondo il motto: “No al dumping sociale”.
Eppure si direbbe che questa difesa dal dumping sociale sia intesa soltanto a beneficio di un circolo esclusivo in Europa. Come interpretare altrimenti le restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori? Chi esclude dal mercato certe persone deve essere consapevole della possibile reazione contraria naturale: la nascita di mercati illegali. Proprio nelle regioni frontaliere non si può impedire alla gente di offrire il proprio lavoro su entrambi i lati della frontiera. E quindi negli ultimi anni è nata una nuova categoria di lavoratori che si offre per strada: artigiani, muratori mettono a disposizione i propri servizi, e questo mercato si sta rivelando vantaggioso perché sono molto richiesti. Lavorano come finti autonomi o semplicemente in nero, senza protezione sociale, per un compenso inferiore ai salari minimi garantiti per legge.
Come stonano le dichiarazioni dei rappresentati, ad esempio, dell’edilizia tedesca che chiedono – così si legge – una proroga dei regimi transitori. Perché alcuni datori di lavoro vogliono che queste restrizioni discriminatorie siano imposte ai cittadini di altri Stati membri? Non sarà perché così possono approfittare di lavoratori stagionali a basso costo, para-autonomi e lavoratori in nero? E perché – mi chiedo – i rappresentanti nazionali dei lavoratori non si battono più energicamente contro questa forma di sfruttamento? Perché fanno dipendere la sicurezza sociale dalla nazionalità? Forse per puro populismo, perché alla fine votano soltanto i cittadini del proprio paese e quindi quello che conta non è il principio in sé, quanto piuttosto il tornaconto personale a fini elettorali?
A tutt’oggi tre paesi hanno aperto il proprio mercato del lavoro ai nuovi Stati membri dell’Unione. Le loro esperienze sono positive. Nell’anno della mobilità chiedo che al massimo entro il 2007 tutti decidano altrettanto. E’ una vergogna per tutti quelli che non lo fanno, anche e soprattutto se si tratta del mio paese, l’Austria!
Edit Bauer (PPE-DE). – (SK) Il tema della libera circolazione delle persone e dell’accesso ai mercati del lavoro è indubbiamente divenuto un argomento politicamente delicato. Il relatore, onorevole Őry, ha gestito la materia con abilità, senza causare divisioni tra gli Stati membri. Nella sua relazione, focalizza l’attenzione sugli effetti reali dell’arrivo di cittadini dei nuovi Stati membri sui mercati del lavoro dei vecchi quindici Stati membri. Egli sostiene la premessa secondo cui non sono gli Stati membri e le loro interazioni a causare il reale problema di competitività dell’Unione europea, bensì i competitori esterni, quali India e Cina.
La relazione esamina i fatti seguenti: primo, i lavoratori dei nuovi Stati membri non superano in nessun caso il 2 per cento della popolazione del paese ospite; secondo, la migrazione interna tra i vecchi Stati membri è quattro volte maggiore della migrazione interna proveniente dai nuovi Stati membri e, terzo, la migrazione dai paesi terzi sorpassa ampiamente il flusso migratorio interno totale nell’UE. Non vi è dubbio che, oltre all’atteggiamento di Germania, Austria e Francia sui regimi transitori, esistono opinioni divergenti anche tra i nuovi Stati membri, dato che anche in quei paesi le misure temporanee sono diventate sempre di più una questione politica delicata.
Abbiamo adottato le disposizioni temporanee durante i negoziati di adesione, come parte dell’accordo. Con il passare del tempo, però, il problema si è fatto delicato per le politiche dei vecchi Stati membri, che sono sempre di più percepite come discriminatorie. Le discussioni sulla direttiva “servizi” hanno già rivelato situazioni assurde legate ai regimi transitori e ora, rispetto alla direttiva n. 2003/109/CE, pare che sia emerso persino un contenzioso giuridico sulla clausola preferenziale. I timori generati dall’insicurezza del lavoro e dal pregiudizio certamente rappresentano un capitale politico che può essere immediatamente messo a frutto. Invece di propagare questo mito, che, di fatto, conduce a un’impasse politica, i politici dovrebbero avere la responsabilità di dire la verità.
Csaba Sándor Tabajdi (PSE). – (HU) Mi congratulo con il relatore Csaba Őry per il suo eccellente lavoro e vorrei ringraziare il Commissario Špidla per la relazione riassuntiva che spesso provoca dispute per via degli interessi divergenti. I colleghi di alcuni paesi criticano la relazione, ma la maggioranza trova questa relazione obiettiva di grande utilità.
Quando i nuovi Stati membri si battono per la parità dei diritti, la loro non è soltanto una semplice lotta per la parità di trattamento: essa tutela gli interessi dell’intera Unione europea. E’ paradossale che siano i nuovi Stati membri a premere per la liberalizzazione del mercato del lavoro, che, al pari della liberalizzazione dei servizi, l’Unione europea dovrebbe comunque realizzare nell’interesse della sua competitività. Vorremmo essere cittadini dell’Unione europea con pari diritti. L’apertura del mercato del lavoro e la libera circolazione dei lavoratori non sono un regalo o un favore, bensì la decisione razionale di otto vecchi Stati membri che produrrebbe effetti favorevoli per tutti i cittadini dell’Unione europea.
I nostri ringraziamenti vanno a Regno Unito, Repubblica d’Irlanda, Svezia, Finlandia, Spagna, Portogallo e Paesi Bassi, e speriamo che anche i restanti Stati membri riconsiderino la loro posizione. Concordo con il Commissario Špidla: è inammissibile che nei paesi che non hanno aperto i loro mercati del lavoro i cittadini dei paesi terzi residenti legalmente da cinque anni abbiano un trattamento più favorevole rispetto ai lavoratori dei dieci nuovi Stati membri.
Ignasi Guardans Cambó (ALDE). – (ES) Signor Presidente, quando la Spagna e il Portogallo entrarono nell’Unione europea – l’allora Comunità europea – si diffuse una paura irrazionale per l’eventuale afflusso di lavoratori spagnoli e portoghesi sul mercato. Ciò si è rivelato assurdo, eppure questo stesso timore si è ripresentato con l’adesione dei nuovi Stati membri e purtroppo, sebbene in questo caso e in quest’occasione alcuni deputati del Parlamento spagnolo si siano opposti, come pure il governo al potere al momento dell’adesione, si è deciso di introdurre regimi transitori, in parte su pressione di altri Stati membri.
Oggi è già dimostrato che tutto ciò è insensato e che questo timore è assolutamente irrazionale. Non si può tollerare che una delle libertà fondamentali dell’Unione europea sia congelata per un periodo soltanto per motivi di populismo o per paura delle reazioni da parte di determinate società. Non possono esistere paesi di prima e di seconda classe nell’Unione europea; pertanto è necessario porre fine a tali regimi transitori e aprire completamente le frontiere del mercato del lavoro europeo e convertirlo effettivamente in un autentico mercato unico del lavoro.
Per questo motivo sostengo incondizionatamente la relazione Őry, che attira l’attenzione sulla questione e sulla situazione in cui si trovano i cittadini di questi paesi, i quali, in alcuni casi, versano in condizioni addirittura peggiori dei cittadini di paesi terzi legalmente residenti negli Stati membri dell’Unione europea.
Mi congratulo con il governo spagnolo per aver deciso anch’esso di abolire finalmente queste misure temporanee; spero che quanto prima altri Stati aderiscano a tale iniziativa affinché tutti i cittadini dell’Unione europea beneficino della parità di condizioni. E’ compito del Parlamento esercitare pressioni in tale direzione.
(Applausi)
Mihael Brejc (PPE-DE). – (SL) Sostengo la relazione Őry e tutti gli altri sforzi protesi a rafforzare il mercato interno dell’Unione europea. Ovviamente il buon funzionamento del mercato interno si basa sulla libera circolazione di capitali, beni, servizi e lavoratori. La libera circolazione di beni e capitali è stata attuata relativamente con successo, mentre abbiamo riscontrato gravi difficoltà per la libera circolazione dei servizi e dei lavoratori.
Abbiamo progettato che l’economia europea fiorisca grazie alla strategia di Lisbona. Sentiamo costantemente dire quanto sono importanti la concorrenza e l’adozione di misure contro il protezionismo, ma tutto questo nella pratica funziona davvero? In merito ai capitali e ai beni, alcuni paesi sono particolarmente coerenti nell’invocare la concorrenza e stanno addirittura aprendo i loro mercati a merci a basso prezzo provenienti dall’Asia. Però tutti coloro che ci danno costantemente lezioni sul significato della concorrenza e sugli svantaggi del protezionismo per le merci e i capitali allo stesso tempo chiudono i loro mercati dei servizi e del lavoro. Questo non è protezionismo?
Il 2006 è stato designato Anno europeo della mobilità dei lavoratori; nondimeno, proprio quest’anno alcuni Stati membri stanno pianificando di prorogare i loro regimi transitori. Pertanto vi chiedo come si fa a spiegarlo ai cittadini dell’Unione europea. Con estrema difficoltà. D’altro canto è evidente che gli Stati che hanno aperto i propri mercati stanno realizzando progressi e il loro sviluppo economico è notevole.
Qualunque paese decida di chiudere ulteriormente il proprio mercato del lavoro deve farlo, secondo il mio punto di vista, su una base razionale e a titolo individuale, e non come parte di un blocco di paesi. Se vogliamo che l’Unione europea sia in grado di competere con successo con gli altri paesi, essa deve pienamente realizzare nel suo mercato interno la libera circolazione di capitali, beni e servizi, come pure la libera circolazione dei lavoratori.
Harald Ettl (PSE). – (DE) Signor Presidente, l’auspicio, di per sé giustificato, di eliminare quanto prima possibile i regimi transitori per la libera circolazione dei lavoratori, che rappresentano un ostacolo alla mobilità in Europa, non è propriamente facilitato dallo studio della Commissione, che risulta superficiale e impreciso.
Certamente l’abolizione di tali disposizioni potrebbe rendere più difficoltoso il lavoro non dichiarato sul mercato, ma non per questo scomparirà la pressione per regolare i salari e la sfera sociale. Anzi, il problema potrà solo inasprirsi. Se perciò non sarà possibile emanare misure di accompagnamento a tutela dei lavoratori, ad esempio una direttiva sul distacco dei lavoratori migliorata nella sostanza e i meccanismi per controllarla e attuarla, le tensioni sui mercati del lavoro in Germania e in Austria non faranno che aumentare. Ancora non vedo misure di accompagnamento praticabili da parte della Commissione. Rida pure, signor Commissario!
La maggioranza del Parlamento a questo punto può anche approvare le relazioni della Commissione e dell’onorevole Őry, disinteressandosi completamente della situazione e degli interessi di Germania e Austria e abolendo i regimi transitori. In qualità di parlamentare devo piegarmi alla maggioranza – questo è evidente – ma il fatto che ciò alimenti ulteriormente l’antieuropeismo nei nostri paesi potrà lasciare indifferente lei, che è il Commissario competente per gli affari sociali, ma non lascia certo indifferente me!
Philip Bushill-Matthews (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, tra i tanti argomenti in votazione questa settimana, credo che questa relazione e questo tema siano i più importanti. Il fatto che ben 30 oratori vogliano intervenire nella discussione ne è la conferma.
Molti hanno già fatto riferimento alle quattro libertà fondamentali dell’UE. Tra esse, la libertà di circolazione delle persone è forse la più significativa. Mezzo secolo fa, riferendosi ad una delle missioni principali dell’UE, Jean Monnet affermava: “Nous ne coalisons pas les États, nous unissons les hommes”. Un’affermazione assolutamente vera allora e assolutamente vera oggi. Questo dovremmo fare: unire le persone.
Sono stati citati i timori di alcuni Stati membri. Non credo che dovremmo criticare gli Stati membri, se nutrono timori: è comprensibile. Tuttavia, accanto ai timori vi sono i fatti, e i fatti dovrebbero relativizzare i timori. Il fatto è che gli immigrati giunti dai paesi dell’Europa centrale e orientale in Regno Unito, Svezia e Irlanda non hanno prosciugato la nostra economia, ma le hanno giovato. Il problema non è stata l’immigrazione legale nei nostri paesi, ma l’immigrazione illegale negli altri paesi, che ha alimentato la crescita dell’economia sommersa. Chi ha paura del problema dovrebbe tenere a mente che questo è molto peggio che aprire le frontiere in questa fase.
Sono lieto che già altri tre paesi – Spagna, Portogallo e Finlandia – abbiano affermato la propria intenzione di abbattere le barriere. Vorrei chiedere al Commissario di utilizzare la sua grande autorevolezza personale, come pure quella della Commissione, per incoraggiare la Finlandia a mantenere la questione come prioritaria nell’agenda della Presidenza entrante e a riferire, alla fine della Presidenza, in merito ai progressi realizzati, così da essere fonte di ispirazione per altri.
Per intanto spero che tutti ispireremo gli altri con un voto forte alla fine della settimana. Spero che si possa dire ai nuovi Stati membri che non esistono cittadini di serie B in Europa, e ai vecchi Stati membri che è ora di aprire le frontiere e le menti.
Ole Christensen (PSE). – (DA) La libera circolazione dei lavoratori è uno dei pilastri fondamentali della cooperazione europea. Le disposizioni temporanee che alcuni Stati membri – incluso il mio paese, la Danimarca – hanno deciso di introdurre nei confronti dei lavoratori dell’Europa orientale devono essere abolite nei tempi più ragionevolmente brevi.
I regimi transitori non devono inutilmente impedire la libera circolazione, e noi dobbiamo dimostrare la nostra solidarietà e la nostra apertura a tutti gli europei. Pertanto tali regimi devono essere resi più flessibili così da eliminare tutte le inutili barriere. I regimi transitori, però, devono essere abrogati soltanto quando è certo che non vi sia sfruttamento a scapito degli immigrati dall’Europa orientale. I regimi transitori in Danimarca fungono da tutela contro lo sfruttamento e garantiscono ai lavoratori un salario conforme ai contratti collettivi. La manodopera dell’Europa orientale troppo spesso è sfruttata dai datori di lavoro che pagano salari sensibilmente inferiori alla norma e lasciano che i loro dipendenti lavorino in condizioni biasimevoli.
E’ nostra responsabilità difendere la libera circolazione dei lavoratori, che è un diritto fondamentale nell’UE. Ma è altrettanto nostra responsabilità difendere le condizioni dei lavoratori e garantire che tutti i cittadini abbiano condizioni di lavoro e salari decenti. I regimi transitori erano e sono un tentativo di ottenere entrambe le cose.
In Danimarca non abbiamo un salario minimo. Pertanto i regimi transitori hanno consentito di vigilare sull’afflusso di lavoratori dall’Europa orientale, così da concentrare l’intervento sui datori di lavoro che hanno cercato di aggirare le regole sulle condizioni di lavoro e salariali.
E’ ormai giunto il momento di cominciare ad abolire progressivamente le restrizioni.
Roselyne Bachelot-Narquin (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nei momenti di incertezza, l’Unione europea deve tornare ai suoi principi fondamentali. Oggi occorre perfezionare le quattro libertà su cui si fonda il mercato interno. La libera circolazione dei lavoratori deve ancora realizzarsi, e a tale scopo occorre abolire il più rapidamente possibile le restrizioni imposte ai nuovi Stati membri al momento della loro adesione.
La sfiducia è ormai fuori luogo, poiché constatiamo che nei quindici paesi dove le restrizioni sono stati abolite non si sono verificati ingressi massicci. Sorprendentemente, soltanto il 2 per cento dei cittadini europei lavora al di là delle frontiere, mentre un terzo degli americani si stabilisce in uno Stato diverso da quello di nascita. L’invasione altro non è che un fantasma, la mobilità dei lavoratori è una sfida. La relazione dell’onorevole Őry pone l’obiettivo di abrogare le restrizioni entro il 2009, e personalmente lo sottoscrivo. Lo stesso Primo Ministro francese ha indicato che la Francia anticiperà tale iniziativa e abolirà le restrizioni in modo progressivo e controllato.
La risoluzione approvata nel dicembre 2005 dalla Confederazione europea dei sindacati apre nuovi scenari che conciliano l’apertura delle frontiere con una protezione adeguata. Gli emendamenti adottati dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali vanno in tale direzione nell’ottica di assicurare l’applicazione del diritto del lavoro negli Stati membri – più in particolare, l’applicazione di standard comunitari, come quelli previsti dalla direttiva sul distacco dei lavoratori – e di studiare la creazione di un centro europeo che coordini i servizi d’ispettorato degli Stati membri. Elaborando statistiche standardizzate sull’immigrazione comunitaria riusciremo a creare uno strumentario per l’Europa sociale in seno all’Unione, che confermerà che la libera circolazione dei lavoratori non è sinonimo di dumping né di minimo comune denominatore sociale, bensì un fattore di dinamismo economico destinato a svuotare le sacche della sottoccupazione.
Stephen Hughes (PSE). – (EN) Signor Presidente, mi congratulo con l’onorevole Őry per la sua eccellente relazione. Desidero formulare tre brevi osservazioni, la prima delle quali riguarda il paragrafo 1. Nella formula licenziata dalla commissione, tale paragrafo invita gli Stati membri ad abolire le misure transitorie in vigore. Per molti questo è diventato il fulcro della relazione. So che il relatore si è sentito spinto a presentare un compromesso in cui si afferma che gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione l’abolizione di tali misure e si citano specificamente i tre Stati membri che non le hanno introdotte fin dal principio. Molti membri del mio gruppo sono favorevoli al testo nella sua redazione attuale, in quanto ritengono che dovremmo osteggiare la proroga di tali misure temporanee. Tuttavia, tale affermazione nasce dalla lettura congiunta con il paragrafo 14, il quale afferma che gli Stati membri che continuano ad avvalersi di tali misure devono creare le premesse affinché il regime transitorio non si prolunghi oltre il 2009.
Il mio secondo punto riguarda la parità di trattamento. Oggi il relatore e altri hanno insistito qui in Aula con forza sul fatto che il problema non è soltanto assicurare che tutti i lavoratori degli otto nuovi Stati membri abbiano il diritto di beneficiare della libera circolazione della manodopera, bensì è anche quello di garantire che le ispezioni e i regimi di applicazione offrano loro una piena parità di trattamento e prevengano lo sfruttamento nei Quindici. Vi sono state violazioni gravi sia nel Regno Unito sia nella Repubblica d’Irlanda.
Il mio ultimo commento riguarda la direttiva n. 2003/109/CE, cui ha fatto riferimento il Commissario. Tale direttiva garantisce il pieno accesso ai mercati del lavoro degli Stati membri per i cittadini di paesi terzi che sono residenti di lungo periodo. Il Servizio giuridico del Parlamento ha sostenuto che ciò non comporta in alcun modo il rischio che i cittadini di paesi terzi beneficino di un accesso maggiore rispetto ai cittadini degli otto nuovi Stati membri. Il Servizio giuridico sottolinea che l’articolo 11 della suddetta direttiva afferma che gli Stati membri “possono” restringere in certi casi la parità di trattamento per i cittadini dei paesi terzi. Asserire che gli Stati membri “possono” non equivale ad affermare che “devono” farlo né che lo “faranno”. L’unico modo per garantire la parità di trattamento è abolire le misure transitorie.
Rolf Berend (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, nonostante le richieste contenute nella relazione Őry sono fermamente convinto che, negli Stati membri che lo ritengono necessario, possano rimanere in vigore sia i regimi transitori sia la libertà di circolazione. Se un paese, sulla base di considerazioni economiche o legate al mercato del lavoro, ritiene di avere bisogno di continuare a regolamentare l’accesso al mercato del lavoro, ciò è perfettamente legittimo. Anche in questo caso vale il principio pacta sunt servanda e né la Commissione né il Parlamento – forse nemmeno la maggioranza parlamentare – dovrebbero arrogarsi il diritto di esercitare pressioni appellandosi ad alcuni Stati membri. A mio avviso questa sarebbe una strumentalizzazione su un tema di scottante attualità.
Su un argomento come questo non mi sento di considerare la Germania e l’Austria alla stessa stregua della Spagna e del Portogallo. La Germania si trova su una linea di confine e da noi vigono condizioni completamente diverse dai paesi dell’Europa meridionale. In questo Parlamento si parla tanto di sussidiarietà, ma improvvisamente, quando si tratta della libera circolazione dei lavoratori, Bruxelles e Strasburgo pretendono di capirne di più di coloro che sono direttamente sul campo, in Germania e in Austria. Quando il governo tedesco, qualche mese fa, nell’accordo di coalizione ha confermato le misure temporanee, lo ha fatto non per diletto ma sulla base di fatti che vanno rispettati. Quantomeno per i prossimi tre anni il mio paese deve poter continuare a disciplinare l’accesso al mercato del lavoro. Quello che succederà nei due anni seguenti potrà essere valutato e determinato soltanto in funzione della nuova situazione.
In conclusione vorrei ancora ricordare che proprio a causa di questo problema si sono diffusi timori tra la popolazione per l’allargamento a est, ma siamo sempre stati in grado di dire che questi timori erano ingiustificati e che i problemi erano disciplinati dal Trattato rispettivamente per i cinque o sette anni seguenti.
Anna Ibrisagic (PPE-DE). – (SV) Signor Presidente, il 1° maggio 2004 è un giorno che ricorderò per sempre. Quel giorno, insieme a Otto von Habsburg ero alla frontiera tra Slovenia e Austria e partecipavo a una cerimonia solenne. Si celebrava, con l’adesione della Slovenia all’UE, la riunificazione di una città spaccata in due dopo la guerra, con una parte diventata austriaca e l’altra slovena.
Il simbolismo era chiaro e in quella circostanza ho sentito fortemente che la gente non aveva la sensazione di entrare a far parte di qualcosa di nuovo, ma semmai di riunirsi con qualcosa di cui aveva sempre fatto parte. E, infatti, le cose stanno proprio così. I dieci nuovi Stati membri dell’UE sono dieci vecchi paesi dell’Europa, solo che il comunismo li ha presi in ostaggio per 50 anni e ora finalmente si sono riuniti a noi.
Nella fase che ha preceduto questa riunificazione i socialdemocratici svedesi avevano dipinto immagini terribili di come il nostro paese sarebbe stato invaso da lavoratori stranieri che avrebbero abbassato i nostri salari e sfruttato le nostre prestazioni sociali. Insieme al mio partito ci siamo battuti nel Parlamento svedese per impedire che il nostro paese introducesse un regime transitorio. Volevamo che i nuovi paesi, che tanto a lungo hanno patito sotto il comunismo, potessero infine beneficiare delle libertà che l’adesione all’UE portava con sé.
Abbiamo rifiutato di accettare la propaganda dei socialdemocratici e abbiamo dimostrato la natura della vera solidarietà. Abbiamo vinto la battaglia e la Svezia non ha mai introdotto alcun regime transitorio. Le valutazioni svolte dimostrano ormai al di là di ogni ambiguità che la Svezia non è stata affatto esposta al dumping sociale invocato dai socialdemocratici come tattica intimidatoria. Invece la libertà di movimento ha sortito soltanto effetti positivi sull’economia svedese. Gli altri paesi che non hanno introdotto misure transitorie hanno avuto la stessa esperienza.
Tuttavia devo aggiungere che ho appreso con grande delusione la decisione di alcuni paesi di prorogare i regimi transitori. Una simile scelta, quando gli scenari prospettati non si sono realizzati, è irragionevole. L’unica cosa corretta è evitare di introdurre regimi transitori, e spero che in futuro l’Europa si farà influenzare più dalla ragione che dalla paura.
(Applausi)
Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE). – (LT) Sappiamo tutti perfettamente che la libera circolazione dei lavoratori è una delle quattro libertà fondamentali su cui si fonda l’idea stessa della Comunità europea. Tuttavia, sappiamo anche che tale libertà vale soltanto e si applica pienamente soltanto ai cittadini dei quindici vecchi Stati membri, mentre i cittadini degli otto nuovi Stati membri che hanno aderito il 1° maggio 2004 sono soggetti alle disposizioni del regime transitorio, il quale può durare fino a sette anni, conformemente alla formula 2+3+2. Se ciò non fosse abbastanza, ai sensi di alcune direttive UE, in taluni casi i cittadini di paesi terzi che sono residenti di lungo periodo beneficiano di diritti che accordano loro uno status più privilegiato rispetto ai cittadini degli otto nuovi Stati membri per quanto attiene alla possibilità di vivere nei quindici Stati membri dell’UE e di entrare sul loro mercato del lavoro. Ciò significa che la solidarietà con i lavoratori dei paesi terzi comporta una discriminazione a carico dei lavoratori dei nuovi Stati membri dell’UE.
Poiché il primo periodo transitorio termina il 30 aprile, abbiamo un’opportunità perfetta per valutare le conseguenze e gli effetti sulle economie sia dei quindici vecchi Stati membri sia degli otto nuovi Stati membri, e per adottare le decisioni del caso. Vero è che non disponiamo di statistiche sull’immigrazione all’interno della Comunità. E’ difficile giungere a conclusioni oggettive, ma oggi è già evidente che l’immigrazione dai paesi terzi sorpassa di gran lunga il flusso migratorio all’interno dell’UE, cioè nei vecchi quindici Stati membri e in tutta l’UE allargata. E’ altrettanto ovvio che i paesi che hanno aperto i propri mercati del lavoro ai cittadini dei nuovi paesi in realtà ne hanno tratto soltanto benefici, mentre i regimi transitori incoraggiano il lavoro illegale, condizioni di lavoro inique, la discriminazione e lo sfruttamento dei lavoratori immigrati. Sono convinta che il Parlamento europeo deve incoraggiare gli Stati membri ad abolire le disposizioni temporanee attualmente in vigore, essendovi motivi più che sufficienti a suffragio di tale decisione.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, il dibattito odierno è sicuramente di vitale importanza, in quanto verte sull’occupazione, l’economia e la libera circolazione delle persone. E’ importante porre una questione chiave, cioè se i mercati del lavoro devono essere aperti laddove ci sono posti di lavoro vacanti e una penuria di lavoratori locali, in altri termini laddove scarseggiano le persone disposte a lavorare. Insisto: mi riferisco alla mancanza di persone disposte a lavorare, non ai disoccupati. In alternativa, si dovrebbero aprire i mercati del lavoro così da generare la crescita economica, che porterà alla creazione di nuovi posti di lavoro? Le mie convinzioni e la mia esperienza fino a oggi indicano che l’apertura del mercato del lavoro in un dato paese genera crescita economica e nuovi posti di lavoro.
Occorre tenere a mente che la crescita dell’occupazione e la creazione di posti di lavoro sono possibili soltanto se si introducono riforme economiche autentiche, non semplici cambiamenti cosmetici. I datori di lavoro devono convincersi della necessità di tali riforme, ma soprattutto dobbiamo spuntarla sui sindacati. Sebbene tali cambiamenti siano tendenzialmente dolorosi nel breve termine, hanno un effetto positivo nel medio e nel lungo termine.
Passo ora a una questione assai opportuna, poiché noi partecipiamo ai negoziati a livello OMC. In che misura e a che ritmo si dovrebbe liberalizzare il commercio mondiale per realizzare la crescita economica nell’UE e creare nuovi posti di lavoro? Eviteremmo così di diventare semplicemente una zona di consumo per le merci importate, con una capacità limitata di produzione.
Infine, è importante preparare la flessibilità e la mobilità della forza lavoro. Credo che le risorse dei bilanci nazionali e dell’Unione debbano essere destinate alla riqualificazione e alla formazione per nuovi impieghi. Attualmente si direbbe che, nonostante la disoccupazione elevata, vi sia carenza di lavoratori specializzati…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Ho ascoltato con interesse la discussione sulla relazione Őry e devo dire che è stata eccezionalmente esaustiva e ha gettato luce su tanti aspetti e punti di vista relativi al tema della libera circolazione dei lavoratori. Vorrei aggiungere un ulteriore elemento alla discussione, che non è stato menzionato. I regimi transitori hanno formato parte di ogni allargamento dell’UE e ogni allargamento è stato dominato da grandi timori che non si sono mai materializzati.
Onorevoli parlamentari, l’attuale trattato di adesione prevede pertanto un sistema graduale, composto di alcune fasi organizzate in modo tale che l’ultima fase, nel 2011, sarà il più possibile breve. Sono lieto perciò di poter dire che a partire dal 1° maggio di quest’anno l’Europa compirà significativi progressi verso una completa libertà di circolazione dei lavoratori.
Onorevoli parlamentari, vorrei ringraziarvi ancora una volta per la discussione, che è stata molto seria, molto profonda e, spesso, ha assunto toni forti, come si addice a un argomento tanto serio.
(Applausi)
Presidente – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, alle 11.30.
(La seduta è sospesa per alcuni minuti prima del turno di votazioni)
Dichiarazione scritta (Articolo 142 del Regolamento)
Katalin Lévai (PSE) – (HU) La relazione Őry sul regime transitorio che limita la libertà di circolazione dei lavoratori sui mercati del lavoro dell’Unione europea si riferisce ai valori fondamentali dell’Unione europea. La libertà di circolazione della forza lavoro è uno dei principi fondamentali più importanti dell’Unione europea, e pertanto dobbiamo rifiutare qualunque restrizione di tale libertà non soltanto in base a considerazioni economiche, ma anche politiche.
Concordo con la relazione laddove afferma che i lavoratori dei paesi terzi non devono ricevere un trattamento più favorevole rispetto ai lavoratori degli Stati membri dell’UE.
I regolamenti discriminatori in vigore contraddicono il requisito politico del rafforzamento dell’identità europea. Il fatto di sapere e di sentire di fare parte della Comunità europea può rafforzarsi nei cittadini dei nuovi Stati membri soltanto se gli Stati membri offrono pari diritti nell’ambito dell’occupazione e dell’accesso alle prestazioni sociali.
Concordo con la proposta che invita la Commissione, gli Stati membri, le parti sociali e gli organi competenti del settore privato e pubblico a sviluppare una procedura equa e trasparente per garantire ai cittadini dei nuovi Stati membri di poter lavorare in tutti gli Stati membri dell’Unione europea senza discriminazioni, con salari adeguati e a condizioni accettabili dal punto di vista sanitario e della sicurezza.
Poiché le statistiche attestano chiaramente che impiegare i lavoratori dei nuovi Stati membri non è svantaggioso per i vecchi Stati membri, anzi contribuisce al loro sviluppo economico, l’antagonismo percepito dai cittadini dei quindici Stati membri deve essere ridotto con tutti i mezzi disponibili, mentre il requisito europeo della libertà di circolazione dei lavoratori deve essere sancito dalle leggi nazionali, conformemente ai regimi transitori.
PRESIDENZA DELL’ON. TRAKATELLIS Vicepresidente
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, intervengo per un richiamo al Regolamento: la settimana scorsa alla Conferenza dei presidenti sono state rese note le date per il calendario 2007. Il termine per la presentazione degli emendamenti era fissato a ieri sera, alle 19.00. In questo Parlamento vigono regole molto severe circa il fatto che le firme ai fini della presentazione degli emendamenti devono essere originali, ma numerosissimi colleghi ieri hanno subito ritardi nei loro spostamenti e sono arrivati a Strasburgo soltanto dopo le 19.00 e non hanno quindi potuto firmare gli emendamenti fatti circolare, tra gli altri, dalla “Campagna per la riforma parlamentare”.
So che lei non potrà modificare il Regolamento in questo momento particolare, ma le chiederei di esaminare la questione perché praticamente per ogni relazione disponiamo di un periodo di tempo adeguato per presentare gli emendamenti, ma non per il calendario delle sedute.
(Applausi)
Presidente. – Esamineremo la questione, onorevole Heaton-Harris.
8. Turno di votazioni
Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.
(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)
8.1. Calamità naturali (incendi, siccità, inondazioni) – Aspetti dello sviluppo regionale (votazione)
8.2. Richiesta di difesa dell’immunità parlamentare di Witold Tomczak (votazione)
8.3. Orientamenti per le reti transeuropee dell’energia (votazione)
8.4. Linee direttrici per le politiche degli Stati membri in materia di occupazione (votazione)
8.5. Politica di concorrenza (2004) (votazione)
Prima della votazione sulla proposta di risoluzione
Alain Lipietz (Verts/ALE), relatore. – (FR) Signor Presidente, poiché il testo è stato quasi completamente snaturato, ritiro il mio nome dalla relazione e invito il Parlamento a respingerla.
(Applausi)
8.6. Pubblicità delle riunioni del Consiglio in qualità di legislatore (votazione)
8.7. Accesso ai testi delle Istituzioni (votazione)
8.8. Conferenza ministeriale dell’OMC a Hong Kong (votazione)
Prima della votazione sul paragrafo 18
Georgios Papastamkos (PPE-DE) , relatore. – (EL) Signor Presidente, nella frase che inizia con “sottolinea l’importanza” e finisce con la parola “sovvenzioni”, si propone di aggiungere una parola. La frase va quindi riformulata come segue: “Sottolinea l’importanza, pertanto, di raggiungere risultati positivi nella riduzione ed eliminazione delle sovvenzioni nazionali”. Per non creare confusione e per motivi di coerenza grammaticale e semantica si propone di spostare questa frase immediatamente dopo quella che finisce con le parole “coltivatori di cotone”.
(Il Parlamento approva l’emendamento orale)
8.9. Indirizzi di massima per le politiche economiche per il 2006 (votazione)
Presidente. – Con questo si conclude il turno di votazioni.
Jan Andersson, Ewa Hedkvist Petersen, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) Abbiamo votato a favore degli emendamenti relativi ai coordinatori europei perché riteniamo che una funzione di coordinamento volontario e temporaneo potrebbe essere utile, soprattutto per i progetti transfrontalieri.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno ritiene che gli Stati membri dovrebbero cooperare sulle questioni transfrontaliere, quando la cooperazione apporta un valore aggiunto. Le reti transeuropee nel settore dell’energia costituiscono un caso di specie e pertanto avevamo votato a favore della relazione nella sua totalità quando era stata discussa in Parlamento. Diversi emendamenti approvati oggi sono, però, inutilmente burocratici, e il costo supplementare e gli oneri amministrativi che essi comporterebbero sono sproporzionati rispetto ai benefici potenziali. Pertanto abbiamo votato contro tali emendamenti.
Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Desidero congratularmi con l’onorevole Laperrouze per la sua raccomandazione ferma e tempestiva per la seconda lettura sulla posizione comune del Consiglio che adotta una decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa gli orientamenti per le reti europee nel settore dell’energia.
Approvo il parere della relatrice in merito alla necessità di reinserire nella proposta in esame le disposizioni relative alla dichiarazione di un interesse europeo e alla nomina di un coordinatore europeo per tali questioni.
Le misure in oggetto sono fondamentali ai fini del corretto completamento del mercato interno per il gas e l’elettricità che dovrebbe garantire la sicurezza delle forniture.
Anche a tale riguardo desidero porre in rilievo le posizioni espresse in materia nei recenti Consigli europei.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Si tratta di un’opportunità unica per dimostrare ai cittadini che siamo pronti a sviluppare una vera politica energetica europea. Pertanto dobbiamo avere la garanzia di disporre di tutti gli strumenti necessari e dei mezzi per raggiungere tale obiettivo.
Le reti transeuropee dell’energia promuoveranno le interconnessioni, l’interoperabilità e lo sviluppo di reti energetiche nell’Europa allargata, che a loro volta stimoleranno l’efficacia del mercato interno.
La costruzione di un futuro mercato interno del gas e dell’elettricità è forse l’obiettivo più rilevante della proposta di decisione in esame.
Inoltre, l’obiettivo è quello di adattare gli orientamenti alla nuova forma dell’Unione europea a 25 Stati membri, consentire il finanziamento dei progetti di interesse comune, permettere la realizzazione del mercato interno del gas e dell’elettricità e, soprattutto, garantire la sicurezza dell’approvvigionamento tramite le interconnessioni tra Stati membri e paesi confinanti (Europa sudorientale, paesi mediterranei, Ucraina e Bielorussia). Un simile approccio in tema di reti transeuropee dell’energia rispecchia l’impostazione seguita per le reti transeuropee nel settore dei trasporti terrestri.
Per tale motivo ho votato a favore della relazione Laperrouze.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, la lotta contro il lavoro nero è sicuramente importante per contrastare le tendenze negative sul mercato del lavoro, tuttavia la libertà di circolazione dei lavoratori, contrariamente alle speranze, non risolverà questo problema. I datori di lavoro che vogliono risparmiare sui contributi sociali continueranno a farlo anche in futuro. Un altro aspetto discutibile è che sempre più imprese spingono il proprio personale verso rapporti di lavoro para-autonomo, per cercare, con altri mezzi, di aggirare le norme in materia di salari e garanzie minime di sicurezza sociale. Dobbiamo arginare questa tendenza.
Insistiamo sempre sul fatto che è essenziale migliorare la situazione sul versante dell’occupazione, ma al contempo l’Unione europea incoraggia la mobilità e la flessibilità dei lavoratori, anche se gli studi hanno dimostrato che in realtà le nuove forme di lavoro, come il tempo parziale, servono semplicemente a distribuire il volume stagnante del lavoro tra un maggior numero di persone. Non ci opponiamo in modo sufficientemente energico a questi sviluppi, e per tale motivo ho votato contro la relazione.
Alexander Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signor Presidente, i deputati del Partito liberal-democratico FDP hanno partecipato alla votazione sulla relazione A6-0086/2006 concernente gli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione, al fine di promuovere gli interessi del nostro gruppo in modo solidale con i nostri colleghi, anche se riteniamo che la politica dell’occupazione non sia una competenza dell’UE. Pertanto il tema in questione dovrebbe essere trattato dagli Stati membri e non da noi qui a Strasburgo o a Bruxelles. Se l’Unione europea vuole avere successo deve concentrarsi sui suoi compiti fondamentali. Ciò è quanto afferma il principio della sussidiarietà, che in futuro dovrà essere preso sul serio e rispettato.
Lena Ek (ALDE), per iscritto. – (SV) In linea di principio sono contraria a questo tipo di relazione in cui, su questioni di pura routine in un dato ambito politico, il Parlamento ripete posizioni già note e riafferma la sua buona volontà generale. Ciò non contribuisce a creare maggiore fiducia nel Parlamento e legittima la posizione di coloro che auspicano un intervento addirittura maggiore dell’UE in determinate politiche, leggi la politica dell’occupazione, che dovrebbero essere dominio dei singoli Stati membri ed esposte alla concorrenza.
Tuttavia, ho deciso di votare a favore per un motivo importante: la libertà di circolazione dei lavoratori. Le decisioni che hanno consentito l’introduzione di regimi transitori che discriminano i lavoratori dei nuovi Stati membri costituiscono una flagrante deviazione dal principio della libera circolazione dei lavoratori e un modo assolutamente infelice di comportarsi nei confronti dei nuovi Stati membri dell’Unione, che con tanto entusiasmo hanno aderito all’UE.
L’esperienza dei paesi che hanno limitato i regimi transitori o non li hanno introdotti affatto ha dimostrato palesemente che tali disposizioni non sono necessarie e che la supposta “invasione” paventata da alcuni leader politici non si è realizzata in alcun modo. Al contrario, è necessario attrarre un maggior numero di persone desiderose di lavorare, invece di porre ostacoli sulla strada di coloro che nutrono tale desiderio.
La necessità di sottolineare con chiarezza tali elementi e di esprimere con altrettanta chiarezza che il Parlamento rifiuta qualunque forma di proroga di tali ostacoli è per me un motivo più che valido per sostenere la relazione.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Sebbene la relazione Kovács sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione, su cui votiamo oggi, sottolinei questioni relative all’eguaglianza tra uomo e donna e alla lotta contro la discriminazione, essa non cita quello che riteniamo il punto cruciale: la tutela dei diritti dei lavoratori.
Di conseguenza, tenendo conto dei programmi di riforma nazionali presentati dagli Stati membri e dalle misure avanzate per la realizzazione di tali orientamenti, abbiamo presentato emendamenti alla relazione, allo scopo di rendere tali orientamenti più operativi e più semplici da programmare nel tempo, garantendo così un’efficace attuazione dei diritti delle donne, l’accesso all’istruzione e alla formazione pubblica di elevata qualità, la creazione di posti di lavoro stabili con diritti e più investimenti pubblici nella sanità e nell’edilizia.
Sfortunatamente la maggioranza del Parlamento ha respinto le nostre proposte. Pertanto non abbiamo potuto votare a favore della relazione, anche se sosteniamo alcuni degli emendamenti presentati dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali. Per tale motivo ci siamo astenuti dalla votazione sulla relazione e abbiamo votato contro la risoluzione legislativa sugli orientamenti per l’occupazione, che sembrano spianare il cammino a orientamenti economici apertamente liberisti.
Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Le relazioni del Parlamento europeo sulle politiche dell’occupazione e degli affari sociali sono la ripetizione di una tiritera europeista estenuante che, oltre a generare un’eccessiva produzione di carte, non ottiene alcun risultato.
Al di là dell’insuccesso che costatiamo ogni giorno in merito al processo di Lisbona, non sarà certo qualche colpo di stucco passato alla bell’e meglio sugli orientamenti contenuti in una decisione del Consiglio decisamente “indecisa” a salvare l’occupazione e l’economia francese.
Con questa pietanza si vogliono far contenti tutti: si mantiene il liberismo della Commissione e al contempo si afferma che le Istituzioni europee devono darsi più poteri di controllo sulle nazioni autogovernate.
Per rendere il piatto più appetitoso, lo si presenta farcito di buone intenzioni, quando si tratta di proteggere i più deboli all’interno di questo modello mostruoso, mescolando poi allegramente il tutto con l’immigrazione, pur di non dover subire discussioni sull’argomento.
Eppure è proprio su questi punti che possiamo trovare la risposta ai nostri problemi. Per resuscitare la nostra economia e l’occupazione, come la fenice dalle ceneri, occorre fermare l’immigrazione mirata ad aumentare la popolazione, favorire politiche che promuovono la natalità, applicare la preferenza e la protezione comunitaria in Europa e la protezione nazionale in Francia.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Gli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione sfidano l’UE – a giusto titolo, secondo il mio parere – a rispondere ad alcune delle questioni fondamentali dell’occupazione. Le preoccupazioni si concentrano giustamente sul problema degli esclusi dai mercati del lavoro, come i giovani e gli anziani e altri cittadini analogamente emarginati, sia nei propri paesi sia in altri Stati membri.
Tuttavia ritengo che si sia trovato un equilibrio tra pressare la Comunità e le istituzioni nazionali e invocare soluzioni adeguate ed efficaci. Il dibattito sulle politiche dell’occupazione ha una dimensione europea che non può essere trascurata. Ciò, infatti, è una mia costante preoccupazione in quanto deputato europeo, perché credo che occorra realizzare sinergie riformiste in Europa, e il Parlamento è una delle Istituzioni più adatte per raggiungere tale obiettivo.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La supremazia della concorrenza è uno dei pilastri del mercato interno ed è alla base del processo di liberalizzazione in settori cruciali come l’energia, i trasporti e le comunicazioni. Questo processo è stato intensificato a partire dal 2000 con l’approvazione della strategia di Lisbona.
E’ evidente che quanto è stato attuato finora non solo non è riuscito a ottenere le promesse riduzioni dei prezzi, a migliorare l’accesso ai servizi e la loro qualità e a porre fine ai monopoli; al contrario, è invece servito ad aggravare la disoccupazione provocata dalle ristrutturazioni e dalle fusioni operate in questi settori e la perdita della sovranità dello Stato in settori strategici.
La relazione, sebbene affermi di cercare di contrastare le posizioni dominanti e i monopoli, accetta gli orientamenti della relazione della Commissione per il 2004, che si incentra sull’energia e le telecomunicazioni, e ribadisce nuovamente la richiesta di liberalizzare completamente il settore del gas e dell’elettricità, obiettivo questo che costituisce una priorità per il Consiglio di primavera del marzo 2006.
Inoltre, nel settore delle telecomunicazioni, che è già stato piuttosto liberalizzato, si pone l’accento sulla concorrenza nel settore a banda larga e sull’internazionalizzazione della produzione, il che agevolerà ulteriormente la rilocalizzazione della produzione o di parti della catena produttiva.
Abbiamo pertanto votato contro.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La motivazione della relazione dell’onorevole Lipietz è molto più istruttiva del testo stesso, che si accontenta di lodare il notevole lavoro della Commissione nel dare la caccia al minimo ostacolo alla libera concorrenza.
La motivazione deplora, in effetti, l’assenza di analisi sulle reali conseguenze delle decisioni della Commissione o sull’applicazione dogmatica delle disposizioni sugli aiuti di Stato. Si afferma che il mercato, peraltro perfettamente virtuoso, potrebbe non essere sufficiente da solo a garantire alcuni obiettivi politici e persino economici. Si ventila la constatazione che la liberalizzazione di alcuni mercati ha determinato la sostituzione dei vecchi, cari monopoli pubblici con concentrazioni private, eliminando così i vantaggi senza creare alcun valore aggiunto per i consumatori. Infine si sottolinea la totale assenza di autocritica della Commissione, quando le sue scriteriate decisioni producono catastrofi economiche, come nel caso Rhodia, per esempio.
Tuttavia, l’impressione generale che se ne ricava è che la politica di Bruxelles in materia di concorrenza è espressione della dottrina ultraliberale della Commissione contro il “patriottismo economico”, paradossalmente applicata da una burocrazia pedante che interferisce a ogni piè sospinto nelle strategie imprenditoriali e nelle politiche nazionali. Nell’ambito di una concorrenza mondiale selvaggia, questo non può che generare disoccupazione.
Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La politica di concorrenza europea ha regole e obiettivi che distruggeranno le piccole e medie imprese e che privilegeranno i monopoli europei, finanziandoli e privatizzandoli, invece che gli interessi dei consumatori, come ipocritamente si afferma.
Inoltre la parola “competitività” è sinonimo di maggiore sfruttamento dei lavoratori, nonché dell’annientamento dei loro diritti, della riduzione delle retribuzioni salariali e del contemporaneo aumento dei requisiti richiesti.
La legislazione sulla concorrenza è al servizio della strategia antipopolare di Lisbona e il suo obiettivo è controllare, impedire e ridurre i sussidi e gli aiuti di Stato che dovrebbero rispondere alle esigenze popolari, il cui riconoscimento è stato ottenuto dai lavoratori grazie alle loro lotte.
E’ una menzogna che la concorrenza aiuta a ridurre i prezzi per i consumatori. Finora l’esperienza ha dimostrato il contrario: i mercati sono stati spartiti, i profitti delle imprese sono aumentati e i prezzi per i lavoratori sono aumentati.
Non è in nome della concorrenza, poi, che i giovani vengono indotti ad accettare condizioni di lavoro da sfruttamento, che verranno estese a tutti i lavoratori? I giovani francesi hanno ragione di protestare, e noi li sosteniamo. Quei giovani rappresentano una speranza di cambiamento radicale contro le politiche di sfruttamento dell’UE e dei governi, motivo per cui li sosteniamo.
Alexander Stubb (PPE-DE). – (FI) Signor Presidente, vorrei dire qualcosa sulla relazione dell’onorevole Hammerstein Mintz e sulla mia scelta di voto. Sono senz’altro favorevole all’apertura, ma anche a un certo grado di realismo. E’ del tutto ovvio che le riunioni del Consiglio dovrebbero essere aperte, ma nei punti 14 e 15 il Parlamento ha votato a favore dell’apertura delle riunioni del COREPER, il comitato dei rappresentanti permanenti, vale a dire degli ambasciatori dell’UE, nonché di quelle del comitato di conciliazione. Certo, possiamo insistere su questo punto, ma si presume che anche il Consiglio abbia il diritto di richiedere che siano aperte tutte le riunioni dei nostri gruppi, le riunioni preparatorie e quelle della Conferenza dei presidenti. Sono dunque favorevole all’apertura, ma ritengo irrealistico impuntarsi sull’apertura del COREPER.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione del collega David Hammerstein Mintz sull’apertura al pubblico delle deliberazioni del Consiglio in qualità di legislatore. In un periodo come questo in cui è diventato necessario procedere verso un’Europa politica, in effetti risulta sempre più difficile capire perché il Consiglio europeo continui a riunirsi a porte chiuse quando legifera. Questa posizione, oltre a essere in contrasto con l’articolo 1, paragrafo 2 del Trattato sull’Unione europea (Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992), che sancisce il principio dell’apertura del processo decisionale europeo, non garantisce la trasparenza che i cittadini si aspettano nel funzionamento delle Istituzioni europee. Con simili comportamenti non riusciremo mai a sanare la frattura delineatasi tra le strutture europee e i cittadini. In attesa della ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, il Consiglio europeo deve riformare con urgenza il proprio regolamento interno per anticipare questo cambiamento volto ad accrescere la trasparenza delle sue deliberazioni, quando agisce in qualità di legislatore, pur conservando la riservatezza per gli scambi di opinioni tra capi di Stato e di governo.
Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Mi sono astenuto dalla votazione sull’apertura al pubblico delle riunioni del Consiglio perché ritengo che si tratti di un falso problema. Imponendo al Consiglio di lavorare sotto l’occhio delle telecamere, si finirà per avere scambi formali e trattative dietro le quinte. Tutti i negoziati richiedono un certo grado di riservatezza.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Siamo del parere che le riunioni del Consiglio e del COREPER debbano essere pubbliche quando questi organismi agiscono in veste di legislatori. Si tratta di un principio democratico importante affinché gli elettori possano contare sul principio di responsabilizzazione dei rappresentanti eletti.
Purtroppo il progetto di relazione contiene alcuni punti a sostegno dell’approvazione del progetto di Trattato costituzionale che è stato respinto in Francia e nei Paesi Bassi. Abbiamo cercato di far togliere dalla relazione le parti in questione chiedendo votazioni separate su questi specifici punti.
A prescindere dall’esito di tali votazioni, desideriamo tuttavia votare a favore della relazione nel suo complesso, giacché le riforme sull’apertura dei lavori del Consiglio e del COREPER sono una questione prioritaria, e intendiamo esercitare pressioni sul Consiglio affinché modifichi il proprio regolamento interno. Tuttavia, ci opponiamo con decisione al modo in cui, nell’ambito di questa importante questione sull’apertura, la maggioranza parlamentare si è intromessa nella discussione sul futuro del Trattato costituzionale.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) La presente relazione fa seguito all’indagine del Mediatore del Parlamento europeo sull’apertura del Consiglio. Il Mediatore del Parlamento europeo ha constatato che le riunioni del Consiglio non sono aperte al pubblico quando quest’ultimo agisce in qualità di legislatore e ha considerato il rifiuto di rendere pubbliche tali riunioni come un esempio di cattiva amministrazione.
Questa opportuna relazione dà seguito alla richiesta della Presidenza britannica di aumentare la trasparenza. Inoltre, dai sondaggi condotti presso l’opinione pubblica e dalle dichiarazioni delle ONG, della società civile e del mondo accademico è emerso il desiderio dei cittadini di una maggiore responsabilizzazione dei governi nazionali per quanto concerne le questioni europee.
Convengo sul fatto che è inaccettabile che un importante organo legislativo dell’UE, come il Consiglio, continui a riunirsi a porte chiuse quando delibera in qualità di legislatore, in particolare in un momento in cui l’UE si pone quale promotrice della democratizzazione e della responsabilizzazione. Sono pertanto favorevole alla trasmissione radiotelevisiva e alla diffusione su Internet delle riunioni pubbliche del Consiglio, nonché alla pubblicazione delle trascrizioni ufficiali delle riunioni legislative.
Le modifiche richieste al Consiglio dovrebbero essere considerate come un adeguamento da lungo atteso alla realtà e alla parità istituzionale europee nell’ambito dell’attività legislativa dell’Unione europea.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Mi congratulo vivamente con il collega del mio gruppo, l’onorevole Hammerstein Mintz, per questa decisiva relazione che va al cuore di molti dei problemi cui l’UE si trova attualmente confrontata. Nel mio paese, la Scozia, così come in molti altri, la maggiore confusione sull’UE nasce dalla mancanza di trasparenza e dal senso della sua inaffidabilità, il che, a mio avviso, deriva dal fatto che le riunioni del Consiglio dei ministri si svolgono a porte chiuse, spesso a notte fonda.
Ci sembra che un’Istituzione che parla tanto di trasparenza la metta poi davvero poco in pratica al di fuori di quest’Aula. L’apertura al pubblico delle riunioni del Consiglio potrebbe informare i cittadini europei di quello che si fa a nome loro. La relazione è solo l’inizio del processo e dobbiamo continuare ad esercitare pressioni su tale questione cruciale.
Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Vorrei congratularmi con l’onorevole Cashman per questa importante relazione recante raccomandazioni alla Commissione sull’accesso ai testi delle Istituzioni, che sostengo. Reputo particolarmente positivo il riferimento alla necessità che la Commissione presenti una proposta legislativa sul “diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione nonché sui principi generali e le limitazioni a tutela di interessi pubblici o privati applicabili al diritto di accesso”. Tale proposta va elaborata nell’ambito di un dibattito interistituzionale e sulla base di raccomandazioni particolareggiate.
Condividiamo inoltre il parere secondo cui le nuove norme in materia di accesso ai documenti dovrebbero applicarsi a partire dalla data dell’entrata in vigore del regolamento modificato, senza avere quindi effetti retroattivi.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) A seguito della ratifica del Trattato di Amsterdam e dell’entrata in vigore dell’articolo 255 del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), la trasparenza è diventata un principio fondamentale dell’Unione europea, il cui obiettivo principale è rafforzare la natura democratica delle Istituzioni europee.
La relazione chiede alla Commissione di presentare una proposta legislativa sul diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. Tramite questa proposta la relazione cerca di rispettare il principio di sussidiarietà, i diritti fondamentali dei cittadini, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare quella relativa all’articolo 8, nonché gli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali.
Sostengo senza riserve questa relazione, in quanto ritengo che l’UE non solo sia tenuta a essere il più aperta e trasparente possibile nei confronti dei cittadini, ma che debba anche proporsi come esempio da seguire ai governi e ai parlamenti degli Stati membri e dei paesi in via di adesione o candidati.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Mi congratulo con l’onorevole Cashman per la relazione e sono stato lieto di sostenerla oggi. I problemi incontrati da molti deputati per accedere ai documenti hanno interessato tutta l’Assemblea, ed è il minimo che si inizi ad affrontarli in questa sede. Mi auguro solo che gli obiettivi della relazione siano corroborati da azioni adeguate.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, in seno all’Organizzazione mondiale del commercio, l’Unione è sotto pressione in vari settori. Da una parte, dovremo accettare alcuni cambiamenti al fine di combattere la povertà nei paesi meno sviluppati, mentre dall’altra non possiamo essere troppo generosi nelle concessioni unilaterali che facciamo. Con le loro richieste di riduzione delle tariffe, i paesi ACP rischiano di danneggiarsi. Poiché certo non può essere questo l’obiettivo che si prefiggono i negoziati, ho votato contro la relazione.
Nel contempo dobbiamo impedire che entri in vigore la minacciata revoca dell’embargo sulle importazioni di organismi geneticamente modificati. L’Unione europea ha l’opportunità di ottenere questo risultato se agirà come comunità forte sulla scena internazionale. Infine, abbiamo bisogno di risolvere senza indugio anche il problema dell’imposizione da parte della Cina di dazi doganali sulla componentistica e i pezzi di ricambio dei veicoli a motore, altrimenti gli ultimi produttori di automobili finiranno per lasciare l’Europa e trasferirsi in Cina.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione del collega e amico Papastamkos sulla valutazione del Round di Doha a seguito della Conferenza ministeriale dell’OMC a Hong Kong del dicembre 2005. Ritengo infatti che le economie, soprattutto quelle occidentali, debbano sostenere il programma di sviluppo di Doha, che prevede un commercio aperto ed equo finalizzato a ridurre la povertà nel mondo aiutando sia i paesi in via di sviluppo che quelli sviluppati a compiere progressi. Se non promuoveremo il progresso, la pagheremo molto cara sul piano politico, soprattutto con la crescita dell’estremismo. Mi rallegro che questi negoziati riconoscano il multilateralismo e la capacità del commercio internazionale di creare ricchezze e quindi progresso sociale. Tutti potremo constatare che un’Unione politica unita e forte avrà un ruolo di primo piano sulla scena mondiale nel contrastare il prevalere degli egoismi nazionali su istituzioni internazionali indebolite.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) L’OMC sta cercando di trovare soluzioni a problemi che non sarebbero mai esistiti se l’OMC non fosse stata istituita e non avesse cercato di imporre il libero scambio mondiale a tutti i costi e senza badare al prezzo pagato dalla gente: dumping di ogni tipo, problemi di contraffazione, accesso al mercato bloccato per la maggior parte dei paesi ad eccezione di quelli dell’Unione europea, sovvenzioni trasparenti (in Europa) o mascherate (nel resto del mondo, soprattutto negli Stati Uniti) che distorcono la concorrenza e così via. Il mercato mondiale è una giungla in cui i più deboli e poveri sono le vittime designate e la sola regione che rispetta davvero le regole del gioco, l’Europa, è una vittima collaterale. Per sostenere lo sviluppo dei paesi meno sviluppati non bisogna integrarli nel sistema dell’OMC, ma proteggerli da tale sistema.
Al pari di alcuni Premi Nobel per l’economia, riteniamo che il libero scambio possa essere favorevole per tutte le parti solo tra paesi con un analogo livello di sviluppo, e reputiamo che il commercio con gli altri paesi debba invece essere regolamentato, il che, tra parentesi, non esclude misure commerciali a favore dei paesi in via di sviluppo né implica che in ogni “zona” così costituita occorra una politica commerciale comune centralizzata in mano a una burocrazia sovranazionale. In una parola, il libero scambio non è un fine in sé.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Questa relazione d’iniziativa mette in luce i doppi requisiti dell’UE in materia di politica commerciale internazionale. Si parla molto in toni entusiastici della necessità che le economie in via di sviluppo aprano i loro mercati alle imprese europee. Nel contempo il relatore afferma che l’agricoltura dell’UE ha un “carattere multifunzionale” che occorre rispettare.
Riteniamo che a lungo termine il libero commercio produrrà un mondo migliore. Tuttavia, occorre tenere conto dei differenti livelli di sviluppo dei vari paesi. Perché, anche all’inizio del processo di sviluppo, il commercio abbia l’effetto di ridurre la povertà, l’UE deve modificare la propria politica commerciale abolendo i sussidi all’agricoltura e permettendo ai paesi poveri di competere a buone condizioni.
Poiché la relazione contiene per lo più formulazioni negative, abbiamo votato contro nella votazione odierna.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Con questa risoluzione la maggioranza del Parlamento ha cercato di aprire la via alla liberalizzazione del commercio internazionale – nel settore agricolo, in quello dei prodotti non agricoli e dei servizi – nell’attuale ciclo di negoziati dell’OMC che dovrebbe auspicabilmente concludersi entro la fine del 2006.
L’ampliamento della liberalizzazione commerciale, aggirando le contraddizioni e indebolendo le posizioni cui si sono finora appellati i cosiddetti paesi in via di sviluppo, avrà conseguenze estremamente gravi per i lavoratori e per la gente in generale.
Si prenda l’esempio dei servizi. Dal 28 febbraio sia l’UE che gli USA hanno presentato richieste per la liberalizzazione dei seguenti settori: trasporti (aerei e marittimi), audiovisivi e cultura, tecnologie dell’informazione, edilizia, insegnamento, energia, ambiente, telecomunicazioni, distribuzione, architettura e ingegneria, servizi postali, finanziari e giuridici.
Questo significa che in tali settori si è cercato di rimuovere qualsiasi restrizione agli investimenti esteri, allo stabilimento all’estero e alla prestazione transfrontaliera di servizi, ai requisiti di nazionalità e alle limitazioni alla concorrenza.
In altre parole si è cercato di rimuovere i meccanismi fondamentali che permettono ai paesi meno (o più) economicamente sviluppati di mantenere il proprio livello di sviluppo e di soddisfare le esigenze dei cittadini. Questo rallegrerà la disumana brama di sfruttamento dei grandi gruppi economici e finanziari dell’UE e degli USA.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) La relazione sull’esito della riunione dell’OMC a Hong Kong giunge in un momento opportuno in quanto i negoziati sono sospesi a un filo. Oggi abbiamo votato per inviare un forte segnale politico alle parti negoziali, compresa l’UE, affinché rispettino l’impegno di concludere con successo questo ciclo orientandolo a favore dei paesi più poveri, come concordato a Doha.
In qualità di portavoce laburista per il commercio internazionale, in sede di commissione ho presentato vari emendamenti a questa relazione. Allora come adesso continuo a chiedere l’esclusione dei servizi pubblici fondamentali (compresa l’acqua) dagli ingranaggi della liberalizzazione. Nel paragrafo sul NAMA ho chiesto flessibilità riguardo al numero e alla portata dei coefficienti utilizzati per la formulazione delle riduzioni tariffarie, in modo da lasciare ai paesi in via di sviluppo sufficiente margine politico per scegliere il livello di liberalizzazione auspicato. Oggi ho votato a favore di un emendamento simile.
In agricoltura, pur essendo d’accordo con la valutazione della Commissione, che è favorevole a portare avanti i negoziati parallelamente a quelli di altri settori, non posso votare a favore della richiesta avanzata da alcuni colleghi di rendere l’attuale offerta dell’UE condizionata e addirittura revocabile. Credo che l’offerta attuale vada quantomeno mantenuta.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La relazione Papastamkos sulla conferenza ministeriale dell’OMC ci induce a formulare due osservazioni. Primo, non dovrebbe essere difficile capire che il commercio internazionale ha un potenziale unico nel promuovere lo sviluppo e la prosperità. Da una parte, più aumenteranno le transazioni commerciali, più aumenterà il livello di dipendenza e cooperazione tra Stati membri. Dall’altra parte, più intenso sarà il commercio internazionale, maggiore sarà la prosperità economica dei vari paesi, il che contribuirà a migliorare il tenore di vita della gente e a rendere il mondo più sicuro.
Secondo, l’inevitabile conclusione è che chi auspica un mondo con più scambi commerciali e con un commercio più equo, in cui le regole vengono rispettate, rimarrà quasi sicuramente deluso dal Vertice. Con il trascorrere del 2006, siamo sempre più lontani dall’obiettivo di riuscire a concludere con successo entro la fine dell’anno il ciclo iniziato nel 2001. Tuttavia, per conseguire questo obiettivo abbiamo bisogno di raggiungere un accordo sui vantaggi del libero commercio e sulle regole cui deve conformarsi un commercio equo.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La relazione è stata talmente modificata che mi è impossibile sostenerla, anche se condivido alcuni punti. Gli obiettivi della campagna “Fare della la povertà un ricordo del passato” e della marcia di Edimburgo della scorsa estate sono stati totalmente disattesi, al punto da farne un’opportunità tristemente mancata. Oggi avremmo potuto inviare un messaggio più forte e chiaro ai nostri governi e alla Commissione europea; invece, abbiamo di fatto sostenuto uno status quo che non vogliamo continuare a vedere.
Marc Tarabella (PSE), per iscritto. – (FR) Desidero spiegare perché alla fine ho votato contro la relazione nella votazione finale.
La mia decisione è dovuta al fatto che è stato respinto l’emendamento n. 22, che bocciava la richiesta della Commissione di liberalizzare i servizi nell’UE e altrove senza accompagnare tale cambiamento con una legislazione sociale e ambientale adeguata.
Sono pienamente d’accordo sul fatto che nessun paese debba essere obbligato a liberalizzare un qualsiasi settore dei servizi e che settori come la sanità, l’approvvigionamento idrico, l’istruzione e soprattutto i servizi audiovisivi debbano essere esclusi dalla liberalizzazione.
Questa parte dell’emendamento è stata respinta per un pelo: 291 voti a favore, 299 contrari e 20 astensioni. Per questo motivo non ho voluto votare a favore nella votazione finale.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il partito comunista greco ha votato contro la relazione sulla valutazione del Round di Doha perché tale testo agita e riprende il quadro reazionario e antipopolare della Conferenza ministeriale dell’OMC di Hong Kong e le esorbitanti richieste del capitale eurounificante, in una forma definita e promossa in perfetta collaborazione con gli Stati Uniti. L’obiettivo dell’UE e degli USA nei negoziati in corso è di accrescere ancora di più lo sfruttamento dei popoli e delle risorse che producono benessere nei paesi capitalisti sviluppati e soprattutto nei paesi in via di sviluppo e meno sviluppati.
L’Unione europea e gli Stati Uniti, insieme con le potenze imperialistiche, stanno procedendo all’apertura selettiva dei mercati e all’abolizione dei sussidi per i prodotti agricoli, a danno delle imprese agricole di piccole e medie dimensioni, affinché il capitale monopolistico possa diffondersi sui mercati dei paesi in via di sviluppo e meno sviluppati in vista di un totale controllo dei prodotti industriali, della prestazione dei servizi e di uno sfruttamento eccessivo dell’acqua, dell’energia e così via, con l’obiettivo di massimizzarne i profitti.
– Relazione García-Margallo y Marfil (A6-0077/2006)
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione del collega, onorevole José Manuel García-Margallo y Marfil, sulla situazione dell’economia europea nell’ambito della relazione preparatoria sugli indirizzi per le politiche economiche per il 2006, che sottolinea le condizioni necessarie per una crescita economica sostenibile.
Questa relazione è fondamentale per capire esattamente perché l’Europa è una delle regioni del mondo, e più precisamente del mondo sviluppato, in cui la crescita è più bassa. L’eccesso di burocrazia, che rende meno flessibile la nostra economia, il fatto che non abbiamo abbastanza leader a livello mondiale e che le nostre piccole e medie imprese crescano meno rapidamente delle loro omologhe negli Stati Uniti d’America, livelli di occupazione bassi e orari di lavoro mediamente abbastanza ridotti, nonché, infine, investimenti insufficienti per la formazione professionale, la ricerca e lo sviluppo spiegano in gran parte la situazione attuale.
Vista la concorrenza economica e sociale mondiale alla quale è confrontata l’Europa, è assolutamente necessario che gli Stati membri, attraverso i loro programmi nazionali di riforma, creino il più presto possibile, con l’Unione europea, le condizioni necessarie per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona, che mirano a fare dell’Europa l’economia più efficiente al mondo.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ecco l’ennesima relazione sulla situazione economica, l’ennesima riaffermazione di falsità e soluzioni che non fanno altro che offrire sempre le stesse cose. La situazione economica e sociale rimane precaria, con disparità sempre maggiori, livelli di povertà e disoccupazione inaccettabili e una crescita economica lenta e instabile.
Assistiamo al prevalere della dimensione finanziaria sull’economia reale, si riafferma la necessità di ispirare fiducia attraverso la rigorosa attuazione della politica monetaria da parte della Banca centrale europea e il Patto di stabilità e crescita, e la necessità di ridurre le imposte per le società. Queste posizioni sono espressioni di liberalismo nella sua forma più pura e le respingiamo completamente.
Che cosa è accaduto in nome della globalizzazione? I diritti dei lavoratori e la sicurezza sociale sono stati indeboliti, è stata imposta una maggiore flessibilità ai mercati del lavoro (il concetto magico di “flessicurezza”, di cui il CPE – contratto di primo impiego – in Francia è il primo esempio), è stato giustificato l’aumento dell’età pensionabile effettiva e ufficiale, è stata promossa la liberalizzazione del settore energetico ed è stata chiesta la liberalizzazione dei servizi, contribuendo in questo modo alla deregolamentazione del lavoro e al dumping sociale e ambientale.
Sono ottime notizie per i gruppi economici e finanziari. Come al solito, sono i lavoratori e i gruppi meno privilegiati della società a subire le conseguenze dei problemi.
Queste le ragioni del nostro voto contrario.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Proprio come ogni anno, la relazione del Parlamento europeo sugli indirizzi di massima per le politiche economiche riporta, nelle osservazioni, un catalogo di truismi e, nelle proposte, un elenco di raccomandazioni che i deputati di destra e di sinistra di questo Parlamento adotteranno con entusiasmo, ma che i partiti ai quali appartengono ben si guardano dall’applicare quando sono al potere nel loro paese.
Oltre a questa ipocrisia, vorrei sottolineare tre punti che mi sembrano sorprendenti: manca qualsiasi riferimento agli aumenti immotivati dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea, che contribuiscono alla stagnazione della zona euro; la relazione considera l’Unione europea una zona assolutamente omogenea, costituita da paesi che affrontano problemi del tutto identici, mentre dopo l’ultimo allargamento le situazioni sono diventate estremamente eterogenee; la richiesta di una legislazione comunitaria “compatibile con quella dei nostri concorrenti” può costituire un appello inaccettabile al minimo comune denominatore sociale ed ambientale.
Anche se non fossimo già convinti del fatto che le principali responsabili delle nostre difficoltà economiche sono le politiche di Bruxelles, questi tre punti sarebbero stati sufficienti a giustificare il nostro voto negativo.
Marie-Noëlle Lienemann (PSE), per iscritto. – (FR) Non ho potuto approvare gli indirizzi di massima per le politiche economiche che da anni non fanno che avallare le tendenze liberali dell’Unione europea e sono all’origine della crescita debole, della disoccupazione, della precarizzazione dei lavoratori, dell’indebolimento delle nostre tutele sociali.
La relazione non sostiene alcuno degli indirizzi che consentirebbero una politica alternativa: mantenimento del potere d’acquisto, rivalutazione delle retribuzioni per rilanciare i consumi e la crescita, sostegno a investimenti pubblici ambiziosi per la modernizzazione e l’occupazione, armonizzazione verso l’alto della fiscalità e degli standard sociali per combattere il dumping, creazione di un vero e proprio governo economico in grado di esercitare influenza e autorità nei confronti della Banca centrale europea.
Diamanto Manolakou (GUE/NGL) , per iscritto. – (EL) Gli indirizzi di massima dell’Unione europea per le politiche economiche per il 2006 includono tutte le misure contrarie alle esigenze della base che determineranno l’aumento dei prezzi e della disuguaglianza, della povertà, dell’incertezza e dell’infelicità per la classe lavoratrice e le classi meno abbienti, da un lato, e più ricchezza per il capitale eurounificante, dall’altro.
Tutto questo è stato garantito dai programmi nazionali di riforma, affinché il cappio della barbarie capitalistica predicato nella strategia di Lisbona possa soffocare i cittadini con rapidità e precisione.
Gli alibi sono numerosi: l’invecchiamento della popolazione per aumentare l’età pensionabile, la sicurezza energetica per privatizzare il settore energetico e trasformare l’energia da bene sociale a bene commerciale, riduzione dei disavanzi come previsto dal Patto di stabilità grazie al “contenimento” della spesa pubblica destinata a rispondere alle necessità della base e la correlazione salario/produttività per garantirsi riduzioni di salari e pensioni.
Allo stesso tempo, si prevedono sgravi fiscali e procedure semplificate per la costituzione di società, forme di lavoro flessibile, formazione durante tutto l’arco della vita per le esigenze del mercato e aiuti di Stato e ricerca al servizio delle imprese, non delle necessità della società.
E’ un nuovo attacco dell’Unione europea contro la classe lavoratrice e i giovani, un attacco che solo un ampio movimento di massa può respingere. Solo un forte movimento di massa può aprire nuove strade, mettendo a frutto l’enorme ricchezza prodotta e che deve essere raccolta dai suoi creatori, i lavoratori, e non dai loro sfruttatori.
Claude Moraes (PSE), per iscritto. – (EN) Ho appoggiato questa relazione per quanto riguarda le sue intenzioni di ridurre i costi della sanità e dei farmaci per molti dei paesi più poveri. Mentre condivido l’intenzione dell’emendamento n. 3 di ridurre detti costi, reputo l’emendamento inadeguato, perché prevede un limite generale per la protezione di tutti i brevetti relativi a prodotti appartenenti a questo settore che potrebbe provocare distorsioni del mercato a livello mondiale e potenzialmente ostacolare lo sviluppo futuro.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Accolgo con favore la forza delle idee e delle raccomandazioni contenute negli indirizzi di massima per le politiche economiche per il 2006. Nella fase attuale, il dibattito dovrebbe concentrarsi su decisioni praticabili volte a rendere l’ambiente economico più favorevole alla crescita, all’occupazione, alla concorrenza, all’innovazione e alla creazione di ricchezza. Non dovremmo sprecare le nostre energie per questioni marginali o, cosa altrettanto grave, per cose che dovrebbero essere ovvie.
Gli Stati membri dell’Unione e i loro leader politici hanno il dovere di favorire la creazione di un contesto politico che favorisca la riforma economica. Abbiamo urgentemente bisogno di discorsi caratterizzati da verità, coraggio e risultati. Dobbiamo essere coraggiosi ed esigere che le nostre società investano nel futuro e in se stesse. Dobbiamo essere in grado di creare le condizioni necessarie perché tali investimenti ci siano. Il futuro non deve essere necessariamente fonte di paura; nondimeno, la maggior parte dei governi appaiono timorosi. Ho appoggiato la relazione proprio perché respinge questo atteggiamento e si configura come un appello ad agire con obiettivi e proposte realizzabili, la maggior parte dei quali mi trova d’accordo.
Kathy Sinnott (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Ho votato contro la relazione García-Margallo y Marfil perché sostiene la proposta della Commissione concernente una base imponibile comune consolidata dell’Unione europea per le imprese, come riportato al paragrafo 16. Questa proposta traccia chiaramente la strada verso l’armonizzazione fiscale, una minaccia grave ma generalmente sottaciuta per la prosperità irlandese. Allo stesso modo sono contraria al regime di imposizione fiscale nello Stato membro d’origine per le PMI.
Questa armonizzazione fiscale è diametralmente opposta agli auspici del popolo irlandese. Con un regime fiscale comune per le imprese, perderemo uno dei fattori più importanti per il mantenimento della nostra indipendenza economica e del nostro attuale stato di prosperità. E’, a parer mio, solo la prima di una lunga serie di azioni volte a imporre una politica fiscale comune europea all’Irlanda. Devo avvertire il governo irlandese, ricordandogli di prestare particolare attenzione a questo spazio, in cui la nostra libertà è minacciata, e di difenderlo con forza. E’ il ritornello che gira negli ambienti del governo irlandese: no, non c’è alcun piano di armonizzazione fiscale, e se ci fosse, il governo irlandese lo respingerebbe.
Bene, eccolo, che fa capolino all’orizzonte; è venuto il momento di dimostrare il vostro coraggio.
Peter Skinner (PSE), per iscritto. – (EN) Mentre appoggiamo l’intenzione alla base dell’emendamento n. 3, che è quella di ridurre i costi della sanità e dei farmaci per molti dei paesi più poveri, riteniamo che questo emendamento sia inadeguato perché prevede un limite generale per la protezione dei brevetti relativi a prodotti appartenenti a questo settore che potrebbe provocare distorsioni del mercato a livello mondiale e potenzialmente ostacolare lo sviluppo futuro. Le sedi migliori per affrontare questi problemi sono le Nazioni Unite e l’Organizzazione mondiale della sanità.
Gli eurodeputati del partito laburista mantengono la loro posizione sul tema dell’imposizione fiscale per le imprese e si oppongono al ricalcolo della base imponibile per le imprese. Mentre auspichiamo un maggiore coordinamento tra le autorità fiscali quando si tratta di aiutare le PMI che operano a livello transfrontaliero, riteniamo che tale tema debba rimanere di competenza degli Stati membri dell’Unione europea.
10. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
(La seduta sospesa alle 12.50, riprende alle 15.05)
PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES Presidente
11. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
12. Proposta modificata di direttiva sui servizi nel mercato interno e comunicazione sulla direttiva 96/71/CE (Distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi) (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la comunicazione della Commissione sulla proposta modificata di direttiva sui servizi nel mercato interno e comunicazione sulla direttiva 96/71/CE (Distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi).
Come ognuno di voi sa, si tratta della proposta modificata della cosiddetta “direttiva Bolkestein” che ha fatto seguito alla prima lettura in Parlamento.
Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, quando abbiamo discusso questa proposta nella tornata di febbraio, ho affermato che la Commissione avrebbe basato la sua proposta modificata sul voto espresso dal Parlamento. Come ritengo constaterete, abbiamo onorato tale impegno nel testo adottato oggi dal Collegio. Ci siamo sforzati di rispettare il consenso raggiunto dall’Assemblea su alcuni articoli chiave. Gli emendamenti che avete adottato sull’articolo 16 – libertà di prestazione di servizi – e sull’articolo 17 – deroghe alla libertà di prestazione di servizi – sono infatti ripresi nella proposta modificata. Abbiamo escluso dal campo di applicazione della proposta l’assistenza sanitaria e, conformemente agli impegni assunti, presenteremo un’iniziativa separata sui servizi sanitari. Sono inoltre esclusi dal campo di applicazione della proposta modificata i servizi fiscali, le agenzie di lavoro temporaneo, i servizi di sicurezza e il settore audiovisivo.
Riguardo al campo di applicazione, un punto sul quale non abbiamo seguito le vostre indicazioni è l’esclusione dei servizi giuridici. La Commissione non la ritiene necessaria, in quanto l’articolo 3 sancisce già, in caso di conflitto tra una direttiva specifica e la presente proposta, la prevalenza della prima. Abbiamo inoltre allineato la formulazione relativa all’esercizio dei pubblici poteri all’articolo 45 del Trattato CE.
Abbiamo escluso i servizi sociali ispirandoci ai vari emendamenti adottati al riguardo dal Parlamento. Sono certo che converrete sul fatto che ogni esclusione debba essere chiaramente definita ed è ciò che abbiamo cercato di fare.
Per evitare interpretazioni divergenti da parte degli Stati membri, è necessario garantire la certezza del diritto. Il testo della proposta modificata specifica che l’esclusione dal campo di applicazione della direttiva riguarda i servizi relativi agli alloggi sociali, all’infanzia e al sostegno alle famiglie e alle persone bisognose forniti dallo Stato o da prestatori incaricati dallo Stato. Nelle prossime settimane la Commissione presenterà inoltre una comunicazione sui servizi sociali d’interesse generale, che terrà conto dell’importanza di tali servizi per i nostri cittadini.
A mio parere, la decisione di eliminare qualsiasi interazione tra la direttiva sui servizi e il diritto del lavoro è stata un fattore determinante per creare un clima più positivo riguardo alla nuova proposta sui servizi. Ci ha permesso di superare lo scoglio rappresentato dalle accuse di voler ridurre gli standard sociali e compromettere il modello sociale europeo. Sebbene fosse errata, tale percezione persisteva e avvelenava il dibattito su questa importante proposta. In ogni caso, il nuovo testo è chiaro al riguardo: il diritto del lavoro è totalmente escluso. Di conseguenza, gli articoli 24 e 25 sono stati soppressi.
Tuttavia, come ho annunciato durante la discussione di febbraio, la Commissione ha adottato una comunicazione sulle questioni relative al distacco dei lavoratori, che erano trattate dagli articoli 24 e 25. Tra breve il Commissario Vladimir Špidla descriverà l’impostazione adottata oggi dalla Commissione. Voglio solo aggiungere che questa comunicazione è un elemento fondamentale nei nostri sforzi tesi a trovare un accordo in seno al Consiglio sulla proposta di direttiva sui servizi.
Vorrei evidenziare altri due aspetti della nuova proposta. All’articolo 3 abbiamo chiarito che tutte le norme specifiche hanno prevalenza sulle disposizioni della direttiva sui servizi. In particolare, abbiamo precisato che la direttiva non influisce sul diritto privato internazionale e, di conseguenza, in linea di principio i consumatori potranno beneficiare della protezione garantita dalle norme in materia previste dalla legislazione vigente nei rispettivi Stati membri. La Commissione ha inoltre accolto il carattere facoltativo e non obbligatorio dell’assicurazione di responsabilità professionale, di cui all’articolo 27.
In seguito al voto del Parlamento europeo in febbraio, è sempre più diffuso in tutta l’Unione europea il riconoscimento che il consenso raggiunto dall’Assemblea debba essere la base su cui condurre il dibattito. I capi di governo lo hanno confermato al Consiglio europeo di due settimane fa. Abbiamo ora un’opportunità di sfruttare questo crescente consenso per far sì che il potenziale di crescita e di occupazione derivante dalla proposta in esame si realizzi quanto prima possibile.
Presenterò la proposta modificata al Consiglio informale “Competitività” di Graz, che si terrà a fine mese. Sono certo che, con il sostegno attivo della Presidenza austriaca e degli Stati membri, esista una possibilità reale di compiere progressi significativi nel corso dell’attuale Presidenza.
(Applausi)
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, la Commissione ha appena adottato una comunicazione che fornisce indicazioni e spiegazioni agli Stati membri riguardanti il distacco dei lavoratori nell’ambito della prestazione transfrontaliera di servizi. Il documento contiene anche proposte volte ad aiutare gli Stati membri a migliorare l’attuazione pratica della cooperazione amministrativa, l’accesso alle informazioni e il controllo dell’osservanza della direttiva relativa al distacco dei lavoratori.
La Commissione ha annunciato questa comunicazione lo scorso febbraio, in seguito al voto sulla direttiva “servizi” in seno al Parlamento europeo, affermando che l’eventuale soppressione degli articoli 24 e 25, contenenti disposizioni riguardanti gli ostacoli amministrativi al distacco dei lavoratori, sarebbe stata decisa alla luce del voto espresso dalla maggioranza. La soppressione di tali articoli, tuttavia, non dovrà essere interpretata dagli Stati membri come un’autorizzazione a creare o mantenere ostacoli amministrativi eccessivi per le imprese che distaccano lavoratori all’estero. Il distacco transfrontaliero di lavoratori è disciplinato dalla direttiva 96/71/CE, il cui scopo è conciliare, da un lato, il diritto delle imprese a prestare servizi transfrontalieri e, dall’altro, i diritti dei lavoratori temporaneamente distaccati in un altro Stato per prestare tali servizi. La direttiva costituisce lo strumento principale per garantire la libera circolazione dei servizi e prevenire al tempo stesso il dumping sociale. La motivazione giuridica approvata oggi dalla Commissione fornisce le necessarie precisazioni in merito alle misure di controllo che gli Stati membri possono adottare per verificare l’osservanza delle condizioni di lavoro e di occupazione previste dalla direttiva. Lo scopo è assicurare che gli Stati membri agiscano secondo i principi della libera circolazione dei servizi, evitando il dumping sociale.
La comunicazione fornisce spiegazioni e indicazioni per quattro tipi di misure di controllo, in particolare: l’obbligo di ottenere un’autorizzazione, l’obbligo di disporre di un rappresentante sul territorio dello Stato membro ospitante, l’obbligo di fare una dichiarazione e obblighi riguardanti i documenti relativi alle condizioni sociali e di occupazione. Nella comunicazione si perviene alle seguenti conclusioni: l’obbligo di disporre di un rappresentante sul territorio dello Stato membro ospitante è considerato eccessivo e si reputa sufficiente designare una persona tra i lavoratori – per esempio un dirigente – che serva da collegamento con le autorità competenti negli Stati membri. Non si considera ragionevole imporre l’obbligo di fare una dichiarazione sistematica preliminare per il solo motivo che il servizio è prestato da lavoratori distaccati. L’obbligo di conservare documenti è ovviamente riconosciuto, ma si applica solo ai documenti che sono assolutamente necessari e permettono alle autorità degli Stati membri di svolgere attività di sostegno e di controllo efficaci. Non si applica, per esempio, ai documenti relativi all’assicurazione sociale, che sono già trattati dalla direttiva 1408/71/CEE.
Si è altresì concluso che è ragionevole richiedere la notificazione preliminare delle attività. Tale notificazione dovrà essere fatta entro e non oltre la data di inizio delle attività.
La Commissione intende garantire un accesso più agevole alle informazioni sulle condizioni di lavoro e di occupazione per i lavoratori e le imprese e migliorare i livelli di cooperazione tra le autorità statali. E’ altresì essenziale migliorare le risorse a disposizione dei lavoratori e delle imprese per assicurare l’effettiva applicazione delle norme riguardanti i lavoratori. Sulla base di uno studio sul funzionamento della direttiva, condotto dalla Commissione e riportato nella relazione della sua unità competente, abbiamo concluso che vi sono ancora ampi margini di miglioramento in tutti gli ambiti e la comunicazione contiene diverse proposte avanzate dagli Stati membri in risposta a queste carenze. Tali proposte prevedono il miglioramento dei siti Internet e altre fonti di informazioni, maggiori risorse per gli uffici di collegamento e gli enti responsabili di vigilare sull’uso dei sistemi elettronici di trasferimento dei dati e migliori collegamenti tra gli ispettorati del lavoro. Considero importante il criterio secondo cui è giusto che gli Stati membri includano, nelle informazioni che forniscono, indicazioni specifiche sulle responsabilità spettanti alle imprese che distaccano lavoratori all’estero e non solo riferimenti generali al diritto del lavoro o all’ordinamento giuridico applicabile nello Stato membro in questione.
Onorevoli deputati, sono fermamente convinto che la direttiva sul distacco dei lavoratori – purché sia applicata correttamente – costituisca uno strumento adeguato ed efficace per assicurare, da un lato, la prevenzione del dumping sociale e, dall’altro, la libera prestazione di servizi.
(Applausi)
Marianne Thyssen, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei non è per nulla insoddisfatto della situazione relativa alla direttiva sui servizi. In novembre, in seno alla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori abbiamo toccato la nota giusta offrendo la prospettiva di un documento solido e imparziale, ed è ciò che è stato effettivamente realizzato. Incoraggiati dalla Commissione, abbiamo presentato proposte di cambiamenti radicali, successivamente approvate dall’Assemblea con un’ampia maggioranza trasversale. Al Consiglio europeo di primavera – perché di sicuro è così che possiamo chiamarlo ora – il Consiglio si è congratulato calorosamente con noi e ha espresso la volontà di proseguire i lavori e ottenere una direttiva sui servizi che apra i mercati garantendo un’adeguata protezione sociale.
Oggi abbiamo ascoltato un’esposizione particolareggiata della posizione della Commissione sulle nostre proposte e rileviamo che essa ha mantenuto la promessa e rimane fedele all’impegno di sostenere la linea adottata dall’Assemblea. I servizi d’interesse economico generale restano inclusi, anche se nel quadro di una struttura propria, come da noi proposto. Sebbene il campo di applicazione sia limitato, che è ciò che avevamo chiesto, vorrei invitare il Commissario a riesaminare il modo preciso in cui definire tali servizi sociali. La direttiva non ha alcun impatto sul diritto del lavoro e il Commissario Špidla ha appena illustrato gli orientamenti promessi relativi all’applicazione della direttiva sul distacco dei lavoratori.
Fortunatamente, in definitiva si assicura un’adeguata protezione dei consumatori, si riduce la burocrazia e si garantisce la libertà di prestazione di servizi, prevista agli articoli 16 e 17. Forse sarebbe stato preferibile definire una procedura di cooperazione diversa ai fini delle ispezioni, ma contiamo sul Consiglio affinché assicuri che essa funzioni altrettanto bene di quella da noi proposta.
Sappiamo che è possibile trovare un equilibrio. Intendiamo lavorare a tal fine e ci auguriamo che la Presidenza del Consiglio austriaca, con la quale siamo sempre disposti a dialogare, ci conduca a una direttiva favorevole ai lavoratori autonomi, ai lavoratori dipendenti, ai professionisti, ai consumatori di servizi e ai consumatori in generale, che nel complesso promuova la crescita economica e crei numerosi posti di lavoro. Auguriamo alla Presidenza del Consiglio il massimo successo e siamo lieti di avere infine ottenuto la cooperazione concreta della Commissione.
(Applausi)
Evelyne Gebhardt, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel gestire la direttiva sui servizi la Commissione ha dissipato le ombre che all’improvviso erano di nuovo calate su di essa la scorsa settimana. Commissario McCreevy, caro Charlie, in veste di relatrice e a nome del mio gruppo, sono molto lieta che la Commissione abbia tenuto fede alla promessa fatta al Parlamento e seguito le indicazioni fornite dalla stragrande maggioranza dell’Assemblea.
So che ciò ieri ha richiesto ore di lavoro da parte dei capi di governo, ma la legge più importante in Europa, seconda solo alla Costituzione, è ora sulla buona strada. Possiamo accompagnarla lungo tale strada, o forse si deve dire che la Commissione segue il Parlamento? Ciò che di certo si può dire è che è stato compiuto un passo decisivo in direzione di un’Europa sociale e posso dire al Commissario che sono particolarmente compiaciuta del fatto che il più importante pomo della discordia – il principio del paese d’origine – sia stato eliminato. Questa è la più grande apertura verso un’Europa sociale.
Sono anche molto lieta che abbiate seguito le proposte dell’Assemblea ed eliminato dal campo di applicazione della direttiva sui servizi importanti settori, quali il lavoro a tempo parziale, i servizi di sicurezza, il gioco d’azzardo e l’intero settore sanitario, sebbene vi sia ancora un punto interrogativo sull’esclusione dei servizi sociali. Dovremo svolgere ulteriori discussioni sul modo in cui si debba valutare e interpretare la posizione della Commissione al riguardo.
Mi compiaccio inoltre del fatto che, al contrario di quanto si temeva, le direttive settoriali avranno la prevalenza sulla direttiva sui servizi, un aspetto considerato importante dall’Assemblea, in particolare per quanto riguarda la direttiva sul distacco dei lavoratori. Ritengo che il risultato ottenuto sia un grande successo per i cittadini, per l’Europa sociale e, non ultimo, per il Parlamento. Noi eurodeputati abbiamo così dimostrato di prendere sul serio i nostri diritti, nell’interesse dei cittadini. La questione è ora nelle mani del Consiglio dei ministri: la rapidità con cui ci doteremo di una legislazione adeguata dipende da loro.
(Applausi)
Toine Manders, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, vorrei ringraziare il Commissario per il dinamismo e la prontezza con cui ha presentato questo documento elaborato con celerità. Il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa arriva persino a dire che il testo in esame rappresenta un progresso rispetto alla posizione adottata dal Parlamento europeo, il che è positivo per l’occupazione in Europa. Il gruppo ALDE è del parere che la creazione di posti di lavoro sia in assoluto la migliore struttura sociale, ancor più della protezione degli standard raggiunti finora. Purtroppo, alcuni fattori e settori rimangono esclusi e gli Stati membri potrebbero sfruttarli per proteggere i propri mercati. Questo si chiama protezionismo e verosimilmente sfocerà in numerosi procedimenti giuridici presso la Corte di giustizia europea.
Vi sono ancora concetti-contenitore, quali il gioco d’azzardo, il settore audiovisivo – e l’elenco continua – e la decisione su ciò che vi rientra è lasciata agli Stati membri. Avremmo preferito una definizione e descrizione molto più precise di ciò che è escluso e ciò che non lo è. Purtroppo, al momento non vi è sostegno al riguardo e sarà necessario attendere.
Ci auguriamo che i cittadini se ne renderanno conto. A volte, come nel caso della Francia, ciò può creare problemi se si vogliono introdurre riforme volte a salvaguardare le nostre realizzazioni e la nostra attuale prosperità, non ultimo per il bene dei nostri figli. Milioni di persone continuano a scendere in piazza a protestare ogni martedì. E’ un peccato. I rappresentanti politici devono prendere decisioni a lungo termine e, di quando in quando, essere rieletti nel brevissimo termine. A volte si dà la preferenza a questa seconda esigenza.
In ogni caso, riteniamo si sia compiuto un passo nella giusta direzione. Abbiamo sostenuto la proposta in prima lettura. Ci auguriamo che si faccia luce sul motivo per cui alcuni settori sono esclusi. Per esempio, come lei stesso ha affermato, le definizioni dovranno essere meno ambigue in modo che sia più difficile per gli Stati membri proteggere i loro servizi in entrata dagli altri. Dopo tutto, è necessario migliorare e rafforzare la mobilità e il dinamismo dell’economia nel mercato interno per essere in grado di competere con altre grandi regioni economiche nel mondo. Ritengo che in tal modo si possa salvaguardare la nostra prosperità. Vi ringrazio e mi auguro si possa pervenire rapidamente a un risultato positivo durante il prossimo Consiglio.
(Applausi)
Pierre Jonckheer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signori Commissari, ritengo ci si debba rallegrare che la Commissione abbia ceduto alle duplici pressioni del Parlamento europeo e del Consiglio. Considerate le circostanze attuali in cui si trova l’Unione europea, la giudico una dimostrazione eclatante del fatto che la democrazia parlamentare nell’Unione europea può funzionare e la Commissione può effettivamente accogliere gli emendamenti approvati dal Parlamento europeo.
Il Parlamento europeo ha migliorato in modo sostanziale la proposta iniziale della Commissione. Così stando le cose, tengo a sottolineare che le obiezioni fondamentali che abbiamo formulato, e che hanno giustificato il voto negativo e unanime del nostro gruppo, sono tuttora valide. Esse riguardano principalmente due aspetti: il campo di applicazione della direttiva e l’inclusione confermata dei servizi d’interesse economico generale. Il nostro gruppo è favorevole a una direttiva specifica sui servizi d’interesse economico generale, perché temiamo che la loro inclusione in questa direttiva possa ostacolare eventuali nuove proposte della Commissione.
La seconda obiezione riguarda il compromesso raggiunto sull’articolo 16, che non rafforza la certezza del diritto del testo e di fatto rimanda ancora una volta alla giurisprudenza della Corte e alla necessità che essa statuisca caso per caso, in contrasto con la volontà della Commissione e del Parlamento. La palla è ora in mano al Consiglio, al quale spetta definire la sua posizione comune. Al riguardo, il gruppo Verde/Alleanza libera europea chiede unanimemente al Consiglio di modificare e migliorare il testo, in particolare sui due punti che ho appena menzionato.
Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, signori Commissari, in ogni battaglia, è utile valutare correttamente ogni tappa. Non bisogna né sottovalutare i punti segnati, altrimenti si incoraggia il disfattismo, né sopravvalutare ciò che consideriamo acquisito, onde evitare una delusione.
Nel caso del progetto di direttiva cosiddetta “Bolkestein”, qual è la situazione? I punti segnati in prima lettura del Parlamento a favore degli oppositori del testo iniziale sono innegabili. La soppressione del riferimento al principio del paese d’origine e l’adeguamento dell’applicazione effettiva della direttiva sono le sconfitte più emblematiche subite dagli integralisti dell’Europa liberale. L’esclusione di alcuni settori dal campo di applicazione della direttiva e l’attribuzione allo Stato ospitante di un potere di controllo, sia pur limitato, condizionato e difficile da esercitare, sono anch’essi elementi significativi. Infine, l’esclusione del diritto del lavoro rimanda al diritto attualmente in vigore.
Esamineremo al microscopio il nuovo testo della Commissione. Se emergerà che essa tenta di recuperare parte del terreno che ha dovuto cedere, in particolare attribuendosi un diritto di controllo a priori, tale pretesa a nostro parere sarà inaccettabile. Se, invece, risulterà che la Commissione ha integrato le richieste del Parlamento nel testo rivisto del progetto di direttiva, ciò sarà un nuovo segno della crescente importanza dell’Assemblea nel triangolo istituzionale europeo e anche, o forse soprattutto, la conferma dell’influenza determinante dell’irruzione dei cittadini nel dibattito europeo, in particolare dopo un certo 29 maggio 2005. Questo vi dimostra che il nostro gruppo non ha alcuna intenzione di negare tali sviluppi.
Ciò detto, tuttavia, il risultato ottenuto finora riesce a frenare questa smania di concorrenza tra lavoratori, contro la quale i nostri concittadini si ribellano in masse sempre più numerose? Questa è la vera domanda, e la nostra risposta è no.
A parte le eccezioni enunciate, la direttiva, nella sua versione modificata, di fatto rafforza norme che istituiscono una forma d’integrazione non più fondata sull’armonizzazione delle legislazioni, ma sulla libertà del mercato. Le circostanze attuali e il peso dell’acquis comunitario meriterebbero al riguardo nuova attenzione, in particolare in concomitanza dell’allargamento dell’Unione a paesi con norme sociali allettanti per i leader economici e politici ossessionati dalla riduzione dei costi e dall’eliminazione degli “ostacoli alla concorrenza” nella famosa economia di mercato aperto, in cui la concorrenza è libera e non falsata.
Fino a che punto siamo pronti ad allontanarci da questa logica repressiva? Quando si svolgerà il grande dibattito aperto sul futuro dell’Unione europea, questa sarà la questione centrale sulla quale propongo di aprire la discussione, in particolare a sinistra.
Adam Jerzy Bielan, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, signori Commissari, non posso fare a meno di esprimere la grandissima delusione che ho provato oggi ascoltando la presentazione della comunicazione della Commissione. Il testo modificato della direttiva sui servizi è impreciso e la sua formulazione è spesso ambigua. I paesi contrari al libero mercato dei servizi senza dubbio sfrutteranno queste lacuna.
Commissario McCreevy, a una riunione della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, due settimane fa, lei ha affermato che l’ottimo non deve essere di ostacolo al buono. E’ senz’altro vero, ma pensa veramente che questo progetto, che è il risultato di due anni di lavoro sulla liberalizzazione del mercato dei servizi nell’Unione europea, sia davvero buono? Ritiene che la direttiva, nella sua versione attuale, sia una risposta adeguata alle attese dell’economia europea, in un momento in cui la concorrenza globale s’intensifica sempre più?
E’ difficile per me comprendere la posizione adottata da alcuni governi dei 15 vecchi Stati membri. Seguono una politica miope ed egoistica e impediscono la concorrenza nell’Unione europea. Quanto all’inazione e alla particolare apatia dimostrata dalla Commissione europea, semplicemente non posso accettarla. La Commissione dovrebbe farsi guidare innanzi tutto e soprattutto dall’interesse dell’Unione europea nel suo insieme. Dovrebbe cercare di conseguire almeno gli obiettivi della strategia di Lisbona.
Due mesi fa il Parlamento europeo ha ribaltato il progetto di direttiva, per citare l’espressione molto appropriata usata all’epoca dall’onorevole Gebhardt. E’ stato il risultato di un infelice compromesso tra i due maggiori gruppi politici del Parlamento. Nondimeno, la Commissione aveva assicurato ai sostenitori del libero mercato dei servizi che sarebbero stati adottati provvedimenti alternativi per compensare la soppressione delle disposizioni liberali del progetto. Mi riferisco, in particolare, agli articoli 24 e 25, che miravano a eliminare gli ostacoli attualmente incontrati dai lavoratori distaccati.
E’ ora chiaro che la Commissione europea è venuta meno alla sua promessa. Sotto ogni aspetto, il documento che ha preparato sul distacco dei lavoratori è una semplice descrizione degli ostacoli esistenti. Non contiene proposte di sanzioni di alcun tipo nei confronti dei paesi che bloccano il distacco dei lavoratori. Spetta tuttavia alla Commissione introdurre cambiamenti radicali nella sua politica verso i paesi che violano manifestamente il diritto comunitario relativo alla libera prestazione di servizi.
Infine, signori Commissari, vi auguro il massimo successo nella creazione di un libero mercato nell’Unione europea. Il successo in questa impresa è fondamentale per voi e per l’Unione nel suo insieme, ma richiede maggiore coraggio e determinazione da parte della Commissione.
Fernand Le Rachinel (NI). – (FR) Signor Presidente, il Consiglio e la Commissione hanno preso atto del voto sulla relazione Gebhardt sulla direttiva “servizi” e possiamo solo rallegrarcene. Per una volta siamo nella maggioranza e intendiamo trarne la massima soddisfazione. Abbiamo ampiamente contribuito a eliminare gli elementi più contestati della direttiva sui servizi, a partire dal famoso principio del paese d’origine. Nondimeno, alcune zone d’ombra rimangono, in particolare per quanto riguarda i servizi d’interesse economico generale, e spetterà al Consiglio risolverle, in accordo con il Parlamento.
Per il momento, il pericolo è altrove. La Commissione intende infatti rivedere in senso più liberale la direttiva sul distacco dei lavoratori, il che potrebbe in parte inficiare il lavoro legislativo del Parlamento europeo.
Infine, condanniamo con la massima fermezza la decisione della Commissione di ammonire la Francia in ragione del fatto che quest’ultima ha adottato decreti contro le offerte pubbliche di acquisto in 11 settori sensibili e strategici, in particolare per quanto riguarda la difesa. La Commissione preferisce giocare contro il proprio campo anziché difendere gli interessi dell’Europa in seno all’OMC o sui mercati mondiali. Spetta quindi agli Stati membri correggere questa anomalia istituzionale e politica.
Malcolm Harbour (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare il Commissario McCreevy per aver pienamente rispettato l’impegno assunto. Ha affermato che se avessimo prodotto una relazione equilibrata, approvata dal Parlamento con un’ampia maggioranza, la Commissione l’avrebbe accolta e ripresa in un testo modificato. In gran parte lo ha fatto, come molti colleghi hanno già affermato. Sostengo pienamente questa impostazione. E’ un compromesso. Non nascondo che avrei preferito una direttiva più liberale, ma resta il fatto che la proposta in esame rappresenta un grande passo avanti per il mercato interno.
Commissario McCreevy, ciò che vorrei gentilmente chiederle è di essere d’ora in poi il più forte sostenitore di questa direttiva. Vogliamo che lei s’impegni a promuovere il pacchetto. Nel suo intervento non ha detto che la direttiva contiene un centinaio di misure distinte dirette agli Stati membri, intese a eliminare gli ostacoli per le imprese di servizi, ridurre la burocrazia, semplificare le procedure amministrative e fornire maggiori informazioni. Il collega polacco sembra averlo del tutto ignorato nelle osservazioni che ha formulato poc’anzi.
Abbiamo anche, come clausola centrale, la libertà di prestazione di servizi, proposta da quest’ala dell’Assemblea. Sono del tutto convinto, e sono certo che lo confermerà, che la formulazione rispetti pienamente – e uso i termini della direttiva – le norme cui sono soggetti i prestatori di servizi nel proprio Stato membro. E’ un grande passo avanti, ma è necessario che lei lo presenti e lo difenda con fermezza e convinzione. La prego di considerarlo come il primo messaggio, perché dobbiamo conquistare il favore delle persone là fuori, che pensano che abbiamo prodotto un atto legislativo annacquato e debole. Se lo si legge, ci si rende conto che non lo è affatto.
Per concludere, vorrei ringraziare calorosamente il Commissario Špidla, perché avevamo chiesto una dichiarazione sulla direttiva relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito del compromesso sulla soppressione degli articoli 24 e 25 della proposta e lui l’ha presentata. Ritengo che potrebbe esserci maggiore ambizione, ma sono lieto che le due direttive siano collegate, come richiesto espressamente da quest’ala dell’Assemblea.
(Applausi)
Anne Van Lancker (PSE). – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei associarmi ai ringraziamenti espressi alla Commissione, che è rimasta il più possibile fedele alla posizione del Parlamento. Devo dire, signor Commissario, che la definizione alquanto limitata di servizi sociali è per me causa di preoccupazione e vorrei che il Parlamento e il Consiglio trovassero il tempo per riflettere su una definizione migliore.
Sono comunque lieta che la Commissione abbia adottato le clausole sociali del Parlamento in termini di rispetto della legislazione in materia di lavoro e di sicurezza sociale e dei contratti collettivi di lavoro e anche, signor Commissario, che la direttiva sui servizi dia priorità alla direttiva sul distacco dei lavoratori e ne rispetti appieno le disposizioni. Tuttavia, devo dire al Commissario Špidla che non sono del tutto soddisfatta del contenuto della comunicazione relativa al distacco dei lavoratori e insisto quindi sulla necessità di presentarla alle parti sociali e al Parlamento a fini di consultazione.
E’ un bene che la burocrazia sia stata ridotta e che le restrizioni imposte dagli Stati membri e più volte censurate dalla Corte di giustizia saranno eliminate, ma ho l’impressione che le clausole proibitive nella comunicazione vadano ben oltre l’amministrazione della giustizia. Per esempio, l’idea che la nomina di un rappresentante tra i lavoratori distaccati sia sufficiente equivale a negare ai paesi scandinavi la loro tradizione negoziale. Inoltre, con il divieto relativo alle autorizzazioni o registrazioni precedenti, si corre il rischio di compromettere il sistema delle licenze, per esempio nel contesto del lavoro temporaneo. Questi aspetti richiedono quindi un esame più approfondito.
Tuttavia, vorrei anche riconoscere che si tratta di un buon inizio per il miglioramento delle ispezioni nella pratica. E’ fondamentale che le imprese e i lavoratori siano meglio informati di quanto lo siano stati finora sulle condizioni di lavoro e di occupazione applicabili al distacco dei lavoratori e che gli uffici di collegamento diventino più efficienti. Approvo senza riserve anche l’idea di dotare gli ispettorati del lavoro di risorse più adeguate e di far sì che cooperino a livello transfrontaliero. E’ una richiesta avanzata più volte dall’Assemblea. Solo così, a mio parere, vi saranno garanzie sufficienti per creare un mercato interno dei servizi che funzioni bene, nel pieno rispetto delle norme sociali fondamentali.
(Applausi)
Nathalie Griesbeck (ALDE). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, a nostro parere è indispensabile che il testo finale cui si perverrà rispetti pienamente l’equilibrio raggiunto dai deputati al Parlamento. Dobbiamo adottare una direttiva sulla libera circolazione dei servizi, perché è una vera e propria necessità, ma non a qualunque prezzo. Il progetto iniziale della Commissione era un testo mal fatto, mal considerato e imprudente. Il Parlamento ha ora completamente rimaneggiato il testo, per permettere il completamento del mercato interno e preservare al tempo stesso il nostro modello sociale. Le siamo riconoscenti, signor Commissario, per aver resistito alle tentazioni e le proponiamo di riunirsi con il Parlamento per definire un compromesso.
La palla è ormai in mano al Consiglio e ci attendiamo che agisca da colegislatore responsabile. La direttiva sui servizi è oggi una struttura il cui equilibrio si regge su pilastri di pari importanza per noi. Mettendone in discussione l’uno o l’altro si rischia di far crollare l’intera struttura. Il Consiglio non può quindi ignorare il messaggio politico che gli abbiamo trasmesso. Signor Commissario, il voto del Parlamento sui servizi ha indicato la strada. Se dovessimo fare marcia indietro, i nostri concittadini non lo comprenderanno.
Elisabeth Schroedter (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, sono lieta che la Commissione abbia riconosciuto che la direttiva sul distacco dei lavoratori è uno strumento indispensabile per la protezione dei lavoratori sul mercato europeo dei servizi. Non dobbiamo permettere che la direttiva sui servizi ne limiti l’efficacia.
La direttiva sul distacco dei lavoratori stabilisce il principio della “parità di retribuzione per lavoro di pari valore nello stesso luogo”. Tuttavia, Commissario Špidla, mi chiedo come, alla luce dell’energia criminale utilizzata per aggirare questo principio nella pratica, un caposquadra locale o una dichiarazione il giorno di inizio dei lavori si possa considerare sufficiente a garantire che gli Stati membri possano svolgere controlli. Se gli strumenti di controllo a disposizione degli Stati membri servono a proteggere i lavoratori, ne consegue che tali strumenti non devono essere soggetti a limitazioni e questo deve essere il principio informatore del manuale, anziché affermare che si tratta solo di un’imposizione burocratica. La protezione dei lavoratori deve rimanere l’elemento centrale della direttiva sul distacco dei lavoratori.
Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, vorrei associarmi ai ringraziamenti espressi ai Commissari McCreevy e Špidla. Ho molto apprezzato il modo in cui ci avete incontrati a metà strada. La proposta in esame rappresenta un grande passo avanti. Vorrei ora formulare alcune domande e osservazioni.
Comincerò da lei, Commissario McCreevy. Lei ha affermato che presenterete un documento sui servizi sanitari. Che cosa intende? Si tratta di una direttiva? Davvero non possiamo accettare una situazione in cui la Corte di giustizia europea decide che dobbiamo seguire la situazione da vicino, solo perché poi non si prenda alcun tipo di provvedimento. Sarei molto soddisfatta se si trattasse di una direttiva, dato che non ha menzionato il tipo di documento che intendete adottare.
Commissario Špidla, concordo con lei sul fatto che gli articoli 24 e 25, nella loro formulazione originaria, avevano lo scopo di impedire la creazione di ostacoli amministrativi nello Stato membro ospitante. Sono pienamente d’accordo sul fatto che occorre fare qualcosa al riguardo. Ciò detto, le retribuzioni e le condizioni di lavoro possono anche essere aggirate, il che porta a una concorrenza sleale sul mercato del lavoro. Questo significa che è quindi importante elaborare nuovi orientamenti strategici, anche per i lavoratori distaccati.
Ho però un quesito. Perché avete adottato una comunicazione, Commissario Špidla? Glielo chiedo perché l’onorevole Schröder sta preparando una relazione concernente la direttiva sul distacco dei lavoratori e voi disponete già di una valutazione della stessa. Perché avete adottato un documento di difficile applicazione? Perché non avete deciso di adeguare la legislazione?
Signor Presidente, vorrei fare un’ultima osservazione. Sono lieta che la procedura di controllo per verificare il trattamento che ci riserviamo gli uni con gli altri sia destinata a migliorare, grazie alla cooperazione tra i vari ispettorati del lavoro. Dovremo esaminare di nuovo in che modo si possa rafforzare tale procedura.
Robert Goebbels (PSE). – (FR) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli colleghi, durante la prima discussione sulla direttiva “servizi”, un collega britannico ha affermato che Fritz Bolkestein è vivo e vegeto e vive principalmente in Francia. Il mio gruppo augura all’ex Commissario Bolkestein un felice pensionamento. E’ nostra speranza infatti che viva sereno e tranquillo in pensione, ma la sua direttiva è definitivamente morta. D’ora in avanti avremo una direttiva Gebhardt-McCreevy.
Naturalmente, rimangono gli orfani di Bolkestein. All’estrema sinistra e tra alcuni noti antieuropeisti, la direttiva Bolkestein era diventata un ovvio spauracchio, il simbolo di un’Europa antisociale. Per loro è difficile accettare che la direttiva Bolkestein è definitivamente morta e sepolta. Altri hanno lo stesso problema, in particolare alcuni entusiasti dell’ultraliberismo, e mi riferisco a chi scorgeva nella proposta iniziale della Commissione una specie di passe-partout per un’Europa totalmente deregolamentata. Penso in particolare a quel barone francese che, per sembrare moderno, parla l’americano quando si esprime a nome dei grandi imprenditori.
Fortunatamente, però, il Parlamento europeo ha svolto il suo lavoro e una maggioranza qualificata dell’Assemblea ha riscritto il testo presentato in prima lettura sulla proposta iniziale della Commissione, in modo da farne uno strumento dignitoso che favorisca la libera prestazione di servizi ed eviti qualsiasi forma di dumping sociale. La Commissione ha fatto bene a sostenere gran parte della posizione del Parlamento europeo, anche se abbiamo notato una certa esitazione la scorsa settimana. Il Presidente Barroso ha ripreso il comando delle sue truppe. Dovremo senz’altro rimanere vigili e chiedere ulteriori precisazioni. Ciò detto, la Presidenza austriaca farebbe altrettanto bene ad assicurare che il Consiglio sostenga il Parlamento, in modo da pervenire rapidamente alla direttiva sui servizi dignitosa che vogliamo e chiediamo.
Anne E. Jensen (ALDE). – (DA) Signor Presidente, signori Commissari, in Parlamento abbiamo svolto audizioni sulla direttiva relativa al distacco dei lavoratori, le quali hanno rivelato che la direttiva di per sé è valida, sebbene sia complicata. L’applicazione pratica delle norme solleva infatti enormi difficoltà. I lavoratori non conoscono i loro diritti, le imprese non sanno quali norme devono applicare e le pubbliche autorità danno alla direttiva interpretazioni differenti. Anziché modificarla, dobbiamo quindi compiere seri sforzi in termini di migliore amministrazione e maggiore disponibilità di informazioni. L’Unione e gli Stati membri devono insieme assicurare che si possano ottenere migliori informazioni, per esempio tramite Internet e le memorie cache. In tal modo, saremo realmente in grado di cogliere i vantaggi offerti da un mercato interno dei servizi. Attendo con impazienza che la Commissione lanci iniziative in questo ambito e garantisca un miglior funzionamento della direttiva sul distacco dei lavoratori in futuro.
Małgorzata Handzlik (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, mi compiaccio della presentazione degli orientamenti relativi al distacco dei lavoratori. Senza dubbio rappresentano un nuovo, significativo passo verso la liberalizzazione dei servizi.
Il documento della Commissione descrive gli ostacoli amministrativi illecitamente imposti alle imprese per il distacco di lavoratori all’estero a fini lavorativi. Contiene anche esempi di sentenze della Corte di giustizia europea, secondo la quale tali pratiche violano il Trattato. Purtroppo, nel documento non figurano proposte efficaci per risolvere la situazione attuale.
La Commissione ha dimostrato una chiara mancanza di volontà di garantire il rispetto del diritto comunitario. I semplici riferimenti alle sentenze della Corte di giustizia non bastano. Gli ostacoli restano fermi dove sono, a dispetto delle sentenze, del Trattato e della direttiva. Nulla è cambiato. E’ quindi necessaria un’azione più risoluta, per esempio l’avvio di procedimenti giudiziari contro i trasgressori. Temo che la proposta di preparare, tra un anno, una nuova relazione sui progressi compiuti nell’eliminazione degli ostacoli sia solo un tentativo di rinviare ulteriormente l’azione.
Per concludere, vorrei rilevare che molti eurodeputati sono rimasti sconcertati dal fatto che i servizi sanitari siano stati totalmente esclusi dal parere della Commissione sulla direttiva relativa ai servizi, sebbene il voto del Parlamento avesse dimostrato l’esistenza di una maggioranza favorevole alla loro inclusione.
(Applausi)
Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto ringrazio gli onorevoli deputati per le loro osservazioni. Risponderò ad alcune questioni specifiche.
Riguardo ai settori esclusi dal campo di applicazione della direttiva, è importante ricordare che essi rimarranno soggetti alle disposizioni del Trattato. Il Collegio di Commissari discuterà la questione dei servizi sanitari nelle prossime due settimane e il contenuto preciso dell’iniziativa sarà deciso in tale occasione. Il Commissario Kyprianou assumerà la guida e il Commissario Špidla e io gli esporremo le nostre idee. Oggi non posso essere più specifico, ma posso anticipare che come minimo il documento tratterà la questione della mobilità dei pazienti e del rimborso delle spese mediche. Dovremo attendere la proposta del Commissario Kyprianou.
L’onorevole Harbour è un po’ pessimista sull’accoglienza riservata alla proposta modificata. E’ vero che vi sono stati commenti negativi su alcuni media, ma i pareri cambieranno col tempo, quando tutti avranno avuto la possibilità di digerire ciò che il Parlamento ha approvato.
Ho promosso con grande impegno la proposta modificata in seno al Consiglio dei ministri. A una riunione svoltasi domenica 12 marzo 2006, ho difeso con vigore il testo modificato. Ho detto ai ministri che intendo seguire il testo approvato dal Parlamento europeo sui punti principali. Alcuni ministri possono essere stati un po’ scettici all’inizio, ma al termine della riunione erano in maggior parte soddisfatti dell’esito prospettato. Il fatto che il Consiglio europeo della scorsa settimana abbia avallato a stragrande maggioranza il voto del Parlamento dimostra che il dibattito si è notevolmente evoluto.
E’ una buona proposta. L’onorevole Harbour descrive numerose iniziative e i loro aspetti positivi e dobbiamo essere preparati a promuoverla come passo molto importante nel settore dei servizi e considerare la data in cui la direttiva sarà adottata come una giornata positiva per l’Europa.
Come ho detto alle riunioni in seno alle commissioni competenti – e di recente ho partecipato a una riunione della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori – è importante comprendere che la precedente proposta della Commissione non avrebbe mai visto la luce nella versione in cui era formulata. Chi difendeva le proposte iniziali dovrebbe quindi riconoscere la realtà politica: non sarebbero mai diventate un atto legislativo.
Ciò che io, in veste di Commissario, e il Collegio dei Commissari abbiamo riconosciuto è la realtà politica che non si poteva continuare a strombazzare quanto fosse brillante la proposta pur sapendo intimamente che sarebbe rimasta sullo scaffale. Abbiamo adottato l’approccio pragmatico di tentare di pervenire a un ampio accordo tra i deputati europei appartenenti ai gruppi principali perché, se ci fossimo riusciti, avremmo avuto migliori possibilità di ottenere l’approvazione della proposta modificata da parte del Consiglio dei ministri.
Nella riunione del Consiglio dei ministri cui ho partecipato erano presenti tante divisioni quante ve ne erano in seno al Parlamento europeo. Ritengo quindi che il Parlamento abbia chiaramente indicato la strada da seguire. Ora che abbiamo la proposta modificata, dobbiamo essere tutti disposti a promuoverla e a riconoscere che rappresenta un grande passo avanti. Alcuni possono considerarlo un passo avanti marginale, ma è un grande passo avanti. Gioverà enormemente all’economia europea, perché le darà slancio e le permetterà di sostenere tassi di crescita in grado di creare i posti di lavoro di cui abbiamo grande bisogno. A mio parere, questo è ciò che la proposta modificata farà.
Considerato l’ampio consenso raggiunto sui punti più controversi della proposta, sono certo che il Consiglio dei ministri vorrà lavorare in stretta cooperazione con il Parlamento europeo per cercare di raggiungere presto un accordo. In seno alla Commissione faremo tutto il possibile per giungere tempestivamente a un accordo definitivo sul testo. Se manteniamo tutti un atteggiamento aperto e costruttivo, possiamo condurre questa importante proposta a una felice conclusione.
(Applausi)
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Onorevoli deputati, vi ringrazio per la discussione appena svolta. Permettetemi di accennare ad alcune questioni che sono state sollevate.
Nel dibattito tra le parti sociali e i rappresentanti degli Stati membri, e soprattutto nell’ambito delle discussioni parlamentari, è parere diffuso che la direttiva sia idonea allo scopo e che non vi siano motivi impellenti per sottoporla a una revisione legislativa sostanziale, sebbene la sua applicazione pratica possa creare varie difficoltà. Nella discussione sulla direttiva relativa ai servizi, il Parlamento ha ottenuto la promessa che la Commissione avrebbe incluso nella sua comunicazione una raccolta della prassi attuale e delle decisioni adottate finora dalla Corte di Lussemburgo. E’ assolutamente chiaro, e ritengo si applichi all’intero ordinamento giuridico, che le leggi si devono usare solo in funzione delle finalità per le quali i legislatori le hanno elaborate. La direttiva sul distacco dei lavoratori mira a proteggere i lavoratori distaccati, garantendo loro opportuni diritti, prevenendo il dumping sociale, proteggendoli dallo sfruttamento e impedendo che siano costretti ad accettare standard sociali irragionevoli e a competere così in modo sleale con i lavoratori del paese ospitante. Questa è la finalità della direttiva e questo è stato il nostro punto di vista determinante nel formulare una strategia per la comunicazione.
Naturalmente, la direttiva non ha lo scopo di creare barriere artificiose e ciò significa che ogni singolo ostacolo e ogni procedura amministrativa devono essere valutati sotto i seguenti punti di vista: è necessaria ed essenziale per la maggiore protezione dei lavoratori? Se la risposta è affermativa, sarà conforme alla direttiva, in caso contrario non lo sarà. Posso citare un esempio tipico: la protezione dei lavoratori senza dubbio richiede l’uso di documenti ufficiali, ma possiamo facilmente immaginare che alcuni documenti possano essere superflui da questo punto di vista. Questo è uno degli aspetti affrontati nella comunicazione.
In diversi interventi è stata sollevata anche una questione che non riguarda direttamente la comunicazione, ma è legata all’evoluzione della direttiva sui servizi e a questioni riguardanti i servizi in generale. Mi riferisco ai servizi sociali d’interesse generale. Posso dire che la comunicazione è già completa per quanto attiene agli aspetti fondamentali della questione e prevediamo di perfezionarla entro la fine di aprile. La comunicazione, da un lato, chiarirà alcuni principali problemi giuridici, perché dobbiamo disporre di interpretazioni precise e affidabili delle decisioni della Corte, e, dall’altro lato, presenterà alcune altre procedure che si potrebbero adottare con lo sviluppo e l’ulteriore elaborazione del concetto politico di servizi d’interesse generale.
Onorevoli deputati, sono convinto che la direttiva sui servizi e la relativa comunicazione, insieme con gli ulteriori negoziati e i passi successivi, siano un esempio di cooperazione straordinariamente costruttiva tra la Commissione e il Parlamento nel contesto di alcune parti molto impegnative della nostra legislazione.
Onorevoli deputati, forse mi permetterete un’ultima osservazione su un punto cui ha già accennato il Commissario McCreevy, cioè che attendiamo la formulazione di nuove proposte legislative in materia di servizi sanitari, in particolare per quanto riguarda la mobilità dei pazienti nell’ambito del sistema sanitario.
Robert Goebbels (PSE). – (FR) Signor Presidente, mi stupisce che la Presidenza austriaca dell’Unione europea non prenda posizione su questa importantissima comunicazione della Commissione. Il Cancelliere Schüssel vanta i meriti del compromesso raggiunto dal Parlamento europeo e sarei molto felice di sapere se la Presidenza austriaca intende fare tutto il possibile affinché il Consiglio adotti questa nuova posizione del Parlamento e della Commissione.
Presidente. – Onorevole Goebbels, dubito che il suo intervento si possa considerare un richiamo al Regolamento, anche se riguarda l’ordine delle discussioni. E’ una questione di ordine, ma non credo che il Consiglio abbia bisogno degli incentivi dei parlamentari per intervenire, se lo desidera. Sa di poterlo fare e, se non ha chiesto la parola, sarà perché non lo ritiene necessario. Conoscete il detto: chi tace acconsente.
La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Alessandro Battilocchio (NI). – Ringrazio la Commissione per aver tenuto in conto la posizione di questo Parlamento, che riflette democraticamente le esigenze della maggioranza dei cittadini europei.
Mi rincresce che alcuni servizi sociali continuino ad essere esclusi dalla direttiva: servizi come le case popolari e il sostegno all’infanzia e alle famiglie non possono essere soggetti alle leggi della concorrenza, ma devono guardare esclusivamente agli interessi dei beneficiari. Mi auguro quindi che nella direttiva sui servizi sociali che la Commissione ha annunciato per fine aprile, queste esigenze vengano adeguatamente tenute in conto.
Mi congratulo inoltre per la soppressione del principio del paese di origine e per la redazione del nuovo documento sul distacco dei lavoratori. Trovo infatti che sia necessario prevenire il dumping sociale attraverso un attento esame delle regole del mercato, soprattutto in materia di salari e condizioni di lavoro. E’ importante infatti lavorare perché la concorrenza migliori la qualità del lavoro per il bene dei lavoratori e dei consumatori. L’obiettivo ultimo dell’Unione europea infatti non è quello di aumentare il volume di affari, ma di creare una società competitiva al servizio dei cittadini, una società che contribuisca ad aumentare il livello di vita, sotto tutti i punti di vista, di chi ne fa parte.
13. Controllo dell’applicazione del diritto comunitario (2003 2004) – Legiferare meglio 2004: applicazione del principio di sussidiarietà – Attuazione conseguenze e impatto della legislazione vigente in materia di mercato interno – Strategia per la semplificazione del contesto normativo (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione comune sul tema “Legiferare meglio”, in cui saranno esaminate quattro relazioni:
– la relazione presentata dall’onorevole Monica Frassoni, a nome della commissione giuridica, sulla ventunesima e ventiduesima relazione annuale della Commissione ( sul controllo dell’applicazione del diritto comunitario 2003 e 2004) 2005/2150(INI)] (A6-0089/2006),
– la relazione presentata dall’onorevole Bert Doorn, a nome della commissione giuridica, su “Legiferare meglio 2004” – applicazione del principio di sussidiarietà (dodicesima relazione annuale) [2005/2055(INI)] (A6-0082/2006),
– la relazione presentata dall’onorevole Arlene McCarthy, a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, su attuazione, conseguenze e impatto della legislazione vigente nel settore del mercato interno [2004/2224(INI)] (A6-0083/2006) e
– la relazione presentata dall’onorevole Giuseppe Gargani, a nome della commissione giuridica, su una strategia per la semplificazione del contesto normativo [2006/2006(INI)] (A6-0080/2006).
Monica Frassoni (Verts/ALE), relatrice. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono particolarmente lieta di prendere la parola oggi, non nella mia veste abituale di rappresentante del mio gruppo, ma come relatrice della commissione giuridica che rappresenta una maggioranza più ampia. Come tale, vorrei lanciare alcuni messaggi su questa relazione, il cui obiettivo fondamentale è di sottolineare che la questione dell’applicazione del diritto comunitario costituisce una parte importante del dossier “legiferare meglio” come lo sono anche le altre questioni di cui parleremo questo pomeriggio.
L’applicazione è una parte importante del diritto prima di tutto perché, a livello dell’Unione europea, la situazione – e lo dice molto bene la relazione della Commissione – non è soddisfacente. Ci sono dei problemi molto gravi dal punto di vista soprattutto della legislazione ambientale, ma anche di quella relativa al mercato interno e la responsabilità è soprattutto, inutile negarlo, degli Stati membri.
La responsabilità della mancata applicazione, è tuttavia dovuta anche ad una procedura che, essendo contemplata nei Trattati, non è facile da migliorare. Si tratta di una procedura lenta che prevede delle sanzioni relativamente insufficienti: per arrivare ad una soluzione positiva per quanto riguarda l’applicazione del diritto comunitario da parte degli Stati membri spesso lascia a desiderare e prende moltissimo tempo.
Vorrei sapere se lei ritiene che tale questione dell’applicazione del diritto comunitario costituisca o meno una priorità per la Commissione. Dal punto di vista della comunicazione non mi sembra che lo sia, perché, come sappiamo, viene privilegiato maggiormente l’aspetto del ritiro e della modifica delle direttive rispetto alla loro corretta applicazione.
Credo che nella Commissione ci siano sostanzialmente due scuole di pensiero: una che dice: “meglio evitare i problemi con gli Stati membri, cerchiamo di risolvere insieme a loro i problemi” e l’altra che dice: “cerchiamo, invece, di applicare le regole come sono, non in modo rigido, ma comunque in modo positivo, prendendo in considerazione delle procedure che siano il più possibile rapide e rispettose del diritto”.
A tal proposito vorrei citare alcuni esempi: riteniamo che una serie di decisioni che sono state prese dalla Commissione rispetto all’avvio di alcune procedure, come quelle sugli OGM in Austria, sia stata particolarmente veloce e particolarmente ben fatta, mentre invece, per quanto riguarda la Francia e la sua incapacità di applicare la direttiva “Natura 2000”, da tre anni aspettiamo che, dopo il pronunciamento della Corte di giustizia, la Commissione intervenga ai sensi dell’articolo 228, ovvero l’articolo relativo alle multe.
Analogamente, esistono delle situazioni interessanti per quanto riguarda il diritto dei cittadini al rimborso delle loro spese mediche. Sappiamo che questo tema, che è importantissimo per i cittadini stessi, giace irrisolto perché è un problema politicamente complicato da portare avanti. Allo stesso tempo, solo in due casi si è fatto ricorso all’articolo 228, ovvero per il caso delle discariche greche, che è stato sospeso dopo pochissimo tempo, e per il caso delle acque di balneazione spagnole, ritirato all’ultimo minuto per una questione che la Commissione stessa riconosce essere abbastanza dubbiosa dal punto di vista del diritto.
Che risposta diamo o quali proposte presentiamo per risolvere una situazione per la quale riteniamo che Commissione debba agire in un modo più trasparente? Prima di tutto riteniamo che ci debbano essere una migliore valutazione e una migliore trasparenza quanto alle modalità di applicazione del diritto. Penso che sia importante che la Commissione ci trasmetta gli studi di conformità che svolge sull’applicazione del diritto, cosa che purtroppo non siamo riusciti a ottenere.
In secondo luogo, credo che sia importantissimo avere un trasferimento di risorse da tutti coloro che non faranno più legislazione a coloro che invece si occuperanno dell’applicazione. Non siamo d’accordo, per esempio, con l’idea che questo trasferimento avvenga con coloro che si occuperanno di impact assessment, cosa di cui si parla in questo momento nella Commissione, e, in terzo luogo – e questo, invece, riguarda noi – riteniamo che il Parlamento europeo debba intervenire in modo molto più preciso sul tema dell’applicazione del diritto comunitario, non per toccare le competenze della Commissione – so che questo è un tema molto preoccupante per i membri di questa Istituzione – ma, al contrario, per arrivare, come fa la commissione ambiente e altre commissioni, ad avere un’idea più precisa di quello che succede.
Credo che la politica del name and shame, anche nell’applicazione del diritto comunitario, sia molto utile e che la Commissione, forse, dovrebbe aiutarci ad applicarla con maggiore decisione.
Bert Doorn (PPE-DE), relatore. – (NL) Signor Presidente, vorrei citare un articolo pubblicato nel maggio dell’anno scorso da un autorevole giornale olandese, poco prima del referendum tenutosi nei Paesi Bassi. L’articolo comincia con queste parole: “Né Barroso né Blair, ma l’olandese van Alphen, insieme a migliaia di altri impiegati statali nazionali, prende le decisioni quotidiane in Europa”. Quell’articolo non ha certo contribuito a una percezione di base positiva del referendum nei Paesi Bassi, che, come sapete, ha avuto un esito disastroso. I Paesi Bassi hanno detto no, ed è preoccupante. Sono proprio le norme e i regolamenti a causare preoccupazione e oggi dovremmo discutere in modo particolareggiato di questo tema.
Dobbiamo impegnarci a fondo per eliminare l’immagine negativa che hanno i cittadini delle norme e dei regolamenti. Come possiamo conseguire questo obiettivo? Possiamo realizzarlo rendendo norme e regolamenti più trasparenti. Dobbiamo considerare anche l’onere amministrativo che ne deriva. Molte imprese hanno attorno al collo il giogo di un pesante onere amministrativo, e se c’è un elemento che influisce sulla competitività delle imprese, è proprio questo.
Come migliorare la trasparenza e ridurre l’onere amministrativo? In primo luogo, eseguendo una reale valutazione d’impatto, cosa che manca ancora al momento. Abbiamo visto molti esempi di valutazioni d’impatto, tutte di qualità variabile. Alcune sono valide, altre meno. Se in Parlamento vogliamo avvalerci delle valutazioni d’impatto, queste dovrebbero offrire informazioni imparziali, affidabili e facilmente comprensibili. E’ proprio questo che manca.
In Parlamento abbiamo un’esperienza diretta di alcune valutazioni d’impatto sugli emendamenti; anche noi abbiamo rilevato che la qualità varia, e per questo motivo ne propongo una verifica indipendente, che non deve necessariamente essere fatta da un’autorità prestigiosa. Potrebbe essere un gruppo di quattro esperti nel campo della valutazione d’impatto, che semplicemente esamina le valutazioni d’impatto eseguite dalla Commissione e in Parlamento, e che poi su tale base formula raccomandazioni. In altre parole, non c’è bisogno di un’agenzia o di un organo importante; abbiamo solo bisogno di una verifica indipendente della qualità, che sia efficace ed esterna.
Passando alla comitatologia, l’articolo che ho citato prima aveva qualcosa da dire anche su questo. Comprendeva anche un paragrafo sui comitati, che non vi voglio nascondere. “Non si vedono, non si sentono, circa 450 gruppi consultivi a Bruxelles prendono continuamente decisioni che toccano la vita quotidiana dei cittadini”. E’ necessaria più trasparenza anche in questo settore. Quando la comitatologia conduce al diritto derivato, anche questo deve essere verificato. Dobbiamo dimostrare le implicazioni di una legislazione di quel tipo mediante una valutazione dell’impatto. I cittadini vedranno allora che facciamo sul serio e che vogliamo davvero questa trasparenza.
Infine, come già sottolineato dall’onorevole Frassoni, l’attuazione è estremamente importante e il Parlamento dovrebbe dedicare molta più attenzione a questo aspetto. Quando una relazione è stata discussa in plenaria, il lavoro del relatore è finito. Suggerirei di chiedere al relatore in questione, tre anni dopo l’approvazione in Parlamento, di notificare alla propria commissione lo stato di avanzamento in termini di attuazione. Questo contribuirà in misura significativa al corretto recepimento negli Stati membri e anche a efficaci contatti con i parlamenti nazionali.
Queste sono le proposte: più trasparenza, verifica oggettiva della valutazione d’impatto, limiti alla comitatologia, più discernimento in fatto di comitatologia e magari un diritto di avocazione per il Parlamento europeo qualora necessario. Sono le componenti di un accordo interistituzionale che ritengo necessarie per far funzionare realmente queste norme e regolamenti.
Arlene McCarthy (PSE), relatore. – (EN) Signor Presidente, come presidente della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori accolgo con grande favore la presente discussione congiunta sul miglioramento della regolamentazione e l’opportunità di discutere con il Consiglio e la Commissione come possiamo rafforzare l’esperienza riguardante la regolamentazione per i consumatori, i cittadini e le imprese, che hanno il difficile compito di capire l’attuazione del diritto dell’Unione europea. La fiducia e la speranza che cittadini, consumatori e imprese ripongono nell’Unione stessa sono legate alla loro esperienza e percezione della legislazione comunitaria e all’impatto di quest’ultima sulla loro vita quotidiana.
Voglio concentrarmi sul miglioramento della regolamentazione per il mercato interno e sull’obiettivo di garantire una legislazione incisiva per i consumatori nel mercato interno. Il mercato interno incide per quasi un terzo dell’acquis comunitario. Una legislazione di qualità, efficace e semplice nel mercato interno dovrebbe creare nuove opportunità per il commercio transfrontaliero e offrire più ampie possibilità di scelta, proteggendo, nel contempo, i diritti dei consumatori, nonché i diritti sociali e ambientali. Allo stesso tempo, rendere migliore la legislazione nel mercato interno è essenziale per conseguire gli obiettivi di Lisbona in termini di occupazione, crescita e competitività.
Credo che il mercato interno beneficerà soprattutto di un approccio comune e coordinato da parte delle tre Istituzioni al miglioramento dell’intero processo legislativo. Questo significa che dobbiamo pensare anche alle conseguenze degli accordi occulti e dei compromessi che concludiamo e verificare se renderanno le leggi più confuse o più chiare per gli utenti finali. Un’impostazione che comincia, a mio parere, con una formulazione chiara e adeguata delle leggi, con valutazioni dell’impatto di alta qualità e con la consultazione efficace, completa e trasparente delle parti interessate. Anche gli Stati membri devono prendere seriamente le loro responsabilità e garantire una buona e corretta attuazione delle leggi in materia di mercato interno. Devono resistere alla tentazione di ampliare o abbellire la legislazione UE con ulteriori requisiti nazionali. Anche se i tassi di recepimento stanno migliorando, come dimostrano i dati riferiti al mercato interno, vi è ancora spazio per molti passi avanti. Per questo motivo chiediamo una procedura di infrazione rapida per i metodi di prova del mercato interno. Dobbiamo imparare dai fallimenti e dagli errori della legislazione comunitaria. Perciò chiediamo valutazioni dell’impatto sia ex ante sia, in particolare, ex post vale a dire una valutazione dei nostri errori. Questa legislazione ha conseguito il suo obiettivo o al contrario ha condotto alla distorsione e alla frammentazione del mercato interno?
Alcuni ritengono che le valutazioni d’impatto dovrebbero essere affidate a un organismo esterno. Io non condivido tale approccio, poiché credo che le leggi del mercato interno dovrebbero essere responsabilità dei funzionari della Commissione nell’ambito della disciplina di un’efficace formulazione delle politiche. Comunque, la commissione per il mercato interno insiste che tutte le proposte legislative siano accompagnate da una valutazione d’impatto di qualità, da una sintesi e da una lista di controllo in termini di migliore regolamentazione sulle proposte relative al mercato interno.
Naturalmente la regolamentazione alternativa è oggetto di molto scetticismo. Sebbene l’accordo interistituzionale preveda questa opzione non legislativa, noi insistiamo riguardo alle leggi sul mercato interno affinché il Parlamento sia informato e consultato su tali approcci alternativi, giustificati da valutazioni di impatto. Ugualmente, dobbiamo avere una compensazione per il consumatore e sanzioni nel caso in cui questi regolamenti alternativi non apportino benefici per il consumatore nel mercato interno.
Voglio sottolineare il lavoro della commissione per il mercato interno come parte attiva nel processo di miglioramento della regolamentazione. So che spesso i Commissari dicono che il Parlamento non prende sul serio il suo ruolo. La nostra è stata la prima commissione parlamentare a richiedere una propria valutazione d’impatto, sotto la presidenza dell’onorevole Whitehead, per gli emendamenti alla relazione Toubon sulle quantità nominali per i prodotti preconfezionati. Sulla proposta relativa alla pirotecnica stiamo conducendo una valutazione d’impatto sugli emendamenti proposti dal nostro relatore. Esamineremo un’analisi dei costi e dei benefici dei suoi emendamenti a tale proposta. Stiamo conducendo un’audizione sull’impatto delle leggi in materia di appalti pubblici sul mercato interno. I pubblici appalti incidono nell’Unione europea per il 16 per cento del PIL, eppure il pacchetto di leggi del 1992, come dimostrato in una serie di cause della Corte di giustizia, non ha realizzato l’apertura del mercato desiderata.
Siamo chiari. Sono i consumatori, i cittadini e le imprese a farne le spese quando le leggi non sono efficaci. Una formulazione inadeguata conduce all’incertezza giuridica, a un recepimento lacunoso o incoerente e la conseguenza di tutto questo è che un uomo d’affari o un consumatore confuso perdono fiducia nel mercato interno. La Corte di giustizia, dopo anni di riflessione, diventa l’arbitro della migliore legislazione. Questo non è il modo corretto di procedere.
Voglio infine citare i casi di SOLVIT, che considero un’iniziativa eccellente della Commissione. Un medico qualificato aveva tentato per anni di registrarsi come medico in Spagna e aveva sostenuto ingenti spese legali, perdendo la fiducia nel mercato interno. Tuttavia, è intervenuto il sistema SOLVIT, che lo aiutò in dieci settimane a ottenere la registrazione come medico in Spagna. Il professionista ha dichiarato: “SOLVIT ha riconquistato la mia fiducia nel mercato interno”.
Quindi, la realtà è che la chiave per ripristinare la fiducia nel mercato interno è costituita da leggi valide, ben formulate, facili da attuare, facili da applicare e da controllare. Spero che la discussione odierna sia l’inizio di un processo di stretta cooperazione, con la condivisione delle migliori prassi tra le Istituzioni, in una collaborazione tra pari, per costruire e ripristinare la fiducia che quel medico ci chiedeva di realizzare per lui come consumatore nel mercato interno.
(Applausi)
Klaus-Heiner Lehne (PPE-DE), in sostituzione del relatore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei soffermarmi su tre aspetti, a cominciare dalla questione della semplificazione. Senza dubbio il Parlamento appoggia, in linea di principio, la Commissione nei suoi sforzi volti a semplificare il processo legislativo, ma voglio anche affermare chiaramente che qui, come in molti altri casi, non dobbiamo cadere nella trappola dei dettagli, e dobbiamo guardarci bene dal buttare il bambino con l’acqua sporca.
Permettetemi di fare un esempio. Esaminando questo documento della Commissione, ad esempio, vedo che si vuole semplificare l’intero corpus del diritto commerciale e societario; ora, quale uno dei relatori permanenti della commissione giuridica su questo settore, so che gran parte delle direttive e dei regolamenti che abbiamo emanato in materia è stata il risultato di negoziati e compromessi estremamente complessi e che, in qualsiasi proposta di semplificazione, c’è il rischio insito che si scoperchi il vaso di Pandora e che i compromessi cui siamo giunti dopo tanti sforzi vengano rimessi in discussione. Questo significa che la semplificazione è uno strumento che va trattato con grande cura.
Per tale ragione credo che sia assolutamente consigliabile dedicare una riflessione, sia nel momento della semplificazione sia nel momento della codifica, alla possibilità che le tre Istituzioni adottino un accordo interistituzionale che affermi in termini chiari come procedere alla semplificazione del diritto.
Un secondo punto su cui vorrei riflettesse la Commissione è la questione delle priorità che le proposte di semplificazione dovrebbero stabilire. Le direttive sono rivolte di consueto alle legislature nazionali piuttosto che al pubblico, e le leggi su cui si devono basare i professionisti sono quelle emanate a livello nazionale. Ne consegue che la semplificazione delle direttive dovrebbe essere soltanto un obiettivo secondario. La Commissione dovrebbe dare la priorità ai regolamenti, per la semplice ragione che i regolamenti sono direttamente applicabili come legge e hanno un effetto diretto sui cittadini che hanno fatto ricorso alla legge.
La seconda questione ha a che fare con la valutazione d’impatto. Voglio ancora una volta far capire che la maggior parte di noi in Parlamento considera indispensabile un elemento indipendente nella valutazione d’impatto delle leggi. In una relazione presentata a dicembre, il Parlamento chiedeva un’agenzia indipendente sul modello americano. Da parte mia, voglio dire chiaramente che per me non si tratta di una conditio sine qua non; è una possibilità di cui possiamo parlare. Considero comunque indispensabile la partecipazione di un elemento esterno indipendente alla valutazione dell’impatto delle leggi. Non è accettabile che i funzionari che presentano le proposte siano anche contemporaneamente i responsabili della valutazione d’impatto di quelle stesse proposte, perché la conseguenza è che la valutazione d’impatto diviene nulla di più e nulla di meno che una parte della giustificazione, e non è quello che noi vogliamo. Per tale ragione, credo che dobbiamo delineare qualcosa di ragionevole con la Commissione riguardo a questo problema.
Dal dicembre 2003 è in vigore un accordo interistituzionale, in base al quale la Commissione è in linea di principio responsabile per la valutazione d’impatto. Questo significa anche, tuttavia, che sta esercitando una responsabilità con e a nome della legislatura, vale a dire per il Parlamento e il Consiglio, e quindi riteniamo che anche il Parlamento dovrebbe avere – e ha – il diritto di essere consultato su come è eseguita questa valutazione d’impatto.
Potrei aggiungere che questa è altresì la ragione per cui noi, nella Conferenza dei presidenti, abbiamo rinviato inizialmente l’adozione di una risoluzione sugli accordi amministrativi sul follow-up, poiché, ovviamente, devono essere rinegoziati, anche alla luce delle risoluzioni che adotteremo a maggio su queste quattro relazioni.
Desidero dire qualcosa anche su una questione molto attuale. Il 16 marzo, l’avvocato generale Sharpston ha espresso un parere nella causa della Spagna contro il Consiglio, nelle cui conclusioni fa esplicito riferimento alla valutazione d’impatto, affermando che l’assenza di una valutazione d’impatto adeguata è un’indicazione che l’atto legale è stato adottato arbitrariamente, e ciò dimostra e conferma il crescente interesse della Corte di giustizia per tale questione.
Facendo seguito a ciò che ha detto l’onorevole Doorn sull’argomento, penso che sia cruciale che anche le decisioni prese tramite la comitatologia debbano essere sottoposte a una valutazione d’impatto. Vi è tutta una serie di casi che potremmo prendere a esempio, in cui la vera follia burocratica sta nelle decisioni di comitatologia piuttosto che nella legislazione stessa, e quindi, anche qui, occorre un monitoraggio adeguato dell’impatto della legislazione.
Come ultimo punto, passo alla terza questione, quella della stakeholder consultation, vale a dire il processo nel quale sono ascoltate le parti interessate. Nel preparare la legislazione, la Commissione si basa ormai in misura considerevole su organizzazioni e associazioni in tutta Europa. Non ho niente contro i gruppi d’interesse europei, ma i processi attraverso i quali giungono alle decisioni è talvolta più complesso rispetto a quanto avviene nel Consiglio dei ministri, e ciò che ne emerge è spesso un consenso che dà luogo a un concentrato di sciocchezze. Credo che abbiamo bisogno di dare altre forme al meccanismo consultivo al fine di ottenere direttamente le informazioni da quelle parti interessate che stanno svolgendo il loro lavoro e devono quindi affrontare questi problemi. Quindi, ad esempio, il meccanismo consultivo che abbiamo creato attraverso la rete attualmente impegnata nello sviluppo del diritto contrattuale europeo, con cui abbiamo definito una categoria ristretta di persone da consultare, potrebbe essere un buon esempio di come migliorare questi meccanismi.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, sono lieto di avere oggi l’occasione di discutere con voi un argomento di grande importanza per l’Europa. So dai miei contatti molto stretti con i cittadini in questi ultimi mesi che il tema di “Legiferare meglio”, insieme a tutto quello che vi è associato – forse non tanto come slogan, dato che molti di essi non sanno cosa significa, quanto come principio – costituisce uno dei temi di maggiore interesse.
Come sapete, il programma della Commissione per quest’anno è giustamente all’insegna del “dispiegare il pieno potenziale dell’Europa”. Il Consiglio è convinto che legiferare meglio sarà cruciale per rendere possibile la realizzazione di questo obiettivo. La nostra intenzione è che la legislazione sostenga il cittadino piuttosto che ostacolarlo, e lo stesso vale – come ha detto l’onorevole McCarthy – per il consumatore, e soprattutto per le imprese: troppo poco infatti è stato fatto in particolare per promuovere il dinamismo e la creatività delle piccole e medie imprese. Di recente il Consiglio europeo ha indicato il suo desiderio di promuovere le piccole e medie imprese e ha impresso un impulso in tale direzione. Certi studi ci hanno mostrato che l’onere amministrativo per le imprese e i singoli cittadini equivale a un valore compreso tra il 2 e il 5 per cento del PIL europeo, ed è quindi nostra intenzione determinare un aumento significativo della competitività valutando l’impatto dell’onere amministrativo, della semplificazione e di una sua riduzione.
Di recente l’espressione “migliore regolamentazione” è stata ricorrente, e sono senza dubbio d’accordo con l’onorevole Lehne quando dice che non dobbiamo buttare il bambino con l’acqua sporca e che questa espressione viene usata molto spesso in modo assai indefinito e svalutativo, in quanto non è sempre chiaro il significato che le si attribuisce. Posso dire a nome del Consiglio che oggi l’impegno del Parlamento europeo per questo problema in ben quattro relazioni è molto apprezzabile.
La Presidenza del Consiglio continua a considerare l’accordo interistituzionale su “Legiferare meglio”, cui si è già fatto riferimento oggi, il quadro per la nostra cooperazione. Intendiamo collaborare con la futura Presidenza finlandese, con la Commissione e, ovviamente, con il Parlamento, per far avanzare ulteriormente l’agenda per la riforma del quadro normativo.
Permettetemi ora di discutere in modo più particolareggiato alcune delle aree significative in questo contesto.
Comincerò con la semplificazione. La semplificazione dei regolamenti dell’Unione europea ha un effetto tangibile sulle imprese e sui cittadini e per tale ragione sarà particolarmente efficace se ci consentirà anche di acquisire maggiore credibilità. L’iniziativa di verifica del Commissario Verheugen, gli attuali piani per la semplificazione settoriale e gli ulteriori sforzi di semplificazione orizzontale ci pongono sulla strada giusta. Sono anche molto colpito dalla presenza del Presidente e del Vicepresidente oggi in quest’Aula e dalla loro partecipazione alla discussione in oggetto, poiché dobbiamo incoraggiare ulteriori progressi in questa direzione, ed è proprio ciò che stanno facendo il Consiglio e la Commissione adoperandosi per avvicinare l’Europa ai cittadini. Come sapete, la Presidenza austriaca ha preso come parola d’ordine l’obiettivo di riavvicinare l’Europa ai cittadini, e queste iniziative, comprese quelle della Commissione, danno un contributo sostanziale alla sua realizzazione. Aiutano anche l’Europa a realizzare gli obiettivi di Lisbona. La Presidenza del Consiglio è lieta di vedere che la Commissione non solo sta perseguendo la semplificazione della legislazione esistente mediante un generale riordino dell’acquis, ma sta anche progettando di includere in questo processo il risultato degli sforzi del Consiglio in questo campo.
Insieme con la futura Presidenza finlandese e la Commissione, stiamo lavorando per conseguire migliori metodi di lavoro per la semplificazione e per massimizzare l’efficienza della cooperazione tra Consiglio, Commissione e Parlamento, ed è quindi altresì utile che la Commissione informi il Consiglio, a scadenza annuale, in merito al suo programma di semplificazione. Proponiamo anche che i dossier relativi alla semplificazione siano inseriti tra i punti principali delle nostre agende, e che il Consiglio e il Parlamento si sforzino, ove possibile, di adottarli in prima lettura.
L’onere amministrativo – cui si è già accennato – sulle persone interessate è, com’è ovvio, direttamente misurabile e le colpisce direttamente. Abbiamo bisogno di strumenti a livello europeo proprio a tale scopo. Tali strumenti esistono; dobbiamo soltanto usarli. La Presidenza del Consiglio sta attualmente elaborando un documento sulla prescrizione di obiettivi quantitativi in quest’area.
In terzo luogo, vorrei passare al tema della scelta degli strumenti giuridici, poiché, malgrado i nostri sforzi per migliorare il processo legislativo, esistono numerosi aspetti importanti che non dobbiamo perdere di vista, fra i quali il principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità, facendo in modo allo stesso tempo che l’acquis comunitario rimanga intatto. Non vogliamo vedere meno Europa, ma una Europa migliore.
I principi di sussidiarietà e di proporzionalità sono orientamenti fondamentali per l’azione delle istituzioni nell’esercizio delle competenze comunitarie e quindi sono parte integrante del legiferare meglio.
La sussidiarietà e la proporzionalità svolgono anche un ruolo centrale nella scelta degli strumenti giuridici. Nell’eseguire le valutazioni d’impatto, devono essere esaminate molte possibilità di azione, una delle quali deve essere la scelta di intervenire a un livello più basso dell’Unione europea.
Al contrario, tuttavia, nell’interesse della chiarezza giuridica e del buon funzionamento del mercato interno sono più utili i regolamenti delle direttive, e anche questo è già stato accennato oggi. Nel complesso, è di cruciale importanza che, in ogni singolo caso, si scelga lo strumento che meglio permetta all’Europa di conseguire gli obiettivi del regolamento e quindi, in pratica, vi è uno stretto nesso tra valutazioni d’impatto, che sono di considerevole valore dal punto di vista qualitativo, e l’applicazione effettiva della sussidiarietà e della proporzionalità.
Sia il Consiglio che il Parlamento sono già obbligati dall’accordo interistituzionale a fare ricorso in ampia misura alle valutazioni d’impatto della Commissione nel processo decisionale. Queste valutazioni d’impatto dell’Esecutivo possono quindi anche fungere da base per una discussione attiva dei principi di sussidiarietà e proporzionalità. Vorrei cogliere quest’occasione per ribadire che, per approfondire questa discussione, intendiamo organizzare il 18 e 19 aprile in Austria una conferenza sulla sussidiarietà, che, auspichiamo, offrirà a quest’Assemblea l’opportunità di fornire preziosi contributi.
Come è stato sottolineato in generale oggi, le valutazioni d‘impatto devono essere prodotte conformemente ai più alti standard di qualità e devono essere usate davvero nel processo negoziale; la Presidenza austriaca del Consiglio produrrà quello che potrebbe essere definito un manuale per i presidenti dei gruppi di lavoro del Consiglio dal titolo “How to Handle Impact Assessments in Council”, ossia un documento sulla gestione delle valutazioni d’impatto nel Consiglio.
Vogliamo anche incoraggiare una maggiore cooperazione tra le Istituzioni, in particolare riguardo alla valutazione d’impatto di importanti emendamenti proposti dal Consiglio e nel costante rispetto in tutte e tre le Istituzioni del modus operandi convenuto e, con questo obiettivo in mente, aspettiamo con impazienza e con grande interesse la revisione della valutazione d’impatto della Commissione, annunciata per questa primavera.
In generale, la Presidenza condivide il parere del Parlamento secondo cui valutazioni d’impatto di elevata qualità sono componenti essenziali di un migliore quadro normativo.
Un altro punto al quale è stato fatto riferimento è il coinvolgimento di coloro che sono definiti “parti interessate” nei processi di consultazione, che è vitale se ci deve essere maggiore trasparenza. Le parti interessate devono essere pienamente informate sulle scelte per la consultazione, si deve tenere conto dei loro pareri quando vengono formulate le politiche e devono anche ricevere un adeguato feedback.
Vorrei concludere aggiungendo qualche parola sulla trasparenza. Se vogliamo che l’opinione pubblica accetti le decisioni che prendiamo, è importante non solo che le leggi che emaniamo siano comprensibili e semplici, ma anche che spieghiamo meglio in che modo giungiamo a tali decisioni. Il processo decisionale deve essere il più possibile trasparente per i cittadini. Il nostro Cancelliere federale lo ha detto quando ha presentato il programma del Consiglio austriaco, ed è un punto che ho sottolineato in molte occasioni. La Presidenza del Consiglio austriaca attribuisce grande importanza al progresso costante in termini di trasparenza. I primi passi sono stati compiuti con le risoluzioni adottate lo scorso dicembre, sulla base delle quali ora stiamo tentando di dare espressione pratica a questa intenzione e, ove possibile, di evidenziare altri modi in cui conseguire una maggiore trasparenza.
Come ho detto all’inizio, “Legiferare meglio” è un progetto di rilevanza pubblica, che ci riguarda tutti. Se sarà portato a termine con successo, saremo riusciti, insieme, ad aggiungere un reale valore e a dimostrare ancora una volta ai cittadini i benefici dell’Unione europea.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, la legislazione europea è il cardine di tutto ciò che rende speciale l’Unione europea. La nostra è infatti una Comunità basata sullo Stato di diritto. Senza il diritto, dovremmo dipendere da negoziati continui, da rapporti di forza tra gli Stati membri o dalla disponibilità, soltanto teorica, alla cooperazione e alla buona volontà. Non vogliamo una Comunità basata sull’arbitrarietà o sulla discrezionalità. Vogliamo una Comunità di diritto. E’ il diritto che può garantire le libertà di cui oggi godono i cittadini europei.
Credo che sia un punto di principio importante e mi permetto un’osservazione personale. Tre giorni fa, all’Istituto universitario europeo di Firenze, ho tenuto una conferenza, la conferenza Jean Monnet, dedicata proprio alla mia concezione del diritto nell’Unione europea. Ritengo che sia più che mai necessario riaffermare questi principi di una Comunità basata sul diritto che è la nostra Comunità. E’ questo che la distingue da altre esperienze a livello internazionale.
Legiferiamo per numerose ragioni: per esempio, per proteggere la salute garantendo la sicurezza alimentare, per proteggere l’ambiente fissando norme di qualità dell’aria e dell’acqua, per stabilire regole destinate alle imprese che operano nel mercato interno, in modo che possano competere su un piano di parità, evitando qualsiasi discriminazione.
Legiferiamo a livello dell’Unione europea perché gli Stati membri hanno concordato che certe misure debbano essere determinate a livello comunitario. Concretamente, si tratta di sostituire 25 regole nazionali con un’unica regola, applicabile in tutta l’Unione. Pertanto, dobbiamo far sì che la legislazione e le normative europee apportino un valore aggiunto: devono essere mirate, rispettare i principi di sussidiarietà ed essere attuate correttamente, pur essendo proporzionate ai bisogni ai quali rispondono. Le disposizioni adottate non devono essere eccessive né devono andare al di là dello stretto necessario. Bisogna evitare le regole troppo prescrittive, che comportano spese ingiustificate o che possono rivelarsi controproducenti.
Dobbiamo anche eliminare gli effetti cumulativi di regole che, col tempo, finiscono con il sovrapporsi, il che è pregiudizievole per le imprese, il settore associativo, i poteri pubblici e i cittadini.
Permettetemi quindi di congratularmi con il Parlamento europeo per aver preso l’eccellente iniziativa della discussione odierna sul tema “Legiferare meglio”, che ci dà l’opportunità di sottoporre la questione a un esame coerente. Ci tengo a ringraziare gli onorevoli Frassoni, Doorn, McCarthy e Gargani, qui sostituito dall’onorevole Lehne, per l’ottimo lavoro e per le relazioni elaborate.
Per valutare veramente la qualità delle nostre iniziative legislative, abbiamo bisogno di un insieme di misure e di un forte principio guida. Questo emerge chiaramente dalle varie relazioni, che offrono, a mio parere, una base solida per il nostro scambio di vedute odierno. Queste relazioni e la nostra reazione ad esse dimostrano che le nostre due Istituzioni hanno percorso molta strada in questi ultimi anni. La necessità di legiferare meglio e di formulare regole migliori è oggetto di un reale consenso. La nostra attività legislativa è un processo continuo. Dobbiamo collaborare affinché le nostre scelte politiche, qualunque esse siano, si traducano in una legislazione della massima qualità. A tale proposito, vorrei congratularmi anche con la Presidenza austriaca per tutte le iniziative che ha adottato a questo riguardo.
Come vediamo questa sfida? Lo riconosciamo: dobbiamo ancora migliorare tutte le fasi del ciclo, vale a dire dagli atti già adottati alle nuove iniziative, passando dalle proposte in corso di negoziato. Per questa ragione la Commissione ha lanciato un vasto dispositivo per legiferare meglio, che coniuga diverse misure: un sistema per valutare l’impatto delle proposte importanti della Commissione; un programma di semplificazione della legislazione in vigore e di ritiro di un certo numero di proposte della Commissione all’esame del Parlamento e del Consiglio; il ricorso più frequente a mezzi di risoluzione dei problemi alternativi alla legislazione convenzionale, per esempio l’autoregolamentazione delle parti interessate o la coregolamentazione ad opera del legislatore. Tutte queste misure stanno dando oggi risultati tangibili.
(EN) Passiamo ora alla valutazione l’impatto. Dal 2003 la Commissione ha creato un sistema per esaminare l’impatto economico, sociale e ambientale di tutte le sue principali proposte. Dopo l’adozione di un approccio integrato, sono state pubblicate 120 valutazioni d’impatto. Abbiamo anche aggiornato i nostri orientamenti per aiutare il personale a esaminare meglio le opzioni e gli impatti, anche sulla competitività, e a concentrare l’attenzione su fattori come il costo dell’eccessiva burocrazia. Questo riflette un cambiamento marcato e profondo dell’approccio e dell’atteggiamento. Ritengo che si tratti di un reale progresso. Sappiamo che a oggi le valutazioni non soddisfano tutte gli stessi standard. Sappiamo che c’è spazio per un miglioramento. Riconosciamo, come indicato nella relazione dell’onorevole Doorn a nome della commissione giuridica, che la qualità può essere migliorata e che i meccanismi di controllo della qualità devono essere rafforzati.
Sottoscrivo pienamente la necessità di un controllo separato delle valutazioni d’impatto; una sorta di principio dei “quattro occhi”. Stiamo lavorando su un approccio globale. Dobbiamo in primo luogo fare in modo che le nostre valutazioni d’impatto siano organizzate nel modo corretto. Come promesso nel marzo 2005, stiamo creando una rete di esperti tecnici e scientifici con il compito di aiutarci a sviluppare metodi atti a garantire valutazioni d’impatto complete e di elevata qualità. E’ anche in corso una valutazione esterna del sistema, per individuare dove stiamo operando bene e dove dobbiamo fare meglio. Inoltre, gli autori delle valutazioni d’impatto hanno bisogno di un feedback per sapere se hanno svolto un buon lavoro. Perciò la consultazione è parte integrante del processo di valutazione dell’impatto e tutte le valutazioni d’impatto della Commissione si trovano sul sito web Europa.
Per quanto riguarda il controllo della qualità delle singole valutazioni, sono d’accordo che un controllo indipendente dovrebbe essere eseguito a prescindere dai servizi che propongono la legislazione. La migliore garanzia di imparzialità, mi permetto di suggerire, è mettere tale controllo sotto l’autorità del Presidente della Commissione. Ho chiesto al Segretario generale della Commissione di esaminare il metodo migliore per innalzare il livello del nostro supporto e controllo della qualità.
Consentitemi comunque di sottolineare che dobbiamo impostare una collaborazione molto più stretta con voi sulla valutazione d’impatto. Accolgo con favore il recente accordo sull’approccio comune alla valutazione d’impatto. Questo insieme di regole per la gestione della valutazione d’impatto nelle tre Istituzioni costituisce un importante passo avanti, che faciliterà la nostra collaborazione ed eviterà la duplicazione degli sforzi.
Per passare alla semplificazione, siamo partiti bene. Il programma d’azione che abbiamo adottato l’anno scorso stabilisce l’abrogazione, la codificazione, la rielaborazione o la modifica di circa 220 leggi che coprono un ampio spettro di politiche. Il programma, già in corso nel settore automobilistico, nel settore dei rifiuti e nell’edilizia, sarà revisionato e aggiornato in consultazione con le parti interessate. Seguiranno altri settori, come quello alimentare, cosmetico, farmaceutico e dei servizi. Ci occorre il vostro contributo per determinare gli obiettivi corretti e per garantire i migliori risultati.
Abbiamo bisogno che il Consiglio e il Parlamento accelerino l’adozione delle proposte di semplificazione. La mia interpretazione riguardo alle vostre relazioni è che siamo fondamentalmente d’accordo su ciò che stiamo tentando di realizzare. Ora dobbiamo metterci al lavoro, guardare alla sostanza e conseguire i risultati.
Stiamo anche affrontando gli oneri amministrativi, che sono particolarmente gravosi per le piccole imprese. Questo significa semplificare i moduli e modernizzare il codice doganale per favorire lo scambio elettronico di informazioni. Stiamo introducendo la misurazione dei costi amministrativi nelle nostre valutazioni d’impatto. E’ essenziale che il Consiglio e il Parlamento prestino attenzione all’onere burocratico quando propongono emendamenti.
Dobbiamo anche esaminare approcci nuovi alla regolamentazione, prendendo in esame la coregolamentazione e l’autoregolamentazione come possibile alternativa. Possiamo collaborare più strettamente con l’industria, per esempio, per conseguire risultati su base volontaria.
Capisco molto bene le vostre preoccupazioni di non essere coinvolti da vicino nella preparazione degli approcci non legislativi. Dove tali approcci sembrano il percorso migliore, riconosco pienamente la necessità di trovare modalità atte a coinvolgere il Parlamento nella loro elaborazione e attuazione.
Infine, vorrei dire qualche parola sull’attuazione della legislazione. Questa è una priorità alta per la Commissione. Vi chiedo di prendere visione delle conclusioni della nostra riunione collegiale di oggi. Abbiamo analizzato 2055 casi di violazioni. Quella è stata la decisione della Commissione oggi. Talvolta le decisioni sono molto difficili e ci aspettiamo la reazione di qualche Stato membro. Spero che sosterrete il forte impegno di questa Commissione per l’attuazione e l’applicazione del diritto comunitario.
Le nostre leggi devono essere applicate e attuate correttamente, altrimenti i nostri sforzi di decisori e di legislatori sono vani. Con la maturazione di un numero sempre maggiore di settori delle politiche, dovremmo assistere a una svolta dell’attenzione politica e delle risorse verso l’attuazione. Di fatto è una grande priorità per questa Commissione. L’intero programma di miglioramento della regolamentazione – compresa l’attuazione – è divenuto il fiore all’occhiello dell’attuale Commissione. Sono personalmente impegnato a favore di tale programma, così come il Vicepresidente Verheugen e l’intero collegio. Come Commissione dobbiamo gestire i procedimenti di infrazione in modo efficiente. Sono consapevole della necessità di ridurre le tempistiche delle singole procedure di infrazione. Abbiamo bisogno di modalità più rapide per rispondere ai problemi incontrati dai cittadini nel mondo economico. Dovremmo esaminare congiuntamente queste vaste questioni relative all’attuazione ed esplorare modi costruttivi per affrontarle. Quest’anno la Commissione ritornerà dinanzi al Parlamento con specifiche proposte.
Ritengo che le relazioni discusse oggi mostrino un’analisi condivisa di cosa c’è da fare. Abbiamo gettato le basi e ora dobbiamo mantenere il nostro impegno. Sono convinto che se lavoriamo insieme possiamo dimostrare che l’Europa non significa burocrazia e oneri inutili, ma offrire ai cittadini ciò di cui hanno bisogno nel modo corretto. Io credo che collaborando rafforzeremo una Comunità basata sui principi del diritto.
(Applausi)
Ieke van den Burg (PSE), relatore per parere della commissione per i problemi economici e monetari. – (NL) Concordo pienamente riguardo a quanto affermato dal Presidente Barroso nella seconda parte del suo intervento. A nome della commissione per i problemi economici e monetari, ho elaborato un parere sulla relazione dell’onorevole Doorn. Desidero congratularmi con lui e anche ringraziarlo per aver incluso, praticamente nella loro interezza, i vari paragrafi che nella commissione per i problemi economici e monetari avevamo incorporato nel nostro parere, sulla base della nostra esperienza.
Sono d’accordo anche su quello che ha detto il Presidente in carica del Consiglio Winkler e rispondo aggiungendo una sfumatura lievemente diversa, ossia che migliorare la regolamentazione non sempre significa meno regole e normative, né deregolamentazione, ma piuttosto una regolamentazione più efficace mirata principalmente all’effetto e al risultato finale. Questo ciclo di preparazione, consultazione, formulazione delle regole, valutazione d’impatto e in seguito attuazione e applicazione è stato menzionato da varie persone. Nel nostro parere, ho sostenuto che, di fatto, dovremmo cominciare facendo un passo indietro e analizzare il processo da quel punto di vista. Come possiamo rendere il processo efficace e, su tale base, quali regole dobbiamo formulare?
Un cattivo esempio di come ciò non sia stato fatto, di come non si sia riflettuto su questo punto e di come si sia tralasciata la dimensione concreta in fase di preparazione è la direttiva sui servizi che abbiamo appena discusso nella sua forma originale. Fortunatamente ora questa direttiva è stata modificata dal Parlamento.
Vorrei anche menzionare qualche esempio positivo della stessa Direzione generale responsabile del mercato interno. In particolare nel settore della prestazione finanziaria di servizi, è stata sviluppata in tale Direzione generale ed è stata proposta dal comitato di esperti Lamfalussy una prassi, denominata procedura Lamfalussy. In questo quadro, sono coloro che usano le norme e i regolamenti nella pratica, vale a dire i supervisori, gli operatori economici, i consumatori e gli utenti coinvolti nel processo, che dovrebbero avere più voce in capitolo per quanto riguarda il contenuto di tali norme. Abbiamo usato questo esempio anche da mostrare ad altri, ed è un punto che vorremmo affermare ancora una volta chiaramente in questa discussione. Benché abbiamo qualche difficoltà con l’avocazione e la responsabilità del Parlamento nelle vesti di colegislatore di poter controllare ciò che alla fine viene prodotto, il processo come tale ha tutto il nostro appoggio.
Pervenche Berès (PSE), relatore per parere della commissione per i problemi economici e monetari. – (FR) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signori Commissari, questa discussione è essenziale. In fin dei conti, riguarda il diritto di iniziativa della Commissione in materia legislativa. Che si tratti di migliore regolamentazione o di legiferare meglio, ciò che importa è il modo in cui si prende l’iniziativa per la legge. Se nei Trattati è concesso alla Commissione il diritto di iniziativa, è perché deve rappresentare l’interesse generale. Deve dimostrare questa capacità di non essere semplicemente una cassa di risonanza delle varie imprese interessate, ma di rappresentare tutti coloro che non necessariamente possono organizzarsi. In questo senso, credo che siamo tutti convinti del fatto che una migliore regolamentazione è senza dubbio importante per il mondo economico, ma che talvolta deve anche tradursi in più legislazione. E’ quel che le ha detto molto chiaramente il Parlamento, Presidente Barroso, quando la sua Commissione ha suggerito di ritirare 68 proposte di testi e quando, molto chiaramente, riguardo alle società di mutuo soccorso, abbiamo espresso la necessità di una legislazione.
A nome della commissione per i problemi economici e monetari, ho formulato un parere sulla relazione dell’onorevole Gargani, che riguarda la semplificazione della legislazione e, a questo proposito, desidero formulare tre osservazioni.
In primo luogo, dobbiamo fare attenzione che in questo campo, ogni questione tecnica nasconde chiaramente la questione politica del contenuto: che cosa stiamo semplificando? Quale acquis comunitario stiamo elaborando dietro la semplificazione?
In secondo luogo, alcuni talvolta credono che migliore regolamentazione sia sinonimo di autoregolamentazione. In seno alla commissione per i problemi economici e monetari, con l’esempio dei principi contabili, abbiamo l’esempio perfetto di una situazione in cui, in assenza di un controllo democratico molto preciso, emergono talvolta derive pericolose.
Per finire, la ricerca di semplificazione deve anche condurre all’attuazione di una legislazione meglio formulata, in cui il Parlamento definisce i principi e il resto è rinviato alla comitatologia. Come sapete, sosteniamo pienamente tale approccio, dal momento che si fonda su un accordo di comitatologia che riconosce pienamente i diritti in materia del colegislatore, cioè del Parlamento europeo.
Eoin Ryan (UEN), relatore per parere della commissione per i problemi economici e monetari. – (EN) Signora Presidente, gli Stati membri che sostengono il protezionismo come opzione politica positiva lo mascherano da patriottismo o hanno paura non di ciò che l’Europa potrebbe diventare, ma di ciò che già è: un’economia basata sul libero scambio e sulla concorrenza. Come membro della commissione per i problemi economici e monetari e relatore del parere sul tema “Legiferare meglio”, sono assolutamente convinto che un aumento della concorrenza mediante una riforma della regolamentazione sia lo stimolo che occorre all’Europa per migliorare la sua produttività.
Considero essenziale che tutte le future valutazioni d’impatto in ambito legislativo tengano conto dell’intensificarsi della concorrenza globale. Inoltre, se vogliamo che l’Unione europea divenga più responsabile e risponda con maggiore flessibilità alla corrente globale del cambiamento del mercato, propongo alla Commissione che in tutta la nuova legislazione sia introdotta una clausola di revisione. E’ altresì fondamentale che, nel contesto di “legiferare meglio”, vengano prese in considerazione alternative alla legislazione. Occorre esaminare misure come migliori livelli di consultazione e meccanismi volti ad accelerare la risoluzione di controversie.
L’obiettivo primario di tutta la legislazione dovrebbe essere quello di consentire al mercato interno di funzionare senza che le frontiere rappresentino un ostacolo per la crescita delle industrie. Dobbiamo quindi cogliere le occasioni presentate da sostanziali economie di scala tramite fusioni e acquisizioni. Sono impaziente che la Commissione compia passi concreti per ridurre il costo che grava sulle imprese per conformarsi a 25 regimi nazionali diversi. Accolgo con favore l’attuazione del piano d’azione per i servizi finanziari. Comunque, agli Stati membri non dovrebbe essere permesso di diventare compiacenti nell’attuazione di queste 42 direttive. Se l’impegno manca, occorre mettere in atto misure di esecuzione.
Occorre migliorare la coerenza e il tasso di attuazione se vogliamo realisticamente conseguire gli obiettivi di Lisbona e far fronte alle sfide della globalizzazione. La gente deve comprendere che la globalizzazione è qui ed è destinata a continuare. E’ politicamente ed economicamente inaccettabile che alcuni Stati membri cerchino di tornare a politiche protezionistiche. Le imprese irlandesi e altre imprese europee stanno cercando di realizzare il mercato unico e di affrontare le sfide della globalizzazione, e i governi che promuovono il protezionismo non devono ostacolarle.
Mihael Brejc (PPE-DE), relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. – (SL) Appoggio gli sforzi della Commissione e di tutti gli altri mirati a legiferare meglio e a una migliore formulazione della legislazione dell’Unione europea, tuttavia nel contempo mi rammarico che il Trattato costituzionale non sia stato adottato. Me ne rammarico in particolare perché nel Trattato costituzionale abbiamo elaborato un ottimo quadro normativo trasparente, che ci offre un’altra occasione per accelerare il processo di ratificazione dello stesso Trattato costituzionale.
Oggi, il Presidente Barroso ha menzionato settori che richiedono un’ulteriore revisione. A tale elenco dovrebbe aggiungere il terrorismo. Nel campo del terrorismo, abbiamo già adottato 58 regolamenti, direttive e così via – 27 dei quali in fase di progetto e circa 15 ancora attesi. In poche parole, il nostro sistema normativo per combattere il terrorismo manca del tutto di trasparenza: io non sono in grado di venirne a capo e spero che neanche i terroristi siano in grado di orientarsi in tutta questa confusione.
L’Europa soffre di almeno due forme di idealismo. Il primo è l’idealismo normativo: se un determinato settore non è regolamentato, pensiamo che una maggiore regolamentazione risolverà il problema. La conseguenza è che si permette alla normativa di espandersi al di fuori di ogni proporzione. Il secondo è l’idealismo organizzativo: se pensiamo che un settore debba essere regolamentato meglio, creiamo un’istituzione. L’ultima che abbiamo introdotto è un’istituzione per le pari opportunità, e in precedenza un’istituzione per i diritti umani. Come se fossero una garanzia di una maggiore e migliore regolamentazione.
Queste sono illusioni che non si realizzeranno mai, perciò la Commissione farebbe meglio a esaminare come questi settori sono regolamentati e, ovviamente, quale impatto hanno sui cittadini. La gente si sta chiedendo se sia veramente necessario avere una tale quantità di legislazione, un numero così elevato di istituzioni e così via. Inoltre, non credo che la Commissione abbia bisogno di istituzioni nuove per soprintendere agli atti legislativi e alla revisione delle relative proposte, perché abbiamo un Parlamento che può assolvere perfettamente questo ruolo.
Infine, le Istituzioni europee non otterranno una maggiore stima dell’opinione pubblica con una moltitudine di regolamenti, direttive e via dicendo, ma piuttosto agendo in modo trasparente a vantaggio della popolazione e per rafforzare l’idea dell’Europa.
Marie-Line Reynaud (PSE), relatore per parere della commissione per gli affari costituzionali. – (FR) Signora Presidente, desidero ringraziare l’onorevole Gargani per la chiarezza e l’impegno della sua relazione. Mi compiaccio che una gran parte del mio parere sia stata integrata e che la sua relazione riprenda i miei due obiettivi: innanzi tutto l’accento posto sul fatto che la semplificazione è necessaria ma non deve essere realizzata in qualsiasi modo e, in secondo luogo, l’affermazione della volontà del Parlamento di partecipare pienamente alla strategia di semplificazione. Non possiamo che accogliere con favore qualsiasi iniziativa mirata a rendere il contesto normativo più chiaro e più coerente.
E’ di fatto impossibile continuare a lavorare correttamente con un acquis di oltre 80 000 pagine. In queste condizioni, come possiamo parlare in modo credibile ai cittadini di accessibilità e di trasparenza? Per questo motivo la strategia di semplificazione deve essere sostenuta per principio. Deve permetterci, a lungo termine, di disporre di norme comunitarie e nazionali di più facile applicazione e meno onerose. Questa semplificazione comporta tuttavia anche un certo numero di limiti, se non di pericoli, e dobbiamo quindi essere vigili. La presente relazione precisa in particolare che la semplificazione non deve assumere la forma di un abbassamento delle norme, che esistono problemi legati all’applicazione dell’accordo interistituzionale che disciplina la procedura di rifusione e che è necessario chiarire le regole applicabili onde evitare conflitti di competenza e blocchi procedurali. Il documento afferma anche con chiarezza la volontà del Parlamento di prendere pienamente parte alla strategia di semplificazione e pone l’accento sia sulla necessità di proteggere le prerogative del Parlamento che sulla questione dell’adattamento del suo regolamento. La semplificazione non può realizzarsi infatti al di fuori di ogni controllo democratico e, in particolare, al di fuori del controllo del Parlamento.
Il Parlamento deve inoltre riflettere, nel quadro della semplificazione, sul miglioramento delle proprie procedure e delle tecniche legislative interne. Tale questione sarà oggetto di una relazione specifica che sono incaricata di redigere. Infine, riguardo agli strumenti di regolamentazione alternativi, sono lieta che questa relazione chieda una disciplina rigorosa per il ricorso alla coregolamentazione e all’autoregolamentazione, perché è fondamentale fornire salvaguardie in questo campo.
Diana Wallis (ALDE), relatore per parere della commissione per le petizioni. – (EN) Signora Presidente, direttive e regolamenti costituiscono il corpus legislativo che forse è visto o percepito dai cittadini come il principale risultato delle nostre attività. Il diritto è, per così dire, il nostro prodotto principale. Ma legiferare, soprattutto a livello europeo, è un processo – un lungo processo – non un punto d’arrivo. Questo continuum è rappresentato bene dalle varie relazioni che stiamo discutendo oggi. Ci sono le relazioni Doorn e Frassoni, una su legiferare meglio e sul principio di sussidiarietà, l’altra sul controllo dell’applicazione del diritto comunitario. All’inizio, alla fine e al centro di questo processo dovrebbero esserci i cittadini, per aiutarci a definire l’agenda, esercitare pressioni, informarci quando prendiamo decisioni e controllare il funzionamento dei risultati.
La relazione Doorn si concentra in particolar modo sull’utilizzo delle valutazioni d’impatto. E’ davvero apprezzabile, ma dobbiamo fare attenzione. La valutazione d’impatto non può spostare il processo decisionale politico. Naturalmente abbiamo bisogno di informazioni complete e indipendenti da tutte le parti e su tutti gli aspetti, non solo riguardo agli effetti sulle imprese. Poi come colegislatori possiamo decidere, ma la decisione deve essere nostra, non di esperti né di tecnocrati, di parti interessate o di lobbisti. Dateci tutte le informazioni in maniera equilibrata, poi, nella piena trasparenza, possiamo prendere una decisione politica di cui saremo responsabili. Le valutazioni d’impatto o di re-impatto, in qualsiasi quantità, non dovrebbero sostituire la democrazia.
Passo ora a una delle principali preoccupazioni della commissione per le petizioni. Forse questa è la commissione parlamentare maggiormente in contatto con i cittadini, che si rivolgono a noi quando la legge non funziona. Il lavoro della commissione per le petizioni è aiutare cittadini a evidenziare i problemi di attuazione ed esecuzione del diritto comunitario. Questo lavoro dovrebbe godere di un profilo molto più alto e ricevere un maggiore riconoscimento, soprattutto nella relazione annuale della Commissione. Per l’ennesima volta, la commissione per le petizioni ha sottolineato che le procedure di infrazione della Commissione devono essere più robuste e accogliamo quindi con favore le proposte presentate dall’onorevole Frassoni a tale riguardo. Sono stata altresì soddisfatta di sentire le osservazioni sull’attuazione formulate dal Presidente Barroso.
Abbiamo anche sottolineato il ruolo dei cittadini nel processo di legislazione. Molti di noi vorrebbero che avessero un ruolo nella proposta di leggi, come previsto dall’iniziativa dei cittadini europei nel progetto di Trattato costituzionale; ma purtroppo, probabilmente, questo è argomento per un altro giorno. Potremmo almeno assicurarci che i cittadini capiscano quello che stiamo facendo a nome loro. Sembra esserci un ampio consenso alla proposta di inserire in ogni direttiva e regolamento una prefazione con un sommario non giuridicamente vincolante per i cittadini. In breve, dotiamoci di una legislazione accessibile nella forma, nel modo in cui la formuliamo e nel modo in cui la applichiamo.
Malcolm Harbour, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signora Presidente, voglio esprimere in particolare il mio favore per tutte le relazioni. Come coordinatore della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, rivolgo un elogio particolare all’onorevole McCarthy per l’ottimo lavoro, nonché alla nostra commissione, che ha tenuto un’audizione su questo tema.
Una delle lezioni che dobbiamo imparare da questo progetto – e lo dico al gruppo scelto di colleghi qui presenti – è che una migliore regolamentazione è un compito condiviso per ogni singolo deputato di questo Parlamento, a qualsiasi commissione appartenga. E’ positivo il fatto che stiamo ampliando la discussione, ma sono troppo poche le persone coinvolte.
Il punto principale su cui desidero soffermarmi questa sera, collegato agli emendamenti, approvati in seno alla commissione, che ho presentato alla relazione dell’onorevole McCarthy, è che la migliore regolamentazione è un processo. Sono d’accordo su gran parte di ciò che ha affermato l’onorevole Wallis. Il problema è che il processo è difficile, complesso e sono pochissimi a capirlo. Dobbiamo cercare di spiegarlo e semplificarlo, ma dobbiamo spiegarlo ai nostri stessi collegi elettorali, nonché al di fuori. Quanti in questo Parlamento possono davvero affermare di capire le procedure che ora sono state create all’interno della Commissione per migliorare la qualità della legislazione? Quanti di voi sanno quali sono le proprie responsabilità in virtù del famoso accordo interistituzionale firmato due anni fa proprio in quest’Aula dall’allora Presidente del Parlamento Pat Cox? Io sospetto che se doveste rispondere a un questionario in materia, la maggior parte di voi non avrebbe idea di quali siano tali obblighi.
Certamente, onorevoli colleghi, dovremmo innanzi tutto mettere ordine in casa nostra; ognuno di noi dovrebbe avere tale lista di verifica semplificata. Quando la Commissione ci invia una proposta – e questa è di nuovo una raccomandazione – dovremmo chiedere che con ogni proposta sia acclusa una breve lista di verifica sulle procedure che l’Esecutivo ha già superato e su quelle che affronterà in seguito. Se vi sono documenti e valutazioni d’impatto, ovviamente dovrebbero essere acclusi.
Questo è il tipo di definizione e spiegazione pratica del processo che ci occorre. Se non lo facciamo, i cittadini perderanno la loro fiducia nel processo di miglioramento della legislazione, che invece è vitale per il futuro di tutto il nostro modo di operare qui.
Maria Berger, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signora Presidente, signor Presidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, voglio ringraziare di cuore tutti i relatori e i colleghi che hanno elaborato i pareri, anche per avere accettato di svolgere la discussione congiunta di oggi.
La discussione congiunta ci consente di vedere tutti gli aspetti che dobbiamo discutere oggi sotto i titoli “migliore regolamentazione” o “legiferare meglio”. Devo ammettere che diventa sempre più difficile per me avere una veduta d’insieme del dibattito in questione. Spesso non vi è nulla di visibile dietro alle forme piene di buone intenzioni delle parole che sentiamo e con cui siamo già familiari. Talvolta sospetto anche che questa discussione su “legiferare meglio” abbia lo scopo di distrarci dalle nostre reali funzioni di legislatori e di servire come pretesto per l’inazione da parte di coloro che legiferano per la Comunità o per dare alla migliore regolamentazione il significato di deregolamentazione.
Il tutto è ormai diventato così confuso che si è tentati di definirlo un processo di “migliore regolamentazione del processo di migliore regolamentazione” o una valutazione d’impatto della valutazione d’impatto. Ringrazio i relatori per aver elaborato alcune misure molto definite, benché in mezzo a tutta questa nebbia, e in particolare l’onorevole Frassoni per la sua relazione contenente proposte concrete per migliorare il controllo del processo di attuazione del diritto comunitario, per velocizzare le procedure di infrazione e per offrire maggiore trasparenza ai cittadini che presentano denunce.
Dopo tutto, non è accettabile che i cittadini presentino denunce, né che la Commissione avvii procedimenti di infrazione, per poi vederli improvvisamente bloccati senza che ai cittadini vengano date vere informazioni sui motivi. Questo li pone spesso in una posizione peggiore in casi pendenti a livello nazionale, perciò è necessaria più trasparenza.
Soprattutto, accolgo con favore le proposte elaborate dall’onorevole Doorn, specialmente quelle relative alla valutazione d’impatto. Siamo d’accordo con lui sulla necessità di valutare anche l’impatto degli atti di comitatologia e sull’idea di sottoporre la valutazione d’impatto a una revisione indipendente – cioè indipendente dalla Direzione generale responsabile, ma non necessariamente svolta al di fuori della Commissione. La Commissione ha la sua responsabilità politica e non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi; in questo caso specifico, non ne ha davvero nessuna intenzione.
Non siamo d’accordo, tuttavia, con l’onorevole Doorn sulla questione delle valutazioni d’impatto obbligatorie per gli emendamenti proposti in Parlamento e nel Consiglio. A mio parere non dobbiamo permettere, come legislatori, di essere ostacolati e messi a tacere. Una buona valutazione d’impatto eseguita dalla Commissione renderà anche possibile misurare gli effetti degli emendamenti, e c’è anche a disposizione l’applicazione volontaria della valutazione d’impatto, di cui – come abbiamo sentito – la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori si è già avvalsa, e che dovrebbe essere discussa anche dalle altre commissioni.
Ciò che vale per la migliore regolamentazione vale anche per tutte le altre buone intenzioni e per tutte le buone cose della vita: è inutile, a meno che non si faccia davvero qualcosa al riguardo, anziché limitarsi a parlarne.
Elizabeth Lynne, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, da molti anni sostengo la campagna per “Legiferare meglio”, in particolare in seno alla mia commissione, la commissione per l’occupazione e gli affari sociali. Ci occorre una valutazione d’impatto migliore e più completa e dobbiamo esaminare se sia davvero necessaria una legislazione a livello di Unione europea o se non sia meglio in molti casi lasciarne la competenza agli Stati membri. Se è necessaria, abbiamo bisogno di un’analisi adeguata dei costi e dei benefici delle imprese, anche piccole, e della forza lavoro. Vorrei che le valutazioni d’impatto fossero davvero indipendenti e migliori di ciò che spesso abbiamo al momento: una giustificazione per la necessità di nuova legislazione.
Una volta adottata la legislazione, deve essere attuata in modo equo, come abbiamo detto tutti, in tutti gli Stati membri. Se non la si sta attuando, sarà forse perché è inattuabile? Se è inattuabile, come ha detto la Commissione, abrogatela.
In conclusione, dobbiamo fare in modo che l’accordo interistituzionale su “Legiferare meglio” sia rispettato. In una risposta fornita solo l’altro giorno, la Commissione ha ammesso che si sono compiuti scarsi progressi.
Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto vorrei dire al Presidente Barroso che ciò che è stato deciso oggi sull’energia dimostra che quando volete, potete e quindi noi “vorremmo” che voi “poteste” in un maggior numero di casi, in particolare per i temi della politica ambientale, dei consumatori e della salute; ma questo è un messaggio ovvio.
Ministro Winkler, ho notato con rammarico che lei non ha detto una parola sulla questione dell’applicazione del diritto, sebbene questo tema riguardi soprattutto gli Stati membri. Credo inoltre che sarebbe interessante conoscere il parere del Consiglio rispetto alla possibilità di riaprire i negoziati sull’accordo Better regulations per la parte relativa all’applicazione del diritto, che in precedenza erano miseramente falliti.
Inoltre, per quanto riguarda la questione della valutazione d’impatto, non nascondo le mie preoccupazioni, in quanto questo tema sta diventando una specie di mito, una parola magica che dovrebbe far diventare, di per sé, la legislazione migliore, basandola su fonti scientifiche e neutrali. Personalmente sono scettica rispetto a questo punto e, anzi, sono preoccupata per la portata che questo tema sta assumendo. Innanzitutto perché alcune delle proposte contenute nelle relazioni, in particolare quella dell’onorevole McCarthy, ma non solo, introducono degli elementi di burocrazia veramente complicati da gestire, soprattutto per la Commissione. Questo costituisce un elemento di dubbio che fa dire al mio gruppo che è una fortuna che abbiamo rinviato il voto, perché così avremo la possibilità di rivedere la situazione per trovare un accordo.
Inoltre gli elementi che sono ritenuti cardine, e di cui tutti parlano, per una valutazione di impatto, tra cui i costi amministrativi, l’eccesso di burocrazia, l’eccesso dei costi veri o presunti per le imprese, sono di per sé una scelta politica. Un esempio, Presidente Barroso e Commissario Verheugen: è stata sufficiente una lettera dell’UNICE per ridimensionare drasticamente la strategia sull’aria, nonostante un impact assessment costato due milioni di euro, nel quale si diceva che i costi non erano solamente quelli per le imprese, ma erano anche quelli per la salute. Quindi, alla fine, anche una valutazione di impatto è una scelta di carattere politico e di conseguenza io inviterei a non renderla così prioritaria e completamente overstated rispetto agli altri elementi della legge.
Desidero spendere un’ultima parola sulla questione della coregolamentazione e dell’autoregolamentazione. Vorrei che la Commissione facesse un’analisi per stabilire come queste procedure abbiano funzionato perché, secondo la nostra analisi, non hanno funzionato, in quanto la capacità delle imprese e delle aziende di conformarsi a questi accordi di autoregolamentazione è stata ritenuta abbastanza insoddisfacente dalle aziende stesse.
Erik Meijer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Signora Presidente, è estremamente deplorevole che vi sia a quanto pare un unico leitmotiv che serpeggia in tutta la discussione sulla sussidiarietà e su legiferare meglio, cioè l’aumento della crescita economica e della concorrenza grazie alla riduzione delle norme e dei regolamenti. Questo crea l’illusione che, in particolare nel contesto normativo, si dovrebbe prestare maggiore attenzione alla sussidiarietà in settori quali la protezione sociale, l’ambiente e la protezione dei consumatori. Tutto questo si colloca nella mentalità neoliberista secondo cui una minor quantità di norme e regolamenti è, per definizione, una cosa positiva.
Tuttavia, la realtà dimostra che sono proprio quelle regole europee sul sacro mercato interno che rendono la vita difficile ai cittadini europei. Ad esempio, sono quelle regole che costringono un piccolo comune nel nord dei Paesi Bassi a chiedere il permesso alla Commissione europea prima di poter installare una rete di cavi in fibra di vetro per i suoi cittadini, o che considerano il sostegno statale della Città di Amsterdam allo zoo locale una distorsione della concorrenza. Non stupisce che i cittadini dei Paesi Bassi, avendo perso ogni fiducia in un’ulteriore estensione dei poteri di Bruxelles e nella Costituzione proposta che approvava e appoggiava questo processo, abbiano provveduto, a stragrande maggioranza, a consegnare quel documento al cestino della cartastraccia.
La realtà è che la sussidiarietà è da molto tempo un concetto vuoto. Le Istituzioni europee, con a capo il Parlamento europeo, raramente o mai si domandano se l’interferenza europea in un certo settore dia davvero un contributo positivo al benessere dei cittadini e dell’ambiente. Al contrario: un continuo flusso di norme e regolamenti europei continua a minare l’autorità dei governi nazionali e regionali. Un esempio che posso fare è la direttiva sui servizi, che, anche nella sua forma modificata, eroderà gravemente l’autonomia delle autorità municipali nel settore delle licenze o della prestazione locale di servizi.
In poche parole, mentre va accolta positivamente una discussione sulla qualità e sulla sussidiarietà della legislazione europea, è del tutto ingenuo presumere che i problemi fondamentali dell’interferenza di Bruxelles possano essere risolti accantonando un po’ di regole o eseguendo valutazioni d’impatto. Per risolverli, le regole sul mercato interno, in primo luogo, dovranno essere completamente rivedute.
Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signora Presidente, vorrei ringraziare il Presidente della Commissione e il Presidente in carica del Consiglio, nonché i nostri relatori, per l’impostazione che hanno dato alla discussione odierna.
E’ ovvio che il nostro processo legislativo presenta problemi; vi sono difficoltà che tutti possiamo riconoscere e constatare nella nostra vita lavorativa quotidiana. Una delle cose più chiaramente e profondamente necessarie è la codificazione e la semplificazione del corpus legislativo esistente – l’acquis comunitario – per garantire non solo che le imprese possano operare con maggiore libertà o correttezza in tutto il mercato interno, ma anche che i cittadini riconoscano dove sono protetti i loro diritti, che vi siano regole chiare e definite tali da impedire che le grandi imprese possano calpestare i diritti dei lavoratori, che i consumatori non possano essere danneggiati da decisioni prese da istituti finanziari o da qualsiasi altra cosa. Per questo motivo da molti anni noi in Parlamento tentiamo di realizzare questa idea di valutazione d’impatto riguardo a tutta la legislazione, per analizzarla prima che venga adottata, per esaminarne la necessità e capire appieno quale sarà il suo impatto quando sarà recepita nell’ordinamento.
Comunque, quando si esamina l’intera questione del legiferare, le maggiori difficoltà e i principali colpevoli si trovano a livello di Stati membri nel recepimento del diritto europeo concordato. I governi sono stati rappresentati in sede di processo decisionale, Parlamento e Commissione sono stati coinvolti, ma quando si tratta del recepimento ecco che emerge una difficoltà a causa di una controversia politica nazionale o del timore di una reazione violenta in quell’area politica.
A mio parere la Commissione sbaglierebbe a dare di sé un’immagine del terribile tutore della legge contro gli Stati membri, perché talvolta vi sono errori e lacune nella legislazione che devono essere corretti, e a tal fine la flessibilità è necessaria.
L’ultimo punto su cui mi soffermo riguarda l’istituzione di gruppi di lavoro o di esperti sul miglioramento della legislazione, in cui è essenziale coinvolgere i professionisti della politica – non solo tecnocrati o relatori parlamentari, ma gli stessi politici, che sanno capire in quale modo presentare al pubblico l’iniziativa e quale attuazione darvi a livello locale.
Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (DA) Signora Presidente, attualmente soltanto selezionati esperti sono in grado di leggere le leggi dell’Unione europea e di capire la situazione del diritto in un settore particolare. Il pastore deve seguire ciascuna delle sue pecore, ma nessuna Istituzione dell’Unione sa precisamente quante leggi abbiamo. Abbiamo definito qualcosa come 20 000 regole che riempiono oltre 100 000 pagine. Lo stato attuale del diritto che disciplina, ad esempio, il settore della pesca consiste in oltre 70 regolamenti diversi. Perché non combinare tutte le regole che disciplinano lo stesso oggetto in un unico semplice atto? In tal modo, i cittadini stessi saranno in grado di esaminare e leggere l’atto risultante, che è il primo requisito indispensabile per consentire loro di avere un ruolo influente.
Si può usare il grassetto per attirare l’attenzione sugli emendamenti proposti e il testo che si propone di eliminare può essere scritto in corsivo. In questo modo, tutti potranno vedere qual è lo scopo della proposta. Adotteremo anche il principio democratico dalle nostre costituzioni, vale a dire che, in futuro, non sarà possibile adottare alcuna legge comunitaria senza che sia stata presa una decisione qui al Parlamento europeo. In virtù di queste disposizioni, le leggi dell’Unione potrebbero autorizzare l’emissione di notifiche, ma un tale strumento potrebbe essere riconsiderato sulla base di una netta maggioranza nel Consiglio e in Parlamento.
Dovrebbero essere abolite anche tutte le procedure di comitato in cui una minoranza si unisce alla Commissione per legiferare contro la maggioranza nei parlamenti nazionali e il Parlamento europeo. E’ assurdo che la Commissione abbia potuto approvare i cornflake geneticamente modificati quando, dopo la scoperta da parte dei cittadini di ciò che era stato realmente deciso a porte chiuse, 14 paesi su 15 erano contrari a tale approvazione e anche il quindicesimo paese ha espresso parere contrario. Se la legislazione nella sua interezza sarà aperta ai cittadini, otterremo anche leggi migliori.
Marek Aleksander Czarnecki (NI). – (PL) Signora Presidente, la Commissione europea controlla l’applicazione del diritto comunitario con scadenza annuale. Attualmente stiamo discutendo la ventunesima e la ventiduesima relazione annuale della Commissione. Per capire l’entità del problema va precisato che sono coinvolti circa 4 000 procedimenti di infrazione. Per quasi mille di questi è stato pubblicato un cosiddetto parere ragionato, e oltre 400 sono stati deferiti alla Corte di giustizia.
E’ motivo di rammarico che la Commissione abbia presentato in ritardo la ventiduesima relazione annuale, pervenuta solo a gennaio 2006. Di conseguenza, nella sua risoluzione il Parlamento ha potuto fare riferimento soltanto a una parte dei dati della Commissione per il 2004. Paradossalmente, si potrebbe dire che più sono numerose le denunce, meglio è. Questo perché le denunce indicano che i cittadini degli Stati membri stanno svolgendo un ruolo importante nel processo di controllo e quindi anche nella legislazione dell’Unione. Le denunce dei cittadini non hanno natura simbolica. Fanno parte del processo di costruzione di un’Europa dei cittadini e in generale sono un modo efficace di controllare l’applicazione del diritto comunitario.
Le commissioni del Parlamento europeo dovrebbero controllare da vicino l’attuazione del diritto comunitario, in particolare in situazioni in cui il relatore interessato deve partecipare attivamente al controllo dell’applicazione di una specifica disposizione giuridica in singoli Stati membri e anche, naturalmente, quando si tratta di chiedere un’azione immediata se dovessero essere rilevate infrazioni.
L’efficienza del processo dovrebbe essere migliorata abbreviando la procedura interna, come è stato giustamente incluso nel progetto di risoluzione del Parlamento europeo. Sarebbe altresì appropriato autorizzare i singoli Commissari a esercitare un controllo diretto sul recepimento delle disposizioni comunitarie nell’ordinamento giuridico nazionale entro i termini stabiliti. Si potrebbe conseguire questo obiettivo autorizzando i Commissari a rivolgere direttamente agli Stati membri la richiesta di trattare le infrazioni nella loro particolare sfera di competenza.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, la presente discussione si colloca certamente nel contesto dell’aiuto che mi state fornendo per apportare un contributo molto pratico all’obiettivo del “legiferare meglio”, dandomi il privilegio di incontrarmi con la Conferenza dei presidenti e di svolgere colloqui molto approfonditi in tale sede sugli atti giuridici. Ringrazio, in ogni caso, per la vostra comprensione.
Vorrei formulare qualche osservazione, molto brevemente, su un paio di questioni che sono state toccate nel corso della discussione. Moltissimi oratori hanno parlato della comitatologia. In Austria abbiamo un proverbio che dice che non si deve chiocciare sulle uova che non sono ancora state deposte, ma, sotto la Presidenza austriaca, siamo ritornati sulla questione della comitatologia con molto impegno. Abbiamo già svolto due cicli di negoziati molto intensi con i rappresentanti nominati del Parlamento, il secondo dei quali un paio d’ore fa. Dopo anni, credo che ora siamo sulla strada giusta per trovare una soluzione di cui sia il Consiglio che il Parlamento possano essere soddisfatti.
Qualsiasi esito si ottenga sarà comunque un miglioramento rispetto all’attuale situazione, poiché è ovvio che il Parlamento avrà voce in capitolo negli atti legislativi adottati mediante procedura di codecisione con il suo accordo e con quello del Consiglio. Non siamo lontani da una soluzione e spero che riusciremo finalmente a risolvere la questione entro il termine di questo semestre. Ciò contribuirà a migliorare i nostri processi legislativi.
L’onorevole Frassoni ha ragione, naturalmente, in ciò che ha detto riguardo all’attuazione del diritto e alla sua importanza. E’ una questione che compete agli Stati membri piuttosto che al Consiglio come tale – a nome del quale ovviamente sto parlando – ma i singoli Stati membri stanno chiaramente cercando, nelle loro discussioni con la Commissione, di trovare modalità migliori per garantire l’applicazione del diritto. Anche noi – intendo noi austriaci – ovviamente siamo toccati da questo problema come qualsiasi altro Stato membro; le procedure di infrazione hanno lo stesso effetto su di noi come su ogni altro paese. In quanto avvocato, posso dire che ogni legge ha di certo bisogno di un dispositivo mediante il quale possa essere messa in atto; è importante e stiamo anche cercando di prestare maggiore attenzione alla Commissione e di trovare modi migliori per applicare e far rispettare la legge.
Il fatto che ciò che ho dichiarato a questo proposito non sia stato detto a nome del Consiglio chiaramente non significa che l’applicazione e l’esecuzione della legge siano meno importanti del processo legislativo stesso.
La questione della legislazione e della revisione di atti legislativi già adottati ha ovviamente il massimo rilievo nelle considerazioni del Consiglio.
Alexander Stubb (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, quando vedo lassù il nome Winkler, non posso fare a meno di pensare immediatamente a Henry Winkler: vi ricordate l’attore che impersonava Fonzie in Happy days? E’ bello avere un ministro austriaco come Fonzie, che dà la sua approvazione con i pollici alzati alla migliore regolamentazione!
Abbiamo tre questioni collegate in questa sessione plenaria. La prima, che abbiamo affrontato ieri, aveva a che fare con la trasparenza e l’apertura del Consiglio; la seconda è questa discussione sul miglioramento della regolamentazione e della legislazione, e l’ultima che ci attende questa sera è sulla cittadinanza. Io sostengo tutte queste iniziative, che ritengo eccellenti. Penso che in seno alla Commissione il Segretariato generale stia svolgendo un ottimo lavoro sotto la guida del signor Ponzano e vorrei raccomandare tutte e quattro le relazioni presentate oggi.
Detto questo e dato che stiamo parlando del miglioramento della regolamentazione, quando mi sono messo a esaminare le relazioni, ho provato un po’ di disagio. Voglio soltanto leggervi il tipo di linguaggio. A me sembra che qui ci sia un problema di comunicazione. L’onorevole Frassoni ha redatto un’ottima relazione, ma al paragrafo 18 si legge: “nota che la rete SOLVIT, che opera nel settore del mercato interno, ha dato prova della sua efficacia come meccanismo complementare a carattere extragiudiziale incrementando la cooperazione volontaria fra gli Stati membri...”. E’ tutto vero, ma se siete lì seduti e vi sforzate di ascoltare con attenzione, non necessariamente comprenderete cosa significa. L’onorevole Doorn, su “Legiferare meglio”, al paragrafo 5 scrive: “è del parere che la procedura Lamfalussy sia un meccanismo utile e che la convergenza delle prassi di vigilanza rivesta importanza cruciale; si compiace del lavoro svolto al riguardo dai “comitati di livello 3” e si associa alla richiesta di strumenti adeguati” – fantastico. Poi, la relazione McCarthy – che a mio giudizio è quella che risulta più chiara – afferma al paragrafo 6: “chiede alla Commissione di effettuare valutazioni d’impatto ex ante e ex post sulla legislazione, in modo da contribuire a verificare se i principali obiettivi strategici siano stati realizzati...” e la relazione Gargani segue a ruota. Quello che sto cercando di dire è che abbiamo bisogno di migliorare la regolamentazione e di legiferare meglio, ma ciò ha a che fare con la semplificazione e richiede che capiamo l’oggetto delle nostre decisioni e che i cittadini comprendano cosa stiamo cercando di decidere. La migliore regolamentazione riguarda questo; quindi dobbiamo anche migliorare il linguaggio usato nel formulare i testi. Non posso immaginare come possono suonare quelle frasi nella traduzione finlandese!
(Ilarità e applausi)
Béatrice Patrie (PSE). – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, sotto l’apparenza di una discussione di carattere tecnico, si nasconde qui una discussione di grande importanza politica. Dobbiamo legiferare meglio, certo, ma senza deregolamentare e senza mettere da parte il legislatore stesso. A questo riguardo, desidero esprimere le mie forti riserve nei confronti di certi meccanismi, tra cui i meccanismi alternativi di regolamentazione quali la coregolamentazione e l’autoregolamentazione. Hanno la loro funzione, ma, nell’interesse dei cittadini e dei consumatori, secondo me, non devono in nessun caso sostituirsi alla legge, che conferisce diritti ma anche doveri e costituisce quindi lo strumento democratico più legittimo.
Per quanto riguarda la consultazione preliminare al processo legislativo, invito le tre Istituzioni a organizzare, insieme agli operatori economici, la partecipazione effettiva delle parti sociali e della società civile in tutta la sua diversità. E’ responsabilità dei poteri pubblici sostenere l’organizzazione di questi attori in Europa – associazioni di consumatori, utenti dei servizi pubblici, associazioni di lotta contro l’esclusione o di educazione popolare.
Infine, permettetemi un commento sull’insidioso programma di semplificazione che dovrebbe facilitare la strategia di Lisbona. Mi stupisco che preveda come principio prioritario la revisione del regolamento sull’agricoltura biologica, quando non la richiedono neppure i produttori di questo settore, e che proposte importanti come quelle sullo statuto delle società di mutuo soccorso e dell’Associazione europea siano state allo stesso tempo ritirate dal programma legislativo.
Frédérique Ries (ALDE). – (FR) Signora Presidente, concordo pienamente con chi pensa che una dieta dimagrante farebbe bene all’Europa della regolamentazione, un’Europa pignola sui principi e purtroppo più permissiva sul controllo dell’attuazione e della corretta applicazione della nostra legislazione.
Una constatazione: a distanza di dieci anni dal lancio del programma SLIM, e nonostante la firma, due anni fa, dell’accordo interistituzionale “Legiferare meglio”, c’è ancora tanta strada da fare. Non abbiamo ancora frenato l’appetito legislativo dell’Unione. Sono quindi soddisfatta che la Commissione oggi ci proponga questa dieta equilibrata: tre condizioni affinché questa agenda funzioni, rafforzi l’Unione e la avvicini agli europei. E’ stato detto che l’Europa deve legiferare unicamente quando può fare meglio di altri livelli di poteri. Come ha poc’anzi affermato l’onorevole Stubb, dalle Canarie alla Scandinavia, passando per Bruxelles, dobbiamo liberarci una volta per tutte del gergo europeo, dobbiamo parlare e scrivere le leggi usando un linguaggio comprensibile per tutti coloro ai quali sono destinate. Si potrebbe continuare con gli esempi.
In terzo luogo, questa dieta dimagrante che vogliamo e che vogliono anche le PMI, in particolare, non è una dieta liberistica, di non interferenza. Un migliore regolamentazione, va sottolineato – e concludo, signora Presidente – non significa mancanza di ambizione. Concordo con l’onorevole Frassoni: sto pensando a REACH, per esempio, nel sottolineare quest’ultimo punto.
Alyn Smith (Verts/ALE). – (EN) Signora Presidente, mi congratulo con tutti i nostri relatori per aver intrapreso oggi quest’impresa titanica e mi concentrerò brevemente su due punti: la trasparenza del Consiglio e la relazione dell’onorevole Doorn sulla sussidiarietà.
Come abbiamo sentito ieri, la mancanza di trasparenza del Consiglio rimane la patata bollente; rimane la causa alla radice di tanto scontento per il processo legislativo dell’Unione europea in generale. Certamente il Consiglio può compiere qualche altro passo nella direzione di rendere pubbliche le sue riunioni. Adesso solo all’Avana e a Pyong Yang si opera con così poca trasparenza. Dovremmo fare di meglio nel XXI secolo.
Più concretamente, riguardo alla sussidiarietà e in particolare ai paragrafi 25-29 della relazione dell’onorevole Doorn, posso citare il mio paese, la Scozia, come esempio dell’occasione perduta attualmente rappresentata dalla sussidiarietà. La Scozia fa parte di uno Stato membro che non è certo noto per il suo appassionato impegno europeista, eppure il nostro parlamento a Edimburgo rappresenterebbe un partner entusiasta per il miglioramento della legislazione comunitaria. Il nostro parlamento è completamente responsabile in merito a salute, ambiente, giustizia, istruzione, pesca, agricoltura e molti altri settori, eppure la visione dell’UE della sussidiarietà troppo spesso si ferma allo Stato membro quando, di fatto, il partner più opportuno potrebbe essere a livello più locale.
Mi associo a tutte le raccomandazioni dell’onorevole Doorn sulle valutazioni d’impatto, anche se faccio eco alle osservazioni dell’onorevole Wallis sull’impegno politico e sottolineo che tale impegno deve essere il più possibile locale. Forse così vedremo in futuro la sussidiarietà cominciare a lavorare per il miglioramento della legislazione dell’Unione europea.
Jonas Sjöstedt (GUE/NGL). – (SV) Signora Presidente, non penso che questo dibattito possa essere ridotto a un dibattito sulla qualità della legislazione. Dobbiamo discutere anche della reale quantità della legislazione dell’Unione europea. Il fatto è che il numero di leggi comunitarie è aumentato in modo clamoroso in questi anni, e ora l’UE sta legiferando in una moltitudine di nuovi settori. Allo stesso tempo, è estremamente insolito che l’Unione restituisca agli Stati membri il suo diritto decisionale o che abroghi qualche atto legislativo. La combinazione di una massiccia quantità di legislazione con la qualità insufficiente di tale legislazione costituisce una mancanza di chiarezza e ne rende difficile l’attuazione in pratica.
Per quanto riguarda la qualità, si può già fare molto, e le relazioni contengono proposte a tale scopo. La legislazione obsoleta può essere abrogata. Altra può essere semplificata o unita e consolidata. Va benissimo, ma è necessario anche un altro approccio al lavoro legislativo. Nel determinare la direzione che deve prendere la legislazione, dobbiamo concentrarci più sugli obiettivi e meno sui dettagli e dobbiamo dare agli Stati membri maggiore libertà di scegliere come perseguire gli obiettivi fissati.
Le analisi dell’impatto vanno bene, ma non è sempre così facile misurare quello che vogliamo misurare. Il più delle volte è più semplice misurare fattori economici lineari che non, per esempio, fattori ambientali. Ne abbiamo discusso con riferimento al dibattito sulla politica in materia di prodotti chimici, REACH. Era facile misurare i costi di un’impresa, ma difficile misurare gli enormi benefici in termini di salute pubblica e di riduzione della sofferenza umana con la diminuzione delle malattie. Questo significa che è necessario essere piuttosto cauti in questo campo.
Se c’è una reale volontà di semplificazione, deve essere ridotto il numero delle leggi dell’Unione europea e il settore più colpito in assoluto dall’eccesso di regolamentazione è la politica agricola, dove la maggior parte delle questioni potrebbe essere riportata a livello di Stati membri e migliaia di leggi potrebbero essere abolite. Alcuni oratori fanno riferimento alla Costituzione europea. Il fatto è che avrebbe peggiorato questi problemi aumentando il potere dell’Unione europea e rendendo più facile per quest’ultima appropriarsi di nuovi poteri legislativi e legiferare in settori in cui davvero non dovrebbe intervenire. Ora, quindi, dovremmo ringraziare anche gli elettori olandesi e francesi.
Konrad Szymański (UEN). – (PL) Signora Presidente, l’abilità di un legislatore è dimostrata non solo dalla capacità di formulare leggi valide, ma anche dalla capacità di trattenersi dal disciplinare dove non è necessario alcun regolamento. Di conseguenza, le dichiarazioni contenute nella relazione sull’ampliamento e sull’inasprimento dei principi per la valutazione del costo e dell’impatto della legislazione meritano un forte appoggio.
C’è un riferimento nella relazione all’impatto negativo dei compromessi politici sullo sviluppo del diritto europeo. La direttiva sui servizi ne è un esempio. Ognuna delle due parti del dibattito sostiene di aver vinto. Per i socialisti, l’onorevole Gebhardt afferma di aver ribaltato la direttiva, mentre per i conservatori l’onorevole Harbour si dice lieto perché si è raggiunto un ottimo compromesso.
Chi si sbaglia? Forse nessuno? Potremmo anche aver prodotto un documento che consiste in dozzine di disposizioni contraddittorie, nella speranza che contenga qualcosa per tutti. E’ come una terapia buonista per gli Stati membri, per l’Unione nel suo insieme e anche per il Parlamento. Comunque, ci stiamo mettendo a posto la coscienza a spese dei cittadini, degli imprenditori e della qualità delle nostre leggi.
Johannes Blokland (IND/DEM). – (NL) Signora Presidente, rifacendomi alle relazioni sul tema del legiferare meglio che sono l’oggetto della discussione di oggi, vorrei fare alcune osservazioni sul ruolo delle valutazioni d’impatto. Ho sentito che l’onorevole Doorn è favorevole all’esecuzione di una verifica casuale da parte di un gruppo di esperti autorevoli. Appoggio vivamente l’idea alla base. Al pari del collega, chiedo un comitato davvero indipendente, che non sia composto di rappresentanti delle tre Istituzioni.
Un esempio che abbiamo nei Paesi Bassi è il comitato che esamina le relazioni sull’impatto ambientale. Se vi siete scontrati con quel gruppo di esperti, la prossima volta è sicuro che provvederete a correggere la vostra proposta di legge. Vorrei anche aggiungere che la legislazione è sempre un processo di apprendimento, ma la sua esplicita descrizione come tale al considerando J della relazione dell’onorevole Doorn è, a mio parere, troppo negativa. Facciamo il possibile per adottare una legislazione valida. Inevitabilmente sbaglieremo qualche volta, ma considerarlo un obiettivo dall’inizio mi sembra un’esagerazione.
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signora Presidente, lei è una eminente esperta dell’antico Giappone dell’epoca Tokugawa, durante la quale si teneva deliberatamente il popolo nell’ignoranza delle leggi, considerate segreto di Stato, e la conoscenza delle quali era riservata a una cerchia ristretta di grandi signori, perché si pensava che in quel modo il popolo avrebbe mantenuto un maggior rispetto di norme di cui ignorava tutto. Ebbene, mi chiedo talvolta se di fatto non ci ispiriamo a questa antica legislazione giapponese.
In realtà, onorevoli colleghi, credo che la complessità del diritto europeo sia l’effetto perverso di una dinamica di gruppo di cui tutti facciamo parte. Di che cosa si tratta? In primo luogo, l’iniziativa spetta alla Commissione, ma dietro ogni Commissario si nascondono evidentemente la direzione generale e i funzionari che la compongono. Poi passa al Consiglio. In teoria, il Consiglio è composto dai ministri. Questi raggiungono un accordo su un testo, purché ciascuna delle loro rispettive burocrazie vi ritrovi tutte le norme che devono figurare nel progetto comune, poi il testo è trasmesso al Parlamento e il Parlamento nomina un relatore. Naturalmente, il relatore, come è del tutto legittimo, vuole che il suo nome passi alla storia. Il suo nome sarà ricordato con maggiore probabilità se aggiunge norme anziché sopprimerle, senza parlare dei colleghi che presentano emendamenti, dell’importante ruolo dei gruppi d’interessi e via dicendo. E’ così, onorevoli colleghi, che arriviamo a un vero mostro normativo.
Sono 17 anni che siedo in quest’Aula e ricordo che proprio il primo anno in cui ho preso posto qui era in corso un dibattito sulla semplificazione del diritto comunitario. Ho l’impressione che siamo assolutamente allo stesso punto di 17 anni fa, con la sola differenza che la situazione si è ulteriormente aggravata.
Allora cosa dobbiamo fare? Dobbiamo intenderci sul significato dei termini utilizzati. Occorrerebbe un vero dizionario del diritto comunitario, un codice come il Codice civile, o il Codice di commercio o il Codice penale, che sia organizzato razionalmente, diviso in parti, sottoparti, capitoli, sezioni e articoli, in modo che, quando lavoriamo su un testo, sappiamo in anticipo che modificheremo questo o quell’articolo. In breve, occorre un grande sforzo di semplificazione. Temo che malgrado le buone intenzioni espresse dai relatori, ne siamo ancora lontani. Vi ringrazio.
Andreas Schwab (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, Commissario Verheugen, vorrei cominciare cogliendo questa occasione per ringraziare i quattro relatori per il loro costruttivo lavoro sul tema in oggetto, che preoccupa non solo i frequentatori di pub, ma anche sempre di più i politici.
Un elemento che ho trovato particolarmente confortante in questa discussione è il discorso dell’onorevole Gollnisch, che ha fatto un appello davvero appassionato in favore della Costituzione europea, cosa che evidentemente ci accomuna – prima non ne ero a conoscenza. Credo anche che, con la Costituzione europea, saremmo in una posizione molto migliore nel campo della legislazione normativa di quanto non accada al momento. Sono lieto che stiamo collaborando su questo punto.
Credo che dovremmo sempre tenere presente riguardo al miglioramento della legislazione che lo scopo di tutte queste relazioni sull’argomento non è, ovviamente, quello di aumentare la familiarità del singolo cittadino con i testi giuridici, ma fornire agli Stati membri un testo semplice per aiutarli nel recepimento. Dobbiamo quindi ricordare il nostro obiettivo quando ci troviamo ad affrontare queste sfide.
Naturalmente, in questo particolare contesto – e non intendo in alcun modo essere ironico quando dico espressamente che per una volta concordo con l’oratore precedente su questo particolare punto – ci lamentiamo che il nostro processo legislativo non è affatto trasparente nel campo della comitatologia. A volte tale processo legislativo è stato oggetto di critiche in quest’Aula.
Per questa ragione, sono convinto che abbiamo bisogno di un controllo esterno della legislazione europea e che questo non possa essere eseguito dalla Commissione stessa. Sorge la domanda se possa essere condotto da un’agenzia – e siete tutti consapevoli delle nostre riserve sulla creazione di altre agenzie: “nessun aumento della burocrazia per ridurre la burocrazia” – o da altre autorità esterne. In ogni caso, il Parlamento dovrebbe essere coinvolto nella scelta di queste autorità esterne.
Perciò, le quattro relazioni che stiamo discutendo oggi offrono anche un ottimo punto di partenza per giungere a una posizione comune tra Parlamento e Commissione, e forse anche Consiglio, su questo tema.
Andrzej Jan Szejna (PSE). – (PL) Signora Presidente, legiferare meglio nell’Unione europea richiede disposizioni valide formulate con maggiore trasparenza e anche una più rapida e più efficace attuazione e applicazione di tali disposizioni. Vi sono ancora troppi esempi di un’attuazione non corretta del diritto comunitario. In parte ciò è dovuto alla scarsa qualità delle disposizioni e in parte all’azione deliberata degli Stati membri, intesa a minare la legislazione comunitaria per ragioni politiche, economiche o amministrative.
Inoltre, i giudici nazionali in molti Stati membri sono ancora restii ad attuare il principio del primato della legislazione comunitaria. Se la legislazione dell’Unione non è ritenuta vincolante per tutti e il suo recepimento e la sua attuazione dipendono interamente dalla buona volontà di un governo, il risultato potrebbe essere l’oggettiva rinazionalizzazione della politica comunitaria, come giustamente fa notare nella sua relazione l’onorevole Frassoni. Chiaramente, questo sarebbe molto dannoso per il mercato interno e per l’intero acquis.
La mancanza di uniformità nel recepimento potrebbe anche condurre a un’attuazione non corretta della legislazione dell’Unione se si dovessero attuare disposizioni diverse in paesi diversi, minando così la credibilità dell’Unione. Se non siamo capaci di esercitare pressioni sui governi degli Stati membri affinché recepiscano correttamente la legislazione dell’Unione, non possiamo aspettarci che i cittadini credano che le Istituzioni dell’Unione come la Commissione, il Consiglio o il Parlamento europeo difendano efficacemente i loro diritti derivanti dal diritto comunitario.
Karin Riis-Jørgensen (ALDE). – (DA) Signora Presidente, il Parlamento europeo deve essere l’alfiere di una migliore legislazione. Il lavoro del Parlamento deve essere trasparente e formulato con chiarezza e, in particolare, dobbiamo rimuovere le barriere amministrative nella legislazione europea. Mi rivolgo quindi alla leadership del Parlamento affinché promuova un migliore coordinamento del nostro lavoro legislativo, così che non finiamo di nuovo in una situazione nella quale i comitati propongono emendamenti in contraddizione tra loro. Nel contempo, dobbiamo dare la priorità alla certezza giuridica e alla prevedibilità per i cittadini e non lasciare troppa discrezionalità alle autorità o alla Corte di giustizia.
Il Presidente del Consiglio europeo – il Cancelliere austriaco – ha attaccato la Corte di giustizia delle Comunità europee per essersi arrogata un potere eccessivo. Tuttavia, la Corte sta soltanto facendo il suo lavoro, perché noi legislatori non stiamo assolvendo il nostro abbastanza bene.
Purtroppo, temo che con la direttiva sui servizi stiamo ripetendo errori precedenti e stiamo lasciando alla Corte di giustizia troppo spazio per l’interpretazione. Questo è un settore in cui dobbiamo tutti fare meglio in fase di seconda lettura.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Nelle mie riunioni con le parti interessate del mercato interno mi sono spesso trovata di fronte a critiche contro l’attuale legislazione europea. Non di rado la formulazione inadeguata della legislazione rende difficile attuare le leggi negli ordinamenti giuridici degli Stati in questione. I partecipanti all’audizione pubblica su tale argomento, compreso il Commissario Verheugen, hanno confermato che l’ambiguità testuale spesso causa incertezza giuridica o, in alternativa, distorce la concorrenza e frammenta il mercato interno, indebolendo la possibilità per i consumatori e le imprese di avvalersi appieno dei suoi benefici.
Accolgo quindi con favore le raccomandazioni della relatrice, onorevole McCarthy, alla Commissione affinché continui a consolidare, semplificare e codificare la legislazione comunitaria per renderla più facilmente comprensibile. E’ ovvio che si dovrebbe applicare la regola secondo cui i miglioramenti della legislazione non devono indebolire gli standard ambientali, sociali o dei consumatori. Sulla base dell’esperienza che ho maturato elaborando la relazione sul finanziamento della standardizzazione europea, concordo appieno con la relatrice quando afferma che solamente leggi valide, chiare e soprattutto semplici in materia di mercato interno avvantaggeranno i cittadini, i consumatori e le imprese, aiutando l’Unione europea a rafforzare la sua posizione rispetto ai concorrenti nell’economia globale.
Onorevoli colleghi, sono convinta che migliori normative forniranno una base per gli sforzi delle Istituzioni europee intesi a creare posti di lavoro e a generare crescita nell’Unione europea nel quadro della strategia di Lisbona rinnovata. In conclusione, desidero ringraziare i quattro relatori per aver stabilito una nuova architettura di migliore legislazione per un’Europa più vicina ai cittadini.
Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Signora Presidente, una volta le leggi erano stabilite dagli dei e gli dei facevano leggi perfette. Poi gli dei si stancarono e gli uomini incominciarono a fare le leggi, e ora le leggi sono imperfette. Oggi, quindi, se una legge è buona o cattiva non lo decide nessuno se non noi stessi, e l’unico criterio per sapere se una legge è buona o cattiva è la democrazia, il criterio della maggioranza, perché, come diceva Rousseau, “è ragionevole che sia la maggioranza a decidere, e non la minoranza”.
Stabilito questo principio nelle democrazie moderne, la democrazia è rappresentativa e sono i parlamenti che legiferano; possono commettere errori, ma l’unico criterio di legittimità è la maggioranza parlamentare. Partendo da questo presupposto, credo che il maggiore pericolo adesso per la democrazia sia la tecnocrazia associata agli interessi economici – quella che si definisce autoregolamentazione o coregolamentazione – che è un modo di mettere gli interessi generali nelle mani degli interessi particolari di pochi, e questo lo dobbiamo ricordare.
Personalmente, dopo essere stato eletto in molte legislature, non sarei disposto a rinunciare alle mie responsabilità legislative in favore di un subappalto e in favore di interessi tecnocratici.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Onorevoli colleghi, mi rendo conto che il nuovo approccio alla regolamentazione europea richiede cambiamenti del modo di pensare e forse persino degli accordi. Comunque, se desideriamo mantenere la fiducia dei cittadini nel mercato unico, dobbiamo arginare la fuga di investimenti e la perdita di posti di lavoro. Questo significa che dobbiamo non solo ridurre e semplificare la legislazione, ma anche, a mio parere, rivedere gli scopi originali della regolamentazione europea e nazionale. Questa è una seria sfida politica. Dipende anche da noi, onorevoli colleghi, esigere che ogni singola misura, mirata, ad esempio, alla protezione della salute o dell’ambiente, sia sottoposta a una valutazione d’impatto. L’onorevole McCarthy lo chiede nella relazione della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. Io aggiungerei che occorre chiarire quali costi saranno sostenuti dai produttori europei, di quanto saranno aumentate o ridotte le finanze pubbliche e quale sarà l’effetto sulla disoccupazione nelle nostre regioni. In particolare dovremmo conoscere in anticipo l’effetto dei regolamenti mirati a migliorare gli standard sulla competitività dei prodotti europei rispetto ai paesi terzi, in modo da evitare che il principale risultato sia l’ulteriore migrazione di industrie e capitali dall’Europa.
Migliore regolamentazione significa anche che, nel contesto dei costi, indagheremo seriamente se le nuove misure possano realmente migliorare la salute o le condizioni sociali dei cittadini, o se si tratti di un’ipotesi infondata. Sia come medico che come politico non mi piace che tanti regolamenti europei e nazionali siano soltanto gesti di populismo. In questo contesto, non ho le idee chiare su come proteggere i consumatori dai prodotti dannosi o contraffatti provenienti da paesi terzi che stanno prendendo il posto dei prodotti europei di qualità. Un esempio di questo potrebbe essere costituito dalle calzature per l’infanzia provenienti dall’Asia che presentano difetti di carattere ortopedico. L’unica soluzione sarebbe un nuovo certificato sanitario obbligatorio per le calzature per bambini, che rappresenterebbe anche una migliore regolamentazione per il pubblico.
Mi dispiace che la Commissione sia così lenta nel codificare la protezione dei consumatori e della proprietà intellettuale. Mai in passato lo standard della regolamentazione europea è stato importante come oggi, quando l’Unione affronta una seria concorrenza dei paesi terzi. Lo scopo politico del regolamento di oggi è quello di salvaguardare sia la concorrenza leale sia il consumatore europeo – non solo in Europa, ma anche al di fuori – e anche motivare la creatività dei cittadini liberandoli da una regolamentazione inefficace.
Maria Matsouka (PSE). – (EL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, legiferare meglio a livello comunitario significa valutare e definire tale compito con riferimento al suo aspetto tecnico.
La complessità delle amministrazioni nazionali, la limitata abilità di recepimento e, spesso, la mancanza di volontà peggiorano la situazione. La misura più efficace sembrerebbe qui l’applicazione di sanzioni da parte dell’Unione stessa. Tuttavia, la scommessa per l’applicazione corretta del diritto comunitario consiste nel plasmare la volontà politica e, soprattutto, sociale. L’applicazione corretta della legislazione comunitaria è una procedura che permetterebbe all’Europa a medio termine di ridurre la sua inerzia e diventare più competitiva nell’ambiente globalizzato internazionale, a beneficio dei cittadini, dei consumatori e delle imprese.
Noi abbiamo bisogno di regole chiare, essenziali e comprensibili. Tali testi, naturalmente, presuppongono accordi più chiari tra i loro autori. E’ molto importante semplificare e razionalizzare il corpus legislativo. Sarebbe ancor più preferibile che leggi rispettose dei principi di trasparenza, proporzionalità e coerenza disciplinino i punti fondamentali di un settore e prevedano misure di attuazione che facciano riferimento anche ai dettagli tecnici.
Riguardo all’efficacia degli accordi, è importante valutare i costi e i benefici dell’applicazione. E’ quindi necessario il dialogo sociale con le agenzie coinvolte, che saranno così in condizione di agire come colegislatori.
Per quanto riguarda le principali proposte politiche in particolare, questo è l’unico modo per conquistare la fiducia dei cittadini. Una buona legge non è una legge labirintica con procedure severe, è una legge vantaggiosa per i cittadini che, nel contempo, li coinvolge nella responsabilità dell’applicazione.
Klaus-Heiner Lehne (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, ho l’impressione che questo dibattito abbia chiarito che il problema al centro della nostra discussione di oggi sia costituito dalle valutazioni d’impatto della regolamentazione. A mio parere, non c’entra assolutamente nulla l’idea che la democrazia viene sostituita dalla tecnocrazia. Non si tratta di questo. E’ ovvio che le istituzioni democratiche mantengono il controllo. La Commissione prende decisioni su proposte dietro sua responsabilità, come, ovviamente, fanno il Parlamento e il Consiglio.
Questo argomento verte su un punto vitale, vale a dire che stiamo cambiando le procedure che disciplinano il nostro sostegno. Attualmente, l’Unione europea legifera basandosi sul principio “facendo s’impara”. Adottiamo una decisione e alla fine ne emerge qualcosa che ha un effetto di qualche tipo. Se successivamente scopriamo che l’effetto è indesiderabile, abbiamo il problema che, grazie alle complesse procedure dell’Unione europea, non possiamo correggere rapidamente queste leggi, come fanno i parlamenti nazionali, ma può essere necessaria una procedura complessa che dura molti anni per rivedere le direttive e modificare i regolamenti. Sono quindi necessari meccanismi diversi da quelli che spesso esistono a livello nazionale.
Dobbiamo sapere cosa stiamo facendo. La funzione delle valutazioni d’impatto della regolamentazione è quella di fornirci un sostegno; veniamo informati delle conseguenze che le nostre azioni avranno anche da enti indipendenti. Anche se, in ultima analisi, la decisione politica rimane di nostra competenza, abbiamo bisogno di questo appoggio. E’ fondamentale quando la Commissione, il Consiglio e il Parlamento devono prendere decisioni a nome di 470 milioni di persone in uno spazio economico così vasto. Anche per questo è essenziale un elemento indipendente.
Inviterei ancora una volta la Commissione a lavorare per garantire l’introduzione di questo elemento indipendente anche all’interno delle sue strutture. Altrimenti, il Parlamento – se si prende sul serio – sarà costretto a condurre valutazioni d’impatto indipendenti per ciascun caso. Ciò è contrario allo spirito dell’accordo interistituzionale del 2003. Vorrei che la Commissione lo facesse di sua iniziativa, per dotarci di basi solide in vista delle decisioni.
Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, vorrei cercare ancora una volta di spiegare di cosa stiamo parlando e di cosa non stiamo parlando. Non si tratta di ridurre né di peggiorare la legislazione. Non si tratta di deregolamentazione, né di radicalismo neoliberista. Si tratta semplicemente di formare l’ordinamento giuridico europeo in modo da renderlo comprensibile ai cittadini e in modo che l’economia europea possa avvalersene per crescere, investire e creare posti di lavoro. E’ la cosa più semplice del mondo e mi stupisco continuamente per i motivi che vengono attribuiti a un concetto così chiaro e limpido.
Il fatto che riteniamo o meno che abbiamo troppe leggi europee o che queste non sono sempre abbastanza buone è irrilevante. Non stiamo parlando dell’opinione che si può avere, ma del fatto che una parte spaventosamente grande dei cittadini europei è convinta che sia così. Stiamo parlando del fatto che gli imprenditori e i sindacati europei affermano a una voce sola che è così. Troppa burocrazia, troppe leggi, leggi troppo complicate, troppe restrizioni inutili. Non importa se è davvero così; importa che coloro per i quali facciamo le leggi sono convinti che è così. Perciò era necessario fare qualcosa.
Il progetto “Legiferare meglio” proposto dalla Commissione usa tutti gli strumenti che sono stati qui menzionati – i vari modi per semplificare e modernizzare la legislazione senza cambiarne il contenuto. Ribadisco: non si tratta di cambiare la sostanza dei regolamenti, ma di renderla comprensibile agli utenti e trasparente.
Ancora una volta solleciterei il sostegno del Parlamento europeo. In realtà, si tratta di due grandi progetti diversi, uno dei quali è la verifica retroattiva dell’intero corpus legislativo.
Non illudiamoci, comunque. Quando l’integrazione europea era ancora nella sua fase iniziale, l’atteggiamento verso l’adozione della legislazione era piuttosto diverso da quello di oggi e, se torniamo ancora più indietro, negli annali delle nostre raccolte di leggi troviamo cose sorprendenti. Nessuno nega che vi sia bisogno di modernizzazione. La verifica dell’intero corpus non è semplice e sarei molto favorevole se concordassimo anche per questo procedure comuni, non solo riguardo alla codificazione, su cui questo è già stato fatto.
Una questione distinta riguarda come formulare regolamenti o leggi in futuro. La questione delle valutazioni d’impatto svolge un ruolo fondamentale a questo proposito. Sono d’accordo con tutti coloro che hanno qui affermato che è essenziale in una democrazia che il legislatore conosca le conseguenze che la sua azione avrà per chi ne è colpito. Questo non significa che il legislatore rinuncia ad agire una volta in possesso di quell’informazione. Sarà sempre una questione su cui riflettere.
Se la Commissione dicesse che un atto legislativo causa all’economia un costo di X miliardi di euro, ma che, per contro, questa legislazione deve essere presentata per soddisfare le esigenze dei cittadini per la protezione della salute, la decisione non sarebbe difficile. La Commissione sosterrà poi che la protezione della salute pubblica ha la precedenza, anche se costa.
Vorrei chiarire qui che le valutazioni d’impatto non significano automaticamente che, se dovesse emergere che una delle nostre azioni comporta un costo, diremmo semplicemente: non lo faremo. Si tratta di conoscere con precisione cosa stiamo facendo.
Sono stati espressi pensieri importanti sulla questione di come organizzare meglio tali valutazioni d’impatto, e posso dire in tutta franchezza che un dibattito su questo problema è attualmente in corso nella Commissione e il Presidente Barroso e io riteniamo veramente che il sistema vigente debba essere cambiato.
Concordo pienamente con i deputati che hanno sostenuto che la decisione definitiva sulla validità di una valutazione d’impatto non può essere presa da chi l’ha eseguita e tale attività non può essere svolta esclusivamente da chi ha elaborato la relativa legge. Il Presidente Barroso e io siamo esattamente di questo parere. Stiamo discutendo la migliore soluzione possibile. Nella sua dichiarazione introduttiva, il Presidente ha detto che pensa di istituire un’autorità indipendente sotto la sua responsabilità per esaminare le valutazioni d’impatto. Siamo quindi pronti a continuare il nostro dialogo con il Parlamento. Lo stesso vale per la procedura di comitatologia, in cui sosteniamo ampiamente le richieste del Parlamento, e anche per tutte le altre idee che sono state espresse qui.
Desidero ribadire ancora una volta che questo progetto non può essere trattato in modo tecnico, burocratico o formalistico. E’ un progetto eminentemente politico. Dovrebbe contribuire a rafforzare la fiducia dei cittadini nell’intero sistema dell’integrazione europea e a fornire alla nostra economia condizioni di base stabili e affidabili, in modo da risolvere la grande questione sociale del nostro tempo, vale a dire quella del futuro dei nostri posti di lavoro.
PRESIDENZA DELL’ON. MANUEL ANTÓNIO DOS SANTOS Vicepresidente
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà martedì, 16 maggio.
Dichiarazioni scritte (Articolo 142 del Regolamento)
Edit Herczog (PSE). – (HU) Il relatore ha fatto un ottimo lavoro nell’individuare gli ostacoli presenti nel diritto comunitario e nelle leggi degli Stati membri che creano difficoltà al funzionamento del mercato interno. La soluzione è la revisione delle leggi esistenti e una preparazione di nuove leggi più adeguata e prudente. Questa è la responsabilità del processo stesso di legislazione. Né la Commissione, che elabora e mette in atto le leggi, né il Consiglio e il Parlamento, che legiferano, stanno scaricando ad altri questa responsabilità, in particolare non a organi esterni.
Il Parlamento ha un ruolo e una responsabilità nella revisione delle leggi esistenti nella sua veste di legislatore. Chiedo rispettosamente alla Commissione di cooperare strettamente con il Parlamento, nello spirito dell’accordo interistituzionale sul miglioramento della legislazione.
Nell’elaborare i regolamenti futuri, occorre evitare di complicare ulteriormente le lunghe procedure burocratiche. Se dovessimo creare oggi un organo di revisione esterno indipendente per esaminare la qualità degli studi di valutazione d’impatto, perché non dovremmo istituire domani un organo di ispezione esterno indipendente, per controllare l’indipendenza dell’organo di revisione? Anziché moltiplicare gli organi di controllo delle procedure che si sono dimostrate sbagliate, dovremmo sviluppare metodi di lavoro nuovi, più efficienti, per migliorare la regolamentazione del mercato interno. Insieme alla revisione delle leggi, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento devono anche riconsiderare le proprie procedure e, se necessario, devono trasformarle in modo responsabile.
Infine, vorrei richiamare l’attenzione delle tre Istituzioni sul fatto che la società avrà fiducia e rispetto per il diritto europeo solo se ne cureremo la piena trasparenza e il controllo sociale.
Véronique Mathieu (PPE-DE). – (FR) La legislazione europea è troppo complessa e talvolta superflua: un rinnovamento intelligente deve permetterci di lottare contro questa malsana e dannosa mancanza di trasparenza.
Da una parte, dovremmo apportare miglioramenti riducendo e semplificando la legislazione esistente. In questo lavoro di semplificazione, come per qualsiasi nuova misura adottata, occorre rispettare i principi di proporzionalità e di sussidiarietà: l’Unione europea dove occorre, quando è più efficace dell’azione individuale degli Stati membri, nella quantità necessaria, ma non più di questo.
L’applicazione di questi principi apparentemente tecnici implica un giudizio sull’opportunità sociale, culturale, o d’altro tipo, anche se non esiste un meccanismo di controllo efficace della loro applicazione. Questa lacuna era stata colmata dal progetto di Costituzione. Nell’attesa della sua ratifica, dobbiamo interrogarci sulla corretta applicazione di tali principi.
Dall’altra parte, dobbiamo migliorare il controllo del recepimento del diritto comunitario perché la mancanza di certezza giuridica mina la competitività delle nostre imprese. L’introduzione di corrispondenti nazionali è una misura positiva se i controlli comprendono un’analisi quantitativa e qualitativa e se integrano un’analisi d’impatto sul contesto sociale, economico e ambientale. Queste analisi d’impatto devono essere comparabili: quindi devono essere standardizzate. Per conseguire tale obiettivo, il Parlamento europeo deve rafforzare il suo potere in questo ambito.
14. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
Presidente. L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0017/2006).
Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte alla Commissione.
Prima parte
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 40 dell’onorevole Sarah Ludford (H-0208/06):
Oggetto: Direttiva sul riciclaggio di denaro
Può la Commissione far sapere se ha previsto una campagna d’informazione a livello UE per garantire che gli enti ai quali si applica la nuova direttiva 2005/60/CE(1) sul riciclaggio dei proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo (ad esempio enti creditizi e professionisti legali) dispongano d’informazioni sufficienti sulle nuove procedure?
Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) La Commissione riconosce l’importanza di fornire informazioni riguardo al nuovo e più completo regime comunitario sul riciclaggio dei proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo. Per questo motivo la Commissione ha già avviato diverse iniziative in materia di informazione. In proposito vorrei menzionare le seguenti. Innanzi tutto, la partecipazione della Commissione alle campagne informative sulle organizzazioni professionali europee avviate dal Gruppo d’azione finanziaria contro il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo dell’OCSE; in secondo luogo, le consultazioni in corso sull’impatto della seconda direttiva antiriciclaggio sulla professione giuridica, che la prossima estate, probabilmente a luglio, porteranno alla pubblicazione di una relazione; in terzo luogo, una vasta consultazione di tutte le parti interessate nel contesto della preparazione di eventuali misure di attuazione nel quadro della terza direttiva antiriciclaggio; in quarto luogo, la partecipazione a conferenze organizzate dagli Stati membri nell’ambito delle loro responsabilità per l’applicazione delle direttive comunitarie antiriciclaggio.
Alla luce di queste iniziative, tuttora in corso, la Commissione al momento non intende avviare un’ulteriore campagna di informazione a livello europeo. La Commissione continua tuttavia a seguire da vicino l’applicazione della direttiva e non esclude l’ipotesi di avviare altre azioni, qualora sorgano problemi in determinati settori nei quali l’intervento dell’UE potrebbe apportare un valore aggiunto.
Sarah Ludford (ALDE), autore. – (EN) Signor Commissario, tutto questo va benissimo, ma la mia attenzione è stata attirata da una notizia contenuta nel nuovo bollettino informativo sul riciclaggio di denaro della Law Society of England and Wales. Si parlava di una grande società che fornisce servizi per aiutare gli avvocati negli obblighi di osservanza. A mio parere, poiché la terza direttiva antiriciclaggio ha introdotto il concetto di verifiche adeguate in funzione del rischio, dobbiamo assicurarci che gli obblighi di osservanza vengano rispettati in presenza di rischi davvero seri. Spesso gli elettori si rivolgono a me perché, come singoli, hanno difficoltà ad aprire conti bancari. Spero che trasmetterà questo messaggio. Deve realmente trattarsi di un’osservanza in funzione del rischio.
Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) In questa particolare direttiva la questione della sensibilità al rischio viene opportunamente precisata. Esistono varie categorie di rischio e le autorità devono elaborare le loro procedure sulla base di tali valutazioni del rischio. Questo punto è chiaramente specificato nella terza direttiva e la deputata ha fatto bene a sollevare la questione.
Non voglio che un intero settore incentrato sulle persone applichi tariffe esorbitanti per quella che dovrebbe essere una procedura relativamente ragionevole. I livelli di rischio devono essere valutati. Laddove il rischio è basso, non occorrono grandi interventi, mentre vi sono categorie di rischio più elevate. La direttiva definisce perfettamente questo punto. Ringrazio l’onorevole deputata per avere sollevato la questione, perché in questo modo mi ha offerto la possibilità di evidenziare l’aspetto al quale ha fatto riferimento nella sua domanda complementare.
James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Commissario, giacché si ritiene che l’IRA, dopo la sua rapina alla Northern Bank, abbia sfruttato opportunità di riciclaggio di denaro in Bulgaria, quali specifiche iniziative si stanno adottando affinché le autorità e le organizzazioni di quel paese, nonché quelle della Romania, siano pronte e in grado di attuare i requisiti legislativi sul riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo?
Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Come l’onorevole deputato saprà, la prassi che un paese aderente deve seguire richiede anche l’attuazione, da parte di quest’ultimo, delle direttive comunitarie. Ciò varrà anche per Bulgaria e Romania. L’onorevole deputato probabilmente saprà anche che queste raccomandazioni sono state formulate dal Gruppo d’azione finanziaria – noto con l’acronimo GAFI – e che la maggior parte dei paesi del mondo è tenuta ad applicare le raccomandazioni espresse da questo particolare organismo. Anche l’Unione europea ha assunto l’impegno di attuare tali raccomandazioni in una direttiva, la terza direttiva antiriciclaggio.
Potete stare certi che la Bulgaria recepirà tali misure all’interno del proprio quadro normativo, poiché è uno dei compiti che deve assolvere per ottenere la piena adesione all’Unione europea.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 41 dell’onorevole Philip Bushill-Matthews (H-0241/06):
Oggetto: Protezionismo fra gli Stati membri dell’UE
Dispone la Commissione sufficienti poteri giuridici e pratici per intraprendere un’azione decisa e tempestiva al fine di impedire agli Stati membri che redigono la loro legislazione nazionale dal consentire, ad esempio, che le “offerte avvelenate” delle imprese scoraggino le OPA extraterritoriali? Dispone, di fatto, di poteri sufficienti per sfidare i paesi che decidono unilateralmente di etichettare certi settori industriali come “proibiti”, in ragione di un interesse nazionale dichiarato che è autodefinito? Non dovrebbero essere riconosciuti all’UE ulteriori poteri affinché possa prendere il controllo della situazione e, in tal caso, quali dovrebbero essere e in quale misura dovrebbero essere potenziati?
Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Il Presidente ha precisato che rispondo a questa interrogazione a nome della collega Kroes.
Grazie ai considerevoli poteri di cui è dotata, la Commissione può garantire che gli Stati membri rispettino appieno le regole del mercato interno e che non creino ostacoli illeciti alle fusioni transfrontaliere. Se uno Stato membro viola le regole del mercato interno, la Commissione può avviare una procedura d’infrazione conformemente all’articolo 226 del Trattato CE. Questa procedura può richiedere del tempo, poiché la Commissione deve, in due fasi separate, offrire allo Stato membro la possibilità di esprimere il suo parere prima di adire la Corte di giustizia, la quale dovrà poi adottare la decisione finale sulla presunta infrazione. Qualora le circostanze lo giustifichino, la Commissione può agire più rapidamente imponendo termini molto brevi agli Stati membri nella fase precontenziosa e chiedendo alla Corte di accordare misure provvisorie. Anche in questo caso la Commissione ha l’obbligo di tenere conto delle osservazioni degli Stati membri, comprese le risposte tardive, poiché secondo una giurisprudenza costante la regolarità del loro procedimento precontenzioso costituisce una garanzia essenziale prevista dal Trattato CE, non soltanto a tutela dei diritti dello Stato membro di cui trattasi, ma anche per garantire che l’eventuale procedimento contenzioso verta su una controversia chiaramente definita.
Inoltre, nei casi in cui uno Stato membro intervenga su concentrazioni che rivestono dimensione comunitaria, la Commissione ha lo speciale potere di adottare una decisione ai sensi dell’articolo 21 del regolamento CE n. 139/2004, noto come regolamento sulle fusioni. Conformemente a tale disposizione, la Commissione ha la competenza esclusiva di valutare concentrazioni di dimensione comunitaria. Gli Stati membri possono adottare misure che potrebbero vietare o pregiudicare de iure o de facto tali operazioni solo nel caso in cui, primo, le misure in questione proteggano interessi diversi da quelli presi in considerazione dal regolamento sulle fusioni e, secondo, qualora tali misure siano necessarie e adeguate alla protezione degli interessi compatibili con il diritto comunitario.
Sicurezza pubblica, pluralità dei mezzi di informazione e norme prudenziali sono considerati interessi compatibili con il diritto comunitario. Le misure adottate per il perseguimento di questi interessi devono comunque essere necessarie e adeguate e, per verificare che siano tali, la Commissione può richiedere informazioni alle autorità nazionali sulle misure previste. Gli altri interessi devono essere comunicati alla Commissione prima dell’adozione di tali misure. La Commissione deve poi decidere, entro 25 giorni lavorativi, se le misure nazionali siano giustificate ai fini della protezione di un interesse compatibile con il diritto comunitario.
La Commissione ritiene che le suddette disposizioni possano permetterle di contrastare tempestivamente l’adozione di eventuali misure protezionistiche illecite ad opera degli Stati membri. La Commissione è inoltre fermamente intenzionata a usare tutti i poteri a sua disposizione per garantire il pieno rispetto del diritto comunitario.
Philip Bushill-Matthews (PPE-DE), autore. – (EN) La sua è stata una risposta prolissa, ma con tutto il rispetto non credo sia stata effettivamente una risposta, poiché conosco i poteri esistenti. Vorrei sapere se alla Commissione non debbano essere realmente riconosciuti ulteriori poteri. Nello specifico lei ha affermato che si potrebbe accelerare la fase precontenzioso. Le chiedo cortesemente di darmi una risposta concreta: per quanto riguarda la fase postcontenzioso, non ritiene che talvolta possano essere necessari diversi anni e poi molti altri anni ancora prima che venga applicata una sanzione? Non converrebbe disporre di poteri che permettano di abbreviare il procedimento e anche di renderlo più efficace?
Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Capisco l’intento della domanda complementare formulata dall’onorevole deputato. Sì, talvolta è frustrante dover attendere un’infinità di tempo prima di poter agire. Tuttavia, siamo una Comunità fondata sul diritto e dobbiamo attenerci a quanto stabilito dalla giurisprudenza in materia. Occorre rispettare le procedure.
Anche negli Stati membri questo tipo di azioni richiede del tempo. Benché talvolta esistano meccanismi per accelerare il processo negli Stati membri, e anche all’interno della Comunità si possa esercitare il diritto di sveltire le procedure, i tempi richiesti sono comunque lunghi. Sono quindi spiacente, ma in questa Comunità non possiamo governare per mezzo di fiat o dictat. Si tratterebbe di abuso di privilegi. Penso che nessuno sarebbe favorevole a questa ipotesi.
D’altra parte, talvolta questi tempi lunghi sono frustranti, ma non riesco a intravedere alcuna soluzione. Inoltre, non credo che qualche Stato membro si affannerà per conferire alla Commissione nuovi poteri immediati o poteri per accelerare il processo. Dobbiamo attenerci alle procedure vigenti.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 42 dell’onorevole Harlem Désir (H-0268/06):
Oggetto: “Contrat première embauche” (contratto di primo impiego): conformità o non conformità con la direttiva 2000/78/CE
Il “contrat première embauche”, introdotto in Francia, consente alle imprese con oltre 20 dipendenti di assumere giovani di età inferiore ai 26 anni per un periodo di prova di due anni, durante i quali potranno essere licenziati senza giustificato motivo. A questi lavoratori non si applicherebbero le disposizioni di tutela del codice di lavoro che fanno obbligo al datore di lavoro di giustificare il motivo del licenziamento. L’articolo 2.2 della direttiva 2000/78/CE(2) definisce una discriminazione il fatto che “una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia...un’altra” a motivo, segnatamente, della sua età. Ritiene la Commissione che il “contrat première embauche” sia conforme ai principi della direttiva? In caso contrario, quali iniziative intende adottare nei confronti dello Stato membro interessato?
Seconda parte
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, onorevole Désir, la Commissione non ha ancora ricevuto notifica della legge francese a cui fa riferimento l’interrogazione presentata dal deputato, e non è quindi pronta a esprimere un parere preciso in proposito.
Lo scopo della direttiva 2000/78/CE, come precedentemente citato, è effettivamente impedire la discriminazione in materia di occupazione, in particolare la discriminazione basata sull’età. La direttiva, inoltre, prevede numerose eccezioni alla prassi. Permettetemi di citare direttamente la direttiva.
“Tuttavia in talune circostanze, delle disparità di trattamento in funzione dell’età possono essere giustificate e richiedono pertanto disposizioni specifiche che possono variare secondo la situazione degli Stati membri. E’ quindi essenziale distinguere tra le disparità di trattamento che sono giustificate, in particolare, da obiettivi legittimi di politica dell’occupazione, mercato del lavoro e formazione professionale, e le discriminazioni che devono essere vietate”. Un’altra citazione: “la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire l’inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi”.
Vedete quindi che, dal punto di vista della direttiva, la situazione è duplice. La direttiva consente disparità di trattamento, nel caso in cui siano legittimamente giustificate, e diverse misure, laddove si tratti di misure proporzionate alla finalità per cui sono state previste. Non ho altro da aggiungere sulla situazione attualmente invalsa. L’ultima parola su qualsiasi legge notificata spetta, ovviamente, alla Corte di giustizia di Lussemburgo.
Harlem Désir (PSE), autore. – (FR) Signor Commissario, credo in effetti che, quando la Commissione riceverà notifica del contratto di primo impiego, sarà importante potere effettuare un’analisi precisa delle condizioni a cui la legge autorizza la rescissione del contratto di lavoro nei primi due anni per i giovani di età inferiore ai 26 anni.
Se, come lei ha detto, la direttiva 2000/78 consente disparità di trattamento, anche in funzione dell’età, lo fa nel quadro di azioni positive, di azioni proporzionate alla finalità voluta. Di recente è stata emessa una sentenza dalla Corte di giustizia – la sentenza Mangold del 22 novembre 2005 – riguardante un’altra normativa, la legge tedesca “Hartz 4” relativa alle disposizioni sui lavoratori anziani. Detta sentenza ha ritenuto che, in questo caso, la modalità di rinnovo dei contratti a tempo determinato riservata ai lavoratori anziani non fosse proporzionata all’obiettivo perseguito.
Credo che nel caso del contratto di primo impiego, nessuno creda che la misura in questione sia favorevole ai giovani di età inferiore ai ventisei anni. Si tratta chiaramente di un atto di discriminazione nei loro confronti, che nega loro il beneficio di alcuni elementi propri al diritto del lavoro. Spero che la Commissione si appoggi alla giurisprudenza della Corte di giustizia per condannare questo contratto di primo impiego.
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. (CS) Onorevole Désir, lei ha citato un caso particolare che è molto importante per valutare simili situazioni perché la direttiva, in effetti, prevede che ogni misura sia da un lato proporzionata e, dall’altro, legittima in relazione alla finalità. Nel caso che ha citato sui lavoratori anziani, la Corte di giustizia di Lussemburgo ha giudicato che la finalità era legittima, ma che la misura non era proporzionata e, di conseguenza, la misura è stata bocciata. A questo punto, come ho detto, poiché la legge non è ancora stata notificata non sappiamo che forma assumerà; ho addirittura letto sui mezzi di informazione che non è ancora stata decisa la forma definitiva, e quindi mi è impossibile, come rappresentante della Commissione, fornire ulteriori dettagli.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, negli Stati membri dell’UE come la Francia, la Germania, la Spagna e l’Italia si è sviluppato un vero e proprio mercato del lavoro per i tirocinanti. Un crescente numero di lavoratori fissi viene sostituito da praticanti non retribuiti, o retribuiti in misura minima, o in Germania, ad esempio, da “lavori a 1 euro” finanziati dallo Stato in cui persone precedentemente disoccupate possono guadagnare 1 euro al giorno oltre al sussidio di disoccupazione, senza essere soggetti a imposizioni fiscali o contributi previdenziali. In che misura la Commissione è a conoscenza del problema?
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) La Commissione, ovviamente, controlla il mercato del lavoro nei singoli Stati membri e gli sviluppi della normativa in materia di occupazione. Tra l’altro, a breve sarà pubblicato un Libro verde sullo sviluppo della normativa sul lavoro in Europa che diventerà, spero, lo spunto di riflessione per dibattiti di ampia portata sulle consuetudini, i metodi e gli sviluppi del diritto del lavoro e dei rapporti giuridici tra dipendente e datore di lavoro negli Stati membri dell’UE. Per il resto, la Commissione può ovviamente monitorare e prendere decisioni solo nei settori previsti dal Trattato, e bisogna dire che il Trattato non prevede che si occupi direttamente della normativa in materia di occupazione.
Presidente. Annuncio l’
interrogazione n. 43 dell’onorevole Bart Staes (H-0204/06):
Oggetto: Valutazione del regolamento (CE) n. 485/2005 – trasferimento di navi europee verso l’Oceano indiano
Il regolamento del Consiglio (CE) n. 485/2005(3), recita, al considerando 3, “è opportuno estendere la possibilità di sovvenzionare il ritiro di pescherecci dalla flotta comunitaria alle imbarcazioni trasferite verso i paesi colpiti dallo tsunami a beneficio delle comunità di pescatori interessate”.
Poiché tale regolamento richiede che gli Stati membri informino la Commissione su base regolare, può la Commissione far sapere quante richieste di trasferimento di navi sono state presentate, quali paesi, vittime dello tsunami, le hanno presentate, quante navi sono state offerte dagli Stati membri e quante navi sono state effettivamente inviate nell’Oceano indiano e in quali paesi?
Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Il regolamento del Consiglio (CE) n. 485/2005 a cui l’onorevole deputato fa riferimento estende la possibilità di sovvenzionare il ritiro di pescherecci dalla flotta comunitaria alle imbarcazioni trasferite verso i paesi colpiti dallo tsunami a beneficio delle comunità di pescatori interessate. Questa possibilità viene data in via eccezionale, a determinate condizioni e solo per un periodo di tempo limitato.
Sebbene molti paesi dell’Oceano indiano, ove i settori della pesca sono stati colpiti dal disastro dello tsunami, si siano informati sulle possibilità di trasferimento delle navi, solo lo Sri Lanka ha presentato una richiesta formale riguardante il trasferimento di 120 imbarcazioni di lunghezza compresa tra i 9 e i 12 metri. La Commissione ha informato gli Stati membri della richiesta ricordando loro, in più occasioni, l’obbligo di riferire in merito al trasferimento di navi.
Nonostante l’adozione unanime del regolamento da parte del Consiglio, tutti i 20 Stati membri impegnati nel settore della pesca marittima hanno ora informato la Commissione di essere impossibilitati a trasferire navi per far fronte alla richiesta dello Sri Lanka. Poiché il regolamento fissa la scadenza al 30 giugno 2006, al momento non sono più previsti trasferimenti di imbarcazioni nell’ambito del programma.
Bart Staes (Verts/ALE), autore. – (NL) Signor Presidente, non posso far altro che concludere, allora, che il regolamento da noi approvato è stato un inutile esercizio come, in realtà, avevamo previsto. Credo che il regolamento, così come è stato presentato, si sia rivelato nient’altro che un gesto di pubbliche relazioni e, dalla risposta del Commissario, risulta evidente che si è trattato di un pessimo atto legislativo. Vorrei fare al Commissario un’ulteriore domanda: se questo regolamento non aiuta i paesi vittima dello tsunami a ricostruire la propria flotta peschereccia, ci sa dire se la Commissione ha adottato altre misure per aiutarli veramente a dotarsi di imbarcazioni proprie e a organizzare la pesca in maniera più adeguata nelle regioni colpite dallo tsunami lo scorso anno?
Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Quando la normativa è stata emanata in deroga alla norma prevista, che da quel momento vietava il trasferimento di navi a paesi terzi, è stata ovviamente subordinata ad alcune importanti restrizioni, una delle quali, ad esempio, legata alla lunghezza delle imbarcazioni. Ricordo la discussione che abbiamo avuto qui, in Parlamento, in cui si diceva che non potevamo permettere il trasferimento di navi a paesi terzi colpiti dallo tsunami senza imporre condizioni perché questo, in realtà, avrebbe potuto aumentare lo sforzo di pesca e, di conseguenza, aggravare i problemi esistenti in alcune zone di pesca nelle acque dei paesi terzi, ma che le navi dovevano essere adatte e adeguate alla pesca tradizionalmente svolta in quei paesi. Abbiamo quindi imposto restrizioni sulle dimensioni e l’età delle navi, sul fatto che non dovessero usare reti da traino e altre condizioni legate alla gestione delle risorse ecologiche e alla navigabilità.
Detto questo, sottolineo il fatto che le risposte ricevute dagli Stati membri sul motivo per cui non era possibile trovare navi da trasferire in Sri Lanka indicavano che tra le navi in disarmo di alcuni Stati membri non erano disponibili imbarcazioni adeguate, che il disarmo non era previsto in altri Stati membri o che gli incentivi offerti per il trasferimento di navi non erano abbastanza allettanti.
Vorrei inoltre ricordare che si è trattata di un’iniziativa della Commissione tesa ad aiutare i paesi vittima dello tsunami, specificamente nel settore della pesca, se ce ne fosse stata la possibilità. L’assistenza si è quindi basata su questo elemento aggiuntivo, seppur fornito nel quadro del programma generale di cooperazione allo sviluppo e non in quello degli aiuti al settore della pesca. Si è trattato di un “sovrappiù opzionale” che non è stato preso in considerazione.
Sottolineo che, alla fine, alcuni Stati membri hanno fornito assistenza ai paesi colpiti dallo tsunami stanziando fondi per l’acquisizione di navi comprate senza controlli. Il risultato, oggi, è che nelle zone colpite dallo tsunami la flotta è molto più numerosa, esercita molte più pressioni sullo sforzo di pesca rispetto a prima e crea ulteriori problemi. Invece di spingersi verso una pesca sostenibile, in base alle informazioni che abbiamo, ci sono molti più problemi rispetto al passato.
Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, l’esempio stesso che il Commissario ha appena descritto non indica forse che l’Unione dovrebbe sforzarsi di considerare i soccorsi in caso di catastrofe come un caso a sé stante, e stanziare con rapidità fondi a tale scopo – come, in effetti, è già stato fatto nel caso delle inondazioni – invece che cercare di andare avanti prevedendo deroghe nei settori tradizionali della pesca, dei trasporti e di altre politiche? Dopo tutto, l’esperienza ha dimostrato che questo modus operandi richiede troppo tempo e non funziona.
Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Sì, è ovviamente importante cercare di raggiungere il giusto equilibrio tra le esigenze dei paesi colpiti da simili disastri e l’assistenza a lungo termine, che non deve mirare a creare ulteriori pressioni o difficoltà a questi paesi nel tentativo di ricostruire l’economia in maniera sostenibile. E’ quanto stiamo cercando di fare proprio nel settore della pesca: tuttavia, a meno che non vi sia maggiore coordinamento tra le iniziative della Commissione e le singole iniziative degli Stati membri, le possibilità di riuscita sono limitate.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 44 dell’onorevole Rosa Miguélez Ramos (H-0205/06):
Oggetto: Divieto delle reti da posta fissa
La Commissione ammette che il divieto di utilizzare reti da posta fissa, approvato nella riunione del Consiglio del dicembre 2005, non è suffragata da basi scientifiche adeguate, né esistono studi sul relativo impatto socioeconomico. Nella riunione con il Coordinamento delle parti interessate, del 25 gennaio 2006, la Commissione ha manifestato l’intenzione di risolvere il problema quanto prima possibile attraverso una modifica del regolamento TAC, affermando che il divieto è transitorio fino al conseguimento di una regolamentazione di questi strumenti di pesca. La Commissione ha condizionato l’inizio del calendario di misure alla decisione presa nella riunione del Consiglio consultivo regionale per le acque nordorientali del 31 gennaio 2006. In tale riunione si è convenuto all’unanimità di informare il Commissario Borg del disaccordo esistente sul processo che ha condotto al divieto e si è annunciata la creazione di un gruppo di lavoro per regolamentare l’uso di questo tipo di strumenti di pesca.
Data la necessità di pervenire a una decisione rapida, viste le nefaste conseguenze socioeconomiche di questo divieto, quando intende la Commissione presentare la sua proposta legislativa? Ha previsto misure transitorie per attenuare il divieto fino alla presentazione di tale proposta?
Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) L’interrogazione dell’onorevole Miguélez Ramos sul divieto di utilizzare reti da posta fissa al largo delle coste settentrionali e occidentali del Regno Unito e dell’Irlanda fa seguito a una serie di interrogazioni scritte sulla stessa questione formulate da lei, dalla sua collega Fraga Estévez e dall’onorevole Varela Suanzes-Carpegna.
Il divieto, entrato in vigore il 1° febbraio 2006, è stato introdotto nel regolamento TAC e contingenti adottato dal Consiglio nel dicembre 2005. E’ stato proposto in seguito allo studio condotto nella relazione DEEPNET, che ha evidenziato i danni potenziali che questo tipo di pesca può causare a squali di acque profonde e altre specie. La relazione DEEPNET è stata redatta da rispettabili organizzazioni scientifiche di Irlanda, Regno Unito e Norvegia, ed è quindi stata tenuta in seria considerazione dalla Commissione.
Al divieto nelle acque comunitarie ha fatto contemporaneamente seguito quello adottato dalla Commissione per la pesca nell’Atlantico nordorientale, che nella sua riunione annuale del novembre 2005 ha analogamente proibito l’impiego di reti da posta fisse nella propria zona di regolamentazione a partire dal 1° febbraio 2006.
Innanzi tutto, vorrei rassicurarvi sul fatto che il divieto è stato adottato quale misura transitoria in risposta alle gravi preoccupazioni suscitate dalle pratiche di alcuni partecipanti a questo tipo di pesca e in particolare dall’impatto di tali pratiche su specie vulnerabili come gli squali di acque profonde. Le condizioni preoccupanti in cui versano queste specie e i lunghi tempi richiesti per la ricostituzione dei loro stock hanno indotto la Commissione a reagire molto rapidamente, senza attendere il parere scientifico definitivo del comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca (CSTEP).
Il divieto era stato originariamente proposto come misura di emergenza a settembre, ma la sua adozione era stata rinviata al Consiglio di dicembre per consentire lo svolgimento di consultazioni. Purtroppo, nessuna proposta concreta per l’adozione di misure alternative è pervenuta in tempo utile a permetterne l’inclusione nella proposta discussa dal Consiglio a dicembre.
So che la maggior parte dei pescatori che utilizza questo tipo di reti si comporta in maniera responsabile e che è solo una minima parte di loro a destare preoccupazione. Per questo motivo, intendo introdurre quanto prima misure che disciplinino le attività di pesca con reti da posta fisse. La Commissione ha già ricevuto alcuni riscontri sui possibili approcci da adottare, in particolare dal Consiglio consultivo regionale per le acque nordoccidentali, che propone una riapertura anticipata della pesca del nasello e la partecipazione di un numero limitato di pescherecci alla pesca della rana pescatrice e di specie di acque profonde con la presenza di osservatori.
Venerdì 7 aprile 2006 i servizi della Commissione si riuniranno con il Consiglio consultivo regionale per le acque nordoccidentali e alcuni rappresentanti del mondo scientifico e in quell’occasione discuteranno di tali possibilità. In base all’esito di questa riunione, nel maggio 2006 potrebbe essere formulata una proposta volta a consentire una pesca limitata nel quadro di un programma di osservatori. I dati raccolti da tale programma potranno poi essere messi a disposizione del comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca, che affronterà la questione alla fine di giugno o all’inizio di luglio.
I limiti geografici del divieto sono stati determinati dalla zona esaminata dalla relazione DEEPNET. So che problemi simili potrebbero essere presenti anche in altre aree, ma attualmente non disponiamo di informazioni che giustifichino un allargamento dell’area del divieto. Anche per questo motivo occorre introdurre quanto prima una legislazione applicabile in tutte le aree. Purtroppo, il divieto creerà inevitabilmente difficoltà economiche alle flotte interessate.
Non sono previste misure transitorie volte a mitigare gli effetti del divieto, ma invito gli Stati membri a sfruttare appieno le possibilità esistenti per la temporanea cessazione delle attività nel quadro dello strumento finanziario di orientamento della pesca, volto ad aiutare i soggetti più duramente colpiti.
Rosa Miguélez Ramos (PSE), autore. – (ES) Signor Commissario, a dire il vero le affermazioni che ho appena ascoltato le avevo già sentite in altre occasioni; credevo che mi avrebbe detto qualcosa di nuovo, ad esempio che avrebbe insistito maggiormente sulle date di cui ha parlato, ovvero sui mesi di maggio e giugno.
In realtà, volevo sapere se esiste la possibilità di modificare immediatamente questa decisione, se esiste la possibilità di modificare il regolamento TAC e contingenti affinché almeno i palangari pelagici – che praticano la pesca del nasello con reti meno dannose, come lei stesso ha riconosciuto in alcune lettere che ho avuto occasione di vedere – possano fare ritorno in quelle acque, e quali sono i termini previsti dalla Commissione per il regolamento definitivo sulle reti da posta fisse, conoscendo i quali il settore eviterà di rimanere in una situazione di incertezza.
Le rivolgo queste domande, signor Commissario, perché questa decisione ha avuto e continua ad avere effetti molto negativi, soprattutto a livello socioeconomico.
Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Sì, gli aspetti in questione sono due: uno riguarda l’azione che può essere adottata nel breve periodo per cercare di attutire l’impatto dell’imposizione temporanea del divieto sulle reti da posta fisse. Stiamo discutendo con il Consiglio consultivo regionale per le acque nordoccidentali, con cui speriamo di affrontare la questione nella riunione in programma il 7 aprile. Ci auguriamo che subito dopo potremo essere in grado di adottare decisioni sull’introduzione della possibilità di una pesca limitata per il nasello, valutando al contempo l’ipotesi di seguire una decisione analoga per la rana pescatrice, con la creazione di un sistema di supervisione a bordo dei pescherecci.
Stiamo inoltre valutando la possibilità di istituire misure permanenti che sostituiscano il divieto sulle reti da posta derivanti per applicarsi a tutte le acque comunitarie. Nel corso dell’anno, potremmo poi presentare una proposta per ritirare il divieto sulle reti da posta derivanti e sostituirlo con misure permanenti, con la certezza che gli stock di squali di acque profonde non correranno più alcun rischio di subire danni irreparabili a seguito delle reti lasciate per lungo tempo in mare dai pescatori e che, pescando da sole, danneggiano seriamente l’habitat.
John Purvis (PPE-DE). – (EN) Probabilmente su questo argomento il Commissario si trova tra Scilla e Cariddi, ma sono certo che ricorderà gli enormi danni provocati in passato al salmone selvatico nell’Atlantico del nord dalle reti derivanti e dalle reti da posta fisse, e che saprà proteggere con fermezza gli stock da questo metodo di pesca.
Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Sì, occorre operare una distinzione, perché le reti da posta fisse di cui stiamo parlando vengono normalmente utilizzate in maniera molto selettiva e quindi non dobbiamo scoraggiare l’impiego di questo metodo. Tuttavia, se non si interviene, questo tipo di pesca può provocare danni notevoli se praticato per un lungo periodo. Vogliamo pertanto ridurre l’uso improprio delle reti da posta fisse, non il loro corretto utilizzo. Da una parte, quindi, dato che le reti da posta fisse sono un attrezzo piuttosto selettivo, non vogliamo scoraggiarne l’uso; dall’altra, però, vogliamo indubbiamente scoraggiare l’utilizzo improprio di questo strumento, perché creerebbe le cosiddette “reti fantasma”, che continuano a essere utilizzate per la pesca per circa un mese, danneggiando gravemente le specie interessate.
Presidente. Annuncio l’
interrogazione n. 45 dell’onorevole Pedro Guerreiro (H-0273/06):
Oggetto: Accordo di pesca con il Marocco e difesa dei legittimi diritti del popolo sarawi
Visti gli attuali negoziati sull’accordo di partenariato tra la Comunità europea e il Regno del Marocco relativamente al settore della pesca e la necessità di salvaguardare e difendere diritti e interessi legittimi del popolo sarawi, la Commissione ha preso contatti con il Fronte Polisário, legittimo rappresentante del popolo sarawi, in modo da conoscere la sua posizione in merito all’accordo? In caso affermativo, qual è il risultato di questi contatti?
Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Vorrei ricordare all’onorevole deputato che i negoziati per il nuovo accordo di partenariato nel settore della pesca CE-Marocco sono conclusi e che la Commissione ha iniziato a lavorare al progetto di accordo insieme al governo marocchino nel luglio 2005. Per quanto riguarda la sua applicazione territoriale, il testo del nuovo accordo non differisce da quello del precedente accordo scaduto nel 2000.
Riguardo alla specifica domanda dell’onorevole deputato vorrei precisare che il Fronte Polisario non è accreditato presso la Comunità europea. Non esiste un dialogo politico formale tra la Commissione e il Fronte Polisario. Per quanto riguarda i negoziati sulla pesca, la Commissione è stata autorizzata dal Consiglio a condurre gli stessi con il Regno del Marocco. Il suo mandato non prevede la possibilità di estendere i negoziati a terzi.
In sede di preparazione dei negoziati per l’accordo di partenariato nel settore della pesca CE-Marocco, la Commissione ha valutato attentamente le implicazioni politiche, giuridiche ed economiche di un eventuale accordo. In questo, come in altri casi, la Commissione si sta adoperando per evitare che nuovi accordi in materia di pesca possano dare adito a controversie o conflitti internazionali.
Per quanto riguarda la questione dell’accordo di partenariato nel settore della pesca CE-Marocco e l’interrogazione relativa al Sahara occidentale, la Commissione si è preoccupata in modo particolare del pieno rispetto dei principi di diritto internazionale applicabili e dell’appoggio alle Nazioni Unite nel loro sforzo di trovare una soluzione adeguata per il problema del Sahara occidentale. Il contenuto del testo iniziale, come nel caso degli accordi di pesca precedenti, non pregiudica in alcun modo la questione relativa allo status internazionale del Sahara occidentale.
La Commissione ritiene che il nuovo accordo di partenariato nel settore della pesca CE-Marocco sia conforme alle norme di diritto internazionale e al parere espresso dal consulente legale delle Nazioni Unite il 22 gennaio 2002. L’opinione della Commissione circa l’ambito di applicazione geografica dell’accordo è stata confermata ed approvata dai pareri espressi dai servizi legali di Consiglio e Parlamento.
Pedro Guerriero (GUE/NGL), autore. – (PT) Nel contesto della politica di sviluppo dell’UE, quest’ultima ha deciso di finanziare un campo di rifugiati del popolo sahrawi gestito dal Fronte Polisario nella regione del Sahara occidentale. Vorrei quindi porre, ancora una volta, la seguente domanda: nell’ambito della propria politica sulla questione del Sahara occidentale, intende la Commissione chiedere l’opinione del Fronte Polisario sull’accordo in esame, visto che lo stesso avrà profonde ripercussioni su quella regione?
Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Come ho affermato nella mia precedente risposta, i negoziati si sono svolti tra la Commissione e i rappresentanti del governo marocchino. Il Consiglio ci aveva autorizzati a negoziare con il Marocco e le trattative si sono concluse con un accordo in base al quale la pesca nelle acque territoriali del Regno del Marocco deve essere appannaggio delle popolazioni che vivono nelle zone adiacenti quella in cui si svolgono le attività di pesca. Spetta pertanto al Regno del Marocco far sì che i benefici derivanti dalle attività di pesca svolte nelle acque adiacenti l’area del Fronte Polisario siano appannaggio delle popolazioni locali.
Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Signor Commissario, questa mattina il Parlamento ha respinto la richiesta del Consiglio di applicare la procedura d’urgenza all’accordo con il Marocco. Quali saranno le conseguenze della decisione del Parlamento europeo relativamente all’entrata in vigore dell’accordo stesso?
Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Ieri ho preso parte ad una riunione della commissione per la pesca del Parlamento europeo e, a quanto pare, il relatore presenterà la propria relazione davanti alla commissione stessa all’inizio di maggio; ci sarà la possibilità di presentare emendamenti che saranno poi sottoposti al voto della commissione per la pesca a metà maggio per poi passare alla decisione finale in plenaria durante la tornata di maggio. Sarà mia cura discutere con la Presidenza austriaca la possibilità di ottenere una decisione del Consiglio sull’accordo in questione durante la successiva riunione del Consiglio dei ministri sempre nel mese di maggio in modo che, se le cose procedono in tal modo, l’accordo possa entrare in vigore all’inizio di giugno. Così facendo il ritardo rispetto ai termini concordati dalla Commissione e dal Regno del Marocco sarebbe di un solo mese.
Presidente. Annuncio l’
interrogazione n. 46 dell’onorevole Manuel Medina Ortega (H-0203/06):
Oggetto: Prospettive finanziarie e sviluppo regionale delle regioni ultraperiferiche
Alla luce dell’accordo raggiunto in seno al Consiglio europeo sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, può la Commissione fornire informazioni riguardo alla loro incidenza sulle politiche di sviluppo delle regioni ultraperiferiche?
Danuta Hübner, Membro della Commissione. – (EN) Secondo l’accordo del Consiglio del 16 e 17 dicembre 2005, la situazione delle regioni ultraperiferiche per il periodo 2007-2013 è la seguente.
Per le regioni d’Europa interessate ci sarà un tasso di cofinanziamento più alto nell’ambito dei Fondi strutturali del Fondo di coesione. Esso sarà dell’85 per cento sia per le regioni interessate dall’obiettivo di convergenza che per quelle interessate dagli obiettivi di competitività e occupazione. Ulteriori fondi saranno destinati a contribuire al finanziamento degli aiuti operativi in modo da compensare i maggiori costi sostenuti dalle citate regioni a causa della loro posizione geografica. Il tasso di cofinanziamento per questi fondi aggiuntivi sarà del 50 per cento circa; i relativi importi ammonteranno a 35 euro all’anno pro capite in ciascuna delle sette regioni ultraperiferiche.
Ci sono poi situazioni specifiche che riguardano singole regioni ultraperiferiche. C’è Madera, che manterrà lo status di regione in fase di inserimento progressivo (phasing-in), beneficiando però al tempo stesso di accordi finanziari transitori più generosi simili a quelli delle regioni a sostegno transitorio (phasing-out) per motivi statistici. Ci sono poi le Isole Canarie, che beneficeranno di un’ulteriore sovvenzione di 100 milioni di euro nel periodo dal 2007 al 2013.
Per quanto riguarda la cooperazione territoriale, che costituisce l’obiettivo di questa politica, tutte le regioni ultraperiferiche potranno richiedere di usufruire del sostegno transnazionale per l’obiettivo di cooperazione territoriale europea e le regioni ultraperiferiche francesi, come le Isole Canarie, avranno la possibilità di richiedere il sostegno transfrontaliero. Inoltre, Madera, le Azzorre e le Isole Canarie beneficeranno delle disposizioni speciali relative a Portogallo e Spagna. Come noto, nel caso del Portogallo, Madera e le Azzorre avranno diritto di beneficiare del Fondo di coesione e dell’applicazione transitoria della regola n+3 per il periodo 2007-2010. Per quanto riguarda la Spagna e le Isole Canarie, ciò significa che esse avranno diritto a richiedere di beneficiare del Fondo di coesione per un’ulteriore finanziamento concesso alla Spagna sottoforma di fondo tecnologico. L’eventuale partecipazione delle isole Canarie dipenderà dal governo.
Come forse saprete, le regioni ultraperiferiche possono anche beneficiare di misure specifiche che hanno l’obiettivo di favorire i settori tradizionali delle regioni stesse. Saranno adottate misure specifiche a favore dell’agricoltura nelle regioni ultraperiferiche dell’Unione, che riceveranno anche un trattamento specifico nell’ambito della politica di sviluppo rurale. Oltre a ciò esistono, ovviamente, gli strumenti ordinari forniti dalle nostre politiche, e tutte le regioni avranno accesso a tutti i programmi comunitari previsti da tutti i titoli del bilancio europeo.
Queste, in sintesi, le misure specifiche previste dalle nuove prospettive finanziarie per le regioni ultraperiferiche.
Manuel Medina Ortega (PSE), autore. – (ES) Signor Commissario, finora la Commissione si è molto adoperata per aiutare le regioni ultraperiferiche, ma è chiaro che le nuove prospettive finanziarie prevedono una riduzione dello sforzo globale da parte dell’Unione europea.
Vorrei semplicemente porle una domanda molto specifica: nel nuovo contesto della crisi in atto nelle regioni a ridosso dell’Unione europea, soprattutto nell’Africa settentrionale, si può prospettare, attraverso le regioni ultraperiferiche e il nuovo fondo per le politiche di vicinato, un tentativo di risoluzione del problema paneuropeo dell’immigrazione di massa verso l’Unione europea? In altre parole, quali sono gli strumenti di cooperazione a nostra disposizione per impedire la profonda crisi che si sta manifestando nelle regioni a ridosso di quelle ultraperiferiche dell’Unione europea?
Danuta Hübner, Membro della Commissione. – (EN) Come noto, le regioni in Europa hanno la facoltà di utilizzare parte dei fondi loro assegnati per investire in regioni che non fanno parte dell’Unione europea, ma che si trovano in paesi limitrofi; allo stesso modo anche le regioni ultraperiferiche hanno la possibilità di utilizzare parte dei fondi loro assegnati su un territorio limitrofo.
Inoltre, nell’ambito dello strumento europeo di vicinato e partenariato, i cui aspetti giuridici sono ancora allo studio della Commissione, sarà possibile collaborare con paesi e regioni vicini su questioni connesse a quelle che si stanno affrontando per creare opportunità di lavoro e occupazione dall’altra parte del confine.
Nelle Canarie, in particolare, sarà possibile destinare parte dei fondi al nuovo strumento di vicinato e partenariato in modo da ottenere la cooperazione esterna da parte, ad esempio, delle zone di confine del Marocco. Questo è ciò che la citata politica può fare grazie agli strumenti finanziari. Prima di tutto ciò, però, c’è una preoccupazione politica. All’interno della Commissione abbiamo discusso circa una settimana fa della situazione in alcune regioni ultraperiferiche relativamente al problema dell’immigrazione e alla difficile situazione venutasi a creare. Pertanto, nell’ambito di altri strumenti e da un punto di vista politico, la Commissione dovrà occuparsi della soluzione di questo problema in tempi molto brevi.
Disponiamo di strumenti finanziari limitati. Come voi stessi avete affermato, il bilancio non è quello che ci aspettavamo quando la Commissione ha presentato la sua proposta ma, oltre ai citati mezzi finanziari limitati, esistono anche gli sforzi per collaborare con i paesi limitrofi o le regioni vicine a quelle ultraperiferiche per trovare soluzioni politiche ad alcuni problemi.
Piia-Noora Kauppi (PPE-DE), – (EN) Le sfide che le regioni ultraperiferiche dell’Unione devono affrontare sono molto simili a quelle delle regioni più settentrionali d’Europa. Si potrebbe affermare che con le proposte di coesione sia stato raggiunto un equilibrio tra l’aiuto dell’UE alle regioni ultraperiferiche e quello alle regioni più settentrionali?
Potrebbe inoltre presentare a grandi linee i tassi di cofinanziamento e le speciali misure mirate per le regioni più settentrionali dell’Unione europea, soprattutto quelle situate nelle parti settentrionali di Finlandia e Svezia?
Danuta Hübner, Membro della Commissione. (EN) E’ una domanda molto difficile. E’ molto difficile stabilire se ci sia equilibrio in questo caso, visto che i problemi che le regioni in questione si trovano ad affrontare sono molto diversi. Alcune delle nostre regioni sono in difficoltà a causa della scarsa densità di popolazione che comporta costi per le infrastrutture molto alti. Si tratta di una sfida non solo per noi a livello europeo ma anche per i governi coinvolti. Altre regioni hanno problemi derivanti dalla sovrappopolazione e dall’immigrazione. Pertanto è molto difficile stabilire cosa sia equilibrato e cosa non lo sia.
Certamente saprete che sono state avanzate, come tradizionalmente avviene in Europa, altre richieste durante il Consiglio relative allo stesso bilancio limitato. La mia presentazione, che comprendeva tutte le misure aggiuntive a disposizione delle regioni, si riferiva a temi emersi durante il Consiglio e non ad una proposta organica ed equilibrata della Commissione.
Dobbiamo prendere in esame la situazione attuale e cercare di far fruttare il più possibile le risorse citate utilizzando quelle già assegnate alle regioni scarsamente popolate di Svezia e Finlandia nel modo più efficiente possibile. Non trovo tuttavia sensato paragonare i 540 milioni di euro che Finlandia e Svezia hanno ricevuto per le regioni in questione con i fondi destinati alle regioni ultraperiferiche. Le situazioni sono estremamente diverse e i fondi hanno una valenza diversa. La Commissione certamente si occuperà di entrambi i problemi, quello delle regioni ultraperiferiche e quello delle regioni a bassa densità di popolazione, in modo da sfruttare al meglio le risorse economiche a nostra disposizione.
Richard Seeber (PPE-DE). – (DE) Signor Commissario, la Commissione ha in realtà presentato un contesto finanziario molto ambizioso che il Consiglio ha tagliato drasticamente nella sua riunione di dicembre. I negoziati proseguono ora nel trilogo, ma ciò che, secondo me, è mancato in questo frangente è il ruolo della Commissione. Se la Commissione presenta una proposta così ambiziosa, come mai poi non interviene più? E per quale ragione il Parlamento non intende più battersi per ottenere le risorse finanziarie di cui abbiamo bisogno per la realizzazione dei programmi in oggetto? E mi riferisco in particolare allo sviluppo rurale, non solo nelle regioni ultraperiferiche ma nelle aree rurali in generale, che necessitano di massicci investimenti per raggiungere i livelli necessari.
Danuta Hübner, Membro della Commissione. – (EN) Non mi pare che la Commissione stia conducendo le trattative in maniera poco decisa. A me sembra che stiamo tentando di raggiungere un compromesso accettabile per tutte e tre le Istituzioni. Accade pertanto che due istituzioni, Consiglio e Parlamento, abbiano presentato proposte particolarmente impegnative da un punto di vista finanziario in relazione al bilancio da approvare. Ritengo che la Commissione dovrebbe adoperarsi per aiutarli a trovare un compromesso. Il livello di esecuzione del bilancio è estremamente importante. Speriamo di avere i fondi necessari per quelle aree i cui stanziamenti sono stati pesantemente tagliati in dicembre. Tuttavia, anche trovare un accordo è importante. Non so come stia procedendo il trilogo, perché non vi prendo parte, ma credo che in certi momenti la Commissione assuma il ruolo del mediatore affinché si trovi un compromesso. Questo potrebbe avervi indotto a pensare che non ci importi dei finanziamenti, ma non è così, noi ci teniamo, eccome. Siamo consapevoli del fatto che se avessimo più risorse a disposizione potremmo fare di più per l’Europa, con l’Europa e in Europa per tutti i cittadini. Tuttavia talvolta anche il realismo e la sfida delle tempistiche hanno un loro peso. Questa è la mia opinione.
Presidente. Annuncio l’
interrogazione n. 47 dell’onorevole Dimitrios Papadimoulis (H-0217/06):
Oggetto: Utilizzazione di fondi comunitari e regola “n+2”
La regola “n+2” rappresenta uno dei criteri di esecuzione delle azioni del QCS e prevede che gli importi impegnati per il finanziamento di un programma debbano essere utilizzati entro un periodo di due anni. Può dire la Commissione per quali importi e per quali programmi il governo greco ha presentato domanda di esenzione dall’applicazione della regola “n+2”? A che punto è l’esame di tali domande da parte dei servizi della Commissione?
Inoltre, può la Commissione far sapere se esiste, nel quadro del 3° QCS, la possibilità di prorogare il termine per la firma di contratti giuridici al di là del 2006? In caso di risposta affermativa, a quali condizioni? Può dire infine se vi è la possibilità di utilizzare stanziamenti comunitari a titolo del 3° QCS dopo la fine del 2008? In caso di risposta affermativa, quali sono le condizioni?
Danuta Hübner, Membro della Commissione. – (EN) Forse lei saprà che alla fine dell’anno scorso le autorità greche hanno presentato alla Commissione un elenco di domande di esenzione dall’applicazione della regola “n+2”. L’importo totale era superiore a 655 milioni di euro. Si intendeva coprire una somma pari a 342 milioni di euro, potenzialmente soggetta alla regola “n+2”. La richiesta presentata si riferisce a 12 programmi operativi in Grecia e implica altresì la partecipazione di tre fondi: il FESR, l’FSE e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale.
La Commissione ha completato l’esame della domanda greca relativa all’applicazione della regola “n+2” ed è giunta alla conclusione che l’importo rimanente, quale eventuale riduzione dovuta alla regola “n+2”, è pari a 8 638 000, somma di gran lunga inferiore a quella inizialmente proposta. Siamo ancora in attesa di una conferma da parte della Grecia. Se arriverà tale conferma, questo sarà l’importo che la Commissione in effetti si aspetta a titolo di impegno.
La seconda parte della sua interrogazione verte sul periodo di ammissibilità di pagamenti e stanziamenti di impegno. Come è noto, per il periodo di programmazione 2000-2006 il periodo di ammissibilità scade il 31 dicembre 2008. In linea teorica, e vorrei sottolinearlo, gli stanziamenti sono possibili per l’intero periodo di ammissibilità, vale a dire fino al 2008. Tuttavia, gli stanziamenti dovrebbero essere decisi abbastanza presto, in modo da permettere ai beneficiari finali di attuare iniziative e progetti e di effettuare i pagamenti prima della scadenza finale per l’ammissibilità delle spese, che è la fine del 2008. Effettueremo la chiusura delle spese per tutti gli Stati membri in base alle prospettive finanziarie esistenti il 31 dicembre 2008, ad eccezione dei programmi e delle misure che rientrano negli aiuti di Stato. Ai sensi della normativa il termine per l’ammissibilità è fissato al 30 aprile 2009.
Desidero inoltre comunicarvi che, in base alle nostre analisi giuridiche e alle informazioni di cui è in possesso la Commissione, non possono esserci deroghe ai termini dell’eventuale data finale dell’ammissibilità, vale a dire la fine del 2008 o aprile 2009. La data finale è pertanto fine 2008 o aprile 2009. Le cose stanno così.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), autore. – (EL) Signor Presidente, signora Commissario, consentitemi di chiedere ancora qualcosa.
Dato che l’accettazione delle richieste di esenzione ha fatto scivolare la pressione sui prossimi anni, vorrei che la Commissione mi dicesse come sono stati definiti gli obblighi per la Grecia per gli anni 2006-2007 e qual è la previsione della Commissione, se esiste, per l’applicazione della regola “n+2” per questi due anni.
Danuta Hübner, Membro della Commissione. – (EN) Con questo genere di domande è troppo rischioso cercare di rispondere senza aver effettuato i debiti controlli e avere una preparazione adeguata, mi impegno pertanto a cercare di rispondere quanto prima nei prossimi giorni e a ritornare con una valutazione della situazione attuale della Grecia in relazione ai pagamenti e agli stanziamenti di impegno.
Presidente. Le interrogazioni dalla n. 48 alla n. 59 riceveranno risposta per iscritto.
Presidente. – Poiché vertono sullo stesso argomento, annuncio congiuntamente l’
interrogazione n. 60 dell’onorevole Bernd Posselt (H-0210/06)
Oggetto: Introduzione dell’euro nei dieci nuovi Stati membri
Può la Commissione esprimere una valutazione sull’attuale stato dei preparativi e sul calendario per l’introduzione dell’euro nei dieci Stati membri che il 1° maggio 2004 hanno aderito all’UE?
e l’interrogazione n. 61 dell’onorevole Justas Vincas Paleckis (H-0222/06)
Oggetto: Adesione dei nuovi Stati membri dell’UE alla zona euro
Secondo opinioni espresse sulla stampa e nelle dichiarazioni ufficiali, lo stato di preparazione dei nuovi Stati membri dell’UE all’introduzione dell’euro verrà valutato non solo considerando i criteri di Maastricht, ma anche il livello di sviluppo economico generale del paese. In concreto è stato annunciato che la Slovenia, avendo un PIL per abitante più elevato rispetto a quelli della Lituania e dell’Estonia, può essere invitata ad unirsi alla zona euro, mentre questi due ultimi paesi non verranno presi in considerazione sebbene, calcolando il livello d’inflazione, soddisfino i criteri di Maastricht.
Può la Commissione comunicare se tali dichiarazioni sono fondate? Potrebbe indicare chiaramente che la decisione relativa all’adesione dei nuovi Stati membri alla zona euro sarà basata solo sui criteri di Maastricht e non su altri?
Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Rispondo alla prima domanda dell’onorevole Posselt dicendo che l’Estonia, la Lituania e la Slovenia hanno fissato il 1° gennaio 2007 come data obiettivo per l’adozione dell’euro; Cipro, la Lettonia e Malta intendono adottare l’euro a partire dal 1° gennaio 2008; la Slovacchia prevede il 1°gennaio 2009; la Repubblica ceca e l’Ungheria aspirano ad aderire alla zona euro nel 2010 e la Polonia non ha fissato nessuna data obiettivo.
Almeno ogni due anni, o su richiesta di uno Stato membro, la Commissione e la Banca centrale europea devono informare il Consiglio sui progressi realizzati dagli Stati membri nel rispetto dell’obbligo di diventare membri a pieno titolo dell’Unione economica e monetaria.
Nel febbraio del 2006 la Commissione, di comune accordo con la Banca centrale europea, ha annunciato che la prossima relazione sulla convergenza, riguardante tutti gli Stati che non fanno parte della zona euro, ad eccezione dei due che godono della clausola di opt-out, Regno Unito e Danimarca, sarà pubblicata nell’ottobre 2006, cioè due anni dopo la valutazione precedente. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 122 del Trattato, due Stati membri, la Slovenia e la Lituania, si sono rivolti alla Commissione e alla Banca centrale europea chiedendo una relazione specifica sui progressi da loro realizzati in materia di convergenza; la Commissione e la Banca centrale europea intendono adottare la relazione su entrambi questi Stati membri il 16 maggio 2006.
Se la valutazione del rispetto dei criteri di convergenza economici e giuridici fosse positiva, la Commissione presenterebbe la relativa proposta e, previa consultazione di questo Parlamento, a metà giugno il Consiglio europeo potrà analizzare e adottare, se del caso, una decisione per cui la proposta definitiva di deroga potrà essere discussa dal Consiglio ECOFIN dell’11 luglio.
Indipendentemente da questo processo, ovviamente la Commissione mantiene contatti regolari con tutti gli Stati che aspirano ad aderire all’euro, li seguiamo molto attentamente e collaboriamo con loro per i preparativi concreti di questa importante decisione.
(ES) Per rispondere alla domanda dell’onorevole Paleckis devo dire che la Commissione applicherà certamente il principio della parità di trattamento quando dovrà valutare i progressi compiuti dai dieci nuovi Stati membri in materia di convergenza economica e giuridica. I paesi, come ho appena detto, saranno valutati in base alla procedura e ai criteri previsti dal Trattato, in particolare l’articolo 122, e, come è logico, la Commissione non intende modificare questa procedura né introdurre nuovi criteri.
Per quanto riguarda il criterio dell’inflazione, il Trattato prevede, come gli onorevoli sanno, l’obbligo per lo Stato membro interessato di mantenere un andamento dei prezzi sostenibile e un tasso medio di inflazione che non superi di più di 1,5 punti percentuali il tasso dei tre Stati membri con i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi. La Commissione intende applicare con rigore questo criterio in futuro, così come ha fatto in passato.
Bernd Posselt (PPE-DE), autore. – (DE) Signor Presidente, sono grato al Commissario per la risposta precisa. Tuttavia, se mi posso permettere, ha parlato così rapidamente all’inizio che l’interpretazione in tedesco era praticamente incomprensibile. Vorrei, dunque, verificare di avere capito correttamente che gli ultimi due di questi dieci Stati membri, ovvero la Repubblica ceca e l’Ungheria aderiranno nel 2010. Vorrei chiedere al Commissario se tutte le azioni sono state completate o se ci sono Stati membri che hanno richiesto un rinvio dopo il 2010?
Justas Vincas Paleckis (PSE), autore. – (LT) La ringrazio per avere risposto alla mia domanda. I criteri di Maastricht vengono rigorosamente applicati a quei paesi che si sono candidati all’adesione alla zona euro. La Lituania non può essere accolta nella zona euro, sebbene attualmente superi il criterio dell’inflazione solo dello 0,1 per cento. La Lituania ha rispettato questo criterio negli ultimi sei anni, come hanno fatto anche altri. Nell’attuale zona euro molti membri stanno violando uno o l’altro dei criteri di Maastricht. Ad esempio, alcuni grandi paesi per molti anni non hanno rispettato il criterio del deficit di bilancio e non hanno mai ricevuto il cartellino rosso; lo stesso vale per l’inflazione e altri criteri. L’applicazione di due pesi e due misure non è forse una discriminazione contro i nuovi Stati membri?
Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Innanzitutto risponderò all’onorevole Posselt cercando di non parlare troppo rapidamente.
Gli obiettivi che ha citato, in merito al momento in cui gli Stati membri desiderano adottare l’euro, sono date fissate dagli stessi Stati membri.
A suo tempo i primi tre, Estonia, Lituania e Slovenia, avevano annunciato il desiderio di aderire alla zona euro nel 2007. Da parte sua l’Ungheria, come lei ha detto, ha fissato come data obiettivo il 2010.
L’unico paese che non ha stabilito nessuna data obiettivo – come ho detto prima – è la Polonia.
Questa è una condizione necessaria, ma non sufficiente. La condizione sufficiente è che, nella valutazione della Commissione e della Banca centrale europea, relativamente ai criteri previsti dal Trattato, gli Stati membri che vogliono entrare nella zona euro rispettino tali criteri.
Entrambe le parti devono dare prova di volontà: gli Stati membri e, in ultima istanza, il Consiglio, su proposta della Commissione, previa valutazione positiva del rispetto dei criteri da parte di quest’ultima e della Banca centrale europea. Questa è la situazione.
Nel caso della Polonia, che è l’unico dei nuovi Stati membri a non aver fissato una data obiettivo per aderire all’euro, — anche la Svezia si trova in questa situazione, dopo l’esito negativo del referendum del 2003 —, la Commissione ricorda che è dovere degli Stati membri — a meno che non ottengano la clausola di opt-out, come è successo solo per il Regno Unito e la Danimarca — candidarsi all’adesione alla zona euro, ed è nostro dovere e responsabilità verificare il rispetto dei requisiti.
Non posso anticipare all’onorevole Paleckis quale sarà il contenuto della relazione che la Commissione adotterà il 16 maggio, e ancora meno posso anticipare quale possa essere il contenuto della relazione della Banca centrale europea, per ovvi motivi. Ripeto, invece, all’onorevole deputato — e l’ho detto in molte occasioni — che la Commissione valuterà il rispetto dei criteri così come sono stati definiti nel Trattato.
Fissare questi criteri non è un capriccio della Commissione. E’ una disposizione del Trattato ed è nostro obbligo garantire il rispetto del Trattato, e ripeto che effettueremo la valutazione nello stesso modo per tutti, senza applicare due pesi e due misure.
Quindi, in sintesi rispetto del Trattato, valutazione chiara e rigorosa del rispetto dei criteri e parità di trattamento per tutti.
Potrò informare lei e tutti i deputati in merito alla conclusione di questa analisi il 16 maggio.
Gábor Harangozó (PSE). – (HU) I nuovi Stati membri devono rispettare i criteri di convergenza per poter adottare l’euro. Per garantire la conformità ai criteri di convergenza la Commissione e il Consiglio stanno formulando varie proposte per questi Stati membri. La mia domanda è la seguente: uno Stato membro può seguire una politica economica che ignori le proposte del Consiglio e della Commissione, e se lo fa, che rischi corre?
Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, in generale, per tutti gli Stati membri che godono della deroga, che non hanno ancora aderito all’euro, ma con l’obbligo di farlo in futuro, la valutazione l’abbiamo effettuata nell’ottobre del 2004 e la ripeteremo nell’ottobre del 2006. Per i due Stati membri che hanno presentato una richiesta specifica di essere valutati – secondo il Trattato ne hanno diritto – ovvero per la Slovenia e la Lituania, la nostra valutazione, specifica per ognuno di essi, sarà realizzata il 16 maggio. Non posso anticipare l’esito di una relazione che sarà adottata dal Collegio dei Commissari il 16 maggio.
Il 16 maggio nel pomeriggio, se lo desiderate, verrò al Parlamento per spiegarvi il contenuto della relazione, ma oggi non posso anticiparlo.
Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, il Commissario ha già menzionato uno dei problemi. Stiamo discutendo di quanto seriamente i nuovi Stati membri stanno ottemperando agli impegni assunti, ma non stiamo discutendo a fondo come uno Stato membro che da tempo soddisfa i criteri, ma manifestamente non auspica di aderire alla zona euro, cioè la Svezia, vede il proprio futuro. Si tratta di capire se il caso della Svezia può costituire un esempio negativo per gli altri, nella fattispecie per i nuovi Stati membri. La Commissione ha citato un nuovo Stato membro che non ha ancora comunicato la data. Se non si impongono sanzioni, ciò non costituirà un precedente negativo?
Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Sono d’accordo con l’onorevole deputato sul fatto che ci troviamo di fronte a un problema, perché c’è uno Stato membro che ha indetto un referendum, che ha avuto esito negativo, e, sulla base di questo risultato negativo, non può o non vuole o non si preoccupa di ottemperare a un obbligo che, in quanto Stato membro, lo riguarda.
Dobbiamo vedere come risolvere la questione. Per prudenza la Commissione non l’ha voluto fare nei momenti immediatamente successivi al referendum. L’obbligo della Commissione di rispettare il Trattato deve andare di pari passo con la necessità di tenere conto dell’opinione espressa dai cittadini di questo Stato membro, però non ho dimenticato che la Commissione deve avviare i colloqui con la Svezia per vedere come in futuro questo paese rispetterà i suoi obblighi in qualità di membro dell’Unione europea.
Lo stesso sta succedendo con la Polonia che, a suo tempo, aveva indicato come obiettivo per aderire all’euro un anno preciso. Le nuove autorità polacche annunciano di non accettare l’obiettivo fissato dai loro predecessori e che, per il momento, non definiscono nessun obiettivo futuro. Io ho già avuto modo di ricordare al nuovo governo polacco che lo dovrà fare.
Non vogliamo esercitare pressioni, ma non possiamo dimenticare che si tratta di un obbligo per gli Stati membri. Come ho detto prima, dobbiamo combinare l’esercizio delle nostre responsabilità con la prudenza politica e poi, come ho già dichiarato pubblicamente in altre occasioni, non si può convocare un referendum sul rispetto di un dovere cui i 25 paesi che fanno parte dell’Unione europea, in quanto Stati membri, sono soggetti.
In questo contesto ci sono due Stati ai quali si applica una deroga, il Regno Unito e la Danimarca, ma in generale gli obblighi degli Stati membri non possono essere oggetto di un referendum, né i 23 Stati che non godono della clausola di opt-out dovrebbero farlo, perché non si può mettere ai voti il rispetto o meno di un Trattato.
Danutė Budreikaitė (ALDE). – (LT) Signor Commissario, avrei una domanda sull’inflazione. Come sappiamo, l’inflazione negli undici paesi che hanno aderito per primi all’unione economica e monetaria e che erano pronti per introdurre l’euro, supera l’indice da lungo tempo. Solo due paesi non hanno superato il limite massimo. Gli altri l’hanno superato per un periodo compreso tra dieci mesi e quasi sei anni, dalla fine del 1998 alla fine del 2005. La mia domanda è la seguente: stiamo applicando due pesi e due misure nei confronti dei nuovi Stati membri, e l’unione economica e monetaria è un’unione tecnica o è semplicemente un’unione politica?
Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, la Commissione ha il dovere di far rispettare il Trattato e do per scontato che, in precedenza, quando è stata creata la zona euro, o quando si è aggiunto il dodicesimo membro della zona euro, la Commissione e il Consiglio di allora, con il parere del Parlamento europeo, abbiano tenuto conto dell’obbligo di far rispettare il Trattato.
Pertanto, io, in qualità di Commissario, e la Commissione, presieduta dal Presidente Barroso, non veniamo meno al nostro obbligo di applicare i Trattati e di garantirne il rispetto. I criteri economici, incluso quello dell’inflazione, sono definiti in un protocollo allegato al Trattato, con valore giuridico equivalente, identico a quello delle disposizioni o degli articoli del Trattato. Non possiamo dunque ignorarlo né modificarlo.
E’ vero che esiste una discussione accademica sulla definizione dei criteri, ma la convocazione di una Conferenza intergovernativa e il processo di ratifica saranno la procedura per modificare i Trattati, quando ciò sarà ritenuto opportuno e quando ci sarà la maggioranza necessaria. Non spetta alla Commissione modificare i Trattati e ha l’obbligo di applicarli.
E’ vero che esiste un’asimmetria, perché esigiamo il rispetto dei criteri per aderire alla zona euro e poi, una volta entrati, si possono violare i criteri; una volta che si è membri della zona euro si può avere un’inflazione più alta, o un debito maggiore, o un deficit più alto. Nel caso del deficit e del debito, esistono le regole del rigore di bilancio – articolo 104 del Trattato – e il Patto di stabilità e di crescita e, nel caso dell’inflazione, non esistono regole, ma esistono norme che probabilmente sono più rigorose di quelle giuridiche di applicazione del Trattato: le leggi del mercato. Oggi ci sono paesi nella zona euro che, non essendo in grado di moderare l’andamento dell’inflazione e dei costi salariali unitari, stanno soffrendo notevolmente.
Credo che si debba anche tener conto della dura realtà di come i mercati giudicano quanti non rispettano determinate regole, oltre al dovere della Commissione di far rispettare le norme del Trattato.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 62 dell’onorevole Brian Crowley (H-0226/06):
Oggetto: Patto di stabilità e di crescita
E’ soddisfatta la Commissione del funzionamento del Patto di stabilità e di crescita o prevede di cambiare in futuro le norme che lo disciplinano?
Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Onorevole Crowley, il Patto di stabilità e di crescita riveduto è stato approvato dal Consiglio ECOFIN quasi un anno fa, nel giugno del 2005, previo accordo politico al Consiglio europeo di marzo dell’anno scorso.
Le prime esperienze con il Patto riveduto sono state positive, incoraggianti, e indicano che gli Stati membri hanno trovato un nuovo impegno nei confronti di questo quadro.
In tutti i recenti casi che sono stati trattati, quando la Commissione e il Consiglio hanno applicato le regole della procedura di deficit eccessivo, conformemente allo spirito e alla lettera del Patto riveduto, c’è stato consenso totale e non si sono verificate difficoltà né controversie politiche, come la volta precedente.
Per quanto concerne l’aspetto preventivo del Patto, l’esame dei programmi di stabilità e di convergenza del 2005 che abbiamo effettuato nei primi mesi del 2006 ha mostrato che gli Stati membri hanno fissato il loro obiettivo di bilancio a medio termine, nel rispetto dei principi pattuiti. Alcuni paesi hanno deciso anche di fissare obiettivi più ambiziosi, che rispecchino una strategia nazionale volta a garantire una migliore sostenibilità delle finanze pubbliche. Per quanto riguarda gli adeguamenti all’obiettivo a medio termine, gli Stati membri che non si trovano ancora in questa situazione di equilibrio a medio termine in generale soddisfano il criterio di compiere uno sforzo di bilancio ulteriore, pari ad almeno lo 0,5 per cento del prodotto interno lordo, in termini strutturali.
Per citare alcuni casi, vi ricordo che, dall’anno scorso, dall’approvazione del nuovo Patto fino ad oggi, la procedura di deficit eccessivo è stata applicata a Italia, Portogallo, Ungheria, Regno Unito e Germania, con l’unanimità in Consiglio e senza i problemi di accettazione politica che erano emersi nella fase precedente.
Per rispondere, quindi, alla sua domanda, la Commissione è soddisfatta del funzionamento del nuovo Patto.
Brian Crowley (UEN), autore. – (EN) La ringrazio, signor Commissario, per la risposta. Sulla sua ultima affermazione relativamente alle regole sul deficit pubblico eccessivo e il fatto che siano state avanzate proposte a Italia, Portogallo, Ungheria e Regno Unito, vorrei sapere che ne è di Francia e Germania? Entrambi questi paesi hanno un deficit pubblico ben oltre i limiti fissati dai criteri. In particolare, cosa ne dice del pericolo che questo atteggiamento può costituire per la fiducia nel Patto di stabilità sul mercato internazionale? Ciò è evidente soprattutto se guardiamo alle attuali difficoltà di riconoscimento dell’euro e dell’economia della zona euro negli Stati Uniti e nell’estremo Oriente, e al fatto che viene continuamente messa in discussione l’applicazione delle regole del Patto di stabilità e di crescita in queste regioni.
Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Onorevole Crowley, signor Presidente, alla Francia viene applicata la procedura di deficit eccessivo e il paese sta subendo la procedura prevista al paragrafo 7 dell’articolo 104 del Trattato. Nel rispetto degli obblighi di applicare le raccomandazioni del Consiglio nel quadro della procedura di deficit eccessivo, le autorità francesi avevano assunto l’impegno e l’obbligo di far rientrare il deficit pubblico nel 2005 al di sotto del 3 per cento. La settimana scorsa le autorità francesi hanno comunicato alla Commissione che il deficit pubblico alla fine del 2005 era inferiore al 3 per cento.
Nelle prossime tre settimane, da qui al 24 aprile, Eurostat dovrà analizzare le cifre notificate dalle autorità francesi e spiegherà se dette cifre, un deficit pari al 2,87 per cento, sono corrette. Se così fosse – e così mi auguro, anche se non posso anticipare la decisione di Eurostat –, la Francia nel 2005 avrebbe rispettato le raccomandazioni.
Il governo francese prevede anche per il 2006 un deficit inferiore al 3 per cento; la Commissione europea ne prende atto e si compiace delle intenzioni del governo francese, ma pubblicheremo le nostre previsioni economiche di primavera l’8 maggio. Fino ad allora non vi potrò anticipare come saranno le nostre previsioni per quest’anno, però, senza comunicarvi ora le valutazioni definitive, credo che la situazione finanziaria francese stia migliorando rispetto alle nostre previsioni di un anno fa, tra l’altro perché il governo francese e, in particolare, il ministro delle Finanze, Thierry Breton, si è assunto l’impegno politico – e per questo lo ringrazio, come ho avuto modo di fare pubblicamente l’altro giorno a Bruxelles – di rispettare il Patto di stabilità e di crescita.
Ciò dimostra come il rinnovato consenso per il nuovo Patto di stabilità e di crescita stia funzionando. Un anno fa, prima della revisione del Patto, sarebbe stato improbabile sentire i ministri francese, tedesco o italiano, per citare l’esempio delle tre principali economie della zona euro, assumersi più volte l’impegno politico di garantire la conformità dei conti pubblici con le raccomandazioni della Commissione e del Consiglio per l’applicazione del Patto di stabilità e di crescita.
Due anni fa sarebbe stato impossibile; un anno fa era difficile. Oggi è reale, è un impegno politico certo. Ciò però non significa che non ci siano ancora altre tappe difficili, perchè non dobbiamo accontentarci di un deficit del 2,8 per cento. L’Europa, l’Unione europea e le principali economie della zona euro devono continuare il loro consolidamento fiscale affinché i conti pubblici, nel medio periodo, si trovino in una situazione di equilibrio in termini strutturali per poter affrontare le importanti sfide che ci attendono in futuro, la prima delle quali è costituita dalle conseguenze dell’invecchiamento della popolazione.
Per quanto riguarda la moneta unica, la fiducia nell’economia della zona euro migliora di giorno in giorno e ci sono indici di fiducia, come l’indice tedesco IFO, che stanno battendo il record degli ultimi quindici anni. Ieri sono stati pubblicati i dati degli indicatori elaborati dalla Commissione, dai servizi di mia responsabilità che registrano i livelli di fiducia più alti degli ultimi cinque anni. Dalla precedente fase espansiva ad oggi non avevamo mai raggiunto livelli simili.
La nostra moneta si mantiene perfettamente stabile sui mercati dei cambi, e secondo alcuni settori economici è addirittura troppo apprezzata. L’euro viene utilizzato sui mercati finanziari, sui mercati del debito/obbligazionari e sui mercati dei capitali e valutari di portata mondiale in una proporzione superiore al peso relativo dell’economia della zona euro nell’economia mondiale. Credo, quindi, che dobbiamo essere vigili, ma soddisfatti dei successi che abbiamo realizzato nei primi sette anni di funzionamento dell’Unione economica e monetaria.
Piia-Noora Kauppi (PPE-DE). – (EN) L’introduzione della presidenza più lunga per la zona euro ha avuto ripercussioni concrete sul ruolo della Commissione di custode dei Trattati e custode del Patto di stabilità e di crescita? Quali sono gli effetti concreti della presidenza più lunga della zona euro?
Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Quando gli Stati membri della zona euro decisero di nominare un Presidente fisso dell’Eurogruppo io mi dichiarai molto soddisfatto. Ero convinto che un dialogo regolare, continuo, costante con il Presidente di questo organismo, che non fa parte della struttura del Consiglio, ma organizza dibattiti e ha responsabilità di fatto molto importanti, sarebbe stato una decisione efficace.
Quando ho saputo che il Presidente sarebbe stato Jean-Claude Juncker, la mia fiducia è stata confermata.
Ora posso dire che le relazioni con il Presidente dell’Eurogruppo sono eccellenti, i nostri contatti sono costanti e la preparazione delle riunioni è migliorata notevolmente. Credo che il ruolo che svolge all’esterno, esprimendo la voce, i criteri e le posizioni dei paesi della zona euro, sia molto apprezzato. Mi esprimo senz’altro in modo positivo sull’istituzione, sulla sua creazione, sulla persona che la rappresenta e sull’esercizio delle funzioni di questa istituzione e del suo Presidente.
Penso che le esigenze della zona euro in termini di coordinamento della politica economica siano evidenti. Prima si citava il problema di alcune economie della zona euro, ad esempio nel momento di far fronte a perdite di competitività a causa di un aumento superiore alla media dei costi salariali unitari. Esistono problemi di inflazione degli attivi di alcune economie della zona euro, c’è un’evidente necessità di migliorare il dialogo tra l’Eurogruppo e il Presidente della Banca centrale europea. Tutte queste funzioni le sta svolgendo l’Eurogruppo, e ciò in buona parte grazie a una direzione dei lavori dell’Eurogruppo intelligente ed efficace da parte del Presidente Juncker.
Gay Mitchell (PPE-DE). – (EN) Vorrei chiedere al Commissario che livello di discussioni ha avuto con gli Stati membri della zona euro relativamente alla loro prestazione effettiva e potenziale. Nel caso dell’Irlanda, ad esempio, l’inflazione degli attivi, l’indice dei prezzi delle abitazioni, a febbraio è aumentato dell’1,5 per cento. Ormai da qualche tempo abbiamo l’inflazione a due cifre nel settore immobiliare e sembra che la situazione rimarrà tale. Se si registra un atterraggio duro nell’edilizia, ciò ha ripercussioni sulle entrate, sui sussidi di disoccupazione e quindi sul reddito, e ha ripercussioni sulla fiducia dei consumatori. Ha discusso della questione con il governo irlandese, e in che misura la Commissione ha considerato le ripercussioni di un eventuale atterraggio duro per un membro della zona euro?
Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) E’ ovvio che discuto dell’evoluzione dell’economia della zona euro, non solo della zona euro, ma anche di tutta l’Unione europea. Però, in particolare, visto che la sua domanda riguarda la zona euro, discuto dell’economia della zona euro a livello bilaterale con i vari ministri e con il Presidente della Banca centrale europea e, a livello collettivo, una volta al mese alle riunioni dell’Eurogruppo.
In gran parte delle riunioni dell’Eurogruppo c’è un punto dedicato all’analisi della situazione economica. A volte analizziamo la situazione economica a livello generale, a volte esaminiamo un aspetto concreto di questa evoluzione economica.
Per quanto riguarda l’inflazione, il responsabile del mantenimento dell’inflazione, in linea con gli obiettivi fissati dalla Banca centrale europea, è la Banca stessa, un’istituzione indipendente che ha ricevuto il mandato dalle altre Istituzioni europee, in virtù del Trattato, di mantenere la stabilità dei prezzi e per decidere in totale indipendenza, ma creando un dialogo con le altre istituzioni.
Il Presidente della Banca centrale europea partecipa ogni mese alle riunioni dell’Eurogruppo. Allo stesso modo il Presidente dell’Eurogruppo e il Commissario responsabile delle questioni economiche sono invitati a partecipare, senza diritto di voto, alle riunioni del consiglio di amministrazione della Banca centrale europea, e noi accettiamo questi inviti.
In particolare, per quanto riguarda le abitazioni, all’ultima riunione dell’Eurogruppo, svoltasi a Bruxelles a marzo, abbiamo parlato, in uno dei punti, della situazione dei mercati immobiliari, che non è la stessa in tutti i paesi dell’euro. Alcuni paesi hanno un problema di inflazione degli attivi immobiliari mentre altri sono nella situazione opposta e hanno raggiunto una stabilità totale, se non addirittura un calo dei prezzi delle abitazioni e di altri attivi immobiliari negli ultimi anni.
Questa discrepanza interna alla zona euro sui prezzi degli attivi immobiliari crea problemi perché, per definizione, la politica monetaria può essere una sola nella zona euro, e gli impatti sono diversi. Abbiamo affrontato la questione. La Commissione europea si è impegnata a presentare nuove analisi e nuove considerazioni all’Eurogruppo il mese prossimo. Se lei è particolarmente interessato alla nostra analisi dell’inflazione degli attivi nel settore immobiliare di alcuni paesi della zona euro, le invierò l’ultima relazione trimestrale sull’economia della zona euro, pubblicata qualche giorno fa dai servizi della Commissione sotto la mia responsabilità.
Presidente. Le interrogazioni non esaminate per mancanza di tempo riceveranno risposta per iscritto (cfr. Allegato)
Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni rivolte alla Commissione.
(La seduta sospesa alle 19.45, riprende alle 21.05)
15. Programma “Cittadini per l’Europa” (2007-2013) (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0076/2006), presentata dall’onorevole Takkula a nome della commissione per la cultura e l’istruzione, sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce, per il periodo 2007-2013, il programma “Cittadini per l’Europa” mirante a promuovere la cittadinanza europea attiva [COM(2005)0116 – C6-0101/2005 – 2005/0041(COD)].
Hannu Takkula (ALDE), relatore. – (FI) Signor Presidente, vorrei iniziare a presentare la mia relazione ringraziando tutti coloro che hanno partecipato a questo lavoro. La commissione competente ha cominciato a occuparsi della questione un anno fa e, dopo aver presentato la proposta al Parlamento il 6 aprile 2005, all’inizio di maggio ha iniziato a discuterla. Da allora sono stati presentati pareri dalla commissione per i bilanci, in seno alla quale l’onorevole Neena Gill ha svolto un egregio lavoro, e dalla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, al cui interno il collega Giusto Catania ha a sua volta apportato un ottimo contributo. Anche la commissione per gli affari costituzionali ha presentato una dichiarazione sull’argomento, elaborata dall’onorevole Maria da Assunção Esteves. A tutti loro vanno i miei ringraziamenti per gli ottimi e competenti pareri espressi.
Posso dire che quest’anno siamo stati molto impegnati e desidero anche ringraziare tutti i relatori ombra e i determinati membri femminili – e maschili – della commissione, che mi hanno aiutato in questo lavoro, e tutti coloro che ne sono stati coinvolti. Siamo ora arrivati al momento della votazione, che si terrà domani, e pertanto pensavo di spendere qualche altra parola su questa relazione.
Il documento contiene quattro azioni. La prima è “Cittadini attivi per l’Europa”, che comprende il programma sul gemellaggio di città e che ha ormai ricevuto molta pubblicità e riscontri favorevoli attraverso il programma esistente. Anche i progetti dei cittadini figurano nell’azione 1. Attraverso l’azione 2, “Una società civile attiva in Europa”, si intende fornire sostegno strutturale ai gruppi di riflessione e alle organizzazioni della società civile dell’Unione europea nonché sostenere i progetti della società civile. Anche questa è un’azione molto importante. L’azione 3 è “Insieme per l’Europa”: eventi di grande visibilità, studi, diffusione e informazione. L’azione 4 è “Memoria europea attiva”.
Scopo specifico di questo programma era raggiungere quegli europei che, per un motivo o per l’altro, non sono ancora riusciti a prendere parte all’agenda europea. Come sappiamo, attualmente vi sono persone che per qualche ragione hanno sentito loro estranea la questione dell’Europa, e l’Europa ha addirittura assistito a una crescente esclusione. Attraverso questo programma abbiamo cercato di individuare tali persone e di creare un programma adatto a loro affinché anch’esse potessero provare cosa significa agire insieme, capire cosa s’intende per identità europea e come si può rafforzare la comune identità europea.
Sia le ultime elezioni al Parlamento europeo sia i risultati dei referendum dimostrano che sono troppo poche le persone che si interessano a questioni che ci riguardano tutti. Come sappiamo, è importante rafforzare l’identità europea ed è importante incrementare le attività che vedono il coinvolgimento di tutte le nazioni dell’Europa, offrendo così a ciascuno la possibilità di partecipare. In sintesi, nel nostro lavoro siamo partiti dal presupposto che non fosse necessario un programma elitario, bensì un programma che rispondesse alle esigenze di tutti gli europei. Forse qualcuno lo riterrà una sorta di mosaico o criticherà l’inclusione di molte questioni di diverso grado di importanza all’interno dello stesso programma, ma se lo abbiamo concepito in questo modo è proprio perché potesse andare a sovrapporsi ad alcuni programmi esistenti e offrire davvero a tutti gli europei l’opportunità di partecipare all’Europa.
A quanto pare, ora, nonostante la pressoché totale unanimità della commissione (due sole astensioni e il resto dei voti a favore del programma), nella seduta di domani verranno presentati alcuni emendamenti che si riferiscono principalmente all’azione 4, la memoria attiva, nonché ad organizzazioni che sono già menzionate in questo programma. Per quanto riguarda tali organizzazioni, vorrei dire quanto segue: spero che questa parte del programma sulla memoria attiva ci aiuterà ad attenerci all’obiettivo originale di sostenere i siti dedicati alla memoria delle vittime del nazismo e dello stalinismo, perché l’impatto di questi regimi totalitari ha interessato l’Europa intera e non si è limitato a un unico paese. A tale proposito, desidero ringraziare l’onorevole Marianne Mikko in particolare, poiché è stata lei a insistere affinché l’elemento stalinista venisse incluso nel testo.
Al riguardo devo dire che mi auguro che rispetteremo i pareri espressi sulla questione. Spero inoltre che le osservazioni aggiuntive che sono state formulate dal gruppo socialista al Parlamento europeo, dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei e dal Gruppo Verde/Alleanza libera per l’Europa in merito a queste nuove organizzazioni, le Case d’Europa, l’Istituto per la politica europea di Berlino e il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli, possano essere adottate quale parte di questo programma. Purtroppo, il tempo a disposizione è molto poco e ho superato il mio, per cui non posso dilungarmi oltre, ma vi ringrazio per tutto il sostegno che mi avete dato. Spero che l’esito della votazione sia quello da noi auspicato in seno alla commissione.
(Applausi)
Ján Figeľ, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, è trascorso un anno da quando abbiamo proposto questo importante programma volto a promuovere la cittadinanza europea. Domani voterete sulla relazione, che rispecchia l’immensa mole di lavoro svolto da allora e che costituisce un importante passo avanti verso l’adozione della nuova generazione di programmi.
Desidero ringraziare tutte le commissioni coinvolte, in particolare la commissione per la cultura e l’istruzione e il suo relatore, onorevole Takkula, per gli sforzi compiuti, sintesi di determinazione e modernizzazione.
Questo equilibrio trova riscontro nella relazione, che dimostra come la commissione condivida le stesse preoccupazioni dell’Esecutivo in merito alla necessità di promuovere la partecipazione attiva dei cittadini nella costruzione di un’Europa comune.
La proposta poggia sulla convinzione che il rafforzamento della cittadinanza attiva a livello europeo sia strettamente collegato allo sviluppo di un senso di appartenenza all’Unione europea e di un’identità europea, che è complementare ad altre identità: nazionale, regionale e locale. Valori comuni, storia e cultura, con tutta la sua diversità, saranno dunque i cardini del programma.
La commissione parlamentare ha adottato diversi emendamenti che arricchiscono la nostra proposta con riferimenti ai valori europei. Rilevo con piacere che la relazione ha accolto la proposta della Commissione sulle varie azioni di questo programma, assicurando continuità alle attività che si sono rivelate proficue e garantendo l’introduzione di progetti e metodi innovativi per la partecipazione dei cittadini. Sono lieto che la relazione proponga di integrare una quarta nuova azione finalizzata a fornire sostegno alla commemorazione delle vittime del nazismo e dello stalinismo, conformemente a quanto stabilito dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione a novembre.
Vorrei ora affrontare la questione dei beneficiari designati. La Commissione ha proposto un elenco limitato di sei organizzazioni designate in virtù della loro unicità sulla scena europea. Tre di loro celebrano la memoria o continuano il lavoro dei padri fondatori, mentre le altre tre sono organizzazioni ombrello paneuropee. Tutte ricevono da molti anni il sostegno delle Istituzioni europee. Tutte contribuiscono agli obiettivi di questo programma. Sono lieto che la commissione parlamentare abbia condiviso la nostra filosofia e confermato le scelte da noi effettuate, proponendo di aggiungere un’ulteriore organizzazione: le Case d’Europa. Questa organizzazione presenta tutte le caratteristiche precedentemente menzionate. Questa rete paneuropea di organizzazioni locali è volta a coinvolgere i cittadini nella costruzione dell’Europa. Ho quindi il piacere di comunicarvi che la Commissione può accogliere questo emendamento, purché non implichi l’ammissibilità di altre organizzazioni a questa designazione.
Vorrei infine soffermarmi sulla questione del volontariato, citato nella proposta come esempio della sfera d’interesse di questo programma. Un emendamento della commissione parlamentare ha proposto di eliminare tale riferimento. A nostro avviso, tuttavia, il volontariato è un utile strumento per lo sviluppo della coesione sociale e dell’impegno nei confronti della società e occorre dunque dedicargli una particolare attenzione nell’ambito del programma.
In breve, erano questi i punti principali su cui volevo richiamare la vostra attenzione. Come avrete constatato, sono molti gli aspetti su cui i nostri pareri coincidono. Vorrei ribadire l’importanza di continuare la nostra costruttiva cooperazione, a prescindere dalle incertezze attuali sulle questioni finanziarie connesse a questo programma. Nell’interesse dei cittadini, dobbiamo fare tutto il possibile per giungere quanto prima a un accordo che ci permetta di prepararci all’attuazione di questo programma entro gennaio 2007. Il vostro voto invierà un segnale importante ai cittadini europei, poiché verrà compiuto un altro importante passo avanti verso un’Europa per i cittadini.
Neena Gill (PSE), relatore per parere della commissione per i bilanci. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare l’onorevole Takkula per la sua relazione. Questo è un programma fondamentale, che si chiami “Cittadini per l’Europa” o “Europa per i cittadini”. L’ultima volta che abbiamo interpellato i cittadini europei al riguardo nel 1992, la metà degli intervistati aveva risposto di non essersi mai sentita europea. Penso che questa percentuale sia probabilmente scesa nel tempo, ma non nella misura da noi auspicata. Tuttavia, a prescindere dal sentirci tali o meno, noi siamo cittadini europei e condividiamo i diritti e i privilegi che la cittadinanza UE comporta. Questo programma è volto a sensibilizzare i cittadini e a farli sentire fieri della loro cittadinanza europea.
E’ tuttavia importante ricordare che abbiamo già investito in programmi analoghi finalizzati al coinvolgimento dei cittadini. Purtroppo la strategia adottata dalla Commissione in quest’ambito è stata frammentaria e confusa. La domanda che vorrei quindi rivolgere alla Commissione è la seguente: può garantire che questo non sarà solo l’ennesimo programma? Farà davvero la differenza? Si allaccerà ad altre azioni inserendosi in una strategia coerente e onnicomprensiva? Lo spero vivamente, ma vorrei che la Commissione spiegasse come intende agire affinché questo accada.
Parlando a nome della commissione per i bilanci, temo che le ambizioni non siano sostenute dalle risorse necessarie. Ancora una volta, dunque, suscitiamo aspettative per poi deluderle. Posso capire tutti i colleghi che nell’ambito di questo programma vorrebbero venissero affrontate le questioni che stanno loro maggiormente a cuore, ma ritengo che i fondi ad esso destinati siano tutt’altro che adeguati e dobbiamo quindi esaminare attentamente alcuni degli emendamenti presentati.
Desidero congratularmi con il relatore per aver prestato particolare attenzione alla società civile organizzata a livello locale, compresi i disabili, tuttavia mi rammarico che non si sia insistito abbastanza per convincere la Commissione a fare di più per raggiungere i gruppi più svantaggiati.
Infine, auguro a questo programma tutto il successo possibile e spero che le questioni sollevate dalla commissione per i bilanci in materia di controllo e valutazione vengano prese in considerazione.
Giusto Catania (GUE/NGL), relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il tema della cittadinanza costituisce un punto centrale per il rilancio del progetto politico dell’Unione europea.
Non esistono scorciatoie per rilanciare il ruolo dell’Europa su scala globale, bisogna costruire un processo costituente reale, evitando i tentativi di resuscitare un trattato costituzionale già morto e cancellato dalla volontà popolare. E’ necessario costruire una società interculturale, valorizzando l’identità meticcia dell’Europa e, soprattutto, favorire l’integrazione dei migranti e l’estensione dei diritti di cittadinanza.
Per questa ragione pensiamo anche che la cittadinanza europea debba essere un concetto fortemente legato alla residenza, con l’obiettivo esplicito di favorire l’inclusione. A tal proposito, riteniamo che il programma “Cittadini per l’Europa” possa essere uno strumento utile e valido per la promozione dei diritti di cittadinanza europea, diritti che dovrebbero essere sempre più sganciati dalle istanze nazionali.
Le azioni del programma sono condivisibili, in particolare mi riferisco ai progetti di gemellaggio tra le città e alla memoria europea attiva. Su questo punto, però, credo che occorra essere chiari. Il ventesimo secolo è stato un secolo di guerre e di regimi autoritari e tante sono state le vittime delle deportazioni e degli stermini di massa compiuti dai regimi nazisti e dagli stalinisti. Tuttavia la storia del ’900 europeo non può essere commemorata senza ricordare le vittime dei regimi fascisti: in Italia per un ventennio i fascisti hanno privato uomini e donne della libertà e tra il regime italiano e il nazismo ci sono molti legami.
Solo recentemente Spagna, Portogallo e Grecia hanno riconquistato la democrazia e la libertà. L’antifascismo è un valore europeo e non può essere limitato a un fatto nazionale, e per questo riteniamo che sia utile ricordare oggi le vittime del fascismo per evitare che simili vicende possano ripetersi. Ancora oggi in Europa ci sono gruppi neofascisti che si nutrono di xenofobia, di omofobia, di islamofobia e di antisemitismo.
Sarebbe drammatico e pericoloso per la promozione della cittadinanza e per la comune identità europea cancellare dal programma le vittime di tali regimi autoritari. Per questo motivo auspichiamo che vengano approvati gli emendamenti 62 e 63.
Maria da Assunção Esteves (PPE-DE), relatore per parere della commissione per gli affari costituzionali. – (PT) L’identità europea viene definita come il punto in cui i valori universali della dignità umana si coniugano con una serie di tradizioni separate. Questa identità, che in ultima analisi è solo un altro modo di vivere, viene incoraggiata dal programma “Cittadini per l’Europa” di cui discutiamo oggi.
Il programma promuove una consapevolezza etica del mondo, che è l’espressione più profonda della cittadinanza europea. Il programma spiana la strada a un modello politico di cooperazione tra i cittadini e le Istituzioni europee, che contribuirà a stimolare la partecipazione dei cittadini al processo politico europeo. Per questo il programma riveste un’importanza fondamentale. L’Europa ha ora il compito di diventare politica e di smettere di essere un mercato per divenire un’area pubblica di dibattito.
Questo slancio verso la cittadinanza europea, tuttavia, costituisce una grande sfida per le Istituzioni. Una politica basata sulla cittadinanza esige inoltre che le Istituzioni comunitarie diventino più politiche. La questione della cittadinanza europea verte essenzialmente sul modo in cui le Istituzioni promuovono l’interesse dei cittadini riguardo alla politica europea.
In Europa sono evidentemente necessarie una riforma istituzionale e nuove regole in grado di attrarre e responsabilizzare il pubblico europeo. E’ inoltre evidente che deve esistere un catalizzatore politico capace di attrarre una sfera pubblica europea. Affinché questo accada, però, l’Europa deve essere più politica in tutte le sue strutture, in termini di cittadini, partiti e relazioni tra le Istituzioni. Forse il dibattito pubblico europeo aspetta solo di essere avviato. Forse il dibattito pubblico europeo è solo in attesa di un momento costituente e di una Costituzione.
Rolf Berend, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, attualmente l’Unione europea sta davvero attraversando un brutto momento. Dopo la reiezione del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, i cittadini europei sono diventati sempre più scettici nei confronti delle Istituzioni comunitarie e del rapido allargamento dell’UE. Il programma “Cittadini per l’Europa” è volto a promuovere la cittadinanza europea attiva e a ridurre il sentimento di insoddisfazione e disaffezione dei cittadini.
Il mio gruppo sostiene attivamente i principali obiettivi del programma: promuovere i valori e le realizzazioni dell’Europa, preservandone la diversità culturale, al fine di favorire la coesione tra gli europei. Questo programma è uno strumento che potrebbe aiutare l’UE a realizzare tali obiettivi, attraverso gemellaggi di città, progetti dei cittadini, creazione di reti europee nel settore della società civile e centri di formazione per adulti.
Inoltre, come abbiamo sentito, a questo proposito non va sottovalutata l’importanza della “memoria europea attiva”, ossia la tutela dei luoghi della memoria correlati alle deportazioni e agli stermini di massa del nazismo e dello stalinismo. I luoghi della memoria dedicati alle vittime dei crimini perpetrati da questi regimi totalitari, dal cui impatto è stata interessata l’Europa intera, sono stati inseriti nel programma e riceveranno finanziamenti; entrambe le decisioni godono del sostegno del mio gruppo.
Il bilancio totale proposto per il programma è di 235 milioni di euro nel quadro delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013. Alla luce degli ambiziosi obiettivi di “Cittadini per l’Europa”, tale importo ovviamente non rispecchia l’effettiva importanza del programma in quanto strumento volto a sensibilizzare i cittadini sulla loro identità europea e sui valori comuni, da un lato, nonché a rafforzare e sostenere l’integrazione europea, dall’altro lato.
Emine Bozkurt, a nome del gruppo PSE. – (NL) Signor Presidente, la parola d’ordine deve essere innanzi tutto Europa per i cittadini, e non solo cittadini per l’Europa. Constato quindi con piacere che, nella relazione Takkula, da “Cittadini per l’Europa” il programma è diventato “Europa per i cittadini”.
Sono invece meno favorevolmente colpita dal modo in cui il Consiglio dell’Unione europea sbandiera l’importanza di coinvolgere i cittadini nell’Unione europea, ma poi ci liquida con una scusa quando si tratta di finanziare il programma “Europa per i cittadini”. La parsimonia del Consiglio non gli fa onore. Quel che è addirittura peggio è che ha reso particolarmente difficile la discussione sulla relazione Takkula, poiché quando parliamo di coinvolgere i cittadini nell’Unione europea intendiamo davvero tutti i cittadini. Tra questi figurano, ad esempio, quei cittadini europei che sono stati vittime di regimi dittatoriali e di conflitti interni in Europa, o i nuovi cittadini, gli immigranti e i cittadini di paesi terzi che risiedono in Europa da lunga data, nonché i cittadini di ogni età.
Se avessimo avuto a disposizione fondi sufficienti – ma così non è – avremmo sicuramente potuto finanziare un ampio ventaglio di progetti che avrebbero interessato tutti questi gruppi. Si dà il caso che possiamo finanziare solo un numero molto limitato di programmi. Per risparmiare una delusione a coloro che presentano le loro domande con entusiasmo, per poi vedersele respingere dalla Commissione, l’onorevole Takkula è stato abbastanza coraggioso da disilludere i cittadini già in questa fase, chiarendo nel modo più assoluto fin dall’inizio chi ha diritto a ricevere i finanziamenti e chi no. E’ una scelta comprensibile e, in generale, approvo questo metodo di lavoro.
Tuttavia, quando si tratta di ricordare le vittime delle dittature europee, questo approccio è doloroso e deplorevole. Le vittime di una dittatura sono forse più importanti di quelle di un’altra? Ovviamente no. Dobbiamo cercare di non dare questa impressione, anche a rischio che la Commissione si trovi a dover deludere i cittadini in un secondo momento. Per questo mi auguro che tutti sosterranno l’emendamento presentato dal gruppo socialista al Parlamento europeo, in cui esortiamo a ricordare le vittime di tutte le dittature europee. I cittadini europei non devono fare le spese delle iniziative economiche del Consiglio.
Non è ancora troppo tardi. La decisione finale sulle prospettive finanziarie verrà adottata prima che la relazione torni in quest’Aula per la seconda lettura. Vorrei rivolgere un appello urgente alle parti interessate affinché stanzino più finanziamenti per la cultura in generale e per il programma “Europa per i cittadini” in particolare. Senza cittadini l’Unione europea non vale nulla, come di fatto hanno dimostrato più volte il Consiglio, la Commissione e il Parlamento. Occorre dunque stanziare fondi, perché il programma offre molte opportunità, tra cui occasioni di gemellaggio di città, sostegno ai gruppi di riflessione e alle ONG, nonché la promozione di contatti tra cittadini europei, per esempio nei circoli sportivi. Sono tutte buone idee, ma se le buone idee non vengono sostenute da finanziamenti restano solo vuote promesse. Se l’Europa vuole essere a disposizione dei cittadini, non deve piantarli in asso adesso.
Karin Resetarits, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, sono particolarmente grata al relatore, onorevole Takkula, per il suo impegno, che va dritto al cuore dell’Unione europea.
Questa Europa deve stare a cuore ai cittadini; è questa l’idea di fondo su cui poggia il programma in esame. Occorre promuovere maggiormente la cittadinanza europea attiva. Si tratta di migliorare l’integrazione dei cittadini, poiché la maggior parte di loro respinge l’Europa e sa troppo poco di ideali, valori e obiettivi europei. L’UE è estranea alla maggioranza dei cittadini, che non la considerano la loro patria. La politica di integrazione europea sta fallendo. Per molti l’Europa è troppo sbilanciata, troppo complicata, troppo impenetrabile, troppo fredda. Per questo l’approccio del relatore, volto a suscitare interesse per l’Europa in aree che appassionano i cittadini, quali circoli sportivi, iniziative culturali e attività di svago, è molto fattibile.
Vorrei rivolgere oggi un appello in questa sede affinché venga organizzato un maggior numero di programmi televisivi in Eurovisione. Un concorso della canzone in Eurovisione all’anno non basta a dare ai cittadini una comprensione duratura della diversità di questo continente. Perché non organizzare un concorso Eurovisione del cinema, ad esempio, o concorsi Eurovisione di ballo, oppure un concorso per ottenere il titolo di “Idolo europeo” nonché programmi europei per il sabato sera in cui i singoli Stati membri possano sfidarsi per divertimento? Questo è l’unico modo per suscitare un autentico interesse – forse addirittura entusiasmo – persino da parte di cittadini europei apolitici nella loro – nostra – Europa.
Attualmente sono frequenti i contatti con i rappresentanti delle imprese televisive europee in merito alla nuova direttiva “Televisione senza frontiere”. Chiediamo e incoraggiamo un maggiore impegno nei confronti dell’Europa anche nei programmi televisivi di intrattenimento nazionali.
Helga Trüpel, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario Figeľ, onorevoli colleghi, anch’io accolgo con grande favore questo programma, poiché rappresenta un tentativo di rispondere alla crisi di fiducia nell’Europa che ha investito molti cittadini.
E’ importante poter tenere ampi dibattiti nella realtà quotidiana sulla visione che l’Europa ha di se stessa in termini politici e culturali, sulla sua responsabilità sociale e sul suo futuro e anche sul ruolo che vuole svolgere nel mondo. In ultima analisi, avere la possibilità di parlare a un gran numero di cittadini nella loro realtà quotidiana – giovani, anziani, appartenenti a organizzazioni culturali e associazioni politiche – su tutte le questioni politiche dell’Europa è l’unico modo per raggiungere le persone e i loro cuori ottenendo più risultati di quanto abbiamo fatto negli ultimi mesi.
Ecco perché la questione del futuro dell’Europa riveste tanta importanza per questo programma, ma ne ha altrettanta quella del suo passato. Purtroppo si dà il caso che l’Europa sia il continente che con il suo totalitarismo, nazionalsocialismo e stalinismo si è resa responsabile di grandi sofferenze, uccisioni e atti criminali non solo in Europa, ma anche in altre parti del mondo. Pertanto, credo sia giusto che questo programma ricordi un passato tanto totalitario e ritengo che si debba riconsiderare questo passato, agendo in maniera sensibile e facendo tutto il possibile per evitare il ripetersi di fatti simili.
Vorrei quindi affermare a chiare lettere che a mio avviso non è una questione di competizione con altri regimi dittatoriali che sono esistiti in Europa. E’ ovviamente giusto riconsiderarli a livello nazionale, come tutti stiamo cercando di fare, ma è altrettanto opportuno che il programma europeo faccia riferimento al totalitarismo dell’Europa. Anche io, quindi, sono favorevole alla proposta del relatore.
Miguel Portas, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Iniziamo dal nome del programma: “Cittadini per l’Europa” o “Europa per i cittadini”? La differenza non è dovuta a una svista della Commissione, ma è il risultato della cultura predominante nelle Istituzioni europee. Non vi saranno nuovi cittadini per l’Europa finché l’Europa delle Istituzioni, con le sue politiche, continuerà a esacerbare le fratture sociali e i problemi di identità. Nessun programma per la cittadinanza può risolvere questo dissidio. Tuttavia, non è certo positivo che il programma, fin dal suo stesso nome, indichi questo impulso primario.
Sono quindi favorevole a una modifica del titolo, che vorrei fosse dotato della coerenza di cui attualmente è privo. Desidero dunque sottolineare tre aspetti. Data l’esiguità delle risorse disponibili, le alternative possibili sono due: o si concentrano i fondi su poche azioni di grande visibilità o li si distribuisce tra progetti che promuovono la cittadinanza europea. Il relatore ha scelto la via del compromesso, cercando di migliorare la posizione della seconda alternativa. Io sarei andato ben oltre. Non ho nulla contro i grandi eventi, ma sono assolutamente contrario alle menzogne.
La massima virtù di questo programma è che può essere svolto dalle reti associative che promuovono la cittadinanza sul campo. Qualunque deviazione da questa opzione distorcerebbe il concetto stesso di cittadinanza. Pertanto, l’ipotesi di assegnare una considerevole somma di denaro a sostegno di sei, e ora otto, istituzioni, senza indire alcun tipo di concorso, è altrettanto insostenibile. Secondo le procedure seguite normalmente in qualunque società civilizzata, i progetti vengono scelti attraverso concorsi trasparenti. In caso contrario, vige la legge delle lobby, degli accordi e dei favori. In questa precisa circostanza, sono stati raggiunti accordi dell’ultima ora per favorire due o più organizzazioni. Non giudico i loro meriti effettivi, ma critico la totale mancanza di merito in questo metodo di assegnazione delle sovvenzioni. Se avvenisse l’esatto opposto assisteremmo a una lezione di cittadinanza europea, nella quale, attraverso l’organizzazione di concorsi, i partecipanti verrebbero auspicabilmente premiati con imparzialità per i loro meriti.
L’ultimo punto che vorrei sollevare riguarda il problema della memoria. Con l’adesione dei nuovi paesi dell’Europa orientale, è assolutamente comprensibile che sia sorta l’idea di associare la memoria delle vittime dello stalinismo a quella delle vittime dell’Olocausto. E’ un’iniziativa lodevole, ma insufficiente. Manca un riferimento che onori la memoria delle vittime del fascismo nell’Europa meridionale. Nel nostro concetto di cittadinanza devono figurare il rispetto per il dolore delle vittime, delle loro famiglie e dei loro discendenti. Non possono esistere altri criteri. In Portogallo opera un movimento di cittadini che si batte per evitare che la sede centrale della polizia del vecchio regime venga trasformata in un condominio di lusso, anziché in un museo. Ogni persona apporta i suoi ricordi all’Europa. Con questi ricordi, con tutti questi ricordi, la memoria stessa può essere una componente della cittadinanza. Il fascismo è stato un esempio di totalitarismo, anch’esso europeo.
Ģirts Valdis Kristovskis, a nome del gruppo UEN. – (LV) Onorevoli colleghi, vorrei rilevare che non dobbiamo limitarci solo a parlare degli importanti valori che accomunano i popoli dell’Unione europea, ma dobbiamo anche mettere attivamente in pratica il contenuto della relazione Takkula. Questa mia convinzione è corroborata dalla sempre più diffusa preoccupazione che nel mondo globalizzato la comprensione dell’Europa e della sua identità stiano svanendo.
Dobbiamo infatti sviluppare un’Europa sfaccettata, onesta e democratica che sia aperta al resto del mondo. In particolare, dobbiamo prestare attenzione agli aspetti storici e culturali. Dobbiamo promuovere misure volte a ricordare le deportazioni di massa e le vittime sia del nazismo sia dello stalinismo – lo ripeto, dello stalinismo. Dobbiamo preservare le prove di questi crimini. L’impegno assunto in tal senso dimostra che in seno al Parlamento europeo si è registrato un cambio di mentalità, evidenziato dai colleghi. Purtroppo non si può dire altrettanto delle formulazioni preparate dal Consiglio, che hanno incredibilmente mantenuto la connivenza tipica degli anni della guerra fredda con le mezze verità della storia europea imposte dal regime totalitario comunista. Occorre ricordare al Consiglio che anche lo stalinismo è stato totalitario e che non è stato meno distruttivo per quegli europei che a causa sua hanno perso la vita.
La relazione Takkula è valida. Rappresenta l’ormai costante affermazione secondo cui la verità storica non fa distinzioni tra crimini nazisti e crimini comunisti. Crimini sono e crimini restano.
Mi sorprende che, in questa cittadella della democrazia, si possano ancora formulare appelli alla giustizia e alla verità in cui si cerca di attribuire un ordine di importanza alla memoria delle vittime dell’Olocausto o dei gulag.
Ringrazio il relatore e i colleghi dalla mentalità moderna per aver parlato di un’Europa onesta e fondata su valori comuni e sulla veridicità storica.
Thomas Wise, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, vorrei fare un piccolo esperimento. Chiedo ai presenti in Aula di togliersi le cuffie per tre secondi. Uno, due, tre. Che cosa avete sentito? Assolutamente niente! Questo è il suono del silenzio che preannuncia il clamore del testo legislativo in esame. E’ forse propositivo? No! Risponderà alle preoccupazioni fondamentali di 450 milioni di persone che lottano per guadagnarsi da vivere o per trovare soluzioni ai problemi quotidiani? La risposta è di nuovo no.
E’ risaputo che donando qualcosa a qualcuno che non se ne può sbarazzare, chi lo riceve non l’apprezza granché perché non ha compiuto alcuno sforzo per ottenerlo. E’ quindi ben misero il valore della cittadinanza europea, imposta a persone che, pur non volendola, non possono rifiutarla né rinunciarvi.
Eccoci quindi di nuovo allo stesso punto! Un altro enorme progetto propagandistico volto a distorcere e nascondere la verità, che a quanto pare si spera e si crede curerà lo scetticismo che si sta diffondendo nel continente. Basse affluenze alle elezioni europee, opposizione verbale all’allargamento e la reiezione della Costituzione sono tutti problemi che, all’apparenza, dovranno essere risolti buttando 235 milioni di euro in progetti volti a persuadere i cittadini che l’UE sta effettivamente facendo qualcosa di buono per loro.
Questa è una cittadinanza che si ottiene pagandone gradualmente le spese. Il prezzo aumenta mentre i diritti se ne vanno. L’UE non ascolterà le persone che è preposta a rappresentare. Cercherà invece di ottenere surrettiziamente una posizione di favore. Eppure è proprio all’integrazione europea che i cittadini sono sempre più contrari. Perché? Perché ogni singolo paese si sta lentamente rendendo conto che nell’eurozona la stessa taglia non va bene per tutti, così come ora non andrà bene un’unica cittadinanza.
Ho detto prima che, se l’UE è la risposta, la domanda deve essere stata stupida. E’ davvero rincuorante che milioni di cittadini in tutto il mondo siano d’accordo con me.
James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, cittadinanza e sovranità statale vanno di pari passo; è questo concetto che spinge i promotori del progetto europeo a voler realizzare la cittadinanza europea.
Per essere autentica e auspicabile, tuttavia, la vera cittadinanza non richiede uno spreco di risorse. La dedizione ad essa nasce dal cuore, non dal portafoglio. Potremmo indubbiamente fare un uso migliore dei 230 o addirittura 290 milioni di euro, richiesti da alcuni, anziché destinarli all’artefatta nozione di cittadinanza europea.
Alla fine di tutto questo spreco di denaro, i francesi continueranno a voler essere francesi e i britannici continueranno a voler essere britannici, e soltanto l’élite politica europea privilegerà la cittadinanza europea a quella del proprio paese. Allora perché dobbiamo sforzarci tanto di stravolgere l’ordine naturale per creare un surrogato artificiale, quando nei nostri Stati membri possiamo godere tutti dell’originale? La cittadinanza geneticamente modificata può andare bene a qualcuno, ma non a me.
Christopher Beazley (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, un elemento essenziale di una cittadinanza effettiva e impegnata è la comprensione del patrimonio comune e condiviso di una società. Un patrimonio negato, ignorato o distorto separa una società dalla realtà, continuando a opprimere la sua vera natura e il suo vero carattere e a privarla del suo diritto di esistere.
Di conseguenza, l’emendamento n. 29 riveste un’importanza enorme per quelle centinaia di migliaia di cittadini dell’Europa centrale e orientale i cui cari o i cui membri familiari vennero giustiziati, deportati o morirono nei gulag di Stalin, solo perché la loro sopravvivenza venne considerata una minaccia per l’occupazione illegale dei loro paesi, secondo quanto convenuto da Hitler e Stalin nel famigerato patto Molotov-Ribbentrop.
A tale proposito, sono stati discussi altri emendamenti presentati dall’onorevole Sifunakis, ovvero gli emendamenti nn. 62 e 63, riguardanti i conflitti da cui sono stati interessati Spagna, Portogallo e Grecia. A mio parere si tratta di questioni importanti, che andrebbero però considerate in un altro contesto. Spero che tutta l’Assemblea sosterrà l’emendamento n. 29, in modo da non attenuare il messaggio secondo cui Hitler e Stalin furono criminali comuni che riversarono la loro rabbia sui popoli dell’Europa.
L’ordinanza n. 001223, emessa l’11 ottobre 1939 dall’NKVD, il Commissariato del popolo per gli affari interni dell’Unione Sovietica, e intitolata “Novero operativo degli elementi antisovietici e socialmente estranei”, fu il preludio delle deportazioni di massa ordinate da Merkulov, il Commissario del popolo per la sicurezza dello Stato, e attuate dal suo vice, Serov. Nella notte fra il 13 e il 14 giugno, furono deportate 34 260 persone dalla Lituania, 15 081 dalla Lettonia e 10 205 dall’Estonia. Questa fu solo la più nota delle molte deportazioni che si protrassero fino al 1951. E’ significativo che ora l’UE sostenga la commemorazione delle vittime di entrambe queste dittature.
Senza verità non ci può essere riconciliazione. Gli odierni cittadini russi non sono più responsabili dei crimini di Stalin di quanto i tedeschi attuali lo siano di quelli di Hitler, tuttavia la cittadinanza europea e le relazioni di buon vicinato possono basarsi solo su rispettosi ...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
(Applausi)
Presidente. – Permettetemi di fare un’altra rettifica: nella traduzione si parlava dell’accordo di Malta. Malta è una splendida isola, mentre il riferimento era all’accordo di Yalta: solo una piccola differenza.
Nikolaos Sifunakis (PSE). – (EL) Signor Presidente, signor Commissario, la bassa affluenza alle urne dei cittadini alle elezioni europee e la reiezione del Trattato costituzionale da parte di due paesi sono forse la punta dell’iceberg di una talvolta difficile relazione tra i cittadini europei e l’Unione.
Da qui la necessità di un programma che sia in grado di stimolare i cittadini europei sui punti deboli, inducendoli in altre parole a partecipare più attivamente a iniziative comuni, al fine di una comprensione reciproca tra cittadini e tra le diverse permutazioni culturali e storiche dell’identità europea stessa.
Per quanto riguarda il programma “Cittadini per l’Europa”, nella relazione che ha elaborato con grande impegno traendo spunto dalla sua proposta, l’onorevole Takkula ne ha modificato il titolo originale da “Cittadini per l’Europa” a “Europa per i cittadini”, colmando così una lacuna del programma, che andrà a unirsi ad altri programmi comunitari quali “Apprendimento permanente” e “Gioventù in azione”, rivolti principalmente ai giovani.
La storia europea, tuttavia, è costituita anche da due periodi difficili del XX secolo che fanno a loro volta parte della nostra memoria e storia comune. La memoria delle vittime sterminate, deportate e imprigionate dai regimi autocratici deve rimanere viva. Non possiamo né dobbiamo dimenticare i tragici momenti vissuti dal nostro continente 60 anni fa nei campi di concentramento e di sterminio ad opera del nazismo, né ovviamente dobbiamo dimenticare i crimini commessi dallo stalinismo. Non possiamo però preservare ricordi selettivi. Non possiamo onorare la memoria delle vittime del nazismo e dello stalinismo e, al contempo, dimenticare il fascismo e le dittature dell’Europa meridionale.
Quest’anno celebriamo il ventesimo anniversario dell’adesione di Spagna e Portogallo alla Comunità europea, due paesi che, per quarant’anni, sono stati dolorosamente segnati dal fascismo. Quest’anno ricorre inoltre il venticinquesimo anniversario dell’adesione della Grecia alla Comunità europea. Tra il 1946 e il 1974 in Grecia hanno operato campi di concentramento in cui sono state sterminate migliaia di cittadini per le loro convinzioni politiche. L’isola di Yiaros, che anche i romani utilizzarono come terra d’esilio, e quella di Makronisi sono divenute la tomba di moltissime persone che in quei luoghi persero la vita a causa degli stenti e delle torture subite insieme a migliaia di altri cittadini esiliati all’epoca in quelle isole.
L’elemento comune che unisce gli Stati dell’Europa meridionale è che la stabilizzazione della democrazia in quei paesi è stata in larga misura ottenuta grazie alla loro adesione alla Comunità europea.
Il programma “Cittadini per l’Europa” di cui discutiamo oggi acquisirà dunque un’importanza materiale e generale. Ecco perché si devono adottare anche gli emendamenti citati poc’anzi dall’onorevole Catania e da altri colleghi, perché vanno a integrare l’esauriente e importantissima relazione dell’onorevole Takkula.
Šarūnas Birutis (ALDE). – (LT) Accolgo con favore e sostengo la nuova iniziativa della Commissione europea intitolata “Cittadinanza europea attiva”. Desidero inoltre congratularmi con il relatore per aver elaborato un’ottima relazione. La promozione della cittadinanza europea è una condizione essenziale per il funzionamento dell’Unione europea, il cui allargamento è andato a buon fine. All’Unione europea occorre un programma, soprattutto dopo l’allargamento del 2004, che presti particolare attenzione ai suoi cittadini. La carenza di democrazia attiva è uno dei problemi più sentiti cui attualmente deve far fronte l’Unione, e pertanto siamo favorevoli agli sforzi volti a creare un’identità europea, a favorire la cittadinanza e a promuovere una partecipazione attiva nel campo dell’integrazione europea. In Lituania, i sondaggi d’opinione rivelano una grande sfiducia dei cittadini nei confronti di importanti istituzioni statali e si avverte un calo nella partecipazione elettorale. Si riscontrano indicatori analoghi anche nell’Unione europea. L’europeo medio nutre inoltre scarsa fiducia sia nei partiti politici sia nel governo o nel parlamento del suo paese. Con l’introduzione dell’iniziativa sulla cittadinanza attiva, l’integrazione dei valori europei sarà visibile nelle singole società nazionali e l’identità europea, la cui formazione avverrà in maniera attiva, influirà a sua volta positivamente sulle decisioni comuni dell’Unione europea.
Le Istituzioni comunitarie devono rendere conto delle proprie azioni non solo ai governi degli Stati membri e alle loro delegazioni, ma anche ai cittadini europei. L’attuazione di misure doterà di maggiore trasparenza e di una certa responsabilità il processo politico dell’Unione europea. La cultura europea e la sua diversità verranno promosse, e la cooperazione tra cittadini e organizzazioni di vari paesi verrà incoraggiata. La stessa riflessione sul passato, sui gulag di Stalin e sull’Olocausto fascista, rafforzerà la cittadinanza europea. E’ importante che questo programma sia accessibile a tutte le parti interessate, ossia alle organizzazioni non governative e agli enti preposti all’istruzione. Grazie a questa iniziativa, i cittadini influiranno in maniera consapevole sul proprio futuro e su quello dei loro figli in Europa.
Bernat Joan i Marí (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, come europeo e catalano sostengo pienamente la necessità di rafforzare la memoria storica per evitare disastri futuri apprendendo dal nostro passato.
La relazione dell’onorevole Takkula contiene una proposta volta a finanziare i siti storici relativi ai principali regimi totalitari che soggiogarono l’Europa nel XX secolo: il nazismo e lo stalinismo. Sono d’accordo con lui, ma vorremmo estendere la sua proposta anche ad altri aspetti direttamente collegati a questo tipo di autoritarismo.
Nel nostro caso, nel paese catalano, abbiamo subito la dittatura di Franco, che in origine era strettamente correlata al nazismo e al fascismo italiano. L’unico Presidente di una nazione democratica ucciso a seguito della Seconda guerra mondiale fu Lluís Companys, Presidente del governo autonomo catalano. La prima popolazione civile a essere indiscriminatamente bombardata da un aereo nemico fu Guernica, l’emblematica città dei Paesi Baschi.
Se trascuriamo il regime di Franco e altre dittature da cui fu oppressa l’Europa meridionale, ignorando altresì la necessità di recuperare la memoria storica di questo periodo buio della nostra storia, evitiamo di discutere delle conseguenze delle dittature, alcune delle quali sono molto allarmanti per l’Unione europea, anche oggi.
Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN). – (PL) Signor Presidente, le misure contenute nel programma “Cittadini per l’Europa” contribuiranno a creare solidi principi di coesistenza e interazione tra le nazioni. Susciteranno consapevolezza dell’individualità di ciascuna nazione e promuoveranno il riconoscimento del patrimonio culturale nazionale. Contribuiranno inoltre all’eliminazione degli stereotipi e aiuteranno i nostri cittadini ad assumere un atteggiamento più favorevole nei confronti della diversità.
Ho rilevato con piacere che, nella sezione riguardante i siti dedicati alla memoria delle vittime dei regimi totalitari, è previsto un sostegno finanziario non solo per il ricordo delle vittime del nazismo, ma anche per le attività collegate allo stalinismo.
Nel corso della sua storia, l’Europa è stata vittima di moltissimi dittatori crudeli e spietati, e nessuna di queste sofferenze va dimenticata. Alla luce degli esigui stanziamenti assegnati a questo particolare obiettivo, tuttavia, i nostri sforzi devono concentrarsi solo sui due regimi più spaventosi e terribili, i cui effetti sono stati avvertiti su vasta scala con conseguenze a livello globale. I regimi di Stalin e Hitler devono diventare simboli del male e dobbiamo fare in modo che rimangano impressi nelle coscienze dei nostri figli come sistemi criminali. In questo modo eviteremo che simili regimi tornino a imporsi. Di conseguenza, dobbiamo anche fare in modo che nelle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013 vengano assegnate somme adeguate all’attuazione di opportuni programmi culturali.
Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlo a nome del nuovo PSI e parlo questa volta anche in veste di sindaco di una bella cittadina a nord di Roma.
Come primo cittadino, tante sono le attività che ho intrapreso per promuovere l’identità europea, incoraggiando la partecipazione e la cooperazione tra i cittadini, soprattutto attraverso gemellaggi e scambi culturali che hanno visto come primi protagonisti i giovani e gli studenti, ma non solo.
Trovo infatti che i cittadini che quotidianamente si confrontano con problemi spesso lontani da quelli affrontati in questa sede, abbiano bisogno di dimostrazioni tangibili dell’esistenza di una base di valori comuni per tutti i 450 milioni di europei. Solo se questo sentimento sarà forte si potrà sperare in un avvicinamento dei cittadini alle istituzioni. Sono pertanto favorevole alla proposta della Commissione, a tutte le azioni proposte, soprattutto quelle che promuovono i valori europei della democrazia, della libertà e del rispetto dei diritti umani: mi sembrano valide e condivisibili. Mi auguro quindi che questo progetto venga portato avanti con il maggiore sostegno istituzionale ed economico possibile.
Sono tuttavia necessarie altre azioni concomitanti: innanzitutto migliorare la comunicazione e l’informazione sulle attività delle nostre istituzioni a livello locale, e quindi incentivare programmi di informazione, dibattiti e conferenze sulle principali tematiche europee. Credo inoltre che qualunque azione intrapresa per promuovere la cosiddetta “cittadinanza europea” sarà vana se nel corso dei prossimi dibattiti non terremo adeguatamente conto delle esigenze, delle istanze e delle aspettative della società civile.
Far sentire i cittadini realmente partecipi alle molte, grandi sfide che ancora ci restano da affrontare, è forse il modo più concreto per creare una solida base comune sulla quale fondare il nostro futuro.
Doris Pack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sono molto riconoscente all’onorevole Takkula per il lavoro svolto e sono anche lieta che abbia effettivamente ottenuto il sostegno dell’intera commissione parlamentare. Per la maggior parte dei cittadini questo programma rappresenta l’unica occasione di partecipare al fulcro del pensiero europeo e di prendervi parte come membri attivi della società civile.
In effetti, i referendum di Francia e Paesi Bassi ci hanno costretti a spiegare meglio le cose, a spiegare l’allargamento, a spiegare il Trattato costituzionale, a dissipare i timori dei cittadini sulla globalizzazione. Grazie al programma in esame, è possibile fare tutto questo, con l’aiuto di intermediari che ricevono fondi a suo titolo. Sono quindi lieta che la Commissione ne abbia nominati alcuni. In realtà non occorre reinventare la ruota, poiché vi sono istituzioni che lavorano ormai da tempo sulla cittadinanza europea.
All’onorevole Allister – il quale purtroppo ha già lasciato l’Aula – che prima ha affermato di non volere essere europeo, posso solo dire che io sono una cittadina della Saarland, un piccolo Land della Germania: sono tedesca e sono europea. E’ come una matrioska: possiamo identificarci con ciascuna di queste realtà, senza escluderne nessuna. Collettivamente, però, siamo tenuti tutti a rispettare i valori europei.
A mio parere, tuttavia, è stata dedicata un’attenzione eccessiva alla questione dei luoghi destinati alla memoria delle vittime del nazismo e dello stalinismo. A tale proposito, vorrei dire all’onorevole Sifunakis – anch’egli, purtroppo, ha già lasciato l’Emiciclo – che è andato davvero oltre i suoi poteri. La commissione ha respinto la sua proposta di inserire tra i siti dedicati alla memoria quelli da lui citati. La commissione ha espresso voto contrario. L’onorevole Sifunakis ha quindi provveduto a scrivere a tutti i membri della commissione in qualità di suo presidente, chiedendo gentilmente loro di assecondare questa volta la sua richiesta. Da quanto ne so, nei 16 anni che ho trascorso al Parlamento europeo, non si era mai verificato nulla del genere. Mi auguro che i colleghi non accolgano la sua istanza.
Vorrei sollevare un’ultima questione, sulla quale è già intervenuto il collega Battilocchio: dobbiamo avviare iniziative di gemellaggio tra le città, che producono ottimi risultati. Anche in questo settore, con poco denaro in più, si possono ottenere molti più risultati di quanti se ne possano realizzare tramite un’infinità di altre proposte. Vorrei chiedere al Commissario di includere le tre organizzazioni aggiuntive che vogliamo coinvolgere poiché hanno svolto tutte un ottimo lavoro e può fare affidamento su di esse.
Christa Prets (PSE). – (DE) Signor Presidente, “Cittadini per l’Europa” è volto a suscitare l’interesse dei cittadini per l’Europa, fornire loro informazioni sull’Europa, coinvolgerli nelle decisioni, dotarli di strumenti di comunicazione e, infine, alimentare in loro l’entusiasmo per l’Europa. Purtroppo quest’ultimo elemento è sempre più assente, ma sono certa che il programma in esame ha il potenziale per contribuire ampiamente alla riduzione dell’euroscetticismo.
Come ha appena affermato l’onorevole Pack, le attività di gemellaggio tra città costituiscono un aspetto fondamentale, in quanto favoriscono la conoscenza e la comprensione reciproche per mezzo di accordi pluriennali comuni, selettivi ma anche strutturati. Si tratta di un progetto di comunicazione molto economico, che purtroppo, però, non viene riconosciuto come tale. Se aumentassimo gli investimenti in questo progetto, potremmo fare a meno di molti opuscoli.
I progetti dei cittadini, finalizzati a coinvolgere le parti interessate in iniziative incentrate su tematiche europee, permettono di rivolgersi a un vasto pubblico. Se inclusi in reti, circoli e associazioni, possono costituire uno strumento efficace per raggiungere i cittadini, rafforzare la coesione sociale e prevenire l’esclusione o la discriminazione tra un’ampia varietà di gruppi di persone – una base importante per la cittadinanza attiva e il dialogo europeo.
Per la prima volta, in questo programma è stata inclusa la campagna sulla “memoria europea attiva”; la commissione competente ritiene infatti che si debba discutere della storia europea nel contesto di un vasto pubblico. Dalla discussione è inoltre emerso – e ciò dimostra che eravamo nel giusto – che questa importante questione non va affrontata stanziando un contributo tanto esiguo per questo programma, come se si trattasse di un fenomeno marginale, ma richiede un programma a sé stante. E’ infatti necessario richiamare l’attenzione su tutte le forme di dittatura e sulle loro vittime, mettendo in particolare i giovani e le generazioni future al corrente delle atrocità perpetrate dai regimi passati, nonché impegnarsi affinché le nostre democrazie abbiano, e continuino ad avere, la forza per evitare che in futuro possano nuovamente imporsi regimi spietati come questi.
Alfonso Andria (ALDE). – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero congratularmi innanzitutto con l’onorevole Takkula per l’ottimo lavoro svolto e per l’eccellente relazione, della quale ho innanzitutto apprezzato la proposta di modificare il titolo del programma da “cittadini per l’Europa” a “Europa per i cittadini”. In questa inversione di termini è racchiuso tutto il senso della cultura che d’ora in avanti dovrebbe ispirare l’azione comunitaria, strumento e non fine dei popoli europei per la realizzazione delle loro aspirazioni.
Mi compiaccio del fatto che, a dimostrazione di una maggiore attenzione verso i cittadini e di una ritrovata sensibilità per la questione culturale e di identità europea, siano all’ordine del giorno di questa sessione plenaria anche le relazioni dei colleghi, onorevoli Hammerstein Mintz, sull’apertura al pubblico delle riunioni del Consiglio, Cashman, sull’accesso ai documenti delle istituzioni e Prets, sulle capitali europee della cultura.
In questa sede abbiamo dunque l’opportunità, ma direi anche, il dovere di rendere questa Europa più trasparente, più democratica, meglio comprensibile e quindi più condivisa. In un momento difficile del processo di costruzione europea come quello che stiamo vivendo oggi, in cui tendenze nazionalistiche e disaggreganti sembrano ottenere nuova legittimazione, la diffusione della reciproca conoscenza delle nostre differenti culture è senz’altro uno strumento fondamentale di integrazione sociale, di esaltazione dei valori che ci accomunano, ed è un elemento chiave nella lotta contro i razzismi e le xenofobie.
In conclusione, per questi motivi ritengo importante dotare questo programma di risorse finanziarie più cospicue e adeguate. Signor Presidente, il senso di appartenenza, il sentirsi europeo, deve essere colto anche nei cittadini dell’Europa, i quali non vogliono più subire l’Europa, ma la vogliono fare.
Aldis Kušķis (PPE-DE). – (LV) Signor Presidente, Commissario Figeľ, onorevole Takkula, onorevoli colleghi, nel secolo scorso la celebre storica Hannah Arendt aveva concluso, in maniera straordinariamente semplice ma precisa, che, in linea di principio, l’elemento che più contraddistingue i regimi totalitari e le dittature è la sorprendente rapidità con cui vengono dimenticati i crimini da essi compiuti contro l’umanità e il fatto altrettanto sorprendente che nuovi tiranni possono tranquillamente subentrare al loro posto.
Purtroppo, la possibilità di assistere al sorgere di nuovi Stalin e nuovi Hitler a tutt’oggi non è svanita. Proprio per questo motivo abbiamo il dovere comune di impedire che i crimini commessi dai nazisti e dal comunismo totalitario sovietico vengano dimenticati. Dobbiamo ricordare l’orrore emerso quando le folli idee di due tiranni, sottoponendo i popoli d’Europa a omicidi di massa e stermini nei campi di concentramento e stravolgendo il destino delle persone, hanno offuscato le pagine della storia europea.
I due regimi totalitari, indipendentemente dalla diversità delle singole idee che li hanno animati, possono essere considerati uguali. Sia Hitler che Stalin hanno organizzato deportazioni di massa, istituito campi di concentramento e ordinato omicidi di massa, sterminando milioni di persone, tra cui bambini indifesi. Posso affermare con certezza che quasi ogni famiglia europea ha una storia da raccontare sulla tragica sorte di padri, fratelli e sorelle. I crimini commessi dai nazisti di Hitler e dallo stalinismo non possono né devono essere dimenticati, soprattutto quest’anno, in cui il 14 giugno ricorrerà il sessantacinquesimo anniversario dall’inizio delle spietate deportazioni di massa dagli Stati baltici. Grazie, onorevole Christopher Beazley, per averci ricordato questi fatti.
Oggi dobbiamo promuovere tra i popoli d’Europa la comprensione dei principi del rispetto per la democrazia, la libertà e i diritti umani. Dobbiamo farlo affinché nessun emulo contemporaneo di Stalin possa mai anche solo sognare di rimanere impunito.
Dobbiamo sostenere attivamente progetti volti a preservare la memoria del nazismo e dello stalinismo, delle deportazioni di massa e di coloro che hanno perso la vita. Dobbiamo mostrare ai nostri figli i luoghi connessi alle deportazioni di massa e ai campi di concentramento e dobbiamo preservare la memoria delle vittime.
Vi esorto a votare per una riunificazione della storia d’Europa!
Maria Badia I Cutchet (PSE). – (ES) Signor Presidente, domani voteremo su questa relazione sul programma “Cittadini per l’Europa”, che, come hanno affermato altri oratori, è volto a promuovere la cittadinanza europea attiva e si inserisce nel contesto della preoccupazione dell’Unione per la disaffezione mostrata dai cittadini nei confronti delle Istituzioni comunitarie e le loro difficoltà a identificarsi con il processo di integrazione europea. Desidero esprimere tutto il mio sostegno a questo programma e congratularmi con l’onorevole Takkula per il lavoro svolto.
Parliamo dell’azione 4 di questo programma, volta a preservare i luoghi della memoria correlati alle deportazioni e agli stermini di massa del nazismo e dello stalinismo; anch’io sostengo pienamente la memoria delle vittime di questi regimi atroci che hanno segnato la storia europea e mondiale del XX secolo.
Vorrei però anche aggiungere che non si possono assolutamente escludere altre vittime, che sono altrettanto innocenti e hanno ricevuto un trattamento altrettanto ingiusto dalla storia, come le vittime del fascismo e di altre dittature europee. In effetti, signor Presidente, meno di un mese fa il Consiglio d’Europa ha adottato una risoluzione sulla condanna internazionale del regime di Franco.
Se uno degli obiettivi di questo programma è plasmare un’identità europea basata su valori, storia e cultura comuni e rafforzare l’integrazione europea sulla base del rispetto, della comprensione reciproca e della valorizzazione della diversità culturale, il Parlamento europeo non può non riconoscere la storia di molti paesi europei che per anni hanno subito repressioni e uccisioni nella loro lotta per la libertà.
La transizione della Spagna alla democrazia è indissolubilmente collegata al suo ingresso nell’Unione europea vent’anni fa e, nel quadro del programma in esame, è giusto riconoscere le vittime di questo periodo nero della nostra storia, perché così verranno giustamente rafforzati i legami tra i cittadini e l’Unione.
Onorevoli colleghi, la scarsa dotazione finanziaria – che è una realtà – non può giustificare l’esclusione di alcune vittime a spese di altre. Non dovremmo mettere a confronto guerre diverse o quantificare un massacro in funzione dei morti che ha provocato, ma piuttosto ricordare tutte le vittime, affinché preservandone la memoria si possa impedire il ripetersi di eventi simili.
Pertanto, onorevoli colleghi, vi chiedo di sostenere gli emendamenti appoggiati da oltre 60 membri di gruppi diversi di questo Parlamento, perché arricchiranno il programma, sulla base del pieno riconoscimento della memoria storica europea e al fine di rafforzare il sentimento di cittadinanza.
Tomáš Zatloukal (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il distacco del pubblico dalle Istituzioni e dagli organi dell’Unione europea, l’assenza di identificazione con il processo di integrazione europea e anche il mancato coinvolgimento del pubblico nei dibattiti sull’entità del futuro allargamento pongono l’UE nel complesso dinanzi a un problema di notevoli dimensioni, che si è manifestato in tutta la sua evidenza nei referendum di Francia e Paesi Bassi sulla ratifica della Costituzione europea.
Tuttavia, anche in altri paesi, compresi quelli che hanno aderito all’Unione nel maggio 2004, esistono segnali negativi della carenza di informazione. Un aspetto positivo è il desiderio di maggiori informazioni da parte del pubblico, nonché il suo interesse per attività ragionevoli e sensate. Il programma “Cittadini per l’Europa” in discussione oggi è uno strumento che ha il potenziale per soddisfare questa esigenza. Alcune delle azioni in esso definite dimostrano già oggi il loro valore, e vengono attivamente perseguite. Ne è un valido esempio il programma di gemellaggio, cui può prendere parte ogni comunità a prescindere dalle sue dimensioni. Il programma è particolarmente indicato per le piccole comunità, poiché è molto semplice ottenere una sovvenzione senza dover affrontare inutili ostacoli burocratici. E’ stato fissato un importo minimo molto basso per finanziare, ad esempio, incontri tra membri di comunità gemellate tra loro, in modo tale che, in caso di richiesta, non sarà difficile trovare il sostegno finanziario adeguato.
I partenariati di gemellaggio tra città, e il modo in cui i cittadini collaborano per risolvere questioni europee o per sostenere organizzazioni volontarie, possono rafforzare i valori comuni nel rispetto della diversità nazionale e regionale. Gli Stati membri devono integrare queste azioni con attività nei settori della cultura e dell’istruzione. La lotta al razzismo, alla xenofobia e all’intolleranza e il sostegno al multiculturalismo e al multilinguismo devono essere ritenuti una priorità e un interesse comune. Vorrei concludere esprimendo il mio apprezzamento per il lavoro del relatore e per la solerte collaborazione della commissione per la cultura e l’istruzione.
Marianne Mikko (PSE). – (ET) Onorevoli colleghi, la relazione dell’onorevole Takkula verte su una questione estremamente importante. Congratulazioni per l’ottimo lavoro.
Oggi l’Unione europea sta diventando un’arena in cui i politici degli Stati membri sono guidati solo dai propri interessi e dall’obiettivo di soddisfare gli elettori. Tra i cittadini degli Stati membri dell’Unione il sentimento dell’effettiva cittadinanza europea non è abbastanza vivo. Per sviluppare un sentimento di cittadinanza, è importante conoscere gli uni la storia degli altri.
Prima e dopo la Seconda guerra mondiale, molti popoli europei sono stati oppressi da regimi totalitari. La mia patria, l’Estonia, è stata cancellata dalla mappa geografica da uno dei più spietati dittatori della storia, Stalin. Non avevamo più la nostra bandiera e il nostro inno nazionale, e la nostra capitale era Mosca.
Il fratello gemello dello stalinismo è stato il nazismo. Queste due ideologie, concepite nello stesso periodo, si sono suddivise l’Europa con il patto Hitler-Stalin. Stalin ha tenuto tutta la parte orientale dell’Europa sotto il suo regime dittatoriale per mezzo secolo. La macchina da guerra di Hitler ha violentemente soggiogato quella parte di Europa occidentale in cui i dittatori locali non sono riusciti a salire al potere.
Nel tentativo di ricordare in uguale misura le vittime del nazismo e dello stalinismo, mi batto contro l’accettazione puramente simbolica dei nuovi Stati membri all’interno dell’Unione europea. Condanno tutte le forme di totalitarismo. Vorrei tuttavia rilevare che il nazismo e lo stalinismo sono le fondamenta di tutte le altre ideologie totalitarie.
Governanti come Franco, Mussolini e Salazar hanno torturato le loro vittime seguendo le orme di Hitler e Stalin. Tutti gli Stati membri dell’Unione europea devono assumersi la responsabilità della giusta valutazione delle azioni compiute dai loro dittatori all’interno del proprio paese. In questo momento, tuttavia, stiamo parlando dello stalinismo e del nazismo, che hanno travalicato e non rispettato i confini nazionali.
Spetta agli Stati membri condannare collettivamente le crudeltà di Hitler e Stalin, che hanno spaccato l’Europa in due separandola con una cortina di ferro. Impegniamoci dunque insieme, nel quadro del programma “Cittadini per l’Europa”, per ricordare congiuntamente le vittime dello stalinismo e del nazismo.
Alexander Stubb (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, vorrei formulare due osservazioni, una sulla relazione e l’altra di carattere generale.
Innanzi tutto, desidero congratularmi con l’onorevole Takkula per la sua relazione. E’ la sua prima relazione, è un documento corposo e il collega ha svolto un ottimo lavoro toccando tutte le questioni fondamentali. Convengo su ogni singola parte della relazione. Sostengo inoltre tutto ciò che è stato espresso a proposito di Stalin e Hitler. Devo ammettere che, pur non facendo parte della commissione, sono pienamente d’accordo con le affermazioni dell’onorevole Pack. E’ piuttosto sorprendente che il presidente della commissione, onorevole Sifunakis, si attesti su una posizione completamente diversa da quella convenuta in sede di commissione, ma va bene così.
Se non conoscessi bene l’onorevole Takkula, dopo aver letto questa relazione potrei addirittura credere che sia un federalista, ma forse non questa volta.
La mia osservazione di carattere più generale riguarda effettivamente la cittadinanza europea e la cittadinanza nazionale. A quanto pare alcuni pensano che stiamo in qualche modo cercando di creare un prototipo europeo, ma non sono d’accordo. Io stesso sono un federalista, ma penso che l’identità sia prima locale, poi nazionale e dopo europea.
Vivo a Bruxelles da sette anni. A dire il vero, quando sono arrivato a Bruxelles avevo qualche pregiudizio sulle nazionalità, come ad esempio che i finlandesi non spiccicano una parola, ogni tedesco ha lo stesso senso dell’umorismo di cui è dotato l’attuale Presidente di seduta, i francesi elencano sempre tre punti, nessun italiano è mai giunto a una conclusione operativa. Questi erano i miei pensieri quando sono arrivato a Bruxelles. Questi sono i nostri prototipi nazionali. A onor del vero, dopo sette anni penso che i miei pregiudizi non abbiano fatto altro che rafforzarsi – in maniera positiva, ma si sono pur sempre rafforzati. Pertanto non stiamo sicuramente creando alcun prototipo europeo. A mio avviso, le uniche situazioni in cui possiamo davvero sentirci europei sono ad esempio quelle sportive: la Ryder Cup, nell’ambito del golf, ne è un ottimo esempio, e anche l’Eurovisione è uno strumento aggregante.
Nel complesso, però, ritengo che questa relazione sia straordinaria perché ci fornisce quattro azioni. Posso sostenerle tutte e quattro. Non è un documento propagandistico, perciò mi auguro che la Commissione lo tenga seriamente in considerazione e accolga tutti i cambiamenti proposti dall’onorevole Takkula.
Lissy Gröner (PSE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il programma volto a promuovere la cittadinanza europea attiva, se utilizzato correttamente, ha il potenziale per diventare un preziosissimo strumento con cui colmare il divario tra l’UE e i suoi cittadini e combattere l’euroscetticismo.
Con una dotazione finanziaria inferiore a 300 milioni di euro per sette anni e con la partecipazione di 36 paesi, le aspettative sono alte. Tuttavia, alla luce dei suoi quattro diversi campi d’azione, l’attuazione sarà difficile. Per questo motivo desidero ringraziare l’onorevole Takkula, che ha compiuto sforzi concreti per raggiungere un equilibrio e anche per astenersi dall’apportare eventuali tagli al ridotto bilancio assegnato, ad esempio, al campo delle attività di gemellaggio tra città. Si tratta di progetti di cittadini che rafforzano la consapevolezza e l’identità europea a livello della base. Vogliamo promuovere i progetti attivi della società civile in seno all’UE in cui predomina questo idealismo: dobbiamo prestare loro attenzione e sostegno. Vogliamo sostenere le attività di pubbliche relazioni delle Case d’Europa e degli istituti che operano in tutta Europa. Vorrei chiedere al Commissario di accogliere le nostre proposte.
Come socialdemocratica tedesca, per me è molto importante anche la quarta azione. Provengo da Norimberga, la città dei raduni del partito nazista. Attualmente, la città si sta sforzando di scrollarsi di dosso la sua vecchia immagine e di rinnovarsi come città dei diritti umani.
Chiunque voglia attivamente plasmare il futuro deve essere consapevole del suo passato, e per questo l’azione 4, “memoria europea attiva”, è tanto importante. Dobbiamo ricordare le vittime dei violenti regimi del nazismo e dello stalinismo, e anche i luoghi e i siti della memoria ad essi correlati. Dobbiamo però ricordare anche tutte le vittime delle dittature, e per questo vi chiedo di sostenere gli emendamenti nn. 54 e 55 presentati dal mio gruppo. Questa richiesta è motivata dal fatto che dobbiamo guardarci bene dall’escludere determinate vittime a discapito di altre.
Bogusław Sonik (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, accolgo con favore la relazione dell’onorevole Takkula e la proposta di creare una quarta azione aggiuntiva intitolata “Memoria europea attiva”. In quest’Aula si è parlato molto di integrazione economica e sociale, ma vi è stata la tendenza a trascurare il ruolo dell’integrazione storica quale elemento chiave dell’integrazione. L’Europa è sempre stata lo specchio del suo passato e continua tutt’oggi ad attingere da questa eredità. Il comunismo e il nazismo sono stati due regimi totalitari che hanno contribuito in analoga misura alla sanguinosa storia del XX secolo. Non è appropriato utilizzare il termine stalinismo. Il comunismo in generale è stato una maledizione del XX secolo.
La natura delle relazioni tra paesi e nazioni d’Europa è influenzata da esperienze storiche, ma anche le più difficili e dolorose tra queste si possono trasformare in forti legami d’affetto. Papa Giovanni Paolo II disse che, nonostante le straordinarie conquiste ottenute in diversi campi, il XX secolo è stato caratterizzato dal mistero del male. Abbiamo portato con noi nel XXI secolo questa eredità di bene e male.
L’Assemblea ha discusso questioni di politica storica in diverse occasioni. Potrei citare ad esempio i dibattiti sul 60° anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, l’anniversario della fine della Seconda guerra mondiale e il 25° anniversario di Solidarność. Da tali dibattiti è emerso quanto siano stati erroneamente interpretati i principali fatti storici e il nostro patrimonio storico.
Il concetto di identità europea deve basarsi sull’accettazione della verità sul nostro passato. Il ricordo delle vittime delle deportazioni e degli stermini di massa attuati dal comunismo e dal nazismo non alimenterà la sfiducia tra le nostre nazioni. Ricorderà invece a tutti noi il fondamentale diritto alla libertà, lo Stato di diritto e il rispetto degli altri. Questo è l’unico modo in cui l’Unione europea può tradurre in realtà il messaggio di unità nella diversità concepito dai suoi padri fondatori.
(Applausi a destra)
Ján Figeľ, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno preso parte a questo dibattito per gli interessanti spunti e contributi apportati. Possiamo indubbiamente convenire che, sebbene il consenso sia forte, talvolta sorgono problemi sui programmi o sull’identità europea, ma tale identità sta tuttavia emergendo. Forse la vediamo più da un’ottica esterna che interna, ma è complementare alla nostra basilare dimensione personale, nazionale, locale, regionale; è un fattore di arricchimento.
E’ importante ricordare le tragedie avvenute in Europa, soprattutto in un’epoca in cui nel nostro continente siamo ancora alla ricerca di criminali di guerra. Non è passato molto tempo da quando molte parti d’Europa erano disseminate di luoghi sanguinosi, frontiere e fosse comuni, ed è importante ricordarlo. Non occorre che io mi soffermi su questioni specifiche perché l’ho già fatto nel mio intervento iniziale.
A livello finanziario, i negoziati sono in corso. Mi auguro che anche nelle discussioni finali della troika e negli attuali negoziati sulle prospettive finanziarie il Parlamento fornisca lo stesso forte sostegno di cui ha recentemente dato prova in merito ai programmi relativi alla cittadinanza, alla gioventù e all’istruzione. Razionalizzeremo le questioni inerenti alla cittadinanza attraverso azioni e programmi diversi, poiché si tratta di un tema importante.
La mia ultima osservazione riguarda il titolo. Penso che sia la Commissione sia il Parlamento abbiano in parte ragione. E’ solo parzialmente corretto affermare che o si parla di “Europa per i cittadini” o di “Cittadini per l’Europa”. Se ricordate il messaggio che John Fitzgerald Kennedy rivolse alla popolazione, l’Europa può fondarsi solo sulle fondamenta di cittadini maturi, e un’Europa matura può fornire molte risposte ai nostri cittadini. Sono quindi necessari entrambi: l’Europa per i cittadini e i cittadini per l’Europa. Credo che questo programma possa offrire un utile contributo a questa comunità matura(1).
(Applausi)
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, mercoledì.
Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)
Iles Braghetto (PPE-DE). – Sviluppare un’identità europea, migliorare la comprensione e l’integrazione reciproca, valorizzare le diversità tramite il dialogo è un obiettivo fondamentale per consolidare l’Unione europea.
L’unità dell’Europa non può essere un’operazione verticistica, bensì il frutto della responsabilità di ogni persona. Gli attori devono essere le famiglie, le aggregazioni sociali, il volontariato diffuso, le associazione di base.
Avvicinare tra loro le persone e favorire l’incontro tra le comunità locali perchè si possano scambiare esperienze, opinioni e valori: tutto ciò è necessario per far maturare una cittadinanza europea. Essere cittadini d’Europa significa far parte di una cultura che pone al centro la ricchezza di una vita responsabilmente vissuta, creativamente amata, coraggiosamente testimoniata nell’incontro con tutti.
Recuperiamo una memoria attiva in cui gli orrori, di cui noi europei siamo stati testimoni, siano di monito per un futuro diverso. Recupero della memoria che nella mia città, Padova, nella mia regione, il Veneto, darà vita alla realizzazione di un Museo della Memoria a Villa Venier, nel Comune di Vo’ Euganeo. Per questo il programma “Cittadini per l’Europa” è una felice intuizione, da svilupparsi e comunicarsi in ogni singolo paese, città, comune d’Europa e che ha il nostro convinto sostegno.
La Commissione può accogliere gli emendamenti nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 10, 15, 17, 18, 19, 21, 22, 24, 25, 28, 29, 31, 34, 39, 43, 46, 50(2), 51 e 61.
Gli emendamenti nn. 12, 14, 16, 20, 27, 30, 32, 37, 41, 42, 44, 48 e 52 possono essere accolti in linea di principio previa riformulazione.
La Commissione si riserva di esprimere la propria opinione a seguito dell’accordo sulle prospettive finanziarie sugli emendamenti nn. 36, 45, 49 e 50(3).
La Commissione non può accogliere gli emendamenti nn. 8, 9, 11, 13, 23, 26, 33, 35, 38, 40, 47, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 62 e 63.
16. Capitali europee della cultura (2007-2019) (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0061/2006), presentata dall’onorevole Prets a nome della commissione per la cultura e l’istruzione, sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un’azione comunitaria a favore della manifestazione “Capitale europea della cultura” per gli anni dal 2007 al 2019 [COM(2005)0209 – C6-0157/2005 – 2005/0102(COD)].
Ján Figeľ, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la manifestazione “Capitale europea della cultura” è probabilmente una delle più popolari iniziative europee. E’ stata apprezzata dagli Stati membri e dall’opinione pubblica in generale fin dalla sua creazione vent’anni fa, nel 1985, grazie a Melina Mercouri. L’idea di fondo continua a essere quella di evidenziare la ricchezza e la diversità delle culture europee e i tratti che hanno in comune, nonché quella di promuovere una maggiore conoscenza reciproca tra i cittadini europei. Questo è, inoltre, un argomento molto vicino a quello precedente.
Tuttavia, la nostra esperienza ha mostrato che alcuni aspetti dell’attuale programma di collaborazione devono essere migliorati, principalmente in quattro settori: la concorrenza tra le città, il ruolo della giuria di selezione, la dimensione europea della manifestazione e il processo di monitoraggio. Per questo motivo l’anno scorso la Commissione ha approvato la proposta volta a sostituire la decisione del 1999. Si trattava di una richiesta del Parlamento espressa dall’onorevole Prets e all’epoca io avevo promesso personalmente che avrei presentato una nuova proposta.
Il nuovo sistema è volto a incoraggiare gli Stati membri a organizzare concorsi a livello nazionale tra le città interessate. Una giuria di selezione mista dovrà valutare le candidature nel quadro dei concorsi nazionali. La giuria mista sarà costituita da sette esperti nominati dalle Istituzioni e da sei esperti nominati dagli Stati membri interessati. Lo Stato membro proporrà poi una città alle Istituzioni europee. Come in passato, il Consiglio prenderà la decisione finale in merito alla designazione della città.
Inoltre, la proposta prevede criteri più semplici e chiari rispetto a quelli previsti dalla decisione attuale. Dopo la designazione delle capitali europee verrà istituito un processo di monitoraggio per fornire alle città aiuto e consulenza nell’ultimazione dei preparativi del programma, in particolare per garantire che il valore aggiunto europeo sia efficacemente rispecchiato.
Alle Capitali europee della cultura che soddisfano i criteri e gli obiettivi dell’iniziativa verrà conferito un premio. Contemporaneamente, proporrò un incremento significativo del contributo comunitario a favore di quelle città che partecipano al programma tramite il programma Cultura 2007.
Sono molto lieto che Parlamento, Consiglio e Commissione abbiano lavorato in stretta collaborazione per trovare emendamenti di compromesso che fossero soddisfacenti per tutti. Questa relazione è in linea con la posizione della Commissione e migliora chiaramente la nostra proposta, per cui penso che questo nuovo schema crei il giusto equilibrio tra gli interessi locali e quelli nazionali e rafforzi la dimensione europea. Sono sicuro che ciò aumenterà la trasparenza della procedura di selezione e la visibilità della manifestazione.
Vorrei confermare che la Commissione accoglie con favore questa relazione e accetta tutti gli emendamenti di compromesso. Mi aspetto quindi che la proposta emendata venga adottata in prima lettura. Desidero ringraziare sinceramente la commissione per la cultura e l’istruzione e in particolare la relatrice, onorevole Prets, per l’efficienza e l’impegno.
Christa Prets (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, come ha già affermato il Commissario, alcuni aspetti di questo accordo che risale a vent’anni fa dovevano essere modificati. Sebbene nel 1999 fosse stata presentata una nuova decisione, essa non considerava che qualche anno dopo avrebbero aderito all’Unione dieci nuovi Stati membri – o forse di più – e che dunque si doveva tenere conto anche di questi nuovi paesi. Per questo abbiamo ora un sistema di partenariato.
La proposta che ci era stata presentata allora era insoddisfacente. Nel 2004 abbiamo elaborato un’altra nuova proposta, ma abbreviata, perché avevamo fretta e non volevamo ostacolare la procedura per le città del 2009 e del 2010, e della quale abbiamo accettato le imperfezioni. Ma la Commissione ha mantenuto la promessa e sei mesi dopo ci ha presentato un nuovo testo.
La nostra priorità è quella di ridefinire il ruolo della giuria. In passato abbiamo incontrato alcuni problemi in proposito e dunque dobbiamo garantire di avere una giuria migliore in futuro. La nuova proposta rende la giuria più democratica. Ciò significa che gli Stati membri e i paesi candidati sono rappresentati nella giuria di selezione, durante la fase di preselezione, e possono così fornire il loro contributo: non sarà la sola Bruxelles ad avere voce in capitolo, e ciò è molto importante.
Durante la seconda fase, un gruppo di monitoraggio e consulenza segue la procedura con occhio critico, e svolge un ruolo di sostegno, senza limitarsi a individuare le imperfezioni. Questo è molto importante, perché spesso le città si sentono abbandonate a se stesse durante i preparativi e non sanno esattamente come gestire tutte le regole.
La concorrenza era un’altra questione cruciale; volevamo potenziare l’elemento competitivo. Gli Stati membri dovrebbero ricordare durante il periodo preparatorio che ciò che conta è la nuova attività culturale e il coinvolgimento dell’opinione pubblica e delle singole regioni. Anche se sto sottolineando l’aspetto della concorrenza, desidero dire che indubbiamente i paesi più piccoli non sono in grado di organizzare grandi concorsi. In questi casi è ammissibile la candidatura di una sola città, che dovrebbe però soddisfare tutti i criteri e i requisiti per diventare una Capitale europea della cultura.
Un criterio essenziale, nonché punto di discussione, è la dimensione europea. Le città devono creare valore aggiunto europeo, ma la domanda è: cos’è il valore aggiunto europeo? In che modo viene rispecchiato dalle città? Come possiamo spiegare alle città qual è esattamente il compito che devono svolgere? La Commissione non è riuscita a definire il tutto con assoluta precisione, e lo capisco, perché è molto difficile. La Commissione ha promesso di presentare il modello di migliori prassi su un sito Internet. Questo sito Internet è un mezzo molto importante per fornire orientamenti, ma anche per condividere dubbi ed esperienze, il che è fondamentale per le città candidate. Vorrei chiedere al Commissario di far sì che gli orientamenti e il sito Internet siano disponibili nel momento in cui il progetto entrerà in vigore.
Un aspetto soddisfacente è il finanziamento – non per quanto riguarda l’importo, poiché in proposito emergeranno problemi. Probabilmente le nuove prospettive finanziarie, con nostro grande rammarico, ridurranno anche l’importo previsto per le Capitali europee della cultura. Se penso, ad esempio a Linz, che attualmente ha un volume di investimenti di 60 milioni di euro, di cui solo lo 0,86 per cento proviene dall’UE, mi chiedo perché gli oneri siano così grandi. Ovviamente si potrebbe dire che è una questione di immagine: aiuta la regione, aiuta la città, stiamo investendo nel futuro, stiamo investendo nella sostenibilità – questo è un altro aspetto importante.
Giacché stiamo parlando di finanze, è gratificante che ora il premio venga assegnato con tre mesi di anticipo. Ciò sarà indubbiamente un aiuto per le città, poiché finora il problema principale consisteva nel fatto che le città si dovevano sempre preoccupare dei finanziamenti dopo la manifestazione, dopo che tutto si era ormai concluso. Spero e mi auguro che ciò diventi realtà e che, pertanto, le Capitali europee della cultura abbiano di fronte a sé un futuro veramente democratico.
Spero che la sostenibilità, la buona reputazione e lo slancio impresso all’arte e alla cultura europea in generale trovino espressione in questa relazione e nelle attività e nella realizzazione che seguiranno.
Doris Pack, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, sebbene sia già stato detto tutto, vorrei aggiungere qualcosa, poiché mi sta particolarmente a cuore che la Capitale europea della cultura diventi realmente ciò che noi abbiamo sempre ritenuto dovesse essere, ovvero un mezzo per pubblicizzare la cultura europea. Questa cooperazione, che prima era intergovernativa – in realtà si trattava di un’azione governativa – si è ora evoluta in una questione interistituzionale. Ciò significa che la collaborazione è eccellente e che, come ha detto anche l’onorevole Prets, la nostra voce viene ascoltata.
Da anni chiediamo qualcosa di consistente che possa essere valutato e selezionato dalla giuria, affinché le città si impegnino per portare alla luce il valore aggiunto europeo e non solo quello che già hanno. Questa manifestazione, in particolare, ci rende consapevoli dell’importanza della cultura europea. Le città sono portatrici di cultura e mediatori culturali dell’UE. Questo concorso dà loro l’opportunità di riunire moltissimi elementi; è ammessa la cooperazione transfrontaliera tra culture regionali.
Non posso che essere d’accordo sull’importanza di organizzare un concorso con questo scopo. Prendendo l’esempio della Germania, posso dire che il concorso per trovare la Capitale europea della cultura 2010 è stato un evento meraviglioso, con dieci città che aspiravano ad essere la migliore. Le iniziative intraprese non si sono esaurite, bensì continuano. Hanno costituito una rete con le città ungheresi e credo che la Commissione dovrebbe tenere in gran conto questo aspetto. Anche il sito Internet è uno strumento potenziale per far continuare questi eventi.
Sono lieta che la Commissione abbia ormai superato gli ostacoli amministrativi e che sia stato istituito un premio – che in realtà non è un premio, ovviamente, ma piuttosto il denaro dovuto alla città, il che significa che la città ha finalmente a disposizione questa somma nel momento in cui dà inizio alle attività. Nel complesso la manifestazione è molto positiva e, sia in questo contesto sia relativamente al dibattito precedente sulla cittadinanza, aiuta i cittadini a vedere la grande varietà culturale dell’Europa.
Nikolaos Sifunakis, a nome del gruppo PSE. – (EL) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei fornire all’onorevole Pack una spiegazione in merito alla lettera. Tutti noi deputati – lo dico per l’onorevole Pack – riceviamo lettere che ci esortano ad appoggiare gli emendamenti presentati dai nostri onorevoli colleghi, per il semplice motivo che non possiamo conoscere il contenuto delle centinaia di emendamenti presentati. Io ricevo queste lettere, così come tutti gli altri.
Ora, per quanto riguarda l’osservazione formulata da un altro onorevole collega, i presidenti di commissione esercitano il loro diritto, così come tutti gli altri deputati, di presentare emendamenti e, anche quando credono che possano essere respinti in commissione, hanno il diritto – ai sensi del Regolamento – di presentarli in Aula. Penso che noi tutti lo facciamo.
Per tornare all’oggetto del dibattito, le capitali della cultura oggi sono l’istituzione politica più grande e meglio organizzata in Europa. Nessun’altra azione culturale in Europa ha la stessa portata oggi o, elemento ancora più importante, la stessa proiezione e partecipazione di massa da parte dei cittadini.
Inoltre, è difficile pensare a molte altre iniziative europee moderne nell’ambito della cultura che siano diventate uno standard. Tuttavia, l’esperienza ha mostrato, come hanno detto altri deputati, che alcuni aspetti specifici di questa istituzione non potevano andare oltre.
La principale esigenza è il miglioramento del metodo di selezione delle capitali della cultura. Questo è stato fatto e i colleghi che facevano parte della commissione precedente, presieduta da Michel Rocard, se ne sono occupati a fondo. Il quadro attuale non tutela veramente la concorrenza, come abbiamo sentito.
Un’altra questione importante è che spesso nel programma la dimensione europea non viene contemplata, come ho riscontrato in occasione di eventi culturali ai quali ho preso parte nel quadro di tre o quattro capitali della cultura.
La nuova proposta, sulla quale la relatrice, onorevole Prets, ha svolto un ottimo lavoro, cerca di conciliare i vari punti di vista sia all’interno del Parlamento sia in seno al Consiglio.
Infine, vorrei spendere un paio di parole sul premio. E’ importante, come ha proposto la Commissione, che il premio sia in onore di Melina Mercouri. La proposta di dare il suo nome al premio non è una coincidenza, né da parte della Commissione né dei 25 rappresentanti del Consiglio che l’hanno accolta, perché Melina Mercouri è stata l’ispirazione, l’artista che, durante tutto il suo incarico di ministro della Cultura, si è adoperata per l’istituzione di questo premio. E’ stata, dunque, una sua idea e penso che sia importante che in futuro il premio porti il suo nome. Ovviamente è stato raggiunto un compromesso rispetto alla proposta iniziale.
Per concludere, desidero aggiungere che le capitali della cultura sono sostenute dall’Unione europea. Ciononostante, a prescindere dall’indipendenza della scelta, come orientamento gli Stati membri devono determinare meglio i metodi di intervento, principalmente nelle infrastrutture, se non nei programmi.
Alfonso Andria, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, apprezzo molto la proposta della Commissione, destinata a rafforzare la dimensione europea e migliorare la trasparenza della procedura di selezione della capitale della cultura.
L’impianto della relazione Prets è eccellente e di ciò mi congratulo con la collega relatrice. Trovo molto convincenti e interessanti la proposta di intitolare il premio, che la Commissione propone di attribuire alla città prescelta, al nome di Melina Mercuri per le ragioni appena ricordate dal collega Sifunakis, come anche la proposta di istituire un portale Internet che crei collegamenti tra le città designate, incentivi lo scambio di know-how e delle migliori pratiche e fornisca informazioni alle città candidate.
Personalmente ritengo indispensabile un rafforzamento del raccordo tra il programma “Capitale europea della cultura” e il grande tema del turismo, per sfruttare appieno le enormi potenzialità economiche e sociali che un evento di questa portata può produrre e anche per far sì che esso costituisca un motore di sviluppo duraturo della città e del territorio circostante.
A tale proposito vorrei rilanciare la proposta che avevo avanzato in quest’Aula durante il dibattito sulla relazione Queiró, di creare una capitale europea per il turismo. Tale proposta è corroborata anche dal rafforzamento della dimensione urbana. La nuova Agenda 2007-2013 si concentrerà infatti con decisione sul ruolo delle città.
Come potete constatare, gli italiani sono operativi. Se ci fosse ancora il collega Stubb, il quale aveva scherzosamente definito i miei connazionali incapaci di conclusioni operative, gli direi, altrettanto scherzosamente, che forse egli è condizionato da qualche cattivo modello e dalle sue amicizie politiche.
In conclusione, signor Presidente, auspico che domani il Parlamento licenzi favorevolmente la relazione Prets, in quanto costituisce un testo completo e ricco, che accentua un importante disegno comunitario volto ad avvicinare l’Europa ai cittadini attraverso la cultura, nonché a favorire lo sviluppo e il rilancio delle città.
Helga Trüpel, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, desidero iniziare ringraziando l’onorevole Prets per aver lavorato con impegno e competenza a questa relazione. Sebbene alcuni degli oratori precedenti abbiano già citato i problemi incontrati in casi specifici, vorrei sottolineare che, finora, la storia delle capitali europee della cultura è stata un vero e proprio successo. Ne hanno tratto vantaggi le singole città nominate capitali della cultura, ma anche l’intera Europa perché, molto spesso, queste capitali europee hanno fatto capire chiaramente quanto sia variegata, ricca e varia la cultura europea.
Ciononostante, vorrei soffermarmi su due aspetti di questa relazione riveduta che sono per me particolarmente importanti. Innanzitutto, l’idea della sostenibilità richiede che la manifestazione della Capitale europea della cultura non si basi solo su eventi, ma fornisca un contributo concreto per incoraggiare una maggiore interazione sociale, una maggiore promozione dell’arte e della cultura e nuovi progetti architettonici. Ciò include anche la questione del cambiamento strutturale e del valore delle attività culturali per l’Europa nel suo complesso. In secondo luogo, l’obiettivo di creare una prospettiva e uno scambio realmente europei, nonché di evidenziare il valore aggiunto europeo è un punto davvero decisivo nella rielaborazione di questo programma, e resta ancora altro da fare in tal senso. Il modo migliore per coinvolgere le persone e suscitare il loro entusiasmo è quello di spiegare cosa significa realmente l’interazione europea, e non riferirsi solo a ciò che era già disponibile senza di essa. Dobbiamo invece unirci ad altri attori europei e sviluppare nuove strutture. In questo modo nei prossimi anni l’idea delle capitali europee della cultura diventerà ancora più avvincente.
Zdzisław Zbigniew Podkański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, molta è l’esperienza ricavata dalle manifestazioni delle Capitali europee della cultura. Gli eventi hanno avuto conseguenze sia positive sia negative.
Tra gli aspetti positivi, abbiamo notato il fiorire di attività creative, di scambi culturali all’estero e di patrocini di eventi culturali. Sono state promosse le città e sono state destate le ambizioni culturali dei loro cittadini. Tra i fatti negativi, potrei citare la concentrazione di attività e risorse su eventi culturali specifici a discapito dei movimenti sociali e culturali nella città e nella regione interessate. Potrei anche menzionare la mancanza di una dettagliata valutazione d’impatto del programma realizzato e l’imposizione agli Stati membri e alle autorità cittadine di criteri che spesso sono inadeguati alle esigenze e alle tradizioni delle città e delle regioni, senza dimenticare la mancanza di chiarezza e trasparenza riguardo al finanziamento delle attività a carico dei fondi europei.
Ultimamente si è delineata la tendenza a limitare il ruolo degli Stati membri e a restringere il ventaglio delle possibili Capitali europee della cultura. Si tratta di un’evoluzione preoccupante e sarebbe opportuno chiedersi se sia più auspicabile una cooperazione efficace o l’imposizione reciproca della volontà di uno sugli altri. Personalmente, io sono a favore del dialogo e della creazione di condizioni per una partecipazione attiva alla cultura, per promuoverne la bellezza e la diversità.
Devo ringraziare l’onorevole Prets per la relazione e l’impegno profuso. Sono certo che durante il lavoro futuro ci adopereremo per attingere alle esperienze positive. Confido inoltre nell’eliminazione di quegli aspetti che non portano a nuovi sviluppi e che, invece, limitano la diversità culturale, che è fondamentale per contribuire all’integrazione e al dialogo nazionale.
Erna Hennicot-Schoepges (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, ho fatto mettere a verbale un parere di minoranza ai sensi dell’articolo 48 del Regolamento e non voterò a favore di questa relazione. Ringrazio, comunque, l’onorevole Prets per il suo lavoro. Vi spiegherò i motivi della mia posizione.
Il progetto volto a designare ogni anno una Capitale europea della cultura ha suscitato, inizialmente, entusiasmo e il desiderio di distinguersi dalla massa, nonché la consapevolezza che la cultura è un bene prezioso. Da ormai dieci anni la Commissione e il Parlamento stanno cercando di dare nuovo slancio al progetto, ma l’hanno fatto utilizzando le stesse risorse che stanno paralizzando il progetto europeo in generale. Invece di ripristinare l’entusiasmo iniziale, con cittadini che si sarebbero dovuti identificare nel progetto, la Commissione e il Parlamento si stanno ergendo a giudici.
Con i miei emendamenti ho proposto di assegnare agli Stati membri il compito di designare la Capitale europea della cultura in base ai loro propri criteri. Ciò li avrebbe incoraggiati ad assumersi le loro responsabilità. Anziché rafforzare la sussidiarietà per costruire l’identità europea, un’identità fondata sulla nostra diversità, le Istituzioni si stanno comportando come capi progetto: impartiscono ordini, selezionano e giudicano, senza, per tutto questo, farsi carico dei costi delle loro decisioni, perché il contributo finanziario dell’Unione europea resta limitato.
La burocrazia aumenta vertiginosamente per le iniziative locali e, Commissario, posso solo sperare che le future giurie siano più coscienziose di quelle che hanno giudicato il progetto del Lussemburgo per il 2007 senza nemmeno essere presenti al completo né informate in merito all’intenzione di estendere il progetto alla Grande Regione e senza rendersi conto che la proposta del Lussemburgo di scegliere Sibiu in Romania come città partner si sarebbe rivelata molto innovativa. La cultura va ben oltre i soli eventi pubblicitari.
Il progetto delle Capitali della cultura deve essere ben più di una serie scintillante di eventi e, per garantire la continuità, ho proposto di collegare alle consultazioni una rete di Capitali della cultura organizzata con l’appoggio della Commissione. Stiamo invece assistendo alla parodia di una rete che raggruppa alla rinfusa città che sono state legittimamente designate e altre che si sono attribuite da sole questo titolo. E’ finalmente giunto il momento di proteggere il titolo di Capitale europea della cultura.
Marios Matsakis (ALDE). – (EN) Signor Presidente, è inutile dire che, con tutto il rispetto, sono in totale disaccordo con la collega che mi ha preceduto. Desidero congratularmi con l’onorevole Prets per la relazione approfondita e preparata con attenzione. E’ universalmente riconosciuto che il programma della Città europea della cultura, o Capitale europea della cultura, come è stato ribattezzato ultimamente, è un concetto ben collaudato e molto utile e si deve rendere onore a coloro che l’hanno istituito verso la metà degli anni ’80, soprattutto al ministro greco della Cultura, Melina Mercouri, donna ispirata e di talento che, nella sua vita burrascosa, si è battuta coraggiosamente per la democrazia e la promozione dell’unità europea attraverso la cultura.
Programmi come quello che stiamo discutendo stasera aiutano indiscutibilmente ad avvicinare i cittadini europei tra di loro e a rafforzare i legami che li uniscono. Aiutano a promuovere la comprensione tra le persone, aumentando l’apprezzamento e il rispetto per la storia culturale diversa ma unificante di ognuno.
Nel corso degli anni sono state identificate alcune aree problematiche e questa proposta della Commissione, che verrà poi modificata dal Parlamento, certamente migliorerà e rafforzerà ulteriormente il programma. Parlando in una lingua per me straniera – l’inglese – spero di poter contribuire a unificare la nostra aspirazione europea di avere in futuro una lingua comune di comunicazione.
Sulla base dell’esperienza acquisita in questi vent’anni di funzionamento del programma, e a causa delle modifiche rese necessarie dall’allargamento, urge ora procedere a una revisione. Due delle principali modifiche necessarie sono i miglioramenti nella procedura di selezione e la creazione di un sistema che garantisca che, una volta scelta la città, venga realizzato con successo un programma ben pianificato.
Desidero sottolineare la saggezza di due innovazioni contenute nella proposta: il sistema di gemellaggio e il premio. Non ho tempo per scendere nei dettagli. Mi congratulo ancora una volta con la relatrice per l’eccellente relazione.
Ljudmila Novak (PPE-DE). – (SL) In un’Europa culturalmente ed etnicamente diversa è molto importante costruire ponti tra le nazioni. Il nostro principio guida deve essere, e deve continuare ad essere, quello di preservare la nostra cultura e conoscere le ricchezze delle altre nazioni. La cultura è il legame meno intrusivo e più efficace che unisce le nazioni che vogliono vivere in uno spirito di pace e di collaborazione reciproca.
La Capitale europea della cultura rende possibile un legame di questo tipo. Al contempo offre anche a molte città ospitanti l’opportunità di effettuare maggiori investimenti nelle strutture e nei progetti culturali, con effetti positivi per l’economia nel lungo periodo. Il progetto incoraggia inoltre il coinvolgimento dei cittadini nella sfera culturale esortandoli ad acquisire dimestichezza con la cultura in tutte le sue dimensioni.
Accolgo inoltre con favore la proposta di assegnare un premio alla città che soddisfa i criteri della Capitale europea della cultura, poiché gli organizzatori precedenti in molti casi si sono lamentati della mancanza di risorse, in quanto l’Unione europea stanziava i finanziamenti solo dopo la presentazione della relazione.
Il nostro impegno totale rappresenta solo una frazione del contributo rispetto agli importi investiti nelle Capitali europee della cultura dalle comunità locali, dagli Stati membri interessati o dal settore privato. Per questo motivo, non dobbiamo complicare la raccolta dei fondi con gravose procedure amministrative. Dobbiamo, al contrario, facilitare il compito degli organizzatori, poiché solo in questo modo contribuiremo a un migliore rapporto tra i cittadini e le Istituzioni europee.
Anche la proposta di creare una giuria di selezione mista che nomini la capitale è una buona idea, perché tiene in maggiore considerazione la dimensione internazionale e renderà possibile una selezione più giusta, visto che a livello nazionale possono verificarsi maggiori favoritismi per una città in particolare.
Bogusław Sonik (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, insieme ad altre otto città europee la mia città natale, Cracovia, in Polonia, è stata Capitale europea della cultura per il 2000, e per me allora fu un piacere assumere l’incarico di direttore del programma “Capitale europea della cultura”.
Devo dire che, tra i programmi che sottolineano l’unità culturale del nostro continente, quello denominato “Capitale europea della cultura” è il più notevole. Inoltre, si tratta di un programma nato dall’iniziativa dei cittadini. Non è sorto dall’iniziativa di un’Istituzione come la Commissione o il Parlamento. La Grecia e Melina Mercouri, in particolare, meritano i nostri complimenti per avere individuato il modo di mostrare cosa è l’Europa e qual è il vero significato dell’unità culturale per il nostro continente. Effettivamente sarebbe opportuno e giusto dare a questo premio il nome della signora Mercouri, che all’epoca era ministro greco della Cultura, perché questo è quanto meritano la Grecia e la signora Mercouri.
Come dovrebbe essere definito il ruolo della Commissione europea? Ora mi sto rivolgendo in particolare al Commissario Figel’. Il ruolo della Commissione dovrebbe essere quello di fornire aiuto e consulenza, individuare gli errori e dare consigli sulle misure da applicare. Non dovrebbe essere coinvolta nelle questioni amministrative, come invece tende a fare. In particolare, dovrebbe guardarsi dall’assumere un simile atteggiamento in questo caso, visto che i 500 000 euro rappresentano solo il 2-5 per cento dei finanziamenti stanziati per l’attuazione del programma delle Capitali europee della cultura.
Pertanto, signor Commissario, occorre trovare il modo di diffondere le informazioni pertinenti e di sostenere i siti Internet e altre pubblicazioni. Dobbiamo imparare dai successi e dagli errori delle Capitali europee della cultura precedenti. Fanno tutte parte dell’associazione delle Capitali europee della cultura. Commissario Figel’, lei è responsabile del finanziamento di 25 reti, e l’associazione delle Capitali europee della cultura deve figurare tra queste, per garantire i servizi necessari a quelle città che dovranno assumere questo ruolo importante nell’immediato futuro.
Ján Figeľ, Membro della Commissione. (SK) Penso che il programma delle Capitali europee della cultura sia molto popolare nella sfera culturale, così come lo è Erasmus nel campo dell’istruzione. Entrambi i programmi hanno circa vent’anni e, se lo volessimo, potremmo dire molto sul loro passato e il loro futuro. Sono convinto che non solo la commissione per la cultura ma anche il Parlamento desideri che il programma delle Capitali europee della cultura migliori ancora di più e diventi ancora più popolare, e credo che si stia procedendo in quella direzione.
Vorrei semplicemente aggiungere che il fatto che dieci città in Germania e undici in Ungheria siano in gara per il 2010 testimonia l’interesse, la competitività e il movimento o il dinamismo nell’ambito della cultura e del patrimonio culturale, il che è positivo per l’Europa intera. Desidero ringraziare tutti voi e dire che stiamo facendo molte delle cose che sono state menzionate dall’onorevole Sonik a proposito dell’informazione, della consulenza e dell’assistenza. Vorremmo anche aumentare il valore del premio o aiuto finanziario a 1,5 milioni di euro. Tutto dipende, comunque, dal risultato della votazione di domani e dalle discussioni sulle prospettive finanziarie. Detto questo, sono convinto che questa attività, questa componente della cooperazione culturale, meriti un sostegno significativo.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, mercoledì.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Bogdan Golik (PSE). – (PL) Desidero ringraziare la relatrice per l’eccellente relazione che promuove il valore della cultura nell’Unione europea. Lavorando a nuovi metodi è importante ricordare che i nuovi Stati membri e le loro culture hanno subito molte pressioni durante il periodo comunista. Inoltre, veniva negata la varietà e l’identità di queste culture. Permettere a questi paesi di essere più coinvolti negli eventi delle Capitali europee della cultura è un’opportunità unica per sfruttare l’energia senza precedenti generata dalla popolazione delle cosiddette giovani democrazie.
Non posso non citare un candidato di spicco tra le città che sperano di essere nominate Capitale europea della cultura per il 2010. Mi riferisco alla città di Goerlitz-Zgorzelec, dove ho avuto la fortuna di crescere e di studiare. Si tratta di una città eccezionale perché, nonostante la sua storia sia stata contrassegnata da crudeli divisioni, i cittadini di Goerlitz-Zgorzelec sono riusciti a mantenere vivi i legami umani, economici e, soprattutto, culturali.
Questa città è stata segnata dalla storia e divisa dal confine stabilito dopo la Seconda guerra mondiale, ma grazie alle attività dell’Unione europea ora ha l’occasione di rinascere sulla cartina dell’Europa. Ha buone probabilità di diventare un luogo dove la riconciliazione, la comprensione e la cooperazione sopranazionale e culturale funzionano a tutti i livelli. E’ un esempio di come gli interessi comuni e la volontà di dialogare possono superare le divisioni e il risentimento, cosa che era considerata impossibile. Consiglio questo atteggiamento a tutte le iniziative a livello europeo, non solo a quelle culturali.
Zita Gurmai (PSE). – (EN) Il progetto della Città europea della cultura ha un ruolo e una missione innegabilmente importanti, poiché contribuisce a preservare la diversità e la ricchezza del patrimonio culturale europeo. E’ di grande aiuto nell’apprendimento reciproco delle tradizioni e dei valori culturali degli altri. Trasparenza, chiarezza, monitoraggio e migliori prassi costituiscono i requisiti fondamentali per tutti i tipi di procedure di selezione della Comunità europea, e ciò dovrebbe valere anche per la selezione delle Capitali europee della cultura. Non posso che appoggiare con decisione l’inclusione di Romania e Bulgaria nel programma, accogliendo così l’interesse espresso dai due potenziali nuovi Stati membri a partecipare all’iniziativa, considerata l’importanza simbolica di farli sentire già parte dell’Europa e al fine di arricchire ulteriormente i nostri valori e la nostra diversità culturali. L’inclusione nel progetto dell’iniziativa del Mese della cultura può aiutare i cittadini a imparare qualcosa di più sul patrimonio culturale delle altre nazioni e ad estendere il progetto a un più ampio contesto internazionale.
17. Gas fluorurati a effetto serra – Emissioni provenienti dai sistemi di climatizzazione dei veicoli a motore (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:
– la relazione (A6-0087/2006), presentata dall’onorevole Doyle a nome della delegazione del Parlamento europeo al comitato di conciliazione, sul progetto comune, approvato dal comitato di conciliazione, di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni gas fluorurati ad effetto serra [PE-CONS 3604/2006 – C6-0065/2006 – 2003/0189A(COD)] e
– la relazione (A6-0090/2006) presentata dall’onorevole Doyle a nome della delegazione del Parlamento europeo al comitato di conciliazione, sul progetto comune, approvato dal comitato di conciliazione, di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle emissioni degli impianti di condizionamento d’aria dei veicoli a motore, che modifica la direttiva 70/156/CEE del Consiglio [PE-CONS 3605/2006 – C6-0066/2006 – 2003/0189B(COD)].
Avril Doyle (PPE-DE), relatore. – (EN) Signor Presidente, vorrei chiedere alla Commissione di prendere la parola per prima. Mi sembra che la Commissione voglia rilasciare una dichiarazione ufficiale cui vorrei poter replicare.
Ján Figeľ, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei trasmettervi i saluti del mio collega, il Commissario Dimas. Vorrei illustrarvi la posizione della Commissione europea in materia.
In primo luogo vorrei complimentarmi con la delegazione parlamentare che ha partecipato alla riunione di conciliazione con il Consiglio il 31 gennaio. In particolare desidero ringraziare il vicepresidente, onorevole Trakatellis, e la relatrice, onorevole Doyle, nonché congratularmi con loro per il risultato conseguito.
Le discussioni in seno al comitato di conciliazione sono state costruttive e l’esito finale sulle questioni cruciali, come i requisiti per il contenimento, l’etichettatura, l’immissione in commercio, la promozione di alternative, nonché altri argomenti importanti, è soddisfacente. La Commissione può pertanto sostenere il testo di conciliazione ed esorta il Parlamento a sostenere l’ottimo risultato ottenuto dai suoi negoziatori. Credo che il regolamento sui gas fluorurati, nonché la direttiva relativa ai condizionatori d’aria mobili delle auto, contribuiranno in modo significativo alla lotta dell’UE contro il cambiamento climatico e ai nostri sforzi di raggiungere l’obiettivo della riduzione delle emissioni previsto da Kyoto.
La Commissione ritiene che entro il 2012 la normativa oggi in discussione ridurrà le emissioni di gas fluorurati di circa 20 milioni di tonnellate equivalenti di CO2 all’anno, il che comporta una riduzione del 20 per cento rispetto al 1995. In assenza di provvedimenti, le emissioni di gas fluorurati sarebbero aumentate del 50 per cento nel medesimo periodo. A partire dal 2020, anno in cui tutte le misure saranno pienamente applicate, si otterrà una riduzione di 40/50 milioni di tonnellate equivalenti di CO2.
La politica climatica comunitaria si fonda sulla stretta collaborazione tra Commissione e Stati membri. Solo grazie a un’azione comune e combinata a livello europeo e nazionale, l’Unione europea riuscirà a ridurre in modo efficace le emissioni dei gas a effetto serra. La Commissione accoglie pertanto positivamente le misure adottate dagli Stati membri al fine di ridurre le emissioni nazionali così da rispettare gli obiettivi previsti dall’accordo per la ripartizione degli oneri di quote di emissione. In proposito, tuttavia, la Commissione ha la responsabilità di non venir meno al proprio dovere di garantire che tutte le azioni intraprese in vista della riduzione delle emissioni dei gas fluorurati siano compatibili con il Trattato. Per tale motivo la Commissione desidera pronunciare la seguente dichiarazione in relazione all’introduzione di misure nazionali più severe.
‘La Commissione prende atto dell’accordo tra Parlamento europeo e Consiglio sull’introduzione nel regolamento di una disposizione che permette agli Stati membri di mantenere fino al 2012 misure nazionali più severe di quelle contenute nel regolamento, purché siano state approvate prima del 31 dicembre 2005. Ai sensi del Trattato, allorché, dopo l’adozione di una misura di armonizzazione, uno Stato membro ritenga necessario mantenere disposizioni nazionali giustificate da esigenze importanti di cui all’articolo 30 del Trattato o relative alla protezione dell’ambiente o dell’ambiente di lavoro, esso notifica tali disposizioni alla Commissione precisando i motivi del mantenimento delle stesse. Il Trattato inoltre definisce i criteri in base ai quali la Commissione ha facoltà di accettare o respingere tali misure. La Commissione è pertanto tenuta a mantenere i propri diritti in materia, compresi quelli che le sono conferiti dal Trattato”.
Ringrazio di nuovo il Parlamento per il suo approccio aperto e costruttivo sul pacchetto dei gas fluorurati. Il risultato è una normativa forte ed efficace che dimostra ancora una volta la capacità dell’Unione europea di tradurre le proprie parole in fatti concreti in materia di politica climatica.
Avril Doyle (PPE-DE), relatore. – (EN) Signor Presidente, ringrazio il Commissario per aver accettato il mio invito ad aprire la discussione di stasera, in quanto mi preoccupa la dichiarazione che ha appena pronunciato e su cui tornerò nel corso della discussione, come ho il sentore che faranno anche altri colleghi.
Questa normativa costituisce un interessante studio dei casi per chiunque si interessi di iter decisionali istituzionali del Parlamento europeo. Innanzi tutto, vorrei ringraziare tutti i colleghi e in particolare la relatrice ombra, onorevole Corbey, per la collaborazione intrattenuta nel corso di un dibattito talvolta lungo e irto di notevoli difficoltà.
I gas fluorurati sono stati introdotti negli anni ’90 per sostituire i CFC e gli HCFC, responsabili dell’assottigliamento dello strato di ozono, e vengono utilizzati in applicazioni di ogni tipo, alcune essenziali, altre meno: schiume isolanti, aerosol, sistemi di refrigerazione e di condizionamento dell’aria; strumenti di protezione antincendio, apparecchiature elettriche e persino nelle suole delle cosiddette scarpe da ginnastica air-tech, nonché naturalmente nei doppi vetri. L’elenco è davvero lungo.
Poiché la discussione sul cambiamento climatico è emersa a seguito della Convenzione quadro dell’ONU sul cambiamento climatico, l’impatto dannoso di questi gas fluorurati, dovuto al loro forte potenziale di riscaldamento globale (GWP), è stato indicato tra i principali responsabili dell’effetto serra, cui contribuisce per il 5 per cento circa. Questi gas non solo hanno un elevato potenziale di riscaldamento globale, ma il più potente, l’esafluoruro di zolfo o SF6, ha un GWP quasi 24 000 volte superiore a quello della CO2, il più comune gas a effetto serra. Tali gas hanno inoltre tempi di dimezzamento molto lunghi.
Se non verrà adottata alcuna misura la Commissione ritiene che le emissioni di gas fluorurati nel 2010 aumenteranno del 50 per cento rispetto ai livelli del 1995. Altri potrebbero citare cifre molto più elevate. Grazie alle misure previste da questo pacchetto legislativo, entro il 2012 tali emissioni diminuiranno di oltre il 20 per cento rispetto ai livelli del 1995. Tre dei sei gas a effetto serra contenuti nell’elenco allegato al Protocollo di Kyoto del 1997 sono fluorurati. In definitiva la presente legislazione incoraggia la riduzione delle emissioni di 25 gas fluorurati, gli idrofluorocarburi, i perfluorocarburi e l’esafluoruro di zolfo, mediante il contenimento, l’uso responsabile, il recupero, la distruzione e lo smaltimento. La legislazione intende mettere gli Stati membri in condizione di conseguire gli obiettivi di Kyoto contenendo le perdite e limitando l’uso di gas fluorurati.
Mentre la proposta iniziale della Commissione si presentava come un regolamento avente come unica base giuridica il mercato, ovvero l’articolo 95, la posizione comune concordata dal Consiglio si presenta sottoforma di due testi separati: una direttiva avente come base giuridica l’articolo 95 e un regolamento con una duplice base giuridica, vale a dire gli articoli 175 e 95. La logica che ha motivato la divisione della proposta legislativa iniziale della Commissione in due atti legislativi distinti, secondo la proposta avanzata in prima lettura dal Parlamento europeo, era di spostare tutti i requisiti relativi alle emissioni degli impianti di condizionamento d’aria dei veicoli a motore (MAC) dalla proposta di regolamento alla direttiva quadro 70/156/CEE relativa all’omologazione dei veicoli a motore. La proposta di regolamento avrebbe dunque dovuto incentrarsi sulle restanti applicazioni fisse. Il Consiglio, dopo aver diviso il testo in due e aver intrapreso il passo fortemente controverso di dare due diverse basi giuridiche al regolamento, il cui fondamento è l’ambiente con alcune misure secondarie fondate sulla base giuridica del mercato unico, ha ripassato il testimone al Parlamento. In sede di seconda lettura in Parlamento non si è giunti ad alcuna conclusione definitiva sulla decisiva e controversa questione della duplice base giuridica del regolamento, che è stata mantenuta.
La proposta da me avanzata in veste di relatrice di adottare come unica base giuridica l’ambiente, quale unico mezzo per assicurare la certezza giuridica, non ha ottenuto la maggioranza qualificata richiesta. Sono tuttavia stati approvati emendamenti che cercavano di mettere in rilievo che misure nazionali più severe non sono in contrasto con le disposizioni sul mercato unico, purché siano proporzionate, non discriminatorie e di natura non meramente economica. L’articolo 176 del Trattato spiega questo meccanismo relativo all’ambiente e così pure le disposizioni dell’articolo 175.
Tale risultato ha creato forte incertezza per svariate ragioni. Primo, c’è la questione di principio generale per cui, nell’ottica di promuovere una legislazione migliore, più semplice e chiara, l’introduzione di una base giuridica duplice avente rilevanza diversa costituisce un orientamento e un precedente pericoloso nel processo decisionale europeo. Secondo, la giurisprudenza costante della Corte di giustizia delle Comunità europee prevede l’esistenza di una base giuridica unica che rifletta lo scopo principale o il perno su cui si fonda la legislazione. Il perno su cui si incentra questo regolamento è indiscutibilmente la protezione ambientale, il che dovrebbe essere sufficiente a giustificare una base giuridica ambientale, un approccio di armonizzazione minima. Infine, occorreva ancora decidere se gli Stati membri in cui è già in vigore una legislazione più ambiziosa, in particolare l’Austria e la Danimarca, avrebbero potuto mantenere queste misure o se l’UE li avrebbe costretti ad abbassare i loro requisiti ambientali in uno dei settori inerenti al cambiamento climatico e in un periodo in cui vi sono già difficoltà a conseguire gli obiettivi di Kyoto per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Date le implacabili divisioni in seno al Consiglio sulla questione finale relativa alle misure nazionali più severe in taluni Stati membri, è stata inevitabile una terza lettura in sede di conciliazione.
Dopo intere settimane di lavoro e riunioni a carattere informativo e preparatorio, il 31 gennaio 2006 il comitato di conciliazione ha raggiunto un accordo su un testo comune sul regolamento relativo ad alcuni gas fluorurati ad effetto serra. Tale accordo ha affrontato i principali punti di disaccordo tra Parlamento e Consiglio, vale a dire: la possibilità che gli Stati membri introducessero o mantenessero misure nazionali più restrittive rispetto a quelle proposte dal regolamento; i provvedimenti tecnici relativi al contenimento dei gas fluorurati ad effetto serra; la comunicazione delle informazioni e la revisione del regolamento; la definizione dell’immissione in commercio; il trasporto transfrontaliero a fini di recupero; l’etichettatura, la notifica delle misure che introducono un divieto aggiuntivo dei gas fluorurati ad effetto serra; la formazione e la certificazione
Tuttavia, vorrei tornare sulla questione cruciale relativa alle misure nazionali più severe. L’accordo raggiunto sul principio generale in virtù del quale gli Stati membri possono mantenere o introdurre misure nazionali più severe in conformità delle disposizioni del Trattato è importante per incoraggiare una corsa al rialzo in materia ambientale. In relazione al caso specifico delle misure nazionali esistenti in Danimarca e Austria, contro cui la Commissione valutava di intentare un’azione legale, è stata introdotta una clausola di salvaguardia che consentirà ai due Stati membri di mantenere la propria legislazione fino al 31 dicembre 2012. Entrambi i paesi hanno già una severa legislazione sui gas fluorurati, che in Danimarca è in vigore dal 1970, e ritengono che si tratti di un elemento cruciale nell’insieme di politiche intese a conseguire gli obiettivi fissati a Kyoto in materia di cambiamento climatico.
A mio avviso la legislazione concordata e in attesa di essere approvata domani dai colleghi di questo Parlamento trova la giusta misura tra protezione dell’ambiente e preoccupazioni in materia di mercato unico. La normativa ribadisce l’impegno della Comunità europea a ridurre il cambiamento climatico e imprimerà un notevole impulso allo sviluppo di nuove tecnologie ambientali, contribuendo così agli obiettivi di un’economia fondata sulla conoscenza fissati dall’agenda di Lisbona. La normativa conseguirà tale obiettivo in un modo graduale, ragionevole e proporzionato che riconosce taluni usi critici di questi gas, i quali, non bisogna dimenticarlo, possono essere utili in determinate circostanze, poiché sono degli eccellenti isolanti. Le apparecchiature elettriche e elettroniche, tra i vari altri usi essenziali, continueranno a utilizzare gas fluorurati in ambienti isolati. In questo caso non ci sono sostituti migliori o preferibili e questa deve essere la prova.
Il compromesso raggiunto in sede di conciliazione è stato accolto positivamente dalle tre Istituzioni, da me e dai colleghi del Parlamento europeo, dal Ministro Pröll a nome del Consiglio europeo e dal Commissario per l’ambiente Stavros Dimas. Si è trattato del solo risultato equo e dignitoso. Il Commissario Dimas, cito testualmente le sue parole, ha salutato l’accordo come un “chiaro e positivo segnale politico”, ma ha fatto capire che la Commissione avrebbe deciso successivamente se rilasciare una dichiarazione, dopo l’approvazione definitiva della normativa, prevista per domani.
Vorrei mettere in rilievo un punto della dichiarazione che abbiamo appena sentito dal Commissario Figeľ, il quale ha parlato a nome del Commissario Dimas. Nel laborioso processo negoziale della normativa, i legislatori, Parlamento e Consiglio, si sono chiaramente prefissi l’obiettivo di fornire l’interpretazione più ampia possibile dei poteri di adottare misure in materia di ambiente aventi come base giuridica il mercato unico. Ho recisamente respinto tutti i tentativi della Commissione di interpretare il contenuto di questa base giuridica in modo da confinarla strettamente all’articolo 95, paragrafo 4, che menziona una precedente procedura di notifica. Tale dichiarazione rappresenta un fraintendimento dell’esito della conciliazione in cui vi era la chiara, quantunque implicita, intenzione di permettere misure nazionali più severe ai sensi dell’articolo 95, paragrafo 10. Per quanto le dichiarazioni della Commissione in materia non siano vincolanti, possono avere conseguenze sull’interpretazione della Corte di giustizia in materia, qualora questa normativa, che si protrae da due legislature, fosse eventualmente oggetto di una quarta lettura in seno alla Corte di giustizia di Lussemburgo, come temevo fin dall’inizio.
Stasera voglio far presente che i principali obiettivi di questo regolamento, ovvero la riduzione delle emissioni di gas fluorurati, devono essere rispettati e osservati il più ampiamente possibile. Trovo deplorevole che ad oggi la Commissione non abbia ancora ritirato la lettera di messa in mora inviata al governo danese. Sollecito il Commissario Figeľ a dichiarare formalmente stasera l’intenzione della Commissione di farlo quanto prima.
La direttiva relativa alle emissioni degli impianti di condizionamento d’aria dei veicoli a motore era la seconda parte del pacchetto di due proposte emerse dalla prima lettura del Consiglio sulla raccomandazione del relatore che mi ha preceduto, l’onorevole Goodwill. Reputo positiva la pionieristica decisione di introdurre un divieto progressivo nei veicoli a motore dei gas fluorurati con un potenziale di riscaldamento globale 150 volte superiore a quello dell’anidride carbonica. Tale divieto si applicherà nel 2011 ai nuovi modelli di veicoli e nel 2017 a tutti i veicoli nuovi. L’adeguamento di questa misura al sistema consolidato di omologazione dei veicoli manterrà anche la competitività e assicurerà la conformità dei produttori di automobili europei. La soglia di rischio eliminerà i principali gas usati attualmente per il condizionamento dell’aria e ne favorirà la sostituzione con gas meno dannosi. Di fatto la maggior parte dei produttori di veicoli probabilmente introdurrà sistemi che utilizzeranno l’anidride carbonica. Il punto principale, tuttavia, è che permetteremo lo sviluppo di questi nuovi sistemi senza imporne la tecnologia e senza violare i nostri obblighi nei confronti dell’OMC.
Richard Seeber, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei ringraziare la relatrice, onorevole Doyle. La sua dichiarazione dimostra quanto ha strenuamente lottato sia