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Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 5 aprile 2006 - Strasburgo Edizione GU

6. Seduta solenne – Malta
Processo verbale
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  Presidente. − (ES) Signor Presidente della Repubblica di Malta, per me è un grande onore darle oggi il benvenuto al Parlamento europeo e offrirle l’opportunità di rivolgersi ai suoi deputati, i quali negli ultimi giorni hanno discusso diffusamente del suo paese.

Lei si trova qui oggi in qualità di capo dello Stato, ma siamo ben consapevoli dell’impegno a favore dell’integrazione europea che ha sostenuto per molti anni come Primo Ministro del suo paese, anni che hanno segnato l’avvicinamento di Malta all’Unione europea.

Quasi tre anni fa, firmò il trattato di adesione, che rappresentò il culmine dei molti sforzi compiuti, negli anni, per fare di Malta un membro dell’Unione europea.

Indizio fondamentale del consenso esistente oggi a Malta sull’integrazione europea è l’approvazione unanime con cui lo scorso luglio lei, il suo paese e la sua Kamra tad-Deputati, − la Camera dei deputati di Malta − avete accolto il Trattato costituzionale, dopo che altri lo avevano respinto.

(Applausi)

Così facendo, Malta ha trasmesso un segnale molto chiaro in un momento difficile per l’Unione e ha posto fine alle divisioni politiche che avevano caratterizzato il dibattito sull’Europa al suo interno.

Oggi, la sua presenza in questa Camera ci ricorda una cosa molto importante: per molto tempo l’allargamento europeo ha guardato a est; oggi Malta, nel sud, ci rammenta la nostra vocazione mediterranea e la necessità di rafforzare il dialogo con i paesi del bacino del Mediterraneo.

Il suo paese è situato al crocevia del Mediterraneo e si è sempre trovato al centro delle politiche relative alle frontiere meridionali d’Europa. Oggi i rapporti con i paesi del sud costituiscono la maggiore sfida geopolitica cui l’Europa deve far fronte; una sfida che coinvolge in particolar modo il suo paese, situato in prima linea in questo punto d’incontro, in prima linea a fronteggiare l’ingresso di molti immigrati che cercano di entrare in Europa, spesso a rischio della vita: essi guardano infatti all’Europa come a un nuovo Eldorado, il cui tenore di vita attrae come un magnete chi patisce la povertà più assoluta.

Sappiamo pertanto che attualmente un ingente numero di immigrati e di persone in cerca di asilo raggiunge le coste di Malta. Tale problema è già stato preso in esame in quest’Aula. Abbiamo ascoltato la relazione redatta dalla delegazione del Parlamento europeo che ha avuto occasione di visitare i campi di accoglienza. Essi rappresentano la sfida più importante cui l’Europa deve far fronte se vuole difendere e tutelare i diritti umani e migliorare i rapporti con i suoi vicini del sud dell’Europa.

In queste particolari circostanze, signor Presidente, la sua visita è molto gradita e il Parlamento ascolterà il suo intervento con grande interesse.

Grazie per essere qui oggi. A lei la parola.

(Applausi)

 
  
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  Edward Fenech-Adami, Presidente della Repubblica di Malta. − (MT) Signor Presidente, onorevoli deputati al Parlamento europeo, rivolgermi a voi è per me un piacere e un onore.

In qualità di rappresentante di uno dei paesi entrati a far parte dell’Unione europea nel 2004, posso apportare la recente esperienza di ciò che ha significato l’allargamento, sia per quanto riguarda il processo di preparazione che un paese deve sostenere in vista dell’adesione all’Unione europea, sia rispetto all’impatto che tale adesione esercita su un nuovo Stato membro.

Il mio paese considera l’ingresso nell’Unione europea un naturale ritorno a casa, in Europa, cui esso appartiene. Siamo orgogliosi di far parte del gruppo di nazioni che formano l’Unione europea, con tutto il suo retaggio spirituale, culturale e umanistico.

Il nostro percorso di adesione all’Unione europea non è stato facile. Un lungo e faticoso dibattito ha condotto al momento in cui, tre anni fa, il popolo maltese, prima attraverso un referendum e poi mediante un’elezione generale, ha preso una decisione chiara e sovrana in favore dell’ingresso in Europa. Questo animato dibattito ci ha dato occasione di discutere apertamente e liberamente i vantaggi e i rischi dell’adesione, attraverso il vaglio dell’impatto che questo avrebbe potuto avere in termini non solo economici, ma anche politici e sociali. In questo senso, tale pratica ci ha permesso di avvicinare l’Europa alla popolazione e va portata avanti.

La preparazione all’adesione è stata molto impegnativa per i paesi che hanno preso parte all’ultimo allargamento. In effetti non si era mai verificato, in precedenza, un allargamento di proporzioni simili, né si era mai chiesto ai paesi candidati di attuare riforme tanto vaste come parte integrante della loro preparazione all’ingresso. Vorrei congratularmi con tutti i nuovi Stati membri dell’Unione europea per aver portato a termine un processo tanto difficile. Allo stesso modo, desidero congratularmi con l’Unione europea per la grande efficacia con cui, agendo da catalizzatore, ha incoraggiato questi paesi ad attuare le riforme.

Si parla spesso del pessimismo che avrebbe colpito l’Europa dopo i due referendum, svoltisi lo scorso anno, in seguito ai quali il Trattato costituzionale europeo è stato respinto. Tuttavia, ci si dimentica completamente di riconoscere all’Unione europea l’enorme successo ottenuto nell’assimilare i nuovi paesi in modo tanto naturale.

Il 2005 non è stato un “annus horribilis” per l’Europa, come sostiene qualcuno. Al contrario, ha segnato un grande successo per l’Unione, che ha dimostrato di essere in grado di far fronte alla sfida dell’allargamento più vasto della storia. Oggi ci si dimentica spesso che l’allargamento è di fatto avvenuto meno di due anni fa.

Ciò non significa che dopo l’allargamento la vita sia semplice. Al contrario, adeguarsi alla realtà di membro dell’Unione è difficile tanto dal punto di vista economico che da quello sociale. Per realizzare tale adattamento, occorrono leader disposti a prendere decisioni critiche, che spesso sono impopolari. In realtà è necessario che ogni paese − appartenga questo o meno all’Unione europea − sappia prendere tali decisioni. Far parte dell’Unione non fa che rendere queste decisioni più concrete e impegnative, nonché inevitabili.

Senza dubbio è scorretto biasimare l’Europa per riforme ritenute impopolari, risultanti però, in realtà, da decisioni che ogni governo responsabile dev’essere in grado di prendere. Sbagliano quei governi che rimproverano all’Europa queste decisioni critiche, e poi si arrogano tutti i meriti dei vantaggi che ne derivano.

Signor Presidente, ci sono vari altri punti sui quali vorrei condividere con lei le mie considerazioni.

Inizierò con qualche riflessione sul Trattato costituzionale europeo.

Dobbiamo ammettere che nella presentazione del progetto costituzionale si sono riscontrate alcune carenze, sebbene tali difficoltà attenessero a un problema di forma molto più che di contenuto.

Ai nuovi Stati membri, per esempio, il progetto costituzionale è apparso prematuro ed eccessivamente frettoloso. Quella relativa alla tempistica era una preoccupazione legittima. Effettivamente, i paesi che con difficoltà si stavano preparando all’adesione hanno reagito alla prospettiva del cambiamento delle norme offerta dal Trattato come un corridore che veda cambiare le regole di una gara proprio quando all’orizzonte gli si profila la linea del traguardo.

So che con il Trattato costituzionale si intendeva accelerare il processo decisionale da parte dell’Unione dei Ventisette, ma evidentemente i cittadini di alcuni Stati membri avevano un’opinione diversa. L’Unione in cui erano cresciuti era stata modificata dall’allargamento del 1995 e ancor più da quello del 2004, e alla luce della globalizzazione il programma costituzionale sembrava implicare cambiamenti interminabili.

A posteriori ci rendiamo quindi conto che sarebbe stato meglio concedere più tempo a quest’importante progetto e attendere non solo che i dieci nuovi Stati membri si fossero stabilizzati, bensì che tutti i venticinque Stati membri avessero il tempo di adattarsi alla nuova realtà europea.

Tuttavia, ora il problema è come uscire da questa impasse.

La volontà espressa dai cittadini dei due paesi che non hanno accettato il Trattato costituzionale va naturalmente rispettata, ma lo stesso vale per la decisione del quattordici paesi che l’hanno ratificato. Nel mio paese, per esempio, il Trattato costituzionale è stato adottato all’unanimità dal Parlamento; in questo modo il nostro impegno per l’adesione ha avuto l’esito previsto e si è posto fine in modo netto alle divisioni interne.

Ora è venuto il momento di discutere il problema e mettere in comune le nostre opinioni circa le diverse alternative che ci si prospettano. Una di queste è tener fede all’impegno, preso dai capi di Stato e di governo firmatari, a trovare una soluzione all’interno del Consiglio europeo nel caso in cui i quattro quinti degli Stati membri ratifichino il Trattato costituzionale e uno o più Stati membri abbiano difficoltà a farlo. Ciò renderebbe necessario portare avanti la procedura di ratifica. In questo modo il procedimento convenuto potrebbe continuare con lo scopo di decidere come procedere in seguito.

Un’altra alternativa potrebbe consistere nell’impiegare le prime due parti del Trattato costituzionale per redigere una “Carta europea”. Ciò fornirebbe ai cittadini europei un documento chiaro e conciso in cui identificarsi più facilmente. La parte restante del Trattato costituzionale può essere considerata in larga parte già ratificata dai Trattati vigenti.

Un’altra alternativa potrebbe prevedere il rafforzamento del protocollo che tratta il ruolo svolto dai parlamenti nazionali. In modo particolare, si potrebbe ampliare il ruolo consultivo di questi ultimi in rapporto al progetto europeo.

Naturalmente, si potrebbero anche prendere in considerazione altre opzioni. Questo periodo di riflessione ha precisamente questo scopo: non sciupiamolo.

Signor Presidente, vorrei passare ora al tema della capacità di direzione politica europea. Si parla spesso della carenza di tale capacità, che non è dovuta a una mancanza di iniziative, e certamente non a una mancanza di iniziative europee. Potrebbe dipendere, se mai, da una mancanza di coerenza tra le iniziative: come possiamo infatti pretendere una direzione politica se alcune delle iniziative proposte non sono coerenti tra loro?

Che coerenza è la nostra, se da una parte insistiamo sulla solidarietà, e dall’altra tralasciamo di stanziare le risorse finanziare necessarie? Che coerenza è, se da un lato sopprimiamo le frontiere e dall’altro creiamo degli impedimenti? Che coerenza è, se esortiamo all’impegno collettivo ma poi lasciamo che i paesi fronteggino le difficoltà da soli?

Non credo che si possa rimproverare una mancanza di capacità di direzione politica alle singole Istituzioni comunitarie, le cui iniziative e la cui perseveranza sono di per sé eloquenti. In realtà, andrebbe affrontato il problema della mancanza di fiducia in queste Istituzioni.

Essere in grado di ispirare fiducia non dipende da un particolare talento: non è qualcosa di innato, bensì qualcosa da conquistare. Dobbiamo perciò chiederci cosa possiamo fare per riconquistare la fiducia dei cittadini nell’Unione europea e nelle sue Istituzioni.

Possiamo farlo reinstaurando un legame con la popolazione, e a questo proposito vorrei lodare il lavoro della Commissione che, mediante il piano D, si è assunta il difficile compito di colmare il divario tra l’Unione europea e i suoi cittadini. In quanto Istituzione eletta direttamente a livello europeo, il Parlamento europeo si trova in una posizione ideale per sostenere il lavoro della Commissione. Non è necessario un maggior numero di discorsi per instaurare legami più stretti con i nostri cittadini: occorre ascoltare di più. Se l’Europa saprà comunicare in modo più efficace, potrà rispecchiare meglio le aspirazioni dei cittadini europei e intervenire in tutti gli ambiti che sono per loro motivo di apprensione.

Per accrescere la fiducia, occorre non solo comunicare in modo più efficace, ma anche agire in modo più efficace nei settori nei quali l’Unione europea è già impegnata. Possiamo inoltre creare fiducia manifestando la volontà e la capacità dell’Unione europea di intraprendere nuove iniziative comuni in settori in cui si prospettano nuove sfide, che i singoli paesi non possono affrontare da soli. Occorre adoperarsi costantemente affinché l’Unione europea apporti sempre più valore agli Stati membri e ai loro cittadini.

In modo ancora più rilevante, tuttavia, possiamo accrescere la fiducia nell’Unione europea dimostrando che questa, nell’adottare politiche, nel prendere decisioni e nell’agire sia a livello interno che esterno, dà voce alla ragione. Con questo intendo dire che manifesta un sistematico senso dell’equilibrio e della giustizia nel suo sviluppo politico, nei processi decisionali, nonché nelle relazioni con gli altri paesi del mondo.

A questo riguardo, sufficienti prove mi inducono a essere ottimista e a ritenere che l’Unione possa riconquistare la fiducia della popolazione, dal momento che è chiaramente disposta a schierarsi dalla parte della ragione. Vorrei fare alcuni esempi.

Provenendo da Malta, sono testimone del modo in cui l’Unione europea tenta di trovare un equilibrio tra gli interessi dei grandi e dei piccoli paesi. Ho sempre avuto la convinzione che ciò che conta per l’Unione non siano le dimensioni del paese da cui si proviene, bensì la forza delle idee e la chiarezza di visione di ciascuno. Naturalmente, anche le dimensioni sono importanti. L’Unione europea, tuttavia, è l’unica a sviluppare un modello di direzione politica che equilibri gli interessi dei grandi e dei piccoli paesi, spesso fondendoli in un interesse comune.

E’ doveroso rilevare questo particolare valore conferito dall’Unione. E’ la virtù che rende l’Europa ciò che è: ricca di varietà e del tutto rispettosa delle differenze che ovviamente intercorrono tra gli Stati membri. Questo spiegherebbe anche perché i paesi piccoli sono molto legati al progetto europeo e in modo particolare al metodo comunitario.

L’appartenenza all’Unione europea accresce l’influenza dei piccoli paesi, rafforza la loro identità, in particolare l’identità linguistica, e di fatto amplia i loro orizzonti verso il resto d’Europa e del mondo.

Il Parlamento europeo deve continuare a sviluppare quest’equilibrio e a tener conto degli interessi particolari dei piccoli Stati. L’Unione europea non può e non deve essere un direttorio di grandi Stati.

La direttiva sui servizi costituisce un altro esempio della razionalità che contraddistingue le Istituzioni europee. Trovo ammirevole il lavoro con cui il Parlamento è riuscito a tracciare un compromesso su un’iniziativa tanto importante. Anche l’approvazione generale di cui gode il Consiglio europeo è una valida testimonianza del suo operato. Adesso che si è trovato un pratico compromesso, occorre concludere rapidamente il processo legislativo, affinché i cittadini europei possano usufruire dei concreti benefici del mercato interno dei servizi.

In modo analogo, l’iniziativa in favore di una politica energetica comune intesa a perseguire il difficile obiettivo di un approvvigionamento energetico sicuro è un altro auspicabile passo avanti, rispetto al quale la Commissione merita il nostro plauso e appoggio. Sono iniziative come questa a dimostrare che l’Europa è davvero degna della fiducia della popolazione.

Vanno tuttavia menzionate alcune sfide cui l’Europa ha risposto troppo lentamente, e rispetto alle quali si avverte una necessità crescente di agire a livello europeo. Sono settori nei quali occorre applicarsi maggiormente per permettere alla ragione di prevalere, per raggiungere un giusto equilibrio e accrescere così la fiducia della popolazione nell’Europa.

Credo che il lavoro della Commissione europea inteso a sviluppare una politica marittima abbia un’importanza fondamentale, poiché come primo punto mira a conferire all’Europa una reale superiorità marittima. Posso dire senza esitazione − e non solo perché provengo da una storica nazione marittima − che il patrimonio marittimo dell’Europa, a livello europeo, non è sfruttato a sufficienza. Occorre assumere un atteggiamento olistico. Non dobbiamo permettere che interessi a breve termine in determinati settori ci sviino dalla progressiva presa di coscienza globale delle questioni marittime. Occorre sforzarsi di dirigere il mondo marittimo, piuttosto che cercare di creare, al suo interno, uno spazio privilegiato.

Dobbiamo conquistare la fiducia delle persone non solo all’interno dell’Unione, ma anche al suo esterno, dimostrando inoltre di essere in grado di meritare la loro fiducia agendo equamente. Ne è un chiaro esempio la nostra politica euromediterranea. La complessità di questa regione, che noi condividiamo con i nostri vicini, e il suo legame intrinseco con il processo di pace in Medio Oriente ci richiamano, molto più che in passato, all’uso della ragione. Gli incidenti verificatisi recentemente in seguito alla pubblicazione di certe vignette costituiscono, purtroppo, un passo indietro a questo riguardo. Questi avvenimenti, tuttavia, ci offrono l’opportunità di reinstaurare la fiducia anche a questo livello.

Una sfida ulteriore è offerta dalle naturali ma inevitabili conseguenze della globalizzazione. La risposta a questa sfida non si ottiene mediante il protezionismo o accantonando ciò che si è conseguito finora: occorre trovare un giusto equilibrio tra le inevitabili conseguenze del libero mercato, da una parte, e l’affermazione dei principali valori europei, nonché del nostro modello sociale, dall’altra. Raggiungere un simile equilibrio certamente non è facile; tuttavia non dobbiamo dimenticare che è proprio il senso dell’equilibrio e della ragione a distinguere l’Europa dagli altri protagonisti della scena internazionale.

Un’altra sfida, più visibile a livello umano, è quella posta dall’immigrazione clandestina. Qualche giorno fa, una delegazione della vostra Istituzione ha visitato il mio paese, nel contesto degli sforzi attualmente profusi dal Parlamento al fine di esaminare, tramite visite a paesi europei ed extraeuropei, l’entità dell’immigrazione clandestina. Questo problema è attualmente molto gravoso per diversi Stati membri, tra cui il mio paese, che non riescono a far fronte all’afflusso apparentemente interminabile di immigrati provenienti per la maggior parte dall’Africa sub-sahariana.

Come la delegazione ha avuto modo di rilevare, parlando con gli immigranti e i richiedenti asilo, il problema è concreto e urgente. Da un lato, il Mediterraneo si trova a fronteggiare un disastro umanitario, in cui centinaia di persone muoiono cercando di raggiungere l’Europa, mentre altre migliaia, ottenuto il loro scopo, continuano a vivere in condizioni di incertezza e difficoltà. Nello stesso tempo, i paesi che accolgono un alto numero di immigrati vedono forzate oltre i limiti accettabili le loro potenzialità e risorse.

E’ chiaro che non si tratta di un problema di Malta, o di qualunque altro paese considerato singolarmente. E’ una sfida collettiva e richiede uno sforzo collettivo. Devo però sottolineare che a Malta il problema è più acuto, essendo lo Stato membro più densamente popolato. L’Europa ha urgentemente bisogno di una politica d’immigrazione che offra una soluzione più funzionale a questo problema, considerato in tutta la sua complessità, una soluzione che manifesti una solidarietà specificatamente europea alle persone coinvolte in questo dramma e ai paesi d’origine, ma anche ai paesi che rappresentano il primo contatto degli immigranti con l’Europa e non hanno i mezzi per affrontare da soli questo problema.

Ringrazio pertanto il Parlamento europeo e i membri della delegazione che hanno visitato Malta per aver messo questo punto all’ordine del giorno e per aver fatto sì che la richiesta di provvedimenti urgenti sollevata dal mio paese venisse ascoltata.

Se vogliamo accrescere la fiducia della popolazione nell’Unione europea, dobbiamo dimostrare di rispondere con efficacia agli interessi dei cittadini, e per farlo dobbiamo saper riconoscere le loro inclinazioni. I leader politici non devono seguire i cittadini, ma guidarli. Tuttavia essi non devono avanzare troppo in fretta, se non vogliono lasciare indietro la popolazione e perdere di vista la realtà. Anche qui, è necessario trovare un equilibrio.

Molti valori differenziano l’Europa dagli altri continenti e l’Unione europea dagli altri progetti di integrazione regionale presenti nel mondo. L’Europa si distingue ormai per il suo totale impegno a sostegno dei valori della pace, della tolleranza, dei diritti umani e della solidarietà. L’Unione europea si identifica sempre più, tra i suoi vicini e sulla scena mondiale, con la voce della ragione.

Perché l’Europa realizzi pienamente questo scopo, occorre superare i limiti dell’egoismo nazionale e collaborare insieme per il bene comune. Questo valore va mantenuto sia nella condotta che teniamo tra noi che in quella con gli altri paesi. E’ questa l’Europa che la popolazione si aspetta da noi e nella quale è disposta a riporre la propria fiducia.

Grazie.

 
  
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  Presidente. Signor Presidente, grazie molte per il suo intervento.

Sono certo che la sua presenza in Aula abbia permesso a tutti i deputati di conoscere meglio i problemi del suo paese.

La ringrazio per le sue parole di elogio per il lavoro svolto dal Parlamento europeo.

Spero inoltre che l’allarme sollevato dai deputati che hanno visitato il suo paese sia stato ascoltato dai diretti responsabili e che sia il suo governo che le Istituzioni europee si adoperino con efficacia affinché la politica europea di accoglienza rispetti maggiormente i cittadini stranieri che cercano di entrare nei nostri paesi.

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS ROCA
Vicepresidente

 
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