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Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 6 aprile 2006 - Strasburgo Edizione GU

11. Situazione nel sud-est della Turchia (discussione)
Processo verbale
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione in merito alla situazione nel sud-est della Turchia.

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, la Commissione è preoccupata per quanto sta accadendo nel sud-est della Turchia, per l’esplosione della violenza e per gli attentati terroristici estesisi ad altre città del paese. Stiamo seguendo la situazione con attenzione.

In base alle informazioni a disposizione della Commissione, il 28 marzo si è registrato un primo episodio di violenza nella città sudorientale di Diyarbakir in occasione del funerale di alcuni membri del PKK. Ricordo agli onorevoli deputati che il PKK è incluso nell’elenco delle organizzazioni terroristiche dell’Unione europea.

Le prime vittime sono state segnalate il 29 marzo a Diyarbakir e altri morti sono stati segnalati nei giorni seguenti in tutta la regione. Nel corso del fine settimana, gli scontri si sono allargati anche a Istanbul, dove una bottiglia Molotov è stata lanciata dentro un affollato autobus cittadino, attentato in cui hanno perso la vita tre civili. Da allora abbiamo avuto notizia di altri morti, anche tra le forze di sicurezza.

Sia chiaro: l’Unione Europea condanna senza riserve il terrorismo. Il PKK è un’organizzazione terroristica. Siamo molto preoccupati per le sue recenti attività in Turchia. Anche noi sentiamo di essere vittime di questi atti terroristici. Allo stesso tempo, deploriamo vivamente le perdite umane e invitiamo le autorità turche a far luce su tali avvenimenti avviando un’inchiesta completa, e a garantire che le forze di sicurezza mostrino la necessaria fermezza nei confronti dei dimostranti.

Alla popolazione del sud-est della Turchia la violenza e gli scontri non servono; ha bisogno di pace, stabilità e prosperità. Raccomandiamo al governo turco di impegnarsi in tutti gli ambiti – e non solo in quello della sicurezza – al fine di affrontare i problemi di questa regione e della sua gente, in prevalenza di origini curde.

Il governo turco deve agire con l’intento di migliorare e garantire opportunità economiche, sociali e culturali a tutti i cittadini turchi. A tal proposito, siamo ansiosi di vedere applicati provvedimenti che facciano seguito al discorso del Primo Ministro Erdogan dell’agosto 2005. La Commissione ricorda e sottolinea che, in base ai criteri politici di Copenaghen, la Turchia è tenuta a garantire la diversità culturale e a promuovere i diritti culturali di tutti i suoi cittadini, previsti dal partenariato di adesione riveduto adottato dal Consiglio nel gennaio del 2006.

E’ anche importante che la Turchia agevoli il ritorno degli sfollati interni ai luoghi di origine, che garantisca un indennizzo equo a coloro che hanno subito perdite e danni a causa della situazione della sicurezza, e che inizi a smantellare il sistema di sorveglianza dei villaggi.

Continueremo a seguire la situazione nel sud-est. Riprenderemo questi temi con le autorità turche nel quadro del nostro periodico monitoraggio dei criteri politici. Sono ansioso di assistere a una discussione che si preannuncia estremamente interessante.

 
  
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  Camiel Eurlings, a nome del gruppo PPE-DE.(EN) Signor Presidente, la situazione di cui stiamo discutendo questo pomeriggio è tragica perché i recenti avvenimenti sono stati molto gravi per la Turchia e per i suoi cittadini curdi.

Siamo franchi, il PPK è un’organizzazione terroristica e il terrorismo non è mai giustificabile. In qualità di parlamentare, dico che il parlamento nazionale dei Paesi Bassi ha condotto una dura lotta per far iscrivere il PKK nell’elenco delle organizzazioni terroristiche. Non sono ammesse scusanti.

Tuttavia, allo stesso tempo, dobbiamo chiederci se tutti coloro che protestano sono effettivamente favorevoli alla violenza. Molti analisti hanno tratto una conclusione del tutto diversa: dicono che la maggioranza dei curdi non vuole la violenza, vuole semplicemente un futuro di prosperità – fatto di sviluppo economico, sociale e culturale – all’interno dello Stato turco. Ora più che mai dobbiamo investire su queste persone.

Nella relazione del Parlamento adottata alla fine del 2004, abbiamo insistito sullo sviluppo nella parte sudorientale del paese e sulla concessione di maggiori diritti culturali al popolo curdo. Occorre dire che il Primo Ministro Erdogan ha pronunciato discorsi di eccezionale valore da quel momento in poi. In questo difficile momento però a queste parole devono far seguito i fatti, ora più che mai. Dobbiamo investire sul piano sociale ed economico al fine di garantire a questa gente e alle loro famiglie un futuro di prosperità, per evitare che vogliano la violenza per i loro figli. Dobbiamo investire in maggiore libertà culturale. Se la televisione e la radio turca concederanno più tempo di trasmissione ai programmi curdi, la Roj TV in Danimarca perderà importanza.

Infatti, occorre smantellare il sistema di sorveglianza dei villaggi e aiutare gli sfollati a tornare alle regioni di provenienza.

E’ giunto il momento della saggezza, non delle belle parole. E’ ora che il governo turco ricerchi interlocutori moderati che desiderano la pace. Mi riferisco agli esponenti Baydemir e Türk, il co-leader del DTP. Queste figure devono continuare a pronunciarsi contro la violenza; ma in tal caso, il governo turco dovrà collaborare con loro e il ministro degli Interni non dovrà più minacciare di assicurarli alla giustizia. Ritengo che la cooperazione sia la via da percorrere, insieme alla saggezza. Facciamo in modo che i cittadini curdi si sentano a casa propria in uno Stato turco unito. E’ questa l’unica soluzione possibile.

 
  
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  Emine Bozkurt, a nome del gruppo PSE. (NL) Signor Presidente, la Turchia sta a cuore al gruppo socialista al Parlamento europeo, perciò è straziante vedere che questo paese è in preda alla violenza. Il gruppo PSE chiede di porre fine all’escalation di violenza; vediamo inoltre con favore l’intenzione espressa dal Primo Ministro Erdogan di opporsi al clima di violenza approvando ulteriori riforme democratiche ed economiche.

Così facendo, egli ha teso una mano alla comunità curda, che, tuttavia, deve ancora rispondere al suo gesto. Il gruppo PSE desidera inoltre richiamare la vostra attenzione sull’appello rivolto dal sindaco di Diyarbakir ai curdi che scelgono la violenza ad abbandonare questa strategia. Il mio gruppo infatti denuncia con vigore la violenza sfrenata. Se si porrà fine alle violenze, i carri armati potranno, e dovranno, abbandonare le strade delle città e dei villaggi nella parte sudorientale del paese. I carri armati per le strade non sono ciò che gli europei si aspettano di vedere quando esaminano la possibilità di un’adesione della Turchia all’Unione europea. Vorrei sottolineare che tutti i turchi, compresi i curdi, trarranno dei benefici se la Turchia proseguirà senza intoppi sulla strada dell’adesione all’UE. Infatti, la salvaguardia e il rispetto per i diritti umani di tutti i cittadini turchi rappresenta una conditio sine qua non per la sua adesione all’Unione europea.

Non dobbiamo permettere che alcuni agitatori sabotino i negoziati prima che siano definitivamente avviati. E’ deplorevole che l’attuale violenza interrompa un periodo di rapprochement, perché già erano stati compiuti passi avanti: per esempio, il governo turco aveva acconsentito alla creazione di una televisione curda. Gli accordi in vigore prima dei recenti episodi di violenza vanno portati avanti e, soprattutto, attuati. Ciò che è stato scritto sulla carta deve essere tradotto nella realtà.

Vorrei concludere spendendo qualche parola per le vittime, perché è giusto che siano ricordate e piante. Non ve ne dovranno essere altre. Vi invito a trasformare questo difficile momento per la Turchia in un’opportunità per una nuova solidarietà nel paese, solidarietà di cui vi è un disperato bisogno sulla lunga e ardua strada verso l’adesione all’UE.

 
  
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  Sarah Ludford, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, è chiaro che esiste un’alleanza tutt’altro che santa – anche se inconfessata e involontaria – tra le forze di sicurezza turche, il PKK e gli oppositori all’adesione della Turchia in Europa. Ciascuno di loro sta facendo la sua parte per impedire alla Turchia di compiere progressi verso l’Unione europea.

Con il loro eccessivo ricorso alla forza contro i manifestanti a Diyarbakir e in altre città, la polizia e l’esercito turchi non stanno facendo gli interessi del governo turco. Lo “Stato profondo” non è sottoposto al controllo democratico del governo. Il punto è che i militari hanno un interesse personale nel favorire il protrarsi delle violenze, perché queste ultime accrescono il potere, l’importanza e le risorse dell’esercito.

E’ vero che il PKK utilizza metodi terroristici, e senza dubbio ha provocato e fomentato alcuni dei recenti episodi di violenza, ma i suoi obiettivi, ovvero ottenere il riconoscimento dell’identità culturale, linguistica e politica del popolo curdo, sono condivisi da molti curdi che non abbracciano la violenza. Entro tali limiti, i membri del PKK sono considerati combattenti per la libertà. La sfida, che le autorità turche non stanno raccogliendo, è quella di separare gli irriducibili oppositori della violenza da coloro che vogliono un percorso democratico verso una soluzione politica.

Nei giorni scorsi si sono registrati sviluppi molto promettenti, ovvero inviti molto moderati da parte di personalità come Ahmed Türk e Osman Baydemir, il sindaco di Diyarbakir, a cessare le violenze e a dar vita a un dibattito politico. Sono molto dispiaciuta che la Commissione non abbia detto nulla per incoraggiare il governo turco a percorrere questa strada che prevede non solo progressi sociali ed economici, di cui vi è certamente bisogno, non solo il riconoscimento dei diritti linguistici e culturali, ma un reale dialogo politico e una soluzione politica per la regione curda del sud-est della Turchia nella costruzione dello Stato turco.

La Commissione sembra riluttante a incoraggiare in tal senso il governo turco. Dobbiamo tutti stringerci attorno al Primo Ministro Erdogan e incoraggiarlo a proseguire sulla strada che pareva avesse intrapreso nell’agosto scorso, ma su cui si è arrestato, sicuramente per l’intervento delle forze armate. Dobbiamo tutti aiutarlo a riallacciare il dialogo politico e a giungere a una soluzione.

 
  
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  Cem Özdemir, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, ringrazio il Commissario per il suo discorso. Vorrei esprimere, a nome del mio gruppo, la grande preoccupazione per la situazione in Turchia di cui i media ci hanno trasmesso le immagini. La settimana scorsa almeno 15 persone hanno perso la vita in scontri tra dimostranti e le forze di sicurezza turche nel sud-est e in attentati terroristici a Istanbul. Condanniamo fermamente lo spropositato uso della forza da parte della polizia a Diyarbakir e a Kiziltepe.

Allo stesso tempo, però, denunciamo con vigore le provocazioni del PKK, i cui leader fomentano con premeditazione violenze e tumulti. Dopo l’incendio di tre autobus cittadini a Istanbul che non ha provocato vittime, domenica sera due giovani sorelle sono rimaste uccise nel corso di un attentato a un autobus. La maggioranza dei curdi, che desidera costruirsi una vita dignitosa in città o tornare al proprio villaggio, non deve restare ostaggio di un gruppo dirigente cinico legato all’ala militare del PKK che punta a esacerbare il conflitto, oltre che di un certo numero di figure appartenenti allo “Stato profondo” turco.

Alla luce dei recenti avvenimenti, abbiamo la sensazione che alcuni dei nostri colleghi del Parlamento europeo non stessero descrivendo l’intera storia nelle e-mail circolate ultimamente. Tali e-mail danno l’impressione di una situazione spaccata nettamente a metà, in cui nessun turco è disposto a concedere più diritti ai curdi e in cui ogni curdo è una vittima oppressa. E’ per questo che ritengo importante concentrare l’attenzione sul dibattito attualmente in corso nella società civile turca, tra gli intellettuali di origine turca e curda.

Desidero evidenziare quanto tali intellettuali hanno dichiarato: per prima cosa, l’identità curda in Turchia deve essere riconosciuta in modo ufficiale e definitivo dallo Stato turco; in secondo luogo, la politica di assimilazione dei curdi si è rivelata un fallimento totale; in terzo luogo, lo Stato turco deve riconquistare la fiducia dei curdi e di ogni cittadino turco; quarto, non vi può essere alcuna soluzione pacifica che insista sul fatto che il PKK rappresenta il partner negoziale ufficiale dello Stato, perché non potrà mai esserlo.

Termino citando un ex sindaco di Diyarbakir, che ha appunto fatto notare: “Se vogliamo una vera e propria pace, il PKK deve adeguarsi alla nuova situazione mondiale. Lo Stato turco sta diventando più democratico. Il PKK deve fare lo stesso: deve abbandonare l’idea della lotta armata e aprire un dialogo rispettoso con i curdi che la pensano diversamente. Inoltre deve rinnovare il suo gruppo dirigente. L’organizzazione è stata fondata con una mentalità da guerra fredda. E’ necessario che evolva”.

 
  
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  Feleknas Uca, a nome del gruppo GUE/NGL.(DE) Signor Presidente, a nome del Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, e in particolare del mio collega, onorevole Agnoletto, vorrei esprimere il mio orrore per i violenti scontri scoppiati nel sud-est della Turchia. Per oltre una settimana, abbiamo assistito a immagini raccapriccianti e ci sono giunte notizie spaventose da un paese con cui l’UE ha avviato negoziati di adesione nell’ottobre del 2005, negoziati che, all’epoca, i colleghi del mio gruppo e io vedevamo con favore. Benché, dall’inizio dei colloqui di adesione con l’UE, il governo turco abbia avviato un processo di riforme, esso non sarà sufficiente a risolvere i problemi sociali e politici e i conflitti del paese.

A questo proposito, c’è una cosa che dovrebbe essere chiara alla Turchia e a noi tutti, ovvero che il deficit democratico della Turchia era ed è strettamente legato alla questione curda, perché finché la Turchia tenterà di risolvere questo problema con mezzi militari, reprimendo la popolazione civile e la libera espressione delle opinioni e delle idee, non potrà esservi pace nel paese e quindi non saranno poste le basi per uno Stato democratico. Occorre evitare che la frattura che attraversa la società turca si approfondisca ulteriormente, fino a diventare incolmabile.

Il capo di Stato turco Erdogan, ha descritto l’assassinio di donne e bambini come interventi necessari per fronteggiare gli strumenti del terrorismo. Finora, hanno perso la vita 15 persone, tra cui tre bambini, il più giovane dei quali aveva solo tre anni. Tra le 278 persone arrestate a Diyarbakir, 91 sono minorenni. Se le forze di sicurezza turche continueranno a sparare sui civili di Diyarbakir, Batman, Mardin e di numerose altre città curde, e se il numero dei morti aumenterà ancora, questa frattura si approfondirà e le prospettive di una soluzione pacifica si allontaneranno.

Per la Commissione e il Consiglio è giunto il momento di sfruttare tutti i mezzi a loro disposizione per esercitare pressioni sulla Turchia, affinché faccia cessare le violenze. Occorre esaminare la possibilità di un’interruzione dei negoziati di adesione se il governo e l’esercito turchi continueranno a ignorare i principi democratici e a violare i diritti umani. Chiedo di inviare una delegazione ad hoc in Turchia con il compito di chiarire ciò che sta veramente accadendo nel paese. Rivolgo un appello alle parti in conflitto perché sospendano immediatamente le violenze e chiedo al governo turco di accettare come partner negoziali i rappresentanti legittimamente eletti dei curdi e di lasciar cadere le ultime accuse contro di loro.

Non si può – e non si deve – più tollerare che 20 milioni di curdi si vedano negati i diritti politici e culturali e il diritto di partecipare alle decisioni sociopolitiche che li riguardano.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (NI).(PL) Signor Presidente, signor Commissario, l’atteggiamento delle autorità turche nei confronti dei recenti fatti di Diyarbakir e della gestione della crisi nel sud-est della Turchia è inaccettabile dal punto di vista del Parlamento europeo. Una Turchia che non rispetta una popolazione curda di 12 milioni di persone che risiede entro il suo territorio non rispetterà neppure le culture e le religioni dei paesi della Comunità europea.

La sicurezza del Primo Ministro turco, Recep Erdogan, rasenta l’arroganza. Non facciamogli credere che l’Unione europea abbia degli obblighi nei confronti della Turchia. Anzi, signor Commissario, credo sia vero il contrario. Sono convinto che, sulla scorta della decisione di avviare negoziati con la Turchia, l’Unione europea abbia ora il diritto di interromperli.

 
  
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  Konstantinos Hatzidakis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, è con grande rammarico che osserviamo lo scoppio delle violenze nel sud-est della Turchia ed è con disgusto che vediamo assassinare soldati e civili innocenti in Turchia. Nondimeno, questi fatti non ci devono portare a concludere che si tratti dell’unico problema della Turchia: esiste un grave problema legato ai diritti dei curdi, un problema che non dobbiamo occultare nella discussione odierna.

La Turchia ha scelto le sue prospettive. Ha scelto la prospettiva europea e, grazie a queste prospettive, negli ultimi anni abbiamo visto qualche progresso nella questione dei diritti umani dei curdi, la cui esistenza era a malapena riconosciuta fino a pochi anni fa.

La Turchia, però, deve proseguire in questa direzione. I recenti interventi incontrollati dell’esercito non devono privare i curdi dei diritti che la Turchia deve garantire per entrare a far parte dell’Unione europea, ovvero i diritti di cui godono i cittadini degli Stati europei.

Il Primo Ministro Erdogan ha annunciato poco tempo fa che la Turchia non avrebbe abbandonato i suoi obiettivi di democrazia e sviluppo e che avrebbe introdotto maggiori libertà, più democrazia, assistenza sociale, diritti e giustizia. Questo annuncio va benissimo, ma deve essere qualcosa di più di un annuncio: deve essere messo in pratica.

Occorrono provvedimenti su tre livelli: in primo luogo servono diritti; in secondo luogo, serve una politica economica e sociale e, in terzo luogo, va posto un freno all’esercito, che attualmente detiene un potere incontrollato. Se si introdurranno queste misure, vorrà dire che la Turchia considera seriamente le sue prospettive europee e, se in questo ambito e in tutti gli altri ambiti terrà fede agli impegni fissati dall’Unione europea, ciò andrà a vantaggio sia dei curdi, sia di tutti i cittadini turchi.

La Turchia pertanto non deve esitare: le parole del Primo Ministro Erdogan d’ora in avanti dovranno essere seguite dai fatti.

 
  
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  Panagiotis Beglitis (PSE).(EL) Signor Presidente, siamo molto preoccupati per la ripresa delle violenze e per gli atti terroristici dell’esercito turco e del PKK. Credo che oggi dalla nostra discussione debba emergere un messaggio di condanna degli atti terroristici contro civili innocenti a Istanbul e in altre città e della violenza militare perpetrata dalle forze di repressione turche contro la popolazione curda.

I poteri che premono per la guerra e per la permanenza dell’esercito al comando a tutti i costi sono responsabili della situazione nel sud-est della Turchia. Le autorità e l’esercito in Turchia vedono nelle azioni del PKK un comodo pretesto per continuare a intervenire nella vita politica e per cercare di definire i termini della soluzione alla questione curda. D’altro canto, il PKK sta approfittando dei gravi problemi economici e sociali di sottosviluppo e povertà per alimentare con le sue azioni il ciclo di violenze e massacri.

E’ un dato di fatto, e sarebbe un errore politico sottovalutare il fatto che le speranze europee della Turchia hanno spianato la strada alle riforme adottate dal governo Erdogan. Tuttavia, queste riforme sono ancora allo stadio iniziale, sono incomplete e sono state dettate dalla paura storica del popolo turco per il popolo curdo.

Dobbiamo sostenere con coerenza e decisione il diritto della comunità curda alla propria cultura, alla propria lingua e all’istruzione; dobbiamo appoggiare i diritti politici; dobbiamo chiedere la modifica della legge elettorale che proibisce alla comunità curda di essere democraticamente rappresentata nella vita politica turca.

Gli esponenti politici turchi e il governo Erdogan hanno il compito di procedere con coraggio e determinazione al completamento delle riforme e a una pacifica integrazione politica, economica e sociale del popolo curdo. Una strategia di soluzione pacifica dipende dal dialogo tra le due parti. Presuppone la rinuncia, da ambo i lati, alla filosofia dello scontro e a una soluzione militare. La questione curda non si risolverà con la repressione e la violenza, ma con il dialogo democratico, lo sviluppo e il rafforzamento dei diritti del popolo curdo.

L’Unione europea ha il compito politico di formulare una strategia integrata al problema curdo in Turchia:

- deve continuare a sostenere con coerenza le speranze europee nel paese, verificando al contempo, senza concessioni e opportunismi, il rispetto degli obblighi da parte delle autorità turche;

- deve confermare il suo supporto all’integrità territoriale e all’unità dello Stato turco e condannare gli obiettivi secessionisti della strategia senza uscita del PKK;

- deve adottare iniziative per avviare il dialogo democratico per una soluzione politica al problema curdo e per salvaguardare il ruolo e i diritti della comunità curda nelle istituzioni e nella società turche.

Infine, l’Unione europea, in collaborazione con le agenzie turche e curde, deve contribuire a formulare e attuare programmi di ricostruzione economica e sociale per combattere la povertà e il sottosviluppo, sostenere le istituzioni e la società civile e le forze politiche democratiche moderate nella regione sudorientale della Turchia.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE).(EN) Signor Presidente, la situazione nel sud-est della Turchia è molto preoccupante, ma non deve sorprendere nessuno. La violenza e i gravi abusi dei diritti umani, in gran parte commessi dallo Stato turco, sono praticati saltuariamente da decenni in questa regione e proseguiranno per molti anni a venire, a meno che il governo turco non riconosca che, per risolvere il problema curdo, non basta dare carta bianca ai generali cosicché lo affrontino nel solo modo che conoscono: con la forza bruta.

Il governo turco deve comprendere che è necessario rispettare pienamente i diritti umani dei milioni di curdi che vivono nella regione. Essi devono avere il diritto di usare la propria lingua, il curdo, e di difendere le proprie tradizioni e la propria cultura. Inoltre, il governo turco deve accettare che il popolo curdo abbia diritto a un certo grado di autonomia. Se si concordasse su tale opzione, non ci sarebbero ripercussioni negative sul benessere della popolazione turca; creare una stabilità duratura significa portare pace e prosperità a tutta la Turchia. Inoltre, il governo turco deve compiere un passo coraggioso: acconsentire alla richiesta fatta di recente dal leader del Partito democratico del Kurdistan, Massud Barzani, di accettare la struttura federale dell’Iraq e di dichiarare un’amnistia generale per i militanti del PKK.

Il governo Erdogan ha mostrato di aspirare a radicali riforme democratiche per la Turchia. Sappiamo che l’establishment militare, profondamente radicato, si oppone strenuamente a tali riforme. Il popolo turco deve capire che coloro che si oppongono al cambiamento sono in realtà i veri nemici della Turchia. Il premier Erdogan sta conducendo un’ardua battaglia, irta di pericoli, con i generali. Dobbiamo incoraggiarlo e sostenerlo perché, se i generali l’avranno vinta, i progressi della Turchia sulla via della democratizzazione si arresteranno, così come si bloccheranno i suoi progressi verso l’adesione all’UE, e il paese sprofonderà nuovamente nell’arretratezza del totalitarismo dei militari.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, dichiaro di essere interessato a questo dibattito in quanto patrocinatore della campagna “Pace in Kurdistan” e membro del consiglio della Commissione Civica UE-Turchia. Condivido pienamente le osservazioni del collega del mio gruppo, onorevole Özdemir, sul dialogo e sul fatto che questo processo non è tutto bianco e nero. Tutte le parti hanno le loro pecche e noi deputati europei dobbiamo continuare a incoraggiare e a criticare, se necessario. Dobbiamo anche, sottolineo, tenere d’occhio la nostra integrità e fare in modo che le legittime preoccupazioni per l’estrema lentezza dei progressi del processo di pace in Kurdistan e in Turchia nel suo complesso non diventino un messaggio cifrato per quanti in questa Assemblea e nell’UE si oppongono all’adesione della Turchia all’UE più di quanto non sostengano la democrazia.

I criteri di Copenaghen costituiscono la tabella di marcia. I criteri di Copenaghen relativi al riconoscimento dei diritti culturali, storici e politici sono chiari e sono già stati formulati. Il Parlamento non deve sporcarsi le mani. L’UE, in quanto paladina del dialogo e della democrazia, deve cercare di tenere sempre presenti i propri principi e il proprio ruolo di intermediaria onesta e imparziale, in grado di aiutare e criticare, se necessario.

 
  
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  Frederika Brepoels (PPE-DE). (NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, da quando l’Unione europea ha avviato i negoziati di adesione con la Turchia, abbiamo avuto notizie di violenze e di gravi violazioni dei diritti umani ogni settimana, questo è un dato di fatto. Voi stessi ce ne avete fornito un elenco, ma vorrei portare alla vostra attenzione il brutale assassinio degli anziani genitori del presidente dell’Istituto Curdo di Bruxelles, senza dimenticare, naturalmente, le altre vittime.

La prima reazione del Commissario Rehn è stata quella di affermare la sua fiducia nel governo turco, un atteggiamento che trovo piuttosto strano, dato che sempre più indizi dimostrano che quelle stesse autorità vi hanno svolto un ruolo attivo. Non so se avete visto la relazione dell’organizzazione per i diritti umani IHD sull’assassinio dei coniugi Ferho, o l’inchiesta giudiziaria sull’attentato dinamitardo di Şemdinli. Entrambi i documenti puntano nella direzione dell’esercito turco. Quando qualche settimana fa un pubblico ministero decise di compiere indagini sul coinvolgimento diretto del vicecomandante dell’esercito – che prevedibilmente diventerà anche capo di stato maggiore –, l’esercito pose subito il veto all’idea. Sono queste le autorità in cui la Commissione europea nutre una fiducia cieca.

Devo dire, signor Commissario, che questi incidenti mostrano palesemente che la Turchia non sta in alcun modo perseguendo una soluzione pacifica al conflitto con i curdi. La Turchia semplicemente si rifiuta di riconoscere che i curdi turchi possiedono diritti culturali e il diritto democratico all’autodeterminazione. Un paese che nega a 15 milioni di cittadini tutti i diritti politici e culturali non è quello che io definisco una democrazia. Né, per quanto vedo, un paese le cui autorità sono attivamente implicate in gravi episodi di violazione dei diritti umani e del diritto internazionale può essere descritto come uno Stato di diritto. Ignorare questa realtà e non lanciare un messaggio forte e chiaro da parte dell’Europa ci rende complici.

Vorrei veramente sapere cosa intende fare la Commissione a questo proposito. Il Commissario Rehn terrà finalmente fede alla sua promessa e includerà la tutela delle minoranze nell’accordo di associazione oppure no? Ritengo che sarebbe un passo di cruciale importanza se l’Unione europea facesse ciò che la Turchia non fa, o non è disposta a fare, ovvero avviare un dialogo diretto e strutturale con i rappresentanti della comunità curda in Turchia su queste tematiche. Vorrei sentire la vostra opinione in merito.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, credo che il miglior servizio che si possa rendere alla popolazione del sud-est della Turchia sia far cessare la campagna di violenze e terrorismo dei gruppi estremisti curdi. E’ tipico delle campagne terroristiche che le vittime siano, per la maggior parte, semplici civili che non desiderano altro che buone possibilità di crescere i propri figli in un’atmosfera di pace, stabilità, libertà e di maggiore prosperità. Non è possibile ottenere nessuno di questi obiettivi se terroristi e ribelli perseguono i loro egoistici scopi, opprimono, intimidiscono e mobilitano le comunità curde in Turchia e all’estero, cercando di aizzare l’opinione pubblica internazionale contro le autorità turche. Non penso vi sia una grande libertà di opinione nelle aree controllate dal PKK.

Ogni tanto il PKK, un’organizzazione che affonda le proprie radici nella guerra fredda, dichiara una tregua. La più recente è stata dichiarata ad agosto, ed è durata meno di un mese. Da allora tale organizzazione ha proseguito la sua campagna di violenze e massacri. Dallo scorso fine settimana, come il Commissario e gli altri oratori hanno ricordato, più di una decina di persone sono rimaste vittima della violenza terroristica. Nel corso degli anni le vittime del terrorismo hanno raggiunto le decine di migliaia.

Ora sono in corso i negoziati di adesione della Turchia all’UE. Anche questo è un fattore della campagna del PKK. Il PKK non è interessato a una Turchia stabile, prospera e democratica rivolta verso l’Occidente. Preferirebbe vivere nel passato, nel suo piccolo Stato marxista.

Naturalmente vogliamo vedere approvate riforme nel quadro di un’agenda di modernizzazione in Turchia; vogliamo senz’altro essere testimoni di grandi progressi economici nel sud-est della Turchia. Provo un’enorme solidarietà per le persone che vivono nella povertà e nella paura. Noi auspichiamo che i ragionevoli timori dei curdi siano dissipati in un modo giusto e corretto, con il dialogo. Non si possono raggiungere tali obiettivi in un clima di violenza o sotto la costante minaccia delle violenze.

Gli estremisti curdi devono abbandonare il terrorismo. Le autorità turche potranno allora rispondere all’insegna di uno spirito di buona volontà.

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare i deputati per questa interessantissima discussione. Ho ascoltato con grande interesse i vostri commenti e ne ho preso debita nota.

Penso che possiamo tutti concludere che la situazione nel sud-est della Turchia è grave e, quindi, auspichiamo tutti che tale situazione sia risolta con energia mediante una strategia a tutto campo, che riguardi non soltanto i problemi della sicurezza – in sé legittimi – ma anche lo sviluppo socioeconomico della regione e il consolidamento dei diritti culturali.

Vorrei fare riferimento al discorso del Primo Ministro Erdogan dell’agosto 2005 – a cui ho accennato in precedenza – in cui egli sottolineò l’esigenza di risolvere con mezzi democratici quella che chiamava “la questione curda”. La Commissione incoraggerà il governo turco e il suo Primo Ministro ad adottare provvedimenti fondati sugli impegni presi in quel discorso a Diyarbakir.

La stabilità della regione riveste un’importanza cruciale per affrontare adeguatamente quei problemi e il proseguimento degli attentati terroristici rappresenta una grave minaccia in questo campo. Allo stesso tempo, è molto importante che le forze di sicurezza e le autorità diano prova di moderazione e non facciano un uso eccessivo della forza nei confronti dei civili.

Vorrei esprimere qualche osservazione su alcuni dei punti sollevati dai deputati. Per quanto riguarda gli incidenti di Semdinli, vorrei dire che sono in corso inchieste sia giudiziarie, sia parlamentari e che siamo in attesa dell’esito di tali indagini e continueremo a monitorare la situazione.

Ho appuntato la questione dei progressi compiuti: stiamo continuamente incoraggiando il governo turco a proseguire sulla via delle riforme e ad ampliare i diritti della popolazione curda. Mi riferisco ai recenti sviluppi – almeno si tratta di fatti positivi – che hanno consentito di trasmettere programmi televisivi e radiofonici in lingua curda in certi orari. Ci aspettiamo ulteriori sviluppi in tal senso.

Posso assicurare agli onorevoli deputati che continueremo a seguire la situazione nel sud-est. Questi temi saranno tutti trattati durante i nostri colloqui con le autorità turche nel quadro del nostro periodico monitoraggio dei criteri politici.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

 
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