2. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
3. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
4. Condanna del regime di Franco in Spagna in occasione del settantesimo anniversario del colpo di Stato - (Dichiarazioni del Presidente e dei gruppi politici)
Presidente. – Come primo punto all’ordine del giorno, effettuerò una dichiarazione sul settantesimo anniversario del colpo di Stato compiuto dal generale Franco in Spagna il 18 luglio 1936.
Come sapete, un gruppo di 200 deputati ha firmato una petizione per rivolgere un’interrogazione orale alla Commissione e al Consiglio espressamente finalizzata a tenere un dibattito sulla condanna del regime di Franco in occasione del settantesimo anniversario del colpo di Stato franchista.
La Conferenza dei presidenti non ha accolto questa richiesta e ha ritenuto più opportuno che il Presidente rendesse una dichiarazione, seguita dai pareri dei vari gruppi politici sul significato di questa data; è proprio ciò che ci accingiamo a fare.
Si tratta di una data ormai lontana nella storia: sono passati 70 anni dal 18 luglio 1936, un arco di tempo pressoché simile alla speranza di vita della generazione di noi spagnoli che abbiamo vissuto la transizione alla democrazia, una transizione ritenuta esemplare, il cui successo è stato però determinato da un oblio selettivo e dalla sospensione della memoria, che ora emerge in un processo di recupero che riempie le librerie e viene addirittura sancito dalla legge.
Come vi ho detto due anni fa, io appartengo a quella generazione – come molti dei deputati spagnoli presenti in Aula – ed è inevitabile che la mia relazione personale con il passato influenzi i miei ricordi. Questa, però, è una dichiarazione istituzionale, che formulo in veste di Presidente del Parlamento, e le mie osservazioni odierne devono essere un atto politico che travalica l’ambito personale. Portare il nostro passato nel presente, infatti, è un atto di volontà che ha soprattutto a che vedere con il futuro che vogliamo costruire, e vogliamo costruirlo non solo sulla fragile e peritura memoria di ognuno di noi, ma sulla storia, che non si ricorda, ma si impara, e proprio per questo si può condividere.
La storia ci dice che quel giorno parte dell’esercito spagnolo – solo una parte – si sollevò contro il governo della Seconda repubblica, democraticamente eletto dagli spagnoli nel 1931. Venne così frustrata una grande speranza, perché quella repubblica era stata creata con l’intenzione di favorire la democrazia e realizzare riforme urgenti e di vasta portata: la riforma agraria, quella militare, la separazione tra Stato e Chiesa, l’introduzione della previdenza sociale, gli statuti per l’autonomia delle regioni e diritti come il voto alle donne o il divorzio in una società profondamente patriarcale.
Tali riforme divennero un punto di riferimento per molti paesi europei. Furono un riferimento per la democrazia in Europa, la nuova frontiera della democrazia nel nostro continente, una democrazia che, a quei tempi, attraversava momenti difficili, perché era crollata in Italia, Grecia, Polonia, Ungheria e Germania. Pertanto, quel colpo di Stato non solo diede origine a una guerra lunga e crudele in Spagna, ma pose anche fine a quella speranza dell’Europa evocata da André Malraux.
La guerra di Spagna non fu solo una guerra e non fu solo spagnola. Fu uno scontro tra due grandi concezioni del mondo. Sì, segnò il ritorno delle due Spagne di Larra e Machado e il ritorno di una delle due Spagne raggelò il cuore di ogni spagnolo. Una guerra tra spagnoli, però, non sarebbe durata tanto, per il semplice motivo che le nostre forze non ce l’avrebbero permesso.
La guerra segnò un momento decisivo nella storia del mondo. Ebbe un significato enorme a livello internazionale. Dal 1936 i futuri partecipanti europei alla Seconda guerra mondiale cominciarono a scontrarsi direttamente o indirettamente l’uno con l’altro durante la guerra civile spagnola. La Spagna fu la prima grande battaglia della Seconda guerra mondiale, il banco di prova di una guerra futura che avrebbe devastato l’Europa. Per la prima volta nella storia vennero bombardate popolazioni civili. Guernica è nella memoria di tutti, ma vi furono molte Guernica in Spagna.
Molti europei persero la vita su entrambi i fronti e i loro nomi popolano i cimiteri di Madrid, Jarama, Belchite, Teruel, Guadalajara, dell’Ebro..., nomi di luoghi epici dove riposano tanti europei. Altri europei combatterono poi in ogni angolo del continente per la liberazione dell’Europa. Quella guerra fu per alcuni l’ultima grande causa, mentre per altri fu una crociata.
Io ricordo la crociata, i vescovi con il braccio alzato nel saluto fascista, a fianco di generali all’ingresso delle chiese. Ricordo anche i cimiteri traboccanti di morti ammazzati di entrambe le parti. Fu la guerra che più di ogni altra infiammò gli animi, in cui per la prima volta si scontrarono le ideologie del XX secolo: la democrazia, il fascismo e il comunismo. Fu una guerra di religione e, al contempo, una lotta di classe, una rivoluzione contrapposta a una reazione.
Fu uno scontro che si sarebbe protratto e che si protrasse anche in Spagna, una volta terminata la guerra, perché non vi fu solo una guerra, ma vi fu anche un lungo e difficile dopoguerra, dove non si trattava più di sconfiggere il nemico, poiché la guerra era ormai stata vinta, ma si trattava piuttosto di sradicarlo, per mantenere un sistema che permase a lungo e che costrinse la Spagna a rimanere estranea al processo di democratizzazione e anche a quello di ricostruzione vissuto dall’Europa a seguito del Piano Marshall.
Molti colleghi dei paesi dell’est ricordano il vero e proprio isolamento in cui piombarono dopo Yalta e la cortina di ferro che li separava dall’Europa libera, democratica e prospera. Tuttavia, si ricorda meno che nel sud dell’Europa vi furono paesi – Spagna e Portogallo – che rimasero a loro volta isolati da questo movimento e furono soggiogati a lungo da dittature militari.
Ricordo che una volta un membro del Congresso americano si lamentò con me per l’irriconoscenza degli europei verso lo sforzo di liberazione compiuto dagli Stati Uniti nei confronti dell’Europa. Dovetti ricordargli che, per quanto riguardava la Spagna, tale sforzo brillò per la sua assenza; infatti, fu proprio perché il regime militare tornava loro utile nella guerra fredda che gli americani si dimenticarono di liberarci.
Oggi vorrei fare mie le parole di Salvador de Madariaga, il cui nome figura su uno dei nostri edifici. Prima del 1936 – disse – tutti gli spagnoli vivevano in Spagna e in libertà. Oggi – affermava nel 1954 – in centinaia di migliaia vivono in libertà esuli dalla Spagna e il resto vive in Spagna esule dalla libertà”.
La libertà tornò dal 1975. Iniziammo a costruire le basi di una comunità fondata sulla democrazia, la libertà e la prospettiva dell’adesione all’Europa. Le nuove generazioni hanno portato nuove esigenze politiche rispetto al futuro e rispetto al passato. Si sono trovate dinanzi a una guerra e a una dittatura ormai concluse e, quando oggi in Spagna parliamo di riparazione morale per le vittime, intendiamo discutere la memoria attiva del nostro paese, della nostra società, per assumerci la piena responsabilità del nostro passato, per onorare tutti i nostri morti, per guardare in faccia le innegabili verità, per non dimenticare quegli eventi che potrebbero risultarci scomodi e per non rifugiarci nel conforto delle menzogne. Si tratta di ferite dolorose che in Europa hanno iniziato a rimarginarsi, ma che restano nella memoria di molte persone che, all’epoca, non riuscirono a esorcizzarle.
E’ questo il senso della commemorazione che celebriamo oggi in seno al Parlamento europeo: affrontare il passato che sopravvive in una parte della memoria del nostro continente per non ripetere gli errori di ieri, per condannare lucidamente i responsabili, per rendere omaggio alle loro vittime, per esprimere la nostra gratitudine a tutti coloro che lottarono per la democrazia, subirono la persecuzione e favorirono il ritorno della Spagna in Europa, quale nostra patria comune.
(Prolungati applausi)
Jaime Mayor Oreja, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei al termine di questa dichiarazione sulla storia recente della Spagna. Vorrei precisare che la nostra posizione si basa essenzialmente sul pieno sostegno alla riconciliazione e punta al superamento di un tragico passato, ovvero abbraccia i valori che ispirarono la transizione democratica e che culminarono nella costituzione del 1978.
Proprio come domani, il 5 luglio di 30 anni fa il Presidente del governo spagnolo, Adolfo Suárez, assunse l’incarico di attuare la transizione democratica.
Per coloro che, come me, ebbero l’onore e l’opportunità di partecipare a quel progetto e di appartenere all’Unione del centro democratico – il partito che, all’interno del governo, aveva la responsabilità di portare materialmente a termine tale transizione, con l’aiuto di altre formazioni politiche e con l’inequivocabile sostegno della società spagnola e di Sua Maestà il Re – i valori della libertà e della riconciliazione racchiusi nella costituzione spagnola del 1978 e il nostro appello alla fine delle due Spagne inconciliabili sgorgarono dal più profondo delle nostre convinzioni. L’errore, la stupidità, la tragedia dell’ultimo secolo della storia della Spagna furono la facilità con cui le due Spagne riuscirono a riemergere – un fenomeno di esasperazione da sempre presente nel nostro paese – e la facilità con cui quelle due Spagne riuscirono a convincersi dell’impossibilità di una convivenza democratica.
Tutti conosciamo l’origine e la ragion d’essere dell’Unione europea, che si fonda sulla stessa forza morale di quella costituzione spagnola, la forza morale di chi si unisce, la forza morale dell’unione, affinché il nostro recente passato non abbia a ripetersi, affinché sul suolo europeo non inizino nuove guerre mondiali, né altre guerre, né altre dittature, né altri regimi comunisti, né altre guerre civili come quella che abbiamo vissuto in Spagna.
Noi nuove nazioni europee possiamo commettere errori nell’affrontare i nostri problemi attuali e futuri, ma c’è un errore che non possiamo commettere, che non abbiamo il diritto di commettere: ripetere gli errori commessi nella nostra storia senza trarvi un insegnamento.
Per tutti questi motivi, non dobbiamo stancarci della riconciliazione e della concordia. Non dobbiamo cambiare questo atteggiamento, e a molti di noi spagnoli oggi sembra un errore storico cercare di promuovere una seconda transizione, come se la prima fosse ormai vecchia e obsoleta; è un errore storico violare unilateralmente l’essenza della nostra costituzione della concordia; è un paradosso storico introdurre il dibattito sul diritto all’autodeterminazione in Spagna, creare in seno alla Spagna nuove nazioni che non sono mai esistite; è un errore storico perché ci allontana dalla concordia che abbiamo creato.
Pertanto, signor Presidente, in questo trentesimo anniversario della transizione democratica spagnola, iniziata il 5 luglio 1976, e a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, mi permetta di concludere con un “Viva la riconciliazione”, un “Viva la libertà” e un “Viva la costituzione spagnola del 1978”!
(Applausi)
Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, dopo aver ascoltato il suo discorso, vorrei chiederle quale spirito animava Franco e il suo regime. Conosciamo tutti quello spirito. E’ lo spirito dell’intolleranza, del disprezzo per l’umanità, è lo spirito che annienta le istituzioni democratiche, lo spirito che odia tutto ciò che non corrisponde ai suoi canoni. Franco e il suo regime si fondavano sul disprezzo per l’umanità e su una letale predisposizione alla violenza. Sottomissione assoluta alla sua ideologia o morte: questo era il messaggio del regime di Franco. Non si trattava di un messaggio spagnolo, tuttavia, perché quando Franco salì al potere 70 anni fa il mio paese si trovava sotto la dittatura di Hitler già da tre anni e in Italia Mussolini era ormai al governo da quattordici anni. A quel tempo, il movimento fascista di cui il regime di Franco faceva parte – in maniera essenzialmente militaristica – esisteva già in tutta Europa.
La guerra civile non fu solo una guerra civile spagnola. La Spagna fu il principale campo di battaglia di questa guerra e gli spagnoli furono le sue principali vittime, ma gli spagnoli furono anche i suoi ostaggi in un giro di prova per una guerra maggiore. Guernica e la Legione Condor sono e restano una macchia nella storia del mio paese.
I giovani degli anni ’30 scrissero una pagina gloriosa della storia europea e mondiale perché si recarono volontariamente in Spagna per difendere la democrazia. Ernest Hemingway eresse un indimenticabile monumento letterario a quella generazione. Il famoso scrittore americano Arthur Miller una volta disse che negli anni ’30 la parola Spagna era sinonimo di esplosione, poiché implicava il superamento del feudalesimo clericale e la contrapposizione dello spirito della libertà e della tolleranza al demone dell’intolleranza.
Se pensiamo alla Spagna oggi, noi della sinistra europea ricordiamo le innumerevoli vittime che caddero in quella guerra civile non solo tra le nostre fila, ma anche tra gli schieramenti opposti. A quell’intolleranza si opposero anche democratici cristiani, liberali e repubblicani. Franco era inviso in tutto il mondo all’intera comunità di pensatori e di nazioni, che osteggiavano il desiderio totalitario di sottomissione associato a quel regime. Franco ha perso.
Se oggi possiamo fare il punto della situazione in quest’Aula a settant’anni di distanza, vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che, dall’introduzione delle elezioni dirette, il Parlamento europeo ha avuto tre Presidenti spagnoli: un democratico cristiano conservatore e due socialdemocratici. Se oggi, a settant’anni di distanza, un Presidente di origine catalana può dire, a nome dei rappresentanti eletti di 25 nazioni d’Europa, che l’integrazione europea rappresenta una vittoria sull’intolleranza e l’oppressione, allora, dopo settant’anni, possiamo affermare che la libertà ha vinto e che Franco è stato sconfitto. L’Europa non avrebbe potuto avere una sorte migliore!
(Applausi)
Bronisław Geremek, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, l’Europa è ricca di storia e, anche se il Parlamento europeo non deve cercare di svolgere il ruolo di unico detentore della verità sul passato, è tuttavia importante, per il futuro dell’integrazione europea, che la nostra Istituzione si senta responsabile della memoria collettiva dell’Europa, che è il fattore costitutivo principale dell’unità europea.
Ora siamo nel 2006, anno in cui ricorre il cinquantenario dell’insurrezione degli operai di Poznan, avvenuta nel giugno del 1956, e della rivoluzione ungherese, risalente all’ottobre di quello stesso anno: eventi drammatici nella lotta per il pane e per la libertà. 2006: settant’anni fa il Generale Franco impose un regime dittatoriale che osteggiava la libertà, la democrazia e lo Stato di diritto. La Spagna, che avrebbe dovuto essere uno dei paesi fondatori dell’Unione europea, si trovò – contro la volontà della propria popolazione – separata dal resto dell’Europa per mezzo secolo.
Riflettendo su questi eventi, sarebbe inopportuno elencare tutti i casi di ingiustizia, odio, conflitto e sofferenza umana che caratterizzarono la guerra civile e la dittatura. Affinché simili avvenimenti non abbiano più a ripetersi, dobbiamo invece ricordare che l’esperienza della Spagna è anche l’esperienza dell’Europa, nonché una delle esperienze che hanno portato alla creazione e alla costruzione dell’Unione europea.
L’Europa non dovrà dimenticare che, se la Spagna è riuscita a chiudere questo drammatico capitolo della sua storia attraverso il consenso, è stato grazie alla riconciliazione e al dialogo pacifico. Rendiamo omaggio al coraggio e alla saggezza del popolo spagnolo.
Nell’anno in cui ricorre questo anniversario il Parlamento e l’Europa tutta devono rallegrarsi di conoscere la libertà su cui si fondano. Al di là di tutte le divisioni politiche l’Europa deve sentirsi unita e prendere coscienza del fatto che ora conosciamo i motivi della sua esistenza. In questo modo rendiamo anche omaggio alla drammatica esperienza che commemoriamo tristemente oggi. Grazie molte.
(Applausi)
Daniel Marc Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, dalla Spagna del 1936 noi europei dobbiamo innanzi tutto trarre una lezione o, per meglio dire, dobbiamo trarne quattro. La prima lezione ha a che vedere con il coraggio, l’abnegazione e l’immaginazione straordinaria di cui un popolo, il popolo spagnolo, ha dato prova nella marcia verso la libertà e la democrazia. Chi può dimenticare le straordinarie invenzioni sociali della Catalogna libera? Chi può dimenticare le gesta del popolo spagnolo durante questo periodo eccezionale?
La seconda lezione riguarda la barbarie del fascismo, di cui, come abbiamo appena sentito, Guernica è un simbolo: il simbolo dell’omicidio, dell’assassinio, dell’incarcerazione; il simbolo, inoltre, di un progetto internazionale fascista, poiché è evidente che il fascismo spagnolo non avrebbe mai potuto trionfare senza l’aiuto del nazionalsocialismo. Nel 1936 il progetto fascista della dominazione europea era già visibile.
La terza lezione è la più difficile da apprendere perché è la lezione della vigliaccheria: la vigliaccheria degli europei, la vigliaccheria dei francesi – anche se non fu semplice per Léon Blum –, la vigliaccheria dei britannici, la vigliaccheria di tutti coloro che pensarono che, se fosse stato il popolo spagnolo a pagare, gli altri sarebbero stati risparmiati. Come a Monaco nel 1938, questo comportamento fu uno dei grandi errori di quel periodo, da cui dobbiamo trarre una grande lezione. Come dimostra la storia, chiunque creda che basti abbassare la testa nell’attesa che passi l’uragano spesso si sbaglia. Questa è una lezione importante che, per moltissimo tempo, diversi europei hanno avuto difficoltà ad accettare. Talvolta il pacifismo è l’anticamera dell’orrore. Talvolta è un segno di coraggio. E’ sempre molto difficile sapere se la scelta giusta è rappresentata dal pacifismo o dalla sua alternativa. Se, tuttavia, non si può fare a meno di parlare di vigliaccheria, anche il coraggio dimostrato va evidenziato: quello di Pierre Cot, ad esempio, un membro del governo di Léon Blum che, in veste di ministro, inviò armi in Spagna. Non dimentichiamo che Pierre Cot, che in quel periodo difficile si comportò da eroe, è il padre di uno dei nostri colleghi, Jean-Pierre Cot, che ringrazio per avermene ricordato le gesta.
La quarta lezione, infine, riguarda l’orribile intolleranza del totalitarismo comunista, perché non dobbiamo dimenticare che la guerra civile spagnola è caratterizzata da due grandi immagini. La prima è quella delle brigate internazionali che volevano salvare il popolo spagnolo, ma al tempo stesso ad essa si affianca quella delle intolleranti brigate comuniste che assassinarono membri trotskisti del POUM, e anche anarchici, poiché avevano un orientamento politico diverso dal loro. Anche questa è una lezione della guerra civile spagnola. Ci dimostra che liberazione non significa bandire le opinioni altrui, ma accettare la diversità e la democrazia.
Onorevoli colleghi, l’Unione europea deve trarre il massimo beneficio da queste quattro lezioni. Dobbiamo ricordarle quando si compiono atti di barbarie in Bosnia e quando è nostro dovere dare prova di solidarietà nei confronti degli oppressi. Se impareremo bene queste lezioni, credo che avremo un avvenire più radioso.
Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, il Parlamento europeo svolge il proprio dovere organizzando questo atto politico in occasione del settantesimo anniversario dello scoppio della guerra civile spagnola ad opera di Franco.
In realtà, l’annientamento di quella giovane repubblica riguarda, per più motivi, l’intera Europa. Innanzi tutto, le forze del colpo di Stato del 1936 riuscirono a sottomettere il Fronte popolare solo grazie all’aiuto decisivo dell’Italia fascista e della Germania nazista. Fu sempre quest’ultima che, in Spagna, sperimentò la sua futura blitzkrieg contro la Francia, e Guernica, che fu il primo esempio nella storia mondiale del massacro di una popolazione civile trucidata da massicci bombardamenti aerei, sarebbe diventata un modello terrificante di quanto avvenne durante l’intera Seconda guerra mondiale.
Quegli anni oscuri, 1936-1939, richiedono l’attenzione dell’Europa per un’altra ragione: il tradimento dei repubblicani da parte delle democrazie vicine. Il non-interventismo del 1936 spianò la strada a Monaco nel 1938, che portò alla catastrofe abbattutasi sull’intero continente a partire dal 1939. Per non parlare, poi, della compiacente indifferenza dimostrata dai massimi esponenti politici europei e occidentali in generale nei confronti del regime franchista dopo la guerra, quando il suo leader si unì alle forze del bene contro l’impero del male.
Vi è infine un’altra ragione che attribuisce alla tragedia spagnola una dimensione europea: l’avvento di una solidarietà internazionale senza precedenti tra i lavoratori e la gente comune, nonché tra i più illustri intellettuali europei, una solidarietà di cui le brigate internazionali furono la dimostrazione lampante, poiché di esse facevano parte 40 000 volontari provenienti da una cinquantina di paesi.
Dal canto loro, alcuni repubblicani spagnoli parteciparono alla resistenza francese nonché all’insurrezione di Parigi dell’agosto 1944, sotto la guida del mio compianto compagno Henri Rol-Tanguy. Altri presero parte alla liberazione di Strasburgo, nel novembre di quello stesso anno, tra le fila del generale Leclerc.
Sicuramente la coscienza europea non sarebbe stata la stessa senza l’indicibile sofferenza delle vittime del franchismo, senza l’intrepido coraggio di quegli spagnoli che parteciparono alla resistenza e senza il flusso di solidarietà che portò alla nascita della giovane repubblica. Possa l’odierno atto commemorativo rendere a tutti coloro che furono coinvolti in questa esperienza l’omaggio che meritano.
(Applausi)
Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, per molti versi oggi non so bene cosa dire, perché io, diversamente da tanti colleghi, appartengo a una generazione che non ha una memoria diretta della tragedia che fu alla base della creazione dell’Unione europea.
Tuttavia, leggo la storia e, pertanto, la conosco e la capisco. Parliamo oggi del settantesimo anniversario del colpo di Stato di Franco. I libri di storia commemorano atrocità e tragedie avvenute sul continente europeo per ogni singolo giorno da 227 anni a questa parte.
Ne deduco, quindi, che ciò su cui dovremmo veramente concentrare la nostra attenzione è che il fascismo, il comunismo, l’imperialismo e i regimi totalitari che hanno dominato il nostro continente sono legati da un filo comune: una mancanza di rispetto per la differenza umana e la diversità di idee e un’intolleranza verso coloro che vogliono seguire un percorso diverso. Che si parli di Potsdam, dell’Ungheria, di Danzica, della Siberia, della Spagna, del Portogallo o dell’Irlanda, chi ha cercato di imporre la propria volontà sugli altri ha sempre fallito, poiché l’essenza stessa della nostra umanità è il desiderio di essere liberi per poter vivere e interagire con gli altri.
Per questo è estremamente importante non solo apprendere dagli errori del passato, ma anche evitare di ripeterli. Anziché criticare o puntare il dito affermando che questa tragedia è stata più drammatica, più dannosa o più determinante di altre nella politica europea, prendiamo atto che è avvenuta e serviamocene come esempio. Oggi in Europa siamo riusciti a superare tali differenze; abbiamo trovato una sede di dibattito e un modo di procedere in cui popoli di paesi diversi, con ideologie diverse, storie diverse e interpretazioni diverse della stessa storia possono riunirsi e trovare un terreno comune e una causa comune.
La miglior cosa che possiamo fare oggi in seno al Parlamento europeo è incoraggiare il Primo Ministro Zapatero a proseguire nello sforzo di riavvicinamento di popoli un tempo inconciliabili per trovare una strada comune nella regione basca. Questo non significa perdonare le atrocità commesse o negare i torti subiti; significa che non si può andare avanti vivendo nel passato, non si può rimanere amareggiati. Quando si presenta l’opportunità della pace, dobbiamo coglierla.
(Applausi)
Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (DA) Signor Presidente, “Bisogna fermarli!”. Questa fu l’esclamazione pronunciata dal giovane e illustre poeta della mia gioventù, Gustaf Munch-Petersen, quando, recatosi come volontario a combattere nella guerra civile spagnola, rimase solo al fronte mentre i suoi compagni battevano in ritirata, dinanzi alle forze superiori cui erano confrontati. Gustaf lasciò la moglie, il figlio e la famiglia a casa, in Danimarca. La sua azione non fu giustificabile né responsabile e non permise nemmeno di allontanare la piaga del fascismo dall’Europa. La sua protesta solitaria non era suffragata da alcuna logica, ma pensate se tutti avessero agito con lo stesso coraggio. Offrirsi impavidamente alla morte fu l’ultimo gesto poetico della sua vita.
I più rimasero inerti quando la democrazia fu minacciata, e in molti luoghi sconfitta, finché non giunsero uomini coraggiosi a porre fine al nazismo e al fascismo.
Per molti dei presenti in Aula, la liberazione divenne una nuova occupazione, che contemplava anche la cortina di ferro e i gulag. Oggi ricordiamo le molte persone – i coraggiosi e non solo – che persero la vita. Rendiamo omaggio a coloro che, combattendo come soldati volontari nella guerra civile spagnola, opposero resistenza, presero parte alla difesa della democrazia e diedero prova sia di coraggio sia di avventatezza nelle armate clandestine istituite per contrastare la politica di arrendevolezza dei governi nei confronti dei nemici della democrazia. Molte delle persone che presero attivamente parte ai movimenti di resistenza entrarono nelle fila dei partiti politici e anche dei movimenti che rappresento in quest’Aula da 27 anni. Sono quasi tutti deceduti. In punto di morte, il mio coraggioso vicino Hans – che di mestiere faceva il fabbro – parlava concitatamente della pioggia di bombe britanniche che vennero sganciate su una scuola francese anziché sulla sede della Gestapo. Come agente al servizio dei britannici, Hans aveva fornito illegalmente i disegni. L’errore non fu suo, ma il pensiero degli scolari uccisi lo tormentò fino all’ultimo giorno.
Desidero inoltre ricordare un giovane studioso che attraversò l’intero paese per creare il primo movimento di resistenza danese, mentre il governo collaborava con la potenza occupante tedesca. Frode Jakobsen assunse in seguito la guida del vittorioso governo clandestino, l’Associazione per la libertà danese. Dopo la guerra divenne un ministro del governo e prese parte al grande congresso del Movimento europeo, tenutosi all’Aia nel 1948, che diede avvio al Consiglio d’Europa e all’integrazione europea. Jakobsen presiedette per molti anni il Movimento europeo e fu uno dei membri socialdemocratici del parlamento danese. Detto questo, votò “no” in tutte le consultazioni elettorali sui Trattati CE e UE e iniziò a criticare l’UE per motivi democratici già nel 1972.
Abbiamo intitolato a suo nome un premio che viene consegnato ogni anno a chi ha dimostrato un particolare coraggio politico e ha fatto qualcosa per gli altri in un momento in cui tale comportamento non avrebbe avuto conseguenze convenienti o vantaggiose e nemmeno propizie per la sua carriera. Non abbiamo mai avuto difficoltà a trovare candidati. Esistono sempre persone che dimostrano un particolare coraggio politico e alcune di loro hanno tratto ispirazione dal mezzo milione di volontari e cittadini del mondo che si sono recati in Spagna per dire “No pasarán”. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno dato prova di coraggio personale e sono morti per la nostra libertà. El pueblo unido jamás será vencido.
(Applausi)
Maciej Marian Giertych (NI). – (PL) Signor Presidente, se oggi, nell’Europa centrale e occidentale regnano la democrazia, le libertà civili, la proprietà privata e la tolleranza, lo si deve al fatto che il comunismo non è riuscito a prendere piede nel nostro continente, anche se avrebbe potuto. Nell’Europa orientale venne eretta una barriera contro il comunismo con la vittoriosa battaglia che i polacchi condussero contro i bolscevichi nel 1920 e grazie alla decisiva resistenza della Polonia cattolica contro la dominazione sovietica forzata.
Il fatto che in Occidente il comunismo non sia riuscito ad attecchire è ampiamente dovuto alla vittoriosa guerra civile combattuta dalla Spagna tradizionale contro i governi comunisti. Pur essendo giunta democraticamente al potere, la sinistra spagnola tenne un comportamento analogo a quello della sinistra della Russia bolscevica, il cui principale bersaglio era la Chiesa. Vennero uccisi quasi 7 000 sacerdoti. Le chiese vennero profanate, mentre i proiettili trafissero le statue sacre e i crocifissi posti sul ciglio delle strade. Le forze tradizionali risposero immediatamente all’attacco sferrato alla Spagna cattolica.
Le brigate internazionali, organizzate dalla Russia bolscevica, corsero in aiuto della Spagna comunista. Secondo l’usanza comunista, queste brigate erano interamente controllate dalle cellule del partito comunista e dai suoi servizi segreti, come lo era l’intero regime repubblicano. Grazie alla destra spagnola, all’esercito spagnolo, ai suoi leader e grazie al generale Francisco Franco in particolare, l’attacco comunista alla Spagna cattolica venne scongiurato. Allo stesso modo, venne arrestato anche il tentativo di diffondere la piaga comunista ad altri paesi.
La presenza di figure quali Franco, Salazar o De Valera nella politica europea permise all’Europa di preservare i suoi valori tradizionali. Oggi sentiamo la mancanza di simili statisti. Attualmente assistiamo con un certo rammarico al fenomeno del revisionismo storico, che getta cattiva luce su tutto ciò che è tradizionale e cattolico tessendo invece le lodi di tutto ciò che è laico e socialista. Non dimentichiamo che anche le radici del nazismo in Germania e del fascismo in Italia affondavano nel socialismo e nell’ateismo.
Il potere esercitato dal blocco socialista e anticattolico in quest’Aula suscita grande preoccupazione. Abbiamo avuto una chiara dimostrazione di questo potere durante le votazioni del mese scorso sui testi riguardanti la tolleranza e il settimo programma quadro. L’Europa cristiana sta perdendo la battaglia conto un’Europa socialista e atea. Questa situazione deve cambiare!
(Proteste)
Martin Schulz (PSE). – (DE) Signor Presidente, vorrei avvalermi della facoltà di intervenire per fatto personale a conclusione del dibattito. Ora non ricordo quale preciso articolo del Regolamento devo invocare, ma le chiedo di permettermi di formulare questa dichiarazione personale. Ho ascoltato attentamente tutto ciò che ha affermato il precedente oratore. Non scenderò nei dettagli, ma voglio dire una cosa a nome mio e del mio gruppo: le affermazioni che abbiamo appena sentito incarnano lo spirito di Franco. Si è trattato di un intervento fascista che non può trovare posto in seno al Parlamento europeo!
(Vivi applausi)
Zbigniew Zaleski (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, vorrei avvalermi, come ha fatto l’onorevole Schulz, del mio diritto di parlamentare e prendere brevemente la parola.
Mi spiace che lei e la Conferenza dei presidenti abbiate deciso di dedicare così tanto tempo al dibattito su Francisco Franco rifiutando invece di concedere anche solo un minuto alla discussione su un altro terribile massacro, quello compiuto a Katyń. Avevo avanzato questa richiesta a nome dei polacchi e di tutti coloro che hanno perso la vita in quella circostanza e mi dispiace moltissimo che la mia istanza non sia stata accolta.
Hans-Gert Poettering (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, vorrei dire che noi cattolici difendiamo la dignità umana, i diritti dell’uomo, lo Stato di diritto, la democrazia e la libertà. Riteniamo che i dittatori e i sostenitori dei regimi totalitari – che si tratti di fascismo, nazionalsocialismo o comunismo – non siano le persone adatte a difendere i nostri ideali. Noi difendiamo i nostri ideali con la forza delle nostre stesse convinzioni.
(Applausi)
Presidente. – Desidero ringraziare tutti coloro che hanno partecipato a questo dibattito e ringraziare i deputati che vi hanno assistito, soprattutto quelli che non sono spagnoli, per l’interesse che hanno dimostrato nei confronti di questo avvenimento storico che è stato senza dubbio una tragedia. Vorrei altresì segnalare che tra il pubblico sono presenti persone che sono state condotte qui dalla loro memoria storica.
(Applausi)
5. FESR, FSE, Fondo di coesione (disposizioni generali) - Istituzione del Fondo di coesione - Fondo sociale europeo - Fondo europeo di sviluppo regionale - Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT) (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:
– la raccomandazione (A6-0224/2006), della commissione per lo sviluppo regionale, sulla proposta di regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione e recante abrogazione del regolamento (CE) n. 1260/1999 [09077/2006 – C6-0192/2006 – 2004/0163(AVC)] (Relatore: onorevole Konstantinos Hatzidakis),
– la raccomandazione (A6-0226/2006), della commissione per lo sviluppo regionale, sulla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il Fondo di coesione e recante abrogazione del regolamento (CE) n. 1164/94 [09078/2006 – C6-0191/2006 – 2004/0166(AVC)] (Relatore: onorevole Alfonso Andria),
– la raccomandazione per la seconda lettura (A6-0220/2006), della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell’adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo e recante abrogazione del regolamento (CE) n. 1784/1999 [09060/4/2006 – C6-0188/2006 – 2004/0165(COD)] (Relatore: onorevole José Albino Silva Peneda),
– la raccomandazione per la seconda lettura (A6-0225/2006), della commissione per lo sviluppo regionale, relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell’adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale e recante abrogazione del regolamento (CE) n. 1783/1999 [09059/4/2006 – C6-0187/2006 – 2004/0167(COD)] (Relatore: onorevole Giovanni Claudio Fava), e
– la raccomandazione per la seconda lettura (A6-0227/2006), della commissione per lo sviluppo regionale, relativa alla posizione comune definita dal Consiglio in vista dell’adozione della proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’istituzione di un gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT) [09062/2/2006 – C6-0189/2006 – 2004/0168(COD)] (Relatore: onorevole Jan Olbrycht).
Konstantinos Hatzidakis (PPE-DE), relatore. – (EL) Signor Presidente, in quanto greco, penso di avere pieno diritto di dire che oggi ci troviamo alla fine di una maratona di dibattiti e negoziati iniziati non nel 2004, quando la Commissione ha presentato la proposta di progetto di regolamento generale, bensì molto prima, nel 2001, quando abbiamo avviato le prime discussioni sul futuro dei Fondi strutturali per il periodo 2007-2013.
Il Parlamento è stato presente nell’arco di tutta la procedura, lasciando la propria impronta sui dibattiti e sui negoziati: sulle consultazioni inizialmente informali che abbiamo intrattenuto con la Commissione europea, sulla successiva terza relazione sulla coesione e sulla relazione interinale sul regolamento approvata l’estate scorsa.
Il Parlamento ha inviato un doppio messaggio in seno a tutti questi dibattiti: innanzi tutto che all’Unione europea occorreva un bilancio credibile per la coesione; penso siamo stati tra le forze che hanno scongiurato i tentativi di alcuni partiti di limitare il bilancio per il nuovo periodo di programmazione.
Il secondo messaggio era che occorreva un regolamento efficace scevro da burocrazia superflua e, d’altro canto, un regolamento che contribuisse a far fare buon uso del denaro dei cittadini europei.
A gennaio abbiamo avviato i negoziati al fine di influenzare l’esito finale, in seguito alle decisioni da parte del Consiglio europeo, e di integrare alcune delle nostre posizioni fondamentali.
Vorrei sottolineare l’atteggiamento costruttivo sia della Commissione europea che del Commissario Hübner e della Presidenza austriaca in seno a tali negoziati e ringraziare ambo le parti per aver cooperato con il Parlamento europeo.
Oggi siamo chiamati ad approvare o respingere il testo negoziato. In qualità di relatore per il regolamento generale, oggi mi rivolgo agli onorevoli colleghi in quest’Aula affinché accolgano questo testo e lo approvino per i seguenti motivi fondamentali.
Nel corso dei negoziati sulle prospettive finanziarie, il Parlamento ha assicurato ulteriori 300 milioni di euro alla cooperazione transnazionale e interregionale. Il Parlamento è inoltre riuscito a collegare il finanziamento dei progetti all’accesso di persone con disabilità. Per la prima volta, viene sancito che i progetti non verranno finanziati a meno che non sia garantita innanzi tutto l’accessibilità agli stessi da parte di persone con disabilità.
Siamo inoltre riusciti a coinvolgere la società civile. Nonostante la resistenza iniziale da parte del Consiglio, i comitati di controllo vedranno anche la presenza dei partner ambientali, delle organizzazioni non governative e di altri enti che rappresentano la società civile. Per di più, grazie alle pressioni del Parlamento, le infrastrutture in regioni che non sono più soggette all’obiettivo 1 di convergenza potrebbero anche essere finanziate con l’approvazione della Commissione. Questa è stata la richiesta avanzata da tutte le varie regioni.
Siamo inoltre riusciti a fare in modo che vi sia un articolo speciale sullo sviluppo sostenibile e sull’ambiente. In altre parole, abbiamo ottenuto ciò che da anni chiamiamo “inverdimento” dei Fondi strutturali. Vi è una solida base giuridica per non causare ulteriori danni ambientali per mezzo dei Fondi strutturali.
Nel contempo, abbiamo rafforzato la politica urbana. Gli Stati membri sono tenuti a delineare previsioni più specifiche per le città. Tale obbligo comprende la presentazione di un elenco speciale delle città selezionate al fine di affrontare i problemi rilevanti. Abbiamo altresì firmato una dichiarazione comune con la Commissione su una valutazione provvisoria delle conseguenze del disimpegno dei finanziamenti sulla base della regola N+3/N+2, poiché tale regola può causare problemi.
Significa che siamo del tutto soddisfatti? A dire la verità, non è così. Vorrei citare a titolo di esempio i bonus della Presidenza britannica, che hanno alquanto alterato la logica di coesione del regolamento. Vorrei inoltre menzionare il fatto che non siamo riusciti a trasmettere la nostra opinione circa la cosiddetta riserva di prestazione, con il riciclaggio degli stanziamenti disimpegnati sulla base della regola N+2 o N+3. Ciononostante, un ulteriore ritardo comporterebbe anche un ritardo nell’avvio dei programmi, il che sarebbe negativo per le regioni e per gli Stati membri più poveri. Anche questo, pertanto, è un motivo impellente per accogliere oggi tale regolamento.
Quest’oggi passiamo dalla teoria alla pratica. Anche il regolamento migliore, in tutta franchezza, può dare problemi se non viene applicato in modo corretto. Di conseguenza, la sfida principale che tutti abbiamo di fronte, specialmente la Commissione, gli Stati membri e le regioni, è assicurare che il regolamento venga ora applicato correttamente. Vi sono sfide rivolte sia ai vecchi Stati membri, che non devono ripetere gli errori commessi in passato, che ai nuovi Stati membri, che non devono ripetere gli errori di taluni vecchi Stati membri per quanto riguarda il ritiro e l’uso dei finanziamenti.
Il Parlamento sarà presente nell’arco di tutta la procedura al fine di monitorare e richiedere i movimenti strutturali sempre a beneficio degli Stati membri e delle regioni più poveri dell’Unione europea.
(Applausi)
PRESIDENZA DELL’ON. COCILOVO Vicepresidente
Alfonso Andria (ALDE), relatore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo più di un anno giunge a compimento un intenso lavoro portato avanti in stretta collaborazione con molti colleghi, con rappresentanti del Consiglio e della Commissione che desidero ringraziare. Ringrazio inoltre la Presidenza austriaca e rivolgo un particolare e convinto riconoscimento al Commissario, Danuta Hübner, la quale si è mostrata sempre sensibile alle istanze del Parlamento, pronta al confronto e al dialogo costruttivo, vero motore dello scambio di opinioni fra le due Istituzioni.
Al tavolo del negoziato con il Consiglio e con la Commissione, il Parlamento europeo ha parlato con una sola voce, al di là delle appartenenze politiche e delle estrazioni territoriali ed è così riuscito ad incidere maggiormente sugli esiti del negoziato, contribuendo a migliorare sensibilmente l’impianto originario dei provvedimenti. Anche se il Consiglio ha rigettato taluni suggerimenti importanti avanzati dal Parlamento, personalmente ritengo che i testi rispondano adeguatamente ai bisogni dell’Unione allargata. Grazie al lavoro congiunto delle tre istituzioni, con il voto di questa mattina l’Europa disporrà di nuovi strumenti giuridici fondamentali per il rafforzamento della solidarietà e della coesione economica e sociale.
In merito al regolamento per il Fondo di coesione, del quale sono relatore principale, desidero sottolineare l’importanza dell’aumento della dotazione finanziaria, per la quale il Parlamento si è battuto, da 18 miliardi per il periodo 2000-2006, a poco più di 61 miliardi e mezzo per il prossimo periodo di programmazione. Si tratta di una risposta al grande fabbisogno di finanziamenti degli Stati membri beneficiari nei settori dell’ambiente e dei trasporti, con una particolare attenzione allo sviluppo sostenibile, mediante una ripartizione equilibrata ma al tempo stesso flessibile, capace cioè di adattare l’intervento del Fondo alle esigenze di ciascuno Stato membro.
Al di fuori delle reti transeuropee, sarà possibile impiegare il Fondo di coesione per progetti nel campo dei trasporti, anche urbani, ferrovie, vie navigabili fluviali e marittime, programmi multimodali, interventi che favoriscono lo sviluppo sostenibile e che valorizzano la dimensione ambientale, con particolare riguardo ai settori chiave della efficienza energetica e delle fonti rinnovabili.
L’incisivo lavoro del Parlamento ha condotto a risultati positivi su più punti. Ne vorrei citare soltanto alcuni che interessano tanto il regolamento sul Fondo di coesione, quanto il regolamento generale, di cui è relatore il collega Hatzidakis e di cui io sono relatore ombra per conto del mio gruppo di appartenenza. E’ stata inserita, all’articolo 14 del regolamento generale, una menzione specifica sull’accessibilità per i disabili, che dovrà d’ora in poi caratterizzare tutte le opere finanziate con i Fondi comunitari. Si è ottenuto un maggiore riconoscimento della tutela ambientale e dello sviluppo sostenibile, come ha appena sottolineato il collega Hatzidakis. In merito a questi due punti mi ritengo soddisfatto, anche se avrei gradito un richiamo puntuale altresì nell’articolato del regolamento relativo al Fondo di coesione. In ogni modo la menzione è contenuta nel regolamento generale e questo è già significativo ed importante.
Con riguardo poi alla cosiddetta partnership, saranno maggiormente coinvolti gli organismi rappresentanti la società civile, le organizzazioni non governative e le associazioni che si battono per la parità dei diritti tra donne e uomini, anche nella politica di coesione.
Infine, Signor Presidente, per quanto riguarda il regolamento del Fondo europeo di sviluppo regionale, di cui è relatore l’onorevole Fava, e di cui sono relatore ombra, valuto molto positivamente l’inserimento del richiamo al tema della sicurezza pubblica nell’ambito dell’obiettivo di convergenza, come garanzia contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nei processi di spesa legati ai Fondi strutturali. Inoltre, l’intervento del Parlamento ha determinato una maggiore attenzione per la dimensione urbana – tema molto caro al collega Beaupuy, a me, e a tanti altri di noi – ponendo l’accento sulla forza propulsiva che un buon programma di investimento e di gestione dei fondi diretti alle città può avere per il rilancio economico e socioculturale delle periferie e delle zone rurali circostanti, che sono il vero volano dello sviluppo sostenibile e duraturo dei territori.
In conclusione, desidero aggiungere a quello del collega Hatzidakis il mio invito a confortare con il voto favorevole del Parlamento l’intero pacchetto dei regolamenti oggi in discussione.
José Albino Silva Peneda (PPE-DE), relatore. – (PT) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, il processo che conduce all’adozione del nuovo regolamento sul Fondo sociale europeo merita il sostegno del Parlamento.
In prima lettura abbiamo presentato 84 emendamenti alla proposta originale della Commissione. Di tali emendamenti vorrei sottolineare un elemento: la versione originale della Commissione stabiliva una serie di misure che rappresentavano l’obiettivo dei finanziamenti, ma le cui azioni variavano a seconda che la regione beneficiaria dei finanziamenti fosse soggetta all’obiettivo “convergenza” o interessata dall’obiettivo “competitività e occupazione”.
Mi oppongo per principio a questa differenziazione regionale, per il fatto che, quando verrà messa in pratica, porterà alla creazione di un Fondo sociale europeo a due velocità, e conterrà una forma di discriminazione indiretta dei lavoratori che beneficiano del Fondo a seconda della regione in cui lavorano. Sia la Commissione che il Consiglio hanno accolto la mia motivazione.
Altri emendamenti significativi per i quali Consiglio e Commissione hanno da ultimo accolto le nostre proposte riguardavano l’utilizzo delle risorse del Fondo sociale europeo per finanziare le attività delle parti sociali. Mi sono sempre opposto alla proposta originale della Commissione e ho suggerito una soluzione alternativa flessibile ma più rigorosa che destinerebbe una quantità adeguata di risorse del Fondo sociale europeo a misure volte a rafforzare le capacità delle parti sociali, ma specificando che tali attività devono essere attinenti alla formazione, a misure d’integrazione della rete e alla promozione del dialogo sociale. Anche a tale riguardo, sia la Commissione che il Consiglio hanno accolto il nostro punto di vista.
In seguito alla procedura ordinaria per la seconda lettura di tale nuovo regolamento, abbiamo corso il grave rischio che la base giuridica essenziale che avrebbe permesso agli Stati membri di utilizzare gli stanziamenti del Fondo sociale europeo a decorrere dal 1° gennaio 2007 non entrasse in vigore per tempo. Comprendendo l’importanza di questo fatto, la Presidenza austriaca mi ha contattato per avviare colloqui finalizzati alla riduzione del tempo che normalmente occorre per il processo legislativo. Con l’aiuto prezioso dei relatori ombra, sono riuscito ad analizzare gli emendamenti che non erano stati esaminati dal Consiglio, e a presentare cinque punti che il Consiglio non aveva accolto in prima lettura, ma che riteniamo d’importanza fondamentale.
Tali punti erano i seguenti: il rafforzamento del ruolo dell’integrazione sociale, l’impegno da parte degli Stati membri a sostenere azioni prioritarie, a promuovere misure nel campo dell’innovazione, a sostenere azioni transnazionali e interregionali, e la disponibilità di una somma di denaro adeguata per la formazione e il networking delle parti sociali. Con mia grande soddisfazione, il Consiglio ha accolto le nostro proposte. Data la situazione, signor Presidente, e visto che l’impegno nei confronti della Presidenza austriaca è stato onorato, vorrei raccomandare l’adozione della posizione comune senza alcun emendamento.
Signor Presidente, la globalizzazione e l’evoluzione tecnologica e demografica hanno portato cambiamenti di vasta portata in numerosi settori della vita nelle nostre società. In questo processo, la questione politica più importante è sapere come decidere la direzione di tali cambiamenti e, al riguardo, confesso che molti dei contenuti di questa relazione sono il risultato non solo di duro lavoro, ma anche dell’attenta riflessione su valori che riassumono in larga misura la mia visione della politica quale servizio pubblico.
Per quanto riguarda i valori, appartengo al novero di coloro che pensano che il libero funzionamento del mercato da solo non sarà mai in grado di promuovere l’essenza del progetto europeo, che io sostengo senza riserve, basato sui valori di pace, giustizia sociale, libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani.
Vorrei pertanto che sapeste che questa è stata un’ulteriore fonte d’ispirazione per il nuovo regolamento sul Fondo sociale europeo. Infine, vorrei esprimere la mia gratitudine per l’eccellente spirito di cooperazione dimostrato lungo l’arco dell’intero processo e al Commissario Špidla, oggi presente in Aula. Devo inoltre ringraziare i servizi della Commissione per la loro disponibilità a trovare soluzioni che sono state incluse nella versione definitiva, ma che in origine non erano previste. In conclusione, vorrei ringraziare le relatrici ombra, onorevoli Jöns, Schroedter e Figueiredo, ed esprimere pubblicamente il mio apprezzamento per l’aiuto ricevuto al riguardo dal Vicepresidente, Luigi Cocilovo.
Giovanni Claudio Fava (PSE), relatore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo giunti al momento finale di un percorso cominciato nel luglio 2004 con la presentazione delle proposte della Commissione sui nuovi Fondi strutturali, che –vorrei ricordarlo – il Parlamento ha sempre sostenuto, ha cercato di migliorare, e ha comunque difeso insistendo su alcuni aspetti, che noi riteniamo importanti, relativi alla qualità, alla spesa, allo sviluppo sostenibile, alla tutela ambientale, alle pari opportunità, all’accesso ai disabili, alla sicurezza pubblica e alla cooperazione transfrontaliera.
Abbiamo lavorato, di concerto con Commissione e Consiglio, per fare in modo di arrivare rapidamente alla conclusione di questo percorso, ma anche, ripeto, per migliorare alcuni punti sensibili che riteniamo importanti per l’uso che le nostre regioni e i nostri enti locali faranno dei Fondi strutturali.
Vorrei ricordare rapidamente il nostro contributo su alcuni punti in particolare. Innanzitutto la concertazione: ci siamo battuti affinché questa venisse allargata e sostenuta, e affinché, accanto ai soggetti istituzionali e amministrativi, includesse nuovi soggetti, che hanno un loro rilievo sul territorio: mi riferisco alle organizzazioni non governative e alla società civile. Noi crediamo che la concertazione sia una grande scuola di democrazia e, soprattutto, una grande risorsa di responsabilità: allargare il campo delle responsabilità nella gestione dei Fondi strutturali è una delle grandi sfide politiche dell’Unione europea.
Ci siamo soffermati sull’equità, cioè sulla necessità di evitare un’Europa a due velocità, che apra spazi a misure discriminatorie sul piano geografico. Sappiamo che la sfida europea della coesione è una sfida difficile. L’allargamento ha ampliato il divario esistente tra diverse zone geografiche dell’Europa e noi abbiamo ritenuto che fosse importante superare questo divario e trovare un equilibrio economico e sociale tra tutti i paesi dell’Unione europea, evitando il rischio di un’Europa a due velocità.
Ci siamo concentrati su alcune priorità, accogliendo la proposta della Commissione di evitare di fare dei Fondi strutturali e del Fondo di sviluppo regionale, di cui sono responsabile, una sorta di “lista della spesa” alla quale ciascuno possa attingere secondo le più disparate necessità, concentrandoci invece sulla qualità di alcuni obiettivi e facendo in modo che prevalga la qualità sulla quantità, anche sulla base dell’esperienza che ciascuno di noi porta nella propria memoria.
Abbiamo preservato il principio di addizionalità: i Fondi strutturali sono un valore aggiunto, non devono sostituirsi alla spesa corrente, normale degli Stati membri, dello Stato. In questo senso, come valore aggiunto, dobbiamo prestare una maggiore attenzione alle ragioni della qualità di questa spesa.
Infine Lisbona: signor Presidente, onorevoli colleghi, Lisbona non rappresenta soltanto un’Europa competitiva, capace di far decollare la propria economia e di inseguire l’obiettivo della piena e buona occupazione, ma rappresenta anche un’Europa capace, finalmente, di investire sulla conoscenza, su infrastrutture immateriali, sul sapere, sui processi e l’innovazione tecnologica, e su tutto ciò che sta, oggi, nel cuore dei Fondi strutturali.
Il contributo del Parlamento europeo è stato un contributo concreto anche in merito ad alcuni punti specifici, in quanto ha posto un’attenzione particolare alle ragioni dell’ambiente, allo sviluppo sostenibile, alla politica urbana, alle piccole e medie imprese, che rappresentano la colonna vertebrale dell’economia europea, e anche alla sicurezza. Siamo lieti che sia prevista una dichiarazione che accoglie la nostra richiesta di porre un’attenzione particolare alla sicurezza, volta a rendere la nostra spesa europea impermeabile alle attenzioni della criminalità organizzata.
Siamo soddisfatti solo in parte, signor Presidente, perché, come lei e tutti voi colleghi saprete, non riteniamo che le risorse di bilancio siano adeguate alla sfida che stiamo affrontando, nonostante l’allargamento e nonostante la proposta della vecchia Commissione, che forse è una proposta più generosa e più attenta alle esigenze di questa Europa allargata a venticinque. Credo che valga la pena di sottolineare ancora una volta – com’è stato fatto da altri colleghi – il senso di responsabilità del Parlamento europeo, che ha sempre cercato una piena e buona collaborazione con le altre Istituzioni europee, che ha evitato la conciliazione, che ha evitato di mettere a rischio il prossimo periodo di programmazione.
Vorrei ringraziare la Commissione europea, la Commissaria Hübner e la Presidenza austriaca che hanno interpretato il nostro stesso spirito di collaborazione. Ora spetta ai nostri paesi agire, abbiamo gli strumenti opportuni, dovremmo saperne fare buon uso.
Jan Olbrycht (PPE-DE), relatore. – (PL) Signor Presidente, il lavoro legislativo sul pacchetto di regolamenti sulla politica di coesione per il periodo 2007-2013 oggi giunge a una conclusione. Tutti ricordiamo l’acceso dibattito sul ruolo e sull’importanza della politica di coesione nell’Unione europea per il raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona, nonché i tentativi di limitare a poco a poco la politica di coesione, e persino di rinazionalizzarla.
Oggi discutiamo di tali argomenti come se facessero parte del passato, ma è utile ricordare, in seno al Parlamento europeo, che attuare il principio della solidarietà per mezzo, tra l’altro, della politica di coesione, fa parte integrante del funzionamento dell’Unione europea. Possiamo modificarne la forma, adattandolo a nuovi obiettivi, ma se lo minassimo, negheremmo la base su cui opera la Comunità. Per attuare la politica di coesione, pertanto, non basta definire la struttura di alcuni finanziamenti e i modi in cui vanno usati, ma occorre soprattutto stabilire gli obiettivi attuali. A ciò devono poi seguire passi volti ad adattare la metodologia politica e le strategie attuative, come pure misure pratiche.
In linea con i termini dei Trattati, la politica di coesione sociale ed economica può essere attuata con l’aiuto di risorse finanziarie comuni. Può tuttavia essere attuata anche senza di esse, mediante attività congiunte in diversi Stati membri miranti a raggiungere simili obiettivi. Durante l’attuale periodo di programmazione, attività transfrontaliere congiunte fanno parte dell’iniziativa comunitaria Interreg. Tale iniziativa favorisce la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale. L’esperienza delle attività di Interreg dimostra che le iniziative transfrontaliere intraprese congiuntamente dalle autorità locali e regionali in diversi Stati membri sono molto importanti per questi ultimi, in quanto creano reti di cooperazione e favoriscono la fiducia reciproca. Possiamo concludere che tali attività, che necessitano di scarse risorse finanziarie, creano notevole valore aggiunto.
Il nuovo periodo di programmazione dovrebbe trarre profitto da tale esperienza positiva. Le iniziative tipicamente associate a Interreg sono state pertanto incluse nel campo di applicazione della politica di coesione, entro il quadro dell’obiettivo 3. Vi è inoltre l’esigenza di creare nuove opportunità giuridiche e organizzative per i partner della cooperazione. Tale è altresì la fonte dell’idea innovativa di creare un nuovo strumento giuridico che favorisca ogni attività transfrontaliera, transnazionale e interregionale. Scopo centrale di tale iniziativa è fornire ai partner della cooperazione, che non sempre utilizzano i finanziamenti comunitari, uno strumento che faciliti loro l’organizzazione di attività diverse, tra cui servizi pubblici transfrontalieri.
In accordo con la proposta di regolamento, e una volta stabiliti gli obiettivi e i principi della cooperazione, le autorità pubbliche e gli enti pubblici creati con la loro assistenza all’interno dell’Unione europea, cioè le autorità regionali, locali e nazionali, potranno firmare un accordo apposito che nel regolamento viene definito convenzione. Potranno poi denominare la nuova istituzione “gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT)”. Questo gruppo sarà dotato di una personalità giuridica che verrà riconosciuta nell’intera Unione europea, una volta che ne siano informati tutti gli Stati membri.
Il nuovo regolamento introdurrà un nuovo precedente giuridico. Esso affronta questioni legate al sistema ed è pertanto andato incontro a numerose esternazioni di allarme, riserve e persino proteste. I lavori sul regolamento hanno rappresentato un esempio di progresso costante verso soluzioni di compromesso che richiedono molte concessioni e decisioni difficili. Vale la pena di sottolineare che la soluzione proposta garantisce agli Stati membri pieno controllo sulla creazione e sul funzionamento del GECT. Il compromesso raggiunto non ha alterato la sostanza della nuova soluzione né la sua forma innovativa.
L’odierna votazione conclude i lavori legislativi e crea nuove opportunità. E’ soprattutto un modo di esprimere il nostro apprezzamento verso tutti coloro che, da molti anni, costruiscono una forma veramente europea e decentralizzata di cooperazione internazionale. In qualità di relatore proveniente da uno Stato membro che ha aderito all’Unione europea durante il recente allargamento, ho avuto occasione di venire alle prese con la complessità del processo legislativo. Per questo motivo vorrei ringraziare in modo particolare, per la cooperazione estremamente costruttiva ed efficace, il Commissario Danuta Hübner, i rappresentanti della DG REGIO, i rappresentanti delle Presidenze che si sono avvicendate, specialmente quella austriaca, il Segretariato della commissione per lo sviluppo regionale, i consulenti politici, nonché i miei collaboratori ed esperti dalla Polonia.
Presidente. Mi fa particolarmente piacere avere la possibilità di dare il benvenuto, in occasione della sua prima presenza in Parlamento, alla Presidenza di turno finlandese, rappresentata da Hannes Manninen, ministro degli Affari regionali e municipali del governo finlandese.
Hannes Manninen, Presidente in carica del Consiglio. (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati al Parlamento europeo, è un grande onore poter intervenire in quest’Aula in qualità di rappresentante della Presidenza del Consiglio dell’Unione europea. L’importanza dell’occasione è messa in luce dall’opportunità di partecipare alla stesura finale del pacchetto di regolamenti, cruciale per la coesione e per lo sviluppo regionale dell’Unione. Gli obiettivi della Presidenza finlandese verranno esposti domani dal Primo Ministro Vanhanen.
Innanzi tutto vorrei ringraziare il Parlamento europeo per l’alto grado di cooperazione espressa nei confronti del Consiglio. I colloqui in merito ai regolamenti sulla politica di coesione hanno richiesto due anni di duro lavoro da parte delle varie Istituzioni. Se l’odierna plenaria del Parlamento voterà sul pacchetto di regolamenti in accordo con le raccomandazioni delle commissioni, la riforma della politica di coesione e l’attuazione del nuovo periodo di programmazione potranno incominciare come previsto dall’inizio del 2007.
Il Parlamento europeo ha avuto un ruolo chiave nel decidere i contenuti della nuova politica di coesione dell’Unione. Tra i vari approcci alla questione, il Parlamento ha posto particolare enfasi sull’importanza di temi fondamentali per il pubblico e la società civile, quali il partenariato, prestando attenzione ai valori ambientali e alla partecipazione dei disabili all’attuazione dei programmi. Il Parlamento ha posto la condizione che gli Stati membri aderissero a pratiche coerenti per quanto riguarda i criteri per il calcolo del cofinanziamento in seno alla Comunità e la gestione dell’IVA. Il Parlamento è stato altresì attivo nello stabilire i regolamenti pertinenti al gruppo europeo di cooperazione territoriale.
In questa sede ho citato solo alcuni esempi di temi che il Parlamento ha contribuito a promuovere. La maggior parte degli emendamenti proposti dall’Assemblea sono stati presi in considerazione in seno all’odierno dibattito sulle proposte di regolamento.
Oltre all’adozione dei regolamenti, abbiamo bisogno anche di orientamenti strategici comunitari sulla politica di coesione prima che venga definita la base giuridica per l’attuazione dei programmi. Sulla base di tali orientamenti, gli Stati membri istituiranno il proprio quadro di riferimento strategico nazionale, che guiderà l’elaborazione dei programmi di sviluppo regionale.
Abbiamo proposto un calendario ambizioso per l’adozione degli orientamenti sulla politica di coesione. Confido nella disponibilità alla cooperazione delle varie parti, e mi auguro che proseguano i proficui schemi di cooperazione con il Parlamento europeo. La commissione parlamentare per lo sviluppo regionale ha completato la relazione sugli orientamenti strategici già a maggio. Il nostro obiettivo è stabilire la posizione del Consiglio nel mese di luglio, in modo che il Parlamento europeo possa discutere il documento già all’inizio della sessione parlamentare autunnale. Se tutte le parti s’impegneranno a rispettare un programma serrato, con ogni probabilità gli orientamenti strategici per la politica di coesione saranno pronti entro ottobre. In tal caso, la Commissione potrà adottare i documenti unici di programmazione in modo che se ne possa avviare l’attuazione all’inizio del 2007.
Far entrare in vigore gli orientamenti strategici comunitari sui regolamenti e sulla coesione sarà l’obiettivo principale per lo sviluppo regionale nel corso del semestre di Presidenza finlandese.
Il Parlamento europeo ha lavorato con grande determinazione e flessibilità alla riforma della politica di coesione. Nel contempo è stato possibile intrattenere negoziati sull’accordo interistituzionale, i regolamenti e gli orientamenti strategici. Vorrei ringraziarvi per la cooperazione costruttiva. Un grazie speciale alla commissione per lo sviluppo regionale per il suo approccio esperto.
Desidero inoltre ringraziare le Presidenze precedenti e la Commissione e i Commissari per il prezioso lavoro con cui hanno portato avanti le riforme della politica di coesione. Anche il Comitato delle regioni e il Comitato economico e sociale europeo vanno lodati per l’impulso che hanno impresso alla causa sollevando questioni che stanno a cuore alle regioni e ai cittadini.
Sono certo che la base giuridica proposta fornirà un eccellente punto di partenza per l’attuazione di una politica europea di coesione che sia efficace e tenga conto delle specificità delle regioni.
(Applausi)
Danuta Hübner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziarvi per l’ininterrotto sostegno e incoraggiamento e per il ruolo che il Parlamento europeo ha svolto nel preparare la riforma della politica di coesione.
In primo luogo, vorrei dire quanto apprezziamo il vostro ruolo nell’assicurare una dotazione finanziaria significativa. In secondo luogo, apprezziamo il vostro contributo all’istituzione di una nuova architettura nonché di nuovi strumenti per tale politica. Avete insistito sull’istituzione di un obiettivo di cooperazione territoriale più ambizioso. Tale obiettivo presenta un notevole e chiaro valore aggiunto europeo, soprattutto nel contesto dell’allargamento dell’Unione europea. Sono certa che l’aumento del 4 per cento delle risorse finanziarie disponibili per l’obiettivo di rafforzare la cooperazione transnazionale e interregionale, che aveva subito i tagli più sostanziali nella decisione del Consiglio europeo del dicembre 2005, ci aiuterà ad essere più efficienti ed efficaci nell’avvicinare le regioni europee di tutto il continente.
Inoltre vorrei ringraziarvi per il sostegno allo sviluppo di uno strumento unico progettato per superare i problemi che incontrano gli Stati membri, le regioni e le autorità locali nell’intraprendere azioni di cooperazione transfrontaliera, transnazionale o interregionale, finanziate con Fondi strutturali o meno. Per la prima volta, l’Unione europea fornirà un quadro giuridico adeguato per una migliore cooperazione transfrontaliera, interregionale e transnazionale.
In terzo luogo, apprezzo il vostro contributo nell’assicurare che la politica di coesione si applichi a tutte le regioni e a tutti gli Stati membri e che contribuisca a una maggiore e migliore occupazione e a una crescita economica più rapida. In tale contesto, sono altresì molto lieta che abbiate accolto i nostri sforzi per la creazione di nuovi strumenti di supporto quali JEREMIE e JESSICA, che coinvolgeranno nuovi partner e si avvarranno della competenza delle Istituzioni finanziarie europee. Questo interesserà valori di mercato autentici e doterà di maggiore efficacia i Fondi strutturali.
Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare personalmente i relatori, onorevoli Hatzidakis, Andria, Silva Peneda, Fava e Olbrycht, e per esprimere il nostro apprezzamento per il ruolo ricoperto dall’onorevole Krehl in qualità di relatrice per le prospettive finanziarie e per il lavoro svolto in merito agli orientamenti strategici comunitari. Vorrei ringraziare anche l’onorevole Beaupuy, senza il cui impegno la dimensione urbana non avrebbe probabilmente avuto altrettanto rilievo nella nostra nuova politica.
E’ stato un piacere lavorare con l’onorevole Galeote, presidente della commissione per lo sviluppo regionale, che ringrazio moltissimo per l’impegno profuso. Ha sempre mantenuto un atteggiamento molto costruttivo e collaborativo e nell’intero arco dei negoziati abbiamo sempre condiviso gli stessi principi e priorità.
Insieme siamo riusciti a evitare una politica basata su un doppio regime nell’applicazione delle norme sull’ammissibilità dell’IVA non recuperabile e nell’applicazione del principio della spesa totale ammissibile quale base del cofinanziamento.
Non avremo due politiche di coesione distinte per l’Europa, una per i vecchi e una per i nuovi Stati membri. Sarebbe stato in contrasto, a mio avviso, con i nostri tentativi di produrre una politica efficace e coerente, dotata di trasparenza, di una sana gestione finanziaria e di regolamenti semplificati.
Avete condiviso la nostra enfasi sull’esigenza di rafforzare il principio di partenariato. Abbiamo congiuntamente promosso il ruolo delle ONG, della società locale e civile e dei partner ambientali nella nostra politica. Con il vostro sostegno abbiamo inoltre intensificato le misure per la non discriminazione e per lo sviluppo sostenibile. Vi sono tuttavia numerosi elementi del cui valore aggiunto non siamo riusciti a convincere completamente gli Stati membri. Mi riferisco al concetto di una riserva comunitaria, alla nostra intenzione di rendere obbligatoria la dimensione urbana della nostra politica e all’idea del Parlamento di riciclare le risorse potenzialmente non spese assegnate alla politica di coesione.
Come richiesto dal Parlamento, la Commissione ha preparato una dichiarazione congiunta in cui s’impegna a presentare una valutazione dell’esecuzione del bilancio dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione per il periodo di programmazione 2007-2013, che comprenda le conseguenze dell’attuazione della regola del disimpegno.
La nostra maggior preoccupazione per i mesi a venire è assicurare che i programmi di coesione, nuovi e di buon livello, partano in tempo. Resta molto da fare. Stiamo lavorando con la Presidenza finlandese per assicurare che gli orientamenti strategici comunitari sulla coesione possano essere adottati dal Consiglio dopo che il Parlamento europeo avrà espresso la sua opinione. Mi informano che questo si può ottenere alla fine di settembre o all’inizio di ottobre. In seguito gli Stati membri presenteranno formalmente le proprie strategie nazionali sulle modalità con cui propongono di utilizzare la politica di coesione, dopodiché discuteremo nel dettaglio i programmi operativi, con l’adozione finale da parte della Commissione.
Al fine di risparmiare tempo, la Commissione ha già dato inizio a discussioni informali. Abbiamo già ricevuto i progetti dei programmi nazionali da 21 Stati membri.
Stiamo gradualmente completando la preparazione della nuova generazione 2007-2013, ma dobbiamo pensare a lungo termine per far sì che la politica di coesione continui a sostenere la convergenza e la modernizzazione economica e sociale dell’Europa. La quarta relazione sulla coesione, la cui pubblicazione è prevista per la primavera del prossimo anno, e il forum sulla coesione, che si terrà contestualmente ad essa, costituiranno importanti passi avanti e daranno forma alle idee per il futuro.
Attendo con ansia il vostro dibattito, certa che la vostra decisione odierna ci permetterà di concludere positivamente i preparativi per la nostra politica di coesione comune di nuova generazione.
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, signor Presidente in carica del Consiglio, come la mia collega, Commissario Hübner, vorrei ringraziarvi anch’io per il sostegno che ci avete accordato negli ultimi anni. Oggi, a quasi due anni dalla proposta della Commissione, state per esprimere il vostro voto sul pacchetto di regolamenti sulla coesione. Grazie ai vostri sforzi e al vostro sostegno, si tratta di un pacchetto equilibrato che rappresenta un’autentica riforma. Il Fondo sociale europeo (FSE), di cui nel 2007 ricorrerà il cinquantesimo anniversario, manterrà il proprio ruolo. Continuerà a essere uno strumento che offre sostegno diretto ai singoli cittadini e come tale un elemento fondamentale per avvicinare l’Unione ai cittadini. I Fondi, e in particolare il FSE, devono però anche promuovere le priorità comunitarie in modo molto più chiaro rispetto al passato. Gli sforzi della Commissione saranno rivolti ad assicurare che le priorità di finanziamento dai fondi e di rilancio della strategia di Lisbona vadano di pari passo. In un momento in cui l’allargamento, il cambiamento demografico e la globalizzazione danno nuovo lavoro, si tratta di un fatto di vitale importanza. A questo proposito vorrei porre l’accento sui tre elementi principali del nuovo regolamento sul FSE.
Innanzi tutto, abbiamo naturalmente bisogno di un orientamento strategico. Durante il processo di programmazione, la Commissione giungerà a un accordo con gli Stati membri e le regioni in merito alle priorità e agli obiettivi principali, che saranno totalmente in linea con la strategia di Lisbona rinnovata.
In secondo luogo, la nuova versione chiede con chiarezza che le risorse vengano concentrate sugli obiettivi comunitari nell’ambito della strategia europea per l’occupazione, che comprende obiettivi importanti in materia di occupazione nei settori dell’inclusione sociale, dell’istruzione e della formazione professionale. La concentrazione di risorse è una condizione essenziale per ottenere buoni risultati.
In terzo luogo, il sostegno al capitale umano permetterà al FSE di contribuire in modo significativo alla creazione di una società fondata sulla conoscenza. Il sostegno a una forza lavoro istruita, qualificata e adattabile e all’innovazione è fondamentale se vogliamo incrementare l’occupazione, la produttività sul lavoro, la crescita, la coesione sociale e la sicurezza sociale.
Inoltre, grazie anche all’incrollabile sostegno del Palamento, il regolamento accorda la priorità al miglioramento della capacità istituzionale nelle regioni interessate dall’obiettivo di convergenza e nei paesi ammissibili al Fondo di coesione. Credo fermamente che tale priorità svolgerà un ruolo centrale nel migliorare l’efficienza dell’amministrazione pubblica, aumentando così la competitività e favorendo a sua volta lo sviluppo dell’occupazione sostenibile e il sostegno all’inclusione sociale. Vorrei inoltre sottolineare che il FSE ha anche il compito di ridurre le disparità per quanto riguarda l’occupazione a livello nazionale, regionale e locale. La creazione di qualifiche adeguate a ciascuno di questi livelli rappresenta una parte integrante e un contributo alla strategia di crescita e sviluppo. Tali elementi naturalmente sono mere parti del tutto.
Grazie al Parlamento, la formulazione è stata resa più rigorosa in numerosi settori. Il Fondo avrà d’ora in avanti un ruolo fondamentale nella parità tra uomini e donne e nelle pari opportunità, mediante progetti speciali e l’attuazione di tali principi in tutti i campi della vita. Il Fondo sosterrà altresì progetti volti specificamente a combattere la discriminazione sul posto di lavoro, che si può collegare alla priorità di favorire l’inclusione sociale dei cittadini svantaggiati, in particolare con l’intento di fornire loro occupazione sostenibile. Tali tappe pratiche aiutano a sviluppare misure vantaggiose dal punto di vista sociale e a mostrare in che modo il Fondo porta alla condivisione dei valori su cui si è fondato il modello sociale europeo. Il FSE fornirà inoltre un sostegno particolare alle parti sociali nelle regioni interessate dall’obiettivo di convergenza. Grazie al Parlamento, la formulazione attuale è assolutamente scevra da ambiguità, cosa che accolgo con favore. La partecipazione attiva delle parti sociali è pertanto una condizione essenziale per uno sviluppo socioeconomico equilibrato e armonioso. Vorrei inoltre ringraziare il Parlamento per essersi attivamente adoperato affinché il nuovo regolamento generale contenga disposizioni speciali in materia di partenariato. Si tratta di un principio chiave che si applica a tutti i finanziamenti di cui stiamo parlando. Tale principio permette la partecipazione in ogni fase degli attori della società civile, cioè le parti sociali, la società civile, le organizzazioni non governative e quelle per le pari opportunità.
Si può pertanto concludere che si sono ottenuti risultati straordinari. Di conseguenza, vorrei cogliere l’occasione per ringraziare la commissione per l’occupazione e gli affari sociali presieduta da Jan Andersson, che ha offerto grandissimo sostegno alla Commissione. In prima lettura ha elaborato quasi 100 emendamenti al regolamento, la maggior parte dei quali è stata accolta dalla Commissione. A tale riguardo, vorrei congratularmi con il relatore principale, onorevole Silva Peneda. Abbiamo lavorato insieme per raggiungere un risultato particolare, e ora vorrei concentrarmi sul futuro.
Nei prossimi mesi gli Stati membri presenteranno alla Commissione i propri quadri di riferimento strategici e i propri programmi operativi nazionali. In questo modo gli Stati membri prenderanno importanti decisioni strategiche sui futuri investimenti tratti da fonti pubbliche. La maggior parte degli Stati membri ha già compiuto grandi progressi nell’elaborazione di tali documenti. Tuttavia, dal contatto con gli Stati membri emerge un aspetto che a mio avviso può essere motivo di preoccupazione. Sembra che in un numero considerevole di Stati membri gli investimenti dal FSE nella nostra maggiore risorsa, ossia i cittadini e le loro qualifiche, potrebbero essere alquanto inferiori al dovuto. E’ estremamente importante, perché occorre trovare il giusto equilibrio tra investimenti in capitale reale e investimenti per i cittadini. Il modo in cui ora investiamo nei lavoratori sotto forma di formazione professionale affinché possano adattarsi alle nuove sfide, nell’istruzione per i giovani e gli anziani e nel sostegno ai disoccupati allo scopo di aiutarli a provvedere a se stessi contribuirà a dar forma al nostro futuro. Alla fine sarà questo a influire maggiormente sulla ricchezza e sulla prosperità dei nostri cittadini. La Commissione farà tutto il necessario per assicurare che le discussioni con gli Stati membri raggiungano un risultato equilibrato conformemente alle priorità delle politiche comunitarie e agli interessi comuni dei cittadini europei.
Signor Presidente, onorevoli deputati, signor Presidente in carica del Consiglio, vorrei ancora una volta esprimere la mia gratitudine e il mio apprezzamento per il vostro sostegno e il vostro utile contributo. Credo fermamente che oggi si compia un nuovo passo avanti che porterà a una politica comunitaria di coesione efficace.
Jacek Protasiewicz (PPE-DE), relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. (PL) Signor Presidente, quando abbiamo preparato il parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali in merito alla proposta di regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, abbiamo presentato 32 raccomandazioni.
Nel nostro parere, ci siamo concentrati principalmente su come tenere conto delle esigenze dei disabili per quanto riguarda l’attuazione di progetti finanziati in parte con denaro proveniente dai Fondi strutturali. Abbiamo altresì chiesto l’ampliamento dei criteri di ammissibilità al finanziamento nel quadro della “competitività regionale e occupazione” per quanto riguarda il livello d’istruzione disponibile in un dato Stato membro. Abbiamo anche chiesto che le procedure amministrative riguardanti l’utilizzo dei Fondi strutturali vengano semplificate. Gli importi più cospicui andrebbero pagati in anticipo ai beneficiari all’inizio del processo di attuazione per i programmi operativi. Andrebbe mantenuto il cosiddetto processo di finanziamento multiplo, che offre opportunità di ottenere finanziamenti per i programmi da più di un Fondo. Abbiamo inoltre proposto piccole modifiche alle procedure relative alla stesura delle relazioni, in quanto siamo convinti che l’eccessiva burocrazia non contribuisca ad un uso efficace dei finanziamenti europei, che in fin dei conti sono la base per lo sviluppo in molte regioni.
Naturalmente non tutte le nostre raccomandazioni sono state accolte, ma così vanno le cose negli affari e nei compromessi parlamentari, che stanno alla base delle decisioni in una Comunità varia quanto l’Unione europea. Consideriamo tuttavia positivo l’esito del lavoro comune. Accogliamo con particolare favore le soluzioni riguardanti i disabili, le organizzazioni sociali e le ONG, nonché le proposte estremamente ragionevoli sulla questione dell’ammissibilità dell’IVA per alcune attività.
Tenendo conto di questo, sostengo l’invito dell’onorevole Hatzidakis a votare a favore della proposta di regolamento.
Gerardo Galeote, a nome del gruppo PPE-DE. (ES) Signor Presidente, vorrei congratularmi in particolare con i quattro relatori per i Fondi regionali, e non per pura cortesia, ma perché hanno svolto, con tenacia e abilità, un ottimo lavoro, l’esito del quale è l’inclusione di molti emendamenti nel testo definitivo, su cui il Consiglio ha già espresso la propria approvazione. E’ stato un onore per me condurre tali dibattiti ed essere pertanto testimone diretto di tale successo.
E’ deplorevole che i governi di alcuni Stati membri siano stati intransigenti e che il Consiglio non sia stato in grado di accettare la dichiarazione istituzionale, che mira esclusivamente ad aprire un dibattito sulle eccedenze della politica di coesione.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, in seguito alle discussioni in seno al Consiglio dello scorso dicembre in merito alle prospettive finanziarie e ora sui regolamenti in materia di fondi, abbiamo iniziato a temere che alcuni governi intendano mettere in discussione la più visibile e riuscita delle politiche europee: la politica di coesione.
Sono convinto che la stragrande maggioranza dei cittadini europei sia a favore della solidarietà e che il Parlamento, sempre al fianco della Commissione europea e vorrei spendere una parola di apprezzamento particolare per il lavoro del Commissario Hübner sarà il garante di tale indispensabile pilastro dell’integrazione e della strutturazione europea.
Constanze Angela Krehl, a nome del gruppo PSE. (DE) Signor Presidente, Commissario Hübner, Commissario Špidla, Presidente Manninen, onorevoli colleghi, oggi, dopo mesi di negoziati e di colloqui, il Parlamento europeo adotterà i regolamenti in materia di politica di coesione. Credo che tale politica sia una delle più importanti, delle più positive e, soprattutto, delle più visibili tra le politiche comunitarie, il che significa che ci pone dinanzi a una sfida immensa.
Le disparità nei singoli paesi sono aumentate, e di conseguenza noi politici europei abbiamo una grande responsabilità verso i cittadini. La gente ha paura di perdere il lavoro e teme la globalizzazione. Se però vogliamo sfruttare al meglio le opportunità che la globalizzazione offre all’Europa, dobbiamo aiutare i più deboli nei nuovi e nei vecchi Stati membri.
A questo punto, inoltre, vorrei mettere in chiaro ancora una volta gli aspetti sociali della politica di coesione. Non facciamo la politica di coesione per il capitale umano, come si dice nel gergo europeo, ma per i cittadini. Questo significa che dobbiamo porre le persone al centro e perciò, di fatto, rafforzare notevolmente l’aspetto sociale.
Occorrono persone qualificate. I cittadini devono avere accesso al programma di formazione continua. Devono essere integrati, sentire che siamo a loro disposizione. Penso che il Parlamento europeo abbia conseguito risultati eccellenti in seno ai negoziati. Ne consegue che vi sarà maggiore partecipazione in futuro. Ne consegue che non vi saranno differenze nel trattamento degli Stati membri. La sostenibilità sarà per noi preponderante e non verrà considerata un male necessario.
La dimensione urbana è stata potenziata, così come sono state rafforzate la coesione territoriale, le pari opportunità e la non discriminazione. Ciò significa che possiamo dire in coscienza che la strategia di Lisbona è al centro della nostra politica di coesione e che i cittadini dell’Unione hanno davvero opportunità per il futuro.
Sotto un aspetto, purtroppo, abbiamo fallito: non siamo riusciti a ottenere le risorse necessarie che abbiamo proposto, e non siamo riusciti a ottenere il riciclaggio e il riuso delle risorse non spese all’interno della politica di coesione. Negli anni a venire, tuttavia, vogliamo ancora avere qualcosa da fare, ed è per questo che continueremo a lottare per ottenerli.
Presidente Manninen, in qualità di relatore per gli orientamenti strategici, insieme ai miei colleghi farò tutto il possibile per fare in modo che si riesca a rispettare questo calendario ambizioso e ad adottare queste politiche a ottobre.
(Applausi)
Jean Marie Beaupuy, a nome del gruppo ALDE. (FR) Signor Presidente, Commissario Hübner, Commissario Špidla, Presidente Manninen, onorevoli colleghi, sono stato testimone dell’intensità e della ricchezza degli scambi degli ultimi mesi e degli ultimi due anni, che oggi hanno portato a testi che i miei colleghi ed io pensiamo e speriamo vengano tra poco accolti da una maggioranza molto ampia del Parlamento europeo.
Vorrei sottolineare che, nell’arco dell’intero dibattito, il mio gruppo ha prestato la massima attenzione alla necessaria efficacia di cui devono essere dotati questi testi. I vari discorsi pronunciati poc’anzi hanno messo in chiaro le diverse aree in cui occorre tale efficacia.
Come ha poc’anzi indicato l’onorevole Krehl, i Fondi strutturali rappresentano una prova di solidarietà verso le regioni più svantaggiate, affinché possano raggiungere un livello medio di prosperità. Come hanno dimostrato gli esempi di Irlanda, Spagna, Portogallo e altri paesi, lo sviluppo di regioni che beneficiano dei Fondi strutturali contribuisce allo sviluppo dell’Unione europea nel suo insieme, grazie agli investimenti che tali regioni sono in grado di compiere.
Oggi, Commissario Hübner, Presidente Manninen, ci accingiamo a passare alla seconda fase. Dopo quella teorica di elaborazione dei Fondi strutturali, ci addentriamo nella fase preparatoria. Vorrei elencare tre condizioni a livello d’istruzione, a livello d’incitamento all’azione e, se così posso dire, d’incentivi allettanti necessarie se si vuole che tale fase preparatoria vada a buon fine.
A livello educativo, Commissario Hübner, so che con i suoi collaboratori ha già organizzato numerose conferenze di sensibilizzazione. Dobbiamo davvero sviluppare questa strategia di comunicazione, e il documento che lei ha appena pubblicato fa proprio questo orientamento. Dobbiamo inoltre far conoscere a un ampio pubblico le buone pratiche. Gli Stati membri, le regioni e i vari attori che sono in procinto di preparare progetti devono effettivamente essere a conoscenza delle diverse pratiche per poter preparare adeguatamente i propri progetti.
In secondo luogo, impariamo a gestire i vari incentivi a nostra disposizione. Sapete e a buon diritto che nell’ambito dei Fondi strutturali è possibile far ricorso a fondi di assistenza tecnica. In passato abbiamo notato che parte di tali fondi non veniva utilizzata, o veniva utilizzata in modo pessimo. Di qui alla fine del 2006 e per tutto il 2007, i fondi di assistenza tecnica vanno usati per preparare progetti meritevoli.
In terzo luogo, come si dice in Francia, “la paura del poliziotto è l’inizio della saggezza”. Ai vari Stati membri, ai diversi organizzatori di progetti, alle varie regioni e così via occorre ricordare che, se non osserveranno le norme previste dai regolamenti, non potranno beneficiare dei Fondi strutturali. Naturalmente deploro che, come hanno affermato alcuni colleghi, taluni Stati membri abbiano di recente rifiutato di riciclare fondi che non possono essere utilizzati entro i periodi specificati.
Infine, per concludere, non posso non sottolineare, in qualità di presidente dell’intergruppo, che l’Unione europea ha finalmente riconosciuto la necessità di attivare i Fondi strutturali a livello di città e regioni. In questo, e nel quadro dell’accordo di Lisbona, vi è la certezza di risultati migliori negli anni a venire.
Commissario Hübner, Commissario Špidla, Presidente Manninen, state pur certi che, insieme ai colleghi del Parlamento europeo, contribuiremo al successo dei Fondi strutturali, senza però abbassare il livello di sorveglianza.
Elisabeth Schroedter, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signori Commissari, anch’io vorrei innanzi tutto ringraziare, a nome del mio gruppo, gli onorevoli colleghi, e in particolare i relatori, per la stretta collaborazione. Reputo fondamentale che in seno ai negoziati il Parlamento sia stato unito nel difendere gli interessi delle regioni e dei cittadini che vi vivono.
E’ stato soprattutto il Parlamento ad assicurare che la coesione fosse e restasse il vero obiettivo dei Fondi strutturali, perché chiunque metta a rischio la coesione economica e sociale colpisce al cuore la capacità d’integrazione comunitaria. Vi sono stati sufficienti tentativi in tal senso.
A tale proposito, va menzionato innanzi tutto il gruppo dei Sei degli Stati membri. Hanno fatto in modo che vi fosse un ingente taglio dei Fondi strutturali e sono stati pertanto i primi a mettere in discussione la coesione economica e sociale.
In seguito la Commissione ha fatto il suo maestoso ingresso. Il Presidente della Commissione, José Barroso, cercava denaro per finanziare la strategia di Lisbona, e così ha attinto ai Fondi strutturali. All’improvviso, al termine dei negoziati, nei documenti è apparso un elenco che impegnava gli Stati membri a utilizzare i Fondi strutturali per l’attuazione della strategia di Lisbona. Lo scopo effettivo dei Fondi strutturali, creare coesione tra le regioni e perseguirne lo sviluppo sostenibile, d’un tratto è divenuto puramente secondario. Penso sia scandaloso non solo che il Parlamento sia stato scavalcato quando la lista di assegnazione è stata inserita tra i documenti senza consultazione, ma anche che la Commissione, in quanto custode dei Trattati, sacrifichi essa stessa la coesione economica e sociale in violazione dei Trattati stessi. Pertanto è un risultato alquanto speciale da parte del Parlamento che almeno l’obiettivo orizzontale dello sviluppo sostenibile sia contenuto nel regolamento.
Vorrei inoltre richiamare nuovamente l’attenzione sul principio di partenariato, poiché è estremamente importante che la società civile sia coinvolta al fianco delle parti sociali e che agli Stati membri si chieda di consultare le organizzazioni per l’ambiente e i rappresentanti per le pari opportunità. Mi aspetto che la Commissione esegua controlli in tal senso.
In conclusione, accolgo con favore l’iniziativa per la trasparenza del Commissario Kallas, che può contare sul nostro sostegno. In futuro, ciascuno Stato membro dovrà rivelare i nomi di coloro che ricevono Fondi strutturali e come vengono prese le decisioni al riguardo.
Pedro Guerreiro, a nome del gruppo GUE/NGL. (PT) Fin dall’inizio dei negoziati sui Fondi strutturali per il periodo 2007-2013, abbiamo posto l’accento sul fatto che una politica regionale comunitaria adeguatamente finanziata e attiva è una condizione necessaria per l’effettiva riduzione degli squilibri regionali a livello comunitario e per una convergenza autentica tra gli Stati membri.
Per quanto riguarda il bilancio comunitario, la politica regionale dev’essere uno strumento di necessaria e giusta ridistribuzione, che perlomeno riduca l’impatto negativo del mercato interno sui paesi e sulle regioni economicamente meno sviluppati. Di conseguenza dobbiamo adottare una posizione critica in merito a questo regolamento generale sui Fondi strutturali, che traduce in termini legislativi l’accordo interistituzionale sugli importi, gli obiettivi e le norme di esecuzione dei Fondi strutturali per il periodo 2007-2013. Tale accordo rappresenta una riduzione dei Fondi strutturali dallo 0,41 per cento del reddito nazionale lordo comunitario per il periodo 2000-2006 allo 0,37 per cento per il periodo 2007-2013, nonostante il fatto che l’esigenza di coesione sia quanto mai grande in seguito all’allargamento e che, viste le disparità economiche e sociali, la tendenza dovrebbe essere al rialzo anziché al ribasso. Qui sta anche la ragione per cui, ad esempio, le cosiddette regioni interessate dall’effetto statistico, come la regione dell’Algarve in Portogallo, non sono state risarcite completamente, cosa che reputiamo inaccettabile.
Obiettiamo inoltre ad aspetti quali la subordinazione della politica di coesione agli obiettivi della cosiddetta strategia di Lisbona, con l’inclusione dell’obiettivo di assegnare almeno il 60 per cento dei Fondi nelle regioni interessate dalla convergenza e il 75 per cento nelle altre regioni al finanziamento di progetti previsti dalla strategia di Lisbona. In altre parole, la coesione ha una parte secondaria rispetto alla concorrenza.
In conclusione, vorrei accordare il mio sostegno ai commenti dell’onorevole Henin circa alcune regioni transfrontaliere, come Hainaut in Francia e Belgio, che ha un accesso differenziato ai Fondi strutturali. Alla situazione occorre rimediare in modo che la regione possa crescere in modo armonico.
Mieczysław Edmund Janowski, a nome del gruppo UEN. (PL) Signor Presidente, a nome del gruppo “Unione per l’Europa delle nazioni”, vorrei esprimere la mia ammirazione per tutti i relatori. Questa maratona, onorevole Hatzidakis, ha richiesto molto impegno, ma ha portato a un compromesso ragionevole.
Il fatto che siamo riusciti a trovare un accordo politico che tenga conto della maggioranza delle riserve espresse dal Parlamento europeo, è di per sé un successo. Dobbiamo essere consapevoli che il tempo passa in fretta e che ai singoli Stati membri occorre tempo per preparare i sistemi legislativi per poter sfruttare questi finanziamenti prima dell’entrata in vigore delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013. Gli Stati membri devono coordinare tali attività con i quadri strategici di riferimento nazionali. Le risorse dell’Unione vengono usate in concomitanza con le risorse finanziarie degli stessi singoli Stati membri, nonché con le risorse finanziarie delle autorità regionali e locali. Se assumiamo questo approccio nei confronti di tali fondi, ci accorgiamo di avere a disposizione molte nuove opportunità. Alcuni paragonano tali opportunità di azioni concrete ai vantaggi che un tempo recava il Piano Marshall. Non è un’esagerazione. Tutti gli Stati membri contano su queste nuove opportunità, compresi i paesi che, non per causa propria, hanno passato molti anni nell’immobilismo, dietro la cortina di ferro. Tra questi paesi figurano la Polonia e i suoi voivodati orientali in particolare.
Ora all’Unione europea occorre una vera solidarietà interna. Le occorre coesione politica, economica, sociale e territoriale. Viviamo in regioni che hanno livelli di sviluppo e di ricchezza significativamente diversi. Vale la pena ricordare che circa il 27 per cento della popolazione dell’Unione europea, ovvero 123 milioni di persone, vive in aree in cui il PIL pro capite è inferiore ai tre quarti della media comunitaria. Senza dubbio abbiamo bisogno anche di affrontare le sfide della globalizzazione, della concorrenza, della scienza e della tecnologia, nonché di far fronte alla crisi demografica, all’invecchiamento della popolazione, all’aumento dei disabili e all’immigrazione. Dobbiamo essere certi che l’uso appropriato di tali finanziamenti contribuisca alla soluzione di alcuni di questi problemi.
In conclusione, vorrei richiamare la vostra attenzione sull’esigenza di monitorare la legislazione adottata e, se necessario, di reagire con rapidità. Nemmeno un euro va sprecato. Non bisogna lasciarsi sfuggire nemmeno un’occasione. Questo è il modo migliore di avvicinare l’Europa ai cittadini.
Vladimír Železný, a nome del gruppo IND/DEM. – (CS) Signor Presidente, il dibattito odierno rappresenta la conclusione di un processo di negoziazione durato oltre 14 mesi sulle norme generali per attingere risorse dai Fondi. Ciò che abbiamo di fronte è un compromesso ragionevole. Questo per i nuovi Stati membri comporta un minor fabbisogno di cofinanziamento, che ha reso impossibile che le risorse venissero effettivamente tratte dai Fondi. In questo modo, ad esempio, si avrà una riduzione del 15 per cento per la Repubblica ceca. Le risorse private potrebbero entrare a far parte del cofinanziamento. L’IVA non recuperabile sarà un costo ammissibile e l’assurda regola N+2 diventerà almeno per qualche tempo N+3. I progetti di edilizia sociale che hanno un rapporto diretto con l’ambiente diverranno un costo per cui si potrà attingere ai finanziamenti. Sembrano le condizioni standard che gli Stati membri fondatori della Comunità europea hanno utilizzato per decenni. Ai dieci nuovi Stati membri, tuttavia, sono state negate, forse nella speranza che fosse possibile complicare ulteriormente il già difficile processo di utilizzo delle risorse comunitarie, anche se tali risorse facevano parte della promessa espressa nei negoziati sulle condizioni di adesione.
Fortunatamente per i nuovi Stati membri, non solo il Parlamento è diviso in modo iniquo tra nuovi e vecchi Stati membri, ma anche il Consiglio, che ha incluso questo compromesso nella nuove norme. Se però lasceremo che il Consiglio sia l’unico responsabile dell’elaborazione di compromessi ragionevoli, diventeremo un’Istituzione superflua, che si limiterà a sfruttare i diritti di voto delle singole delegazioni per far passare regole che disgregheranno ancor di più l’Unione europea. Il lungo e, in seno al Parlamento, infruttuoso processo di negoziazione di 14 mesi è servito solo a dimostrare come si presenterebbero le cose in seno all’Unione se adottassimo la Costituzione europea con una decisione a maggioranza, decisione che di fatto è valida in questa sede. La maggioranza in seno al Parlamento, proveniente dagli Stati membri fondatori, imporrebbe le regole a chi è debole, piccolo, povero e nuovo. Un processo decisionale che favorisca il consenso e il veto, portando a compromessi ragionevoli in seno al Consiglio, verrebbe eliminato dall’equazione.
PRESIDENZA DELL’ON. FRIEDRICH Vicepresidente
Jana Bobošíková (NI). – (CS) Onorevoli colleghi, accolgo con favore gli emendamenti ai Fondi strutturali adottati dal Consiglio nel corso dei recenti negoziati. A differenza del Parlamento, il Consiglio ha dato prova di un grado molto più elevato di realismo e consapevolezza delle vere esigenze degli Stati membri. Sono molto lieta del fatto che il Consiglio intenda rimborsare l’IVA non recuperabile mediante il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). Analogamente, il fatto che il FESR finanzi le spese edilizie, benché su una scala limitata, mi pare una buona notizia per i cittadini. Terzo e ultimo punto, grazie ancora una volta purtroppo al Consiglio, vi è stato un cambiamento per quanto riguarda il disimpegno automatico: in altre parole, dalla vecchia e nota regola N+2 si è passati alla N+3. Gli Stati membri sono ora in una posizione molto migliore per realizzare progetti e ricevere denaro.
Onorevoli colleghi, l’unica conclusione da trarre è che il Consiglio ha dato prova di solidarietà di gran lunga maggiore rispetto al Parlamento per quanto concerne i negoziati sui Fondi strutturali. Credo fermamente che si debba sostenere la posizione del Consiglio anziché pensare a modi ingegnosi di cambiare le regole e il bilancio nel corso del processo di finanziamento.
Rolf Berend (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, signori Commissari, Presidente Manninen, onorevoli colleghi, in qualità di relatore ombra, vorrei parlare principalmente del Fondo europeo di sviluppo regionale.
In prima lettura il Parlamento europeo ha adottato un gran numero di emendamenti, modificando sensibilmente la proposta della Commissione, soprattutto nei settori del rafforzamento della dimensione urbana, dell’aumento della protezione dell’ambiente e dei beni culturali, della non discriminazione e del trattamento delle persone con disabilità, come peraltro viene per la maggior parte illustrato nella relazione Hatzidakis. E’ stata altresì accolta la possibilità di utilizzare gli aiuti dal FESR per contribuire alla costruzione di alloggi sociali.
La posizione comune, adottata all’unanimità dal Consiglio, è pertanto un compromesso soddisfacente. La maggior parte degli emendamenti adottati dal Parlamento europeo è stata accolta in toto o in parte, oppure in linea di principio. Una delle modifiche più importanti, che riflette altresì l’esito del Vertice del dicembre 2005 sulle prospettive finanziarie, dev’essere senza dubbio l’ammissibilità dell’IVA non recuperabile ove esiste un cofinanziamento privato. Per evitare disparità, e questo è uno dei successi ottenuti dal Parlamento, nel prossimo periodo tale forma di sostegno si applicherà a tutti gli Stati membri.
Pertanto il mio gruppo ritiene che, data l’urgenza, non solo il regolamento del FESR, ma l’intero pacchetto di regolamenti sui Fondi strutturali vada adottato con la massima puntualità, in modo che non vi possano essere ulteriori ritardi nella preparazione dei programmi operativi, tanto importanti per le regioni, e che i progetti regionali possano avere prontamente inizio.
Dato che il Parlamento ha riscosso grande successo nel corso dei negoziati, raccomandiamo di accogliere la posizione comune senza ulteriori emendamenti.
Alain Hutchinson (PSE). (FR) Signor Presidente, Commissario Hübner, Commissario Špidla, Presidente Manninen, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei esporre una considerazione generale: vorrei richiamare l’attenzione sullo splendido spirito che ha ispirato i lavori della commissione per lo sviluppo regionale nel corso dell’esame delle tre proposte, che oggi vengono presentate in plenaria, per la modifica dei regolamenti.
Mi pare che la natura non proprio generosa delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013 non ci abbia impedito di migliorare gli strumenti legislativi di questa riforma, essenziale per noi del gruppo socialista al Parlamento europeo, perché espressione di solidarietà tra regioni.
Il nostro lavoro ha permesso di sottolineare, come ha suggerito poc’anzi l’onorevole Beaupuy, la necessità di favorire lo sviluppo urbano sostenibile nelle nostre regioni. Sotto questo aspetto, vale la pena di porre l’accento sulla crescente concentrazione di cittadini europei nelle città. Siamo inoltre riusciti a tenere miglior conto della situazione particolare delle regioni che hanno sperimentato la dura realtà di tale statistica e che trarranno beneficio da un meccanismo di sostegno temporaneo.
Oltre alla debolezza delle fondamenta finanziarie della riforma, vorrei parlare di due fatti deludenti. Il primo è solo una mezza delusione, poiché riguarda l’ammissibilità parziale delle spese edilizie, ammissibilità per la cui introduzione ho lottato strenuamente. Questo è motivo di gaudio, ma è deplorevole che l’idoneità esista solo nei paesi che hanno aderito all’Unione europea dopo il 1° maggio 2004. Tale distinzione nazionale è a mio avviso pericolosa. E’ ingiustificabile anche perché la crisi abitativa è molto pressante anche in alcune grandi città degli altri Stati membri.
Il secondo motivo di delusione: non capisco perché vi è stata una riduzione del periodo in cui un’impresa non può trasferire la propria attività se ha beneficiato di Fondi strutturali. Tale periodo è stato fissato a sette anni dalla Commissione nella proposta iniziale e confermato dal voto dell’Assemblea e, alla luce degli ultimi eventi, in particolare i posti di lavoro persi in Europa a causa delle delocalizzazioni, vorrei invitare la Commissione a riesaminare la relazione adottata dall’Assemblea a marzo su questo tema.
Mojca Drčar Murko (ALDE). – (SL) Il regolamento concernente un gruppo europeo di cooperazione territoriale ha subito numerosi emendamenti nel corso dei dibattiti sul pacchetto legislativo sulla coesione. Comprensibilmente, si tratta di uno strumento giuridico di nuova generazione grazie al quale è possibile sostenere le iniziative di partenariato transfrontaliero che risultano limitate dalla natura diversificata delle legislazioni nazionali.
La risposta definitiva alla domanda se si tratti di un modo opportuno per stimolare la coesione geografica può venire solo dall’esperienza pratica. Essa dipenderà dalle condizioni dei singoli Stati membri. Hanno un sistema di governo centrale o federale? Sono di dimensioni grandi o piccole? Sono coinvolti in partenariati da molti anni o sono soltanto agli inizi della cooperazione transfrontaliera?
I nuovi gruppi introdotti dal regolamento con ogni probabilità verranno formati intorno ad aree di interesse comune specifico. Il loro vantaggio, rispetto ai precedenti accordi di partenariato transfrontaliero, è che alzano la posta in gioco per quanto riguarda l’attuazione della legislazione vincolante, incrementando così il grado di responsabilità degli enti di partenariato, e rendendo nel contempo più rigorosa l’area di responsabilità finanziaria per la gestione delle risorse comuni.
Abbiamo motivo di credere che le risorse finanziarie supplementari daranno un contributo significativo alla coesione territoriale dell’Unione europea.
Gisela Kallenbach (Verts/ALE). (DE) Signor Presidente, il Fondo di coesione è un modo ideale di comunicare alle persone che vi vivono uno dei principi fondamentali più importanti dell’Unione europea, quello della solidarietà tra Stati membri. Accolgo con estremo favore il fatto che tale sostegno sia stato adattato maggiormente allo sviluppo sostenibile e che il trasporto urbano sostenibile, l’efficienza energetica e l’uso di energie rinnovabili vengano considerati settori fondamentali.
Resta tuttavia il fatto a mio avviso cruciale di come tali principi vengono messi in pratica. A questo proposito mi rivolgo decisamente alla Commissione. Insieme agli attori regionali, tenteremo di capire se i settori dell’ambiente e dei trasporti interessati sono davvero equilibrati, se i progetti contravvengono ai regolamenti ambientali, se gli obiettivi di Göteborg vengono soddisfatti e se vi è autentica partecipazione e non solo un invito formale ai partner rilevanti quando vengono elaborati i programmi e i progetti.
Bairbre de Brún (GUE/NGL). – (L’oratore ha parlato in irlandese)
(EN) Accolgo con favore le relazioni Fava e Olbrycht e ringrazio tutti i relatori. Sono particolarmente lieta degli sforzi compiuti per il rafforzamento degli aspetti sociali e ambientali dei regolamenti. Nell’occuparci di tali finanziamenti, in generale ci siamo battuti strenuamente per assicurare che il ruolo delle ONG venisse rafforzato e che si tenesse maggior conto dell’ambiente, e abbiamo lottato per sottolineare l’importanza dell’accesso per le persone con disabilità.
Nell’esprimere il mio favore nei confronti della relazione Olbrycht sul gruppo transfrontaliero di cooperazione territoriale, vorrei sottolineare che quest’ultimo porterà benefici straordinari alle regioni di frontiera e ai paesi divisi come il mio. I finanziamenti strutturali devono avere una base e una direzione comunitaria, e tutti i settori della Comunità devono essere coinvolti appieno nel processo.
Nella mia circoscrizione elettorale possiamo imparare molto dal modo in cui altri paesi accordano poteri alle comunità e alle strutture democratiche locali. Attendo con ansia di monitorare il progresso dei nuovi gruppi transfrontalieri. In Irlanda, saranno particolarmente importanti nelle contee di frontiera e nella regione nordoccidentale, che hanno sperimentato privazioni, investimenti insufficienti e disoccupazione.
Presidente. Vorrei informare l’Assemblea che questa volta non ci sono state difficoltà con gli interpreti. L’onorevole de Brún ha aperto il suo intervento in irlandese. L’irlandese è ora una lingua ufficiale. Ieri il Praesidium ha deciso che in plenaria si può parlare anche in irlandese a patto che se ne dia avviso in precedenza.
Guntars Krasts (UEN). (LV) Questo è decisamente un caso in cui il lavoro di Commissione, Presidenza e Parlamento e la reciproca collaborazione possono essere valutati positivamente. Oggi vi è motivo di sperare che i timori che il protrarsi delle discussioni sul piano finanziario porterebbe a ritardi nell’attuazione dei Fondi strutturali si dimostrino privi di fondamento. Vorrei sottolineare che è particolarmente importante adottare gli orientamenti strategici comunitari sulla politica di coesione, nonché completare i lavori per gli aiuti di Stato e sulla legislazione concernente il partenariato nel settore statale e privato. Credo che il compromesso raggiunto per il Fondo di coesione e i grandi progetti del FESR durante la fase transitoria, applicando il principio N+3, sia insufficiente e vada mantenuto oltre il 2010, fino al 2013. Pertanto non condivido l’opinione espressa nella relazione parlamentare sui regolamenti relativi al Fondo di coesione, secondo la quale il principio N+2 andrebbe applicato a tutti i Fondi, compreso quello di coesione. Bisogna tenere conto del fatto che i nuovi Stati membri difettano dell’esperienza pratica e delle risorse umane per gestire tali progetti, e perciò il principio N+2 sarà arduo da attuare. Sostengo lo sviluppo di legami più stretti tra la politica di coesione e la strategia di Lisbona. Entrambe le politiche mirano a incrementare la crescita economica e la competitività occupazionale.
Graham Booth (IND/DEM). (EN) Signor Presidente, l’ultima volta che ho visto una copia stampata del bilancio dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione per il periodo 2007-2013 era a 336 miliardi di euro, con uno stanziamento preciso preventivato per ciascuno dei 25 Stati membri più gli altri due in attesa di diventarlo, Bulgaria e Romania. Dal punto di vista del Regno Unito, non era una buona lettura, e perciò ho posto alla commissione per lo sviluppo regionale la seguente domanda.
Ho studiato con attenzione il bilancio per il periodo 2007-2013, che ammonta a 336 miliardi di euro e che definisco piano A, e vedo che 139 miliardi di euro del totale vengono assegnati a otto degli ultimi nuovi Stati membri e altri 22 miliardi di euro a Bulgaria e Romania, con una magra cifra di 12 miliardi di euro assegnata al Regno Unito per tale periodo. Se il Regno Unito decidesse di ritirarsi dall’Unione europea cancellando così il proprio contributo, avete un piano B? Naturalmente è calato un silenzio di tomba, ma tale situazione è tutt’altro che impossibile.
Quando i cittadini britannici capiranno finalmente dove va tutto il loro denaro e quando la sanità in particolare sarà a corto di finanziamenti, sarà piuttosto probabile un pubblico appello al ritiro dall’UE.
Jan Tadeusz Masiel (NI). (PL) Signor Presidente, il processo di unificazione all’interno dell’Europa è lungi dall’essere completo. Alcune regioni dei nuovi Stati membri continueranno a restare indietro rispetto alla “vecchia Unione” per quanto riguarda il grado di sviluppo economico e sociale per molti anni a venire. Nel contempo, in qualità di Unione europea, dovremo affrontare le sfide della globalizzazione. Per questo motivo dobbiamo adattare con urgenza i nostri settori strategici a una realtà in cambiamento.
Accolgo con favore il fatto che il Fondo sociale europeo, come ci ha ricordato il Commissario, ponga l’accento sull’istruzione e sull’eliminazione delle disuguaglianze nell’occupazione. Ha inoltre deciso d’investire nelle risorse umane, offrendo opportunità ai disabili. I nuovi regolamenti sui Fondi che hanno sempre dato ai cittadini motivo di ottimismo dimostreranno che l’Unione può funzionare in modo efficiente, anche senza una nuova Costituzione, nel quadro dei Trattati esistenti.
Ambroise Guellec (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, per usare le stesse parole del Presidente dell’Assemblea, il dibattito potrà essere prosaico, ma è importante, perché si parla di più del 35 per cento del bilancio comunitario, e penso sarebbe valsa la pena di dedicare l’intera mattinata a tale argomento. In questo modo si sarebbe inoltre scongiurata la situazione in cui versano alcuni colleghi, che hanno solo un minuto a disposizione per affrontare una missione impossibile. Io stesso ho due minuti, e ringrazio coloro che mi hanno concesso questo tempo.
La politica regionale è essenziale per i nuovi Stati membri, come sappiamo. E’ importante anche per gli altri, ma ora è l’attuazione che conta, come il nostro relatore generale, onorevole Hatzidakis, e il Commissario hanno detto poc’anzi. Tale attuazione naturalmente deve avere luogo, ma non dev’essere necessariamente uniforme: le priorità regionali devono essere variabili quanto gli ostacoli allo sviluppo.
Tutti concordiamo con la strategia di Lisbona, ma i mezzi per farla andare a buon fine, cosa che ancora non è accaduta, certamente non possono essere uniformi su tutto il territorio. Questo vale per tutti gli Stati membri, non solo per quelli di recente adesione: l’accessibilità per le regioni periferiche e le enclave continua a essere un presupposto per la competitività e, pertanto, per permetterci di portarli a raggiungere gli obiettivi generali dell’Unione europea.
Per questo motivo una rigorosa applicazione della ripartizione degli stanziamenti, con il rischio associato di esacerbare ancor di più le disparità tra le regioni e al loro interno, a mio parere sarebbe un errore. E’ essenziale che la politica regionale sia visibile e popolare presso i nostri concittadini, al fine di evitare ulteriori delusioni quando si chiederà loro del futuro dell’Unione: in parole povere, occorre che si sentano coinvolti nel progresso dello sviluppo regionale. Abbiamo ancora molto da fare al riguardo.
Iratxe García Pérez (PSE). – (ES) Signor Presidente, l’odierno dibattito rappresenta il culmine dei lavori parlamentari in merito alla questione estremamente importante della politica di coesione, una politica che interessa più di 300 000 milioni di euro, dimostrando chiaramente che si tratta di una delle priorità del progetto europeo. Alla base di questo lavoro sono stati l’eliminazione delle differenze territoriali, il sostegno alle infrastrutture e lo sviluppo economico e sociale dei nostri popoli e regioni.
In seno al Parlamento abbiamo incluso modifiche significative nei regolamenti che attuano tale politica e che ne hanno considerevolmente migliorato i contenuti in materia di ambiente, accessibilità ai disabili e partecipazione della società civile.
Abbiamo riconosciuto le differenze tra regioni entro il territorio dell’Unione europea: regioni rurali, regioni urbane, isole, regioni ultraperiferiche, regioni in corso di spopolamento e così via. Ciascuna richiede iniziative specifiche.
Dobbiamo essere lieti dell’attuazione di un fondo tecnologico entro il quadro di FEDER, allo scopo di colmare il divario tecnologico, nonché della “eliminazione graduale” nel Fondo di coesione, al fine di avvicinarci alla convergenza, riconoscendo che, benché sia chiaro che i paesi con maggiori esigenze hanno bisogno di un trattamento privilegiato, vi sono altre regioni e Stati membri che devono progredire in tale direzione.
Si tratta di una motivazione sufficiente per sostenere senza riserve tale politica. E’ l’unico modo in cui possiamo compiere passi avanti con l’idea che più coesione vuol dire anche più Europa.
Marian Harkin (ALDE). (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei congratularmi con tutti i relatori per la devozione e l’impegno profusi. Concordo infatti con l’onorevole Hatzidakis sul fatto che tutti hanno corso una maratona.
Nel complesso, devo confessare una certa delusione per il bilancio definitivo, senza dubbio inferiore alla cifra raccomandata da Commissione e Parlamento. Credo che questo avrà conseguenze per gli obiettivi di convergenza dei finanziamenti. Per quanto riguarda i lavori del Parlamento, tuttavia, sono soddisfatta. Siamo riusciti a ottenere molte migliorie. Vorrei citare in particolare il partenariato, che è fondamentale perché comprende la società civile, i partner ambientali e le ONG che lavorano in stretta cooperazione con tutti i partner. E’ una dimostrazione pratica di come l’Europa possa essere avvicinata ai cittadini coinvolgendoli nella pianificazione e nell’attuazione dei programmi, benché concordi con l’onorevole Kallenbach sul fatto che tale partecipazione dev’essere effettiva e non apparente.
Sono inoltre particolarmente lieta che i Fondi sostengano l’accessibilità per i disabili e promuovano l’integrazione della prospettiva di genere. Si tratta di un esempio pratico di come si può tradurre in azione l’articolo 13.
Alyn Smith (Verts/ALE). (EN) Signor Presidente, con oggi si conclude un ottimo lavoro da parte del Parlamento, un ottimo lavoro da parte della Commissione e un lavoro alquanto inferiore da parte del Consiglio, soprattutto da parte di numerosi Stati membri al suo interno, tra cui, purtroppo, il mio. Assicuro ai colleghi che non mi metterò a chiedere scusa per la miope meschinità del governo del Regno Unito, poiché il mio tempo di parola è di un minuto soltanto.
Questo non è il pacchetto che volevamo, ma gli elementi positivi in esso contenuti superano quelli negativi. Occorre continuare a difendere il rafforzamento del principio di partenariato. L’effetto statistico ha un’importanza cruciale per le regioni di tutta Europa. L’accessibilità ai disabili e, punto decisivo, l’abolizione delle disparità di trattamento tra i cosiddetti “vecchi” e “nuovi” Stati membri sono tutti aspetti che vanno accolti con favore.
L’Europa non è più carbone e acciaio; non è più agricoltura e pesca: è solidarietà e coesione, è dove l’Unione europea apporta valore aggiunto allo sviluppo regionale sul proprio territorio. Il pacchetto ci fa compiere passi avanti e il mio gruppo lo sosterrà.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). (EL) Signor Presidente, la politica strutturale dell’Unione europea, così com’è applicata oggi, ottiene risultati limitati perché, fondamentalmente, è l’espressione della politica sociale del modello economico della libera concorrenza derivata dalle strategie di Lisbona e Göteborg.
L’allargamento del 2004 ha portato con sé un bisogno urgente di cambiare gli attuali criteri di concessione degli stanziamenti al fine di tenere conto dell’aumento delle discrepanze sociali ed economiche tra i 25 Stati membri. Tali discrepanze si stanno ampliando a tal punto che i criteri non si applicano più a regioni che hanno ancora i medesimi problemi strutturali.
Purtroppo la Commissione e il Consiglio non hanno compiuto alcun passo decisivo in tale direzione. Non dimentichiamo che la Commissione europea dell’Europa dei 15 si occupava principalmente di soddisfare i desideri dei vecchi Stati membri quando si trattava di assegnare gli stanziamenti e di calcolare i contributi di ciascun paese.
Le nuove proposte non tengono tuttavia conto della questione più importante, ovvero di un cambiamento di filosofia dei Fondi strutturali, che devono passare dalla loro attuale funzione ausiliaria a quella di mezzo di effettiva promozione dello sviluppo sociale ed economico, in modo tale da poter diventare veri strumenti di politica sociale e di riduzione delle disuguaglianze tra paesi e regioni.
Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). – (PL) Signor Presidente, con il mio intervento in seno al dibattito sui regolamenti per la spesa dai Fondi strutturali, vorrei richiamare la vostra attenzione su tre gravi omissioni al riguardo. Innanzi tutto gli stanziamenti per gli impegni alla sezione 1B, ovvero le spese per crescita e occupazione, sono di oltre 30 miliardi di euro inferiori a quanto proposto in precedenza. Ne conseguiranno con ogni probabilità tagli significativi alle risorse dei singoli paesi. Nel caso della Polonia, tali tagli ammontano a più di 3 miliardi di euro.
In secondo luogo, la disputa in seno al Consiglio, durata molti mesi, ha causato un grave ritardo nell’adozione delle prospettive finanziarie. Questo ha contribuito a fare in modo che si discuta dei regolamenti sui Fondi strutturali solo nel secondo semestre del 2006. In terzo luogo, a causa di tale ritardo il cosiddetto quadro di sostegno strategico comunitario non verrà elaborato fino all’autunno 2006 e i quadri strategici nazionali di riferimento, predisposti dai singoli Stati membri, verranno prodotti solo nel 2007. Tale situazione farà sì che le procedure per la programmazione delle risorse da Fondi specifici subiscano ritardi significativi. Di conseguenza, purtroppo, il 2007 sarà in larga misura un anno sprecato per quanto riguarda il fare buon uso dei Fondi strutturali.
Georgios Karatzaferis (IND/DEM). – (EL) Signor Presidente, questi pacchetti saranno tutti lettera morta se non ridurremo gli indicatori di Maastricht, che sono talmente opprimenti che è come se dessimo un bicchiere d’acqua a una persona cui abbiamo messo il cappio al collo.
Il mio paese è l’unico in Europa a essere sotto sorveglianza, con una sorta di fondo monetario. Questo significa che non possiamo cofinanziare i pacchetti per ottenerli. Non siamo riusciti ad avere un terzo del terzo pacchetto, con la conseguenza che vendiamo beni, proprietà e società per poter esistere come Stato. Né potremo ottenere denaro dal quarto pacchetto, perché siamo sottoposti a tale sorveglianza.
Riduciamo una buon volta gli indicatori di Maastricht, in modo che possiamo ricevere gli stanziamenti, e in modo che possiamo essere attivi in quanto cittadini e in quanto Stati. E’ un dono che non è un dono. In questo momento, le somme che non abbiamo ricevuto dal terzo pacchetto equivalgono a metà del denaro che il mio paese spende per istruzione e sanità.
Migliorate la nostra qualità della vita, per amor di Dio!
Peter Baco (NI). (SK) Onorevoli colleghi, oggi discutiamo e domani saremo chiamati ad approvare le impeccabili relazioni sui Fondi strutturali per il periodo 2007-2013. In questo contesto e in quanto cittadino della Slovacchia, nuovo Stato membro dell’Unione europea, comprendo la grande importanza dell’assistenza strutturale fornita dagli Stati membri economicamente forti ai nuovi Stati. Apprezziamo davvero tale assistenza alla Repubblica slovacca: ve ne siamo grati e ci sentiamo obbligati. In particolare, sono lieto che l’accordo tra Parlamento europeo e Consiglio sostenga le misure proposte dai nuovi Stati membri, altresì note come regole N+3, che affrontano questioni quali l’IVA e l’edilizia. Si tratta di una soluzione valida, necessaria da tempo, come evidenzia il fatto che tutti i deputati al Parlamento europeo provenienti dai nuovi Stati membri hanno votato per tali proposte in prima lettura in quest’Aula. Per questo motivo la relazione del gruppo Verde sulle disposizioni generali del Fondo di coesione pare un documento di cui faremmo volentieri a meno e che raccomando di non approvare.
Markus Pieper (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la politica strutturale europea ha una prospettiva sicura per il periodo 2007-2013. Finalmente! Il compromesso è stato un processo lungo e tedioso, ma i risultati sono evidenti: le regioni più deboli trarranno vantaggio dalla solidarietà europea. Nelle regioni economicamente più forti, sosteniamo la competitività regionale. Nelle regioni di frontiera l’Unione europea pone l’accento sul sostegno alla cooperazione transfrontaliera.
In tal modo l’Europa tenta di aiutare le regioni interessate ad affrontare il cambiamento strutturale e a superare l’alto tasso di disoccupazione. E’ una sfida, soprattutto dal momento che in molti paesi i tassi di crescita sono inferiori al previsto, e le risorse impiegate ammontano soltanto a pochi punti percentuali del prodotto interno lordo dei paesi destinatari.
Per questo, a maggior ragione, ora dobbiamo fare pressioni affinché il denaro europeo venga anche usato nel modo richiesto dall’Europa, non sperperato in spese per i consumi, né utilizzato per finanziare guadagni imprevisti quando arrivano le imprese, né usato a sproposito da autorità statali o semistatali a scopi diversi da quello della politica strutturale.
Per questo motivo necessitiamo di un regolamento di esecuzione per i Fondi strutturali che crei trasparenza. Tutti dobbiamo e vogliamo sapere esattamente per cosa viene usato il denaro dei contribuenti europei. Il Parlamento deve sostenere la Commissione in questa saggia iniziativa, perché la politica strutturale e regionale può andare a buon fine solo se il denaro europeo viene utilizzato in modo controllato e mirato per i problemi più urgenti.
Karin Jöns (PSE). – (DE) Signor Presidente, Commissario Špidla, Commissario Hübner, il fatto che Commissione e Consiglio abbiano accolto la maggior parte degli emendamenti del Parlamento in merito alla riforma del Fondo sociale dimostra davvero quanto abbia lavorato bene l’Assemblea. Il fatto che alla fine abbiamo anche raggiunto un buon compromesso su tutte le questioni in discussione è prova altresì dell’ottima conduzione di negoziati da parte della Presidenza austriaca del Consiglio. Tutti i 25 Stati membri possono essere decisamente e sinceramente soddisfatti dei risultati di tale riforma.
La formazione iniziale e superiore e la riqualificazione per professioni promettenti continueranno a essere sostenute in futuro. Per la prima volta, però, si sostiene la ricerca di modi migliori per conciliare vita familiare e lavorativa, poiché, come tutti sappiamo, occorre fare di più che limitarsi a offrire un numero sufficiente di asili e centri doposcuola se si vuole che le donne che lavorano siano più numerose. Occorrono nuove modalità lavorative e nuove forme di sostegno rivolte specificamente a tale scopo.
Tuttavia, occorre stabilire un legame più stretto con la strategia europea per l’occupazione, e bisogna ridurre l’esclusione sociale. Dati i 20 milioni di disoccupati e i 68 milioni di persone che vivono in povertà nell’intera Unione europea, in futuro si presterà attenzione anche all’integrazione dei gruppi socialmente svantaggiati. Lo stesso vale per i disabili e ora, in seguito alle insistenze dell’Assemblea, anche per chi richiede l’asilo politico e non solo per i rifugiati riconosciuti.
A questo punto, va detto anche che in futuro sarà senza dubbio nuovamente possibile realizzare progetti per la lotta alla xenofobia e al razzismo anche nelle istituzioni formative e sul posto di lavoro.
Una solida istruzione generale, tuttavia, è una condizione fondamentale per una buona formazione professionale, e per questo motivo il denaro del Fondo sociale ora può essere utilizzato anche per riformare i sistemi d’istruzione. E per i nuovi Stati membri è a mio avviso particolarmente importante il fatto che abbiamo incluso il rafforzamento del dialogo sociale e quindi delle parti sociali. In futuro nessuno potrà sottrarsi di soppiatto, l’esperienza parla da sé. L’accettazione è stata superiore dove le parti sociali hanno partecipato concretamente allo sviluppo dei programmi occupazionali.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Paavo Väyrynen (ALDE). – (FI) Signor Presidente, le riforme legislative relative ai Fondi strutturali hanno dato esito soddisfacente. Non è stato un compito facile, in quanto si dovevano conciliare le opinioni e gli interessi dei nuovi e dei vecchi Stati membri. D’altro canto, si doveva tenere conto delle esigenze delle regioni meridionali e settentrionali dei vecchi Stati membri.
In qualità di deputato che rappresenta il paese più settentrionale in seno alla commissione, ho tentato di assicurare in particolare che le regioni scarsamente popolate nel nord della Svezia e della Finlandia ottenessero condizioni eque. La commissione ha raggiunto una posizione a sostegno dell’idea di istituire un parallelo tra queste regioni all’estremo nord e quelle periferiche. La cooperazione tra Commissione, Consiglio e Parlamento ha permesso di trovare una soluzione sui finanziamenti che salvaguardasse la posizione delle regioni scarsamente popolate nel periodo finanziario successivo. In futuro dovremo fare in modo che tale sostegno divenga permanente come le condizioni che lo determinano.
Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, votiamo per una nuova ridistribuzione dei fondi, sulla base di raccomandazioni che i nostri relatori hanno cercato di ottimizzare, tanto più in tempi di magra per il bilancio, quanto a distribuzione delle risorse e precipue finalità.
L’allargamento significa un maggior numero di regioni meno sviluppate da sostenere e quindi meno risorse rispetto al passato per le regioni meno sviluppate dei paesi di prima adesione. E questo non può essere misconosciuto, come spesso avviene.
Nonostante il parziale accoglimento di alcune proposte, l’obiettivo di sostenere politiche regionali basate su competitività, occupazione, tutela ambientale e sostegno alle persone con minor abilità, sembra sufficientemente centrato.
Anche la rete transeuropea di trasporto resta tra le priorità di intervento. A tale proposito mi duole sottolineare che, per quanto riguarda il mio paese, non è affatto chiaro se l’attuale governo sarà in grado di accordare strumenti che suonano musiche diverse al fine di non escludere l’Italia dalla rete del trasporto transcontinentale, marginalizzandone così anche il ruolo nel Mediterraneo.
Voterò a favore perché, nonostante tutto, i fondi di sviluppo regionale, sociale e di coesione rappresentano ancora un’opportunità per il Mezzogiorno d’Italia.
Oldřich Vlasák (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli colleghi, in seguito ai lunghi mesi d’interminabili negoziati sulle prospettive finanziarie, ora abbiamo una proposta definitiva di regolamento sui Fondi strutturali. Ciononostante, bisogna ammettere che tali documenti rappresentano un compromesso emerso con grande difficoltà nonostante le opposte correnti di interessi nazionali. Pertanto vorrei congratularmi con i relatori, soprattutto gli onorevoli Hatzidakis e Olbrycht, che hanno condotto la parte più difficile della discussione, per l’impegno, la disponibilità e la capacità di tenere in considerazione gli interessi di tutte le parti coinvolte.
Personalmente ritengo che, se si vuole che s’identifichino con l’Unione europea, i cittadini devono essere informati accuratamente del contributo dei singoli Stati membri. La questione abitativa è una delle più pressanti nella gerarchia dei bisogni vitali. Se non si può offrire una sistemazione abitativa di alto livello e sicura, le persone non possono lavorare in modo adeguato. Perciò sono lieto che nel quadro dei negoziati con il Consiglio e la Commissione siamo riusciti a far passare i nostri emendamenti relativi all’ammissibilità delle spese nell’ambito delle ristrutturazioni dell’edilizia sociale. Reputo inoltre fondamentale preparare il terreno per maggiori investimenti nel settore sanitario. A questo proposito vale l’ovvia regola secondo cui solo le persone in salute possono essere attive economicamente. In qualità di ex sindaco, accolgo inoltre con favore l’enfasi posta dalla Commissione sulla dimensione urbana della politica strutturale, che nella nuova legislazione è maggiore. In definitiva, queste sono le nostre città, che hanno un’idea più precisa di quali attività e progetti vadano sostenuti per il bene dell’utente finale. Temo tuttavia che la dimensione urbana e il principio di partenariato verranno sostenuti solo sulla carta. Nel caso della Repubblica ceca, so quanto lo Stato sia riluttante a invitare le città a prendere decisioni sulla forma che assumeranno i programmi operativi – il che si applica anche alle regioni. Ritengo pertanto che sarebbe vantaggioso se la Commissione valutasse in quale misura si realizza la dimensione urbana nei singoli Stati membri.
Zita Gurmai (PSE). (HU) Il sogno di Robert Schuman e Jacques Delors si sta avverando. L’Unione europea non ha più frontiere che separino persone e nazioni e che causino conflitti, rappresentando un ostacolo al commercio, nonché al riavvicinamento politico e culturale.
I cittadini europei possono sempre di più vivere entro i confini delle regioni naturali, che non sono stati formati dalla tirannia politica e dallo spostamento delle frontiere che segue le guerre, ma in conseguenza dello sviluppo naturale e storico. Nello spirito della sussidiarietà, le regioni spesso utilizzano la cooperazione transfrontaliera per compiere le proprie attività ordinarie. Si tratta di una delle maggiori conquiste dell’Unione europea.
Con l’adesione all’Unione europea di Romania e Bulgaria nel 2007 e della Croazia in un momento successivo, tale cooperazione transfrontaliera assumerà un significato ancor più grande per l’Ungheria. Per le comunità ungheresi che vivono vicino all’Ungheria, ma al di fuori dei suoi confini, e che costituiscono una popolazione ungherese di parecchi milioni di persone che vivono in Romania, Slovacchia e altri paesi limitrofi, gli sviluppi comunitari hanno conseguenze importanti sulla trasformazione delle frontiere in confini virtuali.
La pianificazione e l’attuazione comune rafforzano il loro senso d’identità, nonché la cooperazione con i popoli con cui convivono da secoli. Contribuiscono a sfatare pregiudizi che da molto tempo causano problemi etnici e legati alle minoranze. Le regioni storiche in cui i popoli e le nazioni dell’Europa centrale convivono da secoli vengono ripristinate. La necessità economica rafforza la coesione tra le nazioni che vivono in seno alla famiglia europea comune.
La cooperazione transfrontaliera in Europa è una soluzione logica e valida per istituire una cooperazione ragionevole tra le sfaccettate organizzazioni civili, le autorità locali e gli enti governativi in varie sedi e per estendere il principio delle pari opportunità. Non posso fare altro che sostenere tali sviluppi, e sono lieta che l’Unione europea offra il proprio significativo sostegno al riguardo.
Nathalie Griesbeck (ALDE). – (FR) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli colleghi, anch’io sono soddisfatta della presentazione del pacchetto di quasi 308 miliardi di euro, che da solo rappresenta più di un quarto del bilancio comunitario complessivo.
Benché alcuni deputati al Parlamento reputino deplorevole che il Consiglio abbia respinto la riserva di prestazione, che ci avrebbe permesso di rafforzare l’effetto di leva economica, stamani possiamo dire che le relazioni presentate in plenaria sono soddisfacenti, in quanto ci permettono di andare avanti per poter essere operativi a gennaio 2007. Ora sta a noi assicurare che gli stanziamenti vengano spesi nel modo più efficace possibile. E’ altresì nostro compito promuovere i progetti che offrono il massimo valore aggiunto, e soprattutto conferire loro la massima trasparenza al fine di mostrare ai concittadini ciò che l’Europa sta facendo per loro.
Infine, per concludere, visto che i nostri interventi devono essere molto brevi, vorrei ricordarvi che, dopo il lungo conflitto per le prospettive finanziarie, ora dobbiamo vincere la battaglia delle risorse proprie dell’Unione. Se chiediamo più denaro, è perché molti di noi sono convinti che l’Europa che stiamo costruendo non sia solo un’Europa di pace e coesione in seguito all’allargamento, ma anche l’area oggi più adatta a combattere gli effetti della globalizzazione mediante la promozione non solo della crescita, ma anche dell’occupazione presso i nostri concittadini europei.
László Surján (PPE-DE). – (HU) [L’inizio del discorso è incomprensibile.] … e avendo buoni relatori, siamo riusciti a recuperare. La possibilità di varare la nuova politica regionale nel 2007 ora dipende dai governi nazionali. E’ loro compito assicurare che i piani di sviluppo nazionale siano pronti e basati sul consenso e, soprattutto nei nuovi Stati membri, compensare la mancanza di progressi che abbiamo visto negli ultimi anni. Finora non vi sono riusciti, ma possono farlo adesso.
Accolgo con favore il fatto che la serie di “regali di Natale” data ai nuovi Stati membri – all’epoca dei negoziati in seno al Consiglio al solo scopo di prendere voti – ora venga a messa a disposizione anche dell’UE a 15. Tali benefici sono ora a disposizione di tutti gli Stati membri. Sono lieto che il Parlamento abbia inoltre trovato un modo di sostenere il recupero sistematico dei quartieri abitati dai meno abbienti. Così facendo è altresì riuscito ad affrontare la situazione specifica della frettolosa ed eccessiva privatizzazione edilizia verificatasi in alcuni dei nuovi Stati membri.
Sostengo ogni sforzo volto ad assicurare la trasparenza totale. Quando si tratta di assistenza, esiste inoltre il rischio di corruzione. L’apertura è particolarmente importante in paesi controllati per decenni da un sistema monopartitico, per evitare che vi sia anche solo la parvenza di partiti di governo che continuano la prassi di gestione e di distribuzione del denaro del precedente partito unico.
Si stanno redigendo leggi valide, ma occorre una revisione intermedia dei risultati della politica di coesione. Se necessario, saremo pronti a renderla persino migliore.
Magda Kósáné Kovács (PSE). (HU) Vorrei unirmi ai miei colleghi nell’accogliere con favore la cooperazione costruttiva di Consiglio e Parlamento.
Sono lieta che nell’ambito del Fondo sociale europeo Consiglio e Parlamento non abbiano sostenuto solo efficienza e competitività a danno della creazione di posti di lavoro, ma anche l’inclusione dei gruppi vulnerabili nella società. Competitività e coesione sociale, infatti, possono essere considerate solo come obiettivi comuni, ragion per cui siamo europei. E’ così che possiamo assicurare che le divisioni non spacchino l’Europa in due in nuovi e vecchi Stati membri, come molti avevano previsto facendo in modo che le incidenze interne di povertà e mancanza di prospettive scompaiano anche all’interno dei singoli Stati membri.
Basandoci sul regolamento quadro, ora possiamo chiederci: che cosa assicurerebbe la qualità della vita europea per ogni cittadino europeo? Io stessa tenterò di contribuire alla risposta.
Antonio López-Istúriz White (PPE-DE). (ES) Signor Presidente, la proposta della Commissione e del Consiglio di cui stiamo discutendo oggi in quest’Aula in seconda lettura è il chiaro risultato del nostro impegno per l’allargamento dell’Unione europea.
Ciononostante, posso e devo esprimere la mia preoccupazione circa il fatto che le richieste presentate dalle regioni insulari dell’Unione europea affinché ne vengano riconosciuti i problemi strutturali non sono state accolte. Tali problemi nascono dalle condizioni geografiche, naturali e permanenti e dalle caratteristiche speciali delle regioni insulari, che ne rallentano lo sviluppo economico.
La dichiarazione n. 30 del Trattato di Amsterdam ha riconosciuto che gli svantaggi strutturali sofferti dalle isole vanno compensati mediante misure specifiche a favore di tali regioni, allo scopo di integrarle nel mercato interno alle stesse condizioni delle altre regioni europee, migliorandone l’accesso ai mercati continentali e creando un equilibrio territoriale, settoriale e temporale nella loro attività economica.
In questo caso, tuttavia, ancora una volta non sono state intraprese le misure specifiche necessarie per compensare gli svantaggi naturali, strutturali, geografici e permanenti sofferti da tali regioni insulari. E’ proprio la natura permanente di tali problemi a rendere necessarie misure specifiche per mitigare e ridurre le inevitabili spese supplementari che l’insularità comporta.
Per tutte queste ragioni, signor Presidente, deploro che nella stesura dei regolamenti concernenti i Fondi non si sia tenuto conto della necessità di attuare una politica di coesione più intensiva in quelle regioni che soffrono di questi svantaggi naturali, quali le isole. E’ stato fatto nel caso delle regioni ultraperiferiche, cui è stato concesso un trattamento favorevole.
Ciò che chiediamo per altre regioni insulari, benché non altrettanto distanti dall’Europa continentale, sono misure simili a quelle accordate alle regioni ultraperiferiche. Non parliamo di concedere privilegi, ma di compensare le difficoltà evidenti affrontate dalle isole.
Bernadette Bourzai (PSE). (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei lodare il duro lavoro dei relatori e dei colleghi che hanno permesso di migliorare la proposta della Commissione dal punto di vista delle prospettive di partenariato, non discriminazione e, soprattutto, equilibrio tra regioni dei vecchi e dei nuovi Stati membri.
E’ tuttavia deplorevole che le somme destinate a tale importante politica comunitaria non siano all’altezza delle nostre ambizioni.
Inoltre, mentre le politiche urbane sono state al centro di numerosi dibattiti, così non è stato per il mondo rurale, il cui futuro è ora legato al secondo pilastro della PAC, benché i suoi stanziamenti siano stati drasticamente tagliati. Dobbiamo pertanto assicurare che i Fondi strutturali siano ben compatibili sul campo con il nuovo Fondo agricolo per lo sviluppo rurale.
Reputo infine deplorevole che il Consiglio abbia deciso di destinare gli stanziamenti delle politica regionale agli obiettivi di Lisbona su larga scala, e che per di più non abbia davvero consultato il Parlamento in merito alla classificazione delle spese.
Dobbiamo restare vigili per assicurare che i programmi operativi nelle regioni siano abbastanza flessibili da tenere conto degli investimenti strutturali, che sono tuttora necessari, e della solidarietà sociale.
In conclusione, vorrei ricordarvi che, se la riforma deve senza dubbio contribuire agli obiettivi di competitività, deve soprattutto contribuire alla coesione economica, sociale e territoriale.
Francesco Musotto (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, con la decisione odierna, l’Europa ha deciso di investire in una politica di coesione ricca di prospettive, destinando 308 miliardi di euro agli obiettivi di convergenza, di coesione sociale e di promozione della coesione territoriale.
Nell’Unione europea a venticinque, 123 milioni di persone, pari al 27 per cento della popolazione totale, vivono in regioni con un PIL pro capite inferiore al 75 per cento della media comunitaria; di questi, due quinti vivono in regioni appartenenti ai vecchi Stati membri. La politica di coesione contribuisce a ripartire i benefici dello sviluppo economico europeo, anticipando il cambiamento e aiutando le aree in difficoltà, spesso per cause strutturali o geografiche. Tale politica di coesione concorre a limitare gli effetti negativi della globalizzazione.
Non si può che condividere la recente riforma dei Fondi strutturali, strumenti essenziali della politica di coesione, che introduce maggiore efficienza, trasparenza e responsabilità. E’ stato semplificato il sistema di gestione introducendo differenziazione e proporzionalità nel contesto di una sana gestione finanziaria, adeguandosi alle richieste di semplificazione provenienti dai principali attori della politica di coesione: gli Stati membri.
La nuova riforma è fondata sulle priorità di Lisbona e Göteborg: occupazione e ricerca, innovazione e sviluppo sostenibile. Si è voluto investire nel capitale umano, nell’innovazione e nella promozione della società della conoscenza, nell’imprenditorialità, nella protezione dell’ambiente, e non solo. Numerose sono infatti le novità, quale la creazione di tre nuovi obiettivi: riduzione del numero dei Fondi strutturali, rafforzamento del partenariato, maggiori risorse finanziarie per le isole e le regioni con handicap geografici e tutela delle regioni in phasing out che presto non saranno più eleggibili all’obiettivo di convergenza.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). (PL) Signor Presidente, con l’odierno dibattito culmina il lavoro di due anni sulla riforma dei Fondi strutturali. Oggi possiamo dire che, in seguito a difficili negoziati in merito alle prospettive finanziarie e all’intero pacchetto legislativo in materia di politica di coesione, abbiamo raggiunto un buon compromesso. Per il periodo 2007-2013, è stato assegnato ai Fondi strutturali quasi il 36 per cento del bilancio comunitario, che ammonta a 308 miliardi di euro. La cifra è inferiore a quanto avevamo sperato, ma offre una base per l’elaborazione di piani di sviluppo a lungo termine, cosa particolarmente importante per le regioni più povere d’Europa.
I nuovi regolamenti favoriranno il perseguimento di una politica di coesione più semplice che sia più vicina ai cittadini e che tenga conto dei problemi dei nuovi Stati membri in particolare. Tali problemi comprendono i criteri di ammissibilità dell’IVA, le questioni municipali, la creazione di pari opportunità per i disabili e l’attenzione alle loro esigenze. Creare coesione territoriale in un’Unione europea in cui esistono grandi differenze tra livelli di sviluppo non sarà un compito facile. Anche se disponiamo già di un quadro giuridico e di finanziamenti specifici, abbiamo ancora bisogno dell’impegno incondizionato dei governi nazionali e locali al fine di sfruttare al meglio l’occasione unica che abbiamo creato insieme al fine di promuovere lo sviluppo regionale nell’Unione europea. Vorrei congratularmi con tutti i relatori. Si tratta di un altro notevole passo avanti nella storia d’Europa.
Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE). (NL) Signor Presidente, la disoccupazione nell’area dell’euro potrà anche essere più bassa che mai, ma si attesta ancora sull’8,8 per cento, ed è per questo motivo che i Fondi strutturali e il Fondo sociale europeo vanno attivati per migliorare le possibilità d’impiego delle persone della nostra Europa. Sono grata per gli emendamenti apportati e ringrazio il relatore, onorevole Silva Peneda, che ha affrontato questo dibattito con notevole impegno ed energia.
Il Fondo sociale ora si concentra sulla globalizzazione e sul miglioramento delle possibilità d’impiego delle persone. Può contribuire a farle accedere al lavoro, con la prevenzione della disoccupazione, con l’estensione della vita lavorativa e con il coinvolgimento di un maggior numero di cittadini soprattutto donne e anziani nella vita lavorativa.
Gábor Harangozó (PSE). – (HU) La politica di coesione potrebbe essere simbolo di una mentalità europea, perché si fonda sulla solidarietà aperta ed estesa a tutte le regioni d’Europa, specialmente se i finanziamenti sono accompagnati da regolamenti che permettono anche alle regioni più povere d’Europa di sfruttare le opportunità di sviluppo messe a disposizione.
Due anni fa hanno aderito all’Unione europea dieci nuovi Stati membri, caratterizzati da regioni più povere delle altre. Le regioni di questi paesi hanno seguito un percorso di sviluppo diverso rispetto a quello degli Stati membri occidentali. Di conseguenza hanno anche problemi diversi che abbiamo dovuto risolvere. Grazie al lavoro svolto negli ultimi due anni, che ha compreso importanti dibattiti e battaglie, siamo riusciti a creare una legislazione flessibile ed efficace, che può anche risolvere i problemi delle nuove regioni. Abbiamo tutti i motivi di festeggiare questo accordo.
Se domani avremo la meglio nella votazione potremo delineare una prospettiva senza precedenti per ogni regione d’Europa. Potremo creare posti di lavoro, costruire strade, restaurare edifici. Di fatto, potremo iniziare a costruire una nuova Europa e avvicinare l’Europa orientale a quella occidentale non solo dal punto di vista politico, ma anche per quanto riguarda la qualità della vita dei cittadini.
Lambert van Nistelrooij (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, la politica regionale è seconda solo ai bilanci agricoli nel costituire il maggiore investimento europeo per quanto riguarda l’integrazione e il conseguimento degli obiettivi di Lisbona e Göteborg. Ad esempio, i finanziamenti pagabili nell’ambito della politica di concorrenza nelle aree dell’obiettivo 2, insieme ai bilanci di ricerca e sviluppo, formano la base dello sviluppo della politica di coesione fino al 2013, come anche, credo, in futuro.
Anche se, come abbiamo sentito oggi, la trasparenza e la produzione di risultati avranno un ruolo centrale negli anni a venire, soprattutto nel dibattito sulla revisione intermedia del 2010, ciò che i cittadini europei vogliono è che l’Europa divenga visibile e tangibile. Il piano D, dove D sta per “development”, cioè “sviluppo”, significa questo; significa ben più che limitarsi a erogare soldi dai fondi, contrariamente a quanto affermano gli Stati membri mentre, nel frattempo, incrementano i propri introiti senza alcun senso di responsabilità, e la promozione dell’Europa tarda a venire.
Ho una domanda per il Commissario Hübner: può produrre iniziative supplementari a nome dei cittadini, come hanno appena fatto regioni e città? Il pubblico e i partner della politica regionale…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Stavros Arnaoutakis (PSE). (EL) Signor Presidente, vorrei congratularmi con i relatori per l’ottimo lavoro svolto nell’arco di questo periodo. Gli strumenti di coesione e i Fondi strutturali sono ciò che avvicina l’Europa ai cittadini.
E’ particolarmente importante che il Parlamento europeo sia riuscito, grazie a lunghi e ardui negoziati, a introdurre importanti modifiche qualitative al testo dei regolamenti, modifiche che contribuiranno a migliorare la qualità della vita dei cittadini e a creare azioni e piani che non provochino divergenze, modifiche che promuovano lo sviluppo sostenibile e la democratizzazione delle procedure per applicare i finanziamenti mediante un partenariato allargato e la partecipazione dei rappresentanti della società civile.
In momenti di crisi e di scetticismo in Europa, tali risultati positivi sono importanti e tutti dobbiamo adoperarci non solo per la loro promozione, ma anche per la loro corretta applicazione.
Il nuovo periodo di programmazione è irto di difficoltà. Le risorse assegnate alla coesione sono inadeguate e le disuguaglianze in materia di sviluppo sono forti. E’ perciò molto importante disporre di procedure decentralizzate, flessibili e il più possibile prive di burocrazia che assicurino che tali risorse arrivino agli utenti finali delle regioni meno sviluppate nei vecchi e nuovi Stati membri e non vengano restituite ai paesi ricchi.
Hannes Manninen, Presidente in carica del Consiglio. (FI) Signor Presidente, vorrei ringraziare i deputati al Parlamento europeo per i contributi di vasta portata e di pregio, che dimostrano che l’Assemblea si è interessata al tema in modo approfondito e differenziato.
E’ stato apprezzabile notare che un fattore in larga misura unificante è l’idea che la politica di coesione non va attuata come un fine in sé. Lo scopo principale è piuttosto creare uguaglianza tra i cittadini a loro vantaggio e ottenere risultati concreti.
Altra questione centrale, che ho citato nel mio discorso d’apertura, è quella del partenariato e della società civile. Una terza questione degna di nota è quella che riguarda l’ambiente, lo sviluppo sostenibile e la sicurezza. Tutti questi fattori avvicineranno l’Unione europea ai cittadini in quanto strumenti per venire loro in aiuto e rappresenteranno un’occasione per consolidare i rapporti tra il pubblico e l’Unione europea.
Vorrei inoltre commentare brevemente due questioni in particolare: il riciclaggio delle risorse non spese, nonché gli obiettivi di Lisbona e i Fondi strutturali.
Per la prima volta il Consiglio ha assunto una posizione in materia di riciclaggio delle risorse non spese nel corso dei negoziati sull’accordo interistituzionale, e tale posizione era negativa. Date le ripetute richieste in tal senso da parte della commissione per lo sviluppo regionale, il paese allora di turno alla Presidenza ha sollevato ancora una volta l’argomento di discussione presso il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio. Tale Comitato all’epoca ha respinto la proposta del Parlamento europeo quasi all’unanimità. Le delegazioni si sono altresì rifiutate di rilasciare dichiarazioni al riguardo.
Secondo quanto mi è dato di capire, Parlamento e Commissione intendono pronunciare una dichiarazione congiunta al riguardo, il che mi pare un buon modo di procedere. Il Consiglio, tuttavia, non potrà accettare i contenuti della dichiarazione, in quanto in seno agli Stati membri non c’è una vera volontà di discutere del riciclaggio delle risorse non spese nel bel mezzo del periodo di programmazione.
Gli obiettivi di Lisbona di crescita, competitività e occupazione non vanno a mio avviso considerati in opposizione reciproca nell’ambito della dimensione sociale e regionale. Al contrario, gli obiettivi di Lisbona, una volta attuati correttamente, assicureranno che si prendano in considerazione aspetti regionali particolari e che anche in futuro si persegua la politica di coesione.
Delle mie opinioni al riguardo si potrà discutere con maggior dovizia di dettagli in seno all’incontro della commissione per lo sviluppo regionale di lunedì prossimo a Bruxelles, cui sarò presente. In conclusione, vorrei ringraziarvi tutti di cuore per l’alto grado di cooperazione.
(Applausi)
Danuta Hübner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, vorrei condividere con lei cinque brevi questioni.
Innanzi tutto vorrei dire che il processo che ci ha condotti a questa fase preparatoria della politica di coesione di prossima generazione dimostra con chiarezza che il metodo comunitario funziona e che le Istituzioni europee hanno le capacità per trovare il consenso necessario.
In secondo luogo, oggi vedo che abbiamo una politica per l’intero territorio dell’Unione europea, una politica adeguata alle sfide della globalizzazione, dell’allargamento, della crescente diversità, coerente con il principio di equità, adattabile a contesti regionali molto diversi e sensibile alle esigenze dei territori e delle città.
In terzo luogo, lascio il dibattito con piena coscienza delle vostre preoccupazioni: quelle legate a situazioni specifiche nelle singole regioni, quelle legate al bisogno di flessibilità in merito a vari aspetti e quelle legate ai rapporti tra l’agenda di Lisbona e la politica di coesione. Ne terremo conto sia nel corso dei negoziati per i programmi che durante il processo di attuazione.
Quarta questione, sono certa che i deputati al Parlamento europeo avranno un ruolo attivo nella promozione di tale politica nelle loro circoscrizioni elettorali, attraverso il dialogo con i cittadini e con tutti i partner. Contiamo molto su di voi.
La mia quinta considerazione riguarda il fatto che la sfida ora è quella di lavorare per una tempestiva attuazione, per rafforzare le strutture di gestione e di controllo finanziario negli Stati membri e nelle regioni al fine di condividere le esperienze e le lezioni già apprese, di sfruttare al meglio i vantaggi derivati dalle buone pratiche ed eliminare il rischio che si ripresentino determinati problemi.
Abbiamo fatto sì che tale politica contribuisse in modo determinante al piano D, e siamo disponibili a lavorare ulteriormente con voi in tal senso.
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. (CS) Onorevoli deputati, ho preso parte alla vostra discussione con interesse e accolgo con estremo favore l’enfasi riservata alla coesione sociale. Penso che in questo momento la principale priorità sia spianare la strada alla più efficace attuazione pratica della politica europea strutturale e di coesione. Dobbiamo inoltre intrattenere un dialogo quanto più aperto possibile con i cittadini e sviluppare un’idea di partenariato quanto più ampia possibile, il che in effetti è quanto si è sottolineato e caldeggiato nelle proposte. Credo che, una volta passati alla fase attuativa, entreremo nell’importante fase successiva, ossia la preparazione di altre strategie. Sono impaziente di lavorare con voi all’attuazione di tali strategie e alla ricerca di meccanismi di controllo, come pure di nuove strategie. In fin dei conti la vita non si ferma e senza dubbio sorgeranno nuove sfide.
Presidente. La discussione congiunta è chiusa.
La votazione si svolgerà tra pochi minuti.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Alessandro Battilocchio (NI). – Le regioni sono i mattoni dell’Europa, la differenza culturale e la promozione delle diverse realtà regionali sono tra le principali peculiarità dell’Unione. Sono quindi soddisfatto che più di un terzo del bilancio dell’Unione sia stato destinato ai Fondi strutturali per il nuovo periodo 2007-2013.
Sostenere l’identità regionale pur perseguendo la convergenza a livello europeo per quanto riguarda lo sviluppo ed il miglioramento delle condizioni per la crescita e l’occupazione è infatti condizione imprescindibile per raggiungere gli obbiettivi di Lisbona e promuovere l’economia soprattutto a livello locale e regionale. Sono, infatti, le piccole realtà che in Europa muovono il mercato, e l’idea di rafforzare la competitività ed il coinvolgimento a questo livello, promuovendo il partenariato tra gli attori pubblici, privati e non governativi operanti a livello territoriale, non può che favorire una ripresa dell’economia di cui beneficerebbe l’Unione nel suo contesto globale. Mi auguro che le regioni accolgano questa sfida e sappiano trasformare le indicazioni e le risorse fornite da queste istituzioni in concreti piani di sviluppo economico e sociale, puntando soprattutto sulla piena occupazione e sullo sfruttamento intelligente e sostenibile delle risorse umane, artistiche e naturali di cui dispongono in grandi quantità e qualità
Richard Corbett (PSE). (EN) I Fondi strutturali sono essenziali per assicurare che la maggiore prosperità creata dal mercato unico europeo venga distribuita in modo più uniforme e che le regioni meno ricche vengano aiutate a mettersi in pari.
La creazione di un mercato a livello europeo comporta la responsabilità europea di assicurare che tutte le regioni ne traggano vantaggio.
La mia circoscrizione elettorale dello Yorkshire e Humber ha tratto enorme beneficio dai Fondi strutturali europei. Lo Yorkshire meridionale si trovava al massimo livello: obiettivo 1. Anche gran parte del resto della regione ne ha tratto vantaggio. Quest’anno, tra non molto, accoglieremo nella regione il Commissario Hübner, che vedrà alcuni dei notevoli progetti finanziati.
Benché l’adesione dei nuovi Stati membri abbia comportato una risistemazione di tali finanziamenti, sono lieto che il nuovo pacchetto concordato per i prossimi sette anni preveda la prosecuzione dei finanziamenti per lo Yorkshire e Humber a un livello consistente, benché ridotto.
Bogdan Golik (PSE). (PL) Vorrei accordare il mio sostegno alla proposta della Commissione per l’istituzione di uno strumento giuridico comunitario quale il gruppo europeo di cooperazione territoriale. Sostengo senza riserve l’iniziativa. Nasce dalla necessità di migliorare le soluzioni attuali e di superare le difficoltà della cooperazione territoriale causate dai diversi sistemi giuridici e dalle diverse procedure.
E’ mia convinzione che questa nuova iniziativa renderà più semplice e più efficiente la cooperazione transfrontaliera, interregionale e internazionale. L’obiettivo del Trattato di ottenere maggiore coesione sociale ed economica ha assunto un’importanza particolare dopo il 1° maggio 2004, quando l’Unione europea ha dato il benvenuto a 10 nuovi Stati membri, tra cui la Polonia. Le regioni più povere dell’Unione si trovano precisamente all’interno di questi nuovi Stati membri. Non possiamo tuttavia considerarle da un punto di vista puramente economico. Dobbiamo vedere il patrimonio culturale di tali regioni e quanto hanno da offrire ai partner della cooperazione. I problemi giuridici e amministrativi non devono impedire il progresso e vanno risolti in modo più efficace di quanto non si sia fatto finora.
Mi auguro che il regolamento sull’istituzione di un gruppo europeo di cooperazione territoriale, che rappresenta quasi due anni di lavoro legislativo, nonché la posizione comune elaborata dal Consiglio e le ottime relazioni prodotte dall’onorevole Olbrycht e adottate dal Parlamento europeo ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo e di creare un modello di integrazione europea basato su solidarietà e armonia.
Margie Sudre (PPE-DE). (FR) Il Consiglio europeo del dicembre 2005 ha gettato le basi della programmazione dei Fondi strutturali fino al 2013. Il pacchetto dedicato ai quattro dipartimenti francesi d’oltremare è stato mantenuto allo stesso livello del periodo 2000-2006, grazie a una somma di 2,83 miliardi di euro.
Vorrei porre l’accento su questa cifra quasi completamente costante, dovuta all’idoneità dei dipartimenti francesi d’oltremare per l’obiettivo di convergenza e alla loro condizione di regioni ultraperiferiche, in un momento in cui tutte le regioni della Francia continentale e molte regioni dell’Unione europea hanno purtroppo visto una notevole riduzione degli aiuti.
Francia, Spagna e Portogallo sono riusciti a ottenere un’assegnazione specifica creata per tenere conto dei costi supplementari associati agli svantaggi delle regioni ultraperiferiche. Reputo deplorevole la mancanza di visibilità di questa nuova misura nel regolamento generale.
Mi rivolgo alla Commissione europea affinché dimostri una certa flessibilità nell’attuazione di tali aiuti, le cui procedure sono contenute nel regolamento del FESR, poiché tali costi operativi supplementari non si prestano facilmente a una quantificazione aritmetica.
I dipartimenti d’oltremare danno ottimi risultati per quanto riguarda la gestione degli aiuti strutturali europei, in quanto utilizzano i finanziamenti loro concessi regolarmente e bene. E’ loro compito continuare a fare buon uso di tali finanziamenti.
PRESIDENZA DELL’ON. MAURO Vicepresidente
6. Turno di votazioni
Presidente. L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.
(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)
6.1. Richiesta di consultazione del Comitato economico e sociale europeo - Impatto e conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell'Unione europea (articolo 117 del regolamento) (votazione)
6.2. Richiesta di consultazione del Comitato delle regioni - Impatto e conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell'Unione europea (articolo 118 del regolamento) (votazione)
6.3. Criminalità organizzata transnazionale (traffico illecito di migranti) (votazione)
6.4. Criminalità organizzata transnazionale (tratta delle persone) (votazione)
6.5. Applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus (votazione)
6.6. Pile, accumulatori e rifiuti di pile e accumulatori (votazione)
6.7. Fondo sociale europeo (votazione)
6.8. Fondo europeo di sviluppo regionale (votazione)
6.9. Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT) (votazione)
6.10. Notificazione e comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale (votazione)
6.11. FESR, FSE, Fondo di coesione (disposizioni generali) (votazione)
6.12. Istituzione del Fondo di coesione (votazione)
6.13. Cabotaggio e servizi internazionali di tramp (votazione)
6.14. Sistema delle risorse proprie delle CE (votazione)
6.15. Crisi finanziaria della compagnia di assicurazione “Equitable Life” (votazione)
Prima della votazione sul considerando G
Diana Wallis (ALDE), relatore. – (EN) Signor Presidente, si tratta solo di un piccolo emendamento volto a eliminare un errore presente nel testo del considerando G. Vogliamo semplicemente sostituire all’espressione “autorità di regolamentazione” la parola “impresa”; in questo modo, la formulazione del considerando sarebbe ora la seguente: “considerando che i problemi trattati dalla commissione d’inchiesta sono d’interesse generale e vanno oltre le singole preoccupazioni dei cittadini europei direttamente interessati, in particolare per quanto riguarda il corretto funzionamento del mercato interno per i prodotti assicurativi, la corretta trasposizione del diritto comunitario e l’adeguatezza dei meccanismi di risarcimento a disposizione dei cittadini, soprattutto nell’ambito di operazioni transfrontaliere, in cui l’impresa interessata è sotto il controllo del paese di origine”.
(L’emendamento orale é accolto)
6.16. Consolidamento dell’industria dei servizi finanziari (votazione)
Prima della votazione sull’emendamento n. 8
Joseph Muscat (PSE), relatore. – (MT) Dopo le parole “sollecita la costituzione” viene inserita l’espressione “entro la fine del 2006, di un comitato di saggi”. Dopo questa aggiunta, la frase prosegue senza variazioni: “e riferire, entro sei mesi dalla costituzione del comitato”. Questo emendamento viene presentato dopo essere stato sottoposto anche ai gabinetti ombra.
(L’emendamento orale è accolto)
6.17. Ultimi sviluppi e prospettive del diritto societario (votazione)
6.18. Ridurre l’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici (votazione)
Prima della votazione sull’emendamento n. 2
Caroline Lucas (Verts/ALE), relatore. – (EN) Signor Presidente, vorrei semplicemente inserire in questo emendamento le parole “nel contesto della politica strutturale e di coesione”, espressione che dovrebbe essere presente sulla vostra lista di voto. Sostanzialmente conveniamo sui problemi cui devono far fronte i territori isolati, ma riteniamo che si potrebbe affrontare meglio la situazione ricorrendo a politiche strutturali e di coesione e, pertanto, desidero presentare questo emendamento orale.
(L’emendamento orale non è accolto)
Prima della votazione sull’emendamento n. 1
Caroline Lucas (Verts/ALE), relatore. – (EN) Signor Presidente, cercherò di fare meglio con questo emendamento orale. Vorrei eliminare l’avverbio “eventualmente”. Attualmente nell’emendamento figurerebbe l’espressione “includendo eventualmente le emissioni di NOx”, ma vorrei eliminare l’avverbio “eventualmente”. Il gruppo GUE/NGL, che ha presentato l’emendamento, è favorevole a questa modifica.
(L’emendamento orale non è accolto)
Prima della votazione finale
Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE). – (NL) Signor Presidente, sono estremamente favorevole a estendere al più presto il sistema di scambio di emissioni dell’UE al settore del trasporto aereo, ma non posso sostenere la versione finale di questa risoluzione poiché alcuni dei suoi paragrafi fanno riferimento alla parità di trattamento da riservare alle varie modalità di trasporto e all’introduzione di una tassa sul kerosene. Chiedo dunque di non comparire più come relatrice per parere per questa risoluzione.
Chris Davies (ALDE). – (EN) Signor Presidente, vorrei semplicemente chiarire che non tutto il gruppo ALDE condivide questa presa di posizione.
(Applausi)
Presidente. Ciò conclude il turno di votazioni.
7. Dichiarazioni di voto
– Relazione Cavada (A6-215/2006)
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, alla luce delle vere e proprie ondate migratorie, l’immigrazione clandestina in Europa e la criminalità ad essa associata rappresentano un problema sempre più pressante. L’unico modo per salvare questi immigranti da una miserabile morte durante il viaggio o da una conclusione della loro esistenza nell’UE in condizioni di schiavitù è quello di portare avanti campagne di informazione nei loro paesi di origine e di applicare rigidamente la politica di rimpatrio. E’ questo ciò che attualmente si richiede, come si evince dalla relazione Cavada.
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, è necessario adottare azioni decisive contro il traffico di esseri umani. I trafficanti di uomini guadagnano quanto quelli di droga. L’unione Europea ha adottato diverse misure per combattere tale traffico, ma non basta. Per questo sono lieto che l’Unione europea stia attualmente conducendo delle trattative con le Nazioni Unite ed abbia firmato un protocollo aggiuntivo per garantire che in futuro si possano intraprendere azioni congiunte anche con altri paesi al di fuori dell’Unione europea per combattere il traffico di esseri umani.
Per questo motivo ho dato il mio appoggio alla firma da parte dell’Unione europea del protocollo aggiuntivo, in quanto costituisce un’ulteriore arma nella lotta al traffico di esseri umani e quindi anche contro la criminalità organizzata.
– Relazione Cavada (A6-214/2006)
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, il mio intervento riguarda la seconda area tematica, quella relativa alla tratta di esseri umani. Anche in questo caso l’Unione europea ha firmato un protocollo aggiuntivo sulla tratta degli esseri umani, che è un altro tra i crimini più gravi del nostro tempo e genera ricavi per milioni a spese dei singoli.
Malgrado l’Unione europea abbia adottato opportune misure, essa non può risolvere il problema da sola ed è per questo che deve cercare la cooperazione di altri paesi al di fuori dell’Unione. Il protocollo delle Nazioni Unite ci fornisce un nuovo strumento di diritto internazionale grazie al quale tutti gli Stati interessati dal problema potranno adottare misure più appropriate di quelle finora introdotte a supporto della loro lotta contro la tratta degli esseri umani. In questo modo stiamo da un lato adottando un atto umanitario mentre dall’altro lato portiamo avanti la lotta al crimine internazionale organizzato con un nuovo strumento estremamente efficace.
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La tratta di esseri umani ha raggiunto dimensioni allarmanti. Si calcola che circa 700 000 persone nel mondo siano vittime di questo crimine ogni anno.
Si tratta di un fenomeno transnazionale che necessita di una risposta unitaria da parte della comunità internazionale, coordinata da tutti gli attori coinvolti. E’ necessaria una cooperazione più efficace nella lotta alla criminalità organizzata mediante, ad esempio, l’armonizzazione delle definizioni dei singoli reati all’interno dei sistemi giuridici nazionali, l’assistenza giudiziaria reciproca e attività investigative comuni.
La comunità internazionale ha compiuto un grosso passo avanti con l’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata, ratificata da 121 paesi, oltre alla Comunità europea, ed è il primo strumento globale giuridicamente vincolante per combattere le reti criminali.
Accolgo favorevolmente il fatto che il Portogallo sia uno di quei paesi e mi auguro che anche gli altri sette Stati membri che ancora non hanno ratificato la Convenzione lo facciano il più presto possibile.
Approvo la conclusione del citato protocollo, che prevede misure rigorose per combattere la tratta degli esseri umani, soprattutto donne e bambini, proteggendo queste persone dalla schiavitù, dallo sfruttamento sessuale e dal lavoro clandestino. Il protocollo offre alle vittime anche assistenza legale e materiale e prevede inoltre misure per il loro recupero psico-fisico.
Véronique Mathieu (PPE-DE), per iscritto. – (FR) La tratta di esseri umani riguarda più di 800 000 persone ogni anno. Questo “commercio”, legato alla criminalità organizzata, è redditizio quanto quello internazionale di armi e di droga. Scopo della tratta di esseri umani è lo sfruttamento economico o sessuale e si tratta quindi di una moderna forma di schiavitù che non tiene in alcuna considerazione i più elementari diritti alla dignità umana. Combattere un simile flagello non è facile perché le reti dei trafficanti sono spesso internazionali e traggono vantaggio dalle disparità tra le diverse leggi nazionali e dalle lacune del sistema di coordinamento.
Ho votato a favore della proposta del Consiglio sulla conclusione di due protocolli aggiuntivi alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata perché contribuiscono a rafforzare le procedure di coordinamento e di armonizzazione.
Tuttavia, anche se sono stati fatti dei progressi per quanto riguarda la prevenzione e il perseguimento dei trafficanti, rimane essenziale garantire alle vittime una migliore tutela. Lo status di vittima e i relativi diritti devono essere meglio riconosciuti e applicati; dobbiamo proporre sistematicamente delle misure atte a fornire sostegno legale, materiale e psicologico concedendo permessi di soggiorno temporanei o fornendo assistenza nel rimpatrio. Le vittime che hanno il coraggio di denunciare i loro trafficanti meritano una particolare tutela in quanto vivono nel costante timore di rappresaglie.
Gérard Deprez (ALDE), per iscritto. – (FR) Ogni anno circa 800 000 tonnellate di batterie per auto, 190 000 tonnellate di batterie industriali e 160 000 tonnellate di pile portatili vengono immesse sul mercato nell’Unione. Queste pile contengono metalli pesanti – mercurio, piombo, cadmio – che sono nocivi per l’ambiente e per la salute umana.
Nonostante ciò, finora soltanto sei Stati membri hanno istituito un sistema nazionale di raccolta finalizzato al riciclaggio delle pile usate. Tra questi sei il Belgio è il primo della classe: il suo tasso di raccolta sfiora il 60 per cento!
Sono favorevole alla direttiva che ci accingiamo a votare e che mira per l’appunto a organizzare entro il 2008 un sistema di questo genere in tutta l’Unione.
Alcune tra le misure proposte meritano in particolare il nostro appoggio: il divieto generale di commercializzare pile e accumulatori contenenti una quota eccessiva di metalli pesanti; gli obiettivi espressi in cifre per quanto riguarda la raccolta e il riciclaggio; l’obbligo di indicare la durata effettiva sull’etichetta per informare i consumatori; il sostegno alla ricerca al fine di mettere a punto batterie maggiormente compatibili con l’ambiente e nuove tecniche di riciclaggio.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Poiché nel 2002 quasi la metà di tutte le pile portatili vendute nell’Europa dei Quindici è stata smaltita mediante inceneritori o nelle discariche, la relazione costituisce un importante contributo alla legislazione in materia ambientale.
Le questioni principali sollevate nella relazione riguardano le principali misure per la riduzione degli effetti nocivi delle pile ridotte allo stato di rifiuti.
La relazione impone agli Stati membri di garantire che i produttori progettino i dispositivi elettrici in modo tale da consentire una facile rimozione delle pile e degli accumulatori, una volta esauriti, e che tali dispositivi siano corredati di istruzioni contenenti le informazioni per i consumatori. Ora i produttori dovranno finanziare qualsiasi costo netto generato dalla raccolta, dal trattamento e dal riciclaggio di pile e accumulatori una volta allo stato di rifiuti, a prescindere dal momento in cui essi sono stati commercializzati. L’indicazione della capacità sull’etichetta di tutte le pile e gli accumulatori portatili e automobilistici deve essere introdotta entro 12 mesi a decorrere dalla data di recepimento della direttiva.
Concordo che la relazione debba promuovere la ricerca al fine di rendere le batterie meno nocive per l’ambiente e stimolare lo sviluppo di nuove tecnologie di riciclaggio e che vada stabilito un obiettivo pari al 50 per cento per il riciclaggio delle pile non nocive.
Jeffrey Titford (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Dalle profondità più inaccessibili dell’East Anglia i bravi cittadini chiedono forse a gran voce una direttiva che renda obbligatorio il riciclaggio delle pile? No. Presumo che la stragrande maggioranza della gente non ci abbia ancora pensato e, quand’anche venisse a conoscenza di quest’ultima arcizelante legge comunitaria, butterà le pile scariche delle proprie radio a transistor nel secchio dell’immondizia.
Nel preambolo di questa direttiva si afferma che “è desiderabile armonizzare le misure nazionali in materia di pile e accumulatori”. Chi ha deciso che questo fosse “desiderabile”? E’ decisamente bizzarro usare quest’espressione in un simile contesto. Può essere desiderabile una donna, ma non credo che possa esserlo un’altra stupida serie di norme per armonizzare la nostra legislazione in materia di pile e accumulatori.
Comunque, questa normativa fa gravare sul produttore tutto l’onere finanziario di introdurre questi nuovi impianti di riciclaggio e smaltimento. Non c’è dubbio che in un mondo normale, ovvero in un mondo senza l’Unione europea, quando uno compra un prodotto diventa responsabile del suo smaltimento sicuro. Il principio in base al quale “il produttore deve pagare lo smaltimento” fa parte della mentalità dell’Unione.
E’ ora di smetterla di inventare nuovi sistemi per aumentare il costo della produzione di qualsiasi cosa. Le aziende non potranno permettersi il lusso di sostenere questi costi aggiuntivi.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La relazione odierna adotta la posizione comune del Consiglio del 12 giugno 2006 in merito al Fondo sociale europeo per il periodo 2007-2013. Vorrei specificare che in questa posizione ci sono alcuni aspetti positivi, quantunque insufficienti, e altri che non approviamo.
Tra gli aspetti positivi desideriamo sottolineare l’inclusione sociale e la parità di genere. Tuttavia la posizione comune lascia a desiderare relativamente alla promozione della qualità del lavoro e alla necessità di un contributo più consistente per ridurre il divario salariale e le disuguaglianze sociali con l’obiettivo di una vera coesione socioeconomica.
Si tratta di una posizione che riduce ulteriormente l’ambito di applicazione alle politiche strettamente legate alle raccomandazioni e agli orientamenti che attengono alla strategia europea per l’occupazione e alla strategia di Lisbona che, come sappiamo, hanno contributo ad accentuare le disuguaglianze e a promuovere la deregulation del mercato del lavoro.
Spetta agli Stati membri definire le loro priorità e i settori da finanziare; in altre parole, c’è un margine di manovra che gli Stati membri possono utilizzare adeguatamente.
Da qui la nostra astensione.
Thomas Mann (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Silva Peneda. Tre quarti degli emendamenti proposti dalla nostra commissione per l’occupazione e gli affari sociali sono stati approvati dal Consiglio, con maggioranza qualificata, e successivamente dalla Commissione. La Presidenza austriaca ha svolto un ruolo fondamentale nel conseguimento del compromesso; ancora una volta il suo buon operato ha dato buoni frutti. Ha infuso vita al concetto di “flexicurity”, lavorando al contempo per rendere flessibili i mercati del lavoro, difendendo la sicurezza sociale e ottenendo l’approvazione tanto degli occupati che delle persone colpite dalla disoccupazione.
Il Fondo sociale europeo contribuisce alla coesione socioeconomica ed è compatibile con la nuova strategia di Lisbona. Favorisce le opportunità occupazionali tramite l’istituzione di partenariati locali e imprese per la creazione di posti di lavoro, in particolare nelle zone deboli a livello strutturale. Aiuta a combattere la disoccupazione giovanile e di lunga durata, a rimediare alla scarsità di manodopera qualificata e a ridurre l’emarginazione e la discriminazione sociale.
Apprezzo i segnali di disponibilità a un maggior coinvolgimento delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori nella progettazione e nella realizzazione di progetti. Il Fondo sociale europeo deve diventare un garante di qualità che integri i programmi nazionali anziché soppiantarli; fornisce un contributo importante al superamento delle sfide costituite dalla globalizzazione e dai cambiamenti demografici e avvia la riforma urgente delle politiche socioeconomiche degli Stati membri.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Sia nel corso dell’ultimo periodo di programmazione che nell’attuale Unione allargata è emersa l’importanza sempre maggiore di tutelare l’ambiente, garantendo al tempo stesso la crescita economica, migliorando l’accesso delle persone disabili a strutture finanziate con fondi pubblici, assicurando la parità di trattamento ed eliminando qualunque tipo di discriminazione.
Nella relazione si è prestata particolare attenzione affinché un numero maggiore di regioni svantaggiate e sottosviluppate possano colmare il divario con le regioni più evolute. Inoltre la competitività regionale e l’occupazione restano un elemento centrale della politica regionale e una parte consistente delle risorse disponibili sarà destinata a tali priorità.
Il Parlamento ha collaborato nell’ambito dei negoziati con la Presidenza e con la Commissione europea, e uno dei risultati positivi più importanti che ha ottenuto è stato il consistente incremento delle risorse finanziarie destinate alla coesione territoriale, un obiettivo importante nel contesto dell’allargamento.
Il Parlamento ha avuto successo non solo per quanto riguarda i punti summenzionati, ma ha fatto sentire la sua voce anche nel settore del partenariato. Ai sensi delle disposizioni generali, è auspicabile un maggiore coinvolgimento della società civile e delle ONG. La Commissione renderà una dichiarazione sull’abuso dei Fondi strutturali perpetrato dalla criminalità organizzata.
Brigitte Douay (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della raccomandazione Hatzidakis in materia di disposizioni generali sui Fondi strutturali e sono soddisfatta di vedere che la nuova generazione di programmi potrà prendere il via all’inizio del 2007, cosa essenziale per la continuità delle attività negli Stati membri.
Tuttavia trovo increscioso che, in seguito all’accordo sulle prospettive finanziarie, le somme stanziate per la politica strutturale per il periodo 2007-2013 siano inferiori rispetto alle richieste iniziali del Parlamento e della Commissione.
Quanto ai regolamenti, più specificamente, il Parlamento può essere orgoglioso perché molte delle sue richieste sono state accolte dal Consiglio, in particolare quella di tenere maggiormente conto delle persone disabili e dello sviluppo sostenibile.
I nuovi regolamenti ci consentiranno di perseguire la politica di coesione dell’Unione europea che mira allo sviluppo dei territori più poveri e all’aumento di competitività di tutta l’Unione.
Emanuel Jardim Fernandes (PSE), per iscritto. – (PT) L’approvazione odierna del pacchetto legislativo sulla coesione, soprattutto della proposta di regolamento recante disposizioni generali sui Fondi strutturali, costituisce un fattore della massima importanza negli Stati membri e nelle regioni dell’Unione che possono concludere la definizione dei quadri di riferimento nazionali e dei programmi operativi, nonché cominciare a impiegare i Fondi europei a partire dal gennaio 2007.
In seguito ai proficui negoziati con il Consiglio, il testo della proposta di regolamento accoglie quasi tutti i punti principiali che il Parlamento aveva segnalato nella sua relazione provvisoria adottata nel 2005.
Purtroppo non è stata stanziata la somma inizialmente proposta dalla Commissione, somma che aveva il totale appoggio del Parlamento, per finanziare in particolare l’integrazione delle regioni ultraperiferiche nel mercato interno e porre rimedio alle loro difficoltà specifiche.
Oltre al finanziamento aggiuntivo per le regioni ultraperiferiche è stato previsto un massimale di cofinanziamento pari all’85 per cento delle spese ammissibili.
Soprattutto, nel corso della fase di introduzione graduale del nuovo obiettivo “Competitività regionale e occupazione” sono stati siglati accordi speciali transitori – e più vantaggiosi – per la regione autonoma di Madera.
Pertanto voterò a favore della raccomandazione.
Jean-Claude Fruteau (PSE), per iscritto. – (FR) Benché mi dispiaccia che lo scorso 17 maggio il Parlamento abbia approvato le prossime prospettive finanziarie 2007-2013, ora dobbiamo farci una ragione delle esigue somme che ne risultano se vogliamo definire il ruolo e determinare il peso dei Fondi strutturali per gli anni a venire.
Ciò considerato, mi rallegro per la chiarezza con cui la politica regionale europea è stata ora formulata, incentrata com’è su tre nuovi obiettivi che sono più coerenti e più facili da identificare.
Mi compiaccio inoltre che i notevoli ribassi nel livello dei fondi di cui l’Unione europea dispone attualmente non diano luogo a conseguenze catastrofiche per le regioni ultraperiferiche, i cui handicap specifici, nonché il ritardo di sviluppo, fanno sì che per loro sia d’importanza cruciale ricevere l’assistenza fornita dagli strumenti comunitari progettati per promuovere la solidarietà.
Così le regioni ultraperiferiche continueranno ad avere i requisiti necessari per beneficiare di tale assistenza relativamente all’obiettivo “Convergenza, competitività e cooperazione territoriale” (ex obiettivo n. 1). Lo stanziamento specifico supplementare di 35 euro per abitante ci permetterà inoltre di venire incontro, in parte, alle loro esigenze. Infine, l’obiettivo “Cooperazione territoriale europea” permetterà alle regioni ultraperiferiche di proseguire il lavoro già svolto per lo sviluppo di sinergie con gli Stati vicini dell’Oceano Indiano e dei Caraibi.
Per tutti questi motivi ho votato a favore della relazione Hatzidakis.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La posizione comune adottata oggi definisce l’accordo interistituzionale che dà corpo al quadro finanziario per il periodo 2007-2013, in cui i Fondi strutturali subiscono una riduzione di 28 miliardi di euro rispetto alla proposta della Commissione, una riduzione dallo 0,41 per cento delle risorse derivanti dal RNL, come definite nel quadro finanziario corrente, allo 0,37 per cento. Ciò pregiudicherà un’effettiva coesione socioeconomica, la convergenza reale e l’effetto di ridistribuzione del bilancio comunitario.
C’è stato un cambiamento importante degli obiettivi dei Fondi strutturali, in virtù del quale si dà risalto alla competitività e agli interessi delle imprese, in linea con l’agenda neoliberista di Lisbona, e la coesione ne fa le spese. Gli obiettivi chiave dei Fondi sono quindi i partenariati pubblico-privato, la mercificazione della conoscenza e della ricerca, nonché la flessibilità e la mobilità dei lavoratori.
Si mantiene la regola n+2 e, almeno da parte del Consiglio, non c’è garanzia che le risorse tagliate e non spese dei Fondi strutturali continuino a essere utilizzate esclusivamente in quest’ambito.
Inoltre vorrei sottolineare che le concessioni fatte in sede di Consiglio nel dicembre 2005 sui criteri di eleggibilità per i paesi beneficiari del Fondo di coesione in cambio del taglio delle risorse ora possono essere estese agli Stati membri rimanenti.
Pertanto abbiamo votato contro.
Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Sono tre le ragioni per cui l’aumento dei Fondi strutturali che, fra il 2007 e il 2013, rappresenteranno il 35,7 per cento del bilancio dell’Unione, pari a 307,9 miliardi di euro, costituisce una mistificazione per la Francia.
Sebbene più del 16 per cento delle entrate di bilancio di Bruxelles provenga dai contribuenti francesi, la quota di spese regionali europee destinata alla Francia continua a diminuire, scendendo dal 10 per cento del 1994 a meno dell’8 per cento di oggi. Perciò i distretti dell’Hainaut francese, benché colpiti da una disoccupazione massiccia, non hanno più diritto ai Fondi strutturali previsti dall’obiettivo 1.
Per di più, l’aumento della quota assegnata al bilancio regionale avviene a spese della politica agricola comune, di cui la Francia è ancora il paese beneficiario principale.
La politica regionale europea è soprattutto una mistificazione economica. In Francia i Fondi strutturali vengono destinati principalmente alle regioni industriali in declino e alla riconversione delle aree rurali, ovvero alle vittime della politica di Bruxelles, politica che ha gravi responsabilità per avere rovinato la nostra agricoltura e distrutto interi settori della nostra industria.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Non ho votato – ossia mi sono astenuto – sulla relazione Hatzidakis quale emendata, perché nel testo in esame, fondamentalmente, il Parlamento si allontana dalle sue posizioni iniziali su tutte le questioni più importanti e avalla la posizione comune del Consiglio, che immiserisce le politiche sociali e regionali di coesione.
In altre parole:
– le risorse disponibili sono state ridotte dallo 0,41 per cento per il periodo 2000-2006 allo 0,37 per cento per il periodo 2007-2013; le risorse sono diminuite di 28 miliardi di euro rispetto alla proposta iniziale della Commissione, che, secondo il Parlamento, era il finanziamento minimo occorrente per sostenere la coesione e l’ambiente;
– viene abbandonata la posizione del Parlamento sullo storno degli stanziamenti persi a causa della rigida applicazione della regola n+2 per la politica regionale; in tal modo gli stanziamenti persi, che si prevedono elevati, torneranno ai bilanci nazionali degli Stati membri più ricchi, a spese delle regioni e degli Stati più poveri;
– accetta un sostegno finanziario palesemente più debole, sia per le 16 regioni che saranno vittime della cosiddetta “convergenza statistica” – tra cui figurano tre regioni greche (Attica, Macedonia centrale e Macedonia occidentale) – che per le 12 regioni “soggette a convergenza naturale” che comprendono due regioni greche (Eterea Ellada e l’Egeo meridionale);
– approva l’estensione della regola n+2 ai progetti del Fondo di coesione, il che comporterà difficoltà e perdite supplementari.
(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163 del Regolamento)
Carl Schlyter (Verts/ALE), per iscritto. – (SV) Questi finanziamenti devono andare solo alle zone più povere d’Europa. Allo stato attuale i fondi andranno a regioni relativamente prospere. Questo è inaccettabile.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La decisione quadro sui Fondi strutturali viene usata dall’Unione e dai governi di centrodestra e di centrosinistra per conseguire più rapidamente gli obiettivi inclusi nell’antiproletaria strategia di Lisbona, per incrementare la competitività e la remuneratività del capitale. Tale tendenza viene favorita dalle ristrutturazioni di stampo capitalista e dagli attacchi al salario e ai diritti sociali dei lavoratori.
Le risorse dei Fondi strutturali vengono convogliate in settori che interessano la remuneratività del capitale e, allo stesso tempo, si concedono “briciole” per “disinnescare” l’indignazione del proletariato e tenere sotto controllo il movimento della classe proletaria e operaia.
Mentre nell’Unione stanno peggiorando le disuguaglianze sociali e regionali, il peso dei Fondi strutturali nel bilancio comunitario per il periodo 2007-2013 viene ridotto dallo 0,41 allo 0,37 per cento. Nello stesso tempo ci si avvale dell’allargamento dell’Unione e delle statistiche urbane per fare a meno di finanziare le aree che hanno gravi problemi economici ed enormi carenze infrastrutturali.
Il gruppo del partito comunista greco al Parlamento europeo voterà contro la decisione quadro.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) In base alla posizione comune del Consiglio sul nuovo regolamento del Fondo di coesione, come nel caso del quadro finanziario precedente, il Fondo resta vincolato al soddisfacimento del Patto di stabilità e di crescita e ai criteri di convergenza nominale di Maastricht. In altre parole, un paese beneficiario del Fondo di coesione con un livello di sviluppo economico inferiore è doppiamente penalizzato: trovandosi in uno stato di crisi, non soddisferà i criteri del Patto di stabilità e di crescita e correrà anche il rischio di vedersi togliere le risorse del Fondo di coesione. Questo equivale a un ricatto ed è inaccettabile.
Rifiutiamo altresì categoricamente l’estensione della regola n+2 (n+3) al Fondo di coesione, considerando la specificità e gli obiettivi propri di questo fondo. Va ricordato che questa regola, imposta dalla Germania nel precedente quadro finanziario 2000-2006 per i restanti Fondi strutturali, comporta un taglio delle risorse non impiegate entro due anni (tre anni), andando chiaramente contro l’obiettivo dei Fondi strutturali. Questa nuova condizione può avere un impatto anche più grave del Fondo di coesione, se si considera il finanziamento di grandi progetti, causando difficoltà maggiori di esecuzione e di sovvenzionamento.
James Nicholson (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Oggi in Aula si è svolto il dibattito sui Fondi strutturali e di coesione e sulla cooperazione transfrontaliera. Per quanto riguarda quest’ultima, l’abbiamo sperimentata per parecchi anni nell’Irlanda del Nord e ha funzionato, ma negli ultimi tempi non più. L’Irish Central Border Area Network (ICBAN), uno degli organismi di finanziamento di più lunga data, è scompensato a causa della sua composizione. Attualmente fanno parte del consiglio dell’ICBAN venti membri, di cui tre soltanto di estrazione unionista. L’organismo non è più equilibrato e si sta comportando in modo discriminatorio nei riguardi della comunità unionista. Non ha più l’appoggio degli unionisti del territorio ed ha la responsabilità di spendere 25 milioni di euro nei prossimi anni. Si tratta di una situazione inaccettabile cui bisogna porre fine. Nel caso in cui questa discriminazione continuasse, i fondi dell’ICBAN dovrebbero essere congelati fino a quando non verrà ristabilita una completa imparzialità.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Abbiamo votato a favore delle due relazioni che hanno per obiettivo la riforma della politica strutturale dell’Unione. Il lavoro attualmente in corso per riformare questa politica rappresenta un passo importante nella giusta direzione.
In genere, tuttavia, noi propugniamo una posizione più restrittiva sull’assistenza comunitaria regionale. Non siamo favorevoli all’utilizzo dei contributi regionali per finanziare l’edilizia abitativa o le attività turistiche, né all’approccio alla ricerca che è stato proposto, in quanto allargherebbe a svariate sedi di studio una singola area di ricerca anziché concentrarla su un numero minore di siti.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) A nome del gruppo Verts/ALE ho dato il mio appoggio agli emendamenti volti all’adozione di orientamenti sulla concorrenza leale, sulle norme sociali e sulla tutela ambientale per i servizi di trasporto con navi da carico. Questi emendamenti chiedevano inoltre di tenere particolarmente conto della situazione specifica dei piccoli e medi armatori.
Purtroppo tali emendamenti sono stati respinti. Ne è scaturita una relazione che, nel complesso, va contro le proposte della Commissione volte ad abbattere i cartelli nel trasporto marittimo. Pertanto ho votato contro la relazione finale perché ritengo che, sotto molti aspetti, la proposta originaria della Commissione fosse più adeguata per ridurre i costi del trasporto marittimo senza compromettere l’affidabilità dei servizi.
Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) Il trasporto marittimo rappresenta circa il 45 per cento del commercio estero comunitario in termini di valore e quasi il 75 per cento in termini di volume. L’applicazione delle norme generali di diritto della concorrenza ai settori del servizio di trasporto internazionale con navi da carico non regolari e del cabotaggio non rappresenta in realtà alcun problema, perché le sue attività sono già deregolamentate e funzionano in base a una concorrenza leale.
Solo la soppressione dell’esenzione dalle norme di concorrenza concessa nel 1986 a favore delle conferenze marittime ha realmente costituito l’oggetto di aspre discussioni fra tutti gli operatori del settore. Credo che le soluzioni proposte dalla mia relazione e da quella dell’onorevole Wortmann-Kool siano a questo riguardo perfettamente equilibrate e rispettino gli interessi in gioco.
In effetti oggi non esiste alcuna prova che il settore delle conferenze marittime abbia bisogno di essere protetto dalla concorrenza per erogare i propri servizi.
Inoltre, al fine di preservare la certezza giuridica del settore marittimo, è parso necessario stabilire orientamenti che permettano agli operatori di adeguarsi al nuovo quadro regolamentare e di agevolare una transizione morbida verso un regime concorrenziale. Se tutte le precauzioni prese dal Parlamento in questo frangente verranno rispettate, non c’è dubbio che il trasporto marittimo se ne avvantaggerà.
Hynek Fajmon (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei spiegare perché ho votato contro la relazione Lamassoure sul sistema comunitario delle risorse proprie. Ho votato così assieme agli altri deputati al Parlamento del Partito democratico civile ceco (ODS). Sono fermamente convinto che la riforma del sistema comunitario delle risorse proprie concordata dal Consiglio e dalla Commissione sia un compromesso decoroso che il Parlamento non avrebbe dovuto far naufragare. Al contrario, il Parlamento sarebbe stato più avveduto se avesse dato il suo sostegno a un progresso di simile portata. Soprattutto apprezziamo il fatto che non verrà introdotta nessuna tassa europea nel futuro immediato. Parlando in generale, il sistema in vigore funziona e garantisce l’appropriato finanziamento dell’Unione. Pertanto non c’è alcun motivo concreto per sbarazzarsene e sostituirlo con un sistema nuovo. Di conseguenza non posso accettare la posizione critica della relazione Lamassoure.
James Hugh Allister (NI), per iscritto. – (EN) Anche tenendo conto della compensazione britannica, si prevede che l’Unione nel 2006 costerà al Regno Unito 4 298 milioni di sterline. Considerando che il costo netto è stato ogni anno di questa entità, è sconcertante la quantità delle risorse nazionali che abbiamo buttato nel buco nero dell’Europa. E per cosa? Pensate agli autentici cambiamenti infrastrutturali che si sarebbero potuti apportare con quest’ingente somma di denaro se, dal 1973, fosse stata spesa all’interno del Regno Unito per venire incontro alle sue reali esigenze.
Benché adesso ci siano 25 Stati membri, il Regno Unito contribuirà quest’anno per un ottavo – il 12,4 per cento – delle entrate complessive di bilancio, pari a 83 miliardi di sterline, necessarie per finanziarie l’Unione nel 2006. Non c’è da stupirsi se la marea di euroscetticismo continua a montare. In un’epoca di forti pressioni sul servizio sanitario nazionale e sul fondamentale settore dell’istruzione è pazzesco sprecare tutti questi soldi dei contribuenti per un’unione politica non riuscita. Ora che il Primo Ministro Blair ha acconsentito a rinunciare gradualmente alla compensazione britannica e che il costo effettivo dell’allargamento si accumula, la situazione potrà solo peggiorare.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione del collega, onorevole Lamassoure, sulla proposta di decisione del Consiglio europeo relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee. Per avanzare nella costruzione di un’Unione europea politica, ci serve urgentemente una riforma del suo quadro di bilancio. Il laborioso conseguimento di un accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013 da parte del Consiglio nel dicembre 2006 e le proposte della Commissione non rendono trasparente il finanziamento della Comunità, dal momento che si ha l’impressione che ci stiamo allontanando ancora di più dal principio di equità di bilancio, che è la base attuale sui cui si fondano i contributi versati dagli Stati membri per il funzionamento dell’Unione. Il dibattito riguardante le risorse proprie, con la prospettiva di un’Europa federale sullo sfondo, sarà probabilmente una delle questioni politiche più spinose da affrontare in futuro. Nondimeno, nell’immediato e di fronte ai disavanzi attuali delle finanze europee e di quelle dei principali Stati membri contribuenti netti, mi chiedo se non sia giunto il momento di istituire un grande prestito europeo d’investimento per finanziare tutte le grandi infrastrutture – spazio, autostrade, rete ferroviaria ad alta velocità, tecnologie di comunicazione, porti, aeroporti e via dicendo – necessarie per lo sviluppo economico e per il progresso sociale.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Oggi abbiamo votato contro la relazione dell’onorevole Lamassoure riguardante una decisione del Consiglio sulle risorse proprie delle Comunità europee. Se è importante che si crei per l’Unione un procedimento di bilancio più efficiente e trasparente, rifiutiamo qualunque progetto di imposizione di tributi da parte dell’Unione in materie come l’energia, IVA o il reddito delle società.
Lena Ek (ALDE), per iscritto. – (SV) Ho deciso di astenermi dal voto in merito alla relazione sulla proposta di decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee.
Considerato che i problemi e le opportunità sono sempre più di carattere transfrontaliero, l’Unione sta diventando un forum sempre più importante per risolvere questi problemi e sfruttare al meglio queste opportunità. Sperando che il processo per una migliore legislazione possa chiarire una moltitudine di questioni che, a mio avviso, andrebbero trattate a livello nazionale – anzi, perché non anche a livello regionale? – mi rendo conto che per la maggioranza delle aree che sono così importanti per i cittadini europei occorre un approccio comune.
Le questioni in esame sono, tra le altre, l’ambiente, la ricerca, lo sviluppo e l’energia, settori in cui possiamo creare condizioni più favorevoli con più posti di lavoro e crescita a lungo termine. In linea di principio, pertanto, sono a favore di un nuovo sistema di finanziamento della Comunità. D’altra parte, non credo che i contributi attuali degli Stati membri – che costituiscono più un riflesso della capacità di negoziare le compensazioni che non delle esigenze indicate dagli Stati membri in seno all’Unione – vadano sostituiti da una nuova forma di risorse proprie basate sull’energia, sull’IVA e sul reddito delle società, come ha proposto la Commissione. Non sarebbe un sistema più equo. Nondimeno, sono favorevole a gran parte della relazione che stiamo votando. Ovviamente cose come la semplificazione e una maggiore trasparenza incontrano il mio gradimento.
Jean-Claude Fruteau (PSE), per iscritto. – (FR) Oltre all’accordo politico sulle prospettive finanziarie 2007-2013, i negoziati che hanno avuto luogo nel corso delle riunioni del Consiglio del 15 e del 16 dicembre 2005 hanno confermato la necessità di cambiare il sistema delle risorse proprie.
Mentre l’integrazione europea sembra essersi bloccata – soprattutto per via della tendenza al ripiego verso egoismi nazionali e di uno scollamento tra i popoli e le Istituzioni comunitarie – il carattere tutt’altro che trasparente di queste trattative e la volontà di ciascuno Stato membro di concepire la questione del bilancio solo dal punto di vista del proprio interesse particolare hanno messo in luce l’urgente necessità di dotarci di un sistema di risorse proprie chiaro e inequivocabile che liberi il più possibile l’Unione delle attuali contingenze nazionali in materia di bilancio.
E’ essenziale che il Parlamento europeo, rappresentando le nazioni, prenda parte a questo processo. La relazione Lamassoure, oggi sottoposta a votazione, è parte integrante di questo processo e le sue conclusioni – che collimano con gran parte delle preoccupazioni espresse sopra – vanno nella direzione giusta, dal momento che hanno lo scopo di delineare un’Europa padrona delle proprie risorse finanziarie e più vicina alla gente.
Pertanto, anche se avrei voluto che fosse già possibile menzionare un’imposta europea sulle società come nuova risorsa propria dell’Unione, ho votato a favore della relazione.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La relazione Lamassoure verte fondamentalmente sulla situazione che si sta determinando nell’Unione, la quale dispone di risorse proprie accessibili che collimano con le sue aspirazioni e non dipendono dai contributi degli Stati membri. Inoltre essa riguarda il fatto atteggiamento che l’Unione ovviamente manterrà tale comportamento da oggi fino al 2008, senza attendere la scadenza della programmazione pluriennale del bilancio. Da tutto questo si può dedurre che il Parlamento vuole un’imposta europea, e in fretta.
A che gioco giochiamo? Si tratta di un vero e proprio attacco alla democrazia dove le regole del gioco appena stabilite per i prossimi sei anni verranno cambiate nel termine di un biennio appena, proprio dopo gli avvicendamenti al governo attesi in svariati Stati membri, segnatamente dove i popoli hanno bocciato la Costituzione. E’ in atto un palese tentativo di creare uno Stato senza dirlo, perché un’organizzazione che ha il potere di imporre tributi è in effetti uno Stato, che può essere privo di una Costituzione e di legittimità, ma è comunque uno Stato, dotato, come gli Stati membri, del potere di mettere i contribuenti sotto pressione.
L’Unione ha avuto risorse veramente proprie e coerenti con i suoi poteri in materia commerciale, ovvero i dazi doganali. E’ da quando è stata fondata che sta cercando di distruggerli. Dunque dovrebbe ripristinarli; farebbe una cosa sensata, aumentando le sue risorse e proteggendo le economie europee dalla concorrenza sleale.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Per quanto riguarda il sistema delle risorse proprie per il periodo 2007-2013, il Consiglio ha optato per il mantenimento dell’assegno britannico (fatta eccezione per le spese di allargamento) e per l’estensione di privilegi analoghi agli altri contribuenti netti – la Germania, l’Austria, i Paesi Bassi e la Svezia – mediante riduzioni dell’IVA e dei contributi diretti RNL e l’aumento della ritenuta sulle risorse proprie tradizionali, oltre agli “assegni” nell’ambito dei Fondi strutturali e dello sviluppo rurale.
Queste riduzioni saranno pagate dagli altri Stati membri, compresi quelli beneficiari del Fondo di coesione, che così saranno doppiamente penalizzati: pagheranno più contributi per il bilancio comunitario e vedranno ridursi i Fondi strutturali e di coesione.
Questa situazione è ingiusta e inaccettabile ed è sufficiente già di per sé a giustificare il nostro voto contrario.
Detto questo, c’è chi insiste nel propugnare un nuovo sistema di risorse proprie basato su imposte europee, cosa che rifiutiamo.
Riteniamo che un sistema equo di risorse proprie debba basarsi sul reddito nazionale lordo e sulla prosperità relativa di ciascuno Stato membro, in modo che lo sforzo contributivo per il bilancio sia di entità simile per tutti i cittadini nell’ambito dell’Unione. Questo, insieme alla spesa, comporterebbe la solidarietà e la ridistribuzione, tenendo conto dell’obiettivo della convergenza effettiva e della coesione socioeconomica.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Mi sono astenuto dal voto sulla relazione Lamassoure sulle risorse proprie, anche se il testo comprendeva molte buone idee per migliorare il sistema attuale. Non potevo concordare col relatore per quanto riguarda la correzione a favore del Regno Unito. Resto dell’idea che essa sia giustificata dal sistema attuale e che vadano realizzate riforme più ampie prima di apportare qualsiasi altra modifica alla compensazione britannica.
Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Considerando che il bilancio degli Stati Uniti, per un anno solo, è pari a 2 500 miliardi di dollari, è ovviamente insostenibile per l’Unione Europea disporre per ogni anno dal 2007 al 2013 di un bilancio inferiore a 1 000 miliardi di euro.
Per il primo periodo, per fissare un margine di manovra senza aumentare il proprio bilancio, la Commissione sta abolendo gradualmente la politica agricola comune e i piccoli coltivatori per recuperare il grosso dei 45 miliardi spesi annualmente per il bilancio agricolo. Da qui la posizione inverosimile assunta dai negoziatori europei che, alla riunione dell’Organizzazione mondiale del commercio del 30 giugno 2006, hanno accettato dietro le quinte una riduzione dei nostri diritti doganali pari al 50 per cento, lasciando così il monopolio alimentare al Brasile. Ma il problema di fondo rimane inalterato. Come tutti sanno, a partire dal 2014, l’Europa Bruxelles-centrica sarà condannata ad aumentare il proprio bilancio e a creare un’imposta europea.
Dietro alle operazioni di facciata, il dibattito sulle risorse proprie della relazione Lamassoure solleva la questione politica che si trascina dal 1951 e che riguarda, passando dal mercato unico e poi dalla moneta unica, l’effettiva definizione di uno Stato politico. Ciò che l’euro non ha fatto e che la Commissione non è riuscita a fare perché i popoli si sono accorti di quello che stava accadendo, tra il 2014 e il 2019 lo farà l’imposizione fiscale. I contribuenti sono avvertiti.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Il dibattito sul bilancio comunitario si è finora incentrato esclusivamente sul costante aumento del bilancio e sulla ricerca di nuove fonti di entrata. Invece di invocare automaticamente un’imposta europea, dobbiamo riesaminare severamente la struttura delle spese. Miliardi di euro del nostro bilancio comune continuano a sparire in canali dubbi o vengono buttati ai quattro venti senza costrutto.
Per questo motivo, per prima cosa, ci occorre un sistema di assoluta eccellenza contro le frodi; in secondo luogo, dobbiamo porre un freno alle spese di amministrazione, per esempio abbandonando una delle sedi parlamentari e valutando le spese in base ai costi effettivamente sostenuti; in terzo luogo, possiamo risparmiare miliardi evitando di imporre allargamenti ai nostri riluttanti cittadini.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Alla luce della relazione molto tecnica del mio collega, l’onorevole Lamassoure, sulle risorse proprie dell’Unione, mi sembra essenziale prestare attenzione all’idea proposta qualche anno fa dal Belgio e da Guy Verhofstadt: dotare l’Unione di una vera e propria autonomia finanziaria attraverso l’introduzione di quella che è stata chiamata imposta europea.
Un’imposta aggiuntiva? Certamente no. Semplicemente, anziché pagare alla propria nazione ciò che si deve all’Europa, gli europei possono finanziare l’Unione direttamente, nello stesso modo in cui gli americani finanziano lo Stato federale. Per il singolo europeo, dunque, si tratta di un piano che non avrebbe affatto una grande rilevanza da un punto di vista finanziario, ma sarebbe gravido di significati perché così tutti diverrebbero consci della fetta dei propri contributi destinata all’integrazione europea. Per inciso, faccio notare che l’Europa costa 26 centesimi di euro al giorno a ciascun europeo.
Benché il piano sia ben accolto da alcuni Stati membri, Austria e Lussemburgo in particolare, altri rimangono inquieti nei confronti di uno strumento che pure è destinato ad avvicinare l’Europa ai suoi cittadini. Questo piano ci permetterebbe anche di lasciarci alle spalle il dibattito sterile fra Stati contribuenti netti e Stati beneficiari netti. Allora l’Europa avrebbe senz’ombra di dubbio le risorse in armonia con le proprie ambizioni.
José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’attuale metodo di finanziamento del bilancio comunitario è divenuto obsoleto e negli ultimi anni le sue manchevolezze sono venute alla luce.
Gli ultimi dibattiti sul bilancio si sono trasformati in un esercizio umiliante in cui finiamo per discutere chi sia o non sia di volta in volta un contribuente netto. Il sistema attuale, con le sue tante eccezioni e deroghe, è diventato complesso e opaco.
In tale contesto l’Unione necessita di una riforma urgente del suo sistema di finanziamento.
Pertanto mi compiaccio che il Parlamento sia riuscito a inserire nei negoziati delle ultime prospettive finanziarie 2007-2013 una revisione intermedia prevista per il 2008/2009, offrendo un’opportunità unica per valutare a fondo il sistema delle risorse proprie.
Come l’onorevole Lamassoure ha affermato nella sua relazione, sono a favore di un sistema di finanziamento del bilancio comunitario trasparente, giusto ed equo, che doti l’Unione di un quadro finanziario compatibile con le sue priorità attuali e con le sue legittime ambizioni.
Il principio guida di qualsiasi riforma futura dovrà essere l’autonomia finanziaria dell’Unione relativamente ai trasferimenti attuali degli Stati membri, nonché il consolidamento del carattere europeo del bilancio. Ciò eviterà che i prossimi dibattiti si trasformino nuovamente in un campo di battaglia per gli interessi nazionali degli Stati membri.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Le cinque maggiori multinazionali non finanziarie tra le prime sette dal 1990 avevano, nel 2003, utili per circa 1 280 miliardi di dollari, vale a dire oltre il 3 per cento del PIL mondiale. La maggiore multinazionale finanziaria, la Citibank, deteneva da sola lo stesso attivo, il che dimostra il potere esercitato dal settore finanziario nell’economia reale.
Quando si parla di consolidamento del settore dei servizi finanziari, si mira proprio a consolidare il mercato interno dei servizi finanziari e a integrare i mercati finanziari, al fine di abbattere le barriere tuttora esistenti alla libera circolazione dei capitali e favorire le fusioni e le acquisizioni di imprese, in settori come quello bancario, affinché possano competere nel mercato globalizzato.
Siamo contrari a questa tendenza espressa nella risoluzione in esame, una tendenza di cui l’euro è uno strumento e i cui obiettivi sono fissati nel piano d’azione per i servizi finanziari.
La progressiva finanziarizzazione dell’economia reale non solo ha portato a ingenti perdite di posti di lavoro, ma ha anche contribuito a trasformare l’economia reale in un’economia parassitaria sviando l’investimento produttivo e a provocare crisi finanziarie e conseguentemente economiche, soprattutto a causa della grande volatilità dei mercati finanziari e delle bolle speculative che provocano. Quest’economia da casinò ha solo aumentato i profitti delle grandi imprese di intermediazione, soprattutto nel settore bancario.
Malcolm Harbour (PPE-DE), per iscritto. – (EN) La delegazione dei conservatori britannici si è astenuta dal voto finale sulla relazione. Approviamo molte delle proposte contenute nella relazione Szejna sugli sviluppi e le prospettive in materia di diritto societario, in particolare la necessità di applicare i principi di una migliore regolamentazione e di tenere conto delle esigenze delle PMI e l’importanza di elaborare le migliori prassi nel rispetto delle diverse tradizioni e dei diversi sistemi degli Stati membri. Inoltre appoggiamo molte delle specifiche proposte per il miglioramento della trasparenza e i diritti delle parti interessate.
Tuttavia ci sono alcune proposte che non possiamo sostenere, perché introdurrebbero altre normative comunitarie in settori in cui non ci sarebbero comprovati benefici per l’evoluzione di un mercato interno funzionante dei servizi finanziari. Inoltre sottoscriviamo i vantaggi che comporta per le aziende il fatto di coinvolgere i propri dipendenti nei processi decisionali sul posto di lavoro, ma rifiutiamo l’imposizione di qualsiasi modello di partecipazione giuridicamente regolamentata uguale per tutti. Pertanto abbiamo votato contro il paragrafo n. 3 e il considerando F.
Ivo Strejček (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, desidero spiegare le ragioni del mio voto sulla relazione Lucas, voto che, come quello degli altri deputati al Parlamento europeo del Partito democratico civile ceco (ODS), è stato contrario. Negli ultimi 40 anni il trasporto aereo ha conosciuto una rapida evoluzione, cosa che ha comportato un abbattimento di oltre il 40 per cento delle emissioni e dei rumori. Non è scientificamente provato che ci occorra il tipo di regolamentazione eccessiva proposta nella relazione Lucas. Un aumento delle imposte sul carburante ridurrà la competitività dei vettori aerei europei e farà lievitare i prezzi per l’utente finale. Indebolendo la competitività del trasporto aereo si ostacolerà ulteriormente l’Unione sullo scenario mondiale. Si tratta solo di un’altra dimostrazione del fatto che attualmente le questioni ambientali vanno di moda, ed è per questo che abbiamo votato contro.
Robert Evans (PSE). – (EN) Signor Presidente, ho votato la relazione Lucas a sostegno delle misure intese a ridurre l’impatto sui cambiamenti climatici. E’ fondamentale che tutti i settori facciano la loro parte, compreso quello dell’industria aeronautica.
Tuttavia dobbiamo assicurare che le misure da noi proposte siano sensate e funzionali. Il semplice aumento delle imposte non basterà da solo a ridurre le emissioni né l’industria aeronautica può scambiare le quote di emissione con se stessa: deve farlo con altri settori.
I viaggi in aereo sono ovviamente aumentati anno dopo anno perché non sono più peculiari esclusivamente delle classi medie e dei ricchi. Per esempio, nel solo Regno Unito, 30 milioni di persone – vale a dire metà della popolazione – fanno un viaggio in aereo almeno una volta all’anno e tutte hanno apprezzato le iniziative europee che incoraggiavano le compagnie aeree a basso costo e obbligavano quelle maggiori a ridurre le loro tariffe. Perciò il pubblico europeo non approva l’obiettivo, comune ad alcuni colleghi del Parlamento, di dichiarare illegali le compagnie aeree a basso costo o di costringerle a cessare l’attività.
Questo stesso pubblico, tuttavia, è preoccupato per i cambiamenti climatici. Vuole un sistema fiscale equo e ragionevole e misure che siano prese in cooperazione tra il governo e l’industria. Tutte queste misure vanno considerate in relazione alle necessità e alle richieste di questi consumatori, in modo da assicurare che la questione ambientale sia al primo posto dell’agenda.
Liam Aylward (UEN), per iscritto. – (EN) Apprezzo la comunicazione della Commissione del settembre 2005, che comincia a occuparsi dei metodi più efficaci per contrastare l’aumento delle emissioni di gas a effetto serra che, a livello internazionale, è stato del 73 per cento dal 1990 al 2003.
L’estensione del sistema europeo di scambio delle quote di emissione (ETS) al settore aeronautico può costituire la soluzione migliore per limitare queste emissioni e assicurare che quello aeronautico, come tutti gli altri settori, contribuisca a ridurre i gas nocivi a effetto serra.
La questione più importante che si pone è l’esame dell’efficacia degli elementi tecnici di progettazione affinché tale politica possa esprimere tutto il suo potenziale in termini di efficacia ambientale ed economica, prestando anche particolare attenzione alla situazione dell’Irlanda e di altri territori isolati – capitali e aree regionali – che dipendono particolarmente dai servizi di trasporto aereo.
Inoltre, l’impatto sui prezzi e la concessione dei diritti di emissione vanno ulteriormente esaminati. Considerata la situazione geografica dell’Irlanda, l’aviazione è un elemento critico delle nostre infrastrutture e i servizi di trasporto aereo sono di vitale importanza per ragioni socioeconomiche. Di conseguenza s’impone un mercato competitivo fra operatori nel settore del trasporto aereo per la competitività economica dell’Irlanda.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Noi conservatori svedesi vorremmo che il trasporto aereo fosse incluso nel sistema europeo di scambio delle quote di emissione. Sarebbe una soluzione efficace ed equa per internalizzare i costi ambientali provocati dal trasporto aereo, in linea col principio “chi inquina paga”.
Deploriamo che il governo svedese abbia deciso di applicare un accordo speciale per le tasse sui voli in Svezia. E’ una scelta che comporta la distorsione della concorrenza e indebolisce la competitività svedese, mentre per l’ambiente comporta solo vantaggi scarsi o assenti del tutto, se comparati a quelli che ha prodotto l’introduzione dello scambio delle quote di emissione per il settore aereo.
Il fatto che la relazione sostenga l’introduzione di un sistema separato di scambio delle quote di emissione implica che noi conservatori svedesi non possiamo dare il nostro appoggio. Un sistema separato significa che rischiamo di conseguire una riduzione complessivamente inferiore delle emissioni di gas a effetto serra e, per di più, a costi molto più elevati del necessario. Noi conservatori svedesi riteniamo che lo scambio delle quote di emissione debba essere introdotto, ma ciò va fatto nel modo giusto.
Il drastico calo del costo dei voli in Europa costituisce un’evoluzione fondamentalmente positiva che ha portato prosperità, libertà di circolazione e interazione tra i popoli. Deploriamo che il relatore e la maggioranza in questo Parlamento sembrino essere di opinione contraria e, pertanto, non appoggiamo le richieste, contenute nella relazione, di effettuare ulteriori e svariati aumenti di tasse relativamente al trasporto aereo.
Robert Evans, Mary Honeyball e Linda McAvan (PSE), per iscritto. – (EN) I deputati laburisti al Parlamento europeo sottoscrivono in pieno i provvedimenti per contrastare l’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici. Sosteniamo il principio dell’inclusione delle emissioni del settore aereo nel sistema di scambio delle quote (ETS) e chiediamo alla Commissione di avanzare proposte praticabili. Ci siamo astenuti per quanto riguarda alcuni paragrafi della relazione che erano contraddittori o le cui implicazioni non erano state pienamente valutate o calcolate.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Voterò a favore della relazione sulla riduzione dell’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici. Il trasporto aereo è una delle fonti di gas a effetto serra in più rapida crescita.
Nel sollevare quest’importante questione sono quasi completamente d’accordo con la relatrice. Tuttavia, alcune delle sue proposte – per esempio l’introduzione immediata della tassazione del kerosene agendo sull’IVA o di tutti i voli intracomunitari, o ancora l’istituzione di un sistema separato di scambio di quote di emissione per il trasporto aereo – non sono state quantificate in termini di costi e non ne è stato valutato l’impatto.
I problemi dovuti alla perifericità della mia regione nel sudovest dell’Inghilterra implicano ugualmente la necessità di dedicare particolare attenzione alle sue aree più isolate, come la Cornovaglia e le Isole di Scilly. Nel caso di Gibilterra, l’atteggiamento delle autorità spagnole ha creato una situazione particolarmente complessa di isolamento sia geografico che politico. Pertanto mi aspetto che la Commissione si avvalga della relazione per avanzare proposte di azioni che siano realizzabili e siano state quantificate in termini di costi.
Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Sì, il trasporto aereo è uno degli elementi del cambiamento climatico. Benché, nel corso degli ultimi quarant’anni, il carburante per aerei sia diventato sempre più efficiente, nello stesso tempo il consumo complessivo di carburante è aumentato a causa della grande espansione del traffico aereo. Occorre evitare che si crei una situazione in cui le emissioni del settore aereo diventino un fattore fra quelli che, a lungo termine, contribuiscono in maggior misura al cambiamento climatico.
Non esiste una soluzione tecnica rapida. Ecco perché è indispensabile insistere simultaneamente sia sull’integrazione dell’impatto del settore aereo sul sistema comunitario di scambio dei diritti di emissione che sulla ricerca, migliorando la gestione del traffico aereo e introducendo l’imposta energetica.
Tuttavia, questa nuova sortita nei confronti del cambiamento climatico non va intrapresa a qualunque prezzo.
Il sistema da attuare non deve penalizzare le compagnie aeree europee sul mercato mondiale e sarà bene evitare anche qualsiasi concorrenza sleale con altri tipi di trasporti.
Le scelte che la Commissione opererà prossimamente nella sua proposta legislativa sono dunque di capitale importanza, e le diverse opzioni andranno valutate molto attentamente.
Esorto la Commissione a proporre soluzioni razionali, sia in termini economici che in termini ambientali. Deve evitare a ogni costo di istituire un sistema nocivo in cui il peso della burocrazia escluda il settore aereo europeo dalla competizione nel mercato internazionale.
Caroline Jackson e Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I conservatori britannici hanno votato a favore della relazione perché riconosciamo l’impatto sui cambiamenti climatici delle emissioni del settore aereo, che rappresentano circa il 4 per cento delle emissioni di carbonio nell’Unione, mentre il traffico aereo è destinato a raddoppiare entro il 2020 rispetto al 2003.
Siamo favorevoli all’inclusione delle emissioni del trasporto aereo in un sistema di scambio delle quote, aggiungendo tali emissioni nel sistema attuale o magari nell’ambito di un sistema più ristretto. Ciò permetterebbe alle linee aeree di cooperare con le autorità nazionali e comunitarie nell’applicazione di norme che soddisfino l’obiettivo di raggiungere gli standard ambientali più elevati possibili senza penalizzare eccessivamente i viaggiatori della Comunità e, se tali norme avessero effetto sia per i voli all’interno dell’Unione che per quelli verso l’esterno dell’Unione, gli operatori sosterrebbero costi non maggiori di quelli dei loro concorrenti non comunitari. Qualunque sistema comunitario finirebbe per funzionare meglio se facesse parte di una strategia globale.
Non siamo favorevoli all’introduzione di una tassa sul kerosene, né all’inclusione del settore del trasporto aereo nell’ambito del sistema dell’IVA. Non vogliamo danneggiare questo settore né deludere le ragionevoli aspettative da parte del pubblico di un abbassamento dei prezzi dei viaggi aerei.
Confidiamo che la Commissione impari dai suoi precedenti errori per quanto riguarda il sistema di scambio delle quote di emissione e che ne istituisca uno per il settore del trasporto aereo.
Caroline Lucas (Verts/ALE), per iscritto. – (PT) L’aereo è il mezzo più utilizzato per percorrere lunghe distanze e ciò ha prodotto un pesante impatto ambientale causato dalle emissioni di gas a effetto serra.
Ritengo che l’imposizione fiscale sulle emissioni prodotte e il commercio dei diritti di emissione siano un sistema appropriato per affrontare il problema. Inoltre approvo l’inclusione in questa proposta dei voli interni e di quelli che partono o arrivano nel territorio dell’Unione, nonché la creazione di uno spazio aereo unico europeo che permetterà di ridurre le rotte aeree.
Penso tuttavia che occorra prestare attenzione al caso particolare costituito dalle regioni isolate e ultraperiferiche che sono di difficile accesso e perciò dipendono altamente dal trasporto aereo.
Pertanto sostengo la relazione solo perché è stato approvato l’emendamento che prevede che si presti particolare attenzione alle regioni ultraperiferiche e alle regioni isolate, che sarebbero state gravemente danneggiate se si fossero applicate uniformemente in tutto lo spazio europeo nuove tasse sul trasporto aereo.
Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’aereo costituisce il mezzo più usato per percorrere lunghe distanze, ma le emissioni che produce contrastano con l’obiettivo globale che consiste nel ridurle.
Le misure proposte dalla relazione, in particolare l’imposizione di tasse sulle emissioni e il commercio dei diritti di emissione, costituiscono a mio avviso un sistema appropriato per affrontare il problema dell’impatto del settore aereo.
Un’altra proposta importante della relazione è costituita dall’inclusione dei voli interni e di tutti quelli che partono o arrivano nel territorio dell’Unione, per non creare squilibri di mercato. La relazione propone inoltre la creazione di uno spazio aereo unico europeo, che permetterà di ridurre le rotte aeree e con esse anche le emissioni gassose, grazie alla possibilità di avere voli più diretti.
C’è, tuttavia, un dettaglio di cui tenere conto, ovvero il caso a sé stante delle regioni isolate e ultraperiferiche. Pertanto sostengo la relazione perché è stato approvato l’emendamento che prevede che si presti particolare attenzione alle regioni ultraperiferiche e alle regioni isolate, che sarebbero state gravemente danneggiate se si fossero applicate uniformemente in tutto lo spazio europeo nuove tasse sul trasporto aereo. Considerato che raggiungere queste regioni è difficile e richiede tempi lunghi, il trasporto aereo riveste per loro un’estrema importanza.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione Lucas sull’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici. Sottoscrivo in pieno i provvedimenti per contrastare l’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici. Inoltre sostengo il principio dell’inclusione delle emissioni del settore aereo nel sistema di scambio delle quote di emissione e spero che la Commissione avanzi una proposta praticabile. Mi sono astenuto per quanto riguarda alcuni paragrafi semplicemente perché ritengo che l’impatto delle proposte non sia stato ancora pienamente valutato. Per esempio, mi sono astenuto in merito alla richiesta di abolire l’esenzione IVA per il trasporto aereo perché non è chiaro se questo contribuirà a contrastare i cambiamenti climatici o servirà soltanto a danneggiare i viaggiatori meno agiati.
Claude Moraes (PSE), per iscritto. – (EN) Sottoscrivo in pieno i provvedimenti per contrastare l’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici e il principio dell’inclusione delle sue emissioni nel sistema di scambio delle quote di emissione (ETS), nonché l’appello alla Commissione affinché avanzi proposte praticabili. Mi sono astenuto per quando riguarda alcuni paragrafi della relazione che erano contraddittori o le cui implicazioni non erano state pienamente calcolate.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Più di un anno fa, assieme a tredici dei miei colleghi belgi deputati al Parlamento europeo, ho firmato una petizione pubblicata su La Libre Belgique che chiedeva ai venticinque capi di Stato e di governo di andare oltre gli obiettivi del Protocollo di Kyoto.
Tra le proposte avanzate, quella prioritaria riguardava l’inclusione delle emissioni dei settori del trasporto aereo e del trasporto marittimo nei prossimi piani in materia di tutela del clima.
E’ per questo che mi rallegro oggi del vostro voto ambizioso sulla relazione Lucas, che anticipa tutta una serie di misure per combattere l’impatto ambientale del settore aereo, fra cui, in particolare, la fine dell’esenzione IVA sul carburante.
La situazione attuale è inquietante. Le emissioni prodotte dal trasporto aereo vanificano un quarto degli esigui risultati ottenuti nella lotta contro i gas a effetto serra. Voglio essere chiara: non si tratta di tassare indiscriminatamente, ma di porre fine a uno squilibrio che non invoglia a sufficienza il settore aereo a investire nelle nuove tecnologie, e il primo a soffrirne è l’ambiente. Il riscaldamento del pianeta è la sfida maggiore del XXI secolo, e certamente l’Europa deve continuare a dare l’esempio.
Peter Skinner (PSE), per iscritto. – (EN) Condivido lo spirito generale della relazione, ma credo che ci siano ancora problemi rilevanti per quanto riguarda l’esito del voto di oggi: in primo luogo, l’impatto di tali proposte non è stato ancora, in gran parte, quantificato in termini di costi e gli effetti sono sproporzionati; secondariamente, il sistema di scambio delle quote di emissione dovrebbe includere il settore del trasporto aereo, ma non occorre approntare un sistema separato che funzioni per conto proprio. Ciò pregiudicherebbe il sistema corrente.
In alcuni punti la relazione è in contrasto con le proposte pienamente attuabili della Commissione e pertanto ha poco senso.
Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Benché l’obiettivo costituito dalla riduzione dell’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici, in particolare attraverso la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, sia altamente encomiabile, ritengo necessario che il Parlamento tenga conto della situazione delle regioni più isolate della Comunità europea.
Se l’abolizione dell’esenzione IVA di cui beneficia il trasporto aereo e l’istituzione di una tassa sul kerosene divenissero realtà, gli effetti sull’economia delle regioni più isolate e sulla mobilità delle loro popolazioni sarebbero disastrosi.
Ciò si verificherebbe soprattutto nel caso delle regioni insulari, che non hanno strade né ferrovie che li colleghino al resto dell’Unione, e ancor più nel caso delle regioni ultraperiferiche, nelle quali la circolazione delle persone dipende esclusivamente dal trasporto aereo.
Vorrei ringraziare i deputati al Parlamento europeo per avere adottato il mio emendamento nel quale chiedevo che la normativa comunitaria prestasse particolare attenzione ai territori più isolati che dipendono fortemente dal trasporto aereo, e, in particolare, alle isole e alle regioni ultraperiferiche, dove le alternative al trasporto aereo sono estremamente limitate o del tutto inesistenti.
Glenis Willmott (PSE), per iscritto. – (EN) Sottoscrivo in pieno i provvedimenti per contrastare l’impatto delle emissioni del trasporto aereo sui cambiamenti climatici nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissione ed esorto la Commissione ad avanzare proposte praticabili.
Mi sono astenuto per quando riguarda alcuni paragrafi della relazione che erano contraddittori o le cui implicazioni non erano state pienamente valutate o calcolate.
Relazione Lamassoure (A6-223/2006)
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione della mia collega, onorevole Korhola, sul compromesso raggiunto con il Consiglio europeo sul progetto di regolamento del Parlamento e del Consiglio europeo riguardante l’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. Mi compiaccio che si sia agito con buonsenso nell’affrontare questa difficile questione, la cui complessità ha ritardato l’adozione di tale atto normativo. E’ eccellente la trasparenza conseguita per i programmi finanziati dalla Banca europea per gli investimenti. Il ruolo delle organizzazioni non governative (ONG) è stato giustamente definito in questo dispositivo facendo riferimento alle ONG “responsabili”. Nel complesso, il compromesso raggiunto dalla delegazione del Parlamento, guidata dall’onorevole Vidal-Quadras, è soddisfacente e ben equilibrato. L’adozione in sede di terza lettura è, infine, un successo per il Parlamento europeo.
8. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
(La seduta, sospesa alle 12.50, è ripresa alle 15.05)
PRESIDENZA DELL’ON. J. SARYUSZ-WOLSKI Vicepresidente
9. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
10. Conseguenze economiche e sociali della ristrutturazione delle imprese in Europa (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sulle conseguenze economiche e sociali della ristrutturazione delle imprese in Europa.
Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, utili record da una parte, chiusure di stabilimenti e delocalizzazioni dall’altra. Molti cittadini nell’Unione europea oggi si pongono ogni giorno la stessa temuta domanda: quando sarò io ad essere colpito? Quando toccherà al mio posto di lavoro? Quando sarà il mio turno?
Nel processo di trasformazione dell’Europa centrale e orientale, intere economie sono crollate e milioni di posti di lavoro sono scomparsi. Tuttavia la gente ha capito che questo fenomeno era la conseguenza della cattiva amministrazione del comunismo. Molti non riescono invece a capire che cosa stia accadendo in numerosi settori industriali dei vecchi Stati membri dell’Unione europea: tessile, calzaturiero, mobili, elettrodomestici, farmaceutico e automobilistico, settori manifatturieri che finora erano considerati sicuri e che adesso sono in difficoltà.
Pochissime persone sono state preparate ad affrontare la trasformazione strutturale alla quale assistiamo. E’ pertanto venuto il momento di aiutare tutti coloro, e sono molti, che hanno perso l’orientamento, a ritrovarlo. Il significato della discussione odierna va molto al di là della possibile chiusura di uno stabilimento automobilistico in Portogallo. E’ una discussione sul futuro dell’occupazione in Europa.
E’ anche giunto il momento di smettere di tacere alcune verità spiacevoli.
Primo: siamo ora entrati in una nuova fase della concorrenza, e il ritmo della trasformazione strutturale è destinato ad accelerare ulteriormente. Non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte a questa situazione. La concorrenza fa parte della vita, che ci piaccia o no. Non si tratta nemmeno di sapere se sopravviveremo alla concorrenza. Il grande problema sociale della nostra epoca riguarda tutte le vite che saranno rovinate da questa concorrenza; in altri termini, il grande problema sociale della nostra epoca riguarda il futuro dei nostri posti di lavoro.
E’ venuto il momento di guardare in faccia questa realtà. Chi crede ancora che ci siano altri problemi più urgenti non capisce assolutamente il mondo di oggi e le sue sfide. Abbiamo bisogno di più crescita sostenibile e rispettosa dell’ambiente, e abbiamo bisogno di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità, altrimenti il volto sociale dell’Europa diventerà un volto freddo e cinico, e questo sarebbe un insulto ai nostri principi europei di responsabilità condivisa tra il singolo e la società, di solidarietà, di giustizia sociale e di coesione sociale.
La parola chiave per la società europea del XXI secolo che cerca di offrire nuove prospettive ai propri cittadini è “competitività”. Sappiamo bene che una fortezza Portogallo, una fortezza Germania, una fortezza Polonia o una fortezza Europa non sono opzioni realistiche nel mondo aperto del XXI secolo. Dobbiamo accogliere la concorrenza aperta; dobbiamo acquisire una posizione di vantaggio e orientare la concorrenza verso l’alto alla ricerca delle soluzioni migliori, della tecnologia più vantaggiosa e degli standard più elevati.
Secondo: abbiamo avviato una politica comune europea per la crescita e l’occupazione. Questa politica deve essere ora realizzata con determinazione a livello europeo, nazionale e regionale, altrimenti assisteremo in preda allo sgomento a ripetute violazioni del nostro modello sociale con la chiusura di stabilimenti e laboratori di ricerca che hanno delocalizzato in altri paesi – come sta già accadendo. Metto in guardia chiunque dal credere che possiamo facilmente sopportare il trasferimento degli impianti di produzione, poiché la ricerca e lo sviluppo sono ancora da noi. Una volta partita la produzione, la ricerca e lo sviluppo la seguiranno.
Una politica per la crescita e l’occupazione deve essere una politica che crei un clima economico favorevole per tutte le imprese. E’ nell’economia, nelle imprese, che si creano posti di lavoro, ed è ancora nelle imprese che i posti di lavoro si tagliano. Nessun ordine del governo di un singolo Stato membro o di tutta l’Unione europea può cambiare di una virgola le cose. Noi possiamo però portare avanti una politica in grado di creare le condizioni esterne che rendano fattibile ed interessante per le imprese lavorare, crescere, investire e creare posti di lavoro in Europa. E’ questo il senso dell’espressione “politica rispettosa delle imprese”.
Terzo: una politica industriale attiva, che tenga l’industria in Europa, è ora più necessaria che mai. L’immagine secondo cui l’industria può ormai essere relegata nei musei è falsa quanto quella secondo cui l’industria è prima di tutto la maggiore fonte di inquinamento al mondo. Consiglio a chi ancora è di questo parere di ripensarci. Chi vuole portare via l’industria dall’Europa gioca con il futuro dei lavoratori dell’industria, con il futuro di chi lavora nei servizi collegati all’industria – settori che danno lavoro non a milioni, ma a decine di milioni di persone – e con il futuro delle piccole e medie imprese presenti lungo tutta la catena della fornitura, e in sostanza, gioca con il futuro dell’Europa stessa.
Dobbiamo mantenere un’industria forte in Europa, con imprese efficienti e competitive sul mercato mondiale. Non stiamo solo cercando campioni europei; abbiamo bisogno di leader sul mercato mondiale, perché le nostre imprese concorrono in un’arena mondiale. Nessun governo può trasformarle in imprese di successo; il successo dipende dall’impegno messo in atto dalle singole imprese, tuttavia noi possiamo aiutarle fino in fondo.
Per questo è stato costituito il gruppo di alto livello CARS 21. Dodici milioni di posti di lavoro nell’Unione europea sono direttamente o indirettamente collegati alla produzione automobilistica. Abbiamo parlato con tutti i soggetti interessati di quello che può e deve essere fatto per mantenere un’industria automobilistica forte in Europa. Spero che il Parlamento capisca perché, in materia di future norme relative alle emissioni di gas di scarico, sono contrario ad attuare una politica ispirata al motto “giù la testa e avanti “ e sono invece favorevole alla formulazione di proposte che possiamo mettere sul tappeto al momento opportuno, certi del fatto che i nostri elevati standard sono tecnologicamente praticabili e che hanno un costo sostenibile dalla maggior parte delle persone.
Onorevoli deputati, già oggi siamo in grado di fabbricare un autoveicolo a emissioni zero, ma nessuno, che io conosca personalmente, potrebbe permettersi di acquistare un’auto di questo tipo, e suppongo nemmeno nessuno in quest’Aula. Dobbiamo fare quanto in nostro potere perché continui ad essere possibile fabbricare e vendere auto europee – non tanto per coloro che le acquistano e le guidano, quanto per le persone che hanno bisogno di questi posti di lavoro.
Ancora un’osservazione: una politica industriale attiva non si ferma alle frontiere della vecchia Unione europea, ma comprende anche i nuovi Stati membri. L’allargamento non è una maledizione che grava sui lavoratori europei e non è nemmeno la causa della trasformazione strutturale. La verità è che in 17 su 20 settori industriali la vecchia Unione europea vanta un notevole vantaggio; i nuovi Stati membri hanno un vantaggio competitivo solo in tre settori, tra cui il settore automobilistico. Ma questo non sarà che un vantaggio per noi, quando la Cina e gli altri paesi emergenti diventeranno concorrenti più forti nel settore automobilistico.
Per quanto riguarda più direttamente il settore automobilistico – che è all’origine di questo dibattito – vorrei sottolineare che sono fermamente convinto che riusciremo a mantenere a lungo la nostra industria automobilistica in Europa, e che sarà un’industria forte, anche se tra dieci anni avrà una struttura piuttosto diversa da quella odierna. Ci saranno consolidamenti. E’ sufficiente leggere i giornali odierni per venire a conoscenza di trattative transatlantiche proprio in questo ambito.
Quello che possiamo pronosticare con una certa sicurezza è un quadro frammentario – un quadro per l’Europa occidentale e un altro per l’Europa centrale e orientale. In Europa occidentale non assisteremo più a una crescita cospicua della produzione di autoveicoli e la domanda aumenterà solo in misura ridotta. E’ presumibile che la produttività aumenterà più rapidamente della domanda, e chiunque abbia nozioni anche minime di economia sa qual è la conseguenza: la pressione sui posti di lavoro nel settore automobilistico nei vecchi Stati membri aumenterà ulteriormente.
Per quanto ci è dato sapere, i grandi costruttori europei – e lo stesso vale per General Motors – non prevedono alcun trasferimento delle capacità produttive dall’Europa occidentale. Creeranno tuttavia – e questo è l’elemento saliente – nuovi impianti di produzione dove più elevata è la domanda per i loro prodotti. Questa tendenza è chiaramente visibile già oggi in tutta l’industria automobilistica europea.
Per quanto riguarda gli aspetti positivi, osserviamo tuttavia che non solo i costruttori europei, ma anche quelli di altre regioni del mondo, stanno ricominciando a concentrare le capacità di ricerca e sviluppo in Europa, soprattutto nei vecchi centri. Anche da questo punto di vista, le attività europee di General Motors non costituiscono un’eccezione.
Onorevoli deputati, le imprese hanno una grossa responsabilità sociale per l’Europa che deve diventare ampiamente visibile. Non critico a priori qualsiasi decisione aziendale che comporti una delocalizzazione e del resto non spetta a me farlo. Inoltre, un atteggiamento simile sarebbe stupido, poiché la globalizzazione della produzione e della ricerca è inevitabile, se un’impresa vuole rimanere competitiva a lungo termine in un settore competitivo. Critico però coloro che antepongono l’utile a breve termine alle soluzioni sostenibili. Critico coloro che, quanto sono sotto pressione, scelgono la soluzione più economica, senza pensare minimamente alle persone che mettono sulla strada. Critico i manager che si attribuiscono retribuzioni elevatissime, ma che in termini di responsabilità non valgono nemmeno un centesimo, perché hanno fatto fallire le loro imprese e provocato così la perdita dei posti di lavoro che un tempo assicuravano.
In Europa voglio vedere imprese che si impegnino costantemente per migliorare, che promuovano l’innovazione, che siano in grado di modificare il proprio profilo, che forniscano ai loro dipendenti una formazione che li qualifichi per svolgere nuove mansioni. Naturalmente noi abbiamo il compito di aiutarle in tutto questo. Dobbiamo tuttavia anche individuare i limiti dell’azione politica. Le decisioni che determinano chiusure o trasferimenti di stabilimenti sono puramente decisioni aziendali, e nessuno Stato e nessuna Unione europea può invalidarle, nel caso di Azambuja o in qualsiasi altro caso.
Abbiamo tuttavia regole molto chiare e noi dobbiamo insistere energicamente sul rispetto di queste regole. Tra di esse c’è per esempio la questione fondamentale del dialogo sociale tra datori di lavoro e lavoratori. Quando uno stabilimento deve essere chiuso o delocalizzato, tale dialogo deve occuparsi anche di un’altra questione: che cosa ha fatto l’impresa per dare ai lavoratori licenziati un nuovo futuro, per esempio in termini di formazione, di aggiornamento o di riqualificazione? A questa domanda fa seguito un’altra: che cosa abbiamo fatto noi per aiutarla?
Abbiamo anche lo strumento delle sovvenzioni per le imprese in difficoltà, che è stato utilizzato anche nel caso di Azambuja. La concessione degli aiuti è stata autorizzata nel 2002. Le difficoltà dello stabilimento non sono quindi del tutto nuove. Vorrei tuttavia precisare con grande chiarezza che gli aiuti di Stato autorizzati in quel caso ed erogati sotto forma di aiuti agli investimenti a titolo del bilancio portoghese sono stati concessi conformemente alle norme europee, che prevedono l’obbligo per l’impresa beneficiaria di rimanere nella sua sede naturale per almeno cinque anni dopo aver effettuato l’investimento per il quale ha ricevuto gli aiuti.
Su richiesta della Commissione, il governo portoghese sta ora verificando se lo stabilimento abbia ricevuto anche finanziamenti a titolo dei fondi europei. In caso affermativo, dovremmo insistere ancora una volta sul rigoroso rispetto delle nostre condizioni, e vi posso promettere che la Commissione lo farà. Le entrate fiscali europee sono destinate ad essere utilizzate per mantenere gli stabilimenti nelle loro sedi europee, non per ridurre drasticamente i posti di lavoro.
(Applausi)
José Albino Silva Peneda, a nome del gruppo PPE-DE. – (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’attuale processo di ristrutturazione industriale è in ampia misura frutto della globalizzazione. La prima osservazione che si è condotti a fare è che questa nuova era ha contribuito a ridurre la povertà in tutto il mondo.
Vale la pena di continuare a promuovere la libera circolazione di beni, merci e persone, anche se solo in termini di crescita economica, di cui molti paesi in tutto il mondo godono in modo sostenibile. Non dobbiamo però trasformare il mercato in una vacca sacra; benché i valori che guidano la nostra azione politica riconoscano molte delle virtù delle leggi del mercato, ci rendiamo anche conto che le autorità politiche hanno un ruolo vitale nella regolamentazione e nel funzionamento di tale mercato.
E’ un ruolo che l’Unione europea e il Parlamento non devono trascurare. Nel progetto di relazione sul modello sociale europeo di cui si discuterà in Aula in settembre, esorteremo l’Unione europea ad adottare, nei confronti dei paesi terzi caratterizzati da un’elevata crescita economica, un atteggiamento atto a promuovere democrazia, libertà, rispetto dei diritti umani, protezione ambientale, giustizia sociale e regolamentazione del mercato del lavoro.
Spetterà all’Europa, a nostro avviso, svolgere un ruolo fondamentale nella creazione di un equilibrio tra la crescita economica e il perseguimento di standard sociali e ambientali dignitosi nelle potenze mondiali emergenti. Se vogliamo che tali orientamenti prevalgano all’esterno, internamente l’obiettivo principale dovrà essere l’enfasi sul miglioramento della competitività. A questo riguardo, desidero esprimere il mio apprezzamento per le osservazioni esposte oggi dal Commissario.
Le prossime tappe sono contenute nella strategia di Lisbona. Per quanto riguarda le modalità d’azione, desidero ribadire che credo ancora che sarebbe molto utile rafforzare il ruolo della Commissione in vista dell’attuazione di questa strategia. Anche se la globalizzazione può essere considerata un’opportunità per l’economia europea, si tratta di un processo che, come ha detto in quest’Aula la Commissione, comporta anche rischi nell’area europea. Uno di questi rischi è la possibile scomparsa dalla carta geografica industriale di regioni e settori la cui base economica è costituita dall’industria manifatturiera.
Ritengo pertanto che occorra un intervento a livello europeo nella definizione e nell’attuazione di politiche pubbliche in grado di promuovere la coesione regionale e sociale, al fine di evitare il fenomeno dell’esclusione. E’ un elemento estremamente importante, perché se vogliamo convincere i cittadini rispetto al progetto europeo, non possiamo permettere che sentimenti quali perdita di speranza e di fiducia prendano piede in alcune regioni all’esterno dei centri urbani principali. Accolgo pertanto con estremo favore l’iniziativa della Commissione relativa alla costituzione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Le imprese, proprio come le persone, nascono, crescono e muoiono. La cosa importante, in termini di crescita dell’occupazione, è che il tasso di natalità delle imprese sia sempre superiore al loro tasso di mortalità.
Per quanto concerne il ruolo dell’Unione europea e delle sue Istituzioni, ritengo che non dovrebbero appoggiare iniziative politiche volte a tenere in vita industrie o stabilimenti che a medio termine non sopravviverebbero. Non sarebbe questa la strada giusta da seguire; sarebbe invece una sorta di fuga in avanti che alimenterebbe illusioni insensate. La giusta via da seguire dovrebbe invece basarsi sulla competitività dell’economia europea, che dipende dall’equilibrio dei conti pubblici, sistemi di istruzione e formazione efficienti, una giustizia celere, regimi fiscali competitivi, una maggiore flessibilità sul mercato del lavoro e incentivi cospicui per la ricerca.
Se le economie non sono competitive, non ci sono nemmeno investimenti. Se non ci sono investimenti, non c’è occupazione e nemmeno giustizia sociale. Il Parlamento dovrebbe concentrare i propri sforzi verso la discussione e la definizione di strumenti politici in grado di contribuire al miglioramento della competitività e della coesione regionale e sociale nell’Unione europea. Appoggiamo naturalmente tutte le iniziative destinate a controllare come vengono impiegati i fondi pubblici da parte delle imprese private e riteniamo che questo tipo di sostegno dovrebbe essere correlato ad obiettivi a medio termine nell’ambito dello sviluppo occupazionale e regionale. Non credo che spetti al Parlamento esprimere giudizi sui singoli casi, come è avvenuto invece per questo dibattito.
A questo proposito, vorrei concludere incoraggiando il dialogo tra le parti interessate, al fine di pervenire alla migliore soluzione possibile che, secondo le più recenti informazioni di cui dispongo, potrebbe soddisfare tutti.
Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono molto grato al Commissario per le sue osservazioni che hanno toccato il cuore del dibattito che dobbiamo condurre sul futuro dell’industria europea.
Azambuja è un caso singolo, ma è rappresentativo di molti altri. E’ sintomatico di una scelta di condotta errata nella politica industriale europea. E’ assolutamente innegabile che dobbiamo rimanere competitivi e che le razionalizzazioni fanno parte di questo sforzo, che la crescita della produttività è necessaria e che, se l’aumento della produttività determina perdite di posti di lavoro in un’impresa, tale perdita deve essere neutralizzata dalla creazione di nuovi posti di lavoro altrove oppure nella stessa regione attraverso investimenti innovativi. E’ assolutamente ovvio. Per questo sono tuttavia necessari investimenti mirati. Quello che però le nostre politiche non possono e non devono accettare e quello che noi socialisti europei combatteremo è la brutalità con cui le grandi multinazionali trattano la vita degli esseri umani.
Nel corso della mia carriera politica come sindaco di una città tedesca, ho visto con quanta freddezza e con quanto calcolo le imprese hanno messo le une contro le altre le amministrazioni nazionali, regionali e municipali, quando si è trattato di investimenti a favore delle loro sedi naturali. La fantasia dei consigli di amministrazione è illimitata, quando si tratta di ricevere aiuti pubblici agli investimenti come incentivi a favore della sede naturale dell’azienda, mentre è totale la loro mancanza di fantasia quando si tratta invece di assumersi la responsabilità sociale in periodi di crisi. E’ proprio il comportamento attuale di General Motors.
Le sono grato per quello che ci ha detto. Verificherete se questo stabilimento ha ricevuto fondi europei, e se così è stato, l’impresa è tenuta a rimanere nella sede portoghese. E’ una buona notizia. Ci si chiede tuttavia che cosa succederà in Portogallo. La situazione sarà la stessa cui abbiamo assistito solo pochi mesi fa, quando i lavoratori svedesi sono stati messi contro i lavoratori tedeschi dello stesso gruppo. Vince chiunque riduce ai livelli più bassi gli standard sociali, chiunque ammette i salari più modesti. Meno diritti sociali e salari più bassi costituiscono i criteri fondamentali nelle decisioni di delocalizzazione. E’ una forma di capitalismo che i cittadini europei non vogliono e contro la quale dobbiamo lottare.
Se, come nel mio paese, un’impresa – non un costruttore automobilistico in questo caso, ma la società di servizi finanziari Allianz – realizza un utile di 4,4 miliardi di euro e poi decide di licenziare 8 000 lavoratori altamente qualificati per massimizzare gli utili degli azionisti, non solo siamo di fronte a un’azione immorale – non mi posso del resto aspettare moralità da un capitalista, e nemmeno me l’aspetto – ma anche socialmente irresponsabile. Dobbiamo pensare a come limitare questo tipo di politica aziendale avvalendoci della legislazione nazionale e del diritto europeo. Nel caso dei grandi gruppi che operano a livello mondiale, si tratta naturalmente di decisioni aziendali che vengono prese a livello di gruppo e sulle quali non abbiamo alcuna influenza. Gli effetti di queste decisioni aziendali ricadono però su tutta la società. Per questo, riteniamo che l’applicazione dei principi democratici a tali decisioni sia parte integrante della democrazia economica.
Al giorno d’oggi, i fondi speculativi fanno incetta di imprese come se fossero merci. Viviamo in una realtà economica in cui i grandi fondi acquistano le grandi imprese, le fanno escludere dalla quotazione in borsa il più rapidamente possibile per riorganizzarle il più rapidamente possibile e rivenderle il più rapidamente possibile realizzando un utile. In questo modo l’impresa, la sua sede e tutta la regione sono ridotte a pure merci di scambio. Non può essere questo il futuro economico dell’Europa! Pertanto, il modo in cui viene ristrutturata l’economia europea condizionerà la futura coesione sociale in Europa.
Nella seconda metà del XX secolo, l’idea alla base dell’Unione europea, l’idea alla base del mercato unico in cui viviamo oggi prevedeva che il progresso economico e tecnico andasse di pari passo con il progresso sociale. Oggi siamo in una fase in cui l’aumento degli utili va di pari passo con la riduzione della sicurezza sociale. Se non fermiamo questa tendenza e non ritorniamo a quello che abbiamo realizzato con successo nella seconda metà del XX secolo, quando abbiamo assicurato il legame tra crescita economica e sicurezza sociale, perderemo la stabilità sociale delle società europee – e l’instabilità sociale è sempre all’origine dell’instabilità politica, che a sua volta determina la perdita della sicurezza. Per questo, la ristrutturazione delle imprese in Europa è una sfida che dobbiamo affrontare a livello sociale.
(Applausi)
Lena Ek, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, i sentimenti di chi perde il proprio lavoro non hanno bisogno di spiegazioni. Non ci vuole molta immaginazione per capire la disperazione, la paura del futuro e le preoccupazioni finanziarie che queste persone vivono, giorno dopo giorno. Su questo aspetto il Parlamento è unito: in tutti i partiti politici e in tutti i paesi europei sosteniamo il modello sociale europeo e appoggiamo i lavoratori e i disoccupati.
Quando si tratta però di decidere che cosa fare concretamente, le nostre opinioni sono molto divergenti. Sono fermamente convinta che sia un grave errore cercare di proteggere i posti di lavoro frenando la modernizzazione, la ristrutturazione e la globalizzazione. Può essere un rimedio valido per il presente, ma disastroso per il futuro. La nostra risposta alla globalizzazione non deve essere il tentativo di sottrarci alle nostre responsabilità e il conservatorismo, dobbiamo invece accoglierla e preparare i nostri cittadini ad affrontarla. La nostra risposta non deve essere quella di impedire le ristrutturazioni, ma di facilitare la transizione per le persone direttamente colpite.
Questo è il principio che ispira il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa al Parlamento, quando si tratta di raccogliere le sfide alle quali siamo confrontati a seguito della ristrutturazione industriale e della globalizzazione. Crediamo che l’Unione europea possa e debba svolgere un ruolo, ma facilitando la transizione e non ostacolandola. Riguardo al cambiamento non siamo contrari, ma favorevoli, altrimenti, nel giro di dieci anni tutti i nostri posti di lavoro saranno in Cina o in altre belle regioni al di fuori dell’Europa. Siamo favorevoli alla cooperazione, all’istruzione e alla crescita economica, che dovrebbero però essere realizzate sulla base della responsabilità sociale e ambientale. E’ questo il nostro compito in Parlamento.
Ci sono una serie di settori nei quali abbiamo bisogno di politiche europee, non solo per mantenere, ma per creare nuovi posti di lavoro in tutta l’Unione. Al centro di tutto questo c’è l’agenda di Lisbona. In primo luogo occorre rafforzare l’individuo. L’Europa può contribuire incoraggiando e finanziando programmi per l’apprendimento durante tutto l’arco della vita, le competenze linguistiche e gli scambi culturali, per citare solo alcuni esempi. Sono attività che contribuiscono a prepararsi per un mercato del lavoro in transizione, in cui sono pochi i posti di lavoro che possono essere garantiti per tutta la vita. Il posto di lavoro a vita non esiste più, ma potrebbe benissimo esistere l’occupazione per tutta la vita.
In secondo luogo, occorre rafforzare l’industria europea perché sia competitiva nel XXI secolo. Assicurando l’accesso a un mercato interno ancora più grande che favorisce la ricerca e l’innovazione europee, apriamo nuove opportunità che alla fine porteranno alla creazione di nuovi posti di lavoro.
In terzo luogo, per realizzare questo obiettivo, abbiamo bisogno di un dialogo sociale più forte in grado di affrontare i temi del cambiamento, come la necessità per le aziende di facilitare la transizione dei dipendenti che perdono il posto di lavoro e regole ambientali per uno sviluppo economico sostenibile.
Per tutto questo occorre una leadership europea, occorre spiegare le sfide alle quali siamo confrontati e fare quanto in nostro potere per facilitare il viaggio nel futuro, preparando gli individui e le imprese; non dobbiamo invece fare false promesse, proteggere i posti di lavoro e sperare in vantaggi politici a breve termine.
Questa è la risposta liberale alle sfide della globalizzazione e della riforma industriale.
Pierre Jonckheer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, l’ho ascoltata attentamente. Ho anche letto sulle agenzie di stampa che la Commissione aveva dichiarato che il processo di ristrutturazione e di delocalizzazione condotto da Opel era trasparente e conforme alle regole dei vari fondi europei.
In realtà penso, e lei è stato chiarissimo a riguardo, che non abbia molto senso che il Parlamento e alcuni dei nostri colleghi critichino ripetutamente, mese dopo mese, il capitalismo globale o il capitalismo totale: viviamo in un mondo in cui la concorrenza diventa sempre più aspra e in cui sul futuro del settore automobilistico indubbiamente pesano di più le alleanze Renault-Nissan-GM come quella annunciata, che i processi di cui stiamo parlando oggi.
Detto questo, se vogliamo avere un ruolo, vorrei che lei, in quanto Commissario e in quanto responsabile di questi problemi in seno alla Commissione, fornisse una risposta a quattro domande precise:
Prima domanda: abbiamo sempre difeso l’idea del comitato aziendale europeo e gli osservatori delle relazioni industriali per anticipare questo tipo di cambiamento. Noi in Parlamento abbiamo auspicato un rafforzamento dei dispositivi quali i comitati aziendali europei. Non ritiene che, da questo punto di vista, dovrebbe essere la Commissione a prendere iniziative di questo tipo per rafforzare la legislazione?
Seconda domanda: la Commissione Barroso ha proposto un fondo di adeguamento per i casi di ristrutturazioni legate alla globalizzazione – non so se il caso Opel rientri in questa fattispecie – ma qual è il preciso obiettivo di questo fondo? Ci può garantire che questo fondo, durante un periodo transitorio, aiuterà davvero i lavoratori penalizzati da questo tipo di processo a ricostruirsi un futuro professionale grazie a programmi di formazione?
Terza domanda: lei ha giustamente fatto riferimento al programma CARS 21 e all’attenzione dedicata dalla Commissione ai programmi di ricerca e di sviluppo e alle automobili del futuro. Supponendo che si consideri – e non è il mio caso – che l’auto privata sia un mezzo di sviluppo sostenibile per il XXI secolo, in particolare per le città europee, sbalordisce comunque constatare, sapendo che le automobili ecocompatibili dovranno essere dotate di un motore ibrido, come il modello Prius della Toyota, per i prossimi 25 anni, che i costruttori europei sono ancora in ritardo in questo settore. Qual è la sua valutazione dei programmi di ricerca e di sviluppo in materia e della commercializzazione di questo tipo di prodotto?
Quarto e ultimo punto: è piuttosto chiaro – e l’esempio della Opel è evidentemente sbalorditivo da questo punto di vista – che c’è concorrenza tra paesi vicini: Portogallo e Spagna. Non ritiene che, pur nel pieno rispetto delle regole in materia di concorrenza, la Commissione e l’Unione europea abbiano il dovere di imporre regole minime comuni alle imprese che operano nel territorio comunitario e, pur rendendomi conto che non sarebbe una soluzione perfetta, penso in particolare all’armonizzazione dell’imposta sulle società.
Ecco quattro tipi di azione che la Commissione, in quanto custode dei Trattati e promotrice dell’interesse generale europeo, dovrebbe incoraggiare. A questo riguardo, mi dispiace doverle dire, signor Commissario, che non consideriamo la sua Commissione sufficientemente proattiva o ambiziosa sui vari aspetti che ho appena citato.
Ilda Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Questo dibattito è di importanza vitale, ma lo sarà ancora di più se produrrà misure atte a fare sì che non siano sempre i lavoratori e i cittadini a dover pagare il prezzo della ristrutturazione e della delocalizzazione delle imprese e dei grandi gruppi economici che realizzano utili milionari, come è avvenuto in Portogallo.
Attualmente, i lavoratori di Opel Portogallo, che fa parte del gruppo General Motors – e li salutiamo per il tramite della loro delegazione presente in Aula – vivono momenti di terribile angoscia, mentre seguono questo dibattito con grande interesse, sperando di ricevere dal Parlamento e dalla Commissione quella solidarietà che hanno ricevuto da parte dei lavoratori di General Motors dei paesi dell’Unione europea, come Svezia, Germania e Spagna, il cui destino è anch’esso minacciato.
Mentre i media diffondono notizie su contatti e trattative tra imprese del settore automobilistico, tra le quali General Motors e altre, i lavoratori di Opel Portogallo, le loro famiglie, i cittadini e gli enti locali e regionali di Azambuja e delle zone circostanti convivono con la minaccia della disoccupazione e di difficoltà di sviluppo che potrebbero portare alla chiusura. Tale situazione è resa ancora più drammatica dal fatto che stiamo parlando di un paese in cui la disoccupazione e la povertà sono in aumento. Alla luce di tutto questo, le osservazioni dell’onorevole Silva Peneda suonano ancor più deplorevolmente insensibili.
Occorre prestare molta più attenzione alle fusioni e alle ristrutturazioni industriali. Gli aiuti comunitari devono essere subordinati ad accordi a lungo termine sull’occupazione e lo sviluppo locale. E’ necessario privilegiare la protezione dei lavoratori, in ogni caso di ristrutturazione aziendale, garantendo anche la piena informazione e partecipazione dei lavoratori e la loro possibilità di esercitare un’influenza decisiva durante tutto il processo.
Sappiamo che ci sono alternative alla chiusura di Opel Portogallo. Sappiamo che se c’è la volontà politica, l’azienda può continuare a lavorare normalmente. E’ un’impresa in cui ci sono le condizioni per la produttività e in cui sono stati presi impegni che i lavoratori hanno rispettato. General Motors deve rispettare da parte sua l’impegno preso e la Commissione deve adottare le misure necessarie per far sì che Opel Portogallo funzioni normalmente e che sia garantita un’occupazione in cui sono tutelati i diritti dei lavoratori.
Zdzisław Zbigniew Podkański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, la ristrutturazione delle imprese in Europa è dovuta a un aumento della capacità produttiva, all’utilizzo delle nuove tecnologie e alla globalizzazione dell’economia nel suo insieme. Questo processo ha gravi conseguenze sociali ed economiche. La produzione si concentra nelle regioni economicamente e tecnologicamente più forti, a spese delle regioni meno sviluppate. Questo è particolarmente visibile nei nuovi Stati membri dove interi settori industriali sono scomparsi. In Polonia, per esempio, l’industria leggera e, in misura significativa, l’industria automobilistica, l’elettronica e il settore minerario sono scomparsi, e con loro i posti di lavoro.
La progressiva globalizzazione della produzione e la liberalizzazione dei mercati hanno determinato un’ulteriore accentuazione delle differenze economiche e sociali. Le regioni caratterizzate da elevati livelli di produzione agricola e una rete sviluppata di industrie agroalimentari, come quella saccarifera, quella ortofrutticola e la refrigerazione in particolare, sono quelle che accusano le perdite più gravi. La Polonia è ancora una volta uno dei paesi che ha maggiormente sofferto e si trova in una delle regioni più gravemente colpite. Ma allora, chi ci guadagna? I “vecchi” Stati membri e le regioni economicamente forti ci guadagnano e continueranno a farlo, soprattutto perché l’Unione europea si impegna in particolare in vista della realizzazione di utili con il commercio di manufatti con paesi terzi, che rappresentano l’85 per cento delle vendite di merci. I prodotti agricoli rappresentano solo il 15 per cento delle vendite. Tutto questo presuppone una risposta alla domanda fondamentale: qual è il nesso tra la politica delle Istituzioni dell’Unione europea in materia aziendale e i principi fondamentali dell’Unione europea, quali la solidarietà europea, le pari opportunità, lo sviluppo sostenibile o i diritti umani?
Philip Bushill-Matthews (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, desidero iniziare ringraziando il Commissario per i commenti saggi e attenti che ha espresso nella sua introduzione al dibattito e, in particolare, per aver posto l’enfasi principale sulle persone, elemento fondamentale nell’ambito del tema di cui stiamo discutendo.
Desidero semplicemente riprendere due delle sue osservazioni, tutte molto importanti. Una riguardava la trasformazione strutturale. Sono assolutamente d’accordo: la trasformazione strutturale è destinata a continuare, anzi subirà un’accelerazione. Quindi il problema non è come fermarla, ma come sfruttarla e gestirla.
La seconda osservazione importante che desidero sottolineare è che la risposta non è il protezionismo attuato dai paesi che cercano di erigere barriere o dalle aziende che cercano di proteggere i vecchi posti di lavoro, mentre il mercato è andato avanti.
Sono d’accordo con l’onorevole Ek sul fatto che oggi non è più possibile pensare al posto di lavoro a vita, ma credo che sia legittimo avere il diritto di ambire a una vita con un lavoro. Si tratta pertanto di capire che cosa si deve fare per contribuire a risolvere il problema e cosa invece non si deve fare.
Ritengo che, in quanto eurodeputati, non dovremmo condurre questo tipo di dibattito ogni volta che una grande società chiude o snellisce l’organico, per fare vedere che noi politici ci preoccupiamo – anche se è ovvio che ci preoccupiamo – e per fare vedere “che facciamo qualcosa” in ogni singolo caso, dando rilievo ai singoli casi di imprese rinomate. Non credo che siano utili dibattiti regolari e ripetuti di questo tipo. Non dovrebbero essere un mezzo per conquistarci le prime pagine dei giornali nazionali.
Sono sicuro che possiamo e dobbiamo fare di più, contribuendo a creare un clima normativo nel quale possa fiorire l’imprenditoria e possano essere davvero creati nuovi posti di lavoro; se una porta è destinata a chiudersi, si può cercare di fare in modo che se ne aprano altre.
Ritengo inoltre che la migliore forma di sicurezza occupazionale di ognuno sia rappresentata dall’insieme di competenze che ognuno è in grado di sviluppare, ed è su questo che dovrebbero concentrarsi le nostre priorità. Dobbiamo accertarci che, in materia di investimenti, le società si rendano conto che gli investimenti in risorse umane sono quelli più importanti che possono effettuare, e questo vale anche per i paesi. Se riusciremo in questo intento, compiremo consistenti passi avanti nella gestione della sfida del cambiamento.
Jan Andersson (PSE). – (SV) Signor Presidente, nel mio intervento mi concentrerò sugli aspetti principali delle ristrutturazioni. Vorrei comunque esprimere il mio sostegno ai lavoratori portoghesi nei loro sforzi per conservare e sviluppare i loro posti di lavoro. So anche, sulla base dell’esperienza passata, che, come ha ricordato l’onorevole Schulz, GM non ha sempre condotto correttamente il dialogo sociale, come lo dimostrano le relazioni con i suoi stabilimenti in Germania e Svezia, quando ha messo gli uni contro gli altri i lavoratori dei diversi paesi. Non è un comportamento che mi piace.
Sono d’accordo sul fatto che le ristrutturazioni non sono un fenomeno nuovo. Si tratta piuttosto di una realtà con la quale abbiamo sempre convissuto. Nella mia città natale una volta c’era una fabbrica di gomma, ma ora non c’è più. All’epoca quasi tutta la popolazione lavorava in quello stabilimento. Anche in futuro continueranno ad esserci ristrutturazioni. In alcuni casi, le ristrutturazioni sono gestite male e questo causa perdite di posti di lavoro e gravi conseguenze per la regione in questione. Ci sono tuttavia anche esempi di ristrutturazioni di successo in cui sono stati creati nuovi posti di lavoro e le regioni sono riuscite a sopravvivere e addirittura a crescere, con un’occupazione a più lungo termine. Qual è il segreto? Ci sono alcuni fattori fondamentali: responsabilità sociale, partecipazione e strategie a lungo termine.
Vediamo per prime le strategie a lungo termine. Non ho una grande stima delle imprese che non hanno un programma a lungo termine per fare fronte con successo alla concorrenza mondiale e che prendono sovvenzioni a breve termine prima di andarsene dalla regione in questione. Inoltre, è necessaria la partecipazione, e a questo proposito intendo la partecipazione del bene più importante di cui dispongono le imprese: i dipendenti. I dipendenti sono la risorsa più importante delle imprese e non dovrebbero essere informati e consultati solo quando sono in atto cambiamenti. I lavoratori dovrebbero partecipare al processo di ristrutturazione. Dovrebbero poter essere coinvolti in tale processo e dovrebbero poterlo influenzare. In questo modo, non è necessario scendere in strada a manifestare. In questo modo, possono essere creati nuovi posti di lavoro. E’ anche necessario dare prova di responsabilità sociale sin dalle fasi più precoci e formare il personale in modo che sia in grado di affrontare le sfide a lungo termine del futuro e anche per aiutare le regioni, in quanto sono spesso le imprese a svolgere un ruolo importante nelle regioni in cui è necessario dare prova di responsabilità sociale.
Per quanto concerne l’industria automobilistica, si tratta di un settore che è diventato sempre più globalizzato e costituito da un numero sempre più ridotto di imprese. La ristrutturazione sarà necessaria. Ci sono molte cose che possiamo fare a livello europeo. Possiamo, come ha detto l’onorevole Jonckheer, rafforzare i comitati aziendali e le direttive in materia. Possiamo lavorare su informazione e consultazione. Credo che abbiamo bisogno di accordi quadro tra le industrie e i sindacati a livello europeo per poter gestire i cambiamenti che si verificheranno in futuro. Questo sarà sempre più importante. La ristrutturazione è un fenomeno con cui dobbiamo convivere, ma che può essere trasformato in un successo se sarà consentito ai lavoratori di partecipare attivamente e se le imprese coinvolte daranno prova di responsabilità sociale.
(Applausi da vari banchi)
Roberto Musacchio (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, è bene ricordare che stiamo parlando di persone in carne ed ossa, che ci stanno anche ascoltando e che richiedono, dunque, risposte concrete.
Un anno fa sono intervenuto in Aula per parlare di siderurgia e di Terni, una città italiana che vedeva a rischio la propria vita per l’operare di una multinazionale. Il pronunciamento di questo Parlamento fu molto utile. Oggi devo tornare a parlare di un’altra fabbrica, la Eaton, in Piemonte: anche qui i lavoratori sono a rischio a causa del comportamento di una multinazionale; vorrei citare anche Getronix, e altri, abbiamo sentito, parlano di Opel.
In tutti questi casi, come per Terni, noi dobbiamo e possiamo aiutare. Dobbiamo poi anche intervenire perché tutto ciò non si ripeta, cioè non accada che multinazionali, che peraltro realizzano profitti e magari godono di fondi pubblici, anche europei, usino l’Europa addirittura mettendo un paese contro l’altro, lavoratori contro altri lavoratori.
Dobbiamo decidere che bisogna, con norme concrete, combattere il dumping, le delocalizzazioni, perché esse non hanno nulla a che vedere con la concorrenza e il mercato, ma, al contrario, minano la coesione sociale e scaricano costi insopportabili su tutti noi.
Per questo occorrono risposte concrete: una è quella di rafforzare veramente i comitati aziendali europei. Attribuire più potere ai lavoratori e ai sindacati ci aiuterà anche a costruire un’idea di quale sviluppo debba avere l’Europa.
Qualcuno considera affidabile questo mercato speculativo, pensando che poi, magari, ci sarà un saldo positivo nell’occupazione, che invece non c’è; io penso che la politica si debba occupare di ciò che bisogna produrre in questa Europa e che, dunque, dobbiamo rispondere anche su questo terreno.
Ritengo che chi vuole costruire l’Europa debba sapere che l’unità dei lavoratori europei, e non la loro divisione, è un bene indispensabile per costruire questa unità dell’Europa e che, dunque, non il dumping, ma l’armonizzazione delle regole e dei diritti verso l’alto sono un preciso impegno per questo Parlamento.
Malcolm Harbour (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, non è una coincidenza che il mio collega, onorevole Bushill-Matthews, ed io abbiamo chiesto di intervenire in questo dibattito. Veniamo dalla regione dei West Midlands, nel Regno Unito, una regione che storicamente è sempre stata molto dipendente dall’industria automobilistica, che ha assistito a numerosi cicli di chiusure e ristrutturazioni.
L’altro giorno sono andato a parlare in una scuola di Coventry e ho detto ai ragazzi: “Sapete dove si trovano ora il negozio di Blockbuster e quel supermercato? Negli anni ’80, lì c’era uno stabilimento automobilistico in cui lavoravano 20 000 persone tra le quali c’ero anch’io”.
Non c’è nulla di nuovo in tutto questo. Stiamo discutendo del problema come se fosse una novità. Gli investimenti creeranno posti di lavoro e forniranno la soluzione ai problemi di cui hanno parlato molti colleghi su questo lato: investimenti in nuovi autoveicoli, investimenti in nuovi stabilimenti, investimenti in nuovi robot che ridurranno i costi di produzione, e investimenti in qualità. Chiedo all’onorevole Schulz da dove verranno questi investimenti. Verranno dagli utili. Quello che manca all’industria automobilistica non sono cuori sanguinanti; ha invece bisogno di più utili da investire nei prodotti nuovi. Nelle imprese di successo funziona così.
Un altro stabilimento nel quale ho lavorato durante i 30 anni che ho trascorso nel settore – lo stabilimento di Oxford di quella che era all’epoca la British Motor Corporation – è ora uno degli stabilimenti automobilistici di maggiore successo in Inghilterra, e produce la Mini. La si vede ovunque, la si vede in America. La BMW – società tedesca proprietaria di quello stabilimento – sta realizzando investimenti dell’ordine di 250 milioni di sterline per fabbricarvi un’automobile nuova e di questo la ringraziamo. Questa operazione creerà 1 000 nuovi posti di lavoro. Un motore che veniva fabbricato in Brasile ora sarà fabbricato a Birmingham, nel mio collegio elettorale.
Vorrei dire ai miei amici in Portogallo – molti dei quali interverranno tra breve su questi problemi: venite a parlare con chi di noi ha già affrontato questo problema. Uno dei giorni più tristi della mia vita è stato quando mi sono recato presso lo stabilimento automobilistico di Longbridge per incontrare il curatore fallimentare. Avevo cominciato a lavorarvi nel 1967 quando aveva 25 000 dipendenti, e in quel momento mi rendevo conto che stavo entrando in una fabbrica vuota.
Questa è la realtà della vita industriale ed è così da tempo. Il problema è come affrontarla. Abbiamo bisogno di un’occupazione migliore, abbiamo bisogno della piena occupazione, abbiamo bisogno di riqualificazione, e abbiamo bisogno di aiutare i lavoratori licenziati a trovare un nuovo posto di lavoro. Abbiamo le risposte anche per i casi in cui non è possibile sempre salvare qualcosa. Siamo intervenuti a Longbridge, dove erano state licenziate 5 000 persone. Attualmente stiamo lavorando da Peugeot e in altre zone. Venite a parlarci degli interventi pratici che stiamo attuando e smettetela di lamentarvi dei problemi in quest’Aula. Sono problemi che abbiamo vissuto tutti i giorni. Non serve tenere altri dibattiti come questo. Dobbiamo invece individuare una via percorribile per il futuro.
Jean-Louis Cottigny (PSE). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono tentato di riprendere le osservazioni dell’onorevole Harbour. Mentre il collega ha assistito a licenziamenti e ristrutturazioni, io sono stato licenziato tre volte a causa di evoluzioni economiche e ristrutturazioni nel Nord Pas-de-Calais, in Francia. Il gruppo socialista al Parlamento europeo è favorevole a una politica che consenta alle imprese di creare posti di lavoro, di modernizzarsi e di favorire lo sviluppo economico. Tuttavia, quando parla di sviluppo economico, il gruppo socialista intende anche sostegno sociale, per creare ricchezza, ma anche per ridistribuirla. L’Europa deve mostrare il suo modello sociale europeo.
E’ il motivo per il quale abbiamo lavorato collettivamente e per il quale oltre l’80 per cento di noi ha votato a favore di una relazione sulla ristrutturazione e l’occupazione, nella quale affermiamo che certamente dobbiamo prevedere una forma di sostegno, ma che dobbiamo anche spiegare all’Europa chi siamo e che cosa facciamo. Abbiamo votato a favore, a larghissima maggioranza, perché vogliamo fare sapere che, se l’Europa fornisce aiuti economici ed eroga fondi pubblici e se, in qualsiasi momento, si scopre che esiste una forma di “turismo sovvenzionato”, allora questo denaro deve essere rimborsato. General Motors, gruppo in cui l’anno scorso oltre 500 000 lavoratori sono stati colpiti dagli effetti dalla ristrutturazione, è un esempio di questo fenomeno che è per noi fonte di preoccupazione. Non ci stiamo lamentando, ma riteniamo che tutti debbano essere rispettati, in particolare i lavoratori.
Le ristrutturazioni sono necessarie per il mantenimento della competitività economica delle nostre imprese, tuttavia comportano non poche conseguenze. Nel caso di General Motors oggi, come nei numerosi altri casi di ristrutturazione, i cittadini europei si aspettano una risposta forte dall’Unione. Il Presidente Barroso ci ha dato questa risposta chiedendo alla nuova Presidenza finlandese di incarnare l’Europa dei risultati. Ebbene, l’Europa dei risultati comincia qui, in quest’Aula, con l’invio di un forte segnale ai lavoratori che oggi sono in difficoltà. Devono naturalmente essere adottate misure di sostegno, in materia di formazione e aiuti, ma dobbiamo sin d’ora chiederci come sarà rimborsato il denaro pubblico che è stato distribuito.
(Applausi)
Helmuth Markov (GUE/NGL). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, le chiusure di stabilimenti, come questa in Portogallo, non sono casi isolati. Nel 2005 nell’Unione europea è stato perso oltre mezzo milione di posti di lavoro a seguito di ristrutturazioni.
Le società quotate in borsa, qualunque sia il paese in cui hanno sede, evidenziano gli utili più elevati mai registrati. Le vendite esplodono e si taglia drammaticamente sull’occupazione. Nel corso degli ultimi tre anni, la produttività delle imprese quotate all’indice di borsa tedesco DAX è aumentata in media del 6,5 per cento. Questo significa senza alcun dubbio che sono competitive! Quando discutiamo di quello che occorre fare, dobbiamo chiederci se la base sulla quale concediamo aiuti sia corretta.
Vorrei farvi alcune proposte, la maggior parte delle quali non è ancora stata presa in considerazione. Non si potrebbe forse prudentemente ipotizzare che gli aiuti siano concessi in via prioritaria per i prodotti e i processi innovativi, per nuove attività di ricerca e sviluppo invece che per stabilimenti e attrezzature? Ritengo che si potrebbe utilizzare questa classificazione per limitare la concessione di aiuti.
Ho poi una seconda domanda: è saggio limitare il periodo di rimborso a cinque anni? Il periodo di ammortamento per le attrezzature è generalmente di 10-15 anni. A rigore di logica, le imprese dovrebbero rimborsare il denaro nel periodo necessario ad ammortizzare la spesa di capitale.
Terzo aspetto: quando si tratta di valutare se concedere o meno gli aiuti, non dovremmo forse esigere e verificare che le imprese che operano a livello internazionale siano conformi agli orientamenti dell’Organizzazione mondiale della sanità, dell’Organizzazione internazionale del lavoro nonché ai requisiti in materia di emissioni applicabili in tutte le loro sedi? Le imprese non conformi semplicemente non potrebbero ricevere aiuti.
Quarto aspetto: è ragionevole concedere sovvenzioni a imprese i cui lavoratori non sono coperti da un contratto collettivo e che i sindacati non sono in grado di influenzare? In casi di questo tipo, i contribuenti europei pagano due volte. Noi finanziamo alle imprese la loro attività di ricerca e sviluppo e le loro spese di attrezzatura e poi loro licenziano i dipendenti, e il contribuente europeo deve poi nuovamente intervenire nel finanziamento delle indennità di disoccupazione. Non è certo questo un esempio di buona economia!
Un ultimo aspetto: se vogliamo condurre un’autentica politica strutturale e regionale, deve essere creato un legame molto più stretto tra le necessità dell’impresa di ricevere aiuti e l’impatto positivo di tali aiuti sulla regione.
Edite Estrela (PSE). – (PT) General Motors sta licenziando migliaia di lavoratori europei. Lo scorso anno in Germania si sono persi 9 000 posti di lavoro. Quest’anno è stata annunciata la soppressione di 900 posti di lavoro nel Regno Unito, e più recentemente la chiusura dello stabilimento di Azambuja in Portogallo, che è in funzione da decenni e nel quale lavorano 1 200 persone.
Vorrei cogliere questa opportunità per porgere il benvenuto ai rappresentanti dello stabilimento di Azambuja che sono oggi presenti in Aula ed esprimere loro la nostra solidarietà. Quando parliamo di migliaia di licenziamenti, non sono soltanto grandi numeri, non sono solo statistiche o percentuali, sono esseri umani, tragedie famigliari, e sono stupefatta che alcuni deputati di questo Parlamento non se ne rendano conto.
La chiusura dello stabilimento di Azambuja ci colpisce tutti in quanto potrebbe essere un ulteriore passo verso lo smantellamento di altri stabilimenti di General Motors nell’Unione europea e la loro successiva delocalizzazione ad est – in Russia e in Asia. Per questo il presente dibattito è utile ed è positivo che l’onorevole Schulz abbia preso l’iniziativa di metterlo in programma, per darci la possibilità di avere qualche risposta.
Primo, che cosa si può fare per evitare la chiusura dello stabilimento di Azambuja? Questo dibattito dovrebbe anche aiutare le multinazionali a rendersi conto che non possono semplicemente adottare il comportamento “usa e getta”; non possono ricevere incentivi sotto forma di finanziamenti comunitari o sgravi fiscali in uno Stato membro e poi andarsene in un altro, nel tentativo di ottenere altri aiuti e accrescere gli utili. Le chiusure non possono essere la norma. Devono essere evitabili e noi, insieme alla Commissione, dobbiamo naturalmente fare tutto quanto in nostro potere perché non si ripetano e perché, in caso di difficoltà, sia utilizzato il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione.
Pier Antonio Panzeri (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, le questioni poste nella comunicazione da parte del Commissario sono molto importanti. Di fronte ai cambiamenti intervenuti, e che sono ancora in atto, negli assetti produttivi nazionali ed europei, si pone per l’Europa il problema del governo dei processi di ristrutturazione industriale, che hanno ricadute pesantissime sui lavoratori e nei diversi territori.
L’onorevole Harbour si chiedeva poco fa quale possa essere il tema del futuro, la mia risposta è questa: “Il tema del futuro è come governare questi processi”. Ormai sono molti i casi intorno ai quali si stanno determinando problemi, che vanno sotto il nome di delocalizzazione, non rispetto degli accordi sindacali, perdita di posti di lavoro.
Dal caso di General Motors a quello di tante piccole e medie realtà sino a ciò che sta avvenendo, ad esempio, nello stabilimento piemontese della Eaton, azienda nella quale il processo di ristrutturazione e il non rispetto delle intese sindacali stanno mettendo a serio rischio i posti di lavoro. Per questo è necessario assumere un preciso orientamento europeo, che si riconosca nell’idea di un governo effettivo di questi processi, anche per dare maggiore coerenza agli stessi obiettivi di Lisbona e allo stesso dialogo sociale, ritenuto uno dei pilastri di questa strategia.
L’invito è, dunque, quello di trovare una posizione comune per dare forza e sostanza alla stessa azione delle Istituzioni europee, a partire dal Parlamento, in questo campo.
Vorrei sottolineare un ultimo aspetto: appare oggi del tutto evidente che il tema delle ristrutturazioni richiede una revisione degli strumenti comunitari a disposizione. Un solo esempio – e vorrei sentire l’opinione del Commissario in proposito – se si vogliono davvero governare questi processi è ineludibile l’esigenza di rafforzare e riformare i comitati aziendali europei. C’è bisogno di un aggiornamento della direttiva, se vogliamo rispondere alle nuove esigenze in materia.
Mi auguro che su questo si trovi una posizione comune da parte di tutto il Parlamento e da parte della Commissione.
PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA Vicepresidente
Joel Hasse Ferreira (PSE). – (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la situazione di Azambuja è allarmante. Migliaia di lavoratori, alcuni dei quali sono oggi presenti in Aula, rischiano di perdere il posto di lavoro. Questo vale anche per migliaia di lavoratori delle aziende dell’indotto e per le loro famiglie nella regione di Azambuja e nelle aree circostanti, nonché per i lavoratori di General Motors stessa.
Mi sono recentemente incontrato con la rappresentanza dei lavoratori portoghesi, con il sindaco e con la collega, onorevole Madeira, ma vorrei anche evidenziare che il problema ha una portata più ampia, che si estende a livello europeo. Sappiamo che General Motors ha incontrato difficoltà di natura strategica e ha chiesto l’intervento della Renault Nissan nella gestione. Questo non solleva tuttavia la società dalle sue responsabilità.
La risoluzione che abbiamo presentato mette General Motors di fronte alle sue responsabilità in Europa e descrive con grande chiarezza quello che sta avvenendo nella regione di Azambuja. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i cambiamenti strategici e le ristrutturazioni aziendali devono tenere conto del fatto che i lavoratori sono esseri umani e non solo fattori della produzione. L’Unione europea deve avere una strategia chiara, deve disporre di strumenti più idonei ad affrontare tali problemi, se vuole avere un modello sociale europeo che funzioni correttamente. La risoluzione che abbiamo presentato è un passo in tale direzione.
Jamila Madeira (PSE). – (PT) La situazione alla quale hanno fatto riferimento gli oratori precedenti è direttamente vissuta dai lavoratori di General Motors in Portogallo. E’ purtroppo una storia nota in questi ultimi tempi nell’Unione europea, come è già stato ricordato in quest’Aula.
Le imprese ricevono aiuti e incentivi dallo Stato e dalla Comunità per insediarsi in una data regione e in un dato paese, e poi delocalizzano, contravvenendo alle regole di condotta in vigore, senza alcun rimorso o rispetto per le centinaia o migliaia di lavoratori, e spesso intere famiglie, che sono licenziati senza il minimo indugio. La ricerca di facili ed elevati utili e il fenomeno della globalizzazione non possono giustificare la tragedia economica e sociale che colpisce gli anelli più deboli della catena economica.
Signor Commissario, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, adottato nella riunione del Consiglio europeo di dicembre, non ha né il mandato né la capacità di evitare tutte le situazioni che si sono create in Europa. E’ un fondo internazionale studiato per un numero limitato di licenziamenti e di paesi a seguito delle trasformazioni del commercio mondiale. E’ necessario fare di più. Affinché ciò sia possibile, l’Unione europea deve definire chiaramente il piano d’azione che deve essere portato avanti dalle aziende manifatturiere in Europa e dalle imprese che cercano di raggiungere con i loro prodotti questo mercato di 455 milioni di consumatori. Per poter dare l’esempio al mondo, dobbiamo cominciare ad esigere il rispetto del modello sociale europeo e il rispetto dei diritti umani, e farlo in modo diverso.
Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, consentitemi ancora due brevi osservazioni. Per quanto riguarda il caso specifico che ha prevalso negli ultimi interventi, ossia quello di Azambuja, l’asserzione secondo cui l’impresa in questione sta realizzando utili enormi a spese dei suoi dipendenti e del contribuente europeo sarebbe piuttosto difficile da convalidare, perché l’epoca in cui General Motors era in attivo fa ormai parte del passato, sia in Europa sia in altre regioni del mondo. Se non erro, l’anno scorso è stata registrata una perdita di dieci miliardi di dollari, che in ogni caso non è una somma irrilevante. Questo caso deve essere pertanto valutato in modo un po’ diverso dai casi che aveva probabilmente in mente l’onorevole Martin Schulz, quando ha fatto riferimento a certe forme di capitalismo moderno, che hanno effettivamente conseguenze sociali nocive, come nessuna persona ragionevole potrà negare.
Secondo: in questo Parlamento c’è evidentemente un consenso in merito al fatto che il cambiamento strutturale è inevitabile e che non lo si può accettare passivamente come si accetta il bello o il cattivo tempo, ma che si può fare qualcosa quando intervengono cambiamenti strutturali – anzi si deve fare qualcosa, perché ne va del benessere delle persone. La cosa fondamentale che può fare oggi una moderna politica economica è impostare il cambiamento strutturale in modo che le persone non siano più vittime abbandonate sul ciglio della strada. E questo è proprio l’obiettivo della nostra politica.
Sono state presentate alcune proposte molto interessanti. Vorrei concentrarmi almeno su una di esse e sottolineare con forza che anch’io sono personalmente convinto che il rafforzamento dei diritti dei lavoratori in Europa consentirebbe di gestire in modo più positivo il cambiamento strutturale.
Presidente. – A conclusione della discussione, comunico d’aver ricevuto cinque proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento(1).
11. Potenziare la ricerca e l’innovazione - Investire per la crescita e l’occupazione (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0204/2006), presentata dall’onorevole Pilar del Castillo Vera a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, sull’attuazione del programma comunitario di Lisbona. Potenziare la ricerca e l’innovazione – Investire per la crescita e l’occupazione [2006/2005(INI)].
Pilar del Castillo Vera (PPE-DE), relatore. – (ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la relazione in discussione è strettamente correlata con il tema appena dibattuto.
Fino a ora abbiamo parlato delle conseguenze delle ristrutturazioni, principalmente nel settore industriale, sulle economie europee e in particolare sui lavoratori. La relazione che stiamo per discutere riguarda le misure, gli orientamenti e le politiche che possono incidere positivamente sulla situazione occupazionale dei lavoratori di aziende che chiudono o si trasferiscono.
La relazione che ci accingiamo a discutere riguarda l’elemento fondamentale di ogni possibile soluzione di questo problema, un elemento decisivo per lo sviluppo delle economie europee e dunque per le prospettive di progresso delle società europee: il concetto di innovazione.
Innovazione è la parola chiave: è il concetto che ci può offrire una possibile soluzione alle questioni trattate nel corso della precedente discussione oppure che, al contrario, può allontanarci definitivamente da tale soluzione.
In tale contesto e nella prospettiva più ampia del rilancio dell’agenda di Lisbona, la Commissione ha presentato una relazione che mirava a integrare tutta una serie di decisioni, che sono state adottate dal 2000 fino a qualche tempo fa in materia di innovazione e che propongono varie misure per migliorare l’innovazione nelle economie europee.
Desidero riferirmi a tre aspetti essenziali oggetto della mia relazione. In primo luogo l’istruzione e la formazione, e aggiungerei la forma mentis, perché esiste un problema di fondo che riguarda l’atteggiamento nei confronti dell’innovazione. In secondo luogo l’organizzazione, ai fini di una maggiore efficacia nella realizzazione dell’innovazione e in terzo luogo il finanziamento.
Credo che l’istruzione e la formazione siano fondamentali, come hanno sottolineato alcuni colleghi intervenuti nel precedente dibattito. La formazione lungo tutto l’arco della vita, la formazione flessibile, la formazione che consente di adattarsi alle nuove necessità del mercato sono assolutamente essenziali se vogliamo una società in cui esistano opportunità effettive per tutti, in tutte le fasi di cambiamento.
Inoltre sono convinta che esista un problema fondamentale di mentalità. Una società che ha rinnegato i valori della capacità imprenditoriale, dell’impegno, dell’essere esigenti con se stessi e, in ultima analisi, dell’innovazione – che è legata a tutti questi fattori – non potrà sopravvivere.
In tal senso ritengo, onorevoli colleghi, che dobbiamo essere pienamente consapevoli di ciò che ci troviamo ad affrontare. Alcuni sono dietro di noi, altri hanno accumulato una lunga serie di successi, mentre la società europea, o buona parte di essa, si lecca costantemente le ferite, si lamenta in continuazione, con il risultato paradossale che alla fine sono proprio i più malconci a ritrovarsi nella situazione peggiore.
Per tale ragione è indispensabile promuovere un cambiamento di mentalità, per restituire il posto che meritano a quei valori che hanno fatto delle società europee grandi società che progredivano ed erano all’avanguardia in tutte le attività umane.
Credo, in tutta franchezza, che ciò sia fondamentale, e tra tutti gli aspetti che potremmo dibattere e che sono contenuti in questa e in altre relazioni, oggi vorrei soffermarmi su questa dimensione essenziale: dobbiamo arrivare a un grande accordo, un grande patto, tra Parlamento europeo, Commissione e Consiglio, affinché i valori dell’impegno, dell’essere esigenti con se stessi, dello spirito d’azione, dell’imprenditorialità siano infusi negli europei fin dalla nascita e dall’età della formazione; in caso contrario rimarremo indietro. Il tempo corre anche qui. Se non andiamo avanti, le società europee perderanno terreno e la responsabilità sarà in buona parte nostra.
Günther Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, questa discussione si inserisce senza soluzione di continuità nel dibattito che si è appena tenuto sull’industria automobilistica come esempio delle ristrutturazioni.
Abbiamo convenuto che le ristrutturazioni sono un fenomeno che ci accompagna da lungo tempo e continuerà ad accompagnarci. Ho anche avuto la sensazione che la maggior parte degli onorevoli parlamentari presenti in quest’Aula siano del parere che la risposta corretta alle ristrutturazioni sia l’innovazione. Le ristrutturazioni intervengono quando un prodotto o un procedimento non è più abbastanza moderno. La reazione non può essere quella di farsi da parte e lasciare il campo ad altri, bensì di opporsi a questa concorrenza tramite l’innovazione.
La Commissione vorrebbe fare in modo che la capacità e la disponibilità a innovare siano intese come un principio ispiratore dell’Unione europea a livello politico, sociale ed economico. Non si tratta meramente di un esercizio tecnico; l’innovazione è un concetto che innanzi tutto dev’essere recepito a livello di intelletto e di volontà. In ciò rientra anche la disponibilità ad accettare il cambiamento. Abbiamo posto l’innovazione al centro della nostra strategia per la crescita e l’occupazione per un buon motivo: perché un ordine economico non protezionistico, basato sulla libertà, non può sopravvivere se non tramite l’innovazione.
Tale ordine economico presuppone una società che sostiene e stimola l’innovazione, e un contesto politico che la promuove. E’ esattamente quello che facciamo intervenendo a due livelli. Anzitutto a livello di Stati membri, ed è assolutamente importante che, nei programmi nazionali di riforma per realizzare la strategia di Lisbona, le iniziative e le politiche di innovazione comincino ad avere un forte peso e che quest’anno la Commissione attribuisca la massima priorità al tema dell’innovazione nella rivalutazione della strategia di Lisbona.
A livello di Unione europea abbiamo presentato di recente un’ampia gamma di iniziative che perseguono tutte l’obiettivo di promuovere l’innovazione: dalle regole per le sovvenzioni, le quali – come è stato espressamente chiesto in precedenza nella discussione – sono specificamente mirate all’innovazione, fino agli strumenti finanziari generali per la creazione di imprese nuove e innovative e agli strumenti per un più razionale utilizzo della proprietà intellettuale e per accrescere le capacità di ricerca e sviluppo.
Puntiamo a una politica dell’innovazione integrata. Sono lieto di poter riferire che ieri, nell’incontro tra la Commissione e la Presidenza finlandese per preparare il programma della Presidenza per il secondo semestre 2006, l’innovazione era il primo dei temi in agenda ed è stato trattato come il tema più importante. Confido che proprio la Presidenza finlandese sia particolarmente adatta a portare avanti tale tematica, in quanto la Finlandia è un ottimo esempio di politica dell’innovazione determinata, mirata e intelligente che riesce a modernizzare sistematicamente un paese rendendolo competitivo a livello internazionale.
Sono sempre favorevole a imparare dal buon esempio altrui ed è quanto dovremmo fare anche in questo caso.
Maria Matsouka (PSE), relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. – (EL) Signor Presidente, a nome della commissione per l’occupazione e gli affari sociali desidero innanzi tutto congratularmi con la relatrice e ringraziarla per aver incluso nella sua relazione, quasi senza modifiche, la posizione della nostra commissione.
La promozione della ricerca tecnologica e l’acquisizione di conoscenze scientifiche sono le sfide maggiori per l’Europa nel XXI secolo. Ciononostante, la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione sono definite procedure complicate, esigenti e costose, che richiedono una particolare gestione politica, economica e sociale. Pertanto, per raggiungere questo specifico obiettivo è necessario, tra le altre cose, applicare decisioni pionieristiche e progettare programmi di investimento ad alto rischio.
Tuttavia, l’esigenza principale è mobilitare la creatività delle comunità e la partecipazione dinamica dei lavoratori alla produzione e alla riproduzione di conoscenze scientifiche e al nuovo potenziale che esse offrono.
Questa conclusione potrebbe essere immediatamente dimostrata nelle quattro linee di azione seguenti:
– migliorando costantemente le infrastrutture e l’azione degli istituti d’istruzione e dei centri di ricerca, dato che la forza trainante dello sviluppo è l’acquisizione di conoscenze da parte dell’uomo;
– diffondendo le conoscenze scientifiche nell’ambito della produzione, ridefinendo sia le infrastrutture che le abilità e qualifiche dei lavoratori,
– attuando una politica di crescita dell’occupazione e di equa ridistribuzione dei redditi, dato che la produttività elevata e la povertà producono recessione e disoccupazione,
– riducendo in modo sensibile l’orario di lavoro, così che i lavoratori riconquistino uno spirito creativo e recuperino l’equilibrio perduto tra lavoro e vita familiare.
La rivoluzione tecnologica presenta due prospettive economiche e sociali opposte: da un lato la sfida creativa e, dall’altro, la minaccia di diffuse disuguaglianze. La produzione e lo sfruttamento di conoscenze scientifiche devono mettere in evidenza, ancora una volta, l’Europa dello sviluppo, della conoscenza, della solidarietà e dell’uguaglianza; la realizzazione di tale obiettivo dipenderà dalle nostre scelte politiche.
Guy Bono (PSE), relatore per parere della commissione per la cultura e l’istruzione. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, consentitemi di congratularmi a mia volta con l’onorevole del Castillo Vera per il lavoro che ha svolto su questo argomento così importante per il futuro dell’Unione; a nome della commissione per la cultura e l’istruzione, vorrei richiamare la vostra attenzione su tre punti.
Il primo riguarda la ricerca. Mi preme ricordare, ancora una volta, il ritardo accumulato dall’Unione nella realizzazione della strategia di Lisbona nell’ambito dell’istruzione e della formazione. L’avevo peraltro sottolineato ampiamente nella mia relazione dal titolo. “L’istruzione, pietra miliare del processo di Lisbona”, adottata nello scorso ottobre. Non si può che constatare l’eccessiva lentezza in un ambito che, invece, come sottolineava il Commissario, dovrebbe costituire una priorità per il futuro dell’Unione europea.
Il secondo aspetto concerne il ruolo delle università nella ricerca e la fuga dei cervelli. Credo che sia vieppiù necessario sottolineare il ruolo capitale svolto dalle università nella creazione e nella diffusione della conoscenza. A tale riguardo raccomandiamo vivamente di rafforzarne l’importanza sviluppando le sinergie tra l’insegnamento superiore, la ricerca, la formazione lungo tutto l’arco della vita e il settore produttivo. E’ urgente che l’Unione europea lotti efficacemente contro la fuga dei cervelli e ponga in atto tutte le misure del caso per attirare l’eccellenza nel proprio territorio.
Infine, l’ultimo punto che desidero sottolineare riguarda la creazione di posti di lavoro. E’ altrettanto urgente che gli Stati membri utilizzino meglio i fondi europei loro attribuiti. Vorrei attirare l’attenzione sugli Stati membri che, giustamente, hanno posto la creazione di posti di lavoro al centro dei loro progetti, investendo oltre il 35 per cento degli stanziamenti a titolo del Fondo sociale europeo nella modernizzazione dei loro sistemi d’istruzione e di formazione.
Jerzy Buzek, a nome del gruppo PPE-DE. – (PL) Signor Presidente, stiamo parlando di crescita e occupazione, ovvero della strategia di Lisbona. La ricerca e l’innovazione sono parte integrante del successo della strategia di Lisbona, come pure la collaborazione tra scienza e industria, in altri termini un’economia basata sulla conoscenza. La relazione dell’onorevole del Castillo Vera, per la quale mi congratulo con la collega, e le proposte della Commissione europea evidenziano in modo accurato le lacune dell’Europa.
Innanzi tutto, mancano le risorse finanziarie. Nel quadro finanziario 2007-2013, il paragrafo 1a, relativo alla competitività, è quello che ha subito i tagli maggiori, pari quasi alla metà. Occorre insistere sul fatto che il successo dell’Europa non è possibile senza investimenti nella ricerca e nell’innovazione. Dobbiamo aumentare i fondi a favore della scienza e delle nuove tecnologie in tutti i paesi. Questo compito è l’obiettivo in assoluto più importante per tutto il Consiglio europeo e per le future Presidenze. I bilanci nazionali non sono meno importanti dei bilanci europei. In secondo luogo, non riusciamo a estendere e condividere le conoscenze. E’ vitale creare un reale partenariato tra gli Stati membri e al loro interno, per sfruttare il potenziale di tutta l’Unione nel quadro di grandi consorzi. E’ cruciale creare una zona europea di ricerca e innovazione – innovazione è una parola importante in questo senso – e ottimizzare l’uso delle risorse. Soltanto la trasparenza e lo scambio di informazioni possono assicurare la sinergia tra diversi programmi a livello nazionale, regionale e di Unione. Per conseguire tale scopo è necessario creare un programma informatico unico per tutta l’Unione.
Tuttavia esiste un’altra chiave per il successo della strategia di Lisbona: un vero mercato unico dei beni, della manodopera, dei servizi e dei capitali. Senza un mercato unico sarà difficile ottenere il successo nella ricerca e nell’innovazione, nella scienza e nelle nuove tecnologie. Soltanto un reale mercato unico ci offrirà migliori opportunità di crescita e occupazione.
Britta Thomsen, a nome del gruppo PSE. – (DA) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la ricerca e lo sviluppo sono determinanti per aumentare il potenziale di crescita europeo e per creare nuova occupazione. L’UE non può diventare competitiva riducendo i salari, ma deve puntare sullo sviluppo delle nuove tecnologie e del capitale umano. Nonostante l’obiettivo della strategia di Lisbona di rendere l’Europa la regione più dinamica del mondo basata sulla conoscenza, l’Europa continua ad arrancare dietro agli Stati Uniti e al Giappone in materia di ricerca e innovazione. A mio avviso, in questa relazione si devono indicare chiaramente i settori nei quali l’Europa dimostra di non essere all’altezza degli obiettivi che si è prefissata. L’Europa non crea abbastanza conoscenza, non la diffonde in modo efficace e non la finanzia sufficientemente.
La ricerca è importante, ma dobbiamo anche tenere presente che la maggioranza delle imprese europee non sono “gazzelle” dell’high-tech, ma piccole imprese tradizionali. Le imprese devono anche essere innovative e sfruttare meglio le nuove opportunità di mercato per nuovi prodotti, nonché individuare nuovi processi aziendali che consentano un migliore sfruttamento del potenziale dell’organico. La relazione offre un’ampia prospettiva sullo sviluppo della conoscenza. Mi rallegro particolarmente per l’accesso integrato alla politica del mercato del lavoro e dell’istruzione, perché soltanto associando le condizioni di innovazione delle imprese alla politica sociale, dell’istruzione e del mercato del lavoro possiamo creare spazio per il potenziale creativo dei dipendenti. Una forza lavoro altamente qualificata si adatta meglio alle esigenze aziendali che cambiano rapidamente, e l’istruzione contribuisce anche alla diffusione del sapere. L’Europa ha bisogno di maggiori e migliori investimenti nell’istruzione.
Desidero inoltre sottolineare che considero le pari opportunità una dimensione assolutamente centrale della strategia di Lisbona dell’Unione europea. Non possiamo permetterci di prescindere dalla prospettiva di genere se vogliamo raggiungere il nostro obiettivo per la competitività dell’UE. Secondo le stime, l’Unione può attirare e formare tra 600 000 e 700 000 nuovi ricercatori per soddisfare il nostro fabbisogno di ricerca, e tale cifra non tiene conto del numero elevato di anziani che si ritirano dal mercato del lavoro. Non possiamo assolutamente permetterci di rinunciare al potenziale di ricerca rappresentato dall’altra metà del cielo.
Infine vorrei osservare che, dal mio punto di vista, nella nostra strategia dell’innovazione dovremmo integrare la sostenibilità in termini di ambiente e inclusione sociale. La sostenibilità dovrebbe essere un principio fondamentale, per garantire che l’UE progredisca e abbia una visione globale e di lungo respiro. In questo senso l’Europa ha un chiaro vantaggio che può contribuire a raggiungere gli obiettivi fissati nella strategia di Lisbona.
Jorgo Chatzimarkakis, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, Commissario Verheugen, lei si è espresso in merito al tema dell’innovazione. In questi giorni in cui si sta disputando il Campionato mondiale di calcio, questo tema evoca l’immagine dei giapponesi che hanno giocato splendidamente fino all’area di rigore, ma poi non hanno segnato neanche un goal. Oppure viene in mente la partita tra Brasile e Ghana, nella quale i giocatori ghaniani forse hanno offerto la prestazione migliore fra tutte le squadre africane, ma non sono riusciti ad andare in rete. In fatto di innovazione, lo stesso si può dire di noi europei: siamo brillanti quando si tratta di inventare qualcosa, siamo bravissimi a scendere fino al limite dell’area avversaria, ma non riusciamo a segnare.
Per questo motivo sono grato a lei, signor Commissario, e anche alla relatrice, per questa relazione e per le sue parole. Desidero rivolgere un encomio anche alla relatrice, che in commissione ha avuto a che fare con maggioranze altalenanti. Per questo motivo la relazione presenta luci e ombre e desidero cominciare da queste ultime.
Innanzitutto la questione relativa al diritto dei brevetti. Si invitano chiaramente gli Stati membri a porre fine, una volta per tutte, alla controversia sul regime linguistico affinché si realizzi il brevetto europeo. La formulazione è troppo debole. E’ in gioco, infatti, molto di più che il regime linguistico: si tratta di trovare una combinazione abile, interessante e intelligente tra la Convenzione di Londra e il patent litigation system, cioè un sistema di composizione delle controversie che preveda chiaramente la creazione di un Tribunale competente in materia di diritto dei brevetti.
Un altro punto importante concerne gli obblighi imposti alle PMI in termini di presentazione di relazioni. Sollecitiamo la Commissione a creare un sistema di relazioni per misurare il potenziale d’innovazione. In questo modo però creiamo evidentemente nuova burocrazia. Se invitiamo la Commissione a chiedere tali relazioni, essa le esigerà dalle piccole e medie imprese che, di conseguenza, subiranno un ulteriore onere burocratico. Questa è il modo sbagliato di procedere.
E’ corretto invece adottare i punti che troveranno in Aula un’ampia maggioranza: per esempio la promozione dell’imprenditorialità in Europa, la comprensione e l’accettazione del fatto che nel mondo delle imprese può esistere anche il fallimento, un atteggiamento diffuso nel mondo anglosassone. Oppure le misure per impedire che buoni ricercatori, buoni innovatori, emigrino dall’Europa; le infrastrutture necessarie per favorire la reintegrazione dei ricercatori europei: sono numerosissimi i ricercatori nel mondo che tornerebbero in Europa volentieri. Oppure sovvenzioni supplementari per piccole e medie imprese particolarmente creative.
Il Parlamento insieme alla Commissione ha approvato il programma per l’innovazione e la competitività (CIP) – sono grato a tutti perché la decisione è stata adottata in prima lettura – tramite il quale mettiamo a disposizione anche finanziamenti di preavviamento, cioè capitale di rischio per questa specifica fase iniziale.
Naturalmente non possiamo dimenticare gli standard. Mi rallegro che sia stata ripresa tale questione, poiché tramite la definizione di norme e migliori meccanismi di normalizzazione si possono moltiplicare i successi come per esempio nel caso dei GSM, il cui iniziatore è stato il Commissario Bangemann.
La strategia di Lisbona non è morta, ma io preferirei Liverpool, perché il processo di Liverpool significherebbe che, anche se nella finale di Coppa dei Campioni ci trovassimo in svantaggio per 3 a 0 alla fine del primo tempo, potremmo ancora vincere la partita. E’ proprio questa la nostra situazione.
David Hammerstein Mintz, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signor Presidente, per proseguire con la similitudine calcistica, abbiamo anche visto una squadra come il Brasile, che ha messo in campo grandi giocatori – giocatori straordinari – ma non ha espresso un gioco di squadra.
In materia di innovazione, bisogna giocare insieme, grandi e piccoli. La squadra è l’Europa e dobbiamo unificare i nostri sforzi per vincere.
Desidero congratularmi con la collega, onorevole del Castillo Vera, per l’eccellente relazione, e ringraziarla per la sua apertura e disponibilità a integrare la formulazione di questa proposta.
Vorrei altresì insistere su tre aspetti: primo, nell’ambito dell’innovazione piccolo è bello. Se vogliamo creare occupazione stabile, se vogliamo diffondere una nuova cultura a favore dell’innovazione, quest’ultima deve entrare nelle migliaia e migliaia di PMI in tutta Europa. Per tale motivo la relazione raccomanda un’attenzione particolare a tale riguardo, per garantire la partecipazione delle piccole e medie imprese e per poter conseguire il cambiamento necessario in materia di innovazione.
In secondo luogo, vorrei ricordare che innovazione è anche sinonimo di apertura. Essa significa promozione del flusso dell’informazione, significa che abbiamo bisogno di una strategia di innovazione nella quale vi sia un equilibrio tra protezione della proprietà industriale e libera diffusione delle conoscenze tecniche, nonché una concorrenza libera e senza barriere. Così potremo promuovere la solidarietà, il sapere e una maggiore coesione sociale.
Da ultimo vorrei dire che l’innovazione è verde. Innovare significa introdurre nuovi metodi per rafforzare l’efficienza energetica, le ecotecnologie, la produzione pulita, per ottenere un’economia più competitiva e che crei maggior benessere ambientale e sociale.
Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL. – (SV) Signor Presidente, signor Commissario, non riprenderò la metafora calcistica. Vorrei, invece, dire che la strategia di Lisbona non è riuscita a creare crescita e occupazione. I politici spesso accusano la globalizzazione, come se fosse un fenomeno anonimo sul quale non è possibile esercitare alcun influsso. Non è così. Nella sostanza sono le decisioni politiche a governare l’impatto della globalizzazione. Gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo sono investimenti nel futuro.
La relazione, tuttavia, si riferisce a tutti i settori nei quali l’Unione europea, fino a oggi, ha fallito in termini di ricerca e sviluppo. Essa pone in rilievo fattori che sono significativi ai fini di un cambiamento di tale situazione. Desidero sottolineare che alla base di ogni successo nella ricerca e nello sviluppo c’è un’ampia libertà all’interno della ricerca, con il minimo di regolamentazione e controllo: ciò significa libertà per i singoli ricercatori, ma anche libertà per l’aiuto statale e regionale alla ricerca e allo sviluppo. E’ a questo livello che si trova spesso la conoscenza. Per questo motivo la regolamentazione complessiva che è stata proposta dà adito a qualche preoccupazione: la ricerca non ha bisogno di ulteriori regole, ma di maggiore libertà e maggiori risorse.
Come tutte le altre politiche, la politica per la ricerca e lo sviluppo non è neutrale dal punto di vista del genere. Le ricercatrici si scontrano con grandi difficoltà, per quanto riguarda sia il reclutamento di nuovi ricercatori sia l’accesso ai capitali. Questa distribuzione iniqua ovviamente produce conseguenze gravi per la ricerca e lo sviluppo. Se vogliamo che il programma di ricerca e sviluppo che fa capo alla strategia di Lisbona abbia successo, dobbiamo sfruttare le capacità delle ricercatrici. Sostengo l’idea avanzata nella relazione che la ricerca futura dovrà considerare prioritari l’ambiente e lo sviluppo sostenibile. Unitamente allo sfruttamento delle abilità delle ricercatrici questo potrebbe fare la differenza tra successo e fallimento.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, nell’era dell’innovazione è necessario continuare a promuovere lo sviluppo e la ricerca, perché le tecnologie tradizionali invecchiano rapidamente. Non possiamo rimanere statici, ma abbiamo bisogno di continui progressi. E’ una verità lapalissiana che tutti conosciamo.
Notoriamente il nostro impegno in termini di ricerca e sviluppo da anni è arretratissimo rispetto a Stati Uniti e Giappone che sono leader in questo settore. Anche se questa tendenza comincia lentamente a modificarsi, molto rimane ancora da fare. Occorre creare condizioni più favorevoli per l’innovazione e a tal fine abbiamo bisogno di nuove leve di ricercatori competitivi a livello mondiale. Il basso numero di laureati in discipline tecniche e scientifiche e la fuga di cervelli verso sistemi economici concorrenti, che esercitano un forte potere d’attrazione offrendo la possibilità di condurre ricerche in piena autonomia, dovrebbero indurci a riflettere, tanto quanto i problemi che le nostre università incontrano per trattenere il personale docente qualificato.
Inoltre dobbiamo finalmente sostenere le nostre piccole e medie imprese che hanno il maggiore potenziale di innovazione e creazione di posti di lavoro; in caso contrario, esse ridurranno le attività di ricerca e sviluppo, perché non sono in grado di beneficiare dei complicati programmi di investimenti dell’Unione europea.
Nikolaos Vakalis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, accolgo favorevolmente il nuovo approccio con cui la Commissione esamina la ricerca europea alla luce delle tendenze sul fronte dell’innovazione. Vorrei congratularmi con l’onorevole del Castillo prima di commentare due punti, che, a mio parere, dovrebbero rafforzare lo slancio dell’innovazione in Europa.
Primo: le piccole e medie imprese dovrebbero essere messe in rete con le grandi imprese e l’industria. Perchè? Perché le piccole imprese sono particolarmente innovative, spesso più delle grandi imprese. Tuttavia dispongono frequentemente di una scarsità di finanziamenti stabili e adeguati, mentre l’industria e le grandi imprese hanno capitali, ma non sempre sono disponibili a investire tempo e risorse umane nella sperimentazione. Di conseguenza, queste joint venture potrebbero comportare grandi vantaggi tanto per le piccole quanto per le grandi imprese.
Secondo: è necessario insistere maggiormente sugli appalti pubblici. Perchè? Perché i contratti per gli appalti pubblici – secondo me – possono aumentare la domanda e fungere da rimedio per i vuoti e i fallimenti del mercato. Perché, tra le altre cose, ritengo che sia necessario prendere seriamente in considerazione la possibilità di indire gare europee aperte, in linea con il modello americano corrispondente. Di conseguenza gli Stati membri e la Commissione devono sondare le opportunità esistenti.
Infine, signor Commissario, vorrei cogliere l’opportunità di questa relazione per rivolgere una domanda: quali strutture europee attualmente sostengono l’innovazione nell’Unione europea? Non sono forse necessarie altre iniziative?
Reino Paasilinna (PSE). – (FI) Signor Presidente, signor Commissario, sono grato per l’eccellente relazione. A dispetto dei bei discorsi, in Europa si continua a non investire abbastanza in ricerca e sviluppo; gli ultimi dati mostrano che stiamo ancora arrancando rispetto agli Stati Uniti e al Giappone, mentre i nuovi concorrenti guadagnano rapidamente terreno, come è stato detto poc’anzi.
Tuttavia, i finanziamenti da soli non bastano per trasformare la ricerca di più alto livello in innovazione e occupazione; dobbiamo creare un clima innovativo, come ha indicato anche il signor Commissario. Sarà proprio questo infatti il tratto saliente della società industriale moderna. Non basterà entrare in gioco, non vincerà chi corre più veloce, ma chi è più veloce a pensare. Tutto dipenderà dal nostro atteggiamento e dalla nostra disponibilità ad abbracciare una strategia coerente e tesa a conseguire dei risultati. Quando mancano un clima innovativo, risorse finanziarie e strategia, la sconfitta è assicurata. La pubblica amministrazione, le università e le imprese devono mettere in comune i propri punti di forza e specializzarsi. In realtà, il problema risiede nel fatto che gli Stati membri sono separati da differenze enormi, mentre varia notevolmente la velocità a cui le cose viaggiano.
La creazione di un mercato unico dei ricercatori è un obiettivo che merita sostegno. I migliori ricercatori devono lavorare lì dove possono operare al meglio per la ricerca e l’innovazione. Grazie a diversi programmi comunitari speciali, come il premio Descartes e il premio Aristotele, si è intensificata la mobilità dei ricercatori, ma permangono barriere che in effetti spingono i ricercatori a trasferirsi all’estero. La politica europea per la ricerca deve pertanto prevedere investimenti per migliorare le condizioni di lavoro dei ricercatori. In questo modo riusciremo a dar vita a una competitività basata sull’innovazione. Attraverso il suo stesso esempio, la Finlandia ha dimostrato che è possibile costruire una competitività fondata sulla ricerca e sull’innovazione in una società improntata allo Stato sociale.
Arūnas Degutis (ALDE). – (LT) Desidero ringraziare l’onorevole Pilar del Castillo Vera per aver preso l’iniziativa di affrontare questioni tanto importanti per l’Europa.
Mi preme sottolineare che l’informazione è un fattore fondamentale su cui l’Europa può far leva per incrementare il proprio vantaggio competitivo sulla scena internazionale. L’Unione europea può contribuire al meglio ad accrescere il potenziale di ricerca scientifica nel continente erogando risorse e garantendo un ambiente competitivo; infatti, per gli Stati membri attuare autonomamente programmi del genere non è solo improduttivo, ma anche troppo oneroso.
L’Unione europea deve contrastare più efficacemente la fuga di cervelli, offrendo condizioni migliori per la ricerca scientifica e finanziamenti più ingenti ai suoi scienziati migliori che altrimenti saranno costretti a trasferirsi negli Stati Uniti.
Anch’io ritengo che le università svolgano un ruolo fondamentale nella creazione e nella diffusione delle conoscenze e che debba essere consolidata la cooperazione tra istruzione superiore, ricerca e settore della produzione.
Per aumentare gli investimenti nella ricerca scientifica, accrescere la competitività europea e creare una maggiore occupazione, servono contributi più cospicui e più efficaci a favore della conoscenza e dell’innovazione. Se, in linea generale, spetta agli Stati membri adoperarsi per favorire un aumento e un uso migliore degli investimenti, nell’opera tesa a creare un mercato comune l’Unione europea deve concorrere stanziando fondi dal proprio bilancio per stimolare così uno sviluppo più rapido della ricerca scientifica e dell’innovazione.
Erna Hennicot-Schoepges, (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, porgo le mie congratulazioni alla relatrice, poiché ha centrato gli aspetti fondamentali e ha parlato di un clima migliore nel suo intervento. A mio parere, il clima della creatività potrebbe essere anche più importante del clima dell’innovazione.
Il Commissario Verheugen confida nell’inventiva della Presidenza finlandese e ne ha tutti i motivi. Se si guarda al sistema d’istruzione finlandese, si nota infatti che il paese ha osato andare oltre “l’impiegabilità”, un termine mostruoso che i burocrati europei hanno coniato per promuovere l’imprenditorialità sin dalla più giovane età.
Inoltre, signor Commissario, credo che la strategia di Lisbona sia un classico esempio del modo di operare del Consiglio, il quale si comporta come l’omino della favola che gettava sabbia negli occhi dei bambini per farli addormentare. Nel 2000 il Consiglio ha lanciato un’idea prestigiosa ma, a distanza di cinque anni, bisogna ammettere che non si è approdati a nulla e che nei bilanci non si è tenuto conto della volontà dei capi di Stato e di governo di aumentare gli stanziamenti per la ricerca.
Invito quindi tutti a fare il proprio lavoro. Sono grata alla relatrice per aver menzionato la relazione annuale del Consiglio europeo in cui si chiede che sia predisposto un monitoraggio su tali stanziamenti, che vengono promessi di anno in anno, ma che stentano a materializzarsi. Sarebbe infatti ora di intervenire sui bilanci in modo da riuscire finalmente a creare sinergie nella ricerca. A questo proposito desidero lanciare un altro appello. Ho avuto modo di notare che il nuovo Consiglio europeo per la ricerca, che sarà istituito nell’ambito del settimo programma quadro, comporterà una mole enorme di burocrazia.
Signor Presidente, signor Commissario, se così fosse, una simile eventualità non corrisponderebbe certo ai desideri del Consiglio e del Parlamento.
Teresa Riera Madurell (PSE). – (ES) Signor Presidente, innanzi tutto mi congratulo con la Commissione per il tempismo con cui ha presentato un documento che delinea azioni concrete e importanti, tese a creare una politica efficace nell’ambito della scienza e della tecnologia al fine di centrare gli obiettivi di Lisbona. Porgo altresì le mie congratulazioni alla relatrice per il testo che ha stilato, il quale formula una diagnosi realistica degli ostacoli che l’Unione europea deve superare affinché tali azioni possano conseguire i risultati attesi.
Nel mio intervento toccherò tre temi. In primo luogo, occorre creare un mercato unico invitante per i ricercatori. E’ chiaro che, per realizzare quanto si è proposta, l’Unione europea ha bisogno di ricercatori con una migliore formazione e deve essere in grado di utilizzare le proprie risorse umane attraverso la promozione della cooperazione transnazionale.
A tal fine dobbiamo contrastare efficacemente la fuga dei cervelli, dobbiamo fornire incentivi ai migliori ricercatori stranieri affinché vengano a lavorare in Europa, dobbiamo promuovere la formazione scientifica tra i giovani, migliorare le condizioni di lavoro del personale addetto alla ricerca, rimuovere gli ostacoli alla mobilità e promuovere i presupposti necessari affinché le donne possano operare nel campo scientifico e tecnologico in una condizione di parità rispetto agli uomini. La metafora del calcio in questo ambito non è calzante, onorevoli colleghi: per compiere dei progressi in maniera intelligente la squadra deve essere mista.
In secondo luogo, tengo a sottolineare la necessità di sostenere le capacità di ricerca delle PMI. In proposito sottolineo l’importanza degli strumenti proposti nel SIP e nel settimo programma quadro per migliorare l’accesso delle PMI ai finanziamenti; infatti la mancanza di risorse è l’ostacolo principale per queste imprese quando puntano ad accrescere la loro capacità di innovazione.
Infine desidero porre l’accento sulla proposta di rafforzare i Fondi strutturali destinati alla ricerca e all’innovazione. Tali Fondi sono destinati a consolidare le strutture per la ricerca e lo sviluppo sulla base della distribuzione territoriale delle risorse attraverso i criteri di convergenza. E’ pertanto importante promuovere il coordinamento tra i vari strumenti comunitari a favore della ricerca e dello sviluppo e lo strumento principe della politica di sviluppo regionale: i Fondi strutturali.
Signor Presidente, sono questi i tre punti che tenevo a sottolineare in relazione a un documento che potrebbe rivelarsi molto utile per il nostro lavoro futuro.
Ján Hudacký (PPE-DE). – (SK) Innanzi tutto desidero ringraziare la relatrice, onorevole del Castillo, per questo documento che copre l’intero spettro delle varie tematiche legate allo sviluppo nel settore della ricerca e dell’innovazione e per le idee che ha avanzato allo scopo di migliorare la situazione attuale.
Nel mio intervento tengo a ribadire l’importantissimo ruolo delle strutture preposte all’attuazione, che possono veramente influire in maniera significativa sulla riuscita futura dei programmi europei di sostegno nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell’innovazione, come il settimo programma quadro e il programma per la competitività e l’innovazione. Il grado di riuscita di tali programmi, cui dedichiamo grandi sforzi, dipenderà poi da quanto essi si attagliano alle esigenze dei gruppi bersaglio, in particolare le piccole e medie imprese, le università, i centri di ricerca e le istituzioni.
Se le informazioni di cui dispongo sono corrette, la Commissione europea, ossia la Direzione generale per le imprese, sta lavorando a un nuovo e più efficace modello di reti a sostegno delle imprese – sulla base degli eurosportelli e dei centri di collegamento per l’innovazione – con l’intento di ridurre il carico burocratico. Le reti esistenti infatti dovrebbero essere ristrutturate mediante l’allestimento di consorzi a livello di NUTS I o NUTS II. I provvedimenti che la Commissione sta mettendo a punto per accrescere l’efficienza e smantellare la burocrazia mi sembrano alquanto appropriati.
D’altro canto, signor Commissario, nell’attuazione di tali provvedimenti la esorto a tener conto dell’esigenza di una più stretta interazione tra imprenditori, centri di ricerca e università da un lato, e istituzioni intermediarie dall’altro. Il livello regionale NUTS II per l’istituzione dei consorzi è il livello minimo possibile per garantire una copertura geografica sufficiente a fronte dell’ampio ventaglio di servizi che si rendono necessari per mettere positivamente in atto la politica europea in tale ambito. Per contro, la scelta del NUTS I, ossia del livello centrale, potrebbe forse ridurre il carico amministrativo per la Commissione, ma non contribuirebbe certo a ridurre la burocrazia a livello nazionale; anzi, per i beneficiari prescelti sarebbe più difficile ottenere un accesso flessibile ai programmi di sostegno, in particolare nelle regioni periferiche.
E’ altresì importante che i consorzi di prossima istituzione garantiscano una gamma completa di servizi di supporto di qualità elevata. L’allestimento di consorzi attraverso la rete comune degli eurosportelli e dei centri di collegamento per l’innovazione, consentirà di erogare servizi più completi e flessibili; in questo modo gli obiettivi originari dei centri rimarrebbero immutati e si realizzerebbe al contempo la tanto necessaria sinergia.
Pia Elda Locatelli (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo innanzitutto con la relatrice del Castillo per la sua relazione. Vorrei affrontare due argomenti: il tema della costruzione dello spazio europeo della ricerca e il tema delle piccole e medie imprese.
Costruire lo spazio europeo della ricerca significa costruire il mercato unico della merce più preziosa: la conoscenza. Per questa ragione dobbiamo dedicare alla sua costruzione la stessa determinazione che l’Europa, nel suo insieme, ha dedicato alla realizzazione dell’Unione monetaria, e del mercato unico delle altre merci.
Tra pochi mesi avvieremo il settimo programma quadro e l’Unione presenta ancora un panorama molto, anzi troppo, variegato di sistemi nazionali e regionali per la ricerca e l’innovazione e, di conseguenza, non c’è gioco di squadra. Questo va a scapito della cooperazione sistematica e dell’efficienza. Se vogliamo realizzare Lisbona, tutti gli attori coinvolti, pubblici e privati, a livello regionale, nazionale e comunitario, dovranno apportare il proprio contributo mediante azioni sinergiche e complementari, sviluppando sistemi, oltre che politiche, coerenti e reciprocamente compatibili.
Per quanto attiene alle piccole e medie imprese, la caduta della produttività e dunque della competitività dell’economia italiana, viene attribuita da più fonti al fatto che in Italia ci sia poca innovazione. Questo perché in molte imprese italiane vi è la percezione di una sostanziale inutilità o superfluità delle nuove tecnologie. Tale fenomeno negativo è connesso alla piccola dimensione delle nostre imprese, la cui media è di circa quattro dipendenti. Tuttavia, se il fenomeno è particolarmente grave nel mio paese, esso riguarda anche gran parte d’Europa; per questo propongo che, oltre alle varie misure di sostegno alle piccole e medie imprese, previste dalla relazione del Castillo – che condivido totalmente – siano avviate iniziative di formazione rivolte specificatamente ai piccoli imprenditori perché sia loro chiaro che l’innovazione è diventata una necessità di sopravvivenza.
Infine, sollecito gli Stati membri e le regioni, mentre riconoscono la ricerca e l’innovazione come una priorità assoluta, a non perdere troppo tempo nelle procedure di recepimento delle normative e nell’avvio dell’attuazione dei vari programmi e azioni, perché il tempo per l’innovazione è prezioso.
András Gyürk (PPE-DE). – (HU) Noi ungheresi siamo fieri di aver dato al mondo una dozzina di Premi Nobel nel corso dell’ultimo secolo. Tuttavia, tendiamo a dimenticare che praticamente tutte queste menti eccezionali hanno ottenuto il prestigioso riconoscimento lontano dalla loro terra. La maggior parte dei nostri scienziati infatti ha avuto questo onore grazie alla ricerca svolta negli Stati Uniti.
Dopo qualche tempo dal loro arrivo presso il famoso centro di ricerca di Los Alamos negli Stati Uniti alcuni scienziati ungheresi cominciarono a essere soprannominati marziani. In seguito lo scherzoso appellativo prese piede in tutta l’America, poiché la loro intelligenza superiore li faceva apparire come creature di un altro pianeta. In realtà, non provenivano da un’altra galassia, ma solo da un altro continente, l’Europa. In virtù delle migliori condizioni di cui godeva la ricerca e delle maggiori gratificazioni che avrebbero potuto avere, essi infatti avevano deciso di portare negli Stati Uniti la conoscenza che avevano acquisito in patria.
E’ un aneddoto che risale al secolo scorso, ma non per questo dobbiamo pensare che la fuga di cervelli si sia arrestata. L’Europa genera ancora le menti più eccezionali. Però, guardando alle rassegne statistiche sulla ricerca e sviluppo, si arriva all’allarmante conclusione che ci troviamo ancora in grave svantaggio in questo settore rispetto a Stati Uniti e Giappone.
La relazione che ci è stata sottoposta indica giustamente che il ritardo è imputabile, in parte, al fatto che l’Europa nella ricerca non produce una massa di risultati sufficiente a trovare applicazione nel comparto commerciale. Il divario tra le conoscenze teoriche e l’applicazione pratica frena gravemente la competitività del continente europeo. D’altro canto, rimane la mancanza di risorse. Infatti, appare già illusorio riuscire a conseguire l’obiettivo di stanziare il 3 per cento del PIL dell’UE alla ricerca entro il 2010.
E’ chiaro allora cosa occorre fare: stanziare più risorse, rafforzare la ricerca applicata e conferire maggiori riconoscimenti ai ricercatori, poiché senza questi interventi l’attuazione della Strategia di Lisbona rimane fuori dalla nostra portata.
Adam Gierek (PSE). – (PL) Signor Presidente, è un paradosso europeo quello di avere un livello elevato di ricerca di base e al contempo un livello relativamente basso di innovazione. In Polonia il fenomeno è in parte riconducibile al fatto che molte branche dell’industria sono state acquisite da imprese straniere, le quali sono dotate di propri istituti di ricerca, di uffici di progettazione e di laboratori nei rispettivi paesi d’origine.
In realtà, la nostra base di ricerca industriale è stata annientata negli ultimi anni. I risultati non sono stati efficacemente tradotti in metodi di produzione razionali, in servizi o in innovazione. La causa è in parte ascrivibile alle multinazionali che puntano a competere proprio sul terreno della ricerca e dell’innovazione. Inoltre gli inventori di nuove idee e di nuovi brevetti hanno difficoltà a trarne un guadagno adeguato. Tra gli altri problemi si annoverano anche lo stallo che investe i potenziali concorrenti comunitari a causa delle multinazionali, come Microsoft, che si avvalgono dei brevetti per proteggersi, le limitate risorse di bilancio e gli scarsi finanziamenti per la ricerca militare.
Per tale ragione dovremmo prima di tutto semplificare i meccanismi che consentono agli inventori di trarre guadagni non solo dalle invenzioni brevettabili ma anche da invenzioni di altro genere. In secondo luogo, dobbiamo limitare il monopolio delle multinazionali che usano i brevetti in loro possesso per bloccare i concorrenti europei. Propongo quindi che, se un brevetto rilasciato nell’Unione europea inibisce la crescita dell’innovazione in un dato settore poiché non viene deliberatamente applicato per un certo periodo, l’idea sottesa all’invenzione sia resa disponibile, gratuitamente, ad altri utenti. In terzo luogo, tutte le grandi imprese dovrebbero essere tenute a usare i loro profitti per creare un fondo dedicato al progresso tecnico in modo da favorire la razionalizzazione e l’innovazione. E’ una soluzione che una volta è stata attuata anche in Polonia. Le piccole e medie imprese, d’altro canto, potrebbero riunire le loro risorse con l’aiuto di organizzazioni quali le camere di commercio.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Signor Commissario, onorevoli colleghi, l’innovazione, la ricerca e la crescita costituiscono la sfida più grande per tutta l’Unione europea. Apprezzo pertanto l’ottimismo e gli sforzi profusi dalla relatrice, che nella sua relazione d’iniziativa ha cercato di identificare modalità nuove per conseguire gli obiettivi della Strategia di Lisbona. Affinché l’Europa possa competere con Stati Uniti e Giappone, paesi all’avanguardia nell’applicazione delle tecnologie d’informazione e di comunicazione, dobbiamo incrementare l’attrattiva delle professioni nel campo della ricerca, offrendo incentivi, un ambiente allettante e programmi di remunerazione atti a motivare gli studenti a dedicarsi alla ricerca nel periodo di formazione universitaria. D’altro canto, gli Stati membri devono svolgere un ruolo speciale nella promozione degli investimenti per la ricerca e l’innovazione, agevolando e ampliando al contempo i partenariati tra pubblico e privato, soprattutto quelli con le università.
La chiave del successo dell’Europa risiede nella vitalità delle PMI, che rappresentano il 65 per cento del PIL europeo. Sono soprattutto queste le imprese che occorre sostenere nel settore dell’innovazione e della ricerca, poiché esse sono i pilastri della crescita dei servizi e dei mercati delle nuove tecnologie. Un presupposto basilare per instaurare un quadro atto a creare un ambiente commerciale favorevole è la disponibilità di finanziamenti sufficienti dal bilancio comunitario. Per esempio, se si incentiva l’impiego di capitale di rischio, si crea la possibilità di accumulare risorse finanziarie per lo sviluppo di idee creative, garantendo la competitività delle imprese nello stadio di avvio delle attività. Dobbiamo ricordarci di alimentare lo spirito imprenditoriale sin dalle prime fasi, in quanto è funzionale all’innovazione e favorisce la domanda dei consumatori di beni e servizi innovativi. E’ essenziale diffondere le informazioni sulla ricerca e l’innovazione presso tutta la comunità delle imprese e dobbiamo quindi creare e sostenere centri informativi anche a livello regionale. Tali centri potrebbero poi contribuire ad accrescere la cooperazione sul piano nazionale e a livello transnazionale. Infine, consentitemi di esprimere un’ultima osservazione: il 2010 si sta avvicinando rapidamente e l’Unione europea deve assolutamente trasformare gli obiettivi della strategia di Lisbona in azioni concrete, e deve farlo al più presto.
PRESIDENZA DELL’ON. KAUFMANN Vicepresidente
John Attard-Montalto (PSE). – (MT) Signora Presidente, gli Stati Uniti e il Giappone hanno palesemente superato l’Europa in tre settori di vitale importanza: la crescita, la ricerca e la produzione.
Sappiamo che l’Europa ha un potenziale molto superiore rispetto al suo livello di sviluppo attuale. Sappiamo anche che i tassi di disoccupazione sono eccessivamente elevati. E abbiamo assunto un atteggiamento per cui puntiamo il dito contro i paesi di recente industrializzazione. Oggi parliamo della Cina, domani dell’India e dopodomani del Brasile. Ma non è questa la verità; la verità è che l’Europa non si è assunta la responsabilità di prendere l’iniziativa e non ha compreso l’importanza del rinnovamento, della ricerca, della tecnologia e dell’informatica.
In realtà ci siamo imposti un obiettivo del 3 per cento del PIL. Ora però ammettiamo che sarà difficile realizzarlo. In ogni caso, e con questo concludo, i paesi che ricevono Fondi strutturali dovrebbero destinare parte di questi finanziamenti al raggiungimento di tale traguardo.
Zdzisław Kazimierz Chmielewski (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, la relatrice ha descritto molto bene la premessa più importante della comunicazione. Ella vi ha intravisto un nuovo stimolo per ravvivare i fondamenti dell’agenda di Lisbona, che nella mente di molti europei rimane il tratto distintivo dell’Unione europea. La comunicazione raccomanda semplicemente all’Unione di continuare a favorire la ricerca e l’innovazione in quanto propulsori vitali del cambiamento nella società contemporanea. E’ un obiettivo che da molti anni viene indicato tre le priorità e che punta, in particolare, a fare dello sviluppo economico uno strumento decisivo per rivitalizzare il mercato del lavoro.
I dieci nuovi Stati membri sostengono senza riserve la creazione di condizioni operative sempre più allettanti per i moderni centri di ricerca europei. Sussistono chiaramente anche alcune preoccupazioni, giustificate dal fatto che permangono barriere legislative e amministrative tangibili per gli scienziati dell’Europa centrorientale che desiderano accedere alla ricerca. Pertanto apprezziamo molto che la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia abbia accolto gli emendamenti che erano stati presentati pensando proprio agli scienziati dell’Europa centro-orientale, specialmente quelli all’inizio della loro carriera.
Va inoltre osservato che la commissione ha dimostrato un grande interesse per i problemi delle piccole e medie imprese. Il documento della relatrice propone altresì di tenere in particolare considerazione la situazione specifica delle microimprese e delle imprese di piccole dimensioni. La comunità scientifica intravede in questo contesto il quadro appropriato per stimolare la Commissione europea a creare una banca dati informativa attraverso cui sia possibile tracciare un quadro della situazione corrente della ricerca scientifica. Ne scaturirebbe altresì una specie di garanzia per la tutela dei diritti di proprietà industriale a fronte delle aspettative crescenti del mondo scientifico.
Questo genere di rinnovata politica economica è volto a creare nuove opportunità in modo da assicurare flessibilità nella scelta degli strumenti economici tesi a conseguire una crescita costante nell’occupazione, in linea con il messaggio che emerge anche dal nostro dibattito.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). – (PL) Signora Presidente, a sei anni dal varo della strategia di Lisbona – concepita per coprire un periodo di dieci anni – è assai difficile definire l’Unione europea l’economia più dinamica del mondo. Raggiungere gli Stati Uniti e il Giappone è ancora una chimera. Non sorprende allora che alle parole non corrispondano i fatti. L’Unione europea stanzia solamente l’1,93 per cento del proprio PIL per la ricerca scientifica e lo sviluppo, mentre la percentuale per gli Stati Uniti e il Giappone è rispettivamente del 2,59 e del 3,15 per cento.
A fronte dello scarso livello di investimenti nella ricerca e nello sviluppo, unitamente alla mancanza di un sufficiente sostegno per l’innovazione, il potenziale di crescita e di occupazione nell’Unione europea non è certo destinato a crescere. Per tale ragione è estremamente importante assicurare risorse di bilancio adeguate per gli strumenti di sostegno a favore delle piccole e medie imprese, come il programma quadro per la competitività e l’innovazione e il programma JEREMIE.
Oltre a promuovere l’imprenditoria e a stimolare l’innovazione, dobbiamo altresì investire in maniera continuativa nello sviluppo scientifico. Agli scienziati devono essere offerte opportunità di carriera e condizioni economiche adeguate per condurre le proprie ricerche. Altrimenti gli istituti degli Stati Uniti e del Giappone continueranno ad attirare gli esperti europei più qualificati, allettandoli con offerte migliori, e saranno questi i paesi per cui essi in futuro otterranno il Premio Nobel.
Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). – (EL) Signora Presidente, l’impiego delle tecnologie e dell’innovazione nell’economia, nelle imprese e negli scambi offre indiscutibilmente un contributo decisivo, in quanto provoca un’impennata nella produttività del lavoro e nella creazione di posti di lavoro nuovi e di qualità. Di conseguenza, la relatrice – cui rivolgo le mie più sentite congratulazioni per la composita presentazione della relazione – sottolinea giustamente che, sebbene le Istituzioni europee riconoscano l’importanza capitale della promozione della ricerca e dell’innovazione, l’Unione europea nel suo complesso non riesce ancora a sfruttare adeguatamente il proprio potenziale tanto in termini di risorse umane quanto in relazione alla capacità di finanziamento.
Tutti i programmi nazionali di riforma identificano ovviamente come una sfida le politiche per la ricerca, l’innovazione e le relative applicazioni. Quanto al finanziamento, a mio parere, più che conseguire l’obiettivo massimo in termini percentuali, è importante riformare i sistemi pubblici di ricerca, operando parallelamente una ristrutturazione e promuovendo l’efficacia delle istituzioni scientifiche universitarie e dei programmi di ricerca; in linea generale, occorre inoltre promuovere l’interesse per la conoscenza e per la ricerca nella riforma dei sistemi di istruzione e mediante programmi efficaci di apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
Per intensificare la ricerca e per diffondere positivamente l’innovazione è altresì importante favorire gli investimenti attraverso joint venture tra pubblico e privato e la cooperazione transnazionale. Insieme al finanziamento statale, la gestione appropriata delle risorse finanziarie comunitarie e dei meccanismi di finanziamento della Commissione, come pure l’accesso agli strumenti di credito della Banca europea per gli investimenti, consentiranno un aumento delle attività di ricerca, soprattutto presso le piccole e medie imprese.
Nel quadro della convergenza regionale sull’introduzione di nuove tecnologie e in vista dello sviluppo e del completamento del mercato unico del lavoro, credo sia opportuno promuovere la partecipazione delle piccole e medie imprese alle piattaforme tecnologiche europee. I risultati però potranno essere massimizzati grazie alla promozione delle risorse umane, attraverso l’eccellenza e mediante una cooperazione creativa tra il settore dell’istruzione superiore e i centri per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, da un lato, e le imprese e il settore della produzione, dall’altro. In questo modo l’Europa sarà in grado di competere sulla scena globale nel campo della ricerca, proprio come sta facendo adesso nel calcio.
Wiesław Stefan Kuc (PSE). – (PL) Signora Presidente, la discussione che si è conclusa pochi minuti fa verteva su argomenti molto simili. Tutti gli oratori hanno descritto molto bene la situazione. Per svilupparsi, bisogna investire. E occorre investire anche nella ricerca scientifica e nell’innovazione. Oltre a rispecchiare questa verità lapalissiana, la proposta di risoluzione del Parlamento contiene un’analisi dettagliata della situazione e indica la direzione su cui si devono innestare gli interventi futuri. Tuttavia, un filo rosso estremamente infausto accomuna tutte le dichiarazioni secondo cui l’Europa non si adopera per acquisire nuove conoscenze, non riesce a condividere la conoscenza e non stanzia un sostegno finanziario al comparto.
Tutto ciò deve cambiare! Dobbiamo cominciare a investire di più nella ricerca di base e dobbiamo ampliare il campo d’azione dei finanziamenti pubblici per la ricerca e lo sviluppo. Altrimenti ci daremo la zappa sui piedi. Se non adotteremo i provvedimenti necessari, l’Europa, che è un continente moderno e dinamico e un luogo di attrattiva per molti cittadini di altri paesi, diventerà una zona depressa a livello economico, tecnologico e tecnico che non piacerà più nemmeno agli europei stessi, che non vorranno più né viverci né lavorarci.
Romana Jordan Cizelj (PPE-DE). – (SL) Prima di tutto desidero ringraziare la relatrice poiché ha dimostrato che, reagendo in maniera appropriata ai processi sociali contemporanei, possiamo volgere a nostro vantaggio la globalizzazione, anche se al momento il fenomeno è percepito come una minaccia in tutta Europa.
In particolare, ella ha portato alla nostra attenzione tre punti deboli: la produzione di nuove conoscenze, la cooperazione nella produzione e nell’impiego delle nuove conoscenze e il finanziamento. In aggiunta mi preme segnalare tre fattori che a mio parere sono cruciali per attuare con successo il programma di Lisbona: prima di tutto la ricerca, in secondo luogo la sinergia tra politiche nazionali e politiche comunitarie e infine l’Istituto europeo di tecnologia.
Innanzi tutto la Commissione, di concerto con il Parlamento e il Consiglio, ha presentato una proposta adeguata in relazione al settimo programma quadro per la ricerca. Dobbiamo quindi portare a termine quanto prima i negoziati su tale programma, in modo da poter cominciare ad attuarlo in tempo. Le risorse finanziarie previste però sono state notevolmente ridotte nel corso dei negoziati sulle prospettive finanziarie, motivo per cui il bilancio per la ricerca deve essere utilizzato appieno. In tale contesto non sussiste quindi alcun motivo fondato per operare ulteriori tagli alle risorse in questo comparto.
In secondo luogo le misure comunitarie possono incoraggiare i singoli Stati membri a varare misure proprie. Riusciremo dunque a conseguire risultati soddisfacenti solo se coniugheremo le misure comunitarie con le misure adottate dai singoli Stati membri. Esorto pertanto la Commissione a seguire attentamente gli interventi attuati a livello nazionale e a conferire visibilità ai paesi e alle prassi che presentano i risultati migliori.
In terzo luogo è parimenti importante assicurare una sinergia tra il settore dell’istruzione, la ricerca e lo sviluppo, da un lato, e l’economia, dall’altro. E’ importante che la Commissione si adoperi per promuovere questo genere di cooperazione – e mi riferisco in particolare all’Istituto europeo di tecnologia. Affinché la proposta non rimanga solamente un progetto politico, dobbiamo tenere pienamente conto delle posizioni di tutte le parti interessate. In definitiva dobbiamo favorire una crescita genuina nel contesto dello spazio europeo della ricerca e impedire che i fondi vengano ulteriormente tagliati e che siano impiegati per espandere la burocrazia. Grazie.
Presidente. La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, alle 12.30.
Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)
Gábor Harangozó (PSE). – (EN) Questa relazione d’iniziativa sull’attuazione del programma di Lisbona giunge con grande tempismo alla vigilia della chiusura dei negoziati per il nuovo pacchetto legislativo sulla politica di coesione. La rinnovata attenzione per gli obiettivi di crescita e di occupazione della strategia di Lisbona costituisce un aspetto importante del quadro legislativo riformato, poiché sono già stati accumulati troppi ritardi rispetto all’obiettivo di rendere l’Europa l’economia più dinamica e più competitiva del mondo basata sulla conoscenza. In proposito non posso che sostenere la relazione dell’onorevole del Castillo Vera, che pone l’accento sulla necessità di migliorare le condizioni per la ricerca e l’innovazione in Europa. Più specificamente apprezzo l’attenzione rivolta al potenziale delle piccole e medie imprese innovative in vista del conseguimento degli obiettivi di Lisbona, insieme alla richiesta di promuovere i finanziamenti pubblici e privati per ottimizzare il sostegno finanziario comunitario. Infine, come indica la relazione d’iniziativa dell’onorevole del Castillo Vera, è urgentemente necessario armonizzare il coordinamento e la cooperazione tra le varie strategie nazionali, se vogliamo davvero elevare il potenziale di crescita e di occupazione dell’Europa.
12. Industria manifatturiera dell’Unione: Verso un’impostazione più integrata della politica industriale (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0206/2006), presentata dall’onorevole Calabuig Rull a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, su un quadro politico per rafforzare l’industria manifatturiera dell’UE – verso un’impostazione più integrata della politica industriale [2006/2003(INI)].
Joan Calabuig Rull (PSE), relatore. – (ES) Signora Presidente, prima di pronunciare il mio intervento, vorrei ricordare brevemente il grave incidente avvenuto ieri a Valencia che è costato la vita a 41 persone.
Come alcuni deputati sanno, sono nato e vivo nella città di Valencia e vorrei pertanto esprimere le mie sincere condoglianze e la mia solidarietà alle famiglie delle vittime di questo tragico incidente, e augurare a tutti i feriti una pronta guarigione.
Un dramma di questa portata è incomprensibile al giorno d’oggi, e spero che sia fatta piena luce sulle cause di questo incidente affinché altre famiglie non debbano vivere una tragedia simile.
In quanto alla relazione di cui stiamo discutendo oggi, vorrei in primo luogo congratularmi con la Commissione, e in particolare con il Commissario Verheugen e la sua squadra, per la comunicazione che ha presentato sul futuro dell’industria manifatturiera.
In considerazione delle sfide che dobbiamo affrontare, non possiamo rimanere passivi o assumere una posizione difensiva, ma dobbiamo anche riconoscere che la mano invisibile del mercato non darà una risposta sufficiente. Un’iniziativa che rimette sul tavolo la politica industriale e favorisce l’instaurazione delle condizioni necessarie a salvaguardare il futuro dell’industria manifatturiera dell’Unione europea è pertanto assolutamente appropriata.
L’aspirazione dell’Europa deve essere quella di restare una grande potenza industriale e non di limitarsi al solo sviluppo del settore dei servizi, il cui futuro è spesso intrinsecamente legato all’esistenza di una solida base industriale. Per agire, gli Stati membri e le regioni non devono aspettare che la situazione diventi critica, con le conseguenze irreversibili che questo comporta per l’industria.
Oggi non stiamo parlando di una politica di sovvenzioni per grandi dinosauri industriali; questo modello è stato un pozzo senza fondo per le risorse pubbliche e ha ostacolato il nascere di nuove opportunità per creare posti di lavoro stabili e con un futuro.
L’industria manifatturiera europea deve affrontare contemporaneamente molte sfide importanti: l’allargamento, la globalizzazione e le delocalizzazioni. Non c’è dubbio tuttavia che le più grandi sfide dell’Unione arrivano dall’esterno, in particolare quelle derivanti dalla globalizzazione e soprattutto dalla concorrenza dei paesi asiatici emergenti. Queste sfide ci impongono di cambiare atteggiamento e di sfruttare le nuove opportunità.
L’attuale struttura industriale dell’economia dell’intera Unione europea non ci mette certamente nella posizione migliore per governare il processo di globalizzazione in corso. Gli scambi commerciali dell’Unione europea si concentrano tuttora in settori caratterizzati da tecnologie medio-elevate e da competenze professionali medio-basse, il che espone l’Unione europea alla concorrenza dei produttori delle economie emergenti.
Il nostro vantaggio competitivo deve venire da conoscenza e qualità, e non dai prezzi bassi. Questo comporta tuttavia spesso adeguamenti settoriali non privi di conseguenze sociali. Sebbene la responsabilità sia in ultima analisi del settore privato, tali conseguenze devono essere affrontate con risorse specifiche, come il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione.
Questa comunicazione riconosce che l’utilizzo dei diversi strumenti di politica industriale deve essere adeguato al contesto e alle caratteristiche specifiche di ogni singolo settore.
La Commissione propone anche sette nuove iniziative politiche intersettoriali estremamente importanti: miglioramento della protezione dei diritti di proprietà intellettuale e lotta contro la contraffazione, creazione di un gruppo di alto livello sulla competitività, l’energia e l’ambiente e sostegno per l’accesso ai nuovi mercati per i nostri prodotti sulla base dei principi di lealtà e reciprocità.
Questa nuova politica deve essere complementare al lavoro svolto negli Stati membri e, a questo proposito, abbiamo segnalato che sarà necessario concentrarsi maggiormente sui problemi che incombono sui nuovi Stati membri.
Questa nuova strategia deve cercare consenso, coinvolgendo i soggetti fondamentali, le parti sociali e gli Stati membri nel processo decisionale già in una fase precoce. La nuova politica industriale deve promuovere gli investimenti nelle qualifiche del personale e nelle attrezzature, affinché i lavoratori possano adattarsi al cambiamento e sfruttare le nuove opportunità che esso offre. Proprio formazione e flessibilità costituiscono la principale risorsa e il fattore di competitività più importante dell’Unione.
Stiamo parlando di concorrenza basata su ricerca e sviluppo, innovazione, qualità e progettazione, infrastrutture, nuovi sistemi di organizzazione della produzione e investimenti in settori d’avanguardia. Sono misure urgenti, in quanto i concorrenti dell’industria europea si stanno muovendo rapidamente in quella direzione.
Vorrei concludere sottolineando quanto sia necessario accrescere il trasferimento delle conoscenze e l’applicazione dei risultati della ricerca a nuovi prodotti e processi. Le piattaforme tecnologiche rivestono un’importanza particolare in vista di questo obiettivo; costituiscono un modello che ha permesso di conseguire successi, ma che deve dotarsi di meccanismi in grado di assicurare l’accesso delle PMI ai risultati delle piattaforme tecnologiche e di applicare tali risultati.
Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, sono estremamente grato al relatore, onorevole Calabuig Rull, per questa relazione che riflette fedelmente le intenzioni della Commissione e che ne fornisce altresì una valutazione equa e adeguata.
Siamo quindi d’accordo sul fatto che l’Europa deve rimanere e rimarrà una sede adeguata per le attività industriali. L’industria è ancora per l’Europa un fattore economico fondamentale, anche se non è più l’unico. In Europa le industrie manifatturiere occupano direttamente 34 milioni di persone e rappresentano circa tre quarti delle esportazioni dell’Unione europea; oltre l’80 per cento delle spese in ricerca e sviluppo del settore privato nell’Unione europea riguarda il settore industriale e naturalmente una parte importante del settore dei servizi dipende dalla forza e dalla competitività dell’industria manifatturiera.
In Europa non abbiamo quindi alcun motivo per vergognarci. La competitività dell’industria europea in molti settori è notevole e non si ha proprio l’impressione che il settore accusi un ritardo. Ci sono alcuni comparti nei quali la concorrenza è diventata più aspra e nei quali abbiamo delle difficoltà, ma ce ne sono tantissimi altri in cui l’Europa è leader sul mercato mondiale e a livello tecnologico.
Quando abbiamo presentato la nostra proposta di una politica industriale per il XXI secolo, ci siamo trovati d’accordo sull’importanza di non ritornare all’epoca del controllo statale, della burocrazia e dell’interventismo, e sulla necessità di rafforzare le condizioni necessarie per l’attività industriale in Europa in modo che l’Europa rimanga o diventi una regione attraente per l’industria. E questo implica la definitiva rinuncia al protezionismo e all’interventismo statale, ma è anche una chiara offerta di aiuto in vista dell’incremento della competitività.
Le diverse iniziative orizzontali e settoriali che il relatore ha già citato ci avvicinano a questo obiettivo. Vorrei in particolare segnalare che alcune delle iniziative orizzontali che la Commissione ha proposto lo scorso anno sono diventate nel frattempo temi molto importanti, come per esempio il miglioramento della capacità di innovazione, la difesa dei diritti di proprietà intellettuale o anche l’accesso ai mercati terzi – un tema di grande rilievo attualmente in fase di discussione nel Doha round.
Vorrei in particolare attirare la vostra attenzione sull’importanza della migliore regolamentazione per una politica industriale moderna. Se c’è un settore dell’economia europea che si lamenta dell’eccessiva burocrazia e di normative eccessivamente complesse, è proprio questo. Come sapete, stiamo seguendo il problema con molta attenzione. E vorrei ribadire che lo scopo dell’attuale revisione del diritto comunitario non è quello di ridurre gli standard, per esempio indebolendo la protezione dell’ambiente o la protezione dei consumatori, ma di rendere il più possibile efficaci e moderne le regole, al fine di potenziare la competitività delle nostre imprese.
Condivido in tutto e per tutto il punto di vista del relatore in merito al problema delle qualifiche e gli sono molto grato per averlo evidenziato con tale chiarezza. Per il futuro dell’industria manifatturiera in Europa sarà sempre più importante disporre di lavoratori sufficientemente qualificati. In alcuni Stati membri abbiamo già un problema di qualifiche, e in parte la disoccupazione in Europa è dovuta al fatto che certe qualifiche non sono disponibili dove servono effettivamente. Anche su questo tema, saranno sicuramente necessarie altre attività coordinate da parte dell’Unione europea e degli Stati membri.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. – (PT) Signor Commissario, spero che questo dibattito induca la Commissione a prestare maggiore attenzione all’importanza dei vari settori industriali nell’Unione europea, e al loro contributo fondamentale alla creazione di ricchezza e posti di lavoro. Conseguentemente, occorre investire nel potenziamento delle imprese esistenti. Occorre guardare con attenzione ai settori industriali più vulnerabili e alle conseguenze della liberalizzazione del commercio mondiale, che già si cominciano a sentire.
Non è possibile portare avanti, in seno all’Organizzazione mondiale del commercio, una politica negoziale che trascuri i vari settori industriali, e che non punti a un’occupazione in cui siano tutelati i diritti dei lavoratori, lo sviluppo regionale e la coesione economica e sociale.
La commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha cercato di attirare l’attenzione su questi temi nel parere che ora presento e che la maggioranza della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia ha tenuto in considerazione. Desidero ribadire la necessità di proteggere i lavoratori ogniqualvolta ci sia una ristrutturazione industriale, garantendo la piena informazione dei lavoratori che devono poter esercitare un’influenza decisiva in tutto il processo.
Werner Langen, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signora Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare il collega, onorevole Calabuig Rull, per l’ottima cooperazione tesa a ottenere risultati concreti. E vorrei anche ringraziare la Commissione, in particolare il Commissario Verheugen, poiché la proposta presentata dalla Commissione è estremamente utile e indica una nuova direzione per la politica industriale.
Il nostro gruppo sostiene la proposta di risoluzione della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. Abbiamo contribuito alla sua elaborazione e il testo rispecchia i nostri punti di vista. D’altro canto, chiederemo votazioni per parti separate per alcuni degli emendamenti, nei casi in cui osserviamo un’interferenza nelle competenze degli Stati membri. E’ un rischio che non intendiamo tollerare. La Commissione non ha una responsabilità esclusiva; anche gli Stati membri sono responsabili di molti aspetti e devono assumersi queste responsabilità.
Per noi, la politica industriale moderna è un mezzo per assicurare che l’Europa rimanga una regione attraente e per garantire condizioni quadro competitive nel contesto della globalizzazione. Senza un’industria competitiva, non è possibile potenziare il settore dei servizi, come ha segnalato il collega, onorevole Calabuig Rull. La politica industriale è quindi la base, e non certo un ostacolo, per l’apertura di nuovi mercati nel settore dei servizi. Un’industria caratterizzata da elevati livelli di qualità e di progresso tecnologico era ed è il motore dello sviluppo economico in Europa, e tutte le misure in materia di protezione dell’ambiente e del clima devono essere giudicate anche dal punto di vista della politica energetica, per verificare se contribuiscono al miglioramento delle condizioni quadro.
Naturalmente, quando diciamo che gli Stati membri sono responsabili di molte misure, dobbiamo riflettere e capire se non ci spingiamo troppo in là per alcuni aspetti. Migliore coordinamento: sì; responsabilità europea: no; gruppi di esperti settoriali: sì; piani strategici e di competenze per le imprese e le regioni: no; partecipazione dei lavoratori: sì; no, tuttavia, a diritti di veto generali per i comitati aziendali. Sono convinto che, seguendo questi esempi, potremo migliorare ulteriormente la relazione dell’onorevole Calabuig Rull e che, insieme alla Commissione, potremo elaborare un manuale di istruzioni pratico per la politica industriale futura anche in rapporto ad altri settori politici.
Reino Paasilinna, a nome del gruppo PSE. – (FI) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ringraziamo il relatore per l’ottima relazione che appoggiamo.
Vogliamo davvero diventare la principale economia basata sulla conoscenza in Europa e nel mondo, o preferiamo cercare di cavarcela all’antica, con l’aiuto delle sovvenzioni? Questa è la domanda che dobbiamo porci. Anche i vecchi settori industriali possono prosperare ed essere competitivi se beneficiano di un sostegno finanziario per la loro modernizzazione. Per esempio, la formazione e l’innovazione possono contribuire a procurare una manodopera di qualità per il futuro.
Nokia rappresenta un valido esempio. Sapevate che molti anni fa, Nokia era un noto produttore di scarpe e stivali? Da scarpe e stivali alla telefonia mobile la strada è lunga.
Nell’economia mondiale in rapida accelerazione e caratterizzata da una concorrenza sempre più aspra, sarà possibile mantenere la competitività europea solo investendo in ricerca, sviluppo e innovazione. Su questo siamo tutti d’accordo, ma nella realtà le cose vanno diversamente.
Tuttavia la competitività è stata anche sostenuta con metodi indifendibili, come licenziamenti di massa e rapidi trasferimenti di produzione. E’ come se fossimo andati a pescare in un lago, ne avessimo catturato tutto il pesce e poi avessimo cambiato lago e avessimo svuotato anche questo. Questa sorta di “pesca incontrollata” in Europa non può essere certo considerata una mossa saggia. I lavoratori delle imprese sono flessibili, e in molti paesi molto flessibili, ma la mancanza di qualsiasi protezione per il lavoro non manuale agisce da freno in una società innovativa.
La gratificazione professionale e la reattività dei lavoratori sono importanti, e possono contribuire a garantire la presenza di una forza lavoro efficiente e duratura. Secondo l’ultima relazione di Eurofound, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, lo stress correlato al lavoro è aumentato in modo costante negli ultimi anni. Ne derivano effetti quali l’assenteismo per malattia, il calo dell’efficienza sul lavoro e l’esclusione di certe persone dal mercato del lavoro. E’ particolarmente preoccupante il fatto che le prestazioni lavorative richieste siano sempre maggiori, soprattutto nei settori a dominante presenza femminile. Se i cinesi si ammazzano di lavoro, noi almeno dovremmo lavorare con il sorriso sulle labbra.
Patrizia Toia, a nome del gruppo ALDE. – Grazie Signora Presidente, onorevoli colleghi, è opinione largamente condivisa che il futuro dello sviluppo europeo dipenda in ampia misura dalla capacità di realizzazione della società e dell’economia della conoscenza, ma spesso, purtroppo, si sottovaluta il fatto che nell’ambito di questa prospettiva ambiziosa va realizzata, rilanciata e rafforzata tutta una politica riferita ai settori, anche tradizionali, della nostra produzione, e dell’intero sistema produttivo europeo, dall’agricoltura al terziario, dalle fondamentali realtà dell’industria manifatturiera alle costruzioni. Non può infatti esservi un’economia fatta solo di reti immateriali, di informazioni e di software, senza un substrato solido di manifatturiero, di produzione di beni primari, dai prodotti finiti ai macchinari, dai beni essenziali a quelli voluttuari.
Un sistema economico è solido se fa crescere economicamente tutti i propri ambiti produttivi e se è in grado di apportare sempre di più (anche nelle produzioni tradizionali) forti e robuste iniezioni di innovazione tecnologica, di processo e di prodotto; se è capace di inserire massicce dosi di ricerca, diversificazione e capacità di stare al passo con le novità, mantenendo così la nostra posizione nel mercato globale e difendendo l’importanza della bilancia commerciale europea.
Il sostegno ai propri settori strategici da parte della Commissione e degli Stati membri – come lei ha detto, signor Commissario – non è dirigismo o interventismo pubblico, politiche che sono superate nel mercato integrato e nel mercato libero europeo e mondiale, ma è la capacità di promuovere politiche industriali che sappiano affrontare i cambiamenti, prevenirli o guidarli, che creino un ambiente attrattivo per gli investimenti internazionali, che, insomma, sappiano accompagnare le molte crisi del sistema produttivo europeo ed affrontare le sfide future.
Due novità sono state sottolineate dal relatore e dagli altri interventi, le richiamo anch’io: finalmente, dopo anni in cui sembrava che l’approccio settoriale fosse ampiamente superato, si torna a capire che dobbiamo conoscere la realtà dei settori strategici nella nostra Europa. Per quanto riguarda l’altro aspetto, si comprende che una politica industriale è una politica integrata, che ha bisogno di azioni concrete integrate, ma essa deve anche essere concepita – e qui chiediamo alla Commissione di fare uno sforzo ulteriore – tenendo a mente tutti i diversi aspetti, quelli prettamente industriali, quelli della ricerca, dell’energia e quelli commerciali.
Sappiamo bene che per affrontare il mercato globale dobbiamo attrezzarci sempre di più e imprimere forza anche all’azione della Commissione, l’abbiamo visto per il tessile e per alcuni settori; ma sappiano tutti i colleghi dei diversi paesi dell’Europa che ciò che ha investito il tessile, cioè questa specie di ciclone di una produzione a bassissimo costo proveniente da alcune aree del mondo, può investire ben altre produzioni importanti per l’Europa. Chiediamo quindi uno sforzo in questa direzione, chiediamo che anche il Fondo per la globalizzazione tenga conto di questo aspetto che riguarda le ristrutturazioni settoriali, la capacità di aiutare i lavoratori a riqualificarsi verso nuove professioni, le capacità professionali che servono a un sistema integrato e capace di innovarsi, come anche i colleghi hanno detto.
E poi un richiamo alle piccole e medie imprese: sappiamo tutti che l’ossatura produttiva europea si basa su questa realtà, che non è solo una realtà produttiva ma è una realtà che vivifica i territori e dà forza alle politiche territoriali.
Voglio dirle, signor Commissario, che questa è la Commissione che noi apprezziamo, quella che non sta inerte di fronte ai problemi, ai cambiamenti dell’Europa, ma sa svolgere un forte ruolo di coordinamento.
Rebecca Harms, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, i punti deboli del testo presentato dalla Commissione non si possono imputare all’onorevole Calabuig Rull. A nostro avviso il vero punto debole è rappresentato dall’assenza di un’autentica prospettiva strategica. A nostro parere, e qui sono d’accordo con l’oratore precedente, premessa di una strategia di successo dovrebbe essere il chiarimento delle interazioni tra la politica industriale, quella regionale, della concorrenza e del commercio, e soprattutto quella ambientale.
Per quanto riguarda le nostre perplessità rispetto a questi punti deboli di natura analitica, ci preoccupa il fatto che la politica industriale sia decisa da gruppi di alto livello che ultimamente a Bruxelles sono cresciuti come funghi, ma che sono dominati da poche grandi imprese industriali. E in questo fenomeno vediamo alcuni problemi: primo, l’indebolimento dei controlli democratici in questo settore e, secondo, la sostanziale impossibilità per le piccole e medie imprese, che occupano il 50 per cento di tutti i lavoratori attivi nell’industria della trasformazione, di avere voce in capitolo in questi gruppi di alto livello.
Gli insuccessi registrati negli ultimi anni dalle imprese industriali europee derivano dalla loro incapacità di innovare; non sono certamente imputabili a politiche inadeguate, bensì al fatto che alcuni imprenditori non hanno assolutamente riconosciuto il potenziale di innovazione dei loro dipendenti o la necessità generale di innovazione.
Lydia Schenardi (NI). – (FR) Signor Presidente, apparentemente questa relazione contiene alcune idee sensate: parla del ruolo fondamentale dell’industria in un’economia moderna, anche se, per anni, ha prevalso il mito della società postindustriale, interamente orientata ai servizi. Chiede di tenere conto, nei negoziati condotti in seno all’OMC, delle caratteristiche specifiche di ogni settore, o dei problemi specifici di ogni Stato membro, una specie di rivoluzione culturale che tuttavia non sarà mai messa in atto dalla Commissione, per la quale l’Unione europea è un’entità unica. La relazione esprime fiducia negli accordi bilaterali per risolvere i problemi di accesso al mercato che hanno i vostri produttori, in particolare nei paesi emergenti, e nell’applicazione del principio di reciprocità in materia di commercio internazionale. Tutto ciò è diametralmente opposto alla fede nel multilateralismo riaffermata in molteplici occasioni in quest’Aula. La relazione è molto avara di critiche alla concorrenza sleale e alle contraffazioni, contro le quali Bruxelles lotta con così scarso entusiasmo. Tutto vero, ma in fondo sono solo parole senza senso e non è cambiato nulla.
La relazione del Parlamento europeo, come la comunicazione della Commissione, propone ancora le stesse formule logore e disastrose: la consueta politica di concorrenza e liberalizzazione, per esempio nel mercato dell’energia; gli sforzi volti a mitigare gli effetti della globalizzazione, giudicata ineluttabile e sostanzialmente vantaggiosa per gli azionisti; la modernizzazione del diritto in materia di proprietà intellettuale, il cui simbolo è il brevetto software – che gli utenti e le PMI del settore non accettano; e infine la semplificazione legislativa, come la direttiva REACH, un testo estremamente involuto di 1 200 pagine che mette in pericolo l’industria chimica europea.
E’ l’abituale litania delle politiche condotte da anni, per fare credere che quello che ci vuole è una politica industriale europea non prevista dai Trattati, e soprattutto, per impedire agli Stati membri, di fronte alla deindustrializzazione e alla disintegrazione sociale che ne derivano, di prendere direttamente le cose in mano.
Presidente. La discussione su questa relazione è sospesa. Gli altri oratori avranno la possibilità di intervenire questa sera.
13. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca il tempo delle interrogazioni (B6-0312/2006).
Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte alla Commissione.
Prima parte
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 34 dell’onorevole Claude Moraes (H-0544/06):
Oggetto: Gioco del calcio
E’ la Commissione al corrente delle difficoltà che il proprio intervento nella questione dei diritti di trasmissione delle partite di calcio nel Regno Unito può aver arrecato a molti elettori dell’interrogante? Guardare un incontro di calcio è divenuto, in alcuni casi, estremamente dispendioso dal punto di vista economico, poiché per seguire certe partite si è costretti a pagare la sottoscrizione di più abbonamenti a diversi canali televisivi. Può la Commissione far sapere se possa essere considerata equa la decisione di escludere, sulla base di ragioni economiche, gli spettatori dal godersi uno spettacolo sportivo? In che modo le persone con basso reddito potranno permettersi di seguire le proprie squadre, se ciò implica la sottoscrizione di più abbonamenti?
Neelie Kroes, Membro della Commissione. – (EN) La Commissione ritiene che l’esito della vendita all’asta dei diritti di trasmissione della Premier League, effettuata conformemente alla decisione della Commissione n. 38173, recherà beneficio ai tifosi di calcio inglesi.
Questa vendita all’asta ha segnato la fine del monopolio consolidato di BSkyB sulla diretta televisiva di partite della Premier League. Nell’asta BSkyB e Setanta si sono aggiudicate rispettivamente quattro e due pacchetti, acquisendo così il diritto di trasmettere 92 partite in diretta l’una e 46 l’altra. Setanta costituisce ora una concorrente a tutti gli effetti per BSkyB, su cui potrà esercitare pressioni a livello sia commerciale sia di prezzi. I tifosi di calcio e gli appassionati di altre discipline sportive avranno inoltre a disposizione una scelta migliore. Setanta è ora in grado di offrire un’allettante programmazione sportiva alternativa, che comprenderà anche partite in diretta della Premier League.
La Commissione ha agito nel pieno rispetto delle norme comunitarie sulla concorrenza e nell’interesse dei consumatori inglesi. Resta da vedere se i consumatori dovranno effettivamente sostenere costi maggiori. In un mercato caratterizzato dalla presenza di almeno due concorrenti, i singoli operatori dovranno valutare attentamente l’opportunità di continuare ad aumentare i prezzi dei loro pacchetti senza perdere clienti. Inoltre non è affatto certo che l’acquisizione di tutti i diritti sulla diretta televisiva delle partite della Premier League da parte di un unico operatore avrebbe abbassato i costi per i tifosi di calcio inglesi.
Senza le limitazioni poste dalla concorrenza, un singolo operatore avrebbe probabilmente potuto aumentare i prezzi dei propri servizi sportivi senza compensare l’aumento dei costi con un contestuale ampliamento dell’offerta, come invece accade ora.
La Commissione rileva inoltre che i tifosi di calcio inglesi che la scorsa stagione volevano seguire più delle 88 partite in diretta offerte da BSkyB nel suo pacchetto sportivo di base hanno dovuto abbonarsi anche a un altro canale di BSkyB, Prem Plus. La necessità di sottoscrivere due diversi abbonamenti non è dunque una novità per i tifosi di calcio del Regno Unito.
Claude Moraes (PSE). – (EN) Questo è un argomento che per alcuni di noi riveste molta importanza.
In realtà, il problema non riguarda la gestione dei monopoli; su questo fondamentale obiettivo, infatti, sosteniamo la Commissione. La questione che ho sollevato in questo caso è che uno dei miei elettori, affetto da disabilità, guarda la televisione e vuole abbonarsi a un solo canale. Faccio presente alla signora Commissario che quest’ambito deve essere disciplinato da una normativa che elimini il rischio di incorrere in conseguenze indesiderate. La Commissione ha cercato di fare la cosa giusta affrontando il problema del monopolio BSkyB, ma di fatto, con Setanta, ha creato una situazione che obbliga i miei elettori a pagare due abbonamenti per guardare lo stesso numero di partite di calcio. La Commissione potrebbe approfondire la questione?
Neelie Kroes, Membro della Commissione. – (EN) La questione è piuttosto chiara. Uno dei nostri principali obiettivi era porre fine al monopolio consolidato di BSkyB sulla trasmissione di partite della Premier League in diretta televisiva e a mio avviso siamo riusciti nel nostro intento. In particolare, Setanta costituisce ora una concorrente a tutti gli effetti per BSkyB e potrà esercitare pressioni in termini sia commerciali sia di prezzo su quest’ultima. La vendita dei diritti di trasmissione televisiva a due emittenti rivali fornisce già ai consumatori una scelta più ampia rispetto a quella di cui disponevano prima. L’entità dell’impatto di questa situazione dipenderà dalle strategie commerciali di BSkyB e Setanta.
E’ troppo presto per dire se il livello di concorrenza introdotto sarà sufficiente. Tuttavia, data la posizione di terze parti e delle autorità nazionali, se il consumatore non trarrà beneficio dell’attuale processo della Football Association Premier League, sarà inevitabile che a livello nazionale in futuro si tengano altre discussioni in materia e in quella l’occasione si dovrà affrontare il problema della Premier League.
L’articolo 9 della decisione della Commissione non può e non deve ostacolare questo processo. Come l’onorevole deputato sa, non tutti i problemi di concorrenza sono stati risolti e non vorrei che la decisione venisse utilizzata contro autorità o tribunali nazionali, qualora fossero intenzionati a intervenire ulteriormente. Sono estremamente grata a OFT e Ofcom per gli sforzi compiuti e l’aiuto e il sostegno forniti in questo caso.
Glyn Ford (PSE). – (EN) La ringrazio molto per la risposta, signora Commissario, in questa serata benaugurale per il calcio tedesco o forse per quello italiano. Posso chiederle se dice sul serio? Cercare di spezzare il monopolio televisivo sulle partite di campionato è sempre stata una vera e propria impresa. Come tifoso di calcio, continuo a non avere assolutamente scelta. Se voglio seguire le partite della mia squadra devo sottoscrivere due abbonamenti, uno a BSkyB e uno a un altro canale. La Commissione si rende conto che comprare un pacchetto di partite di calcio a scatola chiusa non è ciò che vuole il 90 per cento degli spettatori? I tifosi vogliono seguire la loro squadra. Perché avete suddiviso le parti in questo modo? La suddivisione dovrebbe essere tale da permettere di scegliere di guardare le partite della propria squadra, e non di poterne seguire solo un paio per poi vederne venti che non interessano. Esaminerete nuovamente la questione?
Neelie Kroes, Membro della Commissione. – (EN) Risponderò alla prima domanda. Se dico sul serio? Certo! So che in alcuni casi non tutti gli onorevoli deputati condividono questo tipo di decisione, ma so anche che devo fare il mio dovere.
Considero molto seriamente le preoccupazioni espresse dai consumatori britannici e dagli onorevoli parlamentari perché voglio ridurre i costi e aumentare la scelta dei consumatori, non il contrario. Tuttavia, ritengo anche che l’esito della vendita all’asta dei diritti di trasmissione della Premier League recherà beneficio ai tifosi di calcio inglesi sia nel breve sia nel lungo periodo. Il grado di soddisfazione del consumatore non si può misurare considerando solo la situazione di una persona che vuole seguire tutte le partite di una squadra specifica.
Gli appassionati di sport del Regno Unito ora avranno la possibilità di seguire in diretta un ampio numero di partite della Premier League e altre discipline grazie a Setanta, che attualmente offre sette canali, tra cui, ad esempio, partite in diretta di calcio scozzese ed europeo e di rugby. Gli spettatori potranno seguire questi incontri senza dover sottoscrivere un abbonamento a Sky Sports, possibilità che prima non esisteva.
Vale anche la pena di rilevare che, stando agli articoli apparsi sulla stampa, Setanta sta valutando l’ipotesi di trasmettere le partite tramite un servizio televisivo a pagamento sulla piattaforma digitale terrestre Freeview, grazie alla quale sarà possibile vedere per la prima volta le partite della Premier League sulla TV digitale terrestre, il che costituisce davvero un’offerta valida.
Manolis Mavrommatis (PPE-DE). – (EL) Signora Commissario, le multinazionali hanno messo gli occhi sui diritti di trasmissione di avvenimenti sportivi ormai da molti anni, così come hanno fatto di recente le affiliate delle grandi federazioni sportive. L’arrivo della TV a pagamento nella vita dei cittadini ha radicalmente cambiato il ruolo sociale della televisione. Ora, tra l’altro, i cittadini sono obbligati a pagare per poter assistere a eventi sportivi e la telefonia mobile e Internet bussano alla porta di questo nuovo fenomeno.
In quale maniera la Commissione sta facendo fronte a tale assalto? Ai cittadini che non hanno sottoscritto il debito abbonamento verrà dunque impedito di seguire i Giochi Olimpici, i campionati del mondo e gli eventi internazionali? Infine, cosa ne è dell’elenco di sport, che gli Stati membri devono proporre e notificare alla commissione competente dell’Unione europea, per cui è prevista la trasmissione gratuita anziché la messa in onda sulla televisione a pagamento?
Neelie Kroes, Membro della Commissione. – (EN) Vorrei ribadire ancora una volta che, quando si valuta l’applicazione del diritto comunitario nel contesto dello sport, è importante tracciare una distinzione tra lo sport nella misura in cui genera attività economica e regole sportive in quanto tali.
Nella misura in cui genera attività economica, lo sport è disciplinato dal diritto comunitario, nonché dalle norme sul mercato interno e sulla concorrenza, analogamente a quanto avviene per altre attività economiche. Fin qui tutto bene. Ovviamente, come stabilisce la dichiarazione di Nizza, la Comunità tiene conto delle funzioni sociali, educative e culturali dello sport in tutte le azioni che svolge in conformità del Trattato. La Commissione ha seguito questa linea applicando le norme comunitarie sulla concorrenza nei singoli casi e il suo approccio è stato confermato dai tribunali europei. Quando sono coinvolti in attività economiche, gli organismi che disciplinano lo sport devono, come ogni altra impresa, garantire il rispetto delle norme di concorrenza CE.
Ho affermato che non tutti i problemi di concorrenza sono stati risolti e che non voglio che una decisione venga utilizzata contro autorità o tribunali nazionali, qualora fossero intenzionati a intervenire ulteriormente. E’ ovvio che la concorrenza in sé genera attività economica; di conseguenza, i concorrenti sono più attenti e questo è positivo per i consumatori e dà luogo, nella maggior parte dei casi, a una diversità e a una qualità maggiori e a un prezzo migliore.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 35 dell’onorevole Robert Evans (H-0555/06):
Oggetto: Montenegro
Alla luce del recente referendum, quali cambiamenti immediati si prevedono nelle relazioni fra l’UE e il Montenegro e quali misure supplementari di sostegno sta prendendo in considerazione la Commissione?
Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Dopo il referendum del 21 maggio 2006, svoltosi secondo le norme internazionali e sfociato nella vittoria del “sì” all’indipendenza, cui sono seguite la dichiarazione di indipendenza del parlamento montenegrino e la reazione dell’Unione europea al Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” del 12 giugno, il Montenegro e l’UE sono ora in procinto di instaurare relazioni diplomatiche.
La Commissione intende presentare a breve al Consiglio una proposta per chiedere l’autorizzazione a negoziare con il Montenegro un accordo di stabilizzazione e di associazione sulla base delle direttive negoziali del 3 ottobre 2005, riguardanti l’ex Unione statale di Serbia e Montenegro.
Vorrei informare l’Assemblea che in tale contesto presenteremo un mandato negoziale modificato per un accordo di stabilizzazione e di associazione con la Serbia. Entrambi i paesi, Montenegro e Serbia, hanno una concreta prospettiva europea, come gli altri paesi dei Balcani occidentali. In questo caso l’accordo di stabilizzazione e di associazione costituisce il punto di partenza, mentre l’obiettivo ultimo di tale processo è l’adesione all’Unione europea in una fase successiva, quando ogni paese sarà in grado di soddisfare le condizioni previste. Questa prospettiva europea dei Balcani occidentali è stata confermata dal Consiglio europeo a metà del mese scorso.
La Commissione seguirà con maggiore attenzione gli sviluppi in Montenegro, che ora dovrà affrontare da sé tutte le responsabilità della sua relazione con l’Unione europea, compresa l’attuazione del partenariato europeo e la necessità di provvedere a un sostanziale rafforzamento della propria capacità amministrativa e istituzionale.
Il prossimo autunno la Commissione pubblicherà una relazione annuale separata per il Montenegro, in cui figureranno raccomandazioni specifiche sul percorso che dovrà seguire in futuro il paese.
Il Montenegro, come altri paesi della regione, riceverà gli aiuti previsti nel quadro del prossimo strumento finanziario di preadesione a partire dal 2007. Infine, la Commissione intende aprire a breve un ufficio in Montenegro, che si occuperà del dialogo con le autorità e con la società civile, del monitoraggio delle riforme e dell’attuazione dello strumento finanziario di preadesione.
Robert Evans (PSE). – (EN) Mi permetta di correggerla, signora Presidente. Lei ha affermato che l’interrogazione riguarda il “problema” del Montenegro, ma a mio avviso si tratta più di una sfida che di un problema.
Apprendo con piacere dalle parole del Commissario che la Commissione intende aprire un ufficio a Podgorica. Apprezzo molto questa iniziativa e vorrei chiedere al signor Commissario se ritiene che essa possa costituire un incentivo per la promozione del turismo in Montenegro. Penso che la costa adriatica del paese offra grandi opportunità. Il Commissario ha parlato della possibile adesione all’Unione europea. Sarebbe in grado di fornire informazioni sulla tempistica? Quanto tempo ritiene debba trascorrere prima che il Montenegro possa candidarsi all’adesione all’Unione europea?
Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) La domanda formulata dall’onorevole deputato è molto pertinente e importante, soprattutto dal punto di vista della Repubblica del Montenegro e dei suoi cittadini. L’ufficio della Commissione europea in Montenegro avrà principalmente il compito di promuovere l’integrazione europea e le relazioni tra Montenegro e UE. Indirettamente, quindi, contribuirà senza dubbio ad agevolare lo sviluppo economico e sociale del paese, nonché lo sviluppo delle attività turistiche che col tempo arrecheranno benefici sia al paese sia ai cittadini.
Quanto alle previsioni sull’adesione del Montenegro all’Unione europea, nella quale questo paese potrà fare il proprio ingresso solo dopo avere soddisfatto tutte le condizioni previste a tal fine, lascerò questo compito alle agenzie che si occupano di scommesse. Dal punto di vista della Commissione e del Parlamento europeo è più importante garantire la qualità del processo di adesione anziché la sua rapidità. Quando parliamo dei negoziati di adesione o della fase di preadesione che deve ora affrontare la Repubblica del Montenegro dobbiamo concentraci più sulla sostanza che sui tempi.
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Commissario, vorrei semplicemente chiederle ancora una volta di affermare a chiare lettere che, conformemente alla dichiarazione di Salonicco, il Montenegro ha esattamente le stesse prospettive di adesione degli altri paesi della regione e che, riguardo alla questione delle minoranze, il Montenegro persegue una politica esemplare.
In secondo luogo, vorrei solo chiederle come stanno attualmente le cose per quel che riguarda la Serbia. Con chi state negoziando in Serbia, con l’ex livello federale o con l’ex livello repubblicano?
Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) L’onorevole deputato ha sollevato una questione molto delicata. Posso assicurare a lui e a tutti voi che, per quanto riguarda l’obiettivo ultimo dell’adesione all’Unione europea, la Repubblica del Montenegro ha le stesse prospettive di adesione degli altri paesi dei Balcani occidentali. Si trova dunque nella stessa posizione di tutti gli altri paesi della regione.
I diritti delle minoranze sono un aspetto critico. Riguardano tutti i paesi della regione e sottolineiamo la necessità che i diritti delle minoranze siano rispettati in tutti i paesi balcanici nonché in altri paesi candidati. Questo punto viene ribadito nella relazione che presenteremo il prossimo autunno, molto probabilmente a ottobre o novembre.
Per quanto riguarda il livello dei negoziati con la Serbia, fino a poco tempo fa avevamo negoziato con Serbia e Montenegro a due livelli, sulla base del duplice approccio, affrontando con l’Unione statale e con le due repubbliche le questioni che ricadevano nei loro reciproci ambiti di competenza. Ora vogliamo consolidare quanto abbiamo raggiunto con i negoziati fino a questo momento. Dopo che il Consiglio avrà adottato il nuovo mandato negoziale per il Montenegro e il mandato modificato per la Serbia, potremo continuare i negoziati sulla base del consolidamento di questo risultato – nel caso della Serbia, ovviamente, ciò sarà possibile solo quando il paese coopererà pienamente con il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia.
Questo metodo riduce al minimo eventuali difficoltà tecniche e, ad esempio, potremo riprendere i negoziati sull’accordo di stabilizzazione e di associazione con la Serbia non appena questo paese collaborerà pienamente con l’ICTY.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 36 dell’onorevole András Gyürk (H-0577/06):
Oggetto: Analisi sul mercato dell’energia durante il mese scorso e relativi risultati
Il mese scorso la Commissione ha svolto ispezioni in loco presso varie imprese di energia di primo piano allo scopo di accertare in che modo si sta sviluppando la concorrenza nel mercato europeo del gas e dell’energia. Garantire un’equa concorrenza sul mercato dell’energia è di importanza cruciale per la salute delle economie europee. Siccome, parallelamente a tali misure, si sta esaminando il lancio di un’eventuale politica comune europea in materia di energia, e i risultati di tali ispezioni devono essere impiegati per elaborare la strategia, l’interrogante propone di rendere pubblico il processo di ispezione al livello appropriato per quanto riguarda i risultati.
Può la Commissione far sapere a che punto è l’esame del settore e quali sono i principali risultati delle misure finora adottate? Per quando si potrà attendere un risultato definitivo? Prevede la Commissione di intraprendere ulteriori azioni per completare il mercato interno dell’energia?
Neelie Kroes , Membro della Commissione. – (EN) Il 17 maggio 2006 la Commissione ha confermato di avere svolto di recente ispezioni in loco presso diverse importanti imprese produttrici di energia in Europa. Al momento non è possibile commentare ulteriormente le indagini in corso.
Come è noto, le ispezioni si svolgono ai sensi degli articoli 20 e 21 del regolamento CE e fanno parte delle consuete attività esecutive della Commissione nel settore della concorrenza. In genere, le ispezioni hanno luogo quando la Commissione ha motivo di credere che le imprese coinvolte siano suscettibili di aver violato le norme antitrust stabilite dagli articoli 82 e 81 del Trattato.
L’articolo 28 del regolamento vieta alla Commissione di divulgare le informazioni acquisite nel corso di un’ispezione, salvo che in determinate circostanze. Tuttavia, la Commissione pubblica tutte le decisioni a tempo debito, come esige il regolamento (CE) n. 1/2003.
La Commissione sta inoltre effettuando un’indagine settoriale relativa alle condizioni di concorrenza nei mercati del gas e dell’energia elettrica nell’Unione europea. Tale operazione si distingue dalle ispezioni e dalle inchieste specifiche cui si riferisce l’onorevole deputato, ma le esaurienti informazioni relative al funzionamento dei mercati dell’energia raccolte durante l’indagine settoriale saranno certamente utili alle misure esecutive intraprese dalla Commissione nei singoli casi.
I principali risultati preliminari dell’indagine settoriale sono stati pubblicati a febbraio 2006 e hanno rilevato l’esistenza di diversi ostacoli alla concorrenza. Ad esempio, i mercati nazionali dell’energia all’ingrosso sono ancora fortemente concentrati e presentano pochi concorrenti nuovi nel settore. Inoltre l’integrazione tra i mercati nazionali è ancora minima. Infrastrutture e forniture sono così strettamente collegate da rendere difficile l’accesso al mercato ai nuovi fornitori, il che significa che si nega una possibilità di scelta ai consumatori. Si registra una mancanza di trasparenza, cosicché i nuovi concorrenti non riescono ad accedere alle informazioni. Bisogna consentire loro l’inserimento nel settore.
Infine, i prezzi non sembrano rispondere alle oscillazioni della domanda e dell’offerta. Per la soluzione di tali problemi sarà necessaria una combinazione di riforme strutturali e normative e una decisa applicazione delle regole in materia di concorrenza. La Commissione si impegna ad intraprendere ogni azione esecutiva necessaria che risulti giustificata.
L’indagine settoriale sarà completata entro la fine dell’anno. Successivamente la Commissione si pronuncerà sulla necessità di prendere ulteriori provvedimenti al fine di migliorare le condizioni di concorrenza nei mercati del gas e dell’energia elettrica. Le informazioni raccolte mediante l’indagine settoriale svolgeranno inoltre un ruolo decisivo nella formulazione in corso di una politica europea comune in materia di energia, come concordato dal Consiglio europeo di primavera.
Inoltre, la Commissione sta procedendo alla valutazione intermedia dell’attuazione delle misure che disciplinano il settore dell’energia. Tale attività è condotta dal Commissario responsabile dell’energia, Andris Piebalgs, e la Commissione sottoporrà una relazione al Parlamento e al Consiglio a fine anno. Tale relazione esaminerà anche la necessità di ulteriori azioni volte a completare l’integrazione dei mercati dell’energia in Europa.
Tutte le informazioni raccolte nel corso dell’indagine settoriale e la valutazione intermedia dell’attuazione delle direttive sulla liberalizzazione, nonché le altre informazioni basate sulle consultazioni con le parti interessate, avranno certamente un ruolo chiave nella formulazione di una politica europea comune in materia di energia.
András Gyürk (PPE-DE). – (HU) La ringrazio per la risposta, signora Commissario, anche se non le è stato possibile soffermarsi sui dettagli relativi alle ispezioni. Con il suo permesso, la mia domanda complementare sarà di natura generale. Al pari di lei, ritengo che potrebbero presentarsi problemi con lo sviluppo del mercato interno dell’energia. La mia domanda è: gli strumenti della politica di concorrenza saranno sufficienti a risolvere tali problemi in futuro, o la Commissione avverte la necessità di istituire un organismo di regolamentazione europeo in materia di energia, che ovviamente si occuperebbe principalmente di operazioni transfrontaliere? La ringrazio.
Neelie Kroes , Membro della Commissione. – (EN) L’onorevole deputato si è giustamente chiesto se vengono adottate misure sufficienti. Ho spiegato all’onorevole parlamentare che la Commissione ha già avviato diverse inchieste da cui emerge che un comportamento anticoncorrenziale contribuisce all’insorgere delle problematiche rilevate dall’indagine nel settore dell’energia. Tuttavia, il diritto della concorrenza da solo non è sufficiente a liberalizzare i mercati, com’è ovvio. Il nostro intervento deve essere completato da un quadro giuridico più adeguato, occorre aumentare la trasparenza, migliorare il coordinamento transfrontaliero, eccetera.
Può presentarsi la necessità di effettuare modifiche normative per cogliere appieno tutti i vantaggi dei nostri mercati dell’energia. Una volta che avremo a disposizione la relazione completa dell’indagine sulle condizioni di concorrenza nel settore dell’energia, rifletteremo ulteriormente sui cambiamenti necessari. Il mio collega, Commissario Piebalgs, sta esaminando l’attuale livello di attuazione delle direttive esistenti sulla liberalizzazione nel settore dell’energia. In seguito ai risultati della valutazione intermedia, saranno prese in considerazione ulteriori misure per liberalizzare i mercati. Una possibilità da considerare è quella di un frazionamento strutturale completo. L’onorevole deputato converrà senza dubbio che si dovranno prendere provvedimenti se ci si renderà conto che, allo stato dei fatti, qualcosa non va.
Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Signora Commissario, attualmente gli scambi nel settore dell’energia, e in particolare l’importazione di energia, generano elevati profitti a livello internazionale. Al momento sono in corso discussioni relative alla possibilità di reinvestire tali guadagni in Europa, vale a dire che l’OPEC, la Russia, e forse anche la Cina in un futuro prossimo, potrebbero monopolizzare il mercato. Come considera la situazione futura dal punto di vista della concorrenza?
Per fornire un esempio pratico, Gazprom sta procedendo all’acquisto delle maggiori imprese europee nel settore energetico. Quali provvedimenti intende prendere la Commissione al riguardo, al fine di salvaguardare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico in futuro?
Neelie Kroes , Membro della Commissione. – (EN) Si sono registrati diversi cambiamenti nell’intero scenario del mercato dell’energia, come ha giustamente ricordato l’onorevole deputato. L’Europa necessita di relazioni stabili anche con i principali produttori al di fuori dell’Unione. Tuttavia, questo non ci impedisce e non deve impedirci di assicurare che nell’ambito dell’UE sia presente un mercato competitivo ed integrato.
Un mercato comunitario unico, flessibile e interconnesso, aperto e competitivo garantirà nel futuro una posizione sicura in materia di energia, e in tal modo renderà il mercato europeo interessante per i fornitori esterni: fa tutto parte del gioco.
Un siffatto mercato sarà inoltre aperto ad accogliere nuovi mix energetici, e sarà in grado di radunare le forze interne necessarie a sostenere le sfide internazionali in questo campo.
Seconda parte
Presidente. – (DE) L’interrogazione n. 37 non sarà esaminata poiché l’argomento figura già all’ordine del giorno della presente tornata.
Presidente. – Poiché vertono sullo stesso argomento, annuncio congiuntamente l’
interrogazione n. 38 dell’onorevole Bernd Posselt (H-0509/06):
Oggetto: Situazione in Russia
Può la Commissione far sapere come valuta la situazione in Russia dal punto di vista dei diritti umani e delle condizioni di detenzione, in particolare per quanto riguarda i detenuti Platon Lebedev s Michail Khodorkovsky?
e l’interrogazione n. 39 dell’onorevole Milan Horáček (H-0558/06):
Oggetto: Situazione in Russia
Cosa può dire la Commissione in merito alle violazioni dei diritti umani nella Federazione Russa e come valuta in questa prospettiva la condizione dei prigionieri in Russia, soprattutto in considerazione della situazione dei detenuti Platon Lebedev e Mikhail Khodorkovsky?
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) La Commissione segue con molta attenzione la situazione dei diritti umani in Russia e, mediante il dialogo politico dell’Unione con questo paese, nonché le regolari consultazioni in materia di diritti dell’uomo, siamo in grado di sollevare con la Russia questioni relative alla democrazia, ai diritti umani e allo Stato di diritto.
Abbiamo espresso preoccupazione sulla situazione dei prigionieri in Russia nel corso delle consultazioni sui diritti umani, e abbiamo ricordato alle autorità russe la necessità di rispettare le norme riconosciute a livello internazionale. Da questo punto di vista, l’accordo della Russia per la pubblicazione delle relazioni del comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa rappresenterebbe un notevole passo avanti.
Per quanto riguarda la situazione specifica di Mikhail Khodorkovsky e Platon Lebedev, siamo consapevoli delle preoccupazioni espresse relativamente al processo giudiziario – il verdetto e la condanna – e della loro attuale situazione. L’Unione europea ha sottolineato ripetutamente la necessità di un sistema giudiziario che operi con onestà e trasparenza, al fine di infondere fiducia sia alla popolazione russa che alla comunità internazionale. Continueremo la nostra attività di monitoraggio sulla questione delle condizioni delle prigioni in Russia, senza dimenticare la situazione dei due detenuti.
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Ringrazio il Commissario per la sua esauriente risposta. Desidero solo cogliere l’occasione per chiederle se la rappresentanza della Commissione a Mosca ha già preso contatto con le famiglie dei detenuti, o se è possibile farlo.
In secondo luogo, i detenuti sono stati palesemente oggetto di condanne ingiustificate che contravvengono anche il diritto russo: pene che prevedono un prolungamento della condanna e della prigionia in luoghi troppo distanti dalla propria residenza sono contrarie al diritto russo. Pertanto, desidero chiederle unicamente di richiamare l’attenzione delle autorità russe al riguardo.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (DE) L’avvocato dei due prigionieri ha contattato nuovamente la nostra delegazione proprio la settimana scorsa, e naturalmente siamo in continuo contatto. Sarei lieta di affrontare la questione da lei sollevata nel suo secondo quesito, in cui lei chiede se le pene che prolungano le condanne e la detenzione in luoghi troppo distanti dalle famiglie non siano eccessivamente dure. Riprenderemo senz’altro la questione.
Milan Horáček (Verts/ALE). – (DE) Non è evidente anche a lei un legame tra gli esempi di disprezzo per la libertà dei mezzi di comunicazione, le limitazioni imposte alla società civile con la nuova legge sulle ONG, la violazione dei diritti dell’uomo in Cecenia e il trattamento riservato ai detenuti? Il legame consiste nel mancato rispetto del diritto russo. Queste persone sono state giudicate nell’Oblast di Mosca, pertanto avrebbero dovuto scontare lì anche la condanna, ma dopo il processo sommario, di cui io stesso sono stato testimone, rilevo in questo una connessione evidente. Se in questo paese esiste una possibilità di non rispettare le regole, potete star certi che verrà sfruttata.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (DE) Questi argomenti devono essere valutati separatamente, dal momento che riguardano questioni molto diverse, ognuna delle quali, ovviamente – come lei ha giustamente affermato – ha a che fare con i diritti universali e con le libertà fondamentali.
Tuttavia, la questione relativa alle ONG, per esempio, verrà certamente esaminata: la loro situazione giuridica corrisponde in gran parte a quella che si registra in altri paesi. Ciò che conta è come vengono applicate le leggi, e in questo rientra, in qualche misura, anche il trattamento riservato ai detenuti; si tratta anche in questo caso di un problema di applicazione: questo deve essere il nostro punto di partenza.
Justas Vincas Paleckis (PSE). – (EN) Desidero tornare sul caso Khodorkovsky. Di recente Anatoly Yermolin, un deputato della Duma russa, ha parlato al Parlamento europeo e ha ricordato l’aggressione nei confronti di Mikhail Khodorkovsky, ferito poco tempo prima. L’onorevole Yermolin ha affermato che solo l’attenzione delle forze democratiche russe e in particolar modo i paesi democratici occidentali possono salvargli la vita. A suo avviso, la Commissione sta prestando la dovuta attenzione a tale caso?
Benita Ferrero-Waldner , Membro della Commissione. – (EN) Posso confermare quanto ho già detto, e cioè che la Commissione continuerà a seguire la questione delle condizioni delle carceri in Russia e la situazione di Mikhail Khodorkovsky e di Platon Lebedev. A tale riguardo valuteremo anche l’opportunità che l’intera Unione europea sollevi la questione nella prossima serie di consultazioni sui diritti umani.
Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) E’ stata certamente la controversia su Mikhail Khodorkovsky l’ultimo pretesto che ha dato il via all’attuale situazione della politica energetica, dato che il Presidente Putin premeva per la nazionalizzazione del settore dell’energia e per la creazione di un monopolio.
Vorrei sapere quale forma assumerà in futuro la cooperazione bilaterale con la Russia in materia di politica energetica.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (DE) Posso assicurare all’onorevole deputato che, per ciò che concerne l’energia, sono appena stati avviati negoziati, ma che già al Vertice europeo di Sochi abbiamo affrontato senza mezzi termini le importanti questioni della trasparenza, della reciprocità e di norme eque per tutti; tutto ciò costituirà certamente una parte fondamentale dell’Accordo di cooperazione e partenariato in cui sfoceranno i negoziati con la Russia e di cui la Commissione ha appena concordato i termini del mandato. Tali regole fondamentali eserciteranno la loro influenza, e in seguito verranno raggiunti accordi specifici per ogni settore.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 40 dell’onorevole Nicholson of Winterbourne (H-0511/06):
Oggetto: Orientamenti operativi comuni nelle trattative con i rapitori di ostaggi
Negli ultimi anni in Iraq si è assistito ad un numero elevato e preoccupante di prese di ostaggi. La maggior parte dei casi riferiti dai media sono di grande rilievo in quanto riguardano stranieri attivi in qualità di operatori umanitari, giornalisti e ingegneri incaricati della ricostruzione. Tuttavia, il numero di rapimenti di stranieri in Iraq è in effetti molto ridotto se paragonato alle migliaia di iracheni presi in ostaggio. Gli esperti concordano nell’affermare che i numerosi gruppi criminali e terroristici responsabili di tali atti agiscono per molte ragioni diverse, ma che nella maggior parte dei casi si tratta di motivazioni economiche. Pertanto risultano particolarmente preoccupanti le recenti notizie secondo cui vari Stati membri dell’UE avrebbero pagato riscatti estremamente elevati a gruppi criminali e terroristici in cambio del rilascio dei connazionali rapiti. Il pagamento del riscatto è una misura particolarmente inopportuna e miope in quanto, lungi dallo scoraggiare tali azioni, ne favorisce il moltiplicarsi, esponendo sia stranieri che iracheni ad un rischio maggiore.
In tale contesto, quali misure può adottare la Commissione per stabilire orientamenti e codici di condotta comuni per gli Stati membri che si trovano ad affrontare tale minaccia in Iraq e altrove?
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Disapproviamo fortemente la condizione critica della sicurezza in Iraq e la situazione che rende estremamente difficile la vita nel paese agli iracheni e agli stranieri. Condanniamo tutte le forme di violenza che ostacolano la vita quotidiana dei civili iracheni e impediscono al paese di accedere allo stato di pace e stabilità cui ha pienamente diritto.
La pratica dei sequestri di persona costituisce una seria minaccia per la popolazione. Relazioni informali indicano che le ragioni dei rapimenti spaziano da motivazioni politiche a scopi puramente criminosi e per questo non vi sono scusanti. I rapimenti sono devastanti per tutte le persone coinvolte e la nostra solidarietà va alle famiglie, agli amici, ai colleghi e a chiunque ne sia colpito. Rientra comunque nelle competenze degli Stati membri occuparsi dei singoli casi di cittadini dell’Unione europea presi in ostaggio.
Riguardo ai cittadini iracheni, è molto importante che il Primo Ministro al-Maliki cerchi di fermare la violenza con iniziative volte alla riconciliazione nazionale, sebbene occorra riconoscere che la situazione non è ancora stabile. Questa è la difficile situazione in cui ci troviamo attualmente. Il pagamento di riscatti non è sicuramente una soluzione accettabile al problema dei sequestri in Iraq e la Commissione ha espresso chiaramente la sua disapprovazione verso tale pratica.
Baronessa Nicholson of Winterbourne (ALDE). – (EN) Signora Commissario, la ringrazio per la risposta esauriente, che appoggio pienamente. Era mio proposito attirare la sua attenzione sul rapimento del parlamentare e ministro Taiseer Najeh Awad al-Mashhandani, avvenuto lo scorso sabato. Purtroppo un altro ministro, il ministro aggiunto per l’Elettricità, Raad al-Hareth, è stato rapito questa mattina con le sue 19 guardie del corpo. Come ho già detto nella mia interrogazione e come lei stessa ha osservato, molte migliaia di civili iracheni lontani dall’attenzione dei media vengono rapiti ogni giorno.
Il rapimento è un crimine che conduce anche alla schiavitù infantile, alla prostituzione di esseri umani su scala internazionale, al fenomeno dei bambini soldato e agli orrori che lei ha già esposto a proposito dell’Iraq. So che la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, sottoscritta nel 2003, ha redatto un manuale che sarà pubblicato quest’anno. Credo che questo testo, che riferisce solo di qualche centinaio di rapimenti all’anno, sia semplicemente inadeguato per le Nazioni Unite.
Può il Commissario, a nome di tutti noi, invitare la delegazione della Commissione europea presso le Nazioni Unite a presentare una vigorosa istanza volta a intensificare la lotta da parte delle Nazioni Unite contro questa forma di crimine particolarmente atroce?
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Posso solo dire che sosterrò senz’altro questa iniziativa e darò istruzioni alla delegazione della Commissione presso le Nazioni Unite al fine di valutare se si possa fare qualcosa in più. Sono completamente d’accordo con lei: il numero di atrocità commesse è tale per cui è nostro compito fare tutto il possibile.
Devo comunque ripetere che, in ultima analisi, questo è ovviamente anche responsabilità di ogni Stato membro; ma certo faremo in modo di sostenere le iniziative adottate dalle Nazioni Unite.
Richard Seeber (PPE-DE). – (DE) Siccome sappiamo che l’Iraq riveste un’importanza economica immensa per noi, in altre parole non è solo importante in relazione al problema dei diritti umani ma anche a livello economico, che cosa può fare la Comunità europea per rendere il paese più stabile? Quali programmi comunitari o di cooperazione si possono attuare per rendere l’Iraq più stabile e sicuro?
Benita Ferrero Waldner, Membro della Commissione. – (DE) Esiste una sfilza di programmi preposti a questo scopo. Abbiamo lavorato alacremente per la stabilizzazione dell’Iraq fin dal 2003 e abbiamo speso finora 513 milioni di euro a tale fine. Abbiamo anche messo a bilancio altri 200 milioni di euro per quest’anno, anche se devo ammettere che i programmi hanno una portata molto ampia.
Esistono programmi gestiti dalla Banca mondiale e da fondi delle Nazioni Unite volti a risolvere i bisogni primari della popolazione in ambiti come, per esempio, l’istruzione, l’assistenza sanitaria e l’acqua.
Ci sono anche programmi che hanno come obiettivo primario la costituzione dei principali ministeri, quali il ministero del commercio e quello dell’energia.
Si sta inoltre procedendo nel tentativo di rendere più democratica la società irachena; mi riferisco alle consultazioni elettorali e referendarie che si sono svolte sotto la supervisione delle Nazioni Unite e hanno beneficiato di un sostegno finanziario erogato dalla Commissione. Naturalmente continueremo nel nostro impegno teso a contribuire al consolidamento del dialogo nazionale e alla riconciliazione.
Per quest’anno sono stati stanziati altri 200 milioni di euro, che rappresentano una consistente somma di denaro.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 41 dell’onorevole Justas Vincas Paleckis (H-0524/06):
Oggetto: Cooperazione tra l’UE e la Russia
I lavori preparatori per il rinnovo dell’accordo di partenariato e cooperazione tra l’UE e la Russia dovrebbero iniziare prossimamente, dato che il suddetto accordo scade nel 2007. Come concepisce la Commissione il futuro accordo? Si prevede di limitarsi ai quattro spazi comuni? Si prevede di conferire al futuro accordo una portata maggiore o, al contrario, minore? In che modo il nuovo accordo rifletterà le disposizioni relative alla politica energetica europea definite dal Libro verde su una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura adottato dalla Commissione nel 2006?
Segnali diversi provengono dalla Russia in merito al prossimo eventuale accordo: taluni politici e politologi russi ritengono che l’accordo di partenariato e di cooperazione tra l’UE e la Russia firmato nel 1997 non rechi alcun beneficio alla Russia in quanto, a loro avviso, sarebbe sperequato e dettato da Bruxelles. Come valuta la Commissione tali dichiarazioni?
Benita Ferrero Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Proprio oggi abbiamo approvato una raccomandazione al Consiglio contenente orientamenti per la negoziazione di un nuovo accordo con la Russia. A seguito dei dibattiti interni all’Unione Europea, la Commissione ha avviato dialoghi esplorativi con la Russia che sono sfociati in un ampio consenso sull’impostazione generale.
A seguito degli esiti dell’ultimo summit Unione europea-Russia a Sochi, abbiamo trovato un accordo sui seguenti punti. Innanzi tutto, lo scopo è concludere un nuovo accordo, giuridicamente vincolante, ampio ed esauriente, che sia durevole e che possa facilitare il futuro sviluppo delle relazioni. In secondo luogo, vorremmo evitare un vuoto legislativo, il che implicherebbe di non recedere dall’accordo di partenariato e di cooperazione attualmente in vigore. Come la nostra controparte, ci siamo impegnati a dare attuazione alle “tabelle di marcia per i quattro spazi comuni”.
Questo accordo dovrebbe adottare un approccio strategico alle relazioni fra le parti e sottolineare che il rispetto per i valori comuni rappresenta una base essenziale. Inoltre dovrebbe basarsi sugli obiettivi di questi spazi comuni. In particolare intendiamo considerare l’ulteriore sviluppo dei nostri rapporti commerciali in relazione al processo di inserimento della Russia nell’Organizzazione mondiale del commercio. Naturalmente, come ho già detto, intendiamo consolidare le nostre relazioni in campo energetico sulla base dei principi fondamentali, che sono la reciprocità, l’equità e l’uguaglianza.
Justas Vincas Paleckis (PSE). – (EN) Grazie per la sua risposta, signora Commissario.
Alcuni segnali indicano che la Russia sta moltiplicando le pressioni sulla politica energetica. Per esempio, proprio in questi giorni una società polacca sta procedendo all’acquisto di una raffineria lituana, la Mažeikių Nafta, e la Russia ha immediatamente reagito sospendendo le forniture di petrolio. Sarebbe possibile prendere in considerazione la questione della politica energetica durante il meeting del G8 a San Pietroburgo?
Benita Ferrero Waldner, Membro della Commissione. – (EN) E’ molto importante rendersi conto che la questione dell’energia dimostra la nostra attuale interdipendenza con la Russia. Ciò significa che siamo un cliente importante per la Russia. Acquistiamo il 25 per cento del suo gas, il 27 per cento del petrolio e parte dell’uranio. Questo è molto importante anche per la Russia. Quindi sarà certamente uno dei temi principali da trattare con la Russia durante il meeting del G8. E’ stato un argomento di capitale importanza anche al summit di Sochi.
In merito alle altre questioni, sarà istituita una sorta di osservatorio destinato a verificare e controllare l’operato della controparte. Ritengo tuttavia della massima importanza individuare innanzi tutto i principi corretti. Una volta fissati tali principi, le singole questioni potranno essere messe a punto all’interno di accordi settoriali con un approccio molto concreto.
Piia-Noora Kauppi (PPE-DE). – (EN) Durante l’incontro di ieri con il governo finlandese a Helsinki, il Presidente Barroso ha parlato della possibilità di un accordo di libero scambio con la Russia. Alcuni governi, tuttavia, credono che ciò possa verificarsi solo se la Russia diventa membro dell’Organizzazione mondiale del commercio a tutti gli effetti.
Che cosa ne pensa la Commissione e qual è ora la via da seguire dopo l’iniziativa di ieri del Presidente Barroso?
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Ho già detto poc’anzi che, a lungo termine, l’ulteriore sviluppo delle nostre relazioni commerciali è possibile, ma che è soggetto agli sviluppi del processo di inserimento della Russia nell’Organizzazione mondiale del commercio. Ovviamente questo dipende in primo luogo e soprattutto dall’Organizzazione mondiale del commercio. In seguito dovremo vedere come portare avanti l’idea di un accordo di libero scambio. E’ un obiettivo a medio e lungo termine, questo è ovvio.
Agnes Schierhuber (PPE-DE). – (DE) Signora Commissario, lei ha descritto la situazione riguardante la Russia con dovizia di dettagli, cosa di cui le sono molto grata. Quel che vorrei sapere è se lei – o la Commissione – pensa che la Russia e gli altri Stati che gravitano nella sua orbita potranno essere partner affidabili in futuro in materia di approvvigionamento energetico e, visto che lei stessa ha riportato i dati in merito, fino a che punto l’Unione europea dipende dalla Russia o dall’Ucraina. Possiamo contare sull’affidabilità di questi paesi?
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (DE) Sulla base dell’esperienza che abbiamo maturato con la Russia nel corso degli anni, la sua affidabilità come partner può essere data per scontata, ma dobbiamo anche prendere atto che le difficoltà con l’Ucraina sono state per noi un campanello d’allarme.
Ecco perché è molto importante che in futuro troviamo una soluzione trasparente all’approvvigionamento energetico, basata sulle logiche di mercato. Infatti la Commissione è fondamentalmente persuasa del fatto che, se i prezzi devono riflettere il mercato, in Ucraina l’adeguamento dei prezzi deve avvenire gradualmente e non da un giorno all’altro, e che non bisogna fare pressioni.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 48 dell’onorevole Marc Tarabella (H-0502/06):
Oggetto: Diritti di soggiorno dei cittadini dell’Unione europea
In riferimento alla direttiva 2004/38/CE(1), l’interrogante valuta positivamente i progressi compiuti da tale testo a favore di una migliore integrazione dei cittadini europei.
Tuttavia deplora l’uso dei termini “diritto di soggiorno permanente”, che in francese presentano in sé una contraddizione: il termine “soggiorno” ha necessariamente un’accezione temporanea.
Inoltre, può la Commissione garantire che la parità integrale di trattamento tra i cittadini dell’Unione e i cittadini nazionali includa il rilascio di un vero e proprio documento d’identità e non più di un permesso di soggiorno, come ad esempio in Belgio, dove tale permesso non ha un valore uguale alla carta d’identità? Non considera altresì la Commissione che tale denominazione sia deplorevole e addirittura umiliante per i cittadini emigrati da decine di anni, i quali hanno trascorso la loro vita attiva e familiare nel paese d’accoglienza?
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signora Presidente, la Commissione non crede che l’espressione “diritto di soggiorno permanente” rappresenti necessariamente una contraddizione in termini poiché l’accezione del termine soggiorno indica il periodo in cui una persona risiede in un luogo, e tale periodo può essere lungo o addirittura permanente. Inoltre, questa nozione non è stata oggetto di osservazioni come quelle proposte dall’onorevole Tarabella né durante la redazione del testo da parte della Commissione, né in seno al Consiglio, in sede di discussione della direttiva, e neppure in quest’Aula.
In merito alla seconda osservazione, la Commissione sottolinea innanzi tutto che, come previsto dall’articolo 18 del Trattato e confermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, il diritto di soggiorno è sancito direttamente dal Trattato per i cittadini europei e che i loro documenti di residenza hanno unicamente lo scopo di certificare tale diritto.
In linea con questo principio, uno dei principali obiettivi della direttiva 2004/38/CE era semplificare le formalità amministrative connesse al diritto di residenza. Sulla base di questo testo, i cittadini dell’Unione europea non devono necessariamente ottenere una carta di soggiorno nello Stato membro in cui risiedono, poiché è sufficiente l’iscrizione presso le autorità competenti, e aggiungerei che ciò è richiesto solamente nel caso in cui lo Stato membro ospitante lo ritenga necessario. In tal caso ai cittadini dell’Unione europea viene rilasciato un attestato di iscrizione a fronte della presentazione del documento di identità o del passaporto e della dimostrazione che essi rispondono ai requisiti necessari per il diritto di soggiorno. In seguito a un periodo di cinque anni di residenza legale continuativa, i cittadini dell’Unione europea acquisiscono il diritto di soggiorno permanente, che non è più soggetto ad alcuna condizione e, se lo richiedono, lo Stato membro ospitante è tenuto a trasmettere loro un documento attestante tale diritto.
In conclusione, la direttiva 2004/38/CE prevede anche che gli Stati membri, agendo sulla base della loro legislazione, rilasceranno ai cittadini un documento di identità o un passaporto che ne indicherà la nazionalità o, se del caso, rinnoveranno tali documenti. Ne consegue che uno Stato membro ospitante non può rilasciare veri e propri documenti di identità a residenti non aventi la cittadinanza dell’Unione europea. Questi cittadini devono essere in possesso del documento di identità o del passaporto rilasciato dal paese di cui hanno la cittadinanza che ne attesti l’identità e la cittadinanza e, se lo Stato membro ospitante lo richiede, di un certificato comprovante il diritto di soggiorno emesso dallo stesso Stato membro ospitante.
Marc Tarabella (PSE). – (FR) Grazie per le informazioni, signor Commissario. Il mio scopo era parlare a nome dei numerosi cittadini dell’Unione europea che risiedono in Belgio, ma che non hanno la cittadinanza belga. Alcuni di loro vivono nel paese da decine di anni, vi hanno costruito la loro carriera, la loro vita professionale e familiare e, nonostante la risposta che lei mi ha dato in proposito, trovano il termine “soggiorno” fortemente improprio; questi cittadini, infatti, non “soggiornano”, ma hanno scelto il paese in questione come loro paese ospitante in cui rimarranno vita natural durante. In effetti ciò che appare scioccante è che questi cittadini, quando prendono un aereo in Belgio diretto verso un altro paese dell’Unione, non possono usare il documento in loro possesso come documento di identità, per cui sono costretti ad esibire il passaporto.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, certamente questa situazione, definita scioccante, è una delle conseguenze dell’applicazione di questa direttiva.
E’ evidente che noi seguiamo anche quelli che lei definisce esattamente dei “casi concreti” e le assicuro che qualora si verificassero violazioni nell’applicazione di questa direttiva – che ancora non tutti gli Stati membri hanno tradotto in normativa nazionale – noi eserciteremo i poteri di competenza della Commissione in questi casi.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 49 dell’onorevole Sarah Ludford (H-0504/06):
Oggetto: “Clausola passerella”
A quanto risulta, nel corso della riunione del 27 e 28 maggio a Vienna i ministri degli esteri della UE non sono riusciti ad accordarsi sulla proposta della Commissione relativa al ricorso alla clausola “passerella” del trattato di Nizza per trasferire più competenze in materia di giustizia e affari interni dal terzo al primo “pilastro” (pilastro comunitario).
Come ha reagito la Commissione a tale insuccesso e quali altre proposte concrete intendere avanzare per accrescere l’efficacia, la democrazia e la trasparenza del processo decisionale in materia di giustizia e affari interni?
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) La Commissione è convinta che sia giunto il momento di sfruttare appieno le possibilità offerte dai Trattati in vigore e in particolare dalle clausole passerella. Sussisteranno così le condizioni atte a permetterci di realizzare i nostri obiettivi nel periodo che precederà l’entrata in vigore del Trattato costituzionale.
La Commissione può tuttavia confermare che nel complesso è disposta a contribuire al dibattito sull’utilizzo delle clausole passerella, come ha dimostrato affrontando l’argomento in occasione della revisione politica del programma dell’Aia presentata il 28 giugno. Le reazioni iniziali dell’ampia maggioranza degli Stati membri sono state molto positive e dalla riunione informale dei ministri degli Esteri del 27 e 28 maggio è emerso che la maggior parte degli Stati membri condivide l’approccio adottato dalla Commissione nella comunicazione del 10 maggio sul futuro dell’Europa.
Questa determinazione a compiere progressi è stata confermata dalle conclusioni del Consiglio europeo del mese scorso, che invitano la prossima Presidenza finlandese a esplorare, in stretta collaborazione con la Commissione, le possibilità di miglioramento del processo decisionale e dell’azione in materia di libertà, sicurezza e giustizia sulla base dei Trattati vigenti.
Tuttavia, si tratta senza dubbio di una questione che deve essere attentamente predisposta al massimo livello politico. La Commissione ritiene che ora sia opportuno tenere un dibattito approfondito sulla questione e pertanto accoglie con favore l’intenzione della Presidenza finlandese di agire in tal senso.
La Commissione è certa che il Parlamento contribuirà a stimolare questo dibattito, com’è sua consuetudine fare riguardo alle questioni istituzionali. So che di recente il Presidente Borrell ha nuovamente incoraggiato la Commissione a seguire tale approccio. Sono sicuro che la questione rivesta la massima importanza per il Parlamento europeo e offra l’occasione unica di avvicinare i cittadini ai temi della libertà, della sicurezza e della giustizia, aumentando così l’efficienza, la trasparenza e l’affidabilità del processo legislativo.
Probabilmente saprete che proprio ieri il Primo Ministro della Finlandia ha confermato, in occasione della riunione tenutasi a Helsinki, la piena determinazione, sua e della Presidenza finlandese, a tenere altre discussioni, la prima delle quali si svolgerà in occasione del Consiglio informale dei ministri degli Interni, previsto per la fine di settembre a Tampere.
Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Grazie, Commissario Frattini. Nelle sei settimane che sono passate da quando ho presentato questa interrogazione sono successe molte cose e, in particolare, la settimana scorsa è stato presentato il pacchetto Frattini, se possiamo chiamarlo così. Mi congratulo sinceramente con lei e con la Commissione per quest’ottimo pacchetto, costituito da quattro documenti coraggiosi e ambiziosi.
Ha pensato a come potremmo raggiungere i cittadini con una strategia di comunicazione volta a far sì che essi capiscano la situazione – non i dettagli oscuri, ma che capiscano, ad esempio, che gli Stati membri non hanno applicato le leggi antiterrorismo? Occorre esercitare pressioni sui loro governi affinché traducano la retorica in azione e compiano progressi nella lotta alla criminalità e al terrorismo e nel rispetto dei diritti umani.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Sì, ovviamente stiamo pensando a questa strategia di comunicazione. A mio parere, il modo migliore per dimostrare ai cittadini quanto sia importante abolire i poteri di veto è fornire loro esempi concreti. Un esempio di questo tipo è l’iniziativa riguardante gli standard minimi in materia di diritti procedurali; a tale proposito, dopo due anni di discussioni ci troviamo tuttora in una situazione di stallo proprio a causa del sistema dell’unanimità. Un altro esempio, poi, è dato dalla cooperazione di polizia a livello transfrontaliero: in questo caso, a causa dell’unanimità, siamo ancora bloccati dopo 18 mesi di discussioni molto complesse. Questi sono esempi concreti per il pubblico. Se pensate che per il pubblico i diritti procedurali e la cooperazione di polizia a livello europeo siano importanti, allora per favore aiutateci.
Margarita Starkevičiūtė (ALDE). – (LT) In che modo la Commissione intende garantire la cooperazione e l’informazione dei cittadini, se è in ritardo nell’organizzazione di un sistema di informazione efficiente che consenta l’applicazione dell’accordo di Schengen sia nei nuovi che nei vecchi Stati membri? In Lituania corre voce che i nuovi Stati membri non riusciranno ad aderire all’accordo di Schengen nei tempi previsti e il pacchetto che lei ha appena proposto sarà probabilmente difficile da applicare perché non esiste un sistema di informazione che raccolga i dati necessari.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, posso soltanto confermarle quello che il Consiglio europeo ha stabilito soltanto pochi giorni fa, vale a dire l’impegno ad adoperarsi in ogni modo affinché quell’obiettivo temporale dell’autunno 2007 venga confermato.
Sono consapevole dell’esistenza di alcuni problemi tecnici, ma sono consapevole anche della decisione politica che il Consiglio europeo ha confermato alcuni giorni fa, e che noi siamo obbligati a rispettare e a far rispettare. Questo è il nostro impegno.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 50 dell’onorevole Zdzisław Kazimierz Chmielewski (H-0512/06):
Oggetto: Situazione dei disabili in carcere
Il problema dei disabili che scontano pene detentive suscita davvero uno scarsissimo interesse. Effettivamente, nessun programma dell’Unione europea – nemmeno quelli come il programma di lotta contro l’esclusione sociale, di lotta contro le discriminazioni, il programma concernente misure di incentivazione per l’occupazione, eContent o il Fondo sociale europeo – contempla la questione del reinserimento sociale dei detenuti disabili. Inoltre, ben pochi contenuti validi emergono dai documenti UE relativi al 2003, che, come tutti sanno, è stato l’Anno dei disabili.
Risulta quindi evidente l’esigenza che il Consiglio, la Commissione e il Parlamento affrontino questo importante problema. L’interrogante desidera pertanto sapere a quale fase si è giunti nell’elaborazione di appropriate normative UE che disciplinino la situazione dei disabili in carcere. Una delle esigenze più pressanti riguarda l’introduzione di opportuni programmi educativi, al fine di consentire a queste persone di adeguarsi ai requisiti del mercato del lavoro.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) In linea generale spetta agli Stati membri occuparsi della disabilità nel quadro del principio di sussidiarietà. Per garantire parità di trattamento ai cittadini, tutte le politiche comunitarie tengono conto delle esigenze dei disabili, prevedendo altresì misure per il reinserimento dei detenuti disabili.
L’importanza delle opportunità di occupazione per i disabili è chiaramente riconosciuta e trova riscontro non solo nella strategia europea per l’occupazione, ma anche nelle conclusioni del Consiglio europeo, che, come ricorderete, ha affrontato la questione nel Vertice di primavera 2006.
Quanto ad altri programmi, il piano d’azione della Commissione a favore delle persone disabili, contenuto nella sua comunicazione COM(2005)604, illustra ciò che è stato fatto in merito a tutte le persone disabili dell’Unione europea.
Quanto all’eventuale competenza dell’Unione europea nel quadro del terzo pilastro, attualmente non esistono normative comunitarie che disciplinino lo status dei disabili in carcere. Ciò si deve essenzialmente al fatto che qualsiasi azione di cooperazione giudiziaria in materia penale finalizzata al ravvicinamento delle legislazioni applicabili negli Stati membri è, conformemente all’attuale base giuridica, subordinata alla necessità di tale azione ai fini di una migliore cooperazione tra gli Stati membri.
Molte proposte avanzate dalla Commissione nel piano d’azione dell’Aia sono volte ad agevolare il reinserimento sociale dei carcerati, benché non siano specificamente indirizzate al reinserimento dei detenuti disabili. Austria, Finlandia e Svezia, ad esempio, hanno presentato un progetto sul trasferimento dei prigionieri.
Valuterò, insieme al collega Špidla, la possibilità di sostenere e integrare le misure intraprese o previste in quest’ambito attraverso l’adozione di misure nel quadro del terzo pilastro.
Zdzisław Kazimierz Chmielewski (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, vorrei formulare una domanda di carattere generale. Se, in conformità dello Stato di diritto, i disabili sono giustamente tenuti a rispettare la legge come tutti gli altri cittadini – per esempio possono essere reclusi – perché i principi della parità di partecipazione non vengono applicati nell’ambito del mercato del lavoro? Perché ai disabili non sono concesse le stesse opportunità di fare uso delle loro qualifiche? Perché in quest’ambito le democrazie moderne non rispettano le norme che le società civili sono chiamate a osservare?
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, sono ben consapevole di questi problemi concreti. Credo che un intervento dell’Europa ad esclusione di leggi europee obbligatorie, che in questa materia non sono possibili, si possa svolgere sul piano della lotta alle discriminazioni.
Noi siamo pronti ad esaminare e, come ho detto, lo farò con il mio collega Špidla, ogni possibilità anche di progetti volti a favorire il reinserimento sociale di coloro che sono stati in prigione, che sono stati condannati, ma sono disabili e che quindi hanno delle maggiori difficoltà.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 59 dell’onorevole Georgios Toussas (H-0515/06):
Oggetto: Licenziamento di sindacalisti a scopo vendicativo
Il licenziamento da parte della “Wackenhut Security Transport” di Petros Kefalás – attivista sindacale, Segretario generale dell’Associazione di categoria dei dipendenti di società e agenzie anonime, e membro dell’amministrazione del sindacato dei lavoratori dell’impresa – per aver protestato presso il Direttore generale di quest’ultima contro il licenziamento ingiusto di un collega, costituisce un atto vendicativo che mira ad intimidire i lavoratori e a reprimere l’azione sindacale nei luoghi di lavoro. Il licenziamento in questione è stato pianificato e si tenta di “legittimarlo” nel quadro della “collaborazione tripartita datori di lavoro-Stato-lavoratori” con il “sigillo” della Federazione delle industrie greche (SEB), i cui membri lanciano minacce e ingiurie contro i lavoratori.
Qual è la posizione della Commissione riguardo a tali licenziamenti di sindacalisti a scopo vendicativo, alla creazione di un clima di terrore nei luoghi di lavoro e al ripristino della protezione sindacale di Petros Kefalás?
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, la libertà di associazione è un principio generale del diritto comunitario e la Corte di giustizia lo ha chiaramente riconosciuto.
Vi è poi un articolo importante, l’articolo 12 della Carta europea dei diritti fondamentali, che prevede il diritto alla libertà di associazione a tutti i livelli, e particolarmente in campo sindacale. La libertà di associazione va pertanto sempre rispettata.
Vi è poi l’articolo 137 del trattato che stabilisce, più in particolare, che quelle stesse disposizioni non si applicano al diritto di associazione. Qual è la conseguenza? Esiste una libertà di associazione stabilita con grande chiarezza dalla Carta europea dei diritti fondamentali, ma il trattato non riconosce alla Commissione la facoltà di intervenire, ad esempio contro un’impresa privata che violi il diritto di associazione. In questi casi spetta infatti all’autorità nazionale, e in particolare all’autorità giudiziaria, garantire il rispetto di tale diritto.
Questa è evidentemente una questione che va risolta davanti ai tribunali, semplicemente perché non esiste una regola concreta del trattato per rendere applicabile un potere di intervento della Commissione.
Georgios Toussas (GUE/NGL). – (EL) Signor Commissario, i licenziamenti punitivi dei lavoratori stanno diventando una pratica diffusa. La società Wackenhut, dopo il licenziamento del sindacalista Petros Kefalas, è nuovamente intervenuta contro Nikos Besis e il procedimento è tuttora in atto.
Poco fa ho lasciato una riunione di sindacalisti che rappresentano i dipendenti della Opel, l’industria automobilistica. Al di là delle differenze esistenti, anche la Opel sta minacciando il licenziamento di migliaia di lavoratori.
A nostro parere la nuova formulazione della legislazione del lavoro sta creando le condizioni per il licenziamento di migliaia di lavoratori. Quali misure intende prendere la Commissione al fine di salvaguardare la rappresentanza sindacale e l’applicazione della legislazione del lavoro rispetto agli obiettivi occupazionali?
Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). – (FR) Signora Presidente, mi ha esclusa dall’elenco. La mia interrogazione era invece prevista. Se questo è il desiderio del Commissario, lo accetterò; ma se la decisione è stata sua, signora Presidente, allora deve riconoscere che è francamente inaccettabile negare a un membro del Parlamento l’opportunità di discutere in questa sede con il Commissario. Vorrei anche informarla che da sei mesi non mi concede la parola.
Presidente. – Questo non può essere vero, onorevole Panayotopoulos-Cassiotou, poiché siamo state molto spesso presenti entrambe durante il Tempo delle interrogazioni e so di averle spesso concesso la parola dal momento che lei è tra i partecipanti più assidui, cosa di cui mi compiaccio. In ogni caso il Regolamento prevede la formulazione di interrogazioni secondo intervalli di venti minuti per ciascun Commissario, e la seconda parte relativa alle interrogazioni rivolte al Commissario Frattini è durata ben più di venti minuti. A questo punto devo interrompere. Le interrogazioni riceveranno risposta scritta. Ora passiamo alla terza parte del Tempo delle interrogazioni, come previsto dal Regolamento. Sono spiacente, ma sappia che non c’è nulla di intenzionale.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, vorrei solamente confermare all’onorevole parlamentare che la definizione di rappresentanze sindacali, e quindi della tutela delle rappresentanze sindacali, è una definizione presente nella larga maggioranza degli Stati membri e quindi è chiaro che da questa derivi la possibilità di una tutela concreta.
Condivido la sua preoccupazione generale circa i licenziamenti per ragioni di rappresaglia antisindacale. In molti paesi le azioni della magistratura sono molto concrete e molto incisive. Credo che quando le ragioni di rappresaglia siano accertate, è opportuno che la magistratura intervenga con provvedimenti particolarmente incisivi. Si tratta dell’unica possibilità, che però non è consentita alle istituzioni dell’Unione europea.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 60 dell’onorevole Dimitrios Papadimoulis (H-0537/06):
Oggetto: Legislazione greca relativa alla non esecuzione delle decisioni giudiziarie
In base all’articolo 20 della legge 3301/2004 (Gazzetta ufficiale della Repubblica ellenica 263 del 23.12.2004), lo Stato greco, gli enti locali e le persone giuridiche di diritto pubblico sono esenti dall’obbligo di dare esecuzione ad un determinato tipo di decisioni giudiziarie, quali i provvedimenti cautelari e le ingiunzioni di pagamento. L’articolo 4E della legge 3388/2005 (Gazzetta ufficiale della Repubblica ellenica 225 del 12.9.2005) estende tale deroga alle persone giuridiche di diritto privato del settore pubblico in senso ampio. Gli ambienti giuridici denunciano tali disposizioni in quanto violerebbero i diritti dei cittadini. All’interrogazione E-4752/05 presentata dall’autore sull’argomento la Commissione rispondeva: “Perché la Commissione possa formulare commenti riguardo a tale legislazione, è indispensabile completare l’esame della documentazione appena ricevuta e, se necessario, chiedere chiarimenti al governo greco”.
Ha la Commissione esaminato la questione? Quali sono i suoi commenti sulle disposizioni di cui sopra? Ritiene che siano compatibili con la legislazione comunitaria e le convenzioni internazionali? Quali misure intende prendere al riguardo?
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, abbiamo dato una risposta a un’interrogazione scritta precedente. Posso soltanto confermare all’onorevole interrogante che abbiamo ricevuto, da relativamente poco tempo, la documentazione supplementare da parte del querelante.
L’argomento è estremamente complesso, in quanto ha delle implicazioni in diversi campi del diritto comunitario. Ecco perché – come mi è stato riferito – i servizi della Commissione non hanno ancora completato l’esame della documentazione supplementare. Posso assicurare all’onorevole interrogante che la nostra intenzione è di accelerare in modo estremo l’esame di queste osservazioni supplementari e dare finalmente una risposta, anche se la questione giuridicamente è estremamente complessa.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL). – (EL) Questo è in sostanza quanto ha risposto circa un anno fa, cioè che sta esaminando la questione. Quindi le domando: se le leggi del nostro paese consentono la non esecuzione delle decisioni giudiziarie emesse dai tribunali greci a difesa dei lavoratori nell’ambito delle disposizioni in materia assicurativa e delle ingiunzioni di pagamento, come può la Commissione arrogarsi il diritto di osteggiare e rallentare, giustificando in tal modo l’arbitrarietà del governo greco a spese della giustizia del paese?
Poco fa, in risposta al collega Toussas, lei ha detto che il problema deve essere risolto dai tribunali. Quando la legge impedisce l’esecuzione delle sentenze, la Commissione resta comunque inerte?
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, onorevole deputato, desidero esprimere il mio rammarico a tal proposito e comprendo anche il suo disappunto.
Abbiamo iniziato ad esaminare questi documenti supplementari non appena ci sono pervenuti e cioè alla fine dello scorso anno, nel dicembre del 2005. Come lei, mi rendo conto perfettamente che è trascorso un lungo periodo di tempo, ma vi sono – secondo quanto mi viene riferito – dei problemi giuridici che non riguardano soltanto la normativa che il querelante ritiene sia stata violata.
Vi sono delle altre disposizioni che sono coinvolte e posso dirle soltanto che trasmetterò alla Direzione generale competente e al collega Špidla la richiesta di accelerare considerevolmente lo svolgimento dell’esame tecnico. Come lei, sono consapevole della situazione.
Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (PPE-DE). – (EL) Signora Presidente, la mia non è una domanda complementare sull’argomento; voglio semplicemente esprimere il mio stupore perché la mia interrogazione era la numero 54; questo è il mio secondo mandato al Parlamento europeo ed è la prima volta che non viene rispettato l’elenco che stabilisce l’ordine delle interrogazioni annunciato in precedenza.
Vorrei anche domandarle se questa è una sua trovata o se è un’abitudine che sta adottando, una cosa che ha il diritto di fare, perché se così fosse, allora da parte nostra non c’è motivo di prestare attenzione all’ordine delle interrogazioni per essere pronti a intervenire e ad ascoltare le risposte della Commissione.
La ringrazio anticipatamente; voglio credere che non accadrà più, poiché è un insulto nei nostri confronti, visto che presentiamo le nostre interrogazioni per tempo e aspettiamo con pazienza e rispetto il nostro turno.
Presidente. – Come ha detto lei stessa, la sua non era una domanda complementare. La invito caldamente a verificare quanto il Regolamento riporta sull’organizzazione del Tempo delle interrogazioni. Tutto è avvenuto secondo le corrette procedure e l’ordine delle interrogazioni è stato rispettato. Le interrogazioni che non possono essere discusse oralmente riceveranno risposta per iscritto, e la sua interrogazione, la numero 54, è fra queste.
Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). – (EL) Signora Presidente, chiederò al Commissario di organizzare corsi serali per i deputati su quanto ricade sotto la giurisdizione degli Stati membri e quanto ricade sotto la giurisdizione della Commissione, in modo che i deputati non debbano continuare a chiedere alla Commissione di fare da guardiana su questioni di competenza nazionale.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, la risposta è semplice: non mi permetto assolutamente né di chiedere né di dare lezioni a nessuno, tanto meno a questo Parlamento. Ascolto con rispetto quello che mi dite.
Georgios Toussas (GUE/NGL). – (EL) Dev’essere un problema davvero grave se una parlamentare greca si esprime in tal modo nei confronti di una collega nel corso di una seduta plenaria.
Mi si consenta di aggiungere un’osservazione, senza indulgere a chiacchiere politiche e con senso di responsabilità e senso del tempo, così prezioso per noi tutti: la Commissione europea, il Consiglio e numerosi parlamentari delle file opposte sono dotati di organi sensoriali estremamente pratici quando si tratta di problemi che riguardano i datori di lavoro; in questi casi vengono tempestivamente attivati i meccanismi della Commissione, del Consiglio e degli Stati membri.
Invece, quando si ha a che fare con problemi che riguardano i lavoratori, si nota un ostruzionismo intenzionale…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Presidente. – (EN) Poiché non si tratta di un richiamo al Regolamento, non posso concedere ulteriormente la parola all’onorevole deputato.
Presidente. – Annuncio l’
interrogazione n. 61 dell’onorevole Proinsias De Rossa (H-0547/06):
Oggetto: Trasposizione della direttiva sul distacco dei lavoratori nella legislazione irlandese
Successivamente alla risposta data durante la seconda tornata dello scorso febbraio all’interrogazione H-0060/06(2) presentata dal sottoscritto, può la Commissione indicare quale seguito abbiano dato le autorità irlandesi alla sua richiesta di “ulteriori chiarimenti” in merito alla trasposizione della direttiva sul distacco dei lavoratori (96/71/CE)(3) da parte dell’Irlanda?
Ritiene la Commissione che la direttiva sia stata recepita in modo corretto, completo e conforme ai criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea?
Quali misure ha adottato o intende proporre la Commissione in merito?
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) In seguito alla risposta della Commissione relativa alla precedente interrogazione presentata dall’onorevole deputato nell’anno in corso, abbiamo chiesto alle autorità irlandesi un chiarimento a proposito dell’applicazione della direttiva 96/71/CE in Irlanda. Il termine per la presentazione delle osservazioni delle autorità irlandesi non è ancora scaduto. Ricevute queste, la Commissione le valuterà e in seguito, se necessario, considererà l’ipotesi di un nuovo piano d’azione.
Nel frattempo abbiamo approvato una nuova comunicazione relativa alle linee guida sul distacco dei lavoratori effettuato nel quadro di una prestazione di servizi. In questa comunicazione abbiamo annunciato che, nella primavera del 2007, adotteremo una relazione che esaminerà la situazione in tutti gli Stati membri, Irlanda compresa.
Proinsias De Rossa (PSE). – (EN) Signor Commissario, è d’accordo con me che in questo momento, in cui il fenomeno della migrazione è in crescita in tutta l’Unione Europea, l’applicazione della direttiva sul distacco dei lavoratori è fondamentale al fine di garantire che non si inneschi una spirale discendente e che i lavoratori distaccati non possano essere sfruttati da datori di lavoro senza scrupoli? Sfortunatamente questo è quanto sta accadendo in Irlanda adesso, dove il governo non è riuscito ad applicare correttamente la direttiva sul distacco dei lavoratori.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, onorevole deputato, posso sicuramente condividere la sua opinione sulla essenzialità di un’applicazione concreta e piena della direttiva sui distacchi dei lavoratori.
Sono anch’io convinto che i disagi del lavoratore distaccato e trasferito debbano essere totalmente e pienamente evitati. Ecco perché, come già detto, noi non ci limitiamo all’esame dei singoli casi, come quello che si è verificato in Irlanda e che stiamo valutando in concreto, ma abbiamo proprio deciso di eseguire una valutazione complessiva, Stato per Stato, in merito al livello di attuazione della direttiva perché, come lei ha detto, non possiamo limitarci al caso concreto, che emerge come situazione di crisi, ma dobbiamo sapere se e come gli Stati membri applicano pienamente quella direttiva, che è di grande importanza.
Mairead McGuinness (PPE-DE). – (EN) Riguardo alla spirale discendente, vorrei chiederle di commentare l’asserzione del Primo Ministro Bertie Ahern, il quale ha affermato che l’Irlanda potrebbe non aprire il mercato ai lavoratori provenienti da Romania e Bulgaria al momento dell’allargamento che avrà luogo a gennaio del prossimo anno, sia alla luce del fatto che anche altri Stati membri non lo stanno facendo, sia a causa delle preoccupazioni per le conseguenze che questa spirale potrebbe avere sul mercato irlandese e sui diritti dei lavoratori. Potrebbe esprimere un commento su questo specifico argomento, sollecitando inoltre gli altri Stati membri a seguire l’esempio dell’Irlanda nei confronti dei nuovi Stati membri presenti?
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, onorevoli deputati, posso soltanto dire che l’Irlanda, che è stata finora tra i pochi Stati membri dell’Unione a riconoscere il pieno diritto alla circolazione dei lavoratori dei nuovi Stati membri dell’Unione europea, non si è trovata in una situazione di particolare disagio a causa di questa decisione.
Lei sa perfettamente, onorevole, che la Commissione incoraggia fortemente tutti gli Stati – diciamo i vecchi Stati membri dell’Unione europea – ad aprire il mercato del lavoro ai nuovi Stati membri dell’Unione europea e ai loro lavoratori.
Abbiamo registrato – il collega Špidla l’ha fatto in un suo documento – che i flussi di lavoratori tra i nuovi Stati membri e i vecchi Stati membri che già ora lo consentono, non sono stati flussi tali da alterare le condizioni di lavoro e il mercato interno del lavoro di quei paesi, tra cui rientra anche l’Irlanda.
Non intendo commentare le parole del Primo Ministro, tuttavia dico che l’idea della Commissione europea è che si debba riconoscere ai cittadini dei nuovi Stati membri dell’Unione europea – sia pure dopo un periodo di transizione, che noi auspichiamo sia breve – il diritto alla libera circolazione.
Jim Higgins (PPE-DE). – (EN) Il tema che vorrei sollevare con il Commissario riguarda la questione della trasposizione e dell’applicazione delle direttive nel complesso. Uno dei problemi connessi al rifiuto degli Stati membri di applicare o trasporre le direttive è il ritardo con cui la Commissione intraprende azioni punitive contro di essi. E’ necessario accelerare la procedura d’infrazione nei confronti di coloro che rifiutano di applicare le normative comunitarie, e occorre farlo con urgenza.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, onorevoli deputati, credo che l’atteggiamento della Commissione rifletta la sua necessità di conoscere le situazioni prima di prendere delle decisioni.
La materia che stiamo affrontando è complessa. Quando, nella primavera del prossimo anno, avremo una valutazione complessiva sullo stato di applicazione della direttiva, intraprenderemo un’azione nei confronti di quegli Stati che non la applicano o non la applicano correttamente. Ciò non esclude che nei singoli casi, come quello presentato, relativo all’Irlanda, se le risposte fornite non saranno soddisfacenti, se, malgrado le risposte del governo irlandese, emergerà una violazione o una mancata applicazione della direttiva, la Commissione avrà specifici poteri nei confronti di quel paese.
E’ tuttavia evidente che, prima di prendere iniziative, specialmente se sono iniziative che si concretizzano in un’azione contro uno Stato, la Commissione deve conoscere esattamente come stanno le cose.
Si tratta di uno dei principi cardine dello Stato di diritto: se vi è un’accusa contro qualcuno, ad esempio un paese, questi deve essere messo in condizione di difendersi, prima che si possa eseguire una valutazione.
Presidente. – Grazie, signor Commissario; con questo siamo giunti al termine del Tempo delle interrogazioni.
Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).
Devo dire che le interrogazioni n. 69 e n. 86 non sono ammissibili e pertanto non riceveranno risposta.
Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.
Auguro a tutti una buona pausa e, a coloro che questa sera avranno la possibilità di guardare una coinvolgente partita di calcio, consiglio di non entusiasmarsi troppo in quanto potrà esserci un solo vincitore.
(La seduta, sospesa alle 19.20, riprende alle 21.00)
PRESIDENZA DELL’ON. MANUEL ANTÓNIO DOS SANTOS Vicepresidente
14. Industria manifatturiera dell’Unione: Verso un’impostazione più integrata della politica industriale (seguito della discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0206/2006), presentata dall’onorevole Calabuig Rull a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, su un quadro politico per rafforzare l’industria manifatturiera dell’UE – verso un’impostazione più integrata della politica industriale [2006/2003(INI)].
Pilar del Castillo Vera (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, in realtà, tutte le relazioni di cui abbiamo discusso oggi hanno avuto per oggetto sempre lo stesso argomento. Innanzitutto la ristrutturazione e la delocalizzazione dell’industria e l’impatto dei fondi volti a migliorare la situazione e, in secondo luogo, l’innovazione. Oggi, per l’ennesima volta, parliamo del rafforzamento dell’industria manifatturiera nell’Unione europea.
Signor Commissario, onorevoli colleghi, è indubbio che l’industria europea si trova di fronte a un processo di globalizzazione dell’economia che rende la concorrenza sempre più forte. A mio avviso, nessuno mette in discussione il fatto che, quanto maggiore è la concorrenza, tanto migliori sono i prezzi finali per i cittadini. Ciononostante, i posti di lavoro in alcuni settori industriali europei, soprattutto nelle piccole e medie imprese, sono minacciati da problemi strutturali che devono essere affrontati.
La comunicazione della Commissione europea costituisce un passo importante affinché la strategia di Lisbona raggiunga il settore manifatturiero. L’Europa possiede un livello ragionevole di apertura verso l’esterno, ma le esportazioni comunitarie provengono principalmente da settori di livello tecnologico medio, a differenza di quelle nordamericane o giapponesi, dove predomina l’alta tecnologia.
D’altro canto, i nostri indici di specializzazione ci distinguono dai nostri principali concorrenti e ci rendono vulnerabili in una serie di settori. Recentemente abbiamo riscontrato una situazione svantaggiata di questo tipo, ad esempio, nel settore tessile, calzaturiero, in quello dell’arredamento, edile e della ceramica.
Pertanto, sono ovviamente necessarie iniziative politiche e intersettoriali per migliorare le condizioni in questo ambito, in termini di ricerca, formazione, innovazione, brevetti, accesso a mercati terzi, lotta contro le pratiche di concorrenza sleale, ogniqualvolta si verifichino, e reciprocità in materia di commercio estero.
Ringrazio il relatore e gli altri colleghi per le nuove idee con cui hanno contribuito al documento.
Pia Elda Locatelli (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il settore industriale europeo è un pilastro del sistema economico dell’Unione. Al suo interno l’industria manifatturiera, che rappresenta un quinto della produzione, occupa circa 34 milioni di persone e tre quarti dei beni di esportazione sono dei manufatti.
Possiamo quindi definire il manifatturiero, il fattore decisivo per la nostra economia e, per questo, ritengo che la parte più importante della produzione manifatturiera debba rimanere in Europa. Ciò non si determina spontaneamente, ma occorre creare le condizioni favorevoli: i fattori fondamentali sono quindi gli investimenti, la ricerca e l’innovazione.
Sebbene il settore manifatturiero faccia investimenti in ricerche ed innovazione industriale, l’ammontare degli investimenti non è sufficiente per sostenere la competizione degli altri paesi: sono necessarie più risorse finanziarie, abbiamo bisogno di uno spazio europeo della ricerca e di un mercato unico dei ricercatori. Ma nonostante ciò, la ricerca e l’innovazione non sono sufficienti a garantire un’industria europea forte, occorrono anche altre politiche, sinergiche e coerenti. Mi riferisco all’individuazione di pratiche internazionali suscettibili di avere un impatto negativo sulla competitività delle imprese europee.
La Commissione europea ha recentemente pubblicato un documento in cui si afferma l’esistenza di prove di gravi distorsioni, ad esempio nel settore delle calzature in Cina, e, aggiungo io, non solo, e si parla di intervento diretto dello Stato nella gestione delle imprese, di trattamenti fiscali particolarmente favorevoli, di prestiti ad interessi zero.
Sono contraria al dirigismo e alle politiche protezionistiche, come il Commissario Mandelson, sono favorevole al libero mercato, ma un libero mercato con delle regole per tutti, e non solo per alcuni.
Chiedo che questo principio sia alla base delle politiche europee, a partire dalle politiche del commercio internazionale, soprattutto quando si verificano casi di concorrenza sleale e contraffazione.
Danutė Budreikaitė (ALDE). – (LT) Le sfide dell’economia globale riguardano anche l’industria europea e devono essere risolte rapidamente.
Sono lieta che la Commissione abbia reagito alla situazione in cui versa l’industria europea e abbia proposto misure per rafforzare l’industria manifatturiera. E’ significativo che la Commissione sottolinei l’esistenza di problemi di politica industriale che devono essere risolti a livello europeo. Si tratta di concorrenza, regolamentazione del mercato interno e cooperazione sociale ed economica.
In realtà, abbiamo bisogno di dare una nuova impostazione alla politica industriale. Con competenze a livello nazionale e societario, l’UE sta ampliando settori che utilizzano tecnologie medio-elevate e qualifiche professionali medio-basse, diventando così meno competitiva rispetto ad altri paesi con economie in crescita. Tuttavia, la realizzazione di una nuova impostazione richiede azioni nel lungo periodo.
Gli Stati membri non possono riorganizzare le loro economie dalla sera alla mattina e ciò vale soprattutto per i nuovi Stati membri. Ai negoziati presso l’OMC sull’adesione della Cina, l’UE è stata rappresentata dalla Commissione europea, che non ha tenuto conto della situazione industriale dei futuri membri. Paradossalmente, l’UE ha una politica commerciale comune, ma non ha una politica industriale comune.
Le previsioni contenute nella comunicazione della Commissione europea concernenti le operazioni nei settori tessile, del cuoio, calzaturiero e dell’arredamento si basano solo su ricerche relative alla competitività, la situazione economica e il luogo di produzione, mentre a livello orizzontale si prevede che questi settori verranno riorganizzati. In ogni caso, i risultati di questa eventuale riorganizzazione saranno utili per quelle società che hanno trasferito la produzione o per quei paesi che non vedono futuro per l’industria nell’UE, come dimostra l’indagine della Commissione sull’antidumping, che si prefigge di tener conto degli interessi delle imprese che hanno trasferito la produzione al di fuori dell’UE. Nel frattempo, l’industria degli Stati membri deve far fronte alla concorrenza sleale.
La Commissione, dunque, non dovrebbe presentare decisioni contraddittorie rispetto alla sua stessa comunicazione, proteggendo singoli rappresentanti delle imprese. Inoltre, esorto la Commissione a preparare previsioni e orientamenti di lungo termine per lo sviluppo competitivo dell’industria comunitaria nel periodo 2030-2050.
Nikolaos Vakalis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, ritengo che l’approccio sistematico e analitico della Commissione rispetto alla questione in esame sia molto importante. Ritengo anche che la relazione della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia contenga alcune importanti affermazioni. Ne ripeterò alcune in merito alle quali ho presentato emendamenti e che fanno parte del testo.
1. Il commercio: si tratta di un anello importante nella catena manifatturiera e, insieme ai servizi, richiede la giusta attenzione.
2. La valutazione: una valutazione sistematica delle iniziative, ad esempio da parte dei gruppi ad alto livello, nonché panel di innovazione e gruppi di lavoro, possono fornirci utili conclusioni.
3. Nanoscienze e nanotecnologie: il loro ruolo può essere decisivo per tutti i settori dell’industria europea, e non dobbiamo dimenticarlo.
4. Il benessere primario, il potenziale di ricerca e qualunque altro vantaggio competitivo di qualsivoglia settore devono essere tenuti in debita considerazione nei piani strategici locali.
Infine, sono dispiaciuto per la mancata approvazione dei due seguenti punti, che a mio avviso sono importanti.
Primo: penso che, tra i 27 settori esaminati dallo studio, occorrerebbe riservare uno spazio a sé stante alle tecnologie ambientali.
Secondo: ritengo necessario collegare la formazione prevista con le esigenze dinamiche del mercato in termini di numero di apprendisti e materie dei corsi di formazione.
Per concludere, desidero congratularmi con il relatore e ringraziarlo per la serietà con cui ha affrontato la questione.
John Attard-Montalto (PSE). – (EN) Signor Presidente, sarebbe una tragedia se l’Europa si limitasse a sviluppare il solo settore terziario. Come tutti sappiamo, nel mondo d’oggi i vari settori, manifatturiero, terziario e commerciale, sono interconnessi fra di loro.
Il documento afferma che in Europa l’industria manifatturiera occupa 34 milioni di persone e rappresenta il 20 per cento alla produzione dell’UE. Non credo che si possa andare orgogliosi di queste cifre, che dovrebbero essere più alte. Persino nel mio paese – il più piccolo dell’Unione europea – le percentuali relative sono più alte.
Comunque, dobbiamo accogliere con favore gli aspetti positivi. Innanzitutto, l’industria manifatturiera è vista come una fonte di nuovi prodotti innovativi; in secondo luogo, a livello europeo si sta sviluppando una politica industriale coerente. Tra gli aspetti negativi, i Fondi strutturali potrebbero contribuire enormemente al rafforzamento dell’industria e per questo motivo sono assolutamente contrario al taglio apportato all’importo previsto nelle prospettive finanziarie. A mio avviso, i paesi meno ricchi possono raggiungere la soglia che abbiamo fissato al 3 per cento utilizzando una parte degli stessi Fondi strutturali, e ciò porterebbe a una maggiore coesione.
In secondo luogo, si deve attribuire maggiore importanza all’accesso al mercato. E’ inutile avere un negozio dotato di apparecchiature all’avanguardia se mancano i clienti.
Per concludere, dobbiamo credere nell’industria manifatturiera europea: possiede il potenziale per creare crescita e occupazione. Tuttavia, dobbiamo anche prendere decisioni difficili: decisioni per cambiare e adattarsi alla nuova realtà del settore industriale.
Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlo a nome del nuovo PSI. Nel quadro della strategia di Lisbona e degli ambiziosi obiettivi di sviluppo e di competitività che essa si pone, tenendo conto del ruolo centrale che le piccole e medie imprese rivestono nello scenario economico europeo, ritengo fondamentali alcune considerazioni del relatore, e mi riferisco in particolare al tema della complementarità tra approccio globale e approccio locale.
Riconosco, con la commissione competente, come i particolarismi territoriali, la tipologia di prodotti e di lavorazioni, siano la linfa vitale del settore manifatturiero europeo, il valore aggiunto che ne costituisce l’elemento di spicco sulla scena del commercio internazionale.
La valorizzazione della peculiarità delle risorse umane e materiali di ogni paese diviene dunque lo strumento con cui combattere l’appiattimento delle competenze sulla piattaforma europea e la fuoriuscita dei saperi e delle qualifiche dalle rispettive regioni di appartenenza.
A partire da quella stessa specificità, sarà possibile promuovere interventi progressivamente più incisivi contro il fenomeno del dumping, per un sostegno concreto alla vitalità del mercato interno. Strategie e piani d’azione integrati, quali quelli lanciati da Unione europea e Stati Uniti contro la contraffazione e la pirateria della proprietà intellettuale, trovano i giusti strumenti nei piani strategici locali. A partire da essi sarà possibile lavorare con impegno per la tutela di tutti i lavoratori e delle loro specifiche esigenze, imperativo costante nella regolamentazione del commercio europeo e mondiale.
Gunnar Hökmark (PPE-DE). – (SV) Signor Presidente, quando parliamo dell’industria europea siamo legittimati a chiederci: “Dove sono oggi le nostre industrie di punta?” Si trovano in quei settori in cui ci siamo aperti all’economia globale. L’industria europea più forte fiorisce in quei settori e in quelle società che sono attive in tutto il mondo. In altre parole, credo sia necessario sottolineare quanto è stato detto durante il dibattito odierno in Aula, ovvero che l’economia europea dipende dall’economia globale più di altre parti del mondo. Senza l’economia globale l’Europa non avrebbe l’industria manifatturiera di cui oggi dispone.
E’ in questo contesto che vorrei evidenziare tre punti importanti nel dibattito sul futuro dell’industria europea. In primo luogo, la concorrenza è la base migliore per l’innovazione e per le nuove strutture industriali. Se guardiamo indietro, è fuori discussione che l’Europa ha visto crescere e prosperare le sue industrie più grandi e più forti grazie all’apertura allo spirito imprenditoriale e agli imprenditori. In secondo luogo, da parte nostra è importante spianare la strada alla prossima generazione di imprese, nell’industria manifatturiera e nei servizi. Ciò ci fa capire chiaramente cosa dobbiamo fare prima dei vari negoziati sul libero scambio e prima dei negoziati OMC.
Non dobbiamo perseguire una politica che mira alla protezione di un’industria ormai datata, incapace di creare nuovi posti di lavoro per il futuro. Dobbiamo invece spianare la strada alla competitività delle imprese europee in tutto il mondo, ovvero, in particolare, nell’economia globale, dove vedremo un miliardo di persone, seguite da altri miliardi, diventare consumatori di prim’ordine. Se l’Europa e l’industria europea non avranno pieno accesso ai mercati emergenti in tale ambito, non avremo mai un’industria di punta a livello mondiale. Ci condanneremmo, anzi, al destino di un’economia regionale. Abbiamo dunque bisogno di un’apertura che consenta all’Europa di diventare un’economia di calibro mondiale.
(Applausi da vari banchi)
Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ciò di cui stiamo discutendo oggi riguarda il nostro futuro ed è l’agenda di Lisbona a definire il nostro futuro. Vogliamo nuovi posti di lavoro e crescita e, per realizzare questi obiettivi, abbiamo bisogno, molto semplicemente, dei mercati mondiali, dove dobbiamo essere in grado di vendere i nostri prodotti e i nostri servizi.
I negoziati di Doha – che di fatto riguardano le “questioni di Singapore” e mirano alla riduzione dei dazi doganali e delle quote e all’apertura dei mercati – stanno attraversando una crisi profonda. E’ naturale, o almeno così credo io, che gran parte della nostra politica industriale venga decisa sul mercato globale e da qui deriva la grande preoccupazione per la conclusione del ciclo di Doha, per Kyoto, per la realizzazione di tutte le analisi economiche grazie alle quali avremo la certezza che, con il conseguimento degli obiettivi di Kyoto, potremo davvero contribuire alla crescita e al successo della strategia di Lisbona. Per quanto riguarda le possibilità di investimento e la creazione di posti di lavoro in Europa, parliamo di centinaia di miliardi.
Abbiamo passato anni a discutere del nostro bilancio per il periodo fino al 2013 e l’abbiamo elaborato in ogni dettaglio. Voglio essere del tutto onesto e dire che, per quanto riguarda le grandi decisioni come Kyoto, manca il dibattito sul merito. Abbiamo discusso del pacchetto Basilea II, che è in corso di attuazione in Europa, ma non altrove. Se da un lato dobbiamo proteggere la proprietà intellettuale, in particolare della nostra industria, dall’altro dobbiamo anche utilizzare questi stessi diritti per ottenere un maggiore successo a livello internazionale.
Questa mattina abbiamo parlato di come apportare miglioramenti strutturali alle nostre industrie, e qui emerge l’importanza della tradizione delle imprese familiari, dove gli investimenti si tramandano di generazione in generazione, per cui non dobbiamo dimenticare queste piccole e medie imprese. Questa dovrebbe essere una considerazione di fondo quando guardiamo al futuro.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà mercoledì, alle 12.30.
15. Requisiti tecnici per le navi della navigazione interna (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura (A6-0208/2006), della commissione per i trasporti e il turismo, sulla posizione comune definita dal Consiglio in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna e che abroga la direttiva 82/714/CEE del Consiglio [13274/1/2005 – C6-0091/2006 – 1997/0335(COD)] (Relatore: onorevole Renate Sommer).
Renate Sommer (PPE-DE), relatore. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sono andati tutti a vedere la partita e anch’io avrei voluto andare con loro, visto che l’incontro si gioca nella mia circoscrizione elettorale nella bella Ruhr, ma non dobbiamo dimenticare che la direttiva oggi in discussione ha qualcosa di venerando cui dobbiamo dedicare tutta la nostra attenzione, perché il lavoro di questo Parlamento non deve essere subordinato al calcio, nemmeno in occasione di un evento calcistico come quello in questione.
La seconda lettura del progetto di direttiva sui requisiti tecnici delle navi adibite alla navigazione interna cui stiamo per dare inizio è un relitto del secolo scorso, visto che già nel dicembre 1997 la Commissione aveva presentato una proposta relativa alla direttiva precedente, la 82/714/CEE, già superata allora ma a tutt’oggi in vigore, la cui prima lettura presso questo Parlamento si svolse nell’ottobre 1998. Successivamente, nel maggio 1999 entrò in vigore il Trattato di Amsterdam e con esso la codecisione in materia di trasporti; la prima lettura dovette quindi essere ripetuta nel settembre 1999, anche se il Parlamento aveva ribadito la stessa posizione già espressa nel corso della “prima” prima lettura: una storia infinita!
Poco dopo l’inizio del nuovo secolo, nel luglio 2000, la Commissione presentò una nuova proposta, che teneva conto delle istanze del Parlamento.
Di cosa si tratta? Si tratta di creare, una volta per tutte, le stesse condizioni di navigazione interna in tutta Europa, garantendo così la sicurezza e la facilità di navigazione per tutto il traffico che viaggia sulle vie navigabili europee grazie a requisiti tecnici all’avanguardia. Per fare ciò era necessario uniformarsi alle norme che regolano la navigazione sul Reno, dato che, per ragioni di sicurezza, la Commissione centrale per la navigazione del Reno aveva già rifiutato la propria omologazione tecnica alle imbarcazioni sulla base della precedente direttiva.
La direttiva da rivedere – la 82/714/CEE – presenta anche altre lacune, tra le quali il fatto che non si applica alle navi passeggeri e agli impianti galleggianti come le navi da costruzione, i cui requisiti di sicurezza sono, ovviamente, ancora gli stessi introdotti negli anni settanta. La libera navigazione su tutte le vie navigabili europee, tuttavia, presuppone l’adeguamento dei requisiti tecnici e delle norme di sicurezza agli standard più elevati, non solo per quanto riguarda la libera circolazione delle merci ma anche per garantire livelli elevati di sicurezza, di tutela ambientale e sociale.
Fino ad ora, l’ambito di applicazione del diritto europeo è terminato laddove iniziava quello della Convenzione di Mannheim; tale Convenzione, firmata il 17 ottobre 1868, ha fissato i principi ancor oggi largamente applicati per la regolamentazione della navigazione sul Reno malgrado la Commissione centrale per la navigazione sul Reno fosse già stata costituita per effetto di un allegato all’atto finale del Congresso di Vienna del 1815. L’UE, quindi, finora non ha potuto adottare alcun atto legislativo applicabile al Reno nonostante l’80 per cento di tutte le merci trasportate sulle vie navigabili europee viaggino sulle sue acque.
Solo a seguito dell’introduzione di un protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Mannheim entrato in vigore nel dicembre 2004, il mutuo riconoscimento dei certificati delle navi è diventato una realtà e, infatti, l’aspetto più importante della nuova direttiva è l’introduzione di un certificato di navigazione unico per tutte le navi adibite alla navigazione interna all’interno dell’UE. E’ una questione di certezza del diritto.
Ci sono stati ancora dei problemi per quanto riguarda le imbarcazioni sportive di lunghezza compresa tra i 20 e i 24 metri, le quali potevano essere incluse nell’ambito di applicazione sia della direttiva in questione che in quello della cosiddetta direttiva sulle imbarcazioni sportive, la n. 94/25/CE, anche se quest’ultima si applica al commercio di imbarcazioni sportive ed è quindi una direttiva relativa al mercato interno che regolamenta l’accesso al mercato delle imbarcazioni sportive. La direttiva sui requisiti tecnici per le imbarcazioni adibite alla navigazione interna nella sua versione modificata va oltre quella sulle imbarcazioni sportive solo laddove motivi legati alla sicurezza lo impongono, e quindi non è in contraddizione con le norme previste dalla direttiva stessa.
Tra l’altro, l’esperienza con il traffico di imbarcazioni sportive sul Reno ha dimostrato che i proprietari delle stesse non hanno problemi con le norme applicabili al Reno e paragonabili a quelle tecniche introdotte nella versione modificata della direttiva.
La commissione per i trasporti e il turismo ha proposto che le norme tecniche contenute nell’allegato alla direttiva, comprese quelle del capitolo 15, “Disposizioni particolari per le navi passeggeri”, che a causa del prolungamento delle trattative e dei tempi di traduzione sono le stesse su cui si discuteva nel 2004, siano sottoposte alla procedura di comitato. La commissione ha quindi appoggiato un emendamento a tale scopo, in quanto solo così l’armonizzazione dei sistemi giuridici esistenti potrà essere raggiunta in tempi brevi garantendo nel contempo la certezza del diritto per l’industria e il commercio. Vi chiedo pertanto di dare il vostro consenso a questo emendamento in particolare anche in seconda lettura.
In conclusione, vorrei cogliere l’occasione per esprimere al Consiglio e alla Commissione e, ovviamente, agli onorevoli colleghi, i miei più sentiti ringraziamenti per la buona cooperazione dimostrata in occasione di questo dossier. Nel ringraziare il Parlamento per l’attenzione, non posso che dire: “Avanti tutta!”.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevole Sommer, che io considero un’eroina per aver preso parte al dibattito a quest’ora, onorevoli deputati, mi fa molto piacere che oggi la proposta della Commissione riscuota un così vasto consenso, e questo grazie alla volontà politica di tutte le parti e alla cooperazione degli esperti tecnici.
Vorrei ringraziarla, onorevole Sommer, per il suo personale e importante contributo alla formazione di tale consenso.
La normativa comunitaria che armonizza i requisiti tecnici per le navi adibite alla navigazione interna risale al 1982. Tale normativa introduce un certificato con il quale un natante di navigazione interna può navigare su qualsiasi via navigabile all’infuori del Reno. Eppure, i due terzi dei trasporti fluviali in Europa avvengono proprio sul Reno.
La nostra proposta, che risale al 1997, ha quindi tre obiettivi:
innanzitutto, l’aggiornamento dei requisiti tecnici al fine di adeguare la sicurezza delle imbarcazioni allo sviluppo tecnologico;
in secondo luogo, fare sì che in futuro il certificato comunitario sia riconosciuto per la navigazione sul Reno;
in terzo luogo, stabilire una procedura di comitato affinché in futuro i requisiti tecnici siano periodicamente adeguati al progresso tecnologico e alle norme di volta in volta in vigore sul Reno.
La questione è rimasta bloccata in Consiglio per diverso tempo a causa del problema relativo all’autorizzazione delle navi con certificato comunitario a navigare sul Reno. Tuttavia, una volta chiarito questo punto, il Consiglio è riuscito a raggiungere un accordo politico.
L’adozione della direttiva in esame costituirà un reale passo avanti verso l’armonizzazione delle legislazioni, che poi è l’obiettivo del Piano d’azione NAIADES, grazie al quale si potrà applicare un unico sistema a tutte le vie navigabili dell’Unione europea. I requisiti tecnici saranno armonizzati al fine di garantire un alto livello di sicurezza, soprattutto sulle navi passeggeri.
La futura validità del certificato comunitario sul Reno favorirà la concorrenza e creerà condizioni veramente eque per il trasporto fluviale nel mercato interno. Questo livello sarà mantenuto in futuro, in cooperazione con la Commissione centrale per la navigazione sul Reno.
Per quanto riguarda l’emendamento adottato dalla commissione per i trasporti e il turismo, lo appoggiamo, e mi fa molto piacere che le tre Istituzioni abbiano raggiunto un compromesso.
Vorrei approfittare dell’occasione per assicurarvi che la Commissione è a conoscenza della preoccupazione espressa da alcuni proprietari di grandi imbarcazioni da diporto in determinati Stati membri. Il testo che adotterete permetterà di far fronte alla maggior parte di tali preoccupazioni.
Diversamente dalla direttiva 94/25/CE, che regolamenta l’accesso al mercato delle imbarcazioni da diporto, la nuova direttiva sui requisiti tecnici per le navi adibite alla navigazione interna, dal canto suo, riguarda la sicurezza della navigazione su tutte le vie navigabili. Una nave lunga 20 metri comporta la necessità di adottare misure aggiuntive rispetto a quelle per la semplice immissione sul mercato.
Inoltre, l’esclusione delle imbarcazioni da diporto inferiori ai 24 metri – anziché 20 – di lunghezza dall’ambito di applicazione della direttiva renderebbe le norme applicabili sul Reno diverse da quelle applicabili ad altre vie navigabili comunitarie. Questo potrebbe causare dei problemi per quanto riguarda il riconoscimento del certificato europeo per la navigazione sul Reno e potrebbe ostacolare il progetto relativo al certificato unico, quello comunitario, appunto, per tutte le imbarcazioni comunitarie.
Infine, la direttiva consente un certo numero di deroghe per le imbarcazioni da diporto esistenti. A tale proposito mi rivolgo in particolare all’onorevole Watson, ossia alla persona che ha sottoposto alla mia attenzione questo problema: le imbarcazioni da diporto esistenti potranno continuare ad operare purché il mancato rispetto dei requisiti non rappresenti un ovvio pericolo. Vorrei anche aggiungere che l’articolo 7 consente agli Stati membri le cui vie navigabili interne non sono collegate a quelle di altri Stati membri di derogare alla direttiva in tutto o in parte.
Onorevoli deputati, posso in ogni caso garantirvi che, nell’ambito della procedura di comitato, la Commissione si impegna a trattare con la dovuta attenzione il capitolo sulle imbarcazioni da diporto sia per prevenire eventuali contraddizioni e incompatibilità con la direttiva 94/25/CE, sia per chiarire e illustrare eventuali punti oscuri.
Reinhard Rack, a nome del gruppo PPE-DE – (DE) Signor Presidente, come affermato dalla relatrice nella sua introduzione, vale la pena attendere pur di arrivare a una buona soluzione, e su questo punto non ha tutti i torti. Il testo ora in esame e, in particolare, i contributi che questo Parlamento poteva dare, e che ha dato, è in grado di favorire quella libera navigazione interna di cui abbiamo bisogno. Se vogliamo che, in generale, il traffico in Europa si svolga nel maggiore rispetto dell’ambiente, servono norme serie e coerenti tra loro per la navigazione interna e su questo punto la Commissione è stata piuttosto irremovibile nella sua revisione intermedia – il Vicepresidente Barrot deve prendere atto che l’ultima volta ho ascoltato con molta attenzione.
Ciò che occorre, tuttavia, non è semplicemente una normativa singola, ma il collegamento tra tutte le norme applicabili alla navigazione interna. Dobbiamo migliorare la pianificazione delle rotte, vale a dire le TEN, i quadri di sostegno – tra cui Marco Polo II – e, non ultimo, le norme e i regolamenti tecnici, adeguandoli agli standard attuali.
Vale la pena di attendere pur di arrivare a una buona soluzione, e noi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei ringraziamo la relatrice, onorevole Sommer, per il prezioso lavoro svolto. Speriamo di avere larghe maggioranze domani e noi faremo la nostra parte per averle.
Per quanto riguarda la rete, resta ancora molto da fare. Come lei ha già affermato, signor Vicepresidente, NAIADES è il prossimo progetto di legge con il quale dovremo garantire che le opportunità esistenti siano realmente sfruttate e che le vie fluviali europee nel loro complesso possano dare un contributo concreto e costruttivo alla gestione dei flussi di traffico.
A tale proposito, ciò che conta, soprattutto per quanto riguarda NAIADES, è che non dobbiamo concentrarci solo sull’Europa occidentale ma piuttosto, ora che il Danubio è aperto, dobbiamo assicurarci che tutte le vie navigabili europee si sviluppino insieme come un tutt’uno in maniera sana, razionale e sicura.
Ulrich Stockmann, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il piano d’azione NAIADES è già stato menzionato e, grazie ai temi non ancora discussi, al momento la navigazione interna ottiene finalmente dal legislatore europeo l’attenzione e il sostegno che merita.
Oggi naturalmente ci apprestiamo a prendere una decisione meno spettacolare, ma comunque attesa da tempo, in quanto questo Parlamento approverà, in seconda lettura, l’armonizzazione delle normative tecniche in materia di navi adibite alla navigazione interna, mettendo così fine a un iter legislativo che dura ormai da nove anni.
La direttiva in esame adegua gli standard comunitari a quelli di più ampio respiro contenuti nella Convenzione sulla navigazione del Reno e questo, a nostro giudizio, garantisce una libera concorrenza su tutte le vie navigabili interne e livelli di sicurezza ugualmente alti ovunque.
In prima lettura e nella posizione comune il Parlamento e il Consiglio hanno introdotto diversi emendamenti. Come l’onorevole Sommer, che ringrazio per la relazione, anch’io ritengo che tali emendamenti siano, in linea di massima, degni di approvazione e che integrino in modo razionale l’originaria proposta della Commissione.
Condividiamo l’opinione espressa dagli onorevoli Grosch e Wortmann-Kool nel loro emendamento secondo cui alcuni tipi di imbarcazioni sono soggetti a due ordini di norme. Malgrado ci abbiano appena spiegato che si tratta in realtà di normative tra loro distinte, riteniamo comunque che si tratti di un emendamento valido e ci auguriamo che gli allegati tecnici alle direttive in questione siano rivisti alla prima occasione in modo da eliminare la citata duplicazione di norme.
Per il resto, ciò che io e il mio gruppo ci auguriamo è che la normativa sia ultimata senza indugi.
Johannes Blokland, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, la navigazione interna è in fase di crescita e questo è positivo. Il Parlamento, dal canto suo, non può fare altro che accogliere favorevolmente tale importante contributo a un trasporto sostenibile, sicuro e competitivo in Europa, perché non è detto che per i trasporti queste caratteristiche siano scontate, e affinché si avverino è importante creare le condizioni adeguate. La relazione dell’onorevole Sommer fornisce una delle componenti fondamentali, in quanto armonizzare i requisiti tecnici per la navigazione interna significa creare condizioni eque per tutti e quindi disporre di una buona flotta, sostenibile e sicura.
Il motivo per cui accogliamo la relazione con entusiasmo ancora maggiore è che essa rappresenta la conclusione di un processo durato praticamente dieci anni. Sono particolarmente lieto di constatare che, nel settore della navigazione interna, le relazioni tra le Istituzioni non hanno impedito di giungere a un accordo e ritengo che tale cooperazione palesemente proficua si estenderà anche ad altri ambiti. E’ un argomento su cui dovremo tornare più avanti.
Parlando del contenuto, trovo positivi i requisiti proposti per le navi. Malgrado gli sforzi che il settore dovrà necessariamente fare per soddisfare tali requisiti, il loro rispetto comporterà un indubbio aumento della qualità della flotta. Alla luce dei potenziali vantaggi per il trasporto fluviale, si tratta di un elemento assolutamente positivo e fondamentale.
Sono inoltre soddisfatto della procedura per rettificare e migliorare la direttiva. E’ sicuramente sensato affidare questo arduo compito tecnico agli esperti. Mi pare di capire che al momento siano stati presentati diversi emendamenti. Mi auguro che gli esperti trovino una soluzione per l’eventuale discrepanza tra la direttiva in esame e la direttiva 94/25/CE e approvo pienamente l’emendamento proposto a tale scopo.
Per concludere vorrei ringraziare l’onorevole Sommer per l’impegno profuso. Mi auguro che l’azione intrapresa contribuisca in modo concreto a migliorare la navigazione interna.
Inés Ayala Sender (PSE). – (ES) Signor Presidente, la passione per il calcio, che stasera si è trasformata in una passione globale ed europea, mi offre l’opportunità di esprimere la mia devozione alla causa europea anche per quanto riguarda il settore dei trasporti. Parlo come deputato di uno Stato membro, la Spagna, i cui fiumi hanno smesso di essere navigabili tempo fa e che è vittima di una siccità che sta diventando strutturale, e tale quindi da rendere sempre più lontana la possibilità di recuperare tale navigabilità. Parlo quindi come portatrice di una sana invidia europea nei confronti di quei paesi che invece hanno vie navigabili sia per i passeggeri che per le merci.
Come compagna di un tedesco, ricordo bene l’ammirazione che ho provato nel vedere il Reno qualche anno fa, dato che fino ad allora avevo sentito parlare di autostrade fluviali e addirittura avevo lavorato in quel campo, ma non ne avevo mai avuta un’esperienza diretta. L’impressione che ho avuto alla vista del Reno, con il suo traffico regolare, organizzato, lento ma al tempo stesso efficiente, mi ha fatto capire di cosa stavamo parlando e come l’Europa si stava adoperando per tali vie di comunicazione così importanti.
Come europea sono quindi molto soddisfatta per la conclusione positiva cui il dibattito in questione sta arrivando grazie all’onorevole Sommer e anche al collega Stockmann. Grazie a questo fatto sarà possibile armonizzare la navigabilità dei fiumi sia in termini di norme di sicurezza sociale che di norme ambientali, prendendo in considerazione anche la clausola di “non riduzione” proposta per quei paesi nei quali esiste tale pericolo.
Vorrei solo esprimere ancora l’auspicio che la mia città, che nel 2008 ospiterà l’Expo internazionale proprio sul tema dell’acqua e dello sviluppo sostenibile, possa realizzare progetti per il ripristino della navigabilità, tra gli altri, del fiume Ebro, come mezzo collettivo di trasporto passeggeri e naturalmente per promuoverne lo sfruttamento in chiave sportiva e turistica. Per questo sono contenta che siano applicate anche norme di sicurezza e sociali.
Il mio sogno è che in un futuro non troppo lontano le merci che attraversano i Pirenei dalla Spagna alla Francia tramite un tunnel centrale viaggeranno lungo il Canal du Midi e la rete di canali francesi fino al Reno, regolamentato da quelle norme ideali e sagge che oggi stanno diventando diritto comunitario.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevole Sommer, onorevoli deputati, vorrei ringraziarvi per questo dibattito costruttivo che ha dimostrato come la proposta della Commissione del 1997 sia oggi più attuale che mai.
Vorrei ringraziare in modo particolare la vostra relatrice, l’onorevole Sommer. Il Parlamento sta quindi confermando il proprio impegno nei confronti della navigazione interna e la direttiva in oggetto renderà più semplice la realizzazione di un sistema unitario per l’intera rete di vie navigabili dell’Unione europea.
L’accordo odierno rappresenta un traguardo importante, in linea con la nostra strategia di armonizzazione delle norme a livello europeo, come previsto dal piano d’azione NAIADES, e contribuirà ad aumentare la competitività nel settore della navigazione interna all’interno della Comunità.
Signor Presidente, volevo rivolgere queste poche parole di ringraziamento a tutti i deputati che hanno contribuito a portare a termine questo eccellente lavoro.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà mercoledì, alle 12.30.
16. Aviazione civile (armonizzazione di regole tecniche e di procedure amministrative) (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura (A6-0212/2006), della commissione per i trasporti e il turismo, sulla posizione comune adottata dal Consiglio in vista dell’adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 3922/91 del Consiglio concernente l’armonizzazione di regole tecniche e di procedure amministrative nel settore dell’aviazione civile [13376/1/2005 – C6-0090/2006 – 2000/0069(COD)] (Relatore: onorevole Ulrich Stockmann).
Ulrich Stockmann (PSE), relatore. − (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, oggi l’onorevole Sommer ha citato il proverbio tedesco secondo il quale vale la pena aspettare se il risultato è buono, e credo che esso si adatti al caso del regolamento UE-OPS.
Non intendo dilungarmi sul lento processo di definizione degli obiettivi che ci ha visti impegnati, nell’arco di sei anni, in due prime letture e diverse proposte della Commissione. Ho compreso che noi parlamentari siamo simili agli operatori di una linea di produzione, e a questa hanno collaborato senza dubbio molte persone.
Colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta l’onorevole Simpson per il buon lavoro svolto durante la scorsa legislatura e in particolare per la proficua collaborazione avviata con i colleghi nella legislatura in corso. Sono inoltre grato alla Commissione per il buon lavoro di mediazione svolto, in modo particolare nella persona del signor Salvarani − dal momento che oggi siamo entrambi impossibilitati a vedere la partita, lo ringrazio di essere qui − e non da ultimo ringrazio il Consiglio per la sua disponibilità al compromesso.
I negoziati hanno prodotto risultati notevoli, in grado di apportare un valore aggiunto all’Europa. In seguito alla liberalizzazione del settore europeo dei trasporti aerei e al considerevole allargamento del 2004, siamo finalmente riusciti ad armonizzare tutte le regole tecniche e le procedure amministrative attinenti alla sicurezza nel settore dell’aviazione civile: è arrivato il momento di prendere in considerazione il costante aumento del traffico aereo.
La formulazione di norme di sicurezza − a partire dalla costruzione fino ad arrivare alle regole sul trasporto di merci pericolose, passando per le norme relative agli strumenti − occupa quasi cinquecento pagine. I capi O e Q − relativi alla formazione del personale di cabina e agli orari di lavoro, ai tempi di volo e ai periodi di riposo dei piloti − sono stati oggetto di controversia fino a non molto tempo fa, e ciò non sorprende, poiché è su questi temi che il problema della sicurezza tocca quello dei benefici sociali degli interessati. Ritengo tuttavia che anche in questo campo siamo riusciti a definire una piattaforma provvisoria, equivalente − per molti paesi − a un notevole innalzamento del livello di sicurezza.
Prima della seconda lettura, la commissione per i trasporti e il turismo ha apportato alcune modifiche di rilievo. In primo luogo, abbiamo cercato di inserire una clausola di salvaguardia per evitare che paesi con norme giuridiche più severe o migliori contratti collettivi di lavoro riducessero inevitabilmente il loro livello di sicurezza con conseguenze per la sicurezza e per i benefici sociali del personale di bordo, e siamo riusciti nel nostro intento.
In secondo luogo, le indagini e numerosi studi hanno dimostrato che l’accumulo di stanchezza nei piloti, come effetto di pianificazioni orarie inadeguate, è un problema che richiede ulteriori approfondimenti, anche dopo i risultati raggiunti, e il Consiglio ha proposto di iscrivere nuovamente all’ordine del giorno questa problematica in capo a tre anni. In quest’Aula riteniamo che non sia sufficiente, e crediamo si possa garantire già tra due anni un nuovo studio medico-scientifico relativo a entrambi i capi, incluso il capo O.
In terzo luogo, il personale di bordo ci ha fatto presente sino all’ultimo di essere interessato a una valorizzazione del suo status, e credo che i nostri emendamenti rendano giustizia a questa richiesta nella misura in cui essa è rilevante ai fini della sicurezza. Nei negoziati col Consiglio ci siamo impegnati a fare in modo che un’ulteriore armonizzazione e un miglioramento qualitativo della formazione rimangano oggetto di discussione e che uno studio sia dedicato anche a questi temi.
Sono anch’io dell’idea che alle diverse modalità di certificazione e rilascio delle licenze esistenti in Europa sia applicabile una clausola di salvaguardia, in modo che eventuali perdite di status nei singoli paesi non siano imputabili alla nostra legislazione.
In quarto luogo, quando si è iniziato a lavorare al regolamento UE-OPS, non si è tenuto conto della particolare situazione dei fornitori di servizi concernenti il trasporto merci espresso notturno, e anche su questo punto abbiamo raggiunto un compromesso con le parti interessate, che prevede norme speciali per la loro pianificazione oraria senza tuttavia compromettere il livello di sicurezza.
In conclusione vorrei ricordare, ancora una volta, che vale la pena aspettare se il risultato è buono. Sapremo se si tratterà davvero di un buon risultato solo dopo avere compiuto un’ulteriore opera di trasposizione della direttiva. Chiedo a tutti i gruppi politici presenti in Aula di accordare il loro sostegno al compromesso raggiunto col Consiglio.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. − (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, stiamo per raggiungere un accordo in seconda lettura con il Consiglio su una proposta molto delicata.
Dobbiamo questo risultato soprattutto all’eccellente lavoro del relatore, onorevole Stockmann, con cui desidero congratularmi in modo particolare.
Permettetemi di illustrare il tipo di approccio sotteso alla proposta di regolamento. Si tratta principalmente di mantenere un livello elevato di sicurezza, garantendo allo stesso tempo una concorrenza leale tra le compagnie aeree.
Da una parte, la proposta modificata del 2004 ha introdotto disposizioni relative ai tempi di volo e ai periodi di riposo dell’equipaggio, attualmente note come “limitazioni dei tempi di volo e di servizio” − assecondando così la richiesta del Parlamento europeo, che era preoccupato per le discrepanze esistenti in questo campo. Da molto tempo le associazioni dei piloti professionali e numerose compagnie aeree criticano duramente tali divergenze, che pregiudicano la sicurezza e il gioco della concorrenza.
In effetti, numerose inchieste condotte in seguito a incidenti hanno individuato nella stanchezza dell’equipaggio uno dei fattori determinanti. Le norme in materia di tempi di volo sono talvolta eccessivamente blande e permettono alle compagnie aeree di mantenere troppo a lungo in servizio il personale, a detrimento della sicurezza e delle compagnie soggette a regole più severe.
La proposta modificata del 2004 implica, d’altra parte, che il personale di cabina sia certificato sulla base di requisiti minimi, come avviene negli Stati Uniti e come chiedono direttamente i dipendenti, insieme a parte dell’industria. Questi requisiti minimi dovrebbero permettere di accrescere la sicurezza area, innalzando le norme di qualità cui il personale deve conformarsi, oltre ad armonizzare le condizioni di concorrenza delle compagnie aeree e agevolare la mobilità del personale all’interno di un mercato dei trasporti aerei del tutto liberalizzato.
A causa della forte divergenza tra le opinioni degli Stati membri, il Consiglio ha innegabilmente avuto numerose difficoltà a raggiungere un accordo, ma alla fine di febbraio del 2006 è riuscito a trovare un compromesso su una posizione comune. Nella sua posizione comune, il Consiglio rileva che l’emendamento proposto dal Parlamento è stato accolto integralmente, eccetto un paio di lievi modifiche. La Commissione naturalmente accoglie la posizione del Consiglio, che è disposto ad adottare i contenuti principali della proposta del Parlamento. Su alcuni punti, relativi in particolare alla limitazione dei tempi di volo e delle ore di servizio del personale di cabina, si tratta soltanto di svolgere una valutazione medico-scientifica prima di prendere una decisione in materia. Tale analisi verrà affidata all’Agenzia europea per la sicurezza aerea.
Da quando il Consiglio ha adottato la sua posizione comune, le nostre tre Istituzioni hanno lavorato alacremente per raggiungere un accordo in seconda lettura. Gli emendamenti proposti dal Parlamento hanno permesso di chiarire e migliorare la posizione comune, e sono particolarmente grato all’onorevole Stockmann per questo testo.
Il primo miglioramento concerne le compagnie aeree le cui operazioni si basano esclusivamente sull’esercizio notturno. La Commissione, in accordo col Parlamento, reputa necessaria una valutazione delle conseguenze, in termini di sicurezza e stanchezza, delle disposizioni inerenti ai limiti dei tempi di volo e di servizio e ai periodi di riposo. Sulla base di questa valutazione, la Commissione proporrà gli emendamenti necessari perché si tenga conto di questi specifici modelli operativi.
Il secondo miglioramento riguarda la valutazione medico-scientifica delle disposizioni relative ai limiti dei tempi di volo e di servizio e al personale di cabina. Tale indagine sarà condotta dall’Agenzia europea per la sicurezza area. Posso confermare di aver già chiesto all’Agenzia europea per la sicurezza aerea d’includere questa valutazione nel suo programma di lavoro per il 2007, in modo da preparare un progetto di misure da sottoporre alla Commissione. In questo modo, onorevole Stockmann, il periodo di analisi potrà essere effettivamente ridotto a due anni, come auspica il Parlamento.
La Commissione rilascerà una dichiarazione per fare maggiore chiarezza sulla natura di questi studi, in particolare per quanto riguarda la condotta e l’addestramento dell’equipaggio di cabina in situazioni di emergenza.
Come terzo punto, infine, la proposta della Commissione mira ad adottare norme minime armonizzate in materia di sicurezza, di alto livello e applicabili in tutta la Comunità europea. Tuttavia, è possibile che in alcuni Stati membri siano in vigore regole nazionali più severe: la Commissione concorda sul fatto che questo regolamento non deve condurre in alcun modo a una riduzione dei massimi livelli di sicurezza, laddove esistano.
Concludendo, signor Presidente, la Commissione può accogliere senza alcuna difficoltà gli emendamenti che riflettono questi tre principi: sostiene quindi gli emendamenti di compromesso, ovvero gli emendamenti dal n. 19 al n. 25. Per contro, non accetta gli emendamenti nn. 11, 16 e 17, perché si sovrappongono e di fatto sono già coperti dagli emendamenti di compromesso. Lo stesso dicasi per gli emendamenti dal n. 12 al n. 15 e per l’emendamento n. 18, poiché apportano modifiche tecniche a varie parti dell’allegato che, di fatto, saranno disciplinate dalla procedura di comitatologia prevista per questo regolamento.
Signor Presidente, onorevoli deputati, credo che questo documento, che i rappresentanti del personale dell’aviazione civile accolgono con favore, rechi l’impronta del lavoro parlamentare. Di questo ringrazio il relatore e i deputati.
Roland Gewalt, a nome del gruppo PPE-DE. − (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’armonizzazione delle regole, attualmente molto divergenti tra loro, applicabili all’aviazione civile europea e in particolare agli orari di lavoro del personale di volo, va realizzata con urgenza.
In questo periodo dell’anno milioni di cittadini europei partono in aereo per le vacanze. Negli ultimi vent’anni il traffico aereo in Europa è aumentato in modo esponenziale e, dal momento che oggi non conosce praticamente confini nazionali, è anacronistico che le regole sulla sicurezza aerea varino tanto da un paese all’altro.
Obiettivo del presente regolamento è conseguire, quanto meno, un ravvicinamento tra le norme esistenti. Tale obiettivo, a quanto ne so, ha l’appoggio di tutti i gruppi politici, per cui è sufficiente apportare modifiche in alcuni ambiti, come ad esempio alle regole svantaggiose per il personale dei voli merci, ambito in cui alcune correzioni sono realmente necessarie.
Non dobbiamo tuttavia commettere l’errore di aggiungere, a un regolamento tecnico inteso ad accrescere la sicurezza aerea, aspetti che riguardano esclusivamente la sicurezza sociale e il diritto del lavoro. Mischiando questi aspetti, gli obiettivi del regolamento perderebbero in chiarezza e le stesse norme ne sarebbero indebolite.
Allo stesso modo, dobbiamo evitare di intrometterci negli accordi collettivi tra sindacati e datori di lavoro, soggetti al diritto del lavoro: tali accordi non possono essere oggetto d’intervento da parte dello Stato, e ancora meno da parte dell’Unione europea.
Se teniamo presente che unico obiettivo del regolamento è rendere il traffico aereo più sicuro, sono certo che in futuro i passeggeri potranno contare su regole tecniche di sicurezza equiparabili, indipendentemente dall’aeroporto dell’Unione europea in cui si imbarcano. Anche solo per questa ragione, il regolamento è degno di sostegno.
Sono molto grato al relatore, onorevole Stockmann, per l’accurato lavoro svolto.
Gilles Savary, a nome del gruppo PSE. − (FR) Signor Presidente, signor Commissario, stiamo giungendo al termine di un lungo, lunghissimo processo legislativo, come sanno coloro che siedono in Parlamento dal 1999. Abbiamo assistito al difficoltoso sviluppo di questa proposta di regolamento, prima con la relazione dell’onorevole Simpson − che non è presente, ma di cui riconosciamo il merito − e poi con il lavoro estremamente acuto e accurato dell’onorevole Stockmann, che oggi ci ha permesso di portare a termine il regolamento.
Ritengo, come ha affermato il signor Commissario, che il Parlamento possa andar fiero di aver conferito a questa proposta di regolamento un carattere sociale di rilievo.
Come ha già sottolineato il Commissario, e come spesso avviene in qualunque altro campo, nell’ambito della sicurezza aerea il fattore umano svolge un ruolo fondamentale. Un solo problema, apparentemente secondario, è rimasto irrisolto: il fattore umano include senz’altro il personale di volo, ma anche il personale di cabina. Abbiamo avuto difficoltà a concludere la trattativa perché volevamo risolvere definitivamente la questione al termine della seconda lettura ed evitare la procedura di conciliazione. E’ questo il motivo per cui 37 deputati di orientamento politico diverso − rendo omaggio all’onorevole de Veyrac − hanno proposto, agendo in una maniera che può sembrare intempestiva, una serie di emendamenti volti a integrare in modo chiaro ed esplicito il capo O al lavoro di revisione e valutazione scientifica.
Credo che, grazie alla mediazione dell’onorevole Stockmann, questi emendamenti abbiano finito per dimostrare che era possibile raggiungere un compromesso, e per persuadere il Consiglio ad accettarlo senza bisogno di passi ulteriori.
Di conseguenza, se gli emendamenti di compromesso, così come sono stati redatti questa settimana, verranno accolti − penso agli emendamenti nn. 22, 25 e 19 − non avremo più alcun motivo, ai sensi del nostro Regolamento, per votare a favore di quelli proposti dai 37 deputati.
E’ questo quindi ciò che mi auguro, nella convinzione che abbiamo fatto il nostro dovere e realizzato, nel corso di questa settimana, dei progressi decisivi. Ringrazio la Commissione per la sua disponibilità a questo riguardo.
Dirk Sterckx, a nome del gruppo ALDE. − (NL) Signor Presidente, signor Commissario, credo che questo momento costituisca un fondamentale passo avanti per il dossier in esame. Se è indubbio che vi abbiamo lavorato a lungo, siamo tuttavia vicini a un accordo che può permetterci di raggiungere un elevato livello di sicurezza e di rendere più leale la concorrenza tra le compagnie aeree.
E’ ora naturale chiedersi se il compromesso raggiunto sia un buon compromesso. Sappiamo tutti − e due di noi lo hanno già detto − che non si tratta della soluzione ideale, ma a volte cercando il meglio si rischia di perdere il buono. Al momento, comunque, dobbiamo accontentarci di ciò che abbiamo, anche perché una cosa va senz’altro detta sul presente compromesso: non presenta alcun livellamento verso il basso, contiene regole per il personale di cabina e regole per i voli merci notturni, e includerà quanto prima − tra due anni anziché fra tre − i risultati degli studi condotti dall’AESA.
Ora dobbiamo cogliere l’occasione che di fare subito due passi in avanti. Innanzi tutto, dobbiamo approvare il compromesso; mi ha fatto piacere sentire poco fa dall’onorevole Savary che, se il compromesso viene approvato, non occorre proseguire oltre. Una volta accolto il compromesso, avremo una base europea su cui lavorare, e su cui la stessa Commissione potrà iniziare a lavorare, per tutti i paesi, però, e non solo più per il limitato numero di Stati membri in grado di permettersi standard più elevati. Questo è il primo passo.
Il secondo passo consisterà poi, una volta che le regole europee saranno definite, nel migliorarle e rielaborane alcuni aspetti, in modo tale che gli Stati membri − e non, lo ripeto, solo i pochi che possono permetterselo − possano innalzare il loro livello di sicurezza. Occorre procedere in questo modo, in due fasi. Se tralasciamo la prima, cioè se non riusciamo a raggiungere il compromesso, non possiamo proseguire.
Capisco perfettamente le critiche espresse dai membri di alcune specifiche categorie di personale e le questioni sollevate, perché si tratta di problemi inerenti alla sicurezza. Tuttavia, quando ho chiesto se preferivano questo oppure niente, la risposta è sempre stata: “No, no, vogliamo qualcosa!”. Credo che il relatore abbia fatto quanto era in suo potere per superare tutti i limiti. La possibilità che abbiamo di raggiungere un compromesso e di istituire un unico regolamento in tutta Europa è un’opportunità che dobbiamo cogliere senz’altro.
Se respingiamo il compromesso sono convinto, come il relatore e i relatori ombra, che rimarremo senza niente in mano, e che ci troveremo ancora più lontano dall’obiettivo che vogliamo raggiungere. In ogni caso, vorrei rivolgere un caloroso ringraziamento al relatore, nonché al Commissario per il lavoro svolto.
Penso sia un peccato che su molte questioni il Consiglio sia irremovibile e continui ad appellarsi ad argomenti a me non facilmente comprensibili, ma se il compromesso realizzato tanto faticosamente verrà approvato, non correremo alcun rischio di rimanere a mani vuote né di peggiorare la situazione invece di migliorarla. Pertanto la ringrazio, onorevole Savary, e ringrazio tutti i parlamentari. Credo che domani potremo aspettarci un risultato positivo.
PRESIDENZA DELL’ON. ONYSZKIEWICZ Vicepresidente
Eva Lichtenberger, a nome del gruppo Verts/ALE. − (DE) Signor Presidente, abbiamo dinanzi un enorme pacchetto di cui restano da esaminare solo alcuni punti, che negli ultimi mesi, sebbene fossero molto importanti, non siamo riusciti ad affrontare.
Il Consiglio ha dedicato sei anni alla negoziazione di questo compromesso e nel farlo ha evidentemente trascurato i problemi del personale di volo. La conseguenza è stata che i tempi di volo dei piloti e la situazione lavorativa del personale di cabina sono rimaste questioni aperte e controverse nei dibattiti all’interno della commissione.
Desidero rivolgere un sentito ringraziamento al relatore per l’ingente lavoro svolto allo scopo di dare a questa relazione buoni e solidi fondamenti. Va rilevato, tuttavia, che la proposta non prende in esame i problemi posti dal lavoro su turni e dall’affaticamento, ovvero gli effetti fisici e psichici di orari di lavoro irregolari, che naturalmente hanno delle conseguenze sulla sicurezza.
La soluzione raggiunta, secondo la quale entro due anni da adesso deve essere avanzata una proposta, è un compromesso. Sarebbe stato meglio trovare subito un accordo, ma dobbiamo essere soddisfatti di aver raggiunto un compromesso, e del fatto che vi abbia aderito anche il Consiglio.
Ora spetta alla Commissione dare un contributo positivo, tenendo conto di questi fattori, senza dubbio indispensabili, ed elaborando una nuova proposta. A questo proposito, vorrei far presente che non sono esattamente favorevole all’eccezione fatta per il personale dei voli merci, ma la approverò ai fini del compromesso, nella speranza che la Commissione proceda in modo responsabile nella valutazione degli orari di lavoro.
Una questione complessa è stata naturalmente la clausola di non regressione, su cui il Consiglio non si è dimostrato disposto al dialogo, e rispetto alla quale gli Stati membri non sono stati disposti a cedere. Ora toccherà a loro, e ne saranno responsabili, decidere se migliorare, peggiorare o lasciare invariate le condizioni lavorative laddove esse sono più vantaggiose di quelle stabilite nella nostra proposta, e se portarsi infine alla pari nei casi in cui continuano a prevalere condizioni lavorative peggiori.
Georgios Toussas, a nome del gruppo GUE/NGL. − (EL) Signor Presidente, la politica dell’Unione europea anche nel settore aereo va avanti per inerzia, potenziando la competitività delle compagnie aeree monopolistiche per accrescerne i profitti. Noi riteniamo che i fattori direttamente collegati al consolidamento delle regole in materia di sicurezza dei voli siano essenzialmente due: il fattore umano e lo stato − ovvero la navigabilità − del velivolo.
Nonostante i rappresentanti dei sindacati abbiano di quando in quando espresso pubblicamente la loro preoccupazione per l’intensificarsi degli estenuanti orari di lavoro cui sono sottoposti i dipendenti e per il deterioramento dell’addestramento previsto per il personale di cabina promosso nel regolamento, purtroppo questi fattori non vengono tenuti in debito conto. E’ risaputo che i faticosi orari di lavoro del personale di cabina aumentano i rischi per la sicurezza dei voli.
Un altro parametro fondamentale, oggetto della lettera firmata l’8 ottobre 2004 da un gruppo di ingegneri aeronautici qualificati dell’Olympic Airlines e della risposta del Commissario Barrot del 18 gennaio 2005, sono le ispezioni prima del volo.
A questo punto vorrei attirare la vostra attenzione su un problema molto serio. Nel secondo paragrafo della lettera del Commissario Barrot, in risposta ai rappresentanti dei sindacati responsabili delle ispezioni sulla navigabilità dei velivoli, si afferma che, per quanto riguarda le verifiche prima del volo, l’analisi dell’attuale situazione giuridica a livello europeo (regolamento n. 2042/2003) ratifica che esse non hanno validità di controlli tecnici.
Ma per amor del cielo, se le ispezioni prima del volo non sono controlli tecnici, allora cosa sono? Siamo assolutamente convinti che vadano reintrodotte ispezioni eseguite da ingegneri specializzati, ai sensi della parte 66 (certificazione del personale di manutenzione).
Roberts Zīle, a nome del gruppo UEN. − (LV) Signor Presidente, signor Commissario, innanzi tutto desidero ringraziare il relatore, onorevole Stockmann, per l’eccellente lavoro con cui ha mediato tra opinioni tanto numerose e divergenti tra loro. Penso che il principale interesse dei presenti, per lo più membri della commissione per i trasporti e il turismo, sia raggiungere un accordo, dopo sei anni di lavoro, sulla versione del documento accettata anche dal Consiglio. Non credo sia più ammissibile né perdonabile differire ancora gli emendamenti e il regolamento relativo ai requisiti tecnici e alle procedure amministrative in un settore commerciale in crescita tanto rapida qual è quello aereo. Per lo stesso motivo, ossia a causa del rapido sviluppo del settore, occorre insistere sul termine massimo dei due anni come scadenza per il completamento della valutazione del capo Q. In quanto al compromesso raggiunto col Consiglio sulla cosiddetta clausola di non regressione, credo che essa sia sufficiente e non do credito alle preoccupazioni espresse sulla possibilità che qualche Stato membro possa, come si pensa, ridurre ai livelli europei minimi i propri standard di sicurezza relativi ai limiti dei tempi di volo. Infine, anche il riconoscimento a livello europeo dei programmi di formazione degli assistenti di volo e l’eventuale certificazione di questi ultimi come ulteriore mezzo per accrescere la sicurezza aerea avrà una conseguenza molto importante, di cui si discute spesso in Parlamento, soprattutto tra i gruppi di sinistra: permetterà ai membri di questa categoria di competere tra loro all’interno della Comunità europea, nonché di percepire la stessa retribuzione e le stesse garanzie sociali, indipendentemente dallo Stato membro, vecchio o nuovo che sia, da cui provengono. Non userò il tempo che mi rimane a disposizione, in modo da permettere all’onorevole Stockmann di veder giocare la sua squadra.
Georg Jarzembowski (PPE-DE). − (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente, onorevoli colleghi, possiamo essere soddisfatti, perché grazie alla perseveranza del Parlamento e all’appoggio della Commissione questo dossier è stato finalmente portato a termine. Se riandiamo con la mente agli ultimi cinque anni, e pensiamo alla quantità di lavoro fatto e a tutto il sudore versato, non possiamo far altro che rallegrarci.
Detto questo, signor Commissario, la esorto a prendere il coraggio a due mani; ciò che le chiediamo è di rivedere le disposizioni speciali per i voli espressi notturni. Diversamente il Consiglio userebbe questa situazione come pretesto per rimanere inattivo: lei invece osi, agisca, avanzi delle proposte. Credo semplicemente che esista una differenza tra le condizioni di vita dei piloti di aerei passeggeri e quelle dei piloti di aerei da carico.
Concludendo, vorrei chiedere al Vicepresidente e a tutti i colleghi di essere comprensivi, se non esaurisco i due minuti a mia disposizione. In Aula c’è pieno accordo. In televisione stanno trasmettendo un evento entusiasmante e sono sicuro che mi capirete, se tra le due alternative sceglierò appunto la più allettante.
Ewa Hedkvist Petersen (PSE). − (SV) Signor Presidente, l’argomento in esame può sembrare di ordine tecnico, ma oggetto di discussione sono, in realtà, due questioni fondamentali, sollevate all’interno del Parlamento europeo. Una di queste è la sicurezza dell’aviazione come mezzo di trasporto, il cui uso è in costante aumento. Sempre più persone dipendono dai trasporti aerei nella loro vita quotidiana, e anche nel campo dell’industria l’aviazione svolge un ruolo importante. Oggetto di dibattito sono anche gli esatti limiti della capacità umana in condizioni difficili e pericolose. Fino a che punto è possibile eseguire per ore un lavoro impegnativo continuando a garantire un elevato livello di sicurezza? Sono domande come questa che il Parlamento ha posto al centro del problema e che ci hanno spinto a dedicare tanto tempo alla questione. Vorrei ringraziare l’onorevole Stockmann per la collaborazione davvero eccellente di cui abbiamo beneficiato e per il compromesso di alta qualità che si è raggiunto. Sono tra quelli che credono che occorra votare a favore del compromesso, perché abbiamo bisogno di norme a livello europeo.
I piloti e l’equipaggio di cabina costituiscono il personale di volo più rilevante in fatto di sicurezza. Non è ammissibile che la sicurezza dei passeggeri sia messa a rischio per riuscire a tenere bassi i prezzi o perché le compagnie possano scalzarsi a vicenda. Le condizioni lavorative dei piloti sono state sottoposte a esami molto accurati in passato, e non è accettabile che la concorrenza provochi il peggioramento di quelle condizioni. Per questo è molto importante che tra due anni sia realizzata una revisione. Il regolamento relativo agli orari di lavoro dev’essere avvalorato da un punto di vista medico e scientifico, nell’ambito dell’AESA, dai maggiori esperti europei nel campo degli orari lavorativi, dei periodi di riposo, del sonno e della stanchezza.
Il personale di cabina, inoltre, deve essere dotato di competenze solide e di una buona formazione, caratteristiche di cui tutti i suoi membri devono essere in possesso. I compiti lavorativi sono cambiati, acquistando un’importanza crescente in seguito all’11 settembre. Pertanto dobbiamo anche contribuire a dotare di un alto livello di sicurezza e di elevati standard di competenza il personale di cabina, ed è ciò che si stiamo cercando di fare col compromesso. Per concludere, gli accordi esistenti differiscono da uno Stato all’altro: penso sia importante che gli Stati membri dotati di una legislazione migliore o di contratti collettivi non siano indotti ad adattarsi al minimo comune denominatore. Abbiamo bisogno della clausola di non regressione.
Mieczysław Edmund Janowski (UEN). − (PL) Signor Presidente, vorrei congratularmi con l’onorevole Stockmann per la sua relazione. Tratta una problematica molto ampia e importante, relativa all’adozione di un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l’armonizzazione di regole tecniche e di procedure amministrative nel settore dell’aviazione civile. A questa tematica, che ha un’importanza fondamentale per l’adeguato funzionamento dei trasporti aerei e dovrebbe mirare tanto a un elevato livello di sicurezza quanto a una concorrenza leale, va applicato un approccio globale.
La necessità di un approccio dettagliato è comprovata dal documento stesso, che consta di circa 480 pagine. Le procedure presentate nel regolamento sono precise e circostanziate. Fanno direttamente riferimento al velivolo, senza tralasciare i suoi dispositivi di comunicazione e di navigazione e le procedure cui deve attenersi il personale tecnico. Si riferiscono anche ai parametri di volo e all’equipaggio di bordo. Il regolamento tratta i problemi della certificazione, delle limitazioni dei tempi di volo e dei compiti del personale, nonché dei periodi di riposo necessari. Fa inoltre riferimento a questioni relative agli aeroporti e al regolamento delle attività degli operatori aerei, incluso il problema del carburante.
La relazione prende inoltre in esame la questione delle condizioni meteorologiche e delle linee guida sulle procedure da seguire in casi di limitata visibilità o in altre situazioni di pericolo. Vi si riscontra un chiaro sforzo volto a mantenere − laddove esistano − e a introdurre − dove ancora non siano del tutto obbligatori, − principi e criteri unitari per la realizzazione delle condizioni tecniche necessarie a garantire nei trasporti aerei il livello di sicurezza più elevato possibile.
L’intensa crescita dei trasporti aerei cui si è assistito rende necessaria l’assoluta conformità alle procedure e il mantenimento di una severa disciplina in ambito tecnico. E’ pertanto necessario armonizzare i regolamenti operativi nel settore dei trasporti aerei commerciali. E’ inoltre importante accertarsi che le norme comunitarie vengano rispettate in tutti gli Stati membri e che siano esplicitamente obbligati a rispettarle anche i trasportatori e gli operatori di compagnie aeree provenienti da territori extraeuropei che volano verso Stati membri dell’Unione europea.
Ho una certa dimestichezza con queste problematiche, avendo conseguito un dottorato di ricerca in scienze tecniche con specializzazione in aeronautica e avendo avuto l’opportunità di insegnare presso il Politecnico di Rzeszów, anche a futuri piloti di linea. In base alla mia esperienza posso affermare che il compromesso proposto è serio e pertinente. Naturalmente sarà anche molto importante attuare un monitoraggio sistematico e globale della legislazione adottata. Entro questo quadro sostengo il compromesso raggiunto e chiedo che domani venga adottato.
Reinhard Rack (PPE-DE). − (DE) Signor Presidente, Michael Ende non ha dato un finale appropriato alla Storia infinita; questo Parlamento ha conseguito risultati di gran lunga migliori. Adesso che l’onorevole Sommer ha prodotto la sua relazione, siamo sul punto di dare una conclusione al regolamento UE-OPS. L’onorevole Simpson e l’onorevole Stockmann hanno fatto un ottimo lavoro, per il quale meritano entrambi la nostra gratitudine.
Il diritto del lavoro, la sicurezza sociale e soprattutto le norme di sicurezza applicabili al traffico aereo vanno completamente aggiornate, ma, come il collega Gewalt ha giustamente rilevato, il ruolo che spetta al legislatore europeo in tutti questi ambiti è limitato. Il processo legislativo ha richiesto molto tempo, ma oggi possiamo contare su una buona relazione, che rappresenta − come molti colleghi hanno confermato − il miglior compromesso possibile tra le compagnie aeree e le unioni sindacali. Il regolamento rivisto copre l’intero ambito dei tempi di volo, degli orari di lavoro e dei periodi di riposo del personale di cabina e di bordo, e limita il loro orario di lavoro giornaliero a un massimo di 13 e 11 ore rispettivamente.
Ora spetta alle due parti in causa del settore − compagnie aeree e sindacati − soddisfare al meglio questi requisiti, mentre compito della Commissione sarà intensificare il suo lavoro in questo campo e assicurare, attraverso adeguate regole di sicurezza, che chi parte per le vacanze in questi giorni possa sentirsi al sicuro nel prendere l’aereo.
Inés Ayala Sender (PSE). − (ES) Signor Presidente, desidero ringraziare il relatore e collega, onorevole Stockmann, per la generosità dimostrata nel riconoscere il valore del lavoro iniziale dell’onorevole Simpson. Vorrei rendergli questa sera un caloroso omaggio per aver ottenuto un risultato tanto soddisfacente. La sua tenacia, nonché la sua flessibilità, ci hanno permesso di conseguire il successo che tutti ci auguravamo.
Ricordo ancora che all’inizio di questo dibattito, che ho vissuto al fianco dell’onorevole Simpson in un ruolo diverso, ci pervenne un testo volto ad armonizzare le regole tecniche e le procedure amministrative nel settore dell’aviazione civile, ossia a passare dalle norme JAR-OPS a quelle UE-OPS, e notammo con sorpresa che conteneva un buco nero: mancava il capo Q, relativo ai limiti dei tempi di volo e di lavoro e alle disposizioni sui periodi riposo.
Iniziò così una di quelle storie avvincenti che segnano il processo dell’integrazione europea e che, se un giorno finisse in mano a un buon narratore o a un buon regista, contribuirebbe sicuramente a restituire ai nostri cittadini la passione europeista.
In un cassetto della Commissione c’era un testo che cresceva nell’ombra, che si perfezionava, ma noi non sapevamo esattamente cosa contenesse; c’era un gruppo di piloti e di membri del personale di cabina in Europa che desiderava che fosse finalmente adottato, e alcune compagnie che, pressate da una concorrenza crescente, non ritenevano prioritario intervenire nel settore in un modo che avrebbe provocato, tra l’altro, la comparsa di nuovi concorrenti e trasformato le restrizioni proposte in un grave onere, sebbene tali limitazioni mirassero a incrementare la sicurezza. Esse avevano inoltre il sostegno dei rispettivi Stati membri.
La soluzione sembrava lontana, ma ora siamo sul punto di raggiungerla, grazie al lavoro serrato e congiunto di tutte le parti e alla volontà del Parlamento europeo di approvare un testo completo, contenente gli elementi fondamentali per la sicurezza, rivolto alle persone − piloti e personale di cabina −, recante disposizioni sulla formazione, sul riconoscimento professionale e sul rispetto rigoroso dei tempi di volo e di riposo, tutti aspetti che è necessario regolamentare e armonizzare per garantire pienamente e senza indugi la sicurezza in un settore del tutto aperto e competitivo e dalla crescita esponenziale quale quello dei trasporti aerei.
Questa sera accogliamo dunque con favore questo impegno preliminare, che costituirà un primo passo avanti nel processo volto a consolidare la fiducia dei cittadini europei nel settore dell’aviazione civile.
Tale impegno affida inoltre un incarico di responsabilità all’Agenzia europea per la sicurezza aerea, che ci auguriamo applichi prontamente tutte le raccomandazioni del Parlamento europeo.
Christine de Veyrac (PPE-DE). − (FR) Signor Presidente, vorrei ringraziare il relatore, onorevole Stockmann, per l’eccellente lavoro grazie al quale è riuscito a negoziare un accordo più che soddisfacente col Consiglio e con la Commissione. Possiamo essere soddisfatti di questo risultato per molte ragioni.
Innanzi tutto, questo accordo pone fine a un processo legislativo in corso da sei anni, permettendoci così di evitare la procedura di conciliazione e ulteriori ritardi, il che è un’ottima cosa, anche se sei anni sono davvero troppi per un settore come quello della sicurezza aerea, in cui è essenziale agire rapidamente.
In secondo luogo, gli emendamenti su cui il Consiglio e i relatori sono giunti a un accordo trattano la maggior parte delle richieste che abbiamo rivolto alla commissione per i trasporti e il turismo. Ciò mi sembra importante, in particolare in riferimento alle clausole di non regressione, le quali garantiscono che il testo non provocherà una riduzione del livello di sicurezza negli Stati i cui standard sono più elevati di quelli presentati nel regolamento.
Infine, sono particolarmente soddisfatta delle disposizioni relative al personale di cabina. Insieme all’onorevole Savary e a molti altri colleghi ho presentato due emendamenti legati alle apprensioni espresse dai membri di questa professione. Sono lieta di constatare che gli emendamenti del compromesso tengono conto di tali aspetti, e sono persuasa che il regolamento così modificato sia un testo coerente ed equilibrato: spero che domani sia adottato ad ampia maggioranza.
In via ufficiosa vorrei far presente ai colleghi tedeschi e italiani che ho appositamente cercato di essere breve per permettere loro di seguire gli ultimi minuti dell’importante avvenimento sportivo di questa sera.
Jörg Leichtfried (PSE). − (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente, colgo innanzi tutto l’occasione per ringraziare vivamente l’onorevole Stockmann per la sua eccellente relazione. Particolare motivo di soddisfazione è il fatto che sia riuscito, nonostante la problematicità dei temi, i diversi interessi in gioco e il lungo periodo intercorso, a portare la relazione al voto.
Il regolamento UE-OPS rappresenta un’importante pietra miliare nella storia della sicurezza aerea per vari motivi: il traffico aereo europeo è in costante aumento e lo spazio aereo europeo è uno dei più trafficati al mondo; per poter continuare a garantire la sicurezza dei passeggeri in ogni parte d’Europa occorre quindi provvedere con urgenza al futuro sviluppo di un unitario ed elevato livello di sicurezza.
La lista nera, resa nota alcuni mesi fa grazie all’onorevole de Veyrac, ha già stabilito standard elevati, soprattutto per le compagnie aeree extraeuropee, e ora occorre applicare standard altrettanto elevati a quelle europee. In seguito alle nuove condizioni quadro stabilite dal regolamento UE-OPS relativamente ai periodi di lavoro e riposo, i piloti di alcuni Stati membri dell’Unione europea non saranno più soggetti a pressioni eccessive, e ciò accrescerà, a sua volta, la sicurezza dei passeggeri.
A questo riguardo l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA) produrrà uno studio medico-scientifico, che sarà alla base delle revisioni della Commissione. Nella mia relazione, tratterrò diffusamente le funzioni dell’AESA e le sue aree di competenza.
Vorrei cogliere l’occasione sin da ora per sottolineare che il primo tra i miei obiettivi è la sicurezza dei passeggeri e dell’intero equipaggio e che non perderò di vista tale obiettivo nella stesura della relazione. L’onorevole Stockmann ha già apportato un grande contributo al riguardo, e in tal modo è riuscito a rendere l’aviazione civile molto più sicura. Io cercherò di fare la mia parte, garantendo che la divisione delle competenze e il coordinamento tra le diverse agenzie per la sicurezza siano disciplinati da regole chiare, con la precisa indicazione dei soggetti tenuti a conformarsi alle direttive di tali agenzie.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. − (FR) Signor Presidente, dobbiamo risparmiare le forze, dunque sarò molto breve. Per prima cosa vorrei ringraziare il Parlamento per aver accettato un compromesso negoziato tra le tre Istituzioni ed esprimere la mia gratitudine al relatore, onorevole Stockmann.
Il contributo del Parlamento ci ha permesso di progredire sensibilmente. Ha consentito infatti di precisare gli ambiti nei quali è necessario un lavoro ulteriore, in particolare in collaborazione con l’Agenzia europea per la sicurezza aerea. A questo proposito vorrei dire che, in linea con l’emendamento di compromesso presentato, la Commissione esaminerà attentamente le circostanze specifiche dei voli notturni. Quanto ai controlli, ne esistono di due livelli: quelli gestiti dall’Agenzia europea per la sicurezza aerea, intesi a verificare se le regole europee sono applicate correttamente dagli Stati membri, e quelli gestiti dagli Stati membri. Faremo in modo che i controlli vengano intensificati.
Signor Presidente, mi auguro che questo testo sia approvato ad ampia maggioranza, permettendo così di migliorare la sicurezza aerea in Europa, di garantire una concorrenza leale e di agevolare la mobilità del personale all’interno della Comunità europea. Ringrazio ancora il Parlamento per il suo contributo.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà mercoledì, alle 12.30.
17. Trasferimenti di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0174/2006), presentata dall’onorevole Seppänen, a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, sulla proposta di direttiva del Consiglio relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito [COM(2005)0673 – C6-0031/2006 – 2005/0272(CNS)].
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la proposta su cui verte la relazione dell’onorevole Seppänen è volta a modificare e sostituire la direttiva 92/3/EURATOM, che stabilisce una procedura amministrativa comunitaria uniforme, applicabile alle spedizioni di rifiuti radioattivi.
Vorrei innanzi tutto ricordare gli obiettivi di questa proposta, che sono i seguenti: garantire la coerenza con altre normative comunitarie nel campo della radioprotezione, assicurare la coerenza con le convenzioni internazionali, chiarire le procedure, semplificare la struttura e la definizione della direttiva esistente e aumentare la sicurezza, in primo luogo contemplando esplicitamente i trasferimenti di combustibile esaurito destinato al ritrattamento – ora viene applicata la stessa procedura di controllo per tutte le spedizioni di combustibile esaurito, indipendentemente dall’uso al quale è destinato – e in secondo luogo generalizzando la procedura di autorizzazione automatica. Si presume che l’autorizzazione venga tacitamente concessa dallo Stato membro di transito o di destinazione dopo un periodo ragionevole.
Questa proposta fa tesoro dell’esperienza dell’applicazione della direttiva esistente. Inoltre tiene pienamente conto del parere espresso dal Comitato economico e sociale europeo il 9 giugno 2005, nonché delle discussioni informali svoltesi in seno al Consiglio e al Parlamento nel corso del 2005.
Desidero ringraziare il relatore, onorevole Seppänen, per l’ottima relazione preparata, che ha ricevuto il forte sostegno della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. Gli emendamenti mirano principalmente a chiarire la proposta della Commissione, che può dunque accoglierli con favore.
Sono pertanto certo che il Consiglio terrà nella debita considerazione il contenuto del parere del Parlamento, nella misura in cui potrà contribuire al miglioramento della direttiva. La Commissione presenterà positivamente l’inclusione degli emendamenti della relazione Seppänen nella direttiva.
Vorrei esortarvi a adottare la raccomandazione presentata dalla commissione ITRE, poiché costituisce il modo migliore di promuovere i nostri obiettivi comuni e aumenta la certezza per quanto riguarda la procedura comunitaria uniforme applicabile al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito.
Sono ansioso di assistere al dibattito.
Esko Seppänen (GUE/NGL), relatore. – (FI) Signor Presidente, signor Commissario, la ringrazio per il suo interessante parere. Questa relazione è stata adottata a vastissima maggioranza dalla commissione e ai membri che la compongono, che hanno presentato molti validi emendamenti alla proposta, vanno i miei ringraziamenti per l’elevato livello di cooperazione.
Durante il processo di elaborazione ho pensato che da parte nostra fosse importante insistere affinché la legislazione comunitaria sancisse il diritto di ogni Stato membro a vietare l’importazione di combustibile nucleare esaurito destinato allo stoccaggio. Questo principio è contenuto nella convenzione comune dell’AIEA sulla sicurezza della gestione del combustibile esaurito e sulla sicurezza della gestione dei rifiuti radioattivi. A un certo punto il Parlamento europeo ha approvato l’adozione della convenzione comune, di cui l’EURATOM è parte contraente. Nell’Unione viene quindi generalmente accettato il principio secondo cui uno Stato membro non è tenuto ad acconsentire, contro la propria volontà, che sul suo territorio vengano stoccati combustibili esauriti provenienti da altri paesi.
Sebbene in teoria si tratti di una questione semplice, in pratica non lo è. La Commissione ha opposto resistenza all’idea di inserire nella legislazione comunitaria questo diritto di uno Stato membro. La Commissione può benissimo essere oppressa dal pensiero secondo cui la libera circolazione delle merci, sancita dal Trattato, deve applicarsi anche al combustibile esaurito destinato allo stoccaggio. In quest’ottica, il combustibile nucleare esaurito va considerato alla stregua di qualsiasi altra merce. Poiché, ai sensi dei Trattati comunitari, le merci devono poter circolare liberamente all’interno dell’Unione, agli Stati membri che stoccano i propri rifiuti nucleari sul loro territorio non deve essere riconosciuto il diritto di vietare, nella legislazione primaria dell’Unione, l’importazione di combustibile nucleare esaurito da altri paesi. Sembra che nemmeno questo settore sia esente dalla brama del libero scambio.
Su questo punto i membri della commissione hanno sostenuto il relatore. Il diritto degli Stati membri di vietare l’importazione di combustibile nucleare esaurito è stato ora sancito dagli articoli della direttiva nella relazione del Parlamento. Poiché tale disposizione è stata inclusa in questi articoli, è giuridicamente vincolante. Se fosse stata inserita esclusivamente nel preambolo, non avrebbe avuto lo stesso status giuridico: avrebbe soltanto espresso una volontà politica, senza alcun valore giuridico.
Questo principio e l’intera relazione sono stati adottati dalla commissione con un consenso talmente ampio che sarebbe stato del tutto superfluo sottoporre la relazione alla presentazione di emendamenti in seduta plenaria. Ho tuttavia accolto la richiesta dei membri del gruppo Verde/Alleanza libera europea di tenere un dibattito in Aula sulla modifica della direttiva. A mio parere, dovrebbero esporre le ragioni per cui, secondo loro, gli Stati membri devono gestire lo stoccaggio del combustibile esaurito a livello nazionale, vietando l’esportazione di questo tipo di materiale e di residui nucleari al di fuori dell’Unione a fini di ritrattamento o stoccaggio.
Ritengo che questa richiesta sia giustificata dalla competenza dell’Unione nel campo della tecnologia nucleare, che è molto elevata, e dalla rigorosità delle sue norme in materia di sicurezza. Temo che nei possibili paesi riceventi vigano standard inferiori e la legislazione sia meno rigida. Se si utilizza l’energia nucleare si assumono enormi rischi radioattivi e tali rischi devono essere controllati nei paesi che producono energia nucleare. I problemi ai quali è possibile trovare una soluzione comune in seno all’Unione non possono essere trasferiti in paesi terzi al di fuori dell’UE. Per questo motivo sostengo i molti emendamenti presentati dai Verdi, sebbene non abbiano riscosso il consenso generale in seno alla commissione.
Werner Langen, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, desidero ringraziare la Commissione per la sua disponibilità a ritirare la prima proposta e a tenere conto, nella seconda, di quanto affermato nella discussione svolta in Aula; in questo modo, infatti, siamo riusciti a venirci reciprocamente incontro. I miei ringraziamenti vanno anche al relatore, che a sua volta si è mostrato disposto – sebbene poi la sua disponibilità sia in parte venuta meno – a collaborare con i gruppi principali e con la Commissione per trovare un modus operandi improntato alla razionalità.
La relazione in esame è ragionevole e possiamo accordarle il nostro sostegno, pur ritenendo che gli emendamenti presentati dai Verdi non le rendano onore. Considerato nel suo complesso, il progetto di relazione dell’onorevole Seppänen gode del sostegno del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, ma respingeremo la sostanza degli emendamenti che, contrariamente al nostro accordo originale, sono stati ripresentati e agiremo in tal senso conformemente agli articoli 31 e 32 del Trattato EURATOM, relativi alla salute e alla sicurezza. Vorrei rilevare che non si tratta di una procedura di codecisione e che verremo esclusivamente consultati.
Sono stati presi in considerazione nuovi elementi, quali, ad esempio, l’estensione dell’ambito di applicazione della direttiva al combustibile esaurito destinato al ritrattamento e allo stoccaggio e la procedura di approvazione automatica per il trasporto di materiale all’interno e all’esterno della Comunità.
Non possiamo accettare le proposte avanzate dai Verdi. In particolare, l’emendamento n. 23, volto a stabilire il principio di fornire preventivamente quante più informazioni possibili, non può che essere considerato come un incitamento a tenere numerose dimostrazioni, e l’onorevole Harms ha sottolineato che verranno effettivamente organizzate manifestazioni di questo tipo. Non essendo riuscita a far accettare queste proposte la prima volta, ora ci riprova. Ci comporteremmo molto più onestamente gli uni con gli altri se riuscissimo a trovare un terreno comune sulla questione ancora aperta dello stoccaggio definitivo anziché adottare posizioni rigide secondo le quali un’ala dell’Assemblea ha ragione e l’altra è in torto assoluto.
Voglio esprimere i miei ringraziamenti all’onorevole Seppänen per la sua disponibilità a venirci incontro e credo che possiamo ampiamente accogliere la relazione nella sua forma attuale.
Vincenzo Lavarra, a nome del gruppo PSE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, la proposta della Commissione sulla direttiva relativa al controllo delle spedizioni di rifiuti è equilibrata e recepisce molte delle indicazioni del Parlamento europeo in occasione del dibattito sulla precedente proposta.
E’ apprezzabile il tentativo di aggiornare e chiarire dal punto di vista procedurale e terminologico la direttiva precedente. E’ altrettanto apprezzabile l’inclusione nel campo d’azione della direttiva del combustibile nucleare esaurito. Il gruppo Socialista, perciò è sostanzialmente d’accordo con questo testo e si complimenta con il relatore Seppänen per la sua relazione e il suo contributo.
Abbiamo chiesto un voto separato sull’emendamento 6 perché non riteniamo che si possano escludere dalle disposizioni legislative dei regolamenti dei paesi di transito le restrizioni e i controlli che sono pervasivi di tutta la direttiva.
Gli emendamenti presentati dai Verdi pongono un problema condivisibile e, tuttavia, penso che il testo della Commissione, più precisamente l’articolo 13, ponga già dei limiti alle esportazioni, in particolare verso quei paesi che non dispongono delle risorse tecniche, giuridiche e amministrative per garantire una gestione sicura dei rifiuti radioattivi, perciò noi voteremo contro gli emendamenti dei Verdi.
Inoltre ritengo condivisibile l’impianto e ringrazio per questo la Commissione e il relatore Seppänen.
Marios Matsakis, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, mi congratulo con il relatore per il grande impegno profuso nella stesura di un’ottima relazione che affronta un tema tanto difficile e controverso. Gli emendamenti presentati in questa relazione apportano senza dubbio un netto miglioramento all’ultima proposta della Commissione e costituiscono sicuramente un importante passo avanti rispetto alla direttiva originale sulla sorveglianza e il controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi.
Uno dei contributi più rimarchevoli apportati dal relatore al sostanziale miglioramento della posizione della Commissione è la ferma posizione che ha assunto nello stabilire il diritto di ciascun paese di vietare lo stoccaggio definitivo del combustibile nucleare esaurito proveniente dall’estero nei depositi presenti nel proprio territorio. Questo è un diritto sacrosanto.
A mio parere, restano da chiarire solo alcune questioni ambigue. Mi limiterò a soffermarmi su due di queste aree problematiche, che in realtà sono intercorrelate. La definizione esatta di rifiuti nucleari e di combustibile nucleare esaurito non è ancora del tutto chiara, cosicché alcuni rifiuti nucleari, a seconda dell’uso al quale vengono destinati, possono talvolta essere considerati come combustibile nucleare esaurito e viceversa. Questa situazione potrebbe dare adito a una certa confusione. In ogni caso, e questo è alquanto strano, in termini giuridici entrambi questi materiali pericolosi vengono tuttora considerati alla stregua di merci ai sensi della legislazione comunitaria. Di conseguenza, uno Stato membro, dopo aver ricevuto solo una semplice notifica, è talvolta costretto ad accettare che vengano effettuate spedizioni estremamente pericolose sul suo territorio, via terra, mare o aria, esponendo i suoi cittadini ai potenziali rischi di un catastrofico incidente da contaminazione nucleare. Ciò avviene senza che lo Stato abbia innanzi tutto il diritto di vietare tali spedizioni.
So che individuare una soluzione al problema e attuarla è tutt’altro che facile, ma in qualche modo dobbiamo trovare il modo di permettere agli Stati membri di avere l’ultima parola affinché, dopo essere stati pienamente informati, possano stabilire se accettare o meno, in decisioni attentamente soppesate, il trasporto di materiale nucleare – e dunque di qualsiasi altro materiale pericoloso – sul loro territorio.
Rebecca Harms, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto ringraziare l’onorevole Seppänen per la sua grande conoscenza dei problemi che riguardano le condizioni di mercato di prodotti tanto complessi quali i rifiuti radioattivi e i combustibili nucleari esauriti.
Vorrei nuovamente illustrare due emendamenti presentati dal mio gruppo che mi stanno particolarmente a cuore, ossia gli emendamenti nn. 24 e 25, che vertono espressamente sull’esportazione di rifiuti radioattivi e combustibili nucleari esauriti verso paesi terzi; la mia preoccupazione riguarda in particolare le esportazioni verso la Russia. Chi si interessa di questi problemi avrà già sentito parlare di Mayak e Chelyabinsk, due impianti situati negli Urali in cui, da decenni, vengono ritrattati, o accettati a fini di stoccaggio, non solo rifiuti sovietici, ma anche, e sempre più, residui europei, e in cui continuano a verificarsi incidenti.
Tuttavia, vengono rilasciate enormi quantità di radioattività non solo in caso di incidenti, ma anche nel normale svolgimento delle operazioni; i fiumi e i laghi degli Urali vengono così gravemente inquinati, risentendo di un livello di contaminazione peraltro molto maggiore di quello riscontrato in alcune parti della zona di esclusione che circonda il reattore di Chernobyl. Nella situazione in cui ci troviamo non si può ricorrere a duplici misure; data l’impossibilità di trattare tali prodotti nell’UE, gli europei non dovrebbero inviare i loro rifiuti in quei paesi a fini di stoccaggio, smaltimento o ritrattamento; inoltre non si può più effettivamente dimostrare che in quei paesi si continui a effettuare il ritrattamento – ossia l’ulteriore recupero di questi materiali nucleari –, poiché nessun inventario di ciò che viene ritrattato o riutilizzato è accessibile al pubblico.
Se continueremo a permettere che vengano esportate migliaia di tonnellate di rifiuti nucleari dall’Unione europea alla Russia, ci assumeremo una responsabilità addirittura maggiore di quella che già abbiamo – e insisto su questo punto perché le esportazioni non sono iniziate solo ora – per le deprecabili condizioni in cui versa l’ambiente nella regione di Mayak e Chelyabinsk e per la salute degli abitanti di quella zona. Sono fermamente convinta che, in generale, della soluzione dei problemi collegati ai rifiuti nucleari debbano farsi carico i paesi che scaricano questi problemi sul mondo. La responsabilità dei nostri residui nucleari non ricade sulla Russia, bensì sui nostri stessi paesi.
Kartika Tamara Liotard, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Signor Presidente, in primo luogo devo ovviamente congratularmi con il collega del mio gruppo, onorevole Seppänen, per l’ottimo documento elaborato; il relatore evidenzia a ragione che in materia di stoccaggio e trattamento di rifiuti nucleari la principale responsabilità ricade sugli Stati membri, responsabilità di cui sono sicuramente investiti per quanto riguarda il rifiuto di far entrare entro i propri confini scorie provenienti dall’estero. Se da un lato questo è un diritto fondamentale che non deve essere assolutamente pregiudicato dalla legislazione europea, dall’altro ritengo che la responsabilità nazionale vada addirittura oltre, poiché chi produce rifiuti nucleari non può mai esimersi dalla responsabilità di garantire che tali residui vengano trattati e stoccati in maniera appropriata, anche nel caso in cui queste operazioni vengano compiute in un altro paese.
Il modo in cui ora gli Stati membri dell’Unione europea trasportano i loro rifiuti verso paesi come la Russia, dove vengono semplicemente stoccati in condizioni che lasciano ampiamente a desiderare, è semplicemente scandaloso. Della negligenza dell’Europa nei confronti dei residui nucleari fanno le spese la popolazione locale e l’ambiente. Se i paesi scelgono di usare una fonte energetica tanto pericolosa e dannosa per l’ambiente come il nucleare, dovrebbe essere loro imposto di smaltire i propri rifiuti in ambito nazionale, anziché scaricarli sugli abitanti dei paesi più poveri situati all’esterno dell’Unione europea.
Chi vuole davvero fare qualcosa di concreto per affrontare il problema dei residui nucleari in Europa dovrebbe innanzi tutto concentrarsi sulla loro provenienza, perché altrimenti combatterà una battaglia senza fine. E’ particolarmente deludente constatare che l’energia nucleare, dopo essere stata giustamente confinata ai margini del dibattito energetico per un certo periodo di tempo, inizia ora a riaffacciarsi di nuovo nell’agenda europea; infatti, poiché non è rispettosa dell’ambiente, non è sicura né economica, non costituisce un’alternativa accettabile e il problema posto dai rifiuti lo dimostra chiaramente.
Kathy Sinnott, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, vorrei dire al Commissario che, quando leggo la relazione, da cui si evince chiaramente il carattere letale dei rifiuti radioattivi, mi chiedo perché continuiamo a considerare l’energia nucleare come una possibilità, ritenendola addirittura “ecologica”, secondo quanto vogliono farci credere ultimamente le lobby.
La direttiva si concentra esclusivamente sugli Stati membri che partecipano attivamente alla produzione di energia nucleare e su quelli che accettano i residui. L’Irlanda non produce rifiuti nucleari né li ritratta. Non siamo contemplati da questa relazione, eppure dovremmo essere tutelati perché a poca distanza dalle nostre coste sorge Sellafield, un impianto di ritrattamento britannico.
Il Mare d’Irlanda, la stretta striscia d’acqua che ci separa da Sellafield, è divenuto, a causa di questo impianto, il tratto di mare più radioattivo del mondo. Sellafield si sta espandendo e si prepara a ricevere e ritrattare sempre più rifiuti radioattivi. Tutti i rifiuti provenienti dall’Europa continentale attraverseranno con ogni probabilità il Mare d’Irlanda, esponendoci a ulteriori rischi. A quanto sembra, in Irlanda non abbiamo voce in capitolo. Siamo considerati spettatori passivi. Nessuno chiede il nostro consenso. Possiamo rifiutare il combustibile, ma non possiamo respingere i rischi nei quali incorriamo a seguito della sua accettazione da parte del nostro vicino. Noi, come paese, abbiamo scelto di rinunciare al nucleare. Questa è una decisione che va rispettata, sia per quanto riguarda l’accettazione dei rifiuti sia per quanto concerne i rischi che il loro trasporto nelle nostre acque comporta.
Per quanto riguarda il fumo, i legislatori hanno riconosciuto l’importanza del fumo passivo e hanno adottato misure per difendere chi si trova accanto a chi fuma. Dobbiamo riconoscere gli effetti e i rischi che le operazioni di ritrattamento, spedizione e rispedizione comportano per tutti, non solo per i paesi di origine e destinazione che traggono profitto dal business del nucleare.
Alejo Vidal-Quadras (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sono lieto che, dopo più di un anno e mezzo di procedure parlamentari, la relazione dell’onorevole Seppänen sia finalmente sottoposta al voto della plenaria. In seno alla commissione abbiamo ottenuto un ampio consenso nella stesura degli emendamenti volti a migliorare la proposta della Commissione, che a nostro parere potrà essere accolta dal Consiglio.
In particolare, vorrei evidenziare il nuovo sistema di notifica e autorizzazione di spedizioni di rifiuti radioattivi e combustibile esaurito che, a mio avviso, massimizza l’utilizzo della procedura di autorizzazione automatica, a suo tempo già ritenuta dal Comitato economico e sociale europeo un elemento essenziale per il corretto funzionamento del mercato interno.
Inoltre, gli emendamenti votati in sede di commissione rispettano pienamente l’obiettivo iniziale della proposta, volto ad allineare la legislazione in vigore alla convenzione comune dell’AIEA. In questo senso il Parlamento ha insistito sulla fedele riproduzione delle definizioni della Convenzione, nonché sull’ambito di applicazione della direttiva.
Quanto agli emendamenti presentati dall’onorevole Harms, vorrei formulare un paio di osservazioni: innanzi tutto, la convenzione definisce molto chiaramente le condizioni che permettono agli Stati membri di esportare rifiuti radioattivi e combustibile esaurito; in secondo luogo, la sua insistenza sulla necessità di rendere pubbliche le informazioni sulle spedizioni di queste sostanze contraddice la posizione che aveva assunto in sede di commissione, allorché aveva fatto presente il rischio che tali materiali cadessero in mani poco affidabili. Sono certo che l’onorevole Harms si rende conto dei pericoli in cui si potrebbe incorrere se quelle informazioni delicate fossero accessibili a tutti.
Signor Presidente, desidero ringraziare l’onorevole Seppänen per l’eccellente lavoro svolto e tutti i relatori ombra per l’ottimo impegno profuso e la collaborazione prestata durante l’intero processo; vorrei inoltre ribadire il mio sostegno agli emendamenti approvati in sede di commissione. Speriamo che l’Assemblea si renda conto che nel voto di domani non si tratta di dire “sì” o “no” al nucleare, ma di esprimerci su una proposta volta a rendere più sicuro il trasporto di queste sostanze.
Justas Vincas Paleckis (PSE). – (LT) Vorrei congratularmi con il relatore e precisare che la direttiva in esame è importante per tutti i paesi dell’Unione europea, soprattutto per quelli in cui operano centrali nucleari. Le proposte presentate dalla Commissione in materia di collaborazione nel trasporto e nell’interramento di rifiuti nucleari e combustibile esaurito riflettono lo spirito della solidarietà europea e guardano al futuro. D’altro canto, è indubbio che i controlli sul trasporto di rifiuti radioattivi e il sistema di autorizzazione preventiva devono essere più rigidi.
Dopo avere chiuso il primo reattore della centrale nucleare di Ignalina e in previsione di chiudere il secondo fra tre anni, la Lituania si trova dinanzi a un problema di stoccaggio per quel che riguarda il combustibile nucleare esaurito. Attualmente, i rifiuti vengono temporaneamente interrati in aree speciali. Se si deciderà di costruire una nuova centrale nucleare moderna a Ignalina con l’aiuto dei paesi vicini, la direttiva all’esame assumerà un’importanza addirittura maggiore per l’intera regione.
Vorrei inoltre evidenziare la necessità di incoraggiare la ricerca scientifica nella neutralizzazione dei rifiuti nucleari, obiettivo che potrebbe a sua volta figurare tra le priorità del settimo programma quadro di ricerca dell’Unione europea.
Marie Anne Isler Béguin (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, in Francia si è sollevata un’ondata di indignazione quando il trasporto di rifiuti radioattivi è stato classificato come segreto militare. In questo modo si è negato ai rappresentanti eletti a livello locale e alle comunità locali il diritto di essere informati del passaggio, nel loro territorio, di convogli contenenti materiale radioattivo altamente pericoloso.
Solo il 16 maggio scorso, un membro della società civile francese è stato trattenuto dalla polizia perché trovato in possesso di uno studio d’impatto sulla capacità del progetto EPR di resistere alla caduta di un aereo di linea, classificato anch’esso come segreto militare.
Appropriandosi, in termini vaghi, dell’idea francese secondo cui occorre garantire che “le informazioni relative alle spedizioni (...) siano trattate con la dovuta cautela e tutelate contro gli abusi”, la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia del Parlamento europeo propone di fatto di istituzionalizzare i segreti militari a livello europeo.
Il Parlamento europeo, campione mondiale assoluto nella promozione e nella richiesta di trasparenza e controllo democratico sulla scena internazionale, tornerà sui propri passi e farà un’eccezione per la questione del nucleare? Il nostro Parlamento perderebbe gran parte della propria credibilità se adottasse la regola dell’oscurantismo in materia di rifiuti altamente radioattivi.
Sappiamo che l’interramento non è la soluzione alla gestione dei rifiuti nucleari. Per questo rifiutiamo il progetto di costruire una discarica nucleare europea sia a Bure, nella mia regione, che da qualsiasi altra parte. Inoltre, assecondare la proposta di delegare la gestione dei rifiuti nucleari a paesi terzi – Ucraina e Russia, ad esempio – è irresponsabile. Questa idea è eticamente e moralmente riprovevole quando a essere in gioco sono rifiuti nucleari che, non dimentichiamolo, dovranno essere controllati per sempre.
Nel frattempo, la soluzione accettabile – e questa è la risposta che voglio dare ai colleghi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei – consiste nello stoccare i rifiuti all’interno delle centrali nucleari. Gli unici luoghi sicuri sono questi, senza contare che così si metterebbe fine al processo di trasportare i rifiuti in lungo e in largo per l’Europa su strada o su rotaia.
Infine, la domanda è: quanto tempo dovranno aspettare i cittadini europei prima che la trasparenza dell’informazione si applichi al settore nucleare?
Romana Jordan Cizelj (PPE-DE). – (SL) Onorevoli colleghi, se non garantiremo la stabilità del nostro sistema, adottando norme chiare e rispettando i nostri impegni internazionali nel campo dell’energia, tutti i discorsi sulla crescita economica, l’aumento dell’occupazione e l’incremento della competitività dell’Unione europea mancheranno di un solido fondamento nella realtà.
Che ci piaccia o meno, l’attuazione degli obiettivi della strategia di Lisbona è inestricabilmente collegata alla questione dell’energia, compresa quella nucleare. In realtà, il nucleare è responsabile di un buon 30 per cento dell’energia elettrica che viene generata da 154 reattori in Europa. Dinanzi a queste cifre, gli oppositori dell’energia nucleare e anche i cittadini esprimono preoccupazione per i rifiuti nucleari. E’ ora di modificare l’attuale direttiva del 1992 relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito adeguandola allo sviluppo della società contemporanea, e la proposta della Commissione fa proprio questo.
Particolarmente degne di nota sono la semplificazione della direttiva attuale, la chiara definizione delle procedure e la definizione dell’uso delle lingue. Inoltre, grazie al rapido sviluppo della tecnologia, oggi è possibile riutilizzare e recuperare fino al 96 per cento di tutti i rifiuti altamente radioattivi. Sostengo pertanto la proposta volta ad armonizzare le procedure per la gestione dei combustibili nucleari esauriti, a prescindere dalla procedura che verrà utilizzata in futuro. Sono fermamente convinta che questo documento meriti il nostro sostegno.
Permettetemi infine di esprimere l’auspicio che agiremo in maniera coerente e costruttiva e che ci atterremo al parere della commissione competente per l’industria, la ricerca e l’energia. Spero inoltre che non appesantiremo inutilmente la suddetta direttiva in seno al Parlamento europeo con testi o emendamenti aggiuntivi, rendendola difficile da applicare ancor prima di iniziare.
András Gyürk (PPE-DE). – (HU) In materia di salute e sicurezza, gli articoli 31 e 32 del Trattato EURATOM non solo sono alla base della direttiva che ci accingiamo a modificare, ma costituiscono anche un obbligo che è nostro dovere rispettare.
Ai fini della salute e della sicurezza dei cittadini europei, dobbiamo provvedere all’aggiornamento della legislazione in materia di energia nucleare. Credo fermamente che, approvando la relazione Seppänen, facciamo il nostro dovere per ottemperare a tale obbligo e rendiamo più efficace la direttiva 92/3/EURATOM.
A mio avviso la direttiva rappresenta per molti versi la giusta via di mezzo e questo è estremamente importante. Innanzi tutto, assicura il rigoroso monitoraggio dei rifiuti radioattivi e del combustibile esaurito, che ora viene ritrattato, senza applicare restrizioni e divieti ingiustificati. In secondo luogo, garantisce la sicurezza dei cittadini, senza imporre, in cambio, un onere sproporzionato agli operatori economici.
Infine, sebbene estenda l’ambito di applicazione della direttiva, il regolamento rispetta il principio di sussidiarietà. In altre parole, benché la nuova legislazione fornisca ai cittadini nuove garanzie, gli Stati membri continuano ad avere la responsabilità di creare regolamenti ad hoc per le particolarità nazionali, nonché di garantire il funzionamento delle autorità che assicurano il rispetto di tali regolamenti. In quest’ultimo caso, tuttavia, ciò significa anche che, oltre a perfezionare la legislazione che fornisce una base stabile per la sicurezza, è altresì necessario garantire l’effettivo funzionamento delle autorità nazionali che costituiscono questo quadro, in modo tale che ogni cittadino dell’Unione europea possa beneficiare della maggiore sicurezza offerta dalla nuova direttiva.
Tutto questo ha una fondamentale importanza anche per il futuro dell’approvvigionamento energetico dell’Europa; dovremmo infatti sapere che, se questa complessa operazione andrà a buon fine, sarà possibile alimentare la fiducia dei cittadini nell’energia nucleare.
Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto ringraziare la Commissione per avere intrapreso questa iniziativa; è infatti giunto il momento di prestare attenzione alle questioni fondamentali nell’Unione europea, tra cui figurano le norme in materia di sicurezza e i rischi estremi che questa tecnologia comporta, e di rendersi conto del fatto che al momento gli attuali standard di sicurezza differiscono moltissimo tra loro e, in molti casi, richiedono un controllo migliore, ovvero una cosiddetta revisione paritetica o qualche altra azione che consenta di riesaminarli in maniera obiettiva e trasparente.
A mio avviso, viene spontaneo chiedersi quale sia la situazione in quest’area per quel che riguarda la consultazione tra la Commissione, il Parlamento e gli Stati membri interessati, o cosa stia accadendo riguardo alla nuova strategia, in base alla quale il gruppo di lavoro del Consiglio per la sicurezza nucleare, oltre ad arrogarsi tutti i poteri, sta trattando gli altri nostri partner in seno al processo decisionale europeo in una maniera che è inconcepibile per i giorni nostri. Dovremmo sforzarci di trovare un equilibrio assumendoci fin d’ora la responsabilità in materia di monitoraggio e trasparenza, elementi che stanno diventando sempre più indispensabili in questo settore estremamente delicato, anziché aspettare che si verifichi un incidente da qualche parte e individuare solo allora i responsabili o i colpevoli.
Dovremmo inoltre prendere in seria considerazione la concorrenza, valutando i costi da sostenere per lo smaltimento e lo stoccaggio dei rifiuti e anche per la sicurezza dei trasporti, nonché le norme secondo cui si devono realizzare tali azioni. E’ in quest’ambito che l’Unione deve intervenire, e vorrei chiedere a tutti voi, ricordando il fatto che il Trattato EURATOM è in vigore da cinquant’anni, di avviare un dibattito serio incentrato sulla sicurezza e sulla trasparenza.
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, come ha illustrato il dibattito odierno, la relazione dell’onorevole Seppänen gode di un ampio sostegno. Desidero ringraziare nuovamente il relatore per l’ottimo documento, sostenuto da una forte maggioranza in seno alla commissione per l’industria, la ricerca e l’energia.
Riguardo al divieto di esportare rifiuti radioattivi e combustibili esauriti al di fuori della Comunità, vorrei ricordare che l’articolo 13, paragrafo 1, lettera c), della direttiva proposta, proibisce altresì le esportazioni di rifiuti radioattivi e combustibili esauriti verso paesi che non dispongono delle risorse amministrative e tecniche necessarie a garantire una gestione sicura dei rifiuti radioattivi o del combustibile esaurito. La Commissione stabilirà criteri rigorosi per valutare il rispetto delle disposizioni applicabili alle esportazioni.
Spetta agli Stati membri decidere, caso per caso, se autorizzare o meno una spedizione in un paese terzo, dopo avere ricevuto orientamenti precisi da parte della Commissione. Questa è la risposta alla domanda emersa nel corso del dibattito.
Sono fermamente convinto che occorra quanta più trasparenza possibile in materia di questioni energetiche, e questo vale anche per il nucleare.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, alle 12.30.
18. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale