16. Procedura di informazione reciproca nei settori dell’asilo e dell’immigrazione - Integrazione degli immigrati nell’Unione europea - La politica di immigrazione dell’Unione europea (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta,
– la relazione presentata dall’on. Patrick Gaubert, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sulla proposta di decisione del Consiglio che introduce una procedura di informazione reciproca sulle misure degli Stati membri nei settori dell’asilo e dell’immigrazione
– la relazione presentata dall’on. Stavros Lambrinidis, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sulle strategie e i mezzi per l’integrazione degli immigrati nell’Unione europea [2006/2056(INI)] (A6-0190/2006),
– l’interrogazione orale degli onn. Martin Schulz e Martine Roure, a nome del gruppo PSE, alla Commissione, sulla politica di immigrazione dell’Unione europea (O-0061/2006 – B6-0311/2006),
– l’interrogazione orale dell’on. Ewa Klamt, a nome del gruppo PPE-DE, alla Commissione, sulla politica dell’Unione europea in materia di immigrazione
– l’interrogazione orale presentata dall’on. Jean Lambert, a nome del gruppo Verts/ALE, alla Commissione, sulla politica dell’Unione europea in materia di immigrazione (O-0070/2006 – B6-0318/2006),
– l’interrogazione orale dell’on. Jeanine Hennis-Plasschaert, a nome del gruppo ’’ALDE, alla Commissione, sulla politica dell’Unione europea in materia di immigrazione (O-0073/2006 – B6-0319/2006) e
– l’interrogazione orale degli onn. Roberta Angelilli e Romano Maria La Russa, a nome del gruppo “’”UEN, alla Commissione, sulla politica dell’Unione europea in materia di immigrazione (O-0079/2006 – B6-0322/2006).
Patrick Gaubert (PPE-DE), relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, migliaia di immigrati perdono la vita cercando di raggiungere il continente europeo. Ceuta, Melilla, le Canarie, Lampedusa e Malta sono diventate simboli drammatici della gestione dei flussi migratori, soprattutto se provenienti dal sud del pianeta. Da lunedì circa mille uomini hanno cercato di sbarcare e sono sbarcati alle Canarie. L’Unione europea non deve allontanare il problema spingendolo fuori dai propri confini.
Da soli, i paesi africani non possono risolvere il problema della pressione migratoria. Signor Commissario, onorevoli colleghi, di recente sono stato responsabile di una delegazione di parlamentari europei alle Canarie. E’ vero che l’Unione europea propone assistenza e protezione alle frontiere, ma rimangono ancora uomini e donne accalcati sulle spiagge. La riunione sulla migrazione, che si terrà la prossima settimana a Rabat, rappresenta un primo passo molto incoraggiante. Finalmente, i rappresentanti di paesi europei e africani si riuniranno insieme attorno a un tavolo alla ricerca di soluzioni.
La politica di cosviluppo che l’Europa attuerà domani deve diventare più efficace, più intelligente e più sicura, per garantire che i fondi stanziati andranno esclusivamente a vantaggio delle persone. Se aiuteremo con efficacia i popoli africani a rimanere nei propri paesi permettendo loro di vivere decorosamente, eviteremo di contare i cadaveri sulle spiagge italiane, maltesi e spagnole.
In uno spazio privo di frontiere interne, come lo spazio Schengen, il coordinamento e la condivisione di informazioni tra le varie politiche nazionali in materia di immigrazione dei 25 Stati membri sono indispensabili. Per raggiungere questo obiettivo, il primo passo essenziale è migliorare lo scambio di informazioni tra Stati membri.
La mia relazione verte sull’introduzione di una procedura di informazione reciproca nei settori dell’asilo e dell’immigrazione. Ogni Stato membro è tenuto a comunicare agli altri Stati membri e alla Commissione le misure nazionali che intende adottare. I punti principali sviluppati nella relazione sono i seguenti. Tutti gli Stati membri dovranno fornire informazioni in merito alla situazione attuale delle rispettive legislazioni nazionali: esse costituiranno una banca dati iniziale che ci sarà utile per conoscere le diverse politiche in essere e capire quali modifiche apportare in futuro.
Il secondo punto riguarda la dimensione politica. La nuova procedura permetterà di stabilire un contatto permanente tra le amministrazioni nazionali. E’ importante spingersi oltre e aggiungere un elemento politico a quello amministrativo: sarà lo scopo di questo nuovo strumento.
L’ultimo punto che vorrei sottolineare riguarda l’accessibilità al pubblico. Il gruppo Verde/Alleanza libera europea ha presentato alcuni emendamenti tesi a mettere la rete a disposizione del pubblico. Sono sempre stato a favore di una maggiore trasparenza nelle procedure decisionali, ma non in questo caso specifico. Mi spiego: tutti i testi legislativi già adottati a livello nazionale sono normalmente resi pubblici. Tuttavia, i dibattiti politici sulle future misure e i progetti di legge in corso devono rimanere riservati, altrimenti i governi si rifiuteranno di sottoporci i loro progetti e di discuterne con noi, e noi non avremo mai queste informazioni.
Per concludere la prima parte del nostro dibattito congiunto, desidero ringraziare tutti i relatori ombra con i quali, negli ultimi mesi, ho lavorato in maniera efficace. Spero che insieme dimostreremo, nel voto di domani, la nostra volontà di lottare per una maggiore cooperazione tra Stati membri a livello europeo.
Per quanto attiene all’integrazione degli immigrati vorrei congratularmi con il collega, onorevole Lambrinidis, per il lavoro svolto e la sua volontà – e sottolineo, la sua volontà – di raggiungere un compromesso tra tutti i gruppi politici. La politica d’integrazione rappresenta un impegno reciproco per i paesi di accoglienza e i cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente. Questo impegno comporta diritti e doveri per entrambe le parti. Non si può promuovere l’immigrazione senza avere creato per gli immigrati le condizioni per un’accoglienza dignitosa in materia di lavoro, alloggio e istruzione dei bambini.
Una politica d’integrazione riuscita si basa quindi sull’ottenimento di un posto di lavoro che, a sua volta, richiede la conoscenza della lingua del paese di accoglienza. Perciò gli immigrati devono avere accesso a corsi di educazione civica e a programmi sulla parità tra uomo e donna, per meglio conoscere i valori del paese in cui sono ospitati.
Le relazioni presentate questa sera vertono sulle politiche di immigrazione e di integrazione nell’Unione europea. L’idea di tenere un dibattito congiunto è di particolare interesse, poiché è difficile dissociare le due cose. L’immigrazione e l’integrazione degli immigrati sono argomenti che raramente lasciano indifferenti. Questi temi così delicati sono oggetto di molteplici interrogativi e dibattiti che mobilitano i governi, i cittadini e i politici.
Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la gestione dei flussi migratori sarà attuata a livello europeo perché, insieme, dobbiamo costruire un’Europa più sicura, più prospera e più giusta.
Stavros Lambrinidis (PSE), relatore. – (EL) Signor Presidente, sono convinto che la pacifica integrazione degli immigrati in Europa sia, come sfida, pari al successo dell’allargamento dell’Europa. Gli oltre 40 milioni di immigrati nell’Unione di oggi rappresentano, in termini di popolazione, un ventiseiesimo Stato membro.
Tuttavia, in contrasto con le politiche tese a una pacifica integrazione dei paesi candidati, negli ultimi anni l’Unione europea ha impegnato veramente pochi funzionari e poche risorse nella grande sfida dell’integrazione degli immigrati.
Il Consiglio dell’UE ha energicamente affermato il proprio impegno a favore dell’integrazione degli immigrati a Tampere nel 1999, ribadendo la propria posizione al Vertice di Salonicco durante la Presidenza greca del 2003, e ciò gli rende onore. La congratulazioni spettano anche alla Commissione e a Franco Frattini in persona per l’eccezionale documento di lavoro sull’integrazione degli immigrati pubblicato qualche mese fa, che ha posto l’accento sui principi comuni di base di Groningen.
Tuttavia, la realtà non è ancora minimamente all’altezza delle aspettative. Purtroppo, l’Unione è rimasta paralizzata per lungo tempo dalla diffusa opinione che l’integrazione sia un problema locale e che, di conseguenza, l’Europa in quanto tale non possa dare alcun contributo.
Effettivamente, le iniziative a favore dell'integrazione hanno forti radici locali. Scuole, aziende, luoghi di culto e altre istituzioni presenti a livello locale perseguono ogni giorno il difficile compito di favorire l’avvicinamento tra i nuovi arrivati e gli abitanti del luogo. Tuttavia, l’integrazione ha implicazioni paneuropee, soprattutto quando non riesce nel proprio intento.
Così, se da una parte le autorità locali, regionali e nazionali devono elaborare precise misure di integrazione da attuare nel caso specifico, dall’altra gli Stati membri devono portare avanti efficaci strategie di integrazione con risultati che promuovano gli interessi comuni dell’Unione. E’ proprio nel monitoraggio e nell’obiettiva valutazione di tali risultati che le Istituzioni europee possono e devono diventare molto più attive e particolarmente efficaci.
La mia relazione sottolinea che l’integrazione implica diritti e doveri, tanto per gli immigrati quanto per i cittadini degli Stati membri. Tra le proposte del documento spicca, per importanza, la necessità di avviare consultazioni per porre fine all’emarginazione sociale e politica degli immigrati e incoraggiarne l’integrazione sociale e – ancora più importante – psicologica, cosicché non si sentano da subito condannati all’emarginazione.
La lingua del paese di accoglienza, il sistema di valori, le tradizioni e i meccanismi delle istituzioni pubbliche devono essere insegnati a tutti gli immigrati mentre, al tempo stesso, lo Stato deve dar loro la possibilità di esprimere liberamente la propria identità culturale e avere pari accesso all’istruzione, al lavoro, all’alloggio e così via.
La relazione sottolinea, tra le altre cose, l’importanza di adottare misure positive per integrare gli immigrati nelle strutture dell’istruzione e dell’occupazione degli Stati membri, così come nelle strutture dei partiti politici degli Stati membri. Essa sollecita gli Stati membri ad applicare direttamente, equamente e senza restrizioni proibitive le direttive esistenti in materia di razzismo e xenofobia, di ricongiungimento familiare, di parità di trattamento nell’occupazione e di status dei soggiornanti di lungo periodo.
Il documento sottolinea l’importanza di provvedere ai diritti di naturalizzazione degli immigrati soggiornanti di lungo periodo, soprattutto per i figli degli immigrati nati e cresciuti tra noi. Inoltre propone che gli Stati membri nominino un ministro dotato di responsabilità in materia di coordinamento dell’integrazione e un mediatore per l’immigrazione.
I paesi dell’UE devono accogliere più immigrati, e se sì, come e quanti? Sappiamo tutti che la questione è oggetto di un dibattito pubblico molto vivace in numerosi Stati membri. Invece, la risposta alla domanda se dovremmo garantire una pacifica integrazione degli immigrati che già vivono e lavorano tra di noi è, di per sé, ovvia.
Essi devono diventare membri a pieno titolo delle nostre società. Qualsiasi altro risultato vorrebbe dire accettare e optare per una società con cittadini di prima e di seconda classe. Questa politica minerebbe il tessuto sociale ed economico delle nostre società. In altre parole, sarebbe sbagliata e non andrebbe a vantaggio di nessuno.
Per concludere desidero ringraziare vivamente tutti i gruppi politici, i relatori ombra e i coordinatori, soprattutto lei, Patrick, merci beaucoup, perché so quanto sia stato difficile per tutti noi promuovere questa relazione. Ringrazio tutti voi della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni per gli emendamenti importanti che hanno reso questa relazione più forte e più ricca, e soprattutto lei, Jeanine.
So che non sempre è stato facile trovare il giusto compromesso, ma ci abbiamo provato e ci siamo riusciti in più occasioni. Grazie ancora.
Ewa Klamt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, essendo tra le regioni più sicure al mondo, caratterizzata da una delle più forti economie, l’Unione europea è sotto pressione per il gran numero di persone che vi vogliono migrare, e gestire questo flusso sarà uno dei compiti della futura Europa. La nostra politica europea in materia di migrazione deve puntare a gestire la migrazione legale e prevenire quella clandestina, perché è possibile avere spazio per chi immigra legalmente solo tenendo a bada i clandestini.
In un’Unione europea dotata di frontiere interne completamente aperte, la migrazione può e potrebbe essere regolamentata solo tenendo conto degli altri Stati membri in una logica di responsabilità congiunta, un punto che l’onorevole Gaubert ha evidenziato molto chiaramente nella sua relazione.
La relazione dell’onorevole Lambrinidis dimostra che il sostegno agli sforzi tesi all’integrazione degli immigrati è un’altra componente importante di una politica in materia di migrazione ragionevole e coerente, ma dal documento della Commissione – che devo dire è eccellente – sembra che l’Unione europea riesca unicamente a stabilire le condizioni quadro. Indubbiamente una mancata integrazione non solo è fonte di frustrazione per gli immigrati, ma diminuisce considerevolmente le possibilità che la società ospitante accetti l’immigrazione.
Mentre vale sicuramente la pena impegnarsi per una politica di immigrazione ben strutturata, le regioni europee di confine hanno bisogno di aiuto: ne hanno bisogno ora, immediatamente. Dovremmo tutti preoccuparci per quanto avviene a Malta, alle Isole Canarie, a Lampedusa, a Ceuta e Melilla; tutti gli Stati membri, la Commissione e questa Assemblea devono aiutare i paesi interessati da subito, senza indugio e senza burocrazia.
E’ possibile trovare soluzioni a medio termine solo mediante uno sforzo congiunto in vari ambiti politici, ad esempio nella politica interna ed esterna e nella cooperazione allo sviluppo. La cooperazione e il sostegno a favore dei paesi di transito e dei paesi d’origine rientrano nella soluzione. Noi, che ci occupiamo di elaborare una politica interna, siamo pronti a dare il nostro contributo in tal senso.
Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Signor Presidente, parlo a nome del gruppo socialista al Parlamento europeo per esporre l’interrogazione presentata a nome del gruppo dagli onorevoli Schulz e Roure. L’interrogazione è complementare alle relazioni dell’onorevole Gaubert e dell’onorevole Lambrinidis sui temi dell’immigrazione. Vorrei dire che queste due relazioni rappresentano un contributo importante per risolvere il problema dell’immigrazione.
La preoccupazione fondamentale è che deve esistere una politica globale in materia di immigrazione. Sinora abbiamo avuto solo frammenti di politiche. Speriamo che, prendendo spunto dalle risoluzioni dell’ultimo Vertice di Bruxelles, si possa elaborare una politica globale.
Una politica di immigrazione globale, però, deve iniziare dai paesi d’origine. In altre parole, cosa stiamo facendo nell’Unione europea per impedire che l’immigrazione sia l’unica fonte di reddito per gli abitanti di molti di questi paesi? Ecco il primo punto che dobbiamo tenere in considerazione.
In secondo luogo, visto che non sarà possibile risolvere i problemi dei paesi in via di sviluppo a breve termine, quali misure stiamo adottando per proteggere le nostre frontiere esterne, includendo, logicamente, una politica di immigrazione legale – già prevista nel programma dell’Aia dal dicembre 2005 – dando così la possibilità a quei cittadini che vogliono venire a lavorare nell’Unione, se vi sono posti disponibili, di farlo in maniera legale?
In terzo luogo, com’è appena stato detto per le precedenti relazioni, dobbiamo ricordarci che al momento, non esistendo una politica europea in materia di immigrazione, ogni paese deve farsi carico dei costi e delle attività di questa politica. In questo momento ci sono alcuni paesi di confine, non solo nel sud dell’Europa ma anche nel centro, che devono far fronte a un onere eccessivo per prendersi cura di questi immigrati clandestini a livello umanitario.
Finora le risorse che abbiamo avuto a disposizione erano minime. Per quest’anno sembra che disponiamo solo di 5 700 000 euro. Speriamo che, con l’approvazione delle prospettive finanziarie, dal 1° gennaio 2007 disporremo di maggiori risorse. Ricordiamoci inoltre che questi immigrati non sono extraterrestri, non sono robot né macchine, bensì esseri umani che devono vivere in società, con necessità familiari e affettive che devono essere soddisfatte.
Soprattutto, una cosa che l’Europa non può tollerare è avere due classi di cittadini: quelli che – per usare un’espressione impiegata da un settore dell’estrema destra francese – sono de souche, vale a dire di ceppo europeo, e quelli che non lo sono, perché, come abbiamo visto di recente, ciò è fonte di una serie di problemi sociali molto difficili da risolvere.
Dobbiamo integrare gli immigrati nelle nostre società. Non possiamo escluderli dal cuore della nostra società. Un immigrato, o i figli e i nipoti degli immigrati, hanno diritto di vivere come persone, in condizioni di parità con tutti gli altri cittadini dell’Unione.
Bisogna anche considerare che il flusso di immigrazione non deve necessariamente essere del tutto irreversibile. Nel cuore di ogni immigrato alberga il desiderio di tornare al proprio paese d’origine. Cosa stiamo facendo per garantire che gli immigrati abbiano la possibilità di mantenere un legame con il proprio paese, per potervi tornare senza dover ricorrere alle terribili procedure dell’immigrazione clandestina, cosicché la permanenza all’estero sia considerata nient’altro che una fase transitoria, di modo che, al loro ritorno, possano arricchire la società del paese d’origine?
E’ quanto succedeva in alcuni paesi dell’Unione europea come la Spagna, l’Italia, il Portogallo e la Grecia in un periodo in cui il tempo trascorso all’estero era visto semplicemente come una fase per poi tornare al paese d’origine e rafforzare la sua economia.
Spero che il Commissario Frattini ci aiuti in questo senso – ci aspetta un grande compito – e che le Istituzioni dell’Unione, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento possano sviluppare la politica di immigrazione che è tanto fondamentale in questo momento.
Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE). – (NL) Signor Presidente, tutte le belle parole del Consiglio, iscritte nel programma di Tampere e ribadite nel programma dell’Aia, hanno dato sinora pochissimi frutti. Di tanto in tanto il Consiglio fa qualche piccolo passo avanti, seppure con riluttanza e seguendo una logica del minimo comune denominatore. Il Consiglio, con mio grande dispiacere, brilla per assenza anche ora, in questo minidibattito.
E’ chiaro che i programmi nazionali compromettono seriamente l’agenda europea: è proprio in quei programmi che gli Stati membri sono fortemente impegnati. La necessità di avere una proposta della Commissione per indurre gli Stati membri a cooperare con maggiore efficacia nello scambio di informazioni esemplifica la passività degli Stati membri nell’istituire una politica comune in materia di asilo e di immigrazione. Come l’onorevole Gaubert ha appena affermato, lo scambio di informazioni è di fondamentale importanza ed è, molto semplicemente, una necessità.
Il tema dell’immigrazione è una delle principali sfide per il 2006 e lo sarà anche nel prossimo futuro, ma il consolidamento delle frontiere esterne non sarà sufficiente e non deve, in effetti, essere il nostro intento. Il Commissario Frattini lo ha già ricordato e ha presentato un pacchetto completo di misure in materia. Il Consiglio e la Commissione dovranno quindi affrettarsi a realizzare alla lettera tutte le ambiziose intenzioni.
La politica comune di asilo, la procedura uniforme di asilo e lo status uniforme di asilo, grazie ai quali chi ha diritto a protezione sarà in grado di riceverla, devono essere completati entro e non oltre il 2010. Occorre quindi mettere urgentemente a punto una politica comune europea di rimpatrio – e a tale proposito desidero sottolineare che tutti, immigrati legali e clandestini, hanno diritto a un trattamento dignitoso e rispettoso – che deve prevedere campagne di informazione e di sensibilizzazione nei paesi d’origine e di transito, concludere con essi accordi di associazione e di cooperazione, creare un chiaro nesso tra politica di immigrazione e adozione di una politica di sviluppo e, soprattutto, la rapida introduzione di una green card europea.
Poiché le mie domande sono scritte nero su bianco e il tempo è limitato non le ripeterò in questa sede, ma mi aspetto una risposta chiara, sicuramente in merito alla clausola passerella. Dopo tutto, coraggio politico significa avere a disposizione i giusti strumenti per dare visibilità alle proprie convinzioni.
Jean Lambert (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, vorrei intervenire brevemente sul tema dell’integrazione. Sappiamo da alcune ricerche e progetti realizzati nel quadro del programma EQUAL – non ultimo il capitolo sui richiedenti asilo – che il messaggio che appare evidente è che per i nuovi arrivati l’integrazione inizia dal primo giorno, mentre per le comunità ospitanti inizia dal giorno precedente. Abbiamo una lunga serie di buone pratiche in materia a cui dovremmo ispirarci, di modo che questo processo possa darci i maggiori risultati possibili. Ciò significa anche rendersi conto che, in alcune parti del mondo, la migrazione è parte integrante della politica di sviluppo.
Credo siamo tutti d’accordo sul fatto che chi vuole emigrare debba farlo per libera scelta. Tuttavia, sappiamo che molti clandestini in realtà sono persone rimaste dopo la scadenza del visto, e non entrate illegalmente. Sappiamo inoltre che molte persone si trovano in una posizione non totalmente conforme alla legge, perché le norme sono poco chiare o di difficile accesso.
Sino a quando non si inizierà a valutare l’aspetto dello sviluppo sarà come schiacciare un palloncino: facendo pressione da una parte, cambia forma dall’altra. Dobbiamo quindi analizzare la questione molto seriamente, e gli Stati membri devono smettere di lamentarsi e iniziare a cooperare su un sistema comune di migrazione.
Dobbiamo anche stare attenti alla mercificazione delle persone. Quando guardo le politiche di alcuni Stati membri che pensano di utilizzare manodopera non qualificata proveniente dai nuovi Stati membri, e non cittadini di paesi terzi, non so che messaggio venga lanciato. In realtà sappiamo che per le persone di alcuni dei paesi più poveri l’accesso al lavoro nell’Unione europea è di fondamentale importanza per lo sviluppo del loro paese, e le rimesse degli emigrati possono essere otto volte superiori agli aiuti da noi concessi. Sappiamo che le persone sono attirate dai paesi ricchi quando le disuguaglianze sono più evidenti.
Sono interessata al modo in cui la Commissione tratterà l’aspetto dello sviluppo e le politiche commerciali, affinché le nostre politiche procedano in maniera coerente invece di essere in continuo contrasto.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, onorevoli deputati, ho raccolto molti suggerimenti dalle relazioni e dalle questioni proposte e per questo ringrazio vivamente i due relatori e tutti gli autori degli altri documenti discussi oggi.
Nel mio intervento cercherò di definire le linee guida dell’azione che la Commissione sta sviluppando anche perché tutti gli onorevoli parlamentari sanno che solamente sei o sette mesi fa vi erano molti dubbi all’interno dei Consigli europei sulla dimensione realmente europea e non nazionale della grande sfida della gestione globale dei flussi migratori.
Il dato politico più importante, che molte volte viene ricordato ma qualche volta viene dimenticato, è che, da novembre-dicembre dello scorso anno, finalmente il Consiglio europeo ha espresso una voce comune, cioè ha riconosciuto, sviluppando quella che fu l’intuizione di Salonicco 2003, che l’immigrazione richiede un approccio globale e questo approccio globale non può che essere europeo. E’ un passo politico di indubbio peso e oggi noi siamo chiamati ad attuare il piano d’azione.
Questo piano d’azione si traduce in una serie di iniziative concrete che voi conoscete perfettamente: sono le proposte che la Commissione ha presentato negli scorsi mesi e che sono in parte oggetto delle relazioni e delle questioni da voi proposte. Ad esempio, uno dei principi chiave per l’azione europea è il principio di solidarietà tra gli Stati membri dell’Unione. Tale principio implica molte cose: in primo luogo significa che gli Stati membri si impegnano a sostenersi reciprocamente qualora uno di essi sia sottoposto ad una pressione migratoria particolare.
Il secondo aspetto del principio di solidarietà è proprio quello a cui è dedicata la relazione dell’onorevole Gaubert che ho molto apprezzato. E’ una relazione che nasce da una proposta che io formulai nel 2005 quando mi resi conto della necessità di rendere più stabile quella reciproca informazione preventiva di ciascuno Stato membro che legittimamente volesse adottare iniziative nel campo dell’immigrazione, quando queste iniziative abbiano un impatto sugli altri Stati membri. Rendere stabile un meccanismo di consultazione è un altro modo per applicare il principio di solidarietà. Non dobbiamo dimenticare che, quello che avviene all’interno dei confini di ciascuno Stato, ha delle ripercussioni sugli altri Stati, questo è il meccanismo di reciproca consultazione ed informazione.
Accetto con piacere tutte le proposte della relazione dell’onorevole Gaubert, ivi comprese delle proposte aggiuntive come quella di un dialogo politico permanente a livello ministeriale e anche quella di avere un rapporto annuale – che la Commissione è ben lieta di presentare ogni anno a questo Parlamento – sul funzionamento di questo meccanismo. E’ stato detto da chi mi ha preceduto: “Perché questo meccanismo funzioni occorre fiducia reciproca tra gli Stati membri”. Se non c’è fiducia reciproca noi potremo scrivere le regole, ma le regole resteranno solo sulla carta”. Occorre quindi esercitare una persuasione politica nei confronti degli Stati membri, spiegando loro che, se non comunicano, se non informano gli altri Stati in un reale spirito di condivisione europea, una volta potrà, come si dice in italiano, “andar bene ad uno ma un’altra volta andrà male”. Quindi conviene a tutti essere sempre totalmente trasparenti e questo è lo spirito della relazione dell’onorevole Gaubert che condivido.
Quali sono le grandi linee comuni della politica europea dell’immigrazione? In primo luogo, una sfida che deve essere globale ed europea. In secondo luogo – ed è l’aspetto più innovativo –, un ruolo dell’Unione europea sulla scena internazionale come attore unico, ad esempio e soprattutto, nelle aree geografiche vicine, mi riferisco anzitutto all’Africa, all’area del mediterraneo, ai nostri vicini dell’est: queste sono le tre grandi aree geografiche dove l’Europa deve concretamente esercitare un’azione politica come attore unico per avere una voce sola.
All’interno di questa sfida politica quali sono le cose da fare? Innanzitutto, affrontare a livello europeo le cause profonde che portano all’immigrazione. L’onorevole Lambert ha appena affermato molto correttamente che: “Dobbiamo trasformare un’immigrazione frutto della disperazione in un’immigrazione frutto delle scelte delle persone che, liberamente, decidono di andare a vivere e a lavorare nell’Unione europea, ma che non sono costrette a fuggire perché nei loro paesi c’è la povertà, perché non c’è l’acqua potabile, o perché l’ambiente è distrutto. Allora cosa fare? Orientare le politiche europee di aiuto allo sviluppo verso delle strategie che affrontino la carenza di sviluppo locale. Ad esempio organizzare interventi mirati nei paesi di origine dei flussi migratori, per promuovere gli investimenti e la ristrutturazione del sistema agricolo o del tessuto ambientale, molto spesso devastato e degradato.
Stiamo pensando a dei progetti da finanziare insieme alla Banca mondiale per usare le rimesse degli immigrati regolari e investirle nella loro patria – sempre se lo vorranno ovviamente. Ma qual è l’ostacolo? Molto spesso gli immigrati non hanno accesso al credito bancario e allora a tal proposito, vogliamo promuovere dei servizi di credito più disponibili ad investire, ad esempio, in una piccola o media impresa in un paese di origine. Stiamo sviluppando dei progetti di cosiddetto microcredito proprio per favorire la ripresa di tanti punti di investimento nei paesi di origine.
Questo lavoro avrà uno sviluppo politico globale, rappresentato dal contributo dell’Europa, che io mi auguro parlerà davvero con una voce sola, alla sessione di settembre delle Nazioni Unite che comunemente viene definita High Level Dialogue on Migration and Development. Tale sessione avrà luogo a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è una sessione in cui si metterà a fuoco il rapporto tra immigrazione e sviluppo dei paesi di origine e l’Europa presenterà – mediante una proposta che io presenterò tra qualche giorno prima della pausa estiva alla Commissione – un documento strategico, contributo della Commissione europea a questa riflessione che è, credo, il primo tema al quale ci dobbiamo rivolgere.
Il secondo tema è la lotta al traffico di esseri umani, come accennato dall’onorevole Klamt. Voi saprete che ormai il traffico di esseri umani è una delle maggiori fonti di reddito per una criminalità organizzata senza scrupoli. Abbiamo ormai delle informazioni molto chiare sui flussi di traffico, sull’origine dei trafficanti e addirittura sulla tariffa che viene chiesta a ciascuno dei disperati che vengono trasportati senza neanche garanzia di arrivare vivi. In media i trafficanti chiedono a queste persone disperate una cifra enorme, tra i millecinquecento e i duemilacinquecento dollari ciascuno senza nemmeno la garanzia, di arrivare vivi dall’altra parte del Mediterraneo.
E’ chiaro che la lotta al traffico di esseri umani deve andare di pari passo con la protezione delle vittime del traffico e quindi con il tema delle vittime vulnerabili, delle donne immigrate, dei bambini vittime del traffico di immigrati clandestini.
Credo che a tale proposito si debba considerare, perché bisogna farlo, anche una politica di rimpatrio come azione europea nei confronti di coloro che non possono restare in quanto sprovvisti di titolo sul territorio europeo. Ritengo che si debbano organizzare delle azioni europee di rimpatrio fissando con le organizzazioni delle Nazioni Unite norme di rispetto individuale, non solo dei diritti, ma anche della dignità di queste persone che debbono sì essere rimpatriate, ma debbono essere rimpatriate nell’assoluto rispetto di quegli standard stabiliti dalle convenzioni internazionali.
In questo ambito stiamo lavorando agli accordi di riammissione. In questo momento abbiamo delle sfide molto ambiziose, quali quella di concludere al più presto con il Marocco e poi con l’Algeria degli accordi di riammissione ancora una volta europei, e non più bilaterali tra Stato e Stato per aumentare questa dimensione politica dell’Europa.
Il terzo tema è l’immigrazione legale che io vedo come un’opportunità, e non certo come un pericolo. E’ evidente che nell’ambito dell’immigrazione legale noi dobbiamo rispettare le regole nazionali. Basti ricordare ad esempio, che persino nel trattato costituzionale che firmammo a Roma, avevamo chiarito che il numero degli immigrati che possono entrare in ogni paese è determinato a livello nazionale, ma, detto questo, a mio avviso sono necessarie delle regole comuni sull’ammissione degli immigrati legali e condivido pienamente l’opinione di chi ha detto: “Non chiediamo e non reclutiamo soltanto immigrati lavoratori altamente specializzati perché così rischiamo con il brain drain di impoverire i paesi di origine”. Il nostro intento è piuttosto quello di favorire la circolazione perché è chiaro, come qualcuno ha detto, che molti immigrati desiderano tornare nel loro paese di origine, nella loro patria e noi dobbiamo aiutarli in questo.
Ma poi in Europa occorrono lavoratori stagionali, lavoratori nell’agricoltura, lavoratori in tanti settori che non sono altamente specializzati ma che servono e quindi possiamo limitarci solo agli ingegneri, ai medici o ai ricercatori, perché in questo modo si causerebbe un impoverimento dei paesi di origine.
Il quarto tema è l’integrazione, l’onorevole Lambrinidis sa quanto io apprezzi il suo lavoro, e in modo particolare questa relazione perché finora, l’integrazione non è stata considerata per quello che effettivamente è: un elemento inscindibile dalla politica migratoria. Mi permetto di dire: “Sarebbe irresponsabile accogliere immigrati senza integrarli perché si finirebbe con l’aumentare la loro frustrazione, il loro senso di isolamento”.
E proprio a tal proposito, le nostre proposte prevedono che ci si concentri sui settori chiave, sui diritti civili, sugli alloggi, sull’educazione, sul lavoro ovviamente regolare e non clandestino. Abbiamo proposto, e lo stiamo mettendo in funzione, un forum europeo permanente per l’integrazione e in tale forum avranno una parola importante i governi locali. Per quanto tempo abbiamo dimenticato i sindaci, i governatori delle regioni, le associazioni della società civile? E se parliamo di integrazione non possiamo pensare solo alle capitali degli Stati membri. Il forum europeo per l’integrazione si occuperà proprio di questo aspetto e io spero nel sostegno di questo Parlamento per approvare il Fondo europeo per l’integrazione. Non è un fondo che sostituisce le politiche nazionali, ma le ad essere più efficienti.
Il quinto tema è l’immigrazione illegale. Sto per promuovere un’iniziativa che la Commissione dovrebbe approvare il 19 luglio su alcune linee guida per l’immigrazione illegale. In primo luogo ritengo che nei paesi di origine si debba promuovere una vera e propria strategia di educazione e di comunicazione. Gli aspiranti immigrati non sanno quali siano le regole quando arrivano in Europa, non conoscono la lingua, non conoscono le opportunità di lavoro, non conoscono le leggi dei paesi europei che, invece dovranno rispettare e allora perché non pensare, ed è una delle proposte, a dei corsi di formazione professionale, a dei corsi linguistici nei paesi di origine che l’Europa può incoraggiare e anche cofinanziare per preparare un’immigrazione legale e necessaria. E’ evidente che, se vogliamo sconfiggere l’immigrazione illegale, dobbiamo sconfiggere il lavoro nero, perché il lavoro nero è sfruttamento ed è anche un fattore attrattivo per nuova immigrazione illegale.
Sesto tema, le misure urgenti di prevenzione e sostegno concreto agli Stati membri in maggiore difficoltà. La missione alle Isole Canarie è decisa, tredici Stati membri hanno accettato di partecipare, metteranno a disposizione mezzi navali e aerei per il pattugliamento della costa atlantica davanti alle Isole Canarie. Partirà poi una seconda missione europea per aiutare Malta e per il pattugliamento mediterraneo. Credo che si tratti di azioni che, per la prima volta e lo sottolineo ancora, sono sotto il coordinamento dell’Agenzia Frontex, cioè dell’Europa. Non sono azioni di singoli Stati membri che si uniscono ma c’è un’Agenzia europea che coordina i lavori.
Si tratta di misure urgenti di pattugliamento e non solo, sono anche misure di salvataggio delle vite umane in mare perché l’aspetto umanitario di questa immane tragedia, è che noi ogni settimana nel Mediterraneo, nel mare del mio paese, vediamo gente morire in mare e molto spesso non riusciamo nemmeno a recuperarne i corpi. Quindi sono azioni anche queste assolutamente indispensabili.
Infine il settimo tema, l’aiuto ai paesi di origine e di transito degli immigrati. Dobbiamo dare aiuti concreti, dobbiamo lavorare con loro e mi permetto di dire in uno spirito che sostituisca il solito tono delle relazioni internazionali, con un vero e proprio partenariato. Sto per partecipare alla Conferenza di Rabat che avrà luogo lunedì e martedì della prossima settimana, proprio in Marocco. In occasione di questa conferenza, per la prima volta i paesi africani e l’Europa si incontreranno per elaborare un piano d’azione comune.
Io credo che in seguito occorrerà creare uno strumento per il monitoraggio costante delle iniziative che adotteremo da qui a qualche giorno e che poi sarà necessario un secondo incontro, questa volta con l’egida dell’Unione africana. Ritengo che il futuro sia l’Unione africana e l’Unione europea mediante un programma strategico. Penso che questo possa davvero fare la differenza.
PRESIDENZA DELL’ON. McMILLAN-SCOTT Vicepresidente
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. – (EL) Di recente abbiamo tutti assistito al fallimento della politica di integrazione degli immigrati applicata da numerose società europee. Siamo sopravvissuti alle esplosive conseguenze del tracollo del tessuto sociale. Occorre quindi adottare misure a livello regionale, nazionale ed europeo per colmare il divario tra immigrati e società ospitanti.
La commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha deciso di invitare gli Stati membri a introdurre uno status giuridico sicuro e una serie di diritti garantiti a sostegno di questo sviluppo:
– mediante la firma e la ratifica della Convenzione ONU del 1990 che riconosce i diritti di tutti gli immigrati, a prescindere dal loro status giuridico;
– ponendo fine al disagio sociale e adottando un pacchetto di chiare norme giuridiche per tutti i lavoratori migranti;
– adottando misure per promuovere l’istruzione e l’informazione degli immigrati sui loro diritti sociali e diritti all’occupazione;
– garantendo ai singoli individui permessi di lavoro e di residenza e potenziando le informazioni e la partecipazione delle società ospitanti nel processo di integrazione.
Sono lieto che la relazione dell’amico, onorevole Lambrinidis, adotti molte delle idee proposte dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali.
Barbara Kudrycka, a nome del gruppo PPE-DE. – (PL) Signor Presidente, desidero innanzi tutto congratularmi con i relatori, onorevole Gaubert e onorevole Lambrinidis, per essersi adoperati per porre le basi di una politica comune e moderna dell’UE in materia di immigrazione. Queste azioni congiunte non devono solo aiutare a risolvere i problemi legati alle ultime ondate di immigrazione, ma devono anche favorire l’integrazione dei figli degli immigrati nati in Europa.
Passare dalle parole ai fatti richiede non solo una buona base giuridica e il reciproco scambio di informazioni, ma soprattutto finanziamenti. E’ quindi positivo che, oltre ai fondi per i rifugiati e ai fondi per difendere le nostre frontiere esterne, si sia costituito un fondo per il rimpatrio e l’integrazione degli immigrati. Come relatrice su questi fondi vorrei sottolineare che siamo riusciti a fugare tutti i dubbi sulla base giuridica del fondo di integrazione, e che quindi esiste una decisione per costituire questo fondo che contribuirebbe a istituirlo all’unanimità.
E’ da considerare un successo per il Parlamento. Vi è solo una minima opposizione da parte di un gruppetto di paesi che, bisogna dirlo, hanno notevoli problemi con l’integrazione degli immigrati e la cui posizione, quindi, lascia ancora più perplessi. E’ positivo, quindi, che l’onorevole Lambrinidis abbia elaborato una risoluzione sull’integrazione degli immigrati. Tuttavia, anche questa proposta di risoluzione ha suscitato discussioni, soprattutto sui diritti politici degli immigrati. Concedere diritti politici, e quindi il diritto di voto alle elezioni locali, è una decisione che, conformemente al principio di sussidiarietà, rientra nella sfera di competenza degli Stati membri, nella maggior parte dei quali questo diritto è subordinato al possesso della nazionalità del paese. Come Parlamento abbiamo il diritto di avanzare raccomandazioni politiche, ma ricordiamoci che non possiamo obbligare gli Stati membri a integrare queste disposizioni nelle rispettive legislazioni nazionali.
Un’altra cosa importante è che non si può permettere che lo status giuridico dei cittadini dei nuovi Stati membri in materia di accesso ai mercati del lavoro, ai servizi, all’istruzione e agli alloggi sul territorio dei 15 vecchi Stati membri sia peggiore rispetto alla situazione degli immigrati legali provenienti da paesi terzi. Per favore, ricordiamoci di chi già si è integrato nell’Unione europea nel maggio 2004.
Claude Moraes, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, il nostro paese è fuori dai mondiali di calcio, quindi possiamo stare qui tutto il tempo che vogliamo!
Mi congratulo con il Commissario per avere cercato di mettere in atto la comunicazione della Commissione del settembre 2005 e di dotarci di vere e proprie politiche con cui possiamo compiere progressi.
Ovviamente anche il Consiglio deve dimostrare di essere un partner attivo, e speriamo che la Presidenza finlandese riprenda il dibattito, dimostratosi molto progressista, al Consiglio di Tampere. Spero vedremo chiari segnali in tal senso.
La relazione Lambrinidis è un’aggiunta positiva e innovativa al nuovo dibattito sull’integrazione in Parlamento. E’ positiva per una serie di motivi. Il relatore non si limita ad analizzare tutte le idee sull’integrazione che nei diversi partiti sono di maggiore tendenza, bensì cerca di vedere cosa funziona. Si tratta per noi di un argomento troppo serio per non valutare i modelli che realmente funzionano. Dice che dobbiamo condividere le migliori prassi, cosa che al momento non stiamo facendo. Parla dell’attuazione delle direttive che faranno funzionare l’integrazione, ad esempio le direttive sull’uguaglianza razziale. Fa riferimento ai soldi, alle modestissime somme da noi destinate all’integrazione, considerando i grandissimi risultati, i grandissimi vantaggi sociali ed economici che otterremmo puntando sul tipo di progetti di cui ha parlato il Commissario, che si tratti di progetti linguistici o di altri progetti di integrazione.
Tutte queste cose sono importanti ma, in ultima analisi, dobbiamo smettere di pensare che l’integrazione non sia utile per l’Unione europea. L’integrazione è invece di grande utilità per l’Unione europea: non solo la condivisione delle migliori prassi, con l'analisi dei migliori modelli di integrazione, ma anche la volontà politica dell’Assemblea di fornire sostegno locale a chi crede nell’integrazione quale vantaggio per la società, favoriscono l’economia e, in definitiva, creano armonia nell’UE.
L’onorevole Lambrinidis ha elaborato una relazione che ci porta un passo avanti. Speriamo che l’Assemblea si faccia promotrice di altre iniziative, che la Commissione continui a essere forte e che il Consiglio si unisca a noi in questa lotta.
Ona Juknevičienė, a nome del gruppo ALDE. – (LT) Desidero innanzi tutto congratularmi con chi ha elaborato le relazioni per l’ottimo lavoro svolto. Sono felice che molte idee contenute in questi documenti siano state approvate dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali quando si è espressa sul parere da me redatto sulle questioni inerenti alla migrazione e allo sviluppo.
La Comunità concede l’accesso a un sempre maggior numero di emigrati provenienti da quasi tutti i paesi in via di sviluppo dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina e, ad oggi, non si prevede una riduzione della portata del fenomeno. Non disponendo di una strategia di sviluppo comunitaria per il mercato del lavoro che includa la migrazione dai paesi in via di sviluppo, questa relazione riuscirà in parte a colmare il vuoto. Se la Comunità è sprovvista di una politica comune per regolamentare i flussi migratori e le disposizioni giuridiche delle singole nazioni sono inadeguate, si apre la porta alla migrazione clandestina, allo sfruttamento , alla tratta di esseri umani e ad altri crimini. Anche in Lituania sono stati registrati casi simili. Le persone fuggono dalla Lituania, mentre i datori di lavoro cercano immigrati provenienti da paesi terzi.
La relazione afferma che l’immigrazione proveniente dai paesi in via di sviluppo aiuterà a risolvere i problemi del mercato del lavoro nella Comunità, e aggiunge che gli emigrati contribuiranno a sviluppare i propri paesi con le loro rimesse. In parte è vero, ma credo sia una visione piuttosto riduttiva e che il problema del lavoro continuerà a esistere sino a quando limiteremo la libera circolazione dei lavoratori nella stessa Comunità e non risolveremo il problema nel suo complesso, non solo in maniera frammentaria. Come ha detto il Vicepresidente, se vogliamo favorire lo sviluppo dei paesi poveri i fondi stanziati dalla Comunità non devono essere erogati per generi alimentari o per il finanziamento del bilancio, bensì per la creazione, innanzi tutto, di piccole imprese e posti di lavoro. In questo modo le persone avranno un lavoro e, loro stesse, si occuperanno dello sviluppo del proprio paese.
Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, (parla senza microfono) la Conferenza ministeriale UE-Africa sulla migrazione e lo sviluppo, promossa da Marocco, Francia e Spagna a seguito dei tragici eventi di Ceuta e Melilla. Le tragedie si susseguono. Secondo alcune fonti, tremila persone sarebbero morte negli ultimi mesi nel tentativo di raggiungere le Isole Canarie. I dibattiti, tuttavia, si concentrano non sul dovere di proteggere le persone ma, per l’ennesima volta, sul controllo, sulla chiusura, e persino sulla militarizzazione delle frontiere. Ciononostante, come attestano tutte le relazioni, la maggioranza degli spostamenti delle popolazioni è diretta verso i paesi del sud, e non del nord, e il numero delle richieste di asilo in Europa è dimezzato negli ultimi quindici anni.
L’Unione e i suoi Stati membri hanno una crescente influenza sugli aiuti allo sviluppo. Non più tardi della scorsa settimana, un giornale senegalese intitolava “L’Europa chiude le nostre frontiere”. Questa strategia mette doppiamente in pericolo la vita delle persone, quelle per cui l’unica possibilità di sopravvivere è lasciare il proprio paese, e quelle costrette ad affrontare rischi sempre maggiori per entrare in Europa. Eppure la libertà di circolazione e, in particolare, la libertà di lasciare il proprio paese, è tutelata dalle norme internazionali.
L’assurdità di questa politica appare evidente quando sappiamo che le rimesse inviate dai lavoratori migranti ai propri paesi d’origine ammontano al doppio degli aiuti ufficiali allo sviluppo. Invece di garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti e dei richiedenti asilo, soprattutto il diritto di accedere alle procedure di asilo, il principio di non espulsione e il diritto a una vita privata e familiare, l’Europa moltiplica le strategie tese a trasferire questa responsabilità ai paesi terzi. Peggio ancora, gli Stati membri non esitano a violare i propri obblighi, ad esempio rimpatriando le persone in paesi che non ne garantiscono la sicurezza avvalendosi degli accordi di riammissione. Il progetto di creazione delle cosiddette zone di “protezione regionale” in paesi come la Bielorussia rientra proprio in questa logica.
Infine, gli Stati membri hanno un ruolo attivo nell’adottare, facendovi ricorso quotidianamente, una politica fondata sull’arresto dei migranti e dei richiedenti asilo, arrivando addirittura a finanziare centri sicuri di detenzione in paesi terzi come la Libia o la Mauritania. L’Unione europea deve con urgenza rivedere la propria politica e ascoltare le società civili subsahariana, nordafricana ed europea. Molti membri di queste società civili erano riuniti a Rabat la scorsa settimana, e hanno adottato raccomandazioni che meritano di essere prese in considerazione.
Giusto Catania, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che il problema dell’Europa non sia determinato dai flussi migratori, il problema vero non sono le persone che arrivano sul nostro territorio, bensì il grande numero di persone che non riesce ad arrivare in Europa, coloro che muoiono nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico.
Ho sentito il Commissario Frattini ribadire la necessità di pattugliare le nostre coste. Io ritengo che bisogna pattugliarle esclusivamente per evitare che la gente muoia in mare, perché i numeri relativi agli arrivi sono dei numeri irrisori: nel primo semestre del 2006 alle isole Canarie sono arrivati 9 000 immigrati, a fronte degli 8 milioni di turisti che arrivano ogni anno sulle isole. Quello determinato dai flussi migratori non mi sembra un impatto demografico molto alto, pertanto dovremmo evitare di parlare di invasione degli immigrati e dovremmo provare ad articolare una politica comune per gli ingressi degli immigrati.
L’Europa ha invece adottato una politica comune repressiva, che istituisce centri di detenzione amministrativa, una politica comune per l’espulsione di massa spesso determinata dai vertici del G5, una logica di esternalizzazione delle frontiere che, pare, sarà il tema centrale di discussione al prossimo vertice di Rabat.
Sono del parere che dovremmo cambiare radicalmente la strategia, pensando ad un’integrazione vera, partendo dalla necessità di istituire un’identità meticcia per l’Europa, e pensare anche a una cittadinanza di residenza, a un permesso di soggiorno per cercare lavoro, a un’armonizzazione del diritto d’asilo e al diritto di voto per gli immigrati. Credo che questa nuova modalità di intendere l’immigrazione possa aiutare l’Europa nel suo processo costituente.
Sebastiano (Nello) Musumeci, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, Signor Commissario, onorevoli colleghi, mi rendo conto che il problema della immigrazione clandestina nel Mediterraneo, visto da qui, da Strasburgo o da Bruxelles, dal cuore del continente europeo possa apparire a molti una questione marginale, una questione da affrontare con il linguaggio freddo e formale della burocrazia e con la complicità della politica comunitaria che a volte sa essere cinica e ipocrita.
Ma chi come me vive giorno e notte in Sicilia, cioè nella punta più avanzata dell’Europa verso il Mediterraneo, non ha difficoltà a denunciare tra le felpate mura di quest’Aula, quello che è un vero e proprio dramma umano: solo lo scorso anno, Signor Commissario, sulle coste siciliane sono arrivati oltre 20 000 immigrati clandestini, cioè il doppio di quanti ne siano sbarcati negli ultimi due anni in tutte le coste europee bagnate dal Mediterraneo. Ogni giorno centinaia di arrivi, lo stesso calvario, la stessa via crucis. I naufragi al largo e poi i cadaveri portati dalle correnti marine sulle spiagge siciliane.
E’ una tragedia che vede protagonisti e vittime giovani, donne e bambini in fuga dai loro paesi, alla ricerca di un sogno che nessuno potrà mai realizzare: dapprima il racket degli esseri umani e poi, ai pochi che riescono a sfuggire ai controlli di polizia, li attende una vita di stenti, sofferenze, privazioni e sfruttamenti e questa tragedia si consuma in territorio europeo e cosa fa in risposta l’Europa? Risponde con ritardo e in maniera debole.
Soltanto nel dicembre scorso il Consiglio europeo di Bruxelles ha proposto una serie di generiche azioni da realizzare nel 2006 e ha invitato la Commissione a coordinarne la realizzazione. Ma le risorse finanziarie sono poche – si dice –, e quelle aggiuntive non possono arrivare prima del 2007. Troppo poco signor Commissario: serve un’azione decisa e le sue dichiarazioni di stasera ci autorizzano ad alimentare ancora il diritto alla speranza. Lei è noto per essere una persona d’azione decisa e concreta, la invitiamo a darcene un’ennesima e ulteriore dimostrazione.
Johannes Blokland, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, nel dibattito sull’immigrazione l’emozione e la ragione sono talvolta in conflitto, come, di recente, è apparso evidente alla televisione olandese quando il giornalista Sorious Samura ha accompagnato alcuni immigrati clandestini dal Marocco a Ceuta, poi sul continente in Spagna e, successivamente, in Francia e a Londra. Ne è risultato un quadro sconvolgente per i telespettatori.
Per quanto le condizioni di vita fossero difficili, molto spesso risultava facile attraversare le frontiere. L’aiuto dei trafficanti di esseri umani – che dovevano essere pagati – sembrava rendesse possibile fare qualsiasi cosa e, dopo avere lasciato i centri di accoglienza, gli immigrati hanno potuto abbandonare il paese in cui erano arrivati, anche se, poi, potevano solo sperare in una vita da clandestini, tutt’altro che auspicabile. Ecco perché occorre bloccare i trafficanti di esseri umani: devono essere perseguiti a termini di legge e le loro attività devono essere punibili.
Ho due domande per il Commissario Frattini. Se da una parte siamo bombardati dalle notizie riguardanti gli immigrati che arrivano nelle isole spagnole, dall’altra vi sono poche informazioni sul modo in cui si intende contrastare l’attività dei trafficanti e degli scafisti. Ciò si contrappone al modo in cui ci occupiamo della tratta di esseri umani via terra, sulla quale sono già state emesse alcune sentenze. Cosa crede si possa fare a breve termine per iniziare a contrastare la tratta di esseri umani diretti verso l’Unione europea via mare? Inoltre è possibile, con le competenze sviluppate da Frontex, sfidare apertamente le organizzazioni che trasportano le persone, ad esempio, alle Isole Canarie e in Spagna?
Carlos Coelho (PPE-DE). – (PT) Signor Presidente, signor Commissario Frattini, onorevoli colleghi, non è la prima volta che in Assemblea insisto per l’adozione di una politica europea di immigrazione legale – per ragioni economiche ed umanitarie – e di misure che rafforzino la lotta contro l’immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani. Le due proposte che ci sono state presentate sono importanti e utili.
In primo luogo vorrei riferirmi alla relazione Lambrinidis e dire al Commissario Frattini che la proposta della Commissione è positiva e ben equilibrata, anche se temo che il relatore abbia un po’ esagerato su alcuni punti, soprattutto sui diritti politici. Gli immigrati devono essere integrati, ma non dimentichiamoci che si tratta di un cammino in entrambi i sensi: i paesi ospitanti devono fare uno sforzo per integrarli, ma anche loro devono fare la loro parte in questo cammino di integrazione. Concordo con l’onorevole Lambrinidis: è terribile che esista ancora un processo di consultazione e l’obbligo di unanimità in tutto il settore dell’immigrazione legale, e sono d’accordo con la raccomandazione sull’utilizzo della clausola di “passerella” prevista dal Trattato per conferire al Parlamento poteri codecisionali.
Desidero sottolineare l’importanza della relazione Gaubert, tesa a istituire un sistema di informazione via web in materia. Pur avvenendo a livello locale, l’attuazione delle iniziative di integrazione ha implicazioni più ampie. Le difficoltà incontrate da uno Stato membro nel definire e applicare le politiche di integrazione hanno conseguenze sugli altri Stati membri, a livello sociale ed economico. E’ quindi nell’interesse dell’Unione che gli Stati membri attuino strategie di effettiva integrazione, i cui risultati giovino all’interesse comune. L’Unione può e deve essere responsabile nel monitorare e valutare i risultati degli sforzi di integrazione, in maniera tale da contribuire a una rapida adozione delle migliori tecniche.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signor Presidente, le popolazioni di immigrati sono diventate sempre più parte integrante delle società europee. Questo è un grande vantaggio per l’Europa. Gli immigrati contribuiscono alla ricchezza economica, sociale e culturale dell’Unione europea. Lo dico dinanzi a questa Assemblea durante la Coppa del mondo di calcio, mentre si è appena conclusa la semifinale tra Francia e Portogallo. Guardiamo le squadre dei paesi dell’UE, squadre multietniche che testimoniano la diversità, la forza e l’orgoglio dell’odierna Unione europea.
Il buon esito del processo di integrazione degli immigrati promosso dall’Unione europea influenzerà significativamente la posizione dell’Europa nel mercato globale e il successo del progetto europeo. Un punto che vorrei sottolineare è che, a livello di integrazione politica, una vera e propria integrazione della popolazione di immigrati in Europa è possibile solo con una nuova identità politica e giuridica, con una Costituzione europea che garantisca a tutti i gruppi sociali in Europa, oltre alla propria identità nazionale, un’identità europea. Inoltre, lo status giuridico del fondo per l’integrazione e dei fondi speciali europei assicureranno una giusta integrazione di tutti i gruppi sociali all’interno dell’UE. Ciò richiede coraggio e lungimiranza da parte dei leader europei e dei cittadini dell’Unione.
Tatjana Ždanoka (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, desidero congratularmi con l’onorevole Lambrinidis per l’eccellente relazione. Il gruppo Verts/ALE appoggia pienamente le sue idee principali. La proposta di esortare gli Stati membri a incoraggiare la partecipazione politica degli immigrati è particolarmente importante.
Crediamo che gli immigrati residenti da lunga data debbano avere il diritto di voto alle elezioni locali e comunali. E’ deplorevole che non tutti i gruppi politici approvino pienamente queste misure senza le quali, a nostro avviso, gli immigrati rimarranno politicamente e socialmente isolati. Pertanto, la Commissione deve effettuare un’analisi giuridica delle prassi in materia attualmente in uso negli Stati membri.
Avremo tutti la possibilità di vedere come si svolgeranno le elezioni locali nella nostra città ospitante, Bruxelles. Tutti i cittadini non comunitari che vi vivono ininterrottamente da cinque anni avranno diritto di voto. Spero possa essere un esempio di buone prassi, che tutti gli Stati membri adotteranno nelle proprie leggi elettorali.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, l’immigrazione non è un flagello e il pluralismo culturale è un dato di fatto che non dobbiamo tollerare, bensì accogliere a braccia aperte, e non con le parole, ma con i fatti.
Non facendo tutto il possibile per superare le difficoltà che incontrano i nostri concittadini immigrati e ponendo ostacoli agli immigrati che cercano di entrare legalmente nel territorio dell’Unione, mettiamo un freno allo stesso progresso.
Ovviamente è importante, quando parliamo di integrazione, essere chiari su cosa intendiamo. A cosa dobbiamo puntare? Per integrazione fondamentale non si deve intendere l’integrazione e la totale assimilazione degli immigrati, né un’offerta di privilegi a sostegno e difesa di un sistema discriminatorio che può rafforzare un comportamento razzista e xenofobo.
L’obiettivo dell’integrazione presuppone un reciproco rapporto di offerta e dialogo, scambio e interazione, comprensione e rispetto reciproco dei cittadini d’Europa. Senza garantire pari accesso all’occupazione, all’istruzione pubblica e al sistema sanitario nazionale, in un ambiente senza divisioni tra immigrati e non immigrati, è impossibile per i cittadini d’Europa di qualsiasi origine godere della prosperità di un’area socialmente ed economicamente avanzata.
Al tempo stesso è nostro dovere garantire che gli immigrati, in qualità di cittadini europei, possano partecipare a tutte le attività dello Stato a ogni livello, godendo anche del diritto democratico di votare e di candidarsi alle elezioni.
Per concludere, vorrei ricordare a tutti che l’integrazione non è solo un obiettivo per gli immigrati, ma è anche un dovere di ogni singolo europeo, loro concittadino.
Derek Roland Clark (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, ogni società ha bisogno di un apporto di nuove energie, ma bisogna analizzare l’impatto dei nuovi arrivati sulla società.
Prima dello sviluppo dei servizi pubblici e delle infrastrutture che ora chiediamo molti immigrati sono stati facilmente assorbiti, mentre ora mettono a durissima prova i servizi pubblici. Nei paesi molto sviluppati l’immigrazione di massa proveniente dalle regioni sottosviluppate accentua il problema. Per alcuni operai non specializzati è difficile trovare lavoro, diventando così un onere per lo Stato sociale. Tuttavia non dobbiamo cercare di attirare persone qualificate dai paesi in via di sviluppo, in quanto sono assolutamente indispensabili nei loro paesi d’origine per migliorare l’economia.
Una volta vedevamo i boat people vietnamiti fuggire da regimi oppressivi. Ora vediamo le popolazioni dell’Africa occidentale imbarcarsi e sfidare l’Atlantico in cerca di una vita migliore. La colpa è, almeno in parte, dell’UE, perché potenti flotte di pescherecci armate di licenze concesse dai voti di questa Assemblea fanno razzia nelle loro acque, riducendo in condizioni di estrema povertà popolazioni che già vivono in ristrettezze.
La migrazione è soprattutto di natura economica, e la pressione migratoria diminuisce con il miglioramento della prosperità dei paesi in via di sviluppo. Dobbiamo aiutare quelle economie, sia perché è nostro dovere sia per ridurre la migrazione. I paesi del Terzo mondo non hanno bisogno di elemosina, bensì di esperti che li aiutino a creare infrastrutture e fonti di occupazione, ma, soprattutto, hanno bisogno di commerciare.
Se le comunità riescono a vendere i propri prodotti all’estero fanno progressi. Purtroppo, nonostante le belle parole, l’UE pone alcuni ostacoli, divorata dalla smania di proteggere i produttori europei. Le elevate barriere tariffarie dell’Unione europea stanno crudelmente escludendo il Terzo mondo dalle principali rotte commerciali.
Presidente. – Poiché il prossimo oratore è polacco, vorrei dirvi che questa mattina ho sentito che il Regno Unito, al momento, ospita 500 000 lavoratori polacchi. Stanno facendo un ottimo lavoro.
Jan Tadeusz Masiel (NI). – (PL) Signor Presidente, da molto tempo l’Europa necessita di una politica comune di immigrazione basata, come negli Stati Uniti, sul controllo e non sull’assistenza all’integrazione.
Credo che, sinora, i paesi dell’Unione europea siano stati troppo pazienti e abbiano garantito un’eccessiva assistenza all’integrazione, soprattutto all’emigrazione musulmana, ma senza risultati significativi. D’altro canto, gli immigrati provenienti da luoghi quali l’Asia hanno sfruttato questa opportunità e si sono integrati con maggiore successo.
E’ giunta l’ora di pretendere di più dagli immigrati. Devono fare il possibile per integrarsi, e devono volerlo, rendendo così più facile l’integrazione, e non semplicemente abusare dei nostri sistemi previdenziali minando ripetutamente il senso di sicurezza nei nostri paesi. Anche le necessità del paese di accoglienza devono diventare un nuovo criterio nell’immigrazione legale, come la Francia ha di recente proposto.
Agustín Díaz de Mera García Consuegra (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, signor Commissario Frattini, mi congratulo con lei, ma solo con lei. Analizziamo alcuni punti sollevati. L’Unione europea si accorge del problema e si allarma per ogni situazione critica visibile: Lampedusa, Ceuta, Melilla, Malta o le Isole Canarie. Ciononostante, non mette a punto le politiche comuni necessarie per prevenire o gestire adeguatamente i flussi migratori, né quelli legali né, tanto meno, quelli clandestini.
I paesi del sud aggiungono il dramma alla pressione e alla violazione delle frontiere dell’Unione. I morti sono talmente tanti che non è possibile quantificarli con esattezza. Ho detto mille volte che questo tema importante è caratterizzato da cinque aspetti essenziali, tra loro legati: l’immigrazione legale, l’immigrazione clandestina, l’asilo, l’integrazione e forme complementari di protezione.
Qui dobbiamo includere le cause remote e le cause prossime: l’origine e il transito, la povertà strutturale e le incitazioni irresponsabili a venire da noi, che nelle lingue di tutti i paesi poveri si traducono con la pericolosa frase: “prima o poi ci saranno documenti per tutti”. Nel frattempo, che ruolo svolgiamo in questo spettacolo di incompetenza e incapacità? Vi farò due esempi: vi dirò cosa succederà questo fine settimana.
Domani e dopodomani a Bruxelles il Consiglio dirà a livello tecnico di avere iniziato a discutere la ripartizione per paese dei tre nuovi fondi di integrazione: quello per il controllo delle frontiere, quello per il rimpatrio degli immigrati clandestini e quello per l’integrazione. Ma cosa succede? Nel frattempo la Spagna, la Grecia e i Paesi Bassi litigano per i criteri di ripartizione: pressione migratoria, chilometri di frontiere o numero di arrivi per via aerea. Discussioni inutili: non si discute di fondi veri e propri, si discute di mini-fondi. Questa mattina l’onorevole Millán Mon ha detto che, nelle prospettive finanziarie, per ogni cento euro solo cinquanta centesimi sono stanziati a favore dei temi dell’immigrazione. Questa è la vera vergogna, questa è la grande verità.
Un altro esempio negativo, signor Presidente, è che sempre dopodomani il Consiglio – di cui sono fortemente critico – risponderà al problema dell’immigrazione con un approccio globale. Questo è tutto ciò che proporrà il Consiglio: un approccio globale.
Infine, signor Frattini, è molto importante impegnarsi nei confronti dei paesi di origine e di transito, ed è molto importante che il signor Solana vada in questi paesi di origine e di transito. Frontex non è la soluzione. Frontex è un bambino appena nato. Non servirà a nulla senza i Carabinieri o la Guardia civile. Quindi non dobbiamo assolutamente essere indulgenti con noi stessi, e occorre fare tutto il possibile per affrontare questo gravissimo problema.
Louis Grech (PSE). – (MT) Due settimane fa a Malta abbiamo avuto un afflusso di circa quattrocento immigrati clandestini in tre giorni, il che equivale all’arrivo di circa ottantamila immigrati in Germania in tre giorni.
Nella stessa settimana sono stati registrati violenti incidenti tra la polizia e circa quattrocento immigrati, scappati dai centri in cui erano ospitati. Sarebbe superfluo continuare a ripetere la monotona litania di ragioni per spiegare la crisi che questa tragedia umana sta provocando nei paesi colpiti, oltre a minare la dignità degli stessi immigrati. Questi due episodi dovrebbero essere più che sufficienti per spiegare la situazione esplosiva in cui ci troviamo.
Si tratta di una problema europeo. Nessun paese è in grado di affrontare questa tragedia, per non parlare di un paese minuscolo come Malta, che si sta facendo carico di un onere molto più grande di quanto potrebbe. Ad eccezione di alcune iniziative recentemente adottate dal Commissario Frattini, l’Unione non ha veramente trattato questa questione con l’urgenza e l’impegno che merita, né ha provveduto ai fondi o all’aiuto logistico necessario. Stiamo inoltre aspettando la revisione del regolamento “Dublino II”. L’Unione ha fatto troppo poco, e con troppo ritardo, e quando si constata che l’Unione non ha fatto molti progressi nel combattere l’immigrazione clandestina si inizia a dubitare che, a livello pratico, prenderà significative misure al riguardo.
Apprezziamo il fatto che la Presidenza finlandese abbia considerato l’immigrazione una priorità. Ci auguriamo che le parole si traducano in realtà cosicché, come il Presidente Barroso ha detto proprio questa mattina, cambieremo marcia per poter finalmente passare dalle parole ai fatti.
Miguel Portas (GUE/NGL). – (PT) Onorevoli colleghi, siamo d’accordo sul fatto che non è possibile, a livello nazionale, risolvere i problemi associati ai flussi migratori. L’Europa si nega agli immigrati, che hanno bisogno di lei. L’Unione si occupa di capitali e di circolazione delle merci, ma non presta attenzione a chi la vede come il sogno di una vita dignitosa. Appoggio quindi una maggiore trasparenza e il senso generale delle proposte avanzate dall’onorevole Lambrinidis.
L’immigrazione è una realtà sociale, pura e semplice. Dice tutto su di noi. Però non facciamoci illusioni: tanto più il sud guarderà al nord, tanto meno il nord allargherà le braccia al sud. L’immigrazione non è una questione di polizia. L’unico criterio giusto su cui basare le nostre decisioni è il rispetto della dignità umana. L’Europa non può parlare di diritti umani senza metterli in pratica a casa propria. Con una mano chiudiamo il Mediterraneo al prezzo di avere morti in mare, con l’altra lasciamo milioni di persone senza documenti al prezzo di avere una società attraversata da un muro invisibile, che separa i cittadini dai non cittadini. E’ questo che dobbiamo cambiare, affinché i calciatori non costituiscano un’eccezione.
Andrzej Tomasz Zapałowski (IND/DEM). – (PL) Signor Presidente, l’attuale dibattito sull’integrazione degli immigrati nell’Unione europea è una conseguenza della politica di immigrazione sinora attuata.
Aprire le porte a un afflusso di massa di popolazioni provenienti da diverse civiltà – popolazioni che, nella stragrande maggioranza dei casi, danno per scontato che non si integreranno con le popolazioni e gli Stati che le ospitano – è una pazzia. Potrebbe portare per molti anni alla destabilizzazione della società sul continente e persino, in talune circostanze, alla tragedia. Una società multirazziale e multiculturale significa anche molteplicità di conflitti. Chiunque arrivi in uno Stato deve rendersi conto di essere ospite. Se vuole stabilirsi permanentemente, deve accettare le tradizioni e le culture dei paesi che ha scelto, pur facendo tesoro, ovviamente, della propria cultura e dei propri costumi.
Un errore della vecchia politica è il fatto che, per molti anni, ha limitato l’immigrazione dai paesi dell’Europa orientale, dove la popolazione è culturalmente simile al resto d’Europa. In Polonia siamo scoraggiati per i moltissimi giovani che abbandonano il paese, ma dopo la Seconda guerra mondiale l’Europa occidentale ha abbandonato quella parte d’Europa al regime comunista. Per decenni ci è stata negata la possibilità di un normale sviluppo economico.
James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, l’intensa immigrazione è un dato di fatto per molti Stati membri e, quando è stata gestita, ha aiutato la produzione economica, anche se sarebbe stupido negare che, in talune occasioni, è fonte di problemi sociali o di altra natura.
Colgo l’opportunità offertami dal presente dibattito per condannare senza riserve una serie di attacchi razzisti occorsi nella mia circoscrizione dell’Irlanda del Nord. Le persone civili li respingono in maniera incondizionata, e personalmente deploro quanto è successo in alcuni recenti incidenti.
Vorrei fare tre osservazioni in questo dibattito. In primo luogo, il controllo della politica di immigrazione è, credo, una questione di pura competenza nazionale, e non deve rientrare nella sfera di competenza dell’UE: in caso contrario, i governi nazionali non possono esercitare i controlli necessari alla situazione specifica. In secondo luogo, è di fondamentale importanza che gli immigrati si integrino e non diventino uno Stato nello Stato e quindi un elemento di indebolimento. Per questo, nel Regno Unito appoggio le richieste avanzate dal Cancelliere Gordon Brown che ha invocato un’apertura e procedure tese ad abbracciare la britannicità. Il terzo e ultimo punto riguarda il fatto che, con tre milioni di immigrati clandestini nell’UE, la questione deve essere affrontata in maniera seria, anche perché è associata all’odiosa pratica della tratta di esseri umani. E’ inaccettabile che alcuni paesi si impegnino a “regolarizzare” gli immigrati clandestini aprendo loro la strada alla libera circolazione in altri Stati membri.
Simon Busuttil (PPE-DE). – (MT) Signor Commissario, lei è al corrente che la scorsa settimana l’afflusso di immigrati clandestini ha aggravato la situazione a Malta in maniera allarmante. Duecentosessantasei persone sono arrivate su un’unica nave. Sinora quest’anno sono già arrivate mille persone, e siamo solo all’inizio dell’estate.
Se le cose continueranno così il numero di persone arrivate lo scorso anno, che è stato un anno record, potrebbe raddoppiare. Signor Commissario, lei è al corrente che, facendo le debite proporzioni, mille persone a Malta vogliono dire duecentomila persone in Germania, duecentomila già all’inizio dell’estate. Ecco la gravità della situazione. Signor Commissario, lei sa anche che gli immigrati non vogliono raggiungere Malta, bensì l’Europa continentale, tant’è vero che per far entrare questa nave di duecentosessantasei persone a Malta le forze armate maltesi si sono adoperate molte ore cercando di convincerli. Ciò vuol dire che sono arrivati a Malta perché sono stati salvati dalle forze armate maltesi in una missione di salvataggio, come è giusto che sia. E’ questo il significato del termine solidarietà, come lei stesso, signor Commissario, ha giustamente affermato. Questo è il significato della solidarietà a Malta, ma in realtà quale solidarietà viene mostrata nei confronti del mio paese?
La scorsa settimana c’è stata una rivolta, come hanno menzionato i colleghi, con quattrocento immigrati scappati da un centro di accoglienza che hanno organizzato una marcia di protesta verso l’ufficio del Primo Ministro, chiedendo di essere mandati in un altro paese europeo. Di fronte a questa situazione, i maltesi si chiedono: cosa fa l’Unione europea? Cosa aspetta a intervenire?
Mi rincresce dire, anche se so che lei è molto sensibile alla situazione di Malta, che sinora la Commissione si è espressa più a parole che a fatti. Molti piani e pochi risultati, e i risultati che stiamo urgentemente aspettando sono due: una limitazione immediata dell’afflusso di immigrati, e una condivisione più equa delle responsabilità tra le parti.
Stefano Zappalà (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, non sono Maltese, però, nel prendere atto che la commissione per le libertà pubbliche sta facendo un magnifico lavoro, mi rammarico che non sia presente la Presidenza finlandese, che ha cominciato oggi il suo turno di lavoro e, forse per la partita, forse per l’orario o forse per disattenzione (visto che tra i temi della Presidenza finlandese c’è l’immigrazione), non è presente. Non posso quindi che rivolgermi al Commissario Frattini, il quale è certamente l’espressione più importante di questa Unione europea che si sta interessando a questo problema.
Ho avuto il piacere e l’onore di guidare alcune visite in vari paesi. Questa sera vorrei dare al Commissario Frattini un messaggio in maniera che lo trasmetta, e spero anche che qualche funzionario del Consiglio ne prenda nota e lo riferisca alla Presidenza finlandese. Non vorrei fare un discorso di tipo programmatico o di tipo politico: “capisco tutto, mi rendo conto di tutto”.
Malta, Commissario Frattini, non è quella che si dice, perché qui giustamente i colleghi maltesi fanno i confronti con la Germania, l’Italia, la Spagna ecc., mentre lì ci sono persone detenute ingiustamente. Oggi in quest’Aula abbiamo parlato di tante cose, questa grande Unione europea valuta i diritti di tutti, anche degli attentatori, tranne quelli di migliaia di persone che sono detenute a Malta. Su queste persone ho tante di quelle lettere e SMS che potrei scrivere un romanzo.
Commissario Frattini, se questo Consiglio europeo, questa Unione europea, non vuole essere veramente ipocrita per quanto riguarda Malta, deve portare via quella gente detenuta lì, da mesi, da anni.
Malta non è nelle condizioni di poter risolvere il problema. L’Unione europea, i paesi grandi, si facciano carico di portare via quei 2-3 000 individui che stanno vendendo Malta e ne stanno facendo un paese xenofobo, che, tra l’altro, si sta pentendo di essere entrato nell’Unione europea. Evitiamo questo problema. Faccia in maniera che quei detenuti siano trasferiti da Malta ad altri paesi molto più grandi dell’Unione europea.
David Casa (PPE-DE). – (MT) Sono passati quasi tre mesi da quando il Parlamento ha approvato una risoluzione molto importante. La risoluzione elencava i problemi che Malta deve affrontare a causa dell’immigrazione clandestina. Una risoluzione che offriva soluzioni plausibili, ma che purtroppo è stata ignorata sia dalla Commissione sia dal Consiglio dei ministri.
Il problema cui ci troviamo di fronte oggi è ben più grave e urgente di quanto non fosse allora. Purtroppo, gli sforzi sinora profusi dalla Commissione sono stati minimi e non hanno sortito quasi alcun effetto, e da allora non possiamo dire di avere visto adottare misure positive. Quotidianamente assistiamo allo sbarco di immigrati clandestini. La soluzione non è costruire più centri di accoglienza, perché ridurremmo la piccola Malta a un’enorme prigione. Vogliamo che l’Europa si faccia carico delle proprie responsabilità, vogliamo che la Commissione tratti ogni paese secondo i suoi meriti, e non ho dubbi che, considerando le nostre dimensioni ridotte, il problema di Malta è il più grave di tutti e richiede con urgenza la massima attenzione.
Ci è stata promessa concretezza, ma non è successo quasi niente. Ad aprile, ad esempio, lei ci ha promesso la supervisione marittima della regione; oggi sono stato lieto di sentire da lei che la questione è stata risolta ma, signor Commissario, quando inizieranno i pattugliamenti lungo le nostre coste del Mediterraneo? La conseguenza è che, come hanno ricordato i miei colleghi Louis Grech e Simon Busuttil, più di quattromila immigrati clandestini sono entrati a Malta nelle ultime due settimane. E’ l’equivalente di sessantamila immigrati in Italia o di ottantamila in Germania. L’estate è solamente agli inizi: pensi, signor Commissario, in che situazione ci troveremo alla fine dell’anno. Oggi l’ho sentita parlare di piani approvati per la Spagna, ed è magnifico, ma lei sta dicendo che Malta rientrerà nella seconda fase: quando inizierà questa seconda fase, quando sarà troppo tardi, signor Commissario?
Sì, i maltesi hanno ragione a credere che siano parole vuote, perché si chiedono: dov’è la solidarietà di cui si parla così tanto? Come si può pensare che Malta sopporti da sola questo enorme fardello, e quando si passerà veramente dalle tante belle parole ai fatti? I maltesi sono frustrati, e hanno tutto il diritto di esserlo, perché la situazione è allarmante. Questo è il momento della verità. Per la Commissione e il Consiglio è giunta l’ora di dimostrare ai piccoli paesi come Malta che non sono oggetto di discriminazione da parte dell’Unione europea.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, onorevoli deputati, gli onorevoli parlamentari maltesi hanno ragione: abbiamo dovuto fronteggiare una serie di situazioni in parallelo, ma loro sanno che recentemente una missione tecnica della Commissione si è recata a Malta e ha avuto contatti con il governo locale.
Come ho già detto, stiamo raccogliendo la disponibilità degli Stati membri per far partire la missione per il pattugliamento intorno alle coste maltesi; abbiamo finora otto Stati membri che hanno dato la loro disponibilità a partecipare a questa seconda missione, dopo quella organizzata per le Isole Canarie. Otto Stati membri non sono pochi, forse non sono neanche abbastanza, ma qualche giorno fa ho informato il Ministro Tonio Borg, vice Primo Ministro maltese, che alla riunione del Consiglio di questo mese sarò in grado di dare anche delle indicazioni precise sul momento concreto di partenza di questa missione.
Evidentemente avete ragione, se avessi gli strumenti e la flessibilità, che i sistemi burocratici invece non mi permettono, questa missione sarebbe già partita da molto tempo.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
John Attard-Montalto (PSE). – (EN) Colgo l’occasione per portare all’attenzione del Parlamento europeo la difficile situazione dei maltesi e degli immigrati clandestini a Malta. Tutti si sentono abbandonati dall’Unione europea.
Quasi ogni giorno carichi di immigrati clandestini sbarcano sulle nostre coste. Loro sono fortunati: molti sono invece quelli che annegano cercando di farcela. Malta è stata lasciata sola ad affrontare questo enorme problema. Chiunque nell’Unione europea – Commissari, parlamentari – sa che non abbiamo risorse. Tuttavia, siamo stati abbandonati al nostro destino.
Ovviamente Malta viene esclusa a favore di paesi più grandi, con maggiore influenza e, naturalmente, è stato espresso molto biasimo e partecipazione, ma nient’altro.
Prima di aderire all’Unione eravamo soliti ascoltare i rappresentanti europei decantare i principi su cui si fonda l’Unione, in primo luogo la solidarietà. Poco a poco ci stiamo accorgendo che, forse, si trattava solo di vuota retorica. Mi chiedo se Malta riceverà lo stesso trattamento quando, e non se, inizierà a sfruttare la ricchezza sotto i suoi mari. Sono sicuro che, a sorpresa, rispunterà il principio di solidarietà.
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Tutti i paesi dell’Unione oggi ammettono il fallimento dell’integrazione di quella che dappertutto è diventata una “immigrazione di popolamento”.
La soluzione non è, come propone la relazione, creare un ennesimo fondo europeo dedicato, questa volta, all’integrazione dei cittadini di paesi terzi, né creare programmi aggiuntivi che pongono l’accento sulla promozione dell’immigrazione e della diversità nell’UE, né incoraggiare la partecipazione politica degli immigrati, specialmente concedendo loro il diritto di voto alle elezioni locali e municipali. Non si tratta neppure di chiedere al Consiglio di utilizzare la “clausola passerella” in virtù dell’articolo 67, paragrafo 2, del Trattato per conferire al Parlamento poteri codecisionali in materia di integrazione e immigrazione legale. Gli Stati membri devono rifiutarsi di perdere ulteriori poteri nella difesa della propria identità e dei propri confini. La filosofia ultraliberale favorevole all’immigrazione di Bruxelles porta alla catastrofe, come si può constatare ovunque. La strategia europea deve limitarsi alla realizzazione di accordi di partenariato con i paesi di origine per una politica di rimpatrio e, infine, concentrarsi sul rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne.
Magda Kósáné Kovács (PSE). – (HU) Accogliamo con favore la proposta della Commissione perché l’introduzione di un sistema di scambio di informazioni in materia di asilo e migrazione è utile a evitare tensioni tra gli Stati membri e a rafforzare la cooperazione.
Desidero congratularmi con il relatore per avere presentato una relazione progressista, che sviluppa ulteriormente la proposta.
Gestire il coordinamento a livello politico può creare, per i governi, uno spazio utile per pervenire a un accordo prima di prendere decisioni, avvicinando quindi le legislazioni degli Stati membri.
Mi compiaccio inoltre che la Commissione stia elaborando una sintesi della normativa approvata dagli Stati membri, che darà una visione d’insieme della legislazione in essere nell’Unione europea, permettendoci di valutare l’attività degli Stati membri dal punto di vista comunitario.
Concordiamo altresì che il documento elaborato dalla Commissione debba essere presentato alla commissione del Parlamento responsabile in materia, nonché al Consiglio, lanciando così un dibattito di più ampio respiro e rafforzando, al contempo, il ruolo del Parlamento.
In merito alla trasparenza è accettabile che, a livello politico, nel tentativo di raggiungere un accordo tra Stati membri, le informazioni a disposizione della rete siano trattate con riservatezza in maniera tale da pervenire a un vero e proprio accordo. Al tempo stesso le leggi già approvate, le sentenze e le relative traduzioni devono essere rese pubbliche allo scopo di informare i cittadini e paragonare le diverse legislazioni.
Tuttavia, per quanto riguarda le lingue, bisogna accettare il fatto che vi sono lingue ufficiali estremamente importanti nell’Unione europea, così come lingue ufficiali usate meno diffusamente. Di conseguenza le leggi, la loro valutazione e la relativa analisi dovrebbero essere tradotte nella lingua ufficiale dello Stato membro e nelle tre lingue più utilizzate, perché più di così sarebbe inutile.
Carl Lang (NI). – (FR) L’Europa sarebbe, in base ai testi che ci sono proposti, “inospitale” nei confronti degli immigrati.
E’ difficile da credere quando si sa che la Francia – grazie al suo promotore, il ministro degli Interni Nicolas Sarkozy – è campione di un’immigrazione selezionata e di una discriminazione positiva a favore delle minoranze visibili, in opposizione, immagino, alla maggioranza autoctona europea “invisibile”, e quando si sa che gli stranieri clandestini in Francia sono ospitati in centri di accoglienza o in alberghi, sono nutriti, hanno figli che vanno a scuola e possono beneficiare di assistenza medica pubblica gratuita, mentre non è così per gli stessi francesi che, da parte loro, devono molto spesso provvedere a se stessi per trovare un posto in cui vivere, nutrirsi e lavorare.
In Italia, Spagna e Francia, decine e centinaia di migliaia di immigrati clandestini ricevono periodicamente permessi di soggiorno e di lavoro, potendo così circolare impunemente su tutto il territorio europeo. I “padrini” e le “madrine” di giovani stranieri con genitori che vivono clandestinamente nel paese spuntano in tutte le città borghesi della Francia e si oppongono alla loro espulsione.
L’Europa è inospitale? Al contrario: è ora di mettere un freno a tutta questa follia dei nostri leader francesi ed europei a favore dell’immigrazione e dell’integrazione .
Marianne Mikko (PSE). – (ET) La relazione di Stavros Lambrinidis è necessaria e opportuna. I problemi registrati dagli immigrati sono gli stessi in tutta Europa.
Da entrambe le parti della cortina di ferro, la ricostruzione postbellica negli Stati membri è stata eseguita avvalendosi di manodopera straniera. I paesi democratici si sono principalmente affidati all’immigrazione spontanea, anche se la Germania ha in parte assoldato turchi, e per questo è stata ufficialmente condannata.
Al contempo, l’Unione Sovietica ha associato alla ricostruzione negli Stati baltici un’attiva politica di russificazione. L’industria pesante e le miniere estoni sono perlopiù state aperte grazie alla manodopera non qualificata importata dalla Russia. Grazie alle attività delle autorità sovietiche, gli immigrati sono presto diventati quasi un terzo della popolazione.
Dopo il ritorno all’indipendenza estone, ci siamo trovati dinanzi a un compito molto difficile in termini di integrazione. La difficoltà maggiore era l’idea consciamente inculcata nei nuovi arrivati che una piccola nazione come l’Estonia non potesse sopravvivere senza il sostegno del grande vicino, e che gli immigrati provenienti dall’est rappresentassero una cultura superiore.
A quindici anni di distanza il nostro problema di integrazione è molto meno grave. L’esperienza estone dimostra che la definizione di chiare regole del gioco e il fatto di associare l’integrazione a determinati vantaggi tangibili può contribuire a superare le maggiori difficoltà.
Molte misure suggerite nella relazione sono necessarie. L’unico interrogativo riguarda l’entità della ricerca, il brainstorming e le attività specifiche.
Indubbiamente dobbiamo coinvolgere il più possibile rappresentanti di gruppi di immigrati, senza tuttavia permettere che questo dibattito rimanga lettera morta. Tutti i partecipanti al processo, sia i rappresentanti dei paesi di accoglienza sia gli opinion leader degli immigrati, devono avere mansioni ben definite. Occorre agire immediatamente, senza attendere un grande piano onnicomprensivo e il completamento di un sistema di valutazione.