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Procedura : 2005/0090(CNS)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A6-0057/2006

Discussioni :

PV 14/03/2006 - 21
CRE 14/03/2006 - 21

Votazioni :

PV 15/03/2006 - 4.5
CRE 15/03/2006 - 4.5
Dichiarazioni di voto
PV 13/06/2006 - 7.9
CRE 13/06/2006 - 7.9
PV 06/07/2006 - 6.10
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2006)0085
P6_TA(2006)0312

Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 6 luglio 2006 - Strasburgo Edizione GU

7. Dichiarazioni di voto
Processo verbale
  

– Relazione Konrad (A6-0209/2006)

 
  
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  Christoph Konrad (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, tramite la mia relazione stiamo avanzando un’importante proposta di lotta antifrode in materia di IVA nell’Unione europea, che comporta una perdita per il contribuente europeo di circa 60 miliardi di euro all’anno. Considero la mia relazione un’importante misura nella lotta a questo tipo di frode, dal momento che propone anche la procedura di inversione dell’onere (reversed charge). Si tratta di una strategia praticabile anche a livello nazionale. Se ne dovrà ancora discutere, ma ora è il turno del Consiglio e della Commissione, dato che la nostra Assemblea ha dimostrato di aver compiuto questo passo all’unanimità – e di questo le sono molto grato.

 
  
  

– Relazione Zimmer (A6-0211/2006)

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. (FR) Il partenariato UE-Caraibi per la crescita, la stabilità e lo sviluppo, un partenariato reciprocamente vantaggioso basato su valori comuni, rappresenta un’occasione per entrambe le parti di lavorare assieme per la democrazia e i diritti umani e di lottare contro la povertà e le minacce alla pace e alla stabilità.

Sostengo le iniziative proposte dalla Commissione volte ad aiutare i paesi della regione, i quali hanno già intrapreso la strada dell’integrazione regionale grazie a CARICOM, CARFORUM e MEUC.

I paesi dei Caraibi, di solito piccoli e vulnerabili dal punto di vista economico, hanno compiuto importanti tentativi di diversificazione, ristrutturazione e riforme economiche e oggi, con l’aiuto dell’Europa, dovrebbero essere in grado di sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla globalizzazione evitandone le trappole.

Vorrei ringraziare i deputati al Parlamento europeo per aver adottato il mio emendamento che insiste sulla necessità di coinvolgere attivamente i dipartimenti francesi d’oltremare della regione, ovvero Guyana francese, Guadalupa e Martinica, nel futuro dialogo politico in tema di cooperazione tra UE e Caraibi, dato il loro ovvio ruolo di “teste di ponte dell’Europa” in quella parte del mondo.

 
  
  

– Relazione Hughes (A6-0218/2006)

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Con le ferite provocate da aghi la pelle è punta in modo accidentale con un ago potenzialmente contaminato dal sangue di un paziente. Aghi infetti possono trasmettere oltre 20 agenti patogeni pericolosi trasmissibili per via ematica, tra cui l’epatite B, l’epatite C e l’HIV. Infermieri e medici subiscono la maggior parte di tali lesioni, ma anche altro personale medico è esposto ad un rischio considerevole, come pure il personale ausiliario, quali gli addetti alle pulizie e alla lavanderia, e altri lavoratori di supporto.

Appoggio questa relazione, che definisce le misure preventive da adottare nei servizi sanitari e veterinari per tutelare i lavoratori dalle ferite provocate da aghi e altri dispositivi medici taglienti. Tra queste figurano le istruzioni scritte affisse sul posto di lavoro e la formazione di tutti i lavoratori, specialmente quelli che eseguono l’incannulamento.

La relazione prevede anche una reazione e un seguito efficaci in caso di incidenti più o meno gravi, compresa una profilassi rapida post-esposizione. Inoltre, a tutti i lavoratori che possono entrare in contatto con aghi e altri dispositivi medici taglienti viene offerta una vaccinazione contro l’epatite B.

 
  
  

– Relazione Szymański (A6-0164/2006)

 
  
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  Jaromír Kohlíček (GUE/NGL).(CS) Signor Presidente, la fiducia è una bella cosa, ma non può essere incondizionata. Benché oggi abbiamo votato vari pacchetti di proposte finanziarie, lo strumento di stabilità risulta il meno trasparente di quei pacchetti. La complessità è evidente fin dagli obiettivi di questo provvedimento. Una definizione così ampia copre qualsiasi cosa, per esempio giustifica una politica di disimpegno nel caso di golpe di destra come il putsch guidato dal generale Franco. Due giorni fa, l’onorevole Giertych ha fatto presente che, stando alla seconda parte degli obiettivi di questo strumento, persino il generale Franco avrebbe potuto essere finanziato con i fondi UE. Ha sottolineato che Franco era semplicemente interessato a rinnovare e consolidare i tradizionali valori cattolici della Spagna. Anche se il documento non contiene cifre, la Commissione ha promesso che presto le renderà note. Per il momento, si può dire solo una cosa: il Parlamento è completamente tagliato fuori. In definitiva la commissione per gli affari esteri del Parlamento lo ha sottolineato nel trilogo tra Consiglio, Parlamento e Commissione e ha invitato a cambiare questo stato di cose. Il Parlamento non deve dare carta bianca a nessuno. Alcune parti di questo documento sono dubbie, oscure e palesemente aperte a eventuali abusi. Pertanto ho votato contro la proposta in esame.

 
  
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  Emanuel Jardim Fernandes (PSE), per iscritto. – (PT) Come il relatore, accolgo con favore la proposta della Commissione di semplificare la gestione degli aiuti esterni dell’UE, riducendo a sei i trenta strumenti circa, tra cui lo strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI). Questa decisione porterà una maggiore efficienza ed efficacia, ed è molto sensata.

Sono favorevole a molti degli emendamenti proposti nella relazione, tra cui il rafforzamento del ruolo del Parlamento nella pianificazione e nel monitoraggio dei programmi ENPI, un maggior coinvolgimento della società civile nel processo di consultazione e un ruolo maggiore dei partner quali enti locali e regionali, nonché della società civile.

Tuttavia, mi dispiace che il punto relativo alle regioni ultraperiferiche nel contesto del vicinato, come Capo Verde, non sia stato inserito nell’ambito di applicazione dell’ENPI. Era stato proposto un piano d’azione “grande vicinato” per agevolare la cooperazione tra le regioni ultraperiferiche e i loro paesi confinanti. Il piano faceva parte della strategia per lo sviluppo sostenibile delle regioni ultraperiferiche proposta dalla Commissione per perseguire una delle sue priorità di intervento, ovvero integrare queste regioni nel proprio ambiente regionale.

Ciononostante, ho votato a favore di questa relazione.

 
  
  

– Relazione Beer (A6-0157/2006)

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) In qualità di relatore per parere della commissione per il commercio internazionale, per la presente relazione sugli strumenti esterni per l’assistenza finanziaria, economica e tecnica a paesi terzi che si riprendono da una crisi, mi preoccupavo di far sì che questo strumento di stabilità apportasse un vero e proprio valore aggiunto, fornendo una risposta efficace, immediata e integrata.

Anche se all’inizio vi erano dubbi in merito alla base giuridica di questo strumento, alla fine si è concordato che si basasse da un lato sulla cooperazione allo sviluppo e dall’altro sulla cooperazione economica, finanziaria e tecnica. Condivido con i colleghi della commissione per lo sviluppo il timore che l’inclusione delle misure di sostegno alla pace in questo strumento sottraggano fondi al bilancio per lo sviluppo.

In particolare, l’accordo tra il Consiglio, la Commissione e il Parlamento su questa relazione rispecchia l’iniziativa del Parlamento per introdurre una clausola di revisione che consentirà modifiche e una migliore rendicontazione. Si tratta di un elemento importante, dato che questo strumento è nuovo e di vasta portata.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Il cosiddetto strumento di stabilità fa parte del più ampio pacchetto di strumenti di finanziamento (sviluppo e cooperazione economica, aiuti di preadesione, vicinato e partenariato) studiati per formare uno strumento integrato onde esercitare la politica imperialista dell’UE nei paesi candidati, in paesi nell’immediato e nel grande vicinato e in tutto il pianeta. Fornendo “aiuti economici” a paesi terzi, l’Unione europea sta acquisendo il diritto di intervenirvi, con il pretesto di affrontare situazioni destabilizzanti, di “crisi” e di “crisi in atto”, situazioni che rappresentano “minacce” per lo Stato di diritto, per l’ordine pubblico, per la tutela dei diritti umani e per la promozione dei principi del diritto internazionale, compreso il sostegno a tribunali penali speciali, nazionali e internazionali.

Tale finanziamento sarà allo stesso tempo impiegato come un mezzo per costringere i paesi terzi a uniformarsi alle ambizioni imperialiste dell’UE e per interferire palesemente negli affari interni di paesi indipendenti, per indebolire i governi e per finanziare i candidati all’adesione all’UE, dato che si sta introducendo un modo di usare i finanziamenti per sostenere e organizzare la società civile, oltre che per promuovere media indipendenti, pluralisti e professionali.

Il partito comunista greco ha votato contro la relazione perché sostiene e in alcuni punti formula in modo ancora più reazionario il principio della proposta di regolamentazione della Commissione europea.

 
  
  

– Relazione Corbett (A6-0237/2006)

 
  
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  Richard Corbett (PSE).(EN) Signor Presidente, contrariamente al mio parere, il Parlamento ha adottato l’emendamento presentato dall’onorevole Radwan, a nome del gruppo PPE-DE, alla mia relazione sulla comitatologia.

Nella sua dichiarazione durante la discussione ieri sera, la Commissione ha sostenuto che questo emendamento di fatto compromette e sabota gli accordi che abbiamo negoziato. Questo potrebbe essere stato, infatti, l’intento dell’onorevole Radwan – non lo so –, ma l’emendamento si riferisce a una risoluzione adottata dal Parlamento, che prevede l’adozione di clausole temporanee sulla delega di legislazione che si applicano sistematicamente a tutta la legislazione che adottiamo nel settore dei servizi finanziari.

Tuttavia, inviterei la Commissione a non eccedere nella sua reazione. L’emendamento adottato – per quanto lo disapprovi – era soltanto un emendamento a un considerando in cui si fa riferimento a una vecchia risoluzione ad esso relativa. Come Parlamento, non riaffermiamo il nostro appoggio alla risoluzione. Questa sottile differenza dovrebbe permettere alla Commissione di accettare il nostro testo e di considerare che l’accordo che abbiamo negoziato rimane valido.

 
  
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  Ivo Strejček (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, vorrei tornare alla relazione Corbett. Posso solo presumere che la mia richiesta di dichiarazione di voto si sia persa nella confusione provocata dai deputati che lasciavano l’Aula. Vorrei dire qualche parola in materia di comitatologia. Come i miei colleghi del partito civico democratico (ODS) ceco, ho votato contro questa relazione. L’ho fatto perché credo che questo sia un argomento controverso in quanto trasferisce ancora più poteri dagli Stati membri alla Commissione. Ritengo che gli elettori francesi e olandesi abbiano manifestato chiaramente alle Istituzioni europee la loro opinione sul trasferimento di tali poteri alla Commissione. Pensiamo che non si debba eludere la loro decisione con l’inganno.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Nel 1993, nel quadro di una nuova procedura di codecisione, le competenze legislative sono state conferite al Parlamento e al Consiglio su un piano di (quasi) parità. Il Parlamento ha ritenuto che gli atti di codecisione per i quali il Consiglio e il Parlamento possono delegare congiuntamente le misure esecutive implicassero che entrambe le Istituzioni potessero partecipare al processo di definizione delle procedure di esercizio delle competenze delegate e che dovessero godere dei medesimi diritti riguardo al potere di opposizione o call back. Tuttavia, il Consiglio ha dedotto che l’articolo 202 del Trattato CE che prevede che sia il Consiglio (solo) a dover definire il sistema per le competenze legislative, rimanesse invariato.

Allo stato attuale, un passo avanti decisivo che il Parlamento può compiere verso la riuscita dei negoziati con il Consiglio e la Commissione risiede nella facoltà del Parlamento di bloccare l’adozione di misure esecutive “quasi legislative” per le quali esprime parere contrario. In tal modo, la Commissione potrà presentare una nuova proposta o depositare un progetto legislativo.

Sono favorevole a questa relazione, perché estende i poteri del Parlamento europeo e ne fa un’Istituzione sempre più efficiente e democratica.

 
  
  

– Relazione Corbett (A6-0236/2006)

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Dobbiamo essere lieti o preoccupati dell’accordo raggiunto tra Consiglio, Parlamento e Commissione sulle procedure per l’esercizio delle competenze esecutive conferite alla Commissione?

Potrebbe essere positivo vedere che si pongono freni, per quanto pochi, allo sproporzionato potere (inaudito per una democrazia) che, praticamente, consente ai funzionari di Bruxelles di modificare gli atti legislativi senza il legislatore.

Esistono tuttavia parecchi motivi di preoccupazione. Il primo è che bisogna ancora una volta puntare il dito contro il difetto fondamentale della struttura istituzionale europea: la Commissione è l’Istituzione con il minor grado di legittimità ma è quella più potente. Il secondo è che il corpus legislativo dell’Europa non è stato semplificato. L’iniziativa “legiferare meglio”, discussa dal Parlamento per l’ennesima volta il mese scorso – la spinosa questione dell’“Eurocrazia” – non è nient’altro che un’operazione di facciata. Il terzo punto è che questo accordo è l’attuazione – parziale, è vero, ma concreta – di una clausola contenuta nella Costituzione europea, un documento che, come probabilmente l’Assemblea sarà stanca di sentire, è obsoleto, dato che due popoli europei l’hanno respinta con un’ampia maggioranza nei referendum.

Il miglior modo di porre un freno ai poteri della Commissione consiste nel rivedere i Trattati e nel costruire l’Europa delle nazioni, che potrebbe fare a meno di questa Istituzione nella sua attuale configurazione.

 
  
  

– Relazione Alvaro (A6-0196/2006)

 
  
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  Alexander Alvaro (ALDE), per iscritto. – (EN) Purtroppo il gruppo ALDE si sente in dovere di astenersi dalla votazione finale su questa relazione. Non essendo stata accolta la richiesta del gruppo ALDE di rinviare la votazione, riteniamo che l’adozione di questa relazione sia prematura finché non sono stati risolti gli interrogativi sul recente scandalo SWIFT. La proposta legislativa in esame deve essere adottata in base a un accordo internazionale (GAFI), di cui sia l’UE che gli USA sono firmatari. La posizione degli USA deve essere chiarita prima che l’UE proceda ad adempiere alla sua parte dell’accordo. I chiarimenti forniti dalla BCE e dalle banche centrali nazionali sono ulteriori condizioni per la sua adozione.

Dati i crescenti timori per i diritti civili e per la protezione dei dati personali dei cittadini dell’Unione, il mio gruppo ritiene necessarie ulteriori rassicurazioni in merito. Notiamo che negli ultimi anni è stata adottata una serie di misure di sicurezza, mentre le misure per rafforzare i diritti civili e la tutela della privacy sono state bloccate, e le decisioni in questo ambito vengono prese in larga misura senza alcun controllo parlamentare o giuridico degno di nota. Il caso SWIFT getta dubbi sull’adeguatezza degli strumenti UE per la protezione dei dati. Prima occorre condurre un dibattito approfondito.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Nell’ultimo decennio, gli attentati terroristici sono cresciuti enormemente in tutto il mondo. La lotta a questo flagello è diventata pertanto una delle principali priorità politiche dell’Europa e di tutto il mondo.

Questa proposta fa parte di una serie di misure adottate dall’Unione volte a ridurre l’accesso alle risorse finanziarie e ad altre risorse economiche da parte dei terroristi. Il suo intento è quello di recepire nella legislazione comunitaria la raccomandazione speciale VII del gruppo di azione finanziaria internazionale sui trasferimenti di fondi.

La proposta si rivolge alle autorità che si occupano della lotta al riciclaggio dei capitali e al finanziamento dei terroristi e fissa regole sulle informazioni relative all’ordinante da allegare ai trasferimenti di denaro.

Questo sarà un provvedimento utile ed efficace per prevenire, rilevare, indagare e perseguire terroristi e altri criminali, e per risalire ai loro beni.

Concordo con le deroghe proposte tese a tenere conto della specifica natura dei sistemi di pagamento in uso nei diversi Stati membri.

Concordo con la posizione dell’onorevole Brejc, il quale sostiene che vi deve essere una clausola di sospensione, che preveda che questa normativa decada dopo cinque anni se non risulterà utile. Inoltre vedo con favore il compromesso raggiunto tra l’onorevole Brejc e il relatore.

 
  
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  Lena Ek (ALDE), per iscritto. – (EN) Ci asteniamo dalla votazione su questa relazione, perché essa pone il Parlamento di fronte a un dilemma insolubile. Da un lato, recepisce un trattato internazionale, e un voto contrario non farebbe che rafforzare la posizione della Commissione. Dall’altro, non possiamo sostenere l’introduzione di ulteriori normative che interferiscono con la privacy senza ulteriori prove che una sorveglianza su vasta scala di cittadini innocenti aumenti la sicurezza o aiuti a prevenire gli atti terroristici. E’ stato dimostrato che i flussi di denaro che finanziano il terrorismo stanno diventando sempre più clandestini, utilizzano contanti e si avvalgono di corrieri.

Inoltre, per quante misure si adottino per proteggere la privacy, la tentazione delle autorità di utilizzare i dati per altri scopi sarà forte, e finora nessuno ha creato un registro immune da fughe di notizie.

Siamo anche molto preoccupati per gli effetti sulle ONG che promuovono la democrazia e i diritti umani in regimi autoritari. Un registro dettagliato, anche se ci dicono che non sarà utilizzato per tali scopi, comprometterà sicuramente le loro attività.

Astenendoci, invitiamo anche il Parlamento ad avviare un dibattito su una politica di vasta portata in materia di tutela della privacy e delle libertà civili. L’attuale linea di azione, che a poco a poco restringe le libertà, deve terminare.

 
  
  

– Relazione Grässle (A6-0057/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Lo scopo dell’emendamento al regolamento finanziario è semplificare le norme sui contratti esterni e le sovvenzioni e renderle più trasparenti. Il testo attualmente è poco chiaro e strutturato, e perciò è di difficile lettura per i potenziali utenti.

Questa collezione di regole burocratiche, che si applica esclusivamente nell’ambito di alcune DG della Commissione, implica una procedura molto costosa per i fornitori e per le organizzazioni che fanno domanda per tali sovvenzioni. In questo modo vengono escluse le microimprese, le piccole e le medie imprese, oltre alle associazioni, agli istituti e alle ONG minori.

Inoltre, la Commissione ha poteri discrezionali in questo processo, ed esistono pertanto pochissime società e organizzazioni – e sono sempre le stesse – che padroneggiano i meccanismi previsti. In ultima istanza, questa situazione può portare a compiere scelte in base al sostegno politico o di altro genere.

Come ha dichiarato la Corte dei conti, tuttavia, la revisione sottoposta non è sufficiente a ridurre gli oneri e a semplificare le procedure sia per la Commissione che per i potenziali utenti. Le proposte del Parlamento migliorano la situazione, ma non sono all’altezza della revisione globale delle norme finanziarie di cui vi è urgente necessità in questi ambiti.

 
  
  

– Relazione Gaubert (A6-0186/2006)

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, durante i precedenti dibattiti relativi alle procedure di informazione reciproca in materia di asilo e immigrazione, ho già avuto modo di porre una serie di domande al Commissario Frattini, poiché mi chiedo quale sia il valore aggiunto di questo sistema di lotta all’immigrazione clandestina. Non dico che sia negativo, penso tuttavia che serva tanto quanto un impacco su una gamba di legno.

Il vero problema è, in definitiva, che la politica delle regolarizzazioni adottata in Italia, Spagna e Belgio ha provocato un afflusso di centinaia di migliaia di nuovi migranti economici, a cui la nostra politica delle frontiere aperte sta permettendo di insediarsi in tutta Europa senza difficoltà. Se l’Unione europea ha veramente intenzione di affrontare il problema dell’immigrazione clandestina, deve cominciare da zero. Inutile dire che il ripudio pratico delle deleterie regolarizzazioni è l’unico modo per neutralizzare il potente fascino di questa politica, cui deve fare immediatamente seguito una coerente politica di rimpatrio degli immigrati clandestini e criminali.

 
  
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  Martine Roure (PSE), per iscritto. – (FR) Dobbiamo attuare una vera e propria politica comune in materia di asilo e immigrazione. E’ essenziale che l’Unione applichi meccanismi di scambio di informazioni tra gli Stati membri.

Infatti, se gli Stati membri possono farsi un’idea più precisa delle leggi degli altri Stati e scambiarsi regolarmente le prassi migliori, potranno individuare meglio gli ambiti in cui occorre applicare la legislazione europea e, a loro volta, definire un accordo accettabile per tutti.

Sarebbe semplicistico e impreciso dire che questo strumento potrebbe consentire agli Stati membri di vietare le regolarizzazioni, che risultano necessarie in alcuni contesti nazionali. Lo scambio di informazioni su queste misure li aiuterà a farsi capire meglio. Inoltre, un giro di vite nella lotta all’immigrazione clandestina potrebbe avere l’effetto di deviare i flussi verso un altro Stato membro. Pertanto occorrerà segnalare anche misure di questo tipo.

 
  
  

– Modifica del protocollo sui privilegi e sulle immunità (B6-0275/2006/rev)

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Signor Presidente, l’onorevole Gargani ha ragione quando chiede che il Parlamento sia consultato in merito alla modifica del protocollo sui privilegi e sulle immunità. Ha anche ragione quando chiede, nella sua relazione, che il Parlamento abbia il diritto di ricorrere alla Corte di giustizia nel caso in cui gli Stati membri non rispettino le immunità dei parlamentari, create per tutelare i diritti del Parlamento e in particolare proteggere gli eurodeputati dalle eventuali azioni che un esecutivo ostile decidesse di intentare per il tramite di un procuratore. Questo è vero in particolare dopo l’atto di perfetta slealtà – il termine non è eccessivo – commesso dalla Corte suprema francese nel caso del nostro ex collega parlamentare, l’onorevole Marchiani.

Signor Presidente, la commissione giuridica deve anche difendere il diritto fondamentale di non esaminare una richiesta di immunità parlamentare che si fondi su basi palesemente inadeguate, in questo caso l’articolo 9, quando è l’articolo 10 che si deve applicare. Deve adottare la stessa giurisprudenza in materia di tutela della libertà di espressione quando il fumus persecutionis è palese, come nel mio caso. Infine, i servizi giuridici del Parlamento non devono ingegnarsi per annacquare le risoluzioni del Parlamento, o delle regole che quest’ultimo ha inserito nel proprio Regolamento interno, mentre è ancora pendente una causa presso la Corte di giustizia.

 
  
  

– Conseguenze economiche e sociali della ristrutturazione di imprese in Europa (B6-0383/2006)

 
  
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  Alexander Alvaro, Wolf Klinz, Silvana Koch-Mehrin, Holger Krahmer, Alexander Lambsdorff e Willem Schuth (ALDE), per iscritto. – (DE) Signor Presidente, gli europarlamentari appartenenti al partito democratico liberale hanno votato contro la risoluzione sulle conseguenze economiche e sociali della ristrutturazione di imprese in Europa, essendo convinti che, nelle economie di mercato europee, le imprese debbano essere immuni da pressioni politiche quando si trovano a decidere dove ubicare i propri stabilimenti produttivi. Nel nostro mercato unico, la concorrenza – compresa quella tra le regioni – svolge un ruolo decisivo per l’ulteriore sviluppo delle imprese europee e per le loro condizioni. L’effetto definitivo delle pressioni politiche è quello di impedire che il mercato funzioni ed è per questo che non vanno esercitate per dissuadere le imprese dall’agire secondo le proprie decisioni.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Abbiamo votato contro con le seguenti motivazioni:

– non si fa alcun riferimento alla solidarietà con i lavoratori Opel/GM, in particolar modo con gli oltre 1 700 lavoratori (e le loro famiglie) dello stabilimento Opel di Azambuja, in Portogallo, i cui posti di lavoro sono minacciati dall’indifferenza del consiglio di amministrazione della GM per le potenziali conseguenze economiche, sociali e regionali. Questa posizione è stata imposta dalla destra, con la complicità del gruppo socialista al Parlamento europeo, che ha firmato la risoluzione comune;

– la difesa del diritto delle imprese ad adottare decisioni di gestione volte a garantire la propria crescita economica, indipendentemente dalle potenziali ripercussioni sociali;

– non si fa alcun riferimento all’impatto economico e sociale delle delocalizzazioni, che spesso hanno il solo scopo di tagliare i costi e massimizzare gli utili, trascurando assolutamente, nella decisione se ricorrervi o meno, fattori come l’attuabilità economica e la produttività; queste delocalizzazioni spesso non rispettano gli obblighi contrattuali, ma, nella maniera più mercenaria, le imprese interessate godono di aiuti pubblici locali, nazionali e comunitari, lasciandosi dietro una scia di disoccupazione e mettendo a repentaglio le economie locali. Soltanto l’anno scorso, le delocalizzazioni hanno provocato mezzo milione di licenziamenti nell’Unione europea;

– la risoluzione non raggiunge assolutamente i risultati ottenuti dalle risoluzioni di marzo sull’impatto delle delocalizzazioni e della ristrutturazione sull’occupazione e lo sviluppo regionale.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Lo spirito imprenditoriale e il ruolo delle imprese è essenziale per la crescita e lo sviluppo economici, e i sostanziali mutamenti economici a cui abbiamo assistito indicano che molte società devono ristrutturare. Tuttavia è anche vero che esistono due punti molto rilevanti che non vanno persi di vista in questa proposta. Il primo è la responsabilità sociale delle imprese e l’obbligo di onorare gli accordi e i contratti, soprattutto quando le imprese hanno percepito sovvenzioni e sussidi per una determinata attività. Le considerazioni, le preoccupazioni e le proposte contenute in questa risoluzione meritano il mio appoggio.

Ritengo, tuttavia, che la proposta di creare un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione richiama al momento opportuno la nostra attenzione sulla vastità del problema, per il quale occorre trovare soluzioni di vasta portata. Il processo di ristrutturazione attualmente in atto del tessuto imprenditoriale europeo, soprattutto manifatturiero, avrà conseguenze che speriamo positive, ma comporterà anche un impatto sociale negativo, specialmente nelle fasi iniziali. L’Europa, i singoli governi e le Istituzioni comunitarie hanno il dovere di preparare oggi questo futuro molto prossimo. Oltre a questo Fondo, dobbiamo discutere di altre soluzioni e investire in altri meccanismi.

 
  
  

– Relazione Fava (A6-0213/2006)

 
  
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  Marco Cappato (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo, nell’esprimere il voto a favore a questo rapporto, dobbiamo salutare quello che forse è un fatto positivo cioè che il Parlamento europeo invece di prendersela continuamente con gli Stati Uniti d’America, comincia a guardare al rispetto della legalità da parte dell’Unione europea e degli Stati membri, perché troppo spesso di fronte a illegalità ed abusi che sono esistiti, per esempio sul trasferimento dei dati personali, sul traffico dei passeggeri aerei, in realtà noi abbiamo coperto dietro l’illegalità degli Stati Uniti, la nostra, l’incapacità di rispettare le nostre stesse regole.

E’ ora di assumerci la nostra responsabilità e credo che il rapporto Fava sia un primo passo in questa direzione.

 
  
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  Philip Claeys (NI).(NL) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Fava perché rappresenta un tipico esempio dei pregiudizi della sinistra. La commissione temporanea ha già deciso tutto, e pertanto ciò che serviva era trovare le prove.

Si dà il caso che non siano state trovate prove di torture o di altre attività illegali svolte dalla CIA nell’Unione europea, perciò questa relazione non fa altro che prendere quelle che sono in realtà supposizioni e indicazioni e presentarle sistematicamente come dati di fatto, e questo è intellettualmente disonesto.

Simboleggia una certa mentalità presente in questa Assemblea. Francamente, si può infatti dire che ci sono eurodeputati che non desiderano che si affronti realmente il terrorismo.

 
  
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  Petr Duchoň (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero esprimere il mio amaro disappunto per l’adozione della relazione Fava. Esistono in tutto quattro ragioni per cui lo dico. In primo luogo, la relazione si fonda su informazioni unilaterali e generiche, e non su fatti esposti con precisione e confermati da fonti diverse.

In secondo luogo, la relazione è piena di contraddizioni. Se ci fossero fatti inconfutabili che dimostrassero che la CIA aveva utilizzato paesi europei per il trasporto e la detenzione illegali di persone, la parola “presunto” avrebbe dovuto essere tolta dal titolo. L’altra faccia della medaglia è che l’impiego del relatore della parola “presunto” nel titolo della relazione, dopo tutti gli sforzi compiuti dai componenti della commissione temporanea e da altre parti interessate, è un tacito riconoscimento del fatto che la commissione non è riuscita a dimostrare che siano state commesse azioni illegali.

In terzo luogo, è possibile che nel corso del tempo, molti dei sospetti che sono stati espressi si dimostreranno violazioni della legge, o forse verranno alla luce nuovi casi. Data la vastità e la complessità della lotta al terrorismo, ciò non dovrebbe sorprendere. La cosa più importante è che discuteremmo dei dettagli e non degli errori del sistema. Coloro che ritengono che i propri diritti siano stati calpestati possono utilizzare canali adatti e ben funzionanti per imporre questi diritti e chiedere riparazione.

Quarto e ultimo, dobbiamo analizzare attentamente quanto tempo dedica il Parlamento a indagare su un problema presunto e quanto tempo dedica al problema reale del terrorismo. Adottando la relazione dell’onorevole Fava, stiamo dubitando della nostra stessa capacità di valutare l’importanza relativa dei singoli problemi e della nostra capacità di far fronte a quei problemi nel modo più appropriato.

 
  
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  Hynek Fajmon (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella seduta plenaria odierna gli europarlamentari del partito civico democratico ceco (ODS) hanno scelto di non appoggiare la relazione interinale dell’onorevole Fava sul presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di persone. La relazione si basa, secondo noi, sull’attuale tendenza antiamericana, che non tiene conto della grave minaccia del terrorismo internazionale. Gli Stati Uniti d’America e i loro alleati, fra cui la Repubblica Ceca, negli ultimi cinque anni hanno convogliato tutti gli sforzi nella lotta a questa terribile minaccia. Dal 2001, abbiamo assistito ad attentati terroristici negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Spagna e in vari altri paesi. Si tratta di un pericolo molto concreto e la relazione Fava ignora completamente l’esigenza di combatterlo. La relazione inoltre trascura completamente il fatto che è la strategia comune adottata dagli Stati Uniti e dai loro alleati di vari paesi europei che ci ha permesso di ridurre sostanzialmente il terrorismo internazionale, garantendo così per i cittadini europei maggiore sicurezza. La relazione invece si concentra su una serie di casi, non corroborati da prove, di dubbio comportamento da parte dei servizi di sicurezza statunitensi e dei paesi alleati, traendo generiche conclusioni da quei casi. I parlamentari dell’ODS ceco non possono sostenere con il proprio voto una tale posizione.

 
  
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  Jas Gawronski (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione Fava che oggi abbiamo votato, anche se alcuni dei nostri emendamenti sono stati accettati, rimane tendenziosa, faziosa e permeata di pregiudizi nonché teso a sostenere ipotesi non suffragate da alcuna prova.

Si tratta di un testo di parte nei suoi contenuti che differisce perfino dalle posizioni del governo italiano. E’ stato lo stesso presidente Romano Prodi, con un comunicato ufficiale a smentire l’onorevole Fava sulla vicenda Abu Omar. Mentre Fava respingeva un mio emendamento che sosteneva che non ci fossero prove sul coinvolgimento del governo e dell’intelligence italiana, Palazzo Chigi ieri sera confermava la propria fiducia ai nostri servizi segreti.

L’atteggiamento di Fava dimostra quanta malafede esista nella sinistra italiana che non vuole rinunciare a un obsoleto antiamericanismo e all’uso delle Istituzioni europee per attaccare gli avversari.

 
  
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  James Hugh Allister (NI), per iscritto. – (EN) Ho votato contro la proroga del mandato della commissione dell’onorevole Fava, chiamata a indagare sulle cosiddette extraordinary rendition, perché finora non ha prodotto prove documentate che ne giustifichino il proseguimento. Piuttosto, essa viene usata come uno strumento di accanito antiamericanismo e seleziona in modo arbitrario voci non confermate operando aprioristicamente sulla base di una presunta colpevolezza della CIA.

 
  
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  Gerard Batten, Roger Knapman e Thomas Wise (IND/DEM), per iscritto. – (EN) L’UKIP ha votato a favore dell’emendamento n. 13, perché mette in risalto che l’Alto Commissario e l’Alto rappresentante UE non hanno la facoltà di richiedere agli Stati membri informazioni in materia. L’UKIP non riconosce l’autorità di queste cariche e si oppone alla creazione di entrambe; pertanto vede positivamente il riconoscimento di una limitazione dei loro poteri.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa relazione contiene elementi positivi che confermano che da tempo siamo a conoscenza e denunciamo a gran voce che la CIA e altri servizi degli Stati Uniti “sono stati direttamente responsabili dell’arresto, dell’espulsione, del rapimento e della detenzione illegali” di cittadini – eufemisticamente chiamati extraordinary rendition – e del trasferimento di cittadini a paesi terzi perché fossero interrogati e sottoposti a tortura, con brutali violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani.

Tra gli altri importanti aspetti, la relazione ritiene sia “inverosimile” che i governi europei non fossero a conoscenza di queste attività criminali e “del tutto inverosimile” che centinaia di voli potessero attraversare lo spazio aereo europeo senza che le autorità competenti prendessero alcun provvedimento.

La relazione dovrebbe contribuire a svelare il vero significato delle espressioni “guerra preventiva” e “lotta al terrorismo” con cui gli Stati Uniti e i loro alleati hanno tentato di ammantare i loro attacchi alla popolazione e alla sovranità dei paesi, violando il diritto internazionale e i diritti umani.

La relazione dovrebbe anche contribuire a far luce su quanto è realmente avvenuto e ad appurare le responsabilità, chiarendo il contenuto degli accordi NATO e degli accordi tra l’UE e gli Stati Uniti in materia. Inoltre, farà sì che i parlamenti nazionali conducano le proprie inchieste.

 
  
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  Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione perché la considero un pratico e importante passo avanti nel modo in cui il Parlamento europeo intende ora affrontare i gravi abusi dei diritti umani entro i suoi confini e i suoi rapporti con gli Stati Uniti. Non possiamo semplicemente accettare le rassicurazioni dei governi amici sul divieto di tortura e di trattamenti crudeli e degradanti: abbiamo il compito di far sì che noi e i nostri alleati agiamo nel rispetto del diritto internazionale. In termini politici, ora dobbiamo esaminare se l’UE e i suoi Stati membri dispongono dei necessari strumenti per ricercare la verità su ciò che sta accadendo sul nostro territorio e nel nostro nome e delle tutele adeguate per proteggere i nostri cittadini e residenti. Vedo con piacere che la maggioranza del Parlamento ha votato per il proseguimento del lavoro di questa commissione temporanea.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Non ho votato a favore della proposta di risoluzione della commissione temporanea sul presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di persone.

In primo luogo, ritengo che la creazione di questa commissione temporanea sia del tutto superflua dato che il Consiglio d’Europa ha condotto un’inchiesta in materia, ai sensi dell’articolo 52 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Perché duplicare questo compito? Perché incidere sui poteri e sui compiti del Consiglio d’Europa?

Perché preoccuparsi di incaricare un Primo Ministro, quali che siano le dimensioni del suo paese, di redigere una relazione importante sulla collaborazione tra il Parlamento e il Consiglio d’Europa se, alla prima occasione, sprechiamo il nostro tempo a creare una nuova risoluzione il cui solo scopo sembra quello di abbandonarsi a un accanito antiamericanismo?

Condivido l’opinione della minoranza secondo cui questa commissione temporanea, che finora non è riuscita a raccogliere prove documentate di presunte violazioni del diritto europeo e internazionale da parte degli Stati membri dell’Unione, è superflua e non deve proseguire i suoi lavori.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) La discussione plenaria di ieri sui voli e i campi di prigionia segreti americani ha fatto emergere due punti di vista violentemente contrapposti. Ci sono governi che ritengono che i diritti e le libertà delle persone vadano subordinati alla campagna contro chiunque dissenta e possa conseguentemente essere sospettato di terrorismo. Coloro che la pensano così si illudono che la libertà e la democrazia si possano difendere limitandole o addirittura abolendole e tendono a sentire un legame profondo con gli Stati Uniti e grande lealtà verso l’attuale amministrazione americana e le sue politiche, che hanno provocato l’occupazione dell’Iraq e dell’Afghanistan e hanno portato a tollerare l’insostenibile situazione nei territori palestinesi occupati da Israele.

Respingo completamente questo approccio. Non si può lottare contro il terrorismo espandendo, invece di limitare il più possibile, il terreno su cui cresce. Un tale approccio non fa altro che spingere sempre più disperati a simpatizzare con gli scalmanati terroristi che pretendono di conoscere la soluzione e il modo più adatti per migliorare le loro condizioni di vita.

Ciò che sta accadendo davanti ai nostri occhi è un grave abuso dei diritti umani. Le libertà dei singoli esseri umani evidentemente non contano più nulla nella lotta al terrorismo. Gli Stati membri dell’UE devono riconoscere la loro parte di responsabilità in questo stato di cose.

 
  
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  Claude Moraes (PSE), per iscritto. – (EN) Il partito laburista al Parlamento europeo voterà a favore della relazione Fava perché continuiamo a ritenere importante che il Parlamento europeo indaghi sul presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di persone.

La relazione interinale è importante per due motivi. Primo, a differenza dei membri del Consiglio d’Europa, gli europarlamentari vengono direttamente eletti e rispondono ai propri elettori. Noi indaghiamo tutti i tipi di questioni nel loro interesse e non possiamo ignorare le accuse di possibili violazioni da parte degli Stati membri dei loro obblighi ai sensi dell’articolo 6 del Trattato UE, che delinea i principi di base della democrazia, dei diritti umani e del rispetto della legge. Il Parlamento europeo è l’unico organismo che può imporre sanzioni agli Stati membri che vengono meno agli obblighi che ad essi derivano dal Trattato. La relazione del Parlamento è importante anche perché, al contrario del Consiglio d’Europa, tale commissione ha potuto convocare testimoni a deporre dinanzi a essa. La commissione ha ascoltato forti testimonianze personali che hanno fornito prove convincenti documentate nella relazione.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) La relazione interinale sulle attività della CIA, comprendenti rapimenti, trasporto, interrogatori e torture in paesi europei, conferma le rivelazioni da parte di varie organizzazioni e dei media.

Le conseguenti proteste hanno costretto le forze socialiste conservatrici a creare una commissione di inchiesta per prendere atto di fatti già noti, in modo da poter apparire come “innocenti colombe” agli occhi della gente, ingannandola in merito al ruolo dell’UE.

Gli europarlamentari del partito comunista greco si sono astenuti, rifiutandosi di partecipare al teatro dell’assurdo andato in scena al Parlamento europeo in quanto ad Atene è stato firmato un accordo UE-Stati Uniti che consente alla CIA di agire con impunità e ora le forze che l’appoggiano “protestano” per i risultati di tale azione.

I governi degli Stati membri, sia di centrodestra che di centrosinistra, erano al corrente dell’orgia della CIA e vi hanno partecipato; ora i membri dei partiti che li sostengono, molti dei quali sapevano, sembrano condannarli. Si stanno prendendo gioco del mondo.

I conservatori e i socialdemocratici si sono schierati con la strategia “antiterrorismo” degli Stati Uniti e hanno accettato la “guerra preventiva” e il massacro delle libertà e dei diritti democratici fondamentali e ora se ne stanno lavando le mani come Ponzio Pilato.

Nessuna risoluzione del Parlamento europeo può essere sfruttata per lavar via le responsabilità politiche dei partiti che sostengono l’imperialismo o per ingannare la gente facendole credere che un giorno l’azione terroristica degli Stati Uniti e dell’UE avrà fine. Invece essa crescerà così come il movimento di base antimperialista cresce e sposta i rapporti di potere.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) E’ impossibile affrontare la materia di questa relazione a cuor leggero. Tanto i diritti umani, quanto la lotta al terrorismo, assieme ai rapporti con il nostro principale alleato, richiedono particolare attenzione e considerazione. Ciò che emerge da questa relazione interinale è una serie di dubbi e sospetti che non sono stati chiariti, oltre ad alcune dichiarazioni contraddittorie di una serie di organismi. E’ perciò comprensibile che il lavoro della Commissione prosegua, ma non è ragionevole presentare ipotesi non dimostrate come se fossero conclusioni.

Più seriamente, il rifiuto di una serie di emendamenti volti a includere nella relazione alcun importanti dettagli che contraddicono alcune delle accuse e insinuazioni è indice di una volontà di comportarsi in modo ostile nei confronti di un alleato che va al di là del desiderio di scoprire la verità. Non intendo avere niente a che fare con questa interpretazione del ruolo del Parlamento e delle relazioni esterne dell’UE. Ritengo che sia i paesi europei che i nostri alleati possano commettere errori e atti che violino la legge. Tali atti devono essere riconosciuti e puniti, ma non sono disposto a muovere accuse senza indagini o a condannare senza prove.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I miei colleghi conservatori britannici e io non possiamo appoggiare la relazione Fava perché crediamo che contenga molte asserzioni e poche prove nuove. Siamo stati contrari a questa commissione sul trasporto e la detenzione illegale di persone fin dall’inizio e riteniamo che sia uno spreco di denaro in quanto è un doppione del lavoro svolto dal senatore Marty in sede di Consiglio d’Europa.

Inoltre, non vi è alcuna prova dell’esistenza di campi di prigionia della CIA in Romania o in Polonia, né credo vi sia stata da parte degli Stati Uniti una politica sistematica di organizzazione delle extraordinary rendition per torturare le persone rapite in paesi terzi.

 
  
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  John Whittaker (IND/DEM), per iscritto. – (EN) L’UKIP (la delegazione del Regno Unito all’interno del gruppo IND/DEM) ha votato a favore dell’emendamento n. 13 perché pone in evidenza il fatto che l’Alto Commissario e l’Alto rappresentante UE non hanno assolutamente il potere di richiedere ai governi degli Stati membri il tipo di informazioni a cui si fa riferimento.

L’UKIP si oppone alla creazione di queste figure e non ne riconosce l’autorità. Appoggiamo pertanto l’emendamento n. 13, in quanto introduce qualche limite ai loro poteri.

 
  
  

– Intercettazione di dati sui trasferimenti bancari del sistema SWIFT da parte dei servizi segreti USA (B6-0386/2006)

 
  
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  Marco Cappato (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi. Quando si effettuano trasferimenti bancari in un paese estero, si tratta in realtà di operazioni commerciali e i dati personali risultanti da tali operazioni sono dati che non possono essere utilizzati in modo sistematico ai fini della sicurezza.

Nel confermare il voto a favore di questa risoluzione, vorrei sottolineare che non si tratta solo del problema del trasferimento illegale di dati a un paese terzo, ma esiste anche il problema dell’utilizzo di dati raccolti a fini commerciali che vengono invece utilizzati a fini di sicurezza.

Secondo la Corte europea per i diritti dell’uomo, in questo caso si tratta di sorveglianza generalizzata, che è contro le direttive europee, contro la legislazione degli Stati membri ed è anche per questo ulteriore motivo che sosteniamo il rapporto Swift.

 
  
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  Gérard Deprez e Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Abbiamo votato a favore della risoluzione presentata dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, però abbiamo respinto la risoluzione comune sul caso della società bancaria cooperativa internazionale SWIFT a causa di uno squilibrio cui non è possibile ovviare per mezzo di una serie di emendamenti.

Conosciamo tutti le difficoltà derivanti dalle esigenze di conciliare le priorità della lotta contro il terrorismo con il rispetto – anch’esso fondamentale – dei diritti individuali. La discussione è stata ripetutamente influenzata dalle notizie sulle condizioni di detenzione a Guantánamo, sulla vicenda dei voli segreti della CIA, sui centri di detenzione in Europa e, ora, sul caso SWIFT. E’ difficile capire dove tirare una linea di separazione, però si tratta di una questione di importanza cruciale in un mondo in cui il terrorismo non si ferma davanti alle linee di confine tra i diversi paesi.

In Belgio è stata avviata un’indagine per accertare se vi siano falle tra le maglie delle nostre leggi in materia di protezione dei dati. Non crediamo che questa risoluzione vendicativa – violentemente antiamericana nella forma, irreprensibile nella sostanza (4 e 13: che idea brillante quella di chiedere che i servizi segreti rendano di pubblico dominio le loro operazioni!) e spesso anche illeggibile – possa migliorare la nostra immagine tra gli europei. Avremmo potuto usare altri modi per esprimere la nostra determinazione a far luce su qualsiasi violazione e, nel contempo, per ribadire il nostro fermo impegno a contrastare coloro le cui ideologie sono in contrasto con i nostri valori.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Pur non condividendo alcuni aspetti, riteniamo che la risoluzione dovrebbe contribuire a porre in rilievo la cosiddetta “lotta contro il terrorismo” e la tendenza all’eccessiva sicurezza che la caratterizza.

Sotto la copertura del “Programma di controllo dei finanziamenti del terrorismo” e grazie a un accordo segreto, gli Stati Uniti hanno avuto accesso a tutti i dati finanziari conservati presso la Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunications (SWIFT), che è una società cooperativa di cui fanno parte 8 000 banche e istituti finanziari di 200 paesi, tra cui la Banca centrale europea.

Gli Stati Uniti hanno così avuto accesso a una quantità enorme di dati sui trasferimenti e sulle transazioni bancari eseguiti da privati cittadini e da imprese in tutto il mondo. L’accesso a questo genere di informazioni è stato accordato in violazione delle procedure giuridiche sulla protezione dei dati e in assenza di qualsiasi base legale. Tutto ciò costituisce una violazione dei diritti, delle libertà e delle garanzie dei singoli, nonché della sovrana responsabilità di ciascuno Stato in riferimento alla tutela dei propri cittadini.

Occorre pertanto far emergere la verità sulla vicenda e chiamare a rispondere dei propri comportamenti i responsabili di questa inaccettabile situazione, nonché chiarire il ruolo svolto dalla Banca centrale europea.

Non si tratta di un caso isolato, bensì dell’ennesima vicenda che rivela la necessità di chiarire quale sia il vero significato della tendenza all’eccessiva sicurezza che sta minando i diritti, le libertà e le garanzie dei cittadini.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il controllo da parte degli Stati Uniti sui trasferimenti bancari di milioni di persone innocenti, con il beneplacito dell’Unione europea e dei governi dei suoi Stati membri, dimostra quali siano la portata e gli obiettivi della cosiddetta strategia antiterrorismo, che è parte integrante della strategia globale integrata degli imperialisti mirante a registrare dati per controllare, forzare e terrorizzare chiunque si opponga loro.

Tale strategia rivela il ruolo svolto dal sistema bancario, dalle imprese private e dalle società pubbliche nei paesi capitalisti nonché dalla Banca centrale europea, che violano le loro stesse regole nell’interesse generale del sistema.

Le risoluzioni e gli inviti dei partiti conservatori e socialdemocratici che predominano nell’Unione europea e nei governi a tutelare la privacy dei cittadini e a trovare un equilibrio tra le esigenze della lotta contro il terrorismo e il rispetto dei diritti umani sono un esempio colossale di ipocrisia.

Infatti, sono stati proprio quei partiti a firmare tali accordi. E’ altresì offensivo il fatto che, allo stesso tempo e nella stessa riunione, essi abbiano approvato una relazione e una proposta di regolamento per registrare le transazioni finanziarie bancarie di tutti i cittadini dell’UE.

I deputati al Parlamento europeo del partito comunista greco si sono astenuti dal voto per manifestare il loro rifiuto di partecipare a un tentativo di creare impressioni sbagliate e di santificare l’Unione europea e le forze che la sostengono. Il partito comunista greco aiuterà a fare ulteriore luce sul ruolo dell’UE, che, per quanto si sforzi di apparire sensibile e democratica, adotterà misure antipopolari e antidemocratiche ancora più severe e vedrà crescere la resistenza popolare.

 
  
  

Relazione Lambrinidis (A6-0190/2006)

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, osservo che, sebbene nella relazione Lambrinidis si affermi che, in linea di principio, l’integrazione è un processo bilaterale, il testo così come è stato approvato praticamente non menziona questo concetto, anzi, ripropone la solita litania dei tantissimi diritti e dei pochissimi doveri.

Ancora una volta gli Stati membri dell’Unione europea sono chiamati a operare una discriminazione positiva a favore degli immigrati, la quale, per logica conseguenza, comporta svantaggi o discriminazioni a carico della popolazione autoctona. Inoltre, agli immigrati si devono riconoscere tutti i diritti politici senza neppure chiedersi se ci sia da parte loro una qualche disponibilità all’integrazione. A un certo punto si arriva persino ad affermare che determinate consuetudini culturali e religiose non devono costituire un impedimento al godimento dei diritti da parte degli stranieri o alla loro integrazione nella società, e questo nonostante sappiamo tutti benissimo che simili affermazioni non sono altro che un modo velato per parlare delle abitudini culturali e religiose dell’islam, che costituiscono il vero tema in discussione e che sono di fatto in totale antitesi rispetto alle conquiste delle democrazie europee e ai diritti da esse garantiti.

Per questa, ma anche per molte altre ragioni, ho ovviamente votato contro l’approvazione della relazione.

 
  
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  Philip Claeys (NI).(NL) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Lambrinidis perché non propone alcuna soluzione a questi problemi; al contrario, è essa stessa parte del problema, come dimostra in maniera eloquente, ad esempio, l’affermazione secondo cui i 40 milioni di stranieri che vivono nell’Unione europea possono essere considerati come il 26o Stato membro. Per l’ennesima volta gli elettori europei fungono da capro espiatorio e si chiede, in termini velati, un’ulteriore limitazione del diritto alla libertà di espressione.

La relazione propone l’introduzione del diritto di voto per gli stranieri e della discriminazione positiva, in altri termini la discriminazione di cittadini europei a vantaggio degli stranieri. Non soltanto la prassi ci insegna che simili misure irrealistiche non funzionano, ma esse non hanno neppure un fondamento democratico. Questa relazione è l’ennesimo esempio del deficit di democrazia che esiste in Europa e dell’ingerenza dell’Unione europea – due fattori che non possono che ridurre ulteriormente la fiducia degli europei nell’Europa.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Se ci fosse stato bisogno di dimostrare il collasso delle pseudo élite politiche filoeuropee, la confusione mentale in cui esse vivono, la perdita da parte loro di punti di riferimento e lo scompiglio di valori di cui soffrono, bene, la relazione Lambrinidis lo ha dimostrato. Le proposte del relatore non sono altro che pregiudizi transfrontalieri istituzionalizzati a favore di non europei, nonché una sorta di discriminazione degli europei sul loro stesso suolo, che si accompagna, in termini finanziari, a una specie di Piano Marshall per ciò che il relatore definisce il “26o Stato dell’Unione” e, in termini politici, alla concessione unilaterale di diritti che dovrebbero essere invece riservati esclusivamente ai cittadini di uno Stato.

Si svegli, onorevole Lambrinidis: ammettere ufficialmente 40 milioni di immigrati extraeuropei significa aprire le dighe di sbarramento! Già ora gli Stati membri accantonano ogni anno centinaia di miliardi di euro per le cosiddette politiche di integrazione, che stanno fallendo clamorosamente, comportano costi per la società e ostacolano lo sviluppo economico. Non dimentichi i conflitti interetnici nel Regno Unito, non dimentichi perché è morto Theo van Gogh, non dimentichi i disordini in Francia, durante i quali i giovani hanno gridato il loro odio verso le nostre istituzioni, i nostri valori e tutto ciò per cui ci battiamo. Le società multiculturali che lei vuole creare sono bombe in procinto di esplodere.

Milioni di europei sono destinati alla disoccupazione e ad affrontare problemi sociali e condizioni abitative difficili. E’ di queste persone che dovremmo occuparci innanzi tutto.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I miei colleghi del partito conservatore britannico e io approviamo l’ampio approccio della relazione Lambrinidis e appoggiamo i numerosi elementi positivi ed equilibrati che contiene e che mirano a favorire l’integrazione degli immigrati nella società europea.

Vorremmo tuttavia ribadire la necessità di impegnarsi affinché il principio di sussidiarietà sia totalmente rispettato in tutti gli aspetti della politica in questo importante settore.

Riteniamo inoltre che la politica di asilo debba restare di competenza dei governi nazionali e non crediamo in un approccio paneuropeo come indicato nel considerando L.

Per tali motivi abbiamo deciso di astenerci dal voto sulla relazione.

 
  
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  Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Oggi vivono in Europa circa 50 milioni di immigrati, originari per la maggior parte dell’Africa e dell’Asia, e il loro numero cresce di uno-due milioni l’anno. L’esplosione di violenze etniche, l’islamizzazione di molte delle nostre città e le sfide che i nostri sistemi di sicurezza sociale, incapaci di gestire questi nuovi arrivi, devono affrontare sono le conseguenze più gravi delle ondate migratorie, tanto più difficili da assimilare in quanto gli immigrati provengono da culture estranee alla nostra civiltà.

Ben lontana dal risolvere i problemi, l’integrazione proposta dal relatore in realtà li aggrava ulteriormente. Lo scorso novembre, in Francia, tre settimane di disordini hanno ridotto in macerie decine di edifici costruiti nell’ambito di questa politica, tra cui sale di riunione, palestre e scuole. Altre proposte, quali “incoraggiare la partecipazione politica degli immigrati”, in altre parole concedere loro il diritto di voto, come vuole fare il Primo Ministro Sarkozy in Francia, non faranno che disgregare ancora di più le nostre società.

Invece di assorbire migliaia di persone in una pseudo integrazione, i nostri governi dovrebbero, primo, definire una vera politica di cooperazione con i paesi di origine, fondata sulla reciprocità, e, secondo, lanciare una forte politica a favore della famiglia al fine di garantire la sopravvivenza a lungo termine delle nostre nazioni.

 
  
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  Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Mi congratulo con l’onorevole Stavros Lambrinidis per la sua eccellente relazione sulle strategie e i mezzi per l’integrazione degli immigrati nell’Unione europea, che appoggio pienamente.

In proposito desidero ribadire la necessità di garantire un’effettiva applicazione delle direttive comunitarie sull’integrazione degli immigrati.

A tal fine, l’Unione europea deve vigilare sulla trasposizione delle direttive in materia di integrazione e sull’efficienza delle procedure amministrative che applicano le norme vigenti nella vita quotidiana degli immigrati.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Condivido le preoccupazioni del relatore; non me la sento, però, di approvare tutte le sue proposte per risolvere uno dei problemi fondamentali causati dall’immigrazione, ovvero l’integrazione.

Citerò solo alcuni esempi. Il relatore compie un’analisi sbagliata, come risulta dalle sue conclusioni, laddove confonde l’immigrazione da paesi in via di adesione (soprattutto nel passato) con l’immigrazione da altri paesi; inoltre, il relatore afferma erroneamente che gli oltre 40 milioni di cittadini stranieri di paesi terzi costituiscono il “26o Stato membro dell’Unione europea” (e il quinto in termini di popolazione); infine, nell’affrontare una questione complessa, egli sostiene semplicisticamente la tesi – poi ritirata dal gruppo GUE/NGL – secondo cui gli Stati membri devono concedere la cittadinanza agli immigrati, dimenticando che questa materia è regolamentata in maniera diversa e ha diverse ragioni d’essere.

Il fatto che nell’Unione europea esista il problema di integrare alcune comunità di immigrati dimostra che al momento nessun modello europeo funziona pienamente ed efficacemente. L’integrazione è un processo bilaterale: deve essere promossa dal paese ospitante (dalle sue autorità come dai suoi cittadini), ma deve anche essere qualcosa che gli immigrati stessi vogliono e mettono in pratica. Non riconoscere questa realtà significa consegnare l’iniziativa nelle mani dei movimenti estremisti di entrambe le parti.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) L’immigrazione è un argomento troppo serio per lasciare che se ne occupino i soli istituti demoscopici o per riconoscerle pubblicamente lo status di questione importante soltanto durante le campagne elettorali nazionali. L’immigrazione è un dato di fatto. Oltre 40 milioni di persone vivono nel territorio dell’Unione europea, la quale sembra incontrare moltissime difficoltà nel coordinare le proprie azioni in questo campo. L’Unione deve darsi da fare per definire rapidamente una politica di immigrazione coerente ed efficace. La Presidenza finlandese intende compiere progressi riguardo a questo problema spinoso rompendo la barriera dell’unanimità in seno al Consiglio dei ministri, che impedisce qualsiasi passo avanti nel settore cruciale della cooperazione giudiziaria e di polizia, allo scopo di contrastare la tratta di esseri umani e l’immigrazione illegale.

Mi auguro vivamente che questo desiderio nordico sia ben presto tradotto in realtà con l’adozione di una politica comune dal volto umano in materia di diritto di asilo, oppure con l’assegnazione di quote di immigrazione a ciascuno Stato membro, in uno spirito di collaborazione tra tutti i Venticinque. Un’altra sfida da affrontare è l’integrazione degli immigrati. Come si sottolinea nella relazione Lambrinidis, abbiamo ancora molto lavoro da svolgere nell’Unione a 25 Stati membri se vogliamo che l’integrazione vada a buon fine, soprattutto per quanto riguarda l’accesso al mercato del lavoro, la non discriminazione, l’istruzione delle donne, i programmi di apprendimento linguistico e la partecipazione politica. Se vinceremo questa scommessa, avremo compiuto un passo in direzione della pace sociale.

 
  
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  Martine Roure (PSE), per iscritto. – (FR) La politica europea per l’immigrazione non può limitarsi alla lotta contro l’immigrazione illegale; dobbiamo attuare con urgenza una politica europea mirata all’integrazione dei cittadini di paesi terzi.

La comunicazione della Commissione su un’agenda comune per l’integrazione costituisce pertanto un importante passo avanti, e l’istituzione di un Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi è senz’altro in linea con tale obiettivo. Gli immigrati devono poter beneficiare direttamente di questo Fondo, il quale deve quindi consentire loro di partecipare in modo più attivo a tutti i livelli dell’istruzione, della cultura e della politica.

Dobbiamo promuovere tra gli Stati membri uno scambio delle migliori prassi in materia di politica d’integrazione, al fine di spianare la strada a una vera politica europea per l’integrazione.

Inoltre, appoggio la proposta del relatore di stabilire procedure rapide e umane per la concessione dello status di residente di lungo periodo, per il ricongiungimento familiare e per la naturalizzazione degli immigrati di lungo periodo.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) L’Unione europea affronta il tema dell’immigrazione solamente nel quadro della strategia di Lisbona, nell’ottica di rendere la propria economia più competitiva – ovvero, lo fa dal punto di vista di aumentare la redditività del capitale europeo. Per questo motivo i suoi pronunciamenti sull’integrazione sociale degli immigrati non sono altro che un mero elenco di desideri, privi come sono di qualsiasi riferimento pratico volto a risolvere i sempre più gravi problemi che devono affrontare queste persone. Tali pronunciamenti sono di un’ipocrisia offensiva, considerato che in tutta l’Unione gli immigrati sono sottoposti alle peggiori forme di sfruttamento del capitale: hanno lavori scarsamente retribuiti e non tutelati, non godono dei diritti sociali e politici fondamentali, sono perennemente ostaggio del quadro istituzionale reazionario degli Stati membri e dell’Unione, che tiene illegalmente prigionieri milioni di immigrati.

Il partito comunista greco appoggia le giuste richieste degli immigrati, quali il riconoscimento di uno status giuridico, l’abolizione di lavori illegali e non tutelati, retribuzioni più elevate, compensi uguali per lavori di uguale valore, un’istruzione e un’assistenza sanitaria pubbliche migliori e gratuite e il pieno godimento dei diritti politici per tutti. La soluzione dei problemi degli immigrati passa attraverso la loro integrazione nel movimento dei lavoratori, la resistenza e la lotta contro la politica antipopolare dell’Unione europea e dei suoi governi, che sono responsabili della povertà e delle disgrazie che affliggono i lavoratori locali e quelli immigrati nell’Unione europea e in tutto il mondo.

 
  
  

Relazione Carlotti (A6-0210/2006)

 
  
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  Nirj Deva (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I miei colleghi del partito conservatore britannico e io approviamo l’ampio approccio della relazione Carlotti e appoggiamo i numerosi elementi positivi ed equilibrati in essa contenuti.

Siamo tuttavia contrari all’integrazione della questione dell’immigrazione nelle politiche esterne dell’Unione, come si afferma nel paragrafo 6. Noi non crediamo che una strategia comune sia il modo migliore per affrontare questo tema. Riteniamo che la politica in questo campo debba restare di competenza dei governi nazionali e non crediamo a un approccio paneuropeo alla politica dell’immigrazione.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) L’errore fondamentale dell’onorevole Carlotti, riscontrabile in tutte le relazioni del Parlamento europeo sull’argomento, è quello di ritenere che l’immigrazione, ribattezzata per l’occasione “mobilità degli esseri umani”, sia un diritto umano. No, non abbiamo tutti l’inalienabile diritto di stabilirci in modo permanente in un qualsiasi paese di nostra scelta: gli Stati devono avere la facoltà di decidere chi può entrare nel loro territorio, chi vi può rimanere e per quanto tempo.

Il pregiudizio filosofico, assurto per così dire a dogma religioso, sostenuto dalla relatrice la ha indotta a dare risposte sbagliate. E’ del tutto evidente che esiste un legame tra sviluppo e migrazione: centinaia di migliaia di persone sono costrette a emigrare a causa della povertà; ed è altrettanto ovvio, come il Front National va ripetendo da anni, che occorrono politiche di sviluppo in grado di permettere a quelle persone di restare nei paesi di origine fornendo loro i mezzi per condurvi una vita dignitosa.

Un elemento di questa politica è il rimpatrio degli immigrati nei rispettivi paesi di provenienza, di modo che questi ultimi possano beneficiare dell’esperienza e delle competenze acquisite dai loro cittadini durante la permanenza nell’Unione europea. Questa è l’unica opzione che la relazione dell’onorevole Carlotti ignora completamente, ed è per tale motivo che voteremo contro la relazione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Appoggiamo la relazione perché contiene alcuni elementi che accogliamo con favore. Tuttavia, la relazione non critica la politica di immigrazione praticata dall’Unione europea né condanna le cause sottese alla migrazione di milioni di uomini e donne in tutto il mondo.

La relazione non critica la politica per l’immigrazione dell’Unione europea, il cui obiettivo precipuo è quello di sfruttare manodopera a basso costo e priva di diritti per mezzo di misure repressive volte a criminalizzare gli immigrati, uomini e donne che vogliono semplicemente godere del diritto di vivere, cioè di poter disporre di cibo, salute, acqua, alloggio, istruzione e cultura, del diritto al lavoro e del diritto a un reddito.

La relazione, inoltre, evita di affrontare le cause dell’immigrazione, che sono radicate in un’ingiustizia sempre più profonda originata dalle politiche neoliberiste e militaristiche che stanno alla base della globalizzazione capitalista. Queste politiche di liberalizzazione e privatizzazione sono tese a promuovere la concentrazione di ricchezza e proprietà nei grandi gruppi economici e finanziari, nonché a manovrare gli Stati membri affinché agiscano nel loro interesse – il che dimostra che non hanno bisogno né di ingerenze né di guerre per imporre le loro idee.

 
  
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  Martine Roure (PSE), per iscritto. – (FR) Alla vigilia della Conferenza di Rabat è urgente ricordare che la cooperazione tra l’Unione europea e i paesi di origine degli immigrati non può limitarsi a un aiuto per rafforzare le frontiere.

Dobbiamo impegnarci in un dialogo che affronti i motivi fondamentali che inducono le persone a rischiare la vita attraversando gli oceani alla ricerca di un’esistenza migliore in Europa. Dobbiamo favorire il cosviluppo, che è più direttamente incentrato sulle persone, nell’ottica di ridurre la povertà e le disuguaglianze, che sono le cause principali dell’emigrazione. La creazione di un Fondo europeo di cosviluppo renderà permanente questo principio.

Non va infine dimenticato che la migrazione deve rappresentare un’opportunità per i paesi di origine, nel senso che noi possiamo incoraggiare gli emigrati a investire nei loro paesi di provenienza al fine di ottimizzare il loro impatto sullo sviluppo di questi ultimi.

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE), per iscritto. – (SV) Voto a favore della relazione perché non introduce norme di legge e avanza molte proposte valide. La relazione mette in evidenza concetti quali l’equità, i diritti per i richiedenti asilo e gli aiuti per l’integrazione e la cooperazione. Sono però contrario alla proposta formulata nella relazione di attribuire maggiori poteri all’Unione europea nel campo della politica di immigrazione, perché questo avrebbe un impatto negativo sia nella pratica sia dal punto di vista della democrazia. Sono contrario alla proposta di istituire nuovi fondi inefficienti, che l’Unione sarebbe incapace di gestire con successo. Sono infine contrario alla proposta, inefficace in termini di costo, di pagare i differenziali retributivi affinché coloro che hanno un reddito elevato ritornino nei loro paesi.

 
  
  

Relazione Schmidt (A6-0207/2006)

 
  
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  Jean-Claude Fruteau (PSE), per iscritto. – (FR) Con la relazione Schmidt, il Parlamento europeo ha cercato di pronunciarsi sulla necessità di conferire al commercio equo e solidale un vero e proprio quadro politico europeo.

Questo approccio è assolutamente fondamentale, poiché la pressione attualmente esercitata dalla crescente apertura dei mercati mondiali rappresenta una grave minaccia per la sostenibilità economica, ambientale e sociale dei diversi modelli agricoli applicati in tutto il mondo. Costringendo gli agricoltori a vendere i loro prodotti a prezzi sempre più bassi, tale apertura rischia di minarne il reddito ed è in parte responsabile del deterioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori agricoli e del peggioramento della situazione ambientale.

Il libero commercio può e deve contribuire a trovare un’alternativa a questa realtà, la quale, privilegiando il minimo comune denominatore, compromette il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. In tale prospettiva, la Commissione deve ora lanciare un forte segnale politico a favore di un sistema commerciale che garantisca ai produttori un reddito decente e contribuisca a eliminare qualsiasi tentazione di dumping sociale e ambientale. La crescente popolarità dei prodotti del libero commercio presso i consumatori europei è destinata a fungere da incentivo per un’iniziativa di questo tipo.

Quindi, pur deplorando il fatto che il Parlamento non abbia ritenuto opportuno propugnare l’adozione di provvedimenti tariffari speciali (un approccio differenziato, simile al sistema GSP+) a beneficio dei prodotti del libero mercato, voterò a favore della relazione Schmidt.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Pur essendo animata dalle migliori intenzioni, in definitiva questa relazione non è riuscita a cogliere il nocciolo del problema.

E’ ovvio che il produttore deve avere un reddito equo, per poter coprire i costi di produzione e garantirsi condizioni di vita accettabili, e deve inoltre essere coinvolto nel processo di collocazione dei suoi prodotti sul mercato – per citare soltanto due dei numerosi elementi positivi della relazione.

Nondimeno, le considerazioni di più ampia portata su cui poggia il cosiddetto commercio equo e solidale sono in palese contrasto con le politiche di liberalizzazione del commercio mondiale, come quelle portate avanti dall’Organizzazione mondiale del commercio (per non parlare degli accordi di libero commercio patrocinati dall’Unione europea e dagli Stati Uniti), che mirano a manipolare i sistemi produttivi dei paesi economicamente meno sviluppati al fine di soddisfare le esigenze di espansione dei grandi gruppi economici e finanziari dei paesi “nordici”.

C’è bisogno di una politica che rispetti il diritto delle persone a utilizzare le risorse naturali e a godere dei vantaggi economici e produttivi del proprio paese nell’ottica di migliorare le proprie condizioni di vita, una politica che favorisca la cooperazione a vantaggio di entrambe le parti e garantisca l’indipendenza alimentare, una politica nella quale le risorse naturali e i settori economici strategici rimangano di proprietà pubblica e sotto il controllo pubblico.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Approvo questa relazione equilibrata, che verifica in che modo i prodotti del commercio equo e solidale, il cui numero e la cui popolarità nell’Unione europea stanno aumentando, potrebbero contribuire ai nostri sforzi di porre fine all’ingiustizia sociale e di elevare gli standard di produzione nei paesi in via di sviluppo.

Appoggio alcune delle conclusioni della relazione, in particolare quella che invoca un’adeguata informazione dei consumatori, un prezzo equo per il produttore e la trasparenza lungo l’intera catena di fornitura. Ho cercato di emendare la relazione per accertarmi che le condizioni di produzione siano pienamente prese in considerazione nel concetto di “commercio equo e solidale” in riferimento all’esigenza di rispettare le otto convenzioni di base dell’Organizzazione internazionale del lavoro.

Ho presentato un emendamento anche per invitare la Commissione a cooperare con il movimento internazionale del commercio equo e solidale al fine di sostenere criteri chiari e ampiamente applicabili per valutare, alla luce degli stessi, i programmi di garanzia per i consumatori, in modo da favorire la fiducia di questi ultimi nei confronti di tali programmi. Dato che esistono già molti programmi nazionali riconosciuti dai consumatori, in questo momento non sarei favorevole a un marchio comunitario per il commercio equo e solidale. Ritengo ad ogni modo che questa opzione andrebbe presa in considerazione qualora si verifichi una proliferazione di standard e marchi tale da creare confusione tra i consumatori.

 
  
  

AIDS, è tempo di rispettare gli impegni (B6-0375/2006)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) E’ noto che oltre 65 milioni di persone in tutto il mondo hanno contratto l’HIV, che circa 25 milioni di persone sono morte e circa 15 milioni di bambini sono diventati orfani a causa dell’AIDS. La situazione è particolarmente grave nei paesi in via di sviluppo, dove vive più del 95 per cento dei 40 milioni di persone attualmente affette dall’HIV, con una concentrazione di oltre il 70 per cento nella sola Africa subsahariana.

In uno scenario così sconvolgente, voglio evidenziare il dramma delle donne, che costituiscono più della metà di tutti gli ammalati di AIDS e il 60 per cento degli ammalati di AIDS africani. Rispetto agli uomini, le donne hanno da due a quattro volte più probabilità di contrarre la malattia.

Vogliamo segnalare la dichiarazione della sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, del 2 giugno 2006, e più precisamente i suoi riferimenti alla necessità di promuovere un accesso generalizzato alle medicine, compresa la produzione di farmaci antiretrovirali generici e di altri medicinali essenziali per la cura di infezioni AIDS-correlate; riteniamo tuttavia deplorevole che tale dichiarazione non fissi obiettivi e scadenze globali per i medicinali, le risorse e la prevenzione e non delinei un piano d’azione sostenibile per sostenere l’obiettivo di garantire l’accesso generalizzato di tutti gli ammalati di HIV entro il 2010…

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
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