Indice 
 Precedente 
 Seguente 
 Testo integrale 
Resoconto integrale delle discussioni
Martedì 5 settembre 2006 - Strasburgo Edizione GU

16. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
Processo verbale
MPphoto
 
 

  Presidente. – L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0325/2006).

Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte alla Commissione.

Prima parte

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 39 dell’onorevole Manuel Medina Ortega (H-0601/06):

Oggetto: Allargamento e immigrazione illegale

Nella prospettiva dell’allargamento dell’UE, con l’adesione di nuovi paesi dell’Europa centro-orientale le cui frontiere sono di difficile controllo, quali misure propone di adottare la Commissione onde impedire che i futuri allargamenti agevolino l’ingresso nel territorio dell’Unione di immigrati clandestini provenienti da paesi terzi?

 
  
MPphoto
 
 

  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Come sapete, i nuovi Stati membri sono tenuti a garantire un elevato livello di controllo delle frontiere al momento dell’adesione. Per quanto riguarda l’innalzamento dei livelli di controllo dei confini interni, i nuovi Stati membri sono valutati da esperti degli Stati membri e della Commissione per verificare il rispetto di determinati prerequisiti, tra i quali gli elevati standard di Schengen in materia di controllo delle frontiere esterne.

Nel gennaio 2006 è iniziata la valutazione dell’acquis non SIS dei nuovi Stati membri e i primi risultati relativi alla preparazione degli stessi saranno a disposizione del Consiglio in dicembre. Sarò io a presentare la relazione ai ministri.

Per quanto riguarda l’immigrazione illegale, la Commissione ha indicato in una comunicazione adottata, come sapete, il 19 luglio le aree che considera prioritarie per il futuro. La comunicazione, in particolare, affronta il problema di come potenziare la sicurezza delle frontiere esterne, ad esempio introducendo una gestione elettronica delle frontiere “e-frontiere”, e avanza anche la proposta di creare un sistema automatizzato di controllo di ingressi-uscite. Essa inoltre prende in esame la questione delle regolarizzazioni e quella della necessità di affrontare il problema delle assunzioni di cittadini clandestini di paesi terzi.

Vorrei inoltre sottolineare che in luglio la Commissione ha adottato una proposta relativa alla creazione di un meccanismo che consenta di istituire squadre di pronto intervento alle frontiere. Tale dispositivo, che dovrebbe rafforzare la solidarietà tra gli Stati membri e la Comunità, permetterà agli Stati membri che incontrano particolari ostacoli nel controllo delle proprie frontiere esterne di avvalersi temporaneamente delle competenze e del personale delle guardie di frontiera di altri Stati membri.

 
  
MPphoto
 
 

  Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Signor Presidente, gli avvenimenti degli ultimi giorni sembrano dimostrare che l’Unione europea non è preparata per le ondate di immigranti provenienti dalle zone a ridosso dell’Unione stessa. Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che con l’adesione di Bulgaria e Romania il prossimo anno, noi come Unione europea avremo una nuova frontiera marittima sul Mar Nero, che sul Mar Nero ci sono Stati come Ucraina, Moldavia, Russia, Georgia, Armenia e Turchia e che detto mare apre le nostre porte all’intera Asia.

Intende la Commissione estendere anche al Mar Nero lo stesso sistema che è in procinto di applicare all’Atlantico per evitare che una valanga di immigrati provenienti dal continente asiatico si riversi sull’Unione europea?

 
  
MPphoto
 
 

  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, onorevoli deputati, posso rispondere all’onorevole interrogante che una delle priorità sulle quali stiamo lavorando con la Presidenza finlandese è proprio proporre, entro il mese di dicembre con una prima valutazione in ottobre, un modello europeo di sorveglianza integrata delle frontiere marittime.

Siamo consapevoli che una frontiera marittima è molto diversa da una frontiera terrestre o da una frontiera aeroportuale, ed è evidente quindi che anche il Mar Nero sarà una delle aree di attenzione.

Posso soltanto dire all’onorevole interrogante che, proprio ieri, ho incontrato di nuovo il ministro degli Interni della Bulgaria, al quale ho riproposto l’esigenza che Bulgaria e Romania si preparino in modo adeguato ad un contributo europeo forte per il controllo di una frontiera estremamente delicata.

 
  
MPphoto
 
 

  Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Che l’immigrazione illegale debba essere fermata è fuori discussione. L’esempio citato dall’onorevole Medina Ortega sottolinea pratiche che, nel suo paese d’origine, attraverso la cosiddetta legalizzazione degli immigrati illegali, stanno lanciando un messaggio sbagliato. Da questo punto di vista ritiene la Commissione che ci siano possibilità? E sta considerando l’ipotesi di invitare a porre un freno a tale fenomeno, che in ultima analisi consente agli immigrati illegali di arrivare in tutti gli altri Stati membri dell’Unione?

 
  
MPphoto
 
 

  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Lei ha citato una questione veramente prioritaria. Come ho già dichiarato in diverse occasioni, il difficile problema delle regolarizzazioni di massa rischia di mettere in crisi il principio di solidarietà tra gli Stati membri. Abbiamo affrontato la questione per la prima volta in Consiglio circa quattordici mesi fa.

In quell’occasione abbiamo deciso che tutte le misure di regolarizzazione di immigrati adottate a livello nazionale devono essere precedute da una consultazione europea che consenta alla Presidenza di turno e alla Commissione europea di esprimere il proprio parere sull’impatto della regolarizzazione sugli altri Stati membri. Anche allora abbiamo parlato del principio di solidarietà e abbiamo approvato un documento che non è ancora entrato in vigore ma che ha valore di decisione politica. Mi rivolgo pertanto a tutti gli Stati membri dell’Unione che intendono procedere a regolarizzazioni affinché rispettino l’obbligo di consultazione preliminare così da permettere agli altri Stati membri di adottare opportune misure che tengano conto della regolarizzazione di massa.

 
  
MPphoto
 
 

  James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Commissario, visto l’elevato livello di cittadinanza concesso negli ultimi anni dalla Bulgaria agli immigrati provenienti da Moldavia, Ucraina, Russia e altri paesi, quali misure concrete saranno adottate per controllare tale immigrazione indiretta attraverso Bulgaria e Romania?

Considerato che la maggior parte degli altri Stati membri non ha assorbito quella che avrebbe dovuto essere la sua giusta quota di immigrazione in occasione dell’allargamento del 2004, non sarebbe giustificato un eventuale rifiuto da parte di paesi come il mio, il Regno Unito, a mantenere l’attuale politica di apertura nei confronti di Romania e Bulgaria?

 
  
MPphoto
 
 

  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, onorevoli deputati, l’argomento è certamente assai delicato, posso confermare di aver sollevato personalmente la questione nei miei colloqui, anche recenti, con le autorità di governo sia della Bulgaria, sia della Romania.

Le risposte sono rassicuranti in quanto entrambi questi paesi candidati prossimi all’adesione si rendono conto dell’impatto che la doppia cittadinanza può avere sugli altri Stati membri dell’Unione europea, ci hanno però posto un problema di cui l’Unione europea si deve preoccupare. Si tratta del problema di paesi come l’Ucraina e la Moldova, che chiedono con forza un nuovo regime di facilitazione dei visti per l’ingresso temporaneo nel territorio dell’Unione europea. Se non consideriamo seriamente queste richieste forti di un sistema di concessione dei visti per l’Ucraina e per la Moldova, i cittadini di quei paesi cercheranno ovviamente di ricorrere a quell’escamotage pericoloso.

In merito poi alla libertà di movimento dei lavoratori è evidente che nei trattati di adesione di Romania e Bulgaria vi sono riferimenti alla possibilità di prolungare per un periodo transitorio la libertà di movimento dei lavoratori verso gli altri paesi dell’Unione europea.

La tesi della Commissione europea, per quanto riguarda i dieci nuovi paesi membri già membri dell’Unione dal 2004, è che non sussista un pericolo di invasione di lavoratori e quindi abbiamo pubblicato una comunicazione.

I due nuovi paesi membri, se, come personalmente spero, entreranno all’inizio del prossimo anno, avranno delle limitazioni, tale fatto sarà comprensibile considerando che saranno nuovi Stati membri di una seconda fase di allargamento.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 40 dell’onorevole Johan Van Hecke (H-0613/06):

Oggetto: Riserve americane di petrolio

Nel corso della settimana che si è conclusa il 16 giugno le riserve americane di petrolio greggio sono salite di 1,4 milioni di barili raggiungendo così i 347,1 milioni di barili. Le riserve americane di petrolio sono ora al livello più alto dal maggio 1998.

Al vertice UE-USA tenutosi a Vienna è stata discussa la questione del livello insolitamente elevato delle riserve petrolifere degli Stati Uniti? È possibile che gli Stati Uniti detengano riserve elevate per mantenere artificiosamente alto il prezzo del petrolio, con tutte le conseguenze negative immaginabili per l’economia europea? A quanto ammontano le importazioni di greggio americano nell’UE?

 
  
MPphoto
 
 

  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) E’ vero che le riserve di greggio e prodotti petroliferi degli Stati Uniti ultimamente hanno raggiunto livelli record. Tuttavia, l’incremento delle riserve di greggio e prodotti petroliferi in uno qualsiasi dei paesi consumatori non dovrebbe, di norma, aumentare la pressione sul prezzo del petrolio nel mondo.

E’ convinzione assodata degli esperti che i prezzi di petrolio e prodotti petroliferi si sgonfiano progressivamente in presenza di riserve nei maggiori paesi consumatori. Ciò avviene perché il premio di rischio è un elemento importante nel prezzo del petrolio sui mercati mondiali; esso viene valutato dagli operatori del mercato sulla base di considerazioni che tengono conto di diversi fattori di rischio. Oltre alle dovute considerazioni di tipo politico, la probabilità di interruzioni della fornitura a causa di inadeguata attitudine al risparmio e insufficienti livelli delle riserve costituisce un fattore di rischio primario. Pertanto, livelli elevati o addirittura record nelle riserve di greggio o prodotti petroliferi in paesi consumatori importanti come gli Stati Uniti tendono a ridurre la percezione del rischio da parte di una vasta maggioranza di operatori del mercato globale del petrolio.

Date queste premesse, non era necessario discutere la questione dei livelli di greggio e prodotti petroliferi negli Stati Uniti in occasione del vertice annuale UE-USA.

Per quanto riguarda le importazioni di petrolio dell’Unione europea dagli Stati Uniti, negli ultimi tre anni gli Stati Uniti hanno fornito all’UE quantità trascurabili – meno di un milione di tonnellate l’anno – che corrispondono a meno dello 0,2 per cento delle importazioni totali di petrolio nell’UE. In effetti, gli stessi Stati Uniti dipendono in maniera rilevante e crescente dalle importazioni di greggio.

 
  
MPphoto
 
 

  Andreas Mölzer (NI). – (DE) In effetti i progetti relativi ad autovetture alimentate ad idrogeno dai costi ragionevoli sono da anni chiusi nel cassetto. Alcuni costruttori sono ora in grado di lanciare sul mercato auto ibride allo stesso prezzo di quelle tradizionali. Quali iniziative concrete adotterà l’UE per promuovere simili iniziative finalizzate a renderci meno dipendenti dalla politica petrolifera americana oltre che dai paesi esportatori?

 
  
MPphoto
 
 

  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) E’ vero che vista la situazione dei prezzi del petrolio sono state studiate alcune iniziative, incluse nel piano in cinque punti presentato dal Commissario Piebalgs fin da settembre 2005. Tali azioni sono state ulteriormente sviluppate nel Libro verde sulla strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura.

Obiettivo della Commissione è ridurre gradualmente la dipendenza dell’UE dal petrolio di importazione creando, da un lato, efficienza energetica e sostituendolo, dall’altro, con fonti di energia alternative, come la biomassa e altre energie rinnovabili. La Commissione punta inoltre a rafforzare il dialogo produttore-consumatore con i paesi produttori sostenendo le nuove esplorazioni e lo sviluppo necessari a far fronte alla domanda globale sempre crescente; essa intende infine promuovere la trasparenza e la prevedibilità del mercato del petrolio oltre a migliorare la preparazione in caso di emergenza, in particolare assicurandosi che gli Stati membri mantengano le riserve stabilite nella legislazione comunitaria in materia.

E’ importante sottolineare che tutte queste politiche – quelle sull’utilizzo del carburante per auto, la biomassa e tutte le altre misure appena citate – produrranno effetti positivi soprattutto nel medio e lungo termine e non nell’immediato futuro.

 
  
MPphoto
 
 

  Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Uno dei nostri obiettivi, ovviamente, è rendere l’Unione europea in qualche modo più indipendente per quanto riguarda l’approvvigionamento di energia e non c’è dubbio che estendere l’utilizzo di energie alternative e rinnovabili sarebbe un passo importante in questo senso.

Quali sono i tipi di energie rinnovabili che si intende incentivare nel prossimo futuro con iniziative mirate? In che misura? E’ possibile fornire dati a tale proposito?

 
  
MPphoto
 
 

  Markos Kyprianou, Membro della Commissione – (EN) C’è un punto nel piano del Commissario Piebalgs a tale proposito e quindi non elencherò, in questa sede, quelle che sono o meno le priorità. La questione del biocarburante è una delle priorità nell’Unione europea. E’ stata discussa in seno al Collegio dei commissari e al Consiglio al pari di altri temi quali l’utilizzo dell’energia eolica e solare. Quello che posso fare, non essendo un esperto in materia, è assicurarmi che arrivi una risposta scritta del collega con maggiori dettagli sull’argomento.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 41 dell’onorevole Karl-Heinz Florenz (H-0639/06):

Oggetto: Classifica del fumo passivo quale cancerogeno

Nella sua risoluzione sul Piano d’Azione europeo Ambiente e Salute 2004-2010 del 23.2.2006 il Parlamento assecondava l’intenzione della Commissione di annoverare quanto prima il consumo di tabacco fra le sostanze cancerogene della categoria I. Di ciò tuttavia non si è fatta alcuna menzione nell’ambito della consultazione informale sulle politiche anti-fumo a livello dell’UE organizzata il 14 giugno 2006 dalla Direzione Generale Salute e Protezione dei consumatori.

Ha la Commissione adottato provvedimenti in ordine alla classifica del fumo passivo quale cancerogeno? In caso negativo, potrebbe essa spiegarne i motivi?

Intende la Commissione uniformarsi alla raccomandazione contenuta nella relazione ASPECT classificando il fumo passivo nel novero delle sostanze cancerogene? In caso negativo, potrebbe essa spiegarne i motivi?

 
  
MPphoto
 
 

  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Desidero ringraziare l’onorevole Florenz in quanto tutte le interrogazioni che presenta sul tema in discussione contribuiscono in maniera concreta alle nostre politiche.

E’ vero che si stima che il 25 per cento di tutti i casi di cancro in Europa è attribuibile al fumo. L’Organizzazione mondiale della sanità, i governi finlandese e tedesco e le agenzie statunitensi hanno già classificato il fumo da tabacco ambientale come fattore cancerogeno per l’uomo. Come ho già avuto modo di dichiarare di fronte al Parlamento in diverse occasioni in passato, le misure per un’Europa senza fumo sono una delle mie priorità principali. Prima della fine del 2006 la Commissione intende presentare un documento sugli ambienti senza fumo che tratterà delle misure da adottare in futuro per affrontare il problema del fumo passivo in Europa.

E’ vero che la consultazione informale della DG Sanco non menzionava il fumo da tabacco ambientale tra i cancerogeni, in primo luogo per il suo carattere preliminare ed informale e perché il suo obiettivo era quello di raccogliere il parere di determinati attori. Attribuiamo tuttavia una grande importanza all’opinione del Parlamento secondo cui anche il fumo da tabacco dovrebbe essere classificato come cancerogeno.

Il problema è di natura legale e non politica in quanto non c’è disaccordo tra noi. C’è una lacuna nella legislazione europea e quindi mi limiterei a due aspetti. Il nostro problema è costituito innanzitutto dal fatto che l’attuale normativa dell’Unione europea sui prodotti e le sostanze pericolosi non riguarda il fumo in sé, ma solo i prodotti che si trovano sul mercato. Pertanto c’è una lacuna nella legislazione.

Nel contempo, un analogo approccio è stato adottato anche per la legislazione relativa alla tutela dai cancerogeni sul posto di lavoro. Purtroppo, entrambe queste legislazioni si applicano solamente a sostanze e preparati presenti in commercio. Ai fini e nelle intenzioni della citata legislazione il fumo da tabacco in quanto tale non è considerato un prodotto.

Abbiamo due approcci. Da un lato, con il documento di consultazione sugli ambienti senza fumo che sarà presentato dobbiamo garantire che il fumo da tabacco ambientale sia classificato come cancerogeno – così come hanno fatto OMS, USA, Germania e Finlandia – ai fini di una corretta informazione. Allo stesso tempo, visto che i componenti e gli ingredienti del fumo sono già classificati come cancerogeni dalla legge europea – ad esempio arsenico, butadiene, benzene, ossidi di azoto e altri ossidi – non dobbiamo dimenticare di fare riferimento anche a questo fatto. Pertanto, legalmente non possiamo affermare, su questo punto, che il fumo da tabacco ambientale sia un cancerogeno, ma possiamo dichiarare che contiene componenti cancerogeni. Ritengo che questo messaggio sia sufficientemente forte. Questo è quanto possiamo fare nell’immediato futuro.

Tuttavia, nel frattempo e nel lungo termine, speriamo di trovare soluzioni e sfruttare le opportunità a nostra disposizione per utilizzare o modificare in tal senso la legislazione europea in modo da poter classificare il fumo da tabacco ambientale come cancerogeno. Entrambi questi obiettivi possono essere raggiunti modificando la legislazione esistente. C’è anche un dibattito in corso sulla revisione della legislazione sui cancerogeni sul luogo di lavoro e forse dovremmo considerare l’idea di includere anche quello. Si riferirebbe al posto di lavoro, ma sarebbe un primo passo.

In conclusione, presenteremo ogni aspetto possibile in un documento che sarà pubblicato a breve – prima della fine dell’anno. Nel frattempo, tuttavia, ci impegneremo per trovare il modo di migliorare la legislazione esistente al fine di ottenere la competenza normativa a classificare il fumo da tabacco ambientale in sé come cancerogeno.

 
  
MPphoto
 
 

  Karl-Heinz Florenz (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, considerato che ogni anno 10 000 persone in Europa perdono la vita a causa del fumo passivo, sono certo che comprenderete per quale motivo non sono particolarmente soddisfatto della vostra dichiarazione.

Capisco che la legge presenti lacune ma, se non vado errato, è vostro compito colmarle. Se ripensiamo al modo in cui, ai tempi della crisi per l’ESB, abbiamo reagito a un vago sospetto di rischio stravolgendo completamente la politica alimentare europea per uno o due anni, dobbiamo veramente fare qualcosa di più per il problema in esame, che è invece suffragato da fatti concreti come la presenza di 10 000 vittime l’anno.

Vi informo che il mio gruppo sicuramente si adopererà per adottare, su questo tema, una relazione d’iniziativa in tal senso che possa esservi di supporto.

 
  
MPphoto
 
 

  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Sono assolutamente d’accordo. Potrei anche segnalare i problemi citati oggi in un articolo, se non sbaglio, sulla stampa inglese, causati al sistema respiratorio, ai polmoni, e i problemi respiratori causati dal fumo passivo. Sappiamo anche che provoca disturbi cardiaci.

Il nostro obiettivo, come si vedrà dal documento che presenteremo, è un ambiente privo di fumo nell’Unione europea. Tutti gli argomenti citati ci spingono in questa direzione. Continueremo a lottare per raggiungere questo obiettivo, ma nel frattempo cercheremo di individuare quali sono le modifiche alla legislazione in vigore necessarie affinché possiamo procedere con la nostra classifica. Se possono farlo gli Stati membri e le organizzazioni internazionali non vedo perché l’Unione europea non dovrebbe avere la possibilità di farlo.

 
  
MPphoto
 
 

  David Martin (PSE). – (EN) Signor Commissario, forse ha visto sulla stampa – certamente quella inglese – questa settimana una serie di articoli su un imprenditore tedesco che vuole organizzare voli per fumatori tra Europa e Asia.

In primo luogo, lei, signor Commissario condanna una simile iniziativa e, in secondo luogo, c’è qualcosa che la Commissione può fare, legalmente, per impedire che ciò accada?

 
  
MPphoto
 
 

  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Temo di no. Non so chi possa desiderare di volare in quel modo. Io stesso ho condotto un piccolo sondaggio chiedendo ad alcuni fumatori se avrebbero volato in un aereo pieno di fumo e mi hanno risposto “no”.

Come sapete non esistono norme comunitarie che vietino il fumo sugli aerei. Su questo punto sono gli Stati membri a decidere. La materia, pertanto, continuerà a far parte delle competenze degli Stati membri. Visti i recenti messaggi a favore della lotta al tabagismo provenienti dalla Germania mi auguro che si occuperanno del problema e che apposite norme entrino in vigore nel 2007.

 
  
MPphoto
 
 

  Richard Seeber (PPE-DE). – (DE) Anche se nessuno di noi vuole vivere in un mondo in cui è tutto proibito, ritengo che il fumo – e in particolare quello passivo – sia un fenomeno per cui le nostre azioni arrecano danno ad altri. Alberghi e ristoranti si sono impegnati a riservare alcune zone al loro interno da destinare ad aree non fumatori, ma questo non è altro che un impegno volontario. State considerando l’idea di porre in essere un regolamento a livello europeo che preveda l’obbligo di destinare alcune aree ai non fumatori e la cui esecuzione sia effettivamente monitorata, visto che l’efficienza dei controlli varia molto da uno Stato membro all’altro?

 
  
MPphoto
 
 

  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Come certo saprete ho la mia opinione in merito, ma non voglio anticipare i risultati del processo di consultazione sugli ambienti senza fumo che avrà presto inizio. Sulla base di tali risultati decideremo quali saranno le prossime azioni da intraprendere a livello europeo.

Mi compiaccio molto nel vedere che uno Stato membro dopo l’altro sta introducendo divieti di fumo nei luoghi pubblici. Recentemente Lituania e Slovenia hanno adottato decisioni in tal senso e la Germania si appresta a farlo nel prossimo futuro. Tuttavia, per quanto riguarda la Comunità europea nel suo complesso, la Commissione attenderà i risultati del processo di consultazione prima di decidere come muoversi. Come ho dichiarato in occasione dell’audizione presso le commissioni parlamentari, il mio obiettivo è avere un’Europa senza fumo e tutelare tutti i cittadini dal fumo passivo, non solo in alcuni Stati membri.

La mia opinione personale è che separare i fumatori dai non fumatori non sia sufficiente e che non costituisca una tutela sufficiente. Se davvero vogliamo ottenere benefici per tutti dobbiamo procedere con divieti assoluti di fumare. Tuttavia, attendo con impazienza il contributo del Parlamento al processo di consultazione.

 
  
  

Seconda parte

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 42 dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0599/06):

Oggetto: Misure di sostegno a favore delle piccole e medie imprese

Nel 2005, nell’Unione europea dei Quindici 140.000 società hanno dichiarato lo stato di insolvenza ponendo in pericolo 1,5 milioni di posti di lavoro. Nello stesso anno in Grecia è stato registrato, rispetto al 2004, un considerevole aumento delle piccole e medie imprese che hanno dichiarato fallimento (+ 54,55%). Alla luce di tali dati quali provvedimenti immediati intende assumere la Commissione per salvare le piccole e medie imprese?

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, devo anzitutto segnalare che la Commissione non risponde direttamente delle questioni riguardanti la legislazione fallimentare. Ciononostante, l’importanza che l’argomento riveste per le piccole e medie imprese spinge la Commissione ad agire quale intermediario.

Abbiamo fatto in modo di rendere pubbliche procedure di collaudata efficienza, incoraggiando gli Stati membri ad adottarle. La Commissione ritiene che la sua missione consista nel prevenire lo stato di insolvenza e nel promuovere la ristrutturazione anziché il fallimento delle imprese. Stiamo provvedendo all’elaborazione di misure più indulgenti nei confronti dell’insolvenza non fraudolenta, e stiamo valutando inoltre come sostenere i nuovi avvii e offrire una seconda opportunità alle imprese.

Nella Carta europea per le piccole imprese si fa riferimento alla possibilità che si verifichi uno stato di insolvenza nonostante l’assunzione responsabile di iniziative e di rischi imprenditoriali, e di conseguenza si auspica un riesame delle leggi fallimentari nazionali sulla base delle buone prassi. Si sono già intraprese varie azioni in questo senso. Già nel 2001 a Noordwjik si era tenuto un seminario sul fallimento delle imprese, i cui principali argomenti discussi sono stati il miglioramento della legislazione fallimentare e la prevenzione dell’insolvenza. Verso la metà del 2002 fu pubblicato lo studio “Bankruptcy and a Fresh Start” (Fallimento e nuovo inizio), che comprendeva una raccolta di dati sulle conseguenze giuridiche e sociali dello stato di insolvenza delle imprese.

Questo studio rappresenta la base della procedura Best della Commissione “Ristrutturazioni, fallimenti e nuovo inizio” del 2003, che riguardava due argomenti specifici, ossia fino a che punto la legislazione nazionale sull’insolvenza costituisse un ostacolo alla longevità di un’impresa e al suo nuovo inizio, e quale effetto produca la macchia del fallimento sulle prospettive di successo di un’impresa che riparte dopo il tracollo e sulla cultura imprenditoriale in generale.

I risultati di questo progetto sono stati presentati in una relazione volta a sostenere la tendenza politica europea a introdurre cambiamenti nel quadro legislativo delle norme fallimentari. Le principali raccomandazioni e i parametri di riferimento andavano dall’enfasi posta sull’inutilità dei suggerimenti esterni per prevenire lo stato di insolvenza, soffermandosi sul ruolo di una legislazione fallimentare aggiornata e affidabile nella promozione di insediamenti e misure di ristrutturazione, fino a considerare l’importanza di una chiara distinzione tra la bancarotta fraudolenta e non fraudolenta, oltre a esporre le varie conseguenze giuridiche pertinenti. La relazione ha consentito di compiere notevoli progressi a livello europeo verso la riforma del diritto fallimentare.

In risposta ad alcune indicazioni proposte nel Libro verde “L’imprenditorialità in Europa”, nel 2004 la Commissione aveva esteso il piano d’azione relativo alla politica dell’imprenditorialità, includendovi una misura prioritaria sullo stato di insolvenza delle imprese, con tre obiettivi specifici.

Il primo obiettivo prevedeva che gli Stati membri fossero incoraggiati ad applicare le raccomandazioni che il gruppo di esperti aveva riportato nel documento “Ristrutturazioni, fallimenti e nuovo inizio”. Il secondo mirava a una migliore comprensione del fenomeno del fallimento delle imprese, mentre il terzo riguardava la promozione di misure preventive per le imprese a rischio.

In riferimento al secondo e al terzo obiettivo, la Commissione sta sviluppando, nel contesto del progetto pluriennale “Stigma of failure and early warning instruments” (Stigma del fallimento e meccanismi di allarme precoce), un documento informativo e una serie di test di autovalutazione finalizzati a sviluppare negli imprenditori la capacità di riconoscere preventivamente, finché sussistono buone possibilità di ottenere aiuti, i fattori di rischio che colpiscono la loro impresa.

Il 28 marzo 2006 a Bruxelles la Commissione ha partecipato a una conferenza sul tema “Insolvency and a fresh start” (Fallimento e nuovo inizio), in cui sono stati illustrati i metodi per la prevenzione dello stato d’insolvenza, le strategie per affrontare le conseguenze negative del fallimento e l’incoraggiamento verso i nuovi inizi successivi a uno stato di insolvenza non fraudolenta.

Abbiamo ricevuto segnali positivi in merito all’applicazione di queste priorità a livello nazionale attraverso i programmi nazionali di riforma per il 2005 collegati alla strategia di Lisbona, presentati da circa un terzo degli Stati membri, tra i quali figura anche la Grecia, e comprendenti i progetti di riforma sulle leggi fallimentari relative ai singoli paesi.

 
  
MPphoto
 
 

  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE).(EL) Signora Presidente, la ringrazio molto per la risposta soddisfacente e per i dettagli sugli interventi attuati dalla Commissione e dal Consiglio.

Vorrei ora domandare se le mansioni internazionali dell’Unione europea prevedono un contributo relativo allo stato di insolvenza e al fallimento improvviso degli imprenditori.

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Come ho precedentemente affermato, non abbiamo alcun potere operativo in questo ambito a livello europeo, e di conseguenza non possiamo intervenire se non attraverso la legislazione o sul piano internazionale. Come le ho spiegato, l’unica azione possibile consiste nel verificare che si producano le migliori condizioni in ambito legislativo attraverso la cooperazione, il coordinamento e la condivisione delle esperienze degli Stati membri. Come le ho fatto presente, vi sono alcuni paesi in cui ciò è già avvenuto, mentre altri sono ancora in fase di elaborazione, e in alcuni di essi la situazione è tuttora insoddisfacente.

Ciò che posso dichiarare al momento è che riserveremo particolare attenzione a questo argomento durante la preparazione della prossima relazione annuale sull’attuazione della strategia di Lisbona, prendendo in considerazione soprattutto quei paesi le cui leggi sull’insolvenza costituiscono ancora un ostacolo alla crescita e all’occupazione.

 
  
MPphoto
 
 

  Alexander Stubb (PPE-DE). – (EN) Non posso fare a meno di sottolineare con ammirazione la capacità della Commissione di rispondere alle domande specifiche e complesse sulle PMI in Grecia.

Liberalizzare i mercati e, in particolare, attuare le quattro libertà fondamentali già esistenti, è quanto di meglio possiamo fare per quanto concerne le piccole e medie imprese. La domanda che le pongo è la seguente: può oggi garantirci che opporrà resistenza alle pressioni cui siamo sottoposti da molti sindacati, soprattutto quelli tedeschi, che intendono affossare ulteriormente la direttiva “Servizi”, esito di un fruttuoso compromesso tra il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo?

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Sebbene debba ammettere che mi sfugge la relazione tra la domanda dell’onorevole deputato e il problema della legge sullo stato di insolvenza di cui stiamo discutendo, voglio comunque dare una risposta. La Commissione è fermamente determinata a fare quanto è in suo potere per assicurare che la direttiva sui servizi venga attuata nella forma concordata con questa Assemblea.

 
  
MPphoto
 
 

  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, quando le grandi imprese falliscono, spesso accade che molte piccole imprese non vedano saldati i loro conti. E’ lecito in tali casi considerare la possibilità che, almeno per un certo periodo, il Fondo europeo per gli investimenti garantisca i pagamenti o finanzi un prestito di partecipazione per le insolvenze?

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Sono certo che comprenderà che questa possibilità va esaminata in separata sede, poiché una mia eventuale risposta in merito costituirebbe un impegno preso a nome di istituzioni di cui non rispondo direttamente. In termini più generali mi sembra assolutamente plausibile la possibilità di utilizzare anche in questi casi gli strumenti che abbiamo a disposizione per migliorare le conseguenze di un cambiamento strutturale improvviso. Di conseguenza è assolutamente lecito ipotizzare strumenti finanziari creativi in casi particolari, ma questi ultimi andrebbero assolutamente esaminati singolarmente.

Ci troviamo nuovamente di fronte al problema dell’inapplicabilità della legislazione europea alle condizioni contestuali presenti.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 43 dell’onorevole Jan Andersson (H-0626/06):

Oggetto: Politica industriale

Fautore di una politica industriale europea integrata, l’interrogante non può fare a meno di rilevare che essa è fin troppo unilateralmente finalizzata al mantenimento della concorrenzialità, indubbiamente rilevante per lo sviluppo dell’apparato industriale, il che non toglie che sarebbe quanto mai opportuno tenere maggiormente conto degli aspetti legati alla politica occupazionale.

In qual modo intende la Commissione recepire la politica occupazionale nella politica industriale integrata?

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) In un mondo globalizzato, la competitività dell’industria europea è fondamentale per la crescita e l’occupazione. Le proposte avanzate dalla Commissione per una politica industriale moderna sono specificamente mirate non solo a fare il miglior uso possibile del potenziale industriale europeo per l’occupazione, ma anche al suo ulteriore ampliamento.

Esiste, dunque, un collegamento diretto tra la politica occupazionale e la politica industriale. Le sono grato per la domanda, che mi consente di chiarire che la politica industriale cui si rivolge il mio impegno e quello della Commissione, non tende a difendere gli “interessi delle parti interessate”; al contrario, lo scopo principale è garantire posti di lavoro a lungo termine e di elevata qualità in Europa.

Il principale obiettivo del mio impegno politico è garantire alle persone un numero sufficiente di posti di lavoro di buona qualità. A differenza di una posizione in precedenza condivisa in ambito europeo, oggi siamo più che mai convinti che questo scopo non potrà essere raggiunto senza una solida base industriale europea, ossia senza un’industria sana, competitiva e dai grandi rendimenti.

Vorrei inoltre segnalare alcuni aspetti della nostra politica specificamente dedicati al legame tra la politica industriale e la politica occupazionale. In particolare voglio ricordare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, disposto sotto indicazione della Commissione e avente lo scopo primario di sostenere, attraverso i fondi stanziati, i lavoratori colpiti da cambiamenti strutturali rapidi, aiutandoli ad acquisire ulteriori qualifiche o a cercare un nuovo posto di lavoro.

Intendo sottolineare che la Commissione è impegnata nell’elaborazione di una politica che sappia rimediare alla carenza di competenze attraverso lo sviluppo dei ruoli lavorativi e l’aumento delle opportunità di occupazione in vari comparti, in particolare nel campo della tecnologia dell’informazione e della comunicazione, della costruzione dei macchinari, dell’industria tessile e dell’industria del cuoio e delle pelli, nonché nei settori della produzione delle materie prime e manifatturiero.

Inoltre l’Unione europea è attualmente impegnata a migliorare le relazioni in ambito lavorativo e sostiene intensamente la responsabilità sociale d’impresa. La sua domanda mi offre altresì l’opportunità di comunicare alle imprese europee che il raggiungimento di alti profitti non può essere il loro unico obiettivo, poiché un’impresa europea ha anche una funzione sociale da adempiere. Ha una responsabilità nei confronti della società, e tale responsabilità si esprime principalmente attraverso i posti di lavoro che fornisce.

Come si può osservare, considerare la nostra politica industriale completamente avulsa dalla politica in materia di occupazione darebbe luogo a una distinzione piuttosto artificiale. Forse la definizione adeguata potrebbe essere sintetizzata in una sola frase: una politica industriale moderna in Europa è un contributo essenziale e indispensabile allo sviluppo delle opportunità di occupazione.

 
  
MPphoto
 
 

  Jan Andersson (PSE).(SV) La ringrazio molto per la sua risposta, che ho trovato adeguata. Come lei, neanch’io riscontro alcuna incompatibilità tra la politica di concorrenza e la politica in materia di occupazione. Credo però che in futuro dovremmo valorizzare meglio quest’ultima. E’ importante che l’Europa disponga di una politica industriale forte, se vogliamo assicurare soddisfacenti opportunità di occupazione. Ma alla luce della crescita demografica, è anche essenziale che queste stesse opportunità di occupazione siano di alta qualità e che il nostro impegno si concentri su aspetti quali lo sviluppo delle competenze, finalizzato a stimolare l’inserimento dei giovani nel settore industriale. Il gioco di concorrenza non deve ostacolare l’introduzione di nuovo personale. Tenendo conto dell’andamento demografico, risolvere questo problema è un compito davvero importante.

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Non posso che confermare all’onorevole deputato la mia totale approvazione. Quanto lei ha espresso è assolutamente in linea con l’operato della Commissione, e questa interrogazione mi rende palese la necessità di intensificare l’informazione e di migliorare la comunicazione.

Ho l’impressione che finora in Europa non tutti abbiano inteso il reale scopo della nostra strategia, e pertanto mi sia consentito ribadire che l’intenzione fondamentale di questa Commissione è attuare una politica volta alla crescita e all’occupazione. Questo è l’oggetto primario e il principale obiettivo. Oltre all’elevato numero di mezzi a nostra disposizione, la politica industriale è uno degli strumenti a nostra disposizione per conseguire l’obiettivo di crescita e occupazione.

 
  
MPphoto
 
 

  Philip Bushill-Matthews (PPE-DE). (EN) Accolgo con molto piacere le sue risposte, ma vorrei porle una domanda. E’ d’accordo che una maggiore flessibilità, in particolare attraverso un riesame della direttiva sull’orario di lavoro, potrebbe giovare all’occupazione e alla competitività, e in tal caso si impegnerebbe personalmente a promuovere questo progetto?

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Come lei saprà, non dispongo di alcun potere decisionale, e non è assolutamente nelle mie intenzioni invadere le sfere d’azione dei miei colleghi Commissari, allo stesso modo in cui questi ultimi non interferiscono sulle materie di mia competenza. Le risponderò, con la dovuta cautela, che in tutti i documenti della Commissione sul tema della necessità di riforme in Europa si denuncia la rigidità eccessiva e la scarsa flessibilità del mercato del lavoro, benché in relazione a settori specifici e a determinati Stati membri. In tali documenti si sostiene inoltre che una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro, sebbene si faccia sempre riferimento a descrizioni precise relative a situazioni specifiche, contribuirebbe allo sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale, incoraggerebbe l’assunzione del rischio e favorirebbe l’aumento dei posti di lavoro.

In linea di principio, quindi, le posso dare una risposta affermativa: un mercato del lavoro più flessibile è, nel XXI secolo, una componente fondamentale della risposta ai problemi strutturali che ci riguardano.

 
  
MPphoto
 
 

  Richard Seeber (PPE-DE).(DE) Se si osservano le più recenti statistiche sull’occupazione, risulta evidente che il settore primario e quello secondario, cioè l’agricoltura e l’industria, stanno patendo, insieme al settore dei servizi, una massiccia inversione di tendenza in tutti i paesi industrializzati.

Siccome è mia opinione che il futuro risieda nel settore dei servizi, domando: se la Commissione afferma di essere impegnata nell’elaborazione di una strategia per l’occupazione e la crescita, non sarebbe più sensato concentrare le energie in questo ambito?

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Si potrebbe intavolare un dibattito estremamente interessante su questo tema, ma la mia risposta è un chiaro “no”. Sarà forse sorpreso dall’estrema decisione della mia riposta, ma è un errore fondamentale pensare che sia possibile perseguire una politica che favorisca il settore dei servizi rispetto all’industria manifatturiera. In realtà il settore terziario non gode di alcuna possibilità di sviluppo in assenza di un’industria manifatturiera forte che ne acquisti i servizi.

Se osserviamo la realtà economica degli Stati membri che presentano un’alta proporzione di aziende di servizi, noteremo che molte attività in questo settore si sono separate dall’industria, ma hanno sostanzialmente conservato la loro essenza. Siamo dunque persuasi che senza una base industriale forte ed efficiente non sarebbe possibile tendere a quell’espansione del settore dei servizi che si prospetta necessaria per risolvere il problema dell’occupazione. Credo che i due fattori vadano considerati come strettamente collegati.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 44 dell’onorevole Seán Ó Neachtain (H-0638/06):

Oggetto: Ridurre le lungaggini amministrative per le piccole imprese in Europa

Può la Commissione elencare in una dichiarazione le diverse misure che ha introdotto negli anni 2005 e 2006 per ridurre le lungaggini amministrative a favore delle piccole imprese che operano nell’Unione europea?

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Signora Presidente, devo riconoscere che la mia difficoltà nel trattare tale questione consiste nel fatto che il volume stesso delle recenti attività della Commissione e le iniziative in materia è tale da richiedere tempi lunghissimi per elencare tutto ciò che stiamo attualmente realizzando. Pertanto, presenterò una sintesi, utile anche a far risparmiare tempo al Presidente.

Lo snellimento della burocrazia e la riduzione dei costi amministrativi per le piccole e medie imprese, migliorando tra l’altro la qualità della normativa comunitaria, è uno dei principali progetti politici della Commissione, vale a dire ciò che rappresenta questa Commissione.

Abbiamo determinato un concreto cambiamento di paradigma. Attualmente siamo impegnati in un’analisi sistematica dell’intero corpus della legislazione europea – e con questo intendo realmente legge per legge, disposizione per disposizione – per valutare l’opportunità di semplificarlo e, in particolare per quanto riguarda le piccole e medie imprese, se esso contenga disposizioni che pongono ostacoli sulla loro strada.

Come è noto al Parlamento, la Commissione ha riservato alla politica per le PMI il posto che merita nel cuore del nostro pensiero economico poiché sono loro, piuttosto che le grandi imprese, a costituire la forza decisiva in Europa, e ciò di cui hanno bisogno è ottenere maggiore libertà e responsabilità per le proprie attività. Esse necessitano di un contesto che consenta loro di svilupparsi.

Crediamo fermamente che il progetto “Riduzione della burocrazia e miglioramento della legislazione” sia un compito trasversale per tutta la Commissione, un compito che coinvolge tutte le direzioni generali, e fornirà un contributo determinante per rafforzare il ruolo delle PMI e incoraggiare sempre più cittadini in Europa ad avviare una propria attività, ad assumersi rischi, e offrire così posti di lavoro ad altri cittadini.

Signora Presidente, per questione di tempo, forse dovrei proporre di presentare all’onorevole parlamentare la versione completa della mia risposta, che espone nei dettagli tutte queste iniziative, e sono inoltre disponibile a fornire ogni ulteriore informazione necessaria.

 
  
MPphoto
 
 

  Seán Ó Neachtain (UEN).(EN) Desidero ringraziare il Commissario per la risposta, e nonostante abbia segnalato la necessità di disporre di più tempo per illustrare tutte le misure adottate, mi sento comunque incoraggiato dalla sua reazione.

Signor Commissario, concorda sul fatto che siamo ben lungi dall’aver raggiunto gli obiettivi dell’agenda di Lisbona e che siamo rimasti indietro rispetto alle misure necessarie per il coordinamento e lo sviluppo delle PMI secondo gli obiettivi dell’agenda di Lisbona stabiliti inizialmente?

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Io non porrei la questione in termini così duri. Lo scorso anno, mi sarei espresso allo stesso modo dell’onorevole parlamentare. Tuttavia, nel frattempo, come saprà, la strategia di Lisbona, ossia la strategia per la crescita e l’occupazione di cui ho appena parlato, decisa nella scorsa primavera, è stata sottoposta a completa revisione. Senza voler anticipare la relazione che la Commissione presenterà alla fine di questo anno, ritengo di poter affermare che stanno in effetti cominciando ad emergere risultati positivi. E’ possibile riscontrarli nelle politiche degli Stati membri, e anche nell’economia europea.

Non so se gli onorevoli deputati hanno avuto la mia stessa impressione nel leggere i giornali di oggi, ma per la prima volta da lungo tempo si legge che la crescita produttiva in Europa e la crescita economica in generale ha superato quella del Giappone e degli Stati Uniti. Stiamo crescendo, ancora una volta, in maniera più rapida dei nostri concorrenti americani e giapponesi. Questo significa che il divario comincia a ridursi, e spero che questa tendenza continuerà.

Si tratta solo di un primo indizio, ma mi induce a sperare e mi dimostra che siamo sulla strada giusta.

 
  
MPphoto
 
 

  James Hugh Allister (NI).(EN) Signor Commissario, senza voler essere scortese, non è corretto affermare che la Commissione non ha raggiunto gli ambiziosi risultati promessi per quanto riguarda la riduzione della burocrazia? Infatti, non è privo di rilievo che, nonostante la promessa di presentare alcuni esempi in un documento scritto, oggi non è stato in grado in sostanza di fornirci nella sua risposta un solo esempio concreto di tale riduzione della burocrazia. Dall’esperienza maturata nella mia circoscrizione posso affermare che nelle aziende non c’è segno di tale snellimento. Sulle imprese gravano sempre più fattori che ne ostacolano seriamente la competitività.

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Sono spiacente di dover contraddire l’onorevole parlamentare, ma è vero l’esatto contrario.

Nel tempo relativamente breve seguito al lancio di questa iniziativa, abbiamo raggiunto più di quanto avrei mai immaginato. In primo luogo, com’è noto all’onorevole parlamentare, quale provvedimento iniziale abbiamo ritirato un terzo di tutta la normativa in sospeso senza sostituirla. In secondo luogo, abbiamo trasformato le procedure legislative e introdotto la valutazione d’impatto completa obbligatoria, che di per sé comporta un considerevole miglioramento della qualità della normativa attuale. Gli onorevoli deputati avranno modo di notarlo qui in Parlamento durante le discussioni sulle proposte presentate dalla Commissione.

In terzo luogo, il programma di semplificazione è in pieno svolgimento. Mi rammarico di dover dire che la Commissione compie progressi in materia molto più rapidamente rispetto alle altre Istituzioni. Accolgo sempre con favore le critiche, che però sarebbero molto più facilmente accettabili se la prontezza con la quale Consiglio e Parlamento decideranno in merito alle proposte di semplificazione che la Commissione ha già presentato alle altre Istituzioni fosse pari alla prontezza con la quale la Commissione le ha presentate.

 
  
MPphoto
 
 

  David Martin (PSE).(EN) Signor Commissario, non crede che le sue belle parole sulle piccole e medie imprese godrebbero di maggiore credibilità se i nostri fondi per la ricerca non discriminassero le piccole imprese? Sono a conoscenza di un caso che riguarda due aziende – una grande e una piccola – che partecipano allo stesso programma, in cui l’azienda di maggiori dimensioni sarà sottoposta a revisione alla fine del programma e riceve i contributi in anticipo, mentre l’azienda di minori dimensioni deve sottoporsi a una revisione annuale, a proprie spese, e riceve i fondi a posteriori. Non ritiene, signor Commissario, che si tratti di un capovolgimento di quelle che dovrebbero essere le priorità?

 
  
MPphoto
 
 

  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Non mi è possibile rispondere a questa domanda senza essere a conoscenza del caso specifico. Pregherei l’onorevole parlamentare di fornire la documentazione pertinente a me o a chiunque dei miei colleghi Commissari ne sia responsabile – non so quale sia l’ambito di competenza in cui quanto riferito abbia avuto luogo – e successivamente il caso verrà esaminato. Ad ogni modo, non esiste alcuna politica della Commissione tesa a favorire le grandi imprese rispetto alle piccole imprese. E’ vero l’esatto contrario.

Le condizioni che le piccole e medie imprese devono soddisfare per presentare offerte d’appalto e progetti sono sensibilmente meno rigorose di quelle previste per le imprese di dimensioni maggiori. Le PMI, inoltre, hanno la possibilità di ricevere sostegno in percentuale maggiore rispetto alle grandi imprese. Sono sorpreso dall’esempio pratico presentato dall’onorevole deputato. Non può essere la regola – si tratterà di un caso isolato – e sarò lieto di verificarlo. Le chiederei di fornirci tutte le informazioni pertinenti.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – L’interrogazione n. 45 riceverà risposta per iscritto.

Annuncio l’interrogazione n. 46 dell’onorevole Paulo Casaca (H-0597/06):

Oggetto: Dati sulla stagione di caccia primaverile a Malta

Dall’adesione di Malta all’UE nel 2004, la decisione del governo maltese di consentire la caccia nella stagione primaverile ha provocato l’indignazione di migliaia di cittadini europei. Da allora i deputati del Parlamento hanno fatto pressioni sulla Commissione in favore di un divieto della caccia primaverile sull’isola, in quanto la deroga è incompatibile con la direttiva UE sugli uccelli (79/409/CEE(1)). Nella sua risposta all’interrogazione E-1318/06 del giugno 2006 la Commissione afferma di nutrire seri dubbi circa la rivendicazione di Malta secondo cui le opportunità venatorie in autunno sono minime e pertanto la deroga per la stagione primaverile è giustificabile. La Commissione ha tuttavia sollecitato le autorità maltesi a presentare ulteriori statistiche per giustificare la propria posizione.

Può la Commissione specificare se ha ricevuto dati supplementari (soddisfacenti) finora e, in caso contrario, quando – finalmente – prevede di prendere una decisione sulla compatibilità della deroga per la caccia primaverile a Malta per chiudere rapidamente questo dossier?

 
  
MPphoto
 
 

  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EL) In generale la direttiva “uccelli” proibisce la caccia nella stagione primaverile. Quest’ultima viene consentita solo nel caso in cui sussistano determinate precondizioni, la principale delle quali è l’assenza di periodi alternativi soddisfacenti.

Alcuni Stati membri che hanno finora richiesto questo genere di deroga non sono stati in grado di dimostrare l’assenza di periodi alternativi soddisfacenti per la caccia, per esempio, nella stagione autunnale.

In primavera la caccia è proibita poiché gli uccelli selvatici migrano verso i relativi siti di riproduzione. Sono uccelli che, sopravvissuti all’inverno e a molte altre avversità, si dirigono verso i siti in cui avrà luogo la riproduzione. Esiste dunque una ragione evidente per cui la caccia degli uccelli selvatici è sospesa durante questa stagione.

L’aspetto ancora più importante, per quanto riguarda la situazione specifica di Malta, è che la Commissione ha chiesto al governo del paese di fornire informazioni sulla caccia agli uccelli nel 2004 a far data dall’autunno dello stesso anno. Le autorità maltesi hanno invece inviato i dati riguardanti la primavera del 2004.

La Commissione ha esaminato attentamente i dati pervenuti al fine di valutare la sussistenza delle condizioni idonee a una deroga e, nella fattispecie, l’assenza di periodi alternativi soddisfacenti, giungendo alla conclusione che le suddette precondizioni non sussistevano. In seguito alla considerazione che nella stagione autunnale è presente un numero di quaglie e di tortore che non si discosta in modo significativo dalla quantità di uccelli cacciati nella stagione primaverile, e facendo riferimento alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, la Commissione ha valutato la sussistenza di periodi alternativi soddisfacenti e la conseguente inammissibilità della deroga.

A seguito di questa decisione, nel luglio 2006 la Commissione ha avviato un procedimento legale contro Malta per violazione della direttiva “uccelli”, in quanto aveva permesso di cacciare queste due specie nella stagione primaverile.

Va detto che simili procedure d’infrazione sono state avviate anche contro altri Stati membri, per il fatto che non risultavano soddisfatte le precondizioni necessarie per applicare una deroga, e che proprio sulla base di questo motivo sono state emesse alcune sentenze, come nei casi recenti di Spagna e Finlandia.

 
  
MPphoto
 
 

  Paulo Casaca (PSE). (PT) Signora Presidente, facendo seguito alla risposta del Commissario, vorrei domandare se non consideri un errore grossolano prendere una simile decisione unicamente sulla base delle statistiche raccolte dai cacciatori. Non sarebbe più consono per la Commissione adottare una prospettiva che indaghi più da vicino la realtà della situazione, tenendo in considerazione quanto espresso dalla stampa maltese e dall’ambiente associativo del birdwatching?

 
  
MPphoto
 
 

  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) Sono a conoscenza dei dubbi nutriti riguardo ai dati che ci sono stati presentati dalle autorità maltesi, tuttavia anche soltanto a partire da questi dati abbiamo tratto la conclusione che non esistono le condizioni per una deroga al divieto di caccia nella stagione primaverile e abbiamo avviato le procedure di infrazione contro Malta. Che altro possiamo fare? E’ nostra intenzione dimostrare a tutti la nostra serietà nell’applicazione della direttiva “uccelli”, che comprende questo provvedimento. In caso contrario, se inviassimo segnali contrastanti, molti altri paesi si sentirebbero autorizzati a pensare che abbiamo affossato i provvedimenti della direttiva “uccelli” e potrebbero chiedere una deroga. Abbiamo avviato le procedure d’infrazione, e sarà ora nostra cura osservare se le autorità maltesi vi si atterranno e bandiranno la caccia durante la stagione primaverile.

 
  
MPphoto
 
 

  Bart Staes (Verts/ALE). – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, la discussione in atto si basa sui dati relativi al 2004, ma la stampa maltese informa che nella primavera del 2005 e del 2006 è stato cacciato un discreto numero di uccelli migratori, e che buona parte di questi è stata uccisa.

Vorrei chiedere se le autorità maltesi hanno già inviato alla Commissione una relazione sull’esenzione relativa alla stagione di caccia nella primavera del 2005 e quali sono i loro doveri in questo ambito. Credo che la consegna di questo documento scadesse lo scorso giugno. Il documento è pervenuto? In tal caso, potreste darci un’idea in merito al contenuto e a che titolo si invoca l’esenzione? In caso contrario, quando prevedete di ricevere tale relazione?

 
  
MPphoto
 
 

  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) Entro la fine del mese in corso avrà luogo un incontro tra le autorità maltesi e i rappresentanti della DG Ambiente. In tale sede si procederà alla discussione di vari argomenti, tra cui la reiterazione del permesso di caccia alle quaglie e alle tortore da parte di Malta durante il periodo primaverile, e si stabiliranno le misure utili a garantire l’adempimento della direttiva “uccelli”.

La presentazione della relazione e dei dati riguardanti il 2005 scade alla fine dell’anno in corso.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Poiché vertono sullo stesso argomento, annuncio congiuntamente l’

interrogazione n. 47 dell’onorevole Caroline Lucas (H-0604/06):

Oggetto: Studio sulle ragioni di conservazione del divieto UE di importare uccelli selvatici

Nell’ottobre dello scorso anno la Commissione ha introdotto il divieto comunitario di importare uccelli selvatici catturati. La decisione è stata presa sulla base di motivi di tutela della salute umana.

Tale commercio dovrebbe essere messo al bando anche alla luce della sua considerevole insostenibilità, essendo esso la causa del crollo delle popolazioni di molte specie di uccelli selvatici. Nell’UE si stima che ogni anno ne vengano importati due milioni di esemplari. Alla Commissione va pertanto riconosciuto il merito di aver contribuito a salvare da ottobre più di un milione di uccelli.

Nel dicembre 2005 il Commissario Dimas, interrogato sugli impatti di tale commercio sulla conservazione, ha assicurato i ministri dell’Ambiente che la Commissione avrebbe condotto uno studio sull’argomento.

Può la Commissione illustrare i motivi per cui, a quanto risulta, non ha ancora avviato questo studio e precisare quando intende mantenere il proprio impegno?

e l’interrogazione n. 48 dell’onorevole John Bowis (H-0674/06):

Oggetto: Divieto d’importare uccelli selvatici

Intende condurre la Commissione una ricerca approfondita sull’effetto del divieto temporaneo d’importare uccelli selvatici utilizzando dati provenienti da tutti gli Stati membri? Il commercio illegale è difficilmente quantificabile, ma si calcola che interessi un numero molto elevato di specie protette di uccelli selvatici, e l’argomentazione secondo cui un divieto totale d’importazione di uccelli selvatici potrebbe condurre a un mercato clandestino e causare un incremento delle importazioni illegali di questi animali è stata ampiamente utilizzata da coloro che si oppongono al divieto di commercializzazione. Tuttavia una prima analisi dei dati raccolti da ottobre 2005 (data di introduzione del divieto temporaneo) pubblicata in una nuova relazione RSPCA/Eurogroup for Animal Welfare mostra che il commercio illegale è effettivamente diminuito e che i timori sono quindi ingiustificati.

 
  
MPphoto
 
 

  Stavros Dimas, Μembro della Commissione.(EL) Tenterò di rispondere alle due interrogazioni collegate tra di loro riguardanti sia lo studio e il divieto sugli uccelli sia i dati forniti dalla Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals. Per quanto riguarda le norme sanitarie e veterinarie, nell’ottobre 2005 la Commissione ha adottato misure preventive efficaci e rapide sulla base del quadro esistente della legislazione veterinaria.

Avevamo concesso una proroga al divieto di importazione di tutti gli uccelli fino al 31 maggio 2006; abbiamo concesso un’ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2006 e, a causa degli sviluppi nell’ambito della questione della diffusione dell’influenza aviaria, molto probabilmente ci sarà una nuova proroga.

La Commissione ha inoltre chiesto all’Autorità europea per la sicurezza alimentare il parere di un esperto su aspetti quali la salute e le condizioni di sopravvivenza degli animali nel caso dell’importazione di uccelli diversi dal pollame. Tale parere è atteso per il prossimo ottobre.

Per quanto riguarda la tutela della biodiversità e degli uccelli selvatici, nel gennaio 2006 la Commissione, a seguito della riunione del Consiglio dello scorso dicembre, ha chiesto che venisse condotto uno studio per esaminare l’efficacia della normativa comunitaria concernente il commercio delle specie selvatiche di flora e fauna.

Il quadro fondamentale per adottare provvedimenti in materia di tutela e di commercio è la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione o CITES, recepita nel diritto dell’Unione europea nella normativa concernente il commercio delle specie selvatiche di flora e fauna. Per il momento, tale normativa permette le importazioni, a condizione che non mettano a repentaglio il regime di protezione delle specie.

Il competente Comitato scientifico dell’UE con il quale collaborano tutte le autorità scientifiche degli Stati membri dell’Unione europea è responsabile dell’esame delle importazioni delle specie selvatiche di flora e fauna. Questo è il contesto in cui vengono prese le misure necessarie riguardo alle importazioni delle specie nel caso in cui venga individuato un problema; questo non riguarda solo gli uccelli ma si riferisce a tutte le specie.

Lo studio da noi richiesto comprenderà, da un’ampia prospettiva, la questione dell’efficacia della normativa riguardante la protezione delle specie selvatiche di flora e fauna, riservando particolare attenzione agli uccelli selvatici. I risultati dello studio in questione saranno disponibili entro la metà del 2007.

Durante la preparazione di questo studio si terrà conto, com’è ovvio, delle conclusioni della relazione pubblicata dalla Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals e dal gruppo europeo per le convenzioni sulla sopravvivenza delle specie animali.

 
  
MPphoto
 
 

  Caroline Lucas (Verts/ALE).(EN) La ringrazio per la risposta, signor Commissario. Mi compiaccio che lo studio sia perlomeno stato avviato, sebbene dovremo attendere fino alla metà del 2007, pur avendone fatto richiesta per la prima volta nel dicembre 2005. Sembra essere una strada piuttosto lunga, ma speriamo che valga la pena aspettare.

E’ in grado di spiegare come mai l’Unione europea continua a importare uccelli mentre paesi come gli Stati Uniti, per esempio, ritengono che quegli stessi uccelli non vengano catturati in maniera sostenibile? A partire dal 1992 gli Stati Uniti hanno imposto una moratoria su tutti gli uccelli presenti nell’elenco CITES, a meno che non si possa scientificamente dimostrare che vengono catturati in maniera sostenibile. Dal 1992 non è stata accertata per nessuna specie l’esistenza di un metodo di cattura sostenibile. Anche diversi paesi in via di sviluppo impongono divieti sull’esportazione di questi uccelli. Dunque, per quale ragione gli Stati Uniti danno una valutazione così diversa dall’Unione europea del fatto che essi vengano o meno catturati in maniera sostenibile?

 
  
MPphoto
 
 

  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) In primo luogo, le ricordo che gli Stati Uniti non hanno firmato la Convenzione sulla biodiversità. Hanno adottato norme diverse, imponendo un divieto generale che tuttavia prevede anche esenzioni. Noi otteniamo più o meno lo stesso risultato considerando le specie separatamente. Tuttavia, la situazione è più o meno la stessa, considerata la massiccia pratica di commercio illegale negli Stati Uniti, commercio presente anche nell’Unione. La Commissione osserverà l’operato degli Stati Uniti e i risultati raggiunti. Poiché gli Stati Uniti vietano tutte le importazioni, noi dobbiamo esaminare tale pratica e riflettere in primo luogo, sulla possibilità che tale divieto generale possa incrementare il commercio illegale. Non possiamo saperlo. Lo studio dimostra che probabilmente in Europa il commercio illegale è meno diffuso, ma non sappiamo cosa accadrà in futuro. Se introducessimo un divieto permanente sugli uccelli dovremmo considerare in che modo e per quale motivo verrebbero trattati in maniera diversa da tutte le altre specie, quali i coralli e i rettili, dal momento che abbiamo adottato una politica globale. Gli Stati Uniti hanno un approccio diverso in materia.

Dovremmo inoltre considerare se un divieto di commercio illimitato da parte degli Stati Uniti possa essere messo in discussione dai paesi esportatori, per esempio nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio. Questo potrebbe, inoltre, mettere in discussione e minare le sofisticate misure restrittive che rendono possibile all’Unione europea di adottare misure temporanee sulla base di consultazioni con i paesi esportatori. Tuttavia, nel nostro studio valuteremo la possibilità di un divieto che prevede deroghe.

 
  
MPphoto
 
 

  John Bowis (PPE-DE).(EN) Qualsiasi risultato ottengano gli Stati Uniti mediante esenzioni, noi abbiamo un divieto temporaneo che ha dimostrato la sua efficacia nel ridurre il commercio illegale, ma non abbiamo un divieto permanente, e siamo noi in Europa i maggiori importatori di uccelli selvatici, con una quota del 93 per cento, e un numero di esemplari pari a quasi un milione all’anno fino al 2003. Dal 40 al 70 per cento di questi uccelli muore prima di essere esportato e molti altri ancora muoiono durante il viaggio verso l’Europa. E’ certamente arrivato il momento di imporre un divieto permanente e quindi porci in prima fila e diventare un esempio per paesi come gli Stati Uniti e l’Australia.

 
  
MPphoto
 
 

  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) Questo studio ha dimostrato che le confische sono diminuite di recente in seguito all’imposizione del divieto per ragioni sanitarie. E’ difficile valutare il numero esatto di animali provenienti dal commercio illegale, dato che questo è, per definizione, sconosciuto.

La quantità di uccelli catturati e confiscati nell’Unione europea potrebbe essere diminuita negli ultimi tempi grazie all’attuale divieto temporaneo su tutte le importazioni. Per nessun uccello è pervenuta una domanda di importazione dal momento che sarebbe stata automaticamente e immediatamente respinta. E’ fonte di particolare preoccupazione che tali uccelli siano ancora oggetto di commercio illegale e vengano catturati negli Stati membri. Essi vengono importati e introdotti senza alcun controllo veterinario. Tuttavia, valuteremo i risultati dello studio e la possibilità che un divieto che prevede deroghe possa costituire una soluzione migliore rispetto al sistema attuale, che consiste in un esame caso per caso delle specie. Permettiamo unicamente l’importazione degli uccelli che non sono a rischio di estinzione.

 
  
MPphoto
 
 

  John Purvis (PPE-DE).(EN) Il Commissario ha espresso preoccupazione per gli uccelli minacciati di estinzione. Sarà a conoscenza, tuttavia, che gli ho scritto numerose volte, insieme a un membro della mia circoscrizione, per sottoporre alla sua attenzione il caso di un importatore legittimo e legale di uccelli dagli Stati Uniti, di uccelli catturati legalmente negli Stati Uniti, estromesso dall’attività a causa di tale divieto – divieto imposto per motivi sanitari, relativo ai polli, e che non riguarda questi specifici uccelli selvatici negli Stati Uniti. Tali importazioni sono legali e legittime e non costituiscono rischi per la salute.

Per quale ragione il Commissario impone questa misura draconiana alle piccole imprese in Europa?

 
  
MPphoto
 
 

  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) Si tratta di una questione da sottoporre al mio collega, Commissario Kyprianou. Tuttavia, l’ovvia risposta riguarda l’influenza aviaria e il divieto che abbiamo attuato per ragioni sanitarie. Tale divieto è temporaneo. Sarà esteso fino alla fine di dicembre, e probabilmente anche all’anno prossimo, in funzione degli sviluppi dell’influenza aviaria.

In questo caso specifico gli Stati Uniti seguono una politica diversa, anche se forse si ottiene lo stesso risultato. Essi hanno adottato un divieto che prevede deroghe, mentre noi permettiamo le importazioni, valutando però caso per caso.

 
  
MPphoto
 
 

  Avril Doyle (PPE-DE).(EN) Mi chiedo, signor Commissario, se lei abbia mai considerato la possibilità di invertire l’onere della prova. La questione è che il sistema attuale che regola da noi il commercio degli uccelli selvatici richiede una dimostrazione della sua nocività per le popolazioni di specie selvatiche prima che possa essere sospeso. Come mai non possiamo stabilire la sostenibilità di un uccello selvatico o di una specie prima di avviarne il commercio? Di fatto, tale misura dovrebbe essere applicata a tutte le specie, non soltanto agli uccelli. Inoltre, l’UE vieta il commercio dei suoi uccelli selvatici ai sensi delle direttive “uccelli” e “habitat”. Allo stesso tempo, mediante tale commercio continuiamo ad avere un approccio altezzoso nei confronti della biodiversità dei paesi meno sviluppati, nonostante la presenza di un divieto temporaneo. Si può accettare di andare avanti così?

 
  
MPphoto
 
 

  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) La conservazione mondiale di talune specie di uccelli è influenzata dal commercio internazionale. Tali specie potrebbero essere proposte per figurare nell’elenco nell’ambito della convenzione CITES, nelle rispettive appendici. Lo scambio a scopi commerciali è dunque proibito o regolato da un permesso e da un sistema di controllo. Si può seguire una procedura sicura per stabilirlo secondo le disposizioni della CITES.

Le specie vengono iscritte nell’elenco unicamente se soddisfano determinati criteri per la conservazione e il commercio. Se i requisiti corrispondono, la Commissione intende sostenere l’inserimento nell’elenco. Ognuno di questi elenchi è soggetto a un voto in ambito CITES e non sempre si ottiene la maggioranza necessaria. Dovremmo ricordare che occorre agire nel rispetto delle norme e onorare i nostri impegni nell’ambito della convenzione CITES, e che non si può fare diversamente una volta presa una decisione di voto. Anche i paesi esportatori sono coinvolti e se non agiamo secondo la legge nei confronti di alcune specie, possiamo andare incontro a problemi per altre specie, quali i rettili o i coralli o altri animali.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 49 dell’onorevole Carlos Carnero González (H-0620/06):

Oggetto: Lettera di diffida al Comune e alla Comunità autonoma di Madrid, procedura di sanzioni contro i lavori di sotterramento della M-30

Lo scorso mese di aprile la Commissione europea ha inviato una lettera di diffida al Comune e alla Comunità autonoma di Madrid nel quadro della procedura di sanzioni per il mancato rispetto della direttiva 85/337/CEE(2) durante i lavori di sotterramento della M-30, partendo dal dossier informativo aperto a seguito dell’interrogazione P-0494/04(3), presentata nel febbraio 2004. Essendo trascorsi i due mesi previsti dalla normativa per l’invio degli allegati ritenuti opportuni alla Commissione, da parte del Comune e della Comunità autonoma di Madrid, può essa confermare che tali allegati siano stati presentati? Qualora siano stati presentati in tempo utile, quali misure intende adottare la Commissione europea? In caso contrario, qual è il loro contenuto e qual è l’opinione della Commissione al proposito?

 
  
MPphoto
 
 

  Stavros Dimas, Μembro della Commissione.(EL) Ritengo di poter rispondere con molta semplicità. Forse mi occorre sola una frase per dire che la Commissione ha inviato una lettera di messa in mora per quanto riguarda la presunta errata applicazione da parte delle autorità spagnole della direttiva modificata sull’impatto delle opere pubbliche e private sull’ambiente nel caso del progetto di costruzione della tangenziale M-30 a Madrid.

La lettera è stata inviata dalla Commissione il 10 aprile 2006, ai sensi dell’articolo 226 del Trattato, e la Spagna ha risposto il 13 luglio 2006. Stiamo attualmente valutando la risposta fornita dalle autorità spagnole e a breve completeremo tale valutazione.

 
  
MPphoto
 
 

  Carlos Carnero González (PSE).(ES) Signora Presidente, signor Commissario, considerata la risposta data dalle autorità spagnole competenti, spero che la Commissione europea prenderà una rapida decisione.

Vorrei ricordare quanto segue: la lettera di diffida della Commissione ha chiarito che, dal punto di vista di questa Istituzione, non era stato rispettato il contenuto della direttiva 85/337/CEE che rende gli studi sull’impatto ambientale fondamentali per questo tipo di lavori pubblici. Dal momento che non era stato rispettato realizzando l’opera pubblica in questione, sono stati lesi i diritti legittimi e gli interessi dei cittadini di Madrid, vale a dire, i cittadini europei di Madrid.

Ciononostante, l’Ayuntamiento de Madrid continua con questo lavoro giorno e notte nonostante il preavviso della Commissione europea. Tenendo conto della lettera di risposta, si rende pertanto indispensabile che tale decisione sia immediata in quanto, in caso contrario, i diritti saranno violati in maniera quasi del tutto irreversibile, ed è proprio ciò che dobbiamo tentare di evitare.

 
  
MPphoto
 
 

  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) Sarò il più breve possibile. Vorrei ricordare che la Commissione ha aperto questa inchiesta in seguito a una sua interrogazione in materia. La dimensione e la complessità del progetto è tale da aver richiesto diversi scambi di informazioni tra l’Esecutivo e le autorità spagnole al fine di raccogliere tutte le informazioni fattuali e giuridiche necessarie alla Commissione per poter debitamente procedere a un esame adeguato del caso. Probabilmente al momento abbiamo l’esigenza di ottenere maggiori informazioni sull’avvio delle procedure.

Siamo giunti alla conclusione che il progetto relativo alla tangenziale M-30 non è stato sottoposto a una appropriata valutazione d’impatto conformemente alla direttiva 85/337/CEE del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, in particolare per quanto riguarda alcuni dei sottoprogetti in cui è suddiviso il progetto relativo alla tangenziale M-30. Inoltre, non è stata compiuta una valutazione degli effetti cumulativi di tali progetti. Questo risulta essere il problema principale. Il progetto è stato suddiviso in 19 sottoprogetti. E’ stata compiuta una valutazione d’impatto per alcuni sottoprogetti, ma non per tutti, e non esiste una valutazione d’impatto complessiva per l’intero progetto. Questo secondo noi costituisce una violazione della direttiva.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Le interrogazioni nn. 50 e 51 riceveranno risposta per iscritto. Le interrogazioni nn. 52 e 53 non saranno esaminate, in quanto gli argomenti su cui vertono figurano già nell’ordine del giorno della presente seduta. Le interrogazioni dal n. 54 al n. 58 riceveranno risposta per iscritto.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 59 dell’onorevole Bernd Posselt (H-0609/06):

Oggetto: Cristiani in Turchia

Qual è lo status attuale delle comunità religiose non islamiche in Turchia, in particolare dei cristiani, soprattutto per quanto concerne la libertà di religione, il diritto di costituire associazioni in grado di prendere iniziative, la costruzione di luoghi di culto e di centri culturali nonché la formazione dei futuri sacerdoti? Ritiene la Commissione che, in tale contesto, la Turchia stia rispettando pienamente i criteri di Copenaghen negli ambiti della democrazia e dello stato di diritto?

 
  
MPphoto
 
 

  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) Il 20 giugno di quest’anno ho avuto uno scambio di vedute con la commissione per gli affari esteri, con cui ho avuto modo di condividere le preoccupazioni della Commissione circa la mancanza di slancio riscontrabile al momento in Turchia sul fronte delle riforme politiche, per esempio in relazione alla questione sollevata dall’onorevole Posselt. La Commissione aveva sperato che l’apertura dei negoziati di adesione avrebbe dato un impulso più concreto al processo di riforma. Per quanto riguarda le difficoltà incontrate dalle minoranze religiose musulmane e non musulmane, è evidente, sinora, una mancanza di progressi.

Di fatto, le minoranze religiose non musulmane continuano a incontrare notevoli problemi: non dispongono di una personalità giuridica, si trovano a dover far fronte a una limitazione dei diritti di proprietà e a ingerenze nella gestione delle loro fondazioni e non possono formare nuovi sacerdoti. La Commissione vorrebbe inoltre rilevare che la comunità di Alevi incontra difficoltà in riferimento al riconoscimento dei luoghi di culto, alla rappresentanza presso gli organi statali di rilievo e all’istruzione religiosa obbligatoria.

Il progetto di legge sulle fondazioni, inoltre, che è attualmente, e da troppo tempo, in sospeso in seno al parlamento turco, terrebbe in considerazione solo alcune di queste difficoltà, vale a dire il regime di proprietà di alcune comunità, anche se non di tutte. La Commissione ha ripetutamente esortato le autorità e l’Assemblea nazionale turca a modificare il progetto di legge sulle fondazioni per allinearlo alle relative norme europee.

 
  
MPphoto
 
 

  Bernd Posselt (PPE-DE). − (DE) Sono molto grato al Commissario per la sua risposta positiva. Vorrei però chiedergli ancora una volta, in termini concreti, se ha ricevuto una risposta dalla Turchia, e se quest’ultima ha fatto qualche riferimento ai tempi previsti per l’adozione di norme giuridiche adeguate, o se invece il tutto è stato rimandato a dopo le elezioni turche o addirittura completamente accantonato.

 
  
MPphoto
 
 

  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) Il problema in esame è stato discusso, in termini di procedura. Quasi un anno fa per esempio, quando sono stato in Turchia dopo l’apertura dei negoziati di adesione, il 3 ottobre 2005, ho avuto un intenso scambio di opinioni in materia con la commissione pertinente dell’Assemblea nazionale turca. Da allora, la questione è stata sollevata in più occasioni, fra cui anche nell’ambito del Consiglio di associazione questa primavera. Dal nostro punto di vista, e secondo le autorità turche, questo problema dovrebbe essere incluso nel cosiddetto nono pacchetto di riforme, nel complesso ancora in sospeso, che dovrebbe essere adottato senza indebiti indugi dall’Assemblea nazionale turca e, in parte, dal governo turco.

Si tratta senza dubbio di una condizione preliminare indispensabile per l’adesione all’Unione europea e, come è già stato detto chiaramente, la Turchia non può entrare a far parte dell’UE se non rispetta questo principio fondamentale.

 
  
MPphoto
 
 

  Paul Rübig (PPE-DE). − (DE) Il Commissario ritiene che sia possibile impiegare l’Osservatorio europeo di Vienna come base per effettuare un monitoraggio regolare della situazione delle minoranze religiose e condurre studi in proposito?

 
  
MPphoto
 
 

  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) L’idea dell’onorevole Rübig è molto interessante. Stiamo utilizzando tutti i dati e gli studi forniti da agenzie come quella di Vienna da lui menzionata, nonché dati provenienti da diverse organizzazioni di difesa dei diritti dell’uomo. Approfondirò la questione, ma, a quanto mi risulta, stiamo già impiegando le analisi fornite da quest’agenzia.

Ci avvaliamo di moltissimi studi e dati provenienti da organi quali il Consiglio d’Europa e l’OSCE, così come da agenzie e altri centri di ricerca.

 
  
MPphoto
 
 

  Georgios Karatzaferis (IND/DEM). − (EL) Signor Commissario, sappiamo tutti che la scuola teologica di Halki è stata chiusa molti anni fa. La Commissione ha fatto qualcosa per farla riaprire? Si corre il rischio che la sede del patriarcato ecumenico in futuro non abbia a disposizione alcun candidato per l’elezione del prossimo patriarca.

Può dirci qualcosa al riguardo?

 
  
MPphoto
 
 

  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) La libertà di religione e di culto è un’altra questione fondamentale e l’abbiamo sollevata molte volte con il governo turco. Ci aspettiamo non solo riflessioni al riguardo, ma azioni concrete per riaprire il seminario di Halki, che per questa particolare comunità religiosa riveste un’importanza fondamentale.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 60 dell’onorevole Sajjad Karim (H-0624/06):

Oggetto: Isolamento della parte settentrionale di Cipro

Nel 2004 l’UE si è impegnata a sostenere lo sviluppo economico e l’integrazione europea nella parte settentrionale di Cipro. Una riduzione del divario economico tra le due parti condurrebbe ugualmente alla riduzione dei costi per la riunificazione per i greco-ciprioti e della dipendenza dalla Turchia dei turco-ciprioti.

Al fine di garantire che l’adesione della Turchia e il processo di pacificazione dell’ONU siano complementari e non contrastanti, può la Commissione illustrare quali misure stia adottando l’UE per: proseguire il proprio impegno per giungere nei tempi prestabiliti ad un regolamento sul commercio diretto e per sbloccare i fondi per gli aiuti alla parte settentrionale di Cipro da destinare all’armonizzazione dell’acquis, alla riforma della funzione pubblica, all’ammodernamento del porto di Famagosta e al finanziamento di un censimento nel nord del Paese; attuare un nuovo strumento di finanziamento per la parte settentrionale di Cipro e creare una sede della delegazione della Commissione nel nord per sorvegliare l’erogazione dei fondi di assistenza tecnica e di armonizzazione dell’acquis; riesaminare le proposte attuali per il commercio diretto, in modo da includere l’integrazione della parte settentrionale di Cipro nell’Unione doganale dell’UE con la Turchia; modificare il regolamento sulla linea verde e gestire in comune con i turco-ciprioti il porto di Famagosta; garantire che i turco-ciprioti siano rappresentati in modo equo all’interno delle istituzioni europee?

 
  
MPphoto
 
 

  Olli Rehn, Membro della Commissione.(EN) Per ciò che concerne le misure adottate dalla Commissione al fine di agevolare la riunificazione dell’isola e quindi di porre fine all’isolamento della comunità turcocipriota, possiamo segnalare le seguenti attività principali.

In primo luogo, la Commissione ha iniziato ad attuare il regolamento del Consiglio che istituisce uno strumento di sostegno finanziario per promuovere lo sviluppo economico della comunità turcocipriota. Tale regolamento è stato adottato il 27 febbraio 2006 durante la Presidenza austriaca. Il gruppo responsabile dell’attuazione del regolamento dovrebbe essere operativo a partire da questo mese, utilizzando un ufficio di sostegno ai programmi EU nella parte settentrionale di Nicosia. I primi progetti di cui è prevista l’attuazione comprendono, tra l’altro, azioni nel settore dei rifiuti solidi, dell’energia, delle infrastrutture locali e del sostegno alle imprese nonché altre misure molto concrete.

In questo ambito, inoltre, la Commissione sta attuando un programma di rafforzamento istituzionale mediante lo strumento per l’assistenza tecnica e lo scambio di informazioni (TAIEX), al fine di aiutare la comunità turcocipriota a prepararsi per la futura applicazione dell’acquis comunitario in quella parte dell’isola.

La proposta di regolamento sugli scambi diretti avanzata dalla Commissione al Consiglio nel luglio 2004, ossia più di due anni fa, è tuttora in discussione in seno al Consiglio. L’Esecutivo sostiene gli sforzi compiuti dalla Presidenza finlandese per garantire una rapida adozione di tale normativa commerciale al fine di onorare gli impegni assunti dall’Unione nell’aprile 2004. Non abbiamo intenzione di ritirare la proposta e presentare una versione modificata. Siamo sempre stati e siamo tuttora disposti ad accettare e agevolare tutte le misure di accompagnamento volte a sostenere la riunificazione e lo sviluppo economico, che siano accettabili per entrambe le comunità e per tutte le parti coinvolte, al fine di superare l’infausta situazione attuale di stallo.

Non è un segreto che le misure di accompagnamento siano in gran parte incentrate sulla questione del porto di Famagosta. In risposta al quesito dell’onorevole Matsis, la restituzione di Varosha è stata legata in passato ai negoziati condotti dalle Nazioni Unite su una soluzione globale del problema di Cipro. Spetta pertanto alle parti interessate decidere se mantenere la questione nel quadro della soluzione globale o discuterla separatamente, o trovare una soluzione per tenerne conto in entrambe le opzioni. E’ una questione di volontà. Attualmente ci aspettiamo che entrambe le comunità affrontino la questione concentrandosi meno sulle ingiustizie passate e maggiormente sulle soluzioni future. Ci attendiamo uno spirito costruttivo da parte di tutti. E’ tempo di porre fine alla divisione e di riunificare Cipro.

 
  
MPphoto
 
 

  Sajjad Karim (ALDE).(EN) Ieri sera la commissione parlamentare per gli affari esteri ha approvato una relazione critica che esorta in particolar modo la Turchia a “prendere misure concrete per normalizzare le relazioni bilaterali con la Repubblica di Cipro, Stato membro dell’UE”. La relazione avverte che la mancanza di progressi “avrà gravi implicazioni per il processo negoziale che potrebbero addirittura bloccarlo”. Qual è l’opinione del Commissario rispetto a tale relazione e alla possibilità che la mancanza di progressi potrebbe bloccare i negoziati? Signor Commissario, non ritiene che per quanto concerne il Parlamento europeo esistano ancora pericolosi pregiudizi nei confronti della Turchia, con turcofobi disposti ad aggrapparsi ad ogni pretesto per bloccare il processo di adesione?

 
  
MPphoto
 
 

  Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Sono stato informato dei risultati del voto della commissione per gli affari esteri sulla relazione Eurlings relativa alla Turchia. Esprimerò un giudizio su tale relazione nel corso del dibattito della prossima tornata plenaria, cioè quando sarò del tutto preparato e avrò analizzato il testo riga per riga e paragrafo per paragrafo.

E’ evidente che un’eventuale inosservanza da parte della Turchia degli obblighi che riguardano l’attuazione del protocollo aggiuntivo all’accordo di Ankara avrebbe conseguenze sull’intero processo negoziale. Questo è, più o meno parola per parola, ciò che il Consiglio e gli Stati membri hanno deciso nel settembre 2005, nella ben nota dichiarazione dell’UE che ha preceduto l’avvio dei negoziati per l’adesione.

Il nostro obiettivo è quello di evitare un possibile scontro, in quanto non è nell’interesse di nessuno danneggiare gravemente le relazioni tra Turchia e Unione europea. La maniera migliore per evitarlo è che la Turchia onori gli impegni assunti prima dell’apertura dei negoziati per l’adesione.

 
  
MPphoto
 
 

  Ioannis Kasoulides (PPE-DE).(EN) Vorrei chiedere al Commissario se è a conoscenza che dal momento dell’apertura dei passaggi da nord a sud di Cipro, il reddito pro capite della comunità turcocipriota è quasi triplicato grazie ai contatti con il sud, nonostante il loro preteso isolamento.

 
  
MPphoto
 
 

  Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) La ringrazio per averci fornito tali osservazioni dettagliate relative alla crescita economica della comunità turcocipriota.

Mi compiaccio se il regolamento relativo alla linea verde e le opportunità che esso offre al commercio all’interno dell’isola migliorano la situazione economica della comunità turcocipriota. E’ nostro intento migliorare il funzionamento del regolamento detto della “linea verde”. Allo stesso tempo stiamo lavorando attivamente per sbloccare la situazione relativa agli scambi diretti e fare in modo che tutte le parti si impegnino a riprendere i negoziati sulla soluzione globale per riunificare Cipro.

 
  
MPphoto
 
 

  Robert Evans (PSE).(EN) Signor Commissario, poco fa lei ha accennato alla situazione di stallo che si è creata. Sono d’accordo con lei e forse esiste qualche parallelo con la situazione tra la Transnistria e la Moldavia di cui abbiamo discusso ieri in Aula.

Di recente ho visitato Cipro nord per la prima volta e trovo che sia stato a dir poco illuminante. Nonostante tutte le altre questioni, ma tenendo presente che la popolazione di Cipro nord ha votato a favore dell’adesione all’Unione europea, l’UE non potrebbe, per lo meno, valutare la possibilità di autorizzare voli diretti per Cipro nord?

 
  
MPphoto
 
 

  Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) La ringrazio per la domanda, onorevole Evans. Il nostro punto di vista sulle modalità atte a porre fine all’isolamento economico delle comunità turcocipriote è chiarissimo: attualmente intendiamo mettere in atto un programma di assistenza finanziaria e favorire una soluzione per quanto riguarda gli scambi diretti, prevedendo per quanto possibile misure di accompagnamento. Contemporaneamente, confidiamo nel fatto che questo ristabilirà – auspichiamo presto – un clima di fiducia in modo da poter riprendere i negoziati, con il coordinamento delle Nazioni Unite, su una soluzione globale che conduca alla riunificazione di Cipro.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).

Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.

(La seduta, sospesa alle 19.30, riprende alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. TRAKATELLIS
Vicepresidente

 
  

(1) GU L 103 del 25.4.1979, pag. 1.
(2) GU L 175 del 5.7.1985, pag. 40.
(3) GU C 84 E del 3.4.2004, pag. 415.

Note legali - Informativa sulla privacy