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Resoconto integrale delle discussioni
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Martedì 5 settembre 2006 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 3. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 4. Incendi boschivi e inondazioni (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 5. Sospensione dei negoziati sull’agenda per lo sviluppo di Doha (ASD) (discussione)
 6. “Lotta contro la violenza (DAPHNE)” (2007/2013) (discussione)
 7. Turno di votazioni
  7.1. Misure agricole specifiche a favore delle isole minori del Mar Egeo (votazione)
  7.2. Allevamento dei bachi da seta (votazione)
  7.3. Franchigie fiscali applicabili all’importazione di merci oggetto di piccole spedizioni a carattere non commerciale (votazione)
  7.4. Prelievo nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari (votazione)
  7.5. Conclusione della Convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale (votazione)
  7.6. Relazione speciale n, 5/2005 della Corte dei conti europea relativa alle spese d’interpretazione sostenute dal Parlamento, dalla Commissione e dal Consiglio (votazione)
 8. Seduta solenne
 9. Turno di votazioni (seguito)
  9.1. Finanziamento della lotta contro l’inquinamento causato dalle navi (votazione)
  9.2. “Lotta contro la violenza (DAPHNE)” (2007/2013) (votazione)
  9.3. Tasse sulle autovetture (votazione)
 10. Dichiarazioni di voto
 11. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 12. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 13. Esercizio finanziario 2007
 14. Un modello sociale europeo per il futuro (discussione)
 15. Sistema di scambio delle quote di emissioni di gas a effetto serra: piani nazionali di attribuzione (2008-2012) (discussione)
 16. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
 17. Contraffazione di medicinali (discussione)
 18. Migliorare la salute mentale della popolazione – Verso una strategia sulla salute mentale per l’Unione europea (discussione)
 19. Diritto contrattuale europeo (discussione)
 20. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 21. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. McMILLAN-SCOTT
Vicepresidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta inizia alle 09.00)

 

2. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

3. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

4. Incendi boschivi e inondazioni (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

5. Sospensione dei negoziati sull’agenda per lo sviluppo di Doha (ASD) (discussione)
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la discussione sull’interrogazione orale (O-0088/2006 – B6-0427/2006) dell’onorevole Enrique Barón Crespo, a nome della commissione per il commercio internazionale, alla Commissione, sulla sospensione dei negoziati sull’agenda per lo sviluppo di Doha.

 
  
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  Enrique Barón Crespo (PSE), autore. – (ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il 24 luglio, il direttore generale dell’OMC, Pascal Lamy, a seguito della riunione del comitato per i negoziati commerciali dell’OMC a Ginevra, ha annunciato la sospensione sine die dei negoziati del Doha Round. Spero che tale sospensione sia provvisoria e che i negoziati non siano ridotti in cenere, ma piuttosto che da queste ceneri possa rinascere una fenice – come ha affermato il Commissario.

Questa decisione, che ha messo provvisoriamente fine a cinque anni di negoziati e ad oltre sette anni di sforzi diplomatici, ha generato una grande incertezza nel contesto multilaterale dei negoziati commerciali dell’OMC e, inoltre, solleva un problema rispetto ad un termine informale, più politico che cronologico: l’imminente scadenza del mandato della Trade Promotion Authority, conferito al Presidente dal Congresso degli Stati Uniti e che gli consente di negoziare a livello mondiale.

Signor Presidente, vorrei dire per inciso che è alquanto strano che, per un’organizzazione come l’OMC, un’organizzazione intergovernativa e una conferenza ministeriale, tutto dipenda dalla decisione di un parlamento, il Congresso degli Stati Uniti, per quanto rispettabile esso sia. Anche gli altri parlamenti del mondo, a cominciare dal Parlamento europeo, hanno il diritto di esprimere un’opinione, senza imporre alcun tipo di condizioni, o di ghigliottina, come quelle attualmente imposte dal Congresso degli Stati Uniti. A tale riguardo, vorrei ricordare che la settimana prossima, in seno al comitato direttivo dell’assemblea parlamentare che abbiamo creato tra il Parlamento europeo e l’Unione interparlamentare, avremo l’opportunità di discutere e di lavorare su questo tema con i rappresentanti della maggior parte dei parlamenti del mondo, poiché riteniamo che sia un problema che ci riguarda tutti.

Noi al Parlamento e, nello specifico, in seno alla commissione per il commercio internazionale, non abbiamo aspettato la fine delle vacanze per esprimere le nostre preoccupazioni. Io l’ho fatto personalmente, a nome della nostra commissione, immediatamente dopo l’annuncio, sottolineando che non possiamo rassegnarci al definitivo fallimento dei negoziati. Resta poi da vedere come possiamo procedere oltre questo bivio e come possiamo rimettere il processo in carreggiata. Ci sono stati vari contatti e riunioni bilaterali nel corso del mese di agosto e spero che il Commissario possa segnalarci le eventuali opportunità per compiere passi avanti.

Credo anche che la Commissione debba cercare di sfruttare nella maggiore misura possibile il proprio mandato, perché abbiamo delle responsabilità: in primo luogo, difendere i nostri interessi, ma allo stesso tempo anche promuovere il principio secondo cui un sistema multilaterale che serve a tutti, non solo ai paesi sviluppati, ma anche ai paesi che dovrebbero costituire l’obiettivo principale del negoziato – i paesi in via di sviluppo e, soprattutto, i paesi meno sviluppati – deve potere veramente svolgere un ruolo fondamentale, come quello che dovrebbe rivestire l’Unione europea in quanto potenza commerciale di primo piano.

Reputo pertanto importante che il Parlamento europeo faccia sentire la propria voce e ci aiuti a portare avanti, rimettere in carreggiata e rinnovare l’obiettivo del completamento di un Doha Round per lo sviluppo. E’ anche importante che il Parlamento europeo sostenga la Commissione – che quanto a questo non ha certo fatto molte vacanze – perché possa continuare a lavorare in vista della conclusione di questo ciclo negoziale.

C’è ancora un margine di manovra; c’è sempre un margine in politica, anche se, dal punto di vista cronologico, le scadenze si stanno avvicinando, e forse il fatto di dovere agire rapidamente può rivelarsi utile. Signor Presidente, riteniamo che le osservazioni che il Commissario potrà formulare oggi siano importanti e, soprattutto, vogliamo che sappia che può contare sulla nostra presenza, sul nostro sostegno e sul nostro auspicio che in futuro questo round torni nuovamente a essere un processo orientato verso un’umanità più prospera e solidale.

(Applausi)

 
  
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  Peter Mandelson, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, condivido sicuramente l’auspicio del presidente della commissione per il commercio internazionale che spera che questa evoluzione estremamente incresciosa dei negoziati sia un’interruzione temporanea, piuttosto che una sospensione sine die. Apprezzo sicuramente il fatto che il presidente della commissione competente e altri deputati di questo Parlamento incontrino altri parlamentari dei paesi membri dell’OMC per esaminare la questione. Maggiore sarà la nostra comprensione della posta in gioco e della natura dei problemi, e maggiori saranno le informazioni che potremo diffondere ai soggetti interessati nei vari paesi dell’OMC – invece di tenere queste informazioni all’interno di un ristrettissimo circolo di negoziatori – e meglio sarà. Perseguirò sicuramente questo obiettivo durante la mia visita a Washington DC alla fine del mese, quando incontrerò i maggiori esponenti del Congresso degli Stati Uniti.

L’ultima volta che ho discusso dell’agenda per lo sviluppo di Doha con alcuni dei deputati di questo Parlamento è stato a Ginevra alla fine di giugno. In primo luogo, vorrei sottolineare quanto ho apprezzato la vostra presenza in quella circostanza, le vostre attività di rete e il modo in cui avete svolto un ruolo interessante ed utile tra le parti negoziali. Avremo bisogno del vostro appoggio in futuro, quando dovremo convincere i nostri partner dell’OMC a riprendere questi negoziati, e apprezzo moltissimo l’impostazione adottata dai deputati di questo Parlamento.

Alla fine della settimana mi recherò a Rio de Janeiro su invito del governo del Brasile e del gruppo di paesi in via di sviluppo G20. Sarà la prima opportunità per esaminare a livello ministeriale quanto è avvenuto a Ginevra a luglio, per discutere delle nostre rispettive posizioni e per valutare come e quando eventualmente procedere.

Nelle settimane successive alla sospensione, tutte le parti hanno espresso il proprio impegno in vista del positivo esito del ciclo negoziale. Nessuno sta mettendo in discussione il proprio impegno, in ogni caso a giudicare dalle apparenze, e Doha ha sicuramente bisogno di questo grado di impegno. In tutte le nostre azioni e in tutte le nostre dichiarazioni dobbiamo riaccendere la fiducia nel round e nel processo e riaffermare i valori del multilateralismo e i vantaggi economici di un accordo esteso ed ambizioso. Tuttavia, la retorica deve essere accompagnata dalla leadership politica. Siamo invece dinanzi alla più completa assenza di quello che potremmo definire una “ambizione realistica”.

Tutte le parti stanno portando le loro difficoltà interne nei negoziati. Forse è inevitabile, ma non è e non si deve permettere che diventi un pretesto per il fallimento. Eppure, persino nei punti più complessi e apparentemente più ostici del negoziato, le posizioni in materia di agricoltura non sono poi così divergenti. Non sono così lontane da essere inconciliabili e suggeriscono all’Unione europea di avvicinare la sua riduzione tariffaria media a quella richiesta dai paesi emergenti del G20. L’Unione europea ha manifestato a Ginevra la sua disponibilità a negoziare su questo aspetto nell’ambito di un pacchetto equilibrato – a patto che anche gli altri siano disposti a fare passi avanti e a dare prova dello stesso livello di flessibilità che stiamo dimostrando noi.

Se intendiamo muoverci nella direzione che ho indicato come possibile, nelle circostanze corrette, ci sarebbe un mutamento significativo rispetto alla nostra proposta iniziale che prevedeva una riduzione media delle tariffe agricole del 39 per cento, già molto più elevata rispetto alle riduzioni accettate nell’Uruguay Round. Si tratterebbe dei tagli ai prezzi agricoli più radicali che siano mai stati accettati nell’ambito di un negoziato commerciale multilaterale. Nessuno potrebbe parlare di un “Doha light”. Si deve poi aggiungere la riduzione dei sussidi conseguente alla riforma dell’Unione europea, che avrebbe come effetto il massiccio ritiro dei produttori comunitari dai principali mercati di esportazione mondiali, come quelli del latte e del pollame, e la contrazione del mercato cerealicolo comunitario a seguito del calo della domanda di mangimi. Tutto considerato, si tratta di un nuovo grande pacchetto in materia di accesso ai mercati per gli esportatori agricoli competitivi, come gli Stati Uniti, l’Australia e altri membri del gruppo di Cairns, con un potenziale effetto di ridimensionamento dell’agricoltura europea di circa 20 miliardi di dollari all’anno.

Liquidare tutta questa problematica come insignificante, come ha fatto qualcuno, significherebbe assumere una posizione negoziale semplicistica o non essere capaci di fare i necessari conti. In cambio di tali tagli, l’Unione europea si aspetta che gli Stati Uniti rispondano riducendo le sovvenzioni agricole con effetti distorsivi sul commercio, intervento ora considerato dai paesi in via di sviluppo la premessa e il catalizzatore di qualsiasi accordo definitivo su Doha.

Gli Stati Uniti hanno offerto di ridurre significativamente le sovvenzioni che perturbano il commercio nella cosiddetta “scatola gialla”, passando da 19,1 miliardi di dollari a 7,6 miliardi di dollari. E’ un intervento che promette bene e deve essere accolto favorevolmente. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno anche proposto un incremento delle spese ammesse in altre categorie di sussidi con effetti distorsivi sul commercio, pur respingendo l’idea di una riforma diretta di tali programmi di finanziamento, per evitare che perturbino il commercio. Se si sommano i tre tipi di aiuti con effetti distorsivi sul commercio che gli Stati Uniti vogliono mantenere, si arriva in effetti a un nuovo potenziale livello massimo di 22,7 miliardi di dollari, cifra superiore a quella attualmente spesa dagli Stati Uniti.

In altri termini, entro la fine del periodo di attuazione di Doha, i pagamenti con effetti distorsivi sul commercio versati dagli Stati Uniti agli agricoltori potrebbero in realtà crescere a seguito di quanto contenuto nell’offerta americana presentata lo scorso ottobre. E’ comprensibile che i partner commerciali degli Stati Uniti abbiano reputato tale offerta inaccettabile, soprattutto tenuto conto dei massicci tagli che gli Stati Uniti chiedono agli altri, sia in termini di sussidi che di tariffe. Giustamente, i paesi in via di sviluppo insistono su una riduzione effettiva dei sussidi statunitensi, e l’Unione europea è d’accordo. A meno che la posizione americana non cambi, i paesi in via di sviluppo più avanzati, come Brasile e India, non saranno disposti a offrire un accesso più ampio ai loro mercati per beni e servizi industriali, e questo è l’elemento chiave dell’accordo definitivo che stiamo tentando di concludere.

Tale accordo sarà difficile da raggiungere. Non sottovaluto le difficoltà che emergeranno durante i negoziati sulle tariffe industriali che ancora devono essere avviati con i paesi in via di sviluppo più avanzati. Tuttavia, è il punto morto in materia di agricoltura, settore che rappresenta solo una percentuale minima del commercio sia per i paesi in via di sviluppo sia per i paesi sviluppati, che impedisce ai negoziati di Doha di affrontare la questione del commercio di beni e servizi, settore nel quale si concentra la gran parte del potenziale economico di questo round.

Riusciremo a concludere i negoziati di Doha solo se tutte le parti interessate si impegneranno a fare capire il valore di un esito positivo a tutti i settori negoziali, che non comprendono solo le tariffe agricole, ma anche i prodotti, i servizi e le regole. Tutte le parti dovrebbero capire che un risultato realisticamente ambizioso e raggiungibile, lungi dall’essere un “Doha light”, produrrebbe in realtà profondi cambiamenti strutturali delle politiche agricole e creerebbe nuovi flussi commerciali di beni e servizi, di misura senza pari nei precedenti negoziati commerciali. In altri termini, c’è già moltissima carne al fuoco, come ha ripetutamente segnalato Pascal Lamy.

Le perdite che si registrano in una permanente situazione di stallo – e dobbiamo essere chiari in proposito – vengono subite soprattutto dai paesi in via di sviluppo. Sono loro che perdono nuove opportunità commerciali. Inoltre, punto ancora più importante, rischiano di essere danneggiati dall’indebolimento del sistema commerciale multilaterale. Noi dell’Unione europea cercheremo di fare tutto quanto in nostro potere, in qualsiasi scenario, per i paesi in via di sviluppo più deboli e vulnerabili, senza cercare di dividere i membri dell’OMC. In particolare, manterremo le nostre promesse in merito all’iniziativa Aid for Trade, e porteremo avanti il nostro impegno.

Qualcuno si chiederà come la sospensione dell’agenda per lo sviluppo di Doha potrà influire sulla nostra posizione più generale in materia di politica commerciale. La risposta è che il nostro impegno nei confronti di Doha rimarrà preminente. Nulla può sostituire l’OMC. In primo luogo, si basa sull’uguaglianza e lo Stato di diritto, piuttosto che sul semplice potere. In secondo luogo, alcuni vantaggi possono essere raggiunti solo in un contesto multilaterale, come per esempio nuove discipline in materia di sussidi all’agricoltura e alla pesca, un nuovo accordo sulle facilitazioni commerciali, nuove discipline in materia di strumenti antidumping e regole migliori e più chiare in materia di accordi commerciali regionali. Sono esempi di settori in cui gli accordi bilaterali, anche se in gran numero, non potrebbero nemmeno lontanamente ambire a garantire il miglioramento e il rafforzamento delle regole commerciali e il sistema commerciale che noi stiamo cercando di realizzare. In terzo luogo, questa è l’unica forma negoziale in cui i paesi in via di sviluppo più piccoli possono esprimere il loro peso politico collettivo.

Infine, il meccanismo di composizione delle controversie è una delle pietre angolari del sistema dell’OMC e una caratteristica unica del diritto internazionale. Non ci sono dubbi in merito al fatto che qualsiasi erosione di fiducia nel sistema commerciale multilaterale nel suo insieme a lungo termine andrebbe a indebolire gravemente anche tale meccanismo di composizione delle controversie.

Gli accordi bilaterali e regionali non sono pertanto un’alternativa ai negoziati multilaterali, ma piuttosto un’integrazione e un complemento che permette di affrontare in modo più accurato il problema della riduzione delle barriere tariffarie e non tariffarie, oltre a definire discipline in settori in cui i membri dell’OMC hanno deciso – almeno per il momento – di non negoziare collettivamente nell’ambito del sistema multilaterale, che si tratti di regole concorrenziali, di appalti pubblici o della dimensione del lavoro.

Assistiamo a molti negoziati in questo contesto. Alcuni sono già in corso, mentre altri saranno avviati quando le condizioni saranno mature. Il Mercosur, il GCC e l’America centrale sono nel primo gruppo e guardiamo anche all’Ucraina, all’India, alla Corea e ai paesi ASEAN come partner commerciali per nuove iniziative.

Vorrei concludere precisando che la Commissione ed io manteniamo il nostro fermo impegno in vista di un esito positivo dei negoziati multilaterali e che è mia intenzione cooperare strettamente con voi in questo Parlamento per pervenire alla realizzazione di tale fine. Questa continua a essere una mia priorità.

La Commissione presenterà a breve due comunicazioni – una a ottobre, sugli aspetti esterni della nostra competitività in Europa, e una sulle relazioni commerciali con la Cina. Tali comunicazioni affronteranno altri temi fondamentali della nostra politica commerciale futura. E’ per me molto importante discuterle entrambe con voi nelle prossime settimane, e attendo con impazienza questa opportunità. Credo che come squadra dovremmo continuare a lavorare insieme in futuro come abbiamo fatto in passato – per il bene dell’Europa, ma anche per il bene dell’economa mondiale e in particolare per i paesi in via di sviluppo più poveri.

(Applausi)

 
  
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  Georgios Papastamkos, a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signor Presidente, non c’è dubbio che i costi del fallimento dei negoziati del ciclo di Doha siano elevati e che aumenteranno nel caso di una sospensione definitiva.

Questi costi derivano, tra le altre cose, dai seguenti fattori:

primo, dalla perdita di guadagni per l’economia mondiale, lo sviluppo e l’occupazione, guadagni che sarebbero stati generati dalla positiva conclusione dei negoziati.

Secondo, dall’indebolimento del progresso in certi settori di attività particolarmente importanti per i paesi in via di sviluppo.

Terzo, dalla perdita di credibilità dell’Organizzazione mondiale del commercio stessa.

Credo che i rischi che deriverebbero da un fallimento totale superino di gran lunga i rischi legati alla conclusione di un accordo generale, anche se meno ambizioso, sebbene per l’Unione non sia possibile accettare un accordo a qualsiasi prezzo.

L’Unione europea ha mantenuto una posizione costruttiva e responsabile. Ha presentato proposte significative e ha rinunciato a molti dei suoi obiettivi sin dall’inizio del ciclo negoziale. Di conseguenza, un eventuale ritorno al tavolo negoziale dipende dalla flessibilità di altri partner commerciali di primo piano, se vogliamo raggiungere un risultato equilibrato.

Noi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei continuiamo a sostenere il multilateralismo. L’impegno nei confronti di un sistema commerciale multilaterale dà un contributo decisivo in termini di sicurezza, trasparenza e stabilità del commercio internazionale. Contribuisce anche a favorire una maggiore interdipendenza economica nell’ambito della cooperazione politica internazionale. Il crollo del multilateralismo comporta il rischio di conflitti commerciali settoriali e la rinascita di roccaforti commerciali regionali.

Pertanto, il positivo completamento di negoziati commerciali multilaterali dovrebbe rimanere – come hanno sottolineato la Commissione e il presidente della nostra commissione parlamentare – la scelta suprema, la priorità suprema all’ordine del giorno dell’Unione. Allo stesso tempo, dobbiamo rafforzare strategie complementari in vista di relazioni bilaterali e transregionali con altri partner importanti.

La stabilità del sistema commerciale mondiale richiede, a mio parere, un nuovo slancio dinamico per rafforzare il legame tra interdipendenza commerciale e responsabilità comune tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America e questo legame tra interdipendenza e responsabilità comune deve essere verificato.

Guardando l’onorevole Barón Crespo e ripensando alla vittoria del suo paese contro la Grecia ai campionati mondiali di pallacanestro, propongo di considerare l’esito dei negoziati finora raggiunto come un intervallo di gioco piuttosto che come una sospensione definitiva.

(Applausi)

 
  
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  Harlem Désir, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, la sospensione dei negoziati del round di Doha rappresenta innanzi tutto il tradimento della promessa di ripristinare l’equilibrio delle regole commerciali a favore dei paesi in via di sviluppo. Segna il trionfo dei meschini interessi di certi paesi sull’interesse più generale della comunità internazionale e, come il presidente della commissione per il commercio internazionale, anche tutti noi pensiamo evidentemente alle elezioni di medio termine che si svolgeranno negli Stati Uniti.

La sospensione minaccia già potenzialmente il sistema multilaterale come quadro principale dei negoziati commerciali e il ritorno a negoziati bilaterali più squilibrati che andranno a scapito dei paesi più poveri e, in particolare, dei paesi più piccoli, come ha ricordato anche lei, Commissario Mandelson. Inoltre, non andrà a toccare il sistema multilaterale, che non scomparirà, mentre l’idea era quella di cominciare a riformarlo e a renderlo più compatibile con gli obiettivi dello sviluppo e con le altre regole della comunità internazionale: la necessità di tenere conto degli obiettivi di sanità pubblica, dell’ambiente e domani – speriamo – della dimensione sociale della globalizzazione.

A risentire maggiormente di questa sospensione del ciclo negoziale saranno i paesi in via di sviluppo e, tra di loro, in particolare, quelli meno avanzati. A prescindere dalle lacune e dai limiti, le proposte sul tavolo e quelle avanzate dall’Unione europea – che spesso erano oltre tutto in linea con le richieste del nostro Parlamento – saranno messe a rischio, andranno perdute: l’abolizione dei sussidi alle esportazioni entro il 2013, l’accesso senza dazi né quote dei prodotti dei paesi meno sviluppati ai mercati dei paesi sviluppati, anche se rimaneva il problema del 3 per cento delle linee tariffarie richiesto da alcuni altri paesi industrializzati, un più ampio accesso ai mercati dei paesi industrializzati per tutte le produzioni agricole dei paesi in via di sviluppo, anche se le proposte americane sono molto inferiori alle necessità, l’esame della situazione dei produttori di cotone, il pacchetto di aiuti al commercio, la modifica dell’accordo TRIPS sull’accesso ai farmaci.

Mi fa piacere, signor Commissario, che lei ci abbia semplicemente annunciato di voler riprendere il suo viaggio alla ricerca della pace, incontrare di nuovo il G20 e gli Stati Uniti e cercare di trovare la via del ritorno al tavolo dei negoziati. Non dobbiamo, a mio avviso, lasciare che i negoziati di Doha muoiano. Qualsiasi siano le difficoltà che deriveranno dalla scadenza dell’autorizzazione a negoziare concessa all’amministrazione americana dal Congresso, non dobbiamo permettere che si buttino dalla finestra gli impegni che erano stati presi e le promesse che erano state fatte, e mi fa piacere sentire che, da parte sua, l’Unione europea onorerà i propri impegni e le proprie promesse.

Forse dovremmo semplicemente tornare alla sostanza dei negoziati e ricordare ai nostri partner dei paesi industrializzati che sapevamo che non sarebbe stato possibile basarli sulla reciprocità, che sapevamo che, in materia di accesso per i prodotti agricoli, avremmo dovuto offrire più di quello che avremmo guadagnato con le tariffe industriali e l’apertura dei mercati e dei servizi. L’Europa deve continuare a promuovere il sistema multilaterale, che sicuramente deve essere riformato per poter continuare a costituire un quadro di fiducia tra paesi in via di sviluppo e paesi sviluppati. Dopo tutto, è nell’ambito di questo sistema multilaterale che i paesi in via di sviluppo potranno continuare a fare sentire la propria voce attraverso il G20 e il G90, e che le regole del commercio potranno essere rese più compatibili con gli obiettivi di eliminazione della povertà e con tutte le altre regole del sistema multilaterale.

(Applausi)

 
  
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  Johan Van Hecke, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, il round di Doha è fallito in modo irreparabile? E’ quello che sempre più commentatori sembrano ipotizzare. Soprattutto dopo Hong Kong, nove mesi fa, non è stato compiuto alcun progresso e, a luglio, i negoziati sono stati rinviati sine die. Come il Commissario e anche la maggior parte dei deputati di questo Parlamento, mi rifiuto tuttavia di credere che sia l’inizio della fine. Dopo tutto, la posta in gioco è molto elevata. Il totale fallimento potrebbe facilmente determinare il crollo del sistema commerciale multilaterale, con tutto quello che ne consegue.

L’incapacità di raggiungere un accordo commerciale mondiale aumenta il rischio che sempre più paesi ricorrano ad accordi bilaterali o regionali, cosa che, in ogni caso, mette i paesi più poveri in una situazione di maggiore debolezza. Inoltre, l’interruzione dei negoziati può aumentare il numero di controversie commerciali, e i membri dell’OMC cercheranno di ricorrere all’azione legale per tentare di ottenere quello che non sono riusciti a raggiungere con un accordo. Ma c’è di più, come ha segnalato la Commissione. Prima o poi, verrà messa in discussione la ragion d’essere stessa dell’OMC. E’ pertanto necessario, ora più che mai, rendere l’OMC più trasparente ed accrescere la sua legittimità democratica.

Il nostro gruppo reputa essenziale che i paesi ricchi e più sviluppati cerchino in anticipo di avvicinare maggiormente le loro posizioni. Non ha minimamente senso organizzare un’altra messa solenne se gli Stati Uniti e l’Unione europea non riescono a colmare la distanza che li separa nell’ambito dei loro approvvigionamenti agricoli e di altre questioni. Il Congresso americano ha recentemente elogiato la rigida posizione assunta dai negoziatori statunitensi. Un gioco dello scaricabarile di questo tipo non consentirà assolutamente di pervenire a soluzioni costruttive. Tutti i soggetti di primo piano, compresi Unione europea, Stati Uniti e G20, devono impegnarsi al massimo per raggiungere un risultato.

Allo stesso tempo, ciò che viene definito l’acquis di Hong Kong deve rimanere assolutamente integro. Tutti gli impegni a favore dello sviluppo devono essere rispettati. Indipendentemente dal raggiungimento di un accordo, l’Unione europea non deve recedere dalla sua intenzione di abolire i sussidi alle esportazioni entro il 2015. Al contempo, tutti i paesi sviluppati e i paesi in via di sviluppo più avanzati devono essere invitati a rispettare l’iniziativa dell’Unione europea “Tutto fuorché le armi”.

Il tono di questa risoluzione di compromesso è volontaristico e positivo. Conferma la nostra fede in un approccio multilaterale alla politica commerciale nonostante tutto, un approccio basato sull’onesta convinzione che, se l’agenda per lo sviluppo di Doha fallirà, non ci saranno purtroppo vincitori, ma solo vinti.

 
  
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  Friedrich-Wilhelm Graefe zu Baringdorf, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, il round di Doha è fallito, e quello che lei, signor Commissario, ci illustra oggi non è che una rielaborazione di ciò che ne ha causato il fallimento. Lei esprime la speranza che lo si completi comunque, ma dove fonda tale speranza? Lei dice che i paesi in via di sviluppo sono i perdenti e che l’impasse danneggia loro più di chiunque altro, ma allora perché i paesi in via di sviluppo e i loro rappresentanti non hanno concluso questo ciclo negoziale? Forse questi paesi hanno adottato una prospettiva diversa e sono stati tanto intelligenti da non farlo, sulla base del fatto che la liberalizzazione, su cui poggia il suo ragionamento e che lei vuole attuare, non li ha evidentemente arricchiti. Lungi da dare da mangiare a sufficienza a questi popoli, li ha invece spinti in una situazione di indebitamento e non ha risolto il problema della fame. E’ la prima volta che questi paesi si sono uniti, e se riusciranno ad essere sufficientemente forti nel confronto con i paesi industriali occidentali da fare fallire il processo, la prospettiva sarà completamente diversa e dovremo vedere se riusciremo a presentare un’altra offerta.

Lei afferma che l’offerta relativa alla riduzione dei dazi doganali darebbe 20 miliardi di euro all’agricoltura europea, ma questi 20 miliardi non sono forse in eccedenza, e – se operiamo questi tagli – questi 20 miliardi non andranno almeno a favore dei paesi in via di sviluppo, o si tratterebbe semplicemente di una riduzione degli standard alimentari? Davvero questi paesi vengono comprati per meno di quello di cui hanno bisogno per innalzarsi sopra il livello di povertà, con la conseguenza che la loro agricoltura viene completamente rovinata?

Ciò di cui abbiamo bisogno è un accesso qualificato. L’accesso al mercato che lei offre in cambio dell’accesso ai mercati dei paesi in via di sviluppo per i prodotti industriali e i servizi distrugge le loro infrastrutture ed il fragile sviluppo delle loro attività industriali ed artigianali, negando allo stesso tempo all’agricoltura qualsiasi possibilità di esistenza, anche se sussiste l’urgente necessità di produrre derrate alimentari. Ne consegue che la qualità e un accesso qualificato al mercato sono assolutamente necessari affinché i paesi in via di sviluppo raggiungano i nostri livelli di prezzi e i nostri standard e possano così sviluppare le loro economie.

L’accordo sullo zucchero ci ha mostrato che i paesi ACP che sono stati in grado di fornire zucchero a queste condizioni sono riusciti a sviluppare le loro economie, mentre quelli che non hanno avuto tale possibilità si sono visti costretti a vendere alle multinazionali a prezzi inferiori al livello di povertà, e le cose continueranno ad andare così.

Quindi, Commissario Mandelson, lei dovrebbe fare un’offerta corretta, un’offerta che possa essere accettata da questi paesi, che stabilizzi l’approvvigionamento alimentare e migliori la stabilità e la qualità del commercio, invece di un’offerta che potrebbe rischiare di impedire ad agricoltori in tutto il mondo di continuare a lavorare. A quel punto, ritengo, l’approccio multilaterale sarà quello giusto e tutti ne potranno trarre i vantaggi che sicuramente non possono avere dalla liberalizzazione che lei propone.

 
  
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  Helmuth Markov, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il round per lo sviluppo di Doha è fallito. Che cosa avrebbe dovuto sviluppare? E’ questa la domanda cruciale. Avrebbe dovuto sviluppare unicamente il commercio – il commercio fine a se stesso – oppure l’idea era quella di favorire lo sviluppo attraverso lo sviluppo del commercio? Perché, se l’intento era quest’ultimo, allora nei negoziati devono essere incluse molte altre cose. Dovremo chiederci qual è il contributo del commercio nei diversi paesi in vista dell’innalzamento degli standard sociali, di una maggiore tutela ambientale o del miglioramento della qualità della vita. E’ un approccio molto diverso dalla volontà, che prevale su tutto, di aprire i mercati per scambiare margini commerciali più elevati, perché a quel punto non ci può nemmeno essere reciprocità.

Solidarietà significa che il più forte aiuta il più debole, e quindi che i paesi più sviluppati devono dare di più di quelli che lo sono meno. Qui non si tratta solo di quantità, ma anche di un approccio qualitativamente diverso, per non parlare poi dell’importanza di capire che chi non ha ancora sviluppato il proprio mercato nel proprio paese, deve avere la possibilità di farlo, prima che avvenga qualsiasi altra cosa. E per questo ha bisogno, magari solo temporaneamente, di un mercato chiuso, prima di poterlo aprire.

Che senso ha per molti paesi in via di sviluppo avere la possibilità di esportare nell’Unione europea, se non hanno prodotti esportabili, per il semplice fatto che non sono nemmeno in grado di nutrire la loro popolazione? Ma allo stesso tempo si dice a questi paesi che se vogliono beneficiare di questa possibilità, devono essere così cortesi da aprire i loro mercati ai nostri servizi e alla nostra industria. Se la nostra strategia negoziale non supererà mai questo livello, non perverremo mai a un accordo e lo dico da fanatico sostenitore del sistema multilaterale.

Commissario Mandelson, si ricorderà che, in moltissime occasioni, le ho chiesto se lei crede davvero che gli Stati Uniti siano interessati alla conclusione multilaterale del negoziato OMC. Io ho sempre detto che non ci credo. Gli Stati Uniti possono difendere meglio i propri interessi se non sono vincolati da accordi multilaterali. Pertanto è molto più importante che l’Unione europea si accordi con il G20. Si tratta di un tema sul quale dobbiamo nuovamente riflettere, alla luce delle enormi differenze tra i paesi del sud.

Non può essere solo una questione di apertura dei mercati, se la conseguenza di tutto ciò è quella di ridurre il mercato europeo alla mercé della grande industria agro-alimentare brasiliana, che è immensa ed è dominata da tre famiglie. Così non aiutiamo assolutamente questi paesi.

A mio avviso, dobbiamo ripensare la nostra strategia. Vogliamo il commercio. Lei dice molto spesso che vogliamo il libero commercio. Possiamo anche avere un disaccordo ideologico su questo aspetto; io non voglio questo tipo di liberalizzazione, ma lasciamo per un attimo da parte questo problema. Non si tratta tanto di avere il libero commercio, ma di avere un commercio equo. Commercio equo significa commercio giusto, e “giusto” non significa “uguale”. L’applicazione degli stessi parametri a tutti i gruppi di paesi, per quanto riguarda la riduzione delle tariffe e l’apertura dei mercati, è probabilmente solo una forma di trattamento paritario, ma non è giusta.

Lei deve modificare il mandato che le è stato conferito. Lei ha bisogno di seguire questa via. Se vuole promuovere il commercio, deve tenere conto – e farlo come intervento prioritario – delle circostanze nei singoli paesi e del livello di sviluppo che hanno raggiunto.

 
  
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  Seán Ó Neachtain, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, non sono per niente sorpreso che i negoziati dell’Organizzazione mondiale del commercio siano falliti nuovamente. Già da tempo chiedo l’esclusione dell’agricoltura da questi negoziati. L’agricoltura rappresenta solo il 5 per cento del commercio mondiale, eppure la responsabilità della sospensione dei negoziati viene scaricata senza esitazioni sull’agricoltura europea. Perché il 5 per cento dovrebbe bloccare l’altro 95 per cento del commercio? E’ giunto il momento di pensarci.

Ho partecipato al round di Doha a Hong Kong lo scorso dicembre e precedentemente ai negoziati a Cancún, e ho informato il Parlamento della falsa impressione creatasi secondo cui i paesi in via di sviluppo trarrebbero vantaggio da un maggiore accesso ai mercati dell’Unione europea. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità, e lo sentiamo dire ancora oggi in quest’Aula. I paesi in via di sviluppo hanno ben poco da guadagnare da un gesto di questo tipo; in realtà, l’Unione europea permette già il libero accesso a 50 tra i paesi meno sviluppati. Se dovessimo accettare di tradire gli agricoltori irlandesi, i veri vincitori sarebbero i baroni della carne dell’America latina. I veri perdenti in questa situazione sarebbero i piccoli agricoltori europei che già vivono di stenti. Dobbiamo evitare di compiere errori di questo tipo.

Una recente indagine condotta presso i consumatori irlandesi, per esempio, ha evidenziato che solo una persona su cinque ha fiducia nei prodotti alimentari importati da paesi extracomunitari. Un risultato che non sorprende. Un’ulteriore apertura del mercato agricolo comunitario rimetterà gravemente in discussione la sicurezza e la tracciabilità degli alimenti. Siamo disposti ad accettare uno scenario di incertezza per i prodotti che diamo da mangiare ai nostri figli, alla luce di allarmi per la sicurezza alimentare come la BSE, il morbo di Creutzfeldt-Jakob, o l’influenza aviaria? Siamo disposti ad accettare un approccio di piena apertura in merito all’uso della fenilciclidina e altre sostanze sospette tra gli allevatori bovini brasiliani?

Noi in Irlanda abbiamo recentemente assistito alla scomparsa dell’industria saccarifera locale. I baroni brasiliani dello zucchero sono quelli che hanno tratto il maggiore vantaggio dalla recente riforma del settore saccarifero, mentre 4 000 coltivatori di barbabietole da zucchero irlandesi non hanno più lavoro. Ad Hong Kong lo scorso dicembre ho visto gli agricoltori coreani lottare per i propri mezzi di sussistenza attualmente minacciati dalle multinazionali cerealicole, che contrattano sotto mentite spoglie, dichiarando di volere aiutare i paesi in via di sviluppo. E’ una falsità. E’ evidente che l’OMC non può riuscire nei suoi intenti fino a che insisteremo a giocare alla roulette russa con le nostre forniture alimentari e con i mezzi di sussistenza dei piccoli agricoltori europei ed irlandesi. E’ giunto il momento di compiere un passo avanti. E’ giunto il momento di escludere l’agricoltura dai negoziati una volta per tutte e di non tradire gli agricoltori europei.

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, la sospensione dei negoziati sull’agenda per lo sviluppo di Doha costituisce un duro colpo non solo per l’OMC, ma anche per tutte le parti negoziali. L’OMC ha perso parte della sua credibilità, mentre il commercio mondiale ha tratto vantaggi dall’elaborazione e dall’attuazione di regole internazionali in materia di movimenti commerciali. Poiché temo che saranno i paesi in via di sviluppo a dover pagare il conto di questa sospensione, chiedo al Commissario Mandelson di seguire sia a livello multilaterale che bilaterale gli interessi di questi paesi.

La disperata mancanza di prospettive economiche in Africa è effettivamente uno dei fattori che obbligano un numero sempre maggiore di persone a cercare la salvezza in Europa. Personalmente ho qualche dubbio per quanto riguarda la composizione del G20. Dopo tutto, il nuovo potere economico deve anche tradursi in una nuova responsabilità. Inoltre, ho sempre sostenuto l’appello che Susan Schwab, rappresentante per il commercio USA, ha rivolto alla Cina, esortando questo paese a dare prova di tale responsabilità.

Signor Commissario, nell’intervista che ha rilasciato alla rivista tedesca Internationale Politik, lei ha manifestato il suo impegno a portare avanti il lavoro per rimettere in carreggiata il round di Doha. Mi potrebbe spiegare su cosa fonda il suo ottimismo, in particolare alla luce della sua affermazione secondo cui lei non prevede che i negoziati si concludano prima della fine dell’anno? Dispone di qualche prova che le consenta di ipotizzare che gli americani facciano qualche mossa da qui ad allora? Inoltre, vorrei invitarla ancora una volta a riflettere molto attentamente sull’agenda europea dopo Doha, in quanto potrebbe essere molto più auspicabile di quanto possiamo immaginare.

 
  
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  Maria Martens (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, è estremamente deludente che i negoziati dell’OMC siano stati sospesi sine die, e sono particolarmente preoccupata per la posizione dei paesi in via di sviluppo.

L’obiettivo dei negoziati dell’OMC, come sappiano, era il miglioramento della posizione dei paesi in via di sviluppo, e tutti i soggetti coinvolti dovevano fare la propria parte: l’Europa nell’ambito delle tariffe d’importazione dei prodotti agricoli, gli Stati Uniti attraverso il sostegno interno agli agricoltori, i paesi in via di sviluppo, come il Brasile e l’India, rispetto all’accesso dei prodotti industriali ai loro mercati, e via di seguito. E’ un vero peccato che non sia stato compiuto alcun progresso e ora è possibile che passi anche molto tempo prima che si svolgano ulteriori negoziati.

Non voglio puntare il dito contro nessuna delle parti, ed è del resto difficile farlo in presenza di così tante parti sedute attorno al tavolo, ma si dovrebbe rilevare che il modo in cui il Commissario ha agito non ha purtroppo condotto ai risultati desiderati, e che sta diventando ora più difficile per i paesi in via di sviluppo raggiungere una posizione di maggiore solidità nell’economia mondiale.

Mi fa tuttavia piacere che il Commissario abbia manifestato più di una volta il suo impegno nei confronti dei paesi in via di sviluppo e, se mi sarà concesso, farò in modo che tenga fede a tale impegno. Non possiamo cambiare la realtà, per questo è importante guardare al futuro, in particolare a quello dei paesi in via di sviluppo.

Durante il ciclo negoziale, è stato raggiunto un accordo di principio su una serie di punti molto importanti per i paesi in via di sviluppo, tra cui figurano, come già citato: aiuti al commercio, abolizione dei dazi all’importazione per i paesi più poveri, agevolazioni commerciali, nonché un trattamento speciale e differenziato. Quello che avrebbe potuto essere un importante passo avanti è ora lasciato nelle mani di Dio. Capisco e inoltre giustifico il fatto che il Commissario vorrebbe che questi accordi procedessero il più possibile, ma allora mi chiedo come, secondo il Commissario, lo si può fare in questi settori? I piani possono essere già attuati e se sì, come?

Infine, vorrei ricordare le Export Promotion Organisations (EPO) collegate all’OMC. Non abbiamo ancora visto alcuna proposta concreta, e per questo vorrei sapere dalla Commissione qual è a suo avviso l’impatto della sospensione dei negoziati OMC sullo sviluppo delle EPO. Il Commissario crede che, nell’ambito dei negoziati EPO, esista la possibilità di compiere il necessario passo in più a favore dei paesi ACP?

 
  
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  Erika Mann (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ho avuto il piacere di seguire i progressi della politica commerciale qui al Parlamento per dodici anni, durante i quali ho visto al lavoro tre Commissari, e so quanto questa tematica sia complessa. Quest’Aula ha seguito nei minimi dettagli l’evoluzione dei negoziati; si è resa conto di quanto sia difficile condurli su base multilaterale, e anche quanto sia difficile capire che cosa significhino una politica e una strategia commerciali moderne.

Nutro personalmente forti dubbi sulla nostra capacità di capire il problema, anche ora. Posso condividere in molti punti quanto ci ha appena detto, e le sono grata per aver fatto riferimento alla nuova comunicazione della Commissione “Europa globale: competere nel mondo”, che riceveremo presto. Talvolta sono tuttavia anche un po’ scettica nei confronti della nostra autocritica e non so se davvero riusciamo a comprendere i cambiamenti ai quali assistiamo nel mondo.

Da una parte è sicuramente facile criticare gli americani – e non mancano le ragioni per farlo – ma è anche importante ricordare che, per motivi che i colleghi hanno già discusso, anche in alcuni paesi in via di sviluppo, come il Brasile, regna un certo scetticismo in merito all’accettazione delle posizioni dell’OMC. Un ulteriore elemento è probabilmente rappresentato dal fatto che la Cina è diventata un partner commerciale mondiale, con effetti più evidenti su paesi quali il Messico, per citarne solo uno, rispetto a quelli che possiamo osservare nell’Unione europea o negli Stati Uniti.

Le ragioni sono moltissime, e talvolta trovo deplorevole che il dibattito su una politica commerciale moderna, di cui lei stesso parla nel suo documento, non sia svolto con gli approfondimenti che sarebbero necessari. Non si riesce nemmeno a capire che gli Stati membri dell’Unione europea hanno assunto posizioni molto diverse rispetto alle sfide della globalizzazione. Ci sono paesi che sono molto aperti, perché se lo possono permettere, mentre altri sono in difficoltà perché hanno iniziato ad attuare le riforme e ad avviare la trasformazione con un certo ritardo.

Questo è un elemento che emerge con grande chiarezza dal dibattito sui prodotti tessili e dal dibattito in materia di antidumping nel settore calzaturiero, e ci sono molti altri esempi. Manca a mio parere una riflessione approfondita su che cosa intendiamo per politica commerciale moderna.

In questo rientra anche – come ho già rilevato – il ruolo della Cina. Abbiamo davvero capito che cosa significa l’adesione della Cina all’OMC? Se lei pensa alla possibilità di adesione per la Russia, signor Commissario, allora la esortiamo a discuterne con noi. Trovo deplorevole l’assenza di qualsiasi dibattito su eventuali effetti e conseguenze e per questo sono favorevole ad avviare una discussione in materia. Già nel 2002 il Parlamento si era espresso a favore di questa ipotesi, nello stesso momento in cui aveva dichiarato il proprio sostegno all’avvio di negoziati con l’Asia. A mio avviso, però, per ora un dibattito approfondito con questo Parlamento e con la commissione competente non c’è.

Sarei lieta che si affrontasse un dibattito sull’eventuale significato di una nostra partecipazione ai negoziati GATS+ nell’ambito del negoziato bilaterale. Anche in questo caso, lei ha ragione, ma mi piacerebbe che se ne discutesse.

Se vogliamo adottare la prospettiva di una politica commerciale moderna, credo che sia necessario assicurare il pieno coinvolgimento di questo Parlamento, non solo quando siamo chiamati ad accettare gli esiti dei negoziati, ma già all’inizio, nella fase preparatoria.

La Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo, riuniti a Stoccarda, hanno già discusso e messo a punto una dichiarazione che prevede che il Parlamento europeo sia consultato in modo completo o comunque in ampia misura. Vorrei chiederle che questo si possa ripetere, e mi auguro che lei sia d’accordo.

 
  
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  Sajjad Karim (ALDE).(EN) Signor Presidente, la sospensione sine die del round di Doha comporta gravi rischi per la nostra economia mondiale. Minaccia la parità e la prosperità per il mondo in via di sviluppo, l’occupazione, la crescita e la sicurezza in Europa, e il futuro del sistema commerciale multilaterale stesso. Una nuova esplosione di accordi bilaterali e regionali discriminatori potrebbe prendere il posto della liberalizzazione mondiale, erodendo il sistema multilaterale basato sulle regole dell’OMC.

Mentre qualcuno potrebbe dire che, per i paesi in via di sviluppo, piuttosto che un accordo insoddisfacente è meglio nessun accordo, senza la protezione dell’OMC – come ha detto anche lei, signor Commissario – questi paesi saranno esposti ad usi ed abusi in una lotta impari per il dominio commerciale. A seguito del fallimento, il vuoto che si creerà sarà riempito dal protezionismo, una volta cessato lo slancio verso una massiccia riduzione delle barriere; l’economia mondiale rallenterà e gli squilibri del commercio mondiale continueranno ad accentuarsi; i mercati finanziari diventeranno più instabili e la cooperazione economica internazionale diventerà ancora più frammentata. Con l’erosione del sistema dell’OMC, i tempi sono maturi per pensare alla forma che potrebbe assumere un “Piano B”: forse una zona di libero scambio dell’Asia orientale; forse la proposta giapponese di un ampio partenariato economico comprendente India, Australia e Nuova Zelanda. Una qualsiasi di queste due soluzioni creerebbe un nuovo blocco asiatico che, insieme all’Unione europea e ai paesi NAFTA, porterebbe alla formazione di un mondo tripolare con tutte le sue instabilità intrinseche.

Concorda la Commissione sul fatto che è ora assolutamente urgente un Piano B per rimettere in sesto il commercio mondiale e per affidare all’Unione europea un ruolo chiave nella definizione dell’ordine del commercio mondiale? Concorda la Commissione sul fatto che tale strategia deve avere questi tre obiettivi fondamentali: stimolare il rilancio di Doha; offrire un’alternativa ambiziosa per riavviare il processo di liberalizzazione sulla base più ampia possibile, nel caso in cui il nostro obiettivo principale fallisca; contrastare la proliferazione di accordi preferenziali tra piccoli gruppi di paesi?

Più volte, signor Commissario, mi sono trovato dinanzi a lei a riflettere sul gioco dello scaricabarile, in cui tutti danno la colpa agli altri, che ha gravemente pregiudicato i progressi in quest’ambito. E’ giunto il momento di lasciare da parte questo gioco. L’iniziativa “Tutto fuorché le armi” dimostra che l’Unione europea può agire bene, ma possiamo e dobbiamo fare meglio, prima che scada il mandato degli Stati Uniti e, con questo, la nostra opportunità di eliminare la povertà e distribuire equamente i vantaggi della globalizzazione.

 
  
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  Vittorio Agnoletto (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, le conseguenze dei risultati fin ad ora ottenuti durante il round di Doha come quelli derivanti dall’accordo TRIPS sull’accesso ai farmaci, stanno producendo effetti disastrosi sulle condizioni di vita di milioni di esseri umani. Risulta evidente come lo slogan “Libero commercio = riduzione della povertà” fosse solo un’esca per convincere i paesi del sud del mondo, i più poveri, a sottoscrivere le aspettative dei paesi industrializzati.

La vera ragione della sospensione dei negoziati dell’OMC è stata l’impossibilità di raggiungere un accordo tra le sei principali nazioni impegnate a difendere l’interesse del loro agrobusiness, gli altri 143 paesi sono stati esclusi dai negoziati. Secondo la FAO la causa del fallimento sta nell’aver centrato tutto il confronto sul libero commercio anziché su un commercio equo. Piuttosto che un cattivo accordo è meglio nessun accordo!

La sospensione delle trattative può fornire un’occasione per una revisione del mandato negoziale della Commissione che si accentrato su: 1) una riforma dell’OMC che la renda più trasparente, più inclusiva e più democratica, inserita nel sistema ONU e vincolata nella sue decisioni dal quadro del diritto internazionale; 2) una revisione dei tre principali accordi oggi in agenda: agricoltura, proprietà intellettuale e servizi; 3) un quadro di riferimento vincolante per l’attività delle imprese transnazionali; 4) una gerarchia tra il rispetto dei diritti dei popoli e il libero commercio che preveda il rispetto della clausola dei diritti umani così come votata dal Parlamento il 14 febbraio; 5) il rifiuto di eludere a livello bilaterale o regionale le regole su cui ci si è accordati a livello multilaterale, prendendo come esempio i negoziati EPA con i paesi ACP.

 
  
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  Daniel Varela Suanzes-Carpegna (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, l’interrogazione orale della nostra commissione per il commercio internazionale è molto pertinente e tempestiva. Il Parlamento europeo non può voltarsi dall’altra parte quando negoziati così importanti a livello multilaterale, negoziati che hanno alimentato grandi speranze in vista di un commercio più organizzato, trasparente, libero ed equo, sono sospesi.

Vorremmo fare riferimento alla proposta di risoluzione presentata dal nostro gruppo in merito agli aspetti concreti di cui stiamo discutendo in questa sede. Vorremmo tuttavia segnalare che un eventuale fallimento del round di Doha sarebbe un fallimento per il commercio internazionale e per il sistema multilaterale, poiché metterebbe a repentaglio risultati quali le preferenze tariffarie e commerciali e condurrebbe al moltiplicarsi e al sovrapporsi di regole, complicando così ulteriormente la vita delle imprese.

Le vere ragioni alla base di questo fallimento devono essere illustrate chiaramente. Gli Stati inflessibili che hanno ostacolato il negoziato vanno condannati e, dal canto nostro, non dobbiamo rinunciare all’idea dei negoziati ma rilanciarli. Beneficeremo così dei progressi già compiuti e porteremo a buon fine il round di Doha, garantendo una forma più equa di globalizzazione e il bene dell’OMC stessa. E’ in gioco il futuro stesso dell’Organizzazione mondiale del commercio, che potrebbe essere gravemente danneggiata da questa crisi. Occorre una riflessione seria e i meccanismi di funzionamento dell’OMC devono essere aggiornati, modernizzati e democratizzati.

Il Parlamento europeo deve continuare a svolgere il ruolo che ci è stato assegnato controllando seriamente e rigorosamente la situazione che si è creata e favorendo l’individuazione di una soluzione all’attuale impasse per il bene di tutti, ma soprattutto, come hanno affermato anche altri, per il bene dei paesi meno sviluppati.

Signor Commissario, le siamo grati della sua presenza in Aula e delle informazioni che ci ha dato. Come hanno ricordato anche altri oratori, lei sa di poter contare su questo Parlamento in vista del lavoro necessario per sbloccare questi negoziati.

 
  
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  Javier Moreno Sánchez (PSE).(ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il cielo commerciale si è rannuvolato a Ginevra lo scorso luglio. Nonostante il benaugurale raggio di luce offerto dal G8 alcuni giorni prima a San Pietroburgo, la mente di alcuni negoziatori si è oscurata e i negoziati sull’agenda per lo sviluppo sono stati sospesi sine die.

Anche le partite di calcio si sospendono a causa del cattivo tempo, ma poi il gioco riprende, quando la nebbia si alza o il temporale passa.

L’attuale situazione non dovrebbe scoraggiarci o indebolire la volontà politica di continuare lungo la via del multilateralismo e dello sviluppo. Dobbiamo continuare a combattere per mantenere un sistema commerciale internazionale disciplinato da regole chiare, trasparenti e vincolanti, al quale tutti i paesi, e particolarmente i paesi in via di sviluppo, possano partecipare a pieno titolo e da cui possano trarre vantaggio.

Se tutto ciò non avvenisse, entreremmo nella giungla del bilateralismo. Si assisterebbe all’estensione del groviglio degli oltre 250 trattati bilaterali attualmente in vigore, si penalizzerebbero i paesi in via di sviluppo, si favorirebbero il Darwinismo, il protezionismo e la discriminazione. Non dobbiamo fare passi indietro.

Signor Commissario, che cosa ne sarà degli impegni assunti e degli accordi conclusi lo scorso dicembre a Hong Kong, particolarmente in termini di sviluppo? Il principio dell’impegno unico è ancora valido nella strategia della Commissione? L’eliminazione dei sussidi alle esportazioni per il 2013 sarà mantenuta? Che cosa ne sarà dei negoziati sul cotone? Quali paesi sono disposti ad applicare questi accordi?

Inoltre, a Ginevra si era detto che tutti i negoziatori ne sarebbero usciti perdenti. Ma tra i perdenti ci sono anche tutti i cittadini, e particolarmente quelli dei paesi meno sviluppati.

Quali iniziative sta pianificando la Commissione per spiegare ai cittadini che l’OMC non è morta e che rappresenta ancora il migliore strumento per regolamentare e promuovere il commercio libero e internazionale?

 
  
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  Godelieve Quisthoudt-Rowohl (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sebbene naturalmente sia estremamente negativo che i negoziati del round di Doha siano stati sospesi, è pur vero che non tutto il male viene per nuocere. Come abbiamo visto negli ultimi anni, passare da un round all’altro e continuare a dire che non siamo soddisfatti, ma che andiamo comunque avanti, non ha portato alcun risultato particolarmente positivo. Ne consegue che dobbiamo utilizzare il tempo che rimane anche per riflettere.

In teoria, capiamo tutti che l’OMC, con i suoi 150 Stati membri, non può essere gestita come quando aveva 23 membri, all’inizio della sua attività. Perché non ne traiamo le debite conclusioni? Perché per una volta non riflettiamo per vedere dove si situano gli interessi europei e qual è la nostra posizione commerciale nei vari settori? Non basta dire che l’agricoltura rappresenta solo il 2 o il 3 per cento del volume commerciale totale se in realtà tale dato riguarda le grandi regioni dell’Unione europea e modificherebbe la forma della nostra società. Dobbiamo pertanto individuare una sorta di concetto generale e vale davvero la pena di cercare di farlo.

I negoziati dell’OMC e i colloqui commerciali condotti in modo raffazzonato, del tipo “io ti do tre mucche e tu mi dai in cambio due pesci” non servono più a nulla. Se le differenze tra gli Stati crescono costantemente – come del resto ha affermato anche lei, signor Commissario – perché allora pensiamo in termini di categorie come “multilaterale” o “bilaterale”? Perché non possiamo iniziare a pensare in termini di categorie come per esempio “multiregionale”?

In un mondo variegato come il nostro, non possiamo trattare tutti gli Stati con lo stesso parametro. Con tutto l’amore che possiamo nutrire per la politica dello sviluppo – alla quale sono anch’io favorevole – noi, nell’Unione europea, abbiamo un obbligo anche nei confronti dei nostri cittadini.

L’importante in questi round – come ha dimostrato il loro fallimento – è coinvolgere maggiormente i parlamenti nei negoziati. Non è sufficiente che un parlamento alla fine possa dare o negare la propria approvazione. Visto che ci lamentiamo del mancato coinvolgimento dei cittadini, che almeno i loro rappresentanti abbiano il diritto di partecipare ai negoziati e di essere consultati – come minimo – quando sono in corso. Siamo infatti noi, in ultima analisi, a dovere poi dare spiegazioni agli elettori.

 
  
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  Margrietus van den Berg (PSE).(NL) Signor Presidente, quando alla fine di luglio il round di Doha è giunto temporaneamente a un punto morto, avevamo già compiuto piccoli passi verso un commercio equo. Si era convenuto che tutti i sussidi alle esportazioni per i prodotti agricoli sarebbero stati aboliti nel 2013 e che gli Stati Uniti e il Giappone avrebbero seguito l’esempio dell’Unione europea garantendo il libero accesso al mercato per i paesi meno sviluppati per il 97 per cento dei prodotti; era stato raggiunto un accordo su un ampio pacchetto di aiuti al commercio e, infine, gli americani avevano espresso l’intenzione di eliminare gradualmente gli aiuti al settore del cotone.

Un risultato raggiunto a fatica, dopo cinque anni di lavoro, ma la firma, naturalmente, non c’è, e, come ho già detto, non credo che a farne le spese debbano essere i paesi più poveri. E’ assolutamente fondamentale che queste misure siano adottate, se vogliamo realizzare gli Obiettivi del Millennio entro il 2015.

Rispondendo alla mia interrogazione scritta, il Commissario ha espresso la sua disponibilità a proporre un meccanismo di anticipo dei crediti con questo pacchetto. Potrebbe in questa sede ora confermare il suo impegno? Potrebbe altresì confermare che l’Unione europea è disposta ad abolire i suoi sussidi alle esportazioni nel 2013, unilateralmente, se dovesse essere necessario?

Allo stesso tempo, non è d’accordo con me nell’affermare che una misura di anticipo dei crediti di questo tipo potrebbe anche contribuire a migliorare la situazione per i paesi meno sviluppati? Sono personalmente ancora del parere che, se si concludono accordi bilaterali, multilaterali, regionali o in qualsiasi altro modo li vogliamo chiamare, in altri termini accordi tra le parti più forti, saranno soprattutto i paesi più deboli a dover pagare il prezzo più alto. Il Commissario stesso lo ha affermato più volte, ed è il motivo per il quale ha perfettamente ragione quando dice che, poiché questi paesi non dovrebbero essere le vittime dei nostri accordi, dovremmo sin d’ora impegnarci in vista dell’accordo commerciale multilaterale.

Non lasciamo che la lotta contro la povertà rimanga vittima di negoziati che si sono arenati. Se non è possibile salvare i negoziati commerciali mondiali, dovremmo almeno salvare gli Obiettivi del Millennio.

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ecco che si fa infine luce sull’ipocrisia che regna in materia di commercio internazionale su questo pianeta, sul dialogo tra truffatori, bugiardi e ladri. Se la situazione non fosse così drammatica, tutti sarebbero sollevati dal fatto che i lupi escano dal bosco a viso scoperto e che gli allievi, guardando i maestri, si rendano conto ancora una volta che chi di spada ferisce di spada perisce.

Ha ragione, Commissario Mandelson, a boicottare la riunione di Canberra, in Australia, in programma tra una quindicina di giorni, perché non dovremmo seppellire l’Organizzazione mondiale del commercio così rapidamente. La situazione è grave perché i governi si sono rivelati incapaci di gestire il commercio mondiale in vista del bene comune e, ancor peggio, di definire un’agenda per lo sviluppo.

Vorrei condividere con voi alcune riflessioni e una proposta. Per quanto riguarda l’agenda di Doha, vale la pena di ricordare gli ambiti dello sviluppo in cui c’è un consenso e rinviare la riforma del commercio internazionale fino a quando i paesi in via di sviluppo non avranno adottato norme sociali e ambientali in grado di favorire una concorrenza leale nel mondo.

Il mio secondo commento riguarda l’agricoltura. L’Unione europea dovrebbe offrire ulteriori concessioni fino a quando non saprà quale forma assumerà l’agricoltura, dopo il 2013, tenuto conto in particolare degli importanti sviluppi che ci assicurano le biotecnologie e dei problemi in materia di alimentazione dell’umanità che, inevitabilmente, si porranno.

La domanda è la seguente: ci può assicurare, signor Commissario, che la politica agricola comune attualmente in vigore dopo la riforma del 2003 è compatibile con le attuali regole dell’OMC e che non rischiamo di perdere in caso di contenzioso sottoposto al giudizio dell’Organo di composizione delle controversie?

Infine, e data l’incapacità dei nostri leader politici di trovare un terreno di intesa in materia di commercio internazionale, propongo che sia avviata immediatamente un’iniziativa parlamentare sotto l’egida dell’Unione interparlamentare mondiale e del nostro Parlamento europeo. Questa iniziativa consisterebbe nell’interrogare i legittimi rappresentanti dei cittadini su questo fascicolo e nel trasmettere proposte a detti rappresentanti rispetto alla strada da seguire per rimediare al grave stato di disordine in cui versa attualmente il commercio internazionale.

 
  
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  Glenys Kinnock (PSE).(EN) Signor Presidente, chiaramente, come rilevato dal Commissario e da altri, un cambiamento a livello di agricoltura rimane la chiave per aiutare milioni di agricoltori in Africa, Asia e America latina ad uscire dalla povertà.

Realisticamente, signor Commissario, fino a quando noi nel mondo ricco non affronteremo il problema della necessità di un accesso più equo e migliore ai nostri mercati, non ci sarà alcuna possibilità di concludere un accordo più ampio in materia di beni industriali e servizi. Lo spostamento verso accordi commerciali regionali costituirebbe, come ricordato da lei e da altri, un grande passo indietro ed indebolirebbe il principio fondamentale della non discriminazione. Accordi di questo tipo escluderebbero la maggior parte dei paesi più poveri del mondo, compresi i paesi ACP, che sono per definizione generalmente piccoli, vulnerabili e di scarso peso economico.

Prima di ritornare al tavolo negoziale, signor Commissario, i paesi ricchi devono affrontare il problema dei sussidi e del dumping, soprattutto per quanto riguarda il cotone. E’ pertanto assolutamente necessario prendere una decisione rispetto a Aid for Trade, con apporto di nuovi capitali e senza clausole restrittive. Inoltre, occorre capire, durante la preparazione, che il ritmo e la portata dell’apertura dei mercati sono fondamentali per i paesi in via di sviluppo, così come lo sono i trattamenti speciali e differenziati e la protezione tariffaria.

Qualcuno ha evocato il rischio che sull’OMC si riversi un’ondata di reclami commerciali, ed è mia convinzione che occorrerebbe una radicale modifica del meccanismo sanzionatorio che attualmente interviene unicamente quando l’autore del reclamo è un soggetto di rilievo. I paesi ACP che dipendono dai prodotti di base lo sanno bene e lo hanno imparato a loro spese.

“Stiamo solo agitando le mani per salutare o invece stiamo davvero annegando?” è talvolta molto difficile capire la differenza. L’accordo multilaterale è fondamentale. Gli accordi regionali, bilaterali non sono quello che stiamo cercando.

Signor Commissario, lei ora è confrontato a un compito arduo che metterà a dura prova le sue capacità diplomatiche e di creazione di consenso, come anche quelle di altri. Le facciamo i nostri migliori auguri.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, mi ha sempre colpita l’ottimismo del Commissario durante questi negoziati. Molti di noi pensavano che sarebbero stati destinati all’insuccesso sin dall’inizio, soprattutto perché l’Unione europea ha dato troppo e troppo presto, mentre gli Stati Uniti hanno dato molto poco all’inizio e si sono arroccati su questa posizione.

Come ha detto lei stesso, signor Commissario, sull’agricoltura è stata posta un’enfasi eccessiva. Le responsabilità attribuite all’agricoltura per questo evidente fallimento dei negoziati sono davvero troppe. Il ciclo di Doha è stato sopravvalutato relativamente al suo potenziale in vista dell’eliminazione della povertà. Ho già detto in quest’Aula che i poveri sono usati troppo spesso in troppi negoziati. I loro interessi non sono stati tutelati al meglio nei negoziati che si sono svolti finora.

Il prezzo per l’agricoltura comunitaria e per i consumatori dell’Unione europea in termini di forniture alimentari è enorme – ce l’ha ricordato lei qui stamani: un ridimensionamento di 20 miliardi di dollari all’anno. Mi chiedo se sia possibile dare dei nomi e dei volti a questo ridimensionamento. Ci stiamo ritirando dal latte, dal pollame e dai mercati cerealicoli, per non parlare della carne bovina. Non conosco molti agricoltori poveri che trarranno vantaggi, ma ne conosco molti del G20 che non sono poveri e che invece otterranno da tutto ciò un vantaggio significativo. A mio avviso, piuttosto che un cattivo accordo è meglio nessun accordo.

Se i poveri del mondo hanno bisogno di cibo da mangiare e di acqua pulita da bere – e sappiamo che è così – ci rendiamo anche conto che Doha non avrebbe mai potuto assicurarglieli. Mi dispiace dirlo, ma è così. Dobbiamo poi aggiungere a tutto questo la vera minaccia per l’Unione europea. Abbiamo migliorato le norme relative alla produzione alimentare; affrontiamo tematiche legate all’ambiente e al benessere degli animali. Tutto questo non è mai stato discusso a Doha, quindi non avremmo mai potuto garantire un commercio equo agli agricoltori nel mondo.

Ho alcune domande da rivolgere al Commissario, una delle quali è molto specifica. Alla prima risponderò io: il commercio mondiale – il libero commercio – potrà assicurare un approvvigionamento alimentare sufficiente? Credo di no. Dobbiamo occuparci della produzione alimentare così come ora siamo preoccupati per l’energia. Infine, una domanda sulle riforme della PAC. Le abbiamo sul tavolo; dovremo dare di più. E’ questo quello che ci ritroviamo per aver dato troppo e troppo presto?

 
  
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  David Martin (PSE).(EN) Signor Presidente, non potrei essere più in disaccordo con l’oratrice che mi ha preceduto, l’onorevole McGuinness, in merito a quanto ha affermato sui poveri. L’alternativa a un round di Doha coronato da successo è purtroppo già visibile. E’ un passo indietro verso un universo di accordi bilaterali diseguali ed esclusivi: accordi che stanno già obbligando con le maniere forti molti paesi poveri ad accettare condizioni peggiori in termini di accesso al mercato e di diritti di proprietà intellettuale; accordi che ignorano i paesi più poveri. Credo che possiamo ancora e dovremmo compiere quel passo in più necessario per garantire il completamento di un ciclo negoziale che si concentri davvero sullo sviluppo, e ci vorrà del tempo. A breve, come rilevato anche da altri, dobbiamo salvare quello che abbiamo ottenuto a Hong Kong: la pietra miliare costituita dall’accordo destinato ad abolire i sussidi alle esportazioni entro il 2013, l’accesso al mercato senza dazi né quote per i paesi più poveri, sul modello del programma pionieristico dell’Unione europea “tutto fuorché le armi”, nonché un forte impegno ad accrescere gli aiuti al commercio per migliorare la capacità dell’attività dell’offerta e le infrastrutture commerciali nei paesi meno sviluppati.

Mi congratulo con il Commissario per la flessibilità di cui ha dato prova dopo il fallimento dell’impegno unico nel tentativo di salvare il pacchetto sullo sviluppo – una flessibilità che, temo, manchi ad alcuni dei nostri partner negoziali.

Nell’ambito del lavoro di attenta valutazione in corso all’OMC, la recente relazione della task force sull’iniziativa Aid for Trade giunge opportuna. Evidenzia la reale necessità di aiuti supplementari guidati dalla domanda, aiuti mirati, tesi a consentire ai paesi più poveri di partecipare al sistema commerciale mondiale. Aid for Trade non può sostituire il lavoro e i risultati del round di Doha, ma, nel periodo intermedio, continua a essere uno strumento importante per raccogliere le sfide tecniche e logistiche cui si trovano confrontati questi paesi, quando si tratta di fare arrivare i loro beni sul mercato mondiale.

Il procedere vacillante dei negoziati di Doha e il disinganno in merito ai loro obiettivi fanno sì che Aid for Trade sia ora un’iniziativa politicamente più opportuna che mai. E’ nell’interesse di tutti i paesi, paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo più avanzati, impegnare fondi in modo multilaterale per garantire che si facciano gli investimenti necessari nelle infrastrutture commerciali per consentire ai paesi più poveri di uscire dalla povertà grazie all’aiuto del commercio.

Aspetto con impazienza un’iniziativa dell’Unione europea – e in particolare della Commissione – su questi temi.

 
  
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  Syed Kamall (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, capiamo tutti la difficoltà e la complessità legate ai negoziati dell’OMC e appoggiamo il Commissario e la sua squadra. L’Unione europea ha messo molto sul tavolo; ci aspettavamo controfferte serie e siamo rimasti purtroppo delusi da quello che è ci è stato proposto.

E’ sicuramente venuto il momento in cui l’Unione europea deve dare prova di coraggio morale e leadership. La Commissione ha valutato i costi e i benefici potenziali dell’eliminazione unilaterale da parte dell’Unione europea di tutti i suoi sussidi e di tutte le tariffe d’importazione sui prodotti agricoli e come questo potrebbe favorire l’Unione europea, i paesi in via di sviluppo e i negoziati OMC?

In Nuova Zelanda, gli agricoltori hanno protestato quando i loro sussidi sono stati aboliti. Eppure ora gli agricoltori neozelandesi sono tra i più efficienti del mondo, e stanno in realtà obbligando altri blocchi commerciali a difendere i loro prodotti con tariffe e barriere.

Non viviamo più in un’Europa postbellica in cui la sicurezza alimentare era una preoccupazione legittima. Sicuramente dobbiamo portare gli agricoltori dell’Unione europea nel XXI secolo e dobbiamo dare prova di coraggio morale fissando le date per l’abolizione di sussidi e tariffe affinché i paesi meno sviluppati possano avere nuovi mercati per i loro prodotti. Gli agricoltori dell’Unione europea diventerebbero tra i più efficienti al mondo e realizzeremmo l’obiettivo della liberalizzazione dei servizi, consentendo ai talenti europei di lavorare in tutto il mondo.

 
  
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  Presidente. Grazie, onorevole Kamall. Non ci sono molti agricoltori nel suo collegio elettorale, vero?

 
  
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  Kader Arif (PSE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, per tutti coloro che sono legati alla struttura multilaterale, come è appena stato ricordato, questa sospensione nell’attuazione dell’agenda per lo sviluppo di Doha, destinata a mettere le regole del commercio al servizio dello sviluppo, è una pessima notizia. In caso di fallimento definitivo, sappiamo che cosa ci aspetta – la proliferazione di accordi regionali, che vanno sempre a scapito del più debole. In altri termini, sarebbe un risultato diametralmente opposto ai nostri obiettivi tesi a riallineare le regole del commercio internazionale a favore dei paesi in via di sviluppo.

Questo round dovrebbe consentirci di garantire una suddivisione più equa dei vantaggi della globalizzazione e di tenere conto delle differenze in termini di livello di sviluppo. Dovrebbe altresì offrire ai paesi in via di sviluppo un accesso migliore ai mercati senza forzare ad ogni costo l’apertura dei loro mercati. Questi negoziati avevano sicuramente delle lacune, ma hanno anche consentito di compiere passi avanti, come è stato ricordato nel corso del dibattito. Questi passi avanti, queste vittorie meritano di essere salvati e a tale proposito accolgo favorevolmente l’auspicio espresso dal Commissario Mandelson. Questo auspicio è indispensabile ed è fondamentale rilanciare i negoziati. Tuttavia i progressi esigono anche riforme e la questione della riforma dell’OMC è oggi sul tappeto.

 
  
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  Panagiotis Beglitis (PSE).(EL) Signor Presidente, vorrei dire sin dall’inizio che sono assolutamente d’accordo con l’impostazione del Commissario Mandelson e con le riflessioni che ha esposto. Non ci possono essere dubbi sul fatto che il nostro obiettivo fondamentale debba essere il positivo completamento dei negoziati del round di Doha, nell’interesse dell’Unione europea e degli Stati membri.

Tuttavia, questo risultato non può essere raggiunto ad ogni costo, e nemmeno può essere raggiunto con concessioni unilaterali da parte dell’Unione europea.

Credo che sia venuto il momento di rispondere ad una domanda cruciale di importanza strategica: la struttura istituzionale dell’Organizzazione mondiale del commercio, come la conosciamo dalla sua costituzione nel 1995, può essere utile per l’obiettivo strategico dell’Unione europea di realizzare un sistema commerciale multilaterale democratico? Temo di no, vista l’esperienza finora acquisita e visto il fallimento dei negoziati del ciclo negoziale di Doha.

L’Organizzazione mondiale del commercio attualmente genera più crisi di quante ne riesca a risolvere. Per questo, reputo strategicamente importante che l’Unione europea attribuisca priorità all’adozione di un’iniziativa volta ad avviare una vasta e ambiziosa riforma democratica dell’Organizzazione mondiale del commercio, così come considero strategicamente importante che l’Unione europea presenti una politica commerciale strategica integrata per lo sviluppo di relazioni commerciali bilaterali e regionali.

Ed è proprio quello che stanno facendo gli Stati Uniti, Commissario Mandelson, come lei ben sa; parallelamente al round di Doha, stanno sviluppando rapporti commerciali bilaterali e regionali. Abbiamo bisogno di fare lo stesso e dobbiamo farlo.

Oggi prendono forma rapporti regionali e mondiali che non hanno solo una valenza commerciale ma anche politica e l’Unione europea non deve farsi lasciare indietro in questa grande avventura strategica.

 
  
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  Harald Ettl (PSE).(DE) Signor Presidente, il rischio che la sospensione a lungo termine dei negoziati di Doha generi ancora una volta la proliferazione di accordi di libero scambio bilaterali è concreto e, mentre non ci sono dubbi sul fatto che saranno i paesi più poveri del mondo a pagarne il prezzo, sarà anche sempre più difficile tutelare gli interessi dei lavoratori.

Avevamo un tempo l’ambizioso obiettivo di realizzare una società ambientalmente e socialmente sostenibile, ma che cosa ne è stato? A partire dagli anni ’70, gli Stati industrializzati si sono impegnati a destinare lo 0,7 per cento del loro prodotto interno lordo alla cooperazione allo sviluppo; nel 2005 abbiamo speso solo lo 0,33 per cento. Una sorta di Piano Marshall globale potrebbe costituire ora una nuova iniziativa per entrambe le parti, in grado, da una parte, di eliminare la povertà nei paesi davvero più poveri del mondo, dando loro un’equa possibilità di partecipazione ai mercati mondiali e, dall’altra, di evitare il dumping sociale e ambientale.

 
  
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  Peter Mandelson, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, è stato un dibattito estremamente utile perché ci ha permesso di concentrare la nostra attenzione, ci ha dato la possibilità di capire e ha fornito a me alcuni orientamenti. Sono del resto queste le funzioni essenziali del Parlamento nei confronti della Commissione.

Sono un Commissario nuovo e non so che cosa sia accaduto in passato o quale precedente sia stato creato, ma istintivamente penso che la condivisione di informazioni, la consultazione e il dialogo che ho con questo Parlamento e con la commissione per il commercio internazionale siano molto solidi. Sicuramente sono molto più ampi, frequenti e approfonditi rispetto a quanto ero abituato a vedere come ministro nel mio parlamento nazionale. Apprezzo moltissimo la profondità e la solidità di tali contatti e sono un po’ sorpreso dalle critiche che sono state espresse. Non so se siano le critiche di un rappresentante del Parlamento o della commissione per il commercio internazionale nel suo insieme.

La Commissione consulta il Parlamento su tutti i principali orientamenti in materia di politica commerciale sulla base della procedura Westerterp che, come sappiamo, prevede la possibilità di un dibattito al Parlamento prima dell’avvio dei negoziati su qualsiasi accordo commerciale, nonché la trasmissione di informazioni al Consiglio prima della conclusione di un accordo di questo tipo. Agiamo anche in base alla Dichiarazione di Stoccarda, che sancisce che il Parlamento deve essere consultato al momento della conclusione di tutti gli accordi – anche quelli oggetto dell’allora articolo 113 – che hanno un impatto significativo sulla Comunità.

Il nostro impegno rispetto a questo rapporto è dimostrato dal fatto che trasmettiamo alla commissione per il commercio internazionale copia di tutti i documenti politici oggetto di discussione al comitato articolo 133 del Consiglio. Non abbiamo l’obbligo legale di farlo, ma lo facciamo, perché è giusto e perché contribuisce a consolidare i nostri rapporti. Sicuramente potremmo anche fare di meglio in futuro, ma definire “scarso” o “insufficiente” quello che facciamo attualmente mi sembra inesatto.

Numerose osservazioni esposte riguardano preoccupazioni legittime rispetto all’impatto di questi negoziati – considerando sia la loro direzione che la loro sospensione – sui paesi in via di sviluppo. E’ forse opportuno che io chiarisca che i paesi in via di sviluppo non corrispondono tutti ad una misura standard in termini di livello di sviluppo o di interessi nell’ambito dei negoziati. Ci sono diversi paesi in via di sviluppo con interessi molto divergenti e necessità molto diverse. Abbiamo innanzi tutto il compito di garantire due cose: primo, che tutti i paesi in via di sviluppo beneficino di questi negoziati e, secondo, che i più deboli, vulnerabili e meno sviluppati tra di loro ricevano la maggiore assistenza diretta, soprattutto in termini di sviluppo di capacità, aiuti per il commercio e l’attuazione di un sistema senza dazi né quote che consenta loro di accedere ai mercati mondiali ricchi.

In altri termini, noi gestiamo un sistema di proporzionalità: proporzionalità nei confronti di quello che ci aspettiamo possa essere il contributo dei paesi in via di sviluppo e dell’impegno che ci aspettiamo da loro in vista della conclusione di questi negoziati, e proporzionalità anche in termini di quello che diamo e come sosteniamo ed appoggiamo il loro sviluppo. I paesi più indigenti e che hanno meno da offrire sono giustamente quelli che sono e rimarranno prioritari in questi negoziati.

E’ importante sottolineare questo aspetto perché, a differenza di alcuni degli oratori che sono intervenuti, io credo fermamente che un accordo Doha di qualità possa contribuire allo sviluppo e a un commercio più equo, applicando trattamenti speciali e differenziati tra i paesi in via di sviluppo, consentendo “eccezioni” per gli impegni nei confronti dei paesi in via di sviluppo per tutelare e consentire lo sviluppo di una nuova industria, prevedendo periodi di esecuzione più lunghi per i paesi in via di sviluppo in modo che si possano preparare al cambiamento e, in particolare, concedendo possibilità speciali di accesso ai paesi meno sviluppati e dedicando particolare attenzione alle loro necessità in termini di capacità. Continueremo a rispettare queste norme, come del resto vi aspettate che facciamo, per tutta la durata dei negoziati.

Quello che conta non è solo un accesso giusto per i paesi in via di sviluppo ai mercati del mondo sviluppato, ma anche un accesso molto più esteso per i paesi in via di sviluppo ai mercati di altri paesi in via di sviluppo. Il commercio sud-sud è estremamente importante, soprattutto vista l’entità dell’accesso senza dazi né quote che noi in Europa già concediamo ai paesi in via di sviluppo e particolarmente ai paesi ACP, in virtù del quale il 75 per cento delle esportazioni agricole provenienti dall’Africa arriva in Europa, così come il 45 per cento delle esportazioni provenienti dall’America latina. Siamo in realtà il blocco commerciale più aperto ed equanime al mondo. Ricordiamocelo, pur pensando sempre a quello che possiamo migliorare in futuro. I maggiori e più rapidi vantaggi per i paesi in via di sviluppo saranno assicurati dalla crescita delle opportunità commerciali con altri paesi in via di sviluppo. Pertanto non dovremo assolutamente trascurare il commercio sud-sud, quando affronteremo con attenzione e sensibilità la questione delle riduzioni tariffarie e la multilateralizzazione assolutamente necessaria di “Tutto fuorché le armi”.

Altri oratori che sono intervenuti hanno voluto suggerire che, lungi dal dare troppo poco per e ai paesi in via di sviluppo, la posizione negoziale europea ha invece concesso troppo, troppo presto ed è stata eccessivamente flessibile. Ebbene, noi in Europa abbiamo concepito il round di Doha. Siamo stati di grande aiuto per il suo lancio e abbiamo continuato ad alimentarlo. Dopo Cancún abbiamo contribuito a rimetterlo in carreggiata, attraverso l’accordo quadro, nel 2004, e non mi scuso per aver fissato una scadenza, a Hong Kong, per l’eliminazione dei nostri sussidi all’esportazione. Era un impegno che avevamo già preso, supponendo, naturalmente, che questi negoziati si sarebbero conclusi e che altri paesi avrebbero agito in modo analogo per quanto riguarda l’eliminazione della componente dei sussidi alle esportazioni. Non porgo alcuna scusa e non sono responsabile del futuro della politica agricola comune, anche se desidero precisare che per ora non vedo emergere alcun consenso a favore della sua abolizione.

In caso di esito incerto dei negoziati di Doha, dovremo analizzare con estrema attenzione le sorti future dei sussidi alle esportazioni, in quanto sono legati ad un altro elemento citato in questo dibattito, la nostra eventuale minore o maggiore vulnerabilità alle controversie all’OMC nelle cause intentate contro di noi in materia agricola, nel caso in cui non si raggiunga un accordo nei negoziati multilaterali. Se questi negoziati falliranno, ritengo anch’io altamente probabile la proliferazione di cause all’OMC, soprattutto per quanto riguarda l’agricoltura.

Noi in Europa possiamo considerare questa possibilità con una relativa serenità d’animo. Abbiamo riformato la nostra politica agricola comune perché era giusto farlo per i nostri fini e le nostre esigenze, nonché per le esigenze di altri attori del sistema commerciale internazionale. Nella misura in cui abbiamo ora attuato tale riforma e continueremo a farlo, siamo tutelati rispetto alle controversie all’OMC. Tuttavia, non tutti i membri dell’OMC sono nella stessa posizione e certamente non escludo che i grandi esportatori agricoli – per esempio Brasile e Argentina – ricorrano alla via giudiziaria se vedono che quella politica e negoziale è bloccata. Tuttavia, altri sono più vulnerabili di noi europei agli effetti di queste azioni.

Prima di esprimere un ultimo commento sulla tempistica, vorrei intervenire brevemente sull’OMC in quanto tale. Tutti – compreso l’attuale Direttore generale dell’OMC – sono d’accordo, anche se in misura diversa, nell’affermare che l’OMC trarrebbe vantaggio da una qualche riforma istituzionale e procedurale, come hanno rilevato altri oratori durante questo dibattito. La relazione Sutherland ha proposto alcune idee interessanti a tale riguardo. Tuttavia, dobbiamo avere le idee molto chiare in materia. L’attuale impasse nei negoziati non è dovuta a un problema istituzionale ma a un problema politico, e nessun miglioramento istituzionale potrebbe sbloccare l’attuale punto morto. E’ necessaria la volontà politica ed è necessario che certi membri dell’OMC cambino atteggiamento e politica.

E questo mi porta all’ultima osservazione, che riguarda la data in cui questi negoziati possono ripartire. E’ molto semplice: dovremo aspettare la conclusione delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti a novembre prima di poter pensare ad una seria ripresa dei negoziati. Lavorerò in vista di tale obiettivo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ROTH-BEHRENDT
Vicepresidente

Presidente. – Grazie, signor Commissario. Con 15 minuti all’inizio e quasi 15 minuti alla fine, credo che lei sia stato molto coerente. E questo significa che ora avremo qualche problema con il prossimo dibattito.

 
  
  

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì.

 

6. “Lotta contro la violenza (DAPHNE)” (2007/2013) (discussione)
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0193/2006) dell’onorevole Gröner, a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce per il periodo 2007-2013 il programma specifico “Lotta contro la violenza (DAPHNE) e prevenzione e informazione in materia di droga” come parte del programma generale “Diritti fondamentali e giustizia” [COM(2005)0122COM (2006)0230 C6-0388/2005 2005/0037A(COD)].

 
  
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  László Kovács, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, vorrei innanzi tutto esprimere i ringraziamenti della Commissione alle due relatrici, onorevoli Gröner e Angelilli, per l’ottimo lavoro svolto. Devo dirvi che sono stato molto lieto di accogliere la richiesta del collega, Franco Frattini, che mi ha pregato di sostituirlo almeno all’inizio del dibattito, perché questo è un argomento di grande importanza e che mi sta molto a cuore.

Desidero inoltre dirvi che la Commissione nutre grande interesse per il programma DAPHNE, volto a prevenire e combattere tutte le forme di violenza contro le donne, i bambini e i giovani. Sappiamo che anche per il Parlamento questo programma riveste molta importanza. DAPHNE ha dieci anni, ma la proposta della Commissione costituisce già la terza versione del programma. In questo arco di tempo il suo successo è stato ampiamente riconosciuto. Ha contribuito a finanziare diversi progetti che hanno permesso di compiere progressi nella lotta contro la violenza.

In virtù del loro interesse per DAPHNE, il Parlamento e molti settori della società civile hanno suggerito alla Commissione di presentare sotto un altro titolo le misure e le azioni di questo programma volte a prevenire l’abuso di droga. Come sapete, la Commissione ha accolto le richieste del Parlamento e il 24 maggio ha presentato due proposte di programma distinte.

DAPHNE II resterà in vigore fino al termine del 2008; ciononostante, è essenziale che DAPHNE III venga adottato entro la fine dell’anno in modo tale che le nuove forme di intervento previste dalla proposta di decisione, nonché gli stanziamenti di bilancio, che sono notevolmente maggiori rispetto al passato, possano essere utilizzati già all’inizio del prossimo anno.

Sono ansioso di assistere al dibattito odierno.

 
  
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  Lissy Gröner (PSE), relatore. – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, secondo la proposta originale della Commissione, DAPHNE avrebbe dovuto essere un programma congiunto per la lotta contro la violenza e al contempo per la prevenzione e l’informazione in materia di droga. Per convincere la Commissione a ritirare questa proposta è stato necessario avviare una campagna precisa, corredata da dichiarazioni comuni della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e le organizzazioni femminili, e sono davvero sollevata che questa decisione ci abbia permesso di evitare di confondere le problematiche della droga con quelle della violenza consentendoci di proseguire uno dei programmi più riusciti dell’Unione europea.

Finora, tuttavia, è stato possibile utilizzare DAPHNE I e II per finanziare solo il 17 per cento circa delle buone proposte che sono state presentate, il che dimostra l’ampiezza della domanda, ed è per questo che la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere chiede risorse supplementari.

Oggi lanciamo due messaggi molto chiari. Il primo è che l’Europa attribuirà maggiore importanza alla campagna contro la violenza e si asterrà dall’associarla ad altri aspetti. Il secondo è che riconosciamo e sosteniamo il prezioso lavoro svolto sul campo da organismi come le organizzazioni femminili e da una folta schiera di gruppi di autoaiuto, organizzazioni per i diritti umani, associazioni giovanili e dalle loro reti.

La violenza è in aumento nella vita quotidiana, soprattutto per quanto riguarda quegli aspetti che travalicano le frontiere, ed è questo il primo problema di cui si occupa il programma DAPHNE, che è stato creato proprio in risposta a tale situazione. Il movimento delle donne ha fatto una priorità di questioni quali la violenza domestica, l’abuso di minori e la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale, e siamo riusciti a sviluppare molti progetti validi per far fronte a questi problemi, svolgendo altresì un’opera di sensibilizzazione pubblica su di essi, e non solo dai Campionati del Mondo in poi.

DAPHNE I e DAPHNE II hanno fornito informazioni preziose e uno dei risultati che ne sono scaturiti è stato che tutti i progetti sono confluiti in un kit di strumenti di facile impiego che è stato ora possibile trasmettere alle varie organizzazioni professionali; sono stati altresì messi a disposizione studi a un vasto pubblico di professionisti, nonché instaurati contatti che vanno ben oltre i confini europei.

Ora, però, dobbiamo dedicarci a nuovi compiti. DAPHNE III attribuisce molta più importanza allo sviluppo di reti. Stiamo assistendo a nuovi sviluppi nel campo della migrazione e dobbiamo svolgere un lavoro notevole sul fronte del traffico di esseri umani. Abbiamo proposto sostegno finanziario per una rete di mediatori per i bambini e la creazione di un numero unico di telefono di emergenza per i bambini di tutta Europa. Vogliamo inoltre rafforzare le reti delle organizzazioni che si occupano della violenza su Internet. L’elenco delle attività è molto lungo e quindi non è irragionevole seguire l’esempio del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica e chiedere tra i 120 e i 125 milioni a tal fine, e mi auguro che quest’Aula contribuirà a soddisfare la necessità che questa domanda riflette.

Durante l’ultima fase di DAPHNE, quest’Aula è riuscita a garantire la creazione di un servizio di assistenza dal quale abbiamo tratto un’esperienza molto positiva, poiché ha permesso alle organizzazioni di entrare in contatto le une con le altre a livello transfrontaliero e di trovare le persone giuste con cui parlare. Nel valutare l’ipotesi di creare un gruppo di riflessione, dovremmo anche avere accesso all’immensa riserva di conoscenza reperibile presso le organizzazioni, per attingervi e approfondirla.

Non vorrei però che DAPHNE venisse gravato di un onere eccessivo, e quindi vi invito alla cautela per quanto riguarda l’emendamento n. 56. E’ volto a definire chiaramente che i principali destinatari di DAPHNE sono i bambini, le donne e i giovani e ad escludere con altrettanta chiarezza categorie quali gli assistenti sociali, il personale addetto ai controlli di frontiera e la polizia. Il messaggio che intendo trasmettere è che non devono esserci dubbi sul fatto che i principali destinatari di DAPHNE devono essere le donne, i bambini e i giovani, benché possano esservi coinvolte anche altre persone, come si afferma nell’emendamento n. 57 e altrove.

Continuiamo a chiedere un Anno europeo contro la violenza nei confronti delle donne; è una richiesta che avanziamo da molto tempo, non da ultimo in DAPHNE I e II, e che continuiamo a riproporre con tenacia e costanza. Colgo l’occasione per chiedere che venga affrontata ogni forma di violenza, senza ambiguità o eccezioni. Questo è un obiettivo che la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere ha convenuto con la Commissione e mi auguro che potremo giungere a un accordo finale in materia con la Presidenza finlandese del Consiglio entro la fine dell’anno, come siamo effettivamente intenzionati e disposti a fare.

 
  
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  Roberta Angelilli (UEN), relatrice per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, per prima cosa mi voglio congratulare con l’onorevole Gröner e con tutti i colleghi che hanno lavorato a questa relazione. Ringrazio anche il Commissario per il suo sostegno e per le parole di questa mattina. Sono convinta che, con la collaborazione di tutti, si possano raggiungere importanti risultati, in questo caso sono stati raggiunti. Innanzitutto è stata garantita la continuità del programma DAPHNE, un programma importante e prezioso per la prevenzione e la lotta alla violenza su donne e minori, il quale in passato ha già ottenuto risultati significativi e in parte inaspettati. Inoltre per il programma è stata garantita una linea di bilancio ad hoc, distinta giustamente, come diceva anche la relatrice, dal programma per la lotta alla droga.

Vale la pena ricordare che, tra gli obiettivi possibili di DAPHNE, sono state fissate anche alcune importanti priorità, tra cui la lotta alla violenza domestica, un fenomeno in continuo e preoccupante aumento, e la piaga delle mutilazioni genitali. E’ stato inoltre importante precisare che il termine “bambino” o “fanciullo” comprende la fascia di età che va dai neonati ai diciotto anni, anche se, chiaramente, le azioni possono riguardare i giovani fino a venticinque anni.

Si è inteso anche specificare che la prevenzione della violenza, oltre che nei confronti dei minori, delle donne e dei gruppi a rischio, deve essere mirata anche ai neonati; i maltrattamenti sui neonati o il vero e proprio abbandono dei neonati sono infatti fenomeni in crescita esponenziale, sovente legati a situazioni di degrado psicologico e sociale; si tratta di fenomeni che potrebbero essere prevenuti assistendo e sostenendo le madri e le famiglie in estrema difficoltà.

E’ evidente che si tratta di obiettivi ambiziosi per i quali purtroppo è prevista una dotazione finanziaria inadeguata. Per concludere auspico che nella revisione di bilancio a medio termine a DAPHNE possano essere destinate risorse maggiori di quelle attuali; a tal fine, signor Commissario, contiamo anche sul suo impegno.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou, a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signora Presidente, dobbiamo riconoscere che, con la relazione indipendente che è stata presentata oggi, la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, proponendo il programma speciale per la lotta alla violenza contro i bambini, i giovani, le donne e i gruppi ad alto rischio, sta correggendo nella direzione giusta la proposta di decisione sul programma generale che, oltre a combattere la violenza e le reazioni animalesche tra esseri umani, promuove anche la prevenzione e l’informazione del pubblico in materia di droga come parte del programma generale intitolato “Diritti fondamentali e giustizia”.

La relatrice, onorevole Lissy Gröner, il presidente della commissione, onorevole Anna Záborská, e tutti i membri hanno sensibilmente e pressoché unanimemente definito i destinatari della protezione dalla violenza, ossia i gruppi più vulnerabili della società. Questo, però, non significa che tutte le categorie di persone che hanno subito torti e violenze non saranno protette indiscriminatamente.

Ecco perché il nostro gruppo, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, non condivide gli emendamenti che contengono elenchi di esempi e categorie di vittime. La maggior parte degli emendamenti della commissione sviluppa le conclusioni della valutazione dei due programmi precedenti, DAPHNE I e II, che nel complesso hanno ottenuto buoni risultati.

Poiché la dotazione finanziaria di DAPHNE III è, a nostro parere, soddisfacente nel quadro dell’accordo sulle prospettive finanziarie, dobbiamo attenderci che gli esiti delle azioni siano straordinari ed eradichino la violenza dalla società civile europea, non solo del 50 per cento, secondo quanto proposto dalla relatrice, ma, se possibile, la eliminino del tutto, con un lavoro e una cooperazione sistematici da parte delle autorità, delle agenzie locali, delle organizzazioni e della società civile.

Si prevede che nel complesso l’azione si basi su tre principi: prevenzione accompagnata da informazioni costantemente aggiornate, lotta contro le origini del male, cure/assistenza per le vittime e reintegrazione/riabilitazione degli autori dei reati.

Permettetemi tuttavia di osservare che, per andare a buon fine, il programma deve anche evitare di smembrare la questione in troppi punti focali ed evitare di sconfinare nel campo della criminalità in generale. Per questo il Partito popolare europeo non ha votato a favore dell’emendamento n. 69.

Ci si attendono risultati positivi anche dalla trasparenza sul coinvolgimento di organizzazioni non governative, che devono adottare azioni dall’efficacia comprovata e fornire il loro prezioso contributo nella cura delle ferite causate dalla violenza. Queste agenzie sono la Federazione europea per i bambini scomparsi, di cui fanno parte 19 organizzazioni, e la Rete europea dei bambini, che è riconosciuta negli Stati membri.

Ci auguriamo che il successo del nuovo programma tuteli la fattibilità dei programmi, quando i fondi di questi ultimi si esauriranno, e potremo così...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Katerina Batzeli, a nome del gruppo PSE. – (EL) Signora Presidente, vorrei innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Gröner sia per la sua relazione sia per i costanti sforzi tesi a rafforzare questo programma. Come tutti sappiamo, se a questo programma non verrà data l’ampia applicazione proposta nella relazione dell’onorevole Gröner, non potremo contenere né superficialmente né materialmente il fenomeno della violenza che è presente a tutti i livelli sociali, violenza che sta allargando il suo tessuto sociale e si sta estendendo costantemente agli ampi gruppi sociali che attualmente devono farvi fronte ed è per questo che, a mio avviso, l’Unione europea deve intensificare i propri sforzi.

Vorrei sottolineare che la Commissione ha attuato la scelta giusta decidendo di non fondere il programma DAPHNE III con il programma sulla prevenzione in materia di droga, posizione fermamente difesa dal gruppo socialista al Parlamento europeo e dall’onorevole Gröner.

Tuttavia, vorrei anche precisare che, nel leggere il bilancio per il 2007, siamo rimasti sorpresi dalla posizione del Consiglio che, rispetto alla proposta della Commissione, ha ridotto le risorse comunitarie destinate a DAPHNE III.

Se non vogliamo essere ipocriti verso le vittime della diffusione della violenza contro immigranti e rifugiati, bambini e neonati, dobbiamo rinvigorire e rafforzare la dotazione finanziaria di DAPHNE III, poiché questa politica di tagli è in netto contrasto con gli impegni assunti al fine di aggiornare e rafforzare ulteriormente il programma e garantire l’efficacia delle sue azioni.

Per essere efficace e costituire una priorità per l’Unione europea, una politica di lotta contro la violenza nei confronti delle donne, i bambini e i giovani deve essere accompagnata, oltre che dalla debita programmazione e organizzazione delle azioni da compiere, da risorse che ne consentano l’attuazione.

 
  
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  Maria Carlshamre, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, nella mitologia greca Dafne è la giovane donna che venne inseguita dal Dio Apollo. Quest’ultimo voleva abusare di lei, ma il suo tentativo fallì. Nel momento in cui Apollo la toccò, Dafne si trasformò in alloro e si salvò dallo stupro.

In seno al Parlamento europeo, il nome DAPHNE è sinonimo di un’iniziativa importante. Dieci anni fa, alla fine dell’estate del 1996, in Europa venne alla luce il cosiddetto caso Dutroux. Il ritrovamento dei corpi di diverse ragazze scomparse in una cittadina belga ci indusse seriamente a interrogarci sul da farsi per proteggere donne e bambini da chi abusa di loro o li sfrutta a fini di lucro.

Nell’aprile del 1997 un ampio numero di rappresentanti delle ONG, il Parlamento europeo, la Commissione europea, le agenzie preposte all’applicazione della legge e altri esperti si riunirono a Bruxelles per un’audizione su questi argomenti. Forse il risultato più importante di tale audizione fu l’impegno della Commissione ad avviare l’iniziativa DAPHNE. Questo significa tradurre le parole in fatti, dotare di un bilancio cospicuo la campagna contro la violenza.

L’idea sottesa al programma era alquanto semplice: fornire sostegno finanziario a progetti che raggruppassero le ONG di almeno due Stati membri al fine di instaurare una collaborazione nell’ambito della ricerca, raccogliere e analizzare dati, individuare e condividere buone pratiche, scambiare formazione e sviluppare reti, realizzare campagne di sensibilizzazione e informazione, ma prevedere anche azioni dirette a sostegno delle vittime della violenza ed elaborare linee guida e protocolli. Si tratta di obiettivi piuttosto semplici, e chi non potrebbe condividerli? Ma, come tutti sappiamo, la nostra società è caratterizzata da una sistematica svalutazione di ciò che le donne dicono, fanno e decidono. Questa struttura basata sul potere di genere influenza ogni settore ed è visibile soprattutto nel fenomeno della violenza degli uomini contro le donne. Per questo motivo, l’iniziativa DAPHNE è in costante pericolo fin dai suoi esordi. Va da sé che non dovremmo mischiare la lotta contro la violenza con la lotta agli stupefacenti; si tratta semplicemente di due aree diverse.

E’ la Commissione a gestire il progetto DAPHNE, ma in quest’Aula è Lissy Gröner che dobbiamo elogiare e sostenere quando discutiamo della “rinata” iniziativa DAPHNE. E’ lei una delle pioniere in quest’ambito. Ovviamente, la strada da percorrere è ancora lunga prima di riuscire a raggiungere la necessaria tolleranza zero nei confronti della violenza verso le donne e i bambini. L’importanza a lungo termine dell’iniziativa DAPHNE sta nel modo in cui può influenzare le organizzazioni di base, profondamente radicate in tutti gli Stati membri dell’Unione. La tolleranza zero è l’obiettivo e DAPHNE è uno dei mezzi per raggiungerlo.

 
  
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  Hiltrud Breyer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signora Presidente, anche noi siamo grati alla relatrice. Ritengo che essere riusciti a evitare che DAPHNE e la campagna antidroga confluissero in un unico programma costituisca un successo strepitoso per le donne di tutta Europa. Nel realizzare tale obiettivo, quest’Aula ha lanciato un chiaro messaggio e ha nuovamente sottolineato la necessità che il programma per la lotta contro la violenza nei confronti delle donne, dei bambini e dei giovani rimanga indipendente.

DAPHNE è un programma di modesta entità, ma di grande successo, che ha già permesso di compiere importanti progressi nella lotta contro la violenza nei confronti delle donne. La violenza contro le donne non è un problema privato, bensì una questione di sicurezza interna. Il luogo più pericoloso per le donne sono le mura domestiche. “Famiglia” e “casa” possono essere sinonimi di pace e sicurezza per molti, ma milioni di donne soffrono, sono vittime di abusi, vengono torturate e addirittura uccise proprio all’interno della loro famiglia e della loro casa.

Si devono rispettare i diritti di tutti gli esseri umani, di qualunque genere essi siano, e la violazione dei diritti fondamentali delle donne non può essere giustificata in virtù né della cultura né della tradizione. Ne consegue che la violenza contro le donne non è solo un problema femminile, ma riguarda anche gli uomini, che devono assumersi le proprie responsabilità e intervenire per far fronte alla violenza contro le donne e porvi fine, non solo nelle zone di guerra, ma anche in camera da letto.

Non possiamo limitarci a estendere il programma DAPHNE per combattere la violenza contro le donne. Vorremmo che la Commissione producesse una direttiva indipendente e dimostrasse così che attribuisce la massima importanza politica alla campagna contro la violenza. Attendiamo da molti anni una proposta in tal senso. E’ davvero scandaloso che la Commissione ignori questa richiesta e trascuri la necessità di armonizzare la legislazione europea. E’ assolutamente fondamentale elaborare una direttiva indipendente e, giacché sono in argomento, permettetemi di dire che vorrei che oggi la Commissione spendesse qualche parola a proposito del fatto che noi, in quest’Aula, abbiamo approvato diverse risoluzioni, sia in occasione della Giornata internazionale della donna sia in altre circostanze.

Ci auguriamo anche che la Commissione e il Consiglio riescano a concludere quanto prima i negoziati su DAPHNE, in modo tale che il programma possa essere rifinanziato in tempo per il 2007. Per noi è anche importante, soprattutto in un momento come questo, in cui la paladina dei diritti delle donne Seyran Ates è stata costretta a chiudere il suo studio legale in Germania a causa di crudeli minacce, puntare i riflettori sulle violazioni dei diritti umani delle donne migranti, e affermare che in questi casi è prevista una “tolleranza zero”.

 
  
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  Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL. – (SV) Signora Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare la relatrice, onorevole Gröner, per l’ottima relazione e per l’impegno con cui ha affrontato i problemi in questione. Vorrei inoltre ringraziare le colleghe della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere per l’abnegazione di cui danno prova in materia di lotta contro la violenza nei confronti delle donne.

Le donne e i bambini che sono vittime della violenza hanno bisogno del programma DAPHNE III. La violenza degli uomini contro le donne è un fenomeno trasversale a ogni gruppo sociale. Non ci si può limitare a individuare gruppi particolari o fattori particolari come l’abuso di droga e di alcol: la violenza contro le donne e i bambini avviene a ogni livello della società. Sebbene gli studi confermino, uno dopo l’altro, che la violenza è presente in tutti i gruppi sociali, molte persone continuano a rifiutarsi di vedere la verità, ovvero che la violenza viene perpetrata a ogni livello. Le leggende sul coinvolgimento di alcol e droghe continuano a prosperare. Se vogliamo combattere la violenza contro le donne, dobbiamo liberarci di leggende secondo cui sarebbero “loro” o gli “altri” o i “tossicodipendenti” ad abusare di donne e bambini. E’ altrettanto probabile che a commettere tali atti di violenza sia un nostro vicino di casa, collega di lavoro o parente.

Questo è uno dei motivi per cui il programma DAPHNE deve essere suddiviso in due programmi separati: un programma specificamente volto a prevenire e combattere la violenza contro le donne e i bambini e un altro finalizzato a prevenire l’abuso di narcotici e fornire informazioni in materia di droga. L’esistenza di un programma comune per questi due diversi problemi sociali contribuirebbe a perpetuare la leggenda secondo cui esisterebbe una connessione tra l’abuso di alcol e droga e la violenza degli uomini contro le donne. Questa convinzione porterebbe a credere che, risolvendo i problemi della droga e dell’alcol, risolveremmo anche il problema della violenza, ma non è così. Si tratta in entrambi i casi di problemi sociali che vanno risolti, ma per farlo occorrono misure diverse. Sono dunque lieta che la Commissione abbia accettato la suddivisione in due programmi separati.

Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica accorda pieno sostegno a questa relazione. Riteniamo particolarmente importante che il programma affronti anche la tratta di donne e bambini a scopi sessuali. Questo è importante perché dobbiamo fare tutto il possibile per combattere tale moderno commercio di schiavi. E’ anche importante per evidenziare il fatto che questa tratta degli schiavi è l’ennesimo esempio della violenza di cui sono vittime donne e bambini.

La relazione contiene due espressioni che vorrei venissero modificate. La prima di queste è “violenza domestica”, che a mio parere dovrebbe essere definita “violenza degli uomini contro le donne”, poiché è proprio di questo che si tratta. La violenza contro le donne non viene perpetrata solo tra le quattro mura domestiche. Le donne che vivono una relazione basata sulla violenza subiscono questa tortura fisica e psicologica 24 ore al giorno. L’altra espressione alla quale sono contraria è “vita privata”. Non vi è alcun motivo per distinguere la vita pubblica da quella privata. La perpetrazione della violenza contro le donne è un atto criminale, sia in pubblico che in privato.

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signora Presidente, tanto per cominciare, vorrei soffermarmi sulla suddivisione del documento DAPHNE in due programmi distinti. Si tratterebbe di una iniziativa valida, se l’intenzione fosse quella di svolgere un’indagine accurata sul problema della tossicodipendenza e della violenza e sulla loro prevenzione, anziché avere una percezione soggettiva del problema senza riuscire a cogliere le vere cause di questi mali sociali.

La violenza è un problema serio e, analogamente a quanto avviene per altre patologie, il modo più efficace per combatterla è eliminare le cause e i fattori di rischio. Tra questi figurano indicatori neurobiologici e caratteristiche quali egoismo, ostilità, impulsività, irritabilità, anedonia, scarsa intelligenza, bassa reattività del cervello agli stimoli, nonché mancanza di rispetto per i valori e comportamento antisociale.

Dobbiamo essere consapevoli che la crescente piaga degli atti di aggressione, dei disturbi mentali, delle personalità immature e delle dipendenze deriva non solo da uno stile di via edonistico, ma scaturisce anche dal prevalere di una visione materialistica del mondo che non comprende il ruolo dello sviluppo spirituale nell’individuo. Le vaste conoscenze di cui disponiamo finora hanno scarsa attinenza con i principali fattori ambientali che influenzano lo sviluppo di una personalità equilibrata. Uno di questi fattori è una famiglia sana e affettuosa, preferibilmente completa e composta da molti bambini, dove questi ultimi siano desiderati e amati e imparino a vivere con e per gli altri.

 
  
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  Lydia Schenardi (NI). – (FR) Signora Presidente, ogni giorno milioni di donne sono vittime di abusi di ogni genere, tra cui violenze da parte di membri del loro nucleo familiare, intimidazioni sul posto di lavoro, crudeltà mentale, sfruttamento sessuale e prostituzione coatta.

Nell’UE, una donna su cinque è vittima di cosiddetti abusi domestici, ovvero di atti di violenza perpetrati dal marito o dal compagno. Non dimentichiamo, però, che queste cifre tengono conto solo della violenza denunciata. In realtà, la paura, la vergogna e l’accesso limitato ai servizi pubblici sono fin troppo spesso all’origine della mancata denuncia di taluni atti di violenza. Per di più, alcuni tipi di violenza non vengono presi in considerazione perché non corrispondono alle definizioni canoniche e non sono ritenuti reati poiché vengono giudicati argomenti tabù.

Il programma DAPHNE per la lotta contro la violenza nei confronti delle donne, proposto dal Parlamento e dal Consiglio oltre sei anni fa, contempla ogni forma di abuso, oltre alla violenza domestica, subito dalle donne in tutto il mondo. A questo proposito, occorre rilevare il fatto che la vasta maggioranza di tali abusi riguarda culture e società precise, in particolare l’islam e i paesi in cui vige la legge islamica, e in cui la lapidazione, la mutilazione dei genitali, l’immolazione e il matrimonio forzato sono parte della cultura, della religione e delle usanze.

Il programma DAPHNE deve orientare i propri sforzi verso la lotta per il diritto all’informazione della donna, la protezione e la punizione degli autori della violenza e contribuire a cambiare certe mentalità e usanze barbare che purtroppo esistono ancora in molti paesi governati dalla legge islamica.

 
  
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  Amalia Sartori (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io esprimo la mia soddisfazione per questo provvedimento. Proprio alla luce del dibattito che questa mattina ho ascoltato in Aula, ho sentito con piacere come molte hanno espresso un’esigenza che condivido fino in fondo: tendere ad una direttiva dell’Unione europea sulla violenza.

E’ arrivato il momento di armonizzare le legislazioni su questo tema e in attesa che ciò avvenga, la Commissione, con gli strumenti che a quanto ci dicono stanno elaborando, deve già da ora definire una posizione molto chiara e molto rigorosa sulle politiche che l’Unione e i suoi Stati membri devono applicare, con cui vogliamo distinguerci chiaramente rispetto a questi temi.

E’ vero che in questi anni è stato fatto molto sul tema della parità, i singoli Stati dell’Unione europea hanno legiferato in tante materie, però sono rimasti dei buchi neri, che riguardano proprio questo tema. Al riguardo dobbiamo operare con politiche chiare e definite perché, anche se tutte noi ci troviamo d’accordo nel proporre la tolleranza zero verso la violenza, non tutte ci troviamo d’accordo sugli strumenti da utilizzare per raggiungere questo obiettivo. Allora, proprio per ovviare a questa politica tanto rischiosa, i programmi che saranno finanziati con DAPHNE debbono rispondere a politiche chiare e rigorose definite dall’Unione.

 
  
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  Teresa Riera Madurell (PSE). – (ES) Signora Presidente, anch’io vorrei congratularmi con la relatrice per il lavoro svolto e dire che separare il programma DAPHNE III dal programma di prevenzione e informazione in materia di droga, conformemente alle richieste del Parlamento, era indispensabile per il buon funzionamento di DAPHNE. Di fatto, riuscire a realizzare questa separazione è stato un successo della relatrice; in questo modo il programma DAPHNE, che è uno strumento di sostegno essenziale per le organizzazioni di donne che lottano contro la violenza di genere, acquisisce forza e visibilità.

Oltre all’incremento di bilancio già citato, desidero segnalare alcuni contributi importanti della relazione dell’onorevole Gröner: in primo luogo, l’inclusione specifica della tratta di esseri umani e della prostituzione coatta come forme di violenza, e l’esplicito riferimento alle mutilazioni genitali e ai delitti d’onore come forme di violenza di genere con gravissime conseguenze per la salute. La violenza nei confronti delle donne in nessun caso deve essere giustificata quale manifestazione di tradizioni o pratiche culturali e mi sembra altresì molto importante che tra le vittime della violenza di genere figurino anche i bambini e le bambine che vedono le loro madri picchiate.

La relazione è molto puntuale anche nel chiedere che il programma presti speciale attenzione a determinati gruppi di donne, quali profughe, migranti, donne che vivono in stato di povertà, portatrici di handicap e anziane, poiché si tratta di categorie maggiormente esposte alla violenza. E’ inoltre molto importante che la relazione proponga di includere tra le azioni che possono apportare un valore aggiunto europeo la definizione di una base giuridica per la lotta contro le violenze nei confronti delle donne. Al contempo, occorre altresì definire obiettivi concreti, come quello di dimezzare nel prossimo decennio il numero di vittime della violenza e della tratta di esseri umani.

Onorevoli colleghi, l’Anno europeo contro la violenza nei confronti delle donne può indubbiamente favorire la sensibilizzazione e la condivisione delle buone prassi; pertanto è molto importante che il programma DAPHNE promuova anche questa iniziativa.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signora Presidente, sostengo pienamente l’eccellente proposta della relatrice di suddividere i programmi di sostegno finanziario in due programmi specifici. In questo modo si garantirà che entrambi i programmi siano più mirati e che ciascuno ottenga i livelli di visibilità e finanziamento che merita.

Il programma DAPHNE costituisce un importante strumento per contribuire alla sensibilizzazione e alla lotta contro la violenza nei confronti delle donne, i bambini e i giovani. In Irlanda, come altrove, la violenza contro le donne è un problema molto grave; i dati emersi da diverse relazioni, infatti, evidenziano che una donna su quattro ha subito qualche forma di violenza sessuale nel corso della propria vita. I finanziamenti erogati tramite DAPHNE hanno avuto un impatto positivo sul lavoro di molti gruppi di donne irlandesi. Purtroppo, però, i fondi nazionali per i servizi di prima assistenza alle donne e ai bambini non sono ancora adeguati e le strutture di accoglienza per i soggetti a rischio sono ancora insufficienti.

Vorrei soffermarmi su alcuni degli emendamenti proposti esprimendo il mio particolare sostegno al riguardo. Sono lieta di constatare che, nell’emendamento n. 14, insieme ad altri gruppi vulnerabili, è stata inserito uno specifico riferimento alle donne portatrici di handicap quali soggetti particolarmente vulnerabili alla violenza. E’ quindi indispensabile garantire l’adozione di misure volte a proteggere le vittime di molteplici discriminazioni.

L’emendamento n. 14 cita anche le donne che vivono in stato di povertà in comunità rurali o periferiche. Si devono allestire servizi di divulgazione in modo tale che queste donne e questi bambini possano avere accesso ai servizi necessari ed essere protetti dalla violenza.

Accolgo inoltre con favore i riferimenti di questa relazione alla tratta di esseri umani e alla prostituzione coatta, ai bambini che assistono ad atti di violenza e ad azioni specifiche destinate a evitare il maltrattamento dei neonati.

In ultima analisi, tuttavia, che si tratti di neonati o anziani, cittadini o migranti, appartenenti a comunità rurali o urbane, nessuno deve essere esposto alla violenza. Anzi, la lotta contro la violenza dovrebbe collocarsi nel contesto della protezione dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Infine, vorrei accordare pieno sostegno alla promozione dell’Anno europeo contro la violenza nei confronti delle donne: l’opera di sensibilizzazione è fondamentale.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). – (ES) Signora Presidente, un anno e mezzo fa la Spagna si è posta all’avanguardia dell’Europa in termini di lotta contro la violenza degli uomini nei confronti delle donne, approvando una legge integrale in materia. Ciononostante, nell’anno in corso si sono finora già registrati 51 decessi riconducibili a questa piaga, a questo tipo di violenza. Di conseguenza, è logicamente impossibile sentirsi soddisfatti.

La legge era necessaria, come abbiamo detto, ma purtroppo, come possiamo constatare, una legge non è sufficiente. L’essenza di questo tipo di violenza è radicata nel profondo delle mentalità e delle culture che di tali mentalità sono vittime e non bastano un anno, né un documento, per cambiare la situazione.

DAPHNE, quindi, il cui obiettivo è combattere ogni tipo di violenza, è uno strumento fondamentale e non possiamo né dobbiamo rinunciarvi. Si devono combattere molte forme di violenza contro le donne: traffico di persone, aggressioni fisiche e psicologiche, pratiche quali la circoncisione del clitoride o la femminilizzazione della povertà, e molte altre. Tutte richiedono interventi urgenti e strumenti che, per quanto numerosi siano o sembrino, non saranno mai sufficienti.

Dobbiamo dunque esortare ancora una volta i governi a risvegliarsi dal loro letargo europeo, a capire che non è possibile fare di più con meno fondi e che, per quanto riguarda la violenza in generale e la violenza degli uomini contro le donne in particolare, non possiamo pretendere grandi azioni se non forniamo anche i mezzi e le risorse necessarie per poterle realizzare.

Dotare DAPHNE di risorse e di importanza politica non è una formalità puramente burocratica. L’obiettivo ultimo di DAPHNE, non dimentichiamolo, è salvare vite e, benché questo programma, analogamente alla legge spagnola contro la violenza, non sia sufficiente, è tuttavia indispensabile.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) E’ estremamente importante adottare questa relazione dell’onorevole Gröner, con cui desidero congratularmi per il lavoro svolto. Il programma DAPHNE può aiutare a prevenire e combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne e a proteggere le vittime, un’area che deve essere rafforzata. In questo modo verrà garantita la continuità dei precedenti programmi DAPHNE e se ne estenderà l’ambito di applicazione.

La violenza contro le donne, la sofferenza che comporta e la morte che in molti casi ne scaturisce non possono più essere tollerate. Questa è una lotta che richiede sforzi e interventi costanti, e non va confusa con altre azioni. Per difendere risolutamente i diritti delle donne, il programma DAPHNE III deve mantenere la propria autonomia, come proposto nella relazione in esame, e, se vogliamo contrastare con maggiore efficacia la violenza fisica, sessuale e psicologica, compresa quella associata al traffico di esseri umani a scopi di sfruttamento sessuale, nonché la violenza domestica e le minacce di tali atti, di cui le donne, i giovani e i bambini sono le vittime principali, dobbiamo stanziare più fondi.

Occorre adottare azioni preventive avviando campagne di sensibilizzazione, quali ad esempio l’Anno europeo contro la violenza nei confronti delle donne, ma è altrettanto necessario intervenire a sostegno delle vittime. La definizione di obiettivi chiari e credibili per ridurre efficacemente la violenza implica un maggiore intervento della politica pubblica e un maggiore sostegno finanziario a favore delle organizzazioni impegnate in questa lotta. Da qui il rafforzamento che abbiamo proposto e che speriamo venga approvato.

 
  
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  Johannes Blokland (IND/DEM). – (NL) Signora Presidente, innanzi tutto vorrei congratularmi con l’onorevole Gröner per la sua relazione, che contiene molte proposte valide. Mi riferisco sostanzialmente all’eliminazione di tutte le questioni correlate agli stupefacenti. L’uso di droghe e la violenza sono stati mantenuti separati, nonostante una certa sovrapposizione, per buone ragioni. L’accento posto sulla lotta contro il traffico di esseri umani è, a mio parere, l’altra grande conquista di questo programma. Vorrei però cogliere l’occasione per sottolineare l’importanza di interventi concreti.

Agli sforzi che molti hanno compiuto per intervenire contro la prostituzione coatta e la tratta di esseri umani nel periodo della Coppa del Mondo non sono seguite azioni costruttive da parte dei soggetti interessati. Si spera che quest’Aula e la Commissione possano, di comune accordo, convincere ed eventualmente costringere gli Stati membri, le ONG e i cittadini a rispettare i diritti degli esseri umani per ridurre questo tipo di sfruttamento.

Sono meno entusiasta riguardo ai pareri sull’assegnazione delle responsabilità. Sono profondamente convinto che non spetti ai governi interferire nella vita privata delle persone senza buone ragioni. Questo tipo di intervento sarebbe giustificato solo se venissero oltrepassati i confini del diritto penale. Poiché questi confini variano da uno Stato membro all’altro, spetta ad ogni singolo paese garantirne il rispetto in materia.

Giacché è impossibile giustificare un ruolo attivo dell’Europa in quest’ambito, il mio gruppo ha chiesto una votazione per parti separate per diversi di questi emendamenti, ai quali sarò favorevole dopo che saranno stati espunti tali elementi.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signora Presidente, è sconvolgente che nel mondo una donna su tre sia vittima della violenza a un certo punto della propria vita, e vorrei formulare alcune osservazioni al riguardo.

In merito alla violenza commessa dai giovani, è intollerabile che questi ultimi possano detenere armi e utilizzarle per infliggere ferite e commettere gesti ancora più gravi e che possano circolare tra loro droghe da consumare durante le feste e altri stupefacenti; occorre dunque formare i nostri insegnanti alla prevenzione della violenza, del furto, del vandalismo e dell’uso di droga.

Un altro promotore della violenza è Internet, che non solo permette ai depravati di entrare in contatto con le loro potenziali vittime, ma offre anche, sui vari siti sull’argomento, informazioni dettagliate sulla perpetrazione di atti di violenza. A mio avviso è in quest’ambito che si devono intensificare i procedimenti penali.

Infine, non posso esimermi dal commentare la violenza che attualmente domina le comunità di immigranti. Le persone che provengono da ambienti culturali caratterizzati da un atteggiamento sostanzialmente diverso nei confronti della violenza – e con questo intendo un approccio arcaico – credono di potere mantenere la loro maggiore propensione alla violenza anche all’interno dell’Unione europea; ne consegue che a soggetti potenzialmente violenti deve essere impedito di entrare nell’UE e che la rinuncia alla violenza deve diventare una priorità dell’integrazione.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE). – (SK) Permettetemi innanzi tutto di porgere un cordiale benvenuto alla delegazione di donne, provenienti dalla regione italiana del Lazio, che sta seguendo la nostra discussione dalla galleria.

Per cominciare vorrei ricordare il successo che abbiamo ottenuto insieme. Grazie alla stretta e buona cooperazione instauratasi tra Parlamento e Commissione, quello che in origine era un programma comunitario in due parti – lotta alla violenza contro le donne e lotta contro le droghe – è stato ora diviso. In questo modo abbiamo sottolineato la grande importanza di ciascuna delle due battaglie. Desidero esprimere la mia gratitudine al Commissario Frattini e al suo gruppo, e in particolare alla relatrice Gröner per l’ottimo lavoro svolto, nonché a tutti i colleghi della commissione per la loro collaborazione. Sono orgogliosa di questa conquista.

Il programma DAPHNE, tuttavia, non sarà efficace finché gli uomini – sia quelli tra le mura domestiche sia quelli impegnati nella vita pubblica e politica – non parteciperanno attivamente al processo. A tale proposito, apprezzo le iniziative avviate dalle Presidenze di Austria e Finlandia a favore del coinvolgimento degli uomini nella promozione della parità di genere.

Dal 1946 sono state approvate decine di regolamenti, eppure la violenza è ancora in aumento. Mi auguro che questo non sia solo l’ennesimo regolamento, poiché sappiamo tutti che non sarà possibile risolvere il problema limitandosi ad intraprendere azioni amministrative e a finanziare sporadiche campagne a breve termine contro la violenza nei confronti delle donne e dei bambini. Occuparsi solo delle conseguenze non basta. Dobbiamo concentrarci sulla prevenzione nonché sull’istruzione sistematica e sulla promozione del rispetto e della dignità dell’essere umano. Solo e soltanto così otterremo risultati. Dobbiamo concentrarci sul trattamento cui devono essere sottoposti i soggetti violenti non appena manifestano inclinazioni alla violenza; altrimenti, l’utilizzo dei fondi di DAPHNE sarà inefficace, se non del tutto inutile.

Vorrei concludere soffermandomi sulla violenza nei confronti dei bambini, fenomeno a sua volta contemplato dal programma DAPHNE. Mentre parliamo, nei Paesi Bassi un partito di pedofili sta promuovendo la propria agenda al fine di legalizzare la pedofilia e l’attività sessuale con i bambini – a patto che questi ultimi siano consenzienti. Quasi tutti tacciono sull’argomento. Mi chiedo perché...

Se non riusciremo a far valere i nostri strumenti giuridici e a utilizzare il sostegno dei politici per porre fine all’abuso di minori, non vinceremo mai la battaglia contro la violenza nei confronti delle donne e dei bambini.

 
  
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  Pia Elda Locatelli (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di tutto voglio esprimere soddisfazione per l’accordo raggiunto tra la commissione FEMM e la commissione LIBE, accordo fatto proprio dalla Commissione e per questo ringrazio il Commissario Frattini, per suddividere il contenuto del programma di cui stiamo discutendo in due programmi specifici.

Detto questo, voglio esprimere condivisione, piena condivisione, con la relazione Gröner con cui mi congratulo, e nel farlo sottolineo un emendamento che ritengo particolarmente importante, precisamente quello che indica tra i destinatari dell’azione di sensibilizzazione le autorità nazionali, regionali e locali. Spiego anche il perché: alcuni giorni fa, a Milano, si sono verificati casi di violenza nei confronti di giovani donne; naturalmente gli episodi di violenza hanno suscitato sdegno, ma sono stati anche espressi alcuni commenti che ancora una volta confermano un convincimento, piuttosto diffuso anche tra le autorità, secondo cui vi è una sorta di corresponsabilità delle vittime nell’azione violenta.

Vi ricordate tutti, vero, la sentenza cosiddetta dei jeans, ecco, tra i commenti cito quello del prefetto di Roma che ha dichiarato che l’ultimo episodio, due ragazze francesi violentate dopo aver accettato un passaggio da due sconosciuti, è una cosa più che altro dovuta all’imprudenza.

Questa affermazione, rivelatrice di un modo di pensare, al di là delle intenzioni sicuramente buone del prefetto, secondo il quale, se una donna è violentata almeno in parte è responsabilità sua. Ma essere imprudenti è un reato? Non credo, e non vorrei che si ritornasse ai tempi in cui si invitavano le donne a restare a casa la sera per non essere imprudenti.

Ecco, voglio ricordare che stiamo parlando di programmi per garantire lo sviluppo dell’Unione europea come spazio di libertà, sottolineo “libertà”, insieme a sicurezza e giustizia.

 
  
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  Lena Ek (ALDE). – (SV) Signora Presidente, onorevoli colleghi, in questo giorno di fine estate del 2006 è una grande sconfitta trovarsi ancora qui a parlare della violenza basata sul genere, degli omicidi d’onore e delle mutilazioni genitali. Questo dato di fatto dimostra che, in realtà, tali comportamenti sono ancora in qualche modo accettati all’interno della società e che non ce li siamo ancora lasciati alle spalle. Infatti, finché non converremo che la violenza, sia fisica sia psicologica, è anche una violazione dei diritti umani di donne e bambini, milioni di loro saranno proprio vittime di questo abuso.

Un modo per dimostrare che siamo decisi a ritenere inaccettabile questo comportamento consiste nell’approvare e dare risonanza agli accordi internazionali esistenti: la Convenzione ONU sui diritti delle donne, la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e lo strumento rappresentato dal programma DAPHNE. Sono inorridita nel sentire che il gruppo Indipendenza/Democrazia voterà contro alcune parti di questo programma.

Minacce, violenze e altri oltraggi che prevedono pratiche terrificanti quali la mutilazione dei genitali vengono talvolta spiegati e giustificati tutti sulla base della tradizione e della cultura. Questo significa che dobbiamo stimolare un dibattito nei posti di lavoro, nelle scuole, a tavola e anche tra i soldati preposti al mantenimento della pace che mandiamo all’estero a nome delle Nazioni Unite.

Dobbiamo sostenere i paesi con cui abbiamo stipulato accordi. Ho affrontato proprio questo argomento con alcune donne a Kiev, in Ucraina, solo sabato scorso. Ho anche discusso a lungo della questione con gruppi di donne turchi. C’è molto da fare in quest’ambito. La relazione odierna contiene diverse proposte molto costruttive.

Dobbiamo inoltre riesaminare l’entità delle pene. In Svezia, ad esempio, la pena massima per gravi reati sessuali sui bambini è pari a quella comminata per i casi di truffa aggravata. Vi è un ampio margine di riflessione sulla questione.

New York è riuscita a ridurre i reati commessi contro le donne e la violenza perpetrata contro di esse. Lo considero un primo passo verso la possibilità di fare altrettanto in Europa, ma per riuscirci dobbiamo convenire sull’inammissibilità e sull’atrocità di questa situazione.

 
  
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  Georgios Karatzaferis (IND/DEM). – (EL) Signora Presidente, il semplice fatto che stiamo parlando di violenza contro le donne nel 2006 dimostra che siamo in declino. Duemilacinquecento anni fa, nella Repubblica di Atene, ai tempi di Socrate, non esistevano reati né violenza contro le donne. Tali atti venivano considerati inaccettabili mentre, a duemilacinquecento anni di distanza, assistiamo a questa violenza, a questa violenza incontrollata contro le donne.

Dobbiamo pertanto adottare determinate misure. Non so se il programma DAPHNE sia sufficiente o se siano necessarie altre azioni. Le pene devono diventare subito più severe. Le pene contro chi violenta una donna, infatti, non sono severe. Oggi, nel 2006, la prostituzione femminile è più diffusa rispetto a 50 anni fa, dopo la guerra.

Oggi, la metà di tutte le donne che arriva nel nostro paese, la Grecia – che non è un paese ricco –, dai paesi dell’ex blocco orientale, è estradata. Questo è un reato. Per combattere la violenza contro le donne, quindi, dobbiamo innanzi tutto combattere la povertà che porta alla violenza.

Dobbiamo lottare efficacemente contro le droghe. Il mio paese ha più morti per eroina di qualunque altro ed è il più povero della zona euro. Dobbiamo dunque pensare seriamente alla prevenzione e all’adozione di pene efficaci per i colpevoli.

 
  
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  Christa Prets (PSE). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, come abbiamo già sentito dire oggi, DAPHNE è il principale programma di lotta contro la violenza e quindi è ancor più importante tenerlo separato dal programma antidroga. Se avessimo aggregato questi due programmi ne sarebbero sicuramente scaturiti ancora più malintesi e incomprensioni sulle finalità dell’Unione europea, soprattutto tra le persone interessate, e sono lieta che ciò non accadrà.

Questo è un programma riuscito e deve essere proseguito, quanto più visibilmente e comprensibilmente possibile, come risposta all’aumento della violenza, e la separazione prevista è utile a tal fine. Sono altresì certa che non sia solo stimolante, ma anche necessario raddoppiarne il bilancio, poiché questo programma costituisce un ampliamento della serie di obiettivi e azioni. Vorrei soprattutto evidenziare la campagna contro il traffico di esseri umani, in particolare contro la tratta di donne e bambini, che richiede un alto livello di sorveglianza e molto lavoro, considerata la necessità di reti estese e delle risorse finanziarie di cui bisogna disporre a tal fine.

Desidero quindi accordare il mio incondizionato sostegno alla proposta dell’onorevole Gröner, volta a estendere i progetti di cooperazione al fine di includervi i paesi terzi, in quanto la cooperazione con i paesi d’origine è fondamentale.

Nonostante tutto questo, DAPHNE non è altro che una goccia nell’oceano. E’ soprattutto negli Stati membri che la campagna contro la violenza deve continuare con maggior vigore e deve anche essere sancita dalla legge. A questo proposito vorrei citare la legge sullo sfratto, che viene applicata da diverso tempo in Austria, e anche in molti altri paesi, e che costringe chi commette atti di violenza a lasciare la propria abitazione. Vorrei altresì menzionare la legge antiadescamento attualmente in vigore in Austria, volta ad affrontare la questione della violenza psicologica, problema che non viene ancora preso sul serio.

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Andrzej Tomasz Zapalowski (IND/DEM). – (PL) Oggi discutiamo ancora una volta della lotta contro la violenza. Potrebbe sembrare inutile affrontare nuovamente la questione, eppure non lo è affatto. Ogni anno, migliaia di donne e bambini sono vittime del traffico di esseri umani all’interno dei confini comunitari a fini di sfruttamento sessuale. Si parla tanto di prevenzione e di fornire sostegno alle vittime. Tuttavia, che cosa fanno i servizi responsabili di gestire questo fenomeno?

Ovviamente vengono adottate azioni a scopi esclusivamente di facciata che, oltre ad avere una risonanza a livello mediatico, producono ben pochi altri risultati. Che cosa dire a proposito dei campi di lavoro che sono stati allestiti in un grande Stato membro europeo che si affaccia sulla costa del Mediterraneo e in cui, secondo la stampa, lavoravano 20 000 persone provenienti da altri Stati membri? Queste persone vi lavoravano per quindici ore al giorno. Le baracche in cui vivevano erano circondate da filo spinato e sorvegliate da guardie armate. Le persone che si rifiutavano di lavorare venivano addirittura uccise. Gli stupri, perpetrati davanti agli occhi dei coniugi, erano all’ordine del giorno.

Nonostante gli interventi dei servizi diplomatici e gli appelli di chi è riuscito a fuggire, la polizia è intervenuta solo a distanza di alcuni mesi. Eppure i cittadini illuminati dell’Unione europea hanno beneficiato di questo lavoro forzato. E’ possibile che le autorità locali non ne fossero al corrente? Dopo tutto, la questione riguardava migliaia di persone. Questi fatti sono avvenuti alcune settimane fa.

Ci troviamo pertanto a discutere di questioni importanti che avrebbero dovuto essere risolte molto tempo fa. Alcuni, come il leader dei socialisti, creano scompiglio a livello internazionale per il mancato consenso a tenere dimostrazioni controverse, eppure chiudiamo gli occhi dinanzi all’emergere di una nuova forma...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Zita Gurmai (PSE). – (HU) E’ vergognoso che oggi la violenza contro le donne sia divenuta un fenomeno di portata mondiale, che non conosce confini nazionali. Questa violenza provoca sofferenze enormi e distrugge la vita di milioni di donne e, di conseguenza, di famiglie intere. Soltanto in Europa, una donna su cinque è vittima della violenza, le cui conseguenze sono riscontrabili nei danni riportati dalla loro salute fisica e mentale e da quella dei loro figli e dei membri della loro famiglia. La violenza può infatti annidarsi in contesti familiari apparentemente pacifici nonché nell’intimità del posto di lavoro, nei sempre più rigidi modelli di comportamento tra i sessi, nelle molestie sessuali e nella forma più crudele in cui si manifesta, la prostituzione coatta, che è la versione di schiavitù del mondo contemporaneo.

Non possiamo ignorare il fatto che innumerevoli forme di comportamento violento e sessualmente degradante derivano da alcune tradizioni e usanze sociali che sono inammissibili per gli europei. Tra queste figurano la mutilazione forzata dei genitali e l’istituzione del matrimonio forzato. Purtroppo, questi comportamenti inaccettabili hanno fatto la loro comparsa anche nell’Unione europea. Tutti questi fenomeni violano sostanzialmente i diritti umani, che costituiscono una delle pietre miliari delle Comunità europee e dell’Unione. La difesa di questi diritti richiede la cooperazione delle autorità giudiziarie e delle autorità preposte all’applicazione della legge, nonché l’azione congiunta degli Stati membri e delle Istituzioni europee.

Il programma DAPHNE III può contare su un ampio sostegno pubblico poiché, solo durante i Campionati del mondo, la nostra campagna contro la prostituzione coatta è riuscita a raccogliere 100 000 firme e l’aiuto del Commissario Frattini, nonché la collaborazione volontaria delle forze di polizia dei paesi interessati. Se siamo riusciti a mantenere pulito lo sport, dobbiamo anche sforzarci di mantenere la pace e la pulizia della vita familiare e trovare la forza necessaria per agire a livello comunitario.

 
  
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  Britta Thomsen (PSE). – (DA) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto desidero ringraziare la relatrice, onorevole Gröner, per l’eccellente relazione sul programma DAPHNE III. La violenza contro le donne è un problema di grandi dimensioni che è sempre più diffuso nei paesi dell’Unione europea. La vita di molte donne e dei loro figli viene distrutta dalla violenza e, in particolare, dalle minacce di violenza. Ogni anno in Europa muoiono centinaia di donne a causa della violenza domestica e, come se non bastasse, si registrano diversi casi di tentato omicidio. E’ quindi estremamente importante che la violenza contro le donne e i bambini figuri tra i punti salienti dell’agenda comunitaria. La violenza contro le donne e i bambini è un problema speciale che richiede iniziative speciali e soluzioni speciali.

La proposta del Parlamento si concentra sugli abusi che vengono commessi giorno dopo giorno tra le mura domestiche e sui cambiamenti che costringeranno i parlamenti nazionali a prendere posizione su questi gravi problemi. Occorre un programma incentrato esclusivamente sulla violenza, che possa contribuire a pubblicizzare questo problema e al contempo a promuovere un dibattito pubblico sull’argomento. Il tabù e il silenzio che circondano la violenza vanno contrastati e gli Stati membri devono compiere uno sforzo imponente per informare le persone – sia le vittime sia gli autori della violenza – su come ottenere aiuto. Il tabù è inoltre un grande ostacolo in relazione al lavoro preventivo e dobbiamo aprire gli occhi dei cittadini europei sulle molte vittime che vivono nel terrore quotidiano di essere aggredite. La violenza non è una questione privata, a prescindere dalla sfera della vita in cui viene commessa e da chi la compie e indipendentemente che avvenga all’interno della famiglia o in ambito pubblico oppure che si tratti di un caso di violenza da parte dello Stato.

La violenza contro le donne assume molte forme: violenza fisica, psicologica e sessuale, prostituzione coatta e traffico di donne. Il principale obiettivo delle attività dell’Unione europea per contrastare la violenza è prevenire e combattere tutte le forme di violenza al fine di eliminare completamente questa forma di reato che costituisce anche una grave violazione dei diritti umani. La lotta contro la violenza deve essere riconosciuta come parte della protezione dei nostri diritti e delle nostre libertà fondamentali.

 
  
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  Iratxe García Pérez (PSE). – (ES) Signora Presidente, innanzi tutto dobbiamo accogliere con favore la proposta presentata su iniziativa dell’onorevole Gröner e della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, che promuove questo programma specifico, poiché in questo modo si riconosce l’entità del problema e si definiscono misure specifiche per prevenire e combattere la violenza di genere.

Occorre dotare le donne dei mezzi e delle risorse necessarie per sfuggire a una realtà che, anno dopo anno, uccide centinaia di donne in tutti i paesi dell’Unione. La violenza contro le donne e i bambini è una violazione dei diritti fondamentali di base e, inoltre, non dobbiamo dimenticare che tale violazione diventa ancora più grave quando interessa determinati gruppi, quali le minoranze e le persone che vivono in stato di povertà o che sono portatrici di handicap.

Gli allarmanti dati sulle vittime di questa violenza ci obbligano ad attuare un’autentica rivoluzione sociale, perché non possiamo dimenticare che, dietro le statistiche e i numeri, si trova la storia di migliaia di donne che giorno dopo giorno subiscono le vessazioni di chi abusa di loro semplicemente perché sono donne. Pertanto, oggi dobbiamo difendere con fermezza un programma specifico che permetta di progredire nella soluzione di un problema sociale su cui devono mobilitarsi tutti i poteri pubblici; verrà così favorito un cambiamento che consentirà di conseguire una società più ugualitaria.

Il governo spagnolo ha attuato una legge contro la violenza di genere, assumendosi un chiaro impegno nella lotta contro questa piaga sociale. Benché tale legge non possa certamente porre fine dall’oggi al domani alla realtà di cui sono vittime le donne, costituisce un sostegno importante.

Questa è la strada che deve percorrere il resto dell’Unione, assumendo impegni netti nella convinzione che restare a braccia conserte in questo momento significa voltare le spalle a migliaia di donne che aspettano una risposta da noi.

 
  
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  Presidente. – La prossima oratrice avrebbe dovuto essere l’onorevole Lévai. Nemmeno lei, però, a quanto pare è presente in Aula. Con questo si conclude l’elenco degli oratori. Nel dare la parola al Commissario Frattini, gli porgo le mie scuse per l’indisciplinatezza dell’Assemblea, che è attribuibile alla nostra impazienza di passare alla votazione. Tuttavia, signor Commissario, la relatrice e l’intero Emiciclo sono interessati ad ascoltare quanto avrà da dirci.

Devo informare l’onorevole deputata che non posso aggiungerla all’elenco degli oratori. No, mi dispiace, ma non era al suo posto quando l’ho chiamata. Questo vale sia per lei sia per l’onorevole Kauppi.

(Applausi)

E’ una questione di educazione, onorevole Kauppi, essere presenti in Aula non solo per usufruire del proprio tempo di parola, ma anche per ascoltare gli altri.

 
  
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  Piia-Noora Kauppi (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, intervengo per una mozione di procedura sull’organizzazione dell’ordine del giorno. Ho contattato la segreteria delle sedute all’incirca alle 11.15 di questa mattina e mi è stato detto che il mio tempo di parola sarebbe stato rinviato alle 21.00.

Appena ho visto che il mio nome era stato inserito nell’elenco, ho stampato il mio intervento, mi sono precipitata verso gli ascensori e sono venuta qui, perché mi sono resa conto che dovevo presentarmi in Aula prima delle 21.00! Ovviamente capisco di non potere utilizzare il mio tempo di parola ora, ma mi dispiace davvero che la Segreteria abbia comunicato così tardi ai deputati che il dibattito sarebbe proseguito anziché terminare alle 11.30, come previsto. Non è così che si trattano i colleghi in quest’Aula.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Kauppi, sono deputata al Parlamento europeo da diversi anni. So che è difficile conoscere con esattezza l’ora alla quale si dovrà intervenire, ma ripeto, con tutta la debita umiltà, che io personalmente – lei potrà essere di parere diverso – trovo educato seguire la discussione, assistendovi prima di prendere la parola. Se ogni volta fosse così, questa situazione non si verificherebbe. Il suo nome è apparso sullo schermo, come quello di altri deputati – ad esempio quello dell’onorevole Geringer de Oedenberg – che si sono stupiti per l’assenza di alcuni colleghi. Il loro tempo di parola è stato dunque anticipato di cinque minuti. Non posso fare nulla al riguardo. Posso solo invitare tutti coloro che devono prendere parte a un dibattito a essere presenti in Aula fin dall’inizio della discussione. Se così fosse, lei non si troverebbe più in una situazione simile. Questo vale per tutti coloro che non erano in Aula quando ho pronunciato i loro nomi. Ho chiamato cinque o sei persone che oggi non erano presenti e che quindi non hanno potuto parlare.

Generalmente, quando abbiamo molto tempo a disposizione, sono lieta, come ogni altro Vicepresidente, di aggiungere altri nomi al termine del dibattito. Oggi, però, questo non sarà possibile, perché dobbiamo votare sulla relazione.

Vorrei ora dare la parola al Commissario Frattini.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. Signora Presidente, onorevoli deputati, mi scuso con tutti voi per il ritardo del mio volo stamani per Strasburgo, che non mi ha permesso di seguire la prima parte del dibattito, seguito però dal collega Kovács.

In via generale esprimo un sincero apprezzamento per il modo con cui Parlamento e Commissione hanno lavorato sul programma DAPHNE negli ultimi mesi. Ringrazio vivamente anche la relatrice e la presidente della commissione per i diritti delle donna, le quali sanno bene che circa un anno fa avevo espresso fin dal primo momento una condivisione all’idea di separare la parte DAPHNE dedicata alle violenze contro le donne e i bambini dalla quella dedicata alla lotta alla droga, onde evitare confusioni improprie di materia.

Sono molto soddisfatto che oggi si registri un accordo generale al riguardo e che in modo più serio, più forte, con risorse circa il doppio di quelle previste in passato, si possa porre l’accento sul tema della prevenzione, della reazione contro tutte le forme di violenza che colpiscono bambini e donne.

Credo in particolare che la Commissione sia, non solo pronta, ma anche ben felice di continuare a cooperare strettamente con il Parlamento nelle attività di esecuzione, nel senso di informare costantemente il Parlamento su come i programmi DAPHNE vengono assegnati e quale sia il risultato concreto dei programmi e dei progetti che vengono poi finanziati.

C’è un tema importante che ho ascoltato nell’ultima parte del dibattito da alcuni onorevoli parlamentari: precisamente il ruolo degli Stati membri e il ruolo dell’Europa.

Signora Presidente, onorevoli deputati, il tema mi è sembrato particolarmente importante dato che non si può sottolineare solamente il ruolo degli Stati nazionali, delle polizie, delle magistrature nel perseguire e punire i fatti di violenza a livello nazionale: occorre una forte voce europea contro ogni forma di violenza che colpisce ormai in maniera crescente i bambini e le donne!

Ecco perché il programma DAPHNE è necessario, ecco il suo valore aggiunto, che non toglie niente al dovere delle polizie nazionali, al dovere degli organi di magistratura di perseguire e punire a livello nazionale i singoli casi di violenza, ma non possiamo rinunciare a far sentire la voce dell’Europa di fronte ad una criminalità sempre più transnazionale e contro le donne, ad esempio in tutte le forme di traffico destinato alla prostituzione forzata, o i bambini per tutto quello che riguarda l’orribile crimine della pedofilia che diventa sempre più un crimine transnazionale. A quanti nutrono ancora qualche dubbio va detto che il valore aggiunto dell’azione europea in questa materia è chiaro ed evidente.

Formulo ora pochissime osservazioni su alcuni emendamenti, in cui sono sottolineati alcuni tipi particolari di violenza. Occorre fare attenzione a non escludere altri tipi di violenza, ma in che senso? Nel senso che, se nel testo del progetto facciamo riferimento solo ad alcuni tipi di azioni per le quali DAPHNE può concedere finanziamenti, rischiamo di escludere altre forme di violenza per le quali pure DAPHNE deve erogare un finanziamento. Preferirei una formulazione più generale, che riguardi prevenzione e reazione a tutti i tipi di violenza, senza specificarne alcuni e quindi senza il rischio di escluderne altri.

Un emendamento particolare riguarda la federazione europea per i bambini scomparsi e sfruttati. Un emendamento di compromesso proposto, l’emendamento 72, conferma la possibilità di finanziare questa federazione, ma aggiunge un’altra organizzazione denominata Enoc. Sono favorevole all’emendamento di compromesso che, da un lato permette di concedere finanziamenti a organizzazioni già operanti e ben individuate, ma dall’altro con questa seconda organizzazione si allarga un po’ la tipologia degli enti potenziali beneficiari di un finanziamento.

Due ultime osservazioni: la prima, si parla molto di una linea telefonica europea per aiutare bambini in difficoltà. L’iniziativa è estremamente importante e oggi posso comunicare che stiamo già preparando un progetto di decisione quadro. Ci eravamo impegnati, mi ero impegnato a farlo, quando presentai a voi la comunicazione sui diritti dei bambini in giugno, oggi posso dirvi che la preparazione della decisione quadro sulla linea telefonica unica europea è in corso e molto presto la presenteremo concretamente. E’ un’iniziativa che aiuterà molto davvero, quindi ringrazio anche coloro che nel dibattito hanno fatto riferimento a questo.

L’ultimo tema è stato toccato da alcuni onorevoli parlamentari, l’idea di avere una direttiva europea contro la violenza sulle donne. Apprezzo molto l’idea, è molto interessante, ma ho un’unica preoccupazione: cercare una base giuridica appropriata. Dobbiamo trovarla, non so se nei trattati esista una base giuridica adeguata per una direttiva contro la violenza sulle donne, se riuscissimo a risolvere questo aspetto della base giuridica, sarei politicamente molto favorevole all’idea di armonizzare almeno le linee guida europee per punire severamente i casi di violenza criminale contro le donne.

E’ un inizio di riflessione che potremo riprendere. Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato a questo dibattito e resto pronto a continuare a cooperare con voi su questi temi.

 
  
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  Presidente. – Grazie molte, signor Commissario.

Onorevoli colleghi, vorrei solo ricordare a chi prima non era presente in Aula per quali motivi oggi abbiamo avuto problemi con l’organizzazione del dibattito. Il Commissario Mandelson ha deciso di parlare per 28 minuti invece dei 12-15 minuti massimi previsti. Dobbiamo chiarire questi dettagli nelle relazioni tra il Parlamento e la Commissione. Oggi non possiamo fare nulla, ma sono questi imprevisti a causare i problemi. Mi scuso per il ritardo del turno di votazioni.

 
  
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  Lissy Gröner (PSE), relatore. – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, vorrei ringraziarla ed esortarla seriamente a mettere in atto ciò di cui ha appena parlato a proposito dell’elaborazione di uno strumento giuridico volto a combattere attivamente la violenza contro i bambini, le donne e i giovani. Oggi questa proposta è stata sostenuta da quasi tutti i gruppi parlamentari. Le chiedo di avviare subito questo dibattito in modo che sia possibile giungere al più presto a un risultato. Può contare sulla nostra cooperazione.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà alle 12.00.

Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Véronique Mathieu (PPE-DE). – (FR) Grazie al programma DAPHNE sono stati compiuti notevoli progressi nella lotta contro la violenza nei confronti delle donne, dei giovani e dei bambini. Strumento fondamentale ai fini della sensibilizzazione e dell’introduzione delle buone pratiche, DAPHNE ha permesso di ottenere l’aiuto delle ONG sensibilizzando contestualmente l’opinione pubblica su forme di violenza a lungo considerate tabù.

Al di là di tali risultati, che devono essere consolidati e promossi attraverso maggiori finanziamenti, questa è la prova concreta del valore aggiunto di un’azione avviata a livello europeo, che ci ricorda che l’idea originale dell’Europa è quella di un gruppo politico fondato su valori fondamentali come la protezione di persone vulnerabili. Oggi è questa l’essenza dell’impegno europeo, e non il potere economico.

Oltre ai dichiarati “obiettivi ambiziosi” desideriamo rilevare la necessità di obiettivi chiari e credibili volti a ridurre ulteriormente la violenza, poiché resta molto da fare. Possiamo dunque accogliere con favore i servizi di assistenza forniti alle organizzazioni interessate, nonché l’estensione degli aiuti a un maggior numero di ONG, esigenza scaturita dalla proliferazione internazionale della criminalità organizzata.

Vorremmo precisare che i programmi finanziati da DAPHNE devono il loro successo al coinvolgimento delle parti interessate, che effettuano l’indispensabile lavoro di prossimità e di seguito.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. INGO FRIEDRICH
Vicepresidente

 

7. Turno di votazioni
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  Presidente. L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati e ulteriori dettagli sulle votazioni: cfr. Processo verbale)

 

7.1. Misure agricole specifiche a favore delle isole minori del Mar Egeo (votazione)

7.2. Allevamento dei bachi da seta (votazione)

7.3. Franchigie fiscali applicabili all’importazione di merci oggetto di piccole spedizioni a carattere non commerciale (votazione)

7.4. Prelievo nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari (votazione)

7.5. Conclusione della Convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale (votazione)
  

– Prima della votazione

 
  
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  Johannes Blokland (IND/DEM), relatore. – (NL) Signor Presidente, nel 2002 il Parlamento e il Consiglio avevano deciso di modificare la base giuridica del regolamento sul trasferimento di prodotti chimici e pesticidi pericolosi, un prosieguo della Convenzione di Rotterdam. La stragrande maggioranza dell’Assemblea era favorevole al cambiamento e persino il Consiglio aveva espresso il proprio consenso.

La Commissione, tuttavia, aveva adito la Corte di giustizia per opporsi a tale modifica, gettando così il settore nell’incertezza per anni, mentre le sentenze della Corte avevano solo complicato ulteriormente la situazione. Il Parlamento e il Consiglio avevano scelto come base giuridica l’articolo 175, mentre la Commissione aveva optato per l’articolo 133. La Corte ha stabilito, con grande sorpresa di tutte le parti interessate, di adottare come base giuridica entrambi gli articoli.

Questo, purtroppo, non è un caso isolato. La Commissione, il Parlamento e il Consiglio non sono riusciti a raggiungere un accordo sulla base giuridica in varie aree. Uno degli esempi più recenti è stato il dossier sulle spedizioni di rifiuti, di cui tra parentesi sono il relatore.

Vorrei esortare le tre Istituzioni a desistere, in futuro, dal discutere queste scelte in tribunale, ma piuttosto a trovare una soluzione insieme. L’essenziale è adottare una politica chiara sulla scelta della base giuridica.

Al momento la Corte di giustizia sta vagliando tre casi analoghi, sui quali sono state pronunciate sentenze diverse. Ciò non favorisce affatto la coerenza della legislazione e conduce inoltre a un’intera procedura di riparazione legislativa come quella su cui ci accingiamo a votare.

Desidero dunque esortare la Commissione e il Consiglio, nonché quest’Assemblea, a giungere a una procedura chiara per la scelta delle basi giuridiche. In questo modo la qualità della legislazione non potrà che beneficiarne.

 

7.6. Relazione speciale n, 5/2005 della Corte dei conti europea relativa alle spese d’interpretazione sostenute dal Parlamento, dalla Commissione e dal Consiglio (votazione)
  

(La seduta è sospesa alle 12.00 per alcuni minuti)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES
Presidente

 

8. Seduta solenne
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  Presidente. – Signora Presidente della Repubblica di Finlandia, onorevoli deputati, signor Presidente della Commissione, il Parlamento europeo, che rivendica sempre una maggiore presenza delle donne nella politica, si congratula di poter ricevere oggi in questo Emiciclo la prima donna eletta – e addirittura rieletta – al più alto incarico della Repubblica di Finlandia. Le diamo il benvenuto.

La sua rielezione, signora Presidente, all’inizio di quest’anno, ha marcato in modo significativo il centenario del suffragio femminile in Finlandia, il primo paese al mondo ad aver concesso il diritto di voto alle donne. Forse è per questo motivo, tra gli altri, che, un secolo dopo, il Presidente oggi è una donna.

A nome di tutti gli onorevoli parlamentari, plaudo al suo personale impegno in molteplici sedi internazionali nelle quali lei ha messo la sua esperienza e la sua influenza al servizio di cause che per noi, parlamentari europei, rivestono un’importanza decisiva.

Desidero ricordare che lei ha assunto nel 2000 la presidenza congiunta del Vertice del Millennio e che, in seguito, ha presieduto la Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione, un tema oggi di estrema attualità – la dimensione sociale della globalizzazione – e che tocca l’Europa sempre più da vicino.

Lei si è altresì prodigata molto per lo sviluppo sostenibile, il rispetto dei diritti umani e i diritti delle minoranze, altre tematiche che, sfortunatamente, sono altrettanto attuali, ai nostri giorni, in alcuni paesi dell’Unione.

E’ fuor di dubbio il suo impegno a favore del tempo in cui vive, del suo mondo, di mondo più umano, e a favore dell’integrazione europea.

Il suo paese, inoltre, detiene la Presidenza dell’Unione. Molti commentatori, all’inizio di questa Presidenza, hanno pronosticato che si sarebbe trattato di una Presidenza di “transizione”, in attesa di avvenimenti che sbloccassero il dibattito sulla Costituzione.

Però la storia non ammette transizioni, non ci lascia fermare l’orologio, né ci consente di aspettare che accadano altri fatti. La storia ci presenta un programma molto carico per i prossimi mesi.

La storia ci pone di fronte alle nostre responsabilità in Medio Oriente, una regione dilaniata da un’altra guerra e in cui la nostra Unione cercherà di riportare la pace. Mi preme dare atto alla Presidenza finlandese per aver agito in modo rapido e energico allo scoppio delle ostilità. Mi congratulo per l’atteggiamento del suo ministro degli Esteri, per le sue parole franche e dirette, che hanno ispirato all’Unione europea uno scatto di volontà tradottosi, fortunatamente, in una decisione coraggiosa: inviare forze di stabilizzazione sul campo.

Il suo paese è stato il primo a parlare di politica d’immigrazione europea. Tampere è passata alla storia come la città dove sette anni or sono l’Europa ha cominciato a trattare il problema dell’immigrazione. Probabilmente all’epoca non avremmo potuto immaginare che il problema si sarebbe aggravato al punto odierno, con le ondate di disperati che cercano di approdare in quella parte d’Europa che è loro più vicina, con centinaia di cadaveri che il mare spinge sulle spiagge. Pertanto è urgente che l’Europa agisca anche in questo ambito.

A Tampere avete fatto nascere una volontà politica che, purtroppo, non è progredita a sufficienza. La stessa lotta all’immigrazione illegale, che invece aveva compiuto progressi, oggi incontra nuove reticenze.

La storia ha voluto che fosse un’altra Presidenza finlandese ad avere l’opportunità di imprimere un nuovo impulso a una politica che non è più una risposta d’emergenza a una situazione eccezionale, bensì una reazione quotidiana e permanente a un problema strutturale che non farà che peggiorare.

D’altra parte voi finlandesi siete all’avanguardia nella ricerca e nell’innovazione: siete riusciti a trasformare la struttura produttiva del paese per passare dalle vecchie industrie a nuove attività pionieristiche nell’ambito della comunicazione e della conoscenza. Avete anche adottato decisioni in materia di politica energetica: avete deliberato, democraticamente, di optare per l’energia nucleare, per ragioni di sicurezza e diversificazione. Si tratta di un tema vivo e controverso nel dibattito europeo, sul quale il Parlamento sicuramente avrà molto da dire.

Per tutti questi motivi, e a fronte della questione della Bulgaria e della Romania, che stanno per unirsi a noi, nonché di pacchetti legislativi come REACH o la direttiva sui servizi, questa non sarà una Presidenza di “transizione”: c’è troppa carne al fuoco per poterci permettere di sonnecchiare nell’attesa che altri decidano per noi.

Perciò, signora Presidente, le diamo il benvenuto in questo Parlamento, in qualità di capo di Stato del paese di turno alla Presidenza, sicuri che nelle sue parole troveremo una guida per il nostro operato. Stia pur certa che il Parlamento la accoglie con grande affetto e ottimismo.

Molte grazie, signora Presidente.

(Applausi)

 
  
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  Tarja Halonen, Presidente della Repubblica di Finlandia. – (FI) Signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, signor Presidente, onorevoli parlamentari, desidero esprimere un sincero ringraziamento per avermi invitata a comparire di fronte al Parlamento europeo. Ringrazio anche lei, signor Presidente, per le cortesi parole d’introduzione. Ci siamo incontrati di recente in occasione della sua visita in Finlandia all’inizio di giugno e lei è il benvenuto nel nostro paese in qualunque momento.

I deputati eletti dal popolo rappresentano una componente importante del processo democratico, tanto nell’Unione europea quanto nei suoi Stati membri. La vostra influenza è considerevole: avete l’opportunità di promuovere efficacemente gli obiettivi di tutta l’Unione nel vostro lavoro quotidiano. La Presidenza finlandese desidera lavorare di concerto con il Parlamento europeo. Questa settimana saranno presenti svariati ministri del nostro governo, pronti e disponibili ad affrontare un dibattito con voi, e credo che le discussioni saranno molto proficue.

E’ ovvio che la cooperazione e l’integrazione europea sono importanti per promuovere la pace, la stabilità e la prosperità nel nostro continente, e i risultati conseguiti sono considerevoli. I nostri sforzi si fondano su un impianto comune di valori: la libertà, la democrazia, il rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali e l’impegno a favore dei principi dello Stato di diritto. Ogni Stato membro è tenuto ad applicare tali valori alla sua maniera, ma insieme, spesso, otteniamo effetti migliori. Un’Unione europea unita, inoltre, è un attore di maggior peso sullo scenario internazionale rispetto a qualunque Stato membro da solo.

Il ruolo internazionale dell’Unione europea si è venuto rafforzando in modo significativo negli anni recenti. L’UE è un attore visibile e importante in questioni che spaziano dallo sviluppo alla gestione delle crisi. Sempre di più le minacce globali alla sicurezza non sono di natura militare. Il cambiamento climatico, l’inquinamento, i disastri naturali, le malattie contagiose e l’incertezza economica sono problemi ai quali non possiamo prepararci con mezzi militari. Per questo motivo cerchiamo di promuovere il multilateralismo e di raggiungere accordi internazionali per combattere minacce e pericoli che sono comuni a noi tutti.

La criminalità organizzata è una grande preoccupazione per noi tutti. La stretta cooperazione tra Stati membri per combattere la minaccia del terrorismo è di vitale importanza, al pari di un’efficace cooperazione con i paesi terzi. Se vogliamo la sicurezza su larga scala e che questa sia sostenuta globalmente, è necessario collegarla ai diritti umani e allo sviluppo. La strategia di sicurezza dell’Unione europea si basa su tale premessa, che è stata adottata dalle Nazioni Unite. Possiamo influenzare la creazione di un mondo più giusto e la realizzazione degli obiettivi dell’ONU per il Millennio. Avere a disposizione un’ampia gamma di risorse, dall’aiuto umanitario alle politiche per l’agricoltura, il commercio, lo sviluppo e l’ambiente, è uno dei punto di forza dell’Unione.

La politica di sviluppo dell’UE può anche essere vista come parte della politica di sicurezza. L’UE è il maggiore partner commerciale e per la cooperazione allo sviluppo dei paesi in via di sviluppo dà il maggiore contributo a livello mondiale all’aiuto allo sviluppo. Credo e spero che le Istituzioni dell’UE lavorino insieme per raggiungere una decisione sul finanziamento a favore dello sviluppo, allo scopo di garantire un flusso ininterrotto di finanziamenti europei e, in particolare, diverse azioni da parte dell’UE anche fin dal principio del 2007.

Esiste un nesso tra sviluppo e commercio. Non è sempre automaticamente positivo: richiede volontà politica e know-how. In questo modo è possibile ottenere che il commercio promuova la crescita economica, la riduzione della povertà e lo sviluppo sociale nei paesi in via di sviluppo. I paesi in via di sviluppo, a loro volta, devono anche essere preparati a realizzare riforme nazionali, a promuovere il buon governo e a eliminare la corruzione. L’accesso ai mercati, da solo, non basterà necessariamente per conseguire una globalizzazione più equa. In ottobre si terrà una seduta congiunta dei ministri per il Commercio e per lo Sviluppo, al fine di raggiungere un forte impegno da parte dell’UE a favore delle raccomandazioni “aiuto per il commercio” dell’Organizzazione mondiale per il commercio e di una loro rapida applicazione pratica.

La questione della circolazione transfrontaliera delle persone è un altro tema che va affrontato esattamente con il medesimo approccio di ampio respiro. Credo che tale punto sarà discusso al Vertice di Lahti. Ritengo altresì che saremo pronti per una decisione a dicembre.

Le questioni relative ai diritti umani sono delicate. Abbiamo concordato che devono essere vincolanti sul piano legale ed etico, ma è un compito molto oneroso tradurle in politiche pratiche. La politica dell’Unione europea in materia di diritti umani, tuttavia, deve fondarsi su regole esattamente uguali in diverse parti del mondo. Fortunatamente, abbiamo anche dei buoni partner, soprattutto, com’è ovvio, nel contesto delle Nazioni Unite. In Europa, un referente importante per noi è il Consiglio d’Europa, di cui dovremmo riuscire a sfruttare in modo più efficace l’esperienza. E’ ancora un obiettivo importante per l’UE diventare parte contraente della Convenzione europea sui diritti umani. Una relazione del Primo Ministro lussemburghese, Jean-Claude Juncker, contiene eccellenti proposte per una più stretta cooperazione tra le due organizzazioni, ma dobbiamo lavorare per realizzare i contenuti di tale documento.

La prevenzione dei conflitti e la gestione delle crisi sono diventate entrambe più importanti che mai per l’Unione. Mi sia consentito indulgere per un attimo nella nostalgia. Quand’ero ministro degli Esteri della Finlandia, con la mia collega svedese, Lena Hjelm Wallén lanciammo un’iniziativa per promuovere la capacità di gestione delle crisi dell’Unione europea, sebbene non sperassimo certo in un’evoluzione tanto rapida. Invece le cose sono andate diversamente. L’iniziativa è stata adottata con il Trattato di Amsterdam ed oggi la pietra angolare della politica di gestione delle crisi dell’Unione europea, che procede a passi da gigante, risiede nello sviluppo militare e civile e nel positivo coordinamento di questi due elementi. Esercitare un’influenza ad ampio spettro è la strada più sicura per la composizione dei conflitti.

Ad esempio, si è già rivelato necessario l’invio di un contingente UE a sostegno delle Nazioni Unite per la gestione delle crisi nella Repubblica democratica del Congo, in quanto, quando sono stati resi noti i risultati della prima tornata elettorale, sono scoppiati violenti scontri. Speriamo che la situazione a questo punto rimanga stabile, così che la campagna elettorale e il secondo turno delle elezioni possano svolgersi in un clima pacifico e nel rispetto del processo democratico. Dopo la consultazione elettorale, il paese dovrà accelerare il passaggio alla fase della ricostruzione e dello sviluppo. L’UE sta già lavorando per riformare il settore della sicurezza nel paese. L’Unione europea sta inoltre adoperandosi strenuamente per risolvere la difficile situazione in Darfur. L’Unione è il principale sostenitore della missione dell’Unione africana nell’operazione di mantenimento della pace in Sudan. Le decisioni relative al rafforzamento dell’operazione di peacekeeping e alla transizione verso un’operazione sotto il controllo dell’ONU devono essere attuate rapidamente, perché non si può più tollerare che le sofferenze umane nella regione continuino.

Pertanto le aspettative nei confronti dell’azione internazionale sotto l’egida dell’Unione europea sono crescenti. Un’Unione compatta è un attore forte, come ha dimostrato la situazione in Libano. L’UE ha operato attivamente nel tentativo di trovare una soluzione politica, prima con l’adozione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ora con la sua attuazione. E’ cruciale, tuttavia, che le parti in causa diano prova del loro impegno in tal senso. La determinazione dell’Unione ha rafforzato la fiducia nell’Europa come mediatore di pace nella regione. Ovviamente non possiamo riuscirci da soli, ma il ruolo dell’Unione europea potrebbe essere altamente significativo.

Gli Stati membri dell’Unione europea hanno assunto un ruolo centrale nell’operazione allargata UNIFIL, facente capo all’ONU, che sostiene il fragile cessate il fuoco e i tentativi di stabilire una pace duratura nella regione nel suo insieme. La decisione di assumere un ruolo responsabile, adottata alla riunione straordinaria del Consiglio “Affari generali e Relazioni esterne” del 25 agosto, ha segnato un punto di svolta nel consolidare il ruolo dell’UNIFIL. Gli Stati membri hanno potuto adottare alcune decisioni molto forti nel contesto internazionale: si sono impegnati ad inviare un contingente di pace composto di 7 000 uomini per supportare l’operazione UNIFIL. L’intera operazione ONU sarà guidata da europei, dapprima dalla Francia e poi dall’Italia. E’ importante, tuttavia, che i paesi che inviano truppe di sostegno all’operazione non siano soltanto membri dell’Unione europea. In tal modo le parti interessate avranno maggiore fiducia nel successo dell’operazione.

La situazione in Libano è complessa e non riguarda esclusivamente la politica di sicurezza: si tratta anche di un problema politico, economico e sociale. Dobbiamo aiutare il governo libanese sia ad estendere la propria autorità su tutto il territorio del Libano sia ad assumersi la responsabilità per il processo di ricostruzione. Per migliorare la difficile situazione umanitaria del paese, l’importo totale degli aiuti concessi dalla Commissione europea e dagli Stati membri supera ormai i 300 milioni di euro. La Conferenza di Stoccolma tenutasi alla fine della settimana scorsa sulla situazione umanitaria in Libano e nei territori palestinesi si è rivelata un autentico successo. L’ammontare degli aiuti corrisposti e il numero dei nuovi impegni in termini di aiuti sono stati notevoli. Oltre alla concessione di aiuto umanitario diretto, l’Unione deve svolgere un ruolo centrale nel lavoro di ricostruzione e di riparazione dei danni arrecati all’ambiente.

Una pace duratura in Medio Oriente richiederà una soluzione al conflitto tra Israele e palestinesi. L’UE ha avuto un ruolo chiave nella definizione della roadmap e anche adesso l’Unione deve dimostrare spirito d’iniziativa nel promuovere un piano di pace completo. Ognuno deve impegnarsi a favore dell’esistenza di due paesi sicuri e in grado di esistere. E’ altresì necessario costruire un clima di fiducia a livello della società civile e non soltanto tra i governi, un obiettivo, questo, peraltro importante. Credo che se le donne saranno coinvolte direttamente nel processo di pace, le opportunità di una soluzione duratura aumenteranno. Ho già lavorato con l’organizzazione delle donne dell’ONU, l’UNIFEM, che appoggia il dialogo tra donne israeliane e palestinesi. Solleveremo la questione anche nell’imminente sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Onorevoli parlamentari, domani in plenaria discuterete in modo approfondito del Medio Oriente. E’ di fondamentale importanza che in futuro l’Unione europea mostri determinazione nell’istaurare sicurezza e stabilità in tutto il Medio Oriente. Il Medio Oriente è nostro vicino. I rappresentanti dell’UE hanno dato prova di spirito d’iniziativa nei negoziati sul programma nucleare dell’Iran. L’Iran deve ottemperare alla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU e ora deve veramente cogliere l’opportunità di un dialogo autentico. Nelle settimane e nei mesi a venire, l’UE deve persistere con il suo programma di diplomazia attiva e ad ampio raggio. Gli Stati Uniti d’America saranno un partner chiave per l’UE in questo senso, senza dimenticare gli altri membri permanenti del Consiglio di sicurezza.

I destini della Russia e del resto dell’Europa sono legati da secoli. Oggi la Russia è un partner strategico dell’UE. La leadership russa ha affermato a più riprese che la sua scelta europea è irrevocabile. La cooperazione su larga scala, dal commercio ai diritti umani, andrà a beneficio di ambo le parti e contribuirà altrettanto allo sviluppo democratico e alla stabilità della Russia.

Recentemente le questioni relative all’energia sono state al centro dell’attualità. E’ positivo che l’UE miri ad una visione comune sull’energia, anche se la scelta delle fonti energetiche è competenza di ogni singola nazione. Per la maggior parte delle tematiche, tuttavia, la cooperazione è cruciale. La politica energetica e la politica estera dell’UE devono essere più strettamente collegate, cosicché le relazioni esterne dell’Unione possano contribuire a garantire l’affidabilità delle forniture. Dal mio punto di vista, è in questo ambito che l’Unione e la Russia possono molto chiaramente definire un’interdipendenza positiva. Questo dialogo energetico tra UE e Russia deve basarsi sulla fiducia. Dobbiamo cercare di identificare interessi comuni.

Inoltre dobbiamo tutti mirare a combattere il cambiamento climatico, abbattendo le emissioni, risparmiando energia, sviluppando tecnologie più pulite e promuovendo l’uso di fonti energetiche rinnovabili. Dopo tutto, sappiamo che le fonti energetiche attuali non sono illimitate. L’UE deve anche aspirare ad una cooperazione di ampio respiro con la Russia in materia di ambiente. Esiste un accordo di partenariato e cooperazione di vasta portata tra Unione e Russia e abbiamo roadmap aggiuntive in quattro ambiti stabiliti di concerto: l’economia, la libertà, giustizia e sicurezza, la sicurezza esterna, e la ricerca, istruzione e cultura. L’ultimo di tali ambiti di cooperazione non è certo il meno importante, anche se simili questioni non sono spesso sotto gli occhi del pubblico. Ad esempio, i programmi di scambio di studenti e la conoscenza reciproca delle culture sono modi molto pratici per imparare a conoscersi meglio.

L’accordo di partenariato e cooperazione tra Unione e Russia scadrà alla fine dell’anno prossimo. Al Vertice UE-Russia di novembre il nostro obiettivo sarà raggiungere un’intesa con la Russia sull’avvio dei negoziati per il rinnovo dell’accordo. Ritengo inoltre che la riorganizzazione della dimensione nordica come politica comune tra UE, Russia, Norvegia e Islanda renderà più strette le relazioni tra noi e questi paesi partner. Il punto focale della dimensione nordica è costituito dalla cooperazione ambientale e dalle questioni sociali e relative alla salute.

L’allargamento dell’Unione ha promosso la stabilità e la sicurezza in Europa e ha recato benefici economici a tutti gli Stati membri, vecchi e nuovi. Il successo dell’allargamento rafforza anche il ruolo internazionale dell’UE. Penso che l’Unione europea debba essere aperta in futuro a tutti i paesi europei che rispettano le condizioni di adesione. Gli sviluppi nei paesi dell’Europa centrale, in Turchia, in Croazia e nei Balcani occidentali sono una chiara indicazione della forza esercitata dalla prospettiva di adesione all’UE in quanto incentivo per le riforme, anche se, ovviamente, l’obiettivo fondamentale dei cambiamenti deve essere il desiderio di ogni paese di migliorare lo standard di vita e la sicurezza dei propri cittadini. La gente valuterà l’adesione in funzione delle esperienze quotidiane.

Al Consiglio europeo di dicembre si terrà un dibattito generale sull’allargamento. In tale occasione esamineremo insieme come portare avanti il processo di allargamento. Sapete bene che in giugno nel Consiglio europeo si è svolta una discussione sulla capacità di assorbimento dell’Unione, con il risultato che non saranno fissati nuovi criteri di adesione, ma i criteri esistenti dovranno essere rispettati severamente. E’ nell’interesse dell’Unione europea e dei paesi che aspirano a diventare membri che l’adesione all’Unione avvenga unicamente quando il paese richiedente può assumersi la responsabilità per gli obblighi che l’adesione comporta e rispettarne le condizioni. Dal nostro canto noi siamo tenuti a rispettare le promesse che abbiamo fatto ai paesi che hanno presentato domanda e ad assicurare la nostra capacità di assorbire nuovi Stati membri.

Dovremmo altresì rammentare quali elementi sono assenti dalla lista di requisiti. Abbiamo valori comuni, ma non miriamo a stabilire una cultura unica. Al contrario, la diversità culturale è una fonte di ricchezza e forza dell’Europa. La diversità delle visioni politiche è una componente naturale dell’Europa. Voi e i vostri partiti politici siete un esempio senza uguali della cooperazione tra partiti politici al di là delle frontiere nazionali. Un’Unione multiforme necessita di un parlamentarismo pluridimensionale.

Il mio discorso è stato lungo e so che tutti abbiamo davanti un autunno ricco di impegni, sia voi qui al Parlamento sia noi che abbiamo la Presidenza come pure gli altri Stati membri. Questa settimana la Finlandia ospita il Vertice ASEM tra UE e paesi asiatici. L’ASEM in pratica si è già evoluta in una forma di cooperazione tra due gruppi regionali e lavorare con un’Unione integrata ha incoraggiato anche i paesi asiatici ad avviare un coordinamento bilaterale più stretto per la preparazione dei temi da discutere. Credo che sia diventato chiaro per tutti noi che il motto dell’ASEM “Sfide globali – Risposte comuni” è un principio e un obiettivo condiviso.

Per concludere, vorrei dire che ci sono due buoni motivi che spiegano il mio viaggio a Strasburgo. Voi siete uno di questi, il primo motivo della mia presenza in questa sede. Vi confesso anche l’altro: è mia intenzione recarmi in visita anche al Consiglio d’Europa. Spero in tal modo di offrire un sostegno pratico all’idea di ampia cooperazione europea che io stessa vi ho proposto. Grazie per l’occasione che mi è stata offerta di intervenire in questo Emiciclo e del tempo prezioso che mi avete riservato. Vi formulo i miei auguri più sinceri per un proficuo lavoro nelle tornate autunnali e perché possiate coronare con successo le vostre iniziative.

(L’Assemblea, in piedi, applaude lungamente)

 
  
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  Presidente. – La ringrazio molto per il suo discorso, signora Presidente. Dagli applausi che ha ricevuto avrà potuto riscontrare che il Parlamento ha seguito con molto interesse il suo intervento. Devo dirle che rare volte ho visto un Emiciclo tanto gremito quanto oggi e questo è a sua volta una dimostrazione dell’interesse che il Parlamento europeo nutre per i compiti che attendono la Presidenza finlandese.

Le rivolgiamo i migliori auguri per il suo governo e la ringraziamo ancora una volta per la visita.

Molte grazie, onorevoli colleghi.

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. INGO FRIEDRICH
Vicepresidente

(La seduta riprende alle 12.40.)

 

9. Turno di votazioni (seguito)
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  Presidente. Proseguiamo ora con il turno di votazioni.

 

9.1. Finanziamento della lotta contro l’inquinamento causato dalle navi (votazione)

9.2. “Lotta contro la violenza (DAPHNE)” (2007/2013) (votazione)
  

– Prima della votazione sugli emendamenti nn. 71 e 74

 
  
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  Lissy Gröner (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, il punto in questione riguarda la dotazione finanziaria del programma. Votando l’emendamento n. 74 del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, votiamo per un importo di 125 milioni di euro. Pertanto, chiedo di votare prima questo emendamento. In caso di adozione, l’emendamento n. 71, che propone 120 milioni di euro, decade.

 
  
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  Presidente. Proprio per questo la lista di voto è stata redatta così.

 

9.3. Tasse sulle autovetture (votazione)
  

– Prima della votazione sull’emendamento n. 25

 
  
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  Renate Sommer (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, a mio parere questo emendamento è superfluo, poiché prima, votando l’emendamento n. 11, abbiamo già respinto la tassazione in base all’uso.

 
  
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  Presidente. – Verificheremo. Potrebbe essere così. Esiterei a decidere in tal senso, per il momento, ma il punto sarà messo a verbale e sottoposto a verifica.

 
  
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  Claude Turmes (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, ritengo invece che abbia senso votare l’emendamento in questione.

 
  
  

– Prima della votazione sull’emendamento n. 1

 
  
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  Karin Riis-Jørgensen (ALDE), relatore. – (EN) Signor Presidente, mi scusi, ma credo che su questo si sia già votato e quindi possiamo procedere all’emendamento successivo.

 
  
  

– Prima della votazione sulla proposta modificata

 
  
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  Renate Sommer (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, vorrei pregare la relatrice di intervenire prima della votazione finale. Dalle mie note mi pare che questa votazione sia stata assolutamente caotica: una volta abbiamo votato a favore della tassazione delle sostanze inquinanti, la volta dopo contro. Una volta abbiamo votato a favore della tassazione in base al consumo di carburante, la volta dopo contro. Una volta abbiamo votato a favore della presa in considerazione dell’efficienza, la volta dopo contro. Nel giro di un minuto siamo passati dal volere il mantenimento delle tasse di registrazione al chiederne la soppressione.

Forse mi può dire come regolarmi adesso che arriviamo alla votazione finale: davvero non ho idea di come devo comportarmi.

 
  
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  Presidente. – Si tratterebbe di una procedura alquanto inusuale, poiché, purtroppo, accade spesso che i voti non siano proprio coerenti, ma se la relatrice desiderasse esprimersi le saremmo tutti molto grati.

 
  
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  Karin Riis-Jørgensen (ALDE), relatore. – (EN) Signor Presidente, convengo che la votazione sia stata caotica, grazie a noi, e forse ad altri deputati di questo Parlamento.

(Reazioni diverse)

Tuttavia, alla luce del risultato finale proporrei di votare a favore, perché le questioni fondamentali, per quanto mi riguarda, sono state approvate. Confido che quando esamineremo il testo con l’amministrazione potremo verificarlo e perfezionarlo.

(Reazioni diverse)

I punti principali per me contano. Credo dovremmo votare a favore per inviare un segnale alla Commissione, così da progredire nella modifica del regime fiscale in questione.

 

10. Dichiarazioni di voto
  

Relazione Daul (A6-0244/2006)

 
  
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  Jan Andersson, Anna Hedh, Ewa Hedkvist Petersen, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) Abbiamo scelto di astenerci. Questo perché, a nostro avviso, l’assistenza proposta non va finanziata come quota del bilancio agricolo, dal momento che non rientra nella tipologia del sussidio all’agricoltura, ma costituisce piuttosto un’assistenza a carattere regionale.

 
  
  

– Relazione Stubb (A6-0261/2006)

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci sono molti elementi positivi nella relazione Stubb sul multilinguismo nelle nostre Istituzioni. L’onorevole Stubb ha perfettamente ragione nel sottolineare che il multilinguismo, il cui costo è certamente un fattore importante, costituisce una scelta politica volta a preservare le caratteristiche di ciascuna delle nostre identità specifiche e a evitare l’appiattimento culturale che scaturirebbe inevitabilmente dal predominio di una lingua unica.

Dovrebbe applicare lo stesso ragionamento al leggero aggravio di costi che comporta l’interpretariato a Strasburgo, perché la scelta di Strasburgo è anche una scelta politica, che simboleggia la riconciliazione franco-tedesca.

Vorrei cogliere l’occasione per protestare ancora una volta contro lo scandalo di cui sono vittime i deputati non iscritti, i quali non dispongono, nel campo dell’interpretazione e della traduzione, degli stessi mezzi che hanno i loro colleghi deputati che appartengono a un gruppo, cosa in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia. L’Ufficio di presidenza ha preso in esame la questione ma, da quasi due anni a questa parte, deve ancora trovare una soluzione. Questa situazione discriminatoria deve finire.

(Applausi)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Malgrado il rispetto per le lingue ufficiali di tutti gli Stati membri sia sancito nei Trattati, si è tentato ripetutamente di ridurre il numero delle lingue di lavoro nell’Unione, propendendo sempre per le lingue dei paesi più popolosi. Si veda, per esempio, il caso recente dell’“indicatore europeo di competenza linguistica”, che include solo l’inglese, il francese, il tedesco, lo spagnolo e l’italiano.

Nonostante consideri il “multilinguismo” una delle “caratteristiche chiave” dell’Unione, la relazione in esame sottostà a una prospettiva di bilancio restrittiva, basata su argomentazioni di carattere amministrativo, che rischia di pregiudicare questo diritto sancito dai Trattati.

Pertanto ribadiamo il nostro fermo rifiuto nei confronti di qualunque tentativo volto a limitare l’uso di qualsiasi lingua ufficiale (e di lavoro) nell’Unione basato sul presupposto che le spese d’interpretazione siano elevate.

Critichiamo altresì i criteri che determinano quali lingue si debbano usare in occasione delle assemblee parlamentari UE-ACP, che eludono l’uso del portoghese. Questa è discriminazione.

Ci opponiamo inoltre al modo in cui, col pretesto della riduzione del bilancio, viene ridotto il numero di interpreti in Parlamento, nella Commissione e nel Consiglio, si tenta di creare un servizio unico di interpretariato e si attaccano i diritti degli interpreti per quanto riguarda i vincoli contrattuali, gli orari e le condizioni di lavoro.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Signor Presidente, condivido il senso generale della relazione e le critiche all’inefficienza, anche se terrei a sottolineare il mio impegno a favore del multilinguismo nell’ambito dei nostri lavori. E’ vero, la traduzione dei nostri interventi comporta un costo, ma il fatto che ogni lingua abbia pari dignità rispetto a tutte le altre rappresenta una componente d’importanza determinante per il rispetto reciproco. Ovviamente i gruppi del Parlamento possono sempre trovare altri metodi di lavoro, cosa che già avviene, e io mi auguro che questo processo continui e si allarghi. Dobbiamo continuare, come istituzione, a garantire parità di accesso a tutti, perché altrimenti mineremmo i nostri fondamenti democratici.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Il Parlamento ha ragione a ribadire oggi che il multilinguismo riflette la diversità culturale e linguistica all’interno dell’Unione, diversità che va mantenuta. E’ altrettanto giusto affermare che i cittadini hanno il diritto di comunicare con le Istituzioni europee in tutte le lingue ufficiali della Comunità.

Il Parlamento sottolinea inoltre che i rappresentanti eletti hanno il diritto di parlare nella propria lingua in occasione di tutte le riunioni ufficiali del Parlamento. Dopotutto, la conoscenza delle lingue non potrebbe mai essere un requisito aggiuntivo per essere eletti. Vorrei approfittare di quest’occasione per rendere merito alle molte centinaia di interpreti che ogni giorno, senza sosta, svolgono un lavoro eccellente e di grande qualità. Il fatto che tutto ciò abbia un costo rappresenta un prezzo normale da pagare affinché la democrazia europea funzioni correttamente.

Condivido, ove possibile, le proposte per ridurre le spese scoraggiando richieste e annullamenti troppo tardivi. Inoltre il fatto che il costo medio dell’interpretariato sia più alto in Parlamento che nel Consiglio o nella Commissione è anche riconducibile all’obbligo di doverci trasferire una volta al mese a Strasburgo, dove le risorse locali sono limitate, ragione per cui le spese parlamentari di interpretariato in quella città aumentano del 13 per cento. Pertanto potremmo risparmiare denaro mettendo fine a questo assurdo trasferimento mensile.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) Il multilinguismo è una componente essenziale per potere comunicare nelle Istituzioni europee. Il costo che ciò comporta sta aumentando a causa di Strasburgo, e per evitare questa spesa è necessario che la sede del Parlamento sia una sola e che sia quella di Bruxelles. Quello europeo è l’unico Parlamento al mondo a non avere voce in capitolo in merito all’ubicazione della propria sede. Questa situazione deve cambiare una volta per tutte.

 
  
  

Relazione de Grandes Pascual (A6-0184/2006)

 
  
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  Jean Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione dell’onorevole de Grandes Pascual sulla proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio sul finanziamento pluriennale, della durata di sette anni, dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima, dotandola di mezzi finanziari consistenti affinché svolga i suoi nuovi compiti, che consistono nella lotta all’inquinamento accidentale o intenzionale provocato dalle navi. L’idea dell’Agenzia, ovvero noleggiare navi commerciali – dette “navi stand-by” – che interrompano le loro attività commerciali per dirigersi verso l’area in cui si è verificato il sinistro, merita di essere sperimentata. Nondimeno, dobbiamo esaminare con attenzione le relazioni intermedie riguardanti questo dispositivo, perché mi chiedo se non sia più efficace un semplice conferimento a terzi di questo servizio di sicurezza che, per sua natura, sarà necessario solo per singoli incidenti. Le somme in discussione non sono trascurabili perché il costo di queste “navi stand-by” ammonta, per il periodo dal 2007 al 2013, a 134 milioni di euro sui 154 assegnati all’Agenzia. Infine sostengo senza riserve gli stanziamenti proposti per l’attuazione del servizio di immagini satellitari a sostegno degli Stati membri nella lotta agli scarichi illegali e agli sversamenti accidentali di idrocarburi.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno appoggia la cooperazione comunitaria in materia di questioni ambientali transfrontaliere; tuttavia non riteniamo che occorra stanziare risorse aggiuntive per l’Agenzia per la sicurezza marittima. Le importanti attività che il relatore propone di assegnarle possono essere curate meglio al di fuori del quadro dell’Agenzia stessa. La Lista di giugno è contraria all’enorme numero di agenzie, autorità e organismi decentrati che sono stati istituiti all’interno dell’Unione europea. Pertanto ho votato contro la relazione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La relazione inquadra le attività dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima, che ha sede a Lisbona, nel contesto di azioni volte al miglioramento della sicurezza marittima e alla prevenzione dell’inquinamento causato dalle navi nelle acque degli Stati membri dell’Unione.

Queste attività vengono definite supplementari e di appoggio rispetto al lavoro svolto dagli Stati costieri per combattere e prevenire i casi di inquinamento marittimo, contribuendo a rilevarli più tempestivamente e a identificare le navi responsabili.

La prevenzione e la lotta all’inquinamento marittimo sarà tanto più efficace quanto migliore sarà, per i vari Stati costieri, la dotazione di risorse pubbliche per consentire un intervento adeguato, rapido ed efficace.

Indipendentemente da altri aspetti importanti che andrebbero valutati, la relazione propone di estendere l’ambito di applicazione del regolamento includendo non solo i casi di inquinamento marittimo causato da petrolio, ma anche ogni tipo di inquinamento causato da navi e da sostanze liquide nocive, cosa che apprezziamo.

La relazione propone ciò che definisce “il finanziamento minimo” di quest’Agenzia, che qualora non fosse reso disponibile comprometterebbe – ancora di più, aggiungiamo noi – il perseguimento degli obiettivi per cui l’Agenzia è stata istituita.

 
  
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  Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) In considerazione delle recenti catastrofi ecologiche causate da sversamenti fuoriusciti da navi, la proposta che abbiamo appena votato assume particolare importanza.

Le misure proposte dalla relazione mi sembrano un modo adeguato per migliorare il funzionamento dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima. Esse introducono una nuova visione a lungo termine, permessa dal bilancio definito per un periodo di sette anni (2007-2013), e prevedono la conclusione di contratti relativi a navi stand-by per la lotta agli sversamenti.

Riveste analoga importanza anche la creazione di un nuovo centro servizi d’immagini, proposto dal Parlamento, a sostegno delle attività di identificazione di sversamenti e di scarichi illegali, cosa che permetterà un intervento più rapido ed efficace.

Questa proposta riveste speciale importanza per il Portogallo, uno Stato con una zona economica esclusiva molto estesa che viene attraversata ogni giorno da centinaia di navi e già in precedenza è stata teatro di sversamenti accidentali e catastrofi ecologiche.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) L’inquinamento causato dalle navi è estremamente preoccupante. La proposta di permettere i trasferimenti di petrolio da nave a nave nel Firth of Forth è una cosa contro la quale mi sono battuta energicamente. In merito a questi controversi trasferimenti mi sono messa costantemente in contatto con la Commissione, che è al corrente di quanto l’argomento sia sentito nella regione di Fife e dei rischi gravissimi che comporta per l’ambiente locale. Mi è stato riferito che il trasferimento di petrolio tra navi implica un rischio consistente che il petrolio si rovesci in mare.

Non possiamo permettere che i trasferimenti di petrolio da nave a nave vadano avanti. Invito il relatore e la Commissione a esercitare pressioni affinché la sottocommissione incaricata della valutazione dei rischi legati all’inquinamento da idrocarburi raggiunga una conclusione in tempi brevi.

 
  
  

Relazione Gröner (A6-0193/2006)

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, desideravo spiegare che la nostra obiezione nei confronti dell’emendamento n. 68 sui bambini di strada non era diretta a questa categoria in quanto tale, ma alla categorizzazione delle vittime, che il Commissario ha messo in evidenza.

Analogamente, per quanto riguarda l’emendamento n. 70, vogliamo una “hotline”, non un “telefono azzurro”. Poiché questo punto non è chiaro, ci siamo opposti, anche se condividiamo l’idea della linea telefonica europea.

Quanto ho appena detto riguarda gli emendamenti alla relazione Gröner.

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione della mia collega, l’onorevole Gröner, sul progetto di risoluzione legislativa, in sede di prima lettura, del Parlamento e del Consiglio che istituisce, per il periodo 2007-2013, il programma specifico “Lotta contro la violenza (DAPHNE) e prevenzione e informazione in materia di droga”. Appoggio le iniziative parlamentari che mirano a scindere il problema delle violenza da quello del consumo di droga. L’Unione deve, in maniera politicamente visibile, combattere meglio ogni forma di violenza, in particolare quella nei confronti delle donne, dei bambini e degli adolescenti. Nella civiltà umanista che stiamo costruendo, la violenza fisica, sessuale o psicologica, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, nella vita pubblica o privata, costituiscono un attentato ai valori fondamentali dell’Unione, che comprendono il diritto alla vita, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità, all’integrità fisica ed emotiva, e rappresentano un ostacolo all’esercizio sicuro, libero e giusto della cittadinanza. Quanto alla piaga della droga, non potendo attuare un proibizionismo efficace, appoggio ogni programma di prevenzione e di sensibilizzazione del pubblico, soprattutto dei giovani, su questo doloroso fenomeno.

 
  
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  Carlo Casini (PPE-DE), per iscritto. Mi sono astenuto sul voto finale, a causa dell’approvazione dell’emendamento 67. Per il resto il documento è accettabile e in molti punti ottimo, ma non posso consentire che la lotta contro la violenza sui bambini si esplichi anche mediante “l’adozione di nuovi modelli familiari” e che l’Unione Europea debba “apportare un valore aggiunto” alle azioni degli Stati promuovendo anche nuovi modelli familiari. Infatti l’esperienza comune e abbondanti ricerche psicologiche e sociologiche provano che la maggior violenza verso i bambini consiste nella rottura delle relazioni affettive dei genitori, la cui stabilità e certezza è garantita – si intende nella misura massima del possibile – dal matrimonio. E’ altresì noto che i bambini hanno bisogno di un riferimento maschile e femminile. E’ perciò inaccettabile l’idea che incentivare unioni omosessuali e depotenziare il matrimonio significa lottare per difendere i bambini dalla violenza.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione Gröner sulla “lotta contro la violenza (DAPHNE)” (2007-2013) perché è necessario assicurare continuità a questo progetto di successo per la lotta contro la violenza, che continua ad affliggere bambini, giovani e donne in Europa e nel mondo, e difendere i diritti fondamentali sanciti dalla Carta europea dei diritti fondamentali.

La prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti dei bambini, dei giovani e delle donne, come la tutela delle vittime e dei gruppi a rischio (DAPHNE III), richiedono un programma a sé.

E’ necessario informare e sensibilizzare i cittadini sul problema della violenza, per esempio tramite la promozione, nel 2007, dell’Anno europeo contro la violenza nei confronti delle donne. Questo programma dev’essere dotato dei meccanismi necessari e operare in stretta collaborazione con le diverse ONG che rivestono un importante ruolo sociale in questo settore.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Plaudiamo all’approvazione della nostra proposta di emendamento che mira a potenziare il programma DAPHNE. In virtù dell’approvazione di questa proposta del nostro gruppo, che io ho sottoscritto, il bilancio per l’esecuzione di questo strumento relativamente al periodo 2007-2013 sale dai 116,85 milioni di euro previsti dalla relazione Gröner a 125 milioni. Benché avesse votato anche lei a favore della nostra proposta, la relatrice aveva suggerito di aumentare l’importo fino a 120 milioni, il che ne ha permesso l’approvazione.

Pertanto il programma DAPHNE III ha maggiori possibilità di contribuire alla prevenzione e alla lotta contro la violenza perpetrata nei confronti dei bambini, dei giovani e delle donne, nonché alla tutela delle vittime.

La tolleranza zero nei confronti della violenza comporta un maggiore coinvolgimento politico, uno sforzo continuato e un intervento coerente in tutti gli Stati membri.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE), per iscritto. – (PL) Ogni violenza, fisica, psicologica o sessuale costituisce una grave violazione del diritto alla vita, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità. Quando si esercita nei confronti dei deboli, in particolare i bambini, i giovani o le donne, la violenza rappresenta anche una seria minaccia alla loro salute fisica e mentale.

Questi atti, inoltre, hanno gravi conseguenze per lo sviluppo psicologico e sociale di intere famiglie e intere comunità. Purtroppo la violenza è tuttora una realtà quotidiana in ogni Stato membro dell’Unione europea. Finora le azioni congiunte intraprese per prevenire e denunciare apertamente questo problema, che spesso è stato messo in secondo piano o ritenuto infamante, sono stati solo i primi timidi passi nella lotta alla violenza.

Un nuovo programma, DAPHNE III, con un bilancio pari a 115 milioni di euro, ha per obiettivo la prevenzione e la lotta contro la violenza in tutte le sue forme, sia nella sfera pubblica che in quella privata. Il programma mira a proteggere dalla violenza i bambini, i giovani e le donne mediante l’adozione di misure preventive, nonché a sostenere e tutelare le potenziali vittime. Per avere successo, il programma DAPHNE dev’essere conosciuto dai cittadini.

Oltre ad attività come fornire sostegno e assistenza alle ONG, agli organismi, alle organizzazioni e alle associazioni, dobbiamo anche condurre campagne efficaci di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul problema della violenza e in particolare sul problema della tratta delle donne e dei bambini a scopo di sfruttamento sessuale.

Per assistenza non si intendono soltanto azioni a breve termine, ma anche, per esempio, agevolare l’accesso al mercato del lavoro per le vittime di violenze, consentendo in tal modo il loro effettivo reinserimento nella società. In quest’ottica, l’iniziativa per un Anno europeo contro la violenza nei confronti delle donne merita il nostro vigoroso sostegno.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno vuole naturalmente fare la sua parte nella lotta alla violenza nei confronti delle donne, ma la relazione sembra sottintendere che l’Unione disponga di una base giuridica in virtù della quale potere interferire nei settori più delicati degli Stati membri, ovvero nella legislazione e nelle misure preventive contro la violenza. Gli attuali Stati membri non hanno un punto di vista comune per quanto riguarda tali settori e hanno anche culture giuridiche diverse. Per di più la relazione è stata formulata in modo vago.

Le proposte del Parlamento contengono troppi termini oscuri e al tempo stesso spiegano agli Stati membri come debbano condurre la lotta alla violenza e all’oppressione nei confronti delle donne. Ne è un esempio chiaro l’emendamento n. 14, il quale riconoscerebbe implicitamente che alcuni gruppi maschili sono più inclini a esercitare violenza contro le loro donne di altri rappresentanti del sesso maschile appartenenti a etnie differenti e più prospere. Quest’affermazione non è avvalorata da statistiche né da riferimenti a studi scientifici. Inoltre le proposte del Parlamento non tengono conto dei problemi culturali e giuridici che provocherebbero agli Stati membri.

Pertanto la Lista di giugno ha votato contro la relazione.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore degli emendamenti, accolti favorevolmente, che chiedono di istituire un telefono azzurro a livello europeo e di continuare a fornire il servizio di assistenza alle ONG. Inoltre ho votato a favore dell’emendamento che include la lotta alla violenza domestica nel contesto del programma DAPHNE.

Mi compiaccio che la relazione sia stata approvata con una maggioranza schiacciante e spero che il programma riesca a consolidare la lotta in corso contro la violenza.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Io e i miei colleghi del partito conservatore britannico aborriamo ogni sorta di violenza perpetrata nei confronti di donne e bambini. I programmi nazionali a questo riguardo devono costituire il mezzo principale per contrastare quest’importante problema sociale perché i governi nazionali, i parlamenti e gli organismi locali si trovano nelle condizioni migliori per conoscere e comprendere le questioni sul tappeto.

Pur sostenendo molte delle opinioni e delle specifiche idee di collaborazione contenute nella relazione, abbiamo deciso di astenerci dal voto finale perché il documento chiede “l’individuazione della base giuridica per la lotta contro le violenze… nell’ambito della legislazione europea”. Questa e altre affermazioni mirano ad aumentare la comunitarizzazione, che non riteniamo necessaria o auspicabile perché rischia di pregiudicare le strategie nazionali e locali di lotta alla violenza.

 
  
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  Katalin Lévai (PSE), per iscritto. – (HU) Innanzi tutto vorrei manifestare il mio appoggio all’idea che la lotta a favore dei gruppi a rischio richieda tuttora una considerazione e un programma comunitario a parte nel prossimo esercizio di bilancio.

Temo che abbinare questo problema – che di per sé richiede una trattazione comune e differenziata – ad altri settori possa mettere in forse un’azione concertata ed efficace da parte dell’Europa.

Contemporaneamente – in parte come conseguenza dell’espansione avvenuta e in parte considerando l’espansione che deve ancora verificarsi – una delle crisi sociali europee più trascurate è quella della tutela sociale e dell’integrazione dei rom. Questi gruppi sono già afflitti nella loro globalità da vessazioni considerevoli, ma sono le donne e i bambini rom a trovarsi particolarmente in pericolo, dal momento che sono esposti quotidianamente alla minaccia della violenza.

Lo stesso si può dire delle donne e dei bambini rifugiati e immigrati, che sono visibilmente oggetto di vessazioni, sia esterne che interne. Per illustrare la catastrofe umanitaria legata all’immigrazione clandestina, basterebbe dire che da più di un decennio e mezzo hanno perso la vita oltre 5 000 persone tra quelle coinvolte nell’ondata migratoria che ha interessato il Mediterraneo e nell’ambito della quale, naturalmente, i gruppi più deboli sono ancora una volta quelli più a rischio.

Devo aggiungere che, fra i soggetti maggiormente emarginati della società, il pericolo più grave è rappresentato dall’orrore della prostituzione forzata e della violenza sessuale, spesso legate a varie forme di criminalità organizzata come la tratta degli esseri umani e il traffico di droga.

Sono convinta che tutti questi problemi si possano risolvere solo con piani di azione complessi e a lungo termine e con una cooperazione a livello europeo. Credo sinceramente che il Parlamento sarà all’avanguardia in tali impegni.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Approvo la relazione, che introduce un programma di prevenzione e lotta alla violenza contro i bambini, i giovani e le donne e di protezione delle vittime e dei gruppi a rischio.

La violenza fisica, sessuale e psicologica nei confronti dei bambini, dei giovani e delle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione della libertà, nella vita pubblica e privata, non dev’essere tollerata nella Comunità e va vista come un attentato al loro diritto alla vita, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità e all’integrità fisica ed emotiva. Gli Stati membri devono inoltre riconoscere che le mutilazioni genitali costituiscono una forma particolare attraverso cui si manifesta la violenza nei confronti delle donne, con ripercussioni a breve e a lungo termine per la loro salute, e le cui vittime principali sono le donne appartenenti a comunità minoritarie.

Per raggiungere gli obiettivi della relazione, concordo sul fatto che occorrano obiettivi intermedi chiari e ragionevoli, ad esempio per dimezzare il numero di coloro che nel prossimo decennio saranno vittime della violenza e della tratta di esseri umani. Apprezzo la creazione di un gruppo d’esperti per fornire orientamenti alla Commissione sul contesto sociale, culturale e politico per quanto riguarda la selezione dei progetti e le azioni complementari che integreranno in maniera significativa il programma DAPHNE II.

 
  
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  Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) La violenza nei confronti delle donne, dei bambini e dei giovani è un fenomeno in continua crescita e costituisce una violazione fondamentale dei diritti umani di alcune delle fasce più vulnerabili della nostra società. Apprezzo in particolar modo l’importanza che la relazione attribuisce alla lotta contro la tratta di esseri umani. Circa l’80 per cento delle vittime di tale traffico è costituito da donne e ragazze; il 50 per cento sono minorenni.

Spero che questa strategia a livello europeo possa contribuire all’assistenza e al sostegno di coloro che maggiormente rischiano di subire violenze.

 
  
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  Cristiana Muscardini (UEN), per iscritto. La relazione dell’onorevole Gröner e gli emendamenti ad essa presentati, che puntualizzano la necessità di una più efficace lotta contro la violenza nei confronti delle donne e dei minori, ci vede sicuramente in una posizione di favore e il nostro voto in merito sarà positivo.

Signor Presidente, è in questa occasione che però vogliamo sottolineare come il problema non può essere affrontato solo in termini di fondi finanziari messi a disposizione per progetti volti alla lotta di questo tremendo fenomeno ma è necessario divulgare la cultura del rispetto verso le fasce più deboli della società. Questo si può ottenere solo attraverso una costante ed efficace campagna di informazione e attraverso una regolamentazione di Internet, che tuteli i minori dal rischio della violenza pedofila e pornografica veicolata attraverso siti, che senza limiti e controlli; divulgano messaggi ed immagini violente.

In questo contesto ho presentato una dichiarazione scritta (39/2006) per illustrare un nuovo sistema, basato su una SIM differenziata Childkey, idoneo a proteggere i minori che usano Internet e la telefonia mobile perché permette ai provider di individuare se il fruitore è un minore o un adulto e di filtrare le chiamate, bloccando quelle anonime o indesiderate.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) DAPHNE è un bel nome per il programma europeo che mira a combattere la violenza nei confronti delle donne e dei bambini. E’ un programma che festeggerà il suo decimo anniversario e che ha ottenuto un certo successo, con più di 350 progetti finanziati, soprattutto grazie alle ONG impegnate in questo settore.

La violenza nei confronti delle donne è una piaga orribile. E’ allarmante che nel 2006 le donne adulte rientrino ancora nella categoria delle “persone vulnerabili”. Su scala mondiale, una donna su tre è stata vittima di una delle numerose forme di violenza. Ci sono diverse armi a nostra disposizione nella lotta contro questa barbarie: provvedimenti legislativi draconiani, tolleranza zero, ascolto delle vittime e campagne di sensibilizzazione.

Questo problema riguarda anche i bambini. La sola comparsa del PNVD, un partito politico olandese favorevole alla pedopornografia e ai rapporti sessuali tra adulti e bambini, è una testimonianza delle lacune del nostro sistema e la dice lunga sulle riforme da realizzare.

In dieci anni il budget di DAPHNE è stato quintuplicato e tocca oggi i 25 milioni di euro all’anno. Non è ancora abbastanza, a mio avviso, per contrastare questa forma di violenza, troppo spesso banalizzata, che colpisce le persone più vulnerabili, in particolare le donne e i bambini.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Questa proposta di rafforzamento del programma DAPHNE per il periodo 2007-2013 merita il nostro appoggio incondizionato. Negli ultimi anni nel mio paese abbiamo dovuto fare fronte a molti casi di inaccettabile violenza fisica, sessuale e psicologica perpetrata ai danni di bambini, giovani e donne.

La recente uccisione di due bambini innocenti a Liegi fa rivoltare lo stomaco, quando si pensa a questi feroci atti. Organizzazioni come Child Focus, la Federazione europea per i bambini scomparsi e sfruttati a scopo sessuale, la Rete europea dei mediatori per i bambini (ENOC) e le innumerevoli ONG nazionali operative stanno compiendo un ottimo lavoro. Scrittori come Chris De Stoop ci hanno mostrato la cruda realtà della tratta degli esseri umani e della prostituzione forzata. Nonostante gli sforzi compiuti, resta ancora parecchio da fare. E’ inoltre sempre più chiaro che dovremo prestare maggiore attenzione alla situazione dei bambini di strada che non solo diventano vittime dei trafficanti di droga e di esseri umani, ma subiscono anche violenze e abusi sessuali.

Perciò il programma DAPHNE fa sì che l’Europa non sia un’entità remota, ma offra un aiuto concreto ai soggetti più deboli della nostra società. Dobbiamo tutti continuare a lottare contro chi, privo di qualsiasi scrupolo morale, sfrutta, umilia e addirittura uccide quelli che sono meno in grado di difendersi. La dignità umana deve venire prima di ogni altra cosa.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) Vorrei encomiare la relatrice per il generoso impegno profuso nella campagna contro la violenza nei confronti delle donne e dei bambini. Il programma DAPHNE fornisce uno strumento importante nella lotta alla violenza. In Scozia la campagna per la “tolleranza zero” ha segnalato che non meno di una donna su tre ha subito violenze tra le mura domestiche. Dobbiamo fare tutto quanto è in nostro potere per condannare la violenza contro le donne e i bambini. Solo lavorando insieme possiamo porre fine a questi crimini.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Per errore, inavvertitamente, ho premuto il tasto sbagliato del mio dispositivo per votare. Per questo ho corretto subito il mio voto definitivo nel corso dell’appello nominale sulla risoluzione legislativa, applicando la procedura prevista a tale scopo. Infatti non è possibile votare contro un programma che combatte la violenza nei confronti delle donne e dei bambini e che promuove la dignità di ogni essere umano.

Mi sono battuta fin dall’inizio affinché la proposta originaria della Commissione fosse divisa in due parti: “tossicodipendenza” e “violenza contro le donne”. Tutti noi della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere abbiamo ogni motivo per essere orgogliosi del nostro lavoro e congratularci per la stretta collaborazione in merito a un tema così essenziale.

 
  
  

Relazione Riis-Jørgensen (A6-0240/2006)

 
  
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  Milan Gal’a (PPE-DE). – (SK) L’obiettivo della proposta di direttiva in materia di tasse relative alle autovetture presentata dalla Commissione è quello di occuparsi delle significative disparità che riguardano la tassazione delle autovetture negli Stati membri e dell’inquinamento ambientale provocato dalle emissioni dei veicoli a motore privati. La Commissione propone di abolire le tasse di immatricolazione per le autovetture e di sostituirle con imposte che includano nella base imponibile una componente legata alle emissioni di anidride carbonica.

In Slovacchia, però, non applichiamo tasse di immatricolazione o imposte annuali sulle autovetture. L’introduzione della nuova tassa aumenterebbe l’onere fiscale a carico dei privati e, inoltre, la prospettiva di un’imposta annuale sulle autovetture basata sulle emissioni di anidride carbonica potrebbe non indurre automaticamente ad acquistare auto nuove e più ecologiche.

Onorevoli colleghi, gli Stati membri hanno competenza esclusiva in materia fiscale, in linea col principio di sussidiarietà che, in questo caso, penso debba essere osservato. Per questo motivo e anche perché la proposta introdurrebbe una nuova tassa in Slovacchia, aumentando così l’onere fiscale a carico dei cittadini slovacchi, mi sono astenuto dal votare la proposta.

 
  
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  Jan Andersson, Anna Hedh, Ewa Hedkvist Petersen, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) Per quanto riguarda le decisioni in materia fiscale, gli Stati membri dell’Unione hanno il diritto di veto. Sarebbe positivo, a nostro parere, se gli Stati membri riuscissero ad accordarsi sulla cooperazione in merito a un’imposizione fiscale sulle autovetture che riduca l’impatto dei trasporti sul clima e renda più efficiente il mercato interno.

In futuro potremo accettare che si applichino tasse di immatricolazione, a patto che siano concepite in modo tale da tradursi in chiari benefici per l’ambiente.

 
  
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  John Attard-Montalto (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato secondo gli orientamenti del gruppo PSE tranne nel caso di quegli emendamenti in merito ai quali noi, deputati al Parlamento del partito laburista maltese, abbiamo stabilito di votare diversamente. Desidero sia messo a verbale quanto segue a titolo esplicativo. Le emissioni di anidride carbonica prodotte dalle auto sono verosimilmente di minore entità nelle vetture nuove. I produttori sono ora consapevoli della necessità di ridurre le emissioni e di impiegare le tecnologie più recenti. La tassa di immatricolazione, quando l’ammontare stabilito dal governo è eccessivo, fa aumentare a livelli esorbitanti i prezzi delle auto, che a Malta e a Gozo sono, eccettuata la Danimarca, i più alti di tutta l’Unione. La tassa di immatricolazione dev’essere abolita e nel frattempo occorre raggiungere un accordo per uniformarla tra i vari Stati. La tassa annuale di circolazione deve basarsi sulla quantità di emissioni di anidride carbonica. Gli introiti fiscali relativi alle auto vanno impiegati per migliorare e sostenere le infrastrutture automobilistiche, principalmente la costruzione di strade, la manutenzione, le aree di parcheggio, le misure di sicurezza e la tutela del paesaggio. A Malta e a Gozo le entrate derivanti dall’immatricolazione delle auto sono comparativamente molto elevate, mentre le infrastrutture stradali sono tra le peggiori dell’Unione. Il problema costituito dalle emissioni di anidride carbonica è particolarmente grave nel caso dei veicoli commerciali e di trasporto pubblico.

 
  
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  Jens-Peter Bonde (IND/DEM), per iscritto. – (DA) Ho votato a favore della relazione per dare un segnale importante in merito alla riorganizzazione fiscale a beneficio dell’ambiente. La fiscalità deve sempre rientrare nella competenza nazionale ed è un bene che non si possa prendere legalmente una decisione a livello comunitario sul desiderio dell’onorevole Riis-Jørgensen di limitare gli introiti fiscali destinati all’assistenza sociale.

 
  
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  Brian Crowley (UEN), per iscritto. – (EN) Per l’Irlanda la tassa d’immatricolazione dei veicoli è un’imposta nazionale, pertanto è di competenza nazionale anche stabilirne l’aliquota. Quella irlandese è stata sancita dal diritto comunitario. Il diritto di stabilire la politica fiscale degli Stati membri non spetta all’Irlanda né a qualunque altro Stato membro, né tanto meno alla Commissione.

Secondo la relazione, abolendo questa tassa si produrranno effetti positivi per i consumatori irlandesi. Non è esattamente vero. L’Irlanda ricava 1,15 miliardi di euro dalla tassa di immatricolazione. Nel caso venisse abolita, gli automobilisti irlandesi dovrebbero accollarsi le spese di tale abolizione pagando un aumento di 20 centesimi del prezzo della benzina o del gasolio, o un aumento da 400 a 900 euro della loro tassa annuale di circolazione. Non credo che ciò sia nell’interesse degli automobilisti irlandesi.

Capisco i vantaggi derivanti dall’introduzione di incentivi fiscali per chi acquista veicoli che consumano meno carburante ed emettono meno anidride carbonica. Tuttavia, dovrebbe spettare a ciascuno Stato membro decidere come attuare questa strategia. E’ d’importanza vitale, se si vogliono conseguire gli obiettivi socioeconomici di un paese, preservare la flessibilità degli Stati membri per quanto riguarda la scelta delle imposte da applicare e delle relative aliquote.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. – (EN) Do il mio appoggio a entrambi gli obiettivi della proposta di direttiva: migliorare il funzionamento del mercato interno cogliendo l’occasione per ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica. Penso inoltre che le proposte possano apportare un sensibile miglioramento della sicurezza stradale, perché offrendo agli automobilisti la possibilità di pagare meno auto nuove e più ecologiche incoraggeremmo la sostituzione graduale del parco circolante con veicoli più sicuri.

Votando oggi a favore della relazione Riis-Jørgensen, sottoscrivo inoltre completamente le richieste di carattere ecologico più ingegnose espresse nella relazione. Mentre la Commissione ha chiesto di introdurre imposte progressive al fine di penalizzare le emissioni di biossido di carbonio, il Parlamento persegue l’obiettivo di occuparsi delle emissioni di tutte le sostanze inquinanti e del rendimento del carburante. Dobbiamo compiere passi creativi come questo se vogliamo avere qualche possibilità di ridimensionare la minaccia del riscaldamento del pianeta.

 
  
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  Jonathan Evans (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I deputati al Parlamento del partito conservatore britannico sostengono energicamente l’obiettivo costituito dal miglioramento dell’ambiente naturale in cui viviamo. Oltre a condividere gli aspetti ecologici della relazione, condividiamo anche che ai cittadini britannici venga risparmiata una doppia tassazione nel caso si trasferiscano all’estero e che i diritti dei consumatori traggano vantaggio da un mercato unico più ampio. La nostra decisione di astenerci dal voto finale non significa che siamo contrari alla richiesta di misure urgenti per migliorare l’ambiente. Molte delle misure proposte dalla relazione possono essere condivise, ma siamo contrari al trasferimento di nuovi poteri aggiuntivi alla Commissione e ad altre Istituzioni europee quando gli stessi obiettivi si possono conseguire a livello nazionale.

Cosa importante, non possiamo sostenere la richiesta della relazione di attribuire alla Commissione poteri fiscali a spese dei governi nazionali e, per questo motivo e per la nostra generale avversione a conferire ulteriori poteri alla Commissione, ci siamo astenuti dal voto finale.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’indirizzo strategico della Commissione di armonizzare la tassazione delle autovetture risale al 2002. L’idea principale è quella di abolire la tassa d’immatricolazione – IA in Portogallo – e sostituirla progressivamente con un aumento della tassa di circolazione, o imposta di bollo, legandone l’importo alle emissioni di anidride carbonica, con lo scopo di penalizzare l’uso dell’automobile e promuovere la libera circolazione nel mercato interno, favorendo la vendita di automobili e la sostituzione di quelle usate.

Siamo d’accordo sulla necessità di varare misure speciali per i cittadini che si trasferiscono da uno Stato membro dell’Unione all’altro, ma non lo siamo sull’armonizzazione fiscale proposta. In primo luogo, per la questione federalista; quest’armonizzazione mina la sovranità fiscale degli Stati membri e il loro potere politico nel settore dei trasporti. In secondo luogo, vincolando la tassa all’anidride carbonica, non si tiene conto della cilindrata e del valore dell’automobile. Oltre a penalizzare la circolazione, la tassa finirà per avere carattere regressivo e svantaggerà i veicoli commerciali. Infine, questa strategia riduce il valore delle auto usate e l’aumento della concorrenza potrebbe avere ripercussioni di tipo socioeconomico.

Per tutti questi motivi non possiamo approvare gli obiettivi inseriti nella presente direttiva.

 
  
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  Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Mi sono astenuto dalla votazione finale perché i voti non hanno dato luogo a un esito coerente.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione dell’onorevole Riis-Jørgensen sulla tassazione delle autovetture chiede di imporre una tassa di circolazione basata sulle emissioni inquinanti delle vetture per indurre gli automobilisti a scegliere veicoli meno inquinanti, garantendo al contempo alle industrie un mercato più omogeneo e al tempo stesso più trasparente.

Tuttavia quest’imposta riguarda solo le autovetture ad uso privato, che sono responsabili di meno della metà delle emissioni di anidride carbonica imputabili ai mezzi di trasporto. Inoltre le misure fiscali, alla luce delle prospettive dell’evoluzione tecnologica e della libertà di determinare le norme, non sembrano essere la soluzione migliore al problema dell’inquinamento. A coronamento di tutto ciò, questa direttiva imporrà nuove tasse in paesi come la Francia, dove la pressione fiscale è già così opprimente che gli automobilisti hanno l’impressione di essere munti come vacche da latte e di diventare capri espiatori.

Quest’Europa, così ingegnosa nell’impoverire i suoi abitanti con le sue politiche ultraliberiste, dovrebbe evitare di moltiplicare le spese per l’acquisto e l’utilizzo di un’auto privata, dal momento che ciò rappresenta un attacco diretto alla libertà di circolazione delle persone, libertà che, tra parentesi, l’Europa si vanta di difendere.

Al di là del fatto che contestiamo all’Europa di Bruxelles il diritto a qualsiasi competenza fiscale, queste considerazioni ci inducono a votare contro la relazione.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Mi sono astenuto da tutte le votazioni sugli emendamenti e ho votato contro la relazione nel voto finale. L’ho fatto perché sono fermamente convinto che tutti i poteri di natura fiscale, che attualmente competono agli Stati membri, debbano rimanere agli Stati membri.

In particolare, non vedo l’ora che un governo scozzese indipendente abbia il potere di aumentare le entrate mediante l’imposizione fiscale, compresa quella riguardante le autovetture che, in Scozia, deve tenere in debita considerazione il fatto che il trasporto a mezzo automobile è assolutamente essenziale per i residenti delle nostre zone rurali.

 
  
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  Marie Anne Isler Béguin (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Alcuni governi sono preoccupati a causa della tassazione delle autovetture, altri temono il mantenimento di un sistema fiscale pieno di disuguaglianze.

Per quanto riguarda il progetto di direttiva, vorrei sottolineare l’importanza di dare impulso a una strategia proattiva. E’ necessario discutere l’adozione di misure costrittive per porre un freno ai cambiamenti climatici?

Per compiere progressi occorre spazzare via le resistenze delle lobby dell’auto e del petrolio. La fiscalità ambientale è un mezzo per soccorrere sia i cittadini che il pianeta. Se impiegata correttamente, incoraggerà l’innovazione nei settori dei trasporti e favorirà il risparmio d’energia.

Dobbiamo anche porre fine all’inazione dei nostri governi. La fiscalità non può costituire l’unica soluzione. Occorre anche sviluppare i regolamenti per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Inoltre è indispensabile responsabilizzare i cittadini e sviluppare gli strumenti per valutare l’impatto del nostro inquinamento sull’ambiente.

I Verdi hanno votato a favore di questo progetto, prima tappa verso l’istituzione di una tassa sulle emissioni di anidride carbonica. Ciò potrebbe portare alla costruzione di un’architettura fiscale in materia d’ambiente all’altezza delle sfide che ci attendono. I Verdi auspicano il mantenimento della tassa di immatricolazione, che in Danimarca ha portato alla riduzione del parco circolante. I Verdi rimangono scettici sulla “neutralità di bilancio” e temono altri prelievi.

Deploriamo che il Parlamento non abbia seguito gli emendamenti dei Verdi che chiedevano agli Stati membri di ridurre le loro emissioni di anidride carbonica imputabili al settore dei trasporti.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. – (EN) Il partito laburista al Parlamento europeo – EPLP – è favorevole in linea di principio a collegare le aliquote fiscali e i nostri impegni al fine di ridurre l’inquinamento ambientale.

Pur ritenendo quest’opinione estremamente importante e tale da sollevare numerose questioni pertinenti nel tentativo di sviluppare una soluzione a livello europeo che colleghi l’inquinamento ai consumi, l’EPLP reputa che l’imposizione tributaria sia una questione di competenza nazionale e, pertanto, non può sostenere obiettivi di armonizzazione fiscale a livello comunitario per conseguire tali obiettivi senza una piena unanimità. Perciò l’EPLP si è astenuto dalla votazione finale.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Signor Presidente, da orgoglioso scozzese europeo credo fermamente che dobbiamo collaborare a livello continentale dove abbia senso farlo, anche se non ritengo che ciò valga nel caso delle imposte. Pur avendo molta simpatia per le idee presenti nella relazione, è bene considerare anche se sia il caso di occuparsene su scala comunitaria. Io ritengo che non sia il caso, e conseguentemente mi sono astenuto in merito alle disposizioni chiave della relazione che suggeriscono il contrario.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) Ci sono alcuni punti su cui non concordo, pertanto mi sono dovuta astenere dal voto sulla relazione. Benché io sia d’accordo sulla necessità di ridurre l’inquinamento ambientale, credo che ci si debba occupare di imposizione tributaria a livello di Stati membri.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La proposta della Commissione di abolire le tasse di immatricolazione sulle autovetture e sostituirle con tasse annuali di circolazione più elevate va a scapito delle classi proletarie e lavoratrici, giova unicamente agli interessi dell’industria automobilistica e all’uniformità del mercato interno aumentandone i profitti e serve ad aumentare le antiproletarie imposte indirette fissate dall’Unione e dai governi col pretesto delle emissioni e del Protocollo di Kyoto.

La cosiddetta riduzione del prezzo iniziale sarà vanificata da una politica di prezzi differenziati attuata dall’industria automobilistica e dalle oscillazioni dell’IVA. Al tempo stesso, gli Stati membri recupereranno gli introiti derivati dalle tasse di immatricolazione aumentando le tasse annuali di circolazione.

Il nuovo, subdolo provvedimento fiscale a scapito dei lavoratori imporrà nello stesso tempo il principio dell’ecotassa, poiché il criterio su cui si baseranno le tasse annuali sulle autovetture sarà quello delle loro emissioni. Questo provvedimento, che ovviamente si rivelerà inefficace nella lotta all’inquinamento atmosferico, comporterà direttamente un aumento degli introiti fiscali e la vendita di nuove auto per sostituire quelle vecchie, applicando così un onere ancor più gravoso sul bilancio familiare.

Abbiamo votato contro la relazione perché, anziché proteggere i consumatori, le misure proposte rafforzano i profitti dell’industria automobilistica; anziché proteggere l’ambiente, ne aggraveranno ulteriormente la situazione per via dell’aumento del numero di auto e, anziché proteggere i redditi dei proletari, contribuiranno a derubarli in nome del Patto di stabilità.

 
  
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  Presidente. Con questo si conclude il turno di votazioni.

 

11. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
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  Hans-Peter Martin (NI).(DE) Signor Presidente, in riferimento all’articolo 2 del Regolamento, che sancisce l’indipendenza del mandato dei deputati, trovo assolutamente incomprensibile che lei, in qualità di Presidente di seduta, in una discussione abbia concesso la facoltà di parola per un tempo così lungo ad una collega – per lo più del suo stesso gruppo politico – che, torcendosi le mani per tutto il tempo, tentava di arrivare ad una posizione comune. Non è compito del Parlamento agevolare le consultazioni di gruppo tra la procedura di voto e la votazione finale, tanto meno quando si tratta di deputati che palesemente non sono in grado di farsi un’opinione propria.

Ritengo inoltre inaudito – non mi sovviene in questo momento l’articolo del Regolamento, ma sicuramente lei lo troverà – che sul medesimo punto lei non abbia autorizzato nessun richiamo al Regolamento. Desidero segnalare che il suo intervento e quello dell’onorevole Sommer saranno riportati integralmente nel verbale di seduta. Desidero inoltre affermare che lei ha condotto questa votazione in modo fazioso e indegno di un Presidente di questo Parlamento. Chiedo che anche tale dichiarazione sia messa a verbale.

Credo che in tal modo lei abbia dimostrato che questo Parlamento è più simile a un karaoke, nel quale si fa finta di attenersi a regole democratiche mentre invece, diversamente da come sta scritto, non tutti i deputati sono uguali davanti alla legge e alcuni sono più uguali di altri.

Se si fosse trattato di un altro deputato di un altro gruppo politico, onorevole Friedrich, so bene che lei, esercitando la sua funzione di Presidente, gli avrebbe immediatamente tolto la parola, tanto è vero che a me non l’ha neanche data.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES
Presidente

(La seduta, sospesa alle 13.20, riprende alle 15.05)

 

12. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

13. Esercizio finanziario 2007
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  Presidente. L’ordine del giorno reca l’illustrazione da parte del Consiglio del progetto di bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio finanziario 2007.

 
  
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  Ulla-Maj Wideroos, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, a nome della Presidenza del Consiglio, ho l’onore di presentarvi il progetto di bilancio generale delle Comunità europee per l’esercizio finanziario 2007, approvato dal Consiglio il 17 luglio 2006. Questa è la prima procedura di bilancio a titolo del nuovo quadro finanziario. La transizione al nuovo esercizio finanziario dovrebbe procedere senza scossoni e al contempo occorre garantire continuità e coerenza. In tal senso credo che la cooperazione tra i due rami dell’autorità di bilancio, il Parlamento europeo e il Consiglio, continuerà. Sono convinta che le due Istituzioni condividano il medesimo obiettivo: ottenere un accordo sul bilancio 2007 entro la fine dell’anno.

Prima di presentare maggiormente nel dettaglio il progetto di bilancio approvato dal Consiglio, desidero ricordare i principi cardine che hanno informato la decisione del Consiglio. Innanzi tutto, vorrei sottolineare che il Consiglio ha ottemperato al nuovo Accordo interistituzionale del 17 maggio in tutti i suoi aspetti. Il Consiglio pertanto ha ribadito la sua convinzione che è fondamentale osservare la disciplina di bilancio generale a livello dell’Unione europea, come avviene a livello nazionale. Particolare attenzione è stata dedicata al fatto che devono essere rispettati i massimali annuali di spesa consentiti dal nuovo quadro finanziario e che occorre lasciare un margine adeguato al di sotto del massimale di spesa a titolo delle diverse rubriche per le situazioni imprevedibili. Nelle discussioni sul bilancio, il principio centrale che abbiamo applicato è stato l’attenta valutazione delle necessità di spesa indicate e reali. Per quanto sia necessario finanziare in modo adeguato e tempestivo tutti gli ambiti prioritari dell’Unione europea, ciò non significa che gli stanziamenti debbano essere sovrastimati.

Nell’impegno di esercitare una gestione finanziaria impeccabile e disciplinata, il Consiglio ha proceduto ad un’analisi dettagliata del fabbisogno in tutte le aree politiche. Dopo aver valutato i bilanci precedenti ed esaminato i rapporti di attività prescelti, la capacità di assorbimento e i bisogni reali per il 2007, il Consiglio alla fine ha optato per un incremento controllato degli stanziamenti di pagamento nel progetto di bilancio. Il Consiglio reputa che tale livello degli stanziamenti di pagamento sia adeguato e non troppo basso.

Vorrei attirare l’attenzione sul fatto che il Consiglio coerentemente ha aderito all’approccio dal basso verso l’alto. Pertanto le cifre definitive nel nostro progetto di bilancio sono il risultato di azioni mirate sulla base di fattori oggettivi. La prima lettura del Consiglio, dunque, non si basa affatto su tagli generalizzati. Lo stesso vale per l’amministrazione.

Secondo, abbiamo adottato un approccio a tutto campo: infatti, abbiamo analizzato una serie di rapporti di attività della Commissione che riguardano tutte le aree politiche iscritte a bilancio. Terzo, la procedura di bilancio dell’UE necessita di un’innovazione. Il modo migliore per ottenerla sarebbe una disamina equa e proattiva da parte delle autorità di bilancio. In assenza di soluzioni di bilancio innovative, non possiamo promuovere la competitività dell’Unione o migliorare l’efficacia amministrativa all’interno delle Istituzioni.

Gli stanziamenti d’impegno nel progetto di bilancio ammontano a 125,8 miliardi di euro, il che equivale ad un incremento del 3,7 per cento rispetto all’esercizio del 2006. Gli stanziamenti di pagamento sono pari a 114,6 miliardi di euro, cioè il 2,3 per cento in più rispetto al bilancio del 2006. Gli stanziamenti d’impegno a titolo della sottorubrica 1a non hanno pressoché subito tagli, in quanto il Consiglio ritiene che la competitività e la risposta ai cambiamenti globali siano molto importanti. Il Consiglio ha proposto inoltre due nuovi progetti pilota a titolo di tale sottorubrica, uno dei quali concerne il triangolo della conoscenza e l’altro l’affidabilità delle forniture di energia all’Unione. Il Consiglio approverà inoltre la dichiarazione sui progetti pilota e le azioni preparatorie. Ai sensi del nuovo Accordo interistituzionale, le due autorità di bilancio devono dichiarare le proprie intenzioni in merito ai progetti pilota e alle azioni preparatorie. Il progetto del Consiglio sancisce l’esistenza di quattro ambiti speciali per l’azione prioritaria nell’Unione europea in cui il Consiglio ritiene che dovrebbero essere realizzati i progetti pilota o le azioni preparatorie. Speriamo che tramite la cooperazione si addiverrà al consenso.

In ordine alla sottorubrica 1b, il Consiglio ha adottato gli stanziamenti d’impegno nel progetto preliminare di bilancio. Il Consiglio ha operato un taglio di 425 milioni di euro a carico degli stanziamenti di pagamento nelle linee di bilancio relative al completamento dei programmi avviati prima del 2000 e dei programmi per il periodo 2000-2006, tenendo conto del tasso attuale di esecuzione. In merito al nuovo periodo di programmazione, il Consiglio non ha introdotto riduzioni e inoltre ha rilasciato una dichiarazione nella quale afferma che ritiene importante che la Commissione approvi rapidamente i programmi d’azione e i progetti proposti dagli Stati membri.

A titolo della rubrica 2, il Consiglio ha introdotto una riduzione limitata pari a 365 milioni di euro per le linee di bilancio relative agli interventi su tutti i mercati agricoli, ad eccezione delle linee di bilancio alle quali è stata già applicata una deduzione speciale della medesima dimensione. In questo caso si è applicato un principio generale che teneva conto dei precedenti tassi di esecuzione e delle stime relative al fabbisogno reale. Il Consiglio, tuttavia, ha affermato che la spesa agricola e la spesa relativa agli accordi di pesca internazionali dovrebbero essere riesaminate in autunno sulla base della comunicazione rivista della Commissione.

Il Consiglio ha lasciato un margine di 75 milioni di euro a titolo degli stanziamenti d’impegno della sottorubrica 3a. Il Consiglio, tuttavia, ha aumentato gli stanziamenti a favore del Fondo per le frontiere esterne, in quanto ritiene si tratti di una priorità politica forte.

Il Consiglio ha incrementato gli stanziamenti di pagamento a titolo della rubrica 4 per la cooperazione transfrontaliera e la ricostruzione in Iraq, trattandosi di questioni di rilevanza politica. In conformità all’Accordo interistituzionale, il Consiglio ha creato un margine di 220 milioni di euro in stanziamenti d’impegno per imprevisti. Ha approvato l’importo proposto nel progetto preliminare di bilancio per la politica estera e di sicurezza comune, che corrisponde altresì a quanto stipulato nell’Accordo interistituzionale.

Quanto alla rubrica 5, “Amministrazione”, il Consiglio ha adottato una visione generale, esaminando attentamente il fabbisogno di stanziamenti per ciascuna Istituzione. La spesa amministrativa, tuttavia, è aumentata del 3,4 per cento rispetto al bilancio 2006. L’aumento della spesa amministrativa per il Consiglio è limitato allo 0,3 per cento, fatto degno di nota. Il Consiglio ritiene importantissimo assumere nuovo personale, in considerazione dell’allargamento del 2004 e anche del futuro allargamento. Per tale motivo ha approvato tutte le misure recentemente richieste per l’allargamento del 2007.

Uno degli obiettivi principali del Consiglio è stato quello di garantire un genuino aumento della produttività nell’ambito dell’amministrazione dell’UE nel periodo coperto dal nuovo quadro finanziario. A tale scopo il Consiglio ha rilasciato una dichiarazione su un programma completo relativo agli incrementi della produttività nell’amministrazione per il periodo 2007-2013. Il Parlamento è perfettamente consapevole delle diverse componenti del pacchetto amministrativo. Vorrei sottolineare che si tratta di un obiettivo del Consiglio e non di un singolo Stato membro o della sola Presidenza finlandese.

In relazione alla rubrica 5, desidero ricordare a tutti un’altra dichiarazione del Consiglio sulle procedure di assunzione collegate all’allargamento del 2004. Il Consiglio è particolarmente preoccupato per il rallentamento delle assunzioni nel corso di quest’anno. Ci aspettiamo un progresso significativo delle procedure di assunzione per ottenere quanto prima il miglior equilibrio geografico possibile. Spero che il Parlamento sosterrà le nostre intenzioni al riguardo, e dunque anche la nostra dichiarazione.

Suppongo che le ultime richieste in ordine di tempo relativamente all’amministrazione debbano anche essere applicabili alle Istituzioni dell’Unione, le quali non sono diverse da altre organizzazioni. L’UE deve operare nel modo più efficiente possibile. In tale maniera possiamo dimostrare ai cittadini che otteniamo un ritorno reale dal denaro dei contribuenti: un valore aggiunto. Ciò richiede una capacità da parte delle autorità di bilancio di fissare le priorità per le risorse. Al contempo, un’amministrazione più efficiente aumenta la fiducia dei cittadini nell’operato dell’Unione.

Nei prossimi mesi, dovremo gestire in modo completo la crisi del Medio Oriente e l’azione necessaria dell’UE. Nemmeno dovremmo ignorare il fatto che il Parlamento europeo e il Consiglio devono riflettere sul futuro ed esaminare le sfide globali per l’Unione nella procedura di bilancio per il 2007.

Infine, desidero dire che confido che i nostri obiettivi principali saranno realizzati, che finalizzeremo il bilancio per l’esercizio finanziario 2007 in tempo e che esso sarà adeguato anche se non eccessivo. Sappiamo che questa è soltanto la prima fase della procedura di bilancio e che rimane ancora molta strada da percorrere prima dell’adozione definitiva del bilancio per il 2007. Confido, tuttavia, che riusciremo ad esaminare la materia in tutte le sue sfaccettature, così da addivenire ad un accordo finale accettabile per tutte le parti, e soprattutto per i cittadini.

Signor Presidente, onorevoli parlamentari, vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  James Elles (PPE-DE), relatore. – (EN) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, avendo ascoltato la presentazione del progetto di bilancio per il 2007, questo pomeriggio abbiamo modo di proseguire le discussioni tenutesi a Helsinki in luglio. La ringrazio per il suo invito, signora Presidente in carica, che ci ha consentito di stabilire un contatto come gruppo ristretto, che poi si è allargato per la prima lettura del progetto di bilancio a Bruxelles in luglio.

In qualità di relatore del Parlamento per il bilancio, in questa occasione particolare desidero formulare quattro osservazioni: un commento di natura generale e tre specifici.

La prima annotazione, di carattere generale, è che, essendo questo esercizio il primo delle prospettive finanziarie, è necessario considerarlo una base strategica, perché in questo esercizio particolare metteremo in moto una serie di idee e di modalità d’azione che si rifletteranno sugli altri esercizi finanziari fino al 2013. Come afferma nello specifico la risoluzione del Parlamento sulla Strategia politica annuale adottata all’inizio dell’anno, in tutta Europa dobbiamo essere capaci di adeguarci più rapidamente al fenomeno della globalizzazione, che sta cambiando l’economia globale, e di riorientare le nostre priorità verso “una politica dei risultati”, come ha spiegato il Presidente della Commissione. Ho la sensazione che ciò cambierà il modo in cui stiliamo il bilancio e finanziamo le nostre azioni e i primi segnali potrebbero evidenziarsi nel bilancio per il 2007.

Specificamente, vorrei sollevare la questione dell’ottimizzazione delle risorse, poiché, per quanto mi consta dalla prima lettura del Consiglio, ciò denota una deviazione dalla norma in base alla quale i tagli decisi nei vari ambiti non sono generalizzati bensì tengono conto dei risultati dei rapporti di attività presentati dalla Commissione per i settori particolari. Nel formulare la nostra opinione in merito faremo riferimento a quanto esposto in relazione alla Strategia politica annuale, cioè che vi sono altri elementi che devono essere considerati nell’esame della capacità di assorbimento di linee di bilancio specifiche o dei fondi disponibili per queste ultime.

Il primo di tali elementi è il documento elaborato dalla Commissione, denominato “budget forecast alert”, che indica l’andamento dell’esecuzione della spesa per le varie linee di bilancio con riferimento a un particolare esercizio finanziario. Un’ulteriore analisi costi-benefici che abbiamo lanciato alla commissione per i bilanci riguarda aree particolari in cui pensiamo che la spesa potrebbe essere debole in termini quantitativi e soprattutto qualitativi.

Non si dimentichino da ultimo le molteplici relazioni della Corte dei conti sulle modalità di esecuzione della spesa in alcuni ambiti particolari del bilancio. La commissione per i bilanci comincia ad avere l’impressione che sia possibile raccogliere vari elementi che ci segnalino le linee di bilancio per le quali l’esecuzione della spesa sarà corretta e di cui possiamo essere sicuri, e magari altre linee di bilancio per le quali non abbiamo altrettanta certezza. Ovviamente speriamo che al termine del processo, signora Presidente in carica, lei potrà fare in modo che il Consiglio si associ alla dichiarazione adottata a luglio dal Parlamento in relazione al progetto di bilancio, in cui si invita a prendere in considerazione nel bilancio dell’Unione europea l’ottimizzazione delle risorse.

La seconda questione specifica riguarda le priorità. Siamo tutti consapevoli che le risorse disponibili a titolo delle prospettive finanziarie sono inferiori a quanto avevamo chiesto nei negoziati conclusivi all’inizio dell’anno e che pertanto è necessario vagliare le priorità nei diversi settori. Quanto al voto in prima lettura, ho la sensazione che il Parlamento si atterrà alle priorità indicate dall’onorevole Böge, il relatore sulle prospettive finanziarie. Tali priorità non sono cambiate sensibilmente e sono altresì consacrate dalla risoluzione sulla Strategia politica annuale. Questo è quanto ci aspettiamo per il settore della ricerca e dell’innovazione, nel quale intendiamo che il Consiglio, nel senso degli Stati membri, vorrebbe investire più denaro, ma evidentemente quando si arriva al bilancio definitivo le risorse non sono mai così abbondanti.

Poi vi è l’attuazione dei progetti pilota e delle azioni preparatorie. Anche in questo ambito si possono immaginare aree nelle quali è percepibile un certo dinamismo e nelle quali possono essere gestiti programmi di lungo termine, magari nella forma di scambi di personale aziendale e scientifico tra UE e Cina, oppure tra UE e India. Tuttavia, non potete aspettarvi in questa fase che il Parlamento recepisca le idee relative all’amministrazione che avevamo respinto in sede di discussione sulla prima lettura al Consiglio e saranno necessarie molte più discussioni prima di giungere ad un qualunque accordo su come gestire le risorse umane per la Commissione.

L’ultima considerazione è che è molto strano che in questo Parlamento, spesso, possiamo votare un programma legislativo, come quello per il 2006 che abbiamo votato nel dicembre scorso, senza che nessun cittadino dell’Unione europea sappia su che cosa l’Unione europea legifererà, perché la Commissione presenta la propria proposta e poi il Parlamento adotta la risoluzione. La commissione per i bilanci, come affermato nella risoluzione sulla Strategia politica annuale, sta cercando di accorpare i due processi e di avere la decisione sul bilancio e sul programma legislativo a dicembre, e poi una chiara dichiarazione della Commissione in merito al programma legislativo per l’Unione, così che tutti ne siano informati, non soltanto in quest’Assemblea, ma in tutta Europa.

Per concludere, desidero ringraziare la signora Presidente in carica per aver presentato il progetto di bilancio quest’oggi. Avremo molto da discutere, ma ci sforzeremo di arrivare ad un risultato positivo per questo bilancio, che rispetti le priorità del Parlamento come pure del Consiglio.

 
  
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  Janusz Lewandowski (PPE-DE), relatore per parere della commissione per i bilanci. – (PL) Signor Presidente, il lavoro sul bilancio per l’esercizio 2007 conferma il vecchio adagio secondo cui, per quanto le procedure possano ripetersi, in materia di bilancio la routine non esiste. Per completare l’intervento del nostro relatore, onorevole Elles, vorrei citare alcuni problemi che ci troveremo ad affrontare nel 2007.

Il primo non è il più importante, in quanto è di natura tecnica e analitica. Ancora una volta si tratta, in buona sostanza, del problema della comparabilità dei bilanci annuali. Questo è un bilancio per 27 Stati membri. Il problema della confrontabilità si è acutizzato quando la geografia dell’Unione europea è mutata nel 2004/2005. Tuttavia, la difficoltà sussiste e concordo che una collazione completa tra gli esercizi finanziari annuali non sarà possibile fintanto che la spesa relativa a Romania e Bulgaria non sarà separata.

La seconda questione, che è la più seria, è stata illustrata dall’onorevole Elles ed è la seguente: in che misura il primo anno delle nuove prospettive finanziarie dovrebbe incoraggiarci a riflettere non tanto sugli aspetti formali del bilancio bensì sulle priorità, cioè su quanta continuità e quanto cambiamento dobbiamo inserire in questo primo anno delle nuove prospettive finanziarie?

Noto una certa misura di continuità da parte del Consiglio, inclusi i continui tagli orizzontali, questa volta supportati maggiormente dai cosiddetti rapporti di attività. Prendo atto dello status tradizionalmente privilegiato della politica estera e di sicurezza comune. Tuttavia, vorrei chiaramente indicare che il relatore per il Parlamento europeo ha un mandato molto solido, conferitogli sia dalla Commissione che da tutto il Parlamento europeo, di esaminare le singole linee di bilancio e valutarle nell’ottica della cosiddetta analisi costi-benefici. Si tratta di un mandato molto forte e di un principio altrettanto forte che informeranno la prima lettura del bilancio per il 2007 in sede di Parlamento europeo. Questa tornata di trattative inizierà domani, in seguito all’accordo con le altre commissioni, naturalmente.

Il 2007 pone un problema in termini di attuazione di una nuova generazione di programmi pluriennali basati su nuovi regolamenti e su una serie di nuovi strumenti per il commercio estero. La questione è in che misura un potenziale errore giustifica l’accortezza nella compilazione del bilancio per il 2007, fatto del tutto visibile in termini di spesa? Questo potrebbe facilmente essere il motivo principale per scegliere un punto di partenza così basso questa volta. La spesa era già inferiore all’1 per cento del PIL nel progetto iniziale della Commissione. Il Consiglio ha apportato ulteriori tagli dell’ordine di 1,757 miliardi di euro, creando un divario enorme tra il bilancio 2007 e i massimali definiti dalle prospettive finanziarie per detto esercizio. Dal nostro punto di vista, ciò non è sufficiente per finanziarie gli obiettivi dell’Unione europea. Le ambizioni dell’Unione europea come attore internazionale, cioè sullo scacchiere internazionale, in termini di finanziamento della ricerca e dello sviluppo, rendono tale fatto evidente.

L’esecuzione del bilancio del prossimo esercizio è altresì una questione di qualità e di motivazione in termini di procedure amministrative e in tal senso stiamo rigorosamente esaminando e analizzando l’approccio del Consiglio sulla questione delle risorse umane e delle retribuzioni alla Commissione europea. Accettiamo il monito lanciato dalla Commissione europea che i tagli alla retribuzioni pari a oltre 50 milioni di euro renderanno virtualmente impossibili le assunzioni, particolarmente dai nuovi Stati membri. Il Consiglio non ha negato tale obiezione in modo sufficientemente fermo e pertanto il problema sarà sollevato nella prima lettura in sede parlamentare, in quanto non si tratta soltanto di una questione di proporzionalità in termini di occupazione, ma anche di efficienza e motivazione nell’amministrazione per affrontare le nuove sfide.

Le diversità di opinione in merito all’approccio sul bilancio 2007 si sono evidenziate chiaramente, per quanto in un’atmosfera amichevole, durante la procedura di conciliazione del 14 luglio. Un segnale di tali diversità, ad esempio, è il fatto che non sono state adottate dichiarazioni comuni da Parlamento e Consiglio. Ovviamente avremo il tempo per raggiungere un accordo sul bilancio 2007.

Personalmente, e concludo, ho trovato molto importante l’assicurazione del Ministro Wideroos, per quanto solo verbale, basata su quanto è stato congiuntamente incluso nell’Accordo interistituzionale, cioè che si impegna a fare tutto quanto è in suo potere per garantire che il nuovo regolamento finanziario entri in vigore il 1° gennaio 2007. E’ chiaro che l’esecuzione efficiente del bilancio per il 2007 dipende dall’esistenza di un nuovo regolamento finanziario che lo accompagni.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. J. ONYSZKIEWICZ
Vicepresidente

 
  
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  Dalia Grybauskaitė, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, il 17 maggio la Commissione ha presentato il progetto di bilancio. Non ripeterò la nostra posizione. Oggi, vorrei concentrarmi sulla presentazione al Parlamento della valutazione che la Commissione ha fatto della prima lettura del Consiglio.

Desidero confermare che apprezziamo molto l’atteggiamento del Parlamento e il modo in cui ha lavorato sul bilancio per il 2007, in particolare il metodo che il relatore utilizzerà in merito alle analisi costi-benefici e alle valutazioni di impatto di tutte le proposte del Consiglio e della Commissione. Siamo favorevoli. Ciò significa qualunque proposta di riforme radicali in ogni settore. Saremmo lieti di ottenere un approccio coerente in merito alle analisi costi-benefici e alle valutazioni di impatto su tutte le politiche, incluso il reclutamento di personale amministrativo e la spesa amministrativa.

Pertanto oggi vorrei affermare che manteniamo fede alla nostra proposta. Pensiamo che sia realistica e fondata. Abbiamo valutato il fabbisogno per il bilancio 2007 nel modo più realistico possibile. Tuttavia, con nostra somma sorpresa, il Consiglio ha apportato dei tagli sproporzionatamente ingenti all’amministrazione in tutte le Istituzioni europee, inclusa la Commissione. Da tale punto di vista vi sono due elementi e due distinti problemi.

L’onorevole Lewandowski ha accennato che nel bilancio 2007 ai nuovi Stati membri sono stati assegnati 800 posti, ma sono stati decurtati 56 milioni di euro a carico delle retribuzioni. Ciò significa che la Commissione non sarà in grado di fare alcuna assunzione. Il Consiglio vorrebbe che il processo di assunzioni alla Commissione fosse più rapido, tuttavia le assunzioni non saranno assolutamente accelerate; se tale proposta sarà confermata, la Commissione non assumerà nessuno nel 2007. Ciò significa che qualcuno non sta dicendo la verità.

Il secondo elemento del bilancio che ha assolutamente sorpreso la Commissione è che il Consiglio è intervenuto nella procedura annuale di bilancio presentando un approccio pluriennale, riaprendo, in pratica, politicamente l’Accordo interistituzionale che tutte e tre le Istituzioni avevano firmato in maggio. Si tratta di un approccio settennale in materia di costi amministrativi e spesa – un periodo che determinerà per la Commissione la perdita di almeno tre Direzioni generali e che sconvolgerà l’equilibrio geografico che l’Istituzione dovrebbe mantenere secondo gli auspici del Consiglio e del Parlamento. Sarà condizionato anche l’equilibrio nell’approccio linguistico. Inoltre le strutture e le risorse umane necessarie per realizzare le nuove politiche che il Consiglio e il Parlamento hanno chiesto, incluse le nuove prospettive finanziarie, non saranno disponibili.

Pertanto siamo rimasti sorpresi dall’atteggiamento del Consiglio, che non si basa su valutazioni d’impatto o analisi costi-benefici: si fonda esclusivamente sull’aritmetica. Ciò va contro l’obiettivo che stiamo cercando di raggiungere all’inizio delle nuove prospettive finanziarie, cioè come considerare il bilancio e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse finanziarie nell’Unione europea.

Oggi desidero indicare al Parlamento che promettiamo di cooperare apertamente e pienamente con il Parlamento nella preparazione del suo parere per la prima lettura. In luglio avevo promesso di fornirvi le informazioni tecniche sulla proposta, cosa che farò questa settimana, spero entro venerdì. Riceverete due note sul bilancio 2007 e sulla proposta per il 2007-2013. Spero che ciò sia di buon auspicio per raggiungere i risultati finali.

Desidero invitare tutte le parti in causa ad essere prudenti, a compiere progressi significativi in merito alle valutazioni di impatto e a raggiungere tutto quanto è necessario perché siano realizzati tutti i programmi comunitari.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

 

14. Un modello sociale europeo per il futuro (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0238/2006) presentata dagli onorevoli Proinsias De Rossa e José Silva Peneda a nome della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, su un modello sociale europeo per il futuro [2005/2248(INI)].

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), relatore. – (EN) Signor Presidente, la presente relazione d’iniziativa, prodotta congiuntamente da me e dall’onorevole Silva Peneda con il sostegno imprescindibile dei nostri rispettivi collaboratori, costituisce un contributo molto importante al dibattito in corso sul futuro dell’Europa e sul ruolo che il modello sociale europeo può svolgere nell’imprimere nuovo impulso all’unificazione del nostro continente.

Oggigiorno è fuor di dubbio che la creazione dell’Unione europea è stato un processo di pace molto efficace e coronato dal successo. Non viene invece altrettanto prontamente riconosciuta l’efficacia di questo processo in termini di benessere. Nel suo libro “Il sogno europeo”, Jeremy Rifkin riflette sulla ripresa straordinaria messa a segno dai paesi europei dopo la Seconda guerra mondiale. Il fatto che l’Europa abbia superato gli Stati Uniti in termini di crescita per mezzo secolo fino alla metà degli anni ’90, sviluppando e realizzando un’infrastruttura sociale degna di nota che ha garantito la condivisione del benessere, è stata una conquista notevole.

Alla base di tale conquista non c’è stato un approccio all’insegna della concorrenza spietata, bensì un contratto sociale che garantiva la condivisione del benessere prodotto tra i lavoratori e la convinzione che la loro dipendenza dalla società traesse generalmente vantaggio anche dall’erogazione di servizi pubblici universali.

Ora ci troviamo in una nuova era – una rivoluzione senza precedenti in termini di tecnologia, di struttura dell’età della nostra popolazione, e di globalizzazione del capitale: sussiste l’esigenza crescente di creare una democrazia transnazionale che sia in grado di gestire efficacemente tali nuovi fenomeni.

La presente relazione riconosce che le sfide che ci troviamo davanti non possono essere affrontate con dogmi triti e ritriti, di destra o di sinistra che siano. Ciò non significa che non vi siano più differenze filosofiche, bensì che tali divergenze vengono ridefinite dalle condizioni oggettive del mondo moderno in cui viviamo.

La relazione in questione si propone di ribadire che i valori europei fondamentali dell’uguaglianza, della solidarietà, della ridistribuzione e della non discriminazione, nonché dell’assistenza ai giovani, agli anziani e ai malati attraverso servizi pubblici universali, devono essere difesi nelle riforme necessarie già in corso; inoltre, il nostro modello sociale non è un ostacolo alla competitività e alla crescita, bensì rappresenta di fatto un ingrediente necessario se vogliamo creare il tipo di società europea dignitosa che i nostri cittadini desiderano apertamente; infine, il concetto di “flessicurezza” coniato dal mio collega onorevole Rasmussen in Danimarca può contribuire ad agevolare le riforme impedendo che le persone cadano conseguentemente nell’indigenza e, se adattato alle esigenze degli Stati membri, può essere uno strumento importante ai fini del processo.

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE), relatore. – (PT) Vorrei iniziare ricordando che l’UE, come la conosciamo oggi, è scaturita da un ideale, il cui obiettivo principale consisteva nel conquistare e nel mantenere la pace. Nell’arco di mezzo secolo, l’Europa è diventata agli occhi del mondo sinonimo di pace, democrazia, libertà, solidarietà e sviluppo.

La pace, l’obiettivo precipuo del progetto europeo, è stata evidentemente raggiunta, tanto che oggi diamo per scontato il valore autentico di tale considerevole vittoria, in quanto è diventato normale vivere in pace da oltre sei decenni. Parliamo della pace radicata nella libertà, nella democrazia e nel rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto. Raffrontiamo il modello sociale europeo con altre situazioni: un esempio geograficamente non lontano è stato l’enorme raggiro rappresentato dagli esperimenti del totalitarismo comunista, che per decenni ha privato molti europei del diritto alla libertà, oggi felicemente riconquistato nella maggior parte dei casi.

Oggi la brutalità del fondamentalismo islamico è un ulteriore esempio di un movimento lontano anni luce dai valori fondamentali su cui si basa il modello sociale europeo. La relazione in questione tratta essenzialmente di valori. Il modo in cui gli stessi vengono attuati varia da paese a paese e di conseguenza affermiamo che, se, da un lato, il modello sociale europeo è un’unità di valori, dall’altro lato, tale unità viene attuata in molti modi diversi.

La globalizzazione, lo sviluppo tecnologico e il cambiamento demografico rappresentano i fattori principali che sottendono le difficoltà che si trovano a dover affrontare, seppure in misura più o meno maggiore, i sistemi di protezione sociale nei diversi paesi europei. Di qui l’esigenza di riforme tempestive: il modello sociale europeo sopravvivrà, se interverremo, ma se sceglieremo l’inerzia, scomparirà.

Sappiamo che, in presenza di una crescita economica debole, ogni riforma strutturale è destinata al fallimento. Per tale motivo nella relazione abbiamo messo in rilievo l’importanza dell’attuazione della strategia di Lisbona da parte degli Stati membri e la necessità di completare il mercato interno. Riporto qui di seguito le aree che devono occupare una posizione prioritaria nelle riforme future: maggiore flessibilità sul mercato del lavoro, apprendimento lungo tutto l’arco della vita, più tempo a disposizione per una vita attiva, l’equilibrio tra la vita lavorativa e privata, cambiamenti in termini di fonti di finanziamento, e la lotta alla povertà e all’esclusione sociale.

Nell’area della competitività raccomandiamo maggiore attenzione nei confronti delle PMI e dell’innovazione. Gli orientamenti generali delle riforme da attuare sottolineati nella nostra relazione sono sintomatici di un pensiero riformista saldamente ancorato nei valori fondamentali del modello sociale europeo. Quali elementi che informano tutta l’azione politica, tali valori sono necessari, ora più che mai.

Reputiamo quindi importante che il Parlamento sancisca chiaramente che le riforme da attuare nei diversi sistemi di protezione sociale non devono intaccare in nessun modo i valori fondamentali su cui si basa il modello sociale europeo. La decisione del Parlamento sul contenuto della presente relazione assumerà pertanto rilevanza al di là dell’Unione, in quanto sarà un’affermazione politica della difesa di valori importanti non solo per l’Europa, bensì anche per il mondo. A tale proposito, cito l’Organizzazione internazionale del lavoro, che ha fatto esplicito riferimento al modello sociale europeo quale possibile fonte di ispirazione per le nuove potenze emergenti.

Vorrei infine menzionare il mio correlatore, l’onorevole De Rossa, e ringraziarlo per l’eccellente spirito di cooperazione che ci ha animati e che ci ha consentito di lavorare in modo stimolante e piacevole allo stesso tempo.

 
  
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  Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei esprimere innanzi tutto la mia gratitudine per l’opportunità offertami di trattare con voi il tema del futuro sociale europeo. Si tratta indubbiamente di un argomento molto importante per i cittadini d’Europa.

I capi di Stato dell’Unione europea hanno ribadito ripetutamente il loro impegno nei confronti dei valori europei e dello sviluppo dei modelli sociali europei. Il modello sociale europeo, in grado di conciliare crescita economica, elevata occupazione e coesione sociale, fornisce una base solida da cui partire per cercare risposte alle sfide della globalizzazione e dell’invecchiamento della popolazione.

Il modello sociale europeo dev’essere inoltre sottoposto a regolari revisioni. Dobbiamo agevolare i nostri cittadini nel loro processo di adeguamento al cambiamento. Dobbiamo manifestare il nostro sostegno alla competitività europea e a livelli più elevati di occupazione, nonché combattere la povertà e l’esclusione. Dobbiamo far sì che i sistemi di protezione sociale siano sostenibili nel lungo termine e raggiungano un livello adeguato. I suddetti obiettivi si sostengono vicendevolmente.

Il futuro dell’Europa sociale presuppone essenzialmente un’attuazione assidua della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione. Se vogliamo che le società europee del benessere continuino ad esistere, necessitiamo di una maggiore competitività, di minori tassi di disoccupazione e di una produttività più elevata. Uno degli obiettivi della Presidenza finlandese è il rafforzamento della base per la crescita economica europea.

Nelle prossime settimane ci attendiamo che la Commissione presenti una comunicazione sui cambiamenti demografici in Europa. Tali questioni sono state discusse in una riunione informale dei ministri UE dell’Occupazione, degli Affari sociali e della Sanità tenutasi a Helsinki in luglio. Una delle conclusioni che la Presidenza finlandese ha tratto da tali colloqui è stata che il cambiamento della struttura dell’età della popolazione non va considerato alla stregua di una semplice sfida: rappresenta anche un’indicazione del funzionamento efficace del modello sociale europeo. Strati sempre più ampi di popolazione hanno la possibilità di condurre una vita più lunga e sana. Benché le conclusioni sul potenziale di crescita economica e sulla sostenibilità delle finanze pubbliche siano meno rosee, a lungo termine è essenziale una politica di riforma proattiva.

Il dibattito sul mercato del lavoro costituisce parte integrante del modello sociale europeo. Il Primo Ministro finlandese Matti Vanhanen e il Presidente della Commissione Barroso ospiteranno un vertice sociale tripartito straordinario a Lahti il 20 ottobre. Lo scopo è proseguire la discussione sulla gestione del cambiamento sociale in Europa. Dobbiamo trovare un equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza e investire massicciamente nelle competenze e nelle qualifiche. Permettendo ai cittadini e alle cittadine di conciliare più agevolmente il lavoro con la vita privata creeremo nel contempo una risposta europea più efficace alle sfide della globalizzazione e dell’invecchiamento della popolazione. Tale armonizzazione di lavoro e vita familiare è inoltre fondamentalmente correlata all’attuazione della strategia di Lisbona, un concetto sottolineato in occasione del Consiglio europeo della primavera 2006, quando è stato adottato il Patto europeo per l’uguaglianza tra i sessi.

L’Unione è un attore globale chiave, il cui obiettivo consiste nella promozione della democrazia, dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile. La Commissione ha appena presentato una comunicazione sul tema del lavoro “dignitoso”. E’ importante che l’UE e l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) collaborino sul tema. La promozione globale del lavoro dignitosa promuoverà anche la produttività nei paesi meno sviluppati.

Durante la propria Presidenza, la Finlandia si propone di rafforzare la capacità dell’UE di adeguarsi alle pressioni della concorrenza globale. Il miglioramento della competitività europea è strettamente correlato al mantenimento di società europee fondate sulla tutela sociale. L’Europa può essere nel contempo competitiva e socialmente forte, ma ciò presupporrà sforzi continui e disponibilità al cambiamento.

Come ha dichiarato il Primo Ministro Vanhanen in questa sede durante la seduta plenaria del Parlamento europeo di luglio, anche noi dobbiamo prendere sul serio il timore degli europei per la concorrenza globale. I valori comuni e la giustizia sociale svolgeranno un ruolo primario nel contenimento di tali paure.

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Onorevoli parlamentari, vorrei innanzi tutto ringraziare gli onorevoli Silva Peneda e De Rossa per la loro relazione concernente il modello sociale europeo per il futuro. La relazione offre un contributo utile e ricco di spunti al dibattito avviato nel Consiglio europeo di Hampton Court nell’ottobre 2005. Tuttavia, l’aspetto più importante del testo è che sottolinea ancora una volta la rilevanza dell’Europa sociale e l’esigenza di difendere e sviluppare il modello sociale europeo.

Onorevoli deputati, il dibattito sul modello sociale europeo è per sua natura complesso e può essere affrontato da molte prospettive diverse. A mio parere, la relazione del Parlamento nella sua versione originaria adotta un approccio di ampio respiro ed esprime i punti più importanti. Consentitemi di condividere con voi alcune riflessioni.

In primo luogo, la relazione dichiara in ultima analisi che il modello sociale europeo è stato costruito su un insieme specifico di valori. L’attuazione tecnica di tali valori potrebbe ovviamente variare. Quando parliamo di valori, esprimiamo un concetto che vale la pena esternare; in altre parole, se siamo convinti che nel cuore del modello sociale europeo vi siano determinati valori, esprimiamo la volontà di concentrare i nostri sforzi sulla protezione e sviluppo di tali valori.

Parlando del modello sociale europeo, uno degli aggettivi che utilizziamo è “europeo”. A mio parere, il modello sociale europeo si basa chiaramente sull’integrazione europea, senza la quale non ci sarebbe alcuna speranza di progresso sulla scena mondiale, indipendentemente dallo Stato membro in questione. Di conseguenza, l’integrazione europea è una pietra miliare del modello sociale europeo e, per contro, il modello sociale europeo è una delle colonne portanti dell’integrazione europea. Poiché, da un punto di vista geografico, l’integrazione europea è un concetto complesso, potremmo organizzare una serie di dibattiti di ampio respiro, benché in linea di massima il modello sociale europeo coincida con i confini dell’integrazione europea, che esiste laddove vi è un insieme di valori adottati dai singoli Stati membri. Vi sono ovviamente altri valori che si potrebbero aggiungere, e ciò genererebbe una discussione molto accesa. A mio avviso, sono questi gli elementi chiave del dibattito in Parlamento, e la ragione fondamentale della sua importanza.

Condivido l’opinione espressa dai relatori secondo cui è importante non considerare la politica o le politiche sociali alla stregua di un onere, bensì come fattore positivo e proattivo suscettibile di creare posti di lavoro, alimentare la crescita e sostenere la coesione sociale. L’Europa non può essere competitiva in assenza di una politica sociale. E’ erroneo pensare che sbarazzandoci di tale idea chiave acquisiremmo chissà quali magnifici vantaggi. Tale opinione è stata espressa molto chiaramente, a mio parere, e ne sono lieto.

Mi fa inoltre piacere constatare che le posizioni del Parlamento e della Commissione coincidano su così tanti punti, ad esempio per quanto riguarda la valutazione della situazione. L’Europa deve riformare le proprie politiche, se vuole proteggere i propri valori. Il mantenimento dello status quo è semplicemente uno spreco nel lungo termine. Dobbiamo inoltre renderci conto che, oltre a un’Europa innovativa e aperta, abbiamo anche un’Europa con quasi 20 milioni di disoccupati. La situazione del mercato del lavoro è in graduale miglioramento, e recentemente tale cifra si è aggirata intorno ai 18 milioni, un miglioramento di 2 milioni, tutt’altro che irrilevante. Abbiamo un’Europa caratterizzata anche dalla povertà, dall’indigenza infantile; registriamo una crescita stagnante e un’Europa con un’esclusione sociale eccessiva. Se l’UE vuole restare attiva ed economicamente forte, le sfide da affrontare con impegno comprendono anche l’invecchiamento della popolazione, che minaccia la sostenibilità finanziaria dei nostri sistemi sociali, e la globalizzazione, fonte di timori per i paesi con disoccupazione elevata, nonché un’ulteriore conferma della necessità di avviare le riforme strutturali.

Vorrei inoltre ringraziare il Parlamento per le proposte avanzate, che desidero sintetizzare in un’unica parola: modernizzazione, o forse sarebbe meglio dire miglioramento. Dobbiamo modernizzarci per poter mantenere sistemi di istruzione e sanitari di alta qualità e per creare occupazione e pensioni dignitose per tutti. La Commissione e gli Stati membri hanno avviato il processo di modernizzazione e le riforme come parte della rinnovata strategia di Lisbona. Al riguardo desidero ringraziare i relatori per aver sottolineato l’importanza di trovare un equilibrio tra la dimensione economica, da un lato, e la protezione sociale e l’occupazione, dall’altro. L’UE ha a disposizione una gamma di singoli strumenti che aiuteranno gli Stati membri a far progredire la modernizzazione. Tale legislazione sosterrà il cambiamento economico e l’attuazione di misure per proteggere i nostri valori e la qualità della vita, attribuendo la facoltà di controllare il rispetto dei diritti nella Comunità e di redigere un bilancio, elemento vitale per sostenere la coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione.

Gran parte delle proposte contenute nella relazione sono incredibilmente simili alle attuali attività svolte dalla Commissione. Tra di esse figurano le iniziative correlate al cambiamento demografico, che verranno affrontate nelle proposte contenute nel Libro verde sulla demografia che vorrei presentare nel mese di ottobre. Comprendono inoltre le attività correlate alla cosiddetta flessicurezza, ovvero la combinazione tra flessibilità e sicurezza; in proposito, la Commissione ha avviato i negoziati con le parti interessate, e tali trattative dovrebbero culminare nell’adozione di principi comuni entro la fine del 2007. Disponiamo inoltre di attività correlate ai servizi di interesse generale, che la Commissione affronterà in una comunicazione che dovrà essere completata entro la fine dell’anno in corso sulla base della relazione del Parlamento. Vi è inoltre un’analogia con le attività che emergono dalla comunicazione della Commissione di giugno 2006 intitolata “Un’agenda dei cittadini per un’Europa dei risultati”, in cui la Commissione si è impegnata a svolgere nel 2007 una valutazione approfondita della realtà della Comunità europea e ad avviare un programma orientato a un approccio ai diritti e alla solidarietà, che esaminerà anche la possibilità di stilare un elenco dei diritti per i cittadini europei.

Vorrei infine ringraziare nuovamente i relatori per il documento prodotto, che guarda al futuro e presenta alcune proposte interessanti. La Commissione risponderà alla relazione nei prossimi mesi, nel contesto delle iniziative principali a cui ho accennato. Onorevoli deputati, consentitemi di tornare ai concetti iniziali. Il modello sociale europeo si fonda sull’idea che sia possibile conciliare democrazia politica, efficienza ed efficacia economica, e solidarietà.

 
  
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  Miloslav Ransdorf (GUE/NGL), relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. – (PT) Onorevoli colleghi, in passato l’intero settore della spesa sociale era considerato una sorta di questione incidentale, relativa alla distribuzione. Ritengo che l’esperienza degli ultimi anni abbia dimostrato che non è tanto una questione di spesa quanto di investimento, e sono lieto di dibattere tale relazione durante la Presidenza finlandese. Le crisi finlandesi dei primi anni ’90 sono state superate investendo nelle persone, analogamente a quanto fatto dai danesi all’epoca del Vescovo Grundtvig.

Recentemente l’opera dell’economista statunitense Richard Florida ha richiamato l’attenzione sulla classe creativa e sull’economia della creatività. Dobbiamo creare una rete capace di sfruttare tutti i tipi di talento presenti nella società europea e di portare avanti lo sviluppo. A mio avviso, dobbiamo considerare il modello sociale europeo alla stregua di un’area dove compiere delle scelte, e non come un elemento di unificazione. Gli stili di vita dovrebbero essere diversi, perché, se scommettiamo sulla manodopera a basso costo, come accade nelle economie asiatiche, la possibilità di scelta si riduce, così come anche la gamma di opportunità di crescita economica.

 
  
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  Emine Bozkurt (PSE), relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. – (NL) Signor Presidente, ringrazio gli onorevoli De Rossa e Silva Peneda per il lavoro svolto in merito alla relazione sul modello sociale europeo. Sono lieta che lo spunto della commissione per i diritti della donna sia stato accolto seriamente e che sia stato riportato nella relazione.

Le donne sono imprescindibili per il modello sociale, e lo stesso vale anche per il mercato del lavoro. Non a caso in Europa ci siamo impegnati a incrementare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Tuttavia, le donne spesso sono ancora assenti dal mercato del lavoro e anche dal modello sociale.

Le donne sono spesso le prime a essere penalizzate da un sistema sociale malfunzionante. Se mancano i fondi per gli asili o per i malati, gli anziani o i disabili, sono spesso le donne, mogli e madri, che restano a casa a occuparsene.

Sono pertanto favorevole a un modello che tenga conto delle donne, in cui le autorità intervengano in maniera ragionevole, laddove è necessario. Sono contraria a un modello concepito a Bruxelles che debba essere introdotto in tutta Europa per amore o per forza. Sono decisamente favorevole alla solidarietà sociale in Europa in linea con il motto “tutti per uno e uno per tutti”.

Queste considerazioni si ritrovano anche nel testo oggetto del dibattito odierno, ecco perché sono a favore della relazione degli onorevoli De Rossa e Silva Peneda.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signor Presidente, se si esamina la società e si parla con la gente, si scopre che teme le conseguenze della globalizzazione e la mondializzazione stessa, e che un altro timore è rappresentato dalla disoccupazione che continua ad affliggere alcuni Stati membri. Le ripercussioni negative dell’andamento demografico sono sotto gli occhi di tutti, e di conseguenza i cittadini sono molto reticenti, anche per quanto riguarda il dibattito sul modello sociale europeo.

Si chiedono quanto sia sostenibile il sistema di cui disponiamo al momento. Siamo in grado di mantenere al livello attuale le pensioni, il sussidio di disoccupazione, se necessario, e il benessere? E’ questa la prudenza a cui mi riferisco.

La questione cruciale è se i sistemi di sicurezza sociale, che sono molto divergenti tra loro, ma che poggiano tutti su determinati valori, possono attuare ciò che era stato promesso al momento della loro istituzione.

E’ decisamente ammirevole il fatto che due colleghi, gli onorevoli De Rossa e Silva Peneda, nonostante il loro diverso retroterra politico, siano riusciti a produrre una buona relazione che può costituire la base di discussioni future. Li ringrazio sentitamente.

Il fulcro del modello sociale europeo consiste nella necessità di sviluppo economico, in assenza del quale non potremo offrire né garantire alcuna sicurezza sociale. Vogliamo garantire ai cittadini il soddisfacimento delle esigenze sociali di base, ma naturalmente dobbiamo anche reperire i fondi per farlo. Significa che occorre un processo continuo che preveda una riforma della sicurezza sociale, tale da rispondere a quelle che possono essere le aspettative dei cittadini.

Esistono diversi modelli, e il nostro si distingue in quanto parte dal presupposto di un’economia di mercato sociale e di fatto si basa anche sulla dottrina cristianosociale. Sono grata delle molte raccomandazioni utili contenute nella relazione.

 
  
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  Jan Andersson , a nome del gruppo PSE. – (SV) Signor Presidente, vorrei iniziare il mio intervento ringraziando i due relatori, che hanno dato prova di un’ottima collaborazione. La relazione che hanno prodotto è molto valida. Spesso in Svezia mi viene chiesto se esista veramente un modello sociale europeo o se in realtà non vi sia soltanto un assortimento di modelli diversi. A tale domanda rispondo che, se, da una parte, è vero che i nostri sistemi sociali sono diversi, essi hanno anche molto in comune, e sono gli elementi che condividono a costituire il modello sociale europeo. Disponiamo tutti di sistemi che si basano sulla solidarietà verso i disoccupati, i malati, o coloro che hanno subito infortuni professionali. Abbiamo tutti un settore pubblico attraverso il quale finanziamo le iniziative comuni, anche se i livelli di sovvenzionamento variano. Abbiamo inoltre le parti sociali e la società civile che svolgono un ruolo importante nel processo con il quale plasmiamo le nostre società. Queste sono le caratteristiche distintive comuni.

Se il modello sociale si basa su valori comuni in seno a sistemi diversi, ciò significa che possiamo apprendere gli uni dagli altri nel corso del processo in cui ci troviamo coinvolti. Ovviamente non è vero che il modello sociale o i vari sistemi sociali non possano essere modificati. Come hanno sottolineato molti oratori nel corso del dibattito, tali sistemi devono essere emendati in continuazione – i sistemi stessi, ma non i valori che ad essi sottesi.

Le due grandi sfide contemporanee sono il cambiamento demografico e la globalizzazione. In vista del cambiamento demografico, dobbiamo anche essere solidali con la prossima generazione, che non dovrà essere costretta a spendere una percentuale irragionevole di ciò che produce per noi che andiamo in pensione o necessitiamo di molte cure mediche. Occorre pertanto istituire sistemi pensionistici sostenibili.

Inoltre, dobbiamo anche assicurarci di creare un ambiente di lavoro che consenta alle persone di restare più a lungo sul mercato del lavoro, un obiettivo raggiungibile, tra l’altro, con un orario di lavoro ragionevole. Dobbiamo provvedere a sviluppare le competenze, e la forza lavoro più anziana deve anch’essa essere coinvolta nei cambiamenti a livello di acquisizione di competenze e in questioni del genere, di modo che tali lavoratori possano continuare a esercitare la loro attività. In tal modo, avremmo un numero maggiore di lavoratori sul mercato del lavoro. In futuro occorrerà inoltre accettare un numero maggiore di lavoratori provenienti da paesi extraeuropei, un fenomeno che molto probabilmente è destinato ad avverarsi.

Per quanto riguarda la globalizzazione, si può procedere in due modi: il primo consiste nel copiare le economie dei nostri concorrenti, la Cina e l’India, in termini di retribuzioni, mercato del lavoro, condizioni e affini. Il secondo modo consiste nel tentare di competere, nel disporre di fatto di personale qualificato, nell’impegnarsi nella ricerca e sviluppo e così via, per far sì che i nostri lavoratori e i prodotti da essi fabbricati siano i migliori del mondo. A tal fine è necessario tuttavia garantire la sicurezza sul mercato del lavoro, in quanto si verificheranno cambiamenti e ristrutturazioni. Chi è coinvolto in un mercato del lavoro in evoluzione deve sentirsi sicuro. So che la Presidenza finlandese definisce tale fenomeno “sicurezza nel cambiamento” invece che “flessicurezza”, ma in fin dei conti è la stessa cosa. Se ci si sente sicuri, si può anche partecipare alla promozione del cambiamento e dello sviluppo in Europa. A quel punto potremo anche sviluppare i nostri sistemi sociali in modo tale da trasformarli in fattore produttivo nel processo di creazione del cambiamento.

 
  
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  Patrizia Toia, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questi mesi nella discussione sul processo di crescente integrazione politica dell’Europa, tra sconfitte e successi, abbiamo spesso detto che l’Europa è chiamata a definire meglio il suo progetto, la sua finalità, vorrei dire la sua indispensabilità: l’Europa dei risultati, da noi prefigurata concretamente perché dia ai cittadini il segno concreto della ragione della sua esistenza.

Ma oggi va rilanciata anche la dimensione sociale, accanto a quella della crescita, a quella della conoscenza, agli obiettivi che sempre declamiamo, assieme alla ricerca su cosa deve diventare l’Europa, per poter dire chiaramente ai cittadini europei se il futuro dell’Europa, e non solo la sua storia pregressa e quella del Novecento che tutti conosciamo e abbiamo vissuto, avrà ancora questa priorità, questo segno distintivo che ha caratterizzato i diversi modelli e i diversi sistemi nei vari Stati membri.

Proprio a livello europeo è necessario fare questo salto: la realizzazione sin qui fatta nei diversi paesi e Stati membri è oggi confrontata con sfide che difficilmente possono avere risposte solo isolate. E’ chiaro, vorrei dirlo a quanti temono che a Bruxelles si decida tutto: le cose, il come e un unico modello. E’ chiaro, è evidente è indiscutibile che la competenza e la responsabilità delle politiche sociali spettano agli Stati membri ed è a livello nazionale che dovranno essere fatte le scelte riguardanti la quantità e la qualità del nostro reddito da assegnare ai sistemi sociali, se più previdenziali o più scolastici o più riparativi.

Queste sono scelte nazionali, non c’è dubbio, anch’io difendo che il mio paese decida quale stato sociale fare, ma considero necessario pure un approccio condiviso a livello europeo su alcuni diritti fondamentali da salvaguardare, sui diritti sociali che, come vorrei ricordare ai colleghi, abbiamo inserito nella sezione sui diritti del nostro progetto di Costituzione. Dobbiamo partire da qui, da un approccio condiviso che definisca alcune linee direttrici, proprio perché i sistemi sociali nazionali sono confrontati con la peggiore delle sfide: la compatibilità economica, la compatibilità finanziaria. Infatti vogliamo che la competitività e la coesione sociale vadano insieme, siano due facce della stessa medaglia di sviluppo integrale di una società.

Ecco perché ritengo importante l’odierno dibattito, ecco perché penso che esso figuri nell’agenda europea, anche se qualcuno forse lo mette in discussione perché è solo una relazione d’iniziativa su questo tema. Non basta parlare di modelli istituzionali, non basta parlare di quale governance è necessario, è indispensabile, discutere pure sul modello competitivo per la nostra economia libera.

I cittadini vogliono sapere anche questo, quando sceglieranno la risposta politica, quando aderiranno o meno anche alle scelte economiche che chiederemo di fare in ragione di una maggiore occupazione o di altro, chiederanno di sapere se questi diritti sociali sono comunque un tratto distintivo di tutti i sistemi di welfare che i vari paesi realizzeranno.

 
  
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  Sepp Kusstatscher, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, sono sicuro che in linea di principio il modello sociale europeo riscuota il consenso di tutti, per lo meno a parole. Chi può avere qualcosa in contrario a un insieme di valori comuni, alla pace, alla giustizia sociale, alla libertà, all’uguaglianza e così via?

La politica comunitaria contiene molti principi e orientamenti ammirevoli, tuttavia la vita quotidiana è caratterizzata da una dura realtà: bramosia di guadagno a breve termine e spesso sfruttamento senza scrupoli, concorrenza e così via. Spesso si resta a guardare o si distoglie addirittura lo sguardo dal fatto che una minoranza diventa sempre più ricca mentre strati sempre più numerosi della popolazione si impoveriscono progressivamente.

I problemi sociali più gravi – povertà estrema, discriminazione degli immigrati, il destino crudele dei disoccupati di lunga data – vengono solamente accennati nel documento. La disuguaglianza e l’ingiustizia non vengono poste nel giusto rilievo. La responsabilità in tal senso è del principio di sussidiarietà, di per sé positivo. Se la cosiddetta armonizzazione dell’economia viene data per scontata, l’UE dovrebbe mostrarsi favorevole anche all’armonizzazione nel settore sociale – a partire dall’equiparazione fiscale fino alla discussione sul reddito minimo, sul reddito di base e la retribuzione del cittadino – e in particolare nel sistema pensionistico.

La giustizia potrà essere considerata un principio comunitario valido solamente quando il diritto europeo prevedrà la piena tutela anche degli strati sociali più deboli.

 
  
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  Ilda Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Il dibattito odierno è estremamente importante, data la serietà della questione, il cosiddetto “modello sociale europeo”, vale a dire i diritti economici, sociali e del lavoro acquisiti dai lavoratori e dalle persone nel corso di decenni, un fatto che non viene preso in considerazione dalla Commissione o dalla relazione in esame. Anzi, al contrario.

Alla base della relazione vi è la convinzione che i sistemi di sicurezza sociale impediscano lo sviluppo economico e siano insostenibili alla luce delle sfide demografiche poste dalla globalizzazione e dalla concorrenza globale. La relazione mette in luce riforme strutturali radicali che in pratica condurranno al collasso dei sistemi pubblici di sicurezza sociale, scartando così l’arma principale a nostra disposizione per la tutela dell’inclusione sociale, per combattere la povertà, la distribuzione iniqua del reddito, l’insicurezza occupazionale e la disoccupazione, e per promuovere la dignità dei lavoratori.

In tal modo, i relatori del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei e il gruppo socialista al Parlamento europeo stanno tentando di portare avanti una politica che mira a soddisfare i magnati dell’industria e gli interessi dei grandi gruppi economici e finanziari, aprendo nuovi spazi commerciali e affidando ai profitti privati una percentuale significativa dei finanziamenti del sistema pensionistico. La tendenza è pertanto quella di imboccare la via sempre più neoliberale della cosiddetta “strategia di Lisbona” e del “Patto di stabilità”.

Ciò non rispecchia le speranze degli oltre 72 milioni di persone che vivono nell’indigenza e degli oltre 18 milioni di disoccupati. Occorre un cambiamento di tali politiche. Questo è l’obiettivo da noi perseguito nelle proposte che abbiamo presentato e che speriamo siano approvate.

 
  
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  Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, anch’io vorrei associarmi ai miei colleghi e ringraziare i due relatori per il lavoro svolto su quest’importantissima relazione. Porgo inoltre il benvenuto al Commissario, perché alla fine la Commissione dovrà iniziare ad attuare alcune delle misure di cui stiamo discutendo oggi.

Uno degli elementi chiave che emergono dal dibattito è il tanto atteso riconoscimento del fatto che, se non si creano il benessere economico e le condizioni occupazionali che garantiscano il posto di lavoro, la sicurezza e i diritti del lavoro, il modello sociale europeo è inesistente.

Come ha giustamente precisato il mio collega, l’onorevole Andersson, non esiste un modello unico, bensì una varietà di sistemi. L’unica cosa che hanno in comune tali sistemi è l’esigenza di solidarietà tra le persone all’interno dei singoli paesi e in tutta l’Unione. L’idea della tutela dei più vulnerabili all’interno della nostra società è al centro di ciò che dovrebbe essere il modello sociale europeo. Se esaminate l’elenco delle questioni e aree che devono essere prese in considerazione, noterete che le difficoltà non mancheranno, che sia nel campo della disoccupazione di lunga data o della disoccupazione giovanile e delle donne, della garanzia della protezione sociale, della tutela in materia di accesso agli alloggi, all’istruzione e alla formazione, o più recentemente della situazione demografica e della crisi che incombe.

Indipendentemente dai tentativi di individuare soluzioni per affrontare i problemi esistenti, l’unica cosa che dovremmo imparare dall’esperienza pratica che abbiamo accumulato nel campo dei numerosi modelli sociali è che non esiste una soluzione unica per tutti. Occorre introdurre la flessibilità in tali modelli, per garantire che l’accento continui a essere posto sui valori fondamentali che pongono l’essere umano al centro del modello sociale. Tuttavia, quando parliamo di armonizzazione delle tasse o di retribuzione minima, ci rendiamo conto che tali concetti vanno contro la creazione di uguaglianza; i paesi che al momento hanno retribuzioni più basse e un livello elevato di protezione sociale potrebbero infatti diventare poco competitivi, poiché le imprese rivolgerebbero altrove la propria attenzione e i posti di lavoro andrebbero perduti. Ecco perché è indispensabile la flessibilità.

Esprimo il mio sostegno alla relazione nel suo complesso e accolgo con entusiasmo i commenti che riporta. Un’area che suscita continuamente preoccupazione è l’esigenza di garantire il nesso tra i risultati economici e la generazione di benessere da utilizzare successivamente per la protezione sociale. I due aspetti sono inseparabili, e a proposito di aumento delle imposte, si possono avere le tasse più alte del mondo, ma, se non si hanno le imprese che assumono i cittadini e pagano le tasse, non si può garantire la conseguente protezione sociale.

 
  
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  Derek Roland Clark, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, la relazione in oggetto riguarda dieci settori diversi, praticamente tutte aree di competenza comunitaria, dalla pace e sicurezza ai diritti umani, e da Lisbona a Laeken. Si tratta poi di un’aspirazione, un tentativo di fondare una cultura embrionale.

Da giovane giocavo a rugby, e mi ricordo di una partita che non stava andando molto bene. Il capitano ci ha convocati implorandoci di dimostrare un maggiore spirito di squadra. Un gesto inutile, in quanto lo spirito di squadra non si fabbrica: scaturisce dalla cultura del gioco, che consiste nel mettere insieme diverse capacità, nel giocare gli uni per gli altri, nel coprire gli errori altrui e nell’atmosfera sociale successiva alla partita.

Analogamente, non ha alcun senso che i relatori ci abbiano riuniti qui oggi per votare a favore di un modello sociale europeo. Se tutte le varie parti, le relazioni, i trattati, le norme e i regolamenti e così via si dimostreranno validi e verranno applicati da tutta la squadra di nazioni, il modello sociale europeo emergerà spontaneamente. La relazione in questione è pertanto irrilevante!

Il considerando O della relazione specifica che la Costituzione dovrebbe rispecchiare il concetto del modello sociale – e trattare i medesimi temi. Ne consegue che anche la Costituzione europea è irrilevante, oltre che morta!

La relazione sottolinea il ruolo dei paesi membri e delle loro competenze, in particolar modo per quanto riguarda la garanzia di posti di lavoro che determinino la crescita economica e il benessere. Rileva la diversità degli Stati membri e dichiara che ne dobbiamo rispettare le tradizioni, tutti temi difesi stamani dal Presidente finlandese. Tuttavia, se l’UE intraprenderà la pazzia della Costituzione, tutti questi buoni propositi verranno spazzati via.

In conclusione, avrete intuito che dubito della sincerità della relazione, che riporta anche la dichiarazione: “raccomanda agli Stati membri di approfondire la cooperazione e gli scambi di migliore prassi”. Un anno fa ho osservato in questa sede che una delle caratteristiche centrali dell’UE consisteva nell’offrire a ogni Stato membro la possibilità di mettere sul tavolo le proprie migliori prassi per condividerle con gli altri. Tuttavia, quando ho fatto quest’affermazione in seno alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali durante il dibattito sulla direttiva concernente l’orario di lavoro e ho tentato di presentare qualche migliore prassi di un paese membro – il Regno Unito – il relatore mi ha apostrofato così: “Non vogliamo che ci scarichi addosso le tue idee”.

 
  
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  Roger Helmer (NI).(EN) Signor Presidente, un anno fa il Primo Ministro britannico Tony Blair è intervenuto dinanzi all’Assemblea e ha posto un interrogativo vitale: che modello sociale è quello che produce 20 milioni di disoccupati nell’UE? Era un’ottima domanda, e finora non ho ancora sentito alcuna risposta.

Il modello sociale europeo è animato da buone intenzioni, è compassionevole, è stato creato a fin di bene, eppure ha generato un clima normativo e fiscale che allontana le imprese, distrugge il benessere e compromette la competitività. E’ tempo di guardare in faccia alla realtà: la protezione del posto di lavoro di un cittadino coincide con la disoccupazione di un altro. Il modello sociale è profondamente discriminatorio. E’ palesemente a favore delle persone che lavorano e contrario ai disoccupati. Se vogliamo raggiungere gli obiettivi di Lisbona, se vogliamo affrontare le sfide della globalizzazione, se vogliamo crescita, occupazione, competitività e benessere, dobbiamo iniziare a smantellare il modello sociale europeo.

 
  
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  Csaba Őry (PPE-DE).(HU) Il modello sociale europeo si trova di fronte a sfide significative, correlate principalmente ai cambiamenti dell’ambiente economico e alla trasformazione sociale. Svariati elementi di tali cambiamenti sono già stati menzionati oggi in questa sede.

A mio parere, una questione chiave è l’esigenza di creare ancora più posti di lavoro. A tal fine, e in relazione al modello sociale, è importante sottolineare quanto segue: soltanto un incremento dell’occupazione e, di conseguenza, il sostegno alle piccole e medie imprese, può consentire di introdurre l’argomento dei cambiamenti da apportare al modello sociale. Ho ascoltato con piacere le parole del Commissario Špidla, secondo cui si tratta di tutelare i valori europei. A tal fine, è chiaro che occorrono cambiamenti strutturali in seno al modello sociale europeo. Il problema è individuare la strategia comunitaria e la velocità a cui devono compiersi tali cambiamenti.

A questo proposito, credo che occorra armonizzare le politiche dell’Unione, e accolgo con particolare favore l’obiettivo indicato dalla relazione: un metodo aperto e rafforzato di coordinamento, cosicché i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo possano svolgere un ruolo più attivo. Sono convinto che occorrano una maggiore cooperazione e posizioni europee consensuali e comuni circa le questioni politiche di rilievo. Di conseguenza, l’approccio da seguire consiste in dichiarazioni europee comuni e in politiche su misura per ciascuno Stato membro. Per quanto riguarda le prospettive future, la dichiarazione in questione è sufficientemente pragmatica e mostra con chiarezza che dobbiamo cooperare. I problemi si risolvono solamente unendo le forze, non frammentandole.

Considero questa relazione positiva e giustificabile, e chiedo il sostegno di quanti più eurodeputati possibile, preferibilmente appartenenti a uno spettro politico più ampio possibile.

 
  
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  Stephen Hughes (PSE).(EN) Signor Presidente, desidero congratularmi con entrambi i relatori, che hanno svolto un lavoro eccellente.

Lo scorso autunno, durante la Presidenza britannica e il periodo immediatamente antecedente al Vertice straordinario di Hampton Court, i membri del mio governo sostenevano due concetti contraddittori sull’idea di modello sociale europeo. Da una parte, negavano l’esistenza di un siffatto modello sociale europeo – eravamo in presenza di 25 diversi modelli sociali nazionali – e, dall’altra, dichiaravano che, ammettendo che ci fosse un cosiddetto modello sociale europeo, si trattava di un fenomeno continentale e di una pietra al collo per numerose economie degli Stati membri.

L’onorevole Helmer ci ha ricordato le parole pronunciate da Tony Blair in questa sede. Di fatto, numerosi ministri hanno detto la stessa cosa, e ovviamente si basano sul medesimo copione – vale a dire, siamo sicuri di volere un modello sociale che precipita 20 milioni di cittadini nella disoccupazione? Se l’onorevole Helmer avesse ascoltato il dibattito, avrebbe sentito una risposta all’affermazione di Tony Blair, in quanto la relazione in oggetto punta il dito contro quelle bugie. Il primissimo paragrafo, molto concreto, sottolinea il fatto che disponiamo effettivamente di un modello sociale europeo che riflette un insieme comune di valori basati sul mantenimento della pace, sulla giustizia sociale, l’uguaglianza, la solidarietà, la promozione della libertà e della democrazia e il rispetto dei diritti umani. La relazione ribadisce che il modello rappresenta tutt’altro che un onere e un fardello pesante, e che la politica sociale andrebbe considerata un fattore positivo nella crescita economica comunitaria, in quanto non solo incrementa la produttività e la competitività, bensì genera anche coesione sociale, aumenta gli standard di vita dei cittadini e garantisce l’accesso ai diritti e alle libertà fondamentali. Un’affermazione assolutamente corretta e, se la vediamo da quel punto di vista, la politica sociale diventa un fattore produttivo – il tema di una Presidenza olandese di qualche anno fa.

La relazione riconosce inoltre quanto affermato da molti, vale a dire che occorre modernizzare e adattare il modello allo scopo di rispondere all’ampio spettro di sfide che ci troviamo dinanzi: cambiamento demografico e tecnologico, globalizzazione e così via. I relatori sottolineano inoltre che la riforma e la modernizzazione del modello devono preservare e rafforzare i valori associati al medesimo, un aspetto, questo, di importanza vitale. In Gran Bretagna molti cittadini scuotono la testa quando vedono la lentezza dei progressi di modernizzazione e riforma in numerosi paesi dell’Europa continentale. Tendono tuttavia a dimenticare il metodo brutale, disumano e distruttivo con cui è stata gestita la riforma negli anni del Primo Ministro Thatcher in Gran Bretagna. Numerosi paesi continentali stanno tentando di introdurre un processo di riforma mediante il consenso, preservando al contempo i valori di base del modello sociale europeo. E’ così che si fa, ed è un approccio che ammiro molto.

Un ultimo punto: deploro che il gruppo PPE-DE abbia presentato un emendamento al paragrafo 23 volto a eliminare un riferimento specifico alla necessità che la Commissione presenti un quadro per i servizi di interesse generale. Auspico vivamente che tale emendamento cada perché, se avessimo avuto tale quadro di riferimento, la stessa direttiva sui servizi sarebbe stata un passaggio molto più agevole. Ne abbiamo ancora bisogno, e spero che la Commissione presti attenzione all’esortazione in tal senso presente nella relazione.

 
  
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  Bernard Lehideux (ALDE).(FR) Signor Presidente, gli interventi dell’Unione europea vengono spesso percepiti dai nostri cittadini alla stregua di un’intrusione nella loro vita quotidiana. Quel che è peggio, è che a volte hanno ragione. Coloro che hanno respinto la Costituzione si sono tuttavia rifiutati di ammettere che tale testo avrebbe potuto fare chiarezza sui poteri dell’Unione e su quelli degli Stati membri.

Di fatto, i nostri concittadini esigono un’Europa che risponda alle loro preoccupazioni urgenti e pratiche, ma solamente quando è l’istituzione più adatta a farlo. In tal senso, un’Europa sociale rappresenta una delle tante priorità. E’ nostro compito redigere un quadro che – come lei stesso ha affermato, signor Commissario – sia moderno ed equilibrato, e che garantisca un livello elevato di standard sociali lasciando nel contempo agli Stati membri un margine di manovra sufficiente.

Onorevoli colleghi, poniamo fine ai dibattiti sterili tra coloro per i quali il termine “sociale” è sinonimo di rinascita del controllo statale e coloro che, tramite relazioni interminabili, propongono misure inattuabili e controproducenti. Come è già successo per la direttiva concernente i servizi, dobbiamo collaborare insieme e con urgenza per definire tale quadro, a partire ad esempio dall’adozione di testi sull’orario di lavoro, sui servizi di interesse generale e sullo statuto della reciprocità europea.

 
  
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  Gabriele Zimmer (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, mi rammarico che la presente relazione concernente un modello sociale europeo per il futuro non possa esserci molto d’aiuto. Nessuno dei modelli sociali esistenti in seno all’UE è riuscito finora, anche solo in termini di approccio, a soddisfare la richiesta di creare condizioni tali da consentire a ogni cittadino di condurre veramente un’esistenza autonoma e dignitosa nell’Unione. La sconfitta della povertà, l’abbattimento delle divisioni sociali e gli interventi energici per la tutela dell’ambiente rappresentano a mio avviso le sfide maggiori, anche per il mercato interno dell’UE.

L’unione economica e monetaria va pertanto completata integrandola con un’unione sociale europea, a mio parere. I passi in tal senso potrebbero essere, in primo luogo, la creazione di un meccanismo contro il dumping sociale, in secondo luogo la fissazione di standard sociali minimi europei, e in terzo luogo l’istituzione di sistemi sociali europei a prova di povertà. Deploro che la relazione in oggetto non contenga proposte sostanziali su un modello sociale europeo per il futuro, proposte che mirino a creare un’Europa effettivamente solidale e sociale.

 
  
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  Ģirts Valdis Kristovskis (UEN).(LV) Vorrei sottolineare che la relazione in oggetto contiene ovviamente dichiarazioni giustificate e previsioni piuttosto sconcertanti, ma non mi vorrei soffermare sul fatto che ognuno dei paesi membri europei dispone di sistemi sociali diversi, bensì vorrei esaminare due gruppi di persone specifiche. Io rappresento un paese i cui cittadini in passato hanno partecipato alla gestione del disastro nucleare di Chernobyl, e queste persone ora necessitano del nostro aiuto. In passato sono state fondamentali per contenere tale disastro, nella consapevolezza che stavano salvando l’umanità, che stavano aiutando l’Ucraina e, così facendo, anche l’Europa. Oggi in Lettonia mancano le risorse; il sistema sociale del paese non è in grado di aiutare tali persone, ora che sono divenute invalide.

Il secondo gruppo è composto da cittadini lettoni e di altri paesi baltici e dell’Europa orientale che, in seguito all’occupazione da parte dell’Unione sovietica, sono stati confinati nei campi di concentramento. Tali persone sono state private di una vita normale e di un’istruzione, hanno vissuto e lavorato in schiavitù. Per tale motivo, le risorse a disposizione della Lettonia e degli altri Stati baltici non consentono oggi di riabilitare socialmente tali cittadini. Se il dibattito odierno verte sul modello sociale europeo e sulla solidarietà, secondo me tale modello dovrebbe prevedere una protezione sociale aggiuntiva per tali gruppi, tutela che per natura dovrebbe essere sovranazionale e non essere scaricata sulle spalle di un unico paese – visto che si tratta di fatto degli Stati più poveri d’Europa.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. COCILOVO
Vicepresidente

 
  
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  Georgios Karatzaferis (IND/DEM).(EL) Signor Presidente, dobbiamo ammettere che sulla questione dello Stato sociale abbiamo veramente fallito. La verità è che qualche anno fa abbiamo fatto un’enorme scommessa senza accorgerci che l’aspettativa di vita dei cittadini stava aumentando. A quel tempo, quarant’anni fa, un infarto era sinonimo di morte certa; oggi viene risolto con un intervento di routine.

Analogamente, una decina d’anni fa, quando abbiamo sottoscritto l’accordo sul commercio mondiale, non abbiamo tenuto conto del fatto che sui nostri prodotti grava il costo dello Stato sociale, mentre quelli fabbricati dagli indiani e dai cinesi, che rappresentano metà della forza lavoro del pianeta, non prevedono tali costi. Di conseguenza, l’Europa è inondata dai prodotti cinesi, le nostre aziende stanno chiudendo e domani non saremo in grado di offrire tale protezione sociale.

La verità è che finiremo in bancarotta oppure, come cittadini, non avremo più la sicurezza di un tempo: sono dati di fatto. Dobbiamo pertanto capire come gestire realisticamente la situazione. Stiamo gettando fumo negli occhi ai cittadini. Non riusciremo a mantenere la parola data.

L’idea del momento è di chiedere fondi ai datori di lavoro, che sono stati già messi in ginocchio dai prodotti cinesi e indiani. Dobbiamo pertanto guardare in faccia alla realtà. La tecnologia dovrebbe indicarci la strada. Quarant’anni fa, quand’ero bambino, d’estate lavoravamo nei campi e c’erano 50 braccianti per 20 are di superficie. Oggi basta una macchina con un operatore.

La tecnologia provoca la perdita di posti di lavoro. Come possiamo pertanto assicurare l’attuale standard di vita? Dobbiamo individuare soluzioni che non sono ovvie per il nostro modo di pensare. Dobbiamo renderci conto che dieci anni fa con l’accordo sul commercio mondiale abbiamo commesso un errore, non abbiamo tenuto conto di tale parametro, vale a dire i prodotti a basso costo che oggi stanno affondando il mercato e che fanno sì che i nostri prodotti non trovino posto sugli scaffali dei negozi.

Si tratta di un errore grave che prima o poi dovremo scontare. Dobbiamo dire la verità ai cittadini europei, vale a dire che non potremo trasformare i cinesi in europei e che, purtroppo, noi europei dovremo adottare il modus operandi dei cinesi.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (NI).(PL) Signor Presidente, mi consenta di soffermarmi sul modello sociale europeo dal punto di vista di un cittadino di un nuovo Stato membro. Pare che gli scienziati abbiano individuato quattro diversi modelli, vale a dire scandinavo, anglosassone, continentale e mediterraneo. Benché siano diversi, hanno anche alcuni tratti in comune. Aggiungerei che esiste anche un altro modello, quello postcomunista, che non rientra in nessuno degli altri. Il modello postcomunista è caratterizzato dall’assenza di qualsivoglia modello, infatti il personale dei supermercati lavora fino alle dieci di sera, anche il primo maggio, oppure lavora 24 ore al giorno per 200 euro al mese.

Per tale motivo la creazione di un nuovo modello sociale comune a tutta l’Europa e la sua attuazione per lo meno a livello base è principalmente nell’interesse dei cittadini dei nuovi Stati membri. Purtroppo è proprio in questi ultimi che sussiste la divergenza maggiore tra qualità del lavoro e retribuzione corrispondente. L’accesso all’assistenza sanitaria è molto carente, manca un sostegno sociale minimo per chi non possiede risorse adeguate, i sussidi di invalidità e le pensioni sono molto bassi e, per finire, esiste un sistema nascosto di oneri da sostenere per accedere all’istruzione superiore.

Purtroppo, è proprio nei nuovi Stati membri che i posti di lavoro scarseggiano, e quelli che si trovano sono scarsamente qualificati, con una retribuzione che nella maggior parte dei casi varia da 200 a 500 euro a mese, mentre il costo della vita è quasi equiparabile al resto d’Europa. Sfortunatamente, è proprio in Polonia, nel paese del sindacato Solidarność, che i diritti dei lavoratori vengono rispettati meno che nel resto dell’Unione europea. Mi auguro che il modello sociale europeo consenta ai nostri cittadini più poveri di non dover temere la notizia di un ulteriore allargamento o dell’introduzione dell’euro.

In tal senso, tutti noi sentiamo l’esigenza che l’Unione europea svolga un ruolo più rilevante. Il modello sociale europeo dovrebbe proporsi di accrescere la fiducia nelle Istituzioni europee, soprattutto nei cittadini più poveri.

 
  
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  Thomas Mann (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, due colleghi appartenenti a gruppi diversi hanno redatto insieme un documento sul futuro del modello sociale europeo, un lavoro che ha dimostrato la propria validità. Il modello sociale europeo definisce l’unità dei valori, ma anche la varietà dei sistemi nazionali. L’insieme di valori cui ci ispiriamo comprende la solidarietà, la giustizia sociale, l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria, tuttavia la loro attuazione spetta agli Stati membri e ai loro modelli divergenti – il nordico o l’anglosassone, il continentale o il mediterraneo. I sistemi di protezione nazionale sono in grave pericolo a causa della globalizzazione e delle preoccupanti tendenze demografiche.

Occorrono ampie riforme per assicurare un finanziamento sostenibile. I sistemi devono diventare più dinamici, non devono più essere così rigidi. Trovo positivo che la relazione sostenga le PMI, che continuano a mettere a disposizione la maggior parte dei posti di lavoro e di formazione, nonché l’approccio innovativo della flessicurezza, vale a dire mercati del lavoro flessibili, organizzazione moderna del lavoro e contemporaneamente sicurezza e tutela sociale.

Tuttavia, e non esprimo solamente il parere dei tedeschi del Partito popolare europeo, vi sono tre problematiche: in primo luogo ai paragrafi 13 e 14, dove si tratta il metodo del coordinamento aperto, che non deve portare a una nuova procedura legislativa e può essere accettabile solamente se si limita allo scambio di esperienze e di prassi consolidate. I parlamenti nazionali e le parti sociali devono essere coinvolti.

In secondo luogo, il paragrafo 23, in cui si chiede con urgenza una direttiva quadro – da parte di Stephen Hughes – per i servizi di interesse economico generale, in aperta contraddizione con lo stato attuale dei negoziati.

In terzo luogo, il Fondo di adeguamento alla globalizzazione nel paragrafo 31. Respingiamo un finanziamento europeo dei trasferimenti d’impresa. Non ci occorrono né ampie procedure di approvazione, né altra burocrazia, e tanto meno una privatizzazione del capitale pubblico. Possiamo accettare solamente misure a favore della formazione continua e della riconversione professionale dei lavoratori interessati dalla globalizzazione. In tal senso contiamo sul sostegno dell’Assemblea per poter approvare la relazione nel suo complesso.

 
  
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  Alejandro Cercas (PSE).(ES) Signor Presidente, in primo luogo desidero congratularmi con i colleghi che hanno prodotto la relazione in oggetto su un tema così importante, che si pone al centro della costruzione europea. Si tratta di una relazione molto positiva, in quanto le grandi famiglie politiche del nostro Parlamento e la stragrande maggioranza dei deputati sono riuscite a mantenere la coesione in un discorso e in un compromesso comuni. Credo che sia opportuno ripetere ancora una volta che i mercati aperti e il modello sociale europeo, per la stragrande maggioranza dei deputati di questa Assemblea, fanno parte di un tutto indissolubile, una situazione che in futuro non cambierà.

Si tratta di una relazione ragionata e ragionevole: ragionata, perché se si guarda al passato si nota che col nostro modello abbiamo conseguito l’area più ampia di progresso economico e sociale in Europa e la tappa più importante di tale processo, e una relazione ragionevole perché ci permette di guardare al futuro in posizione non soltanto difensiva, bensì anche proattiva, per acquisire i grandi vantaggi della globalizzazione. Inoltre, perché non dirlo, è importante ricordare che siamo riusciti a sottolineare il valore aggiunto apportato dall’Unione a tale modello nel quale, ovviamente, l’Europa non ambisce a svolgere i compiti di pertinenza degli Stati membri, tuttavia detiene i poteri giuridici adeguati per completare e promuovere azioni puntuali che le permettano di conseguire gli obiettivi comunitari dell’occupazione e del benessere sociale.

Abbiamo a disposizione molti strumenti, tra cui la legislazione, che ci permette di difendere ragionevolmente gli obiettivi di base e i diritti fondamentali dei lavoratori, e di evitare il dumping sociale. Stiamo chiedendo per il mondo intero una nuova forma di globalizzazione che non lasci spazio per tale dumping sociale che va di pari passo con gli strumenti di deterioramento delle condizioni dei lavoratori; l’Unione deve evitare che tale fenomeno si manifesti entro i propri confini.

Signor Presidente, concludo affermando che il nostro modello riformato ha sicuramente un futuro, però tale sicurezza deve accompagnarsi ad un’altra: l’Europa economica non avrà alcun futuro se non rispetterà il suo modello sociale.

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE).(EN) Signor Presidente, in primo luogo vorrei sottolineare che in linea di principio non approvo che i due gruppi politici maggiori producano relazioni congiunte. A mio parere, tale prassi esclude fin dall’inizio eventuali altre partecipazioni.

Per quanto riguarda la relazione, in generale non mi sembra malaccio. So di non aver usato un’espressione particolarmente raffinata, ma mi fa piacere che sia stata menzionata la sussidiarietà e si esortino ad agire gli Stati membri e non l’UE. Nutro tuttavia profonde riserve su qualsiasi dibattito sul modello sociale europeo. So che abbiamo obiettivi comuni, ma non disponiamo di sistemi comuni in tutti i paesi membri per conseguire tali fini – come rilevato da altri oratori –, e nemmeno li dovremmo avere, di qui la mia preoccupazione.

So di non essere la prima a sollevare questo punto, ma non vorrei che si pensasse, qualora la relazione fosse approvata, che vogliamo impegnarci a favore di un modello sociale europeo che vada bene per tutti, invece di rispettare la diversità che abbiamo al momento. Obiettivi sociali comuni: sì. Modello sociale comune: no.

 
  
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  Mary Lou McDonald (GUE/NGL).(EN) Signor Presidente, in primo luogo desidero manifestare la mia soddisfazione per il dibattito in corso. Ogniqualvolta si discute del modello sociale europeo o della politica sociale vengono comunemente citate due banalità; la prima è che l’Europa sociale è il fulcro di tale progetto, la seconda è che si tratta semplicemente di creare risorse economiche, e che l’alta marea farà galleggiare tutte le imbarcazioni. Entrambe le affermazioni in questione sono decisamente dubbie e, se si esaminano i dati sulla povertà, sui senzatetto e sugli scompensi sociali nell’Unione, se ne comprende il motivo.

La realtà è che l’Europa sociale ha rappresentato essenzialmente un “ornamento” o un “accessorio” della partita strategica più ampia giocata dall’Unione. A mio avviso, se vogliamo condurre un reale e proficuo dibattito sulla politica sociale, dobbiamo porci gli interrogativi fondamentali e le domande difficili concernenti la politica macroeconomica comunitaria. Qual è stato l’impatto della liberalizzazione e della privatizzazione sugli emarginati? E che dire dell’abbandono progressivo dello Stato sociale? Inoltre, perché stupirci del divario incolmabile che separa i cittadini europei dall’Unione, se le politiche che perseguiamo privano i cittadini dei loro diritti?

Spero vivamente che la relazione in oggetto funga da trampolino di lancio per più profonde discussioni e analisi che ancora mancano.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI).(CS) Onorevoli colleghi, l’esperienza mostra chiaramente che il modello economico europeo è insostenibile, e non poco. Il modello sociale dovrebbe fungere da rete di sicurezza, o da trampolino, per i cittadini che non possono lavorare a causa di difficoltà temporanee, anzianità o malattia. Si è invece trasformato in un comodo luogo di riposo per coloro che non hanno voglia di lavorare. Il modello sociale europeo è un esercizio di populismo intellettualistico ed è in perdita in moltissimi paesi. Non incoraggia la responsabilità personale, non motiva le persone a migliorare le proprie qualifiche e prestazioni, promuove la pigrizia e l’assenza di responsabilità, rende i cittadini passivi e indifferenti, e alla fine induce le aziende ad allontanarsi dall’Unione, causando livelli elevati di disoccupazione negli Stati membri.

L’attuale sistema sociale populista sicuramente consente ai politici di raccogliere molti voti, ma non si tradurrà in benessere futuro per i nostri cittadini. Andrebbe detto con chiarezza che il modello sociale europeo non è un diritto acquisito, come vorrebbero farci credere i politici. E’ semplicemente una gratifica temporanea che è il risultato dell’efficienza economica.

 
  
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  Mihael Brejc (PPE-DE). – (SL) Esiste un consenso diffuso sul fatto che non esiste un unico modello sociale in Europa, bensì 25. Analogamente, si ritiene che la politica sociale rientri nella giurisdizione degli Stati membri. Dati tali punti di vista condivisi, la questione non è se sia o meno possibile conseguire un unico modello, bensì se sia ragionevole aspirare a tale uniformità.

Considero importante che la relazione in esame sottolinei alcuni valori e obiettivi fondamentali comuni dei modelli sociali europei, quali l’uguaglianza, la non discriminazione, la solidarietà e l’accesso generale all’istruzione, all’assistenza sanitaria e ad altri servizi pubblici. Per i nostri cittadini sono questi gli ingredienti essenziali di un’economia funzionante e anche di una società equa. Gli Stati membri stanno pertanto compiendo sforzi continui per armonizzare l’efficienza economica, la concorrenza e la giustizia sociale. I modi per conseguire tali obiettivi sono ovviamente destinati a variare.

La politica sociale non è un onere economico, bensì un aspetto positivo della crescita economica dell’Unione europea, in quanto genera coesione sociale, aumenta il tenore di vita e garantisce i diritti fondamentali e l’uguaglianza. La politica sociale è un fattore importante per la pace sociale, la stabilità politica e il progresso economico.

La presente relazione tratta proprio tale tema, in quanto chiede la riforma dei sistemi economici e sociali in modo da renderli capaci di affrontare le sfide dei cambiamenti demografici, della globalizzazione e del ritmo incalzante dello sviluppo economico. Ovviamente, l’Unione europea svolge un ruolo rilevante in tal senso mediante il coordinamento dei vari sforzi per l’attuazione della strategia di Lisbona, la redazione di orientamenti comuni per la crescita e l’occupazione, e la garanzia di un certo livello di coordinamento nel campo della sicurezza sociale. La relazione afferma che quest’ultima non è prerogativa della destra né della sinistra, bensì è essenziale per una società moderna.

Ogni Stato membro dell’Unione europea è alla ricerca del modello più appropriato, e tale relazione rappresenta un incentivo adeguato e una base per apportare cambiamenti ai modelli sociali degli Stati membri. Vorrei ringraziare entrambi i relatori.

 
  
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  Françoise Castex (PSE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io vorrei esordire ringraziando i due relatori per il lavoro svolto. La presente relazione, appoggiata dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali – ci tengo a sottolinearlo – ci consente di compiere un enorme passo avanti verso la definizione di un modello sociale europeo: una combinazione equilibrata di esigenze economiche e degli imperativi della giustizia sociale.

Troppi europei soffrono perché la nostra Unione non li protegge, non tutela i loro servizi pubblici, e non presta abbastanza attenzione alle conseguenze della globalizzazione. Molti temono che gli elementi strutturali più fondamentali del loro modello sociale vengano minacciati. Alla luce di tale sofferenza, è nostra responsabilità garantire i valori, ma anche dimostrare la nostra forza di volontà mediante misure concrete. Sarebbe contrario ai nostri valori e inutile cercare costi del lavoro più bassi, dipendenti più docili, imposte meno onerose, e standard ambientali, sociali, sanitari e di protezione sociale meno rigidi di quelli dei nostri concorrenti. Al contrario, la nostra identità e la nostra forza contribuiscono all’eccellenza dei nostri standard operativi di produzione.

La relazione in oggetto dimostra che, al di là delle nostre differenze, abbiamo un attaccamento comune a una società che non è solamente disciplinata dalle leggi del mercato, bensì dalla solidarietà, dalla ridistribuzione e dalla tutela dei nostri concittadini, vale a dire il nostro capitale umano, il capitale più ricco e importante che possediamo. L’Europa ha dimostrato che la nostra sicurezza sociale, la tutela dai rischi della vita e il diritto di tutti alla pensione sono stati gli ingredienti di una ricetta che è salutare per i cittadini, per la società e per l’economia, e che si riconferma la via da seguire per il futuro.

 
  
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  Jan Jerzy Kułakowski (ALDE).(PL) Signor Presidente, stiamo affrontando un argomento molto importante, anche se sono certo che non l’abbiamo trattato a sufficienza e in futuro ci vedremo costretti a tornarci sopra in più di un’occasione. Ciononostante, vorrei esprimere il mio apprezzamento per il lavoro dei relatori e i risultati da loro raggiunti.

Sono uno di quelli che credono nell’esistenza di un modello sociale europeo. Si tratta tuttavia di un modello composito, non monolitico. E’ un modello in cui la diversità dell’esperienza si basa su una comunanza di valori. Tale modello andrebbe migliorato e adattato alle sfide odierne, ma tale accorgimento non deve determinarne l’indebolimento.

Sono queste le conclusioni più significative che secondo me dovremmo trarre dall’importantissimo dibattito odierno.

 
  
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  Philip Bushill-Matthews (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, il correlatore, onorevole De Rossa, ha citato l’esigenza di una “società dignitosa”. Tale frase ha trovato eco e parallelismi nelle parole del Consiglio, che ha menzionato la necessità di una “giustizia sociale”. Auspico che tutti i gruppi della nostra Assemblea concordino sull’importanza di tali frasi e convengano che dovrebbero rappresentare non soltanto parole vuote, bensì concetti dal significato concreto. Mi auguro inoltre che gli eurodeputati di entrambi gli schieramenti dell’Assemblea riconoscano l’importanza di applicare tali concetti a tutti, all’insegna della vera inclusione sociale. In altre parole, dovrebbero avere validità non soltanto per le persone che lavorano, ma anche per coloro che non sono in grado di lavorare, nonché per coloro che vogliono lavorare, ma non trovano un impiego a causa degli eccessivi ostacoli.

Per tale ragione vorrei congratularmi – oltre che col primo correlatore – anche con l’altro correlatore, l’onorevole Silva Peneda. Nel suo intervento ha citato la necessità di riformare il modello sociale. Tale frase è stata ripresa dallo stesso Commissario, che ha menzionato l’esigenza di riforme. Tra le osservazioni espresse dal Commissario mi ha colpito quella relativa al fatto che lo status quo non rappresenta un’opzione. Il Commissario ha fatto specificamente riferimento ai 20 milioni di disoccupati, in quanto di fatto tale cifra ci ricorda costantemente una delle ingiustizie sociali più grandi che esistano. Dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo offrire il nostro aiuto in tal senso.

Secondo me, la parola chiave è “riforma”. Ho presentato un emendamento, in collaborazione con una dozzina circa di colleghi di paesi diversi, al fine di inserire nell’emendamento n. 1 relativo al considerando F la frase “modernizzazione e riforma”. La buona notizia è che l’onorevole Hughes mi ha confermato nel pomeriggio che il gruppo PSE appoggerà tale modifica. Come Assemblea, abbiamo l’occasione di dimostrare il nostro sostegno unanime a tale frase, e che non si tratta di un’espressione priva di significato, bensì di parole cariche di sostanza. I nostri elettori vogliono riforme. Domani dobbiamo dimostrare che le vogliamo anche noi e che voteremo favorevolmente.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE).(EN) Signor Presidente, accolgo con favore l’opportunità concessami di riprendere la parola e rispondere brevemente al dibattito in corso.

Ammetto di sentirmi sollevato per il fatto che gli onorevoli Clark e Helmer reputino la relazione irrilevante, in quanto temevo che la relazione suscitasse troppe lodi, e, se anch’essi l’avessero giudicata accettabile, mi sarebbe venuto il dubbio di aver sbagliato qualcosa. Pertanto sono molto soddisfatto.

Mi incuriosisce e mi stupisce che anche alcuni dei miei colleghi di sinistra del gruppo GUE/NGL sembrino ritenere irrilevante la relazione, ma forse si tratta di una reazione al punto da me sollevato, secondo cui la linea di demarcazione tra sinistra e destra starebbe cambiando nel nostro mondo moderno; non che non ci siano differenze, ma i confini si stanno spostando.

L’onorevole Crowley ha accolto con favore la relazione. Tuttavia, a rischio di perdere un voto, vorrei dire che forse l’ha fraintesa; infatti, mentre la questione del sostegno agli indigenti è importante come parte del modello sociale europeo, io non concordo – a differenza di lui – con la teoria secondo cui l’alta marea farà galleggiare tutte le imbarcazioni, anzi, accade proprio il contrario. Non abbiamo tempo di approfondire l’argomento. Mi pare tuttavia che il fulcro di tale relazione sia il fatto che la politica sociale è congenita a un’Europa fiorente, e che l’una non esclude l’altra, né bisogna aspettare che dall’una scaturisca l’altra: dobbiamo garantirle entrambe e trovare il modo di farlo tramite le riforme.

 
  
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  Iles Braghetto (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, i sistemi di sicurezza sociale appaiono sempre più in difficoltà. Le ricorrenti crisi economiche e i cambiamenti demografici, i processi di immigrazione ci obbligano a ripensare il modello sociale europeo, anche perché nell’Unione europea convivono le aree più ricche e sviluppate del mondo accanto ad altre segnate da livelli di povertà e sviluppo preindustriale, per questo ricerchiamo un modello capace di orientare lo sviluppo e la ricchezza a vantaggio di molti. Quali le sue caratteristiche? Al centro del rapporto tra persona, società e Stato, occorre porre il concetto della sussidiarietà, per cui tutti i cittadini europei possono esprimere le proprie libertà garantiti da istituzioni non opprimenti.

Va rilanciata la solidarietà sociale, per cui il progresso della società e l’aumento della ricchezza diventino processi governati dal rispetto della dignità di ognuno e dall’aiuto che i gruppi sociali sanno proporre alle persone in difficoltà. Non ci si affida né ad un ruolo esclusivo dell’istituzione pubblica, né ai meccanismi di autoregolazione del mercato, ma a una triplice solidarietà: una solidarietà individuale diffondendo valori positivi nelle persone; una solidarietà di gruppi sociali autorganizzati in reti sociali; una solidarietà istituzionale con poche regole essenziali e universalmente condivise, per uno Stato che sia capace di valorizzare tutte le energie della società.

Anche le imprese europee fanno parte di questo disegno, perché la piena occupazione è elemento portante del modello sociale, in particolare le piccole e medie imprese come ossatura di un sistema in cui si coniuga la capacità di intrapresa economica con la solidità del tessuto sociale, verso un nuovo modello sociale europeo che nella diversità delle forme e dei sistemi organizzativi attui il benessere di tutti.

 
  
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  Ana Mato Adrover (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, la relazione oggetto del dibattito odierno sul modello sociale europeo per il futuro, a proposito della quale desidero sottolineare soprattutto il consenso raggiunto tra i due grandi gruppi politici – e mi congratulo espressamente con i colleghi José Silva e Proinsias De Rossa per lo sforzo compiuto –, rappresenta una buona notizia, in quanto si propone di contribuire alla solidarietà, a una maggiore coesione sociale, a una qualità della vita più elevata e a un futuro più sostenibile dei sistemi di sicurezza sociale in Europa.

Indubbiamente l’Europa dei cittadini cui tutti aspiriamo richiede politiche sempre più coordinate, che ci permettano di affrontare le nuove sfide che emergono quotidianamente. Ad esempio, i cambiamenti demografici e l’allungamento dell’aspettativa di vita, di cui abbiamo discusso stasera, ci obbligano indubbiamente ad adottare nuove politiche, e non soltanto sanitarie, bensì di carattere sociosanitario, che consentano alla maggiore aspettativa di vita di andare di pari passo con la qualità della medesima.

La piena occupazione, il lavoro temporaneo, la disoccupazione giovanile e delle donne richiedono una politica occupazionale ambiziosa, che garantisca la stabilità e la sicurezza del posto di lavoro. Lo stesso vale anche per l’inclusione delle donne nella vita lavorativa, con l’esigenza di formule innovatrici di conciliazione e flessibilità degli orari, e per l’immigrazione, che considero una sfida più che un problema. Quest’estate nel mio paese stiamo vivendo più che mai il dramma dell’immigrazione, che sta causando gravi problemi umani. Fatto salvo l’atteggiamento assunto dal governo socialista spagnolo, che ha alimentato false aspettative e, di conseguenza, ha contribuito ad aggravare un problema già serio, la situazione in questione riguarda tutta l’Europa e, conseguentemente, richiede misure solidali ed efficaci da parte nostra.

Reputo che sarebbe importante creare una politica europea dell’immigrazione, ed è essenziale ricordarlo oggi che stiamo parlando del modello sociale europeo, in quanto l’incidenza di tale fenomeno in tutta Europa influisce moltissimo sul modello in questione. A mio parere, conviene continuare a lavorare a favore di tale modello sociale europeo, tenendo conto di tutte le sfide che ci troviamo a dover affrontare, specialmente quella dell’immigrazione.

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Onorevoli deputati, sono grato di aver avuto l’opportunità di partecipare a questo vivacissimo dibattito, che ha esaminato il modello sociale europeo da molte prospettive. Ritengo di poter sintetizzare la mia opinione come segue: le voci contrarie al modello sociale europeo sembrano essere in netta minoranza, mentre la maggior parte di voi si è espressa a favore del modello sociale europeo, quale fattore significativo nelle nostre vite. Quest’ultima posizione corrisponde anche a quella della Commissione, in termini generali.

Onorevoli deputati, vorrei riprendere alcuni punti importanti emersi nel dibattito, per poter sfruttare il tempo a me assegnato per sottolineare le aree più significative. E’ importante riconoscere che l’UE di per sé rappresenta un prodotto altamente originale, un’entità politica decisamente unica che non può essere facilmente descritta nei termini che convenzionalmente vengono utilizzati nella scienza politica. E’ inappropriato descriverla come una sorta di trattato internazionale, o parlare della medesima in termini politici consueti. Lo stesso vale anche per il modello sociale europeo: è troppo complesso per poterlo ascrivere a un’unica, semplice categoria. Desidero pertanto esprimere il mio apprezzamento per i relatori, che, a mio parere, hanno redatto un testo che affronta in maniera molto approfondita tale questione.

Un altro tema importante di questo dibattito di ampio respiro è stata la presa di coscienza che il modello sociale europeo non rappresenta semplicemente un’entità statistica, bensì si fonda generalmente sulla partecipazione attiva, e in alcuni casi sul lavoro, in quanto il lavoro, onorevoli deputati, come abbiamo sentito dire più volte, va al di là del semplice impiego; ha un carattere etico chiaramente definito ed è proprio tale attività e solidarietà etica che sta alla base del modello sociale, fatto, questo, emerso chiaramente nel corso del dibattito.

Onorevoli deputati, attenderò con interesse l’esito della vostra votazione e, come ho già precisato, molti degli approcci e posizioni già delineati dalla Commissione coincidono con quanto discusso in questa sede. Grazie mille, onorevoli parlamentari, in modo particolare grazie agli onorevoli Silva Peneda e De Rossa, per avermi dato l’occasione di partecipare al dibattito.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì alle 12.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Gábor Harangozó (PSE). (EN) La riforma del modello sociale europeo è attualmente al centro del dibattito in Europa. Infatti, i cambiamenti sociali implicano moltissime sfide, che scaturiscono dalla necessità di adeguamento alla globalizzazione, all’evoluzione demografica e all’innovazione tecnologica. In questa fase, appoggiamo l’affermazione del relatore secondo cui l’Unione dovrebbe non solo preservare, bensì anche potenziare l’insieme di valori comuni europei che coincidono col mantenimento della pace, la giustizia sociale, l’uguaglianza, la solidarietà, la promozione di libertà e democrazia, e il rispetto per i diritti umani; occorre inoltre tener conto del fatto che la prosperità economica è una condizione imprescindibile per la giustizia sociale. L’Unione deve soddisfare le aspettative dei propri cittadini e rispondere alle preoccupazioni che si stanno diffondendo per l’occupazione, l’attuale scarso tasso di crescita e la necessità di riformare i sistemi di protezione sociale. Il relatore sottolinea saggiamente che è tempo di chiedere il rinnovo comunitario del dialogo sociale, approfondendo nel contempo la cooperazione e lo scambio delle migliori pratiche mediante la versione potenziata del metodo aperto di coordinamento quale strumento politico chiave nei campi dell’occupazione, della protezione sociale, dell’esclusione sociale, della parità di genere nel mercato del lavoro, nelle pensioni e nell’assistenza sanitaria.

 
  
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  José Ribeiro e Castro (PPE-DE).(PT) Il modello sociale europeo è stato senza dubbio un fattore cruciale per la ricostruzione di un’Europa democratica nel corso del periodo postbellico del cui successo hanno beneficiato molti milioni di persone..

Tuttavia, è anche innegabile che poiché è stato istituito in un periodo caratterizzato da sovrappopolazione e relativa immobilità nei settori commerciali e industriali, deve essere aggiornato in un’epoca contrassegnata da enorme calo della popolazione, economia globale altamente competitiva e domanda costante di risorse adattabili.

La riforma è quanto mai necessaria alla luce del numero crescente di fonti di preoccupazione sociale relativamente nuove, quali l’insostenibilità dei sistemi pensionistici, la disoccupazione di lunga data, quella giovanile e quella che colpisce la manodopera qualificata.

La riduzione graduale dei poteri dello Stato e la ridefinizione del suo modello, la maggiore libertà delle economie e l’incoraggiamento dell’iniziativa privata, la creatività, la competitività e gli investimenti svolgono un ruolo essenziale per affrontare la sfida di adeguarsi alla nuova realtà.

Nonostante l’esigenza di flessibilità e la necessità di contemplare il ridimensionamento futuro di alcuni diritti che le generazioni passate davano per scontati, ritengo anche che sia essenziale che gli strati sociali più vulnerabili vengano protetti e difesi.

 
  
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  Magda Kósáné Kovács (PSE).(HU) La proposta Peneda-De Rossa è straordinaria non soltanto in termini professionali e politici, bensì come conquista morale.

A nostro parere, il modello sociale europeo non coincide col tentativo di colmare i divari tra i diversi sistemi di ridistribuzione. La relazione considera il modello sociale uno strumento importante per difendere i valori europei, che possono essere mantenuti soltanto se l’Europa continuerà a seguire la strada delineata ad Amsterdam e Lisbona, e se non verranno fatte scelte definitive nell’ambito della falsa dicotomia della competitività o solidarietà. Per conseguire tale risultato, è necessario considerare la competitività economica e la sicurezza umana alla stregua di elementi reciprocamente interdipendenti che, insieme, danno vita alle condizioni per una vita umanamente dignitosa.

Desideriamo esprimere un ringraziamento particolare agli autori della proposta per aver formulato la dichiarazione in modo tale da consentire anche ai nuovi Stati membri di identificarvisi. L’analisi della relazione Peneda-De Rossa chiude il dibattito sulla conciliabilità degli obiettivi di coesione con altri fini secondari. La dichiarazione non lascia adito a dubbi: l’identità e credibilità dell’Europa dipendono dal consentire o meno l’affondamento di paesi, regioni e gruppi socialmente vulnerabili. La riforma del modello sociale è solo uno strumento, e non un fine; è un modo per affrontare le nuove sfide rappresentate da un’Europa multinazionale, dalla globalizzazione e dall’esplosione delle informazioni.

La dichiarazione tiene conto della necessità di evitare la trappola della povertà che minaccia i nuovi Stati membri, in particolare come grave peso che opprime la coscienza europea. Sappiamo che l’invecchiamento della nostra popolazione sta dando origine a minacce che rendono il futuro dei cittadini sempre più incerto, la più importante delle quali è rappresentata dalla povertà infantile. L’Europa a cui si riferisce tale dichiarazione non può accettare una trappola della povertà destinata a inghiottire le generazioni future.

 
  
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  Katalin Lévai (PSE). – (HU) Desidero congratularmi con il relatore per l’analisi profonda e stimolante dell’Europa sociale. Concordo sul fatto che il modello sociale riguarda innanzi tutto i valori. Su tali valori, tuttavia, di cui il vecchio continente va giustamente fiero, incombono oggi gravi minacce che possono essere sventate soltanto con sforzi comuni.

Benché la crescita economica e una maggiore competitività rappresentino indubbiamente due prerequisiti per salvaguardare le conquiste della sfera sociale, non sono più in grado di aiutare i gruppi sociali che sono rimasti indietro o che non riescono a tenere il passo con la concorrenza in costante aumento, e nemmeno a prendere parte alla medesima. Al contrario, aggravano ulteriormente tali divari sociali. Un esempio raccapricciante in tal senso, in Europa occidentale, è la situazione tragica dei profughi e degli emigrati e, in Europa orientale, quella del popolo rom.

In assenza di garanzie adeguate, la creazione di nuovi posti di lavoro può tuttora far cadere nella trappola dello sfruttamento. La creazione di condizioni di parità non porta di per sé alla vera uguaglianza delle opportunità per coloro che partono svantaggiati. Al contrario, mantiene e addirittura acuisce le differenze. I prerequisiti per ridurre tali iniquità sono i sistemi di sostegno sociale fondamentali, e soprattutto l’accesso aperto a tutti a un’istruzione di alta qualità.

Eppure, persino la vittoria dei gruppi considerati competitivi è una vittoria di Pirro: le differenze eclatanti e il declino galoppante destabilizzano la società e ne lacerano il tessuto connettivo. I disordini in Francia ci hanno mostrato che nemmeno il benessere può proteggerci da una folla inferocita. Al contempo, nemmeno ridurre le retribuzioni al livello più basso possibile renderà interessante per gli imprenditori una società insoddisfatta dal punto di vista sociale. Per tale ragione, anche se convengo che l’origine delle difficoltà dell’Europa sociale e delle possibili soluzioni coincide con la crescita economica e con la competitività, non possiamo incappare nell’errore di trattare tali concetti come tesi inconfutabili e come obiettivi finali. L’espressione migliore per sintetizzare tale tesi è stata forse individuata dall’ex presidente del gruppo socialista al Parlamento europeo, Robin Cook: l’economia deve essere sempre al servizio del popolo, e non viceversa.

 

15. Sistema di scambio delle quote di emissioni di gas a effetto serra: piani nazionali di attribuzione (2008-2012) (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sul sistema di scambio delle quote di emissioni di gas a effetto serra: piani nazionali di attribuzione (2008-2012).

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EL) Signor Presidente, il cambiamento climatico è il principale problema ambientale con cui si trova confrontato il nostro pianeta. Se le azioni che abbiamo previsto per affrontarlo non produrranno risultati, in futuro tale cambiamento avrà conseguenze economiche e sociali disastrose a livello mondiale.

Per questo il Protocollo di Kyoto, che è stato firmato e ratificato nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, prevede una riduzione del 5,2 per cento delle emissioni di biossido di carbonio e altri gas a effetto serra da parte dei paesi sviluppati e, nel quadro di tali disposizioni, l’Unione europea si è impegnata a ridurre le emissioni dell’8 per cento rispetto ai livelli del 1990.

Per realizzare tale obiettivo nel periodo che va dal 2008 al 2012 abbiamo avviato diverse misure a livello comunitario e nazionale. Molte di queste misure sono contenute nel primo e nel secondo programma europeo sul cambiamento climatico. La misura principale che abbiamo adottato e che è entrata in vigore il 1° gennaio 2005 è il sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni di gas a effetto serra, e in particolare il biossido di carbonio.

Questo sistema costituisce il metodo più efficace ed economico per ridurre i gas a effetto serra nel medio e lungo periodo. Il sistema copre il 50 per cento circa delle emissioni di biossido di carbonio nell’Unione europea e, interessando approssimativamente 11,5 milioni di imprese e impianti industriali e di altro tipo, è il principale schema per lo scambio di quote di emissioni di gas al mondo. Si tratta senza dubbio dell’unico sistema esistente a livello internazionale e molti paesi hanno aderito a questo schema, che contempla diverse sfere di attività economica.

Il successo del sistema di scambio dell’Unione europea riveste un’importanza fondamentale perché permetterà di formare una base che è nostra intenzione utilizzare come schema di riferimento per creare un sistema internazionale di scambio delle quote di emissioni di gas a effetto serra.

Si tratta di un modo efficace di ridurre le emissioni di gas a effetto serra a livello globale e, in particolare, ci permette di garantire che Stati sviluppati come gli USA, che sono il paese numero al mondo per le emissioni di gas a effetto serra e che sono responsabili di un quarto di tutte le emissioni di biossido di carbonio, contribuiscano a questa riduzione, consentendoci ovviamente anche di trovare una soluzione accettabile per i paesi in via di sviluppo, che a loro volta stanno emettendo sempre più gas a effetto serra.

Avrete letto tutti sui giornali quanto è avvenuto di recente in California, dove è stata lanciata una iniziativa volta ad attivare nel 2009 uno schema simile al sistema europeo per lo scambio di emissioni di biossido di carbonio e altri gas a effetto serra. E’ stato avviato un progetto analogo, destinato però esclusivamente a società elettriche, in sette Stati nordorientali degli USA e sembra che si stiano già esercitando pressioni dal basso sul governo federale affinché si inizi ad affrontare la questione di un sistema globale di scambio delle quote di emissioni di gas a effetto serra.

Devo sottolineare che non possono esserci dubbi sulla determinazione della Commissione europea a mantenere e migliorare questo schema al fine di ottenere la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra necessaria a stabilizzare le concentrazioni di questi gas nell’atmosfera.

La primavera scorsa, in ottemperanza degli impegni assunti, le imprese interessate dal sistema comunitario hanno notificato le loro emissioni di biossido di carbonio, che sono state verificate da revisori indipendenti. Disponiamo così per la prima volta di un quadro coerente dei valori effettivi, controllati da agenzie indipendenti, delle emissioni di biossido di carbonio nell’Unione europea.

Le emissioni effettive si sono rivelate inferiori rispetto a quanto molti avevano previsto. A questo punto, si può giungere alle seguenti conclusioni.

Innanzi tutto, per quanto riguarda le attività di monitoraggio, comunicazione dei dati e verifica delle emissioni, il sistema funziona molto bene. Dai risultati della verifica del 2005 è emerso che le imprese hanno ottemperato in maniera soddisfacente agli obblighi di base previsti dal sistema di scambio. L’infrastruttura del sistema sta funzionando bene.

In secondo luogo, i meccanismi basati sul mercato si sono rivelati un successo e sembra che il sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni stia già dando i primi frutti.

In terzo luogo, e questo è probabilmente il punto più importante, gli Stati membri possono – e devono – aspettarsi che i settori interessati apportino un contributo decisamente maggiore alla riduzione delle emissioni, soprattutto se si ricorda che l’Unione europea nel suo complesso è ancora lungi dal rispettare gli impegni assunti sulla base del Protocollo di Kyoto.

Come sapete, gli Stati membri devono notificare i loro piani nazionali di assegnazione che, complessivamente, determinano a loro volta il limite massimo per l’intera Unione europea per il periodo di scambio 2008-2012, che coincide con il primo periodo di applicazione degli impegni assunti con il Protocollo di Kyoto.

Fino a ieri la Commissione aveva ricevuto 10 piani nazionali di assegnazione rappresentanti all’incirca la metà delle quote totali approvate dalla Commissione durante il primo periodo di scambio. I paesi in questione sono Germania, Estonia, Lituania, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Polonia, Slovacchia, Regno Unito e, ieri, la Grecia.

I restanti Stati membri non hanno ancora notificato alla Commissione i loro piani nazionali di assegnazione. Tuttavia, dieci di essi sono già disponibili come piani preliminari nel quadro della consultazione pubblica. Provengono dai seguenti Stati membri: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Finlandia, Francia, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna.

I piani nazionali di assegnazione che sono stati notificati sono attualmente sottoposti al vaglio della Commissione. Come capirete, la Commissione non può formulare alcuna osservazione concreta in questa fase.

Quanto al nostro approccio più generale alla questione, sarò chiaro: la Commissione utilizzerà ogni mezzo politico e giuridico a sua disposizione per fare in modo che i piani nazionali rispettino sia gli impegni assunti nel quadro del Protocollo di Kyoto sia i dati effettivi sulle emissioni verificate per il 2005. Oltre a tener conto della scarsità sul mercato, verranno così garantite anche condizioni di parità di partecipazione per le imprese.

Gli Stati membri che sono ancora lontani dagli obiettivi stabiliti dal Protocollo di Kyoto devono utilizzare i piani nazionali soprattutto per contribuire a raggiungere le riduzioni previste e, punto ancora più importante, gli Stati membri che hanno registrato le prestazioni peggiori devono distribuire meno quote rispetto al primo periodo di scambio. Sarà nostro compito garantire una valutazione equa e rigorosa di tutti i piani.

Infine, desidero assicurarvi che per la Commissione è molto importante che tutti gli Stati membri presentino i loro piani nazionali di assegnazione per il secondo periodo di scambio il più rapidamente possibile; abbiamo già inviato una lettera, una sorta di avvertimento preliminare, ai paesi che sono in ritardo, prima di avviare le procedure di infrazione.

Se gli Stati membri non invieranno le informazioni che sono tenuti a fornire, la Commissione valuterà l’ipotesi di intraprendere ulteriori azioni. Sono certo che ciò non sarà necessario e che, nei prossimi giorni, entro il mese venturo, gli Stati membri faranno pervenire i loro piani di assegnazione per lo scambio delle quote di emissioni di gas a effetto serra.

 
  
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  Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, il Consiglio condivide il parere della Commissione secondo cui il sistema di scambio delle emissioni dell’Unione europea è uno dei pilastri della politica comunitaria sul clima. E’ proprio questo strumento che ha aiutato l’Unione europea a dare prova di leadership nella risposta alla sfida del cambiamento climatico. I prezzi del carbone saranno un elemento fondamentale negli sforzi volti a stimolare lo sviluppo e l’adozione di tecnologie rispettose dell’ambiente.

Come tutti i nuovi sistemi, anche lo scambio di emissioni ha incontrato notevoli difficoltà nelle sue fasi iniziali. Dobbiamo pertanto valutare con attenzione il modo di migliorare ulteriormente il sistema, affinché possa realizzare l’obiettivo di ridurre i gas a effetto serra in maniera economicamente efficace. Ciò sarà possibile grazie alla prossima relazione di valutazione della Commissione.

E’ ora in corso un progetto di ragguardevoli dimensioni per l’elaborazione di altri piani nazionali di assegnazione. Gli Stati membri li stanno preparando e spetterà alla Commissione valutarli, conformemente a quanto stabilito a chiare lettere dalla direttiva sullo scambio delle quote di emissioni adottata dal Consiglio e dal Parlamento europeo tre anni fa.

Nella primavera di quest’anno abbiamo tratto un’esperienza preziosa dalle relazioni sui dati relativi alle emissioni del 2005. Ora dobbiamo valutare il modo di migliorare la trasparenza del sistema sulla base di tale esperienza. Se lo schema sarà trasparente saremo maggiormente in grado di garantire che i dati di mercato siano contemporaneamente disponibili a tutti gli operatori in maniera coerente e coordinata.

Contestualmente al processo relativo ai piani di assegnazione, la Presidenza finlandese lancerà una revisione della direttiva sullo scambio delle quote di emissioni. E’ particolarmente importante che il sistema possa inviare agli operatori il chiaro segnale che vale la pena di investire in tecnologie a basso contenuto di carbonio e rispettose dell’ambiente.

 
  
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  Avril Doyle, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, porgo il benvenuto a questo dibattito alla Commissione e alla Presidenza. Vorrei sapere perché venerdì scorso questo punto è stato iscritto all’ordine del giorno all’ultimo minuto, senza le debite consultazioni tra i vari gruppi politici. Era una formalità puramente tecnica rispettare l’impegno di tornare in Parlamento entro il 30 giugno, pur con un ritardo di un paio di mesi? Ma lasciamo perdere: il tempo è troppo prezioso per essere sprecato.

Il gruppo PPE-DE sostiene pienamente il sistema di scambio delle quote di emissioni e i traguardi che ci siamo prefissi di raggiungere nel quadro di Kyoto e conviene sulla necessità di continuare a esercitare pressioni verso il basso su ciascuno dei 25 Stati membri affinché rispettino i loro obiettivi riguardo ai gas a effetto serra, conformemente a quanto stabilito dal Protocollo di Kyoto. Questo è fuori discussione.

Rilevo ciò che il Commissario ha appena affermato in merito alle conclusioni della revisione del 2005: “Il sistema funziona bene, i risultati sono stati buoni, lo schema procede a meraviglia”. Signor Commissario, non so se questo è un esercizio di pubbliche relazioni e in realtà non vogliamo che i nostri eventuali ascoltatori conoscano la verità. Sono assolutamente favorevole a un sistema di scambio delle emissioni pienamente funzionante, come lo sono tutti i miei colleghi, ma il sistema non funziona bene. So che siamo solo agli inizi, il che deve esortarci a riflettere prima di parlare dopo quello che è stato un periodo di revisione di soli 18 mesi. La teoria è buona, ma la pratica è stata pessima e non è affatto coincisa con la teoria. Dobbiamo esaminare urgentemente questa situazione.

L’idea era che al termine di ogni anno la quantità di biossido di carbonio effettivamente emesso dovesse coincidere con il numero di autorizzazioni ad emettere gas serra presentate da un’impresa al proprio governo. Con questa misura si intendevano esercitare pressioni sulle imprese affinché diminuissero le loro emissioni. Che cosa è successo? Nel primo anno, il 2005, le emissioni effettive di biossido di carbonio di 21 paesi sono state inferiori di 44 milioni di tonnellate rispetto al numero di autorizzazioni ad emettere CO2 concesse dai 21 governi in questione. Non ne è scaturita alcuna pressione verso il basso per ridurre le emissioni, bensì un mercato molto volatile del carbonio che è fluttuato da 31 euro a tonnellata a 8 euro, per poi risalire a 16 euro a tonnellata. Convengo sulla necessità di un mercato del carbonio perfettamente funzionante. E’ indispensabile che l’industria creda a ciò che diciamo. Dobbiamo essere credibili, tanto nella pratica quanto nella teoria. Potrebbe cortesemente illustrare alcuni degli emendamenti che intende inserire nella direttiva prima del secondo periodo dei piani nazionali di assegnazione?

Tra l’altro, il 13 luglio anche l’Irlanda ha presentato il suo piano nazionale di assegnazione, ma lei non ha citato il mio paese tra quelli che ha elencato. Vorrei che confermasse che l’Irlanda lo ha presentato. Forse in patria mi raccontano delle frottole!

 
  
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  Dorette Corbey, a nome del gruppo PSE. – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, Presidente Halonen, sono lieta di questo dibattito. Mi fa inoltre piacere sentire che, a parere della Commissione e del Consiglio, il sistema di scambio delle quote di emissioni funziona bene. Il nostro gruppo si è dedicato anima e corpo alla realizzazione di questa direttiva, e quindi è importante che funzioni bene. Vorrei tuttavia formulare alcune osservazioni e, come l’onorevole Doyle, nutro anch’io qualche dubbio.

Innanzi tutto, è un peccato che finora solo nove paesi abbiano presentato i loro piani. E’ confortante sapere che la Commissione si sta occupando della questione, ma è deludente apprendere che solo nove paesi hanno rispettato i tempi.

In secondo luogo, penso che gli Stati membri siano stati troppo generosi nelle loro recenti assegnazioni e che gli scarsi effetti prodotti dalla direttiva sullo scambio delle quote di emissioni siano imputabili a questo motivo.

Un altro problema politico particolarmente evidente sono i profitti eccezionali ricavati dalle società elettriche. A queste imprese sono state assegnate quote gratuite, che esse sono riuscite a vendere alle industrie ad alta intensità energetica e anche ai consumatori, e questo è ovviamente difficile da digerire in un momento in cui le società elettriche stanno in ogni caso aumentando i loro profitti.

Signor Commissario, vorrei che venisse effettuata una valutazione completa della direttiva, e penso che, alla luce di questa generosa assegnazione e dei profitti eccezionali ricavati dalle società elettriche, dovremmo anche chiederci se non sarebbe di gran lunga preferibile passare a un sistema di aste anziché affidarci al sistema di controllo di cui disponiamo attualmente.

 
  
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  Chris Davies, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, sapevamo tutti che avremmo imparato con la pratica e che la prima volta non saremmo riusciti nel nostro intento e, di fatto, la prima volta è andata proprio così! E’ ovvio che, assegnando più quote di quante siano le emissioni, abbiamo ovviamente rischiato di minare la credibilità dell’intero sistema, ma ora siamo nella seconda fase del processo e dobbiamo avere imparato la lezione.

Ringrazio il Commissario di essere venuto in Aula e di avere implicitamente nominato gli Stati membri che finora non hanno rispettato i tempi per la presentazione dei piani. Non andremo da nessuna parte se gli Stati membri non terranno effettivamente fede agli impegni assunti. Mi auguro che il Ministro iscriva questo punto all’ordine del giorno del Consiglio “Ambiente” del 23 ottobre. Ora che possiamo vedere i ministri in televisione, sono ansioso di assistere al loro imbarazzo quando lei li additerà, signor Ministro, indicandoli uno ad uno, e chiederà loro spiegazioni sulla mancata presentazione dei piani.

Questi piani vengono troppo spesso presentati in ritardo e con negligenza. La Commissione deve essere giusta, ma severa. Il Parlamento si aspetta che facciate in modo che i piani nazionali di assegnazione rispettino gli obiettivi previsti dal sistema di scambio delle emissioni, e molti Stati membri che si impegnano seriamente e che hanno presentato i loro piani vi sosterranno e chiedono che garantiate parità di condizioni e che gli altri paesi si allineino.

A prescindere dalle loro affermazioni, molti Stati membri stanno cercando una via d’uscita dal sistema di scambio delle emissioni. Spetta a voi assicurarvi che le uscite di sicurezza siano tutte sbarrate.

 
  
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  Claude Turmes, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, noi Verdi siamo assolutamente d’accordo con i nostri colleghi. Ci troviamo in un momento critico: il tempo degli inganni è finito. Il comportamento tenuto da Francia, Polonia e Germania con le sovra-assegnazioni non può continuare. Tuttavia, userò il mio tempo di parola per sollevare un’altra questione, ovvero la distorsione del mercato.

Se si esamina il piano di assegnazione tedesco, si osserva che esiste una clausola speciale per la RWE, che ottiene quattro anni di una quota di una vecchia centrale elettrica. D’altro canto, i tedeschi hanno escluso del tutto i nuovi entranti. Il mercato energetico tedesco è già completamente dominato da quattro società. Il secondo piano di assegnazione tedesco ha un’agenda nascosta: impedire investimenti nelle centrali elettriche a gas in Germania, perché è proprio questo il timore delle quattro grandi società. Di conseguenza, la DG Concorrenza della Commissione deve essere pienamente coinvolta nella revisione.

Lei ha toccato un’altra questione: perché agire in questo modo, ovvero mettere una tassa sulla CO2 affinché sia possibile investire in tecnologie efficienti? Occorre esaminare i piani di assegnazione di Polonia e Germania. Che cosa fanno questi paesi? Per un investimento in una centrale elettrica a carbone in Germania, prevedono 14 anni di assegnazioni piene. Non esiste alcun tipo di incentivo per passare dal carbone al gas, ovvero l’alternativa più economica esistente in Europa per ridurre le emissioni di CO2.

I piani di assegnazione di Germania e Polonia sono scandalosi, poiché distruggono l’intero sistema di incentivi. Signor Commissario, lei ha una grande responsabilità in questo momento.

 
  
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  Roberto Musacchio, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa discussione sulla compravendita delle emissioni è una parte importante ma anche rischiosa del tema del trattato di Kyoto. Siamo molto critici su quella che può risultare una semplice compravendita del diritto di inquinare, per giunta ai danni dei paesi che soffrono il sottosviluppo, addirittura inefficace, come abbiamo sentito, per ridurre veramente le emissioni.

Dobbiamo essere molto chiari, soprattutto alla vigilia di una conferenza tra le parti, la tredicesima sul clima, che si terrà proprio emblematicamente in Africa a Nairobi. Non dobbiamo fare il mercato dell’inquinamento, ma promuovere il nuovo sviluppo ambientale grazie a politiche di cooperazione che devono consentire ai paesi più ricchi di produrre inquinando assai meno e a quelli più poveri di essere aiutati a svilupparsi con l’accesso a nuove tecnologie ambientali.

Dunque una differenza sostanziale su cui l’Europa, la quale parteciperà alla conferenza di Nairobi, deve essere chiara, calibrando bene il rapporto tra gli scambi di emissione e la promozione di vere politiche virtuose di cooperazione.

 
  
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  Peter Liese (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, il cambiamento climatico è una delle sfide più cruciali che noi politici dobbiamo affrontare. Benché lo scambio di emissioni dovesse essere uno dei principali strumenti con cui fare direttamente fronte a questa sfida, va detto che i risultati raggiunti finora dalla sua fase iniziale non sono propriamente convincenti.

Si era stabilito che lo scambio di emissioni sarebbe dovuto iniziare il 1° gennaio 2005, ma in molti Stati membri questo non è avvenuto. I piani nazionali di assegnazione – compresi quelli approvati dalla Commissione nella prima fase – in realtà non sono stati ambiziosi e ciò che, ovviamente, ha davvero irritato le imprese nei paesi dotati di piani adeguatamente ambiziosi, è stato che i criteri per l’assegnazione di certificati di emissione variavano moltissimo, cosicché, ad esempio, un’acciaieria o un impianto per la produzione di gesso ottenevano molti più certificati di emissione in un paese che in un altro. Queste disparità non erano semplicemente una conseguenza della ripartizione degli oneri prevista da Kyoto; in alcuni casi erano state esagerate e, ciò, ovviamente, ha portato a una distorsione della concorrenza.

Durante la formulazione della risoluzione sullo scambio delle emissioni, avvenuta attraverso la codecisione, quest’Aula si è espressa a favore di norme molto chiare e precise, richiesta che però è stata ritenuta inutile dalla Commissione, la quale ha risposto che si poteva gestire la situazione ed evitare gli eccessi attraverso il diritto della concorrenza. Ho l’impressione che la Commissione debba esaminare nuovamente e più da vicino il problema, evitando distorsioni della concorrenza tra gli Stati membri e tra le imprese al loro interno.

Per quanto riguarda la prossima fase, l’obiettivo non deve essere – com’era nella prima – il funzionamento più o meno approssimativo dello scambio di emissioni; al contrario, il sistema deve funzionare bene. Le distorsioni della concorrenza devono, per quanto possibile, essere evitate e, se la politica europea vuole essere credibile, si devono ridurre al massimo le emissioni di CO2.

 
  
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  Karin Scheele (PSE). – (DE) Signor Presidente, il Commissario Dimas ha dichiarato che i piani nazionali di assegnazione sono stati presentati da soli nove paesi – che però sono dieci, se le affermazioni dell’onorevole Doyle corrispondono al vero e anche l’Irlanda ha agito in tal senso – e che solo sei di essi hanno rispettato il termine previsto della fine di giugno. Il nostro ritardo in simili questioni è particolarmente allarmante se si considera che abbiamo effettivamente assistito a un rinnovato aumento delle emissioni, soprattutto nei vecchi Stati membri. Che cosa possono fare la Commissione, il Consiglio europeo e la Presidenza del Consiglio per esercitare pressioni in quest’area, andando oltre la mera elaborazione di risoluzioni e procedendo alla loro effettiva applicazione?

Il secondo punto che vorrei sollevare riguarda la sostanza di questi piani d’azione nazionali. Vorrei sapere in che modo la Commissione e il Consiglio europeo possono garantire che i piani d’azione nazionali siano rigorosi, che i nostri Stati membri siano tenuti a rispettare i requisiti del Protocollo di Kyoto e ad osservare le nostre stesse leggi e sia impedito loro di sfuggire ai propri obblighi.

 
  
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  Rebecca Harms (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, vorrei che ci soffermassimo nuovamente sul piano di assegnazione presentato dalla Germania e il motivo della mia richiesta è che l’anno prossimo la Germania assumerà non solo la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, ma anche quella del G8, presidenze che sono entrambe fondamentali in termini di protezione del clima e politica energetica. Sarà la Germania che dovrà farsi carico dei preparativi dell’importante riunione ONU dell’anno prossimo – il 2007 – e sarà a Heiligendamm che verranno adottate decisioni fondamentali.

Credo che il piano di assegnazione presentato dalla Repubblica federale dimostri che il governo tedesco non è idoneo a espletare tali funzioni, anzi, le modalità di assegnazione dei certificati dimostrano già fin d’ora che alcuni grandi fornitori energetici tedeschi utilizzeranno questo scambio di emissioni come pretesto per aumentare ulteriormente i prezzi, come già hanno fatto l’anno scorso.

Da questo piano di assegnazione emerge inoltre chiaramente che la Germania è restia a offrire incentivi per il passaggio dal carbone a combustibili che generano meno biossido di carbonio. A mio avviso si tratta di un comportamento vergognoso e assolutamente insostenibile rispetto all’attuale dibattito sul clima. Se l’UE intende comportarsi come deve e, in futuro, svolgere ancora una volta un ruolo guida in materia di protezione del clima, lo Stato tedesco – che in ultima analisi riveste un’importante responsabilità per Kyoto e nel processo post-Kyoto – deve essere esortato a cambiare atteggiamento.

 
  
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  Evangelia Tzampazi (PSE). – (EL) Signor Presidente, accolgo con favore la dichiarazione della Commissione sui sistemi di scambio delle quote di emissioni di gas a effetto serra. Il cambiamento climatico sta avendo un forte impatto economico e sociale. Di conseguenza, l’inquinamento va pagato a caro prezzo.

Un punto che rafforza la credibilità dello schema complessivo è la dichiarazione delle emissioni presentata da ogni impresa all’autorità nazionale competente. Vi sono imprese che presentano dichiarazioni certificate da agenzie e aziende specializzate, mentre altre non sono certificate.

La Commissione ha dunque l’enorme responsabilità di tutelare e rafforzare la credibilità del sistema di scambio e le chiediamo di avviare le iniziative necessarie a salvaguardare i nuovi schemi da simili distorsioni.

Propongo, nella fase antecedente alla valutazione dei secondi piani nazionali per il 2008-2012, che la Commissione europea adotti le misure necessarie per impedire agli Stati membri di assegnare quote di emissioni eccessivamente generose a determinate imprese.

Chiedo inoltre alla Commissione di sorvegliare la rigorosa applicazione della metodologia prevista, affinché i fattori di emissione vengano applicati non agli impianti di combustione nel loro complesso, ma a ogni unità di combustione.

 
  
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  Satu Hassi (Verts/ALE). – (FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, qui è in gioco la credibilità della politica comunitaria per la protezione del clima. Secondo la Deutsche Bank, solo cinque dei piani per l’assegnazione delle quote di emissioni pubblicati dagli Stati membri per la prossima fase soddisfano i criteri principali. Sappiamo tutti che, per proteggere il pianeta nei prossimi anni, dobbiamo convincere i maggiori paesi in via di sviluppo ad accettare di limitare le loro emissioni. Come possiamo pensare che accolgano la nostra richiesta se l’UE non mantiene gli impegni assunti nel quadro di Kyoto? Anche gli Stati Uniti d’America osservano le nostre azioni. Finora l’operato dell’Unione europea ha incoraggiato gli americani che vogliono che il loro paese sia coinvolto nella protezione del clima a livello globale, ma, se non manterremo gli impegni previsti da Kyoto, la nostra inadempienza costituirà una vittoria per coloro che si oppongono alla protezione del clima negli Stati Uniti e in altri paesi.

La Commissione ora deve dare prova di determinazione e insistere affinché gli Stati membri dell’UE rispettino i criteri chiave dello scambio delle emissioni. Purtroppo, uno dei primi Stati membri in cui il governo si è già piegato alle richieste di un’impresa inquinante nella prima fase dello scambio di emissioni è la Finlandia. Rivolgo un appello alla Commissione affinché impedisca il diffondersi di questo tipo di finlandizzazione.

 
  
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  Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei innanzi tutto ringraziarvi per questo eccellente dibattito, di cui, a nome del Consiglio, desidero commentare alcuni punti.

In primo luogo, per quanto riguarda i livelli di emissioni, non dobbiamo trarre conclusioni affrettate dopo solo un anno: è indubbiamente necessario esaminare la questione dopo un periodo più lungo. Ad esempio, per noi dell’Europa settentrionale le temperature annuali – ovvero la rigidità o la mitezza del clima invernale – e lo stato dei mari, dei laghi e dei fiumi sono estremamente importanti, non solo per il consumo di energia, ma anche per la produzione energetica, e di conseguenza anche per i volumi delle emissioni. Le cose possono dunque cambiare molto da un anno all’altro a causa di questi fattori.

Come si è affermato nel corso del dibattito, gli Stati membri sono ora impegnati nella pianificazione delle assegnazioni per la prossima fase e, oltre ai paesi che hanno già presentato le loro proposte alla Commissione, circa altri dieci hanno già pubblicato i loro piani e si trovano nelle fasi finali della gestione a livello nazionale. Gli altri Stati membri non sono ancora arrivati a questo punto, ma sono certa che stanno compiendo progressi. Dobbiamo renderci conto che queste cifre si riferiscono a 27 paesi europei, e non solo a 25.

In questa sede si è affermato che si sono riscontrati difetti nel sistema di scambio delle emissioni e di conseguenza è molto importante che ora la Commissione ne valuti la fattibilità in maniera molto approfondita e da diversi punti di vista. Siamo in attesa della valutazione della Commissione, che dovrebbe essere presentata nel corso dell’autunno, forse molto presto. Conveniamo tuttavia che, nonostante le imperfezioni, questo sistema è assolutamente necessario: deve essere valutato alla luce del suo obiettivo originario, ovvero fungendo da vero e proprio incentivo affinché le parti interessate investano in una tecnologia senza emissioni di carbonio e rispettosa dell’ambiente.

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare tutti gli oratori per i contributi apportati alla discussione di questo pomeriggio. Ci rendiamo conto che sono molto preoccupati da questo problema globale e dal modo in cui l’Unione europea sta reagendo ad esso.

Prima di continuare, vorrei assicurare all’onorevole Doyle che questa discussione non è stata utilizzata come copertura dalla Commissione, per il semplice fatto che il dibattito odierno è stato richiesto dal Parlamento e non da noi. Di conseguenza non può trattarsi di una copertura. Inoltre, quanto al mio mancato accenno alla presentazione di un piano di assegnazione nazionale da parte dell’Irlanda, i miei documenti contengono indicazioni in tal senso. Ho parlato di dieci Stati membri e pensavo di avere citato anche l’Irlanda, ma, se non mi ha sentito nominare il suo paese, allora ha ragione.

Quanto al futuro, per quanto riguarda la revisione, sto ora preparando un’accurata revisione del sistema di scambio delle quote di emissioni dell’Unione europea al fine di individuare i miglioramenti da apportare dopo il 2012. Non ho potuto farlo prima perché fino al 30 giugno 2006 non avevamo nemmeno ricevuto le emissioni effettive. Le emissioni sono state rese note il 15 maggio 2006, ma alcuni paesi hanno comunicato le loro emissioni effettive il 30 giugno 2006. Come avremmo dunque potuto procedere alla revisione prima di conoscere le emissioni effettive?

Più in là nel corso dell’anno, dopo che nelle prossime settimane verrà adottata la relazione sulla revisione del sistema di scambio delle quote di emissioni dell’Unione europea, la Commissione attiverà un gruppo di parti interessate nel quadro del programma europeo per il cambiamento climatico al fine di intensificare il dibattito sulla revisione. Sono fermamente convinto che, per garantire un risultato di qualità elevata, dobbiamo concentrare il dibattito sulla revisione all’inizio del processo. Le questioni prioritarie da affrontare nel corso della revisione sono quindi l’armonizzazione e l’estensione della portata della direttiva, l’ulteriore armonizzazione e la maggiore prevedibilità dei processi di fissazione dei massimali e di assegnazione – tenendo conto della competitività, di un rispetto e di un’applicazione delle norme più rigorosi, del collegamento ai sistemi di scambio nei paesi terzi e di un maggiore coinvolgimento dei paesi in via di sviluppo.

La Commissione ha già confermato la propria intenzione di affrontare l’impatto del cambiamento climatico dell’aviazione attraverso lo scambio di emissioni. Esistono molte buone idee per rendere più efficace lo scambio di emissioni, tra cui la garanzia di una certezza a più lungo termine sulle assegnazioni e una maggiore armonizzazione in diversi settori.

Ci occorre altro tempo per discutere e sviluppare ulteriormente queste valide idee. Intendo dunque fare in modo che la Commissione presenti una proposta legislativa nel corso del 2007.

A questo punto vorrei fornire una breve risposta riguardo alle preoccupazioni espresse sulle società elettriche che traggono profitti eccezionali facendosi pagare le assegnazioni, nonostante esse le ricevano gratuitamente. Alcune società hanno agito in questo modo. Il prezzo dell’elettricità è aumentato, non solo a causa del sistema di scambio delle emissioni, ma soprattutto a causa degli elevati prezzi dei carburanti e della mancanza di concorrenza nei mercati dell’energia e del gas – una mancanza di liberalizzazione. Tuttavia, come ha affermato una deputata, forse un sistema di vendita all’asta e la liberalizzazione potrebbero rappresentare una soluzione; in questo modo eviteremmo che le società elettriche traggano profitti eccezionali facendo pagare ai consumatori un prezzo più elevato per l’elettricità. In conformità della direttiva, nel secondo periodo di scambio delle emissioni è possibile ricorrere alle aste entro il limite del 10 per cento. Questa sarà una delle questioni di cui si discuterà durante il periodo di revisione della direttiva.

Guardando al passato, possiamo dire che l’infrastruttura per lo scambio di emissioni è solida e il mercato delle quote si sta sviluppando piuttosto bene. Nel primo anno di funzionamento, il 2005 – almeno secondo i dati della Banca Mondiale – si stima che siano stati scambiati 320 milioni di quote tramite intermediari di mercato, per un valore di oltre 6 milioni di euro. Pertanto, nessuno può dire che il sistema di scambio delle emissioni ha fallito.

Nel 2006, il volume mensile degli scambi ha conosciuto un aumento costante, raggiungendo volumi di 80-100 quote in un mese particolarmente intenso. Diversi scambi organizzati in Europa offrono piattaforme per lo scambio di quote e molti altri intermediari di mercato, come i broker, sono a loro volta attivi sul mercato.

Vorrei spendere alcune parole sulla cosiddetta “sovra-assegnazione” di quote a impianti contemplati dal sistema di scambio delle emissioni. E’ assodato che le quote assegnate hanno superato di circa il 3 per cento le emissioni effettive. Ciò potrebbe essere dovuto a vari motivi, uno dei quali potrebbe essere che gli impianti delle società hanno reagito al sistema di risparmio delle emissioni e agli obblighi derivanti dal sistema e hanno attuato le più ovvie e semplici riduzioni delle emissioni migliorando l’efficienza energetica, ad esempio, o predisponendo altre misure di facile adozione. In Germania abbiamo assistito a un’effettiva riduzione delle emissioni di biossido di carbonio degli impianti. Un altro motivo potrebbe essere la mitezza dell’inverno 2005, che ha ridotto il costo del riscaldamento, e – forse la ragione principale – le imprese che hanno partecipato al sistema sono state eccessivamente ottimiste sulla crescita del loro volume di affari e hanno sopravvalutato le loro emissioni, mentre gli Stati membri hanno accettato in maniera compiacente i dati da esse forniti.

Tuttavia, durante il secondo periodo di scambio, abbiamo espresso chiaramente a tutti gli Stati membri la necessità di rispettare i 12 criteri della direttiva, soprattutto da parte di quei paesi che non si sono impegnati formalmente a raggiungere la loro quota ideale, che contribuirà all’obiettivo complessivo dell’Unione europea. Occorre inoltre tenere conto pienamente delle emissioni di cui disponiamo attualmente.

Sarò severo, ma equo con gli Stati membri per quanto riguarda i piani di assegnazione nazionali e sono molto lieto del sostegno a questo approccio che è emerso dai vostri contributi odierni.

Spetta innanzi tutto ai governi proporre alla Commissione piani volti a garantire che il sistema di scambio delle emissioni contribuisca a realizzare i nostri obiettivi ideali. Al tempo stesso, tutte le parti interessate devono partecipare al processo di miglioramento e ampliamento dello schema dell’Unione europea, in modo da garantire un mercato globale del carbonio che permetta di realizzare la riduzione delle emissioni necessaria a far fronte al cambiamento climatico.

Desidero ringraziarvi per il ricco dibattito corredato da importanti e incoraggianti contributi e per il vostro costante sostegno nella lotta contro il riscaldamento globale e la minaccia posta alle generazioni future.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. KAUFMANN
Vicepresidente

Presidente. – La discussione è chiusa.

 

16. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0325/2006).

Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte alla Commissione.

Prima parte

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 39 dell’onorevole Manuel Medina Ortega (H-0601/06):

Oggetto: Allargamento e immigrazione illegale

Nella prospettiva dell’allargamento dell’UE, con l’adesione di nuovi paesi dell’Europa centro-orientale le cui frontiere sono di difficile controllo, quali misure propone di adottare la Commissione onde impedire che i futuri allargamenti agevolino l’ingresso nel territorio dell’Unione di immigrati clandestini provenienti da paesi terzi?

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Come sapete, i nuovi Stati membri sono tenuti a garantire un elevato livello di controllo delle frontiere al momento dell’adesione. Per quanto riguarda l’innalzamento dei livelli di controllo dei confini interni, i nuovi Stati membri sono valutati da esperti degli Stati membri e della Commissione per verificare il rispetto di determinati prerequisiti, tra i quali gli elevati standard di Schengen in materia di controllo delle frontiere esterne.

Nel gennaio 2006 è iniziata la valutazione dell’acquis non SIS dei nuovi Stati membri e i primi risultati relativi alla preparazione degli stessi saranno a disposizione del Consiglio in dicembre. Sarò io a presentare la relazione ai ministri.

Per quanto riguarda l’immigrazione illegale, la Commissione ha indicato in una comunicazione adottata, come sapete, il 19 luglio le aree che considera prioritarie per il futuro. La comunicazione, in particolare, affronta il problema di come potenziare la sicurezza delle frontiere esterne, ad esempio introducendo una gestione elettronica delle frontiere “e-frontiere”, e avanza anche la proposta di creare un sistema automatizzato di controllo di ingressi-uscite. Essa inoltre prende in esame la questione delle regolarizzazioni e quella della necessità di affrontare il problema delle assunzioni di cittadini clandestini di paesi terzi.

Vorrei inoltre sottolineare che in luglio la Commissione ha adottato una proposta relativa alla creazione di un meccanismo che consenta di istituire squadre di pronto intervento alle frontiere. Tale dispositivo, che dovrebbe rafforzare la solidarietà tra gli Stati membri e la Comunità, permetterà agli Stati membri che incontrano particolari ostacoli nel controllo delle proprie frontiere esterne di avvalersi temporaneamente delle competenze e del personale delle guardie di frontiera di altri Stati membri.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Signor Presidente, gli avvenimenti degli ultimi giorni sembrano dimostrare che l’Unione europea non è preparata per le ondate di immigranti provenienti dalle zone a ridosso dell’Unione stessa. Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che con l’adesione di Bulgaria e Romania il prossimo anno, noi come Unione europea avremo una nuova frontiera marittima sul Mar Nero, che sul Mar Nero ci sono Stati come Ucraina, Moldavia, Russia, Georgia, Armenia e Turchia e che detto mare apre le nostre porte all’intera Asia.

Intende la Commissione estendere anche al Mar Nero lo stesso sistema che è in procinto di applicare all’Atlantico per evitare che una valanga di immigrati provenienti dal continente asiatico si riversi sull’Unione europea?

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, onorevoli deputati, posso rispondere all’onorevole interrogante che una delle priorità sulle quali stiamo lavorando con la Presidenza finlandese è proprio proporre, entro il mese di dicembre con una prima valutazione in ottobre, un modello europeo di sorveglianza integrata delle frontiere marittime.

Siamo consapevoli che una frontiera marittima è molto diversa da una frontiera terrestre o da una frontiera aeroportuale, ed è evidente quindi che anche il Mar Nero sarà una delle aree di attenzione.

Posso soltanto dire all’onorevole interrogante che, proprio ieri, ho incontrato di nuovo il ministro degli Interni della Bulgaria, al quale ho riproposto l’esigenza che Bulgaria e Romania si preparino in modo adeguato ad un contributo europeo forte per il controllo di una frontiera estremamente delicata.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Che l’immigrazione illegale debba essere fermata è fuori discussione. L’esempio citato dall’onorevole Medina Ortega sottolinea pratiche che, nel suo paese d’origine, attraverso la cosiddetta legalizzazione degli immigrati illegali, stanno lanciando un messaggio sbagliato. Da questo punto di vista ritiene la Commissione che ci siano possibilità? E sta considerando l’ipotesi di invitare a porre un freno a tale fenomeno, che in ultima analisi consente agli immigrati illegali di arrivare in tutti gli altri Stati membri dell’Unione?

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Lei ha citato una questione veramente prioritaria. Come ho già dichiarato in diverse occasioni, il difficile problema delle regolarizzazioni di massa rischia di mettere in crisi il principio di solidarietà tra gli Stati membri. Abbiamo affrontato la questione per la prima volta in Consiglio circa quattordici mesi fa.

In quell’occasione abbiamo deciso che tutte le misure di regolarizzazione di immigrati adottate a livello nazionale devono essere precedute da una consultazione europea che consenta alla Presidenza di turno e alla Commissione europea di esprimere il proprio parere sull’impatto della regolarizzazione sugli altri Stati membri. Anche allora abbiamo parlato del principio di solidarietà e abbiamo approvato un documento che non è ancora entrato in vigore ma che ha valore di decisione politica. Mi rivolgo pertanto a tutti gli Stati membri dell’Unione che intendono procedere a regolarizzazioni affinché rispettino l’obbligo di consultazione preliminare così da permettere agli altri Stati membri di adottare opportune misure che tengano conto della regolarizzazione di massa.

 
  
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  James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Commissario, visto l’elevato livello di cittadinanza concesso negli ultimi anni dalla Bulgaria agli immigrati provenienti da Moldavia, Ucraina, Russia e altri paesi, quali misure concrete saranno adottate per controllare tale immigrazione indiretta attraverso Bulgaria e Romania?

Considerato che la maggior parte degli altri Stati membri non ha assorbito quella che avrebbe dovuto essere la sua giusta quota di immigrazione in occasione dell’allargamento del 2004, non sarebbe giustificato un eventuale rifiuto da parte di paesi come il mio, il Regno Unito, a mantenere l’attuale politica di apertura nei confronti di Romania e Bulgaria?

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, onorevoli deputati, l’argomento è certamente assai delicato, posso confermare di aver sollevato personalmente la questione nei miei colloqui, anche recenti, con le autorità di governo sia della Bulgaria, sia della Romania.

Le risposte sono rassicuranti in quanto entrambi questi paesi candidati prossimi all’adesione si rendono conto dell’impatto che la doppia cittadinanza può avere sugli altri Stati membri dell’Unione europea, ci hanno però posto un problema di cui l’Unione europea si deve preoccupare. Si tratta del problema di paesi come l’Ucraina e la Moldova, che chiedono con forza un nuovo regime di facilitazione dei visti per l’ingresso temporaneo nel territorio dell’Unione europea. Se non consideriamo seriamente queste richieste forti di un sistema di concessione dei visti per l’Ucraina e per la Moldova, i cittadini di quei paesi cercheranno ovviamente di ricorrere a quell’escamotage pericoloso.

In merito poi alla libertà di movimento dei lavoratori è evidente che nei trattati di adesione di Romania e Bulgaria vi sono riferimenti alla possibilità di prolungare per un periodo transitorio la libertà di movimento dei lavoratori verso gli altri paesi dell’Unione europea.

La tesi della Commissione europea, per quanto riguarda i dieci nuovi paesi membri già membri dell’Unione dal 2004, è che non sussista un pericolo di invasione di lavoratori e quindi abbiamo pubblicato una comunicazione.

I due nuovi paesi membri, se, come personalmente spero, entreranno all’inizio del prossimo anno, avranno delle limitazioni, tale fatto sarà comprensibile considerando che saranno nuovi Stati membri di una seconda fase di allargamento.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 40 dell’onorevole Johan Van Hecke (H-0613/06):

Oggetto: Riserve americane di petrolio

Nel corso della settimana che si è conclusa il 16 giugno le riserve americane di petrolio greggio sono salite di 1,4 milioni di barili raggiungendo così i 347,1 milioni di barili. Le riserve americane di petrolio sono ora al livello più alto dal maggio 1998.

Al vertice UE-USA tenutosi a Vienna è stata discussa la questione del livello insolitamente elevato delle riserve petrolifere degli Stati Uniti? È possibile che gli Stati Uniti detengano riserve elevate per mantenere artificiosamente alto il prezzo del petrolio, con tutte le conseguenze negative immaginabili per l’economia europea? A quanto ammontano le importazioni di greggio americano nell’UE?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) E’ vero che le riserve di greggio e prodotti petroliferi degli Stati Uniti ultimamente hanno raggiunto livelli record. Tuttavia, l’incremento delle riserve di greggio e prodotti petroliferi in uno qualsiasi dei paesi consumatori non dovrebbe, di norma, aumentare la pressione sul prezzo del petrolio nel mondo.

E’ convinzione assodata degli esperti che i prezzi di petrolio e prodotti petroliferi si sgonfiano progressivamente in presenza di riserve nei maggiori paesi consumatori. Ciò avviene perché il premio di rischio è un elemento importante nel prezzo del petrolio sui mercati mondiali; esso viene valutato dagli operatori del mercato sulla base di considerazioni che tengono conto di diversi fattori di rischio. Oltre alle dovute considerazioni di tipo politico, la probabilità di interruzioni della fornitura a causa di inadeguata attitudine al risparmio e insufficienti livelli delle riserve costituisce un fattore di rischio primario. Pertanto, livelli elevati o addirittura record nelle riserve di greggio o prodotti petroliferi in paesi consumatori importanti come gli Stati Uniti tendono a ridurre la percezione del rischio da parte di una vasta maggioranza di operatori del mercato globale del petrolio.

Date queste premesse, non era necessario discutere la questione dei livelli di greggio e prodotti petroliferi negli Stati Uniti in occasione del vertice annuale UE-USA.

Per quanto riguarda le importazioni di petrolio dell’Unione europea dagli Stati Uniti, negli ultimi tre anni gli Stati Uniti hanno fornito all’UE quantità trascurabili – meno di un milione di tonnellate l’anno – che corrispondono a meno dello 0,2 per cento delle importazioni totali di petrolio nell’UE. In effetti, gli stessi Stati Uniti dipendono in maniera rilevante e crescente dalle importazioni di greggio.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI). – (DE) In effetti i progetti relativi ad autovetture alimentate ad idrogeno dai costi ragionevoli sono da anni chiusi nel cassetto. Alcuni costruttori sono ora in grado di lanciare sul mercato auto ibride allo stesso prezzo di quelle tradizionali. Quali iniziative concrete adotterà l’UE per promuovere simili iniziative finalizzate a renderci meno dipendenti dalla politica petrolifera americana oltre che dai paesi esportatori?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) E’ vero che vista la situazione dei prezzi del petrolio sono state studiate alcune iniziative, incluse nel piano in cinque punti presentato dal Commissario Piebalgs fin da settembre 2005. Tali azioni sono state ulteriormente sviluppate nel Libro verde sulla strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura.

Obiettivo della Commissione è ridurre gradualmente la dipendenza dell’UE dal petrolio di importazione creando, da un lato, efficienza energetica e sostituendolo, dall’altro, con fonti di energia alternative, come la biomassa e altre energie rinnovabili. La Commissione punta inoltre a rafforzare il dialogo produttore-consumatore con i paesi produttori sostenendo le nuove esplorazioni e lo sviluppo necessari a far fronte alla domanda globale sempre crescente; essa intende infine promuovere la trasparenza e la prevedibilità del mercato del petrolio oltre a migliorare la preparazione in caso di emergenza, in particolare assicurandosi che gli Stati membri mantengano le riserve stabilite nella legislazione comunitaria in materia.

E’ importante sottolineare che tutte queste politiche – quelle sull’utilizzo del carburante per auto, la biomassa e tutte le altre misure appena citate – produrranno effetti positivi soprattutto nel medio e lungo termine e non nell’immediato futuro.

 
  
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  Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Uno dei nostri obiettivi, ovviamente, è rendere l’Unione europea in qualche modo più indipendente per quanto riguarda l’approvvigionamento di energia e non c’è dubbio che estendere l’utilizzo di energie alternative e rinnovabili sarebbe un passo importante in questo senso.

Quali sono i tipi di energie rinnovabili che si intende incentivare nel prossimo futuro con iniziative mirate? In che misura? E’ possibile fornire dati a tale proposito?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione – (EN) C’è un punto nel piano del Commissario Piebalgs a tale proposito e quindi non elencherò, in questa sede, quelle che sono o meno le priorità. La questione del biocarburante è una delle priorità nell’Unione europea. E’ stata discussa in seno al Collegio dei commissari e al Consiglio al pari di altri temi quali l’utilizzo dell’energia eolica e solare. Quello che posso fare, non essendo un esperto in materia, è assicurarmi che arrivi una risposta scritta del collega con maggiori dettagli sull’argomento.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 41 dell’onorevole Karl-Heinz Florenz (H-0639/06):

Oggetto: Classifica del fumo passivo quale cancerogeno

Nella sua risoluzione sul Piano d’Azione europeo Ambiente e Salute 2004-2010 del 23.2.2006 il Parlamento assecondava l’intenzione della Commissione di annoverare quanto prima il consumo di tabacco fra le sostanze cancerogene della categoria I. Di ciò tuttavia non si è fatta alcuna menzione nell’ambito della consultazione informale sulle politiche anti-fumo a livello dell’UE organizzata il 14 giugno 2006 dalla Direzione Generale Salute e Protezione dei consumatori.

Ha la Commissione adottato provvedimenti in ordine alla classifica del fumo passivo quale cancerogeno? In caso negativo, potrebbe essa spiegarne i motivi?

Intende la Commissione uniformarsi alla raccomandazione contenuta nella relazione ASPECT classificando il fumo passivo nel novero delle sostanze cancerogene? In caso negativo, potrebbe essa spiegarne i motivi?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Desidero ringraziare l’onorevole Florenz in quanto tutte le interrogazioni che presenta sul tema in discussione contribuiscono in maniera concreta alle nostre politiche.

E’ vero che si stima che il 25 per cento di tutti i casi di cancro in Europa è attribuibile al fumo. L’Organizzazione mondiale della sanità, i governi finlandese e tedesco e le agenzie statunitensi hanno già classificato il fumo da tabacco ambientale come fattore cancerogeno per l’uomo. Come ho già avuto modo di dichiarare di fronte al Parlamento in diverse occasioni in passato, le misure per un’Europa senza fumo sono una delle mie priorità principali. Prima della fine del 2006 la Commissione intende presentare un documento sugli ambienti senza fumo che tratterà delle misure da adottare in futuro per affrontare il problema del fumo passivo in Europa.

E’ vero che la consultazione informale della DG Sanco non menzionava il fumo da tabacco ambientale tra i cancerogeni, in primo luogo per il suo carattere preliminare ed informale e perché il suo obiettivo era quello di raccogliere il parere di determinati attori. Attribuiamo tuttavia una grande importanza all’opinione del Parlamento secondo cui anche il fumo da tabacco dovrebbe essere classificato come cancerogeno.

Il problema è di natura legale e non politica in quanto non c’è disaccordo tra noi. C’è una lacuna nella legislazione europea e quindi mi limiterei a due aspetti. Il nostro problema è costituito innanzitutto dal fatto che l’attuale normativa dell’Unione europea sui prodotti e le sostanze pericolosi non riguarda il fumo in sé, ma solo i prodotti che si trovano sul mercato. Pertanto c’è una lacuna nella legislazione.

Nel contempo, un analogo approccio è stato adottato anche per la legislazione relativa alla tutela dai cancerogeni sul posto di lavoro. Purtroppo, entrambe queste legislazioni si applicano solamente a sostanze e preparati presenti in commercio. Ai fini e nelle intenzioni della citata legislazione il fumo da tabacco in quanto tale non è considerato un prodotto.

Abbiamo due approcci. Da un lato, con il documento di consultazione sugli ambienti senza fumo che sarà presentato dobbiamo garantire che il fumo da tabacco ambientale sia classificato come cancerogeno – così come hanno fatto OMS, USA, Germania e Finlandia – ai fini di una corretta informazione. Allo stesso tempo, visto che i componenti e gli ingredienti del fumo sono già classificati come cancerogeni dalla legge europea – ad esempio arsenico, butadiene, benzene, ossidi di azoto e altri ossidi – non dobbiamo dimenticare di fare riferimento anche a questo fatto. Pertanto, legalmente non possiamo affermare, su questo punto, che il fumo da tabacco ambientale sia un cancerogeno, ma possiamo dichiarare che contiene componenti cancerogeni. Ritengo che questo messaggio sia sufficientemente forte. Questo è quanto possiamo fare nell’immediato futuro.

Tuttavia, nel frattempo e nel lungo termine, speriamo di trovare soluzioni e sfruttare le opportunità a nostra disposizione per utilizzare o modificare in tal senso la legislazione europea in modo da poter classificare il fumo da tabacco ambientale come cancerogeno. Entrambi questi obiettivi possono essere raggiunti modificando la legislazione esistente. C’è anche un dibattito in corso sulla revisione della legislazione sui cancerogeni sul luogo di lavoro e forse dovremmo considerare l’idea di includere anche quello. Si riferirebbe al posto di lavoro, ma sarebbe un primo passo.

In conclusione, presenteremo ogni aspetto possibile in un documento che sarà pubblicato a breve – prima della fine dell’anno. Nel frattempo, tuttavia, ci impegneremo per trovare il modo di migliorare la legislazione esistente al fine di ottenere la competenza normativa a classificare il fumo da tabacco ambientale in sé come cancerogeno.

 
  
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  Karl-Heinz Florenz (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, considerato che ogni anno 10 000 persone in Europa perdono la vita a causa del fumo passivo, sono certo che comprenderete per quale motivo non sono particolarmente soddisfatto della vostra dichiarazione.

Capisco che la legge presenti lacune ma, se non vado errato, è vostro compito colmarle. Se ripensiamo al modo in cui, ai tempi della crisi per l’ESB, abbiamo reagito a un vago sospetto di rischio stravolgendo completamente la politica alimentare europea per uno o due anni, dobbiamo veramente fare qualcosa di più per il problema in esame, che è invece suffragato da fatti concreti come la presenza di 10 000 vittime l’anno.

Vi informo che il mio gruppo sicuramente si adopererà per adottare, su questo tema, una relazione d’iniziativa in tal senso che possa esservi di supporto.

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Sono assolutamente d’accordo. Potrei anche segnalare i problemi citati oggi in un articolo, se non sbaglio, sulla stampa inglese, causati al sistema respiratorio, ai polmoni, e i problemi respiratori causati dal fumo passivo. Sappiamo anche che provoca disturbi cardiaci.

Il nostro obiettivo, come si vedrà dal documento che presenteremo, è un ambiente privo di fumo nell’Unione europea. Tutti gli argomenti citati ci spingono in questa direzione. Continueremo a lottare per raggiungere questo obiettivo, ma nel frattempo cercheremo di individuare quali sono le modifiche alla legislazione in vigore necessarie affinché possiamo procedere con la nostra classifica. Se possono farlo gli Stati membri e le organizzazioni internazionali non vedo perché l’Unione europea non dovrebbe avere la possibilità di farlo.

 
  
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  David Martin (PSE). – (EN) Signor Commissario, forse ha visto sulla stampa – certamente quella inglese – questa settimana una serie di articoli su un imprenditore tedesco che vuole organizzare voli per fumatori tra Europa e Asia.

In primo luogo, lei, signor Commissario condanna una simile iniziativa e, in secondo luogo, c’è qualcosa che la Commissione può fare, legalmente, per impedire che ciò accada?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Temo di no. Non so chi possa desiderare di volare in quel modo. Io stesso ho condotto un piccolo sondaggio chiedendo ad alcuni fumatori se avrebbero volato in un aereo pieno di fumo e mi hanno risposto “no”.

Come sapete non esistono norme comunitarie che vietino il fumo sugli aerei. Su questo punto sono gli Stati membri a decidere. La materia, pertanto, continuerà a far parte delle competenze degli Stati membri. Visti i recenti messaggi a favore della lotta al tabagismo provenienti dalla Germania mi auguro che si occuperanno del problema e che apposite norme entrino in vigore nel 2007.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE). – (DE) Anche se nessuno di noi vuole vivere in un mondo in cui è tutto proibito, ritengo che il fumo – e in particolare quello passivo – sia un fenomeno per cui le nostre azioni arrecano danno ad altri. Alberghi e ristoranti si sono impegnati a riservare alcune zone al loro interno da destinare ad aree non fumatori, ma questo non è altro che un impegno volontario. State considerando l’idea di porre in essere un regolamento a livello europeo che preveda l’obbligo di destinare alcune aree ai non fumatori e la cui esecuzione sia effettivamente monitorata, visto che l’efficienza dei controlli varia molto da uno Stato membro all’altro?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Come certo saprete ho la mia opinione in merito, ma non voglio anticipare i risultati del processo di consultazione sugli ambienti senza fumo che avrà presto inizio. Sulla base di tali risultati decideremo quali saranno le prossime azioni da intraprendere a livello europeo.

Mi compiaccio molto nel vedere che uno Stato membro dopo l’altro sta introducendo divieti di fumo nei luoghi pubblici. Recentemente Lituania e Slovenia hanno adottato decisioni in tal senso e la Germania si appresta a farlo nel prossimo futuro. Tuttavia, per quanto riguarda la Comunità europea nel suo complesso, la Commissione attenderà i risultati del processo di consultazione prima di decidere come muoversi. Come ho dichiarato in occasione dell’audizione presso le commissioni parlamentari, il mio obiettivo è avere un’Europa senza fumo e tutelare tutti i cittadini dal fumo passivo, non solo in alcuni Stati membri.

La mia opinione personale è che separare i fumatori dai non fumatori non sia sufficiente e che non costituisca una tutela sufficiente. Se davvero vogliamo ottenere benefici per tutti dobbiamo procedere con divieti assoluti di fumare. Tuttavia, attendo con impazienza il contributo del Parlamento al processo di consultazione.

 
  
  

Seconda parte

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 42 dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0599/06):

Oggetto: Misure di sostegno a favore delle piccole e medie imprese

Nel 2005, nell’Unione europea dei Quindici 140.000 società hanno dichiarato lo stato di insolvenza ponendo in pericolo 1,5 milioni di posti di lavoro. Nello stesso anno in Grecia è stato registrato, rispetto al 2004, un considerevole aumento delle piccole e medie imprese che hanno dichiarato fallimento (+ 54,55%). Alla luce di tali dati quali provvedimenti immediati intende assumere la Commissione per salvare le piccole e medie imprese?

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, devo anzitutto segnalare che la Commissione non risponde direttamente delle questioni riguardanti la legislazione fallimentare. Ciononostante, l’importanza che l’argomento riveste per le piccole e medie imprese spinge la Commissione ad agire quale intermediario.

Abbiamo fatto in modo di rendere pubbliche procedure di collaudata efficienza, incoraggiando gli Stati membri ad adottarle. La Commissione ritiene che la sua missione consista nel prevenire lo stato di insolvenza e nel promuovere la ristrutturazione anziché il fallimento delle imprese. Stiamo provvedendo all’elaborazione di misure più indulgenti nei confronti dell’insolvenza non fraudolenta, e stiamo valutando inoltre come sostenere i nuovi avvii e offrire una seconda opportunità alle imprese.

Nella Carta europea per le piccole imprese si fa riferimento alla possibilità che si verifichi uno stato di insolvenza nonostante l’assunzione responsabile di iniziative e di rischi imprenditoriali, e di conseguenza si auspica un riesame delle leggi fallimentari nazionali sulla base delle buone prassi. Si sono già intraprese varie azioni in questo senso. Già nel 2001 a Noordwjik si era tenuto un seminario sul fallimento delle imprese, i cui principali argomenti discussi sono stati il miglioramento della legislazione fallimentare e la prevenzione dell’insolvenza. Verso la metà del 2002 fu pubblicato lo studio “Bankruptcy and a Fresh Start” (Fallimento e nuovo inizio), che comprendeva una raccolta di dati sulle conseguenze giuridiche e sociali dello stato di insolvenza delle imprese.

Questo studio rappresenta la base della procedura Best della Commissione “Ristrutturazioni, fallimenti e nuovo inizio” del 2003, che riguardava due argomenti specifici, ossia fino a che punto la legislazione nazionale sull’insolvenza costituisse un ostacolo alla longevità di un’impresa e al suo nuovo inizio, e quale effetto produca la macchia del fallimento sulle prospettive di successo di un’impresa che riparte dopo il tracollo e sulla cultura imprenditoriale in generale.

I risultati di questo progetto sono stati presentati in una relazione volta a sostenere la tendenza politica europea a introdurre cambiamenti nel quadro legislativo delle norme fallimentari. Le principali raccomandazioni e i parametri di riferimento andavano dall’enfasi posta sull’inutilità dei suggerimenti esterni per prevenire lo stato di insolvenza, soffermandosi sul ruolo di una legislazione fallimentare aggiornata e affidabile nella promozione di insediamenti e misure di ristrutturazione, fino a considerare l’importanza di una chiara distinzione tra la bancarotta fraudolenta e non fraudolenta, oltre a esporre le varie conseguenze giuridiche pertinenti. La relazione ha consentito di compiere notevoli progressi a livello europeo verso la riforma del diritto fallimentare.

In risposta ad alcune indicazioni proposte nel Libro verde “L’imprenditorialità in Europa”, nel 2004 la Commissione aveva esteso il piano d’azione relativo alla politica dell’imprenditorialità, includendovi una misura prioritaria sullo stato di insolvenza delle imprese, con tre obiettivi specifici.

Il primo obiettivo prevedeva che gli Stati membri fossero incoraggiati ad applicare le raccomandazioni che il gruppo di esperti aveva riportato nel documento “Ristrutturazioni, fallimenti e nuovo inizio”. Il secondo mirava a una migliore comprensione del fenomeno del fallimento delle imprese, mentre il terzo riguardava la promozione di misure preventive per le imprese a rischio.

In riferimento al secondo e al terzo obiettivo, la Commissione sta sviluppando, nel contesto del progetto pluriennale “Stigma of failure and early warning instruments” (Stigma del fallimento e meccanismi di allarme precoce), un documento informativo e una serie di test di autovalutazione finalizzati a sviluppare negli imprenditori la capacità di riconoscere preventivamente, finché sussistono buone possibilità di ottenere aiuti, i fattori di rischio che colpiscono la loro impresa.

Il 28 marzo 2006 a Bruxelles la Commissione ha partecipato a una conferenza sul tema “Insolvency and a fresh start” (Fallimento e nuovo inizio), in cui sono stati illustrati i metodi per la prevenzione dello stato d’insolvenza, le strategie per affrontare le conseguenze negative del fallimento e l’incoraggiamento verso i nuovi inizi successivi a uno stato di insolvenza non fraudolenta.

Abbiamo ricevuto segnali positivi in merito all’applicazione di queste priorità a livello nazionale attraverso i programmi nazionali di riforma per il 2005 collegati alla strategia di Lisbona, presentati da circa un terzo degli Stati membri, tra i quali figura anche la Grecia, e comprendenti i progetti di riforma sulle leggi fallimentari relative ai singoli paesi.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE).(EL) Signora Presidente, la ringrazio molto per la risposta soddisfacente e per i dettagli sugli interventi attuati dalla Commissione e dal Consiglio.

Vorrei ora domandare se le mansioni internazionali dell’Unione europea prevedono un contributo relativo allo stato di insolvenza e al fallimento improvviso degli imprenditori.

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Come ho precedentemente affermato, non abbiamo alcun potere operativo in questo ambito a livello europeo, e di conseguenza non possiamo intervenire se non attraverso la legislazione o sul piano internazionale. Come le ho spiegato, l’unica azione possibile consiste nel verificare che si producano le migliori condizioni in ambito legislativo attraverso la cooperazione, il coordinamento e la condivisione delle esperienze degli Stati membri. Come le ho fatto presente, vi sono alcuni paesi in cui ciò è già avvenuto, mentre altri sono ancora in fase di elaborazione, e in alcuni di essi la situazione è tuttora insoddisfacente.

Ciò che posso dichiarare al momento è che riserveremo particolare attenzione a questo argomento durante la preparazione della prossima relazione annuale sull’attuazione della strategia di Lisbona, prendendo in considerazione soprattutto quei paesi le cui leggi sull’insolvenza costituiscono ancora un ostacolo alla crescita e all’occupazione.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE). – (EN) Non posso fare a meno di sottolineare con ammirazione la capacità della Commissione di rispondere alle domande specifiche e complesse sulle PMI in Grecia.

Liberalizzare i mercati e, in particolare, attuare le quattro libertà fondamentali già esistenti, è quanto di meglio possiamo fare per quanto concerne le piccole e medie imprese. La domanda che le pongo è la seguente: può oggi garantirci che opporrà resistenza alle pressioni cui siamo sottoposti da molti sindacati, soprattutto quelli tedeschi, che intendono affossare ulteriormente la direttiva “Servizi”, esito di un fruttuoso compromesso tra il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo?

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Sebbene debba ammettere che mi sfugge la relazione tra la domanda dell’onorevole deputato e il problema della legge sullo stato di insolvenza di cui stiamo discutendo, voglio comunque dare una risposta. La Commissione è fermamente determinata a fare quanto è in suo potere per assicurare che la direttiva sui servizi venga attuata nella forma concordata con questa Assemblea.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, quando le grandi imprese falliscono, spesso accade che molte piccole imprese non vedano saldati i loro conti. E’ lecito in tali casi considerare la possibilità che, almeno per un certo periodo, il Fondo europeo per gli investimenti garantisca i pagamenti o finanzi un prestito di partecipazione per le insolvenze?

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Sono certo che comprenderà che questa possibilità va esaminata in separata sede, poiché una mia eventuale risposta in merito costituirebbe un impegno preso a nome di istituzioni di cui non rispondo direttamente. In termini più generali mi sembra assolutamente plausibile la possibilità di utilizzare anche in questi casi gli strumenti che abbiamo a disposizione per migliorare le conseguenze di un cambiamento strutturale improvviso. Di conseguenza è assolutamente lecito ipotizzare strumenti finanziari creativi in casi particolari, ma questi ultimi andrebbero assolutamente esaminati singolarmente.

Ci troviamo nuovamente di fronte al problema dell’inapplicabilità della legislazione europea alle condizioni contestuali presenti.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 43 dell’onorevole Jan Andersson (H-0626/06):

Oggetto: Politica industriale

Fautore di una politica industriale europea integrata, l’interrogante non può fare a meno di rilevare che essa è fin troppo unilateralmente finalizzata al mantenimento della concorrenzialità, indubbiamente rilevante per lo sviluppo dell’apparato industriale, il che non toglie che sarebbe quanto mai opportuno tenere maggiormente conto degli aspetti legati alla politica occupazionale.

In qual modo intende la Commissione recepire la politica occupazionale nella politica industriale integrata?

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) In un mondo globalizzato, la competitività dell’industria europea è fondamentale per la crescita e l’occupazione. Le proposte avanzate dalla Commissione per una politica industriale moderna sono specificamente mirate non solo a fare il miglior uso possibile del potenziale industriale europeo per l’occupazione, ma anche al suo ulteriore ampliamento.

Esiste, dunque, un collegamento diretto tra la politica occupazionale e la politica industriale. Le sono grato per la domanda, che mi consente di chiarire che la politica industriale cui si rivolge il mio impegno e quello della Commissione, non tende a difendere gli “interessi delle parti interessate”; al contrario, lo scopo principale è garantire posti di lavoro a lungo termine e di elevata qualità in Europa.

Il principale obiettivo del mio impegno politico è garantire alle persone un numero sufficiente di posti di lavoro di buona qualità. A differenza di una posizione in precedenza condivisa in ambito europeo, oggi siamo più che mai convinti che questo scopo non potrà essere raggiunto senza una solida base industriale europea, ossia senza un’industria sana, competitiva e dai grandi rendimenti.

Vorrei inoltre segnalare alcuni aspetti della nostra politica specificamente dedicati al legame tra la politica industriale e la politica occupazionale. In particolare voglio ricordare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, disposto sotto indicazione della Commissione e avente lo scopo primario di sostenere, attraverso i fondi stanziati, i lavoratori colpiti da cambiamenti strutturali rapidi, aiutandoli ad acquisire ulteriori qualifiche o a cercare un nuovo posto di lavoro.

Intendo sottolineare che la Commissione è impegnata nell’elaborazione di una politica che sappia rimediare alla carenza di competenze attraverso lo sviluppo dei ruoli lavorativi e l’aumento delle opportunità di occupazione in vari comparti, in particolare nel campo della tecnologia dell’informazione e della comunicazione, della costruzione dei macchinari, dell’industria tessile e dell’industria del cuoio e delle pelli, nonché nei settori della produzione delle materie prime e manifatturiero.

Inoltre l’Unione europea è attualmente impegnata a migliorare le relazioni in ambito lavorativo e sostiene intensamente la responsabilità sociale d’impresa. La sua domanda mi offre altresì l’opportunità di comunicare alle imprese europee che il raggiungimento di alti profitti non può essere il loro unico obiettivo, poiché un’impresa europea ha anche una funzione sociale da adempiere. Ha una responsabilità nei confronti della società, e tale responsabilità si esprime principalmente attraverso i posti di lavoro che fornisce.

Come si può osservare, considerare la nostra politica industriale completamente avulsa dalla politica in materia di occupazione darebbe luogo a una distinzione piuttosto artificiale. Forse la definizione adeguata potrebbe essere sintetizzata in una sola frase: una politica industriale moderna in Europa è un contributo essenziale e indispensabile allo sviluppo delle opportunità di occupazione.

 
  
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  Jan Andersson (PSE).(SV) La ringrazio molto per la sua risposta, che ho trovato adeguata. Come lei, neanch’io riscontro alcuna incompatibilità tra la politica di concorrenza e la politica in materia di occupazione. Credo però che in futuro dovremmo valorizzare meglio quest’ultima. E’ importante che l’Europa disponga di una politica industriale forte, se vogliamo assicurare soddisfacenti opportunità di occupazione. Ma alla luce della crescita demografica, è anche essenziale che queste stesse opportunità di occupazione siano di alta qualità e che il nostro impegno si concentri su aspetti quali lo sviluppo delle competenze, finalizzato a stimolare l’inserimento dei giovani nel settore industriale. Il gioco di concorrenza non deve ostacolare l’introduzione di nuovo personale. Tenendo conto dell’andamento demografico, risolvere questo problema è un compito davvero importante.

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Non posso che confermare all’onorevole deputato la mia totale approvazione. Quanto lei ha espresso è assolutamente in linea con l’operato della Commissione, e questa interrogazione mi rende palese la necessità di intensificare l’informazione e di migliorare la comunicazione.

Ho l’impressione che finora in Europa non tutti abbiano inteso il reale scopo della nostra strategia, e pertanto mi sia consentito ribadire che l’intenzione fondamentale di questa Commissione è attuare una politica volta alla crescita e all’occupazione. Questo è l’oggetto primario e il principale obiettivo. Oltre all’elevato numero di mezzi a nostra disposizione, la politica industriale è uno degli strumenti a nostra disposizione per conseguire l’obiettivo di crescita e occupazione.

 
  
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  Philip Bushill-Matthews (PPE-DE). (EN) Accolgo con molto piacere le sue risposte, ma vorrei porle una domanda. E’ d’accordo che una maggiore flessibilità, in particolare attraverso un riesame della direttiva sull’orario di lavoro, potrebbe giovare all’occupazione e alla competitività, e in tal caso si impegnerebbe personalmente a promuovere questo progetto?

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Come lei saprà, non dispongo di alcun potere decisionale, e non è assolutamente nelle mie intenzioni invadere le sfere d’azione dei miei colleghi Commissari, allo stesso modo in cui questi ultimi non interferiscono sulle materie di mia competenza. Le risponderò, con la dovuta cautela, che in tutti i documenti della Commissione sul tema della necessità di riforme in Europa si denuncia la rigidità eccessiva e la scarsa flessibilità del mercato del lavoro, benché in relazione a settori specifici e a determinati Stati membri. In tali documenti si sostiene inoltre che una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro, sebbene si faccia sempre riferimento a descrizioni precise relative a situazioni specifiche, contribuirebbe allo sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale, incoraggerebbe l’assunzione del rischio e favorirebbe l’aumento dei posti di lavoro.

In linea di principio, quindi, le posso dare una risposta affermativa: un mercato del lavoro più flessibile è, nel XXI secolo, una componente fondamentale della risposta ai problemi strutturali che ci riguardano.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE).(DE) Se si osservano le più recenti statistiche sull’occupazione, risulta evidente che il settore primario e quello secondario, cioè l’agricoltura e l’industria, stanno patendo, insieme al settore dei servizi, una massiccia inversione di tendenza in tutti i paesi industrializzati.

Siccome è mia opinione che il futuro risieda nel settore dei servizi, domando: se la Commissione afferma di essere impegnata nell’elaborazione di una strategia per l’occupazione e la crescita, non sarebbe più sensato concentrare le energie in questo ambito?

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Si potrebbe intavolare un dibattito estremamente interessante su questo tema, ma la mia risposta è un chiaro “no”. Sarà forse sorpreso dall’estrema decisione della mia riposta, ma è un errore fondamentale pensare che sia possibile perseguire una politica che favorisca il settore dei servizi rispetto all’industria manifatturiera. In realtà il settore terziario non gode di alcuna possibilità di sviluppo in assenza di un’industria manifatturiera forte che ne acquisti i servizi.

Se osserviamo la realtà economica degli Stati membri che presentano un’alta proporzione di aziende di servizi, noteremo che molte attività in questo settore si sono separate dall’industria, ma hanno sostanzialmente conservato la loro essenza. Siamo dunque persuasi che senza una base industriale forte ed efficiente non sarebbe possibile tendere a quell’espansione del settore dei servizi che si prospetta necessaria per risolvere il problema dell’occupazione. Credo che i due fattori vadano considerati come strettamente collegati.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 44 dell’onorevole Seán Ó Neachtain (H-0638/06):

Oggetto: Ridurre le lungaggini amministrative per le piccole imprese in Europa

Può la Commissione elencare in una dichiarazione le diverse misure che ha introdotto negli anni 2005 e 2006 per ridurre le lungaggini amministrative a favore delle piccole imprese che operano nell’Unione europea?

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Signora Presidente, devo riconoscere che la mia difficoltà nel trattare tale questione consiste nel fatto che il volume stesso delle recenti attività della Commissione e le iniziative in materia è tale da richiedere tempi lunghissimi per elencare tutto ciò che stiamo attualmente realizzando. Pertanto, presenterò una sintesi, utile anche a far risparmiare tempo al Presidente.

Lo snellimento della burocrazia e la riduzione dei costi amministrativi per le piccole e medie imprese, migliorando tra l’altro la qualità della normativa comunitaria, è uno dei principali progetti politici della Commissione, vale a dire ciò che rappresenta questa Commissione.

Abbiamo determinato un concreto cambiamento di paradigma. Attualmente siamo impegnati in un’analisi sistematica dell’intero corpus della legislazione europea – e con questo intendo realmente legge per legge, disposizione per disposizione – per valutare l’opportunità di semplificarlo e, in particolare per quanto riguarda le piccole e medie imprese, se esso contenga disposizioni che pongono ostacoli sulla loro strada.

Come è noto al Parlamento, la Commissione ha riservato alla politica per le PMI il posto che merita nel cuore del nostro pensiero economico poiché sono loro, piuttosto che le grandi imprese, a costituire la forza decisiva in Europa, e ciò di cui hanno bisogno è ottenere maggiore libertà e responsabilità per le proprie attività. Esse necessitano di un contesto che consenta loro di svilupparsi.

Crediamo fermamente che il progetto “Riduzione della burocrazia e miglioramento della legislazione” sia un compito trasversale per tutta la Commissione, un compito che coinvolge tutte le direzioni generali, e fornirà un contributo determinante per rafforzare il ruolo delle PMI e incoraggiare sempre più cittadini in Europa ad avviare una propria attività, ad assumersi rischi, e offrire così posti di lavoro ad altri cittadini.

Signora Presidente, per questione di tempo, forse dovrei proporre di presentare all’onorevole parlamentare la versione completa della mia risposta, che espone nei dettagli tutte queste iniziative, e sono inoltre disponibile a fornire ogni ulteriore informazione necessaria.

 
  
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  Seán Ó Neachtain (UEN).(EN) Desidero ringraziare il Commissario per la risposta, e nonostante abbia segnalato la necessità di disporre di più tempo per illustrare tutte le misure adottate, mi sento comunque incoraggiato dalla sua reazione.

Signor Commissario, concorda sul fatto che siamo ben lungi dall’aver raggiunto gli obiettivi dell’agenda di Lisbona e che siamo rimasti indietro rispetto alle misure necessarie per il coordinamento e lo sviluppo delle PMI secondo gli obiettivi dell’agenda di Lisbona stabiliti inizialmente?

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Io non porrei la questione in termini così duri. Lo scorso anno, mi sarei espresso allo stesso modo dell’onorevole parlamentare. Tuttavia, nel frattempo, come saprà, la strategia di Lisbona, ossia la strategia per la crescita e l’occupazione di cui ho appena parlato, decisa nella scorsa primavera, è stata sottoposta a completa revisione. Senza voler anticipare la relazione che la Commissione presenterà alla fine di questo anno, ritengo di poter affermare che stanno in effetti cominciando ad emergere risultati positivi. E’ possibile riscontrarli nelle politiche degli Stati membri, e anche nell’economia europea.

Non so se gli onorevoli deputati hanno avuto la mia stessa impressione nel leggere i giornali di oggi, ma per la prima volta da lungo tempo si legge che la crescita produttiva in Europa e la crescita economica in generale ha superato quella del Giappone e degli Stati Uniti. Stiamo crescendo, ancora una volta, in maniera più rapida dei nostri concorrenti americani e giapponesi. Questo significa che il divario comincia a ridursi, e spero che questa tendenza continuerà.

Si tratta solo di un primo indizio, ma mi induce a sperare e mi dimostra che siamo sulla strada giusta.

 
  
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  James Hugh Allister (NI).(EN) Signor Commissario, senza voler essere scortese, non è corretto affermare che la Commissione non ha raggiunto gli ambiziosi risultati promessi per quanto riguarda la riduzione della burocrazia? Infatti, non è privo di rilievo che, nonostante la promessa di presentare alcuni esempi in un documento scritto, oggi non è stato in grado in sostanza di fornirci nella sua risposta un solo esempio concreto di tale riduzione della burocrazia. Dall’esperienza maturata nella mia circoscrizione posso affermare che nelle aziende non c’è segno di tale snellimento. Sulle imprese gravano sempre più fattori che ne ostacolano seriamente la competitività.

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Sono spiacente di dover contraddire l’onorevole parlamentare, ma è vero l’esatto contrario.

Nel tempo relativamente breve seguito al lancio di questa iniziativa, abbiamo raggiunto più di quanto avrei mai immaginato. In primo luogo, com’è noto all’onorevole parlamentare, quale provvedimento iniziale abbiamo ritirato un terzo di tutta la normativa in sospeso senza sostituirla. In secondo luogo, abbiamo trasformato le procedure legislative e introdotto la valutazione d’impatto completa obbligatoria, che di per sé comporta un considerevole miglioramento della qualità della normativa attuale. Gli onorevoli deputati avranno modo di notarlo qui in Parlamento durante le discussioni sulle proposte presentate dalla Commissione.

In terzo luogo, il programma di semplificazione è in pieno svolgimento. Mi rammarico di dover dire che la Commissione compie progressi in materia molto più rapidamente rispetto alle altre Istituzioni. Accolgo sempre con favore le critiche, che però sarebbero molto più facilmente accettabili se la prontezza con la quale Consiglio e Parlamento decideranno in merito alle proposte di semplificazione che la Commissione ha già presentato alle altre Istituzioni fosse pari alla prontezza con la quale la Commissione le ha presentate.

 
  
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  David Martin (PSE).(EN) Signor Commissario, non crede che le sue belle parole sulle piccole e medie imprese godrebbero di maggiore credibilità se i nostri fondi per la ricerca non discriminassero le piccole imprese? Sono a conoscenza di un caso che riguarda due aziende – una grande e una piccola – che partecipano allo stesso programma, in cui l’azienda di maggiori dimensioni sarà sottoposta a revisione alla fine del programma e riceve i contributi in anticipo, mentre l’azienda di minori dimensioni deve sottoporsi a una revisione annuale, a proprie spese, e riceve i fondi a posteriori. Non ritiene, signor Commissario, che si tratti di un capovolgimento di quelle che dovrebbero essere le priorità?

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Non mi è possibile rispondere a questa domanda senza essere a conoscenza del caso specifico. Pregherei l’onorevole parlamentare di fornire la documentazione pertinente a me o a chiunque dei miei colleghi Commissari ne sia responsabile – non so quale sia l’ambito di competenza in cui quanto riferito abbia avuto luogo – e successivamente il caso verrà esaminato. Ad ogni modo, non esiste alcuna politica della Commissione tesa a favorire le grandi imprese rispetto alle piccole imprese. E’ vero l’esatto contrario.

Le condizioni che le piccole e medie imprese devono soddisfare per presentare offerte d’appalto e progetti sono sensibilmente meno rigorose di quelle previste per le imprese di dimensioni maggiori. Le PMI, inoltre, hanno la possibilità di ricevere sostegno in percentuale maggiore rispetto alle grandi imprese. Sono sorpreso dall’esempio pratico presentato dall’onorevole deputato. Non può essere la regola – si tratterà di un caso isolato – e sarò lieto di verificarlo. Le chiederei di fornirci tutte le informazioni pertinenti.

 
  
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  Presidente. – L’interrogazione n. 45 riceverà risposta per iscritto.

Annuncio l’interrogazione n. 46 dell’onorevole Paulo Casaca (H-0597/06):

Oggetto: Dati sulla stagione di caccia primaverile a Malta

Dall’adesione di Malta all’UE nel 2004, la decisione del governo maltese di consentire la caccia nella stagione primaverile ha provocato l’indignazione di migliaia di cittadini europei. Da allora i deputati del Parlamento hanno fatto pressioni sulla Commissione in favore di un divieto della caccia primaverile sull’isola, in quanto la deroga è incompatibile con la direttiva UE sugli uccelli (79/409/CEE(1)). Nella sua risposta all’interrogazione E-1318/06 del giugno 2006 la Commissione afferma di nutrire seri dubbi circa la rivendicazione di Malta secondo cui le opportunità venatorie in autunno sono minime e pertanto la deroga per la stagione primaverile è giustificabile. La Commissione ha tuttavia sollecitato le autorità maltesi a presentare ulteriori statistiche per giustificare la propria posizione.

Può la Commissione specificare se ha ricevuto dati supplementari (soddisfacenti) finora e, in caso contrario, quando – finalmente – prevede di prendere una decisione sulla compatibilità della deroga per la caccia primaverile a Malta per chiudere rapidamente questo dossier?

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EL) In generale la direttiva “uccelli” proibisce la caccia nella stagione primaverile. Quest’ultima viene consentita solo nel caso in cui sussistano determinate precondizioni, la principale delle quali è l’assenza di periodi alternativi soddisfacenti.

Alcuni Stati membri che hanno finora richiesto questo genere di deroga non sono stati in grado di dimostrare l’assenza di periodi alternativi soddisfacenti per la caccia, per esempio, nella stagione autunnale.

In primavera la caccia è proibita poiché gli uccelli selvatici migrano verso i relativi siti di riproduzione. Sono uccelli che, sopravvissuti all’inverno e a molte altre avversità, si dirigono verso i siti in cui avrà luogo la riproduzione. Esiste dunque una ragione evidente per cui la caccia degli uccelli selvatici è sospesa durante questa stagione.

L’aspetto ancora più importante, per quanto riguarda la situazione specifica di Malta, è che la Commissione ha chiesto al governo del paese di fornire informazioni sulla caccia agli uccelli nel 2004 a far data dall’autunno dello stesso anno. Le autorità maltesi hanno invece inviato i dati riguardanti la primavera del 2004.

La Commissione ha esaminato attentamente i dati pervenuti al fine di valutare la sussistenza delle condizioni idonee a una deroga e, nella fattispecie, l’assenza di periodi alternativi soddisfacenti, giungendo alla conclusione che le suddette precondizioni non sussistevano. In seguito alla considerazione che nella stagione autunnale è presente un numero di quaglie e di tortore che non si discosta in modo significativo dalla quantità di uccelli cacciati nella stagione primaverile, e facendo riferimento alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, la Commissione ha valutato la sussistenza di periodi alternativi soddisfacenti e la conseguente inammissibilità della deroga.

A seguito di questa decisione, nel luglio 2006 la Commissione ha avviato un procedimento legale contro Malta per violazione della direttiva “uccelli”, in quanto aveva permesso di cacciare queste due specie nella stagione primaverile.

Va detto che simili procedure d’infrazione sono state avviate anche contro altri Stati membri, per il fatto che non risultavano soddisfatte le precondizioni necessarie per applicare una deroga, e che proprio sulla base di questo motivo sono state emesse alcune sentenze, come nei casi recenti di Spagna e Finlandia.

 
  
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  Paulo Casaca (PSE). (PT) Signora Presidente, facendo seguito alla risposta del Commissario, vorrei domandare se non consideri un errore grossolano prendere una simile decisione unicamente sulla base delle statistiche raccolte dai cacciatori. Non sarebbe più consono per la Commissione adottare una prospettiva che indaghi più da vicino la realtà della situazione, tenendo in considerazione quanto espresso dalla stampa maltese e dall’ambiente associativo del birdwatching?

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) Sono a conoscenza dei dubbi nutriti riguardo ai dati che ci sono stati presentati dalle autorità maltesi, tuttavia anche soltanto a partire da questi dati abbiamo tratto la conclusione che non esistono le condizioni per una deroga al divieto di caccia nella stagione primaverile e abbiamo avviato le procedure di infrazione contro Malta. Che altro possiamo fare? E’ nostra intenzione dimostrare a tutti la nostra serietà nell’applicazione della direttiva “uccelli”, che comprende questo provvedimento. In caso contrario, se inviassimo segnali contrastanti, molti altri paesi si sentirebbero autorizzati a pensare che abbiamo affossato i provvedimenti della direttiva “uccelli” e potrebbero chiedere una deroga. Abbiamo avviato le procedure d’infrazione, e sarà ora nostra cura osservare se le autorità maltesi vi si atterranno e bandiranno la caccia durante la stagione primaverile.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE). – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, la discussione in atto si basa sui dati relativi al 2004, ma la stampa maltese informa che nella primavera del 2005 e del 2006 è stato cacciato un discreto numero di uccelli migratori, e che buona parte di questi è stata uccisa.

Vorrei chiedere se le autorità maltesi hanno già inviato alla Commissione una relazione sull’esenzione relativa alla stagione di caccia nella primavera del 2005 e quali sono i loro doveri in questo ambito. Credo che la consegna di questo documento scadesse lo scorso giugno. Il documento è pervenuto? In tal caso, potreste darci un’idea in merito al contenuto e a che titolo si invoca l’esenzione? In caso contrario, quando prevedete di ricevere tale relazione?

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) Entro la fine del mese in corso avrà luogo un incontro tra le autorità maltesi e i rappresentanti della DG Ambiente. In tale sede si procederà alla discussione di vari argomenti, tra cui la reiterazione del permesso di caccia alle quaglie e alle tortore da parte di Malta durante il periodo primaverile, e si stabiliranno le misure utili a garantire l’adempimento della direttiva “uccelli”.

La presentazione della relazione e dei dati riguardanti il 2005 scade alla fine dell’anno in corso.

 
  
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  Presidente. – Poiché vertono sullo stesso argomento, annuncio congiuntamente l’

interrogazione n. 47 dell’onorevole Caroline Lucas (H-0604/06):

Oggetto: Studio sulle ragioni di conservazione del divieto UE di importare uccelli selvatici

Nell’ottobre dello scorso anno la Commissione ha introdotto il divieto comunitario di importare uccelli selvatici catturati. La decisione è stata presa sulla base di motivi di tutela della salute umana.

Tale commercio dovrebbe essere messo al bando anche alla luce della sua considerevole insostenibilità, essendo esso la causa del crollo delle popolazioni di molte specie di uccelli selvatici. Nell’UE si stima che ogni anno ne vengano importati due milioni di esemplari. Alla Commissione va pertanto riconosciuto il merito di aver contribuito a salvare da ottobre più di un milione di uccelli.

Nel dicembre 2005 il Commissario Dimas, interrogato sugli impatti di tale commercio sulla conservazione, ha assicurato i ministri dell’Ambiente che la Commissione avrebbe condotto uno studio sull’argomento.

Può la Commissione illustrare i motivi per cui, a quanto risulta, non ha ancora avviato questo studio e precisare quando intende mantenere il proprio impegno?

e l’interrogazione n. 48 dell’onorevole John Bowis (H-0674/06):

Oggetto: Divieto d’importare uccelli selvatici

Intende condurre la Commissione una ricerca approfondita sull’effetto del divieto temporaneo d’importare uccelli selvatici utilizzando dati provenienti da tutti gli Stati membri? Il commercio illegale è difficilmente quantificabile, ma si calcola che interessi un numero molto elevato di specie protette di uccelli selvatici, e l’argomentazione secondo cui un divieto totale d’importazione di uccelli selvatici potrebbe condurre a un mercato clandestino e causare un incremento delle importazioni illegali di questi animali è stata ampiamente utilizzata da coloro che si oppongono al divieto di commercializzazione. Tuttavia una prima analisi dei dati raccolti da ottobre 2005 (data di introduzione del divieto temporaneo) pubblicata in una nuova relazione RSPCA/Eurogroup for Animal Welfare mostra che il commercio illegale è effettivamente diminuito e che i timori sono quindi ingiustificati.

 
  
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  Stavros Dimas, Μembro della Commissione.(EL) Tenterò di rispondere alle due interrogazioni collegate tra di loro riguardanti sia lo studio e il divieto sugli uccelli sia i dati forniti dalla Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals. Per quanto riguarda le norme sanitarie e veterinarie, nell’ottobre 2005 la Commissione ha adottato misure preventive efficaci e rapide sulla base del quadro esistente della legislazione veterinaria.

Avevamo concesso una proroga al divieto di importazione di tutti gli uccelli fino al 31 maggio 2006; abbiamo concesso un’ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2006 e, a causa degli sviluppi nell’ambito della questione della diffusione dell’influenza aviaria, molto probabilmente ci sarà una nuova proroga.

La Commissione ha inoltre chiesto all’Autorità europea per la sicurezza alimentare il parere di un esperto su aspetti quali la salute e le condizioni di sopravvivenza degli animali nel caso dell’importazione di uccelli diversi dal pollame. Tale parere è atteso per il prossimo ottobre.

Per quanto riguarda la tutela della biodiversità e degli uccelli selvatici, nel gennaio 2006 la Commissione, a seguito della riunione del Consiglio dello scorso dicembre, ha chiesto che venisse condotto uno studio per esaminare l’efficacia della normativa comunitaria concernente il commercio delle specie selvatiche di flora e fauna.

Il quadro fondamentale per adottare provvedimenti in materia di tutela e di commercio è la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione o CITES, recepita nel diritto dell’Unione europea nella normativa concernente il commercio delle specie selvatiche di flora e fauna. Per il momento, tale normativa permette le importazioni, a condizione che non mettano a repentaglio il regime di protezione delle specie.

Il competente Comitato scientifico dell’UE con il quale collaborano tutte le autorità scientifiche degli Stati membri dell’Unione europea è responsabile dell’esame delle importazioni delle specie selvatiche di flora e fauna. Questo è il contesto in cui vengono prese le misure necessarie riguardo alle importazioni delle specie nel caso in cui venga individuato un problema; questo non riguarda solo gli uccelli ma si riferisce a tutte le specie.

Lo studio da noi richiesto comprenderà, da un’ampia prospettiva, la questione dell’efficacia della normativa riguardante la protezione delle specie selvatiche di flora e fauna, riservando particolare attenzione agli uccelli selvatici. I risultati dello studio in questione saranno disponibili entro la metà del 2007.

Durante la preparazione di questo studio si terrà conto, com’è ovvio, delle conclusioni della relazione pubblicata dalla Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals e dal gruppo europeo per le convenzioni sulla sopravvivenza delle specie animali.

 
  
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  Caroline Lucas (Verts/ALE).(EN) La ringrazio per la risposta, signor Commissario. Mi compiaccio che lo studio sia perlomeno stato avviato, sebbene dovremo attendere fino alla metà del 2007, pur avendone fatto richiesta per la prima volta nel dicembre 2005. Sembra essere una strada piuttosto lunga, ma speriamo che valga la pena aspettare.

E’ in grado di spiegare come mai l’Unione europea continua a importare uccelli mentre paesi come gli Stati Uniti, per esempio, ritengono che quegli stessi uccelli non vengano catturati in maniera sostenibile? A partire dal 1992 gli Stati Uniti hanno imposto una moratoria su tutti gli uccelli presenti nell’elenco CITES, a meno che non si possa scientificamente dimostrare che vengono catturati in maniera sostenibile. Dal 1992 non è stata accertata per nessuna specie l’esistenza di un metodo di cattura sostenibile. Anche diversi paesi in via di sviluppo impongono divieti sull’esportazione di questi uccelli. Dunque, per quale ragione gli Stati Uniti danno una valutazione così diversa dall’Unione europea del fatto che essi vengano o meno catturati in maniera sostenibile?

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) In primo luogo, le ricordo che gli Stati Uniti non hanno firmato la Convenzione sulla biodiversità. Hanno adottato norme diverse, imponendo un divieto generale che tuttavia prevede anche esenzioni. Noi otteniamo più o meno lo stesso risultato considerando le specie separatamente. Tuttavia, la situazione è più o meno la stessa, considerata la massiccia pratica di commercio illegale negli Stati Uniti, commercio presente anche nell’Unione. La Commissione osserverà l’operato degli Stati Uniti e i risultati raggiunti. Poiché gli Stati Uniti vietano tutte le importazioni, noi dobbiamo esaminare tale pratica e riflettere in primo luogo, sulla possibilità che tale divieto generale possa incrementare il commercio illegale. Non possiamo saperlo. Lo studio dimostra che probabilmente in Europa il commercio illegale è meno diffuso, ma non sappiamo cosa accadrà in futuro. Se introducessimo un divieto permanente sugli uccelli dovremmo considerare in che modo e per quale motivo verrebbero trattati in maniera diversa da tutte le altre specie, quali i coralli e i rettili, dal momento che abbiamo adottato una politica globale. Gli Stati Uniti hanno un approccio diverso in materia.

Dovremmo inoltre considerare se un divieto di commercio illimitato da parte degli Stati Uniti possa essere messo in discussione dai paesi esportatori, per esempio nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio. Questo potrebbe, inoltre, mettere in discussione e minare le sofisticate misure restrittive che rendono possibile all’Unione europea di adottare misure temporanee sulla base di consultazioni con i paesi esportatori. Tuttavia, nel nostro studio valuteremo la possibilità di un divieto che prevede deroghe.

 
  
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  John Bowis (PPE-DE).(EN) Qualsiasi risultato ottengano gli Stati Uniti mediante esenzioni, noi abbiamo un divieto temporaneo che ha dimostrato la sua efficacia nel ridurre il commercio illegale, ma non abbiamo un divieto permanente, e siamo noi in Europa i maggiori importatori di uccelli selvatici, con una quota del 93 per cento, e un numero di esemplari pari a quasi un milione all’anno fino al 2003. Dal 40 al 70 per cento di questi uccelli muore prima di essere esportato e molti altri ancora muoiono durante il viaggio verso l’Europa. E’ certamente arrivato il momento di imporre un divieto permanente e quindi porci in prima fila e diventare un esempio per paesi come gli Stati Uniti e l’Australia.

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) Questo studio ha dimostrato che le confische sono diminuite di recente in seguito all’imposizione del divieto per ragioni sanitarie. E’ difficile valutare il numero esatto di animali provenienti dal commercio illegale, dato che questo è, per definizione, sconosciuto.

La quantità di uccelli catturati e confiscati nell’Unione europea potrebbe essere diminuita negli ultimi tempi grazie all’attuale divieto temporaneo su tutte le importazioni. Per nessun uccello è pervenuta una domanda di importazione dal momento che sarebbe stata automaticamente e immediatamente respinta. E’ fonte di particolare preoccupazione che tali uccelli siano ancora oggetto di commercio illegale e vengano catturati negli Stati membri. Essi vengono importati e introdotti senza alcun controllo veterinario. Tuttavia, valuteremo i risultati dello studio e la possibilità che un divieto che prevede deroghe possa costituire una soluzione migliore rispetto al sistema attuale, che consiste in un esame caso per caso delle specie. Permettiamo unicamente l’importazione degli uccelli che non sono a rischio di estinzione.

 
  
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  John Purvis (PPE-DE).(EN) Il Commissario ha espresso preoccupazione per gli uccelli minacciati di estinzione. Sarà a conoscenza, tuttavia, che gli ho scritto numerose volte, insieme a un membro della mia circoscrizione, per sottoporre alla sua attenzione il caso di un importatore legittimo e legale di uccelli dagli Stati Uniti, di uccelli catturati legalmente negli Stati Uniti, estromesso dall’attività a causa di tale divieto – divieto imposto per motivi sanitari, relativo ai polli, e che non riguarda questi specifici uccelli selvatici negli Stati Uniti. Tali importazioni sono legali e legittime e non costituiscono rischi per la salute.

Per quale ragione il Commissario impone questa misura draconiana alle piccole imprese in Europa?

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) Si tratta di una questione da sottoporre al mio collega, Commissario Kyprianou. Tuttavia, l’ovvia risposta riguarda l’influenza aviaria e il divieto che abbiamo attuato per ragioni sanitarie. Tale divieto è temporaneo. Sarà esteso fino alla fine di dicembre, e probabilmente anche all’anno prossimo, in funzione degli sviluppi dell’influenza aviaria.

In questo caso specifico gli Stati Uniti seguono una politica diversa, anche se forse si ottiene lo stesso risultato. Essi hanno adottato un divieto che prevede deroghe, mentre noi permettiamo le importazioni, valutando però caso per caso.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE).(EN) Mi chiedo, signor Commissario, se lei abbia mai considerato la possibilità di invertire l’onere della prova. La questione è che il sistema attuale che regola da noi il commercio degli uccelli selvatici richiede una dimostrazione della sua nocività per le popolazioni di specie selvatiche prima che possa essere sospeso. Come mai non possiamo stabilire la sostenibilità di un uccello selvatico o di una specie prima di avviarne il commercio? Di fatto, tale misura dovrebbe essere applicata a tutte le specie, non soltanto agli uccelli. Inoltre, l’UE vieta il commercio dei suoi uccelli selvatici ai sensi delle direttive “uccelli” e “habitat”. Allo stesso tempo, mediante tale commercio continuiamo ad avere un approccio altezzoso nei confronti della biodiversità dei paesi meno sviluppati, nonostante la presenza di un divieto temporaneo. Si può accettare di andare avanti così?

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) La conservazione mondiale di talune specie di uccelli è influenzata dal commercio internazionale. Tali specie potrebbero essere proposte per figurare nell’elenco nell’ambito della convenzione CITES, nelle rispettive appendici. Lo scambio a scopi commerciali è dunque proibito o regolato da un permesso e da un sistema di controllo. Si può seguire una procedura sicura per stabilirlo secondo le disposizioni della CITES.

Le specie vengono iscritte nell’elenco unicamente se soddisfano determinati criteri per la conservazione e il commercio. Se i requisiti corrispondono, la Commissione intende sostenere l’inserimento nell’elenco. Ognuno di questi elenchi è soggetto a un voto in ambito CITES e non sempre si ottiene la maggioranza necessaria. Dovremmo ricordare che occorre agire nel rispetto delle norme e onorare i nostri impegni nell’ambito della convenzione CITES, e che non si può fare diversamente una volta presa una decisione di voto. Anche i paesi esportatori sono coinvolti e se non agiamo secondo la legge nei confronti di alcune specie, possiamo andare incontro a problemi per altre specie, quali i rettili o i coralli o altri animali.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 49 dell’onorevole Carlos Carnero González (H-0620/06):

Oggetto: Lettera di diffida al Comune e alla Comunità autonoma di Madrid, procedura di sanzioni contro i lavori di sotterramento della M-30

Lo scorso mese di aprile la Commissione europea ha inviato una lettera di diffida al Comune e alla Comunità autonoma di Madrid nel quadro della procedura di sanzioni per il mancato rispetto della direttiva 85/337/CEE(2) durante i lavori di sotterramento della M-30, partendo dal dossier informativo aperto a seguito dell’interrogazione P-0494/04(3), presentata nel febbraio 2004. Essendo trascorsi i due mesi previsti dalla normativa per l’invio degli allegati ritenuti opportuni alla Commissione, da parte del Comune e della Comunità autonoma di Madrid, può essa confermare che tali allegati siano stati presentati? Qualora siano stati presentati in tempo utile, quali misure intende adottare la Commissione europea? In caso contrario, qual è il loro contenuto e qual è l’opinione della Commissione al proposito?

 
  
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  Stavros Dimas, Μembro della Commissione.(EL) Ritengo di poter rispondere con molta semplicità. Forse mi occorre sola una frase per dire che la Commissione ha inviato una lettera di messa in mora per quanto riguarda la presunta errata applicazione da parte delle autorità spagnole della direttiva modificata sull’impatto delle opere pubbliche e private sull’ambiente nel caso del progetto di costruzione della tangenziale M-30 a Madrid.

La lettera è stata inviata dalla Commissione il 10 aprile 2006, ai sensi dell’articolo 226 del Trattato, e la Spagna ha risposto il 13 luglio 2006. Stiamo attualmente valutando la risposta fornita dalle autorità spagnole e a breve completeremo tale valutazione.

 
  
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  Carlos Carnero González (PSE).(ES) Signora Presidente, signor Commissario, considerata la risposta data dalle autorità spagnole competenti, spero che la Commissione europea prenderà una rapida decisione.

Vorrei ricordare quanto segue: la lettera di diffida della Commissione ha chiarito che, dal punto di vista di questa Istituzione, non era stato rispettato il contenuto della direttiva 85/337/CEE che rende gli studi sull’impatto ambientale fondamentali per questo tipo di lavori pubblici. Dal momento che non era stato rispettato realizzando l’opera pubblica in questione, sono stati lesi i diritti legittimi e gli interessi dei cittadini di Madrid, vale a dire, i cittadini europei di Madrid.

Ciononostante, l’Ayuntamiento de Madrid continua con questo lavoro giorno e notte nonostante il preavviso della Commissione europea. Tenendo conto della lettera di risposta, si rende pertanto indispensabile che tale decisione sia immediata in quanto, in caso contrario, i diritti saranno violati in maniera quasi del tutto irreversibile, ed è proprio ciò che dobbiamo tentare di evitare.

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EN) Sarò il più breve possibile. Vorrei ricordare che la Commissione ha aperto questa inchiesta in seguito a una sua interrogazione in materia. La dimensione e la complessità del progetto è tale da aver richiesto diversi scambi di informazioni tra l’Esecutivo e le autorità spagnole al fine di raccogliere tutte le informazioni fattuali e giuridiche necessarie alla Commissione per poter debitamente procedere a un esame adeguato del caso. Probabilmente al momento abbiamo l’esigenza di ottenere maggiori informazioni sull’avvio delle procedure.

Siamo giunti alla conclusione che il progetto relativo alla tangenziale M-30 non è stato sottoposto a una appropriata valutazione d’impatto conformemente alla direttiva 85/337/CEE del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, in particolare per quanto riguarda alcuni dei sottoprogetti in cui è suddiviso il progetto relativo alla tangenziale M-30. Inoltre, non è stata compiuta una valutazione degli effetti cumulativi di tali progetti. Questo risulta essere il problema principale. Il progetto è stato suddiviso in 19 sottoprogetti. E’ stata compiuta una valutazione d’impatto per alcuni sottoprogetti, ma non per tutti, e non esiste una valutazione d’impatto complessiva per l’intero progetto. Questo secondo noi costituisce una violazione della direttiva.

 
  
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  Presidente. – Le interrogazioni nn. 50 e 51 riceveranno risposta per iscritto. Le interrogazioni nn. 52 e 53 non saranno esaminate, in quanto gli argomenti su cui vertono figurano già nell’ordine del giorno della presente seduta. Le interrogazioni dal n. 54 al n. 58 riceveranno risposta per iscritto.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 59 dell’onorevole Bernd Posselt (H-0609/06):

Oggetto: Cristiani in Turchia

Qual è lo status attuale delle comunità religiose non islamiche in Turchia, in particolare dei cristiani, soprattutto per quanto concerne la libertà di religione, il diritto di costituire associazioni in grado di prendere iniziative, la costruzione di luoghi di culto e di centri culturali nonché la formazione dei futuri sacerdoti? Ritiene la Commissione che, in tale contesto, la Turchia stia rispettando pienamente i criteri di Copenaghen negli ambiti della democrazia e dello stato di diritto?

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) Il 20 giugno di quest’anno ho avuto uno scambio di vedute con la commissione per gli affari esteri, con cui ho avuto modo di condividere le preoccupazioni della Commissione circa la mancanza di slancio riscontrabile al momento in Turchia sul fronte delle riforme politiche, per esempio in relazione alla questione sollevata dall’onorevole Posselt. La Commissione aveva sperato che l’apertura dei negoziati di adesione avrebbe dato un impulso più concreto al processo di riforma. Per quanto riguarda le difficoltà incontrate dalle minoranze religiose musulmane e non musulmane, è evidente, sinora, una mancanza di progressi.

Di fatto, le minoranze religiose non musulmane continuano a incontrare notevoli problemi: non dispongono di una personalità giuridica, si trovano a dover far fronte a una limitazione dei diritti di proprietà e a ingerenze nella gestione delle loro fondazioni e non possono formare nuovi sacerdoti. La Commissione vorrebbe inoltre rilevare che la comunità di Alevi incontra difficoltà in riferimento al riconoscimento dei luoghi di culto, alla rappresentanza presso gli organi statali di rilievo e all’istruzione religiosa obbligatoria.

Il progetto di legge sulle fondazioni, inoltre, che è attualmente, e da troppo tempo, in sospeso in seno al parlamento turco, terrebbe in considerazione solo alcune di queste difficoltà, vale a dire il regime di proprietà di alcune comunità, anche se non di tutte. La Commissione ha ripetutamente esortato le autorità e l’Assemblea nazionale turca a modificare il progetto di legge sulle fondazioni per allinearlo alle relative norme europee.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE). − (DE) Sono molto grato al Commissario per la sua risposta positiva. Vorrei però chiedergli ancora una volta, in termini concreti, se ha ricevuto una risposta dalla Turchia, e se quest’ultima ha fatto qualche riferimento ai tempi previsti per l’adozione di norme giuridiche adeguate, o se invece il tutto è stato rimandato a dopo le elezioni turche o addirittura completamente accantonato.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) Il problema in esame è stato discusso, in termini di procedura. Quasi un anno fa per esempio, quando sono stato in Turchia dopo l’apertura dei negoziati di adesione, il 3 ottobre 2005, ho avuto un intenso scambio di opinioni in materia con la commissione pertinente dell’Assemblea nazionale turca. Da allora, la questione è stata sollevata in più occasioni, fra cui anche nell’ambito del Consiglio di associazione questa primavera. Dal nostro punto di vista, e secondo le autorità turche, questo problema dovrebbe essere incluso nel cosiddetto nono pacchetto di riforme, nel complesso ancora in sospeso, che dovrebbe essere adottato senza indebiti indugi dall’Assemblea nazionale turca e, in parte, dal governo turco.

Si tratta senza dubbio di una condizione preliminare indispensabile per l’adesione all’Unione europea e, come è già stato detto chiaramente, la Turchia non può entrare a far parte dell’UE se non rispetta questo principio fondamentale.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE). − (DE) Il Commissario ritiene che sia possibile impiegare l’Osservatorio europeo di Vienna come base per effettuare un monitoraggio regolare della situazione delle minoranze religiose e condurre studi in proposito?

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) L’idea dell’onorevole Rübig è molto interessante. Stiamo utilizzando tutti i dati e gli studi forniti da agenzie come quella di Vienna da lui menzionata, nonché dati provenienti da diverse organizzazioni di difesa dei diritti dell’uomo. Approfondirò la questione, ma, a quanto mi risulta, stiamo già impiegando le analisi fornite da quest’agenzia.

Ci avvaliamo di moltissimi studi e dati provenienti da organi quali il Consiglio d’Europa e l’OSCE, così come da agenzie e altri centri di ricerca.

 
  
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  Georgios Karatzaferis (IND/DEM). − (EL) Signor Commissario, sappiamo tutti che la scuola teologica di Halki è stata chiusa molti anni fa. La Commissione ha fatto qualcosa per farla riaprire? Si corre il rischio che la sede del patriarcato ecumenico in futuro non abbia a disposizione alcun candidato per l’elezione del prossimo patriarca.

Può dirci qualcosa al riguardo?

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) La libertà di religione e di culto è un’altra questione fondamentale e l’abbiamo sollevata molte volte con il governo turco. Ci aspettiamo non solo riflessioni al riguardo, ma azioni concrete per riaprire il seminario di Halki, che per questa particolare comunità religiosa riveste un’importanza fondamentale.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 60 dell’onorevole Sajjad Karim (H-0624/06):

Oggetto: Isolamento della parte settentrionale di Cipro

Nel 2004 l’UE si è impegnata a sostenere lo sviluppo economico e l’integrazione europea nella parte settentrionale di Cipro. Una riduzione del divario economico tra le due parti condurrebbe ugualmente alla riduzione dei costi per la riunificazione per i greco-ciprioti e della dipendenza dalla Turchia dei turco-ciprioti.

Al fine di garantire che l’adesione della Turchia e il processo di pacificazione dell’ONU siano complementari e non contrastanti, può la Commissione illustrare quali misure stia adottando l’UE per: proseguire il proprio impegno per giungere nei tempi prestabiliti ad un regolamento sul commercio diretto e per sbloccare i fondi per gli aiuti alla parte settentrionale di Cipro da destinare all’armonizzazione dell’acquis, alla riforma della funzione pubblica, all’ammodernamento del porto di Famagosta e al finanziamento di un censimento nel nord del Paese; attuare un nuovo strumento di finanziamento per la parte settentrionale di Cipro e creare una sede della delegazione della Commissione nel nord per sorvegliare l’erogazione dei fondi di assistenza tecnica e di armonizzazione dell’acquis; riesaminare le proposte attuali per il commercio diretto, in modo da includere l’integrazione della parte settentrionale di Cipro nell’Unione doganale dell’UE con la Turchia; modificare il regolamento sulla linea verde e gestire in comune con i turco-ciprioti il porto di Famagosta; garantire che i turco-ciprioti siano rappresentati in modo equo all’interno delle istituzioni europee?

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione.(EN) Per ciò che concerne le misure adottate dalla Commissione al fine di agevolare la riunificazione dell’isola e quindi di porre fine all’isolamento della comunità turcocipriota, possiamo segnalare le seguenti attività principali.

In primo luogo, la Commissione ha iniziato ad attuare il regolamento del Consiglio che istituisce uno strumento di sostegno finanziario per promuovere lo sviluppo economico della comunità turcocipriota. Tale regolamento è stato adottato il 27 febbraio 2006 durante la Presidenza austriaca. Il gruppo responsabile dell’attuazione del regolamento dovrebbe essere operativo a partire da questo mese, utilizzando un ufficio di sostegno ai programmi EU nella parte settentrionale di Nicosia. I primi progetti di cui è prevista l’attuazione comprendono, tra l’altro, azioni nel settore dei rifiuti solidi, dell’energia, delle infrastrutture locali e del sostegno alle imprese nonché altre misure molto concrete.

In questo ambito, inoltre, la Commissione sta attuando un programma di rafforzamento istituzionale mediante lo strumento per l’assistenza tecnica e lo scambio di informazioni (TAIEX), al fine di aiutare la comunità turcocipriota a prepararsi per la futura applicazione dell’acquis comunitario in quella parte dell’isola.

La proposta di regolamento sugli scambi diretti avanzata dalla Commissione al Consiglio nel luglio 2004, ossia più di due anni fa, è tuttora in discussione in seno al Consiglio. L’Esecutivo sostiene gli sforzi compiuti dalla Presidenza finlandese per garantire una rapida adozione di tale normativa commerciale al fine di onorare gli impegni assunti dall’Unione nell’aprile 2004. Non abbiamo intenzione di ritirare la proposta e presentare una versione modificata. Siamo sempre stati e siamo tuttora disposti ad accettare e agevolare tutte le misure di accompagnamento volte a sostenere la riunificazione e lo sviluppo economico, che siano accettabili per entrambe le comunità e per tutte le parti coinvolte, al fine di superare l’infausta situazione attuale di stallo.

Non è un segreto che le misure di accompagnamento siano in gran parte incentrate sulla questione del porto di Famagosta. In risposta al quesito dell’onorevole Matsis, la restituzione di Varosha è stata legata in passato ai negoziati condotti dalle Nazioni Unite su una soluzione globale del problema di Cipro. Spetta pertanto alle parti interessate decidere se mantenere la questione nel quadro della soluzione globale o discuterla separatamente, o trovare una soluzione per tenerne conto in entrambe le opzioni. E’ una questione di volontà. Attualmente ci aspettiamo che entrambe le comunità affrontino la questione concentrandosi meno sulle ingiustizie passate e maggiormente sulle soluzioni future. Ci attendiamo uno spirito costruttivo da parte di tutti. E’ tempo di porre fine alla divisione e di riunificare Cipro.

 
  
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  Sajjad Karim (ALDE).(EN) Ieri sera la commissione parlamentare per gli affari esteri ha approvato una relazione critica che esorta in particolar modo la Turchia a “prendere misure concrete per normalizzare le relazioni bilaterali con la Repubblica di Cipro, Stato membro dell’UE”. La relazione avverte che la mancanza di progressi “avrà gravi implicazioni per il processo negoziale che potrebbero addirittura bloccarlo”. Qual è l’opinione del Commissario rispetto a tale relazione e alla possibilità che la mancanza di progressi potrebbe bloccare i negoziati? Signor Commissario, non ritiene che per quanto concerne il Parlamento europeo esistano ancora pericolosi pregiudizi nei confronti della Turchia, con turcofobi disposti ad aggrapparsi ad ogni pretesto per bloccare il processo di adesione?

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Sono stato informato dei risultati del voto della commissione per gli affari esteri sulla relazione Eurlings relativa alla Turchia. Esprimerò un giudizio su tale relazione nel corso del dibattito della prossima tornata plenaria, cioè quando sarò del tutto preparato e avrò analizzato il testo riga per riga e paragrafo per paragrafo.

E’ evidente che un’eventuale inosservanza da parte della Turchia degli obblighi che riguardano l’attuazione del protocollo aggiuntivo all’accordo di Ankara avrebbe conseguenze sull’intero processo negoziale. Questo è, più o meno parola per parola, ciò che il Consiglio e gli Stati membri hanno deciso nel settembre 2005, nella ben nota dichiarazione dell’UE che ha preceduto l’avvio dei negoziati per l’adesione.

Il nostro obiettivo è quello di evitare un possibile scontro, in quanto non è nell’interesse di nessuno danneggiare gravemente le relazioni tra Turchia e Unione europea. La maniera migliore per evitarlo è che la Turchia onori gli impegni assunti prima dell’apertura dei negoziati per l’adesione.

 
  
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  Ioannis Kasoulides (PPE-DE).(EN) Vorrei chiedere al Commissario se è a conoscenza che dal momento dell’apertura dei passaggi da nord a sud di Cipro, il reddito pro capite della comunità turcocipriota è quasi triplicato grazie ai contatti con il sud, nonostante il loro preteso isolamento.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) La ringrazio per averci fornito tali osservazioni dettagliate relative alla crescita economica della comunità turcocipriota.

Mi compiaccio se il regolamento relativo alla linea verde e le opportunità che esso offre al commercio all’interno dell’isola migliorano la situazione economica della comunità turcocipriota. E’ nostro intento migliorare il funzionamento del regolamento detto della “linea verde”. Allo stesso tempo stiamo lavorando attivamente per sbloccare la situazione relativa agli scambi diretti e fare in modo che tutte le parti si impegnino a riprendere i negoziati sulla soluzione globale per riunificare Cipro.

 
  
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  Robert Evans (PSE).(EN) Signor Commissario, poco fa lei ha accennato alla situazione di stallo che si è creata. Sono d’accordo con lei e forse esiste qualche parallelo con la situazione tra la Transnistria e la Moldavia di cui abbiamo discusso ieri in Aula.

Di recente ho visitato Cipro nord per la prima volta e trovo che sia stato a dir poco illuminante. Nonostante tutte le altre questioni, ma tenendo presente che la popolazione di Cipro nord ha votato a favore dell’adesione all’Unione europea, l’UE non potrebbe, per lo meno, valutare la possibilità di autorizzare voli diretti per Cipro nord?

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) La ringrazio per la domanda, onorevole Evans. Il nostro punto di vista sulle modalità atte a porre fine all’isolamento economico delle comunità turcocipriote è chiarissimo: attualmente intendiamo mettere in atto un programma di assistenza finanziaria e favorire una soluzione per quanto riguarda gli scambi diretti, prevedendo per quanto possibile misure di accompagnamento. Contemporaneamente, confidiamo nel fatto che questo ristabilirà – auspichiamo presto – un clima di fiducia in modo da poter riprendere i negoziati, con il coordinamento delle Nazioni Unite, su una soluzione globale che conduca alla riunificazione di Cipro.

 
  
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  Presidente. – Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).

Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.

(La seduta, sospesa alle 19.30, riprende alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. TRAKATELLIS
Vicepresidente

 
  

(1) GU L 103 del 25.4.1979, pag. 1.
(2) GU L 175 del 5.7.1985, pag. 40.
(3) GU C 84 E del 3.4.2004, pag. 415.


17. Contraffazione di medicinali (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale (O-0039/2006 – B60310/2006) dell’onorevole Thierry Cornillet, a nome del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, alla Commissione, sulla contraffazione di medicinali.

 
  
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  Thierry Cornillet (ALDE), autore. − (FR) Signor Presidente, signor Commissario, non c’è alcun dubbio che ci troviamo di fronte a uno dei flagelli più gravi del mondo, che non dobbiamo tuttavia in alcun modo considerare inevitabile. Credo davvero che esista, in casi come questo, la possibilità di intervenire politicamente, a differenza di quanto avviene in caso di calamità quali i terremoti o gli tsunami, di fronte ai quali si è del tutto impotenti.

Ecco alcuni dati: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, su un milione di morti imputabili alla malaria, 200 000 andrebbero ricondotte alla contraffazione o a una cattiva gestione dei medicinali. Il noto giornale britannico The Lancet imputa 192 000 morti in Cina al consumo di medicinali contraffatti. Quante speranze vengono distrutte dall’impiego di questi farmaci? Questa situazione di fatto, in nulla comparabile alla contraffazione dei beni di lusso, pone le basi etiche necessarie per una decisa azione politica. Per “prodotti di lusso” intendo prodotti quali borsette, penne a sfera, accendini e occhiali, la cui contraffazione implica ovviamente la complicità dell’acquirente, che sa cosa sta acquistando e si fa ingannare molto raramente. La contraffazione di medicinali è la più immorale tra tutte le forme di falsificazione, perché ovviamente non prevede alcun tipo di complicità da parte dell’acquirente, che arriva anche a indebitarsi, per ritrovarsi poi a uccidere i propri figli.

Nel caso in esame, la Food and Drug Administration e l’OMS stimano che la contraffazione interessi il 10 per cento del mercato mondiale. Il 70 per cento dei farmaci antimalarici in sette paesi africani è rappresentato da medicinali contraffatti. In media il 25 per cento dei farmaci consumati nei paesi meno avanzati − il 50 per cento nel caso di Pakistan e Nigeria − è contraffatto.

Di che cosa stiamo parlando? Cito la definizione dell’OMS: un medicinale contraffatto è un farmaco cui è stata posta, in modo intenzionale e fraudolento, un’etichetta contenente informazioni errate circa la sua identità o origine. Il medicinale in questione può essere un prodotto brevettato o generico. Alcuni farmaci contraffatti contengono componenti benefiche, altri contengono componenti nocive o non presentano alcun principio attivo. Altri ancora contengono il principio attivo in quantità insufficiente e hanno confezioni falsificate.

Cosa si sta facendo al riguardo? Poco o niente. Come ho detto, la gente viene ingannata, talvolta con il suo consenso, ma quando uccide, è sempre contro la sua volontà. Noi europei ci troviamo in un ambiente protetto: possiamo contare su un sistema sanitario efficiente; le professioni sanitarie vengono monitorate; lo Stato esercita un controllo sociale costante. Occorre tuttavia fare qualcosa per quei paesi che non beneficiano dei nostri vantaggi. L’Unione europea ha l’obbligo morale di intervenire: ne va del suo onore.

Di fronte a questo problema il mondo si trova, di fatto, inerme. In materia esiste una scarsa legislazione specifica, a livello sia internazionale che nazionale. Le frontiere sono estremamente “porose”; si ha una proliferazione di sistemi di distribuzione moderni come Internet; le autorità preposte alla regolamentazione e al controllo della qualità dei prodotti sono scarse o assenti; i sistemi di distribuzione sono arcaici e non sorvegliati, e non esistono distinzioni tra marchi protetti e contraffatti. Non c’è dubbio sul fatto che non ci troviamo di fronte a un gruppo di dilettanti sprovveduti, bensì di fronte a un mondo criminale ben organizzato, essendo la contraffazione di medicinali meno rischiosa e più lucrosa del traffico di droga. Dobbiamo quindi rimuovere tutti gli ostacoli e prendere provvedimenti risoluti a ogni livello.

Chiediamo all’Unione europea di svolgere un ruolo chiave mediante la stesura di una convenzione internazionale volta alla lotta contro la contraffazione a ogni stadio. Questo è anche l’impegno della dichiarazione scritta n. 53, che inviterei i colleghi a firmare.

Dall’inizio del 2006 l’OMS ha istituito un gruppo di lavoro per definire una legislazione intesa a fronteggiare la contraffazione, secondo un modello che possa poi essere adottato da ogni Stato. L’Unione europea ha i mezzi politici per prendere in mano le redini, grazie alla sua rete di partner, al contributo intellettuale, all’appoggio politico e al sostegno finanziario degli organi deputati al controllo che saremo in grado di esercitare.

Onorevoli colleghi, disponiamo di tutti i mezzi necessari per agire: abbiamo un’ampia gamma di partner e l’importo necessario in termini di aiuti − è il caso di rilevare che siamo il primo donatore mondiale di aiuti e che basterebbe una minuscola parte di tali aiuti per risolvere il problema? Disponiamo degli strumenti giuridici e dei mezzi necessari per esercitare pressioni sugli attori principali, che devono essere l’OMS e l’ONU.

Non vorrei essere sentimentale, ma come non pensare a una madre che piange suo figlio nella convinzione di avergli dato la medicina che lo avrebbe salvato. Si immagini anche un solo caso simile in Europa e cosa ne farebbero i media. Nei paesi meno avanzati casi simili si ripetono ogni giorno. Non siamo nella sfera della magia e delle cure miracolose, ma in quello della sordida realtà.

Vorrei renderle noto, signor Commissario, che a nome del Parlamento europeo e con l’aiuto dei miei colleghi eserciterò il diritto di continuare a occuparmi del problema in esame. Tra un anno, la interrogherò nuovamente per sapere cosa è stato fatto. Questa guerra non consente tregue.

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. − (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, la Commissione condivide le gravi preoccupazioni espresse dall’onorevole Cornillet e personalmente sono giunto, circa il carattere profondamente criminale della contraffazione, alle stesse conclusioni.

L’interrogazione rimanda, giustamente, a tre ordini di problemi. Il primo è la lotta contro la contraffazione dei medicinali all’interno dell’Unione europea. Al riguardo la Commissione sta prendendo provvedimenti a due livelli.

Per prima cosa, naturalmente, si è rafforzata la tutela giuridica. Nel 2004 è stata adottata una nuova legislazione sulla tutela della proprietà intellettuale, e il 2003 e 2004 hanno visto l’adozione di nuove norme relative alla condotta delle autorità doganali nei confronti di prodotti sospettati di infrangere determinati diritti di proprietà intellettuale. Al momento sono in esame due proposte concernenti le misure penali da applicare per garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.

Un’indagine condotta di recente nella Comunità europea ha rivelato che negli ultimi cinque anni nell’UE ventisette medicinali contraffatti sono apparsi in canali di distribuzione legali e centosettanta in canali di distribuzione illegali. Sulla base di queste scoperte, gli Stati membri stanno mettendo a punto misure per combattere la contraffazione.

Da parte sua la Commissione, insieme agli Stati membri, all’Agenzia europea per i medicinali e ai partner internazionali, sta cercando di capire quali misure saranno necessarie, in futuro, per tutelare la salute pubblica. Posta in questi termini, la questione implica l’effettiva applicazione della legislazione vigente, la cooperazione tra istituzioni diverse, ma anche operazioni di comunicazione e sensibilizzazione. Non escludo la possibilità che la legislazione in vigore venga ulteriormente sviluppata e che si debbano prendere in considerazione eventuali modifiche.

Controlli doganali più efficaci sono uno strumento importante per arginare il traffico di medicinali contraffatti. Si può constatare con piacere che la quantità di medicinali contraffatti confiscati dalle autorità doganali è già in aumento. La comunicazione della Commissione relativa alla risposta delle amministrazioni doganali agli ultimi sviluppi nel campo della contraffazione e della pirateria pubblicata di recente affronta il problema della contraffazione di medicinali e raccomanda misure specifiche per combattere questa minaccia crescente.

In base all’esperienza delle autorità doganali, un’ampia porzione dei medicinali contraffatti viene trasportata attraverso l’Unione europea ed è spesso destinata ai paesi in via di sviluppo. La lotta contro i prodotti contraffatti importati è particolarmente difficile, perché questi spesso entrano nell’Unione europea in piccole quantità, e le autorità doganali si trovano a dover individuare la merce illegale in mezzo a un numero enorme di piccole partite.

La Commissione incoraggia i titolari dei diritti a trarre pieno vantaggio dalla tutela offerta dal regolamento (CE) n. 1383/2003 del Consiglio. Contestualmente alla domanda di intervento da parte della dogana, i titolari forniscono alle autorità doganali le informazioni necessarie per effettuare una ricerca mirata delle partite a più alto contenuto di rischio.

Il secondo ordine di problemi riguarda i nostri aiuti ai paesi più poveri, che sono di fatto le principali vittime dei medicinali contraffatti. Cosa stiamo facendo per aiutarli a regolamentare e controllare la qualità dei medicinali nel loro territorio?

Tentiamo naturalmente, per una questione di principio, di agire a livello multilaterale. La Commissione sostiene pertanto le iniziative intraprese dall’Organizzazione mondiale della sanità nella lotta contro la contraffazione di medicinali. La Conferenza dell’OMS tenutasi a Roma nel febbraio 2006 ha creato una piattaforma per interventi specifici. La Commissione appoggia pertanto il lancio di una task force guidata dall’OMS per combattere la contraffazione di medicinali a livello internazionale. I risultati dell’operato di questo gruppo andranno a beneficio di tutti i membri dell’OMS, compresi i paesi in via di sviluppo. La Commissione svolgerà un ruolo attivo nella task force e fornirà le informazioni necessarie.

La Commissione sta inoltre portando a termine alcuni progetti sostenuti dal Fondo europeo di sviluppo, in particolare il partenariato tra OMS e paesi CE in materia di politiche farmaceutiche. Tale partenariato dovrebbe permettere ai paesi ACP di rendere più efficaci la loro legislazione e i loro sistemi di assicurazione della qualità in campo farmaceutico, nonché di migliorare aspetti quali il controllo, le misure nei confronti di medicinali inferiori agli standard o contraffatti e la gestione delle informazioni. A questo scopo sono stati stanziati 2,3 milioni di euro.

La terza questione riguarda l’eventuale creazione di una convenzione internazionale contro la contraffazione di medicinali. Quest’idea è stata discussa dettagliatamente nel corso dei preparativi per la Conferenza dell’OMS del febbraio 2006 e durante la Conferenza stessa. Opinione della maggior parte dei partecipanti, inclusa la Commissione, era che una convenzione internazionale non sarebbe, in questo momento, lo strumento più efficace per combattere la minaccia crescente rappresentata dalla contraffazione di medicinali. La task force costituita durante la Conferenza è più indicata per raccogliere e trasmettere informazioni ed elaborare soluzioni per i problemi più urgenti.

Per concludere, vorrei rassicurare i presenti ribadendo che la Commissione condivide le preoccupazioni del Parlamento ed è disposta ad accogliere proposte e a prendere ulteriori iniziative.

 
  
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  Maria Martens, a nome del gruppo PPE-DE. − (NL) Signor Presidente, anch’io vorrei esprimere la mia preoccupazione circa i problemi relativi alla contraffazione di medicinali.

I medicinali contraffatti vengono prodotti e commerciati illegalmente senza alcuna forma di supervisione. I loro effetti non possono essere verificati, cosa che li rende un potenziale rischio per la salute pubblica. Questa forma di pirateria, di conseguenza, deve essere fermata. Il problema è già stato affrontato dall’onorevole Cornillet, e ripreso anche dal Commissario: personalmente, sono favorevole a qualunque misura la Commissione vorrà adottare per fronteggiare il problema.

Poiché il problema colpisce soprattutto i paesi in via di sviluppo, i paesi poveri, è in questi paesi che si possono prevedere i problemi maggiori quando si tratta di affrontare in modo adeguato ed efficace la pirateria. Spesso in questi paesi l’approvvigionamento di medicinali sicuri e legali non è bene organizzato come in Europa. Per questo chi commercia medicinali contraffatti ha opportunità relativamente più elevate di vendere i propri farmaci, il cui effetto non può esser controllato e può essere appunto nocivo per la salute pubblica.

Inoltre, nei paesi in via di sviluppo manca spesso un adeguato quadro legale. La loro legislazione non è idonea ad affrontare questo problema con efficacia. Anche quando è appropriata, i controlli lasciano molto a desiderare. Nei paesi in via di sviluppo c’è bisogno di medicinali accessibili, efficaci e, naturalmente, legali; per questo vorrei accennare alle opportunità offerte dai medicinali generici. Non possono eliminare il problema, ma possono fare qualcosa per alleviare l’attuale stato di necessità. Purtroppo al momento si fa un uso ridotto di questi medicinali: in questo campo si può forse fare di più.

Il Commissario ha affermato che una convenzione o norme internazionali non sono sufficienti, ma immagino che possano essere d’aiuto, e nel caso si rivelino inadeguate, allora occorre prendere provvedimenti più decisi. Sono dell’idea che sia fondamentale avere un approccio chiaro e universale. L’Europa dovrà fare la sua parte, e ciò implicherà anche il trasferimento di conoscenza, per poter affrontare la lotta alla contraffazione di medicinali con più efficacia.

Vorrei sapere − sebbene il Commissario abbia già risposto in parte nella sua spiegazione − quali sono i nuovi progetti volti a fronteggiare, in futuro, la contraffazione di medicinali e la sua organizzazione, con particolare riferimento alle attività criminali.

 
  
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  Karin Scheele, a nome del gruppo PSE. − (DE) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei esprimere la mia riconoscenza all’onorevole Cornillet, alla cui iniziativa si deve il fatto che siamo qui oggi a discutere questo tema importante e domani adotteremo una risoluzione al riguardo. L’onorevole Cornillet ha riportato, all’inizio del suo discorso, la definizione di contraffazione di medicinali proposta dall’Organizzazione mondiale della sanità. Penso che questo sia molto importante, perché il rischio in questa discussione è quello di deviare dall’argomento principale e di finire col credere che si tratti di approvare o meno i medicinali generici. Fornendo questa definizione e specificando la sua posizione, l’onorevole Cornillet ha chiarito che la contraffazione può riguardare tanto i medicinali brevettati quanto quelli generici.

Nei paesi sviluppati, come si è già affermato, a essere contraffatti sono in prevalenza i cosiddetti farmaci lifestyle, e senza dubbio ognuno di noi può dire qualcosa sulle migliaia di e-mail indesiderate che si trova a cancellare ogni giorno, in cui si offrono medicinali a costi bassi se non bassissimi.

Nei paesi in via di sviluppo vengono contraffatti medicinali che dovrebbero curare malattie quali la malaria, la tubercolosi o l’AIDS. Talvolta medicinali contraffatti per curare malattie semplici come la tosse possono arrivare a causare moltissime morti, in quanto vengono creati con addizione di componenti chimici tossici, impiegati normalmente in prodotti come gli antigelo. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nel 1999 in Cambogia trenta persone sono morte dopo aver ingerito medicinali antimalarici contraffatti. Esiste un intero elenco di tragici casi come questi, senza contare che probabilmente molti casi non sono segnalati, essendo impossibile compilare una statistica di queste attività criminali.

Questo problema colpisce ogni parte del mondo, ma i paesi in via di sviluppo sono quelli che, naturalmente, subiscono i danni maggiori. Ancora una volta i motivi sono la povertà e il mancato accesso ai servizi sanitari. Se la popolazione non può permettersi i medicinali di cui ha bisogno, cerca di procurarseli per via informale a costi inferiori. Per questo è impossibile combattere in modo adeguato questo fenomeno senza servizi sanitari efficienti e medicinali accessibili.

Le misure per accrescere i diritti di proprietà intellettuale sono certamente positive e indicate come parte della strategia, ma non affrontano il problema alla radice.

E’ importante − e ringrazio il Commissario Verheugen per essersi espresso, a questo riguardo, in termini tanto esatti e decisi − che aiutiamo i paesi colpiti a sviluppare capacità autonome di produrre nei loro paesi e di importare verso i loro paesi medicinali sicuri.

 
  
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  Frédérique Ries, a nome del gruppo ALDE. − (FR) Signor Presidente, signor Commissario, a mia volta vorrei ringraziare il collega, onorevole Cornillet, per aver avviato questo dibattito fondamentale. Siamo tutti concordi nell’affermare che i medicinali pirata − mi trovo in pieno accordo con quanto ha detto l’onorevole Cornillet − costituiscono un flagello che uccide soprattutto, com’è ovvio, nei paesi meno sviluppati.

Purtroppo questo tipo potenzialmente letale di contraffazione non è molto conosciuto e nella maggior parte dei casi passa quasi inosservato. Si è molto lontani qui dalle spettacolari azioni legali intraprese dai produttori di articoli di lusso, che hanno goduto di una grande attenzione mediatica e che talvolta sono giunte fino ai più alti gradi di giudizio, con risultati, va detto anche questo, mediocri.

Quando si tratta di antibiotici, pillole anticoncezionali, steroidi, latte in polvere per neonati, farmaci antimalarici, di cui si è già parlato, vaccini − un Tamiflu contraffatto, per esempio −, o dello stesso Viagra, il modo in cui l’industria dei medicinali contraffatti riproduce qualunque cosa è del tutto immorale, poiché avviene all’insaputa del consumatore. L’onorevole Cornillet ha citato un’intera gamma di dati significativi. Io ho menzionato i 25 miliardi di euro annui coinvolti in questo traffico. Un antibiotico su tre e un medicinale su dieci, a livello mondiale, sono contraffatti.

Senza calcolare il danno che ovviamente queste cifre rappresentano per l’economia, il grosso problema è l’impatto disastroso che questa contraffazione esercita sulla salute. Nella migliore delle ipotesi, i medicinali contraffatti sono inutili. Nella peggiore, come ho già detto, uccidono, in particolare quando si tratta di medicinali impiegati per combattere malattie letali come la malaria, la tubercolosi o l’AIDS. Solo in Cina, centro e impero di qualunque tipo di contraffazione, 200 000 persone morivano ogni anno dopo essere state curate con dei medicinali pirata, anche in parecchi ospedali gestiti dalla Croce rossa cinese.

Questo per quanto riguarda le possibili osservazioni. Quanto alle cause, esse sono note, almeno in parte. L’onorevole Cornillet le ha trattate estesamente: la mancanza, cui non si è ancora posto rimedio, di una reale volontà dei governi nazionali di combattere questo flagello; l’assenza, in molti paesi, di una legislazione che possa agire da autentico deterrente; i costi ridicoli dei medicinali contraffatti, e soprattutto la povertà che si riscontra nei paesi colpiti e l’impossibilità, per i gruppi sociali più vulnerabili, che reclamano medicinali accessibili, di accedere ai sistemi sanitari.

In un dibattito come questo, nessuno pretende di avere una soluzione o quantomeno una soluzione già pronta; tuttavia, data l’urgenza della situazione, occorre prefiggersi una politica responsabile. Quando in aprile il Commissario Frattini ha denunciato, in quest’Aula, ogni forma di contraffazione, ha assunto una posizione più rigida in termini di sanzioni sia per i paesi europei che per quelli in via di sviluppo.

L’Unione europea deve svolgere un ruolo guida ed elaborare, in stretta collaborazione con l’OMS, una strategia globale per combattere efficacemente questo flagello. Senza dubbio occorre realizzare un coordinamento tra organi giudiziari e forze di polizia e stabilire sanzioni, ma è anche necessario informare i cittadini e, soprattutto, metterli in guardia. Oggi, la difficoltà maggiore consiste nel rendere accessibili a tutta la popolazione dei paesi colpiti medicinali essenziali e di alta qualità.

 
  
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  Marie-Hélène Aubert, a nome del gruppo Verts/ALE. − (FR) Signor Commissario, la contraffazione di medicinali rappresenta senza dubbio un flagello gravissimo, che ahimè non è nuovo, anzi è noto da parecchi anni. C’è quindi da sperare che l’interrogazione opportunamente presentata dal nostro collega pervenga infine a qualche risultato.

Detto questo, la principale causa della contraffazione è il fatto che i medicinali hanno prezzi davvero troppo elevati per i paesi poveri e le loro popolazioni. Come primo provvedimento, quindi, bisognerebbe garantire ai paesi poveri e alle popolazioni più svantaggiate l’accesso ai medicinali generici. A questo problema hanno già accennato i miei colleghi. I farmaci generici non hanno ancora un ruolo di rilievo nel mercato farmaceutico.

Non credo inoltre che la lotta contro la contraffazione debba consistere nel rafforzare la protezione dei brevetti in campo farmaceutico, proteggendo così la crescita futura dei profitti, già considerevoli, realizzati dall’industria farmaceutica in molti settori.

La priorità è quindi incoraggiare, nei paesi colpiti, la definizione di politiche sanitarie pubbliche, nonché l’instaurazione di uno Stato di diritto. Questa è certamente la priorità: non si può fare nulla finché non vengono instaurati uno Stato autosufficiente e politiche sanitarie pubbliche che permettano, in modo particolare, di controllare i medicinali e di creare farmacie secondo norme ben precise.

La questione della politica sanitaria pubblica è un punto fondamentale; l’altro è la prevenzione. In effetti, la salute non dipende unicamente dai medicinali; detto in altri termini, ingerire medicine non è l’unico modo per mantenersi in buona salute. Oggigiorno l’acqua potabile contaminata, per esempio, è causa di morte in molti paesi in via di sviluppo. Un altro esempio riguarda l’AIDS. La contraffazione di medicinali in questo ambito è molto sviluppata e la recente conferenza dell’UNAIDS ha posto un forte accento sulla prevenzione. E’ anche grazie a politiche di prevenzione, informazione ed educazione, e facendo assegnamento sulle conoscenze pratiche delle comunità locali, che si può quindi tentare di risolvere il problema, e non soltanto mettendo sul mercato decine di sostanze a prezzi proibitivi.

Per concludere, credo che nella lotta alla contraffazione si debba cominciare con il rafforzare le misure esistenti e con il coordinarle meglio. Dobbiamo poi, prima di ogni altra cosa, aiutare i paesi in via di sviluppo, o i paesi più poveri, a edificare Stati autosufficienti e a instaurare politiche pubbliche in grado di farsi carico di tutte le problematiche sanitarie e non solo dell’accesso ai medicinali.

 
  
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  Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì, alle 12.00.

 

18. Migliorare la salute mentale della popolazione – Verso una strategia sulla salute mentale per l’Unione europea (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0249/2006), presentata dall’onorevole John Bowis a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sul miglioramento della salute mentale della popolazione – verso una strategia sulla salute mentale per l’Unione europea [2006/2058(INI)].

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, apprezzo moltissimo la partecipazione attiva del Parlamento alla consultazione in merito al Libro verde della Commissione sulla salute mentale. Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare il relatore, onorevole Bowis, per l’ottimo lavoro.

E’ passato quasi un anno da quando la Commissione ha presentato il Libro verde sul miglioramento della salute mentale della popolazione, il quale ha rappresentato anche una risposta alla Conferenza ministeriale europea dell’OMS, cui hanno partecipato tutti gli Stati membri dell’Unione. Nella dichiarazione adottata, la Conferenza ha invitato la Commissione a sostenere l’attuazione del Libro verde.

Il Libro verde ha presentato la salute mentale come parte centrale della salute pubblica complessiva e una causa determinante fondamentale della qualità della vita nell’Unione europea. Ha sostenuto che la salute mentale pubblica fosse anche un fattore fondamentale per la realizzazione degli obiettivi strategici comunitari: prosperità, solidarietà e coesione sociale, nonché giustizia.

I valori europei e il modello sociale europeo richiedono il necessario sostegno da parte nostra a coloro che soffrono di disturbi mentali e alla promozione dell’inclusione sociale. Questo è forse uno dei messaggi fondamentali che emergono dal processo di consultazione, dalla relazione e dalla risoluzione, ovvero che affrontare il tema dell’inclusione sociale e della stigmatizzazione associata ai problemi di salute mentale è un fattore chiave dei nostri sforzi per affrontare l’intera questione.

A causa di tale stigmatizzazione, le persone che soffrono di problemi di salute mentale non lo ammettono e non cercano aiuto. Di conseguenza, non solo non ricevono cure, ma vengono anche distorte la veridicità e l’efficacia dei dati statistici, il che a sua volta implica che la questione non sia sempre una priorità per gli Stati membri e i governi, perché talora i numeri possono apparire erroneamente bassi. Pertanto, affrontare tale stigmatizzazione e l’inclusione sociale non è soltanto una questione di diritti umani o un obbligo, ma può anche avere effetti pratici sui nostri tentativi di dare priorità e rilievo a interventi e attività che mirano a risolvere il problema.

Il Libro verde si poneva tre obiettivi. Uno era un’ampia discussione dell’importanza di esaminare l’eventualità di elaborare una strategia sulla salute mentale a livello comunitario e di individuare le priorità di tale strategia. Abbiamo svolto una consultazione completa. Abbiamo ricevuto oltre 150 contributi. Uno dei più importanti, naturalmente, sarà la risoluzione del Parlamento.

Il progetto di relazione presentato per l’odierno dibattito affronta la salute mentale in tutta la sua complessità. Sono lieto che contenga numerosi suggerimenti molto concreti. E’ molto importante e utile per noi in vista dei passi successivi che dobbiamo intraprendere. Condivido quasi tutti i punti illustrati nella relazione, e la Commissione prenderà nella dovuta considerazione tali proposte quando deciderà le prossime mosse da compiere.

Stiamo ora analizzando i risultati della consultazione e già da ieri, se non sbaglio, tutti i contributi sono disponibili sul nostro sito sulla salute pubblica. In autunno verrà preparato e pubblicato un documento che riassume gli esiti della consultazione. A questo punto posso dire che i risultati preliminari della consultazione hanno mostrato un forte sostegno allo sviluppo di una strategia comunitaria sulla salute mentale.

Spero di presentare un Libro bianco della Commissione sulla salute mentale durante il primo trimestre dell’anno prossimo presentando una strategia e proponendo un quadro per la cooperazione sostenibile tra Stati membri, ambiti politici e le parti interessate. Sono fermamente convinto che per promuovere efficacemente la salute mentale nella Comunità e incoraggiare l’inclusione sociale abbiamo bisogno soprattutto di dialogo, ricerca del consenso e, cosa più importante, azione. Sono fattori cruciali.

La sensibilizzazione e lo scambio di orientamenti e buone pratiche sono passi importanti e nel lungo periodo possono risultare più efficaci di qualunque altra iniziativa.

Attendo con ansia il dibattito. Ringrazio ancora una volta il Parlamento per l’iniziativa.

 
  
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  John Bowis (PPE-DE), relatore.(EN) Signor Presidente, ringrazio il Commissario Kyprianou per le sue parole introduttive sulla relazione.

Onorevoli colleghi, 450 milioni di persone nel mondo sono affette da un disturbo mentale. Una su quattro ne soffrirà nell’arco della vita; ogni anno in Europa si suicidano 58 000 persone e un numero di persone dieci volte superiore tenta di farlo. Sono più le persone che muoiono inutilmente suicidandosi che le vittime della strada o dell’AIDS. Tre persone su cento soffriranno di depressione; una persona su tre tra coloro che si recano dal medico di famiglia avrà un problema di salute mentale, che però solo a una su sei verrà diagnosticato come tale. Questo non significa che due su tre di noi godranno di una buona salute mentale: significa che forse non ci servirà o che non cercheremo una cura, oppure che non ci verrà offerta. Forse significa che ci verrà somministrata una cura inadeguata mediante farmaci, terapie, istituti e leggi che nella migliore delle ipotesi forse non ci faranno male, e nella peggiore causeranno un danno fisico e psicologico. Quasi certamente significa che verremo etichettati, trattati con condiscendenza, disprezzati, temuti e in maggiore o minor misura, segregati nella società, all’interno della famiglia, sul lavoro, nelle attività ludiche e perfino nell’ambito dei servizi sociosanitari.

Se, come si dice, possiamo fuggire ma non nasconderci, paradossalmente se soffriamo di disturbi mentali è vero il contrario. Non possiamo agire, non possiamo contribuire alla società come vorremmo, non possiamo condurre una vita piena e appagante come sarebbe nostro desiderio. Ciò significa inoltre che abbiamo a malapena abbozzato una politica per promuovere il benessere mentale tra i cittadini dai primi anni di vita all’esistenza adulta del lavoro e del divertimento e fino alla vecchiaia e agli anni della sempre maggiore fragilità.

Per questo motivo accolgo con favore i risultati raggiunti, innanzi tutto da parte di alcune Presidenze del Consiglio che si sono succedute – iniziando e culminando ora con la Presidenza finlandese – e da parte della Commissione, che ha elaborato il Libro verde e che lo tradurrà in politica attiva nei prossimi mesi.

Quando da bambino ho conosciuto per la prima volta la malattia mentale, era qualcosa di cui non si parlava. Quando ho conosciuto per la prima volta la politica sulla salute mentale, non si erano ancora fatti molti passi avanti da ferri, catene, camicie di forza, stanze d’isolamento, facoltà di detenzione, somministrazione forzata di farmaci, eccetera, o così sembrava. In effetti la politica sulla salute mentale è in movimento dagli anni ’60, con condizioni, cure e terapie più umane. Anche i pazienti sono in movimento, perché vanno in comunità o ritornano a casa propria. I cittadini non sempre l’hanno apprezzato. Il proverbio “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” ha lasciato il posto a “fuori di mente eppure sotto i nostri occhi e quelli dei nostri figli”.

Se si vuole che funzioni una politica sulla salute mentale moderna e umana, essa deve essere dotata di uno spettro assistenziale e di una gamma di servizi sanitari e sociali, di alloggio, di formazione, di trasporto e di altro tipo che interagiscano. Dev’esserci fiducia tra professionisti, pazienti e famiglie, e servono le nostre risorse. A tal fine è necessaria consapevolezza politica, che a sua volta richiede il pubblico consenso e sostegno professionale. Un servizio che non ottenga sostegno professionale, pubblico e politico viene meno due volte alla sua funzione nei confronti dei pazienti e delle loro famiglie. Viene meno nel fornire assistenza e cure adeguate e innesca una spirale negativa di pubblica sfiducia, accentuando così la stigmatizzazione.

La stigmatizzazione dilaga in tutti i paesi dell’Unione. Si tratta di una violazione dei diritti umani. Non è intenzionale, nasce dalla paura e dall’ignoranza, ma danneggia l’individuo quanto qualunque altra forma di abuso. Tutti contribuiamo alla stigmatizzazione di persone che, se avessero un problema fisico, riceverebbero la nostra solidarietà e il nostro sostegno. Dinanzi alla malattia mentale, tuttavia, molto spesso fingiamo di non vedere sperando che se ne occupi qualcun altro. Convivere con la malattia mentale è già abbastanza arduo senza aggiungere al peso dell’infermità il dolore del rifiuto e della stigmatizzazione. Perciò dobbiamo dare ascolto ai pazienti e agli utenti del servizio, che dovrebbero essere nostri partner e non solo pazienti. Abbiamo creato una legislazione contro le discriminazioni per le persone con disabilità. Forse dobbiamo fare altrettanto per le persone con problemi di salute mentale, sia che si trovino in ospedale che in comunità.

La mia relazione verte su questi temi. Indica la strada da percorrere per realizzare alcuni dei cambiamenti necessari. Se i cittadini ci credono, faranno pressione sui governi, che allora investiranno nella qualità dei servizi. Questo rende possibile la fiducia del pubblico. Sappiamo che i disturbi neuropsichiatrici sono responsabili di un terzo delle invalidità, del 15 per cento dei costi per ricoveri ospedalieri, di un quarto della spesa farmacologica, della metà dei casi affrontati dagli assistenti sociali e così via. Voglio essere certo che se io, mia moglie o un mio familiare un giorno avremo questo problema, com’è probabile, esista un sistema in cui si venga accolti a braccia aperte e non respinti, amati e non dimenticati, un sistema in cui non accada che non si conoscano le persone o non si sappia dove ci si trova, un sistema in cui non ci si ritrovi tra mura anonime, fredde ed estranee. Vorrei che esistesse la speranza e non una disperazione annunciata. Se comprendiamo che può accadere a ciascuno di noi – e accadrà a molti – allora perseguiremo un servizio migliore.

Nella mia relazione cito le parole pronunciate da Stefan Heym nel 1989 ad Alexanderplatz, Berlino est:

Wir haben in diesen letzten Wochen unsere Sprachlosigkeit überwunden und sind jetzt dabei, den aufrechten Gang zu erlernen. (Nelle ultime settimane abbiamo ritrovato la nostra voce e abbiamo imparato nuovamente a camminare a testa alta.)

La stigmatizzazione della salute mentale è un regime repressivo quanto lo era quello della Germania orientale. Ci chiude la bocca, ci fa abbassare la testa e il nostro compito è assicurare che le persone con problemi di salute mentale ritrovino, con il nostro aiuto, la propria voce, la propria dignità, l’autostima e riprendano a camminare a testa alta.

(Applausi)

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM), relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali.(EN) Signor Presidente, signor Commissario, lavoro da molti anni ai problemi che affliggono le persone con disabilità e coloro che li assistono. Nell’ambito di alcune disabilità sono stati fatti progressi. Purtroppo di tali progressi in genere non usufruiscono i cittadini che soffrono di malattie mentali.

A giudicare dal vivo interesse emerso in seno alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, i deputati sono consapevoli del fatto che proprio in mezzo a noi le persone che soffrono di disturbi mentali sono oggetto degli abusi disumani del ricovero forzato presso istituzioni e ospedali, della somministrazione forzata di farmaci e di altre cure mediche, della costrizione e della violenza fisica, essendo nel contempo vittime di discriminazione sul posto di lavoro, esclusione dalla comunità e sospetto da parte dei pubblici servizi.

Fortunatamente, in seno alla commissione, si è affermata davvero l’opinione che si debba cambiare, che si debba dare la priorità a orientamenti alle cure che permettano alle persone di raggiungere la remissione e la guarigione, nonché l’inclusione, la prevenzione della malattia mentale e la promozione della salute mentale. Infine, dev’esserci il riconoscimento che ciascun essere umano è prezioso e degno di rispetto e che tale rispetto implica permettere alle persone di parlare e di decidere da sé ogniqualvolta sia umanamente possibile.

Mentre attraversiamo il processo di formulazione di una strategia europea sulla salute mentale, la domanda principale che dobbiamo porci è: questo migliorerà la vita di qualcuno? Vorrei congratularmi con l’onorevole Bowis per la sua relazione, che contiene ottimi elementi: l’ammissione che i farmaci possono causare più disturbi mentali di quanti ne curino; un riconoscimento dell’importanza dell’infanzia per la salute mentale con un invito al sostegno alle famiglie; il riconoscimento che l’occupazione può incidere in positivo e in negativo sulla salute mentale; l’esigenza di consultare coloro che sono guariti dalla malattia mentale per capire come si è verificata tale guarigione. Si tratta di un buon inizio, ma se intendiamo davvero aiutare qualcuno con questa strategia, dobbiamo prendere in considerazione l’intera persona, e a tal fine la strategia dovrà comprendere concetti quali nutrizione e insuccessi, soprattutto insuccessi nello studio; pertanto il mio sostegno va soprattutto agli emendamenti presentati dall’onorevole Breyer.

Dobbiamo inoltre esaminare concetti non ancora citati, quali speranza e paura, creatività ed espressione, fede e spiritualità. Mi stupisce che si riesca a scrivere un’intera strategia senza mai menzionare le parole “spirito” o “spiritualità”. E’ importante che accettiamo che esistono momenti di crisi, dolore e tensione nella vita di ognuno e che quando li viviamo possiamo aver bisogno di sostegno e comprensione, ma che non sempre abbiamo bisogno di una diagnosi e di un farmaco. E’ davvero importante capirlo. Se si pensa al problema del suicidio, è evidente che arrivare a capire questo può persino essere una questione di vita o di morte.

 
  
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  Marta Vincenzi (PSE), relatrice per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la commissione per le pari opportunità ha avuto un dibattito appassionato sulla strategia riguardante la salute mentale. Nel poco tempo che mi è concesso è difficile sintetizzarne la ricchezza, ma sottolineo con soddisfazione il voto all’unanimità, un voto che, in estrema sintesi, suggerisce tre questioni fondamentali.

La prima questione: un forte consenso alla proposta di deistituzionalizzazione dei servizi psichiatrici; l’obiettivo di superare l’internamento e la segregazione dei malati di mente è visto dalla commissione come un passo avanti nell’affermazione della dignità della persona e anche per questo l’Europa ha pieno titolo per occuparsene.

Seconda questione: una forte accentuazione nelle modulazioni più diverse rispetto all’esigenza della prevenzione e di un coinvolgimento attivo degli utenti e dei servizi territoriali a tutti i livelli nella strategia globale, che il tema della prevenzione deve incorporare ancora più fortemente.

Terza questione: l’invito a considerare la dimensione di genere, ossia il punto più carente in assoluto del Libro verde! Noi affermiamo la necessità che nelle misure proposte figuri una ricerca sistematica di studi specifici riguardanti le donne, dato che finora fenomeni come i disordini alimentari, le malattie neurovegetative, la schizofrenia, la depressione, i suicidi, non sono stati studiati nella dimensione di genere e ciò rende i progressi ottenuti nella prevenzione e nelle cura meno rilevanti di quanto sarebbe necessario. Andiamo avanti, comunque, auguri.

 
  
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  Françoise Grossetête, a nome del gruppo PPE-DE.(FR) Signor Commissario, innanzi tutto vorrei congratularmi con il collega, onorevole Bowis, che ha svolto un lavoro notevole su un tema particolarmente importante che ci riguarda tutti, dato che un quarto di tutti gli europei incorrerà in problemi di salute mentale nell’arco della vita, con tutte le considerevoli ripercussioni che questi avranno per le persone loro vicine. Temo che in realtà la questione riguardi tutti. Chiunque noi siamo, la salute mentale ci riguarda.

Da moltissimo tempo, tuttavia, chiudiamo gli occhi di fronte a questi mali. Si pensava che una cattiva salute mentale fosse solo un momento difficile da attraversare per le persone, o nemmeno questo. Tali persone si sentivano stigmatizzate in quanto dovevano mantenere segreta la loro sofferenza. Tale oppressivo silenzio non dovrebbe più esistere al giorno d’oggi. Avere il coraggio di parlare dei problemi di salute mentale vuol dire aver già preso provvedimenti. Parlare di queste malattie è un primo passo verso la cura della maggior parte di loro. Isolare le persone con problemi di salute mentale e discriminarle è come puntare loro una pistola carica alla testa. Penso al giovane con un futuro promettente la cui esistenza viene improvvisamente sconvolta quando, al raggiungimento dell’età adulta, si scopre schizofrenico. Questo è fonte di sofferenza non solo per lui, ma anche per la sua famiglia. Il numero di tentati suicidi dovrebbe farci riflettere sull’importanza del problema. Diversi reati, inoltre, sono imputabili all’aumento di alcuni tipi di problemi di salute mentale.

L’invecchiamento della popolazione, inoltre, deve anche farci pensare, essendo purtroppo accompagnato da un aumento della malattia mentale. Dobbiamo tenere conto di questo fenomeno.

L’Unione europea può sviluppare misure per la prevenzione di una scarsa salute mentale, ma deve anche aiutare gli studiosi ad affrontare il fenomeno per comprendere meglio i fattori che riguardano la salute mentale, soprattutto nella prima infanzia, per gestire i progressi dei pazienti in modo più efficace, per promuovere le medicine più adatte a disposizione e per sostenere gli sforzi rivolti alla formazione dei professionisti dell’assistenza sanitaria.

Di un adulto non ci si prende cura allo stesso modo che di un bambino o di un adolescente. Possiamo inoltre riflettere sui diversi orientamenti possibili da adottare a seconda che il paziente interessato sia un uomo o una donna. Né dobbiamo dimenticare il ruolo cruciale svolto dal medico nel controllare il paziente. I medici si sentono talvolta molto soli e meditano il perché e il percome del costringere i pazienti ad assumere farmaci o del chiuderli da qualche parte.

Insieme agli onorevoli colleghi, spero che la Commissione porterà avanti questo approccio e che si ripresenterà in quest’Aula con proposte fondate su quelle per cui voteremo domani. E’ essenziale che si attribuisca piena importanza alla salute mentale nella strategia sanitaria europea e che si adotti un approccio diverso nei confronti delle malattie mentali, accordando alle persone il rispetto e la dovuta dignità che ogni essere umano dovrebbe ispirare.

 
  
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  Evangelia Tzampazi, a nome del gruppo PSE.(EL) Signor Commissario, la promozione della salute mentale è una questione che riguarda non solo i pazienti affetti da disturbi mentali e le loro famiglie; riguarda fondamentalmente la società, poiché tutti prima o poi andiamo incontro a una qualche forma di malattia mentale che potrebbe causare problemi economici e sociali significativi.

L’odierno dibattito sulla relazione dell’amico e collega, onorevole Bowis, con cui, se posso, desidero congratularmi per l’eccezionale lavoro svolto, è decisamente importante. In questo modo si avvia una consultazione pubblica sull’introduzione di una strategia per la salute mentale nell’Unione. Occorre intervenire a favore della prevenzione, della diagnosi e della cura precoce delle malattie mentali che colpiscono parte della popolazione, al fine di limitare le conseguenze personali finanziarie e sociali.

Nel contempo, l’intervento in questione deve mirare a una migliore informazione e allo sviluppo di abilità e atteggiamenti adeguati, al fine di proteggere la salute mentale e di combattere la stigmatizzazione che si associa alla malattia mentale.

Allo stesso tempo, vorrei sottolineare l’esigenza dell’istruzione continua dei professionisti dell’assistenza primaria in questioni di salute mentale, poiché questo assicura la migliore risposta possibile nei loro confronti.

Inoltre reputo necessario applicare metodi individuali alla promozione della salute mentale, tenendo conto delle particolari esigenze dei destinatari, come ad esempio le persone con disabilità. Dato che i risultati sono migliori quando i pazienti con problemi di salute mentale vengono curati in società, mentre un lungo ricovero in un ospedale psichiatrico può esacerbarne le condizioni, dobbiamo sostenerne la dimissione dagli istituti.

 
  
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  Jolanta Dičkutė, a nome del gruppo ALDE. (LT) Onorevoli colleghi, come ha detto Albert Camus: “Perdere la vita non è grave. Vedere però che perde di significato e che la tua esistenza perde il suo scopo – quello è insopportabile. E’ impossibile vivere senza uno scopo.”

In questo mondo in continua evoluzione, sempre più persone diventano disincantate verso di sé e gli altri, provano stress, non vedono alcuno scopo nella vita, sono incapaci di affrontare nuove imprese e di risolvere i problemi che hanno di fronte. Ebbene, andiamo sempre più a cercare gli specialisti, psicologi e psichiatri che dieci anni fa evitavamo. Non c’è vergogna ad ammettere di aver bisogno d’aiuto. Purtroppo chi chiede aiuto viene ancora stigmatizzato dalla società.

Il 10 settembre è la Giornata mondiale di prevenzione del suicidio, e il 10 ottobre è la Giornata della salute mentale. Non è paradossale che si sia costretti ad attirare l’attenzione della società su tali dolorosi problemi ogni mese?

E’ arduo ammettere che il numero di persone che soffrono di malattie mentali sta crescendo persino in un momento in cui, a quanto sembra, l’assistenza sanitaria per i disturbi mentali sta migliorando. L’aumento del numero di suicidi è catastrofico. Ogni 40 secondi qualcuno al mondo si suicida, e ogni 3 secondi qualcuno tenta di suicidarsi. La Lituania, il mio paese, perde più di 1 500 persone l’anno per via del suicidio, il che purtroppo ci pone al primo posto in Europa, davanti persino alla Russia e ad altri paesi post-sovietici.

Ovviamente non possiamo ignorare l’attuale situazione. Subito dopo la Conferenza interministeriale di Helsinki, la Lituania ha iniziato a elaborare la propria politica nazionale per la salute mentale, che presto verrà approvata dal Parlamento. La salute mentale, inoltre, è stata fissata quale priorità all’interno della politica nazionale. Si tratta di una delle quattro aree che riceveranno Fondi strutturali per il settore sanitario. Comprendiamo di dover sviluppare servizi su base comunitaria quale alternativa alle strutture di assistenza permanente, risolvendo così i problemi in materia di diritti umani in modo moderno.

E’ impossibile soffrire in silenzio, soli con il proprio dolore; per questo motivo dobbiamo unire gli sforzi per risolvere i problemi di salute mentale. Credo che il Libro verde comunitario “Migliorare la salute mentale della popolazione” sia il primo passo importante per perseguire una soluzione comune. Non contano solo le cure. Per la prima volta parliamo della promozione della salute mentale, della prevenzione dei disturbi e della guarigione. Dobbiamo inoltre condividere informazioni e le migliori pratiche con i nostri colleghi di altri paesi e sviluppare reti per lo scambio d’informazioni.

Abbiamo infine capito che risolvere tali problemi non è solo un compito per specialisti. La società e ciascuno di noi singolarmente deve assumersi le sue responsabilità. “Con la comprensione, nuova speranza”, lo slogan della Giornata mondiale di prevenzione del suicidio, incarna la speranza di coloro che non sono indifferenti alle sofferenze altrui e la speranza che la società venga in aiuto a coloro che sono in difficoltà.

 
  
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  Hiltrud Breyer, a nome del gruppo Verts/ALE.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi auguro che il Libro verde trasmetta finalmente un segnale a favore del miglioramento della salute mentale nell’Unione europea. Da molto tempo era necessaria una maggiore consapevolezza politica in merito al benessere mentale dei cittadini europei. A mio avviso, tuttavia, si tratta di una grave omissione che né la relazione della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare né la proposta della Commissione contengano un’analisi esaustiva delle cause.

Sappiamo che l’inquinamento ambientale, una dieta inadeguata e le allergie alimentari hanno un effetto sul benessere sia fisico che mentale. Gli effetti delle sostanze chimiche tossiche sull’equilibrio ormonale sono evidenti. Vi è la pressante necessità di condurre finalmente un’analisi dei disturbi neurologici causati da tossine e pesticidi presenti nell’ambiente, e del legame che intercorre tra il disturbo da deficit di attenzione e le intolleranze alimentari.

Sappiamo inoltre che i bambini e i giovani molto dotati, ad esempio, spesso finiscono per errore per ricevere cure psichiatriche perché le loro qualità non vengono riconosciute. Occorre maggiore prontezza nell’affrontare anche questo problema. Questo sta anche alla base della mia preoccupazione circa il rischio che l’industria farmaceutica colga la palla al balzo e promuova i medicinali quale unica soluzione.

Dobbiamo affrontare il problema dell’esigenza di applicare un approccio complessivo che preveda analisi e cure, anziché medicalizzare e patologizzare ulteriormente i cicli di vita. Dopo tutto è inaccettabile che a bambini sani e vivaci, che in precedenza erano stati considerati perfettamente in salute, ora venga diagnosticato il disturbo da deficit di attenzione/iperattività e vengano prescritte medicine; inoltre è inaccettabile che i giovani vengano esposti a un alto tasso di violenza da parte dei media e poi etichettati come malati psichici da curare con i farmaci.

Dobbiamo chiederci altresì se potrà mai esistere una garanzia di felicità nella nostra società dei consumi, e quindi se non si trasmetta il segnale sbagliato prescrivendo automaticamente antidepressivi ai pazienti ogniqualvolta provino un grande dolore o siano soggetti a sbalzi d’umore, esperienze che tutti dobbiamo affrontare.

La mia preoccupazione, pertanto, è che possiamo far prendere una piega sbagliata a questo Libro verde, nonché a un eventuale Libro bianco. Dovremmo condurre un’analisi delle cause e non affidarci solo alla prescrizione di farmaci. L’invito del Parlamento a utilizzare i medicinali come ultima risorsa, una volta che le cause del disturbo psicologico siano state sufficientemente spiegate, dev’essere centrale, e non possiamo diventare i lacchè dell’industria farmaceutica dedicandoci a patologizzare e medicalizzare ulteriormente i cicli e i processi di vita.

 
  
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  Roberto Musacchio, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa relazione, per la quale ringrazio sinceramente l’onorevole Bowis, può contribuire non poco a un’Europa migliore, a un’Europa che rispetta la dignità dei pazienti psichiatrici, li assiste, li aiuta a reintegrarsi ponendo fine a pratiche inaccettabili come quella della segregazione manicomiale, insomma, a un’Europa migliore, dato che una civiltà si giudica proprio da come si comporta in questi frangenti rispetto ai soggetti più deboli e più a rischio.

Un anno fa sono venuti proprio qui a Strasburgo un gruppo di quelli che vengono chiamati "matti", arrivati da Roma in pullman insieme a operatori e a familiari. Erano venuti a parlarci dell’esperienza italiana: una legge che porta il nome di uno psichiatra, Franco Basaglia, purtroppo non più tra noi, il quale ha lottato con loro, con i “matti”, per la dignità dei pazienti, ha chiuso i manicomi e costruito un’assistenza alternativa sui territori reintegrativa per la quale, oggi, in Italia si sta meglio. Questi "matti" sono venuti a chiederci di realizzarla anche in Europa, perché così si sarebbero sentiti più cittadini di questa Europa in cui troppo spesso sono stati, e sono ancora, discriminati e deprivati di diritti.

Oggi, con questa relazione noi cominciamo a rispondere a questa esigenza e diciamo loro: "Voi siete cittadini tra i cittadini", ma perché ciò si realizzi appieno occorre che questo lavoro, che abbiamo fatto in modo appassionato, e quello contenuto nel Libro verde in un rapporto positivo tra Parlamento e Commissione, si concretizzi in un fatto importante e che dia indicazioni anche ai vari paesi, cioè una vera e propria direttiva per un’Europa senza manicomi e che dia dignità a tutti i pazienti psichiatrici.

(Applausi)

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM.(PL) Signor Presidente, è raro che in un dibattito sulla salute mentale si sollevi la questione dei diritti e degli standard etici. Alcuni considerano persino il comportamento immorale come un sintomo di modernità. Un simile stile di vita, tuttavia, causa disordini e inibisce lo sviluppo personale. Una persona è poi in balia degli stimoli biologici della regione sottocorticale del cervello, che non sono vagliati né controllati dalla corteccia, sede delle emozioni più alte.

In tali individui, il pensiero e l’intelligenza sono governati dagli istinti che corrispondono a emozioni morali ed estetiche più alte che non si sono sviluppate a sufficienza e a un’incapacità di condividere i legami sociali o patriottici. In tal modo, lo sviluppo personale ed emotivo disturbato può colpire non solo gli individui, ma interi gruppi e comunità. Questo va di pari passo con l’aumento delle tendenze psicopatiche della società, che la corrompono ulteriormente, portando a un aumento dei disturbi mentali e a un deterioramento della personalità.

Altro problema che deve affrontare la medicina moderna, in relazione alla cura dei disturbi mentali, è che il trattamento sintomatico elimina solo i sintomi, ma non riesce a fornire una cura efficace.

 
  
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  Irena Belohorská (NI).(SK) La questione della salute mentale non è nuova, ma è stata molto discussa negli ultimi tempi in Europa e negli Stati Uniti. Vorrei esaminare la questione dal punto di vista dell’ambiente di lavoro, uno dei fattori che contribuiscono al peggioramento della salute mentale. Gli sforzi tesi a migliorare l’economia e la prosperità delle nostre regioni hanno prodotto un cambiamento nelle condizioni di lavoro. Il telelavoro, l’uso più intenso di tecnologie della comunicazione, i cambiamenti delle abitudini lavorative, l’incremento della mobilità sono tutti fattori che hanno influito sulla salute mentale dei lavoratori. I requisiti lavorativi legati alla flessibilità, all’istruzione e alle abilità sono diventati più rigidi, con il risultato che i lavoratori dipendenti di mezza età e anziani non sono in grado di adattarsi alle condizioni mutevoli. Lo stress costante può portare a problemi mentali.

Oltre alla dimensione medica della questione, è necessario riconoscere le conseguenze economiche del deterioramento della salute mentale della popolazione. Lo stress è causa di diminuzione della presenza sul lavoro, della qualità dei risultati o dell’impegno e di problemi tra colleghi sul posto di lavoro.

Poiché la salute pubblica fa parte dei programmi nazionali degli Stati membri, e poiché l’Unione europea ha poteri limitati in quest’area, dobbiamo rivolgere l’attenzione a quei paesi che incontrano i maggiori problemi e dispongono di fondi più scarsi per porvi rimedio.

Nonostante l’alto numero di suicidi nell’Europa settentrionale e nel Regno Unito, credo che dovremmo prestare attenzione soprattutto ai nuovi Stati membri, cinque dei quali si collocano tra i paesi con il più alto tasso di suicidi nell’Unione europea. I paesi dell’Europa centrale e orientale, tra cui la Repubblica slovacca, hanno subito cambiamenti significativi, e i loro cittadini si sono dovuti adattare a un ambiente di lavoro mutevole, acquisendo nuove abilità e atteggiamenti conformi a quelli dell’Europa occidentale. Si sono dovuti riqualificare e hanno dovuto imparare molto in fretta a gestire procedimenti nuovi e più sofisticati, il che ha avuto un impatto negativo soprattutto sui lavoratori di mezza età e anziani. I suddetti paesi, inoltre, soffrono di un alto tasso di disoccupazione, che contribuisce a sua volta al peggioramento della salute mentale.

Si è suggerito di aprire una nuova agenzia che affronti il problema. Non condivido questo punto di vista. A mio avviso sarebbe molto più efficace ristrutturare le agenzie esistenti, tra cui quelle che si occupano direttamente delle questioni legate alla salute mentale.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare sia il Commissario Kyprianou, per l’ottimo Libro verde, sia l’onorevole Bowis, che con la sua relazione ha migliorato ulteriormente quello che era un eccellente punto di partenza. Grazie, John. Il tuo interesse e la tua sensibilità particolari per questo tema sono fonte d’ispirazione per molti dei presenti.

I servizi sanitari e l’assistenza sanitaria sono competenze dei singoli Stati membri, ma ai sensi dell’articolo 152 in Europa abbiamo un mandato per quanto riguarda la promozione, la prevenzione e la diffusione d’informazione. Ed è proprio questo che può fare il presente dibattito sul Libro verde: assicurare che apriamo l’intero settore, ci concentriamo sui problemi principali della stigmatizzazione e della discriminazione e scambiamo le migliori pratiche e i dati epidemiologici al riguardo.

Signor Commissario, ha accennato al fatto che le cifre non mostrano la vera entità della malattia mentale. Per via della stigmatizzazione e della discriminazione, molti non ricevono cure e aiuto. Sono pienamente d’accordo con lei. In effetti, dubito seriamente dei nostri dati. Direi che probabilmente riflettono la metà – volendo essere generosi – di ciò che potrebbe davvero essere la portata della malattia. La maggior parte dei lavoratori dipendenti con depressione acuta o cronica, per esempio, nasconde la cosa ai datori di lavoro temendo conseguenze negative per la carriera. Pertanto, svolgendo un’opera di sensibilizzazione, stimolando un cambio di atteggiamento e, soprattutto, scambiando le migliori pratiche, possiamo rendere un enorme contributo a quest’area importantissima.

Le cifre sono sconvolgenti: 18 milioni di persone in tutta l’Unione europea soffrono di gravi forme di depressione; ogni anno 58 000 dei nostri concittadini si suicidano – il che equivale all’incirca ad annientare due o tre cittadine di qualsiasi area rurale l’anno. Un numero di persone dieci volte superiore tenta il suicidio. Uno su quattro di noi ha la probabilità di soffrire prima o poi di disturbi di salute mentale e oltre il 27 per cento degli adulti in Europa ogni anno viene colpito da simili problemi. Disturbi legati a depressione e ansia, tra cui lo stress e i disordini alimentari, sono i più comuni problemi di salute mentale. La cosa spaventosa è che gli studi stimano che entro il 2020 i disturbi neuropsichiatrici, con la depressione al primo posto, saranno la causa di malattia più diffusa nel mondo sviluppato. Una parte importante sarà data dall’invecchiamento della popolazione in Europa, che porrà una sfida particolare.

La malattia mentale si può prevenire e curare. Dobbiamo incoraggiare la tempestività degli interventi e assicurare che, se possibile, come ha suggerito il collega, onorevole Bowis, si riveda la legislazione in materia di discriminazione per capire se si può includere in quel pacchetto la discriminazione verso le persone che soffrono di problemi di salute mentale. Dobbiamo fare tutto il possibile con le competenze che abbiamo. Purtroppo, con il Trattato costituzionale europeo che non procede come alcuni di noi avrebbero sperato, la nostra competenza è piuttosto limitata. Questo tuttavia non ci impedisce dal collegare i punti nelle pertinenti aree del diritto europeo esistenti al momento. Dobbiamo soprattutto affrontare apertamente il problema e accogliere coloro che soffrono in quest’ambito particolare.

Ignorare il problema e non fornire le strutture e le cure necessarie costa all’Europa tra il tre e il quattro per cento del PIL l’anno.

Grazie, signor Commissario, per il suo lavoro e, soprattutto, grazie al collega, onorevole Bowis, per l’ottima relazione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAURO
Vicepresidente

 
  
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  Dorette Corbey (PSE).(NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, l’Europa ha poteri limitati nell’ambito della sanità pubblica, e così le cose devono rimanere, perché la sanità è in primo luogo una responsabilità degli Stati membri.

L’Europa ha però un importantissimo ruolo complementare da svolgere: una politica comune di ricerca in cui la salute occupi un posto importante e un programma d’azione per la sanità pubblica che miri al miglioramento della qualità dei metodi di cura e trattamento per mezzo dello scambio di dati, riunendo le esperienze e permettendo ai paesi di imparare l’uno dall’altro.

Signor Commissario, dal momento che tale approccio è particolarmente promettente nell’ambito della salute mentale, accolgo con favore il Libro verde. Inoltre ringrazio l’onorevole Bowis per l’impegno e la partecipazione profusi al riguardo. La sua è un’ottima relazione.

Si è detto parecchie volte stasera che un europeo su quattro, è affetto da una forma grave di malattia almeno una volta nella vita, ovvero sono colpiti cento milioni di europei. Si tratta di un dato tragico, che vale altresì dal 3 al 4 per cento del PIL.

I problemi di salute mentale comprendono una moltitudine di elementi e possono andare dai disordini alimentari nelle ragazze o nelle giovani donne, all’alcolismo, alla dipendenza da droghe, fino a problemi comportamentali, depressione, nonché altre malattie psichiatriche. E’ difficile elaborare terapie efficaci per tali malattie. Si prenda ad esempio la dipendenza da droghe. Qual è il modo migliore di vincere la dipendenza? Sono le medicine, il metadone, la terapia della parola, o il programma Narconon che prevede saune e vitamine? Sarebbe utile un confronto serio dei risultati dei diversi metodi di recupero. Oppure si considerino i disordini alimentari e la depressione: vi sono storie a lieto fine, ma anche altrettanti fallimenti.

Ciò che conta è che le conoscenze vengano condivise, che i medici professionisti imparino l’uno dall’altro, che i pazienti o i tossicodipendenti siano consapevoli dei metodi di cura che danno risultati. In questo senso, è utile altresì istituire un gruppo europeo di esperti per il coordinamento, in cui i pazienti, i tossicomani e gli istituti di cura vengano tutti coinvolti. Tale iniziativa andrebbe trasformata in una sorta di sportello di assistenza dotato di un sito Internet presso cui un europeo su quattro e la sua famiglia possano cercare aiuto se affetti da problemi di salute mentale. E’ così che la cooperazione europea fa la sua parte.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE).(EN) Signor Presidente, signor Commissario, innanzi tutto desidero esprimere le mie sincere congratulazioni al relatore per l’ottimo lavoro svolto. L’onorevole Bowis ha affrontato con precisione ed efficacia tutte le questioni importanti che riguardano la strategia per la salute mentale nell’Unione europea e il mio gruppo sostiene pienamente la sua relazione.

Per quanto riguarda gli emendamenti presentati, il gruppo ALDE sosterrà gli emendamenti nn. 11 e 12 del gruppo PSE, ma con la seguente proposta di emendamento orale a entrambi. In questi due emendamenti le parole “in alcuni dei” andrebbero inserite al posto di “nei” in modo che si legga: “in alcuni dei nuovi Stati membri”. E’ necessario perché ciò cui ci si riferisce nell’emendamento non si applica a tutti i nuovi Stati membri e sarebbe inadeguato e sbagliato non chiarirlo. Sono certo che questa piccola modifica verrà accolta da tutti gli interessati.

Quanto ai principali contenuti della relazione, vorrei solo ribadire un paio di questioni. Innanzi tutto, il fatto che la malattia mentale è estremamente diffusa. Si stima che circa 100 milioni di cittadini comunitari ne verranno colpiti nel corso della vita. Non sembra tanto comune nella vita di tutti i giorni, perché molti scelgono di nasconderla. E’ ora di far uscire allo scoperto dal rifiuto e dalla vergogna la questione della malattia mentale e di affrontarla apertamente, con razionalità ed efficacia.

In secondo luogo, vi è il fatto che la malattia mentale purtroppo è soggetta a stigmatizzazione nelle nostre società. A mio avviso, questo nasce dalla nostra comprensione limitata della funzione di uno dei nostri più importanti organi vitali, il cervello, che come altri organi vitali quali il cuore e i polmoni è esposto alla malattia, che risulta in un malfunzionamento. Un cuore che funziona male darà origine a una malattia cardiaca. Allo stesso modo un cervello che funziona male darà origine alla malattia mentale. La differenza principale, a mio parere, è che probabilmente non siamo ancora in grado di individuare l’esatta anomalia anatomica e/o istologica e/o biochimica che dà origine a questa particolare disfunzione cerebrale. Sono certo che vi riusciremo in futuro, con il progresso della conoscenza scientifica della neurologia e delle neuroscienze. Perciò la malattia mentale non dev’essere motivo di vergogna. Il malato di mente non è diverso dal malato di cuore o da qualunque altro paziente.

In conclusione, spero e mi auguro di cuore che la relazione segni la fine dell’approccio oscurantista ai disordini mentali e l’inizio di una nuova era di comprensione nell’affrontare sia il trattamento sia la prevenzione della malattia mentale.

 
  
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  Jean Lambert (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, vorrei congratularmi anch’io con l’onorevole Bowis per l’eccellente relazione. Vorrei dire inoltre che non si tratta solo di una questione di genere: senza dubbio vi è anche una forte prospettiva razziale associata alla salute e alla malattia mentale. Almeno abbiamo superato l’epoca in cui l’orientamento sessuale era visto come un disordine mentale, ma resta ancora, come altri hanno affermato, un’enorme mole di lavoro da svolgere. Come lo stesso onorevole Bowis ha dichiarato, abbiamo solo iniziato a sfiorare il problema per quanto riguarda ciò che definiremmo promozione del benessere mentale. L’OMS descrive la salute mentale come una condizione di benessere in cui l’individuo è consapevole delle proprie capacità, sa far fronte al normale stress della vita e lavorare in modo produttivo e proficuo ed è in grado di dare un contributo alla comunità.

Le implicazioni sono enormi per le politiche d’inclusione sociale che perseguiamo e, in qualità di membro della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, vorrei soffermarmi – analogamente ad altri – sul mondo del lavoro, concentrandomi in particolare sul paragrafo 27 della relazione. Non si tratta solo dell’influenza della salute mentale sull’occupazione, ma dell’effetto dell’occupazione sulla salute mentale. Come altri hanno affermato, lo stress è potenzialmente il maggiore responsabile delle assenze dal lavoro. L’Agenzia di Bilbao ha lavorato molto al riguardo. Stress, depressione e ansia da lavoro riferiti nel Regno Unito sono stati recentemente responsabili della perdita di circa 13 milioni di giorni di lavoro in un anno. Se si fosse trattato del risultato di lesioni fisiche sul posto di lavoro vi sarebbe stato un enorme clamore.

Molte società non dispongono di una strategia per affrontare lo stress. Molti dirigenti non riescono a riconoscerlo in sé né a gestirlo negli altri. Dobbiamo dunque sviluppare la formazione in quest’area e avere una cultura sul posto di lavoro che permetta di confessare lo stress, di vederlo affrontato con serietà e di lavorare con norme che promuovano il benessere mentale.

 
  
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  Jiří Maštálka (GUE/NGL).(CS) Naturalmente tutti concordiamo che la salute mentale è una condizione indispensabile per la realizzazione intellettuale ed emotiva e per l’integrazione dei cittadini nella società. Negli ultimi anni, tuttavia, la salute mentale non ha ricevuto sufficiente attenzione in confronto ad altri settori. Il Libro verde della Commissione, e in particolare l’eccellente relazione Bowis, colmano la lacuna, presentando numerosissime proposte, non solo per la Commissione, ma anche per i medici e il grande pubblico.

La relazione in discussione individua i problemi principali nell’ambito della salute mentale che fanno parte del contesto più ampio, offrendo spunti di riflessione su questioni che sono oggetto di acceso dibattito quali la stigmatizzazione dei malati mentali, i metodi di cura dei pazienti e le differenze di genere, tanto diffuse nella salute mentale.

Innanzi tutto vorrei porre l’accento sull’invito dell’onorevole Bowis e del Libro verde della Commissione alla prevenzione quale metodo più efficace di contrastare la crescente incidenza della malattia mentale. Questa dev’essere una delle priorità nel nostro approccio attivo. Proprio l’influenza dell’ambiente, dell’occupazione e della famiglia dovrebbe essere al centro della nostra attenzione e dei nostri piani d’azione, in quanto queste sono le aree che riguardano la salute mentale in cui la prevenzione può funzionare.

Accolgo inoltre con grande favore l’importante riferimento alla differenza di genere nell’ambito della salute mentale, che non è stata sufficientemente presa in considerazione dal Libro verde della Commissione. Le donne hanno maggiori probabilità di chiedere assistenza sanitaria e di assumere più prodotti farmaceutici, verso cui la loro tolleranza è minore. Inoltre, spesso sono soggette a pressioni indesiderate dai loro pari, e questo può portare alla crisi psichica.

Un tema che senza dubbio meriterà attenzione in futuro, non solo da parte di medici e politici, ma anche da parte del grande pubblico, è quello della stigmatizzazione dei malati mentali. Il posto di rilievo che l’argomento occupa nella relazione è indice della gravità della situazione. Accolgo con favore tutti i commenti e le proposte del relatore. Benché reputi molto positive le proposte in merito alle buone pratiche e creda che porteranno a standard più elevati – e in qualità di medico sono molto favorevole a tali proposte – purtroppo però si dà il caso che nel mio paese i programmi in questione siano estremamente costosi e quindi, per nostra grande sfortuna, non siano aree prioritarie. La possibilità di programmi comunitari congiunti in tale ambito potrebbe contribuire a risolvere il problema.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (NI).(PL) Signor Presidente, vorrei ringraziare l’onorevole Bowis per l’ottima relazione che ci aiuta a capire quanto sia importante la salute mentale non solo nella vita di un individuo, ma anche per la società.

La prevenzione dei disturbi mentali, la psicoterapia per bambini, adulti e famiglie, la cura dei disturbi nervosi e la promozione dell’igiene mentale sono tanto più importanti dal momento che sappiamo che i veri disturbi mentali quali le psicosi si possono curare, ma non guarire. Vale la pena ricordare che, nell’ambito della psichiatria, non esistono medicine che possano guarire nel senso più stretto della parola e che quelle esistenti sono state scoperte per caso.

In seno alla civiltà occidentale vi è un’ostinata tendenza a sopprimere e a rimuovere dalla nostra coscienza l’esistenza di una qualsiasi malattia, soprattutto se mentale. Solo le malattie somatiche vengono tollerate. Se tuttavia destinassimo maggiori fondi al lavoro degli psicologi e degli psicoterapeuti, potremmo risparmiare sui consulti medici che intervengono sul corpo e sulla spesa sanitaria nel suo complesso.

 
  
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  Antonios Trakatellis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, secondo l’OMS la salute mentale è necessaria al benessere degli individui, delle società e delle nazioni e va affrontata globalmente su una nuova base, da un nuovo punto di vista che crei nuove speranze. In questa relazione siamo guidati dai dati dell’OMS e per la prima volta inauguriamo un tentativo sistematico per la promozione della salute mentale.

Le famiglie delle persone colpite, che danno supporto materiale e morale ai parenti affetti da problemi di malattia mentale, subiscono, insieme alle persone in questione, le conseguenze negative della stigmatizzazione e della discriminazione che si associa a tali malattie. Di conseguenza, il sostegno da parte di professionisti al fine di soddisfare le loro ovvie esigenze, l’informazione e una lotta sistematica contro la stigmatizzazione sono componenti necessarie nell’affrontare le malattie mentali.

Reputo altrettanto necessario indagare i meccanismi e le cause di tali malattie e migliorare le cure corrispondenti, compreso lo sviluppo di nuovi metodi di cura. A questo proposito vorrei sottolineare che la differenza più importante tra questi pazienti e la maggior parte delle altre malattie gravi che possono anche condurre alla morte è che alterano il funzionamento del cervello, come ad esempio le funzioni mnemoniche, le funzioni cognitive e la coscienza, ossia le funzioni legate indissolubilmente alla personalità dell’essere umano. Tale personalità viene distrutta e da ultimo può essere annientata da molte di queste malattie.

Di conseguenza, se l’obiettivo della prevenzione e della cura delle malattie umane è una priorità molto seria, l’obiettivo corrispondente relativo alle malattie neuropsicologiche è la priorità assoluta, se vogliamo impedire che la quintessenza della società europea venga distrutta e ridotta in pezzi, specialmente perché in tale società sono presenti molte persone anziane che, come sappiamo, sono soggette alle malattie neurodegenerative.

In conclusione, vorrei dire che, tenendo bene a mente che prevenzione, diagnosi precoce e cure adeguate limitano notevolmente le conseguenze personali, economiche e sociali, ritengo che, votando per l’ottima relazione del mio amico, onorevole Bowis, inaugureremo una via che concederà alle malattie mentali la forte priorità che meritano e porterà a interventi più efficaci contro questa moderna piaga.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (PSE).(LT) Signor Presidente, la prego di accettare il mio cordiale benvenuto a una presentazione tanto sincera e personale del progetto di relazione. Tale relazione e le discussioni che sono seguite sono un passo importante da parte del Parlamento europeo a sostegno dello sviluppo della nuova strategia sulla salute mentale da parte della Commissione, che è particolarmente importante per i nuovi Stati membri dell’Unione europea. Gli indicatori di scarsa salute mentale, quali l’alto tasso di suicidi e i numerosi casi di violenza e abusi, specialmente abuso di alcol, non sono insoliti in tali paesi. I nuovi Stati membri hanno ereditato sistemi di salute mentale inefficienti che si fondano su grandi istituti psichiatrici che servono solo a perpetuare l’esclusione sociale e la stigmatizzazione. Attualmente persino tali istituti ricevono scarsi finanziamenti, e perciò faticano e non riescono a svolgere le loro già limitate funzioni.

Vi è una lacuna palese nei servizi comunitari che dovrebbero far parte dell’infrastruttura sanitaria e sociale. Di solito possiamo riferire solo successi isolati nelle case di cura per pazienti con problemi di salute mentale, mentre l’assistenza sanitaria domestica e i servizi comunitari sono di fatto molto più attenti alla persona, più compatibili con i diritti umani e più economici. Non abbiamo alcuna tradizione di assistenza sanitaria domestica che la società possa sostenere; pertanto il vecchio sistema stenta ad abbandonare le sue posizioni.

Il numero crescente di bambini che crescono in istituti statali è particolarmente preoccupante. Questa è l’ennesima prova della mancanza di un sistema alternativo che aiuti i genitori appartenenti a gruppi ad alto rischio a crescere e a educare adeguatamente i propri figli.

Alcuni nuovi Stati membri hanno già mosso i primi passi verso l’attuazione di disposizioni conformi ai principi comunitari. La Lituania ha elaborato una strategia sulla salute mentale che quest’anno verrà sottoposta all’approvazione del Parlamento. La Lituania ha inoltre avviato il programma “Igiene mentale del bambino e dell’adolescente in un’Europa ampliata: sviluppo di politiche e prassi efficaci”. Tale progetto ha ricevuto il sostegno della Commissione e ha coinvolto 18 paesi partecipanti e 34 partner associati.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE). (EN) Signor Presidente, sono lieta di intervenire su questa relazione tempestiva e ben ponderata, per la quale mi congratulo con il relatore.

Innanzi tutto, concordo che il valore aggiunto di una strategia comunitaria sulla salute mentale risieda principalmente nell’ambito della prevenzione e della sensibilizzazione e che qualunque proposta da parte della Commissione debba comprendere il partenariato e la consultazione di tutte le parti coinvolte.

Un elemento essenziale di qualunque strategia sarà l’eliminazione della stigmatizzazione associata alla malattia mentale, il che richiederà un approccio variegato, tra cui figurino informazione, istruzione, legislazione antidiscriminazione, orientamenti su basi comunitarie e comportamento responsabile dei media nella diffusione delle notizie.

Accordo pieno sostegno alla proposta, contenuta nella relazione, secondo cui gli Stati membri devono collaborare all’attuazione di strategie efficaci per la riduzione del numero dei suicidi, poiché la questione non è solo nazionale o europea, ma mondiale.

In Irlanda il suicidio è la causa più comune di morte tra le persone tra i 18 e i 24 anni. Purtroppo è la più alta all’interno di questa fascia d’età nell’Unione europea. Queste morti devastano le famiglie e fanno a pezzi il cuore delle comunità. Una ricerca condotta di recente dalle mie parti, nel Leitrim settentrionale e nel Cavan occidentale, intitolata “Uomini al limite”, ha dipinto un quadro preoccupante della realtà della vita di molti uomini soli e anziani, e il 56 per cento degli intervistati ha affermato di aver conosciuto qualcuno che si era suicidato. Poiché mi piace sempre collegare ciò che facciamo in questa sede con ciò che accade nelle nostre circoscrizioni elettorali, sono lieta di dire che tale ricerca è stata in parte finanziata dall’Unione europea e mi auguro che le sue raccomandazioni contribuiscano a migliorare la situazione.

In conclusione, benché la spesa per la salute mentale sia di competenza nazionale, credo che occorra sottolineare le notevoli differenze esistenti tra i singoli Stati membri per quanto riguarda tale spesa, e non vado fiera del fatto che in Irlanda i livelli sono inadeguati. Concordo con il relatore sulla necessità che il pubblico eserciti pressioni al fine di assicurare una spesa adeguata per la promozione della salute mentale e per la prevenzione della malattia mentale.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI).(FR) Signor Presidente, uno tsunami sta travolgendo l’economia e le società europee, un’onda gigantesca nota come malattia mentale, ma che preferisco chiamare malattia neurologica per evitarne la stigmatizzazione. Il numero di pazienti continua a crescere, e l’ondata viene rimpinguata dall’ovvio invecchiamento della popolazione e dall’idolo dell’economia ultraliberale, che è essa stessa una forma di nevrosi. Senza dubbio la Commissione europea ha qualcosa da dire al riguardo, come fa il relatore al paragrafo 24, in cui parla di isolamento in zone rurali, condizioni di lavoro, insicurezza sul posto di lavoro e disoccupazione. Che cosa, però, ha portato all’isolamento nelle zone rurali se non la distruzione della politica agricola comune, condotta in nome del libero commercio? Che cosa ha portato alla disoccupazione se non la scelta politica a favore del libero mercato? Che cosa è causa di stress nell’ambiente di lavoro, se non l’ideologia della competitività o della concorrenza?

Per curare queste malattie neurologiche occorre ciò che l’onorevole Bowis chiede: ospedali, assistenza individuale, servizi specializzati e una vasta gamma di personale sanitario – in altre parole, investimenti, che sono vietati dal patto di austerità del bilancio in nome, naturalmente, dell’ideologia della competitività e del libero scambio.

Ed è qui che giriamo a vuoto, perché ciò che causa la malattia è una filosofia sbagliata della concorrenza economica e ciò che occorre per curarla sono gli investimenti, il che è precluso da questa stessa filosofia. Benché possa ben risiedere in un’agenzia preposta all’esplorazione del mondo della mente, la soluzione probabilmente consiste soprattutto nel curare i nostri leader. Ho solo un’ultima osservazione. Di Don Chisciotte della Mancia si diceva che avesse letto così tanti libri di argomento cavalleresco che gli si fosse prosciugato il cervello. Nel caso dei nostri leader, a forza di leggere Adam Smith e David Ricardo sono diventati matti.

 
  
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  Christa Klaß (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il nostro bene più grande è indubbiamente la salute – fisica, ma anche mentale.

Troppo spesso, in passato e nel presente, la politica sanitaria si è concentrata esclusivamente sull’idea di salute fisica, che è tangibile, frequentemente persino visibile e spesso più facile da curare. Inoltre, anche mantenere la salute fisica è molto costoso e, purtroppo, spesso accade che non tutte le possibilità a disposizione siano ancora alla nostra portata economica. La nostra rete sanitaria, dalla prevenzione alla convalescenza, sta mandando in rovina le casse statali.

Non è intenzione di questa relazione, per la quale vorrei congratularmi con l’onorevole Bowis, attribuire all’Unione europea un ruolo attivo in campo sanitario. Questa è una responsabilità degli Stati membri e tale deve rimanere. Ciononostante siamo favorevoli alla pubblicazione di questo Libro verde della Commissione al fine di stimolare la discussione sull’importanza della salute mentale nell’Unione europea, sulla necessità di avere una strategia e sulle eventuali priorità. Ormai sappiamo che la buona salute mentale è anche una condizione indispensabile per una buona resa economica.

Dobbiamo tuttavia porci domande e cercare risposte. Innanzi tutto: a chi ci riferiamo quando parliamo di persone affette da “patologie mentali”? Perché il 13 per cento degli europei cerca aiuto professionale in quest’ambito? Perché nell’Unione europea i casi di suicidio sono così numerosi? Abbiamo sentito le cifre; nel corso del dibattito è stata menzionata la cifra di 58 000 persone l’anno. Perché la società è tanto malata? Quali sono le cause? Le pretese della nostra società sono forse eccessive in generale? E poi la domanda principale: che cosa accade ai membri svantaggiati della società?

Per sensibilizzare il pubblico occorre discutere di tali questioni. Una cosa è certa: occorrono anche cambiamenti sociali allo scopo di prevenire queste malattie. Come sappiamo, è arduo far fronte alla durezza e alla competitività della vita lavorativa delle persone. Molte avversità sono però più facili da sopportare se si ha un luogo presso cui rifugiarsi o la possibilità di farlo. Mi riferisco soprattutto alla famiglia, che dà alle persone l’opportunità di riposare e ricaricarsi. Le famiglie, tuttavia, hanno bisogno di aiuto e sostegno per poter adempiere tutte le loro importanti funzioni sociali.

Una cosa è certa: non è possibile controllare gli esseri umani con la legge, ma è possibile e di fatto necessario creare le condizioni in cui essi e la loro salute possano crescere – a livello di mente, corpo e anima. Sosteniamo dunque la famiglia; se questa è una delle intenzioni della relazione, si tratta di un passo nella giusta direzione.

 
  
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  Boguslaw Sonik (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, da molti anni la questione della salute mentale rappresenta un tema imbarazzante e viene messa in ombra da altre malattie che colpiscono la nostra società. L’odierna portata del fenomeno, tuttavia, implica che non possiamo ignorare i pericoli associati ai disturbi mentali.

Non possiamo discutere della salute nell’Unione europea senza tenere conto di tali pericoli. Le statistiche riflettono la dura verità. In media, 58 000 persone si suicidano ogni anno. La cifra è più elevata del numero di persone che muoiono in incidenti d’auto, vengono assassinate o muoiono di AIDS. La depressione è al momento il problema più grave della nostra società. E’ un problema che colpisce un numero crescente di persone, soprattutto giovani e, in misura sempre maggiore, minoranze etniche.

Gli analisti economici stimano che la cattiva salute mentale costi ai cittadini dell’Unione europea una cifra che si aggira tra il tre e il quattro per cento del PIL, soprattutto a causa della diminuzione della produttività e del pensionamento anticipato.

Per questo motivo è essenziale elaborare e adottare con urgenza una direttiva sulla salute mentale e sulla protezione dei diritti civili e fondamentali delle persone che soffrono di problemi di salute mentale. L’attuazione dei principi della direttiva stabilirà il quadro concreto per l’attuazione del programma comunitario. Una prevenzione che tenga conto delle diverse fasce d’età dovrebbe svolgere una funzione importante nella strategia sulla salute mentale, secondo il motto “prevenire è meglio che curare”. Il programma pilota dell’Associazione europea contro la depressione ha già ottenuto una diminuzione del 25 per cento del numero di suicidi e tentati suicidi tra i giovani. Per questo motivo dobbiamo riflettere seriamente sulla questione e intervenire in modo adeguato per la prevenzione della dipendenza dalle moderne tecnologie.

Oggi gioiamo del fatto di avere accesso a ogni genere di tecnologia, che tutto sia possibile, che abbiamo migliaia di dispositivi a disposizione. Ma a quale prezzo? Il prezzo è che i giovani in particolare sono dipendenti dai loro schermi e respingono ogni ragione per allontanarsene. E’ la sfida del nostro tempo, che dobbiamo affrontare. Adottare una strategia europea unica e coordinata in materia di salute mentale ci consentirà di creare le condizioni adeguate per uno sviluppo armonico della salute mentale pubblica. Aiuterà le persone a imparare a far fronte alle situazioni di difficoltà, ai conflitti e alle condizioni di stress e a costruire migliori relazioni interpersonali.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, oggi pomeriggio abbiamo parlato di un’Europa senza fumo. L’azione da parte della Commissione e dell’intera Europa in materia di salute mentale è tuttavia ancor più vitale. A tale proposito, ringrazio il Commissario Kyprianou per essersi occupato di questo tema, nonché il nostro relatore, onorevole Bowis, per aver affrontato la questione e per aver presentato una relazione eccellente.

Uno dei maggiori problemi che riguardano la salute mentale è che rappresenta un tabù in tutte le società, e dovremmo interrogarci su questa situazione. Si possono individuare molte ragioni, ma ne citerò solo alcune. Innanzi tutto, senza dubbio tutti temiamo di ritrovarci un giorno in una circostanza analoga, in particolare se pensiamo alla terza età che ci aspetta.

In secondo luogo, mente e anima stanno al centro della nostra umanità; sono ciò che definisce “l’essenza dell’umanità”.

In terzo luogo, non possiamo ricorrere alla nostra adorata interpretazione meccanicistica dell’ambiente in quest’ambito, perché in questo caso non funziona. Si tratta di un fenomeno che causa gravi sofferenze non solo all’individuo, ma anche alla società nel suo insieme.

Ho individuato un paio di cifre da cui emergono dati allarmanti. Secondo uno studio della Deutsche Angestellten-Krankenkasse, istituto tedesco di sicurezza sociale, si è verificato un aumento del 70 per cento del numero di malattie psichiche sul posto di lavoro tra il 1997 e il 2004. In controtendenza rispetto al calo dei congedi per malattia nello stesso periodo, il numero di casi di assenze dovute a malattia mentale è salito di oltre due terzi. Lo stress psicologico ora è responsabile del 10 per cento del totale dei giorni di assenza nell’economia europea.

L’OMS afferma che, se nel 1990 le tre cause principali di malattia nel mondo erano polmonite, diarrea e disturbi perinatali, entro il 2020 le principali cause saranno ischemia cardiaca, depressione, disturbi legati all’ansia e incidenti stradali. Se consideriamo la perdita di produttività, vediamo che ammonta a miliardi di euro. Studi condotti per i 15 vecchi Stati membri hanno stimato le perdite a 265 miliardi di euro, ovvero circa il 3-4 per cento del PIL comunitario.

L’Europa nel suo insieme ha pertanto ottimi motivi per chiedersi che cosa si può fare insieme al riguardo. Senza dubbio va ricordato che gli Stati membri sono molto diffidenti verso i poteri e le responsabilità dell’Europa. Ritengo tuttavia che il valore aggiunto dell’azione europea sia estremamente importante. L’onorevole Bowis ne ha dato un resoconto dettagliato nella relazione. Non dimentichiamo il modello delle migliori pratiche, le cifre più ampie o l’intensificazione della ricerca e dello sviluppo. Il nostro pensiero deve orientarsi soprattutto verso i gruppi destinatari, per permetterci di trovare una soluzione e di evitare in questo modo che il motore europeo si fermi stridendo e si arresti completamente.

 
  
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  Frieda Brepoels (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto non posso fare altro che ringraziare il Commissario Kyprianou per il Libro verde, e ancor di più l’onorevole Bowis per l’importante lavoro che ha svolto.

La sua si è infatti dimostrata una relazione molto equilibrata. Dopo tutto, non per niente ha ottenuto il sostegno pressoché unanime in seno alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, e pertanto siamo fiduciosi che domani la relazione verrà appoggiata dalla stragrande maggioranza dell’Assemblea, e che eserciterà le pressioni necessarie sulla Commissione affinché quest’ultima possa intraprendere le debite iniziative conformemente alle sue competenze. Ovviamente, infatti, si possono apportare molti miglioramenti al settore della salute mentale nell’Unione europea.

I pazienti non hanno tuttora voce in capitolo. La cooperazione tra i diversi istituti di cura resta carente e il settore soffre di una grave mancanza di fondi. Il valore aggiunto della politica a livello comunitario che dobbiamo perseguire è soprattutto nell’ambito della promozione degli scambi e della cooperazione tra Stati membri. Dobbiamo soprattutto essere in grado di migliorare il collegamento tra le varie e diverse misure a livello di Stati membri, in ambito sia nazionale sia regionale.

Signor Commissario, onorevoli colleghi, il Libro verde della Commissione non solo ha avviato un dibattito in seno al Parlamento, ma i governi nazionali e regionali sono stati altresì incoraggiati a mettere a disposizione maggiori finanziamenti. Quando nel mio paese, nelle Fiandre, una ricerca nazionale sulla salute ha mostrato che ben un fiammingo su cinque soffre di problemi psicologici e uno su otto di problemi anche gravi, il ministro fiammingo del Lavoro e delle Politiche sociali ha deciso subito di rafforzare notevolmente i centri di salute mentale, in particolare quelli rivolti ai gruppi che soffrono di più, e cioè i bambini e i giovani.

Le organizzazioni dei pazienti hanno fatto altrettanto. Hanno chiesto ai rappresentanti di ADHD Europe, ad esempio, di occuparsi delle condizioni di vita dei pazienti affetti da ADHD, poiché in origine il Libro verde non faceva neppure menzione di questa malattia dello sviluppo dei bambini, che, se trascurata, può causare danni e difficoltà innumerevoli non solo al paziente, ma anche, per via dei costi, al sistema sanitario, a quello scolastico e a quello economico.

Pertanto sono lieta che il relatore sia stato disponibile ad accettare alcune importanti aggiunte al riguardo. Vorrei inoltre ringraziare gli onorevoli colleghi per il sostegno accordato. Ora confido che la Commissione, sulla base di quanto detto poc’anzi, possa presentare una proposta di strategia comunitaria sulla salute mentale entro la fine dell’anno. Al Commissario Kyprianou auguro che i suoi sforzi al riguardo vadano a buon fine.

 
  
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  Péter Olajos (PPE-DE). (HU) Innanzi tutto vorrei ringraziare anch’io l’onorevole Bowis per averci offerto l’occasione di parlare di questo importantissimo argomento. Tutti temono la malattia, e le malattie più terribili sono indubbiamente quelle che minano la salute mentale.

La scienza medica e la società sono stati a lungo parimenti inermi di fronte a questi problemi, e hanno reagito nascondendo la questione sotto il tappeto o isolando le vittime. Per fortuna oggi sappiamo che i bambini che hanno difficoltà di apprendimento non sono cattivi, che non ci si può aspettare che chi soffre di depressione riprenda semplicemente il controllo di sé, ma che con cure adeguate anche le persone con disabilità mentali sono capaci di miglioramenti notevoli. Nel contempo, dobbiamo accettare il fatto che, come i lavori d’ufficio fanno male alla schiena, o l’uso di prodotti chimici aumenta l’incidenza delle allergie, così lo stress, l’eccesso di informazioni e la mancanza di punti di riferimento stabili nella società rende più difficile la conservazione della salute mentale. Se la maggior parte delle persone oggi s’impegna consapevolmente a mantenere la salute fisica, la protezione di quella mentale riceve di gran lunga meno attenzione.

Per questo motivo accolgo con favore il fatto che la Commissione abbia mosso i primi passi verso una strategia comunitaria per il miglioramento della salute mentale. Ciò è particolarmente importante dal punto di vista degli Stati membri, tra cui l’Ungheria, poiché lo choc provocato dalle improvvise trasformazioni economiche e sociali ha dato origine a problemi che i nostri sistemi istituzionali superati, la grave carenza di finanziamenti e gli atteggiamenti fossilizzati non sono in grado di affrontare in modo adeguato. A ciò vanno aggiunti i problemi che per tradizione caratterizzano la regione, come l’alto tasso di suicidi.

Nel mio paese, l’Ungheria, all’apice dell’ondata di suicidi, vent’anni fa, più di 45 persone su 100 000 morivano di propria mano, dato con cui abbiamo sconvolto il mondo. Secondo i dati dell’OMS, nel 2000 il tasso mondiale di suicidi era di 16 su 100 000, che rappresentava una tendenza al rialzo rispetto agli ultimi 50 anni. Vi sono stati anni, non molto tempo fa, in cui il numero delle fatalità date dagli incidenti stradali era inferiore rispetto ai suicidi, come hanno già accennato alcuni dei miei colleghi. Non dobbiamo però pensare che ciò valga solo per l’Europa. Anche negli Stati Uniti il suicidio spesso supera l’omicidio tra le cause di morte – nel 1997, ad esempio, il numero dei suicidi registrati ammontava a una volta e mezzo quello degli omicidi.

Il lungo periodo di oblio della nostra regione ha fatto sì che nel nostro paese consultare lo psicologo venga ancora considerato un qualcosa da tenere segreto, e non è insolito che bambini provenienti da ambienti svantaggiati vengano considerati disabili mentali. Molte famiglie sono abbandonate a se stesse, senza alcun aiuto esterno efficace, quando un loro componente ha problemi gravi. Questa situazione va cambiata, e pertanto sostengo tutti gli emendamenti che dichiarano esplicitamente che va accordata un’attenzione specifica ai problemi legati alla salute mentale nei nuovi Stati membri.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare il collega, onorevole Bowis, per il lavoro svolto. Inoltre non mi riferisco solo a questa relazione, ma a tutto l’impegno e il vigore con cui ha parlato a nome del lavoro in materia di salute mentale in Europa. Sono deputata al Parlamento europeo da sette anni, e per tutto questo tempo John Bowis ha mantenuto costantemente il tema all’ordine del giorno. Per me si tratta di un esempio incoraggiante di uomo politico che realizza la propria visione di un mondo migliore con determinazione e costanza. Solo in questo modo cambiano le cose: quando non si cede a capricci e orientamenti politici arbitrari, ma si sa da sé per che cosa si combatte e lo si fa.

I problemi di salute mentale sono un argomento su cui è facile mantenere il silenzio. Vi è una forte stigmatizzazione associata a simili disturbi, e vi può essere persino discriminazione, che nella peggiore delle ipotesi può impedire a qualcuno di cercare una cura. Un’informazione adeguata, l’apertura e le campagne per la salute mentale del tipo proposto nella relazione contribuiranno a sfatare questa inutile stigmatizzazione. La via verso la maturità è impervia come non mai. La crescita sembra ostacolata dalla maggiore incertezza della società. E’ positivo che la relazione dimostri consapevolezza della necessità di un intervento precoce e dell’importanza della prevenzione. Per prevenire i problemi di salute mentale nei bambini e nei giovani in particolare, dobbiamo investire più tempo e denaro in misure preventive negli asili nido, a scuola, nelle cliniche pediatriche e nella sanità scolastica. Un giovane bisognoso di aiuto può essere incline a lasciare le cose come stanno solo perché non sa a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Il ruolo dell’ambiente da cui proviene il bambino, e soprattutto della famiglia, è perciò d’importanza fondamentale.

Con le risorse adeguate, le unità sanitarie scolastiche e le cliniche pediatriche si trovano in un’ottima posizione per individuare i problemi nei bambini e nei giovani e prestare aiuto a uno stadio precoce. Se, per esempio, nel mio paese i problemi di salute mentale sono divenuti più comuni tra i giovani, le statistiche dimostrano che i genitori di un bambino su cinque lavorano in orari atipici. Gli scolari che soffrono d’ansia possono ricevere un aiuto significativo a scuola sotto forma di sostegno di gruppo, ma è assolutamente indispensabile sostenere le famiglie nei giorni lavorativi. Il sostegno a un bambino da parte dei genitori e della famiglia crea una base per una buona salute mentale. Curare i problemi dei giovani con i farmaci dovrebbe essere l’ultima spiaggia. Bisognerebbe concentrarsi sull’individuazione e sull’eliminazione dei fattori sociali e ambientali che causano il danno.

I problemi non scompaiono se si tace al loro riguardo. La depressione è stata definita il nuovo male europeo. Pochissime persone sotto i 30 anni prendevano antidepressivi 20 anni or sono, ma ora li prendono quanto le generazioni più vecchie. Se non s’interviene immediatamente sui problemi di salute mentale dei giovani e se non si presta attenzione alla semplificazione delle condizioni di accesso all’aiuto, il prezzo da pagare sarà davvero troppo alto. Le belle parole e le buone intenzioni del Libro verde della Commissione vanno tradotte quanto prima in legislazione effettiva, e in seno al Parlamento ci aspettiamo di ricevere presto una proposta di direttiva di cui discutere.

 
  
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  Thomas Ulmer (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei unirmi al coro di buoni auspici rivolto all’onorevole Bowis, il quale ha dimostrato ancora una volta che per lui la politica sanitaria è una passione più che un dovere.

Una politica efficace e una psicoterapia efficace hanno un elemento in comune: entrambe richiedono notevole apertura, onestà, pazienza e impegno. In questa sede discutiamo di una questione interessante e diffusa e tuttavia ampiamente trascurata nella Comunità europea: la salute mentale.

L’OMS definisce la salute uno stato di benessere fisico, mentale e sociale completo. E’ altresì realistico raggiungere questi tre obiettivi in quest’ordine. Quando si affronta la salute mentale, osserviamo un drastico aumento delle malattie psichiche nell’Unione. Vi è un ampio spettro di sintomi, cause, diagnosi e terapie per quanto riguarda sia la patogenicità che la biologia molecolare: depressione, schizofrenia, disturbo borderline, bulimia, anoressia, fobie, nevrosi e manie, per citarne solo alcuni.

Non voglio scendere in dettagli per quanto riguarda le cause tossicologiche e ambientali: si tratterebbe di per sé di un intero dossier. Vorrei mostrare alcuni modi possibili in cui noi, l’Unione europea, potremmo contribuire nell’ambito della prevenzione, modi in cui potremmo ridurre il peso della sofferenza per chi ha una malattia mentale, potremmo riconoscere in tempo le prime fasi della malattia e prevenirne così l’insorgere.

Vorrei fornirvi solo alcuni dati statistici. Una persona su quattro si ammalerà; si registrano 58 000 suicidi e un numero dieci volte superiore di tentati suicidi l’anno. Vediamo il suicidio come qualcosa di difficile, diabolico, incomprensibile, e sentiamo l’obbligo di prevenirlo.

Soffrire di un disturbo psichico significa essere stigmatizzati, mentre la malattia psichica spesso implica sentimenti d’inferiorità, e nella storia d’Europa si è spesso abusato degli istituti psichiatrici per fini politici. Abbiamo l’opportunità di rivolgerci ai governi nazionali per fare di più che in passato. Tale invito non significa che stiamo interferendo nella sussidiarietà, ma che vogliamo suggerire aree d’intervento e dimostrare un approccio paneuropeo alla promozione della dignità umana e alla riduzione della discriminazione, come ad esempio famiglie sane all’interno delle quali i bambini possano crescere e pari opportunità in tutta l’Unione, sia in Europa che negli Stati membri.

La nostra strategia deve prevedere cure complete vicino alla zona di residenza del paziente. La cura dev’essere olistica: deve cioè coinvolgere corpo, mente e ambiente sociale. Le cure obbligatorie possono essere considerate solo un’ultima risorsa, e l’abuso di alcolici e di droghe sia legali che illegali dev’essere convalidato e incluso in tale approccio globale. L’accento viene posto sulla prevenzione.

Oggi, con questa relazione, apriamo un nuovo capitolo, e c’è da augurarsi che presto venga ampliato in un Libro bianco.

 
  
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  Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei anch’io congratularmi con il relatore, onorevole John Bowis, poiché con il suo lavoro sistematico e i relativi risultati contenuti nella relazione ha sottolineato l’importanza della salute mentale e le strategie che dobbiamo applicare.

Ovviamente la strategia sulla salute pubblica deve comprendere anche la salute mentale, sia per ragioni di benessere personale che per ragioni di coesione sociale, di pace e di progresso sociali.

“Mente sana in corpo sano” dicevano gli antichi greci per dimostrare che sia la salute mentale che quella fisica sono parte integrante della salute umana. Questo detto è altrettanto attuale e importante al giorno d’oggi. Numerosi deputati hanno già menzionato varie forme di malattie mentali moderne.

All’interno di tale quadro, vorrei sottolineare che bisogna tenere conto in particolare della dimensione di genere, sia nella ricerca che nella prevenzione e nella cura delle psicosi. La ricerca ha inoltre dimostrato che varie condizioni biologiche particolari e, cosa più importante, circostanze sociali interessano le donne.

La dimensione di genere va inoltre presa in considerazione nell’istruzione e nell’informazione del personale infermieristico. In generale, la società e le famiglie delle persone colpite da malattie mentali soffrono perché, in molti casi, le donne con problemi psicologici vengono trattate come persone ipersensibili e non come pazienti che necessitano di cure e attenzioni speciali.

In altre parole, dobbiamo anche proteggere i pazienti e il loro ambiente, perché questo renderà anche l’ambiente più adatto e più affidabile nel ruolo che è chiamato a svolgere nella soluzione dei problemi delle persone che vi vivono.

In conclusione, vorrei menzionare le vittime della guerra. Ai gravi problemi psicologici di cui soffrono dobbiamo destinare sia la nostra ricerca che i nostri aiuti umanitari e, in generale, aiuti per la ricostruzione, perché in questo caso occorre soprattutto ricostruire la psiche umana.

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare tutti gli onorevoli deputati per il dibattito molto interessante e proficuo. Sarò breve.

La conclusione migliore che si possa trarre dall’odierna discussione è che in questa sede, come nel resto della procedura di consultazione, è emerso un ampio sostegno a favore dell’istituzione di una nuova strategia sulla salute mentale. Si tratta di un segnale molto positivo per la prosecuzione dei lavori della Commissione, poiché nell’arco dell’intera procedura generale di consultazione, della procedura parlamentare e di quella di consultazione degli Stati membri, tali sforzi hanno ricevuto attestazioni di sostegno analoghe. La verità è che vi è un valore aggiunto per un’iniziativa e una strategia a livello europeo, ed è per questo che intendiamo presentare molto presto una strategia.

Tra l’altro, è molto importante promuovere la cooperazione in materia di salute mentale tra Stati membri, tra le parti interessate e tra i diversi settori. Il coinvolgimento di tutti i settori pertinenti negli sforzi a favore di una salute pubblica migliore è un aspetto importante della nuova strategia. Come ho detto in apertura, intendiamo porre la salute mentale al centro della nostra strategia e delle iniziative per la salute pubblica.

Scuole e luoghi di lavoro influiscono sul benessere mentale più del settore sanitario vero e proprio. Anche l’insegnamento delle abilità genitoriali è importante. Gli anziani devono godere di opportunità di partecipazione attiva alla vita sociale.

Sono state sollevate molte questioni di grande interesse, che prenderemo in considerazione quando elaboreremo la strategia. Esamineremo la prevenzione e, come sapete grazie ai precedenti dibattiti, è mio impegno fondamentale e importante nonché la base della mia strategia di questo semestre promuovere la prevenzione e non solo le cure.

Verranno presi in considerazione gli aspetti legati al genere. Quando in quest’Aula abbiamo tenuto un dibattito analogo sugli aspetti di genere della salute, ho detto che da allora le nostre politiche avrebbero tenuto conto degli aspetti legati al genere in tutte le iniziative sanitarie e nei diversi campi della ricerca, della promozione, della prevenzione, dell’assistenza, della cura e della riabilitazione. La dimensione di genere verrà contemplata da ciascuno di questi settori e troverà riscontro nel documento strategico che la Commissione predisporrà. Come ho detto poc’anzi, esamineremo la prevenzione e alcune delle cause, che non sono tutte evitabili, naturalmente – come l’invecchiamento, ad esempio.

L’invecchiamento è una realtà e un dato di fatto. Abbiamo una popolazione che invecchia. Il problema è rendere salutare l’invecchiamento. Viviamo più a lungo e dobbiamo essere in salute nella vecchiaia, cosa di cui la salute mentale rappresenta un aspetto importantissimo.

In conclusione vorrei dire, alla luce di tutte le cifre e delle statistiche menzionate in questa sede, che questa è solo la punta dell’iceberg. Non vengono colpiti solo coloro che soffrono della malattia mentale: vi sono anche le famiglie, gli amici, i datori di lavoro, i dipendenti e i colleghi. La verità è che l’intera società soffre in conseguenza di problemi di salute mentale. Forse per questo motivo il miglior risultato dell’intero processo, compresa la strategia, sarebbe fare della salute mentale una priorità, non solo per l’Unione europea – credo che in seno alla Commissione e al Parlamento europeo lo abbiamo fatto – ma anche per ciascuno Stato membro singolarmente e per la Comunità nel suo insieme.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì alle 12.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, vorrei ringraziare l’onorevole Bowis per la sua relazione molto completa e dettagliata sul miglioramento della salute mentale dei cittadini, ossia sulla strategia comunitaria sulla salute mentale.

I problemi di salute mentale non conoscono confini nazionali e, pertanto, possiamo parlare di una strategia sulla salute mentale per l’intera Unione. Ad ogni modo, istituire una strategia comune, creare un quadro di cooperazione tra diverse Istituzioni e controllarne l’attuazione potrebbe facilitare l’introduzione e la fornitura di servizi a persone affette da disabilità intellettuali e a coloro che soffrono di disturbi mentali a livello nazionale.

Nel corso dei secoli sono stati elaborati molti metodi per misurare il grado di umanità. Uno di questi è dato dal nostro atteggiamento verso le persone affette da disturbi mentali. A mio avviso le richieste di destigmatizzare il problema, eliminare i pregiudizi, cambiare le opinioni e gli stereotipi relativi ai disturbi psicologici sono molto importanti. Nel contempo, ogniqualvolta in Polonia un politico vuole insultarne un altro, dice, o insinua, che l’altro è malato di mente o psicologicamente disturbato. Purtroppo, persino alcuni deputati al Parlamento europeo si abbassano a simili comportamenti. Dobbiamo però ricordare tutti che le persone che soffrono di disturbi mentali meritano di essere assistite e curate in maniera dignitosa e umana.

Nei paesi con un alto tasso di disoccupazione il problema colpisce in particolare i disabili. Per questo motivo sostengo appieno le iniziative volte ad assicurare la non discriminazione nella cura di coloro che sono affetti da malattia mentale e l’integrazione sociale di coloro che soffrono di disturbi mentali. Tali azioni sono particolarmente importanti perché condizioni di lavoro buone hanno un influsso positivo sulla salute mentale.

 
  
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  Jules Maaten (ALDE).(NL) L’Europa ha di fronte importanti sfide alla salute pubblica: il cancro, le patologie cardiovascolari, il diabete, l’asma… Anche la malattia mentale, tuttavia, appartiene a tale elenco. In fin dei conti, perché le persone affette da malattia mentale vengono curate in modo diverso da quelle colpite da una malattia cardiaca, dall’AIDS o dal cancro? In un’epoca in cui i pazienti vengono sempre più considerati come consumatori, sono meglio informati e più coinvolti nelle decisioni, l’atteggiamento verso la malattia mentale dovrebbe cambiare per adeguarsi a questa tendenza.

Attualmente l’Unione europea condivide con gli Stati membri la responsabilità della salute pubblica e dell’assistenza sanitaria. Gli Stati membri sono responsabili dei servizi e dei sistemi sanitari nazionali. L’Unione europea ha solo un ruolo secondario al riguardo. Vorrei esprimermi a favore del fatto che all’Unione europea venga assegnato un ruolo maggiore nelle questioni di salute pubblica, proprio perché sono tanto importanti per i cittadini.

Al fine di promuovere e sostenere la cooperazione tra Stati membri nell’ambito della salute mentale e di eliminare le disparità tra Stati membri, è positivo che l’Unione intervenga al riguardo, per esempio unendo le forze, promuovendo la coerenza e creando una piattaforma. In tal modo, l’Unione europea potrà significare qualcosa per i cittadini e cambiare l’immagine negativa che molti cittadini hanno, fatta di burocrazia e inutili scartoffie.

 

19. Diritto contrattuale europeo (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale dell’on. Giuseppe Gargani, a nome della commissione giuridica, alla Commissione, sul diritto contrattuale europeo (O-0074/2006 – B6-0326/2006).

 
  
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  Klaus-Heiner Lehne (PPE-DE), in sostituzione dell’autore.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’argomento oggetto della discussione odierna è una delle più importanti proposte prelegislative, a mio avviso senz’altro la più importante, nell’agenda comunitaria di questa legislatura. E’ pertanto ancora più increscioso il fatto che quest’Assemblea affronti nuovamente il tema poco prima di mezzanotte, mentre ad altre presunte questioni “importanti” riservi le fasce orarie migliori. Detto per inciso, questa è l’ennesima dimostrazione di quanto sia urgente procedere alla riforma parlamentare.

Ciononostante, vorrei riprendere l’argomento delle interrogazioni orali. Si possono contare nel complesso sei risoluzioni che il Parlamento ha presentato dagli inizi degli anni novanta a oggi, ribadendo e sottolineando ogni volta il proprio sostegno al progetto di creare un quadro comune di riferimento. Il Parlamento ha agito in questo modo per il semplice motivo che, insieme agli operatori del diritto, ossia legali e giudici dell’Unione europea, è dell’avviso che occorra compiere ulteriori passi verso l’introduzione di principi comuni del diritto civile, al fine di rendere attuabili molte disposizioni legislative comunitarie, ad esempio la direttiva sul commercio elettronico.

Nelle controversie, soprattutto nel caso di procedimenti per importi modesti tra consumatori e operatori del commercio, è praticamente impossibile per avvocati e giudici applicare parallelamente nell’ambito dell’UE 25, o ben 26 se si comprende la Scozia, ordinamenti giuridici differenti, in particolare se si considera lo strano accostamento tra i principi del paese di origine e il paese di destinazione, come nel caso della direttiva sul commercio elettronico, ad esempio.

Questo è il motivo per cui ci occorre uno standard comune più elevato, e io sarò ben lieto di utilizzarne uno armonizzato. Al momento questo tema non è oggetto di alcuna divergenza, anzi, quest’Aula esprime ampio consenso al riguardo. Sono dello stesso parere anche i principali operatori del diritto, ed è una delle ragioni per cui il Consiglio degli ordini forensi dell’Unione europea (CCBE) ha in programma per il prossimo autunno una conferenza a Roma che offre un sostegno tardivo al progetto.

E’ pertanto essenziale per noi ottenere non solo la scarna struttura di un quadro di riferimento, che si applichi esclusivamente alle questioni di diritto contrattuale concernenti i consumatori, bensì un quadro che contempli, in linea di principio, tutti gli aspetti del diritto civile. E’ fondamentale stabilire che ne sarà di questo quadro di riferimento per poter successivamente decidere riguardo a tutte le possibili scelte. Tale situazione dipenderà, ovviamente, in prima battuta dalla qualità del quadro di riferimento. Gradiremmo tuttavia che tutte le vie percorribili rimanessero aperte fino a quando la Commissione non avrà presentato il documento di consultazione finale, in modo da poterci pronunciare in merito in un secondo momento, congiuntamente ad altri.

E’ altresì importante che si abbandoni l’approccio settoriale nella normativa civile e se ne adotti invece uno di tipo olistico. In fondo, le varie incongruenze che attualmente caratterizzano il diritto civile comunitario sono imputabili a questa incapacità di attuare una visione globale, di cogliere le cose come un insieme, mentre si considerano sempre i problemi singolarmente.

Un altro requisito essenziale di un quadro di riferimento è che, in linea di principio, la rete continui a funzionare e se ne prosegua la gestione, come ha fatto fino a oggi la Commissione. Come relatore della commissione giuridica per l’argomento, posso affermare che in linea di massima tutti i gruppi politici convengono sulla questione e che una stragrande maggioranza di quest’Assemblea è nettamente a favore, una situazione che ho trovato solo di rado altrove. L’onorevole Wallis, del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, che stasera non può essere presente, mi ha espressamente chiesto di ribadire questo aspetto anche a suo nome.

Sappiamo bene che i tre Commissari che si occupano della questione, vale a dire i Commissari Kyprianou, Frattini e McCreevy, stanno valutando in questi giorni, o lo hanno già fatto, in quale modo dovrebbero proseguire i lavori. Il motivo per cui abbiamo iscritto all’ordine del giorno la presente interrogazione orale – congiuntamente alla rispettiva risoluzione di cui dovreste aver già potuto leggere il testo del progetto e che senza alcun dubbio giovedì in quest’Aula verrà adottata da una larga maggioranza – è sottolineare ancora una volta esplicitamente il forte sostegno del Parlamento a questo progetto.

Vogliamo che le risoluzioni di quest’Aula servano da orientamento anche alla Commissione nel momento in cui si accinge a elaborare ulteriormente e ad affrontare il tema. Finora Commissione e Parlamento hanno sempre lavorato in stretta collaborazione e si sono sostenuti a vicenda nel trattare questo argomento.

Chiediamo che la situazione rimanga tale, nell’interesse dello sviluppo dell’Unione europea, nonché del diritto nell’Unione europea, che deve essere gestibile e funzionale anche per i non addetti ai lavori. Questo è il motivo per cui il progetto deve proseguire. Esortiamo la Commissione a mantenere il forte sostegno finora offerto e a cogliere l’opportunità di rispondere alla presente interrogazione per affermarlo pubblicamente e con chiarezza qui in seduta plenaria.

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Sin dall’inizio la Commissione ha espresso la propria soddisfazione per l’interesse mostrato dal Parlamento riguardo al quadro comune di riferimento e per il sostegno che ha accordato al progetto in questione.

Al momento l’Esecutivo sta valutando la possibilità di includere nel quadro comune di riferimento altre questioni di diritto contrattuale oltre a quelle riguardanti i consumatori. Desidero far presente che, sebbene la nostra attenzione sia ora rivolta all’aspetto dei consumatori, non significa che siamo giunti a una conclusione definitiva sulla possibilità di contemplare o meno altri eventuali elementi di diritto contrattuale. Mi sto occupando a fondo dell’argomento, in stretta collaborazione con i miei colleghi, i Commissari Frattini e McCreevy. Questi aspetti diversi del diritto contrattuale potrebbero essere collegati all’altro acquis comunitario relativo al diritto contrattuale o a materie generiche di tale legislazione che hanno una pertinenza diretta con l’acquis. La verità è che la Commissione non si è ancora pronunciata al riguardo, ma prenderà a breve una decisione definitiva.

Abbiamo preso debitamente nota del parere del Parlamento europeo in merito alla questione, soprattutto di quello che figura nella recente risoluzione. Personalmente ho avuto l’opportunità di affrontare il tema in sede di varie commissioni. E’ intenzione dell’Esecutivo anche chiedere il parere del Consiglio sui dettagli ancora da sviluppare riguardo al quadro comune di riferimento.

La Commissione intende impiegare il quadro comune di riferimento come uno strumento per “legiferare meglio” al fine di raggiungere l’obiettivo della chiarezza in fase di elaborazione delle leggi. E un aspetto essenziale che richiederà un’accurata considerazione è proprio la scelta della forma giuridica che permetta di conseguire al meglio tale obiettivo. La decisione sarà meno ardua da prendere nel momento in cui ci sarà maggiore certezza in merito al contenuto del quadro comune di riferimento. Potremo poi passare ad analizzare come garantire nel modo migliore che venga utilizzato quanto più efficacemente possibile. Dobbiamo avere ben chiaro in mente che si tratta di un progetto in via di elaborazione la cui ultimazione richiederà alcuni anni.

Se, per un verso, la Commissione può tenere conto dell’attività svolta riguardo al quadro comune di riferimento all’atto della formulazione di nuove proposte legislative in merito a questioni di diritto contrattuale, dall’altro, non sarebbe utile né necessario procrastinare la futura normativa in materia nell’attesa che tutti i dibattiti su detto quadro comune di riferimento siano stati portati a termine.

Nel frattempo, l’Esecutivo ha già annunciato che i risultati del lavoro per un quadro comune di riferimento verranno utilizzati nell’ambito della revisione dell’acquis di diritto contrattuale sulle questioni riguardanti i consumatori. Come chiaramente indicato nella sua comunicazione dell’ottobre 2004, il quadro comune di riferimento non è studiato anzitutto quale strumento legislativo applicabile direttamente agli atti giuridici, bensì quale mezzo a disposizione dei legislatori per migliorare ulteriormente l’attività legislativa.

La Commissione comprende appieno la posizione del Parlamento, che vuole essere tenuto informato e desidera partecipare ai lavori sul quadro comune di riferimento, e accoglie quindi con favore il fatto che quest’Assemblea venga coinvolta nel processo di elaborazione del quadro in questione e che in particolare venga istituito un gruppo di lavoro parlamentare. La Commissione continuerà a informare quest’Aula riguardo ai vari sviluppi nel modo più appropriato, soprattutto attraverso il gruppo di lavoro del Parlamento.

Desidero concludere il mio intervento ringraziando l’Assemblea per aver incoraggiato e sostenuto il nostro impegno su questo importante tema.

 
  
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  Jean-Paul Gauzès, a nome del gruppo PPE-DE.(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la natura del diritto contrattuale europeo è tale da favorire la regolamentazione del mercato interno. Un’architettura giuridica di questo genere deve tuttavia essere elaborata attraverso un processo trasparente e democratico. I vantaggi che dovrebbero derivarne per gli operatori economici in termini di certezza giuridica e riduzione dei costi delle transazioni dipendono ampiamente dalla chiarezza delle norme, nonché dalla loro prevedibilità e stabilità.

Il diritto contrattuale europeo si deve basare sulle domande del mondo economico per valutarne le necessità. Deve eliminare quegli aspetti dell’acquis comunitario che difettano di coerenza quando entrano in gioco, ad esempio, i diritti dei consumatori riguardo ai termini di recesso o alle informazioni fornite al consumatore.

A quanto sembra, i progetti di testo in corso di elaborazione sono ambigui, eccessivamente dettagliati e non rispondono realmente agli obiettivi prefissati. Anziché intraprendere la strada utopistica dell’elaborazione di un codice civile europeo, un ventiseiesimo schema giuridico, oggi non sarebbe più realistico studiare contratti tipo o regole settoriali?

Stando così le cose, le risposte alle questioni sollevate dalla presente interrogazione orale devono permettere di conoscere meglio il contenuto del codice comune di riferimento. La definizione della base giuridica di uno strumento dedicato al diritto contrattuale deve scaturire da una scelta politica relativamente agli obiettivi fissati e non anticipare tale scelta. E’ pertanto indispensabile che la Commissione chiarisca gli obiettivi dei lavori finanziati a partire dal 2003 con risorse del bilancio comunitario e che metta il Parlamento europeo nella condizione di potersi pronunciare su proposte concrete.

Sarebbe impensabile lasciare alle imprese la facoltà di applicare il diritto europeo contrattuale, come suggerito da un gruppo di lavoro, anziché direttive e ordinamenti nazionali senza che Parlamento e Consiglio ne abbiano approvato il contenuto sulla base di una valutazione d’impatto molto approfondita in termini giuridici ed economici.

 
  
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  Maria Berger, a nome del gruppo PSE.(DE) Signor Presidente, sono davvero lieta che l’interrogazione orale ci abbia oggi offerto l’opportunità di essere almeno resi edotti riguardo a una situazione provvisoria. Avevo sperato che, nonostante l’ora tarda, il nostro dibattito ci avrebbe ricompensati con qualche informazione un po’ più specifica da parte della Commissione in merito alla sua attuale corrente di pensiero. Sembra che i tempi non siano maturi, ma mi auguro che lo diventeranno nel prossimo futuro.

Ritengo che sia il Parlamento che il Consiglio dei ministri, e con essi molti altri – io stessa ho partecipato a una conferenza organizzata dalla Presidenza austriaca e dall’Esecutivo e ho potuto constatare il profondo interesse per la questione di operatori del diritto, della comunità accademica, del mondo imprenditoriale e delle associazioni di consumatori – nutrano aspettative molto alte e altrettanto contrastanti e che tutti facciano affidamento sul fatto che la Commissione ci delinei con un po’ più di chiarezza in quale modo intende procedere.

Come ha già ribadito l’onorevole Lehne, possiamo contare su un ampio consenso riguardo alle questioni fondamentali, soprattutto per ciò che concerne il recente impulso dato allo sviluppo dell’acquis comunitario nel settore della protezione dei consumatori, e i vari tentativi compiuti in qualche modo sulla via dell’armonizzazione. Io stessa sono stata spesso relatrice su questioni afferenti la tutela dei consumatori e conosco le contraddizioni che nel tempo sono emerse naturalmente in questo ambito. Desidero tuttavia sottolineare, a tale proposito, che demandare una fetta eccessiva di lavoro agli esperti anziché ai politici significa che ciò che a volte si bolla come contraddizione in realtà non lo è, ma che sovente si tratta di quello che chiameremmo progresso politico imputabile a cambiamenti di posizione e alla diversa composizione della maggioranza, anche in quest’Aula.

Non vi è alcun dubbio su un punto, che è stato anche uno dei più importanti risultati della Conferenza di Vienna, ossia che occorre occuparsi anche del settore business-to-business; va da sé che non si può ignorare.

Vorrei tuttavia aggiungere che sussistono seri dubbi riguardo a tutto ciò che si cela dietro questo campo estremamente esiguo del diritto contrattuale – gira voce a tale proposito di un “Codice civile” europeo –, dubbi che occorre affrontare anziché eludere. Il primo concerne di certo il tema dei poteri e delle responsabilità, e un altro attiene sicuramente al consenso del pubblico, il fatto che, soprattutto nel diritto civile, i sistemi giuridici su cui ci basiamo sono radicati nella tradizione e che vantiamo una giurisprudenza sviluppatasi nell’arco di molti anni che mancherebbe a un eventuale ventiseiesimo, in futuro dovremo dire ventottesimo, sistema. Mi chiedo in quale modo possiamo strutturare il diritto civile in assenza di un solido corpus giurisprudenziale in questo ambito, nonché creare regolamentazioni precise che tutti considerino accettabili. Temo che finiremo con dichiarazioni molto generiche che non ci saranno di grande utilità.

Mi auguro che possiamo ancora pervenire a un accordo in merito alla risoluzione. E’ il paragrafo 6 in particolare su cui non siamo d’accordo, e spero che riusciremo a trovare una formula che esprima con chiarezza l’ampio consenso generale di cui gode questo tema anche sotto altri aspetti.