Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Aderendo alla Conferenza dell’Aia sul diritto internazionale privato, il cui mandato è lavorare per la “progressiva unificazione” delle norme di diritto internazionale privato, il Parlamento sta compiendo, per una volta, un passo realistico verso l’armonizzazione delle norme di legge specifiche di ogni Stato membro.
In effetti esistono due strade per ottenere l’armonizzazione legislativa. La prima, quella perorata dagli eurofederalisti fanatici, consiste nello standardizzare in modo vincolante le norme sostanziali del diritto di ciascuno dei 25 Stati membri; mentre la seconda, che soddisfa contemporaneamente l’esigenza fondamentale della certezza e dell’efficacia giuridica, consiste nello standardizzare soltanto le norme sul conflitto di leggi e quelle sulla giurisdizione, ovvero, consiste nello stabilire sia il foro competente, sia il diritto nazionale applicabile a un rapporto giuridico. Gli Stati membri, pertanto, mantengono le proprie norme, i loro sistemi e le loro tradizioni giuridiche, ma, in tal modo, si attenuano sensibilmente le incertezze che potrebbero derivare dall’applicazione e dal confronto delle norme nazionali di regioni diverse dell’Unione.
E’ per questo che siamo a favore della relazione e dell’adesione della Comunità europea alla Conferenza dell’Aia.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dell’onorevole Belder, e desidero congratularmi con lui per il lavoro svolto. L’atteggiamento del gruppo socialista al Parlamento europeo depone già in sé a favore dell’adozione di questa relazione, poiché ha criticato quella che vedrebbe come un’eccessiva attenzione dedicata dalla relazione alla situazione dei diritti umani in Cina.
Comunque, il fatto è che la situazione in quel paese certamente non è migliorata negli ultimi anni, nemmeno dopo gli avvenimenti di Piazza Tienanmen, ed è chiaro che i governi, le aziende, e altri organismi dell’Unione europea sono fin troppo disposti a fare semplicemente affari con un regime comunista in Cina, senza, tuttavia, essere obbligati a migliorare la situazione dei diritti umani.
Jan Andersson, Ewa Hedkvist Petersen e Inger Segelström (PSE), per iscritto. – (SV) Riteniamo positivo che il Parlamento europeo si sforzi di fare di più per i diritti umani in Cina. Tuttavia, ciò che, a nostro parere, manca nella relazione sono i riferimenti agli sforzi bilaterali e al commercio, che dovrebbero occuparvi una posizione centrale. Dal momento che la Cina è il secondo maggiore partner commerciale dell’Unione europea, è importante intessere contatti efficaci.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La relazione Belder dovrebbe essere esauriente nel coprire tutta la serie di violazioni commesse dalla Repubblica popolare cinese, sia per quanto riguarda i suoi impegni nel campo del commercio internazionale in seno all’OMC (dumping in tutte le sue forme, contraffazione e pirateria, ostacoli nell’accesso al suo mercato nei confronti dei suoi partner commerciali, ecc), sia per quanto riguarda i diritti umani. Su quest’ultimo punto, la litania è lunghissima: campi di concentramento (i campi Laogai), lavori forzati, traffico di organi dei detenuti giustiziati, persecuzioni religiose (soprattutto della minoranza cattolica), martiri tibetani, e così via.
Tuttavia è sorprendente che la relazione Belder riesca a deplorare questa situazione senza mai ricordare che la Cina è un paese comunista, una dittatura marxista, che si ispira, in termini politici, all’ideologia più omicida del XX secolo.
Ancor più sorprendente – ma è poi così sorprendente in questa Assemblea? – è il fatto che la relazione non si conclude con una richiesta di sanzioni, nemmeno con una condanna, ma con la necessità di creare un mercato libero, concorrenziale e trasparente in Cina! Non vi è alcun dubbio che, nell’Europa che ci state prospettando, il denaro sarà sempre più importante delle persone.
Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Per l’Unione europea, la Cina è un partner commerciale fondamentale. Nell’ultimo decennio l’UE e la Cina hanno mantenuto strette relazioni commerciali. La relazione dovrebbe essere considerata un passo in avanti per il miglioramento delle condizioni sociali e ambientali della Cina. La Lista di giugno ritiene che le richieste di progressi in questi ambiti siano una condizione essenziale per la creazione di una cooperazione commerciale duratura e sostenibile.
Pertanto voto a favore della relazione nel suo complesso.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Non sorprende che la maggioranza del Parlamento abbia accolto una risoluzione sulle relazioni UE-Cina che, nei suoi vari paragrafi, contiene scarsi riferimenti alle relazioni bilaterali, optando invece per una politica di palese interferenza nei confronti della Cina.
Fra i molti punti che vale la pena commentare, vorrei soltanto evidenziare che il Parlamento intende relegare le relazioni UE-Cina a una posizione di secondaria importanza nel quadro dell’“iniziativa americana di avviare un dialogo strategico con l’Europa sull’ascesa della Cina – che costituisce un elemento centrale di novità della politica del “nuovo mondo” verso il “vecchio mondo” – e incoraggia l’Unione europea e i suoi Stati membri a sviluppare un consenso strategico, per le relazioni con la Cina.”
Inoltre, “si dichiara preoccupato per l’aumento delle disparità e l’ingiusta distribuzione della ricchezza, la disoccupazione di massa e l’urbanizzazione incontrollata, il crescente tasso di criminalità e la corruzione, senza dimenticare i problemi ambientali della Cina”. Tali preoccupazioni rivelano l’ipocrisia di persone che, siamo onesti, non hanno assolutamente il diritto morale di sollevarle; si prenda, per esempio, la brutale offensiva antisociale condotta dall’UE e la spaventosa degenerazione della situazione sociale negli Stati membri.
Per questo abbiamo espresso un voto contrario.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Le relazioni con la Cina rappresentano uno dei temi che, come minimo, suscitano più domande nei confronti dei responsabili della politica estera degli Stati membri dell’UE.
Da un lato, si tratta di uno Stato totalitario che non mostra rispetto alcuno per i diritti umani, né la minima preoccupazione per le questioni umanitarie, l’ambiente, lo sviluppo integrato, la promozione della libertà o il rispetto per i valori fondamentali del genere umano. E’ anche un’economia di importanza innegabile e in costante crescita. Inoltre è stato provato che i progressi economici, cui ha contribuito il rafforzamento delle relazioni UE-Cina, hanno prodotto il benefico effetto di sviluppare un ceto medio urbano che, si spera, con l’andare del tempo, darà impulso alla democrazia.
Intanto – e questo era un punto che noi avevamo proposto – l’esperienza di Macao e di Hong Kong, che l’UE ha seguito da vicino, prova che un sistema migliore di quello esistente nella Cina continentale è possibile.
Infine, una parola di rammarico per l’atteggiamento del gruppo socialista al Parlamento europeo, che ha tentato di sopprimere la relazione, prevedendo un risultato contrario ai propri interessi. Questo è un brutto modo di agire.
Kathy Sinnott (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Contesto la politica cinese del figlio unico e gli altri abusi dei diritti umani. Non appoggio la politica di “una sola Cina”!
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Oggi abbiamo votato a favore della relazione sull’avviamento di un dibattito in merito a un approccio comunitario ai marchi di qualità ecologica per i prodotti della pesca. Siamo a favore della creazione da parte dell’UE di regole comuni minime per i marchi di qualità ecologica dei prodotti della pesca e a favore della loro conformità agli standard internazionali vigenti.
In contrasto con la relazione, riteniamo sia positivo, tuttavia, che esistano diverse certificazioni private e che l’intera certificazione ecologica dei prodotti della pesca sia svolta da privati. Inoltre non condividiamo la convinzione del relatore secondo cui la politica comune della pesca contribuirebbe a rendere la pesca più ecologica. Al contrario, siamo convinti che la politica comune della pesca sia in gran parte responsabile del sovrasfruttamento delle risorse di pesca e dei problemi ambientali.
Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Occorre accogliere con favore i provvedimenti volti a combattere la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. Tuttavia, ho qualche dubbio in merito all’esigenza che l’UE introduca un sistema centrale di marchi di qualità ecologica per i prodotti della pesca. La creazione di un sistema di certificazione ecologica comune in ambito UE potrebbe creare una burocrazia superflua e potrebbe limitare le opportunità per le società, per le organizzazioni attive nel settore della pesca e per gli Stati membri di produrre i propri marchi di qualità ecologica.
Pertanto voterò contro questa relazione.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Come questa discussione dimostra, la creazione di una certificazione ecologica per i prodotti della pesca solleva pesanti interrogativi.
Il relatore dice che un tipo di criterio potrebbe basarsi su fattori oggettivi quali l’analisi scientifica, derivante dall’attuazione degli standard comunitari volti a garantire che tutte le attività di pesca negli Stati membri UE siano sostenibili.
Inoltre, l’introduzione di altri tipi di criteri, quali metodi produttivi più selettivi, che porterebbe all’attuazione di un criterio a posteriori, sarebbe contraria al principio secondo cui gli effetti sulle risorse andrebbero analizzati in base ai provvedimenti tecnici decisi, e non a posteriori.
Vi è inoltre l’introduzione di criteri relativi alla sicurezza alimentare, che solleverebbe la questione del pericolo dei prodotti della pesca catturati nel loro habitat naturale e non adatti al consumo umano. In tal caso il punto non è la certificazione. Questi prodotti non devono essere catturati in alcun caso, né messi in vendita. Questo è ciò che accade quando si pensa che sia qualche tipo di inquinamento marino a portare al divieto di pesca.
Perciò noi riaffermiamo le posizioni espresse nel nostro intervento.
Marco Cappato (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, volevo semplicemente sottolineare che, pur avendo sostenuto la risoluzione sul Libano, troppo spesso in questo Emiciclo, anche da parte dell’Alto Commissario Solana, si usano come sinonimi i termini "Unione europea" e "Stati membri dell’Unione europea" e si dice che l’Unione europea sta svolgendo e ha svolto un grande ruolo nella crisi in Libano e anche nell’invio della missione Unifil. Questa non è la realtà, alcuni Stati membri, alcuni Stati nazionali stanno svolgendo un ruolo.
L’Unione europea purtroppo ha rinunciato anche ad attivare quei piccoli e poveri strumenti di politica estera della quale disporrebbe. Il ruolo che l’Unione europea potrebbe giocare è aprire una prospettiva di adesione agli Stati dell’altra sponda del Mediterraneo, alla Turchia, a Israele, ma anche alle altre democrazie dall’altra parte del Mediterraneo; la politica invece degli Stati nazionali per Israele, per la Palestina, è una politica perdente.
Romano Maria La Russa (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ferma restando la mia totale approvazione alla missione Unifil 2, permettetemi di esprimere le mie riserve in merito alla mobilitazione reale degli Stati europei che, a eccezione di Italia, Francia e Spagna, si limiteranno a fornire più o meno un contributo simbolico.
Finora gli appelli dell’Europa sono stati flebili, le parole dell’Alto Rappresentante per la politica estera Solana, che chiedeva una forte risposta da tutti i paesi dell’Unione, si sono dissipati nell’aria di Bruxelles. Qualora volessi sorvolare su un velato orientamento filopalestinese che pervade le istituzioni europee, che talvolta sembra sfociare in antisemitismo, non potrei comunque esimermi dal ribadire ancora una volta l’incapacità dell’Europa che, mossa dalla consueta ricerca del politicamente corretto non ha voluto prendere una posizione chiara e netta.
Mi chiedo tuttavia come sia possibile parlare di equidistanza.
(L’oratore è interrotto dal Presidente)
Adamos Adamou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Per 34 giorni, il mondo ha assistito a un’operazione militare condotta da un esercito attrezzatissimo che, grazie all’assistenza degli USA e ai razzi ultramoderni che ha lanciato fino alla fine, ha spianato e invaso il Libano meridionale, uccidendo centinaia di civili, costringendo alla fuga un terzo della popolazione e facendo tornare indietro di vent’anni l’economia del paese. Israele si è macchiato di numerosi crimini di guerra, come dimostrano le relazioni di Amnesty International e di Human Rights Watch.
L’arresto di soldati israeliani da parte di Hezbollah è stato preso a pretesto per applicare un piano preesistente. Essendo ciprioti, abbiamo esperienza di interventi militari e respingiamo la filosofia attendista sottesa alla proposta di risoluzione del Parlamento e ogni eventuale equiparazione delle vittime ai carnefici.
Appoggiamo l’embargo sulle forniture di equipaggiamenti militari a Israele, per bloccare questa macchina militare e per far intendere chiaramente che la comunità internazionale non è d’accordo con il genocidio commesso contro i palestinesi e i popoli confinanti. Chiediamo di creare nella nostra regione, Israele compreso, una zona denuclearizzata.
Dobbiamo condannare apertamente la politica di Israele nei confronti della Palestina e decidere di tornare subito al tavolo negoziale per pervenire rapidamente a una soluzione definitiva.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) E’ spaventoso che il Parlamento abbia deciso di accettare il punto di vista proposto da questa relazione, ovvero quello di mettere sullo stesso piano Israele e Palestina – cioè, aggressore e vittima, mentre ciò che serve è una chiara condanna sia dei crimini di guerra commessi da Israele in Libano, sia degli attacchi e del terrorismo di Stato che Israele continua a perpetrare nei territori occupati palestinesi, Gaza compresa. Si comincia male.
In un momento particolarmente complesso e pericoloso, ciò che l’UE dovrebbe fare è, almeno, chiedere a Israele di ottemperare alle decisioni dell’ONU relative alla sua occupazione dei territori palestinesi, l’immediata cessazione dell’operazione israeliana nei territori occupati palestinesi, l’immediata revoca del blocco di Gaza, ovvero, riaprire il confine con l’Egitto e consentire il libero movimento di persone e beni, restituire le alture del Golan alla Siria e le fattorie di Shebaa al Libano, rilasciare immediatamente i ministri e i deputati palestinesi eletti, aprire negoziati per lo scambio di prigionieri, porre fine agli insediamenti e, infine, proseguire nella restituzione del gettito proveniente dalle tasse e dai dazi doganali palestinesi.
Una pace duratura in Medio Oriente dipende dal rispetto per il diritto del popolo palestinese, siriano e libanese alla propria sovranità.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) In questa discussione sulla situazione del Medio Oriente, desidero ricordare ai deputati che il 31 maggio 2005, il Parlamento ha adottato una risoluzione intitolata “La comunità assira e la situazione nelle prigioni irachene”.
Mi dispiace dover riferire che la situazione dei cristiani in Iraq, e degli assiri in particolare, continua a peggiorare. Abbiamo appena saputo che il dottor Donny George, direttore del Museo iracheno e una delle personalità assire più in vista del paese, è fuggito in Siria con la famiglia.
L’ambasciatore uscente del Regno Unito, William Patey, ha dichiarato che l’Iraq si trova ormai in uno stato di guerra civile non dichiarata.
Che fare? Dobbiamo dare tutto il nostro sostegno ai leader religiosi e alla campagna “Save the Assyrians”, che appoggio e che mi appoggia, nell’iniziativa che promuoveranno nell’Iraq settentrionale a fine mese.
Noi europei e le Nazioni Unite dobbiamo esercitare pressioni affinché questa comunità autoctona irachena, così come i curdi, i sunniti e gli sciiti, abbia la propria zona amministrativa nell’ambito di un Iraq unito, come previsto dalla costituzione irachena. In caso contrario, la prospettiva è che l’intera comunità cristiana mediorientale, la quale, una volta, rappresentava il 20 per cento della popolazione, sia costretta ad abbandonare il paese.
Patrick Gaubert (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Nel mio intervento del 6 settembre in seduta plenaria, ho chiesto una valutazione equilibrata della situazione prima, durante e dopo il conflitto israelo-libanese, delle sue conseguenze per le popolazioni colpite e del futuro della regione.
La proposta di risoluzione comune non mi sembra rispondere a questi requisiti di equilibrio visti, tra le altre cose, i considerando A e B, e i paragrafi 17, 20 e 25.
Pertanto ho votato contro questa risoluzione.
Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno si rammarica profondamente per l’attuale situazione in Libano. In guerra, sono sempre gli indifesi e gli innocenti a pagare il prezzo più alto. Il conflitto in Libano è un esempio da manuale di come la violenza genera violenza, perciò noi ripudiamo con vigore tutte le forme di violenza commesse da entrambe le parti. La relazione nel suo insieme contiene molte proposte e idee ragionevoli, ma riteniamo che l’ONU debba essere l’organismo dotato della massima autorità nella regione. La relazione inoltre accenna anche a un tema sensibile di politica estera su cui i governi degli Stati membri si trovano in disaccordo. Noi crediamo che sia compito dei governi di ogni Stato membro prendere posizione su questo tema. Riteniamo anche che esso, nel suo insieme, sia materia di discussione per l’ONU, non per l’Unione europea.
La Lista di giugno pertanto si astiene dalla votazione.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Tra gli altri aspetti che andrebbero criticati occorre ricordare che, cercando di confondere l’aggressore – Israele e i suoi crimini – con le sue vittime – i popoli palestinese e libanese e la loro legittima lotta di resistenza all’aggressione e all’occupazione – il Parlamento si è lavato vergognosamente le mani, ancora una volta, nei confronti delle responsabilità di Israele per i suoi crimini.
Il Parlamento mette insieme le risoluzioni 1701 e 1559 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, sottolineando che “questa soluzione dovrebbe portare al disarmo di tutte le milizie, compresa quella di Hezbollah”, ma non va oltre il semplice accenno alle risoluzioni 242, 338, 426 e 520.
Tuttavia, date le prove più che evidenti dei pericolosi sviluppi della situazione mediorientale, di fronte alla brutale aggressione del popolo palestinese e di quello libanese da parte di Israele e, in particolare, data la risoluta e determinata resistenza dei popoli di questi paesi, il Parlamento riconosce ciò che da tempo è necessario: “una soluzione equa e duratura al conflitto israelo-palestinese per instaurare la pace e la sicurezza nell’intera regione”, “una soluzione complessiva, duratura e sostenibile” per la regione “fondata sulle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU”.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Approvo la risoluzione del Parlamento europeo sul Medio Oriente. Si otterranno progressi verso una pace duratura in Medio Oriente soltanto quando la comunità internazionale rispetterà e sosterrà la coesistenza di uno Stato israeliano e di uno palestinese, entro confini sicuri e riconosciuti. Perciò, invito l’Unione europea a fare tutto ciò che è in suo potere per garantire una tale conclusione.
Mentre il conflitto in Libano proseguiva, l’attenzione internazionale ignorava le 250 incursioni aeree, le 1 000 granate di artiglieria, e gli oltre 200 morti inflitti alla popolazione di Gaza, oltre ai circa 300 bambini palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, stando ai dati più aggiornati. Ritengo che non vi possa essere una soluzione militare a questa crisi e che l’UE debba invitare Israele a cessare l’offensiva militare nella regione e a rilasciare immediatamente i detenuti minori palestinesi arrestati dall’esercito israeliano.
Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) La catastrofe umanitaria a cui abbiamo assistito in Libano, con centinaia di morti e di feriti su entrambi i fronti, i danni alle infrastrutture essenziali e le centinaia di migliaia di sfollati non sono finiti con il cessate il fuoco. E’ chiaro che una soluzione equa e duratura al conflitto israelo-palestinese è fondamentale per la pace e la stabilità di tutta la regione.
Serve una leadership forte e risoluta per riportare il processo di pace mediorientale in cima all’agenda politica internazionale. L’Unione europea può fare la sua parte nell’offrire un po’ di questa leadership, anche riconsiderando il suo approccio agli aiuti alla Palestina e le sue relazioni con Hamas.
Willy Meyer Pleite, (GUE/NGL) per iscritto. – (ES) Oggi ci pronunciamo su una proposta di risoluzione sulla crisi mediorientale, dimostrando che, a differenza del Consiglio europeo, la reazione del Parlamento è all’altezza della situazione. Voto a favore perché questa risoluzione comprende alcuni elementi cruciali volti a rafforzare la fragile tregua tra l’esercito israeliano e la milizia Hezbollah. Come indica il testo, soltanto il dialogo politico può risolvere questo conflitto, non le azioni militari.
Ciononostante, alcune questioni restano sul tappeto come, ad esempio, l’impunità con cui Israele esce dal conflitto. L’UE dovrebbe avere il coraggio di essere la prima a chiedere a Israele di partecipare finanziariamente alla riparazione delle devastazioni provocate dai suoi bombardamenti sulle infrastrutture e sugli obiettivi civili.
In particolare, poiché non va dimenticato che l’occupazione permanente e le aggressioni contro la Palestina proseguono, è essenziale convocare una conferenza internazionale per la soluzione della crisi mediorientale. Tale conferenza dovrebbe cercare di far approvare sanzioni nei confronti dello Stato di Israele, esigere da questo paese il ritorno al rispetto della legalità internazionale e chiarire la roadmap da seguire per la soluzione del conflitto.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il Partito comunista greco ha votato contro l’inaccettabile proposta comune firmata dai delegati di tutti i partiti politici.
Tale proposta coincide con la posizione dell’UE, la quale ha approvato il piano NATO/USA per un “nuovo Medio Oriente”, la cui conseguenza è stata la guerra contro il Libano, che essa chiama “conflitto”, assolvendo in tal modo Israele.
Tentando di presentare l’UE come imparziale, mette sullo stesso piano vittime e carnefici, mettendo in discussione la resistenza dei popoli contro la politica imperialistica di Israele e degli USA.
Approva la risoluzione 1701, sostiene l’invio di forze di occupazione europee e preme per il disarmo delle forze popolari che hanno resistito eroicamente all’ingiusta guerra di aggressione. In tal modo acconsente all’attuazione dei progetti imperialistici. Addossa la responsabilità ai palestinesi senza condannare il loro genocidio per mano di Israele.
Il testo non fa riferimento al riconoscimento del governo palestinese o al rilascio di migliaia di libanesi e palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
Appoggia la presenza di occupazione UE in Medio Oriente, la quale non garantisce la pace a beneficio dei popoli, bensì favorirà un’escalation della situazione nel tentativo di attuare il piano ΝΑΤΟ di controllo della regione.
Le forze politiche firmatarie hanno un’enorme responsabilità nei confronti del popolo e delle forze e organizzazioni popolari che lottano da moltissimi anni, a prezzo di molto spargimento di sangue.
Il Partito comunista greco esprime la propria solidarietà a questa lotta, invitando i popoli a intensificare la lotta all’imperialismo euroamericano.
Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) L’accordo per l’invio di truppe in Libano tradisce l’ignoranza delle regole d’ingaggio.
Benché l’espressione di sostegno da parte di questa Assemblea per la convocazione di una conferenza di pace per il Medio Oriente sia da valutare positivamente, è deplorevole che il voto dei suoi deputati a favore dell’invio di truppe in Libano si basi su un mandato poco chiaro; non vi è stata alcuna riunione informativa, né sono state fornite altre informazioni sulle regole di ingaggio dell’UNIFIL, che restano segrete.
La risoluzione del Parlamento europeo si pronuncia a favore di un “solido mandato” per la forza da inviare in Libano; non esclude espressamente che il disarmo di Hezbollah possa essere compito dei soldati UNIFIL, quindi anche dei soldati degli Stati membri UE. E’ irresponsabile e perverso essere a favore di un’azione militare di questo tipo, e la conseguenza de facto di tale scelta è il via libera all’utilizzo delle truppe europee per missioni belliche in Libano.
E’ vergognoso che la guerra in Libano sia descritta nella risoluzione del Parlamento europeo come nulla più che una “reazione sproporzionata” da parte di Israele agli attacchi degli Hezbollah. Una simile valutazione non può che essere considerata cinica, date le numerose vittime civili libanesi.
Evidentemente esistono persone che non ne hanno mai abbastanza, perché, nella risoluzione, si dichiara che “la presenza di una forza multinazionale in Libano potrebbe essere considerata un esempio da seguire nel processo negoziale per la soluzione del conflitto israelo-palestinese”. Al contrario, serve una soluzione politica, non l’invio di un numero crescente di truppe.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Talvolta la sola cosa di cui è necessario parlare è la pace. Questo non è il momento delle recriminazioni, degli scontri o dei regolamenti di conti. La pace in Medio Oriente può essere costruita soltanto tra popoli, paesi e Stati liberi e democratici, responsabili delle proprie azioni e in grado di amministrare il proprio territorio. Democrazia, libertà e sviluppo sono il migliore antidoto a ideologie che tengono alcuni sventurati popoli in ostaggio del terrorismo e dell’estremismo.
In questo momento è anche necessario parlare di sicurezza, senza la quale non si costruisce la pace. Per questo, inviare una rilevante forza militare dotata di capacità operative nel Libano meridionale è una soluzione che potrebbe cambiare il corso degli eventi e contribuire a impedire il ripetersi di attentati e guerre.
Tuttavia, siamo consapevoli dei rischi. Non tutti sono uomini di buona volontà, e non tutti i regimi sono inclini alla conciliazione. Tale consapevolezza non ostacolerà la pace, ma semplicemente impedirà di essere ingenui.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Condivido il testo di compromesso sul Medio Oriente. Non vi può essere una soluzione militare ai problemi della regione. Non soltanto il brutale e indiscriminato uso della forza da parte di Israele, nella fattispecie il bombardamento di obiettivi civili, l’uso di armi illegali, la distruzione su vasta scala di infrastrutture civili e i gravi danni provocati al litorale, ma anche gli indiscriminati lanci di razzi da parte di Hezbollah, meritano la nostra condanna.
Gli Stati membri devono impedire una nuova corsa agli armamenti nella regione applicando rigidamente il codice di condotta europeo sulle esportazioni di armi a tutte le forniture di armi verso la regione. Ora che la politica USA nell’area si è dimostrata un fallimento, è essenziale convocare una nuova conferenza di pace regionale – una “Madrid II” – onde pervenire a una soluzione complessiva, sostenibile e praticabile, fondata sul diritto dello Stato di Israele a vivere entro confini sicuri e riconosciuti e sul diritto dei palestinesi a un proprio Stato autonomo nei Territori occupati, con grande attenzione per la sicurezza e il disarmo.
L’UE deve riavviare il dialogo con la Siria e coinvolgerla negli sforzi per la pace, firmando, tra l’altro, l’accordo di associazione, il quale rappresenterebbe un grande passo in avanti per una più efficace soluzione del problema dei diritti umani nel paese.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Per 34 giorni, il mondo ha assistito a un’operazione militare condotta da un esercito attrezzatissimo che, grazie all’assistenza degli USA e ai razzi ultramoderni che ha lanciato fino alla fine, ha spianato e invaso il Libano meridionale, uccidendo centinaia di civili, costringendo alla fuga un terzo della popolazione e facendo tornare indietro di vent’anni l’economia del paese. Israele si è macchiato di numerosi crimini di guerra, come dimostrano le relazioni di Amnesty International e di Human Rights Watch.
L’arresto di soldati israeliani da parte di Hezbollah è stato preso a pretesto per applicare un piano preesistente. Essendo ciprioti, abbiamo esperienza di interventi militari e respingiamo la filosofia attendista sottesa alla proposta di risoluzione del Parlamento e ogni eventuale equiparazione delle vittime ai carnefici.
Appoggiamo l’embargo sulle forniture di equipaggiamenti militari a Israele, per bloccare questa macchina militare e per far intendere chiaramente che la comunità internazionale non è d’accordo con il genocidio commesso contro i palestinesi e i popoli confinanti. Chiediamo di creare nella nostra regione, Israele compreso, una zona denuclearizzata.
Dobbiamo condannare apertamente la politica di Israele nei confronti della Palestina e decidere di tornare subito al tavolo negoziale per pervenire rapidamente a una soluzione definitiva.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione comune presentata da sei gruppi politici sugli incendi boschivi e le inondazioni. Innanzi tutto sono lieto che, oltre agli incendi, siano state integrate nel testo iniziale le inondazioni. In sostanza è chiaro che, con il passare del tempo, la crescente portata delle catastrofi naturali e degli altri problemi che colpiscono il territorio e le popolazioni talvolta supera la capacità di reazione di alcuni Stati membri, richiedendo quindi l’aiuto dell’Unione europea. Il fatto è che l’Unione europea non sembra essere sufficientemente coinvolta nel rispondere alle crisi, e mi rammarico che la risoluzione non appoggi chiaramente e più fermamente l’idea di creare una protezione civile europea. Non si tratterebbe di reclutare funzionari responsabili della protezione civile, bensì di avere un’unità di controllo a livello europeo con il potere di coordinare alcune squadre della protezione civile sul territorio dell’Unione, nel caso in cui fosse richiesto da uno Stato membro non in grado di far fronte a una determinata situazione.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Oggi abbiamo votato contro la risoluzione comune sugli incendi boschivi.
Ci dispiace per i numerosi ed estesi incendi boschivi e per le inondazioni che hanno colpito l’Europa. Crediamo che, in determinate circostanze, l’Unione dovrebbe dare aiuti finanziari ai paesi e alle regioni interessati, quando si verificano catastrofi naturali; tali aiuti, però, non devono creare una situazione tale per cui gli incendi boschivi diventino sinonimo di benefici finanziari.
A nostro parere, gli incendi e le inondazioni che si ripetono ogni anno nelle stesse regioni non giustificano né il ricorso a strumenti comuni di lotta contro simili eventi né il finanziamento con fondi comuni dei risarcimenti per le persone colpite. Riteniamo invece che la lotta contro gli incendi boschivi e le loro cause vada combattuta prioritariamente a livello locale e nazionale, e che debba anche essere avviata e finanziata a quei livelli.
Den Dover (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I conservatori britannici sono solidali con le vittime degli incendi boschivi scoppiati nel corso dell’estate. La risoluzione, però, non affronta in modo adeguato il fatto che la maggior parte degli incendi sarebbero stati appiccati intenzionalmente da piromani. Lo stesso ministro dell’Ambiente del governo spagnolo ritiene che a causare alcuni degli incendi potrebbero essere stati lavoratori forestali arrabbiati perché i corpi regionali dei vigili del fuoco non li avrebbero assunti per il periodo estivo. E’ imprescindibile che i singoli Stati membri adottino misure di prevenzione più rigorose per evitare che simili comportamenti deliberati possano ripetersi. Per questo motivo, i conservatori britannici non voteranno a favore della risoluzione congiunta.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore della relazione; ci spiace, però, che sia stata respinta la nostra proposta di chiedere alla Commissione di concedere al Portogallo aiuti finanziari straordinari, a carico delle casse comunitarie, per contribuire al ripristino delle aree dei parchi nazionali di Peneda-Gerês e di Serras d’Aire e Candeeiros che sono state distrutte dagli incendi, in considerazione del loro incalcolabile valore ecologico, paesaggistico ed economico.
Siamo per contro lieti che il Parlamento abbia nuovamente sollecitato la Commissione ad applicare il Fondo europeo di solidarietà in maniera flessibile, per semplificarne la gestione in situazioni tragiche come quelle conseguenti agli incendi boschivi. Gli incendi boschivi non solo causano gravi perdite materiali, ma compromettono gravemente anche le condizioni di vita delle persone, soprattutto nelle regioni più povere che ne subiscono gli effetti negativi sulle infrastrutture, sul potenziale economico, sull’occupazione, sul patrimonio naturale e culturale, sull’ambiente e sul turismo, con ripercussioni fatali sulla coesione economica e sociale.
Ci fa inoltre piacere che sia stata sottolineata la necessità di incanalare gli interventi nell’ambito del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e del regolamento Forest Focus verso la prevenzione degli incendi boschivi nei paesi dell’Europa meridionale.
Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno è favorevole alla solidarietà internazionale quando un paese viene colpito da incendi boschivi o inondazioni. Deploriamo, però, che le Istituzioni europee cerchino di usare simili tragici eventi per rafforzare l’influenza dell’Unione europea in diverse aree politiche. Spetta principalmente agli Stati membri il compito, ad esempio, di adottare misure volte a ridurre la probabilità che scoppino incendi. E’ possibile coordinare le risorse e intervenire al di fuori del contesto della cooperazione comunitaria.
Perciò ho votato contro la risoluzione.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La mozione contiene, purtroppo, solo un piccolo riferimento alla possibilità di non sottoporre a riforestazione terreni privati riconosciuti come aree boschive. La riclassificazione dei boschi, che comporta una variazione della destinazione d’uso, e la legalizzazione di violazioni gravi sono, quanto meno in Grecia, la causa principale degli incendi, che hanno infatti, in gran parte, origine dolosa.
Tali crimini vengono compiuti con il sostegno e la complicità delle politiche di commercializzazione, privatizzazione e sfruttamento delle aree boschive a fini diversi, con il conseguente sacrificio di questi importanti, vitali polmoni sull’altare del profitto e con gravi ripercussioni sulla qualità dell’ambiente.
In Grecia si sta pensando addirittura di emendare l’articolo della Costituzione che tutela il patrimonio forestale, o quel che ne rimane, soprattutto intorno alle grandi città e alle aree di sviluppo turistico e residenziale, in modo che non vi siano più ostacoli all’attuazione di questa politica antipopolare e antiambientale.
Simili politiche criminali sono alimentate dall’inadeguatezza delle risorse e dalla carenza di personale, mettono in luce le responsabilità politiche dell’Unione europea e dei governi e acuiscono le conseguenze disumane e nocive per l’ambiente delle politiche attuate.
E’ urgente e necessario risarcire le vittime degli incendi; ma è ancora più urgente e necessario adottare una politica diversa.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Siamo appena tornati dalle vacanze, dovremmo quindi essere ristorati e impazienti di rimetterci al lavoro.
Quest’anno, invece, siamo ritornati dalle vacanze più poveri di prima, dopo gli incendi che hanno devastato boschi, distrutto case e ucciso esseri umani. Siamo stufi di sentire scuse e ci sentiamo profondamente delusi.
Lo scenario fatto di siccità, estati calde e incendi si è ripetuto puntualmente in tutti gli anni scorsi. Non basta accontentarsi di prevedere con esattezza quando scoppierà il prossimo incendio; possiamo e dobbiamo fare molto di più.
Spetta agli Stati membri la responsabilità di gestire le emergenze che colpiscono i rispettivi territori; sono quindi loro a dover essere chiamati in causa quando non fanno tutto quanto in loro potere per prevenire simili disastri. Condanno, pertanto, l’incapacità del mio governo, che non ha disposto, com’era suo dovere fare, i necessari lavori di ripulitura del sottobosco nel parco nazionale di Peneda-Gerês: un’incapacità incomprensibile, che ha avuto effetti devastanti.
Voglio esprimere il mio cordoglio per la perdita di vite umane nei numerosi incendi scoppiati nel mio come in altri paesi europei. Se avevamo bisogno di una ragione per essere più efficienti, dobbiamo dirci che le azioni adottate nei nostri paesi e gli interventi di aiuto da parte dell’Unione possono prevenire la perdita di vite umane. Dobbiamo combattere la battaglia contro gli incendi in modo risoluto perché è una battaglia contro la distruzione dei nostri beni e dei nostri boschi e perché si tratta di preservare il nostro futuro.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della risoluzione con animo riluttante, essendo contrario alla proposta di inviare una delegazione del Parlamento europeo in pompa magna a visionare i danni causati in vari luoghi dagli incendi. Mi pare che si tratti di una proposta sproporzionata agli eventi e credo che il denaro che una simile impresa probabilmente ci verrà a costare potrebbe essere utilizzato meglio in altri modi.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Il fallimento dei negoziati è una tragedia per il settore agricolo, che nell’Unione europea e negli Stati Uniti rappresenta meno del 5 per cento del PNL, ma nei paesi in via di sviluppo svolge un ruolo essenziale. Se, da un canto, l’India si è offerta di sospendere le sovvenzioni agli agricoltori nel 2013, gli Stati Uniti, dall’altro, sembrano caparbiamente intenzionati ad aumentare tali aiuti. Possiamo solo augurarci che il buon senso torni a regnare in questi negoziati, che sono di vitale importanza per molti.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Dalle dichiarazioni fatte dall’UNICE e dal Commissario Mandelson risulta chiaramente che a perdere di più dalla sospensione dei negoziati dell’Organizzazione mondiale del commercio saranno i paesi meno sviluppati. Tali dichiarazioni omettono di citare i contenuti dell’Agenda di Doha, che mira a promuovere la liberalizzazione dei beni e dei servizi partendo dall’assunto che lo sviluppo è favorito dal libero commercio e dall’assenza di ostacoli all’attività delle grandi multinazionali, e che c’è una contraddizione tra gli accordi commerciali multilaterali e quelli regionali bilaterali. Nulla di più falso.
L’OMC è agli ordini delle grandi multinazionali, cui mette a disposizione mercati in espansione facendone lievitare i profitti, dando loro accesso alle materie prime e preparando la strada a un ulteriore sfruttamento di chi si trova ai margini del mondo capitalista.
Le attuali restrizioni all’espansione del mercato e il ruolo sempre più importante dei poteri emergenti accentuano le rivalità centrali, mentre diventa più difficile accettare ciecamente l’emarginazione. Inoltre, è cresciuta la resistenza contro le distruttive politiche del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale e dell’Organizzazione mondiale del commercio e contro il devastante predominio delle multinazionali.
Tutti questi fattori aumentano le pressioni esercitate al tavolo negoziale sui paesi periferici affinché accettino l’Agenda, come è successo all’Uruguay Round, che è durato ben otto anni.
Per questi motivi abbiamo votato contro la risoluzione.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Spero che la risoluzione sulla sospensione del Doha Round possa inviare alle parti negoziali un chiaro segnale del costante impegno del Parlamento europeo a favore del multilateralismo quale motore dello sviluppo globale.
E’ vero che nel commercio internazionale i diversi paesi che siedono allo stesso tavolo non sono su un piano di parità. Ciò significa che dobbiamo onorare gli impegni assunti a Doha per una “reciprocità incompleta” nei negoziati NAMA, per un trattamento speciale e differenziato nonché per l’Agenda Aid for Trade a favore dei paesi più poveri. In particolare, ciò significa altresì che non è più tollerabile che l’agricoltura, che costituisce solo il 2 per cento della nostra economia, continui a bloccare i negoziati.
Mi auguro che questo periodo di bilanci e valutazioni in seno all’Organizzazione mondiale del commercio offra alle parti interessate l’occasione per riflettere non solo su come quella organizzazione debba cambiare, ma anche sui suoi meriti – caso unico nel diritto internazionale. Il bilateralismo, con le sue inique condizioni, è una misera consolazione per i paesi in via di sviluppo, che saranno costretti ad accettare condizioni meno favorevoli per l’accesso al mercato e per i diritti di proprietà intellettuale. Ho votato a favore di un rinnovato impegno nei confronti di questo round dell’OMC non solo in quanto ambizioso round in campo commerciale ma anche in quanto round di sviluppo, così come era stato originariamente concepito.
Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Al Vertice di Ginevra del giugno 2006 l’Europa si è dimostrata flessibile, fino a cedere le armi nei negoziati commerciali dell’OMC. Dopo aver acconsentito, il 18 dicembre 2005 a Hong Kong, alla rinuncia da parte nostra alle restituzioni alle importazioni in campo agricolo a partire dal 2013, il Commissario Mandelson, il nostro negoziatore capo, ha fatto a Ginevra lo splendido gesto di permettere la conclusione di un accordo internazionale che prevede la riduzione di ben il 50 per cento dei dazi doganali posti a tutela del nostro mercato agricolo.
Altri, invece, come il Brasile, dove si terranno fra poco le elezioni presidenziali, e gli Stati Uniti, dove avranno luogo a breve le elezioni del Congresso, non hanno voluto correre il ben che minimo rischio: gli Stati Uniti riducendo gli aiuti interni e il Brasile aprendo il proprio mercato industriale.
Alla fine i negoziati riprenderanno, però sappiamo già adesso che la Commissione, sulle questioni degli aiuti alle esportazioni e della protezione della nostra agricoltura e viticoltura, si è arresa al dumping sociale dei paesi terzi, dove le multinazionali producono nella totale assenza di norme sul lavoro o di tutela sociale.
Per trovare una soluzione per il 2007 e rompere l’attuale blocco sarà necessario inventare, con un po’ di fantasia, diritti doganali flessibili, rimborsabili e scontabili – cioè diritti doganali deducibili.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Chiunque pensi al commercio come a una delle forze trainanti che promuovono lo sviluppo economico e, cosa non meno importante, che fanno incontrare le persone di paesi diversi sarà amaramente deluso dalla decisione presa lo scorso luglio di sospendere indefinitamente i negoziati del Doha Round. Il fatto che i negoziati si siano arenati è una notizia terribile.
La posta in gioco non è la promozione di un’apertura totale e immediata di tutti i confini o l’immediata sospensione di tutti gli aiuti di Stato. In economia, le utopie sono spesso pericolose e i comportamenti avventati si pagano a caro prezzo. E’ però senz’altro auspicabile che il commercio mondiale si apra, massimizzando i flussi commerciali tra il nord e il sud del mondo, tra i paesi del sud, tra i paesi più sviluppati e quelli meno sviluppati. Tutto ciò va realizzato in modo equo ed equilibrato, affinché ne possano trarre vantaggio i produttori più competitivi, gli esportatori più solerti nonché una figura non meno importante ma spesso negletta: il consumatore.
L’Unione europea dev’essere all’altezza del compito di portare avanti i negoziati fino al raggiungimento di un accordo soddisfacente per i suoi Stati membri e deve assumere un ruolo guida in seno all’OMC. Se il commercio è più libero, è più libero anche il mondo.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Le questioni commerciali vanno affrontate in termini globali, ogniqualvolta ciò sia possibile, e anche se in questo momento non riusciamo a trovare un accordo, vale comunque la pena di continuare gli sforzi in quel senso. L’alternativa sarebbe infatti una palude di accordi bilaterali iniqui che andrebbero a discapito principalmente dei paesi in via di sviluppo – una tendenza che, come possiamo osservare già adesso, si sta rafforzando. E’ ovvio che per raggiungere un accordo ci vorrà più tempo, ma a breve termine abbiamo altre frecce al nostro arco, come l’agenda di Aid for Trade, che ci offre un utile strumento per operare a favore di uno sviluppo reale. Pur auspicando che si compiano passi avanti nell’ambito di questa agenda, allo stesso tempo mi auguro, naturalmente, che la Commissione continui a impegnarsi per realizzare progressi sostanziali in seno all’Organizzazione mondiale del commercio.
Brigitte Douay (PSE), per iscritto. – (FR) In diverse occasioni nel corso degli ultimi mesi la stampa francese ha pubblicato articoli sui danni causati all’economia dalla contraffazione di prodotti e marchi. Ciò dimostra come questo fenomeno, insieme con la globalizzazione, stia assumendo dimensioni molto allarmanti, delle quali le autorità pubbliche e i cittadini stanno gradualmente prendendo atto. Si stima che in Europa circa 100 000 posti di lavoro siano andati perduti a seguito della produzione e immissione sul mercato di prodotti contraffatti.
Ma la contraffazione di prodotti e marchi non solo costituisce una violazione dei diritti di proprietà intellettuale, può anche avere conseguenze letali quando è in gioco la salute. E’ questo il caso della contraffazione di medicinali e vaccini, che mette a repentaglio la vita di milioni di persone, soprattutto nei paesi in via di sviluppo e più in particolare in Africa.
La tutela dei consumatori è un dovere importante dell’Unione europea, la quale deve pertanto armonizzare e inasprire le proprie norme volte a contrastare questo flagello di proporzioni sempre più allarmanti, nonché contribuire a rendere più rigorosa la legislazione di paesi terzi.
Ho votato pertanto con convinzione a favore della risoluzione sulla contraffazione di medicinali.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Non ho avuto alcun problema a dare il mio appoggio alla risoluzione. La contraffazione di medicinali è la forma più grave e più amorale di contraffazione perché mette in pericolo la salute di milioni di consumatori. Il problema è avvertito in modo particolare nei paesi in via di sviluppo, dove circolano medicine prive degli essenziali principi attivi (in alcuni paesi, esse costituiscono addirittura il 50 per cento di tutti i farmaci disponibili) che vengono usate per curare patologie letali quali HIV/AIDS, tubercolosi e malaria.
Non c’è alcun motivo per cui la contraffazione di medicinali e la loro distribuzione entro o al di là dei confini di uno Stato non debba essere considerato dal diritto internazionale come un reato penale. I miei colleghi ed io vorremmo vedere un maggiore coordinamento tra gli enti nazionali e transnazionali nella lotta contro le frodi. Sono favorevole a che l’Unione europea assuma un ruolo guida nell’opera di potenziamento delle capacità di regolamentazione e controllo della qualità nel settore dei medicinali e degli apparecchi medicali che vengono venduti sui mercati dei paesi poveri di risorse.
Invito le autorità e le società farmaceutiche a continuare a garantire l’origine e la qualità dei medicinali disponibili e ad attribuire la massima importanza alla lotta contro questa pericolosa forma di frode.
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, oggi possiamo notare in quest’Aula un approccio alquanto contraddittorio. Da un lato, c’è una relazione, quella dell’onorevole Wallis, in cui si propone di aderire alla Conferenza dell’Aia per uniformare le norme sui conflitti giuridici, e questo mi sembra un approccio ottimo. Dall’altro, c’è una tendenza a uniformare le norme sostanziali del diritto contrattuale europeo. Credo che il primo tipo di approccio sia quello corretto, mentre il secondo è molto più discutibile.
Per quanto attiene al diritto contrattuale europeo, credo che dovremmo semplicemente prevedere, ad esempio, che il diritto applicabile sia quello stabilito dalle parti e che, se le parti non prendono una decisione in proposito, esso sia quello vigente nel luogo in cui è stato firmato il contratto; infine, se le parti contraenti hanno sede in luoghi diversi, il diritto applicabile sarà quello vigente nel luogo di applicazione del contratto. E’ sufficiente che la formulazione di questa semplicissima regola soddisfi i legittimi criteri di certezza giuridica, senza dover necessariamente uniformare, in modo alquanto arbitrario e autoritario, il diritto nazionale di ciascuno Stato membro.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Le compagnie aeree che effettuano voli passeggeri negli Stati Uniti forniscono ai servizi di sicurezza americani i dati personali dei passeggeri contenuti nei Passenger Name Record (PNR), su richiesta degli stessi servizi e con la scusa della cosiddetta “guerra al terrorismo”. Questi dati comprendono 34 categorie di informazioni, tra cui: prenotazioni alberghiere e di viaggi, numeri di telefono, indirizzi di posta elettronica, indirizzi di casa e del posto di lavoro, cibi preferiti, numeri di carta di credito e molte altre ancora.
Il Parlamento ha stabilito che questo accordo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti è illegale; ne ha denunciato la mancanza di chiarezza giuridica e le violazioni per quanto riguarda la tutela dei diritti, delle libertà e delle garanzie dei cittadini, nonché la tutela dei dati personali sancita dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo. La Corte di giustizia ha confermato la valutazione del Parlamento in merito alla base giuridica, ribaltando la decisione del Consiglio con effetto dal 1o ottobre 2006.
Questa è un’altra situazione inaccettabile cui va posta fine, perché mina i diritti, le libertà e le garanzie e perché rientra nell’attuale tendenza all’eccesso di sicurezza. Tale situazione, inoltre, dimostra come la sovranità degli Stati Uniti sia prevalente rispetto a quella dei singoli Stati membri, visto che, ai sensi dell’accordo, è applicabile la legislazione presente e futura degli Stati Uniti in questa materia.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) E’ urgente e necessario che l’Unione europea e gli Stati Uniti concludano un accordo sull’uso dei dati personali dei passeggeri, in vista dell’imminente vuoto giuridico che scatterà il 1o ottobre 2006. Dobbiamo quindi essere certi di aver fatto chiarezza sui principi che intendiamo sostenere al tavolo negoziale.
La tutela dei diritti fondamentali dei nostri concittadini è senza dubbio la pietra angolare di qualsiasi negoziato in questo campo. Non possiamo tuttavia ignorare il fatto che il mondo è un luogo terrificante, nel quale la prevenzione e la lotta contro il terrorismo sono un valore e un obiettivo sempre più importante.
Se la globalizzazione, da un lato, ha aperto nuovi mondi e nuovi commerci, consentendo alle persone di esplorare nuovi territori, dall’altro ha permesso a nuovi mostri di tirare fuori gli artigli. Il terrorismo e il crimine organizzato ne sono un chiaro esempio.
Occorre adottare con urgenza provvedimenti basati su principi chiari e precisi, allo scopo di proteggere i cittadini da qualsiasi attacco alla loro vita, ai loro beni e ai loro diritti fondamentali. Sono convinto che questi sono gli stessi principi che guideranno i nostri partner al tavolo negoziale e l’accordo sarà negoziato nell’ottica di tutelare i cittadini.
Bernadette Bourzai (PSE), per iscritto. – (FR) Desidero esprimere il mio apprezzamento per l’eccellente relazione del collega Sifunakis sulla tutela del patrimonio naturale, architettonico e culturale europeo delle regioni rurali e insulari.
In quanto rappresentante eletta di una regione rurale il cui patrimonio naturale è protetto, quello architettonico antico e quello culturale ricco, posso apprezzare l’importanza di questa relazione.
Inoltre, credo che il carattere multiforme e la forte identità del patrimonio delle nostre regioni rurali e insulari costituisca per loro un fattore di distinzione e arricchimento.
Condivido pienamente le raccomandazioni formulate nella relazione in riferimento ai provvedimenti atti a tutelare, rivalutare e promuovere in modo adeguato le piccole comunità tradizionali.
Le necessarie risorse devono provenire dai Fondi strutturali, dagli accantonamenti a favore dell’ambiente e dagli stanziamenti nazionali.
Tutte le iniziative europee, come il Premio per il patrimonio culturale dell’Unione europea e le Giornate del patrimonio europeo, vanno incoraggiate e pubblicizzate maggiormente, al fine di promuovere la diversità e la ricchezza del patrimonio europeo come fattore di coesione sociale.
Inoltre, ritengo doveroso attribuire maggiore importanza alla conservazione e alla trasmissione delle lingue, dei dialetti e delle parlate locali delle nostre regioni rurali e insulari, perché anch’essi fanno parte del nostro patrimonio.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Sifunakis sulla tutela del patrimonio naturale, architettonico e culturale europeo delle regioni rurali e insulari perché credo che il patrimonio culturale debba essere sostenuto e inserito pienamente nelle politiche e nelle risorse finanziarie dell’Unione europea attraverso il ricorso, per esempio, ai Fondi strutturali.
Dato che le aree rurali rappresentano all’incirca il 90 per cento del territorio dell’Europa allargata e costituiscono una preziosa riserva per il nostro patrimonio naturale e il nostro capitale culturale, è essenziale investire maggiormente nello sviluppo delle economie locali, nell’ottica di invertire l’attuale tendenza allo spopolamento delle aree rurali, di incoraggiare e sostenere il “turismo alternativo e sostenibile” e di tutelare il know-how locale e i mestieri tradizionali.
Emanuel Jardim Fernandes (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione Sifunakis (della delegazione del partito socialista greco al Parlamento europeo) sulla tutela del patrimonio naturale, architettonico e culturale europeo delle regioni rurali e insulari perché ritengo che il patrimonio storico e culturale delle regioni rurali e insulari debba contribuire in misura rilevante al rafforzamento dello sviluppo sociale ed economico di quelle aree.
Credo altresì che la relazione contenga un aspetto positivo laddove insiste sul concetto di uno sviluppo sostenibile, capace di trovare un punto d’equilibrio d’importanza vitale tra le esigenze delle comunità locali e quelle dell’ambiente, e su un approccio integrato nei confronti delle zone rurali tradizionali. Per quanto riguarda la partecipazione della società civile, mi pare opportuno sottolineare l’importanza che l’onorevole Sifunakis attribuisce alla necessità di coinvolgere le popolazioni locali nella definizione e nell’attuazione delle politiche, alcune delle quali sono citate nella relazione: studio sistematico del patrimonio culturale e creazione di un quadro giuridico per la sua tutela, finanziamento del restauro di monumenti locali e del riutilizzo di metodi agricoli tradizionali, ampio ripristino di habitat tradizionali e forme architettoniche tradizionali, trasmissione ai più giovani di competenze professionali tradizionali.
Di conseguenza, il mio voto a favore della relazione è motivato dalla sua qualità, e me ne complimento con l’onorevole Sifunakis.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Sebbene la relazione presenti alcune contraddizioni e un paio di punti che non condividiamo, abbiamo votato a favore della risoluzione finale perché riteniamo che sia importante contribuire alla tutela e alla conservazione del patrimonio culturale per mezzo dei Fondi strutturali e delle esistenti iniziative comunitarie come LEADER+, URBAN II e INTERREG III, che saranno integrate nei nuovi strumenti finanziari della politica agricola comune per il prossimo esercizio di bilancio (2007-2013).
Approviamo inoltre la proposta di invitare la Commissione ad adottare misure volte a facilitare l’accessibilità e a incoraggiare le piccole imprese, i mestieri e i commerci tradizionali nonché i costumi e le tradizioni locali per mezzo di un’ampia campagna di rivalutazione dei villaggi e delle comunità dell’Unione europea, al fine di sviluppare l’economia locale e contenere l’esodo rurale.
La Commissione e gli Stati membri sono chiamati altresì a collaborare con il Consiglio d’Europa nell’ottica di promuovere ulteriormente le comunità tradizionali e il patrimonio architettonico delle regioni rurali e insulari nell’ambito dell’iniziativa denominata Giornate del patrimonio culturale europeo, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul valore delle diverse identità culturali locali e regionali.
Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno ritiene che, in linea con il principio di sussidiarietà, siano gli Stati membri, le regioni e le autorità locali gli enti che possono e devono tutelare il patrimonio naturale, architettonico e culturale.
Ci siamo opposti fermamente all’artificiosa creazione di un patrimonio culturale comune a livello di Unione europea. L’idea di istituire un quadro giuridico comunitario per tutelare il patrimonio culturale nelle regioni rurali è irrealistica; il livello giusto per questo tipo di intervento è quello degli Stati membri.
Come sempre, anche in questa circostanza la commissione per la cultura e l’istruzione del Parlamento europeo si è esibita in voli pindarici. Al paragrafo 21 della bozza di relazione propone un’azione sistematica a favore delle piccole comunità tradizionali sulla falsariga del sistema delle capitali culturali, azione che comporterebbe nuovi oneri per il bilancio comunitario.
Al paragrafo 24 della bozza di relazione si propone, poi, di istituire un Anno del patrimonio culturale europeo. Il Parlamento europeo propone spesso di dedicare un anno a un determinato tema; ma sarebbe impossibile dare attuazione pratica a tutte queste proposte.
Ho quindi votato contro la relazione nel suo complesso.
Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Mi congratulo con l’onorevole Sifunakis per la sua importante e tempestiva relazione, che appoggio, sulla tutela del patrimonio naturale e architettonico europeo delle regioni rurali e insulari. Accolgo con particolare favore il riferimento alla necessità che l’Unione europea adotti misure comuni di tutela del patrimonio regionale; si tratta di un patrimonio architettonico e naturale cui il modo di vivere della gente ha dato forma nel corso del tempo.
La conservazione delle numerose testimonianze del patrimonio culturale costituisce la base per un ulteriore sviluppo economico e sociale che comporterà un miglioramento della tutela ambientale, delle opportunità occupazionali e dell’integrazione europea, contribuendo così a prevenire lo spopolamento e l’abbandono di quelle regioni.