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Resoconto integrale delle discussioni
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Giovedì 7 settembre 2006 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 3. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale
 4. Impiego dei dati personali dei passeggeri – Accordo UE/Stati Uniti d’America sull’impiego dei dati di identificazione dei passeggeri (PNR) (discussione)
 5. Tutela del patrimonio naturale, culturale e architettonico europeo nelle zone rurali e insulari (discussione)
 6. Comunicazione delle posizioni comuni del Consiglio: vedasi processo verbale
 7. Turno di votazioni
  7.1. Adesione della Comunità alla Conferenza dell’Aia (diritto internazionale privato) (votazione)
  7.2. Relazioni UE-Cina (votazione)
  7.3. Marchio di qualità ecologica per i prodotti della pesca (votazione)
  7.4. Situazione in Medio Oriente (votazione)
  7.5. Incendi boschivi e inondazioni (votazione)
  7.6. Sospensione dei negoziati sull’agenda per lo sviluppo di Doha (ASD) (votazione)
  7.7. Contraffazione di medicinali (votazione)
  7.8. Diritto contrattuale europeo (votazione)
  7.9. Partecipazione del Parlamento europeo ai lavori della Conferenza dell’Aia a seguito dell’adesione della Comunità (votazione)
  7.10. Accordo UE/Stati Uniti d’America sull’impiego dei dati di identificazione dei passeggeri (PNR) (votazione)
  7.11. Tutela del patrimonio naturale, culturale e architettonico europeo nelle zone rurali e insulari (votazione)
 8. Dichiarazioni di voto
 9. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 10. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 11. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto(discussione)
  11.1. Sri Lanka
  11.2. Richiedenti asilo in provenienza dalla Corea del Nord, in particolare in Tailandia
  11.3. Zimbabwe
 12. Turno di votazioni
  12.1. Sri Lanka (votazione)
  12.2. Richiedenti asilo in provenienza dalla Corea del Nord, in particolare in Tailandia (votazione)
  12.3. Zimbabwe (votazione)
 13. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
 14. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 15. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale
 16. Dichiarazioni scritte che figurano nel registro (articolo 116 del Regolamento): vedasi processo verbale
 17. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale
 18. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale
 19. Interruzione della sessione
 ALLEGATO (Risposte scritte)


  

PRESIDENZA DELL’ON. OUZKÝ
Vicepresidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta inizia alle 10.05)

 

2. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

3. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale

4. Impiego dei dati personali dei passeggeri – Accordo UE/Stati Uniti d’America sull’impiego dei dati di identificazione dei passeggeri (PNR) (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:

– la dichiarazione della Commissione in merito all’impiego dei dati personali dei passeggeri.

e

– la relazione (A6-0252/2006), presentata dall’onorevole Sophia in ’t Veld a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, recante una proposta di raccomandazione del Parlamento europeo destinata al Consiglio sui negoziati in vista di un accordo con gli Stati Uniti d’America sull’impiego dei dati di identificazione delle pratiche passeggeri (PNR) per prevenire e combattere il terrorismo e la criminalità transnazionale, compresa la criminalità organizzata [2006/2193(INI)].

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione.(EN) Signor Presidente, come sa, la Corte europea ha dichiarato che la decisione del Consiglio e della Commissione relativa alla trasmissione dei dati PNR all’Ufficio doganale e di protezione dei confini statunitense è stata presa ai fini della salvaguardia della sicurezza pubblica e concerne le attività pubbliche in materia di diritto penale. Le attività descritte esulano pertanto dal campo di applicazione sia della direttiva europea sulla protezione dei dati, sia dell’articolo 95 del Trattato CE, anche nel caso in cui i dati trattati erano stati resi noti in origine per la fornitura di servizi commerciali.

Più in generale, la questione delle basi giuridiche evidenzia la necessità di un sistema unico di riferimenti normativi per le questioni inerenti la giustizia, la libertà e la sicurezza. Parlo in questo caso di una “comunitarizzazione” del cosiddetto terzo pilastro; a tal fine ho chiesto al Consiglio “Giustizia e affari interni” che sia predisposto un quadro giuridico chiaro per la giustizia, la libertà e la sicurezza tramite un maggiore ricorso alla cosiddetta clausola “passerella” sancita dall’articolo 42. So che esiste un’identità di vedute tra il Parlamento europeo e la Commissione su questo tema molto importante che solleverò di nuovo tra qualche giorno, in occasione del Consiglio informale di Tampere.

A mio avviso, il nuovo accordo che stiamo negoziando con gli Stati Uniti dovrebbe avere il medesimo contenuto e continuare pertanto a offrire i medesimi livelli di garanzia di certezza giuridica per quanto riguarda i vettori aerei, il rispetto dei diritti umani e in particolare del diritto alla privacy, nonché i fini per i quali è ammesso l’impiego dei PNR. L’accordo potrebbe anche integrare gli impegni attuali, come richiesto nella proposta di raccomandazione allegata alla decisione annullata della Commissione, ai quali gli Stati Uniti stanno già dando seguito.

Come sapete, tali impegni sanciscono regole e procedure che limitano efficacemente l’impiego dei dati PNR da parte delle autorità statunitensi. Per non mettere in pericolo la sicurezza pubblica occorre compiere tutti gli sforzi atti a garantire che l’accordo sostituisca quello attualmente in vigore alla sua data di scadenza, ovvero entro il 30 settembre al più tardi. La Commissione si sta adoperando per avviare i negoziati con gli Stati Uniti il prima possibile. In conformità della procedura stabilita dall’articolo 24 del Trattato UE, i negoziati sono condotti dalla Presidenza del Consiglio coadiuvata dalla Commissione. L’inizio dei negoziati è previsto per domani a Bruxelles. Una bozza di documento è già stata inviata alle autorità statunitensi da parte della Presidenza che, ribadisco, conduce le trattative.

So che avete chiesto alla Presidenza di mettere a disposizione del Parlamento il progetto di accordo. Personalmente sono favorevole e posso assicurarvi che la Commissione, da parte sua, intende adempiere agli impegni assunti nell’ambito dell’accordo quadro stipulato tra le nostre due Istituzioni e pertanto non mancherò di tenere informato il Parlamento per l’intera durata dei negoziati. Intendo riferire regolarmente al Parlamento sui prossimi sviluppi e, come probabilmente sapete, parteciperò a una riunione della commissione LIBE che si terrà la settimana prossima, il 12 settembre.

Infine desidero ricordare che, qualora al 1° ottobre non fosse in vigore un nuovo accordo, le compagnie aeree che assicurano i voli dall’Europa agli Stati Uniti potranno essere oggetto di azioni legali da parte dei cittadini, giustificate dalle divergenze nelle legislazioni nazionali per quanto attiene al trasferimento dei dati PNR agli Stati Uniti. Per questo motivo è fondamentale garantire la certezza giuridica entro tale data tramite un accordo di portata europea, continuando a offrire ai nostri cittadini un elevato grado di sicurezza e allo stesso tempo la protezione della loro sfera privata.

 
  
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  Sophia in ’t Veld (ALDE), relatore. – (EN) Signor Presidente, la discussione odierna verte sull’accordo PNR con gli Stati Uniti. Tuttavia, siamo perfettamente consapevoli che questo argomento può essere discusso soltanto in un contesto più ampio, in particolare alla luce delle informazioni ricevute ieri sera, quando il Presidente Bush ha finalmente ammesso l’effettiva esistenza dei centri di detenzione segreti della CIA. Dobbiamo considerare la questione nell’ottica più ampia dei metodi impiegati nella lotta contro il terrorismo: i metodi che intendiamo utilizzare noi in Europa e quelli cui ricorrono i nostri amici e alleati, gli Stati Uniti.

La rivelazione sulle carceri della CIA e i trasferimenti aerei dei detenuti, nonché la questione dell’accordo PNR, dimostrano con forza la necessità impellente di un’Europa che parli con una voce sola. Dobbiamo formulare con urgenza una politica europea unica per questo settore. Plaudo alle parole del Commissario Frattini, perché a mio giudizio la politica UE non è concepita da un piccolo gruppo di ministri che si riunisce a porte chiuse, con riunioni informali. La politica UE deve essere elaborata tramite una procedura democratica efficace che comprende un monitoraggio da parte del Parlamento sotto forma di codecisione. Lei può dunque contare sul mio completo appoggio per quanto concerne la proposta sulla clausola passerella. Spero che anche i governi si rendano conto dell’urgenza di tale procedura.

In riferimento all’accordo PNR, dobbiamo distinguere fra tre diverse fasi. La prima riguarda la rinegoziazione a breve termine dell’accordo in vigore; questa fase ha la massima priorità e deve concludersi entro la fine del mese. Stando alle voci che ho sentito, gli Stati Uniti non hanno particolarmente fretta di stipulare l’accordo e potrebbero in ultima analisi preferire accordi bilaterali. A fronte di ciò, è fondamentale che tutti i paesi europei e le Istituzioni UE serrino le fila e facciano fronte unico.

Sono molto lieta dell’atteggiamento decisamente più disponibile assunto dal Consiglio e dalla Commissione questa settimana; è la maniera migliore di procedere. Il mancato raggiungimento di un accordo si rivelerebbe assolutamente catastrofico per l’Unione europea e per la tutela dei dati personali dei nostri cittadini.

Per quanto concerne l’accordo, conveniamo tutti che dovrebbe rimanere intatto nella sostanza. Avremmo preferito apportarvi alcune migliorie, ma gli USA sono orientati in altro senso. Credo pertanto che il miglior risultato possibile adesso sia di mantenere il medesimo accordo ma con una nuova base giuridica.

In ogni caso, durante i negoziati dovreste insistere affinché gli impegni presi nel presente accordo siano realizzati senza indugio; dalle verifiche è infatti emerso che l’accordo in essere non è stato applicato integralmente e in maniera corretta. Entrando nel merito, rimarco l’importanza di passare dal sistema pull attuale all’atteso sistema push, delle informazioni ai passeggeri, che sono cruciali ma non ancora fornite, e della limitazione d’uso – un tema più delicato ma certo non meno importante. Spero che interverrete affinché gli impegni siano integrati nel corpo dell’accordo, anziché rimanere una sorta di appendice giuridicamente non vincolante dello stesso.

Nel medio e lungo periodo che comprende la revisione successiva al 2007, auspichiamo sinceramente che la clausola “passerella” sia approvata, il Parlamento ottenga la codecisione e che tutta la questione sia affrontata all’interno di una procedura propriamente democratica. A quel punto il Parlamento insisterà sulla proporzionalità, chiedendo che sia posta in essere una condivisione dei dati, poiché desideriamo tutti un mondo più sicuro in cui la piaga del terrorismo sia debellata, ma vogliamo che ciò avvenga in maniera proporzionale. Non dobbiamo condividere più dati di quelli che sono strettamente necessari per le nostre finalità. E’ ovvio, non occorre neppure precisarlo, che i dati personali dovrebbero essere adeguatamente protetti e le procedure garantite.

La relazione propone anche, tra l’altro, l’avvio di un dialogo parlamentare transatlantico e per fortuna l’idea è stata accolta favorevolmente dalla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. Credo che questa frattura con gli Stati Uniti debba essere sanata. La lotta contro il terrorismo deve essere comune. Non possiamo accettare la distanza insormontabile che si viene a creare perché noi chiamiamo gli americani “cowboy” mentre loro ci affibbiano l’etichetta di “codardi”.

Nel contempo stanno circolando alcune proposte per una politica PNR europea. Non sono molto contenta di averlo appreso proprio dai mezzi di comunicazione. Abbiamo sentito che la proposta è stata presentata un paio di settimane or sono nel corso di una riunione informale a Londra. Non è questo il modo di procedere. Se ci deve essere tale politica, allora vorremmo che fosse presentata in questo Parlamento.

Termino con un appello della massima urgenza al Consiglio, affinché questo adotti i provvedimenti necessari alla protezione dei dati nell’ambito del terzo pilastro, così come indicato dalla nostra relatrice, onorevole Roure.

(Applausi)

 
  
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  Carlos Coelho, a nome del gruppo PPE-DE. – (PT) Signor Presidente, Commissario Frattini, onorevoli colleghi, creiamo un fronte unito per la lotta e la prevenzione del terrorismo, visto che questa minaccia ha già colpito alcuni dei nostri Stati membri e incombe su tutti noi in ogni momento. Nella lotta contro il terrorismo vogliamo cooperare con gli altri paesi, Stati Uniti compresi.

Una delle massime preoccupazioni dei nostri cittadini al giorno d’oggi è proprio la sicurezza e solo un’Unione compatta nelle questioni di sicurezza saprà dare una risposta efficace. In questa prospettiva, è preferibile avere un unico accordo tra l’Unione e gli Stati Uniti d’America piuttosto che 25 diversi accordi bilaterali. L’Unione si troverà così in una posizione migliore non solo in termini di prevenzione e lotta contro il terrorismo, ma anche di salvaguardia dei diritti fondamentali.

Dobbiamo assicurarci che non si crei un vuoto giuridico su scala europea dopo il 1° ottobre 2006 relativamente al trasferimento dei dati personali dei passeggeri. Alla luce della sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia, il Commissario Frattini ha giustamente scelto di recedere dall’accordo esistente e al contempo di avviare i negoziati per un nuovo accordo con gli Stati Uniti. Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei ha sostenuto con fermezza la richiesta della Commissione al Consiglio di un mandato per la riapertura dei negoziati. Sappiamo che si tratterà di un accordo intra tempore, necessario a colmare il vuoto tra l’accordo decaduto e un nuovo accordo a lungo termine, che può e deve essere elaborato il prima possibile.

Per quanto concerne i prossimi negoziati, vorrei menzionare a titolo esemplificativo gli accordi stipulati con Australia e Canada che consideriamo accettabili in termini di proporzionalità, delimitazione del campo di applicazione, durata e quantità di dati sottoposti al controllo dell’autorità giudiziaria.

Sono pertanto favorevole ad avviare entro la fine dell’anno un dialogo tra UE e USA, Canada e Australia al fine di preparare congiuntamente la revisione del 2007, definendo uno standard internazionale per la trasmissione dei dati di identificazione dei passeggeri.

Rilevo inoltre con soddisfazione il desiderio espresso dal Commissario Frattini di mantenere una collaborazione stretta con il Parlamento. Spero che l’auspicio espresso non sia un mero esercizio di retorica ma si traduca in azioni concrete e che anche il Consiglio faccia altrettanto.

 
  
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  Martine Roure, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, naturalmente desidero iniziare il mio intervento manifestando, a nome del mio gruppo, il nostro sostegno incondizionato alla relazione elaborata dalla collega Sophia in ’t Veld.

Noi aspiriamo a una strategia in due tempi che preveda il raggiungimento di un accordo provvisorio entro il 30 settembre, mirato a garantire la continuità ed evitare disagi ai cittadini europei che si recano negli Stati Uniti, e la negoziazione di un nuovo accordo fondato su basi migliori in occasione della revisione programmata in origine per il 2007. Sono quindi necessari due tempi.

Nondimeno, l’accordo da concludersi entro la fine del mese non deve essere negoziato in maniera frettolosa. Il Commissario Frattini ci ha proposto di mantenere inalterato il testo, limitando le modifiche alla base giuridica rifiutata dalla Corte di giustizia. Possiamo accettare questa proposta solo a due condizioni. Innanzi tutto, il Parlamento europeo deve essere tenuto al corrente delle discussioni in corso con gli americani e fornire un contributo politico. Le informazioni devono essere diramate anche ai rispettivi parlamenti nazionali. In secondo luogo, dobbiamo avere la certezza che tutte le dichiarazioni d’impegno saranno effettivamente rispettate e messe in atto dalle autorità statunitensi. Mi riferisco in particolare alla possibilità di passare dal sistema pull al sistema push, come previsto nella dichiarazione d’impegno n. 13, e alla definizione di procedure giudiziarie di revisione in caso di abuso, come già contemplato negli accordi stipulati con Australia e Canada. A più lungo termine, il nuovo accordo del 2007 dovrà garantire ai cittadini europei il medesimo livello di tutela della sfera privata offerto in Europa e questo mi pare davvero il minimo.

Infine, durante il vertice informale di Londra, il Commissario Frattini ha avanzato diverse proposte concrete per un PNR europeo e un sistema di profiling biometrico positivo su base volontaria. Vorrei sapere quale status sia stato riconosciuto esattamente a tale vertice, in cui sono state discusse proposte importanti senza che il Parlamento ne fosse informato. Per quanto concerne un eventuale PNR europeo, di certo non potremo accettare alcuna proposta che permetta di aggirare la legislazione comunitaria e le normative nazionali in materia di tutela dei dati personali dei cittadini. Non possiamo accettare neppure una procedura che scavalchi il ruolo e la funzione democratica dei parlamenti nazionali in questo ambito. Rammento peraltro che le proposte della Commissione in merito non potranno essere accettate senza l’approvazione della decisione quadro sulla protezione dei dati nell’ambito del terzo pilastro. Si tratta di un aspetto, sottolineato anche dalla collega Sophia in ’t Veld, che non perderemo di vista.

 
  
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  Sarah Ludford, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, non sappiamo se i dati PNR sono effettivamente utilizzati oggi negli Stati Uniti per i fini previsti dall’accordo originale, ovvero dall’Ufficio doganale e di protezione dei confini statunitense, visto che CAPPS II e il programma Secure Flight sono ormai morti e sepolti.

In un articolo scritto dieci giorni fa, il Segretario americano per la sicurezza nazionale Michael Chertoff si lamentava di essere con le mani legate e impossibilitato a utilizzare tutte le risorse disponibili. Nelle sue intenzioni, i dati PNR devono essere analizzati incrociandoli con le informazioni dei servizi segreti al fine di individuare i passeggeri ad alto rischio che rappresentano “minacce potenziali” e condividere abitualmente le informazioni con altri uffici del dipartimento di sicurezza nazionale, per esempio l’ufficio immigrazione, nonché l’FBI e addirittura i “nostri alleati a Londra”. Non ci serve affatto un sistema PNR europeo, visto che ce ne verrà rifilato uno dalla porta di servizio.

Nell’idea di Chertoff, si deve procedere a un’analisi dei dati e al profiling sulla base di comportamenti passati e presunti futuri, nonché di stereotipi sui potenziali terroristi. Tutto questo ci porta ben oltre il semplice confronto dei dati personali dei passeggeri con liste di controllo, per il quale sarebbero più che sufficienti i dati APIS – nome, data di nascita, nazionalità e numero di passaporto. Non abbiamo neppure cominciato a valutare i rischi di questa procedura e quindi ci occorre una spiegazione molto chiara delle finalità per cui i dati PNR saranno utilizzati negli Stati Uniti, nonché delle tecniche di profiling utilizzate. Dobbiamo avere disposizioni severe e giuridicamente vincolanti per quanto attiene le finalità d’uso e i limiti di accesso.

Sussistono preoccupazioni analoghe in relazione alla proposta di un PNR europeo e del cosiddetto positive profiling. Con la direttiva europea APIS varata nel 2004, i governi si sono attribuiti la facoltà di utilizzare i dati personali ai fini dell’applicazione della legge “in conformità della legislazione nazionale e fatte salve le disposizioni sulla protezione dei dati di cui alla direttiva 95/46/CE”. La sentenza della Corte di giustizia sull’accordo PNR con gli Stati Uniti non ha forse dimostrato che la direttiva 95/46/CE non è una base giuridica adeguata per l’impiego dei dati ai fini della sicurezza? Abbiamo dunque bisogno dello strumento del terzo pilastro. La Commissione ha considerato questo aspetto?

Concordo con il Commissario Frattini e la collega in ’t Veld sulla necessità di una politica comunitaria coerente. La questione dei PNR, lo scandalo SWIFT e le consegne della CIA lasciano trasparire un’Europa disunita: gli Stati membri corrono alla cieca come un branco di pecorelle smarrite, piegati al divide et impera messo in atto dagli Stati Uniti. Non siamo neppure un interlocutore affidabile, poiché non procediamo neanche alla ratifica di accordi come i protocolli Europol, che consentirebbero una forma di collaborazione con l’FBI. Siamo inefficaci, disfunzionali e al di sotto delle aspettative dei cittadini. Dobbiamo arginare questa incoerenza e affermare una competenza comunitaria chiara e assertiva, definendo però tale politica al fine di tutelare la nostra privacy. Siamo sicuri che la Commissione farà propri questi intenti?

 
  
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  Cem Özdemir, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, credo che la grande maggioranza in quest’Aula non sia contraria a un rafforzamento della sicurezza ogniqualvolta sia necessario e non si opponga neppure agli Stati Uniti d’America e a una collaborazione ragionevole con loro negli ambiti in cui l’abbiamo sviluppata in passato e che ci serviranno anche in avvenire.

Tale collaborazione tra l’Unione europea e gli Stati Uniti è necessaria anche in materia di sicurezza, come ci hanno insegnato e ci insegnano gli attentati compiuti in alcune grandi città europee. Tuttavia – e sono certo che la maggioranza dei presenti in Aula condivide questa osservazione – è indispensabile che l’accordo sulla trasmissione dei dati dei passeggeri ai fini della lotta contro il terrorismo sia coerente e sensato. Queste qualità però non contraddistinguono di certo la proposta che ci è stata presentata.

Esistono problemi di fondo che sono già stati sollevati da precedenti oratori di diversi schieramenti, tra cui figurano innanzi tutto la destinazione d’uso dei dati e, in secondo luogo, la base giuridica che ne giustifica il trasferimento. Il mio gruppo non è stato l’unico a sollevare perplessità gravi su entrambi gli aspetti. L’impiego dei dati dovrebbe essere circoscritto alla lotta contro il terrorismo ed escludere qualsiasi altro fine. Inoltre, da un punto di vista giuridico, è estremamente problematico non equiparare i cittadini dell’Unione europea ai cittadini statunitensi. E’ inaccettabile che i nostri cittadini godano di meno diritti rispetto ai cittadini americani.

Occorre un accordo equilibrato e coerente, in grado di garantire la protezione dei dati e di circoscrivere il loro impiego esclusivamente alla lotta contro il terrore e il terrorismo. Le finalità di ordine politico non devono prevalere sui diritti fondamentali. Esiste un nucleo inalienabile di diritti fondamentali per tutti i cittadini dell’Unione europea e osserviamo con crescente preoccupazione la loro lenta erosione.

 
  
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  Giusto Catania, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, domani comincia una discussione e la cosa paradossale è che non siamo a conoscenza neanche della base di questa discussione. Il Parlamento europeo è escluso dalla discussione su un problema che sta coinvolgendo tutti i cittadini europei. Il primo paradosso della vicenda è proprio questo. Il mio gruppo è molto d’accordo con le cose che propone la collega in ’t Veld, in particolare la necessità di passare a un sistema push rispetto a un accordo a breve termine e sulla necessità di evitare il trasferimento diretto all’autorità giudiziaria rispetto a un accordo a medio termine.

Capisco la necessità di utilizzare come base l’accordo bocciato dalla Corte, anche perché gli Stati Uniti d’America chiedono ancora di più all’Europa. Bisogna però ragionare anche sull’assurdità di alcune proposte contenute nell’accordo bocciato dalla Corte. Penso ai trentaquattro dati che bisogna trasferire agli Stati Uniti d’America, quando sappiamo benissimo che in grandissima parte questi dati sono inutili, per testimonianza diretta dalle autorità americane solo sette o otto di questi dati vengono da loro utilizzati. Allora bisognerebbe ragionare anche sulla necessità di istituire una protezione reale, una protezione giuridica dei dati dei passeggeri e tutelare i dati dei cittadini europei è un dovere delle istituzioni.

Il controllo sistematico dei cittadini in nome della lotta al terrorismo rappresenta una torsione autoritaria dello Stato di diritto e paradossalmente in questo modo favoriamo proprio il raggiungimento degli obiettivi cui punta il terrorismo. Il controllo sistematico dei cittadini ha la stessa vocazione autoritaria delle carceri segrete della CIA, Bush ieri ha finalmente pensato di annunciare al mondo e di non continuare a nascondere questa evidenza, speriamo che anche i paesi europei evitino di continuare a essere più realisti del re. Dobbiamo evitare di assumere lo stesso atteggiamento su questa materia, evitiamo di essere più estremisti degli USA nel controllo dei cittadini in nome di questa falsa guerra al terrorismo!

(Applausi)

 
  
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  Gerard Batten, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, la relazione afferma che l’accordo UE-USA in questo settore diventerà un “atto di riferimento, sia per la legislazione europea che a livello globale”. Ebbene, che bell’atto di riferimento abbiamo adesso! E’ già di per sé imbarazzante. La Corte di giustizia europea ha annullato l’accordo originale, ma il nuovo accordo che dovrebbe sostituirlo si differenzia soltanto per la base giuridica.

Il Parlamento ha messo in discussione l’accordo originale tra gli Stati Uniti e l’UE ritenendo che la base giuridica fosse errata e non condividendone la sostanza. Sebbene il Parlamento abbia apparentemente vinto il ricorso presso la Corte di giustizia, nulla è cambiato nella sostanza. La base giuridica sarà modificata ma nulla cambierà in termini reali, poiché la Corte non si è espressa sulla sostanza. L’unica novità consiste nel fatto che adesso, ovviamente, la Corte di giustizia non sarà competente per il nuovo accordo.

E’ evidente che il Consiglio intende propugnare l’accordo nella sua forma originale, limitandosi a modificare la base giuridica e continuando a escludere il Parlamento dal processo. Perché, dunque, il Parlamento persevera in un vano esercizio di redazione, discussione e votazione di questa relazione? I suoi sforzi saranno ignorati dal Consiglio.

Le lotte intestine all’interno delle Istituzioni europee hanno causato la risoluzione prematura dell’accordo originario. L’intero processo illustra la natura caotica dell’Unione europea, e da questo si evince chiaramente per l’ennesima volta che il Regno Unito farebbe molto meglio a organizzare questo tipo di accordi e disposizioni internazionali su base bilaterale.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, è senz’altro commovente e più che giusto nutrire preoccupazioni per le libertà civili degli europei, come questa stessa discussione dimostra. Mi avvalgo dunque dell’opportunità di parlare in questo consesso per precisare che a mio avviso le libertà civili fondamentali non vengono difese quando, per esempio nel mio paese, il Belgio, i servizi di sicurezza nazionali intercettano spudoratamente le telefonate di parlamentari democraticamente eletti del mio partito, come nel recente caso di Filip De Winter, nostro capogruppo in seno al parlamento fiammingo.

E’ deplorevole che la violazione delle libertà civili e della privacy dei deputati eletti verificatasi proprio a Bruxelles, nel cuore dell’Unione europea, passi sotto silenzio in quest’Aula, ignorata da quegli stessi deputati che colgono ogni buona occasione per attaccare il “diavolo” di Washington. Ritengo fuori luogo che vogliano adesso indossare le vesti dei martiri.

Certo, i diritti degli europei e dei passeggeri devono essere salvaguardati nella massima misura possibile, ma coloro che ancora dubitano dell’utilità di forme più severe di controllo nel trasporto aereo internazionale, nonostante gli attacchi terroristici sventati quest’estate, sono di un’ingenuità quasi criminale. Purtroppo questo è il prezzo che bisogna pagare per una maggiore sicurezza e libertà.

 
  
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  Hubert Pirker (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente, onorevoli colleghi, preso atto della sentenza della Corte di giustizia europea, il primo obiettivo deve essere quello di evitare una situazione di vuoto giuridico, per le ripercussioni negative che questo avrebbe sia sulle compagnie aeree che sui passeggeri. Si potrebbe prospettare addirittura un divieto di atterraggio e di certo si avrebbero tempi di attesa più lunghi per i passeggeri in viaggio verso gli Stati Uniti, dato che sarebbero costretti a fornire i loro dati direttamente negli aeroporti.

Per questi motivi siamo lieti – io per primo – che il Commissario Frattini prenda parte a questi negoziati per definire, conformemente alla sentenza della Corte, una nuova base giuridica, identica però nella sostanza al precedente accordo, che comprenda esattamente quanto avevamo proposto allora e aggiunto in seguito.

A tutti coloro che non hanno letto l’accordo ricordo che esso prevede la trasmissione di soli 34 tipi di dati, limitatamente alle finalità specificate, un obbligo di informazione dei passeggeri, la trasmissione in via esclusiva a un’autorità – il Dipartimento per la sicurezza nazionale – il diritto di verifica, di azione e di ricorso, nonché l’obbligo di comunicazione all’Unione europea dei casi di terroristi sospetti. In pratica, l’accordo offre una maggiore sicurezza anche a noi e questo è l’aspetto di cui dovremmo approfittare.

Ecco perché, a mio avviso, occorre adesso sostenere il Commissario Frattini e incoraggiarlo ad affrontare i negoziati cercando anche, ovviamente, di risolvere le questioni relativamente alle quali le nostre richieste non sono state del tutto soddisfatte. L’essenziale, tuttavia, è evitare di rimanere senza un trattato: e ciò nell’interesse della sicurezza dei cittadini europei, di chi viaggia in aereo e delle compagnie aeree.

 
  
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  Stavros Lambrinidis (PSE).(EL) Signor Presidente, il trasferimento dei dati personali dei cittadini europei tramite i PNR è un tema che, com’è naturale, ha suscitato forti preoccupazioni nel Parlamento. Considerata la serietà con cui devono essere affrontate le misure antiterroristiche e i diritti fondamentali, qualcuno può spiegarci esattamente in cosa è consistita questa riunione informale di alcuni ministri degli Stati membri a Londra nel bel mezzo dell’estate, in presenza della Commissione europea, una riunione in cui, sembra, sono state proposte nuove e incisive misure contro il terrorismo? Sotto quale giurisdizione è stata tenuta la riunione? Chi l’ha indetta? Chi ha autorizzato i suoi zelanti partecipanti a rilasciare una dichiarazione alla stampa, “apparentemente” indicando i nuovi provvedimenti necessari a livello europeo?

In secondo luogo, per quanto concerne l’accordo PNR, la prego di illustrarcene i contenuti, signor Vicepresidente della Commissione, come lei stesso ha espressamente promesso. Sono previste modifiche sostanziali e, aspetto ancora più importante, gli impegni volontari degli USA diventeranno vincolanti? Lei ha affermato qui che “potrebbero diventare vincolanti”, non ha dichiarato che lo saranno senz’altro.

Negli ultimi giorni gli Stati Uniti hanno dato la netta sensazione di rifiutare una negoziazione e perfino la firma di un accordo bilaterale europeo, preferendo invece concludere accordi bilaterali in materia di PNR ancora più penalizzanti con i diversi Stati membri. In parole povere, ci stanno ricattando. Perché tollerate questo ricatto da parte di un paese che di recente ha ammesso di disporre di carceri segrete in giro per il mondo, in violazione di qualsiasi nozione del diritto internazionale?

Signor Vicepresidente, potrebbe infine spiegarci meglio la storia del PNR europeo che a quanto pare avete discusso a Londra? Cosa significa? Perché è necessario? Perché è adeguato? Sarà una misura efficace se teniamo presente che tutt’oggi gli Stati Uniti si rifiutano di comunicarci se l’impiego del PNR in America è stato necessario o efficace? Come avrebbe potuto impedire che ora cittadini britannici o danesi vengano accusati di presunto terrorismo? Come avrebbe potuto prevenire l’11 settembre o gli attentati di Londra e Madrid?

Il Parlamento europeo ha dunque urgentemente bisogno di informazioni. Nessuno nega la necessità di una politica e cooperazione antiterroristica. Ma la legge parla chiaro: in una democrazia, i provvedimenti devono essere necessari, efficaci e proporzionati. I parlamenti nazionali e il Parlamento europeo devono avere voce in capitolo.

 
  
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  Alexander Alvaro (ALDE).(DE) Signor Presidente, credo che se il Consiglio fosse qui rappresentato insieme alla Commissione, presente nella figura del suo Vicepresidente, si renderebbe conto che tutto il Parlamento è concorde, a prescindere dagli schieramenti, sulla necessità di negoziare le questioni attinenti la protezione dei dati ponendosi come interlocutore di pari livello con gli Stati Uniti. Ciò dovrebbe dare da pensare anche alle altre Istituzioni.

La sentenza della Corte europea non ci ha portato molto lontani. Ci ha spiegato che siamo ricorsi alla base giuridica errata, ma non ci ha presentato alternative migliori. D’altronde questo non rientra nelle competenze della Corte, spetta a noi stabilire come intervenire.

Vorrei soffermarmi sulle diverse fasi pratiche che ci attendono. Credo che incapperemo in moltissimi problemi se continueremo su questa linea. In primo luogo dubito che possediamo effettivamente la competenza giuridica per questo accordo, a prescindere dal nostro desiderio di interloquire come Unione piuttosto che a livello di singoli Stati. Onestamente devo dire che non ne sono sicuro. Tuttavia, anche se ciò rientrasse nel nostro mandato, non è certo che riusciremmo a rispettare i tempi attuativi previsti.

Nel caso in cui, per procedere, ci avvalessimo del terzo pilastro o di una combinazione tra secondo e terzo pilastro, incontreremmo poi delle difficoltà nella fase di attuazione, perlomeno in buona parte degli Stati membri. Dovremo confrontarci con ostacoli nazionali di natura costituzionale, almeno per quanto concerne la Germania, ma sono certo che si verificherebbero problemi analoghi anche nella maggior parte degli altri Stati membri per quanto concerne l’esecuzione dell’accordo. Pertanto, i singoli Stati membri devono innanzi tutto creare i presupposti giuridici necessari.

A questi si aggiungeranno altri problemi in materia di protezione dei dati poiché, fatto salvo il primo pilastro, l’Unione europea non dispone di una normativa efficace di protezione dei dati e ciò significa che spetterà di nuovo ai singoli Stati membri creare i necessari presupposti normativi e di sicurezza dei dati.

Temo quindi che – qualora la situazione giuridica lasciasse intravedere una possibilità giuridica – l’entrata in vigore verrebbe notevolmente ritardata dai diversi procedimenti intentati dinanzi alla Corte europea per i diritti umani, alla Corte europea di giustizia o alle corti costituzionali nazionali. Lasciando da parte per adesso i contenuti, dobbiamo essere sicuri di agire in maniera appropriata almeno sul piano formale per non incorrere in altri rifiuti, poiché davvero non ce lo possiamo permettere a livello internazionale, almeno in questo ambito.

In conclusione vorrei anche sapere perché nessuno all’interno dell’Unione europea abbia osato fare presente ai nostri partner oltreoceano i danni economici che arrecherebbero con il minacciato divieto di atterraggio delle compagnie aeree europee nel caso in cui non firmassimo l’accordo.

 
  
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  Sylvia-Yvonne Kaufmann (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente, senza usare mezzi termini, posso dire che il Parlamento ha giustamente fatto ricorso contro l’accordo PNR. Purtroppo la Corte europea non si è pronunciata in merito al contenuto dell’accordo, poiché ha ritenuto già errata la semplice base giuridica su cui esso poggiava. A mio avviso, la direttiva sulla conservazione dei dati potrebbe subire la stessa sorte.

Ora, dopo la sentenza, è necessario concludere a breve un nuovo accordo che esoneri tutti e 25 gli Stati membri dalla necessità di stipulare singolarmente accordi bilaterali con gli Stati Uniti, considerato che simili accordi non sarebbero affatto utili a una tutela elevata e soprattutto omogenea dei cittadini europei.

E’ ovvio che non sarà possibile negoziare un accordo completamente innovativo in così breve tempo; ciononostante è necessario adoperarsi per riuscire a raggiungere l’accordo annuale provvisorio previsto. Ritengo che l’UE debba insistere in particolare affinché gli USA mantengano alfine gli impegni assunti, integrando le loro dichiarazioni d’impegno nel corpus contrattuale.

In ultima analisi, la prassi degli ultimi due anni ha dimostrato che gli USA non prendono particolarmente sul serio questi impegni, più precisamente non se ne curano affatto. Mi riferisco in particolare al principio della limitazione d’impiego dei dati; è nel più profondo interesse dei cittadini europei che i dati PNR non possano essere trasferiti indiscriminatamente a discrezione delle autorità doganali e dell’ufficio immigrazione statunitensi.

 
  
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  Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, mi rammarico che la Corte di giustizia delle Comunità europee non si sia pronunciata in merito alla questione presentata dal Parlamento europeo, lasciandoci così in una situazione alquanto complessa.

Adesso siamo chiamati a trovare una soluzione entro una scadenza stretta; infatti, se non troveremo una via d’uscita entro il 30 settembre, gli oltre 100 000 passeggeri europei che si recano ogni settimana negli Stati Uniti rischieranno di non poterlo più fare.

Capisco che quanto avvenuto di recente a Londra abbia suscitato l’interesse degli Stati membri per il trasferimento dei dati. Vorrei tuttavia precisare che il nostro comune obiettivo di salvaguardia della sicurezza pubblica è fuori discussione. Il metodo che utilizziamo per perseguirlo influirà però anche sulle nostre società e sarà una dimostrazione del livello e della maturità raggiunti dalla nostra civiltà.

E’ necessario fare uno sforzo affinché le informazioni trasferibili siano circoscritte ai dati assolutamente indispensabili e non comprendano in alcun caso i dati personali sensibili. Vista l’importanza della questione, le istituzioni devono comunque agire sempre in stretta collaborazione, con la partecipazione attiva – e ribadisco attiva – del Parlamento europeo e in particolare della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni a tutti i livelli di negoziazione.

Siamo lieti che il Commissario Frattini ci terrà informati, ma non è sufficiente. Il Parlamento europeo non può essere interpellato ogni volta per avallare semplicemente decisioni già prese. Il Parlamento europeo ha l’obbligo di partecipare attivamente a tutte queste tematiche sensibili.

Dopo queste precisazioni, credo che voteremo a favore del parere espresso nella relazione dell’onorevole collega e amica.

 
  
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  Edith Mastenbroek (PSE).(EN) Signor Presidente, condivido appieno l’impostazione della nostra relatrice, onorevole in ’t Veld. E’ normale che noi, in qualità di deputati al Parlamento europeo, tentiamo di salvaguardare i diritti dei nostri cittadini nella lotta contro il terrorismo. Questi due aspetti non si escludono a vicenda, anzi, sono complementari. Condivido però anche le altre critiche avanzate. Certo, occorre un coinvolgimento totale del Parlamento e una discussione aperta, libera e trasparente. Come possiamo onorare i principi democratici, se non siamo in grado di farlo nemmeno quando dobbiamo decidere in merito ai diritti fondamentali dei nostri cittadini?

Ma ammettiamolo pure: anche se in questa situazione ci troviamo, come diciamo in Olanda, “di fronte a una porta aperta che non occorre sfondare”, la questione PNR sta assumendo i toni di una farsa. Per qualche ragione sembra incredibilmente difficile risolvere i problemi assicurandosi nel contempo che i diritti dei nostri cittadini siano protetti in modo adeguato. Perché? E’ colpa del Commissario Frattini? O dobbiamo additare il Consiglio? Dopo PNR, SWIFT, scandalo CIA e altri problemi recenti, ritengo estremamente improbabile che l’attuale governo statunitense possa essere persuaso ad accogliere le nostre semplicissime e logiche richieste.

Forse questo Parlamento dovrebbe cambiare tattica. Forse dovremmo presentare la questione direttamente al Congresso degli Stati Uniti – ho molta più fiducia nei nostri omologhi democratici sull’altra sponda. Auspico una sessione congiunta del Parlamento europeo e del Congresso americano, poiché sono sicura che i deputati statunitensi siano più inclini alla ragione di quanto non lo sia il governo Bush.

 
  
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  Marco Cappato (ALDE). – Signor Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, sono abbastanza pessimista sull’esito di questo accordo, sostengo le cose dette in particolare dalla relatrice in ’t Veld, ma il problema è quello che abbiamo rinunciato, come Unione europea e come Commissione europea, al nostro potere negoziale: questa è la ragione per cui c’è da essere pessimisti.

Abbiamo rinunciato al nostro potere negoziale quattro anni fa, quando per un anno e mezzo sono stati trasferiti nella totale illegalità i dati dei passeggeri negli Stati Uniti. E’ stato fatto un accordo, che poi si è rivelato illegale e di fatto è servito semplicemente a recepire quell’illegalità e a correggerla in piccolissima parte. In realtà avremmo un potere negoziale enorme, si tratta di decidere se vogliamo, come Europa, che si rispetti la nostra legge sulla nostra terra, è un principio dello Stato di diritto. Forti di questo fatto potremo andare a negoziare con gli Stati Uniti, se invece ci rinunciamo, evidentemente gli Stati Uniti sono nella posizione di chi dice: "Beh, se se tra trenta giorni non si fa un accordo, noi faremo come ci pare". Il piccolo particolare è che loro, se noi vogliamo, non possono fare come gli pare.

Il ragionamento di chi dice: “Qui si rischia che vengano bloccati i voli delle compagnie aeree negli Stati Uniti” è un ragionamento del tutto falso da un punto di vista legale, le nostre leggi sulla privacy non proteggono in funzione della nazionalità della compagnia di bandiera aerea, proteggono rispetto al paese dove vengono raccolti i dati personali. I dati raccolti per fini commerciali non possono essere sistematicamente utilizzati per fini di sicurezza, né negli Stati Uniti, ma nemmeno in Europa, nemmeno se lo volessimo usare in questo modo i nostri dati!

Allora, se inizieremo a far rispettare la nostra legge riusciremo ad avere un potere negoziale per concludere un accordo con gli Stati Uniti. Un accordo del genere significa che vanno trasmessi solo i dati rilevanti ai fini di sicurezza e non dati assolutamente irrilevanti come accadde oggi.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, la discussione sulla protezione dei dati personali assomiglia ogni volta al teatro dell’assurdo. Perché? L’accordo è stato annullato dalla Corte di giustizia europea, ma la relazione e la Commissione stanno in pratica riproponendo il medesimo accordo, perfettamente identico a quello annullato.

In secondo luogo, il trasferimento dei dati personali di milioni di cittadini nelle transazioni SWIFT viene denunciato proprio in concomitanza con una plenaria del Parlamento europeo in cui si vota su una relazione che legittima questa stessa trasmissione di dati.

In terzo luogo, l’esistenza di carceri segrete è stata denunciata dagli stessi rappresentanti governativi che hanno firmato accordi con gli Stati Uniti d’America e che adesso vengono qui al Parlamento europeo per protestare.

In quarto luogo vorrei sottolineare che, mentre discutiamo la protezione dei dati personali e i diritti democratici, il Parlamento sta anche approvando l’istituzione di una banca dati telematica colossale per i dati biometrici che è nota come sistema Schengen II, e così via.

In sintesi, più si parla di tutela dei diritti e delle libertà personali, più l’Unione europea li distrugge. La gente viene presa in giro. La cosiddetta “campagna antiterroristica” ha l’unico obiettivo di terrorizzare le persone e soggiogarle, ma crediamo che in ultima analisi non riuscirà nel suo intento.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld (PPE-DE).(SV) Signor Presidente, signor Commissario, la lotta al terrorismo ha affilato le sue armi. Ciò si è reso necessario alla luce di quanto è avvenuto, ma dobbiamo impegnarci in tale lotta senza mettere in pericolo per questo i valori e i concetti democratici fondamentali. E’ importante disporre di procedure di sicurezza rigorose, ma eccedere fino a perdere l’equilibrio tra la lotta al terrorismo e il rispetto dei diritti fondamentali in ultima analisi non avvantaggerebbe nessuno di noi.

In seguito alla decisione della Corte di giustizia europea dello scorso maggio, con cui è stato annullato l’accordo sull’impiego dei dati di identificazione delle pratiche passeggeri, ci troviamo ora con un nuovo accordo che presenta però gli stessi contenuti. Purtroppo il Parlamento non offrirà alcun contributo e ciò significa che i cittadini non potranno influenzare le decisioni relative ai sistemi con cui sono controllati sistematicamente i loro spostamenti e il loro comportamento.

Le libertà personali dovrebbero essere meglio tutelate nel nuovo accordo. Con il sistema push le autorità americane dovrebbero, e lo sottolineo, inoltrare richieste d’informazione solo relativamente a singoli casi. La protezione giuridica concessa agli europei è inferiore a quella degli americani. Invito pertanto il Commissario Frattini a fare dell’innovazione politica il suo cavallo di battaglia nell’indispensabile dialogo transfrontaliero. In caso contrario è improbabile che riusciremo mai a progredire su questa questione.

L’UE e gli Stati Uniti possono senz’altro venirsi incontro e abbandonare le posizioni iniziali. Ne abbiamo già avuto prova in occasione della discussione tra gruppi parlamentari – o dialogo interparlamentare – e della discussione tra la nostra delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti e la corrispondente controparte americana. Questo dialogo dovrebbe contribuire progressivamente a un salto di qualità anche nei contenuti. E’ importante che il Parlamento sia coinvolto in questo processo.

Vorrei concludere complimentandomi con l’onorevole in ’t Veld per il suo messaggio chiaro e privo di ambiguità. Ha detto ciò che andava detto. Condivido appieno il suo invito agli Stati membri a rimanere uniti e a non stipulare accordi bilaterali. L’Europa deve parlare con una voce sola.

 
  
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  Michael Cashman (PSE).(EN) Signor Presidente, la discussione è stata interessante e mi piacerebbe aggiungervi solo un tocco di realismo. Dobbiamo ricordarci che non stiamo parlando di movimenti all’interno dello spazio comunitario, stiamo parlando di viaggi verso gli Stati Uniti. Parliamo dell’attraversamento dello spazio aereo statunitense.

Ritengo che un accordo sia indispensabile per proteggere i diritti fondamentali dell’UE. Ma se vogliamo un accordo dobbiamo essere disposti a negoziare e a darci da fare. Dobbiamo renderci conto che, senza un accordo, gli americani potranno fare legalmente quanto hanno già fatto in altre occasioni, chiederanno ai passeggeri che si recano negli Stati Uniti d’America di firmare una dichiarazione di consenso al trasferimento dei loro dati agli Stati Uniti. Onorevoli colleghi, posso dirvi che se giungeremo a tanto, qualsiasi nozione di una protezione dei dati a livello comunitario andrà completamente persa.

Inoltre, mi permetto di dire che il problema non sono gli americani. Un attentato negli Stati Uniti piuttosto che in Germania o in Danimarca, a Madrid o nel Regno Unito, o i tentativi di attentati sono sempre e comunque aggressioni rivolte contro tutti noi perché siamo uniti da valori comuni. Gli Stati Uniti vogliono che il mondo sia più sicuro. Dobbiamo collaborare con gli Stati Uniti affinché ciò si realizzi. Il problema non sono gli americani, bensì il terrorismo e l’estremismo. Il collega Coelho ha citato alcuni esempi brillanti di negoziati e accordi in essere. Dovremmo studiare tali accordi e ispirarci a essi, oltre a garantire ai nostri cittadini i loro diritti e le loro libertà fondamentali.

 
  
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  Wolfgang Kreissl-Dörfler (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, il trasferimento dei dati personali dei passeggeri a paesi terzi è una delle questioni più spinose che dobbiamo affrontare nell’Unione europea. Come proteggiamo infatti i cittadini dalla violenza del terrorismo senza intaccare i loro diritti fondamentali o la loro sfera privata? In questo caso concreto, ciò significa che se l’UE conclude un accordo sul trasferimento dei dati personali dei passeggeri, un’adeguata protezione di tali dati deve essere un elemento integrante di tale accordo. Nell’accordo in oggetto non è stato così e mi sembra che anche la nuova versione non soddisfi questo requisito.

Non metto neppure in discussione che lo scambio di informazioni sia indispensabile nella lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo. Occorrono però disposizioni giuridiche vincolanti che stabiliscano chi può accedere ai dati, nonché i luoghi e le modalità di accesso. In quest’ottica, l’anno prossimo occorre procedere a una rinegoziazione completa dell’accordo con gli USA.

E’ infatti chiaro che il trasferimento dei dati PNR, per incrementare realmente la protezione contro gli attentati terroristici, non può essere limitato ai voli verso Stati Uniti, Canada o Australia. Occorrerà un accordo internazionale che migliori la sicurezza del traffico aereo in tutto il mondo e disciplini in maniera giuridicamente vincolante la protezione dei dati. L’Unione europea potrebbe propugnare questa proposta. Potremo così garantire la libertà di movimento quale caratteristica precipua della nostra società, senza imporre restrizioni inutili.

Concluderò con un’osservazione per il Consiglio: dopo il maldestro intervento di Consiglio e Commissione lo scorso lunedì nella nostra commissione, ritengo estremamente deplorevole che oggi il Consiglio non sia presente, visto che l’accordo dovrà essere negoziato proprio sotto la sua presidenza. Il Consiglio ha fatto proprio una brutta figura.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, onorevoli deputati, ringrazio quanti hanno dato un contributo importante a questa discussione, ma c’è una prima questione che voglio porre all’attenzione di tutti, con la sincerità dovuta a questo Parlamento.

In alcuni interventi ho ascoltato una lettura francamente sbagliata della sentenza della Corte di giustizia che ha posto di fatto il problema dell’accordo. Ho sentito alcuni citare quella sentenza come una vittoria. Quella sentenza ha bocciato l’accordo: qualcuno ha detto esattamente così.

Onorevoli deputati, quella sentenza è stata una grande sconfitta per l’interesse comunitario, è stata una grande sconfitta per questo Parlamento e per la Commissione europea: quella sentenza ha stabilito che la materia non rientra tra quelle comunitarie; che la materia non rientra tra quelle negoziabili dalla Commissione, tanto è vero che il negoziato lo conduce la Presidenza; che a quella materia non si applica, on. Cappato, la direttiva sulla privacy – non si applica, a noi può piacere o non piacere – ma quella sentenza va rispettata anche se è stata una sconfitta per tutti noi! Bisogna dirlo francamente, non possiamo dire grazie alla sentenza che ha bocciato l’accordo. Quella sentenza, come ha detto l’on. Alvaro, ci ha fatto fare un passo indietro nell’interesse comunitario!

Questa è la base di partenza sulla quale ci muoviamo. Ovviamente, quando parliamo di un accordo da concludere in fretta, entro il 30 settembre, e di negoziare poi entro il 2007 un altro accordo con gli Stati Uniti d’America; dobbiamo seguire la visione reale, vera e pragmatica or ora esposta dall’on. Cashman.

Il vero problema è che se questo accordo non vi sarà, milioni di cittadini europei accetteranno una riduzione delle loro garanzie di protezione dei dati personali, pur di continuare a volare verso gli Stati Uniti d’America. Saranno costretti a farlo con una dichiarazione individuale e l’Europa avrà perso qualsiasi potere di proteggerli a un adeguato livello. Il vero problema è questo: non possiamo pensare di accusare gli Stati Uniti d’America, ognuno di noi che ha cercato di fare il proprio dovere.

C’è un’interpretazione data dalla Corte: a me personalmente quella interpretazione è dispiaciuta, ma ho il dovere di rispettarla e di farla applicare. Devo anche dire con estrema sincerità che se ci sarà l’accordo, la protezione dei diritti individuali dei nostri cittadini almeno non sarà affidata soltanto alla discrezionalità di una singola compagnia aerea, il negoziato bilaterale tra gli Stati Uniti e le singole compagnie ridurrà il livello di protezione, certamente non lo aumenterà. Questa è la visione realistica, dalla quale dobbiamo partire.

La seconda considerazione – concordo di nuovo con l’on. Cashman e l’on. Coelho – è che il nostro problema certamente dipende non dagli Stati Uniti ma dai terroristi. La minaccia del terrorismo è concreta: quello che è successo quest’estate a Londra non ha determinato una riunione semiclandestina o seminformale di ministri degli Interni con la Commissione europea.

Siamo stati informati – dirò poi sull’informazione del Parlamento – di quanto poteva accadere nel Regno Unito e abbiamo preso atto con preoccupazione che la minaccia era reale ed è evidente. Ovviamente, quando assistiamo a un’importante operazione della polizia e dei servizi di sicurezza della Danimarca, soltanto pochi giorni fa, ci convinciamo che il pericolo e la minaccia sono concrete e incombono sul territorio dell’Unione europea.

Cosa ci vuole? Ci vuole più cooperazione tra noi, tra i paesi membri dell’Unione europea, ci vuole più cooperazione tra le istituzioni dell’Unione europea. Ecco perché nella mia introduzione ho detto che il Parlamento sarà informato, politicamente informato, anche se a causa della "base giuridica" (uso le virgolette di proposito) non può essere istituzionalmente e legalmente codecisore, comunque sarà politicamente informato dalla Commissione europea e occorre anche una collaborazione più forte con gli Stati Uniti d’America.

In questo momento dobbiamo collaborare di più, non di meno, ovviamente su un piano di evidente parità, l’Unione europea rivendica orgogliosamente questo principio ed concordo in particolare con l’on. Roure, che ha fatto riferimento ai parlamenti nazionali.

Vedete, onorevoli deputati, se riusciremo a concludere il negoziato – il negoziato si fa in due e lo iniziamo domani,non posso dire se il negoziato si chiuderà, lo spero – in ogni caso avremo bisogno che entri in vigore subito, anche in attesa di alcune procedure di ratifica che in qualche paese, come accennava l’on. Alvaro, richiederanno del tempo. Siccome invocheremo una norma dei trattati che prevede l’entrata in vigore immediata, altrimenti sarebbe tutto inutile, è giusto che i parlamenti nazionali siano fin da ora informati nello stesso modo in cui informeremo il Parlamento europeo, visto che a molti di loro si chiederà di intervenire quando l’esecuzione temporanea e immediata dell’accordo sarà già cominciata. E’ una questione anche di collaborazione e, come sapete, la Commissione europea la condivide in linea di principio.

La terza e ultima conclusione è: quali sono i punti su cui occorre lavorare, direi nei prossimi giorni se non nelle prossime settimane?

Il primo punto è convincere – lo cominceremo a fare dal Consiglio del mese prossimo – il Consiglio ad approvare la decisione quadro sulla protezione dei dati personali; è un impegno che ho assunto, è un impegno che il Parlamento aveva sostenuto, faccio un ulteriore appello al Consiglio affinché, quando nelle prossime settimane al prossimo Consiglio dei ministri si discuterà ancora una volta la materia della decisione quadro, vengano meno le riserve di alcuni paesi e finalmente si presenti un documento atto a dimostrare la volontà dell’Unione europea di garantire la protezione dei dati personali dei cittadini.

Il secondo obiettivo da realizzare in tempi molto brevi è la realizzazione di quello che la relatrice, che ringrazio, ha chiamato il sistema "push", su cui posso fornire qualche informazione dettagliata. Alcune compagnie di servizi tecnici che assistono le più grandi compagnie aeree europee, hanno già presentato le soluzioni tecniche disponibili per mettere in pratica il sistema "push". Alcune di loro – posso citarne soltanto alcune British, Air France, Iberia, Lufthansa, Alitalia e Klm, insomma quasi tutte – hanno presentato proposte concrete agli uffici competenti dell’Amministrazione americana. Secondo gli accordi che avevamo preso anche con gli Stati Uniti, il sistema "push" potrebbe cominciare a funzionare senza bisogno di modifiche nel giro di poche settimane. Tecnicamente c’è già una proposta, è stata presentata e in alcuni casi anche formalizzata. Questi sono informazioni recenti a mia disposizione, esse dimostrano come si sta camminando proprio nella direzione che tutti noi vogliamo.

L’altro punto è il "positive profiling": l’on. Roure ha chiesto un’informazione generale sulla riunione di Londra, la darò volentieri la settimana prossima alla commissione LIBE, dove sarò molto più dettagliato. Il "positive profiling" è un’iniziativa che non nasce né oggi né ieri, nasce alcuni mesi fa. Si tratta di un’iniziativa volta ad individuare procedure di controllo accelerato alle frontiere aeroportuali e riguarda due elementi: uno, riservato ai soli voli internazionali, non riguarda lo scambio di dati per i voli interni europei, in cui avremmo problemi insormontabili di libertà di circolazione, di spazio Shengen, ecc. Il sistema comprende i voli internazionali dall’Unione europea verso l’Unione europea, attraverso l’Unione europea, solo per i viaggiatori che su base volontaria e individuale accettano di fornire i loro dati, soprattutto biometrici, e in cambio fruiscono di una corsia di identificazione automatica che evidentemente richiederà meno tempo ai controlli. La base è individuale e volontaria, con dati biometrici.

Perché pensiamo a un simile sistema? Per evitare quanto è stato detto a proposito dei “negative profilino”, cioè quelli su base etnica o religiosa. Ovviamente in materia non potremmo accettare nessun meccanismo di questo genere, mentre possiamo immaginare, visto che il Consiglio lo ha chiesto, che su base volontaria ognuno di noi possa fornire ad una banca dati rispettosa della riservatezza i propri dati biometrici ed in cambio accelerare le procedure di imbarco. Pensate ai viaggiatori frequenti, è un meccanismo che stiamo studiando, pensiamo di presentare una proposta nell’arco di pochi mesi, forse entro la fine dell’anno.

Concludo dicendo che alla commissione LIBE sarò felice di informare su quanto è stato detto a Londra sulle procedure per potenziare la ricerca per scoprire esplosivi, in particolare liquidi, sull’uso di Internet, sul "positive profiling" e su tutto il resto.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA
Vicepresidente

Presidente. – La discussione congiunta è chiusa. La votazione si svolgerà oggi, alle 12.00.

 

5. Tutela del patrimonio naturale, culturale e architettonico europeo nelle zone rurali e insulari (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0260/2006), presentata dall’onorevole Sifunakis a nome della commissione per la cultura e l’istruzione, sulla tutela del patrimonio naturale, architettonico e culturale europeo nelle zone rurali e nelle regioni insulari [2006/2050(INI)].

 
  
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  Nikolaos Sifunakis (PSE), relatore. (EL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, questo è un giorno importante per me, ma anche per i miei colleghi e per la commissione per la cultura e l’istruzione, perché, a seguito di un intero progetto durato circa un anno, oggi ho il piacere di presentare alla Plenaria la mia relazione sulla tutela del patrimonio naturale, architettonico e culturale europeo nelle zone rurali e nelle regioni insulari.

Per secoli, con materiali e mezzi semplici, gli abitanti delle zone rurali e delle regioni insulari europee, obbedendo alle regole di base dell’umana convivenza e piegandosi all’asprezza dell’ambiente naturale, sono riusciti con le proprie mani a creare un patrimonio di inestimabile valore estetico.

In molti paesi europei, tuttavia, questo patrimonio umile, la cui tutela e promozione sono non soltanto un obbligo culturale, ma anche una necessità dello sviluppo, è stato profondamente alterato, a opera dei governi, a causa degli sviluppi sociali e tecnologici, nonché di uno sfruttamento economico e un ipersviluppo sfrenati, il che da un lato ha modificato i luoghi e distrutto il meraviglioso equilibrio tra ambiente naturale e ambiente creato dall’uomo, specialmente nelle isole data l’esiguità delle loro dimensioni, e dall’altro ha annientato un’agricoltura estremamente produttiva.

La mia relazione è intesa a formulare proposte specifiche per la tutela, la promozione e la gestione a lungo termine di questo ricco patrimonio nelle zone rurali e nelle regioni insulari europee a beneficio della qualità della vita di tutti i cittadini europei.

In tal senso, contiene quindi proposte che si rivolgono all’Unione europea, agli Stati membri, alle autorità locali e regionali e ai cittadini europei, tutti chiamati a intraprendere misure specifiche per preservarlo e promuoverlo, che commenterò solo in parte visto che il tempo a mia disposizione è limitato.

In primo luogo, l’Unione europea deve dotarsi di una strategia globale per il patrimonio culturale, obiettivo che sarà raggiunto soltanto se la Commissione europea, preparando le proprie proposte legislative, ne esaminerà approfonditamente le ripercussioni sulla cultura, il patrimonio culturale e, aspetto ancora più importante, il patrimonio architettonico popolare che gli artigiani hanno forgiato con le proprie mani nei secoli. In questo modo, in ogni politica dell’Unione si integreranno azioni a beneficio del patrimonio.

Dato che i programmi comunitari in campo culturale non mettono a disposizione stanziamenti sufficienti, occorre reperire altri fondi per preservare il patrimonio, unitamente ad altre risorse comunitarie nell’ambito della politica agricola comune, dei Fondi strutturali, nonché delle iniziative comunitarie LEADER, URBAN e INTERREG, da integrare per il prossimo esercizio finanziario nei nuovi strumenti finanziari della PAC e della politica di coesione.

Analogamente, nell’uso dei fondi comunitari, gli Stati membri dovrebbero incoraggiare un turismo alternativo sostenibile che possa concorrere alla tutela e alla promozione del patrimonio architettonico delle comunità, molte delle quali hanno mantenuto la propria fisionomia.

Il programma Cultura, pur con i suoi vincoli di bilancio, ha offerto anch’esso un sostegno considerevole ai progetti riguardanti il patrimonio culturale, sebbene abbia escluso i progetti di restauro.

Vi sono tuttavia altre azioni che potrebbero essere finanziate nell’ambito del nuovo programma Cultura 2007.

In particolare, nel quadro dei progetti pluriennali di cooperazione previsti dal programma, si potrebbe creare una rete di importanti comunità architettoniche in vari Stati membri con non più di 1 000 abitanti.

Tali comunità svolgerebbero attività di tipo culturale in base alle tradizioni di ogni zona per consolidare la cooperazione tra comunità architettoniche e culturali importanti in Europa, il che fornirebbe loro uno strumento per sviluppare caratteristiche, usi, costumi e tradizioni locali.

In aggiunta a tutto questo, però, la Commissione è invitata in particolare a creare una nuova istituzione europea per le piccole comunità tradizionali europee, sulla falsariga di quella creata per le capitali della cultura, in virtù della quale ogni anno vengano selezionate una o due comunità interessanti nelle quali realizzare interventi di rinnovo e restauro, tenendovi peraltro una serie di eventi culturali nel corso dell’anno.

Assumendo come criterio lo sviluppo delle comunità europee architettonicamente importanti, proponiamo inoltre che sia creata una nuova categoria di riconoscimenti nell’ambito del “Premio dell’UE per il patrimonio culturale” da conferire al miglior recupero globale di un insediamento tradizionale.

Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, l’ambiente europeo creato dall’uomo, composto da vari sottogruppi di forme ed epoche architettoniche diverse, sta cambiando notevolmente a causa di un ipersviluppo sfrenato e dell’esistenza di strutture incompatibili e assolutamente dissonanti rispetto alle caratteristiche storiche e architettoniche locali.

Gli Stati membri devono dunque prevedere incentivi per la demolizione intera o parziale di tali costruzioni e, nel contempo, non vanno sostenuti con fondi comunitari progetti che manifestamente distruggono o alterano elementi importanti del patrimonio culturale.

Infine, la relazione propone anche l’introduzione nell’Unione europea di un “Anno europeo del patrimonio culturale”, volto a sensibilizzare i cittadini europei sull’importanza del patrimonio culturale, a prescindere dalla sua dimensione europea, nazionale o locale.

Per concludere, vorrei ringraziare in particolare il segretariato della commissione per la cultura, i cui esperti hanno collaborato con me, e ovviamente i miei colleghi della commissione.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei esordire esprimendo la mia gratitudine personale e quella del collega Figel’ al relatore e alla commissione per la cultura e l’istruzione per i costruttivi sforzi profusi nell’elaborare questa eccellente relazione. Il documento illustra l’importanza attribuita al patrimonio culturale, preoccupazione pienamente condivisa dalla Commissione.

Molto resta da fare in questo ambito, ma l’impegno della Commissione emerge chiaramente sia dall’attuale programma Cultura 2000, sia da altri programmi e strumenti finanziari europei, ed essa ha già tenuto presente diversi aspetti sollevati nella relazione. Si tratta nondimeno di una relazione estremamente utile che ci offre l’opportunità di ribadire ancora una volta quanto sia necessario avvalersi di tutti i mezzi esistenti per tutelare il patrimonio naturale e architettonico.

Nell’ambito del Trattato, la Commissione incoraggia gli Stati membri a sfruttare tutte le possibilità offerte dagli strumenti finanziari europei, tra cui ad esempio i Fondi strutturali, per investire in progetti riguardanti il patrimonio culturale. Tali investimenti sono evidentemente strumenti importanti per creare nuove opportunità di lavoro e crescita economica e, pertanto, contribuiscono alla rigenerazione e allo sviluppo regionale.

In tal senso, la Commissione europea e, in particolare, i servizi del mio collega Figel’ stanno monitorando tutti i programmi europei accertandosi che gli strumenti finanziari integrino nei propri obiettivi gli aspetti culturali, il che ci ha permesso, negli ultimi anni, di assistere a un sensibile miglioramento del quale sono particolarmente lieto. Potrei fornirvi esempi di Stati membri, come la Grecia o il Portogallo, che hanno colto le opportunità offerte dai quadri di sostegno comunitari e hanno introdotto programmi operativi per il patrimonio culturale.

La Commissione incoraggia inoltre la cooperazione tra Stati membri nel campo della cultura e del patrimonio culturale attraverso il programma Cultura 2000. In un prossimo futuro, tali sforzi proseguiranno attraverso il programma Cultura 2007-2013 appena proposto.

Grazie all’intensa collaborazione tra le tre Istituzioni – e vorrei cogliere l’opportunità per ringraziare, sempre a nome del collega Figel’, il relatore, onorevole Graça Moura – questo nuovo programma per il periodo 2007-2013 sarà, come speriamo, adottato entro la fine dell’anno. In tale contesto, in un futuro imminente, si potrebbe considerare la possibilità di finanziare partenariati del genere proposto nella relazione.

Come riconosce anche la relazione, la Commissione europea è molto attiva nei suoi sforzi per sensibilizzare ulteriormente all’importanza del patrimonio culturale attraverso azioni come il “Premio dell’UE per il patrimonio culturale” e le azioni congiunte intraprese con il Consiglio d’Europa per le “Giornate europee del patrimonio culturale”. In futuro, potremmo vagliare nuove ipotesi per ampliarne l’ambito e rispecchiare meglio in dette azioni le preoccupazioni del Parlamento europeo.

In conclusione, vorrei sottolineare che la presente relazione viene discussa proprio al momento opportuno. Siamo infatti in un periodo in cui il nostro nuovo programma Cultura è in procinto di essere adottato, la Commissione sta riflettendo sulle proprie azioni per i prossimi anni e sono emersi molti aspetti da discutere. In tale contesto, la relazione desterà dunque senza dubbio notevole interesse.

 
  
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  Vasco Graça Moura, a nome del gruppo PPE-DE. – (PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, se vogliamo riconoscere l’importanza del patrimonio culturale nelle zone rurali e nelle regioni insulari europee, dobbiamo spingerci oltre le mere dichiarazioni di principio alle quali i politici sono spesso inclini e adottare urgentemente tutta una serie di misure volte a tutelare, recuperare e promuovere tale patrimonio.

Oltre agli interessi culturali in gioco, va sottolineato che, per prendere sul serio queste idee, occorre tener presente i molteplici interessi umani, sociali ed economici. La relazione Sifunakis si muove nella giusta direzione e propone un elenco di priorità politiche per conseguire tali obiettivi suggerendo, ad esempio, un’analisi e uno studio sistematici del patrimonio e il riconoscimento della sua varietà e della sua versatilità, la creazione di un quadro legislativo per garantirne la tutela che comporti peraltro incentivi alla conservazione degli edifici tradizionali e assistenza finanziaria, la prosecuzione delle attività tradizionali come agricoltura, arti e mestieri artigiani, la salvaguardia delle professioni tradizionali e del know-how locale, il recupero degli habitat naturali e dell’architettura, la formazione degli artigiani, l’adozione di nuovi metodi e tecniche, la promozione di iniziative nel quadro di programmi comunitari intesi a creare un inventario del patrimonio europeo e, da ultimo, la promozione di tutti gli elementi materiali e immateriali che costituiscono tale patrimonio. Il documento sottoposto alla nostra attenzione è un mosaico estremamente complesso e copre molti più aspetti di quanti io ne abbia citati.

Difendere in tal modo il patrimonio delle zone rurali e delle regioni insulari è inoltre un mezzo per invertire la tendenza all’abbandono di molte zone coinvolte nel fenomeno e per creare punti focali che catalizzino posti di lavoro e generino benessere e sviluppo sostenibile. Le autorità nel mio paese hanno sottolineato che la politica per il patrimonio del mondo rurale dovrebbe articolarsi lungo tre assi principali: equilibrio sostenibile tra popolazione e area circostante, azione integrata, vale a dire collaborazione vera tra i vari livelli di autorità e le popolazioni locali, nonché dialogo costante con gli abitanti del luogo, che sono i diretti interessati e conoscono realmente le proprie esigenze.

Alcuni aspetti citati sono già stati proposti dalla Commissione per il periodo 2007-2013 e speriamo che una politica equilibrata per il patrimonio delle zone rurali e delle regioni insulari possa contribuire a invertire le attuali tendenze negative. La Carta di Cracovia del 2000 promuove principi perfettamente applicabili in tale ambito che si basano sulla pluralità di valori e la diversità di interessi del patrimonio; per esempio, città e insediamenti storici rappresentano, nel loro contesto, una parte vitale del nostro patrimonio universale e dovrebbero essere considerati nel loro complesso con le strutture, gli spazi e i fattori umani normalmente presenti nel processo di costante evoluzione e cambiamento.

 
  
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  Christa Prets, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, non vi è dubbio circa il fatto che il mantenimento e la tutela del patrimonio culturale europeo siano della massima importanza e rappresentino un compito fondamentale, ed è significativo che esistano vari accordi, come ad esempio quelli dell’UNESCO e del Consiglio d’Europa, che registrano tali sforzi e sottolineano gli sviluppi positivi ottenuti.

Detto questo, quando discutiamo il tema della tutela del nostro patrimonio culturale, che riguarda essenzialmente la conservazione delle conquiste culturali del passato, non dobbiamo però mai dimenticare che la cultura è un processo dinamico e variegato, per cui se la politica culturale deve occuparsi del mantenimento e della conservazione del nostro patrimonio culturale, deve anche assumersi la responsabilità di creare reti culturali per le tendenze culturali e artistiche contemporanee che costituiscono la base del patrimonio culturale del futuro.

E’ estremamente importante promuovere nei cittadini la consapevolezza dei tesori culturali esistenti nel loro paese e in Europa, e l’“Anno europeo del patrimonio culturale” riuscirà senza dubbio a mettere in luce molte di queste ricchezze, sensibilizzando maggiormente gli europei alla loro importanza. Si potrebbe e si dovrebbe fare un maggior uso delle risorse messe a disposizione dall’Unione europea sotto forma di Fondi strutturali, URBAN, LEADER, INTERREG, eccetera, per il patrimonio culturale, ma la responsabilità spetta agli Stati membri e sono loro a dover essere sensibilizzati al fatto che gli investimenti nel patrimonio culturale generano ricadute positive sulla qualità della vita nelle regioni e, ovviamente, sul turismo. E’ dunque con questi interessi in mente che dovremmo metterci al lavoro.

Non condivido invece il modo in cui stiamo facendo eccessivamente affidamento sul bilancio del programma Cultura 2000 o del suo successore, Cultura 2007, per un importo di 400 milioni di euro da ripartire tra 27 paesi nell’arco di sette anni, una somma che non ci lascia un margine di manovra sufficiente per abbinare investimenti strutturali a investimenti nell’arte contemporanea. Dovremmo invece utilizzare queste risorse per tenere seminari di sensibilizzazione e assegnare contratti di ricerca chiarendo il livello di scambio di esperienze e informazioni, descrivendo la situazione in altri paesi e pianificando progetti per la tutela delle regioni. Questo è ciò che si può e si deve fare con tale programma.

Nell’immediato siamo dunque tutti esortati a concepire il nostro patrimonio culturale come un tutto indivisibile, e possiamo sicuramente adoperarci in tal senso, ma in futuro non dobbiamo assolutamente prescindere da ciò che è contemporaneo.

 
  
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  Helga Trüpel, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, Commissario Frattini, onorevoli colleghi, anch’io vorrei esordire affermando quanto consideri fondamentale che una politica culturale europea significhi non solo tutelare il nostro patrimonio culturale e porre l’accento sulla nostra diversità culturale, ma anche, ovviamente, promuovere in maniera attiva e propositiva la causa dell’arte contemporanea. Il punto di forza della politica culturale europea non può che essere la sua capacità di considerare tutti questi elementi come un tutto unitario e inscindibile.

Ritengo nondimeno che la presente relazione sia importante in quanto cerca di sensibilizzare alla diversità della cultura europea e del patrimonio culturale europeo. Chiunque abbia avuto la possibilità di viaggiare in Europa, che si tratti di isole come Madeira, Canarie, Cipro o Malta, o di zone rurali in Toscana, Scozia, Lettonia, Finlandia, Polonia o Provenza, avrà avuto modo di apprezzare la bellezza e la diversità di questo patrimonio culturale europeo e quanto facile sia persuadere la gente a schierarsi in sua difesa.

Per questo la difesa di tale tesoro culturale è un obbligo politico, e parlo non solo del livello europeo attraverso la formulazione di una politica con i suoi vari programmi, ma anche del livello nazionale. Credo inoltre che sia estremamente importante, lavorando per la diversità culturale in Europa, non fermarsi semplicemente al programma Cultura 2007 e interpretare tale impegno come un compito realmente orizzontale e come politica di rete, includendovi anche la politica agricola e la politica strutturale, e dunque avvalendosi dei vari programmi disponibili come URBAN, LEADER e INTERREG, poiché va detto chiaramente che questo non è solo un compito importante in termini di politica culturale, ma ha anche a che vedere con la formazione al lavoro – penso ad esempio alla figura del restauratore – e con nuovi sviluppi nelle zone rurali. Si tratta quindi, nella migliore interpretazione, di una politica realmente sfaccettata che abbraccia vari programmi europei.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Sifunakis riveste una notevole importanza, in quanto richiama l’attenzione sulla necessità di affrontare la base della cultura nazionale, ossia la cultura tradizionale che tuttora sopravvive, soprattutto nelle comunità rurali e insulari.

Ad oggi, gli sforzi profusi dall’Unione europea, ivi comprese quest’Aula e la Commissione, si sono principalmente rivolti al consolidamento di una cultura europea universale, una cultura per tutti. Sinora nessuno è riuscito a introdurre questa dottrina e nessuno vi riuscirà perché la cultura nasce dai valori sviluppati da singoli che si uniscono a formare gruppi nazionali. La cultura è il legante di una nazione, ma serve anche a distinguerla da altre nazioni attraverso la sua bellezza, la sua ricchezza, la sua unicità culturale e le sue tradizioni che uniscono un popolo e spesso sono considerate il suo patrimonio.

Noi, nell’Unione europea, dobbiamo pertanto promuovere la diversità linguistica perché la lingua è alla base della cultura, ma anche la cultura popolare, che è alla base della cultura nazionale. Dobbiamo inoltre tutelare il patrimonio culturale e i valori spirituali che stanno scomparendo, tra cui arti e mestieri artigiani tradizionali e folklore, vittime del progresso della civiltà e della tecnologia e della produzione di massa.

La conservazione della ricchezza delle singole culture, unitamente alla bellezza del paesaggio e all’ambiente naturale degli esseri umani, ci offre un’opportunità di sviluppo intellettuale e di maggiore consapevolezza del mondo che ci circonda. E’ un’occasione di comprensione, rispetto reciproco e integrazione naturale attraverso i valori anziché attraverso l’influenza del potere culturale ed economico dominante.

 
  
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  Thomas Wise, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, non ho incontrato molte persone che non siano a favore della tutela del patrimonio naturale, architettonico o culturale, e di fatto il mio collegio elettorale, l’Inghilterra orientale, risponde alle caratteristiche di una zona rurale, o perlomeno le soddisfa nella misura in cui riusciremo a fermare alcuni piani mal applicati di sviluppo insostenibile ad opera del nostro vice Primo Ministro John Prescott.

La Gran Bretagna è un’isola con un proprio patrimonio naturale e architettonico inestimabile. Tuttavia, sebbene apparentemente la presente relazione abbia nobili intenzioni, in realtà minaccia il patrimonio britannico. Le proposte contenute nella relazione sono specificamente intese a far confluire la cultura distintiva e diversa della Gran Bretagna nella vagheggiata creazione federativa di una comune cultura europea. Purtroppo, molti europarlamentari vedono la cultura soltanto come uno strumento per promuovere l’integrazione europea e perseguire un progetto maniacale chiamato “Stati Uniti d’Europa”. Perché non si riesce a capire che non esistono cose come una cultura europea comune, una storia comune o un patrimonio comune, così come non esistono un’architettura comune e una lingua comune? L’Europa è un continente formato da Stati nazione unici con storie e patrimoni molto diversi, ed è proprio questo che la rende così interessante e affascinante.

L’unico modo per realizzare l’ambizione dichiarata della relazione di persuadere i cittadini europei del fatto che condividono la stessa cultura sarebbe mentire, e questo mi spaventa. L’odierna élite politica pare non avere scrupoli nel deludere. Nel Regno Unito, abbiamo visto succedersi governi che in maniera verosimilmente deliberata sono riusciti a tenere il pubblico britannico all’oscuro del “progetto Europa”. Va dunque riconosciuto che il progetto di integrazione dell’Unione europea rappresenta una delle più gravi minacce per il patrimonio di ogni paese europeo degli ultimi decenni. Purtroppo relazioni come questa non riescono a vedere la grande contraddizione in esse connaturata.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il parere dell’on. Sifunakis è certo condivisibile negli intenti, anche a mio parere quanto è sostenuto nel primo capoverso circa l’identità europea va commisurato ad una già acclarata condivisione del medesimo mosaico di culture da parte dei cittadini europei, i quali semmai non comprendono dell’Unione alcuni meccanismi farraginosi dei suoi interventi troppo spesso volti solo a regolare e omologare.

Il patrimonio culturale, naturale ed architettonico – forse sarebbe più opportuno parlare di architettura, di paesaggio e di beni storici e paesistici, termini che in complesso meglio definiscono l’integrazione da ricercare nella sinergia tra paesaggio naturale e paesaggio antropico – è sicuramente fondamentale per diffondere benessere sociale, economico e ambientale, specialmente in quelle aree della nostra Europa che presentano fragilità paesistiche, ma anche del tessuto socioeconomico e demografico. Avrei desiderato anche una più precisa chiarificazione del concetto di piccole comunità tradizionali, quel termine "tradizionali" è troppo generico e si presta ad un possibile utilizzo indifferenziato delle risorse e degli impegni.

Le comunità rurali non solo sono parte della nostra memoria collettiva, sono la culla fondamentale dei valori, la fucina di rapporti sociali spesso assai più equilibrati di quelli delle comunità urbane, oltre ad essere assolutamente essenziali per la salvaguardia della cultura e dell’ambiente.

Questo patrimonio culturale non solo è minacciato, come avverte il collega, ma in tante parti in Europa è perfino a rischio di sopravvivenza funzionale: oltre a strumenti di conservazione e di salvaguardia del territorio e delle culture, l’Unione dovrebbe prevedere insieme agli Stati opportune politiche contro lo spopolamento rurale, soprattutto montano, altrimenti si rischia di investire soldi per ripristinare configurazioni architettoniche abbandonate, per verniciare antiche case che resteranno inabitate, per curare acciottolati che non verranno più calpestati.

 
  
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  Manolis Mavrommatis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, signor Commissario, dopo aver ringraziato il mio compatriota, onorevole Nikos Sifunakis, per il suo eccellente lavoro, non posso non ribadire che il patrimonio culturale è un elemento importante dell’identità e dello sviluppo storico dei popoli europei.

Conservarlo e tutelarlo è dunque particolarmente importante per l’educazione della nuova generazione e il rispetto dell’identità europea e, a prescindere dalla sua dimensione europea, la sua dimensione locale è un valore fondamentale per i cittadini europei. Noi tutti sappiamo che i riflettori sono puntati sulle grandi città che ospitano i monumenti più noti.

Cionondimeno, è un dato di fatto che le campagne comunitarie, pari al 90 per cento del territorio europeo, sono afflitte dall’abbandono e dal ristagno economico. Occorre quindi prestare particolare attenzione alla tutela e alla promozione del patrimonio culturale architettonico delle regioni insulari e altre zone rurali europee, visto che tali aree mantengono immutate moltissime loro caratteristiche.

Quanto al rispetto dello spazio rurale tradizionale e alla ricerca di un equilibrio tra popolazione e ambiente, tutti i fattori che entrano in gioco nel campo della cultura devono garantire la conservazione del patrimonio culturale dell’Europa e sensibilizzare ulteriormente i cittadini alla sua importanza.

Il restauro e la conservazione dei monumenti dimenticati nelle regioni periferiche degli Stati membri potrebbero anche contribuire allo sviluppo del turismo rurale e, indirettamente, all’incremento della popolazione nelle campagne.

Infine, il riconoscimento e la tutela del patrimonio culturale comune sono un lascito importante per le future generazioni.

 
  
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  Maria Badia i Cutchet (PSE).(ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei esordire complimentandomi con il relatore, onorevole Sifunakis, per il suo lavoro, che pone l’accento sulla natura specifica e l’importanza del patrimonio naturale, culturale e artistico europeo, un patrimonio che genera molti benefici sociali e culturali, ma anche ambientali ed economici.

La rapida crescita urbana, il progresso sociale ed tecnologico, i metodi agricoli moderni, nonché lo sviluppo economico e urbano pongono sfide notevoli alle comunità rurali e insulari che, come è stato sottolineato in questa sede, costituiscono la maggior parte del territorio dell’Unione europea allargata.

Pertanto, in un momento in cui da un lato l’abbandono delle campagne, lo spopolamento e la crisi economica e dall’altro incendi e calamità naturali sempre più numerose dimostrano la necessità urgente di esperti agricoli che siano in grado di lavorare sul nostro ambiente e occuparsene garantendo la sostenibilità e il futuro del nostro territorio e delle nostre campagne, la presente relazione è estremamente opportuna poiché sottolinea il bisogno di attuare una politica efficace che si basi essenzialmente su un equilibrio sostenibile tra popolazione e ambiente, nonché su un approccio integrato alle zone agricole tradizionali e, soprattutto, alle comunità rurali.

L’elaborazione di un quadro legislativo per la tutela del patrimonio culturale, la concessione dei fondi necessari al suo recupero, la formazione di esperti di conservazione della natura, nonché il sostegno agli artigiani e ai fornitori di materiali tradizionali sono tutte proposte che si muovono nella giusta direzione.

In proposito, vorrei sottolineare che la promozione di incontri internazionali per descrivere e scambiare esperienze e buone prassi nell’ambito della conservazione delle campagne e della tutela del patrimonio nell’Unione europea sarebbe un elemento estremamente positivo di tale politica a livello comunitario.

 
  
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  Bernat Joan i Marí (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, in primo luogo vorrei esprimere il mio apprezzamento per questa eccellente relazione e ringraziare il relatore per il suo lavoro. Tutelare l’ambiente naturale è uno degli obiettivi principali dell’Unione europea, ma il nostro compito presente e futuro è anche consolidare l’obiettivo di salvaguardia del patrimonio architettonico e culturale europeo, aspetto importante soprattutto per le piccole isole.

Sicuramente è essenziale preservare il patrimonio naturale, ma va ricordato che, nei piccoli ecosistemi, l’ambiente, gli insediamenti umani e il patrimonio culturale sono strettamente intercorrelati. Vengo da Ibiza, un’isola che subisce i drammatici effetti della costruzione di due autostrade spropositatamente grandi. A causa di tali lavori, diversi elementi fondamentali del patrimonio culturale sono andati distrutti. Siti archeologici e abitazioni tradizionali sono stati devastati per far spazio alle nuove autostrade.

La situazione è stata ripetutamente condannata dalle organizzazioni della società civile, e io personalmente la ho denunciata dinanzi alla Commissione europea e in questa stessa Aula. Se il Parlamento e tutte le Istituzioni europee dovessero tener conto delle proposte contenute nella relazione Sifunakis, danni di questo genere potrebbero essere evitati e le piccole isole, i siti rurali e il patrimonio culturale potrebbero essere adeguatamente salvaguardati. Ora questo è il nostro principale obiettivo.

 
  
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  Janusz Wojciechowski (UEN). (PL) Signor Presidente, vorrei manifestare il mio sostegno e la mia gratitudine all’onorevole Sifunakis per la sua relazione e avallare tutte le parole di lode pronunciate oggi in merito al presente documento.

Attraverso la relazione, il Parlamento europeo ha espresso la propria preoccupazione per il patrimonio architettonico dell’Europa rurale, un lascito importante che però è spesso negletto e dimenticato. Oggi viviamo in un mondo in rapido mutamento. Negli ultimi decenni, le zone rurali, prima cambiate poco nel corso dei secoli, hanno subito una drastica trasformazione. Metodi e attrezzi agricoli si sono modificati, la natura del lavoro agricolo è profondamente mutata e l’architettura rurale è anch’essa cambiata.

Fino agli anni ’60, le costruzioni nelle zone rurali della Polonia erano principalmente in legno. Poi è iniziato un periodo di rapida ristrutturazione. Le nuove case sono forse risultate più comode, ma non sempre più belle delle vecchie. L’architettura rurale tradizionale è scomparsa rapidamente e oggi molto poco ne rimane, una ragione in più per impegnarci in ogni modo al fine di garantire che tale patrimonio sia effettivamente conservato.

La relazione dell’onorevole Sifunakis pone l’accento sull’importanza di tali aspetti e indica modalità specifiche per sostenere attività volte a preservare la preziosa architettura rurale europea. E’ un passo nella giusta direzione che giunge al momento opportuno, quando ancora c’è qualcosa da salvare per le future generazioni.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI). (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, non è un segreto che viviamo in un’epoca di repentino cambiamento economico e sociale che ci induce a ricercare sempre più stabilità, sicurezza e guida. Un luogo nel quale possiamo trovare tale sicurezza è il nostro patrimonio intellettuale, culturale e architettonico, e il crescente interesse per questo patrimonio da parte del pubblico, come la sua maggiore consapevolezza della sua esistenza e il rispetto che per esso manifesta, ne sono una chiara dimostrazione.

E’ proprio questo rispetto che dovrebbe indurci a evitare che non si ripetano quegli atti di distruzione – distruzione deliberata – di questo patrimonio intellettuale, culturale e architettonico cui abbiamo assistito durante l’inferno delle due guerre mondiali nel corso del XX secolo, o quelli intenzionalmente pianificati e posti in essere in Europa orientale sotto il “socialismo reale”, lo stalinismo e il comunismo, o ancora quelli deprecabilmente perpetrati oggi dal brutale modernismo sostenuto dalla sinistra.

Credo inoltre che il patrimonio storico e culturale dell’Europa, soprattutto quello delle zone rurali, non debba essere considerato unicamente in termini economici né dovrebbe servire unicamente gli interessi del turismo.

Ritengo dunque consigliabile estendere progetti come la “Capitale europea della cultura” alle zone rurali. Penso che Sibiu, prima nota come Hermannstadt, in Transilvania, sulla quale è stata organizzata una mostra fotografica in quest’Aula ieri, possa essere citata come esempio dell’impegno che l’Unione europea può profondere per promuovere e sostenere il nostro patrimonio culturale.

 
  
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  Ljudmila Novak (PPE-DE). – (SL) Signor Presidente, conservazione del patrimonio culturale architettonico nelle zone rurali e nelle regioni insulari significa anche tutela della diversità culturale europea e delle radici delle singole nazioni. Distruggendo questo patrimonio, una nazione taglia i suoi legami ancestrali, recide le sue radici.

I tentativi compiuti per ottenere una sempre maggiore interconnessione si traducono in un crescente livellamento omologante tra le zone di nuova crescita delle città europee. Per questo è estremamente importante che ogni nazione preservi le caratteristiche che le conferiscono un’identità distintiva.

Sicuramente il patrimonio culturale e naturale più autentico si riscontra nelle regioni rurali, e va salvaguardato; altrimenti, se verrà dilapidato, cadrà in rovina, e questa è la sfida più impegnativa con cui dobbiamo confrontarci perché il restauro degli edifici inventariati e delle zone rurali più importanti è estremamente dispendioso in termini di tempo e costi. A ciò si aggiunge che le condizioni di vita in quelle costruzioni sono tutt’altro che idonee alle esigenze contemporanee, ragion per cui molti proprietari considerano il patrimonio culturale un fardello anziché una fonte di gioia e orgoglio. Analogamente, stanno scomparendo i vecchi mestieri artigiani perché non possono assicurare una fonte di reddito.

Se analizziamo il patrimonio culturale e naturale soltanto attraverso la lente del denaro e del profitto, tutto ciò che ci offre è una perdita finanziaria. Dobbiamo dunque ricercare continuamente un equilibrio tra conservazione e ulteriore sviluppo.

Condivido la proposta relativa all’“Anno europeo del patrimonio culturale” in quanto sensibilizzerà ulteriormente i nostri cittadini all’importanza del patrimonio culturale, ma sostengo anche il suggerimento di prevedere stanziamenti nell’ambito dei Fondi strutturali per la tutela del patrimonio naturale e culturale nei borghi più piccoli perché, così facendo, ridesteremo in proprietari e comunità locali l’interesse per il restauro, poiché vi vedranno anche opportunità di sviluppo e creazione di nuovi posti di lavoro.

Le perle sono piccole e nascoste. Anche le piccole comunità devono avere la possibilità di ricevere incentivi e fondi.

 
  
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  Antonio López-Istúriz White (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei esordire complimentandomi con il relatore, onorevole Sifunakis, per la sua splendida relazione. Questo documento ci permette di tenere una discussione estremamente interessante perché ancora una volta pone l’accento su un punto che io e molti dei colleghi presenti in Aula riteniamo assolutamente fondamentale nell’Unione, soprattutto negli ultimi anni: alla fine ci stiamo rendendo conto dell’impatto sulle regioni insulari delle loro caratteristiche insulari.

Nella relazione oggi sottoposta alla nostra attenzione, apprezzo dunque particolarmente il riferimento specifico alla tutela e alla promozione del patrimonio naturale, architettonico e culturale delle regioni insulari europee. In proposito, il fatto che il relatore venga da Creta, culla della civiltà minoica, la più antica civiltà europea, e che io venga dalle Baleari, dove si trova la Naveta des Tudons, considerata a sua volta l’edificio più antico d’Europa, grossomodo risalente al 1 500 a.C., ci rende entrambi particolarmente sensibili alla necessità di incoraggiare l’Unione europea ad adottare misure per tutelare e rilanciare il patrimonio culturale europeo.

A tal fine, il governo delle Baleari sta lavorando all’elaborazione e all’attuazione di politiche di sviluppo sostenibile basate sulla convergenza degli obiettivi di sostenibilità e competitività delle attività turistiche e, in particolare, sulla salvaguardia e il miglioramento del patrimonio naturale, architettonico e culturale. Questa è la direzione che dobbiamo seguire coinvolgendo una società civile sensibile alla fragilità specifica delle regioni insulari e particolarmente rispettosa dell’ambiente.

Si tratta di un punto di partenza valido per iniziare immediatamente a condividere e scambiarsi esperienze, come sostiene la relazione, in questo importante ambito della tutela del patrimonio europeo, tema di estrema importanza in quanto non solo riguarda gli esseri umani, ma è anche un elemento essenziale dello sviluppo storico e dell’identità delle regioni d’Europa.

 
  
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  Giuseppe Castiglione (PPE-DE). – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, con il Trattato di Maastricht l’Unione europea è diventata l’Unione dei popoli, si è dotata di una propria identità culturale nel rispetto delle differenze regionali e locali che, in contrapposizione ad una globalizzazione culturale sempre crescente, costituiscono la vera ricchezza di base di un patrimonio comune. Di questo patrimonio le zone insulari e rurali rappresentano la culla, con le loro tradizioni, la loro architettura, l’artigianato locale, le bellezze naturali e paesaggistiche.

E’ dunque prioritario proteggere questo enorme patrimonio, elaborare un progetto di sviluppo locale che miri ad attivare ed incentivare la valorizzazione della cultura e delle risorse ambientali, per farne strumento di crescita di un’economia oggi in difficoltà. Ciò significa in primo luogo una valorizzazione globale del territorio, nella quale – accanto al recupero e alla conservazione dell’architettura intesa sia dal punto di vista monumentale che paesaggistico – occorre anche considerare le persone che vivono e condividono la realtà dei piccoli borghi rurali.

Ciò vuol dire combattere l’esodo rurale, incentivare la formazione dei giovani, recuperare l’artigianato locale e le pratiche agricole tradizionali, dare nuovo slancio a mestieri antichi e a nuove professionalità, anche finanziando la ricerca e l’uso di nuove tecnologie, nonché garantire il mantenimento del paesaggio inteso non solo come conservazione degli spazi verdi, ma soprattutto come utilizzazione delle essenze e delle specie autoctone per non alterare la cultura dei luoghi.

Bisogna dare alle popolazioni che abitano questi territori tutti gli strumenti necessari per poter portare avanti le loro tradizioni nei loro borghi, villaggi o isole. Occorre rafforzare e potenziare i programmi appositamente dedicati. E’ necessario che la strategia globale per il patrimonio culturale dell’Unione europea diventi realmente un elemento trasversale alle altre politiche, al pari della sostenibilità ambientale, tutte le politiche devono al riguardo integrarsi tra loro.

Sono convinto che uno sfruttamento equilibrato, razionale e coerente e coordinato e soprattutto più efficace delle risorse anche sul piano finanziario consisterà di vincere questa doppia sfida. Salvaguardare il patrimonio culturale locale e regionale significa consentire uno sviluppo socioeconomico equilibrato del mondo rurale.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, vorrei esordire con un sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno offerto un importante contributo all’odierna discussione sotto forma di idee e suggerimenti indubbiamente interessanti, e sono fermamente intenzionato a riferire in proposito al collega Figel’. Detto questo, vorrei ritornare soltanto su due aspetti, ossia quello dei fondi del progetto Cultura 2000 e quello della proposta specificamente formulata dal relatore di dichiarare il 2009 “Anno europeo del patrimonio culturale”.

In merito al primo punto, come tutti saprete molto meglio di me, per il progetto Cultura 2000 ora dovrebbero essere stanziati 400 milioni di euro a fronte dei 167 concessi in passato. Il bilancio, dunque, è stato considerevolmente incrementato grazie all’apporto e al sostegno politico del Parlamento europeo.

Quanto al secondo tema, quello dell’“Anno europeo”, la Commissione sta considerando con grande serietà la proposta e la valuterà nel contesto dei suoi obiettivi e piani prioritari per i prossimi anni poiché merita di essere analizzata attentamente. Vorrei inoltre cogliere questa opportunità per ricordarvi che il mio collega Figel’ ha recentemente formulato un’importante proposta, che la Commissione ha adottato, chiedendo che il 2008 sia dichiarato “Anno del dialogo interculturale”. Spero che il Parlamento, nel pronunciare il proprio parere in merito, accolga questo suggerimento.

Concludendo, come ho asserito poc’anzi, in uno spirito di collaborazione costruttiva tra Commissione e Parlamento, ragguaglierò il collega Figel’ in merito all’esito dell’odierna discussione.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi, alle 12.00.

(La seduta, sospesa alle 11.55, riprende per il turno di votazioni alle 12.00)

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) L’Unione allargata è costituita per il 90 per cento circa da terreni agricoli, tra cui parchi nazionali con fauna e flora preziose, ma anche resti storici che appartengono al patrimonio culturale europeo.

Ciononostante, molte soluzioni politiche per le zone rurali non considerano adeguatamente le loro caratteristiche specifiche e le loro esigenze reali. Per esempio, la campagna rappresenta l’85 per cento del territorio slovacco e ospita il 48 per cento della popolazione del paese. I giovani, tuttavia, tendono ad abbandonare la campagna, la densità della popolazione rurale si è ridotta, il nostro patrimonio culturale è minacciato e l’elevata disoccupazione è divenuta motivo di grande preoccupazione.

Ritengo che la presente relazione sia molto ben ponderata in quanto analizza la situazione corrente e tenta di individuare soluzioni che possano sostenere le zone rurali e le regioni insulari europee occupandosi, nel contempo, del futuro delle piccole comunità tradizionali con meno di 1 000 abitanti. La relazione si concentra sugli aiuti a micro-imprese, giovani agricoltori, arti e mestieri artigiani tradizionali, costumi e tradizioni locali, tutti elementi che sicuramente contribuirebbero a creare posti di lavoro e rendere la vita nelle campagne migliore e più allettante.

Il patrimonio culturale richiede maggiore attenzione e, soprattutto, più fondi. L’Unione europea dovrebbe introdurre un approccio a tutto tondo per sostenere il patrimonio culturale assicurandosi che ogni politica contenga disposizioni in materia di aiuti. Apprezzo infine l’iniziativa delle “Giornate europee del patrimonio culturale” e lo scambio di esperienze in tale ambito attraverso conferenze internazionali.

Discutendo la presente relazione, il Parlamento europeo ha confermato la serietà con la quale affronta il tema dello sviluppo sostenibile nelle zone rurali europee.

 
  
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  John Attard-Montalto (PSE), per iscritto. – (EN) Poiché Malta e Gozo sono le nazioni più piccole dell’Unione europea, è del tutto naturale che si faccia riferimento alla loro architettura e al loro patrimonio culturale in maniera olistica. Considerando l’esiguità delle risorse disponibili e la ricchezza del patrimonio architettonico e culturale, è impossibile tutelarlo utilizzando soltanto le risorse interne. Per questo dobbiamo rivolgerci all’Unione europea affinché ci venga in aiuto. Pochi sanno che i primi edifici indipendenti al mondo sono stati realizzati a Malta, ma hanno bisogno di interventi immediati. Ggantija, forse il complesso di templi più monumentale di Gozo, necessita urgentemente attenzione da parte di esperti. La Valletta, una delle capitali culturali più belle d’Europa, tuttora versa in uno stato disastroso. Sono trascorsi cinquant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, eppure la capitale ancora ne porta le cicatrici, e penso soprattutto alle rovine del Teatro dell’Opera, in passato di una spettacolare magnificenza. Mi appello dunque sia al governo tedesco che italiano affinché compiano un gesto di buona volontà con la ricostruzione del Teatro dell’Opera distrutto dai bombardamenti aerei, migliorando in tal modo l’architettura della Valletta e dando il loro contributo al suo patrimonio culturale.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MOSCOVICI
Vicepresidente

 

6. Comunicazione delle posizioni comuni del Consiglio: vedasi processo verbale

7. Turno di votazioni
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per ulteriori informazioni sul risultato delle votazioni, vedasi processo verbale)

 

7.1. Adesione della Comunità alla Conferenza dell’Aia (diritto internazionale privato) (votazione)

7.2. Relazioni UE-Cina (votazione)
  

– Dopo la votazione sul paragrafo 53

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, desidero proporre il seguente emendamento orale: “invita le autorità cinesi a rivelare il luogo in cui si trova l’avvocato per i diritti umani Gao Zhisheng e a rilasciarlo a meno che non sia accusato di un reato; analogamente chiede il rilascio di Chen Guangcheng, che ha aiutato alcuni cittadini nei loro tentativi di citare in giudizio le loro autorità locali per aver effettuato aborti e sterilizzazioni forzati, e di Bu Dongwei, che è stato condannato a due anni e mezzo di "rieducazione attraverso il lavoro" (RTL) ed è detenuto in un luogo segreto; pertanto, sollecita le autorità ad assicurare che tutti i difensori dei diritti umani possano esercitare attività pacifiche e legittime senza timore di arresti arbitrari, tortura o maltrattamenti e che abbiano accesso ad un’adeguata assistenza legale in caso di arresto;”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

– Dopo la votazione sull’emendamento n. 2

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE). (DE) Signor Presidente, anche noi saremmo stati felici di appoggiare questa importante relazione sulla Cina, ma, poiché non accetta il concetto “una Cina – due sistemi”, non possiamo votare in suo favore. Poiché, tuttavia, dà voce a molte giustificate preoccupazioni per i diritti umani, non voteremo contro, ma ci asterremo.

 
  
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  Georg Jarzembowski (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, per stroncare sul nascere un potenziale mito, voglio dire che questa Assemblea, ad ampia maggioranza, ha accolto l’emendamento n. 33, che sembrerebbe fare riferimento a quel concetto; la sua giustificazione, onorevole Swoboda, è pertanto errata e lei dovrebbe perciò votare a favore della relazione.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Non intendiamo riaprire la discussione e proseguiremo con la votazione.

– Dopo la votazione sull’intera proposta di risoluzione

Presidente. – Onorevole Muscardini, in base a quale articolo del Regolamento interno intende prendere la parola?

 
  
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  Cristiana Muscardini (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Regolamento prevede che le dichiarazioni di voto si fanno dopo avere votato e non prima. Se dobbiamo cambiare il Regolamento sono favorevole, ma la regola deve valere per tutti i gruppi e non soltanto per alcuni.

 
  
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  Presidente. – Ne prendo debitamente atto, onorevole Muscardini.

 

7.3. Marchio di qualità ecologica per i prodotti della pesca (votazione)

7.4. Situazione in Medio Oriente (votazione)

7.5. Incendi boschivi e inondazioni (votazione)
  

– Prima della votazione

 
  
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  Martin Schulz (PSE). (DE) Signor Presidente, prima di procedere alla votazione, vorrei fare alcune osservazioni ai sensi del Regolamento, articolo 150, paragrafo 6, oltre a rivolgere una domanda all’onorevole Poettering. Vorrei osservare che l’onorevole Hatzidakis ha presentato un emendamento, l’emendamento n. 5, che, come generalmente concordato, fa riferimento all’esigenza di inviare una delegazione nelle zone più colpite. Ora stiamo parlando soltanto delle regioni più colpite della Spagna, benché gli incendi abbiano interessato anche il Portogallo, la Grecia, la Francia e anche altri paesi.

Pertanto ci si chiede se questo non sia un errore, perché se lo è, dovremmo fare ciò che è stato suggerito, ovvero eliminare i riferimenti alla Spagna, così che il testo risulti: “Delegazione nelle regioni più colpite”, o, in alternativa, aggiungere alla Spagna “il Portogallo, la Grecia, la Francia”. Questo presupponendo che non vi siano motivi politici sottostanti, benché non si possa escludere totalmente una tale ipotesi. Vorrei chiedere, tuttavia, di non prendere a pretesto le difficoltà in cui versano le vittime di Grecia, Portogallo e di altri paesi per portare avanti una politica partigiana, perciò o cancelliamo il riferimento alla Spagna, oppure includiamo tutti i paesi colpiti dagli incendi.

Sarei grato se il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei chiarisse questo punto prima di passare alla votazione.

 
  
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  Gerardo Galeote (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, naturalmente l’onorevole Schulz non era presente lunedì scorso quando è intervenuta la Commissione europea. Nella sua dichiarazione, il Commissario Dimas ha dichiarato che l’unico paese in cui il meccanismo della protezione civile europea è stato applicato questa estate è la Spagna.

E’ logico, perché il 50 per cento degli incendi di questa estate, purtroppo, ha colpito il mio paese. Ora, l’onorevole Schulz saprà che il 6 ottobre è prevista un’udienza pubblica al Parlamento europeo, proposta dal nostro amico, l’ex Commissario Barnier, proprio in materia di corpo europeo di protezione civile.

Poiché vogliamo che la delegazione parta prima del 6 ottobre, è fisicamente impossibile che essa visiti tutti i paesi citati dall’onorevole. Propongo che la visita in Spagna prima del 6 ottobre proceda come stabilito e, se il suo gruppo desidera che ci rechiamo in altri paesi successivamente al 6 ottobre, gli assicuro il mio voto a favore.

 
  
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  Presidente. – Ho ricevuto altre richieste di intervento, ma non voglio riaprire la discussione.

Detto questo, se ho capito bene, al momento opportuno, l’onorevole Schulz presenterà un emendamento orale. L’Assemblea potrà quindi pronunciarsi, e ogni deputato potrà esprimere il suo parere mediante il voto.

– Prima della votazione sull’emendamento n. 5

 
  
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  Martin Schulz (PSE). (DE) Signor Presidente, avevamo supposto che le cose stessero come ci ha spiegato l’onorevole Galeote, nella sua illuminante dichiarazione, perciò chiedo di aggiungere le parole “in Portogallo, Grecia, Francia e negli altri principali paesi colpiti” dopo le parole “in Spagna”.

(Applausi)

 
  
  

(L’emendamento orale non è accolto)

 

7.6. Sospensione dei negoziati sull’agenda per lo sviluppo di Doha (ASD) (votazione)

7.7. Contraffazione di medicinali (votazione)

7.8. Diritto contrattuale europeo (votazione)

7.9. Partecipazione del Parlamento europeo ai lavori della Conferenza dell’Aia a seguito dell’adesione della Comunità (votazione)

7.10. Accordo UE/Stati Uniti d’America sull’impiego dei dati di identificazione dei passeggeri (PNR) (votazione)

7.11. Tutela del patrimonio naturale, culturale e architettonico europeo nelle zone rurali e insulari (votazione)
  

– Prima della votazione sul paragrafo 19

 
  
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  Nikolaos Sifunakis (PSE), relatore.(EL) Signor Presidente, vorrei proporre una modifica alla seconda parte del paragrafo 19 con il seguente emendamento orale:

“realizzare progetti pluriennali volti a promuovere gli insediamenti tradizionali ben preservati, anche con una popolazione inferiore ai mille abitanti;”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

Presidente. – Con questo si conclude il turno di votazioni.

 

8. Dichiarazioni di voto
  

– Relazione Wallis (A6-0250/2006)

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Aderendo alla Conferenza dell’Aia sul diritto internazionale privato, il cui mandato è lavorare per la “progressiva unificazione” delle norme di diritto internazionale privato, il Parlamento sta compiendo, per una volta, un passo realistico verso l’armonizzazione delle norme di legge specifiche di ogni Stato membro.

In effetti esistono due strade per ottenere l’armonizzazione legislativa. La prima, quella perorata dagli eurofederalisti fanatici, consiste nello standardizzare in modo vincolante le norme sostanziali del diritto di ciascuno dei 25 Stati membri; mentre la seconda, che soddisfa contemporaneamente l’esigenza fondamentale della certezza e dell’efficacia giuridica, consiste nello standardizzare soltanto le norme sul conflitto di leggi e quelle sulla giurisdizione, ovvero, consiste nello stabilire sia il foro competente, sia il diritto nazionale applicabile a un rapporto giuridico. Gli Stati membri, pertanto, mantengono le proprie norme, i loro sistemi e le loro tradizioni giuridiche, ma, in tal modo, si attenuano sensibilmente le incertezze che potrebbero derivare dall’applicazione e dal confronto delle norme nazionali di regioni diverse dell’Unione.

E’ per questo che siamo a favore della relazione e dell’adesione della Comunità europea alla Conferenza dell’Aia.

 
  
  

– Relazione Belder (A6-0257/2006)

 
  
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  Philip Claeys (NI).(NL) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dell’onorevole Belder, e desidero congratularmi con lui per il lavoro svolto. L’atteggiamento del gruppo socialista al Parlamento europeo depone già in sé a favore dell’adozione di questa relazione, poiché ha criticato quella che vedrebbe come un’eccessiva attenzione dedicata dalla relazione alla situazione dei diritti umani in Cina.

Comunque, il fatto è che la situazione in quel paese certamente non è migliorata negli ultimi anni, nemmeno dopo gli avvenimenti di Piazza Tienanmen, ed è chiaro che i governi, le aziende, e altri organismi dell’Unione europea sono fin troppo disposti a fare semplicemente affari con un regime comunista in Cina, senza, tuttavia, essere obbligati a migliorare la situazione dei diritti umani.

 
  
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  Jan Andersson, Ewa Hedkvist Petersen e Inger Segelström (PSE), per iscritto.(SV) Riteniamo positivo che il Parlamento europeo si sforzi di fare di più per i diritti umani in Cina. Tuttavia, ciò che, a nostro parere, manca nella relazione sono i riferimenti agli sforzi bilaterali e al commercio, che dovrebbero occuparvi una posizione centrale. Dal momento che la Cina è il secondo maggiore partner commerciale dell’Unione europea, è importante intessere contatti efficaci.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) La relazione Belder dovrebbe essere esauriente nel coprire tutta la serie di violazioni commesse dalla Repubblica popolare cinese, sia per quanto riguarda i suoi impegni nel campo del commercio internazionale in seno all’OMC (dumping in tutte le sue forme, contraffazione e pirateria, ostacoli nell’accesso al suo mercato nei confronti dei suoi partner commerciali, ecc), sia per quanto riguarda i diritti umani. Su quest’ultimo punto, la litania è lunghissima: campi di concentramento (i campi Laogai), lavori forzati, traffico di organi dei detenuti giustiziati, persecuzioni religiose (soprattutto della minoranza cattolica), martiri tibetani, e così via.

Tuttavia è sorprendente che la relazione Belder riesca a deplorare questa situazione senza mai ricordare che la Cina è un paese comunista, una dittatura marxista, che si ispira, in termini politici, all’ideologia più omicida del XX secolo.

Ancor più sorprendente – ma è poi così sorprendente in questa Assemblea? – è il fatto che la relazione non si conclude con una richiesta di sanzioni, nemmeno con una condanna, ma con la necessità di creare un mercato libero, concorrenziale e trasparente in Cina! Non vi è alcun dubbio che, nell’Europa che ci state prospettando, il denaro sarà sempre più importante delle persone.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto.(SV) Per l’Unione europea, la Cina è un partner commerciale fondamentale. Nell’ultimo decennio l’UE e la Cina hanno mantenuto strette relazioni commerciali. La relazione dovrebbe essere considerata un passo in avanti per il miglioramento delle condizioni sociali e ambientali della Cina. La Lista di giugno ritiene che le richieste di progressi in questi ambiti siano una condizione essenziale per la creazione di una cooperazione commerciale duratura e sostenibile.

Pertanto voto a favore della relazione nel suo complesso.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Non sorprende che la maggioranza del Parlamento abbia accolto una risoluzione sulle relazioni UE-Cina che, nei suoi vari paragrafi, contiene scarsi riferimenti alle relazioni bilaterali, optando invece per una politica di palese interferenza nei confronti della Cina.

Fra i molti punti che vale la pena commentare, vorrei soltanto evidenziare che il Parlamento intende relegare le relazioni UE-Cina a una posizione di secondaria importanza nel quadro dell’“iniziativa americana di avviare un dialogo strategico con l’Europa sull’ascesa della Cina – che costituisce un elemento centrale di novità della politica del “nuovo mondo” verso il “vecchio mondo” – e incoraggia l’Unione europea e i suoi Stati membri a sviluppare un consenso strategico, per le relazioni con la Cina.”

Inoltre, “si dichiara preoccupato per l’aumento delle disparità e l’ingiusta distribuzione della ricchezza, la disoccupazione di massa e l’urbanizzazione incontrollata, il crescente tasso di criminalità e la corruzione, senza dimenticare i problemi ambientali della Cina”. Tali preoccupazioni rivelano l’ipocrisia di persone che, siamo onesti, non hanno assolutamente il diritto morale di sollevarle; si prenda, per esempio, la brutale offensiva antisociale condotta dall’UE e la spaventosa degenerazione della situazione sociale negli Stati membri.

Per questo abbiamo espresso un voto contrario.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto.(PT) Le relazioni con la Cina rappresentano uno dei temi che, come minimo, suscitano più domande nei confronti dei responsabili della politica estera degli Stati membri dell’UE.

Da un lato, si tratta di uno Stato totalitario che non mostra rispetto alcuno per i diritti umani, né la minima preoccupazione per le questioni umanitarie, l’ambiente, lo sviluppo integrato, la promozione della libertà o il rispetto per i valori fondamentali del genere umano. E’ anche un’economia di importanza innegabile e in costante crescita. Inoltre è stato provato che i progressi economici, cui ha contribuito il rafforzamento delle relazioni UE-Cina, hanno prodotto il benefico effetto di sviluppare un ceto medio urbano che, si spera, con l’andare del tempo, darà impulso alla democrazia.

Intanto – e questo era un punto che noi avevamo proposto – l’esperienza di Macao e di Hong Kong, che l’UE ha seguito da vicino, prova che un sistema migliore di quello esistente nella Cina continentale è possibile.

Infine, una parola di rammarico per l’atteggiamento del gruppo socialista al Parlamento europeo, che ha tentato di sopprimere la relazione, prevedendo un risultato contrario ai propri interessi. Questo è un brutto modo di agire.

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM), per iscritto. (EN) Contesto la politica cinese del figlio unico e gli altri abusi dei diritti umani. Non appoggio la politica di “una sola Cina”!

 
  
  

– Relazione Fraga Estévez (A6-0219/2006)

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. (SV) Oggi abbiamo votato a favore della relazione sull’avviamento di un dibattito in merito a un approccio comunitario ai marchi di qualità ecologica per i prodotti della pesca. Siamo a favore della creazione da parte dell’UE di regole comuni minime per i marchi di qualità ecologica dei prodotti della pesca e a favore della loro conformità agli standard internazionali vigenti.

In contrasto con la relazione, riteniamo sia positivo, tuttavia, che esistano diverse certificazioni private e che l’intera certificazione ecologica dei prodotti della pesca sia svolta da privati. Inoltre non condividiamo la convinzione del relatore secondo cui la politica comune della pesca contribuirebbe a rendere la pesca più ecologica. Al contrario, siamo convinti che la politica comune della pesca sia in gran parte responsabile del sovrasfruttamento delle risorse di pesca e dei problemi ambientali.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. (SV) Occorre accogliere con favore i provvedimenti volti a combattere la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. Tuttavia, ho qualche dubbio in merito all’esigenza che l’UE introduca un sistema centrale di marchi di qualità ecologica per i prodotti della pesca. La creazione di un sistema di certificazione ecologica comune in ambito UE potrebbe creare una burocrazia superflua e potrebbe limitare le opportunità per le società, per le organizzazioni attive nel settore della pesca e per gli Stati membri di produrre i propri marchi di qualità ecologica.

Pertanto voterò contro questa relazione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Come questa discussione dimostra, la creazione di una certificazione ecologica per i prodotti della pesca solleva pesanti interrogativi.

Il relatore dice che un tipo di criterio potrebbe basarsi su fattori oggettivi quali l’analisi scientifica, derivante dall’attuazione degli standard comunitari volti a garantire che tutte le attività di pesca negli Stati membri UE siano sostenibili.

Inoltre, l’introduzione di altri tipi di criteri, quali metodi produttivi più selettivi, che porterebbe all’attuazione di un criterio a posteriori, sarebbe contraria al principio secondo cui gli effetti sulle risorse andrebbero analizzati in base ai provvedimenti tecnici decisi, e non a posteriori.

Vi è inoltre l’introduzione di criteri relativi alla sicurezza alimentare, che solleverebbe la questione del pericolo dei prodotti della pesca catturati nel loro habitat naturale e non adatti al consumo umano. In tal caso il punto non è la certificazione. Questi prodotti non devono essere catturati in alcun caso, né messi in vendita. Questo è ciò che accade quando si pensa che sia qualche tipo di inquinamento marino a portare al divieto di pesca.

Perciò noi riaffermiamo le posizioni espresse nel nostro intervento.

 
  
  

– Situazione in Medio Oriente (B6-0469/2006)

 
  
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  Marco Cappato (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, volevo semplicemente sottolineare che, pur avendo sostenuto la risoluzione sul Libano, troppo spesso in questo Emiciclo, anche da parte dell’Alto Commissario Solana, si usano come sinonimi i termini "Unione europea" e "Stati membri dell’Unione europea" e si dice che l’Unione europea sta svolgendo e ha svolto un grande ruolo nella crisi in Libano e anche nell’invio della missione Unifil. Questa non è la realtà, alcuni Stati membri, alcuni Stati nazionali stanno svolgendo un ruolo.

L’Unione europea purtroppo ha rinunciato anche ad attivare quei piccoli e poveri strumenti di politica estera della quale disporrebbe. Il ruolo che l’Unione europea potrebbe giocare è aprire una prospettiva di adesione agli Stati dell’altra sponda del Mediterraneo, alla Turchia, a Israele, ma anche alle altre democrazie dall’altra parte del Mediterraneo; la politica invece degli Stati nazionali per Israele, per la Palestina, è una politica perdente.

 
  
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  Romano Maria La Russa (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ferma restando la mia totale approvazione alla missione Unifil 2, permettetemi di esprimere le mie riserve in merito alla mobilitazione reale degli Stati europei che, a eccezione di Italia, Francia e Spagna, si limiteranno a fornire più o meno un contributo simbolico.

Finora gli appelli dell’Europa sono stati flebili, le parole dell’Alto Rappresentante per la politica estera Solana, che chiedeva una forte risposta da tutti i paesi dell’Unione, si sono dissipati nell’aria di Bruxelles. Qualora volessi sorvolare su un velato orientamento filopalestinese che pervade le istituzioni europee, che talvolta sembra sfociare in antisemitismo, non potrei comunque esimermi dal ribadire ancora una volta l’incapacità dell’Europa che, mossa dalla consueta ricerca del politicamente corretto non ha voluto prendere una posizione chiara e netta.

Mi chiedo tuttavia come sia possibile parlare di equidistanza.

(L’oratore è interrotto dal Presidente)

 
  
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  Adamos Adamou (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Per 34 giorni, il mondo ha assistito a un’operazione militare condotta da un esercito attrezzatissimo che, grazie all’assistenza degli USA e ai razzi ultramoderni che ha lanciato fino alla fine, ha spianato e invaso il Libano meridionale, uccidendo centinaia di civili, costringendo alla fuga un terzo della popolazione e facendo tornare indietro di vent’anni l’economia del paese. Israele si è macchiato di numerosi crimini di guerra, come dimostrano le relazioni di Amnesty International e di Human Rights Watch.

L’arresto di soldati israeliani da parte di Hezbollah è stato preso a pretesto per applicare un piano preesistente. Essendo ciprioti, abbiamo esperienza di interventi militari e respingiamo la filosofia attendista sottesa alla proposta di risoluzione del Parlamento e ogni eventuale equiparazione delle vittime ai carnefici.

Appoggiamo l’embargo sulle forniture di equipaggiamenti militari a Israele, per bloccare questa macchina militare e per far intendere chiaramente che la comunità internazionale non è d’accordo con il genocidio commesso contro i palestinesi e i popoli confinanti. Chiediamo di creare nella nostra regione, Israele compreso, una zona denuclearizzata.

Dobbiamo condannare apertamente la politica di Israele nei confronti della Palestina e decidere di tornare subito al tavolo negoziale per pervenire rapidamente a una soluzione definitiva.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) E’ spaventoso che il Parlamento abbia deciso di accettare il punto di vista proposto da questa relazione, ovvero quello di mettere sullo stesso piano Israele e Palestina – cioè, aggressore e vittima, mentre ciò che serve è una chiara condanna sia dei crimini di guerra commessi da Israele in Libano, sia degli attacchi e del terrorismo di Stato che Israele continua a perpetrare nei territori occupati palestinesi, Gaza compresa. Si comincia male.

In un momento particolarmente complesso e pericoloso, ciò che l’UE dovrebbe fare è, almeno, chiedere a Israele di ottemperare alle decisioni dell’ONU relative alla sua occupazione dei territori palestinesi, l’immediata cessazione dell’operazione israeliana nei territori occupati palestinesi, l’immediata revoca del blocco di Gaza, ovvero, riaprire il confine con l’Egitto e consentire il libero movimento di persone e beni, restituire le alture del Golan alla Siria e le fattorie di Shebaa al Libano, rilasciare immediatamente i ministri e i deputati palestinesi eletti, aprire negoziati per lo scambio di prigionieri, porre fine agli insediamenti e, infine, proseguire nella restituzione del gettito proveniente dalle tasse e dai dazi doganali palestinesi.

Una pace duratura in Medio Oriente dipende dal rispetto per il diritto del popolo palestinese, siriano e libanese alla propria sovranità.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) In questa discussione sulla situazione del Medio Oriente, desidero ricordare ai deputati che il 31 maggio 2005, il Parlamento ha adottato una risoluzione intitolata “La comunità assira e la situazione nelle prigioni irachene”.

Mi dispiace dover riferire che la situazione dei cristiani in Iraq, e degli assiri in particolare, continua a peggiorare. Abbiamo appena saputo che il dottor Donny George, direttore del Museo iracheno e una delle personalità assire più in vista del paese, è fuggito in Siria con la famiglia.

L’ambasciatore uscente del Regno Unito, William Patey, ha dichiarato che l’Iraq si trova ormai in uno stato di guerra civile non dichiarata.

Che fare? Dobbiamo dare tutto il nostro sostegno ai leader religiosi e alla campagna “Save the Assyrians”, che appoggio e che mi appoggia, nell’iniziativa che promuoveranno nell’Iraq settentrionale a fine mese.

Noi europei e le Nazioni Unite dobbiamo esercitare pressioni affinché questa comunità autoctona irachena, così come i curdi, i sunniti e gli sciiti, abbia la propria zona amministrativa nell’ambito di un Iraq unito, come previsto dalla costituzione irachena. In caso contrario, la prospettiva è che l’intera comunità cristiana mediorientale, la quale, una volta, rappresentava il 20 per cento della popolazione, sia costretta ad abbandonare il paese.

 
  
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  Patrick Gaubert (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Nel mio intervento del 6 settembre in seduta plenaria, ho chiesto una valutazione equilibrata della situazione prima, durante e dopo il conflitto israelo-libanese, delle sue conseguenze per le popolazioni colpite e del futuro della regione.

La proposta di risoluzione comune non mi sembra rispondere a questi requisiti di equilibrio visti, tra le altre cose, i considerando A e B, e i paragrafi 17, 20 e 25.

Pertanto ho votato contro questa risoluzione.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. (SV) La Lista di giugno si rammarica profondamente per l’attuale situazione in Libano. In guerra, sono sempre gli indifesi e gli innocenti a pagare il prezzo più alto. Il conflitto in Libano è un esempio da manuale di come la violenza genera violenza, perciò noi ripudiamo con vigore tutte le forme di violenza commesse da entrambe le parti. La relazione nel suo insieme contiene molte proposte e idee ragionevoli, ma riteniamo che l’ONU debba essere l’organismo dotato della massima autorità nella regione. La relazione inoltre accenna anche a un tema sensibile di politica estera su cui i governi degli Stati membri si trovano in disaccordo. Noi crediamo che sia compito dei governi di ogni Stato membro prendere posizione su questo tema. Riteniamo anche che esso, nel suo insieme, sia materia di discussione per l’ONU, non per l’Unione europea.

La Lista di giugno pertanto si astiene dalla votazione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Tra gli altri aspetti che andrebbero criticati occorre ricordare che, cercando di confondere l’aggressore – Israele e i suoi crimini – con le sue vittime – i popoli palestinese e libanese e la loro legittima lotta di resistenza all’aggressione e all’occupazione – il Parlamento si è lavato vergognosamente le mani, ancora una volta, nei confronti delle responsabilità di Israele per i suoi crimini.

Il Parlamento mette insieme le risoluzioni 1701 e 1559 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, sottolineando che “questa soluzione dovrebbe portare al disarmo di tutte le milizie, compresa quella di Hezbollah”, ma non va oltre il semplice accenno alle risoluzioni 242, 338, 426 e 520.

Tuttavia, date le prove più che evidenti dei pericolosi sviluppi della situazione mediorientale, di fronte alla brutale aggressione del popolo palestinese e di quello libanese da parte di Israele e, in particolare, data la risoluta e determinata resistenza dei popoli di questi paesi, il Parlamento riconosce ciò che da tempo è necessario: “una soluzione equa e duratura al conflitto israelo-palestinese per instaurare la pace e la sicurezza nell’intera regione”, “una soluzione complessiva, duratura e sostenibile” per la regione “fondata sulle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU”.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Approvo la risoluzione del Parlamento europeo sul Medio Oriente. Si otterranno progressi verso una pace duratura in Medio Oriente soltanto quando la comunità internazionale rispetterà e sosterrà la coesistenza di uno Stato israeliano e di uno palestinese, entro confini sicuri e riconosciuti. Perciò, invito l’Unione europea a fare tutto ciò che è in suo potere per garantire una tale conclusione.

Mentre il conflitto in Libano proseguiva, l’attenzione internazionale ignorava le 250 incursioni aeree, le 1 000 granate di artiglieria, e gli oltre 200 morti inflitti alla popolazione di Gaza, oltre ai circa 300 bambini palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, stando ai dati più aggiornati. Ritengo che non vi possa essere una soluzione militare a questa crisi e che l’UE debba invitare Israele a cessare l’offensiva militare nella regione e a rilasciare immediatamente i detenuti minori palestinesi arrestati dall’esercito israeliano.

 
  
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  Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) La catastrofe umanitaria a cui abbiamo assistito in Libano, con centinaia di morti e di feriti su entrambi i fronti, i danni alle infrastrutture essenziali e le centinaia di migliaia di sfollati non sono finiti con il cessate il fuoco. E’ chiaro che una soluzione equa e duratura al conflitto israelo-palestinese è fondamentale per la pace e la stabilità di tutta la regione.

Serve una leadership forte e risoluta per riportare il processo di pace mediorientale in cima all’agenda politica internazionale. L’Unione europea può fare la sua parte nell’offrire un po’ di questa leadership, anche riconsiderando il suo approccio agli aiuti alla Palestina e le sue relazioni con Hamas.

 
  
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  Willy Meyer Pleite, (GUE/NGL) per iscritto. – (ES) Oggi ci pronunciamo su una proposta di risoluzione sulla crisi mediorientale, dimostrando che, a differenza del Consiglio europeo, la reazione del Parlamento è all’altezza della situazione. Voto a favore perché questa risoluzione comprende alcuni elementi cruciali volti a rafforzare la fragile tregua tra l’esercito israeliano e la milizia Hezbollah. Come indica il testo, soltanto il dialogo politico può risolvere questo conflitto, non le azioni militari.

Ciononostante, alcune questioni restano sul tappeto come, ad esempio, l’impunità con cui Israele esce dal conflitto. L’UE dovrebbe avere il coraggio di essere la prima a chiedere a Israele di partecipare finanziariamente alla riparazione delle devastazioni provocate dai suoi bombardamenti sulle infrastrutture e sugli obiettivi civili.

In particolare, poiché non va dimenticato che l’occupazione permanente e le aggressioni contro la Palestina proseguono, è essenziale convocare una conferenza internazionale per la soluzione della crisi mediorientale. Tale conferenza dovrebbe cercare di far approvare sanzioni nei confronti dello Stato di Israele, esigere da questo paese il ritorno al rispetto della legalità internazionale e chiarire la roadmap da seguire per la soluzione del conflitto.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Il Partito comunista greco ha votato contro l’inaccettabile proposta comune firmata dai delegati di tutti i partiti politici.

Tale proposta coincide con la posizione dell’UE, la quale ha approvato il piano NATO/USA per un “nuovo Medio Oriente”, la cui conseguenza è stata la guerra contro il Libano, che essa chiama “conflitto”, assolvendo in tal modo Israele.

Tentando di presentare l’UE come imparziale, mette sullo stesso piano vittime e carnefici, mettendo in discussione la resistenza dei popoli contro la politica imperialistica di Israele e degli USA.

Approva la risoluzione 1701, sostiene l’invio di forze di occupazione europee e preme per il disarmo delle forze popolari che hanno resistito eroicamente all’ingiusta guerra di aggressione. In tal modo acconsente all’attuazione dei progetti imperialistici. Addossa la responsabilità ai palestinesi senza condannare il loro genocidio per mano di Israele.

Il testo non fa riferimento al riconoscimento del governo palestinese o al rilascio di migliaia di libanesi e palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

Appoggia la presenza di occupazione UE in Medio Oriente, la quale non garantisce la pace a beneficio dei popoli, bensì favorirà un’escalation della situazione nel tentativo di attuare il piano ΝΑΤΟ di controllo della regione.

Le forze politiche firmatarie hanno un’enorme responsabilità nei confronti del popolo e delle forze e organizzazioni popolari che lottano da moltissimi anni, a prezzo di molto spargimento di sangue.

Il Partito comunista greco esprime la propria solidarietà a questa lotta, invitando i popoli a intensificare la lotta all’imperialismo euroamericano.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) L’accordo per l’invio di truppe in Libano tradisce l’ignoranza delle regole d’ingaggio.

Benché l’espressione di sostegno da parte di questa Assemblea per la convocazione di una conferenza di pace per il Medio Oriente sia da valutare positivamente, è deplorevole che il voto dei suoi deputati a favore dell’invio di truppe in Libano si basi su un mandato poco chiaro; non vi è stata alcuna riunione informativa, né sono state fornite altre informazioni sulle regole di ingaggio dell’UNIFIL, che restano segrete.

La risoluzione del Parlamento europeo si pronuncia a favore di un “solido mandato” per la forza da inviare in Libano; non esclude espressamente che il disarmo di Hezbollah possa essere compito dei soldati UNIFIL, quindi anche dei soldati degli Stati membri UE. E’ irresponsabile e perverso essere a favore di un’azione militare di questo tipo, e la conseguenza de facto di tale scelta è il via libera all’utilizzo delle truppe europee per missioni belliche in Libano.

E’ vergognoso che la guerra in Libano sia descritta nella risoluzione del Parlamento europeo come nulla più che una “reazione sproporzionata” da parte di Israele agli attacchi degli Hezbollah. Una simile valutazione non può che essere considerata cinica, date le numerose vittime civili libanesi.

Evidentemente esistono persone che non ne hanno mai abbastanza, perché, nella risoluzione, si dichiara che “la presenza di una forza multinazionale in Libano potrebbe essere considerata un esempio da seguire nel processo negoziale per la soluzione del conflitto israelo-palestinese”. Al contrario, serve una soluzione politica, non l’invio di un numero crescente di truppe.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Talvolta la sola cosa di cui è necessario parlare è la pace. Questo non è il momento delle recriminazioni, degli scontri o dei regolamenti di conti. La pace in Medio Oriente può essere costruita soltanto tra popoli, paesi e Stati liberi e democratici, responsabili delle proprie azioni e in grado di amministrare il proprio territorio. Democrazia, libertà e sviluppo sono il migliore antidoto a ideologie che tengono alcuni sventurati popoli in ostaggio del terrorismo e dell’estremismo.

In questo momento è anche necessario parlare di sicurezza, senza la quale non si costruisce la pace. Per questo, inviare una rilevante forza militare dotata di capacità operative nel Libano meridionale è una soluzione che potrebbe cambiare il corso degli eventi e contribuire a impedire il ripetersi di attentati e guerre.

Tuttavia, siamo consapevoli dei rischi. Non tutti sono uomini di buona volontà, e non tutti i regimi sono inclini alla conciliazione. Tale consapevolezza non ostacolerà la pace, ma semplicemente impedirà di essere ingenui.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Condivido il testo di compromesso sul Medio Oriente. Non vi può essere una soluzione militare ai problemi della regione. Non soltanto il brutale e indiscriminato uso della forza da parte di Israele, nella fattispecie il bombardamento di obiettivi civili, l’uso di armi illegali, la distruzione su vasta scala di infrastrutture civili e i gravi danni provocati al litorale, ma anche gli indiscriminati lanci di razzi da parte di Hezbollah, meritano la nostra condanna.

Gli Stati membri devono impedire una nuova corsa agli armamenti nella regione applicando rigidamente il codice di condotta europeo sulle esportazioni di armi a tutte le forniture di armi verso la regione. Ora che la politica USA nell’area si è dimostrata un fallimento, è essenziale convocare una nuova conferenza di pace regionale – una “Madrid II” – onde pervenire a una soluzione complessiva, sostenibile e praticabile, fondata sul diritto dello Stato di Israele a vivere entro confini sicuri e riconosciuti e sul diritto dei palestinesi a un proprio Stato autonomo nei Territori occupati, con grande attenzione per la sicurezza e il disarmo.

L’UE deve riavviare il dialogo con la Siria e coinvolgerla negli sforzi per la pace, firmando, tra l’altro, l’accordo di associazione, il quale rappresenterebbe un grande passo in avanti per una più efficace soluzione del problema dei diritti umani nel paese.

 
  
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  Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Per 34 giorni, il mondo ha assistito a un’operazione militare condotta da un esercito attrezzatissimo che, grazie all’assistenza degli USA e ai razzi ultramoderni che ha lanciato fino alla fine, ha spianato e invaso il Libano meridionale, uccidendo centinaia di civili, costringendo alla fuga un terzo della popolazione e facendo tornare indietro di vent’anni l’economia del paese. Israele si è macchiato di numerosi crimini di guerra, come dimostrano le relazioni di Amnesty International e di Human Rights Watch.

L’arresto di soldati israeliani da parte di Hezbollah è stato preso a pretesto per applicare un piano preesistente. Essendo ciprioti, abbiamo esperienza di interventi militari e respingiamo la filosofia attendista sottesa alla proposta di risoluzione del Parlamento e ogni eventuale equiparazione delle vittime ai carnefici.

Appoggiamo l’embargo sulle forniture di equipaggiamenti militari a Israele, per bloccare questa macchina militare e per far intendere chiaramente che la comunità internazionale non è d’accordo con il genocidio commesso contro i palestinesi e i popoli confinanti. Chiediamo di creare nella nostra regione, Israele compreso, una zona denuclearizzata.

Dobbiamo condannare apertamente la politica di Israele nei confronti della Palestina e decidere di tornare subito al tavolo negoziale per pervenire rapidamente a una soluzione definitiva.

 
  
  

– Incendi boschivi e inondazioni (B6-0460/2006)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione comune presentata da sei gruppi politici sugli incendi boschivi e le inondazioni. Innanzi tutto sono lieto che, oltre agli incendi, siano state integrate nel testo iniziale le inondazioni. In sostanza è chiaro che, con il passare del tempo, la crescente portata delle catastrofi naturali e degli altri problemi che colpiscono il territorio e le popolazioni talvolta supera la capacità di reazione di alcuni Stati membri, richiedendo quindi l’aiuto dell’Unione europea. Il fatto è che l’Unione europea non sembra essere sufficientemente coinvolta nel rispondere alle crisi, e mi rammarico che la risoluzione non appoggi chiaramente e più fermamente l’idea di creare una protezione civile europea. Non si tratterebbe di reclutare funzionari responsabili della protezione civile, bensì di avere un’unità di controllo a livello europeo con il potere di coordinare alcune squadre della protezione civile sul territorio dell’Unione, nel caso in cui fosse richiesto da uno Stato membro non in grado di far fronte a una determinata situazione.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Oggi abbiamo votato contro la risoluzione comune sugli incendi boschivi.

Ci dispiace per i numerosi ed estesi incendi boschivi e per le inondazioni che hanno colpito l’Europa. Crediamo che, in determinate circostanze, l’Unione dovrebbe dare aiuti finanziari ai paesi e alle regioni interessati, quando si verificano catastrofi naturali; tali aiuti, però, non devono creare una situazione tale per cui gli incendi boschivi diventino sinonimo di benefici finanziari.

A nostro parere, gli incendi e le inondazioni che si ripetono ogni anno nelle stesse regioni non giustificano né il ricorso a strumenti comuni di lotta contro simili eventi né il finanziamento con fondi comuni dei risarcimenti per le persone colpite. Riteniamo invece che la lotta contro gli incendi boschivi e le loro cause vada combattuta prioritariamente a livello locale e nazionale, e che debba anche essere avviata e finanziata a quei livelli.

 
  
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  Den Dover (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I conservatori britannici sono solidali con le vittime degli incendi boschivi scoppiati nel corso dell’estate. La risoluzione, però, non affronta in modo adeguato il fatto che la maggior parte degli incendi sarebbero stati appiccati intenzionalmente da piromani. Lo stesso ministro dell’Ambiente del governo spagnolo ritiene che a causare alcuni degli incendi potrebbero essere stati lavoratori forestali arrabbiati perché i corpi regionali dei vigili del fuoco non li avrebbero assunti per il periodo estivo. E’ imprescindibile che i singoli Stati membri adottino misure di prevenzione più rigorose per evitare che simili comportamenti deliberati possano ripetersi. Per questo motivo, i conservatori britannici non voteranno a favore della risoluzione congiunta.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore della relazione; ci spiace, però, che sia stata respinta la nostra proposta di chiedere alla Commissione di concedere al Portogallo aiuti finanziari straordinari, a carico delle casse comunitarie, per contribuire al ripristino delle aree dei parchi nazionali di Peneda-Gerês e di Serras d’Aire e Candeeiros che sono state distrutte dagli incendi, in considerazione del loro incalcolabile valore ecologico, paesaggistico ed economico.

Siamo per contro lieti che il Parlamento abbia nuovamente sollecitato la Commissione ad applicare il Fondo europeo di solidarietà in maniera flessibile, per semplificarne la gestione in situazioni tragiche come quelle conseguenti agli incendi boschivi. Gli incendi boschivi non solo causano gravi perdite materiali, ma compromettono gravemente anche le condizioni di vita delle persone, soprattutto nelle regioni più povere che ne subiscono gli effetti negativi sulle infrastrutture, sul potenziale economico, sull’occupazione, sul patrimonio naturale e culturale, sull’ambiente e sul turismo, con ripercussioni fatali sulla coesione economica e sociale.

Ci fa inoltre piacere che sia stata sottolineata la necessità di incanalare gli interventi nell’ambito del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e del regolamento Forest Focus verso la prevenzione degli incendi boschivi nei paesi dell’Europa meridionale.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno è favorevole alla solidarietà internazionale quando un paese viene colpito da incendi boschivi o inondazioni. Deploriamo, però, che le Istituzioni europee cerchino di usare simili tragici eventi per rafforzare l’influenza dell’Unione europea in diverse aree politiche. Spetta principalmente agli Stati membri il compito, ad esempio, di adottare misure volte a ridurre la probabilità che scoppino incendi. E’ possibile coordinare le risorse e intervenire al di fuori del contesto della cooperazione comunitaria.

Perciò ho votato contro la risoluzione.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La mozione contiene, purtroppo, solo un piccolo riferimento alla possibilità di non sottoporre a riforestazione terreni privati riconosciuti come aree boschive. La riclassificazione dei boschi, che comporta una variazione della destinazione d’uso, e la legalizzazione di violazioni gravi sono, quanto meno in Grecia, la causa principale degli incendi, che hanno infatti, in gran parte, origine dolosa.

Tali crimini vengono compiuti con il sostegno e la complicità delle politiche di commercializzazione, privatizzazione e sfruttamento delle aree boschive a fini diversi, con il conseguente sacrificio di questi importanti, vitali polmoni sull’altare del profitto e con gravi ripercussioni sulla qualità dell’ambiente.

In Grecia si sta pensando addirittura di emendare l’articolo della Costituzione che tutela il patrimonio forestale, o quel che ne rimane, soprattutto intorno alle grandi città e alle aree di sviluppo turistico e residenziale, in modo che non vi siano più ostacoli all’attuazione di questa politica antipopolare e antiambientale.

Simili politiche criminali sono alimentate dall’inadeguatezza delle risorse e dalla carenza di personale, mettono in luce le responsabilità politiche dell’Unione europea e dei governi e acuiscono le conseguenze disumane e nocive per l’ambiente delle politiche attuate.

E’ urgente e necessario risarcire le vittime degli incendi; ma è ancora più urgente e necessario adottare una politica diversa.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Siamo appena tornati dalle vacanze, dovremmo quindi essere ristorati e impazienti di rimetterci al lavoro.

Quest’anno, invece, siamo ritornati dalle vacanze più poveri di prima, dopo gli incendi che hanno devastato boschi, distrutto case e ucciso esseri umani. Siamo stufi di sentire scuse e ci sentiamo profondamente delusi.

Lo scenario fatto di siccità, estati calde e incendi si è ripetuto puntualmente in tutti gli anni scorsi. Non basta accontentarsi di prevedere con esattezza quando scoppierà il prossimo incendio; possiamo e dobbiamo fare molto di più.

Spetta agli Stati membri la responsabilità di gestire le emergenze che colpiscono i rispettivi territori; sono quindi loro a dover essere chiamati in causa quando non fanno tutto quanto in loro potere per prevenire simili disastri. Condanno, pertanto, l’incapacità del mio governo, che non ha disposto, com’era suo dovere fare, i necessari lavori di ripulitura del sottobosco nel parco nazionale di Peneda-Gerês: un’incapacità incomprensibile, che ha avuto effetti devastanti.

Voglio esprimere il mio cordoglio per la perdita di vite umane nei numerosi incendi scoppiati nel mio come in altri paesi europei. Se avevamo bisogno di una ragione per essere più efficienti, dobbiamo dirci che le azioni adottate nei nostri paesi e gli interventi di aiuto da parte dell’Unione possono prevenire la perdita di vite umane. Dobbiamo combattere la battaglia contro gli incendi in modo risoluto perché è una battaglia contro la distruzione dei nostri beni e dei nostri boschi e perché si tratta di preservare il nostro futuro.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della risoluzione con animo riluttante, essendo contrario alla proposta di inviare una delegazione del Parlamento europeo in pompa magna a visionare i danni causati in vari luoghi dagli incendi. Mi pare che si tratti di una proposta sproporzionata agli eventi e credo che il denaro che una simile impresa probabilmente ci verrà a costare potrebbe essere utilizzato meglio in altri modi.

 
  
  

– Agenda per lo sviluppo di Doha (B6-0465/2006)

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Il fallimento dei negoziati è una tragedia per il settore agricolo, che nell’Unione europea e negli Stati Uniti rappresenta meno del 5 per cento del PNL, ma nei paesi in via di sviluppo svolge un ruolo essenziale. Se, da un canto, l’India si è offerta di sospendere le sovvenzioni agli agricoltori nel 2013, gli Stati Uniti, dall’altro, sembrano caparbiamente intenzionati ad aumentare tali aiuti. Possiamo solo augurarci che il buon senso torni a regnare in questi negoziati, che sono di vitale importanza per molti.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Dalle dichiarazioni fatte dall’UNICE e dal Commissario Mandelson risulta chiaramente che a perdere di più dalla sospensione dei negoziati dell’Organizzazione mondiale del commercio saranno i paesi meno sviluppati. Tali dichiarazioni omettono di citare i contenuti dell’Agenda di Doha, che mira a promuovere la liberalizzazione dei beni e dei servizi partendo dall’assunto che lo sviluppo è favorito dal libero commercio e dall’assenza di ostacoli all’attività delle grandi multinazionali, e che c’è una contraddizione tra gli accordi commerciali multilaterali e quelli regionali bilaterali. Nulla di più falso.

L’OMC è agli ordini delle grandi multinazionali, cui mette a disposizione mercati in espansione facendone lievitare i profitti, dando loro accesso alle materie prime e preparando la strada a un ulteriore sfruttamento di chi si trova ai margini del mondo capitalista.

Le attuali restrizioni all’espansione del mercato e il ruolo sempre più importante dei poteri emergenti accentuano le rivalità centrali, mentre diventa più difficile accettare ciecamente l’emarginazione. Inoltre, è cresciuta la resistenza contro le distruttive politiche del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale e dell’Organizzazione mondiale del commercio e contro il devastante predominio delle multinazionali.

Tutti questi fattori aumentano le pressioni esercitate al tavolo negoziale sui paesi periferici affinché accettino l’Agenda, come è successo all’Uruguay Round, che è durato ben otto anni.

Per questi motivi abbiamo votato contro la risoluzione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Spero che la risoluzione sulla sospensione del Doha Round possa inviare alle parti negoziali un chiaro segnale del costante impegno del Parlamento europeo a favore del multilateralismo quale motore dello sviluppo globale.

E’ vero che nel commercio internazionale i diversi paesi che siedono allo stesso tavolo non sono su un piano di parità. Ciò significa che dobbiamo onorare gli impegni assunti a Doha per una “reciprocità incompleta” nei negoziati NAMA, per un trattamento speciale e differenziato nonché per l’Agenda Aid for Trade a favore dei paesi più poveri. In particolare, ciò significa altresì che non è più tollerabile che l’agricoltura, che costituisce solo il 2 per cento della nostra economia, continui a bloccare i negoziati.

Mi auguro che questo periodo di bilanci e valutazioni in seno all’Organizzazione mondiale del commercio offra alle parti interessate l’occasione per riflettere non solo su come quella organizzazione debba cambiare, ma anche sui suoi meriti – caso unico nel diritto internazionale. Il bilateralismo, con le sue inique condizioni, è una misera consolazione per i paesi in via di sviluppo, che saranno costretti ad accettare condizioni meno favorevoli per l’accesso al mercato e per i diritti di proprietà intellettuale. Ho votato a favore di un rinnovato impegno nei confronti di questo round dell’OMC non solo in quanto ambizioso round in campo commerciale ma anche in quanto round di sviluppo, così come era stato originariamente concepito.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Al Vertice di Ginevra del giugno 2006 l’Europa si è dimostrata flessibile, fino a cedere le armi nei negoziati commerciali dell’OMC. Dopo aver acconsentito, il 18 dicembre 2005 a Hong Kong, alla rinuncia da parte nostra alle restituzioni alle importazioni in campo agricolo a partire dal 2013, il Commissario Mandelson, il nostro negoziatore capo, ha fatto a Ginevra lo splendido gesto di permettere la conclusione di un accordo internazionale che prevede la riduzione di ben il 50 per cento dei dazi doganali posti a tutela del nostro mercato agricolo.

Altri, invece, come il Brasile, dove si terranno fra poco le elezioni presidenziali, e gli Stati Uniti, dove avranno luogo a breve le elezioni del Congresso, non hanno voluto correre il ben che minimo rischio: gli Stati Uniti riducendo gli aiuti interni e il Brasile aprendo il proprio mercato industriale.

Alla fine i negoziati riprenderanno, però sappiamo già adesso che la Commissione, sulle questioni degli aiuti alle esportazioni e della protezione della nostra agricoltura e viticoltura, si è arresa al dumping sociale dei paesi terzi, dove le multinazionali producono nella totale assenza di norme sul lavoro o di tutela sociale.

Per trovare una soluzione per il 2007 e rompere l’attuale blocco sarà necessario inventare, con un po’ di fantasia, diritti doganali flessibili, rimborsabili e scontabili – cioè diritti doganali deducibili.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Chiunque pensi al commercio come a una delle forze trainanti che promuovono lo sviluppo economico e, cosa non meno importante, che fanno incontrare le persone di paesi diversi sarà amaramente deluso dalla decisione presa lo scorso luglio di sospendere indefinitamente i negoziati del Doha Round. Il fatto che i negoziati si siano arenati è una notizia terribile.

La posta in gioco non è la promozione di un’apertura totale e immediata di tutti i confini o l’immediata sospensione di tutti gli aiuti di Stato. In economia, le utopie sono spesso pericolose e i comportamenti avventati si pagano a caro prezzo. E’ però senz’altro auspicabile che il commercio mondiale si apra, massimizzando i flussi commerciali tra il nord e il sud del mondo, tra i paesi del sud, tra i paesi più sviluppati e quelli meno sviluppati. Tutto ciò va realizzato in modo equo ed equilibrato, affinché ne possano trarre vantaggio i produttori più competitivi, gli esportatori più solerti nonché una figura non meno importante ma spesso negletta: il consumatore.

L’Unione europea dev’essere all’altezza del compito di portare avanti i negoziati fino al raggiungimento di un accordo soddisfacente per i suoi Stati membri e deve assumere un ruolo guida in seno all’OMC. Se il commercio è più libero, è più libero anche il mondo.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Le questioni commerciali vanno affrontate in termini globali, ogniqualvolta ciò sia possibile, e anche se in questo momento non riusciamo a trovare un accordo, vale comunque la pena di continuare gli sforzi in quel senso. L’alternativa sarebbe infatti una palude di accordi bilaterali iniqui che andrebbero a discapito principalmente dei paesi in via di sviluppo – una tendenza che, come possiamo osservare già adesso, si sta rafforzando. E’ ovvio che per raggiungere un accordo ci vorrà più tempo, ma a breve termine abbiamo altre frecce al nostro arco, come l’agenda di Aid for Trade, che ci offre un utile strumento per operare a favore di uno sviluppo reale. Pur auspicando che si compiano passi avanti nell’ambito di questa agenda, allo stesso tempo mi auguro, naturalmente, che la Commissione continui a impegnarsi per realizzare progressi sostanziali in seno all’Organizzazione mondiale del commercio.

 
  
  

Contraffazione di medicinali (B6-0467/2006)

 
  
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  Brigitte Douay (PSE), per iscritto. – (FR) In diverse occasioni nel corso degli ultimi mesi la stampa francese ha pubblicato articoli sui danni causati all’economia dalla contraffazione di prodotti e marchi. Ciò dimostra come questo fenomeno, insieme con la globalizzazione, stia assumendo dimensioni molto allarmanti, delle quali le autorità pubbliche e i cittadini stanno gradualmente prendendo atto. Si stima che in Europa circa 100 000 posti di lavoro siano andati perduti a seguito della produzione e immissione sul mercato di prodotti contraffatti.

Ma la contraffazione di prodotti e marchi non solo costituisce una violazione dei diritti di proprietà intellettuale, può anche avere conseguenze letali quando è in gioco la salute. E’ questo il caso della contraffazione di medicinali e vaccini, che mette a repentaglio la vita di milioni di persone, soprattutto nei paesi in via di sviluppo e più in particolare in Africa.

La tutela dei consumatori è un dovere importante dell’Unione europea, la quale deve pertanto armonizzare e inasprire le proprie norme volte a contrastare questo flagello di proporzioni sempre più allarmanti, nonché contribuire a rendere più rigorosa la legislazione di paesi terzi.

Ho votato pertanto con convinzione a favore della risoluzione sulla contraffazione di medicinali.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Non ho avuto alcun problema a dare il mio appoggio alla risoluzione. La contraffazione di medicinali è la forma più grave e più amorale di contraffazione perché mette in pericolo la salute di milioni di consumatori. Il problema è avvertito in modo particolare nei paesi in via di sviluppo, dove circolano medicine prive degli essenziali principi attivi (in alcuni paesi, esse costituiscono addirittura il 50 per cento di tutti i farmaci disponibili) che vengono usate per curare patologie letali quali HIV/AIDS, tubercolosi e malaria.

Non c’è alcun motivo per cui la contraffazione di medicinali e la loro distribuzione entro o al di là dei confini di uno Stato non debba essere considerato dal diritto internazionale come un reato penale. I miei colleghi ed io vorremmo vedere un maggiore coordinamento tra gli enti nazionali e transnazionali nella lotta contro le frodi. Sono favorevole a che l’Unione europea assuma un ruolo guida nell’opera di potenziamento delle capacità di regolamentazione e controllo della qualità nel settore dei medicinali e degli apparecchi medicali che vengono venduti sui mercati dei paesi poveri di risorse.

Invito le autorità e le società farmaceutiche a continuare a garantire l’origine e la qualità dei medicinali disponibili e ad attribuire la massima importanza alla lotta contro questa pericolosa forma di frode.

 
  
  

Diritto contrattuale europeo (B6-0464/2006)

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Signor Presidente, oggi possiamo notare in quest’Aula un approccio alquanto contraddittorio. Da un lato, c’è una relazione, quella dell’onorevole Wallis, in cui si propone di aderire alla Conferenza dell’Aia per uniformare le norme sui conflitti giuridici, e questo mi sembra un approccio ottimo. Dall’altro, c’è una tendenza a uniformare le norme sostanziali del diritto contrattuale europeo. Credo che il primo tipo di approccio sia quello corretto, mentre il secondo è molto più discutibile.

Per quanto attiene al diritto contrattuale europeo, credo che dovremmo semplicemente prevedere, ad esempio, che il diritto applicabile sia quello stabilito dalle parti e che, se le parti non prendono una decisione in proposito, esso sia quello vigente nel luogo in cui è stato firmato il contratto; infine, se le parti contraenti hanno sede in luoghi diversi, il diritto applicabile sarà quello vigente nel luogo di applicazione del contratto. E’ sufficiente che la formulazione di questa semplicissima regola soddisfi i legittimi criteri di certezza giuridica, senza dover necessariamente uniformare, in modo alquanto arbitrario e autoritario, il diritto nazionale di ciascuno Stato membro.

 
  
  

Relazione in ’t Veld (A6-0252/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Le compagnie aeree che effettuano voli passeggeri negli Stati Uniti forniscono ai servizi di sicurezza americani i dati personali dei passeggeri contenuti nei Passenger Name Record (PNR), su richiesta degli stessi servizi e con la scusa della cosiddetta “guerra al terrorismo”. Questi dati comprendono 34 categorie di informazioni, tra cui: prenotazioni alberghiere e di viaggi, numeri di telefono, indirizzi di posta elettronica, indirizzi di casa e del posto di lavoro, cibi preferiti, numeri di carta di credito e molte altre ancora.

Il Parlamento ha stabilito che questo accordo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti è illegale; ne ha denunciato la mancanza di chiarezza giuridica e le violazioni per quanto riguarda la tutela dei diritti, delle libertà e delle garanzie dei cittadini, nonché la tutela dei dati personali sancita dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo. La Corte di giustizia ha confermato la valutazione del Parlamento in merito alla base giuridica, ribaltando la decisione del Consiglio con effetto dal 1o ottobre 2006.

Questa è un’altra situazione inaccettabile cui va posta fine, perché mina i diritti, le libertà e le garanzie e perché rientra nell’attuale tendenza all’eccesso di sicurezza. Tale situazione, inoltre, dimostra come la sovranità degli Stati Uniti sia prevalente rispetto a quella dei singoli Stati membri, visto che, ai sensi dell’accordo, è applicabile la legislazione presente e futura degli Stati Uniti in questa materia.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) E’ urgente e necessario che l’Unione europea e gli Stati Uniti concludano un accordo sull’uso dei dati personali dei passeggeri, in vista dell’imminente vuoto giuridico che scatterà il 1o ottobre 2006. Dobbiamo quindi essere certi di aver fatto chiarezza sui principi che intendiamo sostenere al tavolo negoziale.

La tutela dei diritti fondamentali dei nostri concittadini è senza dubbio la pietra angolare di qualsiasi negoziato in questo campo. Non possiamo tuttavia ignorare il fatto che il mondo è un luogo terrificante, nel quale la prevenzione e la lotta contro il terrorismo sono un valore e un obiettivo sempre più importante.

Se la globalizzazione, da un lato, ha aperto nuovi mondi e nuovi commerci, consentendo alle persone di esplorare nuovi territori, dall’altro ha permesso a nuovi mostri di tirare fuori gli artigli. Il terrorismo e il crimine organizzato ne sono un chiaro esempio.

Occorre adottare con urgenza provvedimenti basati su principi chiari e precisi, allo scopo di proteggere i cittadini da qualsiasi attacco alla loro vita, ai loro beni e ai loro diritti fondamentali. Sono convinto che questi sono gli stessi principi che guideranno i nostri partner al tavolo negoziale e l’accordo sarà negoziato nell’ottica di tutelare i cittadini.

 
  
  

Relazione Sifunakis (A6-0260/2006)

 
  
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  Bernadette Bourzai (PSE), per iscritto. – (FR) Desidero esprimere il mio apprezzamento per l’eccellente relazione del collega Sifunakis sulla tutela del patrimonio naturale, architettonico e culturale europeo delle regioni rurali e insulari.

In quanto rappresentante eletta di una regione rurale il cui patrimonio naturale è protetto, quello architettonico antico e quello culturale ricco, posso apprezzare l’importanza di questa relazione.

Inoltre, credo che il carattere multiforme e la forte identità del patrimonio delle nostre regioni rurali e insulari costituisca per loro un fattore di distinzione e arricchimento.

Condivido pienamente le raccomandazioni formulate nella relazione in riferimento ai provvedimenti atti a tutelare, rivalutare e promuovere in modo adeguato le piccole comunità tradizionali.

Le necessarie risorse devono provenire dai Fondi strutturali, dagli accantonamenti a favore dell’ambiente e dagli stanziamenti nazionali.

Tutte le iniziative europee, come il Premio per il patrimonio culturale dell’Unione europea e le Giornate del patrimonio europeo, vanno incoraggiate e pubblicizzate maggiormente, al fine di promuovere la diversità e la ricchezza del patrimonio europeo come fattore di coesione sociale.

Inoltre, ritengo doveroso attribuire maggiore importanza alla conservazione e alla trasmissione delle lingue, dei dialetti e delle parlate locali delle nostre regioni rurali e insulari, perché anch’essi fanno parte del nostro patrimonio.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Sifunakis sulla tutela del patrimonio naturale, architettonico e culturale europeo delle regioni rurali e insulari perché credo che il patrimonio culturale debba essere sostenuto e inserito pienamente nelle politiche e nelle risorse finanziarie dell’Unione europea attraverso il ricorso, per esempio, ai Fondi strutturali.

Dato che le aree rurali rappresentano all’incirca il 90 per cento del territorio dell’Europa allargata e costituiscono una preziosa riserva per il nostro patrimonio naturale e il nostro capitale culturale, è essenziale investire maggiormente nello sviluppo delle economie locali, nell’ottica di invertire l’attuale tendenza allo spopolamento delle aree rurali, di incoraggiare e sostenere il “turismo alternativo e sostenibile” e di tutelare il know-how locale e i mestieri tradizionali.

 
  
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  Emanuel Jardim Fernandes (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione Sifunakis (della delegazione del partito socialista greco al Parlamento europeo) sulla tutela del patrimonio naturale, architettonico e culturale europeo delle regioni rurali e insulari perché ritengo che il patrimonio storico e culturale delle regioni rurali e insulari debba contribuire in misura rilevante al rafforzamento dello sviluppo sociale ed economico di quelle aree.

Credo altresì che la relazione contenga un aspetto positivo laddove insiste sul concetto di uno sviluppo sostenibile, capace di trovare un punto d’equilibrio d’importanza vitale tra le esigenze delle comunità locali e quelle dell’ambiente, e su un approccio integrato nei confronti delle zone rurali tradizionali. Per quanto riguarda la partecipazione della società civile, mi pare opportuno sottolineare l’importanza che l’onorevole Sifunakis attribuisce alla necessità di coinvolgere le popolazioni locali nella definizione e nell’attuazione delle politiche, alcune delle quali sono citate nella relazione: studio sistematico del patrimonio culturale e creazione di un quadro giuridico per la sua tutela, finanziamento del restauro di monumenti locali e del riutilizzo di metodi agricoli tradizionali, ampio ripristino di habitat tradizionali e forme architettoniche tradizionali, trasmissione ai più giovani di competenze professionali tradizionali.

Di conseguenza, il mio voto a favore della relazione è motivato dalla sua qualità, e me ne complimento con l’onorevole Sifunakis.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Sebbene la relazione presenti alcune contraddizioni e un paio di punti che non condividiamo, abbiamo votato a favore della risoluzione finale perché riteniamo che sia importante contribuire alla tutela e alla conservazione del patrimonio culturale per mezzo dei Fondi strutturali e delle esistenti iniziative comunitarie come LEADER+, URBAN II e INTERREG III, che saranno integrate nei nuovi strumenti finanziari della politica agricola comune per il prossimo esercizio di bilancio (2007-2013).

Approviamo inoltre la proposta di invitare la Commissione ad adottare misure volte a facilitare l’accessibilità e a incoraggiare le piccole imprese, i mestieri e i commerci tradizionali nonché i costumi e le tradizioni locali per mezzo di un’ampia campagna di rivalutazione dei villaggi e delle comunità dell’Unione europea, al fine di sviluppare l’economia locale e contenere l’esodo rurale.

La Commissione e gli Stati membri sono chiamati altresì a collaborare con il Consiglio d’Europa nell’ottica di promuovere ulteriormente le comunità tradizionali e il patrimonio architettonico delle regioni rurali e insulari nell’ambito dell’iniziativa denominata Giornate del patrimonio culturale europeo, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul valore delle diverse identità culturali locali e regionali.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno ritiene che, in linea con il principio di sussidiarietà, siano gli Stati membri, le regioni e le autorità locali gli enti che possono e devono tutelare il patrimonio naturale, architettonico e culturale.

Ci siamo opposti fermamente all’artificiosa creazione di un patrimonio culturale comune a livello di Unione europea. L’idea di istituire un quadro giuridico comunitario per tutelare il patrimonio culturale nelle regioni rurali è irrealistica; il livello giusto per questo tipo di intervento è quello degli Stati membri.

Come sempre, anche in questa circostanza la commissione per la cultura e l’istruzione del Parlamento europeo si è esibita in voli pindarici. Al paragrafo 21 della bozza di relazione propone un’azione sistematica a favore delle piccole comunità tradizionali sulla falsariga del sistema delle capitali culturali, azione che comporterebbe nuovi oneri per il bilancio comunitario.

Al paragrafo 24 della bozza di relazione si propone, poi, di istituire un Anno del patrimonio culturale europeo. Il Parlamento europeo propone spesso di dedicare un anno a un determinato tema; ma sarebbe impossibile dare attuazione pratica a tutte queste proposte.

Ho quindi votato contro la relazione nel suo complesso.

 
  
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  Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Mi congratulo con l’onorevole Sifunakis per la sua importante e tempestiva relazione, che appoggio, sulla tutela del patrimonio naturale e architettonico europeo delle regioni rurali e insulari. Accolgo con particolare favore il riferimento alla necessità che l’Unione europea adotti misure comuni di tutela del patrimonio regionale; si tratta di un patrimonio architettonico e naturale cui il modo di vivere della gente ha dato forma nel corso del tempo.

La conservazione delle numerose testimonianze del patrimonio culturale costituisce la base per un ulteriore sviluppo economico e sociale che comporterà un miglioramento della tutela ambientale, delle opportunità occupazionali e dell’integrazione europea, contribuendo così a prevenire lo spopolamento e l’abbandono di quelle regioni.

 

9. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 12.40, riprende alle 15)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAURO
Vicepresidente

 

10. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

11. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto(discussione)

11.1. Sri Lanka
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sullo Sri Lanka(1).

 
  
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  Jean Lambert (Verts/ALE), autore. – (EN) Signor Presidente, sono lieta di poter intervenire questo pomeriggio, pur rammaricandomi che sia necessario un intervento, poiché mi sembra che non sia trascorso molto tempo da quando il Parlamento ha adottato una risoluzione sulla situazione nello Sri Lanka. Da allora abbiamo dovuto nuovamente assistere a una successione di scene di morte, distruzione ed esodo di sfollati, che forse non si è mai interrotta, ed è anzi ripreso quel bagno di sangue che noi tutti, in quest’Assemblea, avremmo sperato si fosse concluso per sempre.

Sono sicura che tutto il Parlamento desidera porre fine allo spargimento di sangue e auspica una soluzione pacifica per lo Sri Lanka. Possiamo essere in disaccordo sulla strada da percorrere, ma concordiamo sull’obiettivo, come la risoluzione chiaramente afferma; secondo quanto si legge nella nostra risoluzione, la responsabilità per il mancato accordo di pace ricade sugli intransigenti di entrambe le parti, che calpestano le aspirazioni della maggioranza della popolazione e si preoccupano del proprio ruolo, del proprio futuro, della propria immagine dello Sri Lanka al punto di non consentire alle forze favorevoli alla pace di lavorare per realizzarla.

L’Unione europea deve ora individuare il metodo con cui intende proseguire il proprio lavoro. Alcuni di noi ritengono che l’inclusione delle LTTE (Tigri per la liberazione della patria tamil) nell’elenco delle organizzazioni terroristiche abbia provocato una reazione del tutto prevedibile, e che l’SLMM (Missione di monitoraggio in Sri Lanka) non sia più in grado di operare a pieno regime, o con l’efficacia che noi vorremmo. Tuttavia dobbiamo procedere e guardare alla ripresa dei negoziati di pace, cui dobbiamo partecipare con tutto il nostro peso e con tutti i contatti di cui disponiamo per individuare una strada su cui proseguire. In tal modo potremo continuare un’adeguata distribuzione degli aiuti per lo tsunami, confidando in un futuro di pace per l’intero paese.

 
  
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  Marcin Libicki (UEN), autore. – (PL) Signor Presidente, non è la prima volta che ci occupiamo di questo tema; come sappiamo, lo Sri Lanka è stato spesso al centro dei dibattiti della nostra Assemblea.

Abbiamo già ripercorso la dimensione storica del problema, e di recente sono intervenuto sulle difficoltà inerenti all’assunzione di una nostra pur necessaria posizione tra le parti in conflitto: da una parte vi sono le continue sofferenze che affliggono tutte le vittime di tali conflitti, ma dall’altra non possiamo dimenticare che sul presente incidono precise vicende del passato. Non possiamo dare per scontato che queste popolazioni siano solamente le sventurate vittime dei ciechi capricci del destino.

Occorre definire con precisione chi, nello Sri Lanka, sia il padrone di casa – uso con riluttanza espressioni così controverse, ma questa è la realtà – e chi invece sia l’ospite la cui invadente arroganza nuoce al padrone di casa. Non voglio indicare singole persone, né fare riferimento a fazioni o partiti specifici, ma vorrei far notare che è impossibile esprimere giudizi sulla situazione attuale senza un’analisi specifica e senza entrare nel merito degli avvenimenti del passato; in altre parole, senza un criterio che distingua gli aggressori dalle vittime. Dopotutto, non si può definire innocente ogni vittima e colpevole chiunque abbia la meglio in un determinato momento. Naturalmente, in quanto organizzazione internazionale, il nostro primo obiettivo deve essere porre fine al più presto alle sofferenze della gente comune, ma per svolgere questo compito dobbiamo tener conto del contesto storico e riuscire a distinguere in qualche misura i torti e le ragioni. Mi sembra che la nostra Assemblea debba agire in maniera molto più decisa di quanto abbia fatto sinora.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), autore. – (NL) Signor Presidente, dopo decenni di guerra e un’attiva mediazione norvegese, i successivi governi dello Sri Lanka hanno espresso la volontà di lavorare per giungere a un accordo con il movimento ribelle delle Tigri tamil, nella prospettiva di una confederazione che impedisca ingerenze del governo centrale nella regione autonoma intorno a Jaffna, nel nordest. Purtroppo, questo lodevole intento ha suscitato contrasti politici in seno alla popolazione cingalese, una parte della quale vorrebbe indurre i ribelli tamil ad accontentarsi di risultati più modesti; inoltre le divisioni che travagliano la maggioranza della popolazione incrinano la fiducia della minoranza nella possibilità di giungere a una soluzione pacifica.

Finché la minoranza tamil non potrà contare sulla concordia politica della maggioranza cingalese, o sulle promesse che i cingalesi hanno fatto in passato, non possiamo pensare che essa attenda con pazienza che le venga fatta qualche offerta; nel frattempo, entrambe le parti hanno fatto ricorso alla violenza. Con coerenza, l’Europa deve evitare di schierarsi da una parte o dall’altra, facendo invece ogni sforzo per favorire la pace e la conciliazione.

Benché non sia stata posta fuori legge nello Sri Lanka, l’organizzazione ribelle delle LTTE figura, dal maggio 2006, nell’elenco delle organizzazioni terroristiche stilato dall’Unione europea; questo, purtroppo, rende più difficili i negoziati e incoraggia il perpetuarsi della violenza. Inserire un’organizzazione nell’elenco dei gruppi terroristici significa affermare che non si deve negoziare con essa, e anzi che bisogna fare ogni sforzo per annientarla.

Da molti anni sappiamo chiaramente che non sarà possibile eliminare o escludere le LTTE, neppure se volessimo farlo. Proprio per questo i colloqui continuano da tanti anni: essi sono necessari per la riconciliazione e la pace. Dobbiamo quindi adoperarci in tutti i modi per porre fine alla disperazione che ha indotto ancora una volta questa gente a ricorrere alla violenza.

 
  
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  Neena Gill (PSE), autore. – (EN) Signor Presidente, condanno con forza il rigurgito di violenza che si è recentemente registrato nello Sri Lanka; nel corso del fine settimana alcune imbarcazioni della marina militare governativa si sono scontrate con i ribelli delle Tigri tamil nei mari settentrionali. Siamo dunque di fronte a una nuova esplosione di violenza tra forze governative e movimento ribelle; tuttavia, come sappiamo, la violenza non serve a risolvere conflitti tanto complessi e delicati.

Da quando il Consiglio ha incluso le Tigri tamil nell’elenco dei terroristi, la situazione nello Sri Lanka è peggiorata; senza dubbio, la definizione di gruppo terroristico ha allontanato ulteriormente quel movimento dal tavolo negoziale. L’approccio che ho adottato, nella mia qualità di presidente della delegazione del Parlamento per le relazioni con i paesi dell’Asia del sud e l’Associazione per la cooperazione regionale dell’Asia del sud, intende avvicinare le due parti, che vanno ritenute ugualmente responsabili per le recenti violenze; nessuna di esse può sfuggire al biasimo, ed entrambe devono accettare la propria parte di responsabilità.

Il governo dello Sri Lanka non ha affrontato la minaccia terroristica con un approccio equilibrato; esso deve evitare con cura l’adozione di quell’approccio terroristico comunemente attribuito proprio al movimento ribelle che vorrebbe stroncare.

Gli attacchi contro scuole e ospedali nelle regioni settentrionali dello Sri Lanka non sono azioni degne di un governo responsabile, democratico e desideroso di giungere alla pace. Come ci insegna l’esperienza dei focolai terroristici di altre parti del mondo, è necessario analizzare attentamente le radici profonde di ogni conflitto; occorre affrontare le cause dei conflitti, e la maniera forte adottata dal governo non è certo un contributo positivo in questo senso.

Non dobbiamo dimenticare che vi sono state molte vittime, tra cui 17 operatori umanitari cittadini dell’Unione europea. Non possiamo più tollerare la violenza che in questa regione colpisce innocenti, ONG, agenzie e operatori umanitari; è ormai tempo che nello Sri Lanka prevalgano la saggezza e lo spirito negoziale.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE), autore. – (EN) Signor Presidente, lo Sri Lanka è un paese meraviglioso, situato in una posizione cruciale dal punto di vista economico e abitato da una popolazione operosa e intraprendente; è terribile e vergognoso dover constatare che speranze e ambizioni di una generazione di cittadini dello Sri Lanka sono state stroncate dal terrorismo. Negli ultimi anni lo Sri Lanka ha compiuto apprezzabili progressi; quanto di più si sarebbe potuto fare, dal punto di vista di un rapido sviluppo sociale ed economico, se il paese avesse goduto di stabilità e sicurezza?

Non sottovaluto certo i sentimenti dei cittadini tamil, in particolare per quanto riguarda l’iniquo trattamento che ritengono di subire, ma possiamo affermare con certezza che il terrorismo non ha minimamente migliorato le loro opportunità di vita. La popolazione di lingua tamil è molto eterogenea; su una popolazione di quattro milioni di persone, un quarto all’incirca è composto dai cosiddetti tamil delle colline, che non hanno mai avuto nulla a che fare con le LTTE, mentre un altro quarto consiste di musulmani, che certo non simpatizzano per le LTTE. Gran parte dei tamil dello Sri Lanka vive nelle regioni centrali e meridionali dell’isola, al di fuori delle zone controllate dalle LTTE; gli abitanti di quelle zone difficilmente hanno la possibilità di esprimere una sincera opinione sui terroristi che dominano la loro esistenza.

Non dubito che nel corso degli anni i tamil abbiano subito degli abusi, e che a volte le forze di sicurezza abbiano agito senza sufficiente considerazione per i comuni cittadini tamil che abitano nelle zone interessate dal conflitto. Mi rallegro quindi che il governo dello Sri Lanka si sia impegnato a indagare sulle atrocità e sulle gravi violazioni dei diritti umani; naturalmente, i responsabili delle peggiori violazioni sono i terroristi.

I diversi governi dello Sri Lanka che si sono succeduti si sono sforzati di migliorare la situazione dei tamil, formulando varie proposte di decentramento che garantirebbero alla popolazione tamil una notevole autonomia senza peraltro distruggere l’unità del paese. Una dopo l’altra, tutte queste proposte sono state respinte dall’intransigenza dei leader delle LTTE.

Con la risoluzione odierna, invitiamo tutte le parti in causa nel conflitto e nei disordini che travagliano lo Sri Lanka a fare un passo indietro. Chiediamo l’immediata, totale e verificabile cessazione delle ostilità, il rispetto dei diritti umani e l’accesso incondizionato degli operatori umanitari in tutto il paese; chiediamo inoltre al governo e all’opposizione di compiere al più presto un coraggioso gesto di riconciliazione che comprenda anche una revisione costituzionale.

Nel frattempo il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri devono raddoppiare gli sforzi per contribuire all’avvento nello Sri Lanka di una pace giusta e stabile che riporti sicurezza e prosperità; ciò significa anche colpire duramente gli agenti del terrorismo.

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE), autore. – (EN) Signor Presidente, la cessazione della violenza sembra più lontana che mai, anche per l’annullamento della seconda sessione dei colloqui di pace di Ginevra, da cui le LTTE si sono ritirate. La speranza di poter tenere ulteriori colloqui ha subito un duro colpo quando il Consiglio, il 29 maggio 2006, ha bollato le LTTE col marchio di organizzazione terroristica. Personalmente sono lieta che sia stato presentato un emendamento in questo senso, e mi rammarico che esso non figuri nella risoluzione. La messa al bando delle LTTE non fa altro che aggravare l’isolamento; ai loro membri è vietato viaggiare, e di conseguenza un’altra conferenza di Ginevra diventa impossibile.

In questa vicenda dobbiamo dar prova di realismo; possiamo condannare con forza gli attentati terroristici delle LTTE, e senz’altro li condanniamo; d’altra parte però il governo non è certo privo di colpe. Dobbiamo ricordare i 17 operatori umanitari francesi uccisi il 4 agosto 2006; le prove disponibili fanno sospettare la responsabilità delle forze di sicurezza governative, ma non conosciamo ancora la verità. Su questo fatto, come su tutte le altre violenze commesse dalle LTTE, sono necessarie ulteriori indagini da parte di una commissione di esperti in materia di diritti umani; giudico poi estremamente deplorevole che né le forze di sicurezza governative, né le Tigri tamil si curino di proteggere i civili. La persistente incertezza sul concreto svolgimento di questi episodi nonché sulle responsabilità dei presunti crimini di guerra e di altre violazioni del diritto internazionale alimenta paura e panico tra la popolazione civile. Occorre un’operazione di monitoraggio forte ed efficace, che però deve avere l’appoggio del governo, delle LTTE, delle Nazioni Unite e dei suoi membri.

 
  
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  Thomas Mann, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, il cessate il fuoco vigente dal 2002 nello Sri Lanka è stato ripetutamente violato. A metà giugno, l’attentato più grave ha provocato 60 vittime; il governo ne ha addossato la responsabilità alle LTTE. All’inizio di agosto sono stati assassinati alcuni operatori umanitari dell’organizzazione francese Action Against Hunger intervenuti a seguito dei danni provocati dallo tsunami, mentre a metà dello stesso mese si sono registrati più di 100 feriti e 61 morti, tutti bambini e giovani: un autentico massacro, perpetrato – a quanto sembra – dalle forze di sicurezza governative.

Le vicende del 2006 mi ricordano quelle del 2001. Ci trovavamo a Jaffna con la delegazione della SARC, e abbiamo potuto constatare gli effetti della guerra civile: villaggi distrutti, territori devastati dagli incendi, decine di migliaia di profughi smarriti e disperati. In occasione dei colloqui con il governo e l’opposizione, con le organizzazioni per i diritti umani, i musulmani e i buddisti abbiamo sempre sostenuto l’iniziativa di pace della Norvegia; anche quest’anno i norvegesi hanno cercato di mediare, ma hanno fallito.

Non si possono nascondere i fatti: le LTTE sono responsabili degli attentati dinamitardi contro i civili, hanno bloccato per mesi gli impianti idrici e si sono rifiutate di rinunciare al reclutamento di bambini soldato.

Vi sono però anche aspetti positivi: due partiti tamil hanno deciso di entrare nel governo di coalizione, il Presidente è disposto a far indagare l’esercito e la polizia sulle violazioni dei diritti umani, e in molti esponenti politici si fa strada la consapevolezza della necessità di sottrarre la popolazione tamil alla situazione di emarginazione e discriminazione in cui si sente relegata. Speriamo che le buone notizie si moltiplichino e si facciano invece più rare le segnalazioni di atrocità; lo Sri Lanka, che è una delle più antiche democrazie dell’Asia, se lo merita!

 
  
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  Robert Evans, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, come sappiamo questo punto all’ordine del giorno riguarda i dibattiti sulle violazioni dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto. Attualmente la situazione nello Sri Lanka è tragica, e le violazioni dei diritti umani sono state frequentissime. La proposta di risoluzione fa riferimento all’opera della Missione di monitoraggio in Sri Lanka; quest’organismo indipendente ha attribuito alle LTTE la responsabilità dell’attentato del 15 giugno, incolpando invece il governo – come ha ricordato l’onorevole Lynne – per la morte dei 17 operatori umanitari assassinati a Muttur all’inizio di agosto.

Tutto ciò dimostra la gravità della situazione. Purtroppo, però, alcuni dei partecipanti al dibattito, sia stasera che in altre occasioni, cercano di addossare tutte le responsabilità all’uno o all’altro dei due contendenti. Dobbiamo ammettere che in qualsiasi situazione di conflitto gravi colpe ricadono su entrambe le parti, e in realtà le reazioni dei militari sono state spesso sproporzionate. Quello che era iniziato come un limitato contrasto locale in materia di approvvigionamento idrico ha ormai causato centinaia di vittime, costretto all’esodo migliaia di persone e trascinato il paese sull’orlo della guerra civile.

Tutte le parti in causa – le LTTE, il colonnello Karuna e il governo dello Sri Lanka – devono comprendere che una soluzione militare è impossibile, mentre negoziati di pace senza condizioni preliminari rappresentano l’unica strada da percorrere; in tale spirito l’emendamento n. 5 cerca di mantenere aperta l’opzione negoziale. Tutti accettano la presenza delle LTTE, eppure l’Unione europea, mettendole al bando, si è completamente lavata le mani dei negoziati.

Permettetemi una precisazione: il fatto che io abbia svolto queste considerazioni, analoghe del resto a quelle proposte dalle onorevoli Lynne e Lambert e dall’onorevole Meijer, non ci trasforma in terroristi o apologeti del terrorismo. Significa solamente che dobbiamo tenere aperta la strada dei negoziati; allo stesso modo, come si afferma nell’emendamento n. 4, dobbiamo fare ogni sforzo per aiutare i cittadini comuni dello Sri Lanka, le cui lunghe sofferenze meritano ora una soluzione pacifica.

 
  
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  Marios Matsakis, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, nello Sri Lanka continua un tragico bagno di sangue, la cui responsabilità ricade sia sul governo che sulle forze tamil. Le prove raccolte dall’SLMM dimostrano che le forze governative hanno massacrato 17 operatori umanitari, mentre le LTTE hanno fatto esplodere un autobus, provocando la morte di 64 civili, e l’aeronautica militare dello Sri Lanka ha bombardato un istituto nel nord del paese, uccidendo 51 bambini e giovani.

A breve termine occorre istituire urgentemente una commissione indipendente che indaghi sulle esecuzioni extragiudiziali, sulle persone scomparse e sui rapimenti verificatisi di recente nel paese; nel lungo periodo dobbiamo ribadire l’appello, già formulato dal Parlamento europeo nella sua ultima risoluzione, a favore di un ampio accordo in materia di diritti umani tra le parti che si fronteggiano nella guerra civile, accordo che occorre agevolare con l’istituzione di un’efficiente missione internazionale indipendente di monitoraggio. Le carenze dell’SLMM ci insegnano che, se desideriamo che i diritti umani costituiscano una valida base per un’equa e duratura soluzione del conflitto, tale organismo dev’essere dotato di concreti meccanismi di applicazione e di illimitata facoltà di accesso sia alle zone controllate dal governo, sia a quelle controllate dalle LTTE.

Auguriamoci che venga individuata al più presto una soluzione politica accettabile per le comunità minoritarie dello Sri Lanka, in modo che violenza e povertà scompaiano, sostituite da una pace duratura e dalla prosperità.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, nello Sri Lanka – ossia Ceylon – cingalesi e tamil convivono da più di 2 000 anni: nell’isola esistevano regni cingalesi prima della fondazione di Roma, prima dei Cesari, prima della nascita di Cristo, ed esistevano altresì regni tamil nell’India meridionale. E’ quindi ancor più tragico che nel XXI secolo la situazione di quel paese sia divenuta così esplosiva; dobbiamo però ammettere che anche noi europei, nell’epoca coloniale, abbiamo contribuito a inasprire la situazione, con la politica degli insediamenti, gli interessi dei proprietari delle piantagioni e molti altri fattori.

Oggi invece dovremmo contribuire, ed è questo il punto decisivo, a una soluzione pacifica; ma a una soluzione pacifica si potrà giungere soltanto distinguendo tra le esigenze reali della popolazione e l’attività dei terroristi. I terroristi non desiderano una soluzione, né la desiderano i centri di potere e gli estremisti, perché il loro potere personale si fonda sul conflitto etnico; il conflitto etnico, di per sé, si potrebbe sicuramente risolvere.

Dal momento che oggi la nostra Assemblea è presieduta da un collega italiano, colgo quest’occasione per ricordare l’ammirevole modello di relazioni realizzato fra italiani e sudtirolesi, che si è dimostrato vantaggioso per entrambe le parti; da un siffatto modello di autonomia trae vantaggio non solo la minoranza, ma anche la maggioranza.

Mi sembra ormai giunto il momento di introdurre un analogo modello di autonomia anche nello Sri Lanka, considerata la drammatica situazione di quel paese. Giudico quindi positivamente l’equilibrata risoluzione che ci viene proposta, e naturalmente sostengo gli emendamenti presentati dal nostro gruppo. Mi rammarico però che, in qualche misura, sia sorta tra i gruppi una contesa ideologica, che ha impedito al Parlamento di affrontare questo delicato problema con quello spirito unitario che avrebbe notevolmente aumentato la nostra influenza presso i partiti coinvolti nella guerra civile dello Sri Lanka.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). (PL) Signor Presidente, durante le ultime settimane nello Sri Lanka si sono riaccesi duri scontri tra i guerriglieri tamil e le forze governative. Solo nel 2006, questa crudele spirale di violenza è costata la vita a oltre 800 persone. Il debole sistema giudiziario dello Sri Lanka non ha saputo contrastare le frequenti violazioni dei diritti umani, né l’assassinio di rappresentanti di organizzazioni umanitarie o il reclutamento di bambini soldato.

Le due parti in conflitto – il governo a Colombo e le Tigri tamil – si rinfacciano a vicenda la responsabilità di aver infranto gli accordi; il progressivo intensificarsi degli scontri rischia di portare alla guerra civile. I rappresentanti della missione di pace delle Nazioni Unite sono stati costretti a lasciare il paese il 1° settembre, in quanto le Tigri tamil non erano in grado di garantirne la sicurezza. Desta particolare preoccupazione il fatto che l’inasprirsi del conflitto ostacoli anche lo sviluppo economico, in quanto impedisce di far giungere gli aiuti alle vittime dello tsunami.

Occorre quindi dedicarsi con particolare energia all’applicazione del piano umanitario dell’ONU, che prevede di integrare i fondi già stanziati. Di fronte all’ampliarsi del conflitto la comunità internazionale deve esortare entrambe le parti a deporre le armi e ad avviare negoziati in vista di un accordo. Non si possono più tollerare questi attacchi, che provocano quotidianamente la morte di civili innocenti.

 
  
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  Marianne Mikko (PSE). (ET) Onorevoli colleghi, nella mia qualità di membro della delegazione del nostro Parlamento per le relazioni con i paesi dell’Asia del sud, considero lo svanire dei risultati già raggiunti nello Sri Lanka un’esperienza drammatica anche dal punto di vista personale. L’attentato terroristico perpetrato dalle Tigri tamil il 15 giugno è particolarmente esecrabile, così come l’assassinio degli operatori umanitari commesso a Muturi da forze governative.

Per meritarsi la fiducia reciproca, le parti in causa devono riuscire a impedire simili episodi. Per uscire da questa situazione di stallo è assolutamente necessario rispettare i diritti umani e porre il benessere della popolazione al di sopra di qualsiasi altra considerazione. In questo momento, ristabilire il cessate il fuoco rappresenta la massima priorità, ma il semplice congelamento del conflitto non è di certo una soluzione. Come presidente della delegazione alla commissione di cooperazione parlamentare UE-Moldavia, me ne rendo conto ogni giorno: in quel paese il congelamento del conflitto – mi riferisco al regime illegale della Transnistria – ha fatto della Moldavia il paese più povero d’Europa.

Nonostante gli insuccessi, l’Unione europea non deve perdere di vista i propri obiettivi a lungo termine. L’inserimento delle Tigri per la liberazione della patria tamil (LTTE) nell’elenco delle organizzazioni terroristiche è stato una decisione corretta dal punto di vista tecnico, ma in pratica si è rivelato una scelta sbagliata. Di conseguenza la Missione di monitoraggio in Sri Lanka (SLMM) ha visto in gran parte compromesse le proprie capacità operative. L’Unione europea deve fare ogni sforzo affinché i colloqui nello Sri Lanka vengano portati avanti a parole e non a pallottole; è un compito che è – e deve essere – alla nostra portata.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) La Commissione europea assiste con profonda preoccupazione alla spirale di violenza che sta gravemente indebolendo l’accordo per il cessate il fuoco e il processo di pace nello Sri Lanka. Negli ultimi mesi le ostilità fra le LTTE e l’esercito dello Sri Lanka si sono intensificate in maniera allarmante; occorre evitare a ogni costo lo scatenarsi di una guerra su vasta scala, e le parti in causa devono nuovamente impegnarsi a rispettare il cessate il fuoco.

La Commissione ha invitato ripetutamente entrambe le parti a fare ogni sforzo per evitare un’ulteriore escalation della violenza e la perdita di altre vite umane. Insieme ai paesi copresidenti della Conferenza dei donatori di Tokyo sullo Sri Lanka, la Commissione ha più volte ribadito che il conflitto etnico nello Sri Lanka non può essere risolto con la violenza; le sofferenze inflitte ai civili innocenti sono intollerabili.

La Commissione europea è fortemente preoccupata per il deteriorarsi della situazione dei diritti umani nel paese; condividiamo l’inquietudine espressa nella proposta di risoluzione in merito alle recenti violazioni, e consideriamo con preoccupazione l’atmosfera di impunità e mancato rispetto dei diritti umani che si osserva da ambo le parti.

La Commissione è rimasta particolarmente scossa per l’atroce massacro dei 17 operatori umanitari dell’ONG Action contre la faim, e ha invitato le autorità dello Sri Lanka ad avviare immediatamente un’approfondita inchiesta su questa strage nonché a garantire il proprio incondizionato impegno per la creazione nel paese di uno spazio umanitario sicuro. L’annuncio, da parte del presidente dello Sri Lanka Mahinda Rajapaksa, dell’intenzione – che noi sosteniamo – di invitare una commissione internazionale indipendente costituisce un positivo passo avanti, cui dovranno seguire azioni concrete.

Continuiamo a seguire con estrema attenzione la situazione dello Sri Lanka ed apprezziamo che, con questa proposta di risoluzione, il Parlamento voglia incoraggiare entrambe le parti al pieno rispetto dei diritti umani.

Questi nuovi sviluppi rivestono grande importanza per l’Unione europea, nella sua qualità di copresidente della Conferenza dei donatori di Tokyo; il 12 settembre a Bruxelles avrà luogo una riunione dei copresidenti, in occasione della quale la Commissione europea si attiverà per inviare a entrambe le parti un forte messaggio, chiedendo di impegnarsi a ricercare una soluzione negoziata e pacifica del conflitto, nel pieno rispetto dei diritti umani.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà al termine della discussione.

 
  

(1) Vedasi processo verbale.


11.2. Richiedenti asilo in provenienza dalla Corea del Nord, in particolare in Tailandia
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca in discussione cinque proposte di risoluzione sui richiedenti asilo in provenienza dalla Corea del Nord, in particolare in Tailandia(1).

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), autore. – (NL) Signor Presidente, in più di sessant’anni di isolamento la Corea del Nord ha sviluppato un modello di governo e uno stile di vita praticamente privi di paragoni su questa terra; è anche evidente che questo regime è più interessato ai missili e alle bombe atomiche che a un’adeguata produzione di generi alimentari. Coloro che ormai considerano intollerabile questa situazione sono però chiusi in trappola, poiché il confine con la Corea del Sud è ancora permanentemente sbarrato.

Il paese limitrofo, la Cina, non offre soluzioni migliori, poiché rispedisce tutti i profughi in patria, a subire un’inevitabile e durissima punizione per il proprio reato: di chi viene rimandato in Corea si perde ogni traccia. Occorre quindi garantire un’alternativa a coloro che vogliono abbandonare il paese; attualmente, costoro riparano in paesi poveri come il Vietnam e la Cambogia, ma anche, sempre più spesso, in Tailandia, nazione assai più prospera che dovrebbe essere in grado di fornire provvisoriamente una decorosa accoglienza a piccoli gruppi di persone.

Benché l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati riconosca loro lo status di rifugiato, il governo tailandese li considera anzitutto immigrati illegali; di conseguenza, dopo tutte le sofferenze che hanno dovuto patire, essi subiscono anche una condanna a 30 giorni di carcere nonché una multa, assai pesante in rapporto alle loro condizioni. La Tailandia dovrebbe invece ospitarli in maniera adeguata e consentire a quelli che lo desiderano di trasferirsi in Corea del Sud, o in qualsiasi altro paese sia disposto ad accoglierli.

Ci auguriamo che la Tailandia voglia applicare gli standard considerati normali in Europa, oggi forse applicati con scarsa coerenza, ma nondimeno tradizionali. Se la Tailandia desidera essere una democrazia – compito non facilissimo, occorre dirlo – è questo il trattamento che deve riservare ai rifugiati.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE), autore. – (DE) Signor Presidente, ben prima del 1989 il collega Albert Deß e io combattevamo già contro la cortina di ferro, contro la divisione della Germania e dell’Europa.

Allora molti ritenevano che questo sogno fosse un’illusione, proprio come oggi giudicano un’illusione la riunificazione della Corea. Tali infatti sono le apparenze: una dittatura saldamente al potere, dotata per di più di armi atomiche, opprime brutalmente la popolazione del proprio paese. Noi comunque non smetteremo di batterci per la libertà e la riunificazione della Corea; ma fino a quando non sarà possibile raggiungere questo traguardo, dobbiamo tutelare coloro che in quel paese sono vittime di persecuzioni.

In tali circostanze, credo che la Tailandia debba tener fede alla nobile tradizione cui si ispirò alcuni decenni or sono nei confronti di milioni di cambogiani. Si tende a dimenticare che moltissimi cambogiani riuscirono a sopravvivere al regime di terrore dei khmer rossi proprio perché fu la Tailandia, con l’aiuto dell’Europa, a offrire loro aiuto e protezione. E quello che fu possibile fare allora per milioni di cambogiani, dovrebbe essere possibile ora per alcune migliaia di nordcoreani perseguitati dal comunismo. In tale spirito il mio gruppo sostiene la risoluzione in esame.

 
  
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  Marcin Libicki (UEN), autore. – (PL) Signor Presidente, indubbiamente esistono ancora due dittature comuniste; per la loro stessa natura, i regimi comunisti non possono essere altro che dittature. Mi riferisco a Cuba e alla Corea del Nord; il mondo deve fare ogni sforzo per eliminare questi due regimi comunisti.

Oggi discutiamo della situazione dei rifugiati nordcoreani. Non si tratta di immigrati spinti da motivi economici. Sappiamo perfettamente che molti paesi desiderano spesso tutelarsi contro l’arrivo di immigrati economici. Tuttavia rispedire in patria tali immigrati, per doloroso che sia, significa soltanto restituirli alla loro disgraziata situazione economica. Riconsegnare un rifugiato politico vuol dire invece esporlo ai pericoli più terribili. Di conseguenza, il primo dovere della comunità internazionale è quello di impedire che anche un solo rifugiato sia rimandato in Corea del Nord: la sorte che lo attenderebbe laggiù è così orribile da sfidare ogni immaginazione. Questo dev’essere quindi il principale obiettivo di ogni nostra azione.

 
  
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  Paulo Casaca (PSE), autore. – (PT) Ci troviamo effettivamente di fronte a una delle più feroci dittature del pianeta: una dittatura che, non paga di aver trasformato il proprio paese in un enorme campo di concentramento, con il suo programma nucleare ora minaccia il mondo intero.

In questa situazione, e benché io stesso e tutti noi, come l’onorevole Posselt, ci auguriamo naturalmente con tutto il cuore la fine di questa divisione e la fine della Corea del Nord così come esiste oggi, non possiamo comunque aspettare per offrire la massima solidarietà ai profughi della Corea del Nord.

Quello che chiediamo alle autorità tailandesi è un minimo di giustizia, di umanità e di dignità; chiediamo loro di non criminalizzare persone che in realtà sono vittime di una feroce dittatura, ma di prestare loro tutto l’aiuto possibile. Ci appelliamo inoltre alle Istituzioni europee perché cooperino nell’assistenza ai profughi della Corea del Nord.

 
  
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  Marco Cappato (ALDE), autore. – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, si tratta effettivamente di un episodio molto grave, segno di una situazione di una portata amplissima, come già i colleghi hanno sottolineato e si afferma nel testo di risoluzione; non mi quindi rimane che chiedere al Commissario, al Vicepresidente Frattini, i modi, le possibilità, per sollevare il problema, in particolare in occasione del Vertice ASEM.

Il problema riguarda la Corea del Nord, naturalmente anche la Tailandia, riguarda ovviamente noi come Unione europea e l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Ho l’impressione, non so cosa ne pensa il Commissario, che troppo spesso in quella regione del mondo, e non solo in quella regione, l’Alto Commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite tende ad avere paura di prendere posizioni che possono risultare, come dire politiche – il caso per esempio delle minoranze "montagnard" del Vietnam – inoltre molti sono gli altri casi in cui l’ONU sembra prudente nel garantire, nell’assicurare, l’effettivo rispetto dello status di rifugiato, perché ha paura che ciò possa essere inteso negativamente dai governi o dai regimi dell’area.

In materia l’Unione europea può giocare un grande ruolo per dare coraggio alle istituzioni internazionali e in particolare all’ONU; per garantire, assegnare, consentire lo status di rifugiato laddove ve ne sono le condizioni. Ovviamente sul caso della Corea del Nord sono d’accordo con quello che dicevano i colleghi prima, si tratta chiaramente di migrazioni non semplicemente economiche, è il risultato o il prodotto di una delle peggiori e più violente dittature ancora rimaste sulla faccia del pianeta.

 
  
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  Marios Matsakis, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, la Corea del Nord è divenuta in breve tempo il simbolo dell’anacronistica arretratezza degli Stati comunisti. Negli ultimi anni, il brusco deterioramento del livello di vita e l’intollerabile repressione con cui un regime totalitario sempre più violento colpisce la popolazione hanno spinto decine di migliaia di nordcoreani ad abbandonare il proprio paese per cercare un destino più benigno.

La Tailandia, in particolare, è ormai una delle principali destinazioni di transito per i profughi nordcoreani. Purtroppo, abbiamo dovuto constatare che negli ultimi tempi le autorità tailandesi hanno preso a trattare i richiedenti asilo nordcoreani in maniera inaccettabile, infliggendo loro l’arresto, pesanti multe, il carcere e il rimpatrio. Quest’atteggiamento contrasta con la celebrata tradizione di ospitalità che contraddistingue la Tailandia, e viola gli obblighi sottoscritti dalla Tailandia in base alla Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati.

Invitiamo il governo tailandese a rispettare i diritti dei richiedenti asilo nordcoreani e a collaborare senza remore con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Chiediamo inoltre al Consiglio e alla Commissione di seguire da vicino la situazione dei rifugiati nordcoreani.

 
  
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  Kathy Sinnott, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, il regime della Corea del Nord è uno dei più oppressivi al mondo. A quanto ci risulta, questo Stato prigione viene governato nella peggiore tradizione stalinista, in un intreccio di fame, terrore e indottrinamento. Leggendo degli orrori che hanno caratterizzato passati regimi di Pol Pot e di Stalin, sono tormentata dal pensiero che la medesima situazione si ripeta nell’odierna Corea del Nord.

E’ comprensibile che la gente rischi la vita pur di abbandonare un paese simile; se migliaia di persone sono riuscite a fuggire, quante altre migliaia sono morte nel tentativo? Gran parte dei cittadini nordcoreani hanno i requisiti previsti per lo status di “persona meritevole di particolare protezione” indicato dalle Nazioni Unite; se riescono a fuggire, essi hanno diritto a ricevere l’aiuto e la tutela di cui hanno bisogno. Solo poco tempo fa, dopo lo tsunami, la Tailandia ha potuto sperimentare la solidarietà del resto del mondo; ora essa deve dimostrare analoga solidarietà astenendosi dall’infliggere vessazioni ai nordcoreani che raggiungono faticosamente le sue frontiere, ma gli altri paesi, a loro volta, devono aiutare la Tailandia a sopportare quest’onere.

L’UE e gli Stati europei devono garantire la propria disponibilità, offrendo accoglienza e risorse. Ricordo al Parlamento che, alla fine della Seconda guerra mondiale, i paesi dell’Europa occidentale, riconsegnarono i soldati polacchi usciti dai campi di prigionia tedeschi a Stalin, il quale li condannò a una rapida morte o a una lenta agonia nei gulag siberiani. La tragica situazione della Corea del Nord ci offre ora l’opportunità di riparare alla terribile ingiustizia che commettemmo allora nei confronti dei prigionieri di guerra polacchi. Aiutando i richiedenti asilo nordcoreani, salvandoli da un rimpatrio che significherebbe carcere, lavori forzati o morte, salderemo un vecchio debito e prenderemo la decisione più giusta.

 
  
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  Marek Aleksander Czarnecki (NI). (PL) Signor Presidente, non è questa la prima volta che ci occupiamo della Corea del Nord, e purtroppo devo notare con rammarico che negli ultimi anni in quel paese si sono verificati ben pochi miglioramenti: le violazioni dei diritti umani continuano su vasta scala.

Oggi discutiamo il problema dei rifugiati, costretti dalla fame e dalla repressione che imperversano nel loro paese a prendere la più difficile di tutte le decisioni: abbandonare la patria, spesso rischiando la vita. La Tailandia, in particolare, sta diventando per molti di loro una destinazione di transito, ma le autorità tailandesi – che mantengono relazioni amichevoli con la Corea – preferiscono applicare a queste persone la legge sugli immigrati illegali, e anzi vi ricorrono senza esitare.

Esorto il governo tailandese, noto per il suo spirito di ospitalità, a non rimandare questi profughi nel loro paese – dove andrebbero incontro, insieme alle proprie famiglie, a persecuzioni intollerabili – ma a inviarli in un altro paese.

Non dobbiamo permettere che queste persone siano preda del regime nordcoreano.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, conoscete bene la triste vicenda dei moltissimi cittadini nordcoreani richiedenti asilo, il cui ultimo capitolo riguarda ora la Tailandia.

La Commissione si rammarica profondamente che questi profughi non abbiano ricevuto un trattamento conforme al diritto umanitario internazionale, ed esorta le autorità tailandesi a rispettare, com’è loro abitudine, il principio di non respingimento, nonché a garantire ai profughi un trasferimento sicuro in un paese terzo che possa ospitarli. Ci auguriamo che l’esito dei colloqui in corso fra la Tailandia, le autorità sudcoreane e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati preveda, nei prossimi giorni, il trasferimento di queste persone nella Corea del Sud o in un altro paese terzo. In tale contesto, vorrei ricordare che desta grande preoccupazione anche la situazione dei rifugiati hmong, giunti in Tailandia dal Laos.

Le richieste di asilo da parte dei nordcoreani sono il sintomo e non la causa di un problema arcinoto: il regime antidemocratico della Repubblica democratica popolare di Corea, che ha portato alla diffusione della povertà, al collasso dell’economia e a una preoccupante situazione in materia di diritti umani.

L’Unione europea ha sviluppato con la Corea del Nord una politica di impegni che prevede aiuti umanitari – circa 345 milioni di euro di assistenza europea erogati dal 1995 –, contatti personali e contatti a livello direttoriale nell’ambito della troika, estesi anche ai diritti umani. Nel novembre 2005 le Nazioni Unite hanno adottato una risoluzione sui diritti umani che, fra gli altri argomenti, toccava anche il tema del rimpatrio dei cittadini nordcoreani; tale risoluzione ha suscitato la collera dei nordcoreani, che hanno sospeso gli aiuti umanitari, ripresi poi solo pochi mesi fa.

L’Unione europea continuerà a sostenere i colloqui a sei e proseguirà nella sua politica di impegni, con l’obiettivo di conseguire a miglioramenti pratici e di affrontare le cause del problema.

A nome della mia collega, signora Ferrero-Waldner, posso assicurarvi che la Commissione continuerà a seguire da vicino la vicenda dei rifugiati che si trovano in Tailandia, nel contesto del dialogo UE-Asia, come ha appena ricordato l’onorevole Cappato.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà al termine della discussione.

 
  

(1) Vedasi processo verbale.


11.3. Zimbabwe
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca in discussione cinque proposte di risoluzione sullo Zimbabwe(1).

 
  
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  Jaromír Kohlíček (GUE/NGL), autore. – (CS) Onorevoli colleghi, l’odierno Zimbabwe è l’ex Rhodesia del Sud. Il regime al potere in quel paese viene considerato in tutta Europa una dittatura estremamente dura. Dopo la presa di potere degli attuali governanti, gli agricoltori sono stati subito cacciati dalle loro aziende, e il paese rischia costantemente di precipitare nella carestia. Quindi, il governo Mugabe ha invitato i bianchi, discendenti dei colonialisti, a tornare nel paese; ha restituito loro le aziende agricole, e la situazione è rapidamente migliorata. Oggi, però, costoro vengono ancora una volta gradualmente espulsi, o addirittura assassinati, benché il governo non abbia neppure avviato un programma di formazione che insegni ai lavoratori agricoli le basi di un’agricoltura razionale. Allo stesso modo, non vi è sostegno per le cooperative o per l’acquisto di attrezzature adeguate. Sono questi i più gravi problemi dell’economia.

La proposta di risoluzione affronta i problemi politici, e contiene un certo numero di proposte insoddisfacenti e in qualche caso discutibili. Sono fermamente contrario alla ridicola richiesta, rivolta al Sudafrica, di boicottare lo Zimbabwe in occasione della prossima Coppa del mondo di calcio. Si tratta forse di uno scherzo? Non capisco neppure perché, nel sostenere il considerando D, gli autori sostengano che la principale opposizione politica si è purtroppo divisa in due fazioni nell’ottobre 2005; se quest’osservazione vuole addossare qualche responsabilità a Mugabe, non comprendo la sostanza dell’accusa. Se proprio vogliamo renderci ridicoli, chiediamo agli stregoni del luogo di prosciugare i fiumi e far scomparire le cascate Vittoria.

Un’altra osservazione sul punto 5. Anche in alcuni Stati membri la partecipazione alle elezioni è stata estremamente bassa, tuttavia non riconosciamo forse ugualmente la legittimità dei rappresentanti eletti, deputati al Parlamento, senatori, e alcuni dei nostri colleghi di quest’Assemblea? Devo dire che questo punto della risoluzione mi ha lasciato davvero sbigottito. Il gruppo GUE/NGL si asterrà dal voto sull’adozione della risoluzione.

Concludo con una domanda per il Commissario: signor Commissario, quale sostegno offriamo al governo del Sudafrica, che esortiamo a garantire un trattamento migliore ai rifugiati dallo Zimbabwe?

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE), autore. – (EN) Signor Presidente, da più di sei anni il Parlamento invoca con coerenza una decisa azione tesa a ottenere un miglioramento nello Zimbabwe, ma in quel paese continuiamo ad assistere alle indicibili sofferenze di milioni di persone comuni; ogni giorno esse devono subire le conseguenze di una feroce oppressione politica e di un’economia allo sfascio, devono sopportare la mancanza dei più importanti generi alimentari, di acqua e di medicinali. Il programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite prevede quest’anno di fornire aiuti a quasi quattro milioni di persone colpite da malnutrizione: più di un terzo della popolazione.

L’HIV/AIDS ha avuto effetti devastanti sul paese: un adulto su cinque è affetto da HIV, più di un milione di bambini ha perduto i genitori a causa dell’AIDS; la disoccupazione riguarda il 70 per cento della popolazione. Nei suoi 26 anni di indipendenza lo Zimbabwe non ha mai conosciuto un momento peggiore dal punto di vista politico ed economico; l’azione intrapresa dalla comunità internazionale è stata nel migliore dei casi timida, e non ha dimostrato l’impegno necessario a incidere realmente sulla situazione dello Zimbabwe.

Il Sudafrica dovrebbe essere in prima linea nell’azione con cui la comunità internazionale vuole spingere il regime di Mugabe a fare concessioni democratiche; temo però che la diplomazia morbida del Presidente Mbeke non abbia ottenuto risultati tangibili. Grazie alle sue ingentissime forniture di energia elettrica, granturco e crediti, il Sudafrica disporrebbe di un efficacissimo strumento di pressione sul regime di Mugabe; non se ne è servito.

Sembra oggi che la Cina nutra un rinnovato interesse per molte regioni dell’Africa, tra cui anche lo Zimbabwe. A quanto pare, il governo cinese non si fa scrupolo di sostenere regimi tirannici, cui fornisce volentieri armi di oppressione, in cambio dell’accesso alle risorse naturali. Noto scarsissimi segni di uno sforzo diplomatico, da parte dell’Unione europea o dei governi degli Stati membri, per chiudere le fonti di sostegno internazionale che mantengono Mugabe al potere; l’UE è stata tutt’altro che severa nell’applicazione del regime di sanzioni che essa stessa aveva istituito, e non sorprende quindi che Mugabe non si curi affatto di queste iniziative.

Se la comunità internazionale intende davvero affrontare la drammatica situazione dello Zimbabwe, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve avviare con urgenza un’inchiesta sulle condizioni del paese. Se non conferiamo alla questione dello Zimbabwe una priorità più alta il regime di Mugabe continuerà a trascinarsi fino al totale collasso del paese; un collasso da cui lo Zimbabwe non potrà riprendersi senza un’immensa opera di assistenza internazionale. Un’azione immediata della comunità internazionale potrebbe contribuire a evitare tale eventualità.

 
  
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  Karin Scheele (PSE), autore. – (DE) Signor Presidente, questa non è la prima volta che discutiamo una risoluzione sullo Zimbabwe, ma devo ammettere che alcune di quelle che abbiamo discusso in passato avevano un contenuto più soddisfacente.

Anche nell’ambito della nostra cooperazione con gli Stati ACP, la mancanza di democrazia e le massicce violazioni dei diritti umani che caratterizzano lo Zimbabwe – assieme alla pesante crisi economica e alla carenza di generi alimentari, alla disoccupazione e all’iperinflazione che la accompagnano – hanno spesso dato origine a critiche e discussioni. Se pensiamo a tutti i problemi che affliggono il paese un tempo noto come “il granaio dell’Africa”, non possiamo fare a meno di menzionare i molti coraggiosi che, in un clima di pesante oppressione, continuano a denunciare gli abusi che si verificano.

Le risoluzioni che adottiamo devono proporsi di rafforzare e incoraggiare proprio queste persone, che lottano per la libertà, la democrazia e lo sviluppo. Non credo che la risoluzione odierna possa servire a tale scopo, e mi sembra semplicemente sbagliato, in una risoluzione che si occupa di un problema urgente, fare riferimento alla Coppa del mondo di calcio che si svolgerà nel 2010.

A partire dal 13 settembre – ed è questo che rende urgente la questione – i sindacati e altre associazioni organizzeranno grandi dimostrazioni su scala nazionale per attirare l’attenzione sulla crescente miseria della popolazione, chiedendo un salario minimo superiore alla soglia di povertà nonché la responsabilità sociale da parte del governo. Il Presidente Mugabe ha già fatto sapere che ognuna di queste manifestazioni verrà repressa.

E’ importante per noi garantire che queste proteste pacifiche, che mettono in luce le terribili condizioni di vita del popolo dello Zimbabwe, possano svolgersi senza subire i soprusi della polizia; inoltre, signor Commissario, tenendo conto delle strutture esistenti nella regione, dovremmo riflettere sulla possibilità di inviare osservatori per garantire il diritto di manifestare ed esprimere liberamente le proprie opinioni.

 
  
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  Marcin Libicki (UEN), autore. – (PL) Signor Presidente, lo Zimbabwe ci dimostra che talvolta gli aspetti più negativi della decolonizzazione riescono a prevalere. Come ha ricordato la collega che mi ha preceduto, vi fu un tempo in cui la Rhodesia del Sud – l’odierno Zimbabwe – era il granaio di una vasta parte dell’Africa; oggi non riesce neppure a sfamare i propri abitanti.

Abbiamo osservato questi aspetti negativi della decolonizzazione in molti paesi – soprattutto africani – in cui l’avvento al potere di forze politiche perverse e irresponsabili ha prodotto le peggiori conseguenze per Stati apparentemente destinati a godere della libertà dal dominio coloniale, le cui popolazioni sono invece state trascinate nell’abisso. La proposta, ora formulata dal leader dello Zimbabwe, di rendere le aziende agricole agli antichi proprietari, giunge troppo tardi e non ispira la minima fiducia.

A mio avviso, dovremmo compiere ogni possibile sforzo per garantire aiuti umanitari e assistenza nel settore dell’istruzione; non vedo altra via d’uscita né altro possibile corso d’azione.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), autore. – (ES) Signor Presidente, la crisi politica e la situazione dei diritti umani nello Zimbabwe rappresentano un grave e allarmante problema; a questo quadro dobbiamo aggiungere il peggioramento delle condizioni di vita e il diffondersi della povertà. Vorrei però concentrare il mio intervento su un aspetto specifico che viene anch’esso menzionato, e che rappresenta d’altronde un tema d’attualità di cui spesso discutiamo nel corso di questi dibattiti sui temi urgenti: la libertà d’espressione.

Proprio ieri, nel dibattito sulla Cina, si lamentava il pesante controllo che il governo esercita sui mezzi di comunicazione e in particolare su Internet. Sembra ora che, per elaborare la propria legge sul blocco delle comunicazioni, lo Zimbabwe abbia tratto ispirazione dall’esempio cinese; inoltre, questo avviene nel quadro di un sistema legislativo già gravemente restrittivo per quanto riguarda le libertà.

Da questo punto di vista la Cina è una grande fonte di ispirazione, in quanto – come afferma una recente relazione di Human Rights Watch – il sistema di controllo cinese, noto come Great Firewall, è il più avanzato sistema del genere in tutto il mondo.

Secondo la legge dello Zimbabwe, l’esercito, i servizi segreti, la polizia e addirittura l’ufficio del Presidente potranno controllare e intercettare la posta elettronica, ascoltare conversazioni telefoniche e censurare Internet, senza bisogno di un mandato giudiziario. Tutto questo inciderebbe, per esempio, sui rapporti fra medici e pazienti, fra avvocati e clienti e fra i giornalisti e le loro fonti; metterebbe a grave repentaglio la riservatezza, l’attività delle ONG e di coloro che si battono in difesa dei diritti umani.

Per tutti questi motivi, ritengo sia nostro dovere chiedere il ritiro di tale legge. Vorrei però affermare perentoriamente che le mie preoccupazioni in questo campo non riguardano solamente lo Zimbabwe e la Cina. E’ un problema di carattere universale e dobbiamo essere vigili per quanto riguarda i due paesi che ho menzionato, ma anche gli Stati Uniti e la stessa Unione europea.

Il rispetto per la libertà d’espressione e il diritto alla riservatezza devono essere elementi fondamentali di qualsiasi società moderna. Oggi parliamo dello Zimbabwe ma – voglio sottolinearlo – siamo di fronte a un problema che non dobbiamo considerare solamente in relazione a quel paese.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE), autore. – (EN) Signor Presidente, ormai da lungo tempo, purtroppo, una profonda crisi umanitaria, politica ed economica affligge questa ex colonia britannica, sul cui orizzonte non si scorgono motivi di speranza o tracce di miglioramenti. L’inefficiente e corrotto regime di governo di Robert Mugabe continua a opprimere la popolazione, mentre sono sempre frequenti le persecuzioni nei confronti di oppositori politici, attivisti sindacali, agricoltori, organizzazioni di difesa dei diritti umani, giornalisti e giudici.

Esortiamo il governo dello Zimbabwe a dimostrare finalmente il dovuto rispetto per i diritti umani e le convenzioni internazionali, nonché a garantire l’indipendenza del potere giudiziario. Riteniamo inoltre opportuno che il Presidente Mugabe abbandoni al più presto il potere, per risparmiare al paese un futuro ancor più cupo. Un tale sviluppo, agevolato dall’apertura di negoziati transitori positivi tra Zanu-PF, i partiti MDC e altri movimenti di opposizione, produrrà, riteniamo, il necessario rinnovamento nella società, nella politica e nell’economia dello Zimbabwe, recando pace e prosperità a un popolo che ha dovuto affrontare una drammatica transizione dal dominio coloniale britannico all’indipendenza e alla libertà.

 
  
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  Michael Gahler, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, da quando faccio parte del Parlamento europeo i dibattiti sullo Zimbabwe e sul costante peggioramento della sua situazione sociale, economica e politica rappresentano un’immutabile caratteristica della nostra Istituzione. Gli appelli a Mugabe si sono rivelati altrettanto inefficaci degli inviti a intervenire con maggiore impegno rivolti ai paesi vicini, e in particolare al Sudafrica; a loro volta, le iniziative che abbiamo intrapreso nell’Unione europea hanno avuto scarsissimo impatto su coloro che avrebbero dovuto colpire.

Qual è ora la situazione? Secondo le stime, circa due milioni di persone sono fuggite nei paesi vicini, ove in gran parte vivono in condizioni di illegalità. La cosiddetta operazione Murambatsvina da sola ha avuto l’effetto di sradicare, nel pieno senso della parola, 700 000 persone; quattro milioni di persone rischiano di morire di fame; la disoccupazione ha raggiunto il 70 per cento e il tasso d’inflazione è il più alto del mondo. Gli spostamenti forzati di popolazioni, tra l’altro, hanno reso più difficile la lotta contro l’AIDS, che ogni settimana miete 3 200 vittime. La legislazione riguardante il controllo e l’oppressione dei cittadini è ora non meno estesa di quanto fosse prima dell’indipendenza.

Cosa possiamo fare? Possiamo verificare che le agenzie internazionali operanti sul campo per conto delle Nazioni Unite, consegnino in ogni caso possibile gli aiuti direttamente alla popolazione; possiamo garantire che la Croce Rossa continui il suo lavoro con il minimo di interferenze.

Chiedo soprattutto – e mi rivolgo in primo luogo alla Commissione – che i nostri aiuti, da concedere anche nel quadro della rubrica di bilancio dell’iniziativa europea per la democrazia e i diritti umani, giungano alla società civile dello Zimbabwe, alle molte persone coraggiose attive nel paese: nei sindacati, nelle organizzazioni per i diritti umani, nelle chiese o nei media indipendenti. Chiediamo poi ai cinesi con chi desiderano intrattenere relazioni di lungo termine nello Zimbabwe – con il governo o con il popolo? Infine, dobbiamo cogliere ogni occasione per ricordare ai nostri partner sudafricani in questo dialogo che, con la loro inerzia, non facilitano le cose a se stessi e non rendono certo un buon servizio al popolo dello Zimbabwe.

 
  
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  Józef Pinior, a nome del gruppo PSE. – (PL) Signor Presidente, negli ultimi anni abbiamo assistito al progressivo deteriorarsi della situazione politica, sociale e sanitaria dello Zimbabwe.

La dittatura politica di Mugabe è stata accompagnata da un disastro sociale nel paese. L’operazione Murambatsvina ha lasciato senza casa circa 700 000 persone. Attualmente, nel paese lo spettro della fame incombe su quattro milioni di persone e l’AIDS si diffonde sempre più: di conseguenza, ogni settimana vi sono più di 3 000 morti. Il recente tentativo del regime di Mugabe di prendere il controllo della Croce Rossa desta poi particolare inquietudine.

In questa situazione la nostra Assemblea deve seguire con attenzione le iniziative dei sindacati zimbabwani, e in particolare le manifestazioni di protesta che essi organizzeranno nelle prossime settimane; i sindacati dello Zimbabwe meritano da parte nostra uno speciale sostegno.

 
  
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  Alyn Smith, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, non occorre insistere in quest’Aula sulla terribile situazione in cui lo Zimbabwe è precipitato per propria responsabilità; essa dimostra i limiti del nostro potere. Un’interruzione degli aiuti danneggerebbe unicamente gli strati più vulnerabili della popolazione, eppure questo è l’unico strumento concreto di cui il nostro Parlamento dispone nei confronti del regime di quel paese.

Possiamo ricorrere ad altri mezzi? A tal proposito vorrei riallacciarmi al paragrafo 8 della proposta di risoluzione, il quale propone di escludere lo Zimbabwe dalla Coppa del mondo del 2010. A differenza di alcuni colleghi, ritengo che si tratti di una buona idea; sarei lieto di sentire l’opinione del Commissario in merito.

Proprio questa settimana abbiamo potuto constatare lo spirito di fratellanza e di amicizia che viene alimentato dagli incontri internazionali di calcio. Di recente, la nazionale del mio paese – la Scozia – ha disputato un incontro in Lituania, e senza dubbio in quell’occasione sono state strette numerose amicizie. Tuttavia, la partecipazione ai tornei è un privilegio, non un diritto. L’esclusione dalla Coppa del mondo del 2010 servirebbe a ribadire la condanna della comunità internazionale per il regime di Mugabe, senza offendere i sentimenti del popolo dello Zimbabwe; in quel paese così appassionato di calcio sarebbe però notata da tutti. Mi sembra un’idea utile e positiva, e vorrei sapere cosa ne pensa il Commissario.

 
  
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  Koenraad Dillen (NI). (NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, da molto tempo ormai, come ben sappiamo, la spaventosa situazione dei diritti umani nello Zimbabwe costituisce motivo di urgente preoccupazione; non è questa la prima volta che essa compare all’ordine del giorno della nostra Assemblea. Da quanti anni ormai il dittatore marxista Mugabe persevera nelle sue politiche razziste a danno degli agricoltori bianchi dello Zimbabwe? Egli inoltre sta attuando indisturbato una politica di pulizia etnica, che colpisce soprattutto la stragrande maggioranza della popolazione nera del paese.

Eppure un tempo lo Zimbabwe era un paese agricolo; anzi uno dei pochi, a sud del Sahara, in grado di esportare i propri prodotti agricoli. Ora la follia di Mugabe ha gettato il popolo nella miseria: l’agricoltura sta crollando e la carestia si diffonde.

E’ giunto il momento di agire con decisione contro il dittatore. Com’è avvenuto nel caso dell’ex Presidente liberiano Charles Taylor, la comunità internazionale deve considerare Mugabe colpevole di crimini contro l’umanità, e chiamarlo a risponderne. Anche in Africa si deve evitare di applicare a livello politico due pesi e due misure.

 
  
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  John Attard-Montalto (PSE). (EN) Signor Presidente, a quanto sembra con il trascorrere del tempo l’azione dell’Unione europea nei confronti di certe dittature diviene sempre più inefficace.

E’ desolante che un paese splendido come lo Zimbabwe abbia potuto sprofondare nella sua odierna misera condizione mentre, eccezion fatta per le poche misure che abbiamo adottato contro la dittatura del Presidente Mugabe, noi restiamo a guardare. Discutiamo gli avvenimenti e magari limitiamo le possibilità di spostamento dei responsabili e dei loro più stretti familiari, e in tal modo pensiamo di aiutare le vittime di questa situazione: non solo i bianchi, ma anche una notevole percentuale della popolazione nera, nativa dello Zimbabwe. E’ giunto per noi il momento di muoverci e di cominciare ad agire, anziché limitarci a parlare.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (NI). (PL) Signor Presidente, il collega austriaco osserva giustamente che questo non è il nostro primo dibattito sullo Zimbabwe. Siamo anzi di fronte a una storia infinita, e sotto molti punti di vista lo Zimbabwe fa segnare parecchi primati mondiali: disoccupazione al 70 per cento, il più alto tasso d’inflazione al mondo, 3 200 morti di AIDS alla settimana e la più bassa affluenza alle urne di tutto il mondo, ossia il 15 per cento.

Nel paese, quattro milioni di persone rischiano di morire di fame; tale situazione rappresenta una sfida per il mondo intero, e anche per l’Unione europea. Mi auguro che questa volta riusciremo ad andare al di là dei meri esercizi verbali, e concordo con il collega spagnolo, onorevole Rueda, sulla necessità di evitare di applicare due pesi e due misure. Occupiamoci dello Zimbabwe, certo, ma allarghiamo anche il nostro campo d’azione, perché i diritti umani fondamentali vengono violati anche in altri paesi e dobbiamo evitare con cura due pesi e due misure. Mi sembra cosa positiva che il Parlamento discuta ancora questo problema, ma speriamo che sia l’ultima volta.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, onorevoli deputati, la Commissione europea segue con grande attenzione gli eventi in Zimbabwe e siamo sempre più preoccupati per il deterioramento della situazione politica, soprattutto di quella economica e sociale che colpisce persone, civili, cittadini.

Sulla base delle condizioni che registriamo oggi – siccome non ci sono misure adeguate, non c’è nessuna misura presa dal governo dello Zimbabwe per affrontare seriamente la crisi democratica, la protezione dei diritti e la tragica crisi economica – è fuori discussione ogni eventuale alleggerimento o revoca delle misure adottate dall’Unione europea nei confronti dello Zimbabwe: in altri termini, non se ne parla nemmeno!

Nei confronti dello Zimbabwe l’Unione europea non cambia attitudine e il suo atteggiamento di fermezza è stato recentemente ribadito dal mio collega Louis Michel nei suoi contatti con le autorità del governo dello Zimbabwe, nei quali è stato sottolineato che la Commissione è assolutamente ferma nell’esercitare un ruolo attivo per cercare di sbloccare la situazione. Nello stesso tempo non possiamo rinunciare a nessuna delle condizioni che abbiamo posto, anzitutto il ripristino di regole democratiche per la vita quotidiana dei cittadini. Quanto è stato detto conferma le nostre preoccupazioni.

Ho ascoltato con attenzione, con molto interesse, l’idea di escludere lo Zimbabwe dalla Coppa del mondo di calcio del 2010. Gli onorevoli parlamentari sanno che una simile decisione viene adottata dalla Federazione internazionale di calcio, ma, detto questo, personalmente la ritengo un’idea seria, da prendere sul serio, da sottoporre alla discussione con gli Stati membri e con la Federazione internazionale; non sono in grado di dire oggi se il risultato sarà quello che alcuni parlamentari auspicano, ma posso dire che informerò il collega Louis Michel, la collega Ferrero-Waldner di questa aspettativa: la questione va presa davvero sul serio.

Certamente vi è un altro aspetto: come ho detto prima, l’Europa auspica che lo Zimbabwe torni verso un percorso di ristabilimento delle condizioni di vita democratica e di progresso economico. Ovviamente siamo pronti a indicare alcune strade, ad esempio nell’ambito del decimo programma di priorità per il Fondo europeo di sviluppo, all’interno del quale esistono possibilità concrete, ma non possiamo oggi rinunciare a porre una condizionalità molto chiara allo Zimbabwe: se non si avvia una strada seria verso la democrazia, non possiamo modificare il nostro atteggiamento di fermezza.

Nel contempo, la Commissione ha un dialogo molto stretto con paesi vicini allo Zimbabwe, in particolare con i paesi membri della Comunità per lo sviluppo dell’Africa meridionale e con il governo del Sudafrica. Condivido quanto ho sentito: saremo sempre più attivi nel chiedere che questi paesi vicini facciano ancora di più!

Sosteniamo le iniziative delle Nazioni Unite e a mio parere è molto importante una pressione di autorevoli capi di Stato e di governo africani sul governo dello Zimbabwe, affinché siano finalmente migliorate le condizioni politiche e umanitarie e si apra la strada verso la riconciliazione nazionale.

Nel frattempo ci preoccupiamo della popolazione: è evidente che mentre con il governo dello Zimbabwe l’atteggiamento è di assoluta fermezza, nei confronti della popolazione invece, la quale non ha colpa per un regime che la priva della libertà e anche dei mezzi economici, dobbiamo preoccuparci di un’assistenza diretta. Posso confermare che il Commissario Michel è intenzionato a proseguire il sostegno e anche il finanziamento a progetti concernenti i settori socioeconomici, l’assistenza medica, il ruolo delle organizzazioni sul terreno. Ricordo che il ruolo della Croce rossa deve essere assolutamente consentito e incoraggiato, così come i progetti riguardanti la governance, la democratizzazione, il rispetto per i diritti umani e lo Stato di diritto. A nostro parere l’assistenza diretta alla popolazione dello Zimbabwe deve proseguire proprio in tutti questi settori.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà immediatamente.

 
  

(1) Vedasi processo verbale.


12. Turno di votazioni
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati e ulteriori dettagli sulle votazioni: cfr. Processo verbale)

 

12.1. Sri Lanka (votazione)
  

Prima della votazione sul paragrafo 5

 
  
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  Michael Gahler (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, vorrei proporre una formulazione alternativa, ossia:

(EN) Sostituire “una commissione internazionale a investigare le recenti uccisioni, scomparse e rapimenti verificatisi nel paese” con la formulazione corretta “commissione internazionale indipendente di persone eminenti quali osservatori delle indagini sulle uccisioni extragiudiziali, scomparse e rapimenti verificatisi nel paese”.

(DE) Questa, mi sembra, è la formulazione tecnicamente corretta da usare in questo punto.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

– Prima della votazione sul paragrafo 15

 
  
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  Michael Gahler (PPE-DE). (DE) Mi pare che nel testo ricorra un’espressione sbagliata, nel punto in cui si dice “delete two times the words and INGO”. Si tratta di un puro e semplice emendamento redazionale.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

– Prima della votazione sull’emendamento n. 1

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE). (EN) Signor Presidente, vorrei modificare l’ultima frase del nostro emendamento nel modo seguente: “può essere presa in considerazione la possibilità di sospendere la proscrizione se vi è un effettivo cessate il fuoco, una fine al terrorismo e la ripresa di negoziati seri su una base costruttiva”. Questa formulazione dovrebbe sostituire l’attuale ultima frase dell’emendamento.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

– Prima della votazione sull’emendamento n. 5

 
  
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  Robert Evans (PSE). (EN) Signor Presidente, propongo un emendamento tecnico. Mi viene suggerita l’opportunità di modificare l’ultima parte dell’emendamento n. 5, in cui si fa riferimento al fatto che “… il Commissario, signora Ferrero-Waldner, condivide tale preoccupazione”, nel modo seguente: “… tale opinione è condivisa da molti organismi internazionali”.

 
  
  

(L’emendamento orale non è accolto)

 

12.2. Richiedenti asilo in provenienza dalla Corea del Nord, in particolare in Tailandia (votazione)

12.3. Zimbabwe (votazione)
  

Prima della votazione

 
  
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  Michael Gahler (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, ho appena notato che nell’elenco dei destinatari della risoluzione sullo Zimbabwe è compreso il Presidente del Consiglio esecutivo dell’Unione africana – in altre parole l’esecutivo o la parte governativa – ma non abbiamo inserito in tale elenco il parlamento panafricano. Dal momento che attualmente stiamo cercando di allacciare rapporti con quel parlamento, propongo un emendamento orale per inserire il parlamento panafricano nell’elenco.

 
  
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  Presidente. – Ciò conclude il turno di votazioni.

 

13. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale

14. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale

15. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale

16. Dichiarazioni scritte che figurano nel registro (articolo 116 del Regolamento): vedasi processo verbale

17. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale

18. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale

19. Interruzione della sessione
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  Presidente. – Dichiaro interrotta la sessione del Parlamento europeo.

(La seduta è tolta alle 16.20)

 

ALLEGATO (Risposte scritte)
INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO (La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è la sola responsabile di queste risposte)
Interrogazione n. 20 dell'on. Bill Newton Dunn (H-0646/06)
 Oggetto: Gravi attentati terroristici negli Stati membri
 

La Presidenza in carica del Consiglio, in risposta alla domanda che ho posto a giugno (H-0462/06)(1), ha sostenuto che i competenti agenti di polizia che vengono scelti tra gli Stati membri dell'UE appartenenti al G6 e vengono organizzati in squadre di appoggio pronte a intervenire in caso di gravi attentati terroristici (la Commissione UE è stata rappresentata al pranzo del G-6) saranno autorizzati ad agire in qualunque paese appartenente al G-6 indipendentemente dalla propria cittadinanza - ma non potranno intervenire in uno Stato membro non facente parte del G-6.

Chi eserciterà il controllo politico sulle squadre di polizia? Quali saranno i loro poteri? Indosseranno le stesse uniformi? Avranno il potere di effettuare arresti?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di settembre I del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo nel settembre 2006.

Le squadre di polizia menzionate dall’onorevole parlamentare sono istituite nell’ambito del G6 e pertanto non operano in un quadro comunitario.

Sulla base dell’esperienza acquisita nelle attività di controllo transfrontaliero delle forze di polizia, può tuttavia essere fornita la seguente risposta di carattere generale.

Le squadre di polizia sono sotto il controllo dello Stato sul cui territorio esse operano. Questo vale per le squadre investigative comuni e per l’assistenza reciproca degli Stati membri in materia di polizia.

Ne consegue che lo Stato in cui la squadra di polizia opera in linea di principio ha la responsabilità politica delle attività della squadra.

I poteri della squadra sono definiti dalla legislazione nazionale dello Stato in cui essa opera. Per quanto riguarda le squadre investigative comuni, il quadro giuridico per la sorveglianza transfrontaliera e per l’inseguimento in flagranza oltre frontiera è stabilito nel diritto comunitario.

Il fatto che i componenti della squadra indossino le stesse uniformi oppure no è deciso congiuntamente in base alla normativa nazionale dello Stato in cui essa opera e alla legislazione dello Stato che invia gli agenti di polizia.

Ad esempio, nella lotta contro il teppismo calcistico, è prassi corrente che le squadre di supporto straniere indossino l’uniforme del loro paese.

I membri della squadra che operano nel proprio paese hanno lo stesso potere di arresto degli agenti di polizia nazionali.

Il fatto che i membri stranieri della squadra dispongano o meno del potere di arresto dipende dalla legislazione dello Stato in cui la squadra opera.

 
 

(1) Risposta scritta del 16.6.2006.

 

Interrogazione n. 21 dell'on. Dimitrios Papadimoulis (H-0651/06)
 Oggetto: Diritto del mare e Turchia
 

La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare è stata ratificata dalla Comunità europea e costituisce parte dell'acquis comunitario. I dieci nuovi Stati membri, in virtù delle disposizioni dell'articolo 6 dell'atto relativo alle condizioni di adesione dei nuovi Stati membri, hanno anch'essi ratificato la Convenzione sul diritto del mare, come dovevano. Va segnalato che tutti gli Stati membri della Comunità, sfruttando le disposizioni della Convenzione, hanno esteso le loro acque territoriali fino ai limiti fissati dalla Convenzione stessa. La Grecia, tuttavia, è impossibilitata a farlo, dal momento che la Turchia ha dichiarato, ormai ufficialmente, che l'eventuale applicazione della Convenzione da parte della Grecia costituirebbe un casus belli. Ci troviamo quindi nella situazione "paradossale" in cui uno Stato candidato rivolge minacce di guerra ad uno Stato membro dell'Unione europea che desidera porre in atto l'acquis comunitario.

Intende il Consiglio fare osservare alla Turchia che la minaccia di guerra nei confronti di uno Stato membro che intende applicare l'acquis comunitario in relazione al diritto del mare è qualcosa di intollerabile? Quali misure intende prendere il Consiglio affinché la Turchia ritiri immediatamente la minaccia di guerra?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e che di per sé non è vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

L’onorevole parlamentare allude alla questione delle relazioni della Turchia con uno dei paesi limitrofi, ossia la Grecia. A questo proposito, vorrei rammentare le pertinenti conclusioni del Consiglio europeo di Helsinki del 1999 e quelle del Consiglio europeo di Bruxelles del dicembre 2004. In qualità di paese candidato, la Turchia deve rispettare i valori e gli obiettivi dell’Unione europea descritti nei Trattati e deve dare prova di un impegno inequivocabile a intrattenere rapporti di buon vicinato e di disponibilità a comporre le controversie ancora insolute in materia di confini conformemente al principio del regolamento pacifico delle controversie sancito dalla Carta delle Nazioni Unite. La Turchia deve pertanto astenersi da qualsiasi azione che possa influire negativamente sul processo di soluzione pacifica delle controversie, come indicato nelle conclusioni del Consiglio europeo del 15 e 16 giugno.

Questi aspetti, che sono anche inclusi nel quadro di negoziato, sono settori fondamentali a breve termine del partenariato di adesione modificato. L’UE solleverà sistematicamente tali questioni nelle riunioni con la Turchia che fanno parte del dialogo politico, com’è avvenuto nell’ultima riunione del Consiglio di associazione UE-Turchia svoltasi a Lussemburgo il 12 giugno 2006, quando l’UE ha dichiarato specificamente di deplorare l’incidente verificatosi abbastanza di recente nel Mar Egeo, soprattutto per il fatto che aveva comportato la perdita di vite umane, e ha precisato che casi come questo non possono che avere effetti negativi sui rapporti di buon vicinato.

Il Consiglio può pertanto assicurare all’onorevole parlamentare che tali questioni continueranno a essere seguite con molta attenzione e saranno sollevate se necessario a tutti i livelli, in quanto i rapporti di buon vicinato costituiscono uno dei criteri in base ai quali saranno valutati i progressi compiuti dalla Turchia verso l’adesione all’UE. E’ ovvio che i progressi in questo settore favoriranno anche il processo negoziale.

 

Interrogazione n. 22 dell'on. David Martin (H-0652/06)
 Oggetto: Adesione della Russia all'OMC
 

Ritiene il presidente in carica che l'UE debba rivedere il suo appoggio all'adesione della Russia all'OMC?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di settembre I del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo nel settembre 2006.

Il Presidente ringrazia l’onorevole parlamentare per questa interrogazione.

A mio parere, l’UE non ha motivo di rivedere il suo appoggio all’adesione della Russia all’OMC. Tale adesione sarebbe vantaggiosa per entrambe le parti, in quanto sia l’UE sia la Russia ne trarrebbero beneficio. Creerebbe precondizioni più trasparenti e più salde per gli scambi commerciali e gli investimenti e offrirebbe all’UE un ambito favorevole per la risoluzione delle controversie commerciali con la Russia. La possibilità dell’adesione all’OMC ha anche dato alla Russia un ulteriore motivo per ratificare il Protocollo di Kyoto. Il processo negoziale consente inoltre all’UE di esercitare influenza sulla Russia per quanto riguarda le questioni problematiche relative alle relazioni di tale paese con l’UE, fra cui le questioni sanitarie e fitosanitarie, gli oneri imposti per poter sorvolare la Siberia, l’eliminazione delle discriminazioni per il trasporto ferroviario verso o da paesi esteri e i dazi doganali.

Ritirare l’appoggio all’adesione della Russia all’OMC sarebbe pertanto in contrasto con gli interessi economici e commerciali dell’UE.

 

Interrogazione n. 23 dell'on. Bairbre de Brún (H-0654/06)
 Oggetto: Articolo 2 della Convenzione europea dei diritti umani
 

In maggio 2001 la Corte europea ha stabilito sulla base di omicidi di Stato controversi, tra cui l'uccisione del membro dello Sinn Féin Patrick Shanaghan, assassinato dai lealisti nel nord dell'Irlanda, che il governo britannico non ha rispettato l'articolo 2 della Convenzione europea dei diritti umani.

Dato che la funzione del Pubblico Ministero, in precedenza il DPP, non si assume ancora la responsabilità del processo decisionale riguardo la non incriminazione in casi in cui sussistano prove non manifestamente infondate - sono state frenate fino a quaranta inchieste su omicidi di Stato controversi, in certi casi per oltre dieci anni - è stato introdotto l'Inquires Act per tutelare gli interessi di Stato e per sopprimere le informazioni che potrebbero emergere riguardo l'omicidio dell'avvocato dei diritti umani Pat Finucane nel 1989. Alla funzione del mediatore di polizia non è stata conferita l'autorità legislativa, o gli strumenti adeguati per condurre indagini efficienti sulla condotta degli agenti di polizia, l'Historical Enquiries Team (HET) non possiede i requisiti contenuti nell'articolo 2 nella misura in cui è soggetto al Servizio di Polizia dell'Irlanda del Nord, al NIO e all'ex capo della Regia Polizia dell'Ulster Sir Ronnie Flanagan nella sua funzione di membro dell'Her Majesty's Inspector of Constabulary.

Ammette il Consiglio che la Gran Bretagna a questo proposito non si attiene ancora all'articolo 2? Quali azioni può intraprendere per garantire che la Gran Bretagna osservi l'articolo 2 nel più breve tempo possibile?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di settembre I del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo nel settembre 2006.

Il Consiglio non ha discusso tale questione in quanto non ha alcuna competenza in materia.

 

Interrogazione n. 24 dell'on. Lambert van Nistelrooij (H-0656/06)
 Oggetto: Strumento europeo di vicinato e partenariato
 

Nella tornata di luglio il Parlamento ha approvato in prima lettura la proposta relativa allo Strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI - COM(2004)0628 def.). Circa 700 milioni di euro verranno stanziati annualmente tra il 2007 e il 2013 a titolo del Fondo europeo di sviluppo regionale e i programmi transfrontalieri potranno beneficiare di un contributo a partire dal 1° gennaio 2007.

Per la cooperazione transfrontaliera si continuerà con il metodo decentrato già seguito per i programmi Interreg. Dalle regioni frontaliere dell'Unione europea si apprende tuttavia che gli Stati membri coinvolti nella messa a punto dei programmi incontrano ancora molte difficoltà ad elaborarli secondo un approccio "bottom-up". In passato l'impiego e la formazione di quadri dirigenti per la gestione congiunta dei progetti alle frontiere interne sono sempre risultati determinanti per il successo finale dei programmi.

Quali iniziative prevede la presidenza ai fini dello sviluppo di capacità umane necessarie per i progetti transfrontalieri in ambito ENPI?

Quali controlli dei progressi in materia sono previsti nel periodo 2007-2013?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e che di per sé non è vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

Il Consiglio riconosce che l’uso di un solo strumento per sostenere la cooperazione transfrontaliera e locale può creare non pochi problemi, soprattutto per i paesi che non sono membri dell’Unione europea e che hanno meno esperienza del piano programmatico. Nello strumento europeo di vicinato e partenariato si applicherà in ampia misura l’esperienza acquisita con l’attuazione dei programmi di vicinato basati sulle disposizioni per il periodo 2004-2006. La formazione del personale e lo scambio di esperienze hanno consentito di migliorare il funzionamento dei programmi.

Non appena si saranno definite le disposizioni per il processo di controllo per il periodo 2007-2013, i comitati discuteranno i risultati della valutazione dei programmi di cooperazione transfrontaliera, conformemente all’articolo 24 della proposta di regolamento relativo allo strumento europeo di vicinato e partenariato. Le loro opinioni influiranno sul piano programmatico e sull’assegnazione degli importi stanziati.

 

Interrogazione n. 25 dell'on. Anna Hedh (H-0657/06)
 Oggetto: Quote di importazione degli alcolici
 

Un viaggiatore, ogni volta che attraversa la frontiera tra due Stati membri dell’UE, può portare con sé per uso personale complessivamente 230 litri di alcolici ripartiti tra birra, vino e superalcolici. La quantità di alcol è così elevata che può quasi riempire un furgone ed è equivalente a due anni e mezzo di consumo. Se la si paragona alla quantità di tabacco consentita, risulta che quest’ultima, pari a 800 sigarette, corrisponde a 40 giorni di consumo.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), nel 2002 in Europa i decessi correlati ai danni provocati dal consumo di alcol sono stati 600.000, il che corrisponde a un aumento del 15% in due anni. Sono 7,7 milioni i bambini che crescono in famiglie in cui si fa abuso di alcol e gran parte degli incidenti automobilistici sono causati dall’alcol. Senza dubbio l’alcol non è un prodotto come tanti altri.

L’interrogante sa che il Consiglio intende sollevare la questione dei minimi di imposta sull’alcol. Intende la Presidenza nel corso del suo mandato sollevare altresì la questione di una revisione delle quote di importazione?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e che di per sé non è vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

Come l’onorevole parlamentare afferma, la questione dell’aumento dell’accisa minima sugli alcolici è uno dei temi fondamentali della Presidenza finlandese nel settore della tassazione.

Da quando è stato stabilito nel 1992, il livello minimo dell’accisa sulle bevande alcoliche non è stato modificato nel corso dell’esistenza del mercato interno. Se si considera che il tasso medio di inflazione nell’UE per lo stesso periodo ha superato il 25 per cento, l’accisa minima è in proporzione diminuita.

I volumi consentiti menzionati dall’onorevole parlamentare sono i livelli indicativi specificati nella direttiva 92/12/CEE del Consiglio relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione e ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa.

I livelli indicativi sono stati fissati soltanto per far sì che le autorità fiscali degli Stati membri potessero stabilire in riferimento ad essi che i prodotti in questione erano per uso personale e non per la vendita.

La Commissione ha proposto al Consiglio di modificare la direttiva. In base a tale proposta, gli Stati membri non potrebbero più, tra l’altro, far uso dei limiti in questione.

La proposta della Commissione è stata discussa dagli organi competenti del Consiglio, senza che sia stato raggiunto alcun accordo.

Per quanto riguarda altri aspetti dell’argomento, desidero sottolineare che una delle questioni sanitarie menzionate nel programma d’azione del Consiglio per il 2006, elaborato da Austria e Finlandia, è il consumo di alcolici.

Nella riunione del Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e consumatori” che si svolgerà il 30 novembre 2006, la Presidenza finlandese proporrà di tenere un dibattito interministeriale in riferimento alla comunicazione della Commissione relativa a una strategia dell’UE nel campo degli alcolici, che rivolge particolare attenzione all’aumento del consumo di alcolici tra i giovani. Scopo della strategia sarà ridurre i pericoli per la salute e la società dovuti al consumo di alcolici e l’impatto sugli obiettivi di Lisbona.

In questo stesso contesto, il Consiglio intende richiamare la relazione della Commissione sull’attuazione della raccomandazione(1) del Consiglio del 5 giugno 2006 sul consumo di bevande alcoliche da parte di giovani, in particolare bambini e adolescenti, negli Stati membri e a livello comunitario.

 
 

(1) GU L 161 del 16.6.2001, pag. 38.

 

Interrogazione n. 26 dell'on. Danutė Budreikaitė (H-0661/06)
 Oggetto: Mercato del gas dell'Unione europea
 

La presidenza finlandese del Consiglio intende porre maggiormente l'accento, all'interno del proprio programma di lavoro riguardante la politica energetica, sulle relazioni con i paesi terzi, in particolare sul dialogo UE-Russia, vista la dipendenza dell'UE dalle importazioni di risorse energetiche? In questo programma si prevede di giungere a una realizzazione efficace del mercato interno dell'elettricità e del gas tale da consentire all'UE di diventare più competitiva e più sicura.

Sa la Finlandia, tuttavia, che avendo quale obiettivo la creazione di un mercato interno dell'energia, il gruppo dei regolatori europei per il gas e l'elettricità, che assiste la Commissione europea, ha deciso di realizzare quattro progetti regionali di mercati dell'energia (nord-est, nord, sud e sud-est)? Nessuno di questi comprende i quattro paesi baltici, vale a dire la Lituania, la Lettonia, l'Estonia e neppure la Finlandia. Quali azioni prevede la presidenza finlandese a favore della creazione vera e propria di un mercato comune e non frammentato dell'energia?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e che di per sé non è vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

La creazione del mercato dell’energia dell’UE e l’aumento della sicurezza dell’approvvigionamento sono tra i principali settori di intervento del Consiglio durante la Presidenza finlandese. La cooperazione regionale nel campo dell’energia è un utile passo verso la realizzazione di un mercato unico dell’UE pienamente integrato. Va sottolineato che i mercati energetici regionali devono essere considerati una fase intermedia.

Nelle conclusioni del 9 giugno 2006 sul mercato unico nel settore dell’energia, il Consiglio ha affermato con chiarezza che occorre accelerare lo sviluppo coordinato della cooperazione regionale in materia di energia, agevolando nel contempo l’integrazione dei mercati energetici regionali nel mercato interno dell’UE e l’ulteriore sviluppo di quest’ultimo, in particolare mediante interconnessioni adeguate e coerenti e l’accesso a capacità di interconnessione, rivolgendo specifica attenzione ai paesi e regioni le cui reti energetiche sono in ampia misura isolate dalla rete energetica dell’UE. In questo rientrerebbe anche il settore cui l’onorevole parlamentare fa riferimento nella sua interrogazione.

Il Consiglio invita inoltre l’onorevole parlamentare a far riferimento alla decisione adottata di recente che stabilisce orientamenti per le reti transeuropee nel settore dell’energia. Tra tali reti energetiche figura, quale esempio di progetti nel campo dell’energia elettrica che sono nell’interesse dell’Europa, la connessione di Polonia e Lituania, che comprende il potenziamento della rete elettrica polacca e della sezione Polonia-Germania per consentire la partecipazione al mercato interno dell’energia.

Il Consiglio desidera rammentare che il principale responsabile degli investimenti nella rete è il settore privato. E’ necessaria una più efficace cooperazione tra imprese, governi, istituzioni finanziarie internazionali e Commissione nell’ambito della realizzazione degli investimenti. La Commissione ha iniziato a elaborare una comunicazione su un piano prioritario per l’interconnessione delle reti che verrà presentata nel gennaio 2007. La Presidenza è del parere che si dovrebbe concentrare l’attenzione sui collegamenti più importanti per l’Unione europea nel complesso, compresi quelli dipendenti dalle fonti energetiche situate al di fuori dell’UE. La Presidenza ritiene inoltre prioritari i collegamenti con le regioni che si trovano al di fuori della rete europea comune.

Un aspetto menzionato nelle conclusioni del 2006 del Consiglio è inoltre il miglioramento della cooperazione e del coordinamento, in particolare tra autorità di regolamentazione, gestori delle reti, scambi di energia e governi.

Il Consiglio si propone di attuare questi principi e obiettivi in collaborazione con la Commissione nei prossimi mesi.

 

Interrogazione n. 27 dell'on. Laima Liucija Andrikienė (H-0663/06)
 Oggetto: Preparativi per l'esecuzione del Settimo programma quadro (PQ7)
 

Nella sua prima lettura sul PQ7 il PE ha dichiarato il proprio sostegno ai progetti della Commissione sul futuro dell'R&S nell'UE e ha approvato un emendamento volto a conformare il bilancio del PQ7 con l'accordo sulle Prospettive finanziarie: 50,521 miliardi di euro per il periodo 2007 - 2013. Il PQ7 è destinato a essere il programma principale per l'R&S nell'UE e le aspettative nella comunità di ricerca dell'UE in materia sono molto alte. Purtroppo, la Commissione non ha ancora avuto modo di preparare nuovi regolamenti finanziari per il PQ7 e l'UE non può dare esecuzione al PQ7 seguendo i vecchi regolamenti finanziari. Tutto questo potrebbe ritardare notevolmente gli inviti a presentare proposte, addirittura fino alla fine del 2007, e ostacolerebbe inevitabilmente lo sviluppo della scienza e della ricerca nell'UE, oltre a essere in contraddizione con gli obiettivi previsti nella strategia di Lisbona.

Qual è la posizione del Consiglio riguardo a questa situazione? Che misure intende prendere il Consiglio al fine di rendere il PQ7 efficace, innovativo e tempestivo?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e che di per sé non è vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

La preoccupazione espressa dall’onorevole parlamentare secondo cui “la Commissione non ha ancora avuto modo di preparare nuovi regolamenti finanziari per il PQ7”, e questo potrebbe ritardare notevolmente l’attuazione del programma quadro, deve essere collocata nella giusta prospettiva.

Si invita l’onorevole parlamentare a far riferimento alla proposta di regolamento del Consiglio, presentata dalla Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio il 6 luglio 2005, recante modifica del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee, Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, ovvero la relazione sull’attuazione delle disposizioni del nuovo regolamento finanziario COM(2005) 181 def. – 2005/0090 (CNS). Il 18 maggio 2006 la Commissione ha presentato una proposta modificata COM(2006) 213 def. – 2005/0090 (CNS), che essenzialmente include i pareri delle altre Istituzioni e che tiene conto delle preoccupazioni espresse dalla società civile. La Commissione ha sottolineato che, prima che il Consiglio possa adottare il regolamento di modifica (ai sensi della dichiarazione comune del 4 marzo 1975), il Consiglio e il Parlamento europeo devono negoziare le modifiche, con l’attiva assistenza della Commissione, conformemente all’articolo 184 del regolamento finanziario, se il Parlamento lo richiede.

Si invita inoltre l’onorevole parlamentare a fare riferimento all’accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione sulla disciplina di bilancio e la sana gestione finanziaria concluso nel maggio 2006. Secondo quanto affermato nella dichiarazione sulla revisione del regolamento finanziario contenuta nell’accordo, il Parlamento europeo e il Consiglio sono determinati a concludere i negoziati sul regolamento finanziario al fine di consentirne l’entrata in vigore, se possibile, il 1o gennaio 2007.

 

Interrogazione n. 28 dell'on. Panagiotis Beglitis (H-0667/06)
 Oggetto: Andamento dei negoziati sullo status del Kosovo
 

A conclusione di sei incontri negoziali tra rappresentanti della Serbia e del Kosovo, qual è il consuntivo e la valutazione dei risultati che ne fa il Consiglio? Ritiene esso che le condizioni siano ormai mature per avviare negoziati politici sostanziali volti a definire lo status finale del Kosovo? Ritiene esso che il calendario di fine 2006 imposto dalla comunità internazionale per completare i negoziati sia realistico? Qual è il grado realizzazione degli standard previsti dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU (risoluzione 1244/99)?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e che di per sé non è vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

Nelle conclusioni del 17 luglio 2006, il Consiglio ha ribadito il suo pieno sostegno all’inviato speciale dell’ONU Martti Ahtisaari e ai suoi sforzi nel condurre il processo politico finalizzato a determinare il futuro status del Kosovo. Il Consiglio ha anche considerato un segnale positivo l’intenzione, da questi manifestata, di procedere a colloqui politici diretti sulla questione dello status, e ha invitato ambo le parti a impegnarsi costruttivamente in questa fase dei negoziati. Il Consiglio ha preso atto della relazione sull’attuazione delle norme per il Kosovo, presentata il 20 giugno 2006 al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dal Rappresentante speciale del Segretario generale dell’ONU. Il Consiglio ha preso atto dei considerevoli progressi registrati e ha sottolineato nuovamente la cruciale importanza e la necessità di una più rapida ed efficace attuazione delle norme. Inoltre ha esortato Belgrado affinché incoraggi i serbi del Kosovo a partecipare alle attività delle istituzioni del paese, in seno alle quali possono difendere i propri interessi con la massima efficacia.

 

Interrogazione n. 29 dell'on. Proinsias De Rossa (H-0669/06)
 Oggetto: Armi leggere e di piccolo calibro e trattato internazionale sul commercio di armi
 

La proliferazione delle armi da fuoco è un problema globale che richiede una soluzione vincolante a livello mondiale. Oltre ai circa 640 milioni di armi leggere e di piccolo calibro già in circolazione annualmente ne vengono prodotti altri otto milioni. Queste armi, che secondo le stime ucciderebbero ogni anno mezzo milione di persone, si possono considerare come armi di distruzione di massa nei paesi in via di sviluppo. Il loro impatto a lungo termine sullo sviluppo sostenibile è innegabile. Nell'ottobre 2005 il Consiglio ha convenuto sulla necessità di un trattato internazionale sul commercio di armi e nel dicembre 2005 il Consiglio europeo ha adottato una Strategia dell'UE volta a combattere l'accumulazione e il traffico illeciti di armi leggere e di piccolo calibro e delle relative munizioni. Poiché la Conferenza di revisione dell'ONU sul Programma d'azione per prevenire, combattere e sradicare il traffico illecito di armi leggere e di piccolo calibro in tutti i suoi aspetti e verso un trattato internazionale sul commercio di armi non è riuscita a giungere ad un accordo su un documento finale a causa dell'intransigenza di un numero ristretto di paesi, quali iniziative intende prendere il Consiglio per assicurare che gli obiettivi dell'UE vengano realizzati?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di settembre I del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo nel settembre 2006.

L’Unione europea è impegnata nei confronti di un effettivo multilateralismo ed è rimasta molto delusa che non siano stati conseguiti risultati migliori alla Conferenza di revisione svoltasi a New York dal 26 giugno al 7 luglio 2006, nell’ambito della quale sono stati esaminati i progressi compiuti nell’attuazione del programma d’azione per prevenire, combattere e sradicare il traffico illecito di armi leggere e di piccolo calibro in tutti i suoi aspetti. Tale delusione è stata espressa alla Conferenza nel discorso di chiusura pronunciato dalla Presidenza dell’UE a nome dell’UE e degli Stati aderenti.

L’UE riconosce l’importanza della Conferenza di revisione in quanto ha ribadito l’impegno dell’UE nei confronti dei principi, delle misure e degli obiettivi del programma d’azione. Tale impegno si deve ora tradurre in azioni pratiche a livello nazionale e regionale, nonché in tutto il mondo.

Nonostante i risultati limitati, l’UE intende continuare a svolgere un ruolo di primo piano nell’opera di prevenzione, lotta e sradicamento del traffico illecito di armi leggere e di piccolo calibro in tutti i suoi aspetti, anche a livello pratico.

Con questo obiettivo, è iniziata la preparazione di un’azione congiunta relativa alla partecipazione dell’UE a misure di lotta contro la concentrazione e il commercio illeciti di armi leggere e di piccolo calibro e delle relative munizioni nell’Africa subsahariana. Lo scopo dell’azione congiunta è combattere la concentrazione e il commercio illeciti di armi leggere e di piccolo calibro e delle relative munizioni nell’Africa subsahariana su entrambi i versanti della domanda e dell’offerta. In questo modo si invierà un forte messaggio politico alla parte del mondo più colpita dal problema delle forniture illegali di armi leggere e di piccolo calibro e della loro eccessiva concentrazione.

Inoltre, l’UE intende promuovere ulteriormente tra i paesi terzi il riconoscimento della necessità di dotarsi di orientamenti mondiali in materia di trasferimenti di armi basati sul consenso raggiunto nel corso della Conferenza di revisione. Altri campi primari di intervento da parte dell’UE sono il rintracciamento e la marchiatura, l’intermediazione in relazione alle armi, le munizioni, l’integrazione delle questioni relative alle armi leggere e di piccolo calibro nei programmi di sviluppo e in quelli di lotta contro la povertà, le armi detenute da civili, le questioni di genere, gli attori non statali, l’amministrazione delle scorte in eccedenza, i sistemi di difesa antiaerea portatili e le questioni dei diritti umani.

Infine, si rammenta all’onorevole parlamentare che fin dall’inizio l’UE ha sostenuto l’iniziativa relativa a una convenzione sul commercio internazionale di armi, anche se la definizione di una convenzione di questo tipo non era tra gli scopi della Conferenza di revisione. L’UE svolgerà inoltre un ruolo attivo nell’elaborazione e adozione di una risoluzione relativa a una convenzione sul commercio di armi. Tale risoluzione sarà valutata in una futura riunione della prima commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

 

Interrogazione n. 30 dell'on. Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (H-0675/06)
 Oggetto: Risorse non utilizzate nel quadro dei Fondi strutturali
 

Sono anni che gli Stati membri dell'Unione europea non utilizzano pienamente le risorse messe a loro disposizione nel quadro dei Fondi strutturali.

Il Consiglio ha risposto all'autore, in merito ad altra interrogazione, che non prevede di creare fondi speciali a partire dai crediti non utilizzati della rubrica 1b. In vista di ciò, quali sono le raccomandazioni del Consiglio perché le risorse inutilizzate da un anno all'altro nel quadro dei Fondi strutturali vengano utilizzate al meglio? Quali misure prevede di prendere per garantire che tali risorse siano attribuite, come prescritto, allo sviluppo regionale?

 
  
 

Questa risposta elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

Oltre al fatto che le attuali disposizioni sul disimpegno automatico degli stanziamenti stabilite agli articoli 11 e 157 del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio del 25 giugno 2002 che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee sono ancora in vigore, il Consiglio desidera richiamare l’attenzione dell’interrogante sul nuovo accordo, vale a dire il punto 17 dell’accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sulla disciplina di bilancio e la sana gestione finanziaria (GU C 139 del 14.6.2006, pag. 1), in base al quale la parte di spesa non eseguita nell’ambito della sottorubrica 1B può essere utilizzata per coprire gli effetti degli adeguamenti degli importi assegnati a titolo dei fondi a sostegno della coesione a uno Stato membro in cui si è registrato uno scostamento di oltre il +/-5 per cento dal PIL cumulato previsto al momento della preparazione dell’accordo.

Inoltre, il Consiglio ha accolto la richiesta del Parlamento di aumentare l’assorbimento degli stanziamenti consentendo che l’attuazione degli impegni di bilancio iscritti annualmente durante i primi tre anni del prossimo periodo di programmazione (2007-2010) continui oltre l’anno n+2 nell’anno n+3. Tale disposizione si applicherà agli Stati membri con economie particolarmente deboli il cui PIL pro capite è inferiore all’85 per cento della media dell’UE. E’ anche probabile che l’aumento del tasso di cofinanziamento per questi Stati membri contribuisca a ridurre i problemi legati alla capacità di utilizzo dei finanziamenti (articoli 93 e 53 del regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006).

 

Interrogazione n. 31 dell'on. Ryszard Czarnecki (H-0677/06)
 Oggetto: Referendum sulla Costituzione europea
 

Perché la Finlandia che detiene la presidenza del Consiglio non desidera convocare un referendum sulla Costituzione europea ma é favorevole alla sua adozione sulla base di una decisione del parlamento finlandese? Questa impostazione non è forse contraria al Piano "D per la Democrazia" annunciato dalla Commissione?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di settembre I del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo nel settembre 2006.

In base all’articolo 48, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea, gli emendamenti a tale Trattato entreranno in vigore dopo essere stati ratificati da tutti gli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali. Analogamente, il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa stabilisce all’articolo IV-447 che il Trattato sarà ratificato dalle alti parti contraenti conformemente alle rispettive norme costituzionali.

Ciascuno Stato membro decide in merito allo svolgimento di un referendum sulla Costituzione sulla base delle disposizioni della legislazione nazionale. Questo vale per il paese che attualmente detiene la Presidenza nonché per gli altri Stati membri. Quella sollevata nell’interrogazione dell’onorevole parlamentare è una questione interna dello Stato membro in questione. La Presidenza non può rispondere all’interrogazione in quanto non rientra nella sfera di competenza del Consiglio.

 

Interrogazione n. 32 dell'on. Nils Lundgren (H-0679/06)
 Oggetto: Diritto di veto su questioni penali e poliziesche
 

Il 28 giugno 2006, la Commissione ha proposto che sulle questioni penali e poliziesche si decidesse a maggioranza qualificata, argomentando che il vigente diritto di veto degli Stati membri oltre che rallentare il processo decisionale annacquava le decisioni, essendo inteso che le decisioni a maggioranza qualificata risulterebbero "più efficaci".

Il diritto penale costituisce il fulcro della sovranità di un paese e pertanto la proposta è improntata al federalismo più spinto.

La proposta presentata dalla Commissione rappresenta altresì una componente controversa del progetto di Costituzione dell'UE contro il quale si sono pronunciate, in occasione di distinti referendum, le popolazioni sia della Francia che dei Paesi Bassi.

Reputa il Consiglio giustificabile, sul piano democratico, porre in atto rilevanti componenti della Costituzione dell'UE bocciata ad ampia maggioranza dai cittadini di due Stati membri dell'UE? Come può la Presidenza ritenere democraticamente legittimo perseguire attivamente una siffatta problematica?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e che di per sé non è vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

Ai sensi dell’articolo 42 del Trattato sull’Unione europea, la Commissione o uno Stato membro hanno il diritto di proporre che un’azione nei settori cui l’onorevole parlamentare fa riferimento rientri nel titolo IV del Trattato che istituisce la Comunità europea. Questa decisione richiede l’unanimità del Consiglio e una raccomandazione agli Stati membri di adottare tale decisione secondo le rispettive norme costituzionali.

Poiché la procedura è basata sull’attuale Trattato, ciò non significa che venga attuato il Trattato costituzionale. L’articolo 42 in questione è stato incluso nel Trattato sull’Unione europea nel Trattato di Maastricht ed è stato esteso nel Trattato di Amsterdam alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Tutti gli Stati membri hanno ratificato entrambi i Trattati nei propri parlamenti a seguito di dibattiti democratici o referendum.

La Presidenza desidera precisare che il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 ha chiesto alla Presidenza finlandese entrante di “esplorare, in stretta collaborazione con la Commissione, le possibilità di miglioramento del processo decisionale e dell’azione in materia di libertà, sicurezza e giustizia sulla base dei Trattati vigenti”.

Due settimane dopo, la Commissione ha presentato la comunicazione dal titolo “Attuazione del programma dell’Aia: prospettive per il futuro” in cui propone di far ricorso alle clausole passerella di cui all’articolo 42 TUE, consentendo il trasferimento della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale dal titolo VI del Trattato sull’Unione europea al titolo IV del Trattato che istituisce la Comunità europea.

La Presidenza è impegnata a svolgere il mandato conferitole dal Consiglio europeo e propone di agire sulla base di questa proposta della Commissione.

Inoltre, la Presidenza desidera sottolineare che il ricorso alle clausole passerella di per sé non significa che non si deve più applicare il principio dell’unanimità. Il Consiglio può stabilire che alcune politiche sensibili devono ancora essere decise con voto unanime tra i membri del Consiglio. Anche se il principio dell’unanimità resta in vigore, il trasferimento dal titolo VI del Trattato sull’Unione europea al titolo IV offrirebbe vari vantaggi, uno dei quali è il più stretto coinvolgimento del Parlamento europeo nel processo decisionale. In questo modo si promuoverebbe l’accettabilità dell’attività decisionale per quanto riguarda questioni che sono importanti per tutti i cittadini dell’UE ovunque.

 

Interrogazione n. 33 dell'on. Hans-Peter Martin (H-0681/06)
 Oggetto: UE e neutralità
 

A seguito del continuo conflitto armato nel vicino Oriente si è tornati a discutere intensamente negli Stati membri sulla questione della neutralità e della libertà da alleanze.

Ritiene la Presidenza del Consiglio finlandese che la neutralità dell'Austria esista ancora? Come giudica la Presidenza del Consiglio finlandese la neutralità dell'Austria in relazione all'entrata in vigore dell'attuale Costituzione UE? Tramite la nuova Costituzione UE la neutralità dell'Austria viene piuttosto rafforzata o indebolita?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e che di per sé non è vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

Le attuali disposizioni sulla politica di sicurezza e di difesa contenute nei Trattati sono entrate in vigore nell’ambito del Trattato di Amsterdam nel 1997 e stabiliscono, tra l’altro, che la politica dell’Unione non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri.

Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa contiene varie sezioni dedicate alla politica europea di sicurezza e di difesa (PESD), che è stata adottata da tutti gli Stati membri, come ad esempio quelle relative alla cooperazione strutturata e all’Agenzia europea per la difesa. Il Trattato riprende le attuali disposizioni previste dalla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), che non adotta una posizione sul carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri.

Non è opportuno che il Consiglio si esprima su questo carattere specifico o sulla misura in cui può essere influenzato da qualsiasi impegno assunto nel quadro dei vari accordi che in futuro potranno essere conclusi nell’Unione europea.

 

Interrogazione n. 34 dell'on. Nikolaos Vakalis (H-0685/06)
 Oggetto: Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA) e UE
 

Nel settembre 2006 si terrà a Vienna l'assemblea generale annuale dell'AIEA con una manifestazione speciale sulle misure di salvaguardia in materia di fornitura di combustibile nucleare e di non proliferazione delle armi nucleari, nel cui quadro una serie di Stati membri dell'AIEA hanno presentato proposte per creare un ciclo mondiale sicuro per il combustibile nucleare sotto l'egida dell'AIEA (tra gli altri, gli USA con l'iniziativa Global Nuclear Energy Partnership, la Russia, la Francia, la Germania, l'Olanda e il Regno Unito). Tra le missioni dell'Euratom figurano le misure di salvaguardia nucleare in base alle garanzie dell'AIEA e nel quadro degli accordi tripartiti tra Stati membri, Comunità e AIEA.

Esiste nel Consiglio una posizione comune sulle iniziative internazionali volte alla creazione di un ciclo mondiale sicuro per il combustibile nucleare che vengono attualmente elaborate nel quadro dell'AIEA?

Si esamina per il futuro l'elaborazione di una posizione negoziale unitaria dell'UE in seno all'AIEA per le questioni che rientrano nel campo di applicazione del Trattato Euratom?

Qual è la posizione del Consiglio sulla revisione del Trattato Euratom, proposta da alcuni Stati membri nonché dalla Commissione al fine di adattare il trattato alle realtà energetiche e geopolitiche attuali?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e che di per sé non è vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

Le iniziative volte a promuovere le misure di salvaguardia multilaterali in materia di combustibile nucleare possono essere di fondamentale importanza nella creazione di incentivi atti a contribuire agli sforzi per impedire la continua diffusione di tecnologia nucleare sensibile. Il Consiglio segue con attenzione gli sviluppi in questo settore, soprattutto nel quadro dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica. Tutti gli Stati membri dell’UE parteciperanno a una manifestazione speciale organizzata in connessione con la Conferenza generale dell’AIEA di quest’anno, nel corso della quale si discuterà il tema delle misure di salvaguardia multilaterali in materia di combustibile nucleare. L’Alto rappresentante è stato invitato a intervenire tra i principali relatori, ma sarà sostituito dal suo rappresentante personale.

Le discussioni tra gli Stati membri e la Commissione e nell’ambito dei pertinenti gruppi di lavoro del Consiglio sono già iniziate allo scopo di stabilire una strategia comune da parte dell’UE riguardo alla questione delle misure di salvaguardia multilaterali in materia di combustibile nucleare. A prescindere dalla strategia che alla fine verrà adottata, essa deve in ogni caso essere coerente con le disposizioni del Trattato Euratom e deve garantire la redditività dei mercati commerciali dell’energia nucleare all’interno e al di fuori dell’UE.

In base all’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea, il governo di qualsiasi Stato membro o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i Trattati su cui è fondata l’Unione. Poiché al momento non vi è alcuna proposta di discutere una modifica al Trattato Euratom, il Consiglio non ha adottato una posizione in materia.

 

Interrogazione n. 35 dell'on. Georgios Toussas (H-0686/06)
 Oggetto: Violenza di stato e angherie contro i dimostranti durante il G8
 

In occasione del G8 che ha riunito i leader degli otto paesi capitalisti più forti a San Pietroburgo, il Presidente Putin e il suo governo hanno cercato di impedire con atti brutali di repressione e terrore le manifestazioni antimperialistiche dei lavoratori e della gioventù della Russia ma anche di altri paesi contro lo sfruttamento e le guerre imperialistiche, e a favore della pace e del benessere dei popoli. La decisione reazionaria del governo Putin di vietare gli assembramenti e le manifestazioni a San Pietroburgo in occasione del G8, il 15-17 luglio 2006, congiuntamente alla mobilitazione delle forze speciali di polizia antisommossa, l'arresto di 21 giovani a Leningrado e di altri 60 giovani in altre città costituiscono una violazione palese delle libertà e dei diritti popolari dei lavoratori. I responsabili diretti di questa assurda situazione sono tutti i leader del G8.

Qual è la posizione del Consiglio in ordine agli assurdi atti di brutale violenza e terrore commessi dal governo russo contro i lavoratori e la gioventù?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e che di per sé non è vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

Anche se non ha un parere definitivo sui singoli eventi cui l’onorevole parlamentare fa riferimento, il Consiglio esprime regolarmente alle autorità russe la propria preoccupazione riguardo alle evidenti carenze in materia di protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, in particolare nei colloqui sui diritti umani che si svolgono due volte all’anno e nell’ambito del dialogo politico. Inoltre, in concomitanza con tali colloqui si sono tenute riunioni con le ONG e in tali occasioni rappresentanti della società civile hanno avuto l’opportunità di manifestare la loro preoccupazione e di rendere note le loro opinioni. Durante il mandato della Presidenza finlandese, i colloqui sulle questioni dei diritti umani tra UE e Russia si svolgeranno in novembre. La Presidenza ha regolarmente ribadito che una società civile forte e una democrazia pluralista sono elementi essenziali per la prosperità e il benessere di una nazione.

 

Interrogazione n. 36 dell'on. Athanasios Pafilis (H-0688/06)
 Oggetto: Nuova ingerenza brutale del governo statunitense nelle questioni interne di Cuba
 

Una relazione del governo statunitense sulla transizione di Cuba verso la democrazia, di cui sono state pubblicate alcune parti, prevede il rovesciamento del governo socialista di Cuba, l'adozione di misure immediate in caso di decesso di Fidel Castro, il finanziamento pari a 80 milioni di dollari di un'azione di sabotaggio, l'eliminazione di migliaia di dirigenti e seguaci del PCC come pure l'assistenza agli orfani che ne risulteranno.

Intende il Consiglio condannare questa nuova azione provocatoria degli Usa ai danni di Cuba e del suo popolo, che costituisce un'ingerenza brutale nelle questioni interne di tale paese?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e che di per sé non è vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni della prima tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel settembre 2006.

La questione sollevata dall’onorevole parlamentare riguarda le relazioni bilaterali tra gli Stati Uniti d’America e Cuba. Al Parlamento europeo è senz’altro nota la posizione comune dell’UE su Cuba e non è necessario ripeterla in questa occasione.

 

INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE
Interrogazione n. 45 dell'on. Reinhard Rack (H-0648/06)
 Oggetto: Contrassegno uniforme a livello europeo per i veicoli di intervento
 

Negli Stati membri si esprime in maniera ricorrente l'auspicio di vedere i veicoli di intervento delle forze di sicurezza e di salvataggio (polizia, vigili del fuoco, protezione civile e simili) contrassegnati in maniera uniforme a livello europeo, come già da tempo si pratica per i veicoli adibiti al soccorso (Croce rossa).

Ravvisa la Commissione la possibilità di predisporre proposte in merito e/o varare appositi provvedimenti legislativi?

 
  
 

Il diritto comunitario non prevede disposizioni intese a standardizzare contrassegni e simboli di identificazione dei veicoli di intervento.

La situazione è molto diversa nei vari Stati membri, e di questi ultimi solo alcuni dispongono di una normativa in materia. In generale, ogni corpo ha i propri contrassegni identificativi, che sono determinati sotto il controllo delle autorità di supervisione.

In queste condizioni, l’armonizzazione delle disposizioni dei vari Stati membri sembrerebbe molto difficile da realizzare e apporterebbe scarso valore aggiunto. Se si fissassero misure di armonizzazione si creerebbero considerevoli problemi:

sarebbe necessario chiedere la sostituzione dei contrassegni e simboli esistenti su tutti i veicoli di intervento;

sarebbe quindi indispensabile “rieducare” il pubblico a reagire ai nuovi segnali;

infine, occorrerebbe eliminare le diciture nella lingua degli Stati membri, intese in modo specifico a facilitare l’identificazione della maggior parte dei veicoli di intervento.

Il valore aggiunto dell’armonizzazione di contrassegni e simboli sembra limitato dal fatto che la Convenzione di Vienna del 1968 sulla circolazione stradale stabilisce le condizioni per l’uso di luci di segnalazione speciali. I veicoli di intervento sono dotati di sistemi luminosi che emettono una luce blu, che deve essere utilizzata sui veicoli nel corso di missioni prioritarie. Tale disposizione ha comportato il consolidarsi di una prassi uniforme, garantendo la piena riconoscibilità delle forze di sicurezza e di salvataggio impegnate in missioni prioritarie in tutta la Comunità anche se i contrassegni e i simboli dei vari corpi non sono armonizzati.

In base al principio del miglioramento della regolamentazione non sembra pertanto esservi nulla che giustifichi la presentazione di proposte e/o l’introduzione di misure legislative in questo settore da parte della Commissione.

 

Interrogazione n. 50 dell'on. Dimitrios Papadimoulis (H-0621/06)
 Oggetto: Trasporto di fanghi in Germania
 

L'8 giugno 2006 il viceministro dell'ambiente, dell'assetto territoriale e dei lavori pubblici ha informato il Parlamento greco dell'inizio del trasporto via mare verso la Germania dei fanghi di Psitallia, confezionati in sacchi ermetici al fine di ridurre al minimo la possibilità di inquinamento marittimo. Tuttavia, a seguito delle lamentele della prefettura del Pireo, il battello è stato attraccato al molo di un cantiere navale di Perama per lavori di rifacimento. Il prefetto del Pireo parla di "nave bomba" che minaccia tutta la regione del Golfo di Saronico.

Può la Commissione fare il punto della situazione per quanto riguarda la gestione e il trasporto dei fanghi usati? Poiché la scelta del modo di trasporto dei rifiuti non sembra sicura, né di natura tale da offrire una soluzione definitiva alla questione della gestione delle acque reflue, può la Commissione far sapere che cosa intende fare per garantire l'applicazione corretta della legislazione comunitaria, in particolare il regolamento sui trasporti dei rifiuti e la convenzione di Basilea, come pure la protezione efficace dell'ambiente e della salute pubblica?

 
  
 

Il funzionamento dell’impianto di trattamento delle acque reflue di Psitallia crea considerevoli quantità di fanghi di depurazione che, in contrasto con le direttive 2006/12/CE(1) e 91/271/CE(2), sono stati smaltiti nella discarica di Ano Liosia sulla terraferma.

La Commissione ha invitato il governo greco a presentare le sue osservazioni sulle misure adottate per garantire che il trattamento dei fanghi sia conforme alla legislazione ambientale comunitaria. La Grecia ha spiegato che, per risolvere il problema, sarà costruito un impianto di essiccazione, che si prevede sarà operativo nel luglio 2007.

Quale soluzione intermedia le autorità greche hanno infine deciso di trasferire i fanghi al di fuori del paese per il recupero o l’incenerimento in impianti autorizzati in Germania. Un contraente ha iniziato la spedizione dei fanghi in Germania; ne sono state inviate 10 000 tonnellate nel Magdeburgo e sono in corso ulteriori spedizioni. Nessun elemento lascia supporre l’esistenza di problemi tecnici.

Le spedizioni di fanghi di depurazione per il recupero o lo smaltimento tra Stati membri rientra nel campo di applicazione del regolamento (CEE) n. 259/1993 relativo alle spedizioni di rifiuti(3). Il regolamento in questione recepisce la Convenzione di Basilea ed è basato sul principio di previo assenso informato, secondo la prevista procedura di notificazione e autorizzazione. Nella risposta alla lettera di diffida della Commissione, le autorità greche hanno dichiarato che la spedizione dei fanghi di depurazione sarebbe stata effettuata conformemente al regolamento menzionato. Si tratta anche di una specifica clausola del contratto concluso nel caso in questione.

La Commissione continuerà a seguire la situazione e adotterà tutte le misure necessarie, fra cui anche la prosecuzione della procedura di infrazione, per garantire la conformità alla legislazione ambientale comunitaria.

 
 

(1) GU L 114 del 27.4.2006.
(2) GU L 135 del 30.5.1991.
(3) GU L 30 del 6.2.1993.

 

Interrogazione n. 51 dell'on. Avril Doyle (H-0640/06)
 Oggetto: Procedura di autorizzazione scientifica per gli OGM
 

Può la Commissione confermare che la procedura di convalida scientifica degli organismi geneticamente modificati (OGM), per i quali è stata richiesta l'autorizzazione di immissione nel mercato, è sufficientemente rigorosa da rassicurare l'opinione pubblica garantendo in maniera categorica e inequivocabile che le colture in questione non costituiscono una minaccia per la salute umana o per l'ambiente, in linea con il "principio di precauzione" della normativa ambientale?

 
  
 

La Commissione ringrazia l’onorevole parlamentare per la sua pertinente interrogazione, in quanto viene presentata in un momento in cui la Commissione si sta adoperando per migliorare l’applicazione del quadro legislativo relativo agli organismi geneticamente modificati (OGM). Tale azione dovrebbe assicurare all’opinione pubblica, alle parti interessate e agli Stati membri che le decisioni comunitarie in materia di OGM sono basate su rigorose valutazioni scientifiche che garantiscono un elevato livello di tutela della salute umana e dell’ambiente.

La Commissione è del parere che la valutazione scientifica degli OGM deve essere scrupolosa in modo che noi tutti possiamo nutrire la necessaria fiducia nei confronti delle pertinenti procedure di valutazione dei rischi su cui si basa l’attività decisionale. In questo spirito la Commissione ha definito un pacchetto di misure per accrescere efficacemente la coerenza e la trasparenza di tali procedure, con l’attivo coinvolgimento dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA), degli Stati membri e dei notificanti nelle relative discussioni su questioni scientifiche.

L’EFSA e gli Stati membri hanno accolto in modo molto costruttivo il pacchetto proposto durante una riunione tecnica svoltasi il 19 giugno 2006 nonché in occasione della riunione del Consiglio “Ambiente” del 26 giugno. In particolare, l’EFSA ha annunciato una serie di misure di immediata applicazione, fra cui la convocazione di riunioni periodiche con gli Stati membri su specifiche questioni connesse alla valutazione dei rischi, come ad esempio gli effetti a lungo termine, la valutazione d’impatto ambientale e l’allergenicità. Il rafforzamento della collaborazione nel processo di valutazione dei rischi dovrebbe contribuire a creare maggiore consenso e fiducia nei confronti del rigoroso quadro normativo comunitario in materia di OGM, di cui il principio di precauzione costituisce un elemento centrale, in particolare nella valutazione caso per caso che precede qualsiasi immissione sul mercato. Un OGM non sarebbe sicuramente autorizzato se durante la procedura di valutazione dei rischi venisse individuato un rischio potenziale per la salute umana o per l’ambiente. La legislazione dell’UE rivolge grande attenzione agli effetti potenziali a lungo termine sull’ambiente e sulla biodiversità, di cui si deve tener conto sia durante la fase di valutazione dei rischi sia nell’ambito della gestione dei rischi, attraverso piani di sorveglianza successiva all’immissione sul mercato.

La Commissione è pertanto attivamente impegnata a far sì che l’autorizzazione di immissione sul mercato avvenga solo dopo una rigorosa procedura di valutazione dei rischi e che qualsiasi decisione di autorizzazione preveda adeguate misure di gestione dei rischi.

 

Interrogazione n. 54 dell'on. Alexander Stubb (H-0665/06)
 Oggetto: Inquinamento nel Mar Baltico
 

Il Mar Baltico è uno dei mari più inquinati del mondo. Quale tipo di azioni prospetta la Commissione per evitare un ulteriore inquinamento del mare da parte degli Stati membri e della Russia? Come partecipa la Commissione all'elaborazione del Piano d'azione della Commissione per la tutela ambientale del Mar Baltico (HELCOM)? Quali sono le aspettative e gli obiettivi della Commissione riguardo a questo piano?

 
  
 

L’ambiente marino del Baltico è in effetti sottoposto a considerevole pressione. Nonostante alcuni importanti miglioramenti registrati in alcune aree sotto la guida della Commissione di Helsinki (HELCOM), nel corso degli ultimi anni hanno purtroppo continuato ad accumularsi le prove dello stato di deterioramento del Mar Baltico.

Lo scorso autunno la Commissione ha adottato una strategia dell’UE per l’ambiente marino. Per la prima volta l’Unione europea sta istituendo un quadro politico, che comprende anche una proposta di direttiva attualmente in fase di discussione in seno al Consiglio e al Parlamento che affronta in modo specifico la questione fondamentale della tutela dei mari e degli oceani europei in maniera integrata, prendendo in considerazione tutte le pressioni e gli impatti. L’obiettivo della strategia è il conseguimento di un buono stato ecologico dell’ambiente marino dell’UE entro il 2021. La strategia promuove la cooperazione nell’ambito delle convenzioni relative ai mari regionali, fra cui quella della HELCOM. Grazie alla sua lunga tradizione di competenza ed esperienza in campo tecnico e scientifico, al fatto che nel suo ambito di attività rientra l’intera regione del Mar Baltico nonché a una comprovata capacità di operare in modo efficace a livello regionale, la HELCOM costituisce un partner prezioso nella realizzazione della strategia. La cooperazione tra tutti i paesi è infatti una condizione preliminare essenziale per l’efficace tutela dell’ambiente marino.

La strategia dell’UE per l’ambiente marino è rigorosamente complementare all’attività della HELCOM, in particolare il piano d’azione per il Mar Baltico in fase di elaborazione. La strategia integrerà e rafforzerà le iniziative per la tutela del Mar Baltico attualmente in corso sotto l’egida della HELCOM, fornendo un quadro giuridicamente vincolante a livello di UE. Il piano d’azione in questione sarà l’elemento fondamentale di ulteriori azioni nella regione del Baltico.

Il piano d’azione per il Mar Baltico fa della convenzione della HELCOM un precursore e un modello da seguire tra le convenzioni relative ai mari regionali in Europa. La Commissione sostiene con forza tale piano d’azione e partecipa attivamente alla sua definizione.

 

Interrogazione n. 55 dell'on. Romana Jordan Cizelj (H-0671/06)
 Oggetto: Rigassificatori nel golfo di Trieste
 

Studi condotti sulle potenziali conseguenze della costruzione e dell'utilizzo di due rigassificatori nel golfo di Trieste e sulla costa limitrofa mostrano chiaramente che questi progetti da realizzare in Italia avranno svariati effetti transfrontalieri.

Il governo sloveno ha constatato che l'Italia non ha osservato le disposizioni dell'articolo 7 della direttiva 2001/42/CE(1) sulla valutazione ambientale di determinati piani e programmi, dell'articolo 3 della Convenzione sulla valutazione dell'impatto ambientale in un contesto transfrontaliero e dell'articolo 7 della direttiva 85/337/CEE(2), modificata dalla direttiva 97/11/CE(3), sulla valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. L'Italia, inoltre, non ha osservato l'articolo 4 della Convenzione sugli effetti transfrontalieri derivanti da incidenti industriali.

Come reagisce di norma la Commissione a tali violazioni delle direttive dell'UE? Quali misure intende prendere in un caso come questo, riguardante la costruzione di rigassificatori nel golfo di Trieste senza alcuna consultazione transfrontaliera, senza una valutazione preliminare dell'impatto ambientale e in contrasto con la legislazione internazionale?

 
  
 

Come già indicato nella risposta fornita nel luglio 2006 all’interrogazione scritta P-2700/06 dell’onorevole Drčar Murko riguardante lo stesso argomento, la Commissione è a conoscenza dei progetti di due rigassificatori nel golfo di Trieste, anche se non dispone di informazioni dettagliate su tali progetti e sull’attuale fase della relativa procedura di autorizzazione. La Commissione sa inoltre che è stato stabilito un contatto diretto tra i ministeri dell’Ambiente di Slovenia e Italia, anche a livello di ministri, per risolvere il problema nel modo più adeguato possibile.

Anche se in effetti, come afferma l’onorevole parlamentare, si potrebbero applicare varie convenzioni internazionali, ognuna delle quali prevede un proprio meccanismo per la composizione delle controversie tra le parti aderenti, in questo caso si potrebbe far ricorso ad alcune direttive ambientali comunitarie, in particolare alla direttiva 85/337/CEE(4) del Consiglio del 27 giugno 1985 concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, modificata dalla direttiva 97/11/CE(5) del Consiglio, e alla direttiva 96/82/CE(6) del Consiglio del 9 dicembre 1996 sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose, la cosiddetta direttiva Seveso II, modificata dalla direttiva 2003/105/CE(7) del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2003.

Le direttive menzionate in precedenza includono meccanismi per l’informazione degli Stati membri vicini che potrebbero essere interessati da alcuni progetti.

E’ opportuno rammentare a questo proposito che, ai sensi dell’articolo 227 del Trattato, gli Stati membri hanno diritto di adire la Corte di giustizia europea in caso di questioni come quella in esame, dopo essersi rivolti alla Commissione.

Attualmente la Commissione sta esaminando le informazioni pervenute dalle autorità italiane. Sono tuttavia necessarie ulteriori informazioni per effettuare una piena valutazione della situazione per quanto riguarda il rispetto degli obblighi incombenti alle autorità italiane in virtù della legislazione dell’UE. La Commissione, qualora giungesse alla conclusione che è stato violato il diritto comunitario, non esiterà ad adottare tutte le misure necessarie, fra cui l’eventuale avvio di una procedura formale ai sensi dell’articolo 226 del Trattato, per garantire la piena conformità al diritto comunitario nel presente caso.

 
 

(1) GU L 197 del 21.7.2001, pag. 30.
(2) GU L 175 del 5.7.1985, pag. 40.
(3) GU L 73 del 14.3.1997, pag. 5.
(4) GU L 175 del 5.7.1985.
(5) GU L 73 del 14.3.1997.
(6) GU L 10 del 14.1.1997.
(7) GU L 345 del 31.12.2003.

 

Interrogazione n. 56 dell'on. Rosa Miguélez Ramos (H-0673/06)
 Oggetto: Costruzione di due autostrade a Ibiza
 

Nell'isola di Ibiza (Baleari, Spagna) è in corso di esecuzione un progetto per la costruzione di autostrade promosso e finanziato dal governo delle isole Baleari e dal Consiglio insulare di Ibiza e Formentera. Il progetto sta provocando molte proteste popolari in quanto è ritenuto ingiustificato, irrazionale ed eccessivamente dimensioni. Diverse associazioni civiche hanno denunciato alla Commissione le infrazioni commesse alla normativa ambientale comunitaria.

Può la Commissione comunicare il seguito che è stato dato a tale denuncia?

Cosa pensa di fare la Commissione per garantire il rispetto della normativa UE in materia ambientale e della legislazione UE sui contratti pubblici?

 
 

Interrogazione n. 57 dell'on. Teresa Riera Madurell (H-0676/06)
 Oggetto: Costruzione di due autostrade a Ibiza
 

In risposta all'interrogazione P-2048/06 presentata in merito ai gravi fatti che si stanno verificando a Ibiza (Isole Baleari-Spagna), conseguenti all'attuazione di un macroprogetto di autostrade che potrebbe ledere l'acquis comunitario in materia ambientale, la Commissione ha risposto che avrebbe esortato le autorità spagnole ad indagare a fondo sui fatti avvenuti. Varie associazioni cittadine hanno denunciato altresì dinanzi alla Commissione dette violazioni. In questo caso, la risposta è stata che si era avviata una procedura d'ufficio.

Ha la Commissione ricevuto qualche risposta dal governo spagnolo? In che cosa consiste una procedura d'ufficio e quando saranno resi noti i risultati della stessa?

 
  
 

La Commissione è venuta a conoscenza dei progetti tramite l’interrogazione scritta P-2048/06, presentata dall’onorevole Miguélez Ramos. Subito dopo è stata avviata un’indagine allo scopo di raccogliere tutte le informazioni necessarie per valutare se in questo caso era stata rispettata la normativa ambientale comunitaria. Varie direttive comunitarie in materia ambientale, in particolare quelle relative alla protezione dell’ambiente naturale e alla valutazione d’impatto ambientale, possono essere pertinenti in questo caso.

Attualmente la Commissione sta esaminando la questione e all’inizio di settembre 2006 invierà alle autorità spagnole la richiesta formale di fornire le informazioni necessarie per consentire una corretta valutazione delle questioni ambientali sollevate dall’onorevole parlamentare.

Per quanto riguarda le disposizioni comunitarie in materia di appalti pubblici, la Commissione non dispone in merito al progetto di informazioni che la inducano a sospettare che tali disposizioni non siano rispettate. Se l’onorevole parlamentare è in possesso di informazioni che facciano supporre il contrario, la Commissione sarà lieta di esaminarle.

In ogni caso, qualora dall’indagine della Commissione emergesse che non sono state pienamente rispettate le disposizioni comunitarie, la Commissione adotterà tutte le misure necessarie per far sì che ciò avvenga, eventualmente avviando una procedura formale di infrazione ai sensi dell’articolo 226 del Trattato CE.

 

Interrogazione n. 58 dell'on. Leopold Józef Rutowicz (H-0693/06)
 Oggetto: Distruzione dei vecchi stock di pesticidi
 

I pesticidi sono tra i prodotti chimici più tossici a cui l'uomo è esposto. Si tratta inoltre di sostanze tossiche che distruggono non solo gli organismi nocivi ma anche gli organismi utili.

Un numero sempre maggiore di analisi ha dimostrato che l'uomo e l'insieme degli organismi vivi sono esposti agli effetti dei pesticidi in varie concentrazioni. La decomposizione dei pesticidi è principalmente di natura biochimica (azione dei batteri), ma può anche essere avviata da reazioni fotochimiche (decomposizione sotto l'influenza della luce solare) e chimiche. Inoltre, giova rilevare che i prodotti di tale decomposizione sono talvolta più tossici dei composti iniziali. Quindi la distruzione rapida dei pesticidi vecchi e scaduti, pericolosi per l'uomo e per la fauna e suscettibili di contaminare le falde freatiche rappresenta un problema che occorre affrontare con urgenza, in particolare nei nuovi Stati membri.

Cosa fa la Commissione per accelerare la distruzione dei vecchi stock di queste sostanze estremamente tossiche?

 
  
 

I vecchi stock di pesticidi sono considerati rifiuti e in quanto tali è pienamente applicabile la legislazione comunitaria in materia di rifiuti. Tenuto conto delle loro proprietà pericolose, devono essere sottoposti a stretto controllo dalla produzione allo smaltimento finale. Gli Stati membri devono definire piani di gestione dei rifiuti che prevedano adeguati siti o impianti di smaltimento.

Inoltre, il regolamento (CE) n. 850/2004 relativo agli inquinanti organici persistenti affronta il problema dei pesticidi obsoleti più pericolosi. Nell’ambito di tale regolamento, di recente sono stati adottati limiti di concentrazione al di sopra dei quali gli inquinanti organici persistenti devono essere distrutti tramite incenerimento o trattamento fisico-chimico.

La Commissione è del parere che la legislazione comunitaria in vigore sia sufficiente per gestire in maniera sicura i vecchi stock di pesticidi. Inoltre, le attività connesse allo smaltimento degli stock di pesticidi obsoleti possono essere ammissibili ai finanziamenti comunitari. Anche gli Stati membri svolgono un ruolo importante al fine di garantire che gli stock siano smaltiti in modo corretto nella pratica. I costi di smaltimento devono essere ripartiti in base al principio “chi inquina paga” secondo quanto stabilito all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE.

 

Interrogazione n. 61 dell'on. Georgios Karatzaferis (H-0627/06)
 Oggetto: Regime di occupazione che blocca le esportazioni dalla zona occupata di Cipro
 

È noto che i greci di Cipro hanno esaurito tutta la loro buona fede e accettato di esportare merci originarie delle zone occupate a condizione ovviamente che ciò avvenga attraverso porti internazionalmente riconosciuti, come ad esempio quello di Lemesòs. Nel frattempo, la cosiddetta "camera di commercio turco-cipriota" e le autorità di occupazione ingannano sistematicamente la Commissione e il Parlamento europeo accusando le autorità della Repubblica di Cipro, mentre sono esse stesse a impedire l'applicazione del regolamento della "linea verde", come denunciato dalla "Cyprus EU Association" turco-cipriota e dal suo esponente Ali Erel in una comunicazione distribuita ai parlamentari europei il 24 giugno 2006. In tale comunicazione si sottolinea che 7.500 tonnellate di limoni marciscono sugli alberi nella zona occupata e che i produttori turco-ciprioti di patate perdono forti somme a causa della tattica seguita dalla "camera di commercio" e dalle autorità di occupazione.

Per quale motivo la Commissione continua a pensare che vi sia un "embargo" nei confronti dei turco-ciprioti, dal momento che sono essi stessi a denunciare la tattica seguita dalle autorità di occupazione?

 
  
 

La Commissione è stata invitata dal Consiglio a definire misure volte a porre fine all’isolamento della comunità turco-cipriota e a favorire la riunificazione e l’integrazione economica dell’isola di Cipro, incoraggiando lo sviluppo economico della comunità turco-cipriota. La Commissione non ha mai utilizzato il termine “embargo” nel descrivere la situazione della comunità turco-cipriota.

La Commissione si rammarica che il commercio di patate attraverso la “linea verde” per la successiva esportazione di recente previsto sia stato annullato, tuttavia fa presente che nell’agosto 2006 si è svolto per la prima volta un commercio più ridotto di patate destinate al consumo nelle zone dell’isola controllate dal governo.

La Commissione continuerà a verificare l’attuazione del regolamento (CE) n. 866/2004 (“regolamento relativo alla linea verde”) e si adopererà per creare le condizioni necessarie per consentire agli operatori economici di beneficiare delle opportunità commerciali previste dal regolamento in questione.

 

Interrogazione n. 62 dell'on. Mairead McGuinness (H-0650/06)
 Oggetto: Libera circolazione di lavoratori della Bulgaria e Romania dopo l'adesione
 

Quali sono le aspettative della Commissione in relazione alla libera circolazione di lavoratori della Bulgaria e della Romania quando questi due paesi diventeranno membri a pieno titolo dell'UE nel gennaio prossimo?

Visto che soltanto la Finlandia, la Grecia, l'Irlanda il Portogallo, la Spagna, la Svezia e il Regno Unito hanno consentito il pieno accesso dei cittadini di tutti i 25 Stati membri ai rispettivi mercati del lavoro, si attende la Commissione che questi paesi lo estendano ai cittadini rumeni e bulgari? Che ne è degli altri Stati membri i cui confini restano chiusi?

Sa la Commissione quale atteggiamento avranno i 25 Stati membri a gennaio quando i due nuovi Stati membri aderiranno?

 
  
 

In linea di principio, la Commissione è favorevole alla piena applicazione delle quattro libertà dell’UE, fra cui la libertà di circolazione dei lavoratori. Quest’ultima costituisce un principio fondamentale del Trattato di Roma.

L’8 febbraio 2006 la Commissione ha adottato una relazione sul funzionamento delle disposizioni temporanee di cui al trattato di adesione del 2003. Dai dati disponibili in tale relazione e dai risultati delle ampie consultazioni delle autorità degli Stati membri e delle parti sociali emerge che non esiste alcun rischio effettivo di squilibrio del mercato del lavoro. Anzi, gli Stati membri che non hanno imposto queste misure hanno ottenuto un risultato positivo per il proprio mercato del lavoro e per la propria economia. Alcuni effetti collaterali indesiderati, come il lavoro non dichiarato, sono in larga misura una conseguenza delle misure restrittive.

In merito all’adesione di Bulgaria e Romania, le disposizioni temporanee relative alla libertà di circolazione dei lavoratori concordate per questi due paesi seguono gli stessi principi del precedente allargamento. In linea di principio, tutti gli Stati membri dell’UE a 25 applicheranno misure nazionali per quanto riguarda la circolazione dei lavoratori di Bulgaria e Romania. Gli Stati membri non devono notificare in anticipo alla Commissione la loro decisione.

Finora l’unica posizione di cui la Commissione è a conoscenza è quella della Finlandia, che ha reso nota la sua decisione di non far ricorso alle disposizioni temporanee nei confronti di Bulgaria e Romania. Quanto agli altri paesi, Regno Unito e Irlanda hanno espresso la possibile intenzione di far uso questa volta di tali disposizioni, a differenza di quanto avvenuto nel caso dell’UE a 8, e lo stesso vale per la Repubblica ceca tra i nuovi Stati membri.

La Commissione prevede che, come la Finlandia, anche gli altri Stati membri renderanno nota la loro posizione quando sarà precisata la data di adesione di Bulgaria e Romania. Anche in questo caso tuttavia gli Stati membri hanno tempo fino alla vigilia dell’adesione per dichiarare la propria posizione.

 

Interrogazione n. 63 dell'on. David Martin (H-0653/06)
 Oggetto: Adesione della Croazia
 

Corrisponde a verità che la Croazia, secondo quanto riportato dalla stampa quest'estate, avrebbe scavalcato la Turchia nella lista d'attesa per l'adesione all'UE?

 
  
 

I negoziati con Croazia e Turchia hanno avuto formalmente inizio il 3 ottobre 2005. La prima fase dei negoziati è cominciata il 20 ottobre 2005 con l’avvio da parte della Commissione del cosiddetto processo di analisi con entrambi i paesi. Tale processo riguarda tutti i 33 capitoli tematici dei negoziati e durerà fino a ottobre 2006. Finora sono stati esaminati 29 capitoli.

I negoziati effettivi su ciascun capitolo inizieranno dopo che il paese candidato interessato avrà raggiunto un livello di preparazione sufficiente nel relativo settore dell’acquis. I progressi complessivi dipenderanno dai meriti di ciascun paese e dalla loro capacità di soddisfare i requisiti per l’adesione. La velocità dei negoziati potrà variare a seconda del ritmo delle riforme economiche e politiche negli stessi paesi candidati, dei progressi compiuti per allinearsi all’acquis e della capacità di attuare quest’ultimo.

La Commissione ha presentato al Consiglio alcune relazioni di analisi su capitoli specifici raccomandando a) di aprire i negoziati o b) di fissare parametri di riferimento che devono essere soddisfatti prioritariamente. Al 31 luglio 2006, ciò ha comportato un invito a presentare una posizione negoziale in due casi per la Croazia e in un caso per la Turchia. Inoltre, il Consiglio ha stabilito parametri di riferimento iniziali per la Croazia in quattro casi e per la Turchia in un caso.

Finora sono stati aperti negoziati effettivi su un capitolo con ciascun paese (scienza e ricerca). In entrambi i casi, i progressi sono stati ritenuti sufficienti anche per la chiusura provvisoria di questo capitolo.

 

Interrogazione n. 64 dell'on. Yiannakis Matsis (H-0672/06)
 Oggetto: Restituzione di Famagosta e scambi commerciali
 

E' o non è intenzione della Commissione europea presieduta dalla Finlandia contribuire al ritiro dell'esercito turco dalla città isolata di Famagosta e alla sua restituzione ai suoi legittimi abitanti, nel quadro della soluzione globale auspicata dal regolamento sugli scambi commerciali tra la comunità turco-cipriota e l'Unione europea?

 
  
 

La proposta di regolamento relativo agli scambi commerciali diretti presentata dalla Commissione nel luglio 2004 è ancora all’esame del Consiglio e pertanto la Presidenza svolge un ruolo di primo piano nei negoziati che possono aprire la strada alla sua sollecita adozione. La Commissione sostiene gli sforzi compiuti dalla Presidenza finlandese a tale scopo.

La restituzione di Varosha è stata legata in passato ai negoziati condotti dalle Nazioni Unite (ONU) su una soluzione globale del problema di Cipro. Spetta pertanto alle parti interessate decidere se mantenere tale questione nel quadro della soluzione globale o discuterla separatamente.

 

Interrogazione n. 65 dell'on. Claude Moraes (H-0596/06)
 Oggetto: Discriminazione in base all'età
 

Per quale motivo le missioni di osservazione elettorale della Commissione vietano la partecipazione di osservatori ultrasettantenni? Non si tratta di una disposizione discriminatoria che non tiene conto del fatto che molti anziani di più di 70 anni hanno molta esperienza e potrebbero svolgere il loro compito in modo ideale? A prescindere dai costi assicurativi forse maggiori, è d'accordo la Commissione su una modifica dell'attuale politica in senso meno restrittivo e sulla scelta degli osservatori in base alle loro capacità ed esperienze, e non in base all'età?

 
  
 

In passato la Commissione ha applicato un limite di età di 70 anni per le missioni di osservazione elettorale dell’UE conformemente alle restrizioni previste dalla polizza di assicurazione stipulata per tali missioni.

Su richiesta della Commissione, la società di assicurazioni ha deciso di rendere meno rigorosa la propria polizza e la Commissione ha pertanto deciso di aumentare il limite di età, introducendo tuttavia, in linea con la decisione 8728/99 del Consiglio, esami medici cui è necessario sottoporsi per diventare osservatore elettorale.

Conformemente a tale decisione del Consiglio e in particolare al punto 4, “adeguate condizioni fisiche”, in futuro la Commissione determinerà per ciascuna missione di osservazione elettorale l’esame medico necessario, al fine di accertare, ad esempio, l’idoneità al lavoro in un paese tropicale, l’idoneità al lavoro ad altitudini molto elevate, l’idoneità al lavoro in condizioni estremamente difficili, quali specifiche condizioni climatiche, lunghe ore di lavoro, necessità di lunghi viaggi e un elevato livello di stress psicologico, allo scopo di garantire che tutti gli osservatori inviati siano idonei al lavoro nello specifico contesto della missione di osservazione elettorale dell’UE.

Gli Stati membri che propongono osservatori devono ottenere il corrispondente certificato medico da parte di un medico di fiducia dell’osservatore interessato e dichiarare se l’osservatore ha presentato il certificato medico richiesto.

La Commissione non applicherà pertanto alcun limite di età per l’invio di osservatori.

 

Interrogazione n. 66 dell'on. Elizabeth Lynne (H-0603/06)
 Oggetto: Abusi sugli anziani
 

Dati del Regno Unito indicano che in ogni momento 500.000 anziani subiscono abusi, che nella maggior parte dei casi avvengono all'interno del loro stesso ambiente domestico, benché anche le case di riposo private destino preoccupazione; un numero cospicuo di tali abusi viene commesso da personale di assistenza retribuito, familiari o amici dell'anziano.

Può la Commissione fornire informazioni circa la natura e la diffusione degli abusi commessi negli altri Stati dell'UE?

Quali misure intende proporre sia nel quadro del programma DAPHNE sia nell'ambito delle sue competenze più generali per affrontare tale violazione dei diritti umani all'interno degli Stati membri?

 
  
 

La lotta alla violenza in tutte le sue forme, contro tutti i cittadini europei, è un’importante priorità per la Commissione. Il programma DAPHNE II (2004-2008) per la lotta alla violenza contro donne, giovani e bambini è un elemento fondamentale dell’impegno della Commissione in tale lotta, e le donne anziane costituiscono un importante gruppo di beneficiari del programma. Il programma sostiene i partenariati transnazionali delle organizzazioni non governative (ONG) e degli organi pubblici locali al fine di affrontare, nel complesso, tutte le forme di violenza fondata sul genere dal punto di vista della prevenzione, della tutela, del sostegno e della riabilitazione.

Nel settore degli abusi sugli anziani, il programma DAPHNE ha finanziato vari progetti che si occupano di questo problema, e di recente ha rivolto maggiore attenzione all’argomento, come dimostra il fatto che 3 dei 57 progetti selezionati nell’ambito dell’invito a presentare proposte del 2005 riguardavano gli abusi sulle donne anziane. Progetti relativi a questa stessa problematica sono inclusi anche nella selezione proposta per il 2006 (la decisione di assegnazione deve ancora essere adottata).

I progetti DAPHNE relativi agli abusi sugli anziani confermano quanto di seguito indicato.

Esiste un’effettiva carenza di servizi a sostegno delle donne anziane e una scarsa disponibilità di informazioni nell’UE sul problema o sul modo in cui le vittime possono ricevere aiuto.

Non esiste alcun quadro giuridico a livello comunitario, nazionale o locale per far fronte al problema degli abusi o della violenza contro le donne anziane o della protezione delle persone anziane vulnerabili o affette da demenza.

Le statistiche sulla criminalità esistenti spesso non registrano l’età o il sesso della vittima, e pertanto i dati sulla popolazione anziana tendono a non essere distinti dai dati statistici generali sulla criminalità.

Le donne anziane corrono un rischio particolarmente elevato di subire abusi, e questo vale soprattutto per quelle con disturbi cognitivi.

Dalla ricerca è emerso che non esistono servizi specifici accessibili alle donne anziane vittime di violenza, che pertanto tendono a rivolgersi ad altri enti di sostegno.

La mancanza di una registrazione sistematica di dati relativi agli utenti dei servizi, quali età o motivi di accesso ai servizi, significa che non esistono dati concreti sul numero di donne anziane che accedono ai servizi di sostegno dopo aver subito una forma di violenza.

Nel 2000 il programma DAPHNE aveva finanziato un progetto di ricerca volto a esaminare il riconoscimento, la prevenzione e il trattamento degli abusi sulle donne anziane(1). Lo studio ha analizzato i dati esistenti sulla prevalenza, giungendo alla conclusione che la prevalenza dei maltrattamenti nella popolazione anziana può essere stimato a circa il 4 per cento (stima successivamente confermata dai dati dell’Organizzazione mondiale della sanità pubblicati nel 2002, dai quali si rileva che il 4-6 per cento degli anziani ha subito una forma di abuso nell’ambiente domestico). I tassi di prevalenza per i sottotipi di maltrattamento contro gli anziani in tutti i casi di maltrattamento erano stimati dal progetto all’incirca nel modo seguente: tasso di prevalenza del 31 per cento per gli abusi fisici, del 40 per cento per gli abusi psicologici, del 31 per cento per lo stato di abbandono e del 27 per cento per gli abusi finanziari. Fino al 19 per cento delle vittime può essere esposto a più di un sottotipo di maltrattamento contro gli anziani. Il progetto ha anche confermato che le donne anziane corrono in generale un rischio maggiore di subire tutte le forme di maltrattamento rispetto agli omologhi maschili, e le donne rappresentano forse fino al 70 per cento delle vittime anziane.

Attualmente sono in fase di definizione le statistiche comunitarie sulla criminalità e la giustizia penale nell’ambito di un piano d’azione quinquennale che nelle prossime settimane sarà oggetto di una comunicazione della Commissione al Parlamento, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo. Durante il periodo del piano d’azione, verrà esaminata la copertura di specifici tipi di crimine, fra cui la violenza contro le donne e la violenza domestica.

Ai sensi dell’articolo 152 del Trattato CE, nel giugno 2006 la Commissione ha adottato una comunicazione in merito a iniziative per rendere l’Europa più sicura e una proposta di raccomandazione del Consiglio sulla prevenzione degli incidenti e la promozione della sicurezza. In entrambi i documenti le lesioni intenzionali sotto forma di violenza interpersonale, cui appartengono gli abusi sugli anziani, sono individuati come uno dei principali settori prioritari. Insieme agli Stati membri, nel piano d’azione comunitario la Commissione prevede in futuro di stabilire disposizioni per una rigorosa raccolta di dati in questo delicato settore e di definire azioni congiunte di prevenzione basate sui dati disponibili e su modelli individuati di buone prassi.

 
 

(1) Progetto DAPHNE n. 2000/125/W coordinato dall’Università di Leicester (Regno Unito).

 

Interrogazione n. 67 dell'on. Alain Hutchinson (H-0605/06)
 Oggetto: Delocalizzazione della DBA
 

Il 12 maggio 2006, la DBA (Dim Branded Apparel) annunciava al Comitato Aziendale Europeo la sua intenzione di sopprimere 950 posti di lavoro in Europa. La Francia (450 licenziamenti), la Spagna (300 licenziamenti) e l'Italia ( 140 licenziamenti) sarebbero i Paesi più duramente colpiti. I sindacati hanno denunciato una (prima) serie di provvedimenti finalizzati principalmente alla ricerca dei bassi costi tramite il maggiore ricorso all'outsourcing (terziarizzazione) o alle delocalizzazioni. Dalle informazioni di cui dispone l'interrogante risulterebbe che la DBA o talune delle società da essa inglobate nel 2006 avrebbero usufruito di aiuti europei. Potrebbe la Commissione far sapere di quali aiuti si tratta? Nell'ipotesi di una delocalizzazione delle attività della DBA intende essa recuperare tali aiuti sempre che sia possibile ottenerne il rimborso ai sensi del regolamento CE n. 1260/1999(1) del 21 giugno 1999 recante disposizioni generali sui Fondi strutturali?

 
  
 

La Commissione sta effettuando indagini tra le autorità nazionali responsabili della gestione dei Fondi strutturali al fine di verificare se il gruppo DBA o le imprese che ne fanno parte hanno ricevuto aiuti comunitari. Secondo informazioni ancora incomplete già ricevute, la società DIM S.A., con sede in Borgogna, ha ricevuto un contributo del Fondo sociale europeo (FSE) pari a 95 012 euro relativo a un progetto per il periodo 2004-2005 riguardante un’iniziativa di formazione e di acquisizione di competenze di base. Inoltre, stando alle informazioni pervenute dalle autorità della Regione Lazio, la Commissione può confermare che la DBA non ha ricevuto alcun contributo del Fondo sociale europeo (FSE) nel quadro del programma operativo 2000-2006.

La Commissione comunicherà al Parlamento ogni ulteriore informazione che riceverà dalle autorità nazionali.

Se risulterà che la DBA o le sue filiali hanno effettivamente ricevuto aiuti a titolo dei Fondi strutturali e in seguito non hanno rispettato le condizioni legate alla concessione o all’attuazione di tali aiuti, la Commissione potrà chiedere alle autorità nazionali competenti di adottare le misure necessarie per effettuare rettifiche finanziarie adeguate o ottenere il recupero degli importi indebitamente versati.

Si desidera rammentare che le disposizioni relative alle delocalizzazioni di imprese sono state rafforzate per il periodo di programmazione 2007-2013 dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione. Su proposta della Commissione, le imprese dovranno garantire il mantenimento degli investimenti o dei posti di lavoro creati per un periodo di cinque anni dalla data di completamento dell’operazione cofinanziata, riguardo alla quale talvolta trascorrono molti anni dalla decisione di concessione degli aiuti(2), garantendo in questo modo un periodo minimo durante il quale la regione che ha ricevuto l’aiuto dovrebbe poter beneficiare dei vantaggi economici derivanti dagli investimenti in questione.

E’ anche previsto che le imprese che delocalizzano un’attività all’interno di uno Stato membro o verso un altro Stato membro possano essere obbligate a rimborsare gli aiuti europei percepiti in relazione a tale attività e che, in questo caso, non possano più ricevere contributi a titolo dei Fondi.

 
 

(1) GU L 161 del 26.6.1999, pag. 1.
(2) Per il periodo di programmazione attuale, si considera quale inizio del periodo di cinque anni la data di concessione dell’aiuto.

 

Interrogazione n. 68 dell'on. Antonio López-Istúriz White (H-0606/06)
 Oggetto: Rapporti commerciali turistici Baleari-Cina
 

I rapporti commerciali fra le Isole Baleari e la Cina si sono rafforzati durante gli ultimi anni, ad esempio nell'ambito del commercio di calzature fabbricate sulle isole.

Nonostante l'evoluzione nelle relazioni bilaterali UE-Cina, gli imprenditori maiorchini continuano a scontrarsi con impedimenti burocratici ogniqualvolta intendano aprire le loro attività commerciali o i loro alberghi in Cina, dato che il governo cinese continua a porre molteplici ostacoli agli investitori stranieri che vi stabiliscono le proprie attività commerciali.

Che provvedimenti intende adottare la Commissione europea per rafforzare e facilitare i rapporti commerciali UE-Cina e le relazioni fra gli imprenditori degli Stati membri e la Cina?

In che modo queste misure possono favorire il settore dell'imprenditoria alberghiera delle Isole Baleari e migliorare i rapporti commerciali con la Cina nonché agevolare il loro accesso al mercato cinese in questi campi?

In cosa consiste la nuova strategia annunciata dalla Commissione relativa ai rapporti commerciali e agli investimenti fra l'UE e la Cina?

Dato che, oltre agli scambi commerciali, anche il flusso di turisti nei due sensi (turisti cinesi verso l'Europa e turisti europei verso la Cina) cresce ogni anno notevolmente e offre un enorme potenziale d'affari per entrambe le parti, ha intenzione la Commissione europea di promuovere delle misure per incrementare questo tipo di turismo?

 
  
 

La Commissione condivide la valutazione dell’onorevole parlamentare secondo cui il flusso di turisti nei due sensi tra la Cina e l’Europa cresce ogni anno notevolmente e offre un enorme potenziale d’affari per entrambe le parti.

In termini generali, i fornitori di servizi comunitari beneficiano degli impegni assunti dalla Cina nell’ambito dell’accordo generale sul commercio dei servizi (GATS) dall’adesione di tale paese all’Organizzazione mondiale del commercio avvenuta nel novembre 2001. Per quanto riguarda i servizi alberghieri e di ristorazione, le imprese comunitarie hanno avuto accesso al mercato cinese dalla data di adesione, anche se in partenariato con imprese cinesi. Dal novembre 2005 il requisito di tale partenariato non è più applicabile, e alberghi e ristoranti comunitari possono detenere il 100 per cento della proprietà delle loro filiali in Cina. Anche le agenzie di viaggio e gli operatori turistici comunitari beneficiano degli impegni assunti dalla Cina nell’ambito del GATS nel settore dei servizi relativi ai turisti stranieri che si recano in Cina, a determinate condizioni. Tali restrizioni saranno abolite nel novembre 2007, quando sarà pienamente autorizzato il 100 per cento di proprietà da parte di stranieri. Inutile dire che le Isole Baleari e la relativa industria turistica nell’ambito dell’UE possono trarre vantaggio da questi sviluppi.

Inoltre, la CE sta anche cercando di ottenere da parte della Cina l’applicazione di nuove misure di liberalizzazione nel settore del turismo e dei servizi legati ai viaggi, tra gli altri settori di servizi, nel contesto dei negoziati in corso sul GATS nel quadro dell’attuale ciclo di negoziati in seno all’OMC riguardante la cosiddetta agenda di Doha per lo sviluppo.

I fornitori di servizi comunitari beneficiano anche della considerevole crescita del turismo cinese in Europa dalla conclusione nel 2004 del memorandum d’intesa sullo status di destinazione approvato tra la Comunità europea e l’amministrazione nazionale del turismo della Repubblica popolare cinese (ADS).

Come l’onorevole parlamentare ha ricordato, attualmente la Commissione sta lavorando a una comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle relazioni UE-Cina in materia di commercio e investimenti. Questa comunicazione è una revisione strategica e guiderà la Commissione in tali relazioni per i prossimi anni. L’adozione è prevista per l’autunno 2006. In questo contesto, la Commissione ha intrapreso consultazioni on line e due consultazioni pubbliche e ha organizzato una conferenza su ampia scala. Il Parlamento sarà tenuto pienamente informato su tutti i nuovi sviluppi al riguardo.

 

Interrogazione n. 69 dell'on. Zdzisław Kazimierz Chmielewski (H-0615/06)
 Oggetto: Progresso dei negoziati tra Unione europea e Norvegia
 

Prima del maggio 2004, in base ad accordi bilaterali regolarmente aggiornati con il Regno di Norvegia, la Polonia godeva di accesso alla zona economica esclusiva di tale paese, dove pescava essenzialmente merluzzo (carbonero). Può la Polonia continuare a godere di tali diritti tradizionali nell'area marittima in oggetto? A quale stadio sono i negoziati tra l'Unione europea e il Regno di Norvegia e includeranno essi la possibilità per la Polonia di continuare a pescare nell'area?

 
  
 

La Commissione è consapevole dell’esistenza di un accordo bilaterale sulla pesca tra Norvegia e Polonia.

Tale accordo è stato denunciato dalla Norvegia nel 2004, poco prima dell’adesione della Polonia all’UE.

Nel recente passato la Commissione ha sollevato la questione del seguito da dare a questo accordo con la Norvegia. La posizione ufficiale della Norvegia resta invariata. Tale paese ritiene che l’accordo non sia più valido perché era già stato denunciato.

Ogni anno, in previsione dei negoziati con le autorità norvegesi, la Commissione cerca di valutare le richieste di possibilità di pesca degli Stati membri. Ciò avviene prima dei negoziati annuali con la Norvegia.

I prossimi negoziati sono previsti per il novembre 2006: il primo ciclo si svolgerà dal 6 al 10 novembre e il secondo dal 27 novembre al 1o dicembre 2006.

 

Interrogazione n. 70 dell'on. Katerina Batzeli (H-0616/06)
 Oggetto: Fusioni e acquisti di piazze borsistiche internazionali
 

L'annuncio, da parte della borsa NYSE di New York, dell'acquisto di una piattaforma paneuropea di scambi finanziari Euronext e il colossale mercato finanziario transatlantico che si profila all'orizzonte creano una nuova realtà in materia di fusioni e di acquisti nel settore dei mercati finanziari.

Il fenomeno di iperconcentrazione dei mercati finanziari internazionali, manifestatosi per la prima volta in modo eclatante con l'acquisto del 25,1% dell'LSE di Londra da parte dell'americana NASDAQ, è incoraggiato da motivi di risparmi sui costi. Tuttavia, tale iperconcentrazione suscita contemporaneamente il rischio che l'attività d'investimento si concentri in pochi mercati, e ciò non solo a detrimento dei mercati regionali di piccole dimensioni che ne verranno certamente colpiti, ma anche dei più grandi mercati.

Sulla base di tale nuova realtà, può la Commissione far sapere se intende adottare misure comunitarie di sorveglianza e di trasparenza per quanto riguarda il funzionamento dei colossi finanziari che verranno a crearsi? Ritiene essa utile prevedere misure di protezione del mercato europeo degli investimenti contro eventuali trasferimenti dell'attività d'investimento verso taluni mercati?

 
  
 

La Commissione e gli Stati membri dispongono di una rigorosa normativa in materia di concorrenza che consente di prevenire concentrazioni che potrebbero costituire un considerevole ostacolo a un’effettiva concorrenza. Qualsiasi fusione o acquisto di piazze borsistiche internazionali che soddisfi le soglie per la notifica in base al regolamento comunitario sulle concentrazioni o alle normative in materia di concorrenza nazionali deve rispettare le regole della concorrenza.

La Commissione ritiene che debbano essere le forze di mercato a determinare la forma ottimale dei mercati degli scambi finanziari europei, a condizione che vengano affrontate in maniera adeguata le questioni della concorrenza e della regolamentazione. Il mercato europeo delle azioni e degli strumenti derivati è attualmente molto frammentato nonostante gli sviluppi degli ultimi anni. La Commissione non è del parere che un’ulteriore concentrazione dei mercati finanziari possa comportare effetti negativi per gli utenti di tali mercati, fra cui investitori ed emittenti. La Commissione ritiene infatti che nel mercato unico il consolidamento dei mercati finanziari possa consentire di ottenere un aumento dell’efficienza che, con adeguate garanzie normative, potrebbe essere vantaggioso per gli utenti dei mercati finanziari, offrendo liquidità, una riduzione dei costi delle operazioni e servizi di consulenza, e pertanto avere effetti positivi per l’economia europea. Inoltre, l’accesso a mercati dei capitali dotati di maggiore spessore e liquidità è molto favorevole per l’espansione delle imprese attive nei mercati più piccoli, e pertanto anche per le stesse economie di dimensioni più ridotte.

La Commissione ha da poco completato un ampio programma di modifiche legislative che affronta, tra l’altro, la questione della trasparenza della compravendita di titoli azionari e degli obblighi di trasparenza degli emittenti di valori mobiliari ammessi alla negoziazione nei mercati regolamentati. Secondo le parti, è inteso che l’entità derivante dalla fusione NYSE/Euronext manterrebbe due listini distinti a New York e su Euronext, e pertanto si applicherebbero gli obblighi di trasparenza. La Commissione resta disposta a valutare possibili modifiche della struttura del sistema di supervisione che potrebbero essere necessarie per far fronte alle sfide future.

 

Interrogazione n. 71 dell'on. Inger Segelström (H-0619/06)
 Oggetto: Diritti umani delle donne in Iran
 

Lunedì 12 giugno 2006, un centinaio di attiviste femminili iraniane hanno dimostrato in Teheran per reclamare modifiche delle leggi nazionali discriminatorie delle donne. La dimostrazione è stata repressa brutalmente dalla polizia con l'arresto di 70 dimostranti.

Quali concrete azioni ventila la Commissione nell'ambito di contatti bilaterali con il regime iraniano per denunciarne le violenze contro le attiviste femminili nonché le continue violazioni dei diritti umani in Iran?

 
  
 

La Commissione condivide appieno la preoccupazione dell’onorevole parlamentare riguardo alla violenta repressione della dimostrazione pacifica a favore dei diritti delle donne svoltasi a Teheran il 12 giugno 2006.

La Commissione ritiene che azioni repressive come questa siano in contrasto con gli obblighi giuridici internazionali dell’Iran, fra cui il rispetto del diritto di riunione pacifica garantito dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR). Come l’onorevole parlamentare sottolinea, in tale occasione sono stati arrestati circa 70 dimostranti – sia donne che uomini. E’ stato riferito che una forza di polizia femminile appositamente addestrata si è rivelata particolarmente violenta contro le dimostranti.

Nelle conclusioni del Consiglio “Affari generali e Relazioni esterne” (GAERC) del 17 luglio 2006, l’UE ha richiamato l’attenzione sugli eventi del 12 giugno 2006 e sulle continue discriminazioni nei confronti delle donne in Iran sotto il governo di Ahmadinejad.

L’UE e la Commissione continuano a essere profondamente consapevoli della situazione e ne seguono con grande attenzione gli sviluppi. In effetti, nel maggio 2006 e poco prima della dimostrazione in questione, il Consiglio GAERC ha sottolineato “….. il numero crescente di violazioni della libertà di parola e religione […] nonché l’intimidazione e le molestie nei confronti di difensori dei diritti umani, avvocati e minoranze”.

Seguire la situazione non basta, e l’UE ha pertanto continuato a manifestare preoccupazione riguardo ai diritti umani e al deterioramento della libertà di espressione attraverso i suoi canali diplomatici a Teheran. A questo proposito, è stata e continua a essere fatta presente alle autorità iraniane una serie di casi individuali. La Commissione è attivamente coinvolta in tali iniziative e continua a rammentare all’ambasciatore iraniano presso la CE la sua viva disapprovazione. Al contempo, le organizzazioni non governative (ONG) internazionali per i diritti umani e la vincitrice del Premio Nobel Shirin Ebadi e la sua rete continuano a lavorare instancabilmente, in un contesto caratterizzato da una tendenza complessiva purtroppo molto negativa in Iran nel campo dei diritti umani.

Dal dicembre 2002 la troika dell’UE ha comunque condotto un dialogo diretto sui diritti umani con le autorità iraniane, con la partecipazione di rappresentanti della società civile della parte europea e di quella iraniana. Nell’ambito di questo dialogo si è discusso anche di diritti delle donne. Purtroppo, anche se abbiamo continuato a insistere sulla sua prosecuzione, il dialogo non ha potuto avere luogo dall’estate del 2004, a causa della riluttanza delle autorità iraniane. Nonostante la mancanza di un impegno costruttivo da parte dell’Iran, l’UE resta disposta a discutere di diritti umani, anche attraverso il processo di dialogo.

 

Interrogazione n. 72 dell'on. Robert Evans (H-0623/06)
 Oggetto: Stabulazione dei bovini
 

Il divieto europeo sulle gabbie dei bovini entrerà in vigore a partire dal 2007, quando tali gabbie saranno sostituite da stabulazione in gruppo, ma prove scientifiche mostrano che gli standard sono ancora troppo bassi e quindi considerati illegali in Gran Bretagna. Si sa inoltre che alcuni vitelli del Regno Unito sono stati esportati verso paesi come l'Olanda, facendoli passare di nascosto e in pessime condizioni.

Può la Commissione esaminare la situazione e modificare gli standard per vitelli da carne a un livello più accettabile?

 
  
 

La direttiva 91/629/CEE(1) del Consiglio stabilisce disposizioni minime per la protezione dei vitelli. La direttiva prevede che la Commissione presenti al Consiglio e al Parlamento una relazione sui sistemi di allevamento intensivo di vitelli, elaborata in base a un parere scientifico e che tenga conto delle relative implicazioni socioeconomiche.

Su richiesta della Commissione, il 7 giugno 2006 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha adottato un parere scientifico in materia(2).

Attualmente la Commissione sta analizzando il parere dell’EFSA e intende raccogliere ulteriori dati sui pertinenti aspetti socioeconomici e ricevere il contributo delle parti interessate.

Questi elementi saranno molto importanti per affrontare una questione così delicata in maniera globale e sempre con l’obiettivo di rispettare le necessarie norme in materia di benessere degli animali.

In base all’articolo 6 della direttiva (modificata dalla direttiva 97/2/CE del Consiglio), il termine di presentazione della relazione è il 2006. Tenuto conto tuttavia della necessità di ricevere il contributo dell’EFSA e di procedere a un’adeguata valutazione d’impatto, nel programma d’azione comunitario per la protezione e il benessere degli animali 2006-2010(3) la Commissione ha deciso di presentare questa relazione al Consiglio e al Parlamento non prima del 2008. In questo modo la Commissione potrà inoltre valutare ulteriormente nella sua proposta l’uso di adeguati indicatori di benessere standardizzati per garantire in futuro il controllo diretto dei vari livelli di benessere degli animali d’allevamento.

 
 

(1) GU L 340 dell’11.12.1991. Modificata da ultimo dalla decisione 97/182/CE della Commissione (GU L 76 del 18.3.1997).
(2)The EFSA Journal (2006) 366, 1-36, Opinion on “The risks of poor welfare in intensive calf farming systems. An update of the Scientific Veterinary Committee Report on the Welfare of Calves”.
(3) COM(2006) 13 def.

 

Interrogazione n. 73 dell'on. Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (H-0625/06)
 Oggetto: Misure protezionistiche prese dalle autorità tedesche contro imprese edili polacche in Germania
 

Nelle ultime settimane la polizia doganale tedesca ha nuovamente intrapreso un'azione chiaramente mirata ad obbligare le aziende edili polacche a lasciare il mercato tedesco. Con il pretesto di combattere il dumping, tutti i documenti e i computers vengono portati via alle aziende cosicché è loro impossibile operare normalmente. I conti societari sono spesso sequestrati in attesa del pagamento di eventuali e future ammende, il che significa che le società non hanno liquidi anche se le accuse si dimostrano infondate. Oltre a ciò sebbene le accuse riguardino soltanto questioni di pagamenti, i dipendenti dell'azienda sono trattati come delinquenti pericolosi, tra l'altro soggetti anche all'umiliazione di perquisizioni senza gli indumenti come se ci fosse la possibilità che detengano armi, come risulta da articoli sul giornale tedesco "Braunschweiger Zeitung". Insisto affinché la Commissione effettui passi immediati per porre termine alla prassi sopra descritta.

 
 

Interrogazione n. 74 dell'on. Ryszard Czarnecki (H-0678/06)
 Oggetto: Discriminazione contro imprese edili polacche da parte delle autorità tedesche
 

Alcune imprese edili polacche che operano legalmente in Germania sono state negli ultimi tempi oggetto di azioni discriminatorie e spesso umilianti da parte delle autorità tedesche e della polizia. Le misure adottate a tale riguardo sono contrarie alle leggi tedesche, ai regolamenti edili polacchi e tedeschi e alle libertà sancite dall'UE. Cosa intende fare la Commissione per porre rimedio a questa situazione?

 
  
 

La Commissione ha ricevuto varie lettere e interrogazioni parlamentari riguardo a presunte violazioni delle disposizioni del Trattato CE relative alla libertà di prestare servizi commesse durante controlli e ispezioni effettuati dalle autorità tedesche, tra l’altro, in imprese polacche in Germania. In questo contesto, il Commissario responsabile per il mercato interno e i servizi invita l’onorevole parlamentare a far riferimento all’ultima risposta fornita a nome della Commissione all’interrogazione scritta dell’onorevole Szymanski (E-4639/05) alla fine del 2005.

La Commissione è preoccupata per le difficoltà che le imprese di alcuni Stati membri incontrano quando si tratta di fornire i propri servizi in Germania. E’ essenziale che le imprese di tutti gli Stati membri possano godere degli stessi diritti fondamentali dei concorrenti stabiliti negli altri Stati membri, e in particolare del diritto di prestare servizi.

La Commissione ha pertanto contattato le autorità tedesche che, nella loro risposta, hanno fatto riferimento alle deroghe di cui usufruiscono in base alle disposizioni transitorie previste nei trattati di adesione in merito alla libera circolazione dei servizi che comportano il distacco di lavoratori in alcuni settori. Le autorità tedesche hanno inoltre ribadito che tutte le misure di supervisione vengono applicate in maniera non discriminatoria e proporzionata. In mancanza di prove concrete di discriminazioni sistematiche o di violazioni del trattato di adesione, le imprese interessate possono sottoporre a SOLVIT gli eventuali problemi di trattamento discriminatorio che possono incontrare in casi specifici o adire in materia i tribunali nazionali. La Commissione seguirà da vicino la situazione e compirà ogni possibile sforzo per garantire la corretta applicazione del diritto comunitario.

Le consultazioni che si svolgono regolarmente con le pertinenti autorità competenti in merito alle questioni relative alla prestazione transfrontaliera di servizi, tra l’altro in Polonia, potrebbero anche offrire una buona opportunità per discutere i presunti problemi e cercare di trovare una soluzione.

 

Interrogazione n. 75 dell'on. Irena Belohorská (H-0629/06)
 Oggetto: Patologie principali nell'UE e programma di azione comunitaria nel settore della salute e (della protezione) dei consumatori (2007-2013)
 

La Commissione europea afferma che, per mancanza di risorse, è sopravvenuta una modifica nelle priorità del programma di azione comunitaria nel settore della salute e della protezione dei consumatori (2007-2013) e fa presente che talune importanti patologie sono state tralasciate. Come intende affrontare la Commissione le più comuni patologie nell'UE se non sono inserite nel programma di azione? Su quale base la Commissione ha deciso a favore di una politica di cosiddetti determinanti della salute piuttosto che per una politica delle patologie principali, e perché la Commissione è del parere che il primo approccio sia più efficace?

 
  
 

La Commissione non ha intenzione di tralasciare determinate patologie nelle future azioni comunitarie nel settore della salute. La promozione della salute al fine di contribuire alla prevenzione delle malattie resta uno dei settori fondamentali della nostra proposta di programma.

La Commissione ha dovuto ridimensionare il programma alla luce del bilancio complessivo molto più limitato approvato dal Consiglio e dal Parlamento. Con ciò non si intende interrompere le azioni in corso, ma si propone di non avviare azioni completamente nuove in materia di patologie e di sistemi sanitari.

Questo non significa trascurare le patologie. Il programma contribuirà a ridurre le malattie:

in primo luogo, affrontando i determinanti della salute, come il fumo, in merito al quale sono previste azioni nell’ambito dell’obiettivo “promozione” al fine di ridurre i casi di cancro;

in secondo luogo, con azioni in materia di informazione e scambio di migliori prassi nell’ambito dell’obiettivo “conoscenza”.

 

Interrogazione n. 76 dell'on. Justas Vincas Paleckis (H-0630/06)
 Oggetto: Assorbimento dei fondi destinati alla protezione dell'ambiente
 

La realizzazione di progetti per la protezione dell'ambiente finanziati dal Fondo di coesione registra una stasi nei nuovi Stati membri dell'UE. Taluni paesi utilizzano in modo efficace i fondi erogati mentre altri lo fanno con difficoltà. La Lituania non è un'eccezione in quanto le risorse destinate a simili progetti sono assorbite con lentezza. Tra le cause principali di una siffatta situazione si citano le circostanze tecniche sfavorevoli: i progetti sono ambiziosi e complessi, in Lituania mancano esperti in grado di elaborare progetti nel settore della protezione dell'ambiente, il sistema di assorbimento dei fondi stenta a mettersi in moto e inoltre taluni enti locali frenano il processo.

Risulta interessante rilevare che rispetto ad altri settori gli stanziamenti destinati dall'UE ai progetti di protezione dell'ambiente sono quelli assorbiti con le maggiori difficoltà. Può la Commissione comunicare quali nuovi Stati membri dell'UE utilizzano in modo efficace i fondi destinati alla protezione dell'ambiente e quali registrano risultati meni positivi, nonché spiegare perché si osserva una simile differenza? Perché una siffatta situazione è emersa proprio nel settore della protezione dell'ambiente? Quali cambiamenti propone la Commissione affinché l'assorbimento dei fondi diventi più efficace e come prevede di attuare tale programma?

 
  
 

Nell’ambito del Fondo di coesione tutti i nuovi Stati membri sono riusciti a presentare un numero di progetti ambientali sufficiente per assorbire gli stanziamenti di impegno iscritti in bilancio disponibili per il settore ambientale a titolo dello strumento per le politiche strutturali di preadesione (ISPA) e, dal 2004, del Fondo di coesione. In tutti i casi l’obiettivo politico di impegnare quote pressoché uguali per il settore dei trasporti e per quello ambientale dovrebbe essere conseguito entro la fine del 2006.

In relazione all’assorbimento degli stanziamenti di impegno dell’ISPA e del Fondo di coesione attraverso i pagamenti (rimborsi degli anticipi o dei pagamenti intermedi sulla base della spesa effettiva), i progressi variano da uno Stato membro all’altro. Un recente confronto dell’assorbimento degli stanziamenti di impegno disponibili da parte dei nuovi Stati membri è riportato nella seguente tabella in termini di percentuale pagata dalla Commissione. Tali dati possono talvolta variare in misura considerevole nell’arco di un breve periodo, in particolare per quanto riguarda gli Stati membri più piccoli, a seconda della presentazione e del trattamento delle domande di pagamento.

Percentuale di assorbimento degli stanziamenti di impegno ISPA/Fondo di coesione 2000-2006 per settore:

Ambiente

Trasporti

Cipro

0%

29%

Estonia

29%

38%

Lettonia

20%

45%

Lituania

19%

43%

Malta

0%

48%

Polonia

17%

42%

Repubblica ceca

25%

55%

Slovacchia

20%

58%

Slovenia

20%

45%

Ungheria

25%

35%

Le differenze di assorbimento degli stanziamenti di impegno per coprire le spese effettivamente sostenute per i progetti possono variare per molti motivi. In relazione alle esperienze passate, nel 2005 la Commissione ha reso disponibile una relazione di valutazione ex post che esamina in modo approfondito l’esperienza acquisita riguardo a 200 progetti del Fondo di coesione finanziati nel periodo dal 1993 al 2002 nei quattro Stati membri beneficiari di tale Fondo. La relazione è reperibile su Internet(1).

Tra i motivi dei ritardi e delle difficoltà di attuazione dei progetti individuati nella relazione e dalla Commissione figurano lacune nella concezione e programmazione dei progetti, nella legislazione e nelle procedure nazionali di programmazione e di valutazione ambientale, carenze tecniche negli organi di attuazione, difficoltà di aggiudicazione degli appalti, incertezza finanziaria o istituzionale o difficoltà tecniche nella realizzazione fisica del progetto. Alcuni di questi fattori variano in base allo specifico contesto giuridico, amministrativo e istituzionale nazionale e/o a seconda di specifiche carenze da parte dei singoli beneficiari.

Le possibili carenze nell’attuazione dei progetti menzionate in precedenza valgono allo stesso modo per il settore dei trasporti e per quello ambientale. In quest’ultimo è tuttavia evidente in molti Stati membri una tendenza alla suddivisione della responsabilità dei servizi ambientali tra un più ampio numero di organi di attuazione che comporta progetti più piccoli, un coordinamento più diffuso, la frammentazione dei ruoli e competenze molto diverse tra gli organi di attuazione. Questo vale in particolare rispetto alla relativa concentrazione degli organi di attuazione e delle competenze tecniche nei principali settori dei trasporti.

Laddove le responsabilità sono distribuite in questo modo, le competenze tecniche sono più frammentate e la diffusione delle buone prassi è più difficile, e pertanto l’incidenza dei problemi menzionati è più elevata. Inoltre, nella maggior parte degli Stati membri è stata tradizionalmente maturata una più lunga esperienza nella costruzione di infrastrutture di trasporto.

La Commissione si adopera per far sì che gli stanziamenti di impegno resi disponibili siano utilizzati con tempestività. Il relativo ritardo registrato nell’assorbimento degli stanziamenti destinati all’ambiente è motivo di preoccupazione. Attraverso i dialoghi in corso con gli Stati membri la Commissione promuove, a livello politico e tecnico, una valutazione critica dei sistemi di definizione, identificazione, selezione e controllo dei progetti. Spetta tuttavia in primo luogo agli Stati membri sfruttare al meglio l’opportunità del finanziamento comunitario e assicurare l’assegnazione ottimale delle responsabilità a livello nazionale, regionale e locale.

Per promuovere un’efficace gestione dei progetti, nel 2004 la Commissione ha presentato a tutti i beneficiari del Fondo di coesione un documento sulla capacità di garantire la qualità nella fase di preparazione dei progetti. Lo scopo di tale documento era avviare un dialogo con ciascuno Stato membro e sensibilizzare sull’importanza di una programmazione di progetti di qualità per ottenere un assorbimento più prevedibile. A livello bilaterale la Commissione ha richiamato l’attenzione degli Stati membri sulle eventuali modifiche che potrebbero migliorare l’attuazione dei progetti e l’assorbimento delle risorse.

La valutazione sintetica ex post del 2005 formula una serie di raccomandazioni generali derivanti dalla passata esperienza al fine di migliorare la gestione nazionale dei progetti. Tali conclusioni sono state condivise e discusse con tutti gli Stati membri nel corso del 2005.

Nella prospettiva del periodo 2007-2013, di recente la Commissione ha avviato l’iniziativa JASPERS (assistenza congiunta per la preparazione di progetti a favore delle regioni europee) in stretta collaborazione con la Banca europea per gli investimenti e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Il suo obiettivo è fornire assistenza tecnica a favore delle autorità di gestione nazionali per la preparazione di progetti di alta qualità ammissibili ai finanziamenti comunitari, avere un effetto moltiplicatore attraverso la diffusione delle migliori prassi e offrire modelli che gli stessi paesi beneficiari possono riprodurre. La Commissione prevede che il settore ambientale riceverà particolare attenzione negli Stati membri individuati come prioritari per il sostegno da fornire nell’ambito di JASPERS.

 
 

(1)http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docgener/evaluation/pdf/cohesion_project.pdf.

 

Interrogazione n. 77 dell'on. Brian Crowley (H-0632/06)
 Oggetto: Direttiva "Televisione senza frontiere"
 

Al momento gli Stati membri dell'UE o le stazioni televisive europee non hanno alcun obbligo giuridico che imponga loro di sottotitolare i programmi televisivi, un'iniziativa che migliorerebbe notevolmente l'accesso ai servizi televisivi da parte di persone che soffrono di disturbi uditivi.

Alla luce di tale premesse intende la Commissione riesaminare la decisione di non obbligare le emittenti europee a fornire servizi di sottotitolaggio in base alle disposizioni della direttiva europea rivista "Televisione senza frontiere"?

 
  
 

Nel diritto europeo non è previsto alcun obbligo per le emittenti televisive degli Stati membri di fornire servizi come la sottotitolatura e la descrizione sonora. La fornitura di servizi di assistenza rientra infatti nell’ambito della regolamentazione dei contenuti che viene gestita a livello di Stati membri, conformemente al principio di sussidiarietà. In sostanza, la direttiva “Televisione senza frontiere” (in appresso denominata “la direttiva”) è una direttiva che riguarda il mercato interno. Il suo obiettivo è favorire la libera circolazione dei programmi televisivi nella Comunità europea. La direttiva si propone di conseguire questo obiettivo stabilendo norme minime che devono essere rispettate dalle emittenti televisive sotto la giurisdizione di uno Stato membro e vietando in generale agli Stati membri di sottoporre i programmi televisivi di altri Stati membri a ulteriori controlli prima della ricezione o della trasmissione. La parità di accesso a programmi televisivi o a servizi audiovisivi è estremamente importante, tuttavia la parità di accesso non è una questione che ha implicazioni per il funzionamento del mercato interno e pertanto la direttiva non sarebbe uno strumento adeguato per affrontare tale problema.

La Commissione intende promuovere il dialogo tra i rappresentanti dei gruppi di regolamentazione e del settore per diffondere le migliori prassi. La Commissione ha discusso le questioni dell’accessibilità nell’ambito del Comitato di contatto della direttiva. In particolare si è discusso dell’arricchimento del contenuto con descrizione sonora, sottotitolatura sonora, sottotitolatura e linguaggio gestuale. La Commissione ha anche presentato agli Stati membri in seno al Comitato di contatto un questionario relativo a misure riguardanti l’accesso delle persone ipovedenti e ipoudenti ai programmi televisivi. Le risposte degli Stati membri sono reperibili sul sito web della Commissione:

http://ec.europa.eu/comm/avpolicy/reg/tvwf/contact_comm/index_en.htm.

La Commissione continuerà ad affrontare queste problematiche nell’ambito del Comitato di contatto.

La promozione della parità di accesso delle persone disabili alla società dell’informazione è l’obiettivo delle azioni proposte nella comunicazione sulla eAccessibilità(1). Questo obiettivo include, tra l’altro, l’accesso delle persone ipovedenti e ipoudenti ai programmi televisivi. Varie azioni in corso affrontano in modo specifico questo problema. La Commissione ha sostenuto l’opera di normalizzazione in materia di accessibilità alla televisione attraverso gli organismi europei di normalizzazione. Nel quadro del programma sulla società dell’informazione, la Commissione ha sostenuto vari progetti di ricerca e sviluppo tecnologico (RST) che si occupano di accessibilità ai programmi televisivi, ad esempio con la generazione automatica di sottotitoli per i programmi televisivi, la creazione di avatar per il linguaggio gestuale automatico per i sordi e la definizione e la sperimentazione di servizi di descrizione sonora per i ciechi.

La Commissione, come dichiarato nella comunicazione sulla eAccessibilità, continuerà anche a promuovere un approccio coerente per quanto riguarda le iniziative di eAccessibilità avviate su base volontaria negli Stati membri, nonché a favorire l’autoregolamentazione da parte dell’industria. A distanza di due anni dalla pubblicazione della comunicazione è prevista una valutazione della situazione della eAccessibilità. La Commissione potrebbe valutare la possibilità di adottare ulteriori misure, fra cui una nuova legislazione, se ritenuto necessario.

Attualmente la Commissione sta lavorando con gli Stati membri e consultando le parti interessate allo scopo di definire ulteriormente l’iniziativa europea in materia di eInclusione che contiene anche una componente di eAccessibilità.

 
 

(1) COM(2005) 425.

 

Interrogazione n. 78 dell'on. Liam Aylward (H-0634/06)
 Oggetto: Importazione di carne bovina brasiliana nell'Unione europea
 

Può la Commissione rilasciare un comunicato completo sulla situazione attuale relativa all'importazione di carne bovina nell'Unione europea considerando che l'UE ha constatato che la carne brasiliana fondamentalmente non è sicura? Potrebbero essere forniti gli ultimi dati relativi all'ammontare delle importazioni di carne bovina nell'Unione europea?

 
  
 

La Commissione prende molto sul serio le preoccupazioni espresse dall’onorevole parlamentare e considera prioritarie la tutela della salute dei consumatori europei e la situazione zoosanitaria nella Comunità. La Commissione ha intrapreso tutte le misure necessarie per far sì che le importazioni di carne dal Brasile non creino inutili rischi per l’UE.

La Commissione applica costantemente il principio di regionalizzazione riconosciuto a livello internazionale dall’Ufficio internazionale delle epizoozie (OIE) ritenendolo la risposta più adeguata a minacce di questo tipo. Proprio sulla base di questo stesso principio chiede ai paesi terzi di intervenire in relazione a casi analoghi che emergono nell’UE.

In questo contesto, a seguito dell’epidemia di afta epizootica segnalata in Brasile nell’ottobre 2005, la Commissione ha immediatamente sospeso le importazioni di tutti i tipi di carne bovina (tranne la carne trattata termicamente) dagli stati brasiliani di Mato Grosso do Sul, Paraná e São Paulo. La malattia inizialmente ha interessato lo stato di Mato Grosso do Sul e in seguito si è estesa a quello di Paraná. Lo stato di São Paulo non è stato colpito dall’afta epizootica, ma tenendo conto del tipo di spostamenti del bestiame e dei legami epidemiologici tra questi tre stati, la Commissione insieme agli Stati membri ha deciso, quale misura precauzionale, di sospendere anche le importazioni da quest’ultimo stato. Solo i prodotti a base di carne trattata termicamente (>80°C) sono ancora autorizzati in quanto tale trattamento assicura l’inattivazione del virus. La Commissione desidera richiamare l’attenzione dell’onorevole parlamentare sul fatto che non si è verificata alcuna epidemia di afta epizootica nelle regioni approvate dall’UE per le importazioni nel territorio comunitario.

Continuano a essere effettuate soltanto le importazioni dalle zone non infette del Brasile, a patto tuttavia che soddisfino le vigenti condizioni di importazione applicabili a quel paese. Tenuto conto che le importazioni sono limitate alle carni bovine disossate e frollate, che garantiscono l’inattivazione del virus dell’afta epizootica, senza frattaglie, si ritiene al momento che la misura sia sufficiente e proporzionata per mantenere il nostro livello di protezione. Inoltre, la CE ha chiesto al Brasile di inserire ulteriori garanzie nel certificato sanitario in relazione alla vaccinazione e al contatto con animali di stato sanitario inferiore a seguito delle carenze rilevate nelle ultime missioni di ispezione effettuate nel paese in questione. La Commissione desidera sottolineare che è determinata a far sì che le autorità brasiliane rispettino pienamente queste garanzie. In caso contrario, la Commissione avvierà ulteriori iniziative.

La Commissione segue con molta attenzione l’evoluzione della situazione zoosanitaria in Brasile e di recente ha avuto luogo un’altra missione di ispezione, il cui esito rivestirà la massima importanza per l’ulteriore valutazione della situazione nel paese. La Commissione desidera assicurare all’onorevole parlamentare che adotterà tutte le misure necessarie per garantire che il mercato comunitario sia pienamente protetto da qualsiasi rischio che potrebbe emergere in questo contesto.

Dagli ultimi dati risulta che le quantità di carne di animali bovini importata dal Brasile nell’Unione europea (UE a 25) è stata pari a 168 004 tonnellate nel 2004 e 175 833 tonnellate nel 2005.

 

Interrogazione n. 79 dell'on. Eoin Ryan (H-0636/06)
 Oggetto: Accordi di vendita congiunti dei diritti televisivi relativi alle partite di calcio europee
 

La Commissione ha preso tre decisioni giustificate per quanto riguarda i diritti delle partite di calcio: in primo luogo la Commissione ha consentito ai club di vendere i diritti di trasmissione congiuntamente, nonostante il rischio che i club calcistici aumentassero eccessivamente i prezzi. In secondo luogo la Commissione è intervenuta per limitare la portata in cui tutti i diritti di una data competizione possono essere acquistati da un unico acquirente. In terzo luogo la Commissione ha insistito affinché i diritti di trasmissione fossero suddivisi e venduti separatamente a diversi acquirenti.

Può la Commissione dichiarare qual è l'impatto economico effettivo di tali decisioni e, in caso negativo, intende la Commissione impegnarsi affinché esegua un'analisi economica globale relativa alle conseguenze e agli effetti dell'attuazione di queste tre decisioni politiche?

 
  
 

Nella prima parte dell’interrogazione, l’onorevole parlamentare elenca tre principi relativi ai diritti di trasmissione delle partite di calcio che l’onorevole parlamentare ha estratto dalle decisioni della Commissione e sui quali quest’ultima esprimerà alcune brevi osservazioni.

In primo luogo, è vero che la Commissione ha consentito ai club di vendere i diritti di trasmissione congiuntamente a determinate condizioni. I motivi per cui la Commissione ha ritenuto che ciò fosse conforme al diritto comunitario della concorrenza, e vantaggioso per i consumatori, figurano, ad esempio, nella decisione della Commissione relativa alla vendita congiunta dei diritti della Champions League UEFA (1). La Commissione desidera inoltre sottolineare che il rischio che “i club calcistici aumentino eccessivamente i prezzi” cui fa riferimento l’onorevole parlamentare, esisterebbe anche qualora i club calcistici vendessero i loro diritti singolarmente, come avviene ad esempio in Spagna, e questo vale in particolare per i diritti di trasmissione delle partite di calcio dei club più importanti.

In secondo luogo, la “regola della non unicità dell’acquirente” cui fa riferimento l’onorevole parlamentare è stata finora imposta dalla Commissione soltanto nel caso del campionato di calcio inglese e non, ad esempio, in quello della Champions League UEFA, a seguito delle specifiche circostanze del caso. Questa regola non costituisce pertanto un principio di carattere generale.

In terzo luogo, è vero che la Commissione insiste affinché i diritti di trasmissione vengano suddivisi in vari pacchetti separati al fine di consentire a un maggior numero di concorrenti di acquisire i diritti.

Nella seconda parte dell’interrogazione, l’onorevole parlamentare vuole sapere qual è l’impatto economico delle decisioni della Commissione relative ai diritti di trasmissione delle partite di calcio e chiede se la Commissione intende eseguire un’analisi economica globale di queste decisioni. La Commissione ritiene che l’impatto economico delle decisioni sia stato considerevole. Anche se la Commissione non può al momento impegnarsi a eseguire ulteriori analisi economiche ex post delle decisioni, è importante sottolineare che tale Istituzione ha preso in considerazione l’impatto economico delle decisioni prima della loro adozione. La Commissione e le autorità nazionali garanti della concorrenza continueranno inoltre a seguire il settore dei diritti di trasmissione delle partite di calcio e potranno intervenire laddove lo ritengano necessario. Infine, la Commissione si è impegnata a prestare maggiore attenzione all’analisi economica nel suo processo decisionale nei casi attinenti al diritto comunitario della concorrenza, come dimostrato ad esempio dall’istituzione di un posto di economista capo nel 2003.

 
 

(1) GU L 291 dell’8.11.2003.

 

Interrogazione n. 80 dell'on. Jonas Sjöstedt (H-0641/06)
 Oggetto: Carenze della Convenzione di Dublino
 

Non poche organizzazioni di profughi hanno inviato alla Commissione, in data 27 giugno 2006, una lettera aperta di critica alla Convenzione di Dublino rilevando che le attuali condizioni nell'Unione europea mettono in pericolo la vita dei profughi causando inutili sofferenze. In tale contesto, esse rivolgono quattro richieste alla Commissione: garanzie per una equa procedura di asilo per tutti i richiedenti asilo, migliori garanzie per il ricongiungimento familiare, rinuncia al trasferimento di bambini non accompagnati da uno Stato membro ad un altro Stato membro dell'UE, in mancanza di validi motivi, nonché garanzia che tutti i richiedenti asilo saranno accolti in condizioni adeguate.

In quale misura è la Commissione disposta ad ovviare alle gravi carenze denotate nella Convenzione di Dublino nonché ad accogliere le richieste avanzate dalle organizzazioni dei profughi?

 
  
 

Attualmente la Commissione sta effettuando una valutazione globale del sistema di Dublino, che comprenderà sia il regolamento di Dublino sia il regolamento relativo a EURODAC. Tale esame sarà completato entro la fine del 2006. La valutazione conterrà anche considerazioni e raccomandazioni relative a possibili miglioramenti del sistema. A questo proposito, si presterà particolare attenzione alle questioni menzionate nella lettera inviata dalla Commissione a una serie di organizzazioni attive nella difesa dei diritti dei richiedenti asilo e dei profughi menzionate dall’onorevole parlamentare.

Alcune di tali questioni potrebbero essere affrontate nel breve periodo in quanto possono essere risolte attraverso specifici chiarimenti relativi alla corretta applicazione dell’attuale sistema o con l’introduzione di miglioramenti tecnici nel suo funzionamento. Questo vale in particolare per le questioni del ricongiungimento familiare e dei minori non accompagnati.

Devono tuttavia essere considerati altri aspetti nel più ampio contesto della valutazione e della definizione della politica europea in materia di asilo nel suo complesso. La valutazione del sistema di Dublino rappresenta il primo passo di un più vasto dibattito sul futuro della politica europea comune in materia di asilo che nel 2007 sarà oggetto di un Libro verde globale.

 

Interrogazione n. 81 dell'on. Gay Mitchell (H-0643/06)
 Oggetto: Tassazione dello Stato di residenza
 

Intende la Commissione delineare i successi finora ottenuti dal nuovo regime pilota sulla tassazione dello Stato di residenza, annunciato dalla Commissione lo scorso gennaio?

 
  
 

La tassazione dello Stato di residenza può essere attuata soltanto attraverso accordi bilaterali o multilaterali tra Stati membri. La Commissione ha fornito le linee generali per gli accordi in materia, e ora spetta agli Stati membri prendere l’iniziativa di concludere effettivamente questo tipo di accordi. Finora la Commissione non è a conoscenza dell’attuazione di un regime del genere, tuttavia le risulta che uno Stato membro stia valutando la possibilità di avviare un’iniziativa al fine di attuare il regime pilota in questione con i vicini Stati membri dell’UE.

 

Interrogazione n. 82 dell'on. Bill Newton Dunn (H-0647/06)
 Oggetto: Ammende per sosta vietata e imposte di circolazione non pagate
 

Il continuo incremento del numero dei viaggi che i cittadini UE effettuano in altri Stati membri per mezzo delle proprie auto, sia per brevi che per lunghi periodi, ha portato a un proporzionale aumento delle ammende per sosta vietata e delle imposte di circolazione, che non vengono pagate dai visitatori, costringendo quindi i locali a versare imposte più elevate. La Commissione intende proporre un meccanismo per recuperare tali importi e che possa essere sicuramente approvato dal Consiglio dei ministri con favore e all'unanimità?

 
  
 

La decisione quadro 2005/214/GAI(1) del Consiglio del 24 febbraio 2005 relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie, applica tale principio all’esecuzione di sanzioni pecuniarie in uno Stato membro diverso da quello in cui dette sanzioni sono state comminate. In altre parole, il suo scopo è favorire nell’UE il riconoscimento e l’esecuzione transfrontaliere di decisioni, ai sensi dell’articolo 1 della decisione quadro, che impongono una sanzione pecuniaria a seguito di condanna per illecito.

Pertanto, se rientrano nell’ambito dell’articolo 1 della decisione quadro, le ammende per sosta vietata e/o le imposte di circolazione che non possono essere eseguite nello Stato membro in cui sono state imposte possono essere eseguite nello Stato membro in cui la persona contro la quale è stata emessa la decisione dispone di beni o di un reddito, ha la sua residenza abituale o, nel caso di una persona giuridica, ha la propria sede statutaria.

L’obbligo di eseguire una sanzione pecuniaria che rientra nell’ambito della decisione quadro non ha tuttavia carattere assoluto, in quanto prevede motivi opzionali di diniego di riconoscimento e di esecuzione per gli Stati membri esecutori. Infine, l’articolo 20 prevede la possibilità di limitare temporaneamente l’ambito dello strumento per quanto riguarda le decisioni e l’applicabilità alle persone giuridiche.

La Commissione desidera anche informare l’onorevole parlamentare che gli Stati membri devono recepire gli obblighi stabiliti dalla decisione quadro nel proprio ordinamento giuridico interno entro il 22 marzo 2007. A questo proposito, la Commissione sarà in grado di valutare in modo più adeguato se è necessario proporre ulteriori misure legislative per affrontare il problema delle ammende non pagate nell’UE dopo che la decisione quadro relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie sarà stata recepita dagli Stati membri.

 
 

(1) GU L 76 del 22.3.2005.

 

Interrogazione n. 83 dell'on. Maria Badia I Cutchet (H-0649/06)
 Oggetto: Sport e discriminazioni basate sul genere
 

Lo sport rappresenta un ambito di sviluppo assai importante, sul piano non soltanto della salute e del fisico, ma anche della formazione dei bambini, dei giovani e degli adulti. Esso ha pertanto una funzione sociale, e i valori sociali e pedagogici che trasmette svolgono un ruolo essenziale. Tra questi valori, lo sport deve diffondere anche quelli della parità – dal punto di vista della razza, dell'origine, della religione e del genere – e della non discriminazione, in particolare quando si tratta dei cosiddetti sport-spettacolo, che catalizzano l'attenzione del pubblico.

Il torneo di tennis di Wimbledon è un esempio di torneo sportivo in cui non esiste parità tra uomini e donne: si tratta, infatti, dell'unico torneo in cui i premi conferiti agli uni e alle altre ancora differiscono, in modo discriminatorio per le donne, le quali ricevono un premio inferiore di 42.000 euro rispetto a quello attribuito agli uomini.

Conformemente agli articoli 2 e 3 del TCE sull'integrazione della dimensione di genere, all'articolo 141 sulla parità tra uomini e donne in materia di lavoro e occupazione, nonché all'articolo 13 sulle discriminazioni fondate sul sesso nel luogo di lavoro o fuori di esso, non ritiene la Commissione che l'Unione europea dovrebbe adottare misure volte a porre fine a tale disparità di trattamento, che si verifica in uno Stato membro, tenendo presente che essa riflette una discriminazione indegna di essere riprodotta in campo sociale?

 
  
 

L’articolo 2 del Trattato stabilisce che uno degli obiettivi della Comunità è la promozione della parità tra uomini e donne. L’articolo 3 sancisce il principio di parità tra uomini e donne in tutti i settori di azione della Comunità. Questi stessi principi sono sanciti anche agli articoli 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE), l’attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia configurabile come attività economica in base alle libertà economiche stabilite dal Trattato e ai sensi dell’articolo 2 di quest’ultimo(1). Secondo la CGCE(2) pertanto, la partecipazione di un atleta ad alto livello a una competizione internazionale può comportare la prestazione di diversi servizi che possono rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 59 del Trattato anche se taluni di questi servizi non sono pagati da coloro che ne fruiscono.

L’articolo 141 del Trattato CE impone anche agli Stati membri l’obbligo di garantire “l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore”. Il diritto comunitario prevede inoltre una serie di direttive volte ad applicare il principio della parità di trattamento tra lavoratori e lavoratrici(3).

La situazione esposta dall’onorevole parlamentare non sembra tuttavia rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 141 e del diritto da esso derivato, tenuto conto che i giocatori di tennis non hanno un rapporto di lavoro con gli organizzatori dei tornei, ma che la loro attività consiste piuttosto in una prestazione di servizi.

Infine, il 13 dicembre 2004 il Consiglio ha adottato la direttiva 2004/113/CE che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura. Scopo di tale direttiva è quello di istituire un quadro per la lotta alla discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento tra uomini e donne.

In base all’articolo 4 della direttiva, il principio della parità di trattamento tra uomini e donne significa che: a) è proibita ogni discriminazione diretta fondata sul sesso, compreso un trattamento meno favorevole della donna in ragione della gravidanza e della maternità; b) è proibita ogni discriminazione indiretta fondata sul sesso. Il considerando 16 della direttiva precisa che le differenze di trattamento possono essere accettate solo se giustificate da una finalità legittima. La direttiva 2004/113/CE deve essere recepita nell’ordinamento giuridico degli Stati membri entro il 21 dicembre 2007.

In conclusione, la situazione esposta dall’onorevole parlamentare non può rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 141 del Trattato e del diritto da esso derivato, ma soltanto della direttiva 2004/113/CE. Tuttavia, visto che il termine di recepimento della direttiva in questione non è ancora scaduto, la situazione in questione deve essere considerata alla luce del diritto nazionale applicabile.

 
 

(1) Sentenze 12 dicembre 2004, Walrave e Koch, 36/74, Racc. pag. 1405, punto 4 e 15 dicembre 1995, Bosman, C-415/93, Racc. pag. I-4921, punto 73.
(2) Sentenza 26 aprile 1988, Bond van Adverteerders e altri, 352/85, Racc. pag. 2085, paragrafo 16.
(3) Cfr. in particolare le direttive 75/117/CEE, 76/207/CEE, 86/378/CEE, 92/85/CEE, 96/34/CE, 96/97/CE, 97/80/CE.

 

Interrogazione n. 84 dell'on. Anna Hedh (H-0658/06)
 Oggetto: Quote di importazione degli alcolici
 

Un viaggiatore, ogni volta che attraversa la frontiera tra due Stati membri dell’UE, può portare con sé per uso personale complessivamente 230 litri di alcolici ripartiti tra birra, vino e superalcolici. La quantità di alcol è così elevata che può quasi riempire un furgone ed è equivalente a due anni e mezzo di consumo. Se la si paragona alla quantità di tabacco consentita, risulta che quest’ultima, pari a 800 sigarette, corrisponde a 40 giorni di consumo.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), nel 2002 in Europa i decessi correlati ai danni provocati dal consumo di alcol sono stati 600.000, il che corrisponde a un aumento del 15% in due anni. Sono 7,7 milioni i bambini che crescono in famiglie in cui si fa abuso di alcol e gran parte degli incidenti automobilistici sono causati dall’alcol. Senza dubbio l’alcol non è un prodotto come tanti altri.

Ritiene la Commissione che vi sia motivo di rivedere e abbassare le quote di importazione degli alcolici?

 
  
 

Nella sua interrogazione l’onorevole parlamentare fa riferimento alla circolazione nella Comunità di prodotti soggetti ad accisa acquistati da viaggiatori per i quali l’accisa è stata riscossa in uno Stato membro. Questo tipo di circolazione è disciplinato dalla direttiva 92/12/CEE(1) che, a fini fiscali, opera una distinzione tra la circolazione di prodotti soggetti ad accisa trasportati da privati che li acquistano per uso personale e la circolazione per scopi commerciali. In base ai principi del mercato interno, i privati che acquistano prodotti soggetti ad accisa in uno Stato membro per proprio uso, e li trasportano in un altro Stato membro, devono pagare l’accisa soltanto nello Stato membro in cui i prodotti sono stati acquistati.

Sono stati stabiliti alcuni criteri, fra cui livelli indicativi per ciascun prodotto soggetto ad accisa, allo scopo di distinguere tra movimenti commerciali e transazioni effettuate per uso personale. Tali livelli indicativi non devono tuttavia essere paragonati alle quote di importazione cui fa riferimento l’onorevole parlamentare, e costituiscono unicamente una forma di prova o “limiti indicativi” ai fini della distinzione in questione. Per i movimenti all’interno della Comunità non si applicano quote di importazione in quanto le persone sono libere di acquistare, possedere o trasportare prodotti alcolici senza alcuna limitazione a condizione che siano per uso personale.

Poiché non esistono quote di importazione tra gli Stati membri, la Commissione non può esprimersi in merito alla possibilità di rivedere o abbassare tali quote specificamente per gli alcolici. La Commissione ha tuttavia presentato una proposta per semplificare e liberalizzare le disposizioni in materia di movimenti intracomunitari di prodotti (principalmente alcolici) sui quali l’accisa è stata già riscossa in uno Stato membro(2), che prevede l’abolizione dei livelli indicativi menzionati in precedenza. La Commissione è del parere che tali livelli di per sé non possano essere utilizzati come prova della detenzione di prodotti soggetti ad accisa per scopi commerciali e che non dovrebbero essere interpretati come valori di soglia di “franchigia” (o quote di importazione). Rientra semplicemente nelle competenze degli Stati membri stabilire gli orientamenti forniti ai funzionari per determinare la situazione in cui devono essere effettuati controlli sui movimenti di prodotti soggetti ad accisa.

Per quanto riguarda la questione sanitaria relativa al consumo di alcolici, nel 2004 la Commissione ha presentato la relazione sulle aliquote di accisa applicate all’alcole e alle bevande alcoliche(3), giungendo alla conclusione che la maggior parte degli Stati membri di solito non tiene conto di considerazioni di politica sanitaria nel fissare le aliquote di accisa, anche se la legislazione comunitaria, che stabilisce solo le aliquote minime, offre loro un notevole margine di manovra per includere tali considerazioni nelle loro politiche fiscali.

La Commissione prende molto sul serio i danni derivanti dall’abuso di alcolici. Alla fine del 2006 la Commissione adotterà una comunicazione sugli alcolici e la salute, che stabilirà la strategia dell’UE per sostenere gli Stati membri a ridurre i danni legati all’alcol. La comunicazione in questione prenderà in esame gli effetti negativi sulla salute dovuti al consumo dannoso e pericoloso di alcolici, nonché le relative conseguenze socioeconomiche. Si prevede che l’attenzione sarà concentrata su aspetti quali la protezione di giovani, bambini e feti, la riduzione del numero di feriti e morti a seguito di incidenti stradali legati al consumo di alcolici, la prevenzione dei pericoli connessi agli alcolici tra gli adulti, l’informazione e l’educazione sugli effetti degli alcolici, la definizione di una base di informazioni comune a livello di UE.

 
 

(1) GU L 76 del 23.3.1992.
(2) Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo sull’applicazione degli articoli da 7 a 10 della direttiva 92/12/CEE, COM (2004) 227 def.
(3) Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo sulle aliquote di accisa applicate all’alcole e alle bevande alcoliche, COM (2004) 223 def.

 

Interrogazione n. 85 dell'on. Gary Titley (H-0659/06)
 Oggetto: Fumo e cecità
 

Sussistono prove sempre più evidenti sul fatto che il fumo rappresenta un fattore che provoca la degenerazione maculare senile, la principale causa della cecità. In Australia viene applicata sui pacchetti di sigarette la seguente avvertenza: "il fumo provoca la cecità".

Intende la Commissione aggiungere un'indicazione di questo tipo alla lista delle avvertenze grafiche permesse attualmente nell'UE?

Esistono disposizioni nella legislazione dell'UE che vietino a uno Stato membro di agire in modo indipendente nell'applicazione di un'avvertenza di questo tipo nel suo territorio?

 
  
 

La Commissione è a conoscenza della ricerca sui legami tra fumo e cecità e concorda che un’avvertenza riguardante la perdita della vista a causa del fumo costituisce un messaggio estremamente efficace per lottare contro il tabagismo.

Gran parte del valore delle avvertenze sulla salute deriva dalla loro visibilità e novità. A questo proposito, nel 2002 la direttiva relativa ai prodotti del tabacco ha introdotto molti nuovi messaggi e ha drasticamente aumentato le dimensioni delle avvertenze.

Attualmente la Commissione si ripropone di creare un effetto di novità attraverso un cambiamento radicale, vale a dire il passaggio dalle avvertenze scritte a quelle visive in base ad alcune disposizioni adottate nel 2005. Il Belgio sarà il primo Stato membro a introdurre immagini di avvertimento a partire dal giugno 2007, seguito in autunno dal Regno Unito. Vari Stati membri stanno valutando tale misura.

La Commissione è consapevole che in futuro sarà necessario rivedere le avvertenze per mantenere e aumentare la loro efficacia e tener conto di nuovi sviluppi scientifici.

Quando si procederà a tale revisione, un’avvertenza sulla cecità sarà di sicuro tra i primi nuovi messaggi a essere preso in considerazione.

Fino ad allora, gli Stati membri hanno l’obbligo di utilizzare le 14 avvertenze sulla salute stabilite nella direttiva relativa ai prodotti del tabacco.

La Commissione si augura di poter collaborare con il Parlamento per promuovere l’adozione di avvertenze visive in tutti gli Stati membri.

 

Interrogazione n. 86 dell'on. Emilio Menéndez del Valle (H-0660/06)
 Oggetto: Esame della necessità di rafforzare le salvaguardie dall'applicazione irregolare di strumenti adottati in materia di relazioni esterne dell'UE
 

Le "competenze della Comunità devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale"(1): tali competenze comprendono la conclusione e l'applicazione di accordi esterni e il finanziamento di azioni svolte da terzi al di fuori dell'UE.

Via via che venivano presentate a questo Parlamento proposte di regolamento che autorizzavano la creazione di diversi nuovi strumenti per le relazioni esterne sono sorti quesiti relativi all'opportunità di introdurre disposizioni che in modo specifico avrebbero impedito che accordi conclusi e misure finanziate in base a tali strumenti fossero applicati da terzi in violazione di norme e regole di diritto internazionale generale riconosciute dalla Comunità come consuetudinarie e inderogabili.

Ritiene la Commissione che il vigente diritto comunitario impone alla Comunità di impedire a terzi di applicare accordi comunitari e misure finanziate dalla Comunità in un modo che viola tali norme e regole visto che si è stabilito anche che l'applicazione degli accordi o l'esecuzione delle misure in questione consente la sistematica attuazione da parte di terzi di particolari atti irregolari a livello internazionale?

 
  
 

Quando la Comunità conclude un accordo internazionale o adotta uno strumento finanziario deve rispettare il diritto internazionale, nonché le disposizioni del diritto internazionale consuetudinario. La Commissione si adopera per far sì che le sue proposte di tali strumenti comunitari siano conformi alle disposizioni vigenti del diritto internazionale; ciò è insito nel controllo giuridico cui tutte le proposte della Commissione sono sottoposte prima di essere trasmesse al Consiglio e al Parlamento. Nella fase di attuazione, la Commissione può finanziare soltanto i progetti i cui scopi sono in linea con l’accordo o lo strumento finanziario in questione. Se un paese terzo attua tali progetti in violazione del diritto internazionale e pertanto dell’accordo o dello strumento finanziario su cui è basato, la Commissione ha pieno diritto, in base alla legislazione comunitaria, di sospendere il progetto e di recuperare gli importi spesi contravvenendo alle condizioni del progetto.

Per questo motivo nelle condizioni generali degli accordi di finanziamento conclusi con paesi terzi nel quadro dell’aiuto esterno finanziato a titolo del bilancio generale della Comunità europea si dichiara espressamente che la Commissione può sospendere l’accordo di finanziamento se il beneficiario viola un obbligo relativo al rispetto dei diritti umani, dei principi democratici e dello Stato di diritto, e in casi gravi di corruzione. Ne consegue che la Commissione può decidere di porre termine all’accordo di finanziamento.

La situazione relativa ai progetti finanziati a titolo del Fondo europeo di sviluppo è trattata direttamente all’articolo 96 dell’Accordo di Cotonou, che prevede una specifica procedura di consultazione e misure adeguate per quanto riguarda i diritti umani, i principi democratici e lo Stato di diritto.

 
 

(1) Causa C-286/90; Poulsen e Diva Corp, Sentenza della Corte di giustizia del 24 novembre 1992, paragrafo 9.

 

Interrogazione n. 87 dell'on. Danutė Budreikaitė (H-0662/06)
 Oggetto: Riforma delle procedure antidumping
 

La Commissione ha previsto l'inserimento di una riforma del sistema antidumping nel quadro delle azioni prioritarie del secondo semestre 2006. Si è pensato di prendere in considerazione, nell'ambito delle inchieste antidumping, gli interessi delle imprese che hanno delocalizzato la propria produzione all'esterno dei confini dell'UE.

Non ritiene la Commissione che tali atti contrastino con le disposizioni disciplinanti il mercato comune presenti nella comunicazione della Commissione "Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UE - verso un'impostazione più integrata della politica industriale", per quanto riguarda le questioni legate alla concorrenza?

Ha esaminato quale sarà l'effetto della riforma delle inchieste antidumping sui produttori dell'UE, in particolare nei settori del tessile, del cuoio, della calzatura, dell'arredamento e dell'elettronica?

Potrebbe indicare attraverso quali misure intende rafforzare la competitività dell'industria dell'UE?

 
  
 

Non è stata adottata alcuna decisione relativa a una riforma del sistema di difesa commerciale, ma è stato soltanto avviato un processo di riflessione sugli strumenti di difesa commerciale allo scopo di assicurare che tali strumenti producano nel complesso i risultati più efficaci possibili in termini di competitività per l’UE, e quindi anche per i produttori comunitari che hanno delocalizzato la propria attività al di fuori dell’Europa. Un altro scopo del processo in questione è verificare che gli strumenti menzionati non abbiano ripercussioni sproporzionate per gli operatori economici e coloro che non sono coinvolti in pratiche commerciali sleali, come le famiglie povere nei paesi in via di sviluppo.

La comunicazione della Commissione intitolata “Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l’industria manifatturiera dell’UE – verso un’impostazione più integrata della politica industriale”(1) afferma che “nella maggior parte dei settori manifatturieri dell’UE ... le delocalizzazioni internazionali di posti verso paesi a basso costo del lavoro sono state limitate”. La Commissione non ritiene pertanto che affrontare la questione delle delocalizzazioni nel quadro del processo di riflessione sullo strumento di difesa commerciale sia in alcun modo in contrasto con la comunicazione menzionata in precedenza.

Tenuto conto che la Commissione è impegnata in un processo di riflessione, non è chiaro se e quali misure di riforma del sistema di difesa commerciale saranno proposte. Finora non sono stati condotti studi sugli effetti di tali possibili misure sui settori economici.

 
 

(1) COM(2005) 474 def., GU C 185 dell’8.8.2006.

 

Interrogazione n. 88 dell'on. Albert Deß (H-0666/06)
 Oggetto: Importazioni illegali di prodotti agricoli dal Brasile nell'UE
 

Una relazione dell'Ufficio alimentare veterinario dell'Unione europea ha rilevato che il Brasile esporta illegalmente prodotti agricoli in Europa.

Secondo l'Ufficio veterinario dell'UE, dall'inizio del 2005 il Brasile esporta carne suina in Europa sebbene nessuna azienda sia in possesso delle relative autorizzazioni. Per quanto concerne il miele che viene esportato in grandi quantità nell'Unione europea, le autorità brasiliane non sono in grado di garantire l'innocuità dei residui in quanto non effettuano alcun controllo. Molte delle irregolarità evidenziate dall'Ufficio veterinario erano già state appurate nel 2003.

In che modo è già intervenuta la Commissione per porre fine a tali importazioni illegali di prodotti agricoli? Intende la Commissione adottare iniziative affinché le norme europee si applichino anche ai prodotti alimentari importati?

 
  
 

Per quanto riguarda il miele, al momento dell’ispezione in questione da parte dell’Ufficio alimentare e veterinario (UAV), le importazioni nell’UE erano ancora consentite. A seguito delle irregolarità individuate, in particolare a proposito dei limiti dei residui, le importazioni di miele sono state vietate dal 17 marzo 2006.

In merito alla carne suina, l’UAV ha rilevato che questa carne era destinata al rifornimento di navi che incrociano in acque internazionali, il che non è vietato dalla legislazione comunitaria. L’UAV non ha trovato prove dell’importazione illegale di carne suina dal Brasile nell’UE. Ne consegue che finora non è stato necessario adottare alcuna misura. A questo proposito è opportuno menzionare che la legislazione comunitaria obbliga gli Stati membri a raccogliere e distruggere i rifiuti di cucina e ristorazione provenienti da mezzi di trasporto internazionali come navi o aerei.

La Commissione desidera assicurare all’onorevole parlamentare che le norme comunitarie in materia di sicurezza alimentare attualmente in vigore sono intese a garantire che i prodotti importati rispettino le stesse norme stabilite per quelli prodotti nell’UE e che siano anche in linea con le pertinenti norme internazionali.

Un’inosservanza di tali norme comporterebbe da parte della Commissione l’adozione di ogni ulteriore misura che possa essere ritenuta opportuna.

 

Interrogazione n. 89 dell'on. Panagiotis Beglitis (H-0668/06)
 Oggetto: Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione
 

Il Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre 2005 ha deciso, su proposta del Presidente della Commissione Barroso, di istituire un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. L'importanza socio-economica di tale decisione intesa a far fronte alle conseguenze negative della globalizzazione sull'occupazione si evince dalla proposta di regolamento presentata dalla Commissione (COM(2006)0091 def.), in particolare dal suo articolo 2 (criteri d'intervento).

Sulla base dei criteri proposti può la Commissione dire quali sono in concreto le regioni degli Stati membri che, stanti gli attuali dati socio-economici, adempiono ai criteri di cui all'articolo 2? Tenuto conto delle dimensioni medie delle imprese greche come numero di occupati, in quali casi concreti la Grecia potrebbe avvalersi delle risorse del Fondo? Intende la Commissione esaminare la possibilità di una ridefinizione dei criteri nel senso di una loro attenuazione, di modo che tutti gli Stati membri e le loro regioni possano avere pari accesso alle risorse del Fondo?

 
  
 

L’articolo 2 della proposta della Commissione di un regolamento che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione stabilisce i criteri di intervento del Fondo. In base all’articolo 2, lettera a), la Grecia, come qualsiasi altro Stato membro dell’UE, potrebbe beneficiare del Fondo qualora, a seguito di trasformazioni della struttura del commercio mondiale, perdessero il loro posto di lavoro 1000 dipendenti di un’impresa, compresi i lavoratori licenziati dai fornitori a monte o dai produttori a valle di tale impresa. Tenuto conto del rapporto tra il numero di posti di lavoro in grandi imprese e quello nelle imprese a monte e a valle, non è escluso che la perdita di circa 350 posti di lavoro in un’impresa di grandi dimensioni renda possibile una richiesta di assistenza a titolo del Fondo, sulla base del presupposto che fino a un numero doppio di posti di lavoro può andare perduto in imprese a monte e a valle, fra cui anche piccole e medie imprese (PMI).

In base all’articolo 2, lettera a), il Fondo interviene soltanto in casi in cui i licenziamenti avvengono in una regione in cui la disoccupazione è più elevata della media nazionale o comunitaria. Dai dati Eurostat del 2004 risulta che 44 (su 54) dipartimenti greci (nomoi) rientrerebbero nell’ambito di intervento del Fondo in base a questo criterio di ammissibilità, fatta eccezione per Atene, Rodopi, Karditsa, Fthiotida, Korinthia, Lakonia, Messinia, Kyklades, Irakleio e Chania.

In base all’articolo 2, lettera b), il Fondo può intervenire quando in un determinato settore vengono licenziati 1000 dipendenti in un periodo di 6 mesi e tali licenziamenti rappresentano almeno l’1 per cento dell’occupazione regionale misurata al livello NUTS II. In base a questo articolo possono ricevere sostegno dal Fondo soprattutto i dipendenti di PMI.

Il progetto di parere della commissione parlamentare per l’occupazione e gli affari sociali relativo al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione ha proposto l’introduzione di una “clausola di salvaguardia” per quanto riguarda i casi in cui i criteri stabiliti all’articolo 2, lettere a) e b) non sono interamente soddisfatti, ma in cui vi siano gravi effetti sull’economia locale. La Commissione valuterà tale proposta nei prossimi negoziati.

 

Interrogazione n. 90 dell'on. Proinsias De Rossa (H-0670/06)
 Oggetto: Direttiva sui licenziamenti collettivi
 

Facendo seguito alla sua risposta dell'8 febbraio 2006 all'interrogazione scritta E-4979/05, può la Commissione far sapere come hanno reagito le autorità irlandesi nel contesto della sua corrispondenza relativa all'applicazione della direttiva del Consiglio 98/59/CE(1) del 20 luglio 1998 concernente i licenziamenti collettivi mediante il Protection of Employment Act, 1977 (versione consolidata)? A che punto è la corrispondenza della Commissione con l'Irlanda e quale azione conta di intraprendere ora la Commissione in merito alla questione?

 
  
 

Con lettera del 14 febbraio 2006 la Commissione ha chiesto chiarimenti alle autorità irlandesi per sapere se le conclusioni cui è giunta la Corte di giustizia europea nella causa C-188/03 (Junk e Kühnel) erano state incorporate nella pertinente sezione della legislazione di recepimento irlandese. Finora la Commissione non ha ricevuto alcuna informazione in materia dalle autorità irlandesi.

Il 2 agosto 2006 la Commissione ha sollecitato le autorità irlandesi a inviare le informazioni richieste.

 
 

(1) GU L 225 del 12.8.1998, pag.16

 

Interrogazione n. 91 dell'on. Roberta Angelilli (H-0680/06)
 Oggetto: Crisi settore calzature per bimbi
 

Per fronteggiare la profonda crisi che ha investito tutto il settore calzaturiero europeo, la Commissione ha emanato il Regolamento (CE) n. 553/2006(1) che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam. Tuttavia, risultano escluse da tale Regolamento le calzature da bambino e quelle cosiddette STAF (Special Techonology Athletic Footwear).

In Italia, la progressiva perdita di competitività sta mettendo in pericolo quasi 5.000 posti di lavoro, con una perdita dell’export pari al 10,8% rispetto al 2004, a fronte di un aumento dell’import pari al 29% rispetto allo stesso anno, con danni economici ed occupazionali enormi, soprattutto in alcune Regioni, prima tra tutte la Regione Marche.

Quali provvedimenti intende la Commissione adottare affinché vengano estese, nel più breve tempo possibile, anche alle scarpe da bambino e STAF le misure antidumping oggi in vigore?

 
  
 

Il 30 agosto 2006 la Commissione ha adottato una proposta relativa ad un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di taluni tipi di scarpe di cuoio provenienti da Cina e Vietnam. Tenendo conto delle ripercussioni sia del dumping che del danno ai produttori europei, la Commissione ha proposto un dazio del 16,5 per cento per la Cina e del 10 per cento per il Vietnam per alcuni tipi di calzature in cuoio.

Questa proposta passa ora agli Stati membri in sede di Consiglio che hanno un mese per esaminarla e adottarla. La scadenza vincolante per la pubblicazione di eventuali misure definitive sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea è il 6 ottobre 2006.

La Commissione è pienamente consapevole dei problemi delle calzature per bambini e dello Special Technology Athletic Footwear (STAF). La suddetta proposta per misure definitive comprende le calzature per bambini. La decisione è stata adottata alla luce delle innumerevoli osservazioni pervenute dalle parti interessate sulle misure provvisorie (che escludevano le calzature per bambini). Vi sono ragioni urgenti per l’inclusione delle calzature per bambini, non da ultimo il fatto che vi è una notevole produzione di tali calzature nella Comunità. Al proposito vale la pena notare che durante la validità delle misure provvisorie è molto probabile che vi siano state false dichiarazioni doganali e probabilmente frodi concernenti le importazioni di calzature da bambini in modo da eludere il dazio antidumping provvisorio.

La decisione di escludere le calzature cosiddette STAF dalle misure provvisorie è stata mantenuta nella suddetta proposta in assenza di una produzione comunitaria di questo tipo di scarpe.

 
 

(1) GU L 98 del 6.4.2006, pag. 3.

 

Interrogazione n. 92 dell'on. Hans-Peter Martin (H-0682/06)
 Oggetto: Pensionamento di funzionari UE
 

Quanti funzionari sono stati collocati anticipatamente a riposo per invalidità negli anni dal 2000 al 2004?

Qual è stato lo sviluppo delle spese previdenziali per i funzionari UE collocati anticipatamente a riposo per invalidità nel periodo dal 2000 al 2004?

Qual è stata l'età media dei funzionari UE collocati anticipatamente a riposo per invalidità dal 2000 al 2004?

 
  
 

Il numero di funzionari collocati anticipatamente a riposo per invalidità dal 2000 al 2005 è il seguente:

Anno Numero di collocazioni anticipate a riposo per invalidità

2000 191

2001 203

2002 258

2003 307

2004 260

2005 121

Il costo annuo medio per l’invalidità è aumentato in media del 2,96 per cento all’anno tra il 2000 e il 2005.

L’età media dei funzionari dell’UE collocati anticipatamente a riposo per invalidità durante il periodo 2000-2005 è compresa tra 50 e 52 anni:

Anno Età media

2000 52,67

2001 51,94

2002 52,4

2003 52,7

2004 51,9

2005 50,38

 

Interrogazione n. 93 dell'on. András Gyürk (H-0683/06)
 Oggetto: Probabilità che il gasdotto Nabucco sia costruito senza ritardi
 

I Ministri per l'energia dei cinque Stati che partecipano al progetto per la costruzione del gasdotto Nabucco hanno firmato, lo scorso giugno a Vienna, una lettera d'intenti al riguardo. Alla firma era presente anche il Commissario Andris Piebalgs, il quale ha sottolineato che la realizzazione del progetto riveste un'importanza fondamentale. In termini di sicurezza delle forniture energetiche e di diversificazione delle strutture di transito e delle fonti d'approvvigionamento, la costruzione del gasdotto, che avrà una capacità di 20-30 miliardi di metri cubi l'anno, potrebbe rappresentare un enorme vantaggio per l'Unione europea, che nel settore dell'energia si trova ad affrontare sfide importanti. Dal momento che il progetto Nabucco non ha attualmente alternative concorrenziali in grado di aumentare le fonti di gas naturale dell'UE, quale tipo di aiuto intende fornire la Commissione per assicurare che il gasdotto Nabucco sia costruito quanto prima possibile? Qual è il calendario preliminare della Commissione per la realizzazione del progetto? Rispetto ad altri progetti per la fornitura di gas all'Europa, come valuta la Commissione le probabilità della costruzione del gasdotto Nabucco?

 
  
 

Per quanto riguarda il sostegno finanziario a favore del gasdotto Nabucco, nel 2003 e nel 2005 la Commissione ha già accettato di cofinanziare studi di fattibilità e tecnici relativi al progetto per un importo di 6,5 milioni di euro. Il 24 luglio 2006 il Consiglio e il Parlamento hanno deciso nuovi orientamenti per le reti transeuropee dell’energia in base ai quali 10 progetti relativi al settore del gas sono stati dichiarati progetti di interesse europeo. Il gasdotto Nabucco è uno di questi progetti.

In merito al calendario, il secondo studio è stato avviato all’inizio del 2006 e dovrebbe terminare entro la fine del 2007. La società Nabucco intende iniziare la costruzione del gasdotto nel 2009.

La Commissione non è in grado di esprimersi in merito ai rischi legati alla costruzione del gasdotto Nabucco, tuttavia ritiene la posa di tale gasdotto essenziale per collegare l’UE a nuove fonti nel Mar Caspio e in Medio Oriente.

Quanto alle questioni normative, la Commissione fornisce sostegno a tutti i progetti che possono accrescere in misura considerevole la sicurezza dell’approvvigionamento e nel contesto del Trattato sulla Comunità dell’energia sta definendo un quadro generale per assistere i promotori di progetti.

 

Interrogazione n. 94 dell'on. Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (H-0684/06)
 Oggetto: Spazio marittimo europeo comune
 

Nella sua comunicazione sulla revisione di metà percorso del Libro bianco sui trasporti - 2001 (COM(2006)0314 def.) la Commissione dichiara la propria intenzione di elaborare una strategia integrata per il trasporto marittimo creando, per la prima volta, uno spazio marittimo europeo comune e pubblicando, nel 2008, un Libro verde sull'argomento.

Può dire la Commissione se ha già definito uno scadenzario per l'avvio delle consultazioni e l'elaborazione del Libro verde? Conosce già i principali assi sui quali si incentrerà tale strategia integrata per il trasporto marittimo e sono già state stabilite le sfide che si dovranno affrontare? Quale valore aggiunto prevede di conferire alla politica dei trasporti quale programmata nella revisione di metà percorso del Libro bianco sui trasporti - 2001? Quali saranno il rapporto e le sinergie fra uno strumento come lo spazio marittimo europeo comune e la strategia integrata promossa dal Libro verde sul futuro della politica marittima dell'Unione, nonché la sua dimensione internazionale?

 
  
 

Nel riesame intermedio del Libro bianco sulla politica dei trasporti del 22 giugno 2006(1), la Commissione ha annunciato l’intenzione di presentare nel 2008 un Libro bianco che proporrà la creazione di uno spazio marittimo europeo comune.

L’obiettivo di tale iniziativa sarà ridurre i tempi e i costi derivanti dai numerosi controlli e scambi amministrativi imposti al trasporto marittimo a corto raggio per i trasporti effettuati tra i porti degli Stati membri dell’Unione europea. Questi trasporti sono in effetti sottoposti quasi agli stessi requisiti che si applicano ai trasporti in partenza da paesi terzi e sono pertanto penalizzati rispetto ai trasporti terrestri equivalenti.

Per far sì che la sua iniziativa sia fondata su basi concrete, è ovvio che la Commissione consulterà le parti che ne beneficeranno, come gli spedizionieri e gli operatori del trasporto, nonché le autorità amministrative che a vari livelli sono incaricate dei controlli e, che utilizzerà i risultati di tali consultazioni.

La Commissione non ha ancora stabilito i punti principali della sua strategia, ma è probabile che un importante contributo a questo obiettivo potrà derivare da un ricorso sistematico ad avanzate tecnologie di posizionamento e di comunicazione armonizzate tra operatori e amministrazioni. Tali tecnologie consentiranno di ridurre in misura considerevole costi e tempi. Diminuirà notevolmente il numero dei controlli, ma la loro affidabilità risulterà molto maggiore in quanto tali controlli saranno concentrati soltanto su dati individuati in precedenza attraverso analisi più adeguate.

Conformemente alla comunicazione del 22 giugno 2006 sulla politica dei trasporti, tale iniziativa non può essere limitata al trasporto marittimo, ma deve considerare tutta la catena logistica di cui costituisce un anello. Riducendo e armonizzando i vincoli tra i vari modi di trasporto, lo spazio marittimo europeo comune contribuirà alla creazione di un maggiore equilibrio tra i modi di trasporto.

Poiché nella sua attuazione sarà coinvolto un numero elevato di autorità amministrative, si inserisce perfettamente nella strategia integrata raccomandata nel Libro verde sulla politica marittima del 7 giugno 2006(2).

 
 

(1) Comunicazione “Mantenere l’Europa in movimento - una mobilità sostenibile per il nostro continente”, COM (2006) 314 def. del 22 giugno 2006.
(2) Comunicazione “Verso la futura politica marittima dell’Unione: oceani e mari nella visione europea”, COM (2006) 275 def. del 7 giugno 2006.

 

Interrogazione n. 95 dell'on. Georgios Toussas (H-0687/06)
 Oggetto: Proseguimento della politica del lavoro che trasforma in ostaggio migliaia di precari in Grecia
 

La sentenza C-212/04 della Corte di giustizia delle Comunità europee e la sentenza 18/2006 della Corte di Cassazione greca giudicano illegale ed abusiva la conclusione di contratti successivi a tempo determinato da parte di organismi del settore pubblico greco, e la commissione per le petizioni del Parlamento europeo ha ritenuto fondata la petizione in materia presentata dall'Associazione degli Redattori dei Quotidiani di Macedonia e Tracia (ESIEM-TH). Allo stesso tempo, sono fortemente criticate le disposizioni delle leggi 3301/2004 e 3388/2005 che conferiscono allo Stato la possibilità di rifiutarsi di conformarsi alle decisioni giudiziarie. Avvalendosi dei decreti presidenziali 81/2003 e 164/2004, i governi del PASOK e di Nea Dimokratia (ND) violano in modo flagrante i diritti dei lavoratori e trasformano in veri e propri ostaggi migliaia di lavoratori del settore pubblico e privato, con contratti che vengono costantemente rinnovati benché coprano "necessità costanti e permanenti". La Commissione accresce la confusione e perpetua il problema con dichiarazioni sull'attuazione della direttiva 1999/70/CE(1).

Quali misure intende la Commissione adottare affinché lo Stato greco e le imprese private garantiscano il rispetto delle decisioni giudiziarie e cessino di eludere i diritti dei lavoratori?

 
  
 

La Grecia ha notificato alla Commissione che la direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato(2) è stata recepita con i decreti presidenziali 81/2003, 164/2004 e 180/2004.

La Commissione ha valutato la compatibilità di tali decreti con la direttiva: il decreto 81/2003 non conteneva misure sufficienti per prevenire la conclusione abusiva di contratti successivi a tempo determinato. Le disposizioni necessarie sono state tuttavia introdotte a partire dall’entrata in vigore degli altri due decreti. Va sottolineato che la direttiva non prevede la trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato qualora esistano altre misure efficaci per impedire la conclusione abusiva di contratti successivi a tempo determinato. La sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 4 luglio 2006 pronunciata nella causa C-212/04 conferma la valutazione della Commissione.

La valutazione della Commissione tiene anche conto delle questioni sollevate in alcune denunce e petizioni, compresa quella cui l’onorevole parlamentare fa riferimento. La Commissione ha archiviato tutte le denunce, precisando in particolare che i singoli ricorsi presentati durante il periodo compreso tra il termine per il recepimento della direttiva e l’entrata in vigore delle disposizioni nazionali di recepimento devono essere esaminati dai tribunali nazionali competenti.

La Commissione non è a conoscenza di nuove circostanze che possano modificare la sua posizione riguardo al recepimento della direttiva 1999/70/CE in Grecia. La Commissione non intende pertanto adottare alcuna misura in materia.

Quanto alla complessa questione sollevata dalle leggi 3301/2004 e 3388/2005 relative all’applicazione di disposizioni provvisorie, la Commissione invita l’onorevole parlamentare a far riferimento alla risposta fornita all’interrogazione H-0537/06. La Commissione sta ancora esaminando la questione.

 
 

(1) GU L 175 del 10.7.1999, pag. 43.
(2) Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, GU L 175 del 10.7.1999, pag. 43.

 

Interrogazione n. 96 dell'on. Athanasios Pafilis (H-0689/06)
 Oggetto: Violazione dei diritti fondamentali dei detenuti nelle carceri greche
 

Nelle carceri greche un vetro separa gli avvocati dai loro mandanti detenuti e la comunicazione fra loro avviene per telefono in condizioni di controllo generalizzato.

Viene così palesemente violato il diritto fondamentale dell'imputato in stato di detenzione di comunicare in modo completamente libero e in condizioni di assoluta riservatezza con il suo avvocato, diritto sancito dalla Costituzione greca, dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e dalle disposizioni del diritto di procedura penale greco. Nel contempo, viene brutalmente calpestata la dignità dell'ufficio di avvocato e la dignità degli avvocati in quanto categoria.

Qual è la posizione della Commissione riguardo alla violazione del diritto fondamentale dell'imputato di comunicare in modo assolutamente libero e confidenziale con il suo avvocato, nonché del suo diritto di essere difeso pienamente ed efficacemente?

 
  
 

L’onorevole parlamentare sembra fare riferimento alla situazione che precede il processo (“diritto fondamentale dell’imputato in stato di detenzione”), tuttavia molti degli aspetti su cui la Commissione intende soffermarsi nella sua risposta sono pertinenti anche per la situazione successiva al giudizio.

In base alle disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il rispetto del diritto di difesa è uno degli elementi imprescindibili per garantire la tutela dei diritti individuali. Inoltre, una raccomandazione del Consiglio europeo adottata di recente (le regole penitenziarie europee) ha rafforzato il diritto alla riservatezza nel rapporto tra i detenuti e i loro consulenti legali.

Si potrebbe aggiungere che è previsto uno studio sui diritti minimi nella procedura preliminare al processo nel quadro del piano d’azione del Consiglio e della Commissione sull’attuazione del programma dell’Aia inteso a rafforzare la libertà, la sicurezza e la giustizia dell’Unione europea.

L’UE attribuisce particolare importanza al rispetto dei diritti fondamentali.

Attualmente tuttavia non esiste alcuna disposizione normativa comunitaria che tratti la questione concreta sollevata dall’onorevole parlamentare.

 

Interrogazione n. 97 dell'on. Diamanto Manolakou (H-0691/06)
 Oggetto: Totale mancanza di misure di sicurezza all'origine di centinaia di incidenti mortali sul posto di lavoro
 

La ricerca spasmodica del profitto, la politica di concorrenza e l'intensificazione del lavoro ignorano persino il valore della vita umana. In Grecia, l'irresponsabilità dei datori di lavoro fa una vittima ogni 2-3 giorni, tant'è che solo nel primo semestre del 2006 più di 65 lavoratori hanno perso la vita sul posto di lavoro. Le misure di sicurezza e sanitarie indispensabili nel luogo di lavoro sono quasi inesistenti e sono assenti anche i medici del lavoro. A tutto ciò va aggiunto che, per mantenere basse le remunerazioni, viene ingaggiato personale non specializzato e non istruito.

Visto che secondo fonti ufficiali, in Grecia, negli ultimi 3 anni e mezzo, le vittime sono state più di 450, intende la Commissione prendere le necessarie misure affinché cessi il sacrificio di vite umane dovuto all'arbitrarietà dei datori di lavoro, e promuovere un quadro giuridico che garantisca condizioni di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, e controlli efficaci?

 
  
 

La Commissione condivide la preoccupazione dell’onorevole parlamentare riguardo all’inaccettabile numero di incidenti mortali sul posto di lavoro. Come la Commissione ha affermato nella comunicazione intitolata “Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e dalla società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006”(1), la strategia volta a ridurre il numero di infortuni sul lavoro si basa sul consolidamento di una cultura di prevenzione dei rischi, sulla combinazione di strumenti politici differenziati (legislazione, dialogo sociale, spinta al progresso e individuazione delle pratiche migliori, responsabilità sociale delle imprese, incentivi economici) e sulla realizzazione di partenariati tra tutti i soggetti nel campo della salute e della sicurezza.

Esiste una significativa legislazione comunitaria nel campo della salute e della sicurezza, in particolare la direttiva 89/391/CEE concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, nonché le sue direttive specifiche.

Le direttive comunitarie devono essere recepite dagli Stati membri. La Grecia ha notificato misure di recepimento della direttiva 89/391/CEE e delle direttive specifiche nel campo della salute e della sicurezza sul lavoro. Spetta agli Stati membri, in questo caso all’Ispettorato del lavoro greco, garantire un controllo e una sorveglianza adeguati dell’attuazione delle disposizioni nazionali di recepimento della legislazione comunitaria nel campo della salute e della sicurezza dei lavoratori sul posto di lavoro.

La direttiva 89/391/CEE e le sue direttive specifiche non contengono disposizioni sull’organizzazione delle autorità nazionali competenti. Spetta a ciascuno Stato membro stabilire l’organizzazione necessaria per garantire un controllo adeguato delle disposizioni nazionali di recepimento della legislazione comunitaria.

 
 

(1) COM (2002) 118 def. dell’11.3.2002.

 
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