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Procedura : 2006/2118(INI)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo del documento : A6-0269/2006

Testi presentati :

A6-0269/2006

Discussioni :

PV 26/09/2006 - 12
CRE 26/09/2006 - 12

Votazioni :

PV 27/09/2006 - 5.11
CRE 27/09/2006 - 5.11
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2006)0381

Resoconto integrale delle discussioni
Martedì 26 settembre 2006 - Strasburgo Edizione GU

12. Progressi della Turchia verso l’adesione (discussione)
Processo verbale
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0269/2006), presentata dall’onorevole Camiel Eurlings a nome della commissione per gli affari esteri, sui progressi della Turchia verso l’adesione [2006/2118(INI)].

 
  
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  Camiel Eurlings (PPE-DE), relatore. – (EN) Signor Presidente, siamo giunti alla discussione finale di questa relazione sulla Turchia in un momento speciale, poiché essa precede la relazione della Commissione europea sui progressi compiuti e offre quindi un’occasione unica per influenzare e arricchire la posizione della Commissione.

Non che sia necessario, comunque, influenzare la Commissione su questo punto, perché la relazione, nella versione che ho presentato alla commissione per gli affari esteri e che ora presento qui in questa seduta, è stata elaborata in stretta cooperazione con la Commissione europea e con il Commissario Rehn. Penso anche alle parole molto chiare con cui il Commissario Rehn ha accolto favorevolmente la relazione quando l’ho presentata in seno alla commissione per gli affari esteri.

La relazione, adottata dalla commissione per gli affari esteri a grande maggioranza, con 54 voti a favore e 6 contrari, è stata definita giusta ma dura: giusta perché basata sui fatti e costruttiva; dura perché, purtroppo, sussistono motivi di critica o almeno ragioni che giustificano una forte spinta da parte del Parlamento.

La conclusione fondamentale della relazione è che, come Parlamento europeo, ci rammarichiamo del rallentamento che si registra nell’attuazione delle riforme. Quando nel 2004, all’inizio dei negoziati, abbiamo adottato una decisione, ci aspettavamo che le straordinarie riforme del periodo 2002-2004 sarebbero proseguite. Purtroppo hanno invece subito un rallentamento. Con questo non intendiamo dire che non è stato realizzato alcunché. Mi complimento con i politici turchi per il nono pacchetto di riforme legislative e per le numerose proposte adottate dal Parlamento. Mi complimento anche con i funzionari turchi per la professionalità di cui hanno dato prova nell’ambito dei negoziati, che ha permesso di chiudere provvisoriamente il primo capitolo.

Perché quindi le critiche? Perché avremmo voluto assistere a maggiori progressi in direzione di ulteriori riforme politiche. Citerò alcuni settori d’importanza vitale. In primo luogo, riguardo alla libertà di espressione, il Parlamento europeo ha già criticato alcune parti del nuovo codice penale. Anche se ha costituito un grande miglioramento, alcuni articoli hanno suscitato dubbi, soprattutto l’articolo 301. Alcune persone sono state rilasciate. Tuttavia, la conferma della sentenza a carico di Hrant Dink dimostra, come ha affermato chiaramente anche il famoso giornalista Ali Birand, che l’articolo 301 deve essere modificato o abrogato. Chiedo al governo turco e al popolo turco di riconoscere che ciò è necessario. E’ importante per la libertà del popolo turco, è importante per l’immagine della Turchia in Europa e in tutto il mondo.

In secondo luogo, c’è molto da fare riguardo alla libertà di religione. Sono stato in Turchia alcune settimane fa. Monasteri e chiese sono stati confiscati fino a poco tempo fa e la nuova proposta di legge sulle fondazioni, come ha detto il Commissario, non è abbastanza valida. Questa situazione deve finire. Le proprietà devono essere restituite alle minoranze religiose e la proposta di legge sulle fondazioni deve essere modificata, in modo che se non fosse possibile restituire le proprietà si provveda almeno a un adeguato risarcimento a favore delle chiese minoritarie.

Occorre altresì riprendere la formazione del clero. I seminari sono chiusi dal 1971 e, per un paese che vuole essere europeo, è molto importante che costruire una chiesa cristiana in Turchia sia facile come costruire una moschea turca nel resto dell’Unione europea.

Abbiamo detto che vogliamo attribuire la priorità a queste riforme perché questo è lo spirito europeo. Lo chiediamo come Parlamento e la Turchia ha sottoscritto, nel partenariato per l’adesione riveduto, un impegno a realizzare le priorità a breve termine entro la fine del 2007, e noi come Parlamento abbiamo quindi chiesto alla Turchia di attuare quanto concordato.

Un terzo motivo di preoccupazione è la situazione nel sud-est. Condanniamo con forza il PKK e ogni forma di terrorismo. Lo condanniamo nettamente – non c’è mai alcuna giustificazione per il terrorismo; ma al tempo stesso chiediamo alla Turchia di instaurare un dialogo con interlocutori pacifici, di trovare una soluzione politica e di investire nello sviluppo socioeconomico del sud-est.

Un ultimo punto importante: Cipro. All’inizio dei negoziati è stato concordato che non ci sarebbe stata una cerimonia di riconoscimento formale di Cipro da parte della Turchia, ma che ci sarebbe stato un protocollo di Ankara come normalizzazione delle relazioni. Il protocollo è stato firmato, il Consiglio ha chiesto che sia attuato entro la fine del 2006, e ora è una questione di credibilità – anche per le nostre Istituzioni – che la Turchia adempia i suoi impegni e attui il protocollo entro la fine del 2006. Come Parlamento, diciamo anche molto chiaramente che vogliamo vedere maggiori sforzi nella parte settentrionale dell’isola in termini di regolamentazione commerciale. Ancora una volta, però, la Turchia non può limitarsi a firmare: deve mantenere fede ai suoi impegni.

Concludo con un ultimo punto – cercherò di essere breve. In commissione si è registrata una vasta maggioranza a favore della linea di base adottata nella relazione e di questo ringrazio i colleghi perché con essa stiamo dando un importante segnale. Tuttavia, è emersa una situazione di disagio a causa di un emendamento sul genocidio armeno. Consentitemi di chiarire la mia posizione in due frasi. Al paragrafo 50 della relazione, come relatore ho cercato di presentare una posizione che fosse forte, ma anche realistica: sebbene il riconoscimento del genocidio in quanto tale non costituisca formalmente uno dei criteri, è indispensabile che un paese che si avvia all’adesione accetti e riconosca il proprio passato e perciò vogliamo commissioni, ricerche, discussioni aperte. Penso che sia una linea forte ma equa e non criticabile.

So che, con un emendamento dell’onorevole De Keyser, è stato votato anche un altro testo. Ovviamente è responsabilità di ciascun deputato al Parlamento votare come preferisce, ma se mi chiedete cosa ne penso, il testo al punto 50 costituisce la formulazione migliore e quella che ci fa compiere maggiori progressi.

Mi sono dilungato troppo. Voglio ancora una volta ringraziare i colleghi per l’appoggio che mi hanno fornito sinora e voglio soltanto dire che spero, come relatore per l’adesione della Turchia, che questo segnale – un segnale duro ma equo – sia percepito dai politici turchi e dal popolo turco come un incoraggiamento a riprendere il processo di riforma e a sostenere vigorosamente le persone che lo vogliono, cosicché nella mia prossima relazione io possa essere più positivo di quanto non sia stato oggi.

(Applausi)

 
  
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  Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, a nome della Presidenza finlandese desidero ringraziare il Parlamento europeo e in particolare l’onorevole Camiel Eurlings per questa esauriente relazione sui progressi compiuti dalla Turchia nel processo di adesione.

Ogni discussione è per noi una buona occasione per apprendere qualcosa di più riguardo al processo di adesione della Turchia, per ispirare i cittadini sia dei paesi dell’Unione europea sia della Turchia a partecipare attivamente a questo processo e per sostenere il governo turco nei suoi obiettivi di adesione. Naturalmente la Finlandia, il paese che detiene la Presidenza del Consiglio, prenderà in considerazione i pareri espressi dal Parlamento europeo.

All’inizio di novembre la Commissione presenterà la sua relazione annuale sui progressi compiuti dalla Turchia nei negoziati per l’adesione. Il Consiglio europeo esaminerà con grande attenzione tale relazione. Nella discussione odierna desidero concentrare l’attenzione su alcuni punti dei negoziati.

La Presidenza condivide la preoccupazione del Parlamento europeo riguardo al processo di riforma in Turchia. La Turchia deve accelerare l’attuazione delle riforme politiche e il processo di riforma in generale. Una piena ed efficace attuazione è vitale per assicurare che le riforme siano permanenti e costanti. Abbiamo bisogno di risultati concreti.

Condividiamo la preoccupazione del Parlamento riguardo alla lentezza dei progressi compiuti dalla Turchia nei settori di cruciale importanza delle libertà fondamentali e dei diritti umani. Anche se la situazione in Turchia è migliorata rispetto a cinque anni fa, il paese deve continuare ad attuare riforme tangibili, specialmente nel campo della libertà di espressione, della libertà di religione, dei diritti culturali, dei diritti della donna e dell’azione contro la tortura e i maltrattamenti. La maggior parte di tali questioni figura tra le priorità indicate nel partenariato di adesione riveduto e la Turchia deve adottare senza indugi le iniziative appropriate.

Attualmente la Presidenza attende l’adozione del nono pacchetto di riforma riguardante il diritto turco, il cui scopo è rispondere ad alcuni dei problemi che ho appena menzionato. Le nuove leggi devono essere pienamente compatibili con le norme comunitarie.

Il Consiglio si attende un’azione immediata da parte della Turchia in particolare sulla questione della libertà di espressione, al fine di evitare in futuro il tipo di azioni legali che sono state avviate contro persone che hanno espresso opinioni non violente. Per quanto riguarda la libertà religiosa, ci attendiamo che la legislazione sui diritti delle minoranze non musulmane sia attuata pienamente e senza indugi, in linea con le norme europee.

Come il Parlamento, siamo preoccupati riguardo alla situazione nella Turchia sudorientale. La Presidenza ha condannato i recenti attentati dinamitardi in varie località della Turchia e li considera atti terroristici insensati. Nessun atto terroristico può mai essere giustificato. Si tratta di una questione che interessa diverse agenzie e che stiamo seguendo con attenzione nel quadro del processo di riforma. La Turchia deve sviluppare rapidamente un approccio globale per ridurre la disuguaglianza regionale, puntando a offrire migliori opportunità a tutti i suoi cittadini, compresi i curdi, e rafforzare il potenziale economico, sociale e culturale del paese.

Oltre ai criteri di Copenaghen, il progresso della Turchia nel processo di adesione è giudicato nel contesto dei requisiti contenuti nel quadro di negoziazione, che includono l’attuazione del protocollo aggiuntivo all’accordo di Ankara. I progressi in questo ambito sono essenziali per il proseguimento dei colloqui. La Turchia deve applicare pienamente il protocollo a tutti gli Stati membri dell’Unione europea e deve rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione dei beni, comprese le restrizioni ai trasporti. L’avvio di colloqui connessi fondamentalmente a tale questione dipenderà dall’adempimento degli obblighi contrattuali della Turchia nei confronti degli Stati membri: se dovesse venir meno a detti obblighi, ciò si ripercuoterebbe in generale sull’avanzamento dei colloqui.

Si stanno seguendo i progressi riguardo a tutte le questioni essenziali menzionate nella dichiarazione della Comunità europea e degli Stati membri del 21 settembre 2005.

Occorre mantenere uno spirito di iniziativa e determinazione se vogliamo che gli standard dell’Unione europea e i requisiti per l’adesione siano soddisfatti. A dare prova di determinazione non deve essere solo il paese candidato, ma l’Unione stessa. Per questo motivo voglio dire molto chiaramente che il processo di adesione della Turchia è molto importante per noi e la Presidenza finlandese farà tutto il possibile affinché si possano compiere progressi nei negoziati.

L’Unione sostiene la Turchia nelle sue aspirazioni europee, ma i progressi nei negoziati di adesione dipendono in larga misura dalle azioni della stessa Turchia. Il processo di adesione proseguirà nella misura in cui la Turchia continuerà il processo di riforma e adempirà gli obblighi che ne derivano.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, in primo luogo devo comunicarvi che purtroppo, diversamente dalle mie abitudini, dovrò lasciare l’Aula durante la discussione, perché ho una conferenza stampa con il Presidente della Commissione europea Barroso alle ore 16, cioè tra dieci minuti, alla quale devo essere presente. Subito dopo dobbiamo entrambi partire alla volta di Sofia, in Bulgaria, e di Bucarest, in Romania, per comunicare la decisione odierna e il contenuto del dibattito parlamentare a questi due futuri Stati membri dell’Unione europea. Mi dispiace dover servire due padroni, ma l’ultima discussione si è lievemente protratta e temo di non avere alternative.

Signor Presidente, nella discussione precedente la Presidente Lehtomäki ha fatto una dichiarazione a nome del Consiglio sul futuro dell’allargamento. Come il Presidente Barroso, accolgo con favore la dichiarazione e ribadisco l’impegno della Commissione e la nostra politica di seguire un’agenda di allargamento consolidata, che copre l’Europa sudorientale, oltre alla Bulgaria e alla Romania. Copre la Turchia e la Croazia e gli altri paesi dei Balcani occidentali. Siamo cauti nell’assumere eventuali nuovi impegni, ma rimaniamo fedeli ai nostri impegni esistenti nei confronti dei paesi dell’Europa sudorientale: pacta sunt servanda. Questi paesi hanno la prospettiva di entrare nell’Unione europea non appena soddisferanno le condizioni stabilite, come promesso per i paesi dei Balcani occidentali al Vertice di Salonicco nel 2003. Mentre ci prepariamo internamente per un nuovo assetto istituzionale, proseguiamo il graduale e cauto processo di adesione con questi paesi dell’Europa sudorientale. Non possiamo prenderci una vacanza dalle nostre responsabilità per la pace, la stabilità, la libertà e la democrazia.

Ci aspettiamo che gli Stati membri dell’UE siano in grado di trovare un accordo su un nuovo assetto istituzionale nel 2008; quindi il nuovo assetto istituzionale dovrebbe già essere in vigore quando probabilmente avverrà l’adesione del prossimo paese. Se la Croazia, che probabilmente sarà il prossimo nuovo Stato membro, procederà con le riforme in maniera rigorosa e proficua, dovrebbe essere pronta per l’adesione all’Unione verso la fine di questo decennio.

Desidero ringraziare l’onorevole Eurlings per la sua relazione, che include elementi utili per la valutazione dei progressi della Turchia verso l’adesione. Ringrazio anche i membri della commissione per gli affari esteri per i loro contributi.

L’adesione della Turchia è motivo di costante dibattito. E’ vero che in Turchia lo slancio per la riforma ha subito un rallentamento in quest’ultimo anno. Comunque, non dovremmo perdere di vista i progressi compiuti negli ultimi dieci anni, né i nostri impegni nei confronti della Turchia. L’obiettivo dei negoziati avviati il 3 ottobre 2005 è l’adesione a pieno titolo della Turchia all’Unione europea, e per sua natura si tratta di un processo interlocutorio, senza nulla di automatico.

Questo impegno scaturisce dalla solida convinzione che l’integrazione della Turchia nell’UE sia di reciproco beneficio. Nel proprio interesse, l’Unione europea ha bisogno di una Turchia democratica, stabile e sempre più prospera. L’importanza strategica della Turchia è stata ancora una volta illustrata dalla sua decisione di partecipare alla missione UNIFIL in Libano.

Negli ultimi dodici mesi, non si sono registrati progressi nelle riforme. E’ importante che vengano prese nuove iniziative e che si realizzino progressi tangibili prima che la Commissione presenti la sua relazione, l’8 novembre.

Innanzi tutto, la libertà di espressione costituisce la pietra angolare delle riforme. Giornalisti, autori, editori e attivisti dei diritti umani si trovano tuttora ad affrontare procedimenti giudiziari per violazioni del famoso articolo 301 del codice penale con vaghe accuse di “oltraggio allo spirito turco”. A luglio la sentenza definitiva della Corte di cassazione nel caso di Hrant Dink ha stabilito un precedente giurisprudenziale in relazione al famoso articolo 301, che viola le norme europee. Pertanto, nonostante l’assoluzione della scrittrice Elif Shafak la settimana scorsa, la libertà di espressione rimane minacciata in Turchia.

I procedimenti giudiziari hanno un effetto raggelante e danneggiano l’importante lavoro svolto da giornalisti, intellettuali e attivisti. Ho ripetutamente espresso le mie preoccupazioni al riguardo, anche di recente, la settimana scorsa, al ministro degli Esteri Gül. Francamente, sono piuttosto stanco di ripetermi all’infinito, ma continuerò a farlo fino al termine del mio mandato, fintanto che non verrà corretta questa mancanza. Non posso neppure immaginare uno Stato membro nell’Unione europea che non rispetti un principio fondamentale come la libertà di espressione. E’ ora che la Turchia corregga gli articoli restrittivi del codice penale e li allinei effettivamente alla Convenzione europea sui diritti umani.

Questo è importante anche rispetto al dibattito interno riguardante la Turchia al quale ha fatto riferimento il relatore, onorevole Eurlings. In Turchia è necessario uno scambio di vedute aperto e costruttivo, anche sulle questioni più sensibili. E’ necessario sia per il processo democratico nel paese, sia per affrontare le sfide future, nonché per la riconciliazione della Turchia con i paesi vicini, compresa l’Armenia. La riconciliazione è un principio che costituisce l’origine e la conseguenza del processo di integrazione europea. Esorto quindi la Turchia a continuare a compiere passi concreti in quella direzione.

In secondo luogo, riguardo alla libertà di religione, sono pienamente d’accordo con il relatore e con il Consiglio su questa importante questione. La legge sulle fondazioni, attualmente all’esame della Grande Assemblea nazionale turca, dovrebbe affrontare le mancanze in materia. Le restrizioni applicate ai diritti di proprietà, alla gestione delle fondazioni e alla formazione del clero devono essere eliminate.

Vi sono anche minoranze musulmane soggette a discriminazioni. Gli Alevi, una comunità di 15-20 milioni di persone, subisce restrizioni legali sulla creazione di luoghi di culto e non riceve alcun sostegno finanziario dall’autorità religiosa di Stato.

Nel sud-est, la spirale di violenza mina gli sviluppi positivi registrati da quando è stato revocato lo stato d’emergenza alcuni anni fa. Il terrorismo è il nostro nemico comune. La Turchia e l’Unione europea condannano inequivocabilmente il PKK, e deploro profondamente la perdita di vite innocenti negli attentati avvenuti quest’anno in Turchia.

Comunque, una politica basata soltanto su considerazioni di sicurezza non è sufficiente per affrontare i problemi della regione. Il sud-est si trova in una situazione socioeconomica aggravata, a causa non solo delle minacce alla sicurezza, ma anche dell’elevato tasso di disoccupazione e della povertà. Ci aspettiamo che la Turchia adotti presto una strategia globale che affronti tutte le necessità di questa regione: economiche, sociali e culturali.

Vorrei soffermarmi sugli obblighi che la Turchia deve rispettare. Noi ci attendiamo che la Turchia dia piena attuazione al protocollo aggiuntivo all’accordo di Ankara. Questo significa che la Turchia deve rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione di beni, compresi quelli ai mezzi di trasporto, ostacoli che costituiscono una violazione dell’accordo di associazione. La Turchia dovrebbe quindi aprire i suoi porti alle navi battenti le bandiere di tutti gli Stati membri, compresa la Repubblica di Cipro. Come stabilito nel quadro di negoziazione, i progressi nell’ambito dei negoziati dipendono anche dall’adempimento degli obblighi da parte della Turchia. Ribadisco che gli obblighi della Turchia nel quadro del protocollo di Ankara non sono collegati alla fine dell’isolamento economico della comunità turcocipriota.

Il progetto di relazione invita giustamente il Consiglio a rinnovare il suo impegno per il raggiungimento di un accordo su un regolamento di agevolazioni al commercio per la zona settentrionale di Cipro. La Commissione sostiene pienamente i seri sforzi della Presidenza finlandese mirati a superare lo stallo in relazione al regolamento sul commercio, aiutando così il Consiglio e gli Stati membri dell’UE a mantenere gli impegni assunti. E’ altresì opportuno sottolineare che la Turchia continua costruttivamente a impegnarsi nella ricerca di un accordo esauriente sulla questione di Cipro, accettabile sia per i grecociprioti che per i turcociprioti, basato sui principi sui quali è stata fondata l’Unione europea.

Per concludere, è nel nostro reciproco interesse che la Turchia prosegua la sua trasformazione democratica, sociale ed economica con l’obiettivo di aderire all’UE. Se la Turchia avrà successo, con il nostro appoggio costante, potrà diventare un ponte sempre più robusto tra civiltà, in un momento in cui le relazioni tra Europa e islam costituiscono la più grande sfida dei nostri tempi. La Turchia rappresenta una tappa importante a tale riguardo ed è importante per il nostro futuro e per il futuro dei nostri figli e nipoti.

La Commissione è quindi disposta a sostenere la Turchia durante l’intero processo, ma dipende in ultima analisi dalla Turchia portarlo avanti. La seduta straordinaria del Parlamento convocata la settimana scorsa per accelerare l’adozione del nono pacchetto di riforme è un passo nella giusta direzione che abbiamo apprezzato. Tuttavia è necessario un processo di riforma più risoluto perché la Turchia possa progredire nel cammino verso l’adesione all’UE. In questo processo, dovremmo ricordare, che – come ha suggerito il Primo Ministro Erdogan – i criteri di Copenaghen dovrebbero essere chiamati criteri di Ankara, poiché sono stati stabiliti, in primo luogo, nell’interesse dei cittadini turchi e dei loro diritti, e non meramente per compiacere l’Unione europea.

(Applausi)

 
  
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  Emine Bozkurt (PSE), relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. – (NL) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare l’onorevole Eurlings per il duro lavoro che ha svolto e che non è sempre stato un compito facile. Purtroppo, a causa degli oppositori dell’adesione della Turchia all’UE, la relazione nella sua forma attuale è diventata motivo di delusione per molti di noi, tra i quali i riformisti turchi, gli europei che vogliono la Turchia come alleato e soprattutto le donne turche.

Come relatrice per i diritti della donna, ho constatato che la Turchia sta senza dubbio facendo progressi in questo settore specifico, in parte grazie alle pressioni esercitate dall’Unione europea in generale e dal Parlamento europeo in particolare. La strategia di allargamento è efficace per promuovere le riforme nei paesi candidati, ma funziona soltanto se tali riforme vengono anche riconosciute. Come spesso sottolinea il partito dell’onorevole Eurlings nei Paesi Bassi “c’è bisogno del dolce dopo l’amaro”: in altre parole, c’è bisogno di luce dopo il buio.

La relazione Eurlings non riconosce i risultati conseguiti dalla Turchia sino a oggi. E’ negativa non solo nella sostanza, ma anche nel tono. Questo è un sistema infallibile per sabotare le riforme in Turchia, minando il sostegno dei cittadini e dotando gli euroscettici turchi di un’arma potente per le imminenti elezioni in Turchia. Senza dubbio, ciò che davvero vogliamo è che le critiche siano tradotte in azione, poiché questo andrà a vantaggio di tutti.

Potremmo adottare una prospettiva completamente diversa e menzionare invece le riforme che hanno avuto successo, prendere atto dei primi passi compiuti dalla Turchia per accettare il suo passato e promuovere ulteriori tentativi in questa direzione; vi esorto, tuttavia, a non includere il riconoscimento dei genocidi come condizione per l’adesione, poiché non figura fra i criteri di Copenaghen e, in tutta onestà, non è mai stato imposto come condizione ad alcun altro Stato membro. Tutti i riferimenti a un partenariato privilegiato dovrebbero essere cancellati, poiché l’obiettivo dei negoziati è che la Turchia riformata diventi uno Stato membro. Se saranno apportate tali modifiche, potremo accogliere i turchi in Europa, dando il benvenuto a questo Stato laico con la sua popolazione musulmana come nostro alleato nella lotta contro il terrorismo e l’estremismo. Se non sapremo apportare questi cambiamenti, sarà come abbandonare al loro destino milioni di uomini e donne che in Turchia sono favorevoli alle riforme.

 
  
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  Elmar Brok, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signora Presidente in carica del Consiglio, non so se l’intervento precedente rappresentasse un’opinione personale o il parere della commissione responsabile.

Desidero rivolgere un caloroso ringraziamento all’onorevole Eurlings per la relazione molto equilibrata che ha presentato. Molte delle critiche espresse oggi da vari gruppi sono state sollevate in questa relazione in primo luogo da membri di questo gruppo. Anche questo non dovrebbe essere dimenticato, ad esempio per quanto attiene alla questione dei media.

E’ importante sottolineare che i negoziati sono in corso e che entrambe le parti devono contribuirvi costruttivamente. Noi siamo d’accordo di offrire alla Turchia la prospettiva dell’adesione all’Unione europea, ma dobbiamo anche dire con chiarezza – come ha affermato anche il Commissario – che il processo di riforma ha subito un rallentamento dopo il 3 ottobre. E’ giusto e necessario farlo presente, sulla base di una serie di questioni specifiche relative ai diritti umani, ai diritti delle minoranze e alla libertà di espressione e di religione. E’ altresì importante chiarire che questi sono i requisiti indispensabili per poter procedere.

Il Parlamento ha dichiarato in una decisione adottata all’inizio dei negoziati che i criteri politici devono essere soddisfatti all’inizio dei negoziati e non alla fine.

Nella presente discussione mi infastidiscono alcune cose – è quasi un problema di mentalità –, ad esempio l’impossibilità di menzionare i fatti per non andare incontro a critiche o malintesi in Turchia. Non si possono condurre questi negoziati se non si citano i fatti. Soltanto così possiamo compiere progressi. Dopo tutto, è nostro compito convincere i cittadini a seguirci in questo cammino. Se non si rispettano le condizioni e non si indicano chiaramente i fatti, sorge un problema.

Solamente i paesi che soddisfano tutti i criteri, inclusi i criteri politici e i prerequisiti per i negoziati, possono aderire all’Unione europea. Questo significa che l’attuazione del protocollo di Ankara deve essere avviata una volta per tutte, impegno che sinora è mancato. La questione di Cipro deve essere risolta quest’anno, come stabilito, e non può essere ulteriormente rimandata, poiché in tal caso più nessuno ci prenderebbe sul serio.

Tra l’altro, va anche detto che la capacità dell’UE di sostenere l’allargamento è di importanza vitale. Questo significa anche che le prospettive finanziarie nel quadro del mandato negoziale non permettono negoziazioni sui capitoli con implicazioni finanziarie prima del 2013. Anche questo va detto chiaramente, poiché tali disposizioni nel mandato negoziale illustrano che all’UE manca attualmente la capacità di affrontare l’allargamento in considerazione delle sue possibilità finanziarie.

 
  
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  Jan Marinus Wiersma, a nome del gruppo PSE. – (NL) Signor Presidente, oggi discutiamo un tema che ci riguarda tutti, vale a dire i negoziati con la Turchia e il futuro della Turchia in relazione all’Unione europea. La Turchia è un partner chiave in una regione cruciale. Ora più che mai è evidente che dobbiamo legare la Turchia all’Unione europea e che dobbiamo sostenere i riformatori in quel paese. La Turchia si è impegnata in un’operazione della Forza delle Nazioni Unite in Libano. A tale riguardo, dobbiamo aiutare la Turchia a svolgere un ruolo positivo e costruttivo in quella regione, all’interno della quale abbiamo bisogno di un partner: si tratta di una priorità.

Il processo negoziale è il modo migliore per sviluppare relazioni migliori e più forti con la Turchia e, pur sapendo che i negoziati richiederanno tempo, rimaniamo del parere che un dialogo critico ma costruttivo sia il modo migliore per portare tale processo a una conclusione positiva. Di conseguenza, le relazioni elaborate dal Parlamento devono essere equilibrate e non perdere di vista l’obiettivo finale, vale a dire l’adesione. Dobbiamo proseguire sulla base dei progressi compiuti in questi anni, riconoscendo altresì che si sono verificati ritardi che hanno ostacolato tali progressi.

Il nostro gruppo ha cercato, mediante una serie di emendamenti, di rendere la relazione più equilibrata in vari campi e, in risposta a ciò che ha detto l’onorevole Brok, va da sé che il nostro gruppo non deve accettare automaticamente ciò che viene prodotto dalla commissione per gli affari esteri. Ai fini del processo è inutile speculare su forme alternative di partenariato; questa è la nostra costante obiezione all’articolo 71 della relazione. Su questo vorremmo fugare ogni dubbio.

I negoziati si svolgono nella prospettiva dell’adesione a pieno titolo. Fortunatamente, questo punto è formulato in modo chiaro nella relazione Eurlings, sulla quale concordiamo, e non dubito delle intenzioni dell’onorevole Eurlings al riguardo. Ciò che è chiaro, tuttavia – e condivido il parere dell’onorevole Brok in proposito – è che le attuali strutture istituzionali non saranno in grado di affrontare l’adesione di nuovi Stati membri dopo l’ingresso nell’UE dei due paesi di cui abbiamo discusso oggi. Anche questo punto, fortunatamente, è stato esposto con chiarezza nella relazione Eurlings: senza le riforme necessarie nel quadro del processo istituzionale, non accetteremo alcuna nuova decisione in materia di allargamento.

Passo ora ai due punti chiave della relazione. Prima di tutto, riguardo al genocidio armeno, condivido il parere adottato dall’onorevole Eurlings. In fondo il compromesso che avevamo raggiunto nei negoziati è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno. E’ un appello al governo turco a riconoscere questo genocidio e a svolgere un dibattito positivo a livello nazionale in Turchia, ma senza che questo diventi una condizione per l’adesione all’Unione europea. Spero che domani riusciremo a eliminare questa sezione dalla relazione. L’intera questione non fa parte, a rigore, dei criteri di Copenaghen e dovrebbe rimanerne al di fuori.

Infine, per quanto riguarda Cipro, siamo d’accordo che il protocollo di Ankara debba essere ratificato. Nel contempo, riteniamo altresì che dovremmo intervenire per aiutare maggiormente i turcociprioti a Cipro. Questa sera il nostro gruppo discuterà nuovamente la lista di voto e, su tale base e sulla base del voto di domani, daremo il nostro giudizio finale.

 
  
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  Andrew Duff, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, certamente sono d’accordo con gli onorevoli Bozkurt e Wiersma sul fatto che attualmente la risoluzione non trova il giusto equilibrio. Il ruolo peculiare del Parlamento nel processo di adesione è sicuramente quello di promuovere la crescita della democrazia parlamentare in Turchia. Le nostre critiche dovrebbero essere costruttive, mirate a incoraggiare il percorso della Turchia verso la modernizzazione e non a bloccarlo.

Abbiamo ragione a sottolineare gli ostacoli esistenti alla libertà di espressione, ma non dovremmo avanzare pretesti mirati a bloccare il processo che abbiamo avviato. Dobbiamo modulare le reazioni, cercare di essere coerenti e soprattutto equi, specialmente su Cipro e l’Armenia.

La candidatura della Turchia è un momento importante per l’Unione. Nel caso di un incidente ferroviario, a Cipro i treni coinvolti sarebbero due. Uno di essi trasporta gli sforzi compiuti dalla Turchia per creare una forma possibile di islam europeo, dove il Profeta incontra la filosofia illuminista. Il successo di questa missione trascinerà sia l’islam che il cristianesimo lontano dalle terribili certezze del XIV secolo. Il secondo treno trasporta gli sforzi compiuti dall’Europa per sviluppare una forte politica estera comune di sicurezza e di difesa, un compito per il quale la Turchia darà un contributo straordinario.

Forse il coinvolgimento dell’esercito turco sotto il comando francese in Libano si rivelerà una svolta nella vita della PESC e un gradito segnale di futuri sviluppi.

Per la Turchia l’adesione sarà un processo bidirezionale.

 
  
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  Joost Lagendijk, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signor Presidente, la relazione Eurlings nella sua forma attuale è per me molto problematica. Non mi riferisco ai numerosi paragrafi di critiche, nei quali si esorta il governo turco a fare di più e ad accelerare l’attuazione delle riforme. E’ stato giustamente rivolto un appello al governo turco affinché elimini al più presto dal diritto penale il famigerato articolo 301, da cui sono scaturite decine di processi contro scrittori e giornalisti.

A mio avviso sono problematici i paragrafi in cui la relazione perde totalmente il controllo, in particolare quelli in cui il riconoscimento del genocidio armeno è considerato una sorta di condizione per l’adesione e quelli su Cipro, nei quali la Turchia sembra l’unica parte colpevole. La relazione originale, nella forma presentata dal relatore, era critica, ma giusta, e noi della commissione per gli affari esteri siamo riusciti a raggiungere solidi accordi durante le discussioni, il che significa che la relazione può essere migliorata con molti emendamenti.

Abbiamo poi sbagliato quando, nelle ultime fasi delle discussioni, abbiamo aggiunto clausole alla relazione mediante vari emendamenti orali, che hanno generato squilibrio in una relazione precedentemente equilibrata. Mentre per alcune lobby questo è stato forse un enorme successo, la relazione ne è uscita notevolmente cambiata in peggio. Ciò che vogliamo, ciò che il mio gruppo vuole, presentando una serie di emendamenti, è di fatto ritornare alla relazione Eurlings originale, che a nostro parere era critica ed equa.

Mi fa quindi piacere sentire e anche leggere nelle interviste rilasciate dal relatore alla stampa turca che è disposto, rifacendosi al proverbio “peccato confessato è mezzo perdonato”, a sostenere i tentativi di riportare la relazione alla sua forma originale. Conterò quindi sul suo appoggio durante la votazione di domani.

Perché è tanto importante che la relazione sia critica e, al tempo stesso, equa? Desidero vivamente che il Parlamento europeo continui ad avere voce in capitolo nel dibattito sulle riforme in Turchia sostenendo i gruppi e le persone che, giorno dopo giorno, si battono per gli stessi obiettivi per i quali lottiamo anche noi. Ma proprio quelle persone si sono rivolte a noi nelle ultime settimane dicendoci che questa relazione, nella sua forma attuale, non è di alcuna utilità per loro. Favorisce soltanto chi in Turchia è contrario alle riforme, e io non voglio che il Parlamento aiuti chi osteggia il progresso della Turchia.

Se la relazione non cambia, se rimane nella forma attuale, significa che rinunciamo al nostro ruolo, perché tutti i punti validi contenuti nella relazione non saranno più presi sul serio, e a mio avviso non è questo il ruolo del Parlamento. Pertanto le modifiche sono necessarie, e conto sul vostro appoggio e su quello del relatore. Spero davvero che la maggioranza dell’Assemblea sia disposta a scegliere questo percorso: costruttivo, critico, ma equo, piuttosto che il vicolo cieco della relazione nella sua forma attuale.

 
  
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  Vittorio Agnoletto, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il GUE ha votato a favore dell’apertura dei negoziati con la Turchia, ma pensiamo che al centro di questi negoziati debba esserci l’attenzione al rispetto dei diritti umani e della democrazia e questo rispetto debba essere legato in modo indissolubile alla soluzione politica e diplomatica della questione curda.

La settimana scorsa ho partecipato alla missione della sottocommissione per i diritti umani in Turchia e torno con un’immagine molto diversa da quella che speravo. In particolare abbiamo trovato nel Kurdistan turco una situazione drammatica, ovvero una zona totalmente militarizzata. Un conto è la condanna da parte di tutti noi del terrorismo, altro è considerare un popolo intero terrorista, altro è incarcerare ragazzini minorenni solo perché hanno salutato con le dita a "V", altro è continuare nella logica delle torture e spostare quei magistrati che indagano, per esempio, poliziotti ritenuti responsabili di un attentato.

Come Parlamento dobbiamo appoggiare la richiesta del DTP per la cessazione del fuoco e dobbiamo invitare il PKK a rispondere positivamente a questo appello. Dobbiamo chiedere al governo turco di avviare direttamente dei colloqui col DTP per trovare una soluzione politica, non è possibile alcuna altra alternativa.

Tuttavia i problemi non riguardano solo la vicenda curda; tutti noi abbiamo gioito per la soluzione di Elif Shafak, come in precedenza Pamuk, ma questo rischia di essere uno specchietto delle allodole unicamente per l’occidente: vi sono almeno altri ottanta tra scrittori e giornalisti che sono sotto processo per l’articolo 301.

E contemporaneamente il parlamento turco ha approvato nella sua formulazione originale la legge antiterrorismo, nonostante il parere in direzione opposta espresso non solo dall’Europa, ma anche dalle Nazioni Unite. Inoltre, abbiamo potuto verificare come nella regione di Hakkari, sempre nella zona del Kurdistan, vi sono su duecentocinquantamila persone, settemila guardiani del villaggio e cioè una situazione di una polizia che risponde direttamente al governo per la quale, da tempo chiesto, l’Unione europea ha richiesto il suo scioglimento.

L’impegno che noi chiediamo al Parlamento, alla Commissione e al Consiglio è quello di proseguire nella strada delle trattative con la Turchia, ma che al centro vengano posti i diritti umani e non unicamente, dibattiti ideologici o interessi economici. Noi pensiamo che il futuro possa prevedere un’Europa multietnica e multireligiosa, ma sempre nel rispetto dei diritti umani di tutti.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, è vero che in molti punti il tono della relazione sulla Turchia è freddo, ma è questo che la rende onesta. Da oltre 40 anni questo paese che sta chiedendo di aderire all’Unione europea ha un atteggiamento antagonistico nei confronti dei paesi vicini, che comprendono anche Stati membri dell’Unione europea.

E’ altresì nostro diritto e dovere non solo esigere spiegazioni per le ingiustizie passate, ma anche chiedere che la Turchia affronti la situazione sempre più grave che comprende violazioni dei diritti umani della minoranza cristiana in Turchia. Questa minoranza può contare soltanto su di noi per la difesa della sua causa. In tale contesto, non si possono non menzionare le scandalose dichiarazioni fatte da rappresentanti del governo turco in riferimento alla lezione tenuta da Papa Benedetto XVI a Ratisbona. Assecondando le sezioni estremiste dell’opinione pubblica musulmana, questo governo ha fatto due passi indietro. Malgrado ciò, non dobbiamo voltare le spalle alla Turchia. Comunque, sono sicuro che forme di cooperazione diverse dall’adesione possono essere fruttuose dal punto di vista economico e politico.

Va altresì sottolineato che rimangono notevoli squilibri nel nostro atteggiamento verso futuri allargamenti. Si sono compiuti progressi significativi nel processo politico verso l’adesione della Turchia all’Unione europea, mentre per quanto riguarda l’Ucraina il processo di adesione è stato rimandato, sebbene non sia l’Ucraina il paese che ogni anno perde 250 cause dinanzi alla Corte dei diritti dell’uomo. Non sono gli ucraini che ci chiedono asilo in massa. Non è l’Ucraina che perpetua le tensioni con i paesi vicini in conseguenza di conflitti presenti e passati. Finché nelle relazioni politiche permarrà questo squilibrio, l’Ucraina resterà confinata alla camicia di forza impostale 60 anni fa a seguito dei decreti della Russia comunista di Stalin.

(Applausi)

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, la relazione elaborata dall’onorevole Eurlings è istruttiva e pone due domande al Consiglio e alla Commissione, riguardanti il fenomeno del cosiddetto “Stato profondo” (derin devlet) e la completa mancanza di libertà di religione nella Repubblica di Turchia. Le forze antieuropee in Turchia si stanno coalizzando in strutture statali prive di trasparenza, in circoli nazionalistici nell’esercito, nella polizia, nella gendarmeria e nei servizi di sicurezza. In quale misura queste forze, definite in sintesi “Stato profondo” ostacolano gli attuali negoziati di adesione?

Vi sono persistenti ipotesi che questo stesso inquietante “Stato profondo” sia collegato all’uccisione del prete italiano Andrea Santoro a Trebisonda, avvenuta nel febbraio di quest’anno, e ciò mi porta alla posizione assolutamente umiliante della Chiesa cristiana in Turchia, il cui clero e i cui membri laici sono considerati stranieri. Infatti, i contatti tra le chiese e il governo avvengono tramite il ministero degli Affari esteri. Vorrei che il Consiglio e la Commissione intervenissero in proposito. O la paura di una mobilitazione islamica in Turchia vi rendono restii a insistere sulla piena libertà di religione nella terra di Atatürk?

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signor Presidente, oggi stiamo pagando le conseguenze del fatto che, nel caso della Turchia, la Commissione ha chiuso non un occhio, ma spesso tutti e due. Perché si possano celebrare presunti progressi le riforme della Turchia devono esistere non soltanto sulla carta. Per esempio, l’applicazione dell’obbligo di adottare le convenzioni internazionali sui diritti umani, che incombe alla Turchia da oltre 50 anni in virtù della sua appartenenza al Consiglio d’Europa, è stata celebrata come un grande successo nel 2004. Nel 1999 il Consiglio europeo ha deciso che i criteri di Copenaghen dovevano essere soddisfatti prima dell’avvio dei negoziati. Inoltre, sono state stabilite ulteriori condizioni politiche in relazione al conflitto Grecia/Cipro. Come se la generosità dimostrata sinora dalla Commissione nei confronti della Turchia non fosse sufficiente, ora sarà nuovamente esteso il termine per il riconoscimento di Cipro, nella vaga speranza che la Turchia possa rispettarlo.

La Turchia sta respingendo la richiesta di soddisfare realmente i criteri, definendoli motivati politicamente e irrealistici, e sembra considerare non vincolante la decisione del Parlamento. Con il suo tipico atteggiamento, la Turchia sta persino chiedendo ai deputati al Parlamento europeo di dimostrare senso politico e continuare quindi a coprire le magagne. Tuttavia, la realtà sembra piuttosto diversa: semplicemente, la Turchia non è ancora pronta a entrare in Europa. Non c’è alcun vero riconoscimento di Cipro, alcuna consapevolezza dell’immoralità del genocidio armeno e alcuna effettiva intenzione di trattare in modo equo il popolo curdo. Ci può essere una sola risposta a questo atteggiamento – una risposta che, tra l’altro, i cittadini in tutta Europa esprimono da molto tempo: dobbiamo offrire ogni possibile appoggio alle forze riformiste in Turchia, ma dire un chiaro “no” all’adesione della Turchia all’Unione europea.

 
  
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  Antonio Tajani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei soffermarmi soprattutto su un aspetto della relazione dell’onorevole Eurlings, ovvero il dialogo interreligioso. Si tratta di un tema che in questi giorni si trova sotto i riflettori di tutto il mondo per quello che è accaduto, per le polemiche che ci sono state, per l’attenzione che è stata rivolta alle parole pronunciate da Benedetto XVI in Germania e per le reazioni del mondo islamico.

Ieri c’è stato un incontro molto importante che ha dimostrato quanto sia importante per tutti noi il dialogo costruttivo e positivo tra i rappresentanti di religioni diverse, ovvero tra cristiani e musulmani. L’incontro si è basato sul principio di reciprocità, secondo cui è diritto di ogni parte sostenere la propria tesi, difendere i propri valori, poter manifestare il proprio credo, per i musulmani dove sono in maggioranza i cristiani, e per i cristiani dove sono in maggioranza i musulmani.

Ieri a Castel Gandolfo per il confronto con il Santo Padre era presente anche l’Ambasciatore turco. Si è parlato a lungo di questi temi e credo, quindi, che sia di fondamentale importanza il viaggio che Benedetto XVI svolgerà in Turchia. Sarà un viaggio importante perché, a nostro giudizio, favorirà il dialogo tra cristiani e musulmani, tra una maggioranza musulmana e una minoranza cristiana, sia essa cattolica, protestante od ortodossa, che vive in Turchia.

Ecco perché abbiamo presentato un emendamento con il relatore Eurlings. e con l’onorevole Tannock che sottoponiamo all’attenzione di tutta l’Assemblea, comprese le altre forze politiche, affinché, attraverso anche un messaggio forte del Parlamento, si possa incentivare il dialogo tra cristiani e musulmani, tra cristianesimo e islam, lasciamo fuori l’estremismo, isoliamo i fondamentalisti e dialoghiamo tra chi veramente vuole costruire la pace in Medio Oriente e in Africa.

In conclusione aiutare le riforme e favorire il dialogo tra cristiani e musulmani è interesse della stessa Turchia. I progressi di questo paese nel cammino verso l’Unione europea si misurano soprattutto dai risultati ottenuti nel dialogo interreligioso, nel rispetto dei diritti delle minoranze e nel rispetto dei diritti civili di tutti coloro che vivono in Turchia.

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, approvo quanto ha appena detto l’onorevole Tajani. Siamo indubbiamente d’accordo con lui sulla grande importanza del dialogo interreligioso, specialmente tra religioni cristiane e islam. Proprio per questa ragione ci siamo opposti alle dichiarazioni del Papa. Comunque, apprezzo sia le sue scuse per la dichiarazione in questione sia l’iniziativa decisa ieri con gli ambasciatori dei paesi islamici per rilanciare tale dialogo. Per questa ragione, in particolare, per noi è tanto importante offrire alla Turchia la prospettiva dell’adesione – un percorso verso l’adesione all’Unione europea; si tratta infatti di un mezzo per sostenere questo dialogo.

La Turchia è anche importante per noi come partner strategico nel processo di pace in Medio Oriente, che può indubbiamente essere promosso in modo appropriato mediante il percorso della Turchia verso l’adesione all’Unione europea. Tuttavia – e su questo punto concordo pienamente con il relatore, onorevole Eurlings, al quale sono grato per gli sforzi compiuti – dobbiamo essere critici ove necessario. Anni fa, io stesso sono stato relatore del Parlamento. Sono lieto che il processo sia continuato, che stiamo negoziando con la Turchia, che alcuni cambiamenti siano davvero stati realizzati in quel paese. D’altra parte, però, sono deluso dagli scarsi progressi registrati dalla Turchia su parecchie questioni. Un esempio è la libertà di espressione: benché molti autori siano assolti, lo scandalo è che sono innanzi tutto perseguiti per le loro opinioni. Ciò è inaccettabile e deve essere impedito.

Riguardo alla questione curda, come è già stato detto, nessuno in questa Assemblea ha alcuna simpatia per il terrorismo, e il PKK dovrebbe dichiarare una volta per tutte il suo costante appoggio al processo di pace. Il governo, comunque, deve fare la sua parte per promuovere la pace – economicamente, socialmente e politicamente. Deve staccarsi da quelle forze – il potere militare e l’apparato della sicurezza – che non vogliono il dialogo pacifico – in particolare riguardo alla questione curda.

A tale riguardo – anche se vi sono alcune altre cose che vorremmo cambiare – il relatore ha senza dubbio avuto non pochi problemi a chiarire che noi vogliamo che la Turchia imbocchi la via che porta all’adesione all’Unione europea, ma proprio per questo non rinunceremo alle nostre legittime richieste – anche nell’interesse della Turchia – poiché il principale beneficiario del processo di riforma non è l’Unione europea, ma la Turchia stessa.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ONYSZKIEWICZ
Vicepresidente

 
  
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  Jean-Louis Bourlanges (ALDE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione Eurlings è avvolta in un mistero. Questo mistero, però, non va ricercato nelle osservazioni che sono state formulate. Non si tratta della durezza, dell’indurimento della relazione. In realtà, leggendo questa relazione, ci si accorge che ripete ciò che, giustamente, abbiamo sempre detto. Dice che in Turchia i diritti umani e la libertà di espressione non sono rispettati in modo soddisfacente. Dice che le minoranze religiose sono private del diritto di proprietà, di pubblicazione, di insegnamento, di cui godono dovunque nell’Unione europea. Dice che, quando si entra in un club, il minimo è stringere la mano a tutti i membri e non intraprendere misure di guerra contro alcuno di essi. Dice infine che c’è stato un genocidio armeno e che non si costruirà nulla senza riconoscerlo, e questa non è una novità. L’abbiamo detto nel 2004, abbiamo chiesto il riconoscimento del genocidio nel 2004 e nel 2005 abbiamo sostenuto che doveva essere una condizione preliminare. La mancata adozione del paragrafo 49 equivarrebbe a un indietreggiamento da parte del Parlamento.

Ma il vero mistero, il vero mistero della relazione Eurlings, riguarda la sua coerenza. Ecco un’Istituzione che continua, dopo anni, a dire ciò che aveva detto in precedenza. Ora, nel clima di degenerazione generale che denunciava poco fa Daniel Cohn-Bendit, questa è una cosa inconsueta. E’ insolito che oggi affermiamo che quanto abbiamo detto ieri deve restare al centro delle nostre preoccupazioni. Il mistero della relazione Eurlings è che constatiamo, per la prima volta nella storia dei negoziati, di trovarci di fronte a uno Stato che regredisce già prima dell’adesione, e non dopo, e che ci vuole convincere che l’adesione deve avvenire alle sue condizioni e non alle nostre. Il mistero della relazione Eurlings è che questa Istituzione, a differenza della Commissione nella sua relazione su Bulgaria e Romania, ha deciso di dire la verità, di parlare senza peli sulla lingua, di esporre i fatti, e se – come ha detto qualche tempo fa Guy Béart – il primo che dice la verità deve essere giustiziato, spero che questo non accada per l’onorevole Eurlings e la sua relazione, che sostengo vigorosamente.

(Applausi)

 
  
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  Cem Özdemir (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare il relatore per i suoi sforzi tesi a cogliere l’umore dell’Assemblea e a trarne una maggioranza. Tuttavia, credo che la decisione della commissione per gli affari esteri tenda a essere nemica del bene.

Vorrei dimostrarlo portando due esempi. Il primo è il punto che il collega ha appena sollevato verso la fine del suo intervento: la questione armena. Ho presenziato e sono intervenuto alla conferenza sulla questione armena a Istanbul che molti ora definiscono “storica”. E’ stata la prima conferenza del genere, in cui si è discusso di tutte le questioni relative a questo argomento – anche quelle sollevate dai critici più aspri – tenutasi a Istanbul. Tutti i partecipanti alla conferenza, da Taner Akçam a Halil Berktay a Hrant Dink – il quale sta attualmente combattendo una battaglia incessante contro l’articolo 301 –, mi hanno chiesto di dire esplicitamente a questa Assemblea che chiunque voglia favorire il dibattito in Turchia non deve imporre come requisito per l’adesione all’UE il riconoscimento del genocidio. Per questa ragione, vorrei rivolgere il seguente appello ai colleghi: chiunque voglia contribuire al proseguimento del dibattito, chiunque desideri dare un contributo al cambiamento in Turchia, deve ascoltare le voci dell’opposizione nel paese. Io voglio che un giorno il confine tra Turchia e Armenia sia come il confine tra Germania e Francia, ma per conseguire questo risultato sarà necessario il nostro aiuto.

La mia seconda osservazione è che anche per quanto riguarda la questione di Cipro conveniamo tutti che la Turchia deve mantenere il suo impegno e attuare il protocollo di Ankara. Gli obblighi hanno però anche un aspetto politico: la popolazione turcocipriota della parte nord dell’isola di Cipro attende infatti che noi manteniamo i nostri impegni e poniamo fine al suo isolamento in termini di economia e di istruzione. La Turchia deve attuare il protocollo di Ankara, ma da parte nostra dobbiamo contribuire a porre fine all’isolamento della popolazione di origine turca nella parte settentrionale di Cipro.

 
  
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  Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, per procedere speditamente nel suo cammino verso l’adesione, la Turchia deve agire esattamente come i paesi candidati che l’hanno preceduta e assolvere i suoi obblighi contrattuali, aprendo i porti e gli aeroporti alle navi e agli aerei di Cipro e revocando il veto sull’adesione di Cipro a organizzazioni internazionali e trattati multilaterali.

Il suo costante rifiuto di ottemperare a questi impegni costituisce una chiara violazione dell’accordo di associazione, dell’unione doganale e del protocollo aggiuntivo, che costituiscono i suoi obblighi contrattuali verso l’Unione europea. La Turchia commette quindi un errore collegandoli al problema di Cipro.

Tuttavia, la proposta del governo cipriota di un uso comune del porto di Famagosta sotto l’egida delle Nazioni Unite, con il contemporaneo monitoraggio della Commissione europea, insieme alla restituzione della zona recintata di Famagosta ai suoi legittimi residenti, potrebbe contribuire a superare l’attuale impasse.

Noi membri del partito progressista dei lavoratori di Cipro stiamo lavorando per la soluzione del problema di Cipro e per il rispetto dei diritti umani di tutti i Ciprioti, sia turcociprioti che grecociprioti. Non stiamo cercando di ostacolare il percorso della Turchia verso l’adesione. Tuttavia, non possiamo condonare la violazione degli obblighi contrattuali della Turchia verso l’Unione europea a spese di Cipro, né possiamo accettare il mancato rispetto per i diritti umani di tutti gli abitanti della Turchia e il rifiuto di riconoscere il genocidio degli armeni.

Per concludere, non riusciamo a capire quale sia l’idea alla base degli emendamenti volti a esentare la Turchia dai suoi obblighi. Sono idee infruttuose destinate a causare indesiderabili complicazioni.

 
  
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  Mogens N.J. Camre (UEN).(DA) Grazie, signor Presidente. La nostra comunità si chiama Unione europea. Primo Ministro Erdogan, ce l’ha una carta geografica? Basta una cartina per capire se sia opportuno accogliere la Turchia nell’UE. La Turchia non è un paese europeo, e come tale non può essere un membro dell’Unione europea. I capi di Stato e di governo dell’UE hanno promesso alla Turchia che, a certe condizioni, potrà diventare uno Stato membro dell’UE, ma a tale riguardo quei capi di Stato e di governo non hanno il sostegno dei loro popoli. Due terzi dei cittadini europei non vogliono che la Turchia diventi uno Stato membro e alla fine i capi di Stato e di governo saranno costretti ad assecondare la loro volontà se desiderano mantenere la fiducia degli elettori.

La relazione dell’onorevole Eurlings dimostra chiaramente che i cittadini dell’UE basano le loro opinioni sui fatti e non sulle impressioni. Raccomando di votare a favore della relazione, anche se alcune delle formulazioni in essa contenute possono essere interpretate come se considerassimo l’adesione della Turchia un obiettivo, benché ancora lontano dall’essere realizzato. Il governo della Turchia ha dimostrato più e più volte di non riconoscere i valori europei, mentre chiede a noi di rispettare valori turchi e islamici inaccettabili. L’abbiamo visto nel caso delle famose vignette danesi su Maometto pubblicate dal quotidiano Jyllands-Posten e anche quando la Turchia ha protestato contro il discorso di Papa Benedetto XVI a Ratisbona. La Turchia occupa illegalmente la parte settentrionale di Cipro e crede di poter costringere l’Unione europea ad accettare questa situazione. La Turchia vuole soffocare la libertà dell’Europa, la nostra libertà di parola, e la sua adesione comporterebbe la creazione di una società parallela in contrasto con la cultura europea. E’ ora di dire la verità.

 
  
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  Bogusław Rogalski (IND/DEM).(PL) Signor Presidente, l’Europa ha una lunga storia di relazioni con la Turchia, caratterizzata purtroppo quasi esclusivamente da eventi dolorosi e atti d’ingiustizia. E’ una storia di continue invasioni, guerre, massacri e dell’occupazione dell’Europa centrale e meridionale. Questi sono i fatti storici vissuti per secoli dagli europei.

Oggi, poco è cambiato e la Turchia continua a minacciare i paesi vicini. La Turchia esercita tuttora un embargo illegale contro l’Armenia e minaccia la Grecia, mettendo in discussione il diritto di quest’ultima di definire i limiti delle proprie acque territoriali. Discrimina tuttora i curdi e rifiuta di riconoscere la piena indipendenza di Cipro, che è uno Stato membro dell’Unione europea. Questa situazione è assurda. La Turchia pone una minaccia alla stabilità in questa regione e noi, a quanto pare ciechi dinanzi a questo fatto, siamo impegnati in negoziati con quel paese con l’obiettivo della sua adesione all’Unione europea. La Turchia non rispetta neppure i valori che noi consideriamo inalienabili. Viola e calpesta i diritti umani e le libertà e ne limita la fruizione. Perseguita gli oppositori politici, compresi i familiari di Leyla Zana, alla quale il Parlamento europeo ha assegnato il Premio Sacharov. La Turchia limita anche la libertà religiosa, e ciò ha condotto all’uccisione di un missionario italiano.

Questa è la verità intera sulla Turchia. Io non sono d’accordo sulla possibilità che la Turchia svolga il ruolo di ponte tra l’Europa e il mondo musulmano. Al contrario, penso che la Turchia potrebbe diventare una porta d’ingresso per il terrorismo. La Turchia fa parte di un mondo che ci è alieno in termini di cultura e tradizioni. Dobbiamo riconoscere questo fatto e chiederci: quo vadis, Europa? L’Unione deve essere europea o eurasiatica?

Accogliere la Turchia nell’Unione europea creerà un precedente pericoloso che decreterà la fine dell’Europa come la conosciamo oggi. I negoziati di adesione con la Turchia dovrebbero cessare il più presto possibile.

 
  
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  Francesco Enrico Speroni (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Primo Ministro turco Erdogan ha pesantemente criticato la lezione tenuta dal Pontefice all’Università di Ratisbona: una lezione basata sulla religione con fondamenti di teologia non di politica.

Il fatto che sia stato il Primo Ministro e non un esponente religioso turco a criticare il Papa, denota come in quel paese ci sia ancora una commistione inaccettabile fra sacro e profano, fra politica e religione, non c’è quella separazione cui siamo abituati nella nostra Unione europea.

Questa confusione fa sì che, anche per questo motivo, la Turchia non debba entrare nell’Unione europea, anche se il motivo principale non sarà mai eliminabile, ovvero che la Turchia non deve entrare nell’Unione in quanto la Turchia non è geograficamente in Europa.

 
  
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  Giorgos Dimitrakopoulos (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Eurlings per l’ottimo lavoro e per la relazione. Ovviamente colgo l’occasione per ripetere che siamo favorevoli alle prospettive europee della Turchia.

In sostanza, la relazione Eurlings non è soltanto un avvertimento, un messaggio inviato alla Turchia sui passi che deve compiere e sugli obblighi che deve assolvere per continuare il suo percorso verso l’Europa. E’ anche, nel contempo, una conferma dei principi sui quali l’Unione europea è stata costruita, principi dai quali abbiamo l’obbligo di non deviare perché, quando l’onorevole Eurlings parla di rispetto dei diritti umani e dei diritti delle minoranze, non fa che ribadire un principio europeo. Lo stesso vale quando parla di riforme istituzionali, quando parla di una soluzione pacifica delle divergenze e quando chiede di onorare la firma del protocollo di Ankara e di provvedere alla sua immediata applicazione.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, come sapete, ogni paese, ogni nazione che dimentica o non riconosce la propria storia va incontro a inevitabili problemi. Il paragrafo 50, quindi, che fa riferimento alla tragica storia degli armeni, dei greci del Ponto e degli assiri affronta proprio questo tema. Chiede alla Turchia di riconoscere il proprio passato. Questo paragrafo è il risultato di un ampio accordo e deve conservare tale forma. Non deve quindi essere modificato in alcun senso dagli emendamenti che sono stati proposti.

Infine, desidero ricordare a tutti coloro che considerano la relazione eccessivamente severa che in Turchia vi sono cittadini democratici che vogliono una Turchia moderna, una Turchia sviluppata e progressista che guardi all’Europa, e che lottano per questo obiettivo contro il noto ordine costituito. Essi hanno bisogno di un messaggio che daremo loro votando a favore della relazione Eurlings.

 
  
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  Pasqualina Napoletano (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la valutazione dei progressi della Turchia nel processo di adesione all’Unione dovrebbe concentrarsi maggiormente sul merito delle valutazioni proprie ai criteri stabiliti a Copenaghen e dei dossier legati all’acquis comunitario.

Eviterei di introdurre diversivi, nuovi criteri che non aiutano un processo già di per sé difficile, che richiede da parte nostra trasparenza, coerenza ed obiettività. Condivido, a questo proposito, il paragrafo 50, così come proposto dal relatore, sulla questione del genocidio armeno.

Il ruolo di questo paese è cruciale in un’area geopolitica che va dal Mashrek al sud-est asiatico, al Caucaso. Tutto ciò ci induce ad incoraggiare gli sforzi di quanti lavorano per una Turchia democratica e pacifica. Ciò detto, dobbiamo essere puntuali nei giudizi e richiedere al governo turco, all’insieme degli apparati e delle istituzioni, alla società turca, di impegnarsi a fondo su temi rispetto ai quali i progressi devono essere più significativi e costanti. Essi riguardano i diritti civili, politici e sociali, le libertà di espressione, in particolare i diritti delle minoranze, in primo luogo delle minoranze curde e delle donne, le quali costituiscono invece una maggioranza.

Auspichiamo una ferma condanna per il terrorismo, l’applicazione del protocollo di Ankara nei tempi stabiliti.

In conclusione cerchiamo di restare al merito e di essere credibili ed efficaci nel continuare ad influenzare positivamente gli sviluppi interni di questo paese e il suo ruolo esterno di stabilizzazione pacifica in un’area esplosiva dove sono concentrate le più gravi minacce alla pace.

 
  
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  Lapo Pistelli (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, chi ha votato a favore dell’avvio dei negoziati con la Turchia ha già spiegato molte volte le buone ragioni per arrivare domani a un’adesione, non c’è dunque bisogno di ripeterci.

Questo dibattito annuale sullo stato dei progressi compiuti è, invece il termometro che registra concretamente le riforme fatte e l’umore delle opinioni pubbliche e credo che tutti noi possiamo notare come in questo ultimo periodo sia aumentata la freddezza su entrambi i fronti.

Noi siamo contrari ai matrimoni combinati: per sposarci bisogna conoscersi e amarsi, questo vale anche per l’ambizioso obiettivo turco. Per questo il governo turco deve compiere sforzi maggiori nelle proprie riforme e anche nella diffusione presso la propria società.

La relazione è molto dura in questo senso, ma è leale ed è giusto che il negoziato sia duro e leale. Tuttavia anche in Europa cresce lo scetticismo sull’ulteriore allargamento dopo Bulgaria e Romania se le regole non cambieranno. Si tratta di uno scetticismo che rischia di travolgere anche i Balcani occidentali.

E’ per questo non dobbiamo bloccare l’allargamento ma rilanciare piuttosto la riforma delle regole. La domanda sulla Turchia è, infatti, anche una domanda su noi stessi e su ciò che vogliamo essere.

 
  
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  Hélène Flautre (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, la settimana scorsa mi trovavo con altri colleghi della sottocommissione per i diritti dell’uomo nella provincia di Akari, nell’estremo sud-est della Turchia, a poche vette di distanza dall’Iraq e dall’Iran. In questa regione abbiamo incontrato un gruppo di genitori, disperati e impotenti nel vedere partire per le montagne i loro giovani figli. Ci hanno detto che più di 200 giovani hanno raggiunto in queste ultime settimane i gruppi armati del PKK. Abbiamo incontrato anche ragazze che si battono contro il feudalismo familiare, che lottano contro l’isolamento economico e sociale e la violenza quotidiana. Molti interlocutori ci hanno parlato del suicidio di giovani donne.

Ad Akari come altrove, non abbiamo trovato speranza, né tanto meno entusiasmo per il futuro. Molti episodi precisi dimostrano gli atti di violenza compiuti dalle forze di sicurezza, anche nei confronti di contadini, nonché gli arresti extragiudiziali e le torture inflitte ai giovani, com’è avvenuto quest’anno a Diyarbakir. E’ altrettanto sconvolgente che il procuratore di Van sia stato costretto a dimettersi per avere dimostrato la responsabilità di membri dell’esercito nell’attentato di Semdinli. A parte la rivelazione di questi episodi di guerra sporca, è inaccettabile la sconfitta dell’indipendenza della giustizia.

Tutti affermano e tutti sanno che non esiste una risposta militare alla questione curda, eppure, con i check point, i carri armati, i soldati, gli attacchi armati, è l’unica che sembra efficace. Il PKK deve dichiarare un cessate il fuoco unilaterale. Se tale appello sarà ascoltato e seguito, come speriamo, dovrà essere seguito da una proposta politica di ampio respiro. L’attenzione e il sostegno dell’Unione europea saranno determinanti. Il degradarsi della situazione nel sud-est si ripercuote sulla situazione dei diritti dell’uomo nell’intero paese. La legge antiterrorismo è stata criticata unanimemente dai nostri interlocutori non governativi. Non è conforme al diritto internazionale. Giungerebbe ad annullare alcuni dei progressi contenuti nelle ultime riforme legislative.

La situazione nel sud-est riaccende inoltre il nazionalismo, che talvolta è in netto e violento contrasto con le aspirazioni democratiche. La scrittrice Magden Perihan parla di fiamme in un bosco. Parla di avvocati che definisce hooligans. Occorre mettere in atto misure immediate, in particolare l’abolizione dell’articolo 301 del codice penale, l’adeguamento della legge antiterrorismo al diritto internazionale, la lotta contro l’impunità – nel 2005 sono stati condannati solo due agenti su 305 accusati –, l’attuazione della legge sul risarcimento – 2 000 casi su 3 000 sono stati esaminati nella provincia di Akari – e infine la soppressione della soglia nazionale elettorale del 10 per cento, che ostacola l’espressione democratica delle popolazioni.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, noi membri del partito comunista greco voteremo contro la relazione Eurlings. In primo luogo, perché siamo contrari all’adesione della Turchia all’Unione europea per le stesse ragioni per cui eravamo contrari all’adesione della Grecia, non per ragioni culturali.

In secondo luogo, perché questa relazione e le altre che l’hanno preceduta sono come un pezzo di gomma. Prendono una forma diversa ogni volta a seconda delle obiezioni nell’Unione europea, sembrando talvolta più severe e talvolta più benevole.

In terzo luogo, perché su alcuni seri punti in discussione riguardanti la posizione della Turchia su questioni di diritto internazionale, la relazione non è nulla più di un elenco di intenzioni, che ripropone gli stessi desideri senza comunque proporre alcuna misura specifica, come affrontare la questione della presenza di 40 000 soldati di occupazione turchi a Cipro e il fatto che la Turchia sta ignorando provocatoriamente le decisioni e le risoluzioni dell’ONU, addirittura rifiutando di riconoscere la Repubblica di Cipro. La nostra domanda è quindi la seguente: tra la relazione precedente e oggi è stato fatto qualcosa di specifico in questi settori? No, la Turchia continua a ignorare provocatoriamente tutte queste decisioni e voi continuate a seguire la stessa linea.

In quarto luogo, perché siamo in radicale disaccordo con il riferimento indiretto al paragrafo 51 sulle difficoltà legate al confine tra Grecia e Turchia e con le conclusioni di Helsinki che le rinvia alla Corte internazionale...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Seán Ó Neachtain (UEN).(EN) Signor Presidente, vorrei dire subito che, come membro del gruppo di contatto di alto livello del Parlamento europeo per le relazioni con la zona settentrionale di Cipro, sono chiaramente consapevole del senso di isolamento provato dai turcociprioti in seguito al rifiuto del piano Annan. Ritengo, infatti, che l’Unione europea, insieme alle Nazioni Unite, dovrebbe continuare a lavorare per costruire pace e riconciliazione sull’isola di Cipro.

Comunque, anche la Turchia ha importanti obblighi da adempiere. Per esempio, deve aprire i suoi porti e aeroporti a navi e aerei ciprioti. Questo è un obbligo che la Turchia dovrà onorare conformemente ai negoziati di adesione. A mio parere la Turchia deve altresì abrogare l’articolo 301 del codice penale, che viene usato per accusare decine di scrittori turchi di oltraggio alla Turchia.

E’ chiaro che è necessario un impegno notevole nel campo dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Turchia. Si tratta di problemi gravi. In conclusione, devo sottolineare che tali problemi devono essere affrontati in modo efficace dal governo turco prima che sia tardi, perché queste questioni politiche sono un elemento intrinseco dei negoziati di adesione.

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, innanzi tutto perché mai la Turchia vuole aderire all’Unione europea? Forse vuole andare a ingrossare le massicce file delle nazioni parassite che già vivono alle spalle dei contribuenti britannici e tedeschi. Forse intravede l’opportunità di esportare una parte dei suoi disoccupati e dei suoi criminali nel Regno Unito. Ma i turchi dovrebbero pensare all’impatto sulla loro stessa società.

Soltanto ieri il capo di stato maggiore dell’esercito turco, generale İlker Başbuğ, ha fatto presente il pericolo rappresentato dagli estremisti islamici che politicizzano la religione e ha promesso che l’esercito turco avrebbe protetto la natura secolare della Repubblica turca. Ma in passato i turchi non hanno dovuto combattere con l’Unione europea. Potrebbero scoprire che i loro estremisti islamici possono sfruttare a loro vantaggio la legislazione dell’UE in materia di discriminazione, uguaglianza e diritti umani. Forse i turchi dovranno imparare a proprie spese che aderire all’Unione europea significa perdere il controllo del proprio destino.

 
  
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  Philip Claeys (NI).(NL) Signor Presidente, l’avvio dei negoziati con la Turchia è stato un errore storico, poiché l’Unione europea, come suggerisce il nome, è un progetto europeo. Ora dobbiamo stare a guardare mentre tutto va a rotoli. La Turchia è un paese islamico con una cultura prevalentemente autoritaria e patriarcale. La cosa migliore che può fare l’UE è dimostrare chi detta le regole nel processo negoziale, ma, per il momento, sembra proprio il contrario. La Turchia rifiuta di adempiere i suoi obblighi in relazione a Cipro e osa persino chiedere all’Europa di interrompere il cosiddetto isolamento della parte occupata di Cipro. E’ la Turchia che comanda.

La Commissione e il Consiglio hanno dato a credere all’elettorato europeo che i negoziati possano essere sospesi in qualsiasi momento se la Turchia non collabora. Ora stanno cercando di trarsi d’impaccio in ogni modo per non dover agire. Prima hanno cercato di indurre la Corte di giustizia delle Comunità europee a pronunciarsi sulla questione di Cipro; ora vogliono organizzare i negoziati in modo che i capitoli sensibili compaiano solo alla fine. Tutto questo viene fatto per prendere tempo e per poter dire in seguito che non si può più tornare indietro. Dov’è in tutto questo la credibilità dell’Unione europea?

 
  
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  Jacques Toubon (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, diamo il nostro appoggio a questa eccellente relazione, perché segna una svolta nella presa di coscienza da parte del Parlamento europeo della realtà delle relazioni tra la Turchia e l’Unione europea.

E’ la relazione più critica tra tutte quelle che sono state prodotte in Parlamento negli ultimi decenni. In particolare, comprende tre punti determinanti per noi: il riferimento alla capacità di assorbimento dell’Unione europea come criterio, la necessità assoluta di normalizzare l’atteggiamento della Turchia nei confronti di Cipro, Stato membro a pieno titolo dell’Unione europea, e il riconoscimento del genocidio armeno come condizione preliminare per l’adesione. Mi permetto di ricordare ai colleghi socialisti francesi che questo punto faceva parte del loro programma per le elezioni europee del 2004.

L’adozione di questa relazione, e noi vogliamo che venga adottata, deve avere conseguenze politiche. Chiedo innanzi tutto alla Commissione di non giocare più a nascondino e di produrre, l’8 novembre, una relazione vera e propria e non una favola per bambini come ha l’abitudine di fare in questo campo. Chiedo al Consiglio dei ministri di esaminare la situazione con lucidità e coraggio e di prevedere un’interruzione dei negoziati, il cui senso sfugge oggi ai comuni mortali.

Al di là del caso della Turchia, è l’intero processo di allargamento a essere in discussione. D’ora in avanti non dovremo intraprendere alcun nuovo allargamento finché non avremo dotato l’Unione europea di meccanismi di decisione efficaci e di un bilancio sufficiente. Continuare nell’illusione e nell’ipocrisia comprometterebbe il progetto europeo, vale a dire la costruzione dell’unione politica, e renderebbe ancora più profondo il divario tra il buonsenso dei popoli e l’accecamento dei governanti.

(Applausi)

 
  
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  Véronique De Keyser (PSE).(FR) Signor Presidente, si è parlato di un voltafaccia dei socialisti europei riguardo alla Turchia. Permettetemi di ricordarvi la nostra posizione, che è stata chiara sin dall’inizio. Auspichiamo, a tempo debito, l’adesione della Turchia perché crediamo – ed è un vero progetto politico – in un’Europa multiculturale, laica ma multiconfessionale, pacifica e aperta al resto del mondo.

Se in seno alla commissione per gli affari esteri abbiamo inviato segnali chiari alla Turchia per quanto riguarda in particolare i diritti umani, i diritti delle donne, i diritti delle minoranze, il riconoscimento di Cipro, lo abbiamo fatto in questo spirito costruttivo. E’ per concretizzare un’Europa in progetto che non sia né quella di Sarkozy, né quella di Angela Merkel, né probabilmente quella del Papa. La sfida è immensa e già incontra un ostacolo nella relazione Eurlings che, nella sua nuova versione, manca di equilibrio.

Questa relazione sottolinea, giustamente, che l’attuale processo di democratizzazione della Turchia non sta procedendo alla velocità che vorremmo, ma trascura alcuni progressi essenziali compiuti dalla Turchia, in particolare nel campo della politica estera: penso alla sua partecipazione all’UNIFIL e anche alla decisione di tenersi fuori dalla guerra in Iraq. Gli emendamenti del PSE hanno quindi cercato di correggere il tiro o, in altre parole, di addolcire il tono.

Per quanto riguarda l’Armenia, l’onorevole Eurlings mi ha chiamata in causa poco fa e vorrei essere molto chiara. Il Parlamento ha riconosciuto il genocidio armeno e non ci sarà mai alcun revisionismo in questa sede. Abbiamo il dovere di ricordare il milione e mezzo di armeni che furono massacrati nel 1915, vale a dire prima della Repubblica di Atatürk. Il dovere della memoria non è solo dell’Europa, ma del mondo intero, e per questo abbiamo chiesto all’ONU di inviare quanto prima in Turchia una commissione di esperti internazionali in materia.

Ma servirsi di questa tragedia, come fanno alcuni, per bloccare la candidatura della Turchia, o per aprire la porta a un’islamofobia strisciante, è una trappola nella quale non vogliamo cadere. Per questa ragione, dopo discussioni molto difficili, dopo negoziati davvero molto delicati nel mio gruppo, abbiamo adottato la linea che avete sentito in varie occasioni e che farò mia. Posso garantirvi che è una linea difficile: non chiederemo il riconoscimento del genocidio armeno come prerequisito, ma, onorevoli colleghi, è chiaro comunque che al momento di fare i conti prima dell’adesione, questo punto sensibile peserà molto sulla bilancia, e la Turchia lo sa. Per ora, chiediamo alla Turchia di adempiere questo dovere della memoria, di consolidare il suo ruolo stabilizzatore nel Medio Oriente e di compiere ulteriori progressi in relazione a...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE).(EN) Signor Presidente, l’Unione europea esiste perché si fonda solidamente sul rigoroso rispetto dei nostri principi e valori europei. Tali principi e valori non sono negoziabili e questo deve essere chiaro per tutti i membri dell’UE e per coloro che desiderano aderirvi. La Turchia è la benvenuta nella nostra Unione e spero vivamente che entri a farne parte, ma deve accettare e conformarsi ai nostri principi e valori europei. E’ la Turchia che deve mettere in atto i cambiamenti richiesti per l’adesione, non noi, e dobbiamo essere onesti nel comunicare con chiarezza a questo paese la nostra posizione. Non dobbiamo convincere la Turchia a entrare nell’UE con l’inganno. La Turchia deve aderire solo se lo vuole realmente e nella piena consapevolezza di ciò che esattamente le viene chiesto. La relazione Eurlings lo dice chiaramente, con fermezza e onestà.

La relazione Eurlings è il risultato di molte discussioni e dibattiti, e numerosi emendamenti di compromesso sono stati votati dalla commissione per gli affari esteri, raggiungendo alla fine un equilibrio molto ambito. Vi chiedo di sostenerla e di resistere alla tentazione di presentare in questa fase emendamenti su questioni chiave, poiché probabilmente ciò causerebbe più danni che effetti positivi. Vorrei ricordare ad alcuni dei miei colleghi che sarà dicendo la verità al popolo turco, e non nascondendola, che contribuiremo alla realizzazione delle riforme in Turchia.

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM).(SV) I rappresentanti della Lista di giugno al Parlamento europeo avevano votato contro la proposta di avviare i negoziati di adesione con la Turchia. Il nostro voto contrario non era motivato dall’idea che la Turchia si trova al di fuori dell’Europa né dal fatto che è un paese musulmano. Avevamo sottolineato che la Turchia ha ancora tanta strada da fare prima di soddisfare i requisiti che abbiamo stabilito per l’adesione all’UE. Abbiamo anche espresso i nostri timori sul fatto che l’apertura dei negoziati avrebbe ridotto la pressione sulla Turchia finalizzata all’istituzione di uno Stato democratico governato dal principio della legalità, con pieni diritti umani per le donne, i curdi, i cristiani, i sindacati e gli scrittori. Tali timori si sono rivelati reali. I promettenti sviluppi iniziali si sono fermati e, in alcuni settori, si sono invece compiuti passi indietro. Ora ci troviamo in una situazione vergognosa nella quale l’Unione europea sta cominciando a stabilire requisiti per la definizione del sistema elettorale e per una nuova costituzione nello Stato sovrano della Turchia. Non è questo il compito dell’Unione europea. Spetta alla Turchia decidere in che modo soddisfare i requisiti dell’UE. Spetta alla Turchia scegliere le proprie soluzioni. I negoziati di adesione dovrebbero essere sospesi in attesa di riforme adeguate.

 
  
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  Paweł Bartłomiej Piskorski (NI).(PL) Signor Presidente, la nostra discussione sul tema della Turchia è evidentemente molto più critica e quindi significativamente più aperta che in occasioni precedenti. Ricordiamoci, comunque, che dovremmo chiederci quali siano i nostri interessi fondamentali.

Sulla base di tutti i criteri chiave per l’adesione, che non occorre ripetere, la Turchia non è idonea a diventare membro dell’Unione europea. Abbiamo menzionato la questione di Cipro, i diritti umani e civili, la religione e la comunità armena. L’avvicinamento di paesi come la Turchia o l’Ucraina va comunque nell’interesse fondamentale dell’Unione europea. A tale riguardo, l’Unione europea non è stata del tutto onesta. Non abbiamo dichiarato apertamente che l’adesione di paesi come la Turchia porrà fine, di fatto, a talune politiche dell’Unione europea, in particolare le politiche economiche, strutturali e agricole.

Dovremmo dichiarare apertamente quali effetti avrebbe sull’Unione europea l’adesione di questi grandi paesi, dato che questa lieve disonestà non passa inosservata ai nostri partner, compresa la Turchia.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, la Turchia non è un paese europeo. La sua adesione estenderebbe e appesantirebbe troppo l’Unione europea, la indebolirebbe, forse la metterebbe addirittura in pericolo. Chiunque esprima questa convinzione si espone all’accusa di non voler sostenere il processo di riforma e di imporre a forza i criteri. Eppure persino un partenariato privilegiato richiede che siano soddisfatti i criteri di Copenaghen e che siano portate avanti le riforme, soprattutto nell’interesse della stessa popolazione turca.

Dobbiamo porci alcune domande cruciali. Coloro che vogliono la piena adesione della Turchia forse cercano una Turchia diversa, ma troveranno soltanto un’Unione europea diversa – una zona di libero scambio guarnita di elementi politici. Per quanto riguarda la Turchia stessa, dobbiamo porci le seguenti domande. Il laicismo è veramente compatibile con la democrazia se è solo il progetto di una minoranza, di un’élite? La libertà di religione è veramente compatibile con l’islam di Stato camuffato da laicismo? I diritti delle minoranze sono veramente compatibili con il kemalismo, che è una sorta di giacobinismo turco? Queste sono tutte domande serie, fondate, che dobbiamo porci. Dobbiamo smettere di correre in un vicolo cieco, alla fine del quale potrebbe esserci un rifiuto all’adesione della Turchia da parte degli Stati membri e dei popoli dell’UE, con conseguenze atroci per la stabilità interna della Turchia.

E’ un nostro dovere nei confronti della Turchia – in particolare perché è un partner importante – essere onesti e stabilire criteri adeguati per un partenariato solido, su misura, che concili gli interessi della Turchia e dell’UE, invece di continuare a dipingere il nostro personale ritratto della Turchia, che non ha la minima somiglianza con la realtà. Per questa ragione dobbiamo evitare di scendere al di sotto della linea adottata nella relazione Eurlings, che ho respinto in sede di commissione non ritenendola sufficientemente incisiva. Questa linea tuttavia, dovrebbe rappresentare il nostro consenso, altrimenti il segnale inviato alla Turchia sarebbe disastroso.

 
  
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  Vural Öger (PSE).(DE) Signor Presidente, nel dicembre 2004, con 402 voti a favore, il Parlamento decise di avviare i negoziati di adesione con la Turchia, inviando in tal modo un chiaro segnale. Oggi stiamo discutendo la relazione sui progressi compiuti dalla Turchia in vista dell’adesione, una relazione la cui intenzione dovrebbe di fatto essere un monitoraggio costruttivo dei negoziati con la Turchia e del suo processo di adesione. Tuttavia, mi colpisce il fatto che questa relazione Eurlings tenda a perdere vista il nostro obiettivo – l’adesione della Turchia all’Unione europea. Mi chiedo quindi cosa vogliamo. La Turchia deve proseguire sul suo cammino di riforma – nel qual caso dovremmo trattarla con equità – o stiamo dicendo che qualunque cosa faccia non diventerà mai uno Stato membro dell’UE? I nostri partner turchi sono messi di fronte a un assortimento di esempi negativi. I progressi realizzati e gli esempi positivi sono quasi del tutto ignorati.

Questo non è un trattamento imparziale. E’ vero che la Turchia deve ancora lavorare molto sul suo processo di riforma. E’ altrettanto vero che deve adempiere gli obblighi previsti dal protocollo di Ankara: diritti umani, democrazia e tutela delle minoranze sono requisiti indispensabili per l’adesione all’Unione europea.

Se la Turchia soddisfa i criteri stabiliti e continua a portare avanti il suo processo di riforma, anche noi dobbiamo restare fedeli all’obiettivo dell’adesione all’UE: la relazione dovrebbe confermarlo. Lo considererei un segnale molto chiaro. Se il relatore o il Parlamento non sono d’accordo, va dichiarato in una relazione sulla Turchia, altrimenti mezze verità come queste non faranno che ridurre la credibilità del Parlamento. Nell’ottobre 2005 a Strasburgo abbiamo deciso di avviare i negoziati di adesione con la Turchia e oggi dobbiamo rimanere fedeli a tale decisione.

Ho sempre detto che la Turchia non era ancora pronta per l’adesione, ma era pronta per l’avvio dei negoziati. L’Europa dovrebbe mostrare comprensione e solidarietà riconoscendo e sostenendo questo fatto.

 
  
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  Alexander Lambsdorff (ALDE).(DE) Signor Presidente, sono davvero sorpreso da questa discussione. Chiunque penserebbe che in commissione si sia registrata una maggioranza molto ristretta a favore della relazione Eurlings. Tuttavia, il gruppo socialista al Parlamento europeo aveva sostenuto la relazione, che è stata adottata in commissione con 54 voti a favore. Ora lo stesso gruppo socialista – l’onorevole De Keyser e l’onorevole Wiersma, entrambi deputati molto stimati – si sta opponendo completamente a ciò che poco tempo fa sosteneva in seno alla commissione. Ciò mi sorprende molto. Per me questa non è certo “chiarezza”, onorevole De Keyser.

Dobbiamo porci alcune domande cruciali, la più importante delle quali è se abbiamo convinto i cittadini a seguirci in questa fase di allargamento, in questi negoziati con la Turchia. La risposta è chiaramente “no”. I cittadini sono molto critici al riguardo. Lo dico esplicitamente anche alla Commissione e al Consiglio. Da dove pensiamo che derivi questa discussione sulla capacità dell’UE di affrontare l’allargamento? Da dove pensiamo che provenga questo cambiamento di atteggiamento in Parlamento? Tutti noi qui discutiamo piuttosto di frequente questo tema con i cittadini, e percepiamo lo scetticismo, la reticenza e in alcuni casi anche il rifiuto su larga scala dell’adesione della Turchia. Questa è anche la ragione del mio monito al Consiglio e alla Commissione: non si devono assumere nuovi impegni, né aprire nuove prospettive finché l’UE non sarà stata riformata. Noi tutti siamo d’accordo su una cosa: abbiamo bisogno di progresso in campo istituzionale. Vorrei aggiungere che a mio parere dovremmo svolgere la presente discussione a Bruxelles anziché a Strasburgo.

 
  
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  Renate Sommer (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, i problemi non si possono risolvere se non li si affronta. Sorvolare sulla questione non è mai positivo. L’onorevole Eurlings descrive in modo molto preciso gli aspetti relativi alla Turchia che vanno contro lo spirito dell’Europa. Vorrei ringraziarlo per la sua relazione. Di fatto, in pratica non sono stati compiuti progressi in quasi nessuno dei settori politicamente rilevanti – e in alcuni casi la situazione è persino peggiorata. Sinora nemmeno uno dei criteri politici di Copenaghen è stato soddisfatto. Contro tutte le regole, tuttavia, sono stati avviati i negoziati. Ciò che temevamo l’anno scorso si è realizzato. Avviando i negoziati di adesione, abbiamo rinunciato a uno degli ultimi mezzi per esercitare pressioni al fine di imporre la riforma. Il processo di riforma si è esaurito. Gli organismi governativi non hanno attuato del tutto o non hanno attuato correttamente le riforme già decise, oppure – come è accaduto di recente – tali riforme sono state ritirate mediante decisioni parlamentari. Per esempio, il parlamento turco ha adottato la nuova legge antiterrorismo malgrado le veementi proteste della Commissione, dando luogo a un’ulteriore riduzione della già limitata libertà di espressione e di stampa.

Il Primo Ministro della Turchia sta usando il processo di adesione per i propri fini e cerca occultamente di islamizzare il paese. In questo modo fa il gioco dei nazionalisti, che si oppongono con forza all’europeizzazione. Il Primo Ministro Erdogan vuole davvero che il paese aderisca all’UE? In ogni caso, il suo rifiuto di riconoscere Cipro dimostra che non accetta l’Unione europea. E’ accettabile un candidato che si comporta così? Cipro è una cartina di tornasole. Se i politici turchi non cedono su questo punto, i negoziati devono essere interrotti. La Turchia ha questo obbligo – senza se e senza ma e senza imporre nuove condizioni o richieste. La Commissione deve considerarla una missione, e anche il Consiglio dei ministri deve esigere l’adempimento di tale obbligo e imporlo finalmente alla Turchia. Qualsiasi altra cosa sarebbe ingiusta per il popolo turco, che sta puntando le sue speranze su di noi. Solo esercitando pressioni riusciremo a ottenere un cambiamento. Se per l’ennesima volta noi europei non ci dimostreremo all’altezza della situazione, diventeremo lo zimbello che nessuno potrà più prendere sul serio. E nulla cambierà in quel paese.

 
  
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  Panagiotis Beglitis (PSE).(EL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, per le relazioni UE-Turchia sarebbe un grave errore sia sminuire i significativi progressi compiuti dalla Turchia, accentuando gli aspetti negativi di questo paese, sia dipingere un quadro idilliaco celando la verità. Vi sono forze in Europa che adottano l’una o l’altra prospettiva per ragioni proprie. Tuttavia, con la fatica post-allargamento e la crisi istituzionale nell’Unione europea, non abbiamo bisogno di aggiungere messaggi contraddittori alla Turchia. E’ ora che il nostro messaggio sia chiaro e in linea con le decisioni adottate. Dobbiamo accogliere con favore il nono pacchetto di riforme adottato dal governo turco come un elemento positivo; tuttavia, se ne esaminiamo la sostanza, non soddisfa le specifiche europee. Di fatto, la dichiarazione del vice Primo Ministro del governo turco, Mehmet Ali Sahin, riportata nel notiziario turco, secondo cui il suo governo non intende permettere la riapertura del seminario di Halki, è motivo di ansia e preoccupazione. Le richieste del Patriarca ecumenico a Istanbul e della minoranza greca a Imbros e Tenedos rimangono, temo, inascoltate.

Come ha detto prima il Commissario Rehn, il principio del diritto internazionale “pacta sunt servanda” deve essere rispettato. Questo vale ovviamente per la Turchia, ma anche per l’Unione europea. Dobbiamo continuare a sostenere l’obiettivo strategico della Turchia di aderire all’Unione europea. Nel contempo, tuttavia, la Turchia dovrebbe immediatamente ratificare e applicare il protocollo aggiuntivo entro il termine fissato.

La strada verso l’Europa potrebbe garantire la stabilità e lo sviluppo della Turchia. Tuttavia, la Turchia dovrà superare fobie e sindromi passate, tra cui la sindrome del Trattato di Sèvres. Ecco perché ritengo che riconciliarsi con la storia non debba essere una fonte di insicurezza e di rischio. E’ un indicatore della maturità democratica e della sicurezza di sé di un paese. L’invito a riconoscere la storia traumatica degli scontri con gli armeni e i greci del Ponto non dovrebbe avere un effetto destabilizzante per gli stereotipi nazionali della Turchia.

Il nostro specifico emendamento non impone nuovi requisiti alla Turchia. Siamo contrari a imporre il riconoscimento del genocidio degli armeni e dei greci del Ponto come condizione politica.

 
  
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  Marco Cappato (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che questa relazione e anche questo dibattito siano il segno di un’Europa che si chiude. Alcuni colleghi abbiano quantomeno il coraggio di dirlo più apertamente, ritengono l’Europa un fatto e uno spazio religioso e quindi la morte dell’Europa politica.

Credevo che il sogno, le ragioni di ispirazione e della nascita e il sogno federalista europeo, fossero invece proprio di allargare lo spazio di Stato di diritto e di democrazia.

Questa è la grande offerta che dovremmo fare alla Turchia e proprio in un momento in cui fondamentalismo islamico è montante nel mondo, noi dovremmo avere l’esigenza e concretizzarla in una relazione di accelerare il processo di adesione. In quel caso le critiche, anche le più dure, potrebbero avere un senso.

In realtà qui apertamente si configurano soluzioni divergenti, non l’adesione politica e la piena adesione della Turchia, ma piuttosto accordi di cooperazione rafforzata, tutte cose che non hanno dalla loro parte la forza del messaggio politico e della piena adesione.

Se seguiremo questa strada, indicata purtroppo anche dal Presidente Barroso nelle sue dichiarazioni di ieri, avremo la responsabilità non solo di allontanare la Turchia, ma anche di allontanare l’Europa politica.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, l’Unione europea e il mio partito sono dichiaratamente favorevoli all’adesione della Turchia. Tuttavia, nessuno può sottovalutare le sfide che ne derivano in termini di assorbimento della Turchia nell’UE, con la sua popolazione molto numerosa e quindi l’influenza politica che otterrà entrando nell’Unione europea, la sua povertà relativa e quindi le richieste ai Fondi strutturali, oltre alla sua identità culturale e religiosa distinta e separata.

Considerato l’attuale dibattito sull’immigrazione su larga scala e in particolare sulle sfide derivanti dall’integrazione delle minoranze musulmane presenti nei nostri paesi, una preoccupazione essenziale riguarderà inevitabilmente la libertà di circolazione senza restrizioni dei lavoratori turchi. L’appartenenza della Turchia all’Organizzazione dei paesi della Conferenza islamica comporterà sicuramente complicazioni per la PESC. I recenti sondaggi del German Marshall Fund in Turchia hanno rivelato che si tratta del paese più antiamericano e antiisraeliano fra gli Stati dell’UE e i paesi candidati; ma più preoccupante a mio parere è l’ampio appoggio turco all’Iran teocratico.

Naturalmente prima di aderire la Turchia dovrà rispettare tutte le clausole economiche, politiche e sui diritti umani dei criteri di Copenaghen, e vi sono chiari esempi del fatto che sussistono discriminazioni contro i diritti delle minoranze cristiane, compresi i greci ortodossi e i siriaci, e ostacoli alla libertà di espressione, come l’articolo 301 del codice penale, che vieta l’oltraggio allo spirito turco.

A mio parere, è profondamente deplorevole il fatto che la Turchia non riconosca il proprio passato, compreso il genocidio degli armeni del 1915 e il blocco alla Repubblica di Armenia. Ma attualmente un problema critico che si pone all’Unione europea è costituito dal mancato riconoscimento della Repubblica di Cipro, dove la Turchia dopo l’invasione del 1974 continua a collocare le sue guarnigioni, e dalla mancata attuazione dell’accordo di Ankara sull’unione doganale allargata che consente alle navi cipriote di entrare nei porti turchi. Neppure la tortura è stata del tutto abolita, nonostante sia vietata dallo Stato; si presume che sia ancora usata contro i ribelli curdi e abbiamo sentito in proposito le parole dell’onorevole Flautre. Possiamo quindi essere certi che i negoziati di adesione all’Unione europea saranno molto lunghi e personalmente do il mio pieno appoggio alla relazione Eurlings.

 
  
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  Inger Segelström (PSE).(SV) Desidero ringraziare l’onorevole Eurlings per la sua relazione. Noi del gruppo socialdemocratico svedese siamo favorevoli all’adesione della Turchia una volta che avrà soddisfatto i criteri stabiliti per tutti i paesi candidati. Non dobbiamo stabilire requisiti più elevati per la Turchia né riservarle un trattamento speciale, come è stato suggerito nella discussione odierna. In questo momento è l’Unione europea il garante del progresso in Turchia, non solo attraverso l’incoraggiamento che forniamo, ma anche attraverso le nostre richieste in relazione a questioni come i diritti umani. Un ex deputato al Parlamento europeo, ora membro socialdemocratico del parlamento svedese, ha scritto all’ambasciatore turco in relazione al fatto che 1 200 libri per bambini di autori svedesi, usati nelle scuole svedesi e finanziati dall’Agenzia svedese per lo sviluppo internazionale e dall’Olof Palme Center, sono stati bloccati dalle autorità doganali turche. Lo trovo incomprensibile e ho presentato quindi un’interrogazione al Consiglio al riguardo. Appoggio la democratizzazione in Turchia e problemi come questo devono essere risolti. Condivido i pareri critici sulla relazione espressi dagli altri oratori del gruppo socialista al Parlamento europeo. Promuoviamo il progresso e risolviamo i problemi, ma rimaniamo fermi nella volontà che la Turchia diventi uno Stato membro dell’Unione europea quando sarà il momento e quando sarà stato colmato il deficit democratico.

 
  
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  Ioannis Kasoulides (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, il Commissario Rehn, intervenendo in seno alla commissione per gli affari esteri, ha detto tra l’altro che lo slancio per le riforme si è esaurito, che il codice penale che punisce l’espressione di opinioni resta in vigore, che vi sono notizie di ingerenza del potere militare in ambito giudiziario, che sussistono restrizioni sui diritti di proprietà delle fondazioni religiose non musulmane e che la situazione dei diritti umani nella Turchia sudorientale è peggiorata. Questo è il succo della questione e della relazione Eurlings.

Alcuni gruppi vogliono presentare emendamenti per correggere la situazione. In che modo? Introducendo una dozzina di emendamenti contro Cipro, ritenendo che questo sia il modo per ristabilire l’equilibrio. Stiamo aiutando la Turchia se la incoraggiamo a non estendere il protocollo, introducendo clausole condizionali? Stiamo aiutando la Turchia se cancelliamo il paragrafo in cui si chiede il ritiro delle truppe turche? Potete immaginare cosa accadrebbe se la Turchia ritirasse volontariamente parte delle truppe da Cipro e quanto ciò andrebbe a favore della Turchia? O cosa accadrebbe se cancellassimo il paragrafo in cui si chiede alla Turchia di revocare il veto alla partecipazione di Cipro alle organizzazioni internazionali e così via? Inoltre, indicando la base dei colloqui che nessuno di loro ha posto come condizione preliminare, stiamo imponendo restrizioni ai due leader a Cipro, i quali hanno già concordato metodi di lavoro per elaborare una soluzione. Questo aiuta la Turchia? Io penso di no.

Infine, per quanto riguarda il nostro dovere morale verso la comunità armena in Europa, dobbiamo esigere il riconoscimento del genocidio armeno.

 
  
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  Józef Pinior (PSE).(PL) Signor Presidente, la mancata integrazione della Turchia nell’Unione europea accrescerà la diffidenza tra l’Occidente e il mondo musulmano, rafforzerà le tendenze fondamentaliste e farà tornare in auge le profezie apocalittiche di uno scontro di civiltà. La Turchia dovrebbe attuare le riforme necessarie e affrontare il proprio passato come altri paesi europei hanno fatto e continuano a fare. Tuttavia, il Parlamento europeo non può stabilire criteri di adesione per la Turchia basati su fattori storici e morali se tali criteri non sono stati applicati agli altri paesi candidati all’adesione all’Unione europea.

Abbiamo una particolare responsabilità politica. Vorrei richiamare la vostra attenzione sugli ultimi sondaggi d’opinione e sulle inchieste che The German Marshall Fund of the United States ha svolto sui pareri dell’élite europea. Secondo questi sondaggi, “la Turchia si è raffreddata nei confronti degli Stati Uniti e dell’Europa, ma si è riscaldata nei confronti dell’Iran”. Nel contempo, però, “queste tendenze non trovano riscontro nelle opinioni, più critiche, della generazione più giovane, che ha un atteggiamento molto positivo verso entrambi”. Non sprechiamo questo potenziale proeuropeo!

 
  
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  Simon Coveney (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, ho trascorso la settimana scorsa in Turchia con i membri della sottocommissione per i diritti umani. Ci siamo recati in visita per valutare i progressi relativi alle questioni dei diritti umani e gli effetti delle riforme in loco. Nel complesso, l’onorevole Eurlings ha svolto un lavoro eccezionale elaborando una relazione dura ma equa sulla storia dell’adesione turca sino a oggi.

Riguardo alla questione armena, credo che debba essere menzionata nella relazione, ma non introdotta come nuovo requisito indispensabile per l’adesione, poiché dovremmo rimanere fedeli ai criteri originari se vogliamo rimanere credibili.

Io appoggio in linea di principio l’adesione turca, ma riconosco che sarà un cammino lungo e difficile. Dobbiamo inviare un messaggio chiaro con questa relazione, indicando che l’adesione all’Unione europea è possibile, ma richiederà un impegno significativo e costante per le riforme.

Le due preoccupazioni relative ai diritti umani su cui desidero soffermarmi brevemente sono la libertà di espressione e la questione curda, che richiede un nuovo approccio. Riguardo alla libertà di espressione, nonostante i pacchetti di riforma – e ora siamo giunti al nono – giornalisti e scrittori non sono liberi di esprimere apertamente commenti e critiche sulla Turchia o sui membri del governo. L’articolo 301 del codice penale rimane in vigore e punisce i responsabili di “una denigrazione pubblica dello spirito turco o delle autorità dello Stato”. Possono essere comminate pene detentive fino a tre anni. Attualmente il Pubblico Ministero ha in corso ben 60 cause a carico di scrittori. Nonostante il caso di tutto rilievo della scrittrice Elif Shafak, che la settimana scorsa è stata assolta, l’autocensura continuerà a essere imposta alla stampa finché l’articolo 301 non sarà interamente abrogato.

Per quanto riguarda la questione curda, continua nel sud-est – una regione curda della Turchia – una guerriglia che fa uso del terrorismo e che deve essere condannata. Il terrorismo del PKK e la massiccia risposta militare nel sud-est stanno infliggendo un vero tormento alla regione e alla sua popolazione. E’ necessario un approccio nuovo, che faccia ricorso alla diplomazia e alla politica anziché alla forza.

 
  
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  Glenis Willmott (PSE).(EN) Signor Presidente, un anno fa i deputati laburisti al Parlamento europeo hanno accolto con favore l’avvio dei colloqui di adesione. Ci auguriamo che, alla fine, la Turchia aderisca all’Unione europea.

Comprendiamo che, ora che è cominciata la fase attiva dei negoziati, nelle sue relazioni il Parlamento deve essere franco riguardo ai progressi compiuti. Vi sono problemi seri, in particolare sulla tutela della libertà di espressione. Sono essenziali un’ulteriore riforma dei servizi di sicurezza e dell’ordinamento giudiziario e ulteriori progressi nell’attuazione della nuova legislazione in materia di diritti umani. Le nostre critiche devono comunque essere sempre equilibrate, eque e oneste, e riconoscendo non solo le lacune, ma anche i risultati raggiunti.

La prospettiva dell’appartenenza all’Unione europea ha già conferito ai fautori della modernizzazione e ai difensori dei diritti umani in Turchia il potere di insistere per la realizzazione dei cambiamenti necessari. Dobbiamo dare loro il nostro pieno appoggio. Non dobbiamo stabilire nuovi requisiti per l’adesione che non siano stati applicabili ad altri potenziali membri e dobbiamo ricordare che i negoziati sono mirati alla piena appartenenza e che questo è il nostro unico obiettivo.

Un’Unione europea con la Turchia come Stato membro radicherà valori di multiculturalismo e di comprensione tra religioni diverse e rafforzerà quindi tutte le comunità.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  
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  Ville Itälä (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, desidero in primo luogo ringraziare l’onorevole Camiel Eurlings. Ha svolto un lavoro eccellente e ha elaborato quella che, di fatto, è una relazione piuttosto coraggiosa, che a modo suo suggerisce che l’allargamento sta avvenendo in tempi troppo rapidi. C’è ancora così tanto da fare riguardo alla Turchia che non possiamo neppure contemplare l’idea della sua adesione entro i prossimi dieci anni.

Mi ha fatto piacere leggere sul giornale di questa mattina che il Presidente della Commissione europea Barroso ha dichiarato che è poco saggio continuare l’allargamento prima di aver risolto la questione della Costituzione. Sono pienamente d’accordo con lui. Non possiamo premere per un allargamento su vasta scala, quale sarebbe con l’adesione della Turchia, e nel contempo ignorare la questione del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Dovremmo ascoltare con molta più attenzione l’opinione pubblica e le idee dei cittadini. Se ricordiamo quanto è accaduto nei referendum francese e olandese, sarebbe meglio tenere conto di ciò che pensano i cittadini sulla questione.

Dovremmo anche riflettere sulla portata e sulla velocità dell’espansione dell’Unione europea. Se i cittadini non riceveranno una risposta riguardo ai tempi previsti per l’allargamento, non potranno dare fiducia all’attuale Unione europea. E’ un peccato che il Commissario Rehn non sia più presente in Aula. Gli avrei chiesto qual è il piano B nel caso in cui venga indetto un referendum in Francia, per esempio, nel momento in cui, in seguito a rapidi progressi, tra una decina d’anni la Turchia stia per entrare nell’Unione. Se i cittadini risponderanno “no”, non potremo approvare l’adesione della Turchia. Quale piano è previsto e come dovremmo procedere in tale caso, in modo da non deludere i turchi e da impedire il crollo dell’intero progetto per un eventuale inaspettato esito negativo di un referendum? Forse, comunque, più avanti otterremo risposta a questa domanda.

(Applausi)

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, i negoziati di adesione in corso con la Turchia dovrebbero continuare. La Turchia dovrebbe essere trattata esattamente come qualsiasi paese con il quale abbiamo negoziato in passato. Il processo di armonizzazione del diritto turco ed europeo aiuterà la Turchia a modernizzare e liberalizzare la sua economia e ad avvicinarsi ai valori fondamentali su cui si fonda l’Unione europea.

La Turchia è un paese che ha intrapreso il compito incredibilmente difficile di separare l’islam dalle strutture di governo. Vale la pena sostenere la natura laica di questo paese musulmano e fornire un particolare appoggio in tal senso in un mondo in cui l’aspetto estremista e fanatico dell’islam si sta manifestando con sempre maggiore frequenza. La Turchia deve sapere, comunque, che non può contare su un trattamento speciale. Ankara non può aspettarsi che l’Unione abbassi i suoi standard o attenui le leggi e i requisiti basati sui Trattati europei.

Vorrei richiamare in particolare la vostra attenzione sulla questione dei diritti e delle libertà civili. Non è sufficiente cambiare le leggi e le disposizioni giuridiche. La pubblica amministrazione e la magistratura devono prestare costante attenzione alle libertà civili, alla libertà di parola e alla libertà religiosa. I progressi in questo campo saranno giudicati sulla base di fatti concreti. Ankara deve capirlo e non deve offendersi per il fatto che porremo domande, valuteremo la situazione e controlleremo che i diritti della minoranza curda siano rispettati e che essa goda degli stessi diritti di tutte le altre minoranze etniche nell’Unione europea. Questi diritti comprendono la possibilità di avere scuole di lingua curda a tutti i livelli del sistema di istruzione, a partire dalla scuola materna. La nuova legislazione antiterrorismo non deve essere usata per restringere le libertà civili e discriminare le minoranze.

L’Unione europea esaminerà anche le libertà godute dai cristiani, i quali tuttora non possono riaprire un seminario chiuso anni fa. Se non si permetterà alle scuole cristiane di operare liberamente, per la Turchia sarà impossibile diventare membro dell’Unione europea. Infine, anche se stiamo discutendo della Turchia, non dimentichiamo che è altrettanto importante che in futuro l’Europa avvii i negoziati di associazione con l’Ucraina.

 
  
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  Werner Langen (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, mentre la discussione volge al termine, desidero ricordare ancora una volta all’Assemblea che l’onorevole Eurlings ha presentato una relazione valida e costruttiva, anche se non è stata considerata tale ed è stata criticata in Turchia.

Il fatto che l’esito dei negoziati sia aperto e che questi potrebbero – e dovrebbero, a mio parere – dar luogo ad alternative alla piena adesione non è una novità, ma piuttosto è oggetto di discussione nel Consiglio e in Parlamento. Mi permetto di confutare espressamente la dichiarazione del Commissario Rehn nel suo intervento introduttivo secondo cui prevede la conclusione dei negoziati, e l’adesione, alla fine di questo decennio. Resterebbero meno di quattro anni.

Nessuno dei fautori della piena adesione della Turchia sta dicendo che questo paese può entrare nell’UE nella sua condizione attuale – deve ancora realizzare cambiamenti fondamentali. La Turchia deve riconoscere e rispettare i diritti umani, la libertà di religione e i diritti delle minoranze. Deve risolvere la questione armena e deve riconoscere attivamente Cipro. Qualcuno in Turchia crede realmente che la Turchia possa unirsi all’UE se non ne riconosce un altro membro a pieno titolo? Una persona in possesso di informazioni riservate ha detto recentemente che Cipro sarà riconosciuto soltanto qualora la Turchia diventi Stato membro a pieno titolo o interrompa volontariamente i negoziati. Tollerare una cosa simile significherebbe per l’Unione europea, compresa la Commissione, rinunciare a qualsiasi possibilità di mantenere unita l’Europa.

Sul tema della libertà di religione, è degno di nota che le autorità turche – il vicesegretario del partito, il più alto rappresentante dell’autorità religiosa, un funzionario dello Stato – abbiano giudicato il discorso del Papa ancor prima di averlo letto. Papa Benedetto XVI è stato paragonato a Hitler e Mussolini – un episodio oltraggioso che dimostra e documenta l’intolleranza e l’islamismo nelle menti delle persone con cui stiamo negoziando. Considerando il fiorente nazionalismo e l’atteggiamento intransigente del governo di Erdogan, nutro seri dubbi sulla volontà politica di cedere davvero la sovranità all’Unione europea.

Per tali motivi la relazione Eurlings è giusta e necessaria. La Turchia dovrebbe considerare le esortazioni e i requisiti come un’opportunità piuttosto che come una minaccia.

 
  
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  Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, questa esauriente ed encomiabile discussione ha espresso con grande chiarezza le sfide e i problemi connessi ai negoziati di adesione della Turchia. Inoltre, è stata comunque ribadita l’enorme importanza che riveste il ruolo strategico della Turchia per l’Unione europea.

Nel nostro ruolo di paese che detiene la Presidenza, promuoveremo i colloqui sull’adesione conformemente ai principi generali dell’allargamento, tra cui figurano il trattamento uniforme dei paesi candidati e l’avanzamento in base al merito. Va ricordato che nell’estate 2006 il Consiglio europeo ha confermato che aderirà agli impegni esistenti riguardanti l’allargamento e il lavoro prosegue su questa base. La Turchia deve affrontare diverse sfide, ma ovviamente i colloqui sull’adesione sostengono la continuazione del processo di riforma nel paese, e questo va nell’interesse di tutti.

Una delle questioni chiave è che la Turchia dovrebbe ratificare e attuare il protocollo aggiuntivo all’accordo di Ankara. Al momento stiamo lavorando duramente per trovare una soluzione che, da un lato, permetta il commercio diretto tra l’Unione europea e la parte settentrionale di Cipro e, dall’altro, assicuri altresì che la Turchia apra i suoi porti alle navi cipriote.

Mentre si svolgono i negoziati di adesione, è anche importante trovare una soluzione esauriente alla questione di Cipro nel quadro delle Nazioni Unite.

Signor Presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per questa preziosa e dinamica discussione.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei ringraziare innanzi tutto il relatore per il lavoro che ha svolto. Si tratta evidentemente di un contributo importante. E’ una valutazione estremamente interessante che contribuirà sicuramente ad arricchire la relazione della Commissione dell’8 novembre. Anche se non concordiamo necessariamente sull’intero contenuto della relazione, credo che sia importante che il Parlamento si occupi della questione e chiarisca con il suo contributo il nostro punto di vista.

La discussione odierna ha messo in luce perfettamente, a mio parere, le sfide del processo di adesione della Turchia cominciato quasi un anno fa. Ovviamente, la Commissione terrà conto della presente discussione quando l’8 novembre presenterà la propria relazione, che sarà come sempre rigorosa, obiettiva e inflessibile. Si baserà su un ampio ventaglio di fonti di informazioni, comprendente sia i dati ufficiali del governo sia le analisi delle organizzazioni non governative turche e altri organismi, nonché di grandi istituzioni internazionali. Prenderà in considerazione anche le relazioni presentate dalle commissioni parlamentari, nonché la relazione Bozkurt.

Vorrei rassicurarla, onorevole Toubon, con tutta la stima che le devo e che ho per lei. Non sarà una favola per bambini. La Commissione, del resto, non è solita tenere il comportamento di cui lei l’accusa. Né è intenzionata, nemmeno per compiacervi, a produrre una relazione unilaterale e senza sfumature o incompleta.

E’ quindi importante tenere sempre a mente le implicazioni di questo progetto. La decisione adottata il 3 ottobre 2005 riflette certo la volontà di rispettare i nostri impegni, ma indica anche un potente interesse reciproco. Ho sentito qualcuno qui affermare poco fa che in questo ambito la Turchia aveva più da guadagnare rispetto all’Europa. Non ne sono del tutto convinto. Ritengo che la Turchia abbia evidentemente bisogno dell’Europa per continuare a modernizzarsi, a democratizzarsi, a sostenere lo sviluppo della propria economia, ma credo che anche l’Europa abbia bisogno della Turchia al suo fianco, come polo di pace, stabilità, democrazia e prosperità.

Basta l’attualità, come ha detto qualcuno, per dimostrare tutti i giorni il valore strategico di questo esercizio. Che si tratti dell’Iran, dell’Iraq, del Medio Oriente in generale, del dialogo tra le civiltà o della crisi energetica, la Turchia risulta sempre un paese chiave, una carta vincente indispensabile all’Europa. Questo non dispensa certo in alcun modo la Turchia dagli obblighi che deve adempiere ogni candidato all’adesione e l’Unione europea vigila in tal senso, ma non erigendosi a precettore che dispensa tirannicamente le sue lezioni.

Ricordiamoci che è la Turchia a essersi candidata. Ha compiuto questo passo. Ha quindi accettato di affrontare le difficoltà dell’integrazione europea, perché vedeva in questo la chiave del proprio avvenire e di quello dei suoi cittadini. A questo titolo adesso la Turchia deve proseguire e rafforzare senza cedimenti il processo delle riforme che aveva coraggiosamente avviato. Da parte nostra, continueremo ovviamente senza sosta a incoraggiarla in questo senso. La Turchia aspira a entrare in Europa. Penso che dobbiamo darle un’occasione, una possibilità che deve essere giusta, fondata su regole chiare e trasparenti stabilite sin dall’inizio, che non vengano cambiate secondo l’umore del giorno.

Vorrei aggiungere una cosa. Talvolta ho la sensazione, e non soltanto qui, che quando discutiamo di questo argomento è come se dovessimo valutare la Turchia oggi per un’adesione che avverrà domani. E’ ovvio che l’adesione non è prevista per domani e che il processo durerà probabilmente ancora un certo tempo. Si tratta quindi soltanto di una valutazione intermedia. Si giudicano i progressi, i passi avanti, che talvolta impiegano troppo tempo, e anche i passi indietro. E’ evidente che si tratta di un processo evolutivo. E’ molto ingiusto quindi fare un’istantanea e soffermarsi sull’immagine attuale. Non è questa l’adesione. Inoltre non corrisponde ad alcun processo di allargamento del passato. Perché quindi trattare la Turchia in modo diverso?

Per concludere in 20 secondi, passo alla questione armena. Vorrei però ricordare – e sono molto attento su questo punto, come lo è l’Europa, perché rientra nel dovere della memoria che fa parte del nostro patrimonio di valori – che tale questione non è e non è mai stata una condizione stabilita dal Consiglio europeo per l’apertura dei negoziati né per l’adesione stessa, che si tratti della Turchia o di qualsiasi altro paese candidato. Imporla oggi equivarrebbe a cambiare le regole del gioco nel corso della partita e questo gesto sarebbe acutamente percepito in Turchia come una manovra dell’Unione europea mirata a porre nuove condizioni al fine di impedire a qualunque costo l’adesione.

E’ invece essenziale assicurarsi che la libertà di espressione, anche sugli argomenti sensibili, legati alla storia della Turchia, sia rispettata pienamente in questo paese. L’esperienza dei nostri paesi dimostra che il dibattito sul passato, per quanto doloroso, nasce sempre da una presa di coscienza interna alle nostre società e raramente, o mai, da un’ingiunzione, da un diktat esterno. Tutto questo dibattito è legato al principio di riconciliazione, che è uno dei principali motori del progetto europeo.

La Commissione è sempre stata chiara su questo argomento. Le relazioni della Turchia con l’Armenia devono migliorare, a cominciare dall’instaurazione di relazioni diplomatiche e dall’apertura della frontiera terrestre, attualmente chiusa. La prospettiva di un’adesione della Turchia deve condurre a un miglioramento delle relazioni bilaterali e a una riconciliazione, anche in relazione al passato. Aspettiamo ovviamente che la Turchia affronti questo argomento come parte integrante di un dibattito pubblico libero e aperto dove sia possibile uno scambio di tutti i punti di vista.

Ecco, signor Presidente, onorevoli parlamentari, la risposta della Commissione e le mie impressioni dopo avere seguito questo dibattito estremamente interessante. Ovviamente riferirò in proposito al Commissario Rehn, che conosce questi temi meglio di me. Potete essere certi che il vostro contributo alla relazione dell’8 novembre sarà apprezzato.

(Applausi)

 
  
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  Philip Claeys (NI).(NL) Signor Presidente, volevo solo protestare per l’assenza del Commissario Rehn durante questa importante discussione. Trovo inaccettabile la giustificazione che ha dato. Penso che non sia giusto per il Parlamento. Avrebbe potuto rispondere alle numerose osservazioni che sono state fatte in risposta alla relazione Eurlings.

 
  
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  Presidente. – Posso informarla che il Commissario Rehn aveva altri impegni e non poteva essere presente a questa seduta. Commissario Michel, le restituisco la parola.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. – (NL) Signor Presidente, vorrei ricordare all’onorevole Claeys che il Commissario Rehn ha già spiegato in dettaglio che era impossibilitato a rimanere. Seppure la sua assenza abbia costituito un circostanza sfortunata per la discussione, ho cercato di sostituirlo fornendo chiarimenti su alcuni temi e rispondendo alle domande. Ovviamente, riferirò al Commissario Rehn e sono convinto che nelle prossime riunioni sarà con ogni probabilità in grado di presenziare e di rispondere di persona a tali domande.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì, alle 12.00.

 
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