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Resoconto integrale delle discussioni
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Giovedì 28 settembre 2006 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 3. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale
 4. Nanoscienze e nanotecnologie (discussione)
 5. Aumentare e migliorare l’aiuto dell’Unione europea: misure 2006 per un aiuto efficace (discussione)
 6. Comunicazione delle posizioni comuni del Consiglio: vedasi processo verbale
 7. Turno di votazioni
  7.1. Aumentare e migliorare l’aiuto dell’Unione europea: misure 2006 per un aiuto efficace (votazione)
  7.2. Attività di pesca relative agli stock di passera di mare e sogliola nel Mare del Nord (votazione)
  7.3. Produzione biologica e indicazione di tale metodo di produzione sui prodotti agricoli e alimentari (votazione)
  7.4. GALILEO (votazione)
  7.5. Politica comune di immigrazione (votazione)
  7.6. Situazione in Darfur (votazione)
  7.7. Relazioni economiche e commerciali dell’UE con l’India (votazione)
  7.8. Prospettive delle donne nel commercio internazionale (votazione)
  7.9. Miglioramento della situazione economica nell’industria della pesca (votazione)
  7.10. Asportazione di pinne da squalo a bordo dei pescherecci (votazione)
  7.11. Nanoscienze e nanotecnologie (2005-2009) (votazione)
 8. Dichiarazioni di voto
 9. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 10. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 11. Ordine del giorno della prossima tornata: vedasi processo verbale
 12. Vertice ASEM (Helsinki, 10 e 11 settembre 2006) (discussione)
 13. Azioni future nel settore dei brevetti (discussione)
 14. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale
 15. Dichiarazioni scritte che figurano nel registro (articolo 116 del regolamento): vedasi processo verbale
 16. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale
 17. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale
 18. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale
 19. Interruzione della sessione
 ALLEGATO (Risposte scritte)


  

PRESIDENZA DELL’ON. SARYUSZ-WOLSKI
Vicepresidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta inizia alle 10.05)

 

2. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

3. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale

4. Nanoscienze e nanotecnologie (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0216/2006), presentata dall’onorevole Ransdorf a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, su nanoscienze e nanotecnologie: un piano d’azione per l’Europa 2005-2009 [2006/2004(INI)].

 
  
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  Miloslav Ransdorf (GUE/NGL), relatore. – (CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo sul tema della nanotecnologia con una certa trepidazione, poiché abbiamo dovuto constatare che, dal punto di vista del bilancio, i progetti originariamente concepiti in questo campo non si sono realizzati. Come abbiamo visto, le spese sono state tagliate del 38 per cento; benché l’ultimo programma quadro comporti un considerevole incremento – da 140 a 600 milioni di euro all’anno – tale cifra è ancora inferiore a quanto avremmo desiderato, soprattutto in considerazione del dinamismo con cui l’Unione europea si muove nel settore. Per quanto riguarda la ricerca di base e le pubblicazioni ci troviamo ancora in un’ottima posizione, e siamo in vantaggio rispetto agli Stati Uniti; ma in fatto di brevetti, a livello mondiale gli Stati Uniti detengono una quota del 42 per cento, mentre l’Unione europea è ferma al 36 per cento. Osserviamo anche una maggiore lentezza dell’Unione europea nell’immissione dei prodotti sul mercato. Nel campo delle nanotecnologie e delle nanoscienze la spesa federale degli Stati Uniti è pressappoco equivalente a quella dell’intera Unione europea, mentre i singoli Stati membri hanno livelli di spesa disuguali: in effetti, solo l’Irlanda ha una spesa pro capite superiore a quella degli Stati Uniti.

Sottolineo che dai sondaggi d’opinione svolti nel 2001 su un campione di 16 000 persone è emerso che pochissimi cittadini dell’Unione sono informati sulle nanotecnologie. A questo proposito vorrei citare due grandissime figure di intellettuali. La prima è quella di Johann Wolfgang von Goethe; nel Faust, Mefistofele esclama: “Disprezza la ragione e la scienza, e sarai completamente mio”. Non voglio schierarmi sulle posizioni di Mefistofele, ma esorto comunque a non tagliare le spese in questo settore rispetto ad altri paesi. Il secondo grande intellettuale che desidero citare – spero che il paragone lo soddisfi, anche se oggi non è presente – è il Commissario Günter Verheugen, il quale la settimana scorsa ha elencato le dieci priorità che l’Unione europea deve porsi in questo campo: tra queste figura naturalmente la preparazione del personale, il che significa investire per istruire l’opinione pubblica così da renderla pronta ad accogliere le nuove tecnologie. Non possiamo progredire senza tale cambiamento, in quanto l’opinione pubblica dell’Unione europea è sovente contraria a queste tecnologie. Su alcune questioni di sicurezza naturalmente si esagera: penso per esempio agli emendamenti nn. 3 e 6 – presentati dal gruppo Verts/ALE – che, nel contesto del settimo programma quadro, condurrebbero al collasso dell’intera struttura della ricerca e dei suoi progressi in tema di nanoscienze e nanotecnologie. E’ inaccettabile smantellare un intero e complesso programma di ricerca con la motivazione che gli investimenti si devono destinare solo a quei settori in cui non vi saranno ripercussioni sulle persone e sull’ambiente. Sono convinto che l’opinione pubblica europea e i cittadini europei debbano ricevere garanzie in fatto di sicurezza, ma non possiamo cancellare tutto un articolato progetto di ricerca.

E’ di vitale importanza insistere sull’aspetto sociale delle nanotecnologie. Esse ci offrono un’immensa opportunità di creare nuova occupazione, incrementare l’investimento nel capitale umano e irrobustire l’intero settore della medicina e delle scienze della salute. Da questo punto di vista le nanotecnologie costituiscono una grandissima occasione, di portata analoga alla microelettronica negli anni ’60, ’70 e ’80; proprio come la microelettronica, le nanotecnologie sono presenti in tutti gli aspetti della vita della gente. Per esempio, esse hanno implicazioni molto rilevanti nel campo dell’energia, poiché rendono possibile costruire nuovi materiali, più leggeri, più affidabili e più robusti; diviene possibile anche costruire nuove attrezzature di trasporto che consumeranno meno energia. L’impiego di nanotecnologie può ridurre considerevolmente la domanda di materiali ed energia. Questa, onorevoli colleghi, è la sfida che dobbiamo affrontare direttamente se intendiamo garantire che l’Unione europea rimanga competitiva sulla scena mondiale.

Onorevoli colleghi, vi ho esposto le mie considerazioni introduttive e attendo ora con interesse il dibattito. Desidero ringraziare i Commissari Potočnik e Verheugen, i membri della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia e infine il signor Renzo Tomellini, capo dell’unità “nanoscienze e nanotecnologie”.

 
  
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  Janez Potočnik, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vengo oggi in Parlamento a discutere il grande tema delle piccole tecnologie. Più di 2 000 anni fa un uomo politico dell’antica Grecia, Demostene, disse: “All’inizio delle grande imprese vi è spesso una piccola opportunità”; credo che avesse ragione. Intendo qui il termine impresa in tutti i suoi molteplici significati: non solo di impresa economica, ma anche di progetto e viaggio di scoperta.

La nanotecnologia si è già dimostrata molto promettente, poiché non soltanto offre soluzioni nuove a numerosi problemi esistenti, ma apre anche opportunità di innovazione, stimola l’economia e crea occupazione.

In molti settori la nanotecnologia fa già registrare un salto di qualità. Per esempio, sono in via di sviluppo nuove cure mediche per gravi malattie come i tumori al cervello e il morbo di Alzheimer; l’ambiente trae giovamento da catalizzatori più efficaci, batterie di migliore qualità e sorgenti di luce più efficienti; inoltre, si producono materiali, componenti e sistemi più piccoli, più leggeri e in grado di fornire prestazioni migliori. Ma la nanotecnologia può offrire un contributo importantissimo anche alle grandi sfide globali: la lotta contro le minacce all’ambiente, l’utilizzo più razionale delle risorse e la riduzione dei rifiuti, il miglioramento delle tecnologie per la produzione di energia.

Attualmente, l’Europa può vantare una posizione guida a livello mondiale, anche grazie al programma quadro predisposto dalla Commissione. L’industria europea deve ora cogliere i frutti di queste conoscenze, tramite processi e prodotti innovativi. Per sfruttare al meglio questa impostazione dobbiamo però agire sui diversi fronti indicati dalla comunicazione della Commissione “Nanoscienze e nanotecnologie: un piano d’azione per l’Europa 2005-2009”; si tratta, fra l’altro, di accrescere gli investimenti, stimolare l’interdisciplinarietà, creare le infrastrutture necessarie, ampliare le risorse umane e incoraggiare l’innovazione.

Nella realizzazione del piano d’azione si sono già compiuti importanti progressi: i finanziamenti erogati dalla Commissione per la ricerca nel campo delle nanoscienze e delle nanotecnologie sono costantemente aumentati, fino a raggiungere la cifra di 470 milioni di euro circa nel 2005. In effetti, la Commissione è ora divenuta il più importante ente pubblico erogatore di finanziamenti alla nanotecnologia a livello mondiale; proviene dalla Commissione il 30 per cento dei finanziamenti pubblici concessi l’anno scorso alla ricerca sulla nanotecnologia nell’Unione europea. Nel corso del settimo programma quadro si prevede di incrementare notevolmente gli investimenti: la Commissione ha proposto di ampliare i finanziamenti alla nanotecnologia, di sviluppare le infrastrutture e di elaborare progetti per la valutazione dei rischi che la nanotecnologia comporta per l’uomo e per l’ambiente. Si tratta di un settore cruciale, poiché accanto ai vantaggi occorre considerare anche i potenziali rischi; tali rischi vanno attentamente valutati, e in merito alle nuove applicazioni è gia stata espressa qualche inquietudine.

Il piano d’azione affronta anche quest’aspetto; progetti speciali e campagne di divulgazione in molte lingue forniranno informazioni e svilupperanno una strategia della comunicazione. Alcuni progetti prevedono il coinvolgimento dell’opinione pubblica, con la presentazione delle due facce della questione; vi saranno opuscoli che illustreranno il funzionamento della nanotecnologia e inoltre si produrranno DVD per illustrare il problema in termini semplici e adatti ai bambini. Infine, il Gruppo europeo per l’etica della scienza e delle nuove tecnologie sta preparando un parere sull’etica della nanomedicina, che – riteniamo – verrà presto consegnato al Presidente Barroso.

La Commissione si impegna ad assicurare un approccio equilibrato; è essenziale, infatti, garantire un alto livello di protezione della salute pubblica, della sicurezza, dei consumatori e dell’ambiente. A tale scopo, in Europa dobbiamo individuare i motivi di preoccupazione concernenti la sicurezza, raccogliere dati per una valutazione sanitaria e d’impatto ambientale del prodotto, e poi agire nella fase più precoce possibile apportando, qualora sia necessario, adattamenti alle procedure di valutazione dei rischi in materia di nanotecnologia.

La Commissione sta anche vagliando la legislazione europea applicabile alla nanotecnologia; stiamo valutando l’adeguatezza di tale legislazione rispetto al crescente uso delle nanotecnologie, e dobbiamo anche prendere in considerazione i potenziali problemi di regolamentazione.

Infine, operiamo attivamente in numerose sedi internazionali, in cui affrontiamo i nuovi problemi e tentiamo di elaborare un codice di buona condotta.

Noto con soddisfazione che il Parlamento europeo, con la relazione dell’onorevole Ransdorf, riconosce pienamente l’importante ruolo delle nanoscienze e delle nanotecnologie e accoglie con favore il piano d’azione della Commissione. A mio avviso è molto positivo che la relazione chieda di incrementare gli investimenti pubblici a favore di ricerca e sviluppo in questi settori, in particolare per quanto riguarda le infrastrutture e la nanomedicina. E’ altrettanto fondamentale che la relazione sottolinei, l’importanza, da un lato, di creare in Europa il clima più adatto all’innovazione e, dall’altro, di “parlare con una sola voce” a livello internazionale su un settore tanto promettente della ricerca. Sono felice che la relazione abbia ottenuto un vastissimo sostegno dalle tre commissioni parlamentari che l’hanno discussa.

Per concludere, spero di essere riuscito a illustrarvi sinteticamente l’equilibrata e sempre più estesa politica elaborata dalla Commissione nel campo delle nanoscienze e delle nanotecnologie. Lavorando insieme, possiamo tutti trarre beneficio da questa nuova ed emozionante impresa. Ringrazio il Parlamento europeo per il suo sostegno e mi auguro che vogliate continuare a sostenere la Commissione nell’ulteriore sviluppo della dimensione europea della nanoscienza e della ricerca.

 
  
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  Piia-Noora Kauppi (PPE-DE), relatore per parere della commissione giuridica. – (EN) Signor Presidente, sono lieta che l’onorevole Ransdorf abbia incluso nella sua relazione parecchi dei suggerimenti formulati dalla nostra commissione.

E’ evidente che nanoscienze e nanotecnologie rappresentano uno dei settori industriali in più rapida crescita del ventunesimo secolo. La nanotecnologia ha il potenziale per incidere su numerosi settori, e si prevede che nel giro di un decennio possa sviluppare un mercato di quasi mille miliardi di euro.

L’Europa, però, ha stentato a rendersi conto di questo potenziale; di conseguenza, in questo campo detiene una piccola quota di mercato per quanto riguarda ricerca e sviluppo, formazione e quindi innovazione industriale. E’ assolutamente essenziale che l’Unione europea adotti questo piano per sostenere, nell’ambito degli Stati membri, sviluppo, istruzione e formazione in materia di nanoscienze; inoltre, una particolare attenzione alla nanoscienza e alla nanotecnologia è un elemento cruciale per la realizzazione degli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona.

Per quanto riguarda la relazione, vorrei sottolineare alcuni obiettivi che sono stati inseriti e mettere in luce un punto importante che purtroppo non è stato affrontato adeguatamente. In primo luogo, nanoscienza e nanotecnologia sono temi densi di problemi etici; mi rallegro quindi che la relazione includa la proposta, avanzata dalla nostra commissione parlamentare, di rispettare alti principi etici, dichiarandosi altresì favorevole agli esami pubblici previsti per materie quali gli interventi non terapeutici sugli esseri umani e la privacy. Sostengo inoltre la proposta della Commissione europea, riguardante la natura dinamica che deve assumere una valida normativa in questo settore.

In secondo luogo, la proposta insiste molto sui brevetti; una riforma – insieme alla completa incorporazione del sistema dei brevetti per la nanoscienza e la nanotecnologia negli Stati membri – è essenziale per il successo dell’Europa in questo settore. La riforma deve comprendere una riduzione dei costi del processo brevettuale e una maggiore accessibilità dei brevetti per le piccole e medie imprese; inoltre, per promuovere il rispetto globale del riconoscimento e della protezione dei brevetti, dobbiamo sottolineare l’importanza dell’adesione alle norme OMC, soprattutto in Cina.

Tuttavia la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, sia sul piano internazionale che in ambito europeo, non è stata articolata a sufficienza in questa relazione. Si esortano gli Stati membri a coordinare la propria azione in materia di diritti di proprietà intellettuale e ad agire nell’ambito dell’OCSE e dell’UNESCO; si tratta però di un’iniziativa troppo debole per la protezione dei diritti di proprietà intellettuale in questo campo, poiché tali organizzazioni mirano più a promuovere buone prassi che a stimolare l’azione. Di conseguenza l’istituzione di standard concreti potrebbe rivelarsi più efficace.

In previsione di una forte crescita dei settori della nanoscienza e della nanotecnologia, è importante che l’Unione europea aderisca alla proposta della Commissione, che chiede l’adozione di nuovi approcci in questo settore, dall’istruzione alla ricerca e sviluppo. Iniziative in questo senso contribuiranno a migliorare la competitività e lo sviluppo nei nostri Stati membri.

 
  
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  Giles Chichester, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, vorrei anzitutto congratularmi con il collega, onorevole Ransdorf, vicepresidente della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, per la sua ottima relazione. Desidero dichiarare il sostegno complessivo del mio gruppo a questa relazione e alla proposta della Commissione.

Le nanoscienze e le nanotecnologie sono importantissime per lo sviluppo dell’economia e della società, e sono estremamente promettenti nella prospettiva di applicazioni industriali e di altro tipo; si tratta di una tecnologia molto stimolante in tutti i settori. Come indicatore della priorità che in Europa stiamo attribuendo alle nanoscienze e alle nanotecnologie, rilevo che questo tema costituisce uno dei punti principali del settimo programma quadro.

Fatte queste osservazioni, esprimo il mio rammarico per l’approccio alquanto negativo e timoroso che caratterizza gli emendamenti del gruppo Verts/ALE. E’ assurdo insorgere contro rischi immaginari, solo perché sono insiti in oggetti talmente piccoli che è difficile definirli con esattezza o persino – oso dire – comprenderli; ma forse questo ragionamento vale solo per spiriti ingenui come il mio. Invito perciò a essere cauti nell’utilizzo di principi di etichettatura prima di disporre di prove scientifiche, e nella stessa applicazione del principio di precauzione. Se applicassimo costantemente questo principio, invenzione, innovazione e ricerca ne sarebbero stroncate e non riusciremmo a compiere alcun progresso.

Esprimo inoltre le mie riserve sull’opportunità di includere le nanoparticelle in REACH. Bisogna ribadire chiaramente che molte particelle note fanno parte di sostanze chimiche già esistenti, e vanno quindi inserite nella categoria corrispondente. REACH pone già abbastanza problemi, e non è il caso di aggiungerne altri di scala microscopica.

Concludo con una nota di ottimismo, ricordando ai colleghi che semi minuscoli possono dare splendidi frutti; spero che il mio partito, in patria, dia ascolto a queste parole.

 
  
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  Adam Gierek, a nome del gruppo PSE. – (PL) Signor Presidente, la nanoscienza si occupa dei fenomeni che interessano i materiali allo stato solido a livello di nanometro, ossia sulla scala di 10-9 m; la nanotecnologia si basa su tale ricerca. Si tratta di un settore tecnologico particolarmente promettente, la cui potenziale tendenza positiva può imprimere un decisivo miglioramento alle possibilità di progresso in molti aspetti della nostra vita.

Tra l’altro, potrebbero trarne beneficio l’industria automobilistica e quella dell’aviazione. Fra i vantaggi potrebbe figurare la fabbricazione di rivestimenti lisci e antigraffio, contenenti nanoparticelle; da queste tecnologie potrebbero derivare anche benefici per la nostra salute, sotto forma di prodotti medicinali o cosmetici. Potremmo inoltre avvalerci di preziosi derivati per il settore energetico, come pile a combustibile, strumenti nanoporosi per lo stoccaggio dell’idrogeno e batterie solari particolarmente efficienti. Potrei anche ricordare le tecnologie della comunicazione e dell’informazione che sfruttano fenomeni ottici e di spin che facilitano l’ulteriore compressione delle informazioni, da leggere con il laser blu, nonché la biotecnologia, che comprende la ricerca sul DNA e i sistemi bioinformatici. A quest’elenco si potrebbero aggiungere sensori o materiali da costruzione come i nanocomposti o fibre e tessuti la cui superficie viene attivata da aggregati di elettroni. Ma allo stesso tempo, purtroppo, è possibile causare danni permanenti all’ambiente e l’atmosfera può venire inquinata dalla presenza, nel lungo periodo, di gas aerosolici che è difficile monitorare.

Esistono due tipi di nanotecnologia. Il primo è noto come tecnologia top-down, e tra l’altro implica il passaggio dalla macro alla microdimensione, tramite ad esempio l’ulteriore polverizzazione delle polveri, nonché lo sviluppo e l’attivazione delle loro superfici tramite un aumento di potenziale; un esempio di questo tipo di tecnologia sono i materiali di rivestimento in nanodiamante. Il secondo gruppo è quello della tecnologia bottom-up, che consente di fissare il livello molecolare; un esempio in questo senso è la creazione di attrezzature spintroniche altamente integrate. Purtroppo disponiamo di poche tecnologie che utilizzino microscopi a effetto tunnel o fenomeni di autoaggregazione. In questo gruppo rientrano i sistemi di informazione biologica.

In conclusione, la politica scientifica nel campo della nanoscienza e della nanotecnologia dovrà innanzi tutto tener conto del fatto che, attualmente, lo sviluppo della tecnologia top-down nell’Unione europea permette di creare alcune piattaforme tecnologiche – forse più di dodici. In secondo luogo, la tecnologia bottom-up richiede un’ulteriore intensificazione delle ricerche d’avanguardia nel settore della scienza di base. In terzo luogo, è urgentemente necessario elaborare un metodo per analizzare gli attuali livelli di inquinamento; penso all’attuale inquinamento atmosferico dovuto a nanoparticelle non derivanti dalla nanotecnologia. Si tratta di un livello lievemente superiore a PM 2,5, che penetra facilmente nel nostro organismo tramite le membrane cellulari e la cui azione catalitica può nuocere alla salute. Persino l’epidemia di tumori potrebbe essere legata alla costante presenza di nano-aerosol nell’ambiente; tale presenza è difficile da stimare, forse è in crescita e deriva da numerose cause diverse.

 
  
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  Jorgo Chatzimarkakis, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, anzitutto desidero congratularmi vivamente con il relatore, onorevole Ransdorf, che si è veramente immerso in questo tema cercando di metterne in luce ogni aspetto; ho apprezzato anche le riflessioni filosofiche che ci ha offerto all’inizio del suo intervento.

Noi europei dobbiamo renderci conto che non conserveremo per sempre la nostra posizione di avanguardia in numerosi mercati e tecnologie, e che anzi in parecchi mercati abbiamo già perduto tale ruolo guida – insieme al potere di controllare molte tecnologie. Pensiamo per esempio all’industria farmaceutica, che sta abbandonando l’Europa, o alla microelettronica, settore nel quale un numero sempre maggiore di scoperte viene effettuato in Asia.

Nel campo delle nanotecnologie noi europei siamo all’avanguardia a livello mondiale; dal punto di vista tecnologico siamo al vertice. Occorre però precisare che noi poniamo al centro non solo la tecnologia, ma anche gli esseri umani; tale è lo specifico approccio europeo, che emerge anche dalla relazione in esame, perlomeno nella forma in cui è stata adottata dalla commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. Quest’impostazione va conservata. La relazione, nella sua forma attuale, mantiene l’equilibrio tra high-tech e limiti etici, così come tra politica industriale e interessi dei consumatori; i due elementi devono restare in equilibrio, perché entrambi sono importanti.

Per conservare il nostro vantaggio ci occorre però un concreto sostegno da parte dell’Unione europea, che deve realizzarsi tramite il settimo programma quadro per la ricerca ma anche – fattore perlomeno altrettanto importante – con la standardizzazione e l’applicazione delle norme. La concorrenza globale necessita di un quadro vincolante a livello mondiale; in questo campo potremmo seguire l’esempio della tecnologia GSM, in cui noi europei abbiamo attivamente portato avanti il processo e raggiunto una precisa posizione di mercato.

Il principale problema delle nanotecnologie, però, è l’eccessiva astrattezza dell’argomento; i cittadini non sono in grado di farsene un’immagine precisa, e ciò spiana ancora una volta la strada a quell’industria della paura che è sempre attiva in Europa. Tale atteggiamento si riflette in parecchi degli emendamenti presentati in questa sede, analogamente a quanto avvenne quando discutemmo della brevettabilità del software e, in parte, di REACH. Non possiamo permetterci di ripetere la stessa esperienza con la nanotecnologia, di cui i professionisti dell’allarmismo attivi nell’industria della paura sono i più ostinati sabotatori. In questo momento abbiamo bisogno di creare il maggior numero possibile di posti di lavoro, e quindi dobbiamo rendere più concreta la nanotecnologia agli occhi dei cittadini, evitando di silurare la strategia di Lisbona di cui del resto amiamo parlare continuamente. La nanotecnologia sta già creando occupazione; io stesso ho visitato alcune imprese che lavorano in questo settore, e ne sono rimasto affascinato. Nell’industria dei semiconduttori, nel settore automobilistico e nella tecnologia medica si aprono prospettive sconfinate. Quindi, facciamo pure valutazioni di rischio, ma cerchiamo di non esagerare.

C’è qualcuno tra voi che può affermare di aver rinunciato all’uso del telefono cellulare a causa dei ben noti rischi che ne derivano? Se i consumatori giudicheranno che i potenziali vantaggi superino i rischi potenziali, faranno uso di questa tecnologia: ecco il punto cruciale, e a tale scopo è necessario che i cittadini possano accedere alle informazioni su cui basare le proprie decisioni. Il Parlamento europeo contribuisce a quest’opera di informazione. STOA, l’unità di valutazione delle opzioni scientifiche e tecnologiche del Parlamento europeo, sta organizzando dei Nanocafé che si svolgeranno a Bruxelles il 18 ottobre, ai quali siete tutti cordialmente invitati.

 
  
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  David Hammerstein Mintz, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signor Presidente, vorrei dire che noi Verdi non ci opponiamo alla nanotecnologia, ma siamo convinti che le cose si debbano fare bene. In caso contrario, non otterremo mai la necessaria fiducia da parte dei consumatori, non riusciremo a sfruttare gli enormi vantaggi potenziali di questa tecnologia e gli investimenti andranno sprecati.

Chi respinge il principio di precauzione non è un amico della nanotecnologia – al contrario. In questo momento stiamo premendo sull’acceleratore della nanotecnologia senza aver prima controllato se abbiamo un freno di emergenza, e senza neppure sapere se lo sterzo funziona.

Le nanoparticelle sono ampiamente utilizzate in prodotti di consumo sensibili come cosmetici, detergenti, vernici e tessili. Noi temiamo che ciò significhi spianare la strada a un grande scandalo sanitario in futuro.

Tali timori non sono privi di fondamento. Nel suo parere del 28 e 29 settembre dell’anno scorso, il Comitato scientifico europeo constata l’esistenza di notevoli lacune nelle conoscenze necessarie per la valutazione dei rischi, per esempio per quanto riguarda la definizione delle nanoparticelle, la loro identificazione e misurazione, i dati, le dosi, le reazioni, l’evoluzione, la persistenza delle nanoparticelle negli esseri umani e nell’ambiente, nonché tutti gli aspetti della tossicologia ambientale. Il medesimo comitato sottolinea che non disponiamo di metodi per la valutazione dei rischi.

Stiamo parlando di elementi dal valore molto differente. Il problema essenziale è che l’emissione incontrollata di nanoparticelle può rivelarsi ben più pericolosa di quella di particelle convenzionali, poiché le nanoparticelle sono molto più reattive dal punto di vista chimico e ossidano facilmente; inoltre, possono formarsi radicali altamente reattivi e nocivi per l’organismo umano. Nel corpo umano i nanotubi possono avere effetti simili alle fibre di amianto; tutti ricordiamo cos’è avvenuto nel caso dell’amianto.

Sappiamo pochissimo del comportamento e delle reazioni delle nanoparticelle immesse nell’ambiente; l’Unione europea deve fare tutto il possibile per promuovere la ricerca in questo campo. Oggi, tuttavia, solo un’esigua percentuale degli investimenti nella ricerca viene destinata alla precauzione, e non disponiamo di alcuna normativa; non abbiamo neppure un quadro giuridico per l’utilizzo di questi prodotti.

La nostra politica non può essere quella di commercializzare questi prodotti subito e fare domande in un secondo tempo. Occorre una politica di precauzione che ci consenta di progredire decisamente con questa tecnologia.

 
  
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  Vladimír Remek, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Onorevoli colleghi, sono lieto che il Parlamento dedichi la sua attenzione al tema delle nanoscienze e delle nanotecnologie. Desidero esprimere apprezzamento e sostegno per la relazione in esame, che ribadisce la cruciale importanza di queste tecnologie nel ventunesimo secolo; è dunque assolutamente opportuno inserire nanoscienze e nanotecnologie tra le priorità dell’Unione europea. Si tratta, però, di una questione che presenta alcuni aspetti negativi accanto a quelli positivi.

Uno degli aspetti positivi è il sostegno che queste tecnologie del prossimo futuro si sono conquistate in tutti i settori del Parlamento. Come giustamente osserva la relazione, lo sviluppo delle nanotecnologie rappresenta un’occasione straordinaria. Oggi l’Europa sta tenendo il passo con il resto del mondo; me ne sono reso conto pochi giorni fa, visitando la città di Liberec, nel nord della Repubblica ceca. I risultati del lavoro svolto dal Politecnico di Liberec, insieme a un’impresa cittadina, sono di assoluta rilevanza mondiale dal punto di vista della ricerca e dell’applicazione delle nanotecnologie, e comprendono anche la fabbricazione di attrezzature di qualità eccezionalmente elevata; vorrei inoltre sottolineare che Liberec è una cittadina relativamente piccola, non un potenziale centro scientifico come Praga o Brno. A mio avviso le nanotecnologie rappresentano un’opportunità per i paesi più piccoli, e in generale per le piccole organizzazioni. Naturalmente lo sviluppo delle nanoscienze e delle nanotecnologie richiede considerevole sostegno, non solo nella Repubblica ceca ma anche in tutta Europa; il resto del mondo ne è già ben consapevole. Secondo voi, chi ha dimostrato il maggior interesse per le conclusioni del lavoro degli scienziati e dei tecnici di Liberec? Si tratta naturalmente di studiosi di altri continenti, soprattutto nordamericani ma anche del sudest asiatico.

Queste considerazioni mi conducono a uno degli aspetti negativi dello sviluppo delle nanotecnologie in Europa, ossia quella che mi sento di definire l’insufficiente protezione della proprietà intellettuale rispetto all’applicazione dei risultati della ricerca in altri settori. Un altro problema è il sostegno finanziario, a mio avviso insufficiente, complicato e difficile da ottenere. La relazione rileva altresì che gli Stati Uniti contribuiscono già per il 37 per cento alla spesa mondiale in questo settore, mentre la quota europea è ferma al 24 per cento, ed è inferiore a quella giapponese; anche i finanziamenti previsti per le nanoscienze e le nanotecnologie nell’ambito del settimo programma quadro sono minori di quelli statunitensi.

Concludo ricordando quello che, personalmente, giudico un ulteriore rilevante effetto positivo: le nanoscienze e le nanotecnologie offrono ottime prospettive ai giovani interessati agli studi universitari di scienza e tecnologia. Non dobbiamo perdere quest’occasione per imprimere nuovo slancio allo sviluppo della scienza e della tecnologia nell’Unione europea; dovremo essere presenti quando il prefisso “nano” – sinonimo di nano o di gnomo – farà nascere un gigante del ventunesimo secolo.

 
  
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  Nils Lundgren, a nome del gruppo IND/DEM. – (SV) Le nanotecnologie rivestono indubbiamente grande importanza per il futuro dell’umanità; il progresso è rapido, e la tecnologia eserciterà un fortissimo impatto quasi in tutti i campi.

In quest’Assemblea è radicata la convinzione che tutti i fenomeni importanti come questo debbano ricadere sotto il controllo dell’Unione europea. In ogni relazione si ribadisce che organizzazione, legislazione, supervisione e finanziamento devono figurare tra le responsabilità dell’Unione europea; in ogni relazione si sottolinea l’importanza che l’Unione europea non perda terreno rispetto a Stati Uniti, Giappone e Cina in termini di concorrenza globale. Tuttavia, non ci viene mai dimostrato in maniera convincente che il mercato abbia qualche caratteristica che gli impedisce di risolvere autonomamente i propri problemi, e imponga quindi misure ufficiali; non ci viene mai dimostrato in maniera convincente a quale livello è opportuno prendere tali misure. Invariabilmente, le relazioni si fondano sull’idea che il Parlamento brilli per insuperabile competenza e quindi possa e debba incaricare la Commissione e gli Stati membri di eseguire le sue istruzioni; il Parlamento europeo ricorda a ognuno di noi i problemi che travagliano il mondo, additandone con grande enfasi le possibili soluzioni. Questa volta, per esempio, il relatore, onorevole Ransdorf, vuole che il Parlamento sancisca il principio per cui le nanotecnologie devono essere incentrate sullo sviluppo di energia idrogena; da parte mia sostengo fermamente l’assoluta incompetenza del Parlamento europeo a decidere su questioni del genere. Le nanotecnologie si sviluppano nella maniera più rapida ed efficiente quando su di esse non incombe il controllo dall’alto di una burocrazia internazionale; gli organismi più adatti a sperimentare e competere nel campo delle nanotecnologie sono la comunità scientifica internazionale, le imprese e le istituzioni statali, mentre gli organismi più adatti a produrre materiale informativo sulle nanotecnologie – conformemente ai valori e alle esperienze della propria opinione pubblica – sono organizzazioni private e statali nell’ambito degli Stati nazionali. In tale contesto, l’Unione europea dovrebbe limitarsi a istituire un sistema di monitoraggio dei brevetti nel settore, a fissare standard etici e di politica ambientale ed eventualmente a finanziare progetti su grandissima scala, secondo il modello della ricerca in materia di fusione.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che l’Europa abbia bisogno di un sistema coerente di infrastrutture, di ricerca e di sviluppo all’avanguardia per restare competitiva nel campo delle nanoscienze e delle nanotecnologie. Esse possono svolgere un ruolo positivo nel raggiungimento di importanti traguardi economici, sociali e ambientali e auspico che possano rispondere ai bisogni dei cittadini e contribuire così al benessere delle nazioni.

Vi sono fatti innegabili di cui non possiamo non tenere conto: tutta una serie di progressi tecnologici sono dietro l’angolo grazie all’aggregazione di atomi e molecole per formare nuovi materiali. L’aumento dei finanziamenti destinati a questa branca della ricerca è indispensabile per garantire competitività al sistema industriale europeo, sempre nel rispetto di principi etici inalienabili e di criteri di salute pubblica e dell’ambiente.

Concordo su alcuni degli emendamenti presentati dai colleghi Hammerstein e Breyer, e precisamente: l’emendamento n. 1, al paragrafo 2, è una raccomandazione utile e prudenziale sulla valutazione dei rischi potenziali per la salute umana e l’ambiente e le ulteriori implicazioni sociali e etiche, che nulla toglie al testo originale; l’emendamento n. 6 secondo cui l’aiuto alla ricerca va accordato esclusivamente ai progetti che utilizzano almeno la metà delle risorse per valutare i rischi; l’emendamento n. 8, che sottolinea come la valutazione dei rischi debba essere realizzata lungo tutto il ciclo di vita dei prodotti delle nanotecnologie, dalla concezione allo smaltimento.

Non si può trascurare il fatto che i rischi tossicologici legati alle nanotecnologie sembrano molti, anche secondo numerosi esperti intervistati da Technology Review, prestigioso periodico del MIT, e la relazione considera comunque anche questo lato della medaglia.

In relazione al nuovo paragrafo 5 bis ritengo invece giusto prevedere cautele circa un’adeguata valutazione del rischio e garantire la tracciabilità, l’etichettatura e la responsabilità per i prodotti basati sulle nanotecnologie, però, pur condividendo la limitazione della ricerca, ritengo il testo un po’ generico e pertanto mi asterrò, così come sul nuovo paragrafo 17 proposto.

In conclusione, le nazioni e l’Europa devono essere competitive nel settore delle nanoscienze e lo sforzo proposto appare minimale, un timido impegno, per cercare di colmare il gap già esistente sia con gli USA che con l’Estremo Oriente. La relazione considera giustamente sia le prospettive economiche e strategiche del triangolo della conoscenza, sia le necessità della sostenibilità e della salute. Pertanto voto “sì” all’ottimo lavoro del collega Ransdorf.

 
  
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  Nikolaos Vakalis (PPE-DE). (EL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, grazie alla relazione dell’onorevole Ransdorf – con il quale mi congratulo – il Parlamento europeo invia oggi un messaggio importante e specifico: le nanotecnologie, con il loro sorprendente potenziale e le loro mirabili prospettive di sviluppo, sono un elemento centrale delle politiche di sviluppo dell’Unione europea.

In questo settore i nostri ricercatori non hanno nulla da invidiare a quelli di qualsiasi altra parte del mondo; al contrario, si può affermare che essi sono all’avanguardia a livello mondiale. Anche in questo caso, quindi, la scommessa che dobbiamo vincere riguarda lo sviluppo e lo sfruttamento economico della conoscenza che abbiamo prodotto; per vincere questa scommessa è necessario – come in altre aree della conoscenza – connettere con rapidità ed efficacia la nostra ricchezza di risorse umane alla produzione. C’è bisogno di cooperazione tra il settore statale e quello privato; università, centri di ricerca, industria, imprese e banche devono unirsi per cooperare da vicino, nell’ambito di una strategia e di un progetto comuni e lungimiranti. Soprattutto, però, dobbiamo consigliare i cittadini e prepararli alla rivoluzione che le nanotecnologie introdurranno nella vita quotidiana. Esse muteranno il volto del mondo che ora conosciamo.

Onorevoli colleghi, le nanoscienze e le nanotecnologie saranno per il ventunesimo secolo ciò che Internet è stata per il ventesimo; non possiamo permetterci di rivivere il paradosso europeo cui abbiamo assistito in passato, quando Internet – un’idea palesemente europea – è stata sviluppata nel modo migliore in America.

E’ ormai tempo per noi, nell’Unione europea, di dimostrare che non siamo solo capaci di sviluppare nuove idee, ma anche di sfruttarle a beneficio dei cittadini europei.

 
  
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  Teresa Riera Madurell (PSE). (ES) Signor Presidente, signor Commissario Potočnik, vorrei congratularmi con il relatore per il suo eccellente lavoro e ribadire la necessità che l’Unione europea continui ad annettere grande importanza alla ricerca scientifica e agli sviluppi tecnologici delle nanoscienze e delle nanotecnologie che, tra l’altro, rappresentano una delle priorità tematiche del settimo programma quadro.

Onorevoli colleghi, come hanno già rilevato precedenti oratori, le nanoscienze e le nanotecnologie vengono considerate una tecnologia cruciale per il ventunesimo secolo, che avrà notevoli ripercussioni sulla nostra industria. Si tratta di un settore multidisciplinare che schiude un vastissimo panorama di nuove opportunità e soluzioni alle concrete esigenze dei cittadini e delle imprese; ci attendiamo quindi che esso contribuisca in maniera decisiva alla possibilità che l’Unione europea realizzi i suoi obiettivi di sviluppo sostenibile e competitività.

In questo campo l’Unione europea è certamente il leader, benché i suoi investimenti in ricerca e sviluppo nel settore siano sensibilmente inferiori a quelli di Stati Uniti e Giappone. Condivido l’opinione del relatore: l’Unione europea deve rafforzare tale vantaggio per consolidare e migliorare la propria posizione in un contesto mondiale estremamente competitivo e in un settore molto promettente.

A tale scopo non basta semplicemente incrementare gli investimenti in ricerca e sviluppo. Dobbiamo contemporaneamente garantire il livello di eccellenza della ricerca e la disponibilità di una quantità sufficiente di personale qualificato, migliorare il coordinamento delle risorse e il coordinamento delle politiche con gli Stati membri; dobbiamo inoltre migliorare ancora l’ambiente industriale, soprattutto grazie alla modernizzazione delle PMI esistenti e alla creazione di nuove PMI basate sulla conoscenza, affinché l’eccellente attività di ricerca e sviluppo nel campo delle nanoscienze e nanotecnologie si traduca in nuovi prodotti e nuovi processi.

Le piattaforme tecnologiche europee connesse alle nanoscienze e nanotecnologie contribuiscono a fissare obiettivi e priorità di ricerca interessanti per l’industria.

Desidero inoltre sottolineare l’importanza della cooperazione internazionale. Onorevoli colleghi, non dobbiamo ostacolare il progresso scientifico; dobbiamo sostenere i nostri ricercatori, i quali – più di chiunque altro – sono in grado di valutare gli aspetti positivi e negativi di questo settore. Tuttavia, se i cittadini devono avere fiducia nella scienza, è sicuramente necessario diffondere in forma comprensibile la conoscenza dei progressi scientifici e migliorare la preparazione dell’opinione pubblica, affinché siano più chiare le sfide che ci attendono e le implicazioni di questi sviluppi sulla nostra vita.

 
  
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  Vittorio Prodi (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio il collega Ransdorf per la sua relazione e vorrei ringraziare anche il – Commissario Potocnik per la sua presenza.

Le nanotecnologie sono estremamente importanti, a cominciare dalla nanoelettronica, la quale ci permette di conseguire un’efficienza sempre più spinta con minor consumo di energia rispetto all’attuale microelettronica, come confermato anche dall’attività della piattaforma.

Nanotecnologie vuol dire uso intelligente di materiali comuni, per esempio per la filtrazione e la catalisi, di materiali che possono permetterci di aggirare le difficoltà legate a volte dalla scarsità di elementi rari. Vorrei però ricordare come non siano infondate le paure relative alle conseguenze sulla salute. La dimensione nanometrica delle particelle impone considerazioni sui rischi legati a una nuova tossicologia, secondo le prove disponibili si verifica una trasparenza diretta delle membrane cellulari a queste particelle e quindi un possibile attacco di queste particelle agli acidi nucleici; ritengo giusto che si dedichino risorse e energie per questo.

Vorrei infine indirizzarmi al Commissario: abbiamo bisogno di riformare l’Ufficio brevetti europeo, così com’è attualmente manca un controllo adeguato. Il Parlamento deve poter dire la sua parola, l’attività non può più essere solo intergovernativa, deve diventare un’attività dell’Unione. Il problema generale dell’avanzamento e della garanzia della scienza è infatti un problema dell’Unione!

 
  
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  Hiltrud Breyer (Verts/ALE). (DE) Signor Presidente, quale dev’essere l’atteggiamento della classe politica nei riguardi della nanotecnologia? Non possiamo ridurci a meri agenti pubblicitari, veicoli acritici di una chiassosa propaganda, né la nostra funzione può essere quella di partecipare a roadshow o nanocafé, nel tentativo di placare i concreti timori dei cittadini; non possiamo accontentarci di fare semplicemente pubblicità alla nanotecnologia.

Compito della classe politica è garantire la protezione dei consumatori e dell’ambiente. La nanotecnologia viene utilizzata per immettere sul mercato prodotti come cosmetici, detergenti e tessili, diretti ai consumatori privati in una situazione di vero e proprio vuoto normativo; come ha appena rilevato l’onorevole Prodi, non esiste un quadro giuridico applicabile alla nanotecnologia. Il 29 settembre 2005 il Comitato scientifico della Commissione ha ammesso – cito testualmente – che “esistono considerevoli lacune in termini di valutazione dei rischi, caratterizzazione e misurazione delle nanoparticelle. Poco si sa del rapporto fra dose ed effetti; nulla addirittura di quali siano gli organi del corpo umano in cui esse alla fine si raccolgono, e sulla durata di questa permanenza; e poco sul loro grado di tossicità per l’ambiente”. In tale situazione non possiamo nascondere la testa nella sabbia; al contrario, tocca a voi – alla Commissione – elaborare un quadro giuridico permanente che protegga tutti i consumatori.

L’esperienza dell’amianto non ci ha insegnato proprio nulla? Abbiamo appena udito che le nanoparticelle sono in grado di oltrepassare la barriera ematoencefalica; dal momento che conosciamo questi rischi, dobbiamo mettere a punto dei meccanismi protettivi. Non possiamo accettare che questi prodotti giungano sul mercato per essere collaudati sui consumatori; non possiamo accettare che i consumatori siano trattati come cavie!

La funzione della classe politica non è quella di fare propaganda alla nanotecnologia. La nostra funzione, al contrario, è quella di mettere a punto un quadro giuridico complessivo per regolamentare, controllare e misurare queste tecnologie: in altre parole, proprio i compiti cui fa riferimento il parere dei vostri esperti.

Qualsiasi altra soluzione renderebbe un cattivo servizio alla nanotecnologia, che potrà affermarsi sul mercato e diventare economicamente sostenibile solo se affermeremo chiaramente la necessità di tener conto degli interessi dei consumatori e dei potenziali rischi. Se l’Europa dev’essere un luogo propizio per fondare un’azienda, dev’essere anche un luogo propizio per i consumatori, e da questo punto di vista siamo molto indietro. Mi sembra del tutto irresponsabile che la Commissione, pur consapevole di tali lacune nonché della mancanza di qualsiasi metodologia per la valutazione dei rischi, voglia consentire la commercializzazione di beni di consumo destinati ai privati cittadini e alle loro famiglie, senza avere la certezza che ogni rischio sia stato eliminato. Le rivolgo un nuovo urgente appello per chiederle di porre rimedio a questa situazione.

Finora abbiamo avuto poco da dire sui pericoli, i problemi etici, l’enhancement, la concentrazione delle nanoparticelle nel corpo umano, poiché per lungo tempo ci siamo illusi che si trattasse di problemi da fantascienza; ora, però, questi pericoli si fanno più vicini.

Mi attendo che l’Unione europea dia una risposta agli Stati Uniti. La nostra risposta – la risposta europea alla nanotecnologia – non deve ridursi alla disponibilità a seguire la tecnologia alla maniera dei lemming; essa deve tradursi in un approccio socialmente responsabile, che tenga conto dei potenziali rischi.

 
  
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  Bastiaan Belder (IND/DEM). (NL) Signor Presidente, è di vitale importanza seguire con attenzione gli sviluppi della nanotecnologia. La produzione di nuovi materiali a livello molecolare implica la creazione di nuove caratteristiche, i cui effetti sulla salute umana e sull’ambiente sono ancora ignoti. La Commissione ha presentato una proposta di piano d’azione estesa fino al 2009, che suscita grandi aspettative a livello di benefici sociali ed economici; tuttavia, per la Commissione i dubbi etici e le preoccupazioni dell’opinione pubblica rappresentano solo un ostacolo, e in tal senso, signor Commissario, devo dirle che il piano d’azione è ben poco equilibrato.

La stessa considerazione, purtroppo, vale per la relazione Ransdorf, benché essa funga in qualche misura da contrappeso. Dove sta allora la carenza? Manca in primo luogo la disponibilità a prendere in considerazione preoccupazioni che non coincidano con i rischi per la sicurezza: tra l’altro, la questione dell’effettiva desiderabilità delle nuove tecnologie, o i problemi connessi alle convinzioni dei cittadini sui temi di fondo della vita. Occorre in primo luogo esaminare vantaggi e potenziali effetti negativi, per evitare che si compiano scelte fondate unicamente su valori economici, mentre la tecnologia si trova ancora nelle prime fasi del suo sviluppo.

In secondo luogo, l’Unione europea deve concentrarsi maggiormente sul coordinamento internazionale, non solo per quanto riguarda i test di tossicità e la valutazione dei rischi nell’intero ciclo di vita, ma anche in fatto di legislazione su standard, etichettatura e responsabilità: chi commercializza nanoparticelle deve assumersi la responsabilità degli eventuali danni da esse causati.

Occorre infine considerare se sia opportuno introdurre brevetti nel campo delle nanotecnologie e dei nanomateriali, soprattutto per quanto riguarda la tecnologia generale e di base, nonché i materiali in grado di essere impiegati in un ampio ventaglio di modalità diverse: può la Commissione far svolgere un’analisi critica di questa situazione? In seguito potrebbe forse chiedersi in che misura brevetti e licenze rischino di aggravare la situazione dei paesi poveri, e quali misure si possano prendere per contrastare tale tendenza.

 
  
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  Leopold Józef Rutowicz (NI). (PL) Signor Presidente, i risultati della ricerca nel campo della nanotecnologia e delle sue applicazioni fanno prevedere un enorme potenziale per la produzione di materiali ricchi di proprietà positive. Il modo in cui verranno sfruttati tali materiali inciderà sui progressi che nel ventunesimo secolo sarà possibile ottenere nei settori dell’industria, dell’economia e della tutela della salute, e inoltre migliorerà il nostro livello di vita. La corsa verso ulteriori progressi nel campo della nanoricerca e della nanotecnologia è già cominciata e l’Unione europea non può permettersi di perderla.

La relazione indica una serie di ostacoli da superare. Si tratta di problemi giuridici e formali: protezione della proprietà intellettuale, coordinamento della ricerca e sua disponibilità al pubblico, istituzione di gruppi di ricerca interdisciplinari, formazione, finanziamenti supplementari da parte di investitori privati, sicurezza nell’uso e nel trattamento dei nuovi materiali. Tutte queste attività dovranno svolgersi con il monitoraggio e il sostegno del Parlamento europeo.

Desidero ringraziare l’onorevole Ransdorf per la sua solida relazione, che risponde a una pressante esigenza.

 
  
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  Jan Březina (PPE-DE). (CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero ringraziare il relatore per la sua relazione, che indica con estrema precisione le tendenze di questo dinamico settore della scienza e della tecnologia. I mutamenti prodotti dalle nanotecnologie si possono paragonare alle rivoluzioni tecnologiche del passato, e non è escluso che si dimostrino ancor più importanti. Le opportunità che si spalancano dinanzi a noi comportano tutta una serie di sfide: la relazione ne affronta alcune, ma ad altre non offre risposta. Dal testo che stiamo esaminando si trae la conclusione che i nostri concorrenti e partner a livello globale conoscono perfettamente l’importanza delle nanotecnologie e della relativa ricerca: ciò emerge chiaramente dalle somme stanziate per questa ricerca e dalle condizioni che per essa sono state create. Benché la Commissione fosse intenzionata a incrementare gli stanziamenti destinati alle nanotecnologie nell’ambito del settimo programma quadro, secondo il relatore – che mette a confronto le risorse pubbliche e private disponibili in questo campo in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone – tale incremento non è stato significativo. L’Europa è in svantaggio, rispetto agli Stati Uniti, sia nella creazione di infrastrutture sia nell’adozione di standard in materia di proprietà intellettuale.

Il problema della brevettazione delle invenzioni delle nanoscienze e delle nanotecnologie in Europa progredisce con lentezza; la relazione sottolinea la necessità di riformare il sistema europeo dei brevetti, per offrire un aiuto complessivo alla scienza e all’innovazione, ma purtroppo manca un calendario che fissi scadenze precise. Un aspetto dell’utilizzo delle nanotecnologie cui la relazione non accenna è quello del loro possibile impiego militare; in futuro, il fatto che tali tecnologie non siano soggette ad alcuna restrizione potrebbe ritorcersi contro di noi. Nella sua relazione, Thomas van der Molen paragona il libero trasferimento di tali tecnologie alla fornitura di un reattore nucleare a ogni paese del mondo, in cambio della promessa che nessun reattore verrà usato per costruire armi nucleari. A mio avviso, nel prossimo futuro dovremo tener conto anche del settore delle nanotecnologie e affrontare questo problema.

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE). (SV) Le nanotecnologie hanno un grande potenziale, ma chiunque cerchi di immetterle sul mercato dei prodotti di consumo in maniera disinformata, senza regole e senza garanzie, mette davvero a repentaglio tale potenziale. Per il gruppo Verts/ALE la conoscenza deve venire al primo posto, poi deve venire una normativa che tuteli l’ambiente e la salute, e poi la commercializzazione: è questo l’ordine corretto.

Le nanoparticelle non hanno le stesse caratteristiche tossiche delle particelle comuni. La polvere di carbone non è pericolosa, ma le nanoparticelle che si presentano sotto forma di cluster di carbonio causano gravi danni cerebrali ai pesci nel giro di 48 ore, con concentrazioni di appena 0,5 ppm. I nanotubi possono distruggere il DNA mitocondriale, mentre le nanoparticelle presenti sull’epidermide possono migrare nel cervello e nei linfonodi, danneggiando il nostro organismo; il nostro sistema immunitario non è adatto ad affrontare le nanoparticelle. Le stesse ricerche dell’Unione europea dimostrano che le nanoparticelle non biodegradabili e biologicamente incompatibili possono costituire una minaccia per la vita, e che quindi è necessario evitare di inalarle o ingerirle.

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM). (EN) Signor Presidente, questa relazione si occupa essenzialmente dei benefici della nanoscienza e delle nanotecnologie, e sottolinea la necessità che l’Europa si collochi in una posizione di avanguardia nello sviluppo del settore, conformemente agli obiettivi di crescita economica e incremento della produttività fissati a Lisbona. Impostazione encomiabile, nella quale però si scorge una grave lacuna: gli incrementi che si vogliono concedere alla ricerca sulle nanotecnologie precedono una legislazione mirante a regolare le tecnologie stesse.

Tale legislazione dovrebbe almeno tenere il passo della ricerca. Nella fretta di superare Cina e Stati Uniti, corriamo il rischio di considerare una normativa che preveda anche la valutazione dei rischi come un semplice intralcio; tuttavia, dobbiamo anzitutto rispondere a una serie di domande su temi come gli interventi non terapeutici sugli esseri umani, la privacy, l’equità, i brevetti, le applicazioni militari, la sicurezza, la salute e l’ambiente. In questo caso una normativa dovrebbe impedire che la nostra fretta provochi gravi problemi; se si tratterà di una normativa valida, farà anche gli interessi della ricerca, precisandone gli obiettivi e migliorandone l’efficacia. “Guarda dove vai” è sempre stato un consiglio utile e saggio.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero ringraziare il relatore, onorevole Ransdorf, per l’impegno profuso nel suo lavoro. Il collega ha affrontato con lucida sensibilità un tema assai importante, che ora dovrà trovare una collocazione adatta nel contesto delle Istituzioni europee. Da un lato vi sono la ricerca di base, il settimo programma quadro per la ricerca, il Consiglio europeo della ricerca e le piattaforme tecnologiche; in questo campo abbiamo ottenuto risultati di valore non effimero, e desidero congratularmi con il Commissario Potočnik per il prevedibile grande successo di questo settimo programma quadro.

Dall’altro lato vi è il Centro comune di ricerca che potrebbe occuparsi in maniera più decisa e sistematica della cosiddetta industria della paura; la sua obiettività costituirebbe certamente una solida base per il monitoraggio di queste nuove tecnologie. L’Istituto europeo della tecnologia proposto dalla Commissione Barroso potrebbe invece dedicarsi, utilizzando una strategia top-down, a diffondere le conoscenze della ricerca di base presso i settori dell’istruzione e della formazione; una strategia bottom-up potrebbe invece servire per ricavare tali conoscenze dalle istituzioni scolastiche, ma anche e soprattutto dalle piccole e medie imprese, per presentarle poi su piattaforme come eBay. Sarebbe così possibile utilizzare la rete per scambiare idee, esprimere aspirazioni e garantire una migliore comunicazione nelle venti o più lingue europee.

Anche il reattore a fusione ITER potrebbe svolgere un ruolo in questo quadro. Infatti, proprio nel campo della ricerca sulla fusione e il plasma la nanotecnologia costituisce una sfida interamente nuova, come strumento per migliorare l’efficienza energetica, ridurre al minimo le perdite dovute all’usura e sviluppare strategie per la lotta contro la corrosione, anche nella produzione di energia. Vi sono poi possibilità in molti altri campi, tra cui la depurazione.

 
  
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  Ján Hudacký (PPE-DE). (SK) Desidero esprimere la mia gratitudine al relatore, onorevole Ransdorf, per la sua scrupolosissima relazione che mette bene in luce le carenze nello sviluppo delle nanotecnologie, così come le immense opportunità e il promettente futuro di questo settore.

Il piano d’azione della Commissione europea indica le precondizioni di un costante sostegno a questo settore e invita gli Stati membri a dedicarvi maggiore impegno, nel contesto dello sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza. La nanotecnologia è parte integrante di varie discipline tecnologiche, e nel prossimo futuro avrà un importantissimo impatto positivo su quasi tutti i settori dell’industria; ciò basta a dimostrare la necessità di applicare un piano d’azione che garantisca un alto grado di coordinamento e sostegno.

Vorrei ora soffermarmi su alcuni dei problemi che si presentano in quest’importante settore della ricerca e dello sviluppo. Sono convinto che un’attività di ricerca e sviluppo di qualsiasi portata, nel campo della nanotecnologia, soddisferebbe di per sé i criteri di eccellenza. In molti casi, però, questo requisito formale, unito al requisito della cosiddetta massa critica di risorse, impedisce la partecipazione dei centri universitari minori per la ricerca e l’innovazione, nonché dei centri di innovazione delle piccole e medie imprese – che godono dell’appoggio di programmi di sostegno nazionali ed europei, come per esempio il settimo programma quadro o l’imminente Programma quadro per la concorrenza e l’innovazione.

A tal proposito vorrei richiamare la vostra attenzione da un lato sull’esigenza di una migliore cooperazione fra le organizzazioni grandi e piccole attive in questo settore di ricerca e sviluppo, e dall’altro sulla necessità di rendere più competitivo l’ambiente interno.

L’altro problema su cui vorrei soffermarmi è quello dei finanziamenti. Assistiamo a un costante deterioramento della quantità dei finanziamenti destinati a ricerca e sviluppo, e ciò vale anche per la nanotecnologia; resta da osservare che, nonostante il nostro cospicuo potenziale scientifico e innovativo, in questo settore noi siamo in forte svantaggio rispetto agli Stati Uniti. Oltre al settimo programma quadro, si potrebbe ricercare una soluzione, soprattutto per i progetti di ricerca e innovazione di portata più ridotta, nel capitale di rischio, per il quale spesso si sottovaluta il potenziale di una istituzionalizzazione più efficiente, connessa a partenariati tra pubblico e privato.

Credo che la Commissione europea, insieme al Fondo europeo per gli investimenti, potrebbe svolgere un ruolo di coordinamento più efficace attraverso il programma JEREMIE, cui dovranno accompagnarsi raccomandazioni chiare e precise agli Stati membri in merito alla creazione di validi incentivi finanziati con il denaro pubblico, compresi i Fondi strutturali.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. PIERRE MOSCOVICI
Vicepresidente

 
  
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  Romana Jordan Cizelj (PPE-DE). (SL) Potenzialmente, la nanoscienza e la nanotecnologia possono recare un ulteriore, importantissimo contributo alla prosperità del genere umano. Anche la politica deve però agire in armonia con lo sviluppo tecnologico, sia attraverso varie iniziative che con misure legislative. In questo caso dobbiamo promuovere lo sviluppo e mettere a punto una legislazione che impedisca gli abusi e limiti i rischi; in questa prospettiva il documento elaborato dalla Commissione è di grande importanza.

Tuttavia, affrontiamo questo problema con un certo ritardo. Parlamento, Commissione e Consiglio stanno per portare a termine i negoziati riguardanti il settimo programma quadro; tale programma comprende alcuni elementi essenziali del piano d’azione, come la ricerca, l’innovazione e, in qualche misura, le risorse umane. Mi auguro vivamente che il Parlamento si sia seriamente impegnato nelle discussioni e abbia chiesto di riservare un ruolo adeguato alla nanoscienza, sia con la definizione degli specifici soggetti di ricerca, sia col tentativo di garantire un notevole incremento al finanziamento della ricerca.

A tale proposito, rimane aperto un settore che il piano d’azione definisce essenziale per garantire una massa critica alle infrastrutture. Si tratta di connettere le università, le organizzazioni di ricerca e l’industria, e il piano d’azione raccomanda di realizzare tale obiettivo servendosi dei meccanismi esistenti. Nel frattempo si è acceso un vivace dibattito sul cosiddetto Istituto europeo della tecnologia, che costituisce uno stadio più avanzato della medesima idea – quella di garantire la massa critica, con particolare riguardo alle risorse umane.

Dovremo tenere conto delle ponderate conclusioni formulate in tema di nanoscienze e nanotecnologie quando si tratterà di decidere in merito allo sviluppo dei futuri meccanismi tesi a garantire la massa critica. A tale proposito sottolineo la necessità di agevolare la cooperazione sia con i gruppi che hanno già raggiunto livelli di eccellenza nella ricerca, sia con quelli che hanno il potenziale per raggiungere l’eccellenza in tempi relativamente brevi. Nanoscienze e nanotecnologie possono costituire un banco di prova per stringere rapporti ancora più stretti fra i tre elementi di quello che viene definito triangolo della conoscenza.

Desidero infine congratularmi con il relatore per il suo magnifico lavoro.

 
  
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  Lambert van Nistelrooij (PPE-DE). (NL) Signor Presidente, secondo l’ultimo studio del World Economic Forum, dalla capacità innovativa dipende all’incirca il 30 per cento della competitività dei paesi più sviluppati, e ciò vale particolarmente per la nanotecnologia. Il suo utilizzo nella medicina, per esempio, spalanca la possibilità di migliorare le terapie per i tumori, le patologie cardiache, il morbo di Alzheimer e quello di Parkinson: malattie che, nell’insieme, causano in Europa i due terzi dei decessi.

In questo campo imprese e istituzioni di ricerca europee sono all’avanguardia nel mondo. Solo nei Paesi Bassi, il settore delle nanotecnologie, nel quale il governo investe somme ingenti, raggiunge un volume d’affari di 20 miliardi di euro; il Centro di medicina molecolare di Eindhoven, per esempio, è uno dei beneficiari di tali investimenti. Considerando l’atteggiamento richiesto dallo sviluppo e dalla concorrenza sul piano mondiale, le imprese stanno seguendo la stessa tendenza nel quadro di una strategia di attacco.

Le necessità di compiere scelte, di investire, di sostenere le infrastrutture europee di base sono tutti elementi che trovano una valida espressione nella relazione Ransdorf. Di conseguenza, alla Commissione, agli Stati membri e alle autorità regionali spetta il compito di collaborare con l’industria e con le PMI, per garantire che questi principi vengano tradotti in pratica nella produzione industriale di questa parte del mondo. Il settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo, le piattaforme tecnologiche europee e le “regioni della conoscenza”, insieme ai Fondi strutturali, hanno gettato valide basi, soprattutto dal punto di vista finanziario. Vi sono d’altra parte i rischi, che bisogna naturalmente considerare, soprattutto a livello globale, nell’ambito dell’UNESCO e dell’OCSE.

Infine, quest’autunno il Commissario Potočnik metterà mano a una roadmap delle infrastrutture di ricerca, che dovrà indicare quali regioni, aree o aggregazioni hanno veramente il potenziale per raccogliere le sfide poste dalla concorrenza globale. Gli investimenti non devono tradursi in una “fuga di cervelli” globale, ma devono significare in concreto un “afflusso di cervelli”, che vada a vantaggio dell’economia europea e della prosperità dei cittadini europei.

 
  
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  Janez Potočnik, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, risponderò telegraficamente e cercherò di sintetizzare quello che a mio avviso è il succo del dibattito odierno in materia di innovazione, finanziamenti, rischi, etica e quadro normativo; affronterò questi temi uno alla volta.

Per quanto riguarda l’innovazione, senza dubbio le nanoscienze e le nanotecnologie sono dotate di un potenziale elevatissimo. Le nanoscienze sono molto simili alla tecnologia dell’informazione, e da un progresso decisivo in questo campo deriverebbero progressi in tutti i settori; per tale motivo è importantissimo seguire assai attentamente l’innovazione.

Se dovessimo confrontare la nostra situazione con quella degli Stati Uniti, scopriremmo che in molti settori non siamo affatto in ritardo; il settore in cui siamo veramente rimasti indietro, però, è quello della tecnologia dell’informazione. Se si considera la quantità di denaro che stanziamo per innovazione, ricerca e sviluppo, ne emerge che il nostro ritardo è strutturale, non solo complessivo; non dobbiamo ripetere il medesimo errore per l’innovazione.

Stiamo cercando di coinvolgere piattaforme tecnologiche europee, iniziative tecnologiche comuni – in cui siamo molto attivi – e imprese del settore. Anch’io considero molto importante il problema della proprietà intellettuale, che appunto per questo è stato trattato con attenzione speciale nel piano d’azione.

Vorrei soffermarmi ora sui finanziamenti. Vi sono due settori in cui l’impegno da questo punto di vista è particolarmente deciso: uno, naturalmente, è quello delle nanoscienze e delle nanotecnologie; l’altro è quello delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Ma c’è di più; vi sono anche le questioni che saranno trattate in seno al Consiglio europeo della ricerca, nel programma “Persone”, nel programma “Capacità” e nelle infrastrutture – gli aspetti connessi allo sviluppo regionale. E’ quindi arduo confrontare gli stanziamenti destinati oggi al sesto programma quadro con quelli che verranno utilizzati nel settimo programma quadro; posso dirvi però che i finanziamenti verranno considerevolmente incrementati rispetto alla situazione attuale.

Ancora, se confrontiamo i finanziamenti europei con quelli degli Stati Uniti, dobbiamo ricordare che il programma quadro costituisce il 5 per cento dei finanziamenti pubblici europei. E’ ovvio quindi – se si considera la quantità di finanziamenti pubblici destinati alle nanoscienze – che si tratta del 30 per cento di tali finanziamenti pubblici in Europa. Ovviamente la nostra attenzione per questo tema è, in proporzione, ben più alta di quella degli Stati membri; è un elemento che va sottolineato con forza.

In secondo luogo, in circostanze normali due terzi dei finanziamenti dovrebbero provenire dal settore privato, su cui dobbiamo puntare la nostra attenzione. A tal proposito abbiamo tra l’altro riscontrato – e la cosa è stata pubblicata nell’agosto 2006 – che, secondo le imprese che svolgono ricerca in ambito europeo, gli elementi decisivi sono anzitutto l’esistenza del mercato e poi le conoscenze disponibili; non il livello dei salari. Il livello dei salari è pressoché irrilevante quando parliamo di conoscenze e di ricerca e sviluppo. Ecco gli aspetti che meritano attenzione.

In terzo luogo, per quanto riguarda i rischi, effettivamente le nostre conoscenze non sono complete; sarebbe un’ipocrisia affermare che lo sono, perché non è vero. Tuttavia, tali conoscenze si sono ormai molto accresciute, e concordo con quanti osservano che bisogna tener conto di tale situazione nel contesto del settimo programma quadro. Nel piano d’azione abbiamo anche tenuto adeguato conto dei problemi connessi ai rischi; di recente è stata altresì completata una raccolta informale di materiale da utilizzare per ulteriori progetti nell’ambito del settimo programma quadro. Inoltre, è di estrema importanza affrontare le questioni concernenti i rischi in modo del tutto trasparente, e istruire e informare i cittadini in maniera adeguata.

Quanto poi all’etica, è chiaro che dobbiamo rispettare gli elevati standard e principi etici cui ci siamo sempre attenuti, senza transigere su questo punto.

Infine, per quanto riguarda il quadro normativo, anche le questioni riguardanti questo aspetto formano parte integrante del piano d’azione; esse vi si concentrano, e la Commissione collabora strettamente con la DG ricerca e le altre DG interessate agli aspetti normativi – nonché con esperti esterni – per risolvere varie incertezze riguardanti i potenziali rischi e l’esposizione al pericolo, correggere i divari di conoscenza e sviluppare ulteriormente orientamenti e metodi. Infine, viene esaminata scrupolosamente l’adeguatezza della legislazione presente e futura in materia di prodotti della nanotecnologia.

In sintesi, è indubbiamente necessario un approccio equilibrato, che comporti trasparenza, un elevato livello di tutela della salute pubblica, di sicurezza e di protezione dell’ambiente e dei consumatori, ma che nello stesso tempo miri a sfruttare l’immenso potenziale di ricerca e innovazione delle nanoscienze e delle nanotecnologie. La relazione odierna ha offerto un’ottima occasione per ribadire tutti questi elementi del nostro approccio; ringrazio gli onorevoli deputati per l’attenzione che rivolgono a questi temi, per il sostegno che hanno offerto al nostro lavoro e per i problemi che hanno sollevato.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi, alle 12.00.

 

5. Aumentare e migliorare l’aiuto dell’Unione europea: misure 2006 per un aiuto efficace (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0270/2006) presentata dall’onorevole Alain Hutchinson a nome della commissione per lo sviluppo su “Cooperare di più, cooperare meglio: il pacchetto 2006 sull’efficacia degli aiuti dell’Unione europea” [2006/2208 (INI)].

 
  
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  Alain Hutchinson (PSE), relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, la relazione che, spero, voteremo oggi fa direttamente seguito alle tre comunicazioni della Commissione che costituiscono il cosiddetto “pacchetto sull’efficacia degli aiuti allo sviluppo” e s’inserisce nel quadro più ampio degli sforzi per migliorare la cooperazione europea allo sviluppo. La relazione va vista in questo contesto.

Per quanto concerne l’obiettivo, o meglio la sfida, questo non potrebbe essere più chiaro: come possiamo noi Europei migliorare in maniera significativa l’aiuto che prestiamo ai paesi del sud? In altre parole, come possiamo intervenire affinché gli aiuti diretti ai paesi del sud si traducano in maniera più sistematica in progressi concreti in grado di cambiare davvero la vita di milioni di persone che vivono in condizioni umanamente inaccettabili?

Ormai è diffusa la consapevolezza che i nostri aiuti potrebbero essere migliori e sono stati assunti impegni politici che consentiranno di rendere questo punto prioritario nella nostra politica di cooperazione allo sviluppo. Esiste un consenso a livello europeo a favore dello sviluppo e di una nuova strategia per l’Africa. Le prospettive sono dunque molto buone. Il dispositivo legislativo e tecnico sarà presto completato. Non ci resta pertanto, per così dire, che mettere in pratica questo proposito.

Nella relazione abbiamo affrontato diversi aspetti del problema, tra cui la definizione stessa di cooperazione allo sviluppo e dunque di quanto ogni Stato membro ha legittimamente diritto di stanziare per gli aiuti pubblici allo sviluppo, il livello minimo di aiuto da raggiungere per onorare i nostri impegni, lo svincolo degli aiuti, un processo, questo, che gli Stati membri – o perlomeno alcuni di essi – sono chiaramente restii ad applicare, l’assenza di indicatori atti a valutare i progressi realmente compiuti verso un miglioramento degli aiuti europei, o, ancora, i timori degli operatori sul campo che rilevano una certa riluttanza a coinvolgere i paesi beneficiari nelle strategie e nei programmi che sono loro destinati.

A questi aspetti specifici, che consentono di capire meglio la vastità del compito da svolgere per migliorare in modo tangibile i nostri aiuti, si aggiungono anche le 3 C: complementarietà delle iniziative, coordinamento dei programmi e coerenza delle politiche. Esse formano un quadro di lavoro, una griglia di lettura particolarmente importante delle iniziative che dovremo intraprendere nei prossimi anni in materia di cooperazione.

Per quanto concerne la complementarietà delle iniziative, sia a livello settoriale che geografico, è un dato di fatto che la suddivisione del lavoro si scontra con diverse resistenze e difficoltà. Con un poco di apertura e di audacia, dovremmo essere in grado di superarle. La discussione non può ridursi a una contrapposizione tra il protezionismo degli Stati membri e il centralismo di Bruxelles, anche se è opportuno mettere in guardia contro un centralismo eccessivo che tende ad adottare nella programmazione un’impostazione dall’alto verso il basso contraddistinta da una partecipazione marginale dei paesi partner e della società civile nella definizione di strategie e priorità.

Nondimeno, un coordinamento a livello centrale tra gli Stati membri e la Commissione presenterebbe vantaggi indiscutibili e permetterebbe di evitare, come invece accade oggi, che in uno stesso paese o una stessa regione vi sia una pletora di operatori diversi occupati a fare la stessa cosa. L’atlante dei donatori mette per esempio chiaramente in luce l’esistenza di crisi dimenticate, di paesi lasciati orfani, per così dire, a fianco di situazioni come quella successiva alla catastrofe dello tsunami, dove i paesi beneficiari hanno ricevuto con la massima tempestività una quantità enorme di aiuti che non sono in grado di gestire.

Seppure si parli da anni di coordinamento, le difficoltà riscontrate nell’armonizzazione delle procedure e in un migliore coordinamento dei diversi programmi di cooperazione dell’Unione rimangono enormi. Oltre a ricercare una coerenza interna nelle diverse politiche comunitarie, dobbiamo elaborare politiche coerenti tra loro nelle diverse aree geografiche cui è diretta la nostra politica per lo sviluppo. Esattamente questo punto figura all’ordine del giorno della Presidenza finlandese che ha deciso di dedicarvi una parte considerevole del proprio lavoro.

Alla luce di questa considerazione è sembrato più opportuno limitarci a sottolineare l’importanza di questo aspetto nella relazione, in attesa di vedere cosa ci riserva il prossimo futuro; ma ho voluto cogliere l’opportunità datami oggi per sollevare comunque questo aspetto che ritengo essenziale e fondamentale per qualsiasi strategia di cooperazione, anzi per qualsiasi progetto politico.

Ogni giorno – lo sappiamo perché se ne parla regolarmente – ci sono imbarcazioni che raggiungono le coste spagnole, ossia le coste dell’Unione, con a bordo centinaia di persone che stanno tentando di sfuggire a un destino anche a rischio della loro stessa vita. Questo fenomeno pone senz’altro una serie di interrogativi sulla gestione dei flussi migratori, sui controlli delle frontiere o sulle politiche d’integrazione degli immigrati. Oltre a porre in termini forti la questione dell’efficacia della nostra politica di cooperazione e della sua coerenza con le nostre altre politiche.

Senza voler fare del sarcasmo, mi chiedo quali conclusioni possiamo trarre riguardo a una cooperazione che si protrae da oltre 40 anni, se come risultato le popolazioni che pretendiamo di aiutare aspirano soltanto a fuggire a qualsiasi costo dalla situazione in cui si trovano. Non usiamo mezzi termini: credo che possiamo parlare di un vero e proprio fallimento. Come potrebbe essere altrimenti per i paesi del sud, considerato che questa politica di cooperazione accorda loro 50 miliardi di euro l’anno, ma è subordinata all’obbligo di ripagare un debito tramite restituzioni annue che ammontano a quattro volte tale somma?

Come possiamo sbandierare ancora la nostra determinazione a lavorare per lo sviluppo dei paesi del sud, quando imponiamo loro nel contempo le regole di un libero scambio che essi non sono in grado di rispettare alle condizioni che abbiamo stabilito? Come possiamo lottare contro la povertà se al contempo non facciamo nulla per contrastare le cause strutturali di tale povertà?

A onore del vero, per quanto possa essere efficace la politica di cooperazione allo sviluppo, essa non potrà mai rispondere da sola alle numerose problematiche dei paesi del sud del mondo. Questo è un motivo in più per volere una cooperazione migliore, perché una cooperazione europea allo sviluppo più efficace significherà che l’Europa è diventata consapevole della necessità di mettere in atto una politica globale interamente dedicata al perseguimento di un obiettivo prioritario comune: la creazione di un mondo più giusto e solidale.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, parlo a nome del mio collega, il Commissario Michel, che non può essere presente questa mattina. Desidero ringraziare innanzi tutto il relatore, l’onorevole Hutchinson, e la commissione per lo sviluppo che hanno trattato l’importante aspetto dell’efficacia degli aiuti nell’ambito della politica allo sviluppo UE tramite una relazione costruttiva.

Migliorare la quantità e la qualità degli aiuti allo sviluppo rientra senz’altro tra gli impegni principali sanciti nel “consenso europeo per lo sviluppo”, una dichiarazione sottoscritta da tutti gli Stati membri, la Commissione e il Parlamento nel 2005. Tale documento è un punto di riferimento per tutti noi. In primo luogo, esso apre una nuova dimensione per un lavoro sinergico tra i 25 Stati membri e la Commissione. Secondariamente sancisce con chiarezza, per la prima volta nella storia dell’Unione, la visione, i principi e gli obiettivi comuni che governano la nostra politica allo sviluppo. In terzo luogo, il consenso evidenzia la posizione privilegiata della Commissione e la volontà di riorientare le attività degli Stati membri al fine di perseguire una sinergia migliore di cui si sente fortemente la necessità.

Come rilevato in tutte le discussioni imperniate sul consenso europeo, spetta alla Commissione il compito di migliorare l’incisività delle misure europee per lo sviluppo e di incrementare l’efficacia degli aiuti europei. L’Unione europea deve essere una forza trainante nei consessi internazionali che si occupano dell’efficacia degli aiuti, in particolare in seno all’OCSE/CAS, dove la Commissione gode dello status di membro a pieno titolo. Un’Unione europea forte può rendere forte anche il CAS.

Il Commissario Michel ha tenuto conto di questi aspetti nel pacchetto di misure concrete da lui proposto per migliorare l’efficacia degli aiuti e approvato dal Consiglio nella primavera di quest’anno. L’impostazione della Commissione in materia di efficacia degli aiuti è basata sull’esperienza raccolta sul campo, nonché sulle buone prassi e sulle aspettative dei paesi partner. Le sue radici affondano nei principi di armonizzazione, appropriazione, allineamento e gestione imperniata sui risultati, come sancito dalla dichiarazione di Parigi.

Il Parlamento ha già dimostrato tramite precedenti risoluzioni e di nuovo in questa relazione di sostenere la Commissione nelle sue azioni volte a rafforzare il coordinamento e la coerenza delle iniziative sia della Commissione stessa che dell’Unione in materia di sviluppo. La relazione pone l’accento su tre ambiti in cui sarà importante compiere progressi nel 2007 e vorrei soffermarmi brevemente su ognuno di essi.

Il primo ambito cruciale per la Commissione è il rafforzamento della complementarietà e la divisione del lavoro. L’Atlante dei donatori UE ha evidenziato lacune e sovrapposizioni nelle attività dei donatori che pregiudicano l’efficacia degli aiuti. Al fine di ovviare a queste carenze, la Commissione ha avviato con gli Stati membri una procedura finalizzata all’acquisizione di principi operativi che garantiscano una migliore ripartizione del lavoro tra i donatori europei. Attualmente l’iniziativa è in fase di discussione e dovrebbe diventare operativa con le conclusioni del Consiglio nel 2007.

Per quanto concerne la programmazione congiunta degli aiuti, l’Unione dispone di un quadro comune approvato la scorsa primavera. Esso prevede l’elaborazione di diagnosi e analisi comuni nei paesi partner, in stretta collaborazione con gli Stati membri coinvolti, al fine di stabilire soluzioni operative comuni. I paesi partner e la società civile svolgono un ruolo centrale e attivo in questo processo. La società civile non è affatto esclusa da tali discussioni, anzi è stata fortemente coinvolta nella procedura di diagnosi per paese al fine di consentirle di appropriarsi appieno di questo processo. Tale impostazione è perfettamente in sintonia con quella impiegata per la programmazione CE.

Per ultimo vorrei formulare alcune osservazioni su uno strumento essenziale per migliorare la divisione del lavoro e il coordinamento, ossia il cofinanziamento. Nel 2007 la Commissione presenterà proposte specifiche di rafforzamento del cofinanziamento quale strumento per migliorare la ripartizione del lavoro tra i donatori, nonché per affiancare gli Stati membri impegnati a incrementare le proprie risorse operative per lo sviluppo. Il Parlamento ha insistito nelle sue richieste molto legittime alla Commissione acciocché fosse assicurato il coordinamento tra gli Stati membri al fine di incrementare l’efficacia degli stanziamenti per lo sviluppo. Come potete vedere, la Commissione è stata molto propositiva e utilizzerà, in stretta collaborazione con gli Stati membri, tutti gli strumenti a sua disposizione per migliorare vieppiù l’efficacia degli aiuti. Invito il Parlamento europeo a sfruttare la riunione congiunta sullo sviluppo con i parlamenti nazionali del prossimo ottobre per raccogliere maggiore sostegno attorno a queste iniziative.

E’ davvero importante che l’UE innalzi le sue ambizioni politiche in sintonia con il proprio status di maggiore donatore al mondo. Il Parlamento può svolgere un ruolo chiave nell’aiutare gli Stati membri a accelerare le riforme in corso e completare il cambiamento di mentalità necessario per lavorare in questa nuova dimensione comune. I risultati su questo fronte sono essenziali per il perseguimento dei nostri obiettivi di sviluppo e per assumere la guida dell’agenda di sviluppo mondiale.

Ricordiamo che il fine ultimo è vincere la battaglia contro la povertà. Il successo ci potrà arridere soltanto se lavoriamo insieme e sfruttiamo al meglio tutti i mezzi a nostra disposizione. Grazie alla dichiarazione di consenso europea, ora disponiamo di tutti gli strumenti necessari a realizzare il nostro intento. Dobbiamo assicurarci che questi impegni mantengano una priorità elevata nel nostro programma politico; non dobbiamo lasciarci sfuggire questa possibilità concreta di tradurre i nostri impegni politici in realtà. A prescindere dai risvolti politici, è in gioco la credibilità di tutti noi.

 
  
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  Margrietus van den Berg (PSE), relatore per parere della commissione per il commercio internazionale. – (NL) Signor Presidente, il nostro ringraziamento va innanzi tutto all’onorevole Hutchinson per questa relazione importante. Un’assistenza allo sviluppo efficace presuppone che l’approccio dell’Unione verso gli aiuti sia coerente con la nostra politica commerciale. Per conseguire gli Obiettivi del Millennio entro il 2015, gli aiuti e il commercio possono e devono essere complementari, anche se purtroppo nella prassi odierna sono spesso distanti tra loro. Le politiche di aiuto e commerciali, tra cui la politica agricola, sono troppo spesso attuate per compartimenti stagni e questo è senz’altro uno dei motivi per cui occorrerà un altro secolo prima di trasformare la povertà in Africa in un ricordo del passato.

Al momento non si parla molto della coerenza tra le politiche europee. Mentre i negoziatori del Commissario Mandelson predicano il libero scambio disciplinato da norme di portata mondiale, i funzionari sotto la guida del Commissario Michel lavorano per lo sviluppo e si sforzano di realizzare gli Obiettivi di sviluppo del Millennio; nel contempo su un altro fronte ancora la politica per le sovvenzioni agricole mette i bastoni tra le ruote a entrambi. Queste diverse politiche mi sembrano navi fantasma.

A pagare le conseguenze di una situazione simile è purtroppo la politica allo sviluppo; per esempio, le considerazioni di natura commerciale permeano in misura eccessiva gli accordi di partenariato economico, i famosi – o talvolta famigerati – APE. Chi cerca aiuti per lo sviluppo viene troppo spesso indirizzato verso i fondi esistenti e solo di rado si trovano i segni di un sistema davvero integrato che richiederebbe lo stanziamento di ulteriori risorse e l’elaborazione di nuovi piani di sviluppo. Eppure proprio gli APE, che partono dal principio di una maggiore cooperazione locale, potrebbero contribuire a rendere gli aiuti più efficaci.

Da questo punto di vista dobbiamo dare per scontato che, in materia di sviluppo, è necessario tutelare le parti negoziali più deboli, affinché dagli APE possano scaturire accordi onesti con un calendario realistico. Il commercio potrà “decollare” soltanto a condizione che, ad esempio, sia riformato il sistema di tassazione con la sostituzione dei dazi doganali, si disponga di istituzioni pubbliche e di assistenza sociale più forti, nonché di un migliore sistema scolastico e sanitario. La mancanza di coordinamento e coerenza riscontrata oggi non è solo segno di inefficienza, ma è anche inaccettabile in quanto contraria allo spirito dell’articolo 178 del Trattato.

Tale carenza è dovuta in parte al fatto che le conoscenze e le competenze degli esperti nel campo del commercio o, viceversa, dei promotori dello sviluppo spesso interferiscono con i reciproci ambiti di attività. Inoltre manca la volontà di sommare i costi e i benefici effettivi dello sviluppo integrato e di cercare insieme – e includo anche il Consiglio – nuovi finanziamenti. Le politiche europee in settori come l’agricoltura, il commercio e lo sviluppo, tendono poi a lavorare le une contro le altre; le sovvenzioni all’agricoltura consentono di esportare a condizioni di dumping i nostri prodotti verso l’Africa settentrionale, ma incrementano così la disoccupazione in queste zone. I responsabili dell’immigrazione lamentano l’ondata di profughi economici provenienti da tali aree, ma non si forzano di fornire aiuti e preferiscono concentrarsi su accordi forti relativi al mercato regionale del lavoro.

La situazione potrà migliorare in modo sostanziale soltanto in seguito alla definizione di un programma europeo coerente da parte della Commissione e del Consiglio. Il commercio internazionale è importante e può aiutare in maniera determinante i paesi in via di sviluppo a spezzare il circolo vizioso della povertà. Innumerevoli sono i vantaggi tratti da una combinazione armonica di aiuti e commercio; questo sforzo di complementarietà non deve intralciare lo sviluppo di tali paesi e solo così potremo realizzare gli Obiettivi del Millennio. Chiedo un piano programmatico europeo coerente e, sotto questo punto di vista, lo strumento proposto per la cooperazione allo sviluppo può fornire un utile quadro.

 
  
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  Tokia Saïfi, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei ringraziare il relatore Hutchinson e complimentarmi con lui per la qualità del suo lavoro su questo tema importante e così determinante per il nostro avvenire.

Il 2005 è stato un anno ricco di svolte decisive per gli aiuti allo sviluppo. Se è vero che ci stiamo mobilitando, è tempo di passare dalle parole ai fatti. In quest’ottica possiamo soltanto plaudere agli sforzi compiuti dall’Unione europea e da alcuni Stati membri a favore di un incremento sostanziale degli aiuti allo sviluppo. Tuttavia, anche se è ovvio che le risorse finanziarie sono indispensabili per un aiuto efficace, da sole non sono sufficienti.

E’ necessario esercitare un controllo rigido sulle iniziative per lo sviluppo al fine di determinare con precisione il grado di attuazione di queste politiche. L’aiuto allo sviluppo deve avere ambizioni qualitative oltre che finanziarie se intende ridurre in maniera tangibile la povertà. Sottolineo in questo senso l’importanza di mettere in atto meccanismi di finanziamento innovativi che possano fare affidamento su risorse costanti e prevedibili. In quest’ottica accolgo con favore la creazione di UNITAID in occasione dell’ultimo vertice delle Nazioni Unite: il programma garantirà ai paesi in via di sviluppo un accesso agevolato ai farmaci. Questa iniziativa è appena agli esordi, possiamo pertanto solo augurarci che dimostri appieno la sua efficacia e veda l’adesione di numerosi nuovi paesi oltre a quelli che già vi partecipano, come per esempio la Francia.

Alla stregua di un direttore d’orchestra, l’Unione europea deve dirigerci verso una migliore ripartizione dei compiti nel settore degli aiuti allo sviluppo. Tale coordinamento è necessario sia a livello di Unione europea che sul campo, con il coinvolgimento delle popolazioni beneficiarie. Il pacchetto di misure per un aiuto efficace rappresenta una prima tappa. L’Unione europea e gli Stati membri condividono le medesime aspirazioni per lo sviluppo. Allora cogliamo insieme questa sfida per un aiuto efficace e trasparente, rimanendo fedeli agli impegni assunti.

 
  
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  Miguel Ángel Martínez Martínez, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, l’altro ieri abbiamo incontrato la Presidente della Liberia e abbiamo voluto illustrarle brevemente gli impegni principali che il Parlamento europeo si è assunto nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. In tale occasione abbiamo sottolineato che il gruppo del Partito del socialismo europeo intende lavorare su due fronti, affinché da una parte siano messe a disposizione più risorse per questa finalità – che riteniamo prioritaria tra le responsabilità dell’Unione europea – e, d’altra parte, sia garantita la massima efficienza nell’uso delle risorse disponibili al fine di conseguire risultati tangibili in questa sfida sempre più importante e irrinunciabile.

In quest’ottica, la relazione preparata dal mio collega e amico Alain Hutchinson costituisce un documento di straordinaria importanza per il rigore e la profondità con cui analizza la tematica in questo momento cruciale, in cui l’opinione pubblica dell’Unione europea comincia a rendersi conto che non abbiamo alternative e in Europa dobbiamo contribuire con tutte le nostre forze allo sviluppo e alla stabilizzazione dei paesi del sud in nome di un principio di solidarietà ma anche al fine di frenare l’esodo degli emigranti che fuggono dal sottosviluppo attirati verso i nostri paesi.

La relazione Hutchinson e l’ottima proposta di risoluzione che sarà senz’altro approvata con una netta maggioranza non sono semplicemente l’ennesimo documento tra i tanti discussi in questo Parlamento. Sono perfettamente d’accordo sulla sua impostazione e non desidero ribadirne i contenuti in questa occasione. Mi limiterò a dire che è particolarmente attuale in un giorno come questo, poiché a quanto pare alcune ore fa sono andati in porto i negoziati per un nuovo strumento giuridico di finanziamento della nostra cooperazione allo sviluppo.

La relazione è un pezzo di autentica dottrina che contiene numerosissime idee e proposte di cui il Consiglio e sopra tutto la Commissione dovranno tenere debito conto se intendono migliorare l’efficacia delle nostre iniziative di cooperazione.

Questo Parlamento, la commissione per lo sviluppo e naturalmente anche il gruppo del Partito del socialismo europeo devono impegnarsi affinché le proposte di Alain Hutchinson non rimangano lettera morta o diventino una mera dichiarazione di buoni propositi. Dobbiamo assicurarci che diventino una sorta di guida delle nostre azioni, che l’efficacia ottenuta in questo ambito contribuisca a conseguire risultati maggiori e migliori atti a giustificare vieppiù lo sblocco di risorse più ingenti e generose in un capitolo di spesa che ha smesso di essere secondario, periferico o minore – un placebo per la coscienza – per assurgere a priorità tra le politiche dell’Unione europea.

 
  
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  Gabriele Zimmer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Hutchinson, desidero ringraziarla innanzi tutto per la sua relazione eccellente che troverà il consenso senza riserve di tutto il mio gruppo.

A prescindere dallo schieramento politico, negli anni scorsi i deputati di quest’Aula hanno preso molto sul serio il compito già posto a suo tempo dall’Assemblea plenaria delle Nazioni Unite nel 2000 di conseguire risultati misurabili, definendo obiettivi e dimostrando i progressi compiuti. Gli Obiettivi di sviluppo del Millennio restano anche per noi il metro di misura dell’efficacia del nostro lavoro sul fronte della politica per lo sviluppo.

La relazione interlocutoria delle Nazioni Unite è stata per noi motivo di allarme, nella misura in cui ha dimostrato che gli obiettivi prefissati non sono stati raggiunti. Questo fallimento appesantisce certo le coscienze di noi europei dai lauti stipendi, ma per milioni di persone che vivono in povertà significa addirittura la morte, per milioni di ragazze significa una vita senza istruzione. Questo dovrebbe essere un motivo sufficiente per indurre la Commissione a verificare l’efficacia dei suoi aiuti e per spingere noi a verificare l’autoanalisi compiuta dalla Commissione. Ancora una volta mi complimento con l’onorevole Hutchinson per il suo lavoro eccellente, con cui ha impartito istruzioni molto chiare alla Commissione.

In questa occasione vorrei analizzare anche il nostro ruolo come Parlamento, in quanto anche noi siamo in parte responsabili di questo fallimento. Anno dopo anno, abbiamo avallato bilanci che non erano fedeli ai loro scopi. Ma saremmo stati in grado di decidere altrimenti? Disponiamo di informazioni adeguate per esercitare la nostra funzione di vigilanza? Ne dubito. La Commissione non è riuscita sinora a persuaderci di avere gestito i progetti nella maniera idonea a raggiungere gli otto Obiettivi di sviluppo del Millennio. I dati di bilancio in base ai quali ci viene chiesto di prendere le nostre decisioni sono troppo superficiali.

Nel 2005 abbiamo richiesto alla Banca europea per gli investimenti un’analisi comparativa in merito alla sua attività creditizia, ovvero una valutazione di ogni prestito in funzione del suo contributo al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Tale valutazione non è disponibile per i finanziamenti che noi stessi controlliamo. Nessuna istituzione può impedirci di esercitare un controllo completo sulle risorse stanziate e pertanto come Parlamento europeo dovremmo avere voce nella cooperazione allo sviluppo e più precisamente nella programmazione del Fondo europeo di sviluppo.

Occorrono proposte a livello nazionale e regionale in cui siano definiti obiettivi e tappe basilari in vista del progressivo conseguimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. In futuro la Commissione ci dovrà fornire relazioni suddivise per nazione e per regione, nonché per settore, analitiche fino al livello di singolo progetto. Dobbiamo ricevere relazioni in cui sia riportato un elenco dei promotori di ogni progetto, delle società di consulenza coinvolte e dei finanziamenti stanziati in loro favore.

La relazione Hutchinson contiene 65 proposte importanti. Essa palesa una competenza disponibile in questo Emiciclo cui in futuro bisognerà attingere, ma credo anche che un secondo pilastro di competenza, oltre a quello formato dai governi delle regioni interessate, sia costituito dalle istituzioni attive in queste regioni che dovrebbero essere maggiormente coinvolte. Nella relazione si loda l’intenzione di selezionare donatori di riferimento in settori specifici di una determinata regione. Noi potremmo fare altrettanto e, con la forza finanziaria di cui dispone l’Unione europea rispetto alle Nazioni Unite, assumere una posizione di guida per uno degli otto Obiettivi di sviluppo del Millennio. Proporrei di fare nostro il problema dell’acqua.

L’Unione europea potrebbe impegnarsi nella realizzazione di sistemi per l’acqua potabile e le acque reflue in Africa insieme ai partner locali. Certo la nostra immagine ne uscirebbe rafforzata dopo il recente scandalo relativo all’avvelenamento dell’acqua potabile da parte di società europee. Dobbiamo invitare anche la Commissione a presentare una tabelle di marcia in cui sia definito il calendario per la creazione di sistemi sostenibili di fornitura dell’acqua potabile e di smaltimento delle acque reflue in tutti i principali centri urbani dell’Africa subsahariana. Dobbiamo esigere relazioni periodiche che ci tengano aggiornati sui progressi compiuti nel conseguimento di questo obiettivo.

Desidero che la Commissione ci informi se dispone delle strutture necessarie a realizzare un master plan per un simile compito e se conviene sulla necessità per la comunità internazionale di un centro specializzato a tal fine. Occorre trovare sistemi migliori di comunicazione tra gli operatori sul campo, i responsabili politici e i donatori. Inviterei la Commissione a organizzare una conferenza internazionale biennale sullo sviluppo dell’Africa con l’obiettivo specifico di rendere i politici e i donatori attenti alle necessità effettive e alle esperienze acquisite. Si potrebbe allestire una mostra per illustrare sia i progetti riusciti che quelli meno efficaci, dando un giusto riconoscimento ai primi.

Tale manifestazione potrebbe trasformarsi anche in un’occasione per assumere personale specializzato nella cooperazione allo sviluppo, con particolare attenzione alle nuove leve.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (NI).(PL) Signor Presidente, se chiediamo a qualcuno qual è la superpotenza dominante nel mondo, chiunque risponderebbe che sono gli Stati Uniti. Ma è l’Unione europea che fornisce oltre la metà degli aiuti pubblici al mondo e si colloca come massimo donatore mondiale. Purtroppo questo risultato non si traduce in una leadership dell’Europa sulla scena internazionale. Diciamo “Unione” ma in realtà pensiamo in termini di “Stati membri”, poiché le decisioni del Consiglio europeo del dicembre 2005 a Bruxelles stabiliscono esattamente che dall’80 al 90 per cento dei nuovi aiuti ai paesi in via di sviluppo deve provenire dagli Stati membri.

Dobbiamo domandarci se in futuro saremo disposti a considerare una riduzione del debito come una forma di aiuto allo sviluppo per taluni paesi, come ne abbiamo parlato di recente per l’Iraq e la Nigeria. Sarebbe una soluzione pratica per l’Unione, ma ridurrebbe l’importo effettivo degli aiuti forniti ai paesi in via di sviluppo. A prescindere dalla cancellazione del debito, l’anno scorso è stato registrato un incremento di cinque miliardi negli aiuti effettivamente concessi ai paesi poveri. Mentre taluni parlano “di appena cinque miliardi”, per altri si è trattato di “ben cinque miliardi”.

In conclusione, parlando come rappresentante di un nuovo Stato membro dell’Unione europea, posso dire che i paesi di nuova adesione e più poveri dell’Unione si trovano in una situazione del tutto inconsueta. Facciamo parte della Comunità europea e desideriamo ottemperare agli obblighi che essa comporta. I nostri paesi devono capire che nel mondo c’è chi è più povero di noi.

 
  
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  Karin Scheele (PSE).(DE) Signor Presidente, anch’io vorrei congratularmi con il relatore per l’ottimo lavoro. Con 65 punti è riuscito a trattare vari aspetti ed elementi necessari per un aiuto completo e migliore. Ha illustrato le nuove fonti per finanziare lo sviluppo, oltre a motivare la necessità di una logica basata sulla cancellazione del debito quale strumento per dare un margine d’azione maggiore ai paesi in via di sviluppo che lottano contro la povertà. Com’è ovvio, ha sottolineato anche la necessità di una coerenza tra i vari ambiti politici. I nostri aiuti potranno essere efficaci se le nostre politiche sono più coerenti tra loro.

Certo, non dobbiamo scardinare il principio della responsabilità in nome dell’efficienza. Proprio adesso che la collaborazione allo sviluppo riceve fondi sempre maggiori sotto forma di aiuto diretto di bilancio, occorrono mezzi adeguati anche per far crescere una società civile indipendente e critica. Per rafforzare l’efficacia dei propri aiuti, i paesi donatori devono affidarsi in molti settori alle organizzazioni non governative al fine di assicurarsi che l’aiuto prestato sia utilizzato realmente per una riduzione della povertà e raggiunga la fascia di popolazione povera e svantaggiata dei paesi partner.

Gli Stati membri sono invitati a mantenere gli impegni assunti relativamente al finanziamento degli aiuti allo sviluppo che prevedono l’erogazione di un importo pari allo 0,56 per cento del prodotto interno lordo nel 2010 e allo 0,7 per cento nel 2015. A questo proposito è importante puntualizzare che lo sgravio concesso al debito non devono essere incluso nel calcolo. Stando alle cifre messe a disposizione di recente dal comitato di assistenza allo sviluppo dell’OCSE, l’Unione europea ha contabilizzato come aiuti allo sviluppo la riduzione del debito principalmente per l’Iraq e la Nigeria, nonostante il consenso di Monterrey stabilisca esplicitamente che i finanziamenti accordati per alleviare l’onere del debito non dovrebbero provenire dai fondi di aiuto allo sviluppo di norma previsti per essere direttamente destinati ai paesi in via di sviluppo.

Il Parlamento europeo invita pertanto gli Stati membri ad approntare ogni anno un elenco preciso che metta in chiara evidenza gli importi direttamente destinati all’assistenza allo sviluppo. Come ha detto il relatore, gli aiuti dell’Unione europea e quelli degli Stati membri devono essere coordinati, complementari e coerenti. Molti paesi partner sono sopraffatti da un numero eccessivo di donatori. Progetti paralleli causano spesso inutili doppioni e talvolta sono più d’intralcio che d’aiuto. A questo problema è possibile ovviare soltanto attraverso un coordinamento migliore tra la cooperazione allo sviluppo dell’Unione e quella degli Stati membri.

Nella relazione si propone la creazione di un gruppo di lavoro composto anche da rappresentanti della società civile. Sulla base di casi concreti dovrebbe capire quali iniziative funzionano e dove occorre invece un intervento più incisivo.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (PSE).(LT) Mi congratulo con il relatore e sottoscrivo la presentazione nella sostanza. L’Unione europea può e deve diventare leader sia per la quantità di aiuti erogati, sia per la loro efficacia. Possiamo anche continuare a ribadire con rammarico che la quantità di aiuti ai paesi terzi è insufficiente, ma prima di tutto dobbiamo assicurarci che gli aiuti disponibili siano impiegati con efficacia. Dobbiamo coordinare meglio la concessione degli aiuti, lasciando da parte una burocrazia farraginosa pur rafforzando i controlli, per rispondere a una situazione in continua evoluzione. Il ruolo della Commissione europea dovrebbe essere rafforzato, in particolare per quanto concerne il coordinamento degli aiuti. Questo aspetto è alquanto importante per i nuovi Stati membri, i cui aiuti ai paesi in via di sviluppo stanno incrementando gradualmente. La Lituania ad esempio ha cambiato status all’interno della Banca mondiale, passando da paese beneficiario a paese donatore; questo cambiamento faciliterà non poco il coinvolgimento del mio paese nei programmi di sviluppo della Banca.

Gli aiuti pubblici sono fondamentali, ma finora sono stati erogati in quantità insufficienti. Dobbiamo fare capire ai nuovi Stati membri che aiutando i paesi in via di sviluppo aiutiamo anche noi stessi. In questa epoca di globalizzazione, il mondo ci ricorda che la povertà, la fame, i disordini e i disastri naturali che colpiscono l’Africa o l’Asia influiscono anche sulla stabilità e sulla qualità della vita in Europa o in America. Da parte loro, i paesi beneficiari devono dimostrarsi capaci di gestire in maniera adeguata le risorse messe a loro disposizione. Il tema merita la massima attenzione dei deputati del Parlamento, dell’Unione intera e degli Stati beneficiari.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà alle 12.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, nella parte relativa alla motivazione, la relazione dell’onorevole Hutchinson esordisce con una constatazione drammatica: ogni minuto 11 bambini muoiono di fame e per altre cause legate alla povertà.

Invero, è difficile trovare una motivazione migliore per affrontare la questione dell’efficacia dell’assistenza allo sviluppo dell’Unione europea. Non si può che concordare sull’opportunità di aumentare i finanziamenti per gli aiuti allo sviluppo, a condizione che la loro efficacia migliori in maniera significativa. Sono persuaso che i cittadini europei saranno favorevoli a un incremento degli aiuti allo sviluppo, ma non tollereranno sprechi, inefficienza, assenza di trasparenza e attività fittizie. Da qui l’importanza di una maggiore efficienza.

E’ fondamentale che soltanto gli aiuti effettivi siano classificati come tali. Concordo pertanto riguardo alla proposta di mantenere l’alleggerimento del debito dei paesi poveri separato dalle spese per gli aiuti allo sviluppo. In effetti, l’iniziativa HIPC non ha risolto in maniera definitiva il problema del debito dei paesi poveri. D’altra parte, è altrettanto fondamentale che la massima quantità possibile di aiuti finanziari disponibili sia trasmessa direttamente ai beneficiari. Non si deve dare l’impressione che un’ampia percentuale di queste risorse sia dispersa nella catena d’intermediari e venga utilizzata per retribuire pubblici funzionari e consulenti. L’idea di una cooperazione più approfondita e decentrata che lavora in diretto contatto con le autorità locali dei paesi in via di sviluppo dovrebbe essere apprezzata e sostenuta per la sua validità.

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 11.55 in attesa del turno di votazioni, è ripresa alle 12.05)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. GÉRARD ONESTA
Vicepresidente

 
  
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  Emine Bozkurt (PSE).(NL) Signor Presidente, vorrei intervenire con una mozione di procedura. Lívia Járóka, deputata di questo Parlamento e inclusa nella rosa di candidati per il riconoscimento “deputato dell’anno” in virtù della sua convinta campagna a favore dei diritti dei rom, è stata vittima di e-mail razziste e misogine che considero assolutamente fuori luogo in questo Emiciclo. E’ intollerabile e vorrei che l’Aula lo rilevasse.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Credo che gli applausi testimonino la solidarietà dei colleghi per quanto ha detto.

 
  
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  Doris Pack (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, condivido appieno quanto appena dichiarato dall’onorevole Bozkurt. Ritengo incivile che un osservatore bulgaro attenti alla dignità di Lívia Járóka e proprio questo era l’intento della sua e-mail. Mi aspetto che l’Ufficio della presidenza affronti la questione con rigore. Non è persona gradita quest’Aula.

(Prolungati applausi)

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, mi richiamo al Regolamento per protestare contro l’esposizione fatta dal Primo Ministro del Libano Siniora alla Conferenza dei presidenti di ieri. Il suo intervento è stato assolutamente parziale e unilaterale, ma non vi è stata alcuna possibilità di rispondere pubblicamente alle sue parole. E’ stato tutto prestabilito dai gruppi politici – giustamente, forse. Vorrei però chiedere alla Conferenza dei presidenti, nell’interesse di un’informazione giusta e equilibrata, di invitare anche il Primo Ministro o il ministro degli Esteri israeliano affinché ci sia data la possibilità di ascoltare anche l’altra versione della storia.

(Vivi applausi)

 
  
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  Presidente. – Le vostre osservazioni saranno trasmesse agli organi competenti.

 

6. Comunicazione delle posizioni comuni del Consiglio: vedasi processo verbale

7. Turno di votazioni
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati delle votazioni e altri dettagli ad esse relativi: vedasi processo verbale)

 

7.1. Aumentare e migliorare l’aiuto dell’Unione europea: misure 2006 per un aiuto efficace (votazione)

7.2. Attività di pesca relative agli stock di passera di mare e sogliola nel Mare del Nord (votazione)

7.3. Produzione biologica e indicazione di tale metodo di produzione sui prodotti agricoli e alimentari (votazione)

7.4. GALILEO (votazione)

7.5. Politica comune di immigrazione (votazione)

7.6. Situazione in Darfur (votazione)

7.7. Relazioni economiche e commerciali dell’UE con l’India (votazione)
  

Prima della votazione sull’emendamento n. 4

 
  
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  Sajjad Karim (ALDE), relatore. – (EN) Signor Presidente, propongo di inserire, dopo la parola “parallelamente”, il testo seguente: “ai negoziati commerciali; prende atto che attualmente il Consiglio dei ministri SAFTA ha preso in esame i punti presenti nell’elenco positivo e negativo”, e poi il testo continua nella versione attuale.

 
  
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  Presidente. – Vi sono obiezioni alla presentazione di questo emendamento?

(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale)

 

7.8. Prospettive delle donne nel commercio internazionale (votazione)

7.9. Miglioramento della situazione economica nell’industria della pesca (votazione)

7.10. Asportazione di pinne da squalo a bordo dei pescherecci (votazione)

7.11. Nanoscienze e nanotecnologie (2005-2009) (votazione)
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  Presidente. – Con questo si concludono le votazioni.

 

8. Dichiarazioni di voto
  

– Relazione Hutchinson (A6-0270/2006)

 
  
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  Nirj Deva (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I miei colleghi della delegazione dei Conservatori britannici ed io abbiamo appoggiato la relazione pur essendo in fondamentale disaccordo sul paragrafo 58 della stessa, laddove si invitano gli Stati membri a sforzarsi “di riunire un gruppo unico di paesi”, ovvero a chiedere l’istituzione in seno al Fondo monetario internazionale di un seggio in rappresentanza dell’Unione europea. Tuttavia, poiché questo paragrafo è semplicemente una “reminiscenza” di una posizione sostenuta in passato, possiamo votare a favore della relazione.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) E’ risaputo che la Lista di giugno è contraria agli aiuti concessi sotto l’egida dell’Unione europea. I motivi sono diversi. La politica degli aiuti, al pari della politica estera, è una questione nazionale e in quanto tale non deve essere delegata a Bruxelles.

Siamo contrari alla maggior parte dei contenuti della relazione, comprese le richieste di aumentare i bilanci. Il relatore, inoltre, si ingerisce in altre questioni di portata strettamente nazionale, come il controllo e la supervisione degli aiuti bilaterali, e propone persino che la Commissione si occupi della pianificazione strategica degli aiuti forniti dagli Stati membri. Tutto ciò è assolutamente inaccettabile.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Mi congratulo con il relatore per il documento che ci ha presentato e che propone una serie di ottime iniziative per indirizzare meglio gli aiuti. L’Unione europea ha una lunga tradizione in materia di sviluppo internazionale, spesso assai più significativa di quella della maggior parte dei suoi Stati membri. Nondimeno potremmo fare meglio, molto meglio, e questa relazione contiene validi spunti in tal senso, che approvo con piacere.

 
  
  

– Relazione Maat (A6-0265/2006)

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno è fondamentalmente del parere che le questioni riguardanti la pesca dovrebbero essere affrontate nel quadro delle organizzazioni internazionali esistenti. Ciò significa che l’Unione europea non dovrebbe attuare una politica comune della pesca né imporre contingenti di pesca. L’industria ittica potrà continuare a esistere solo se la pesca sarà sostenibile, ma l’esperienza dimostra che l’Unione europea non considera la sostenibilità della pesca come un obiettivo prioritario. Al riguardo, si possono citare, a titolo di esempio, le forti critiche espresse, tra gli altri, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura in relazione alle quote fissate per la pesca di merluzzo nel mar Baltico.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Sono favorevole a questa dettagliata relazione sulle possibilità e sulle sfide che l’Unione europea e l’India si trovano ad affrontare nella promozione di relazioni commerciali bilaterali più strette. Condivido pienamente l’invito del relatore a sottolineare l’importanza strategica delle relazioni commerciali con l’India, alla luce dello straordinario sviluppo economico di quel paese e del suo ruolo di leader del G20 presso l’Organizzazione mondiale del commercio.

Mentre a livello internazionale l’India conosce un periodo di prosperità, al suo interno il divario tra ricchi e poveri si sta allargando; per tale motivo sono favorevole all’accento che la relazione pone sulla necessità di affrontare le questioni concernenti il commercio insieme con quelle concernenti lo sviluppo. L’India ha, nei confronti dei suoi cittadini, la responsabilità di applicare gli standard fondamentali nel campo del lavoro e di rispettare le norme ambientali. Allo stesso tempo l’Unione europea, in quanto leader globale e principale partner commerciale dell’India, deve collaborare con le autorità indiane per garantire che il sistema di preferenze tariffarie generalizzate continui a sostenere l’industria indiana e per trovare un delicato punto d’equilibrio tra l’esigenza di applicare le norme internazionali sulla proprietà intellettuale e quella di conservare le conoscenze tradizionali e l’accesso alle medicine per le malattie correlate con la povertà.

 
  
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  Glenis Willmott (PSE), per iscritto. – (EN) Pur avendo votato a favore della relazione, la delegazione del Partito laburista al Parlamento europeo vuole precisare che è favorevole al ruolo del consiglio consultivo regionale per il Mare del Nord in quanto organo di consulenza e importante elemento di consultazione nell’ambito della politica comune della pesca. Inoltre, la delegazione laburista deplora che la relazione non riconosca più apertamente il legame tra le azioni compiute per gestire gli stock di passera di mare e sogliola nel Mare del Nord e la portata del piano di ricostituzione del merluzzo. I livelli di ricostituzione degli stock di merluzzo nel Mare del Nord sono bassi ed è essenziale che tutti gli aspetti della pesca che li influenzano rimangano nell’ambito del piano di ricostituzione del merluzzo.

 
  
  

– Relazione Graefe zu Baringdorf (A6-0253/2006)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La Commissione prova a modificare il regolamento (CEE) n. 2092/91, attualmente in vigore, che stabilisce le norme sulle importazioni di prodotti biologici, allo scopo di inasprire la procedura di riconoscimento dei prodotti biologici importati. La sua proposta al riguardo, però, è inadeguata.

Per tale motivo la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale ha presentato numerosi emendamenti, nell’ottica di tutelare sia i consumatori sia i produttori a livello nazionale. E’ stata quindi sottolineata la necessità di controllare i prodotti importati da paesi terzi, onde garantire che gli standard di produzione applicati in questi ultimi siano conformi agli standard vigenti nell’Unione europea, con clausola di reciprocità.

Non sarebbe equo per gli agricoltori e i consumatori dell’Unione europea se i prodotti di paesi terzi non fossero sottoposti agli stessi controlli previsti per gli agricoltori comunitari. Inoltre, le autorità nazionali competenti devono quanto meno essere coinvolte nella procedura di riconoscimento degli organi di controllo dei paesi terzi. La lotta contro le frodi potrà dare risultati soltanto se le autorità nazionali dei paesi importatori potranno svolgere una funzione di controllo e riconoscimento.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno riconosce che occorre stabilire gli stessi requisiti tanto per i prodotti biologici di paesi terzi quanto per quelli dell’Unione. Tuttavia, i sistemi di controllo non devono comportare costi ingiustificatamente alti e occorre tener conto delle sovvenzioni che gli agricoltori dell’Unione ricevono per i prodotti biologici.

Siamo scettici sulla proposta di emendamento della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale riguardante la fissazione di requisiti più severi per i prodotti biologici di paesi terzi; ci chiediamo, poi, se dietro l’emendamento della commissione alla proposta di regolamento siano celate motivazioni di stampo protezionista.

Non siamo, quindi, disposti ad appoggiare la posizione della commissione e, di conseguenza, abbiamo votato contro gli emendamenti e la proposta di risoluzione da essa presentati.

 
  
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  Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il 70 per cento dei prodotti biologici importati entrano nell’UE nell’ambito delle “licenze di importazione”.

I controlli sono eseguiti sulla base della documentazione, non di prelievi a campione in loco. Questa procedura è ritenuta equa.

E’ pertanto fondamentale garantire che i prodotti biologici immessi sul mercato dotati della relativa etichetta comunitaria siano stati ottenuti tutti – senza eccezione alcuna – secondo procedure conformi ai principi e alle condizioni previsti dal regolamento (CEE) n. 2092/91.

Stando così le cose, gli emendamenti proposti dal relatore migliorano le condizioni e i controlli delle importazioni di prodotti biologici nell’Unione europea da paesi terzi, cosicché i prodotti importati saranno più o meno equivalenti ai prodotti nazionali, visto che il regolamento comunitario che fissa le condizioni per la produzione di prodotti biologici nei paesi membri dell’Unione è molto più severo del Codex alimentarius.

Ci associamo alla proposta di regolamento sulla produzione, l’etichettatura e l’importazione di prodotti biologici. Siamo invece contrari alla possibilità che la certificazione sia rilasciata da organismi accreditati, a fronte del pagamento di diritti di certificazione di importo ragionevole.

Riteniamo che l’interesse pubblico non possa essere tutelato in modo efficace da organismi privati, neppure da quelli accreditati dai corrispondenti enti governativi e controllati a campione da questi ultimi. L’interesse pubblico può bensì essere tutelato efficacemente solo da agenzie governative, che certificano gratuitamente gli agricoltori che applicano metodi di produzione biologici, fornendo così un servizio pubblico e incentivando l’agricoltura biologica.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) E’ un piacere potermi congratulare con il collega del mio gruppo per la sua relazione. In Scozia, quello degli alimenti biologici è un mercato in crescita, però è fondamentale garantire l’affidabilità degli standard applicati in questo settore se vogliamo che esso possa svilupparsi. La relazione va nella giusta direzione, ma come Unione europea dobbiamo essere più ambiziosi e stabilire in via ufficiale gli aiuti a favore dei metodi di produzione biologici in agricoltura nonché i modi per tutelarli e promuoverli.

 
  
  

– Proposta di risoluzione GALILEO (B6-0511/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Se non è utilizzato per scopi militari e non rientra nella tendenza verso un eccesso di sicurezza, il programma GALILEO – il programma europeo di radionavigazione via satellite – è uno strumento importante che mira a fornire un servizio pubblico. Occorre pertanto considerarlo come una grande opportunità di cooperazione, progresso scientifico e tecnologico, nonché di scambio e accesso a informazioni senza violazione dei diritti, delle garanzie e delle libertà dei cittadini.

GALILEO può contribuire a porre fine alla dipendenza dal sistema GPS, controllato dagli Stati Uniti e gestito dalle forze armate di quel paese. Di fatto, l’esercito statunitense blocca l’accesso al sistema e il suo utilizzo quando sferra i suoi attacchi militari contro paesi e popolazioni.

Deploriamo, pertanto, che la maggioranza del Parlamento abbia votato contro gli emendamenti presentati dal nostro gruppo, che condannano l’uso di GALILEO a fini militari e sottolineano la necessità che questo programma garantisca parità di accesso per tutti gli utenti. Inoltre, l’opinione pubblica dovrebbe poter accedere gratuitamente alle informazioni disponibili.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) GALILEO è il programma comunitario ideale per raggiungere gli obiettivi di Lisbona.

Il programma europeo di radionavigazione via satellite rappresenta una sfida tecnologica moderna, destinata a far crescere l’economia europea e le opportunità per le imprese. Abbiamo quindi il dovere di far sì che GALILEO non diventi un programma come un altro. Questa prima infrastruttura di portata europea, che sarà gestita dalla Comunità, è uno strumento cruciale se vogliamo realizzare gli obiettivi di Lisbona.

Dato che l’Unione europea è disseminata di piccole e medie imprese, questo è un momento molto propizio.

Le Istituzioni comunitarie devono quindi garantirne una gestione corretta, devono assicurare regole efficaci e trasparenti per i partenariati pubblico-privato e accertarsi che ricaviamo da questo programma il massimo beneficio possibile.

Dobbiamo approfittare al meglio delle opportunità che il programma ci offre, e lo potremo fare soltanto se ci rendiamo conto del fatto che è questa la strada giusta da percorrere.

 
  
  

– Proposte di risoluzione sulla politica comune dell’immigrazione (RC-B6-0508/2006)

 
  
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  Koenraad Dillen (NI).(NL) Signor Presidente, non ho votato a favore della risoluzione comune in quanto è un esempio di comportamento politicamente corretto in materia di immigrazione, laddove la correttezza politica è un dogma che tiene in scacco quest’Assemblea e che nessuno può permettersi di mettere in discussione – come accadeva nel Medioevo con i dogmi religiosi.

In un’epoca in cui i nostri confini nel Mediterraneo – basti pensare a Lampedusa e alle isole Canarie – non riescono a trattenere i flussi dei migranti per motivi economici, l’Europa continua a non voler ammettere che non possiamo caricare sulle nostre spalle la miseria di tutto il mondo – come ha detto in modo molto appropriato un Primo Ministro socialista. Anche se l’Europa è pronta ad accogliere gli immigrati disposti a integrarsi, deve tuttavia dire chiaramente agli altri che se ne devono tornare nei luoghi di origine.

Inoltre, dobbiamo fermare assolutamente il flusso immigratorio e, allo stesso tempo, attuare un’ambiziosa politica di sviluppo mirata a ridurre la pressione che spinge la gente ad abbandonare i paesi in via di sviluppo, mettendo bene in chiaro che in Europa non c’è spazio per il fondamentalismo islamico.

Domenica scorsa, con un referendum, la schiacciante maggioranza dei cittadini svizzeri ha scelto di conservare la propria identità. Gli svizzeri sono un popolo libero e indipendente e l’Europa farebbe meglio a seguire il loro esempio, anziché inchinarsi di fronte al terrorismo intellettuale della lobby dell’immigrazione.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld (PPE-DE), per iscritto. – (SV) La delegazione dei Conservatori svedesi al Parlamento europeo ha deciso di votare contro la risoluzione del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei perché fermamente contraria alla creazione della lista minima comune di paesi di origine sicuri cui si fa riferimento nell’ultima frase del paragrafo 9.

Crediamo inoltre che questa versione della risoluzione non affermi con sufficiente chiarezza che tutte le misure di contrasto dell’immigrazione illegale devono essere compatibili con le garanzie e i diritti umani fondamentali del singolo sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Non siamo del tutto contrari al paragrafo 4, che stabilisce l’obbligo di informare le altre parti quando si applicano norme più liberali; siamo tuttavia scettici a tale proposito perché questa disposizione potrebbe rappresentare il primo passo verso una completa sovranazionalizzazione della politica di asilo e immigrazione.

 
  
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  Maria da Assunção Esteves (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il Consiglio di Tampere aveva fissato per l’Europa l’ambizioso programma politico di creare uno spazio comune europeo nel quale i temi della libertà, della sicurezza e della giustizia fossero affrontati su un piano di assoluta parità. Oggi, però, l’equilibrio che si ricercò in quella occasione si rivela troppo fragile. Ciò cui stiamo assistendo è una tendenza che porta ad anteporre ai diritti umani i timori per la sicurezza. La lotta contro il terrorismo e l’immigrazione illegale ha nettamente dominato l’agenda della giustizia e degli affari interni.

Il nuovo programma dell’Aia del 2004 è privo di una prospettiva per il futuro. E’ più urgente che mai che l’Unione prenda decisioni in materia di immigrazione – decisioni legittimate dal Parlamento in base al ruolo che gli è riconosciuto nell’ambito della procedura di codecisione – e adotti una carta dei diritti fondamentali che sia vincolante. La politica di immigrazione deve essere una politica comune fondata su interessi umanitari, sulla prevenzione e sulla cooperazione con i paesi di origine. Ciò di cui abbiamo bisogno sono impegno e solidarietà tra gli Stati membri sulla base di una condivisione delle responsabilità, altrimenti la nostra politica non sarà equa.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune sulla politica di immigrazione (RC-B6-0508/2006) vista l’esigenza dell’Unione di adottare un’adeguata politica comune in materia di immigrazione ed eliminare ogni ostacolo a un sistema di asilo europeo che preveda norme comuni per salvaguardare i diritti fondamentali degli immigrati e dei richiedenti asilo nell’Unione europea.

L’Unione deve assumere un approccio interdisciplinare che apra i canali dell’immigrazione legale e promuova l’integrazione degli immigrati nella società che li ospita. Tale approccio deve fondarsi sull’inserimento legale nel mercato del lavoro e sul diritto all’istruzione e alla formazione, all’accesso ai servizi sociali e sanitari, nonché sull’effettiva integrazione degli immigrati nella vita sociale, culturale e politica del paese ospitante. E’ inoltre di vitale importanza contribuire allo sviluppo dei paesi di origine per affrontare le cause primarie dell’emigrazione.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Secondo il parere della Lista di giugno, la politica comune europea in materia d’immigrazione è una delle cause principali della tragica situazione in cui vengono a trovarsi molti migranti quando, nella speranza di una vita migliore, affrontano quello che si può a ragione definire un viaggio a rischio della vita per venire nell’Unione europea. E’ senz’altro giusto sottolineare in questa risoluzione che il regolamento Dublino II è stato e continua a essere un fallimento. Il regolamento prevedeva che ai paesi nel sud e nell’est dell’Unione europea fosse attribuita la facoltà primaria di decidere la sorte degli immigrati, senza tener conto delle politiche di immigrazione né delle esigenze degli altri Stati membri. Ed è alquanto singolare, oltre che inaccettabile, che l’Unione abbia speso un decennio a sperimentare una politica comune di immigrazione. Tutti questi esperimenti politici hanno minato il diritto degli Stati membri all’autodeterminazione nel settore dell’immigrazione e, nel contempo, hanno causato gravi sofferenze agli immigrati. Se vogliamo risolvere la situazione attuale non dobbiamo dare all’Unione ulteriori poteri in materia di immigrazione, consentendole così di continuare la sua politica fallimentare, bensì dobbiamo ridare agli Stati membri il loro diritto all’autodeterminazione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La risoluzione contiene alcuni punti che condividiamo, ad esempio laddove prende atto della tragedia che si sta compiendo e richiama la necessità di aprire canali di immigrazione legale, nonché di garantire un’integrazione effettiva e di definire piani di sviluppo per i paesi “di origine”.

Riteniamo, tuttavia, che la risoluzione non condanni la politica dell’Unione europea, che è una politica oppressiva e tutta incentrata sulla sicurezza, che criminalizza l’immigrazione illegale e le cui misure mirano a sigillare i confini, creare centri di detenzione ed espellere gli immigrati.

Siamo altresì contrari all’adozione di una politica comune di immigrazione, perché non è la risposta giusta ai problemi e agli interrogativi attuali, come hanno dimostrato i risultati di altre politiche comuni. La realtà dell’immigrazione è diversa nei singoli Stati membri dell’Unione e qualsiasi decisione concernente la politica di immigrazione dovrebbe tener conto della sovranità del singolo paese, anche se ciò non deve naturalmente impedire la collaborazione internazionale in questo campo.

Più che di una politica comune, ci occorrono una politica diversa e altri provvedimenti capaci di tutelare effettivamente i diritti degli immigrati – come la ratifica e l’applicazione della Convenzione ONU sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie – e di affrontare le cause profonde dell’emigrazione.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) La proposta di risoluzione riguarda il tema di un approccio comune all’immigrazione in Europa; nondimeno la posso approvare perché ribadisce con fermezza le competenze e le responsabilità dei singoli Stati membri e sottolinea la necessità di cooperazione, non di armonizzazione.

 
  
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  Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Il numero di piroghe e imbarcazioni di fortuna che approdano sulle spiagge delle isole Canarie provenienti dal Senegal, dal Mali, dalla Mauritania o dal Gambia aumenta ogni giorno di più.

Sembra che ogni anno entrino clandestinamente nell’Unione europea circa 300 000 africani. I leader europei sono costretti a prendere atto delle dimensioni di questo fenomeno e cominciano a preoccuparsi per le disastrose conseguenze – che pure, nonostante tutto, non condannano – degli iniqui accordi di Schengen e della regolarizzazione di massa in Spagna e in Italia dello status di immigrati privi di documenti di identificazione (dal 1985 la Spagna ha regolarizzato la posizione di oltre 1 150 000 stranieri), che ha avuto l’effetto di uno straordinario incentivo nei confronti di altri potenziali migranti.

Per il momento l’Unione europea si limita a rimproverare la Spagna, colpevole, a suo giudizio, di essere stata indebitamente “generosa” nel regolarizzare gli immigrati. Ovviamente è fuori discussione l’eventualità di cambiare le leggi sull’immigrazione e sul diritto di asilo seguendo il modello della Svizzera, dove il 68 per cento dei cittadini che hanno partecipato al recente referendum si è espresso a favore di una nuova legge sull’immigrazione e di condizioni più severe per la concessione del diritto di asilo, dotandosi così di una delle legislazioni più restrittive in tutta Europa.

Dobbiamo smetterla con la sottomissione e la passività. Quello che dobbiamo fare ora per arginare questi flussi d’immigrazione è ripristinare i confini, introdurre una politica di “immigrazione zero” e porre termine alle naturalizzazioni.

 
  
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  Marine Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) Sembrerebbe che i leader europei comincino a preoccuparsi dell’immigrazione illegale. Era ora! E’ vero: è solo dal 1995 e dai disastrosi accordi di Schengen che il Fronte nazionale ha incessantemente denunciato e messo in guardia dai danni che l’abolizione dei controlli alle frontiere interne dell’Unione europea avrebbe inevitabilmente causato.

C’è stato bisogno che la Spagna registrasse un numero record di sbarchi di immigrati africani alle isole Canarie da gennaio a oggi superiore a 25 000 e che la guardia costiera italiana intercettasse e trasferisse nei campi di raccolta della piccola isola di Lampedusa, a sud della Sicilia, più di 12 000 immigrati nell’arco di nove mesi perché finalmente tutti i governi europei e i responsabili delle amministrazioni cittadine europee cominciassero a preoccuparsi della crescita inarrestabile ed esponenziale dell’immigrazione.

L’Europa si è dimostrata palesemente incapace di gestire i propri confini marittimi e terrestri. Peraltro, non sarà la simbolica Agenzia per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne – lentissima e carente di uomini e mezzi – a dare una valida risposta all’ondata d’immigrazione.

Dobbiamo ripristinare i confini interni dell’Unione e smetterla di regolarizzare la posizione dei lavoratori illegali in un modo che non fa altro che incoraggiare nuova immigrazione. Queste sono le condizioni irrinunciabili per fermare immediatamente i flussi d’immigrazione.

 
  
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  Patrick Louis e Philippe de Villiers (IND/DEM), per iscritto. – (FR) Abbiamo votato contro le due risoluzioni proposte, le quali, pur delineando, con qualche sfumatura, la difficoltà di controllare l’entrata e i movimenti degli immigrati illegali, non citano mai il fatto che tale difficoltà è la diretta conseguenza dell’abolizione delle frontiere nazionali.

Le risoluzioni riprendono l’idea, condivisa dal Primo Ministro Sarkozy, dell’abolizione completa delle votazioni all’unanimità su materie riguardanti la giustizia e gli affari interni, cioè la soppressione totale della sovranità degli Stati membri sul loro proprio territorio. Questo è un ulteriore esempio di come l’integrazione europea venga sfruttata per risolvere i problemi da essa stessa causati. Coloro i quali, come il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, cercano ora in quest’Aula di contenere l’immigrazione, in realtà creano più problemi di quanti ne risolvano. Non avremmo dovuto approvare gli accordi di Schengen, con l’abolizione dei controlli permanenti alle frontiere interne, così come non avremmo dovuto approvare il Trattato di Amsterdam né la comunitarizzazione in blocco delle politiche in materia di asilo, visti e immigrazione, compresa la lotta contro l’immigrazione illegale. Abbiamo spalancato porte e finestre all’immigrazione incontrollata e, nel contempo, abbiamo privato gli Stati membri dei loro poteri per trasferirli a un’Unione inevitabilmente paralizzata.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’immigrazione è un segnale di vitalità economica e svolge un ruolo importante nell’attrarre persone attive e ricche di risorse. Per contro, l’immigrazione illegale è una forma di crimine organizzato che mette in pericolo la vita delle persone e alimenta un mercato del lavoro parallelo e disumano.

Per questo motivo, l’idea di procedere a una regolarizzazione straordinaria è un esempio di ottime intenzioni che producono però un pessimo risultato, dando un piccolo premio agli immigrati illegali, ma tributando un grande trionfo ai trafficanti di esseri umani.

Se vogliamo che l’immigrazione abbia un impatto positivo dobbiamo affrontare la questione chiave di quanta immigrazione il mercato è in grado di assorbire – ma ciò sarà possibile soltanto applicando regole chiare e concrete, tali da facilitare l’immigrazione legale e prevenire quella illegale, che è un problema di portata europea. Vorrei pertanto cogliere questa occasione per dire che quando si tratterà di rinnovare la dotazione delle forze armate si dovrà tener conto dell’elemento della salvaguardia delle frontiere esterne comuni.

Desidero infine aggiungere che non credo che la soluzione consista semplicemente nell’accelerare l’applicazione della legge. La lotta contro l’immigrazione incontrollata, la povertà e la minaccia terrorista contempla anche l’esportazione della ricchezza, della prosperità economica e del nostro modello di democrazia liberale.

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Il massiccio arrivo di immigrati illegali alle isole Canarie ha posto all’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi i gravi e complessi problemi che l’immigrazione illegale comporta.

Desidero far presente agli onorevoli colleghi che non si tratta di un fenomeno nuovo per quanto riguarda i dipartimenti francesi d’oltremare, tra cui, in particolare, Mayotte, Guiana, Martinica e Guadalupa, perché sono vicini ad alcuni tra i paesi più poveri del mondo. Mayotte, per esempio, dista solo poche miglia marine dalle Comore, e il confine della Guiana è un’area di foresta equatoriale difficile da controllare. Le regioni ultraperiferiche dell’Unione, come le Canarie e i dipartimenti francesi d’oltremare, trarrebbero quindi grandi vantaggi da una politica di immigrazione comune.

A mio parere è essenziale che il Parlamento europeo sottolinei cinque aspetti di questa futura politica: aiuti allo sviluppo più mirati, conclusione di partenariati con i paesi di origine, salvaguardia dei confini e lotta contro la tratta di esseri umani, rafforzamento della politica di ritorno nei paesi di origine, integrazione più efficace degli immigrati legali nel paese ospitante.

Ci occorrono norme che siano chiare e identifichino priorità specifiche e operative. L’Unione europea non può più accontentarsi di semplici dichiarazioni d’intenti.

 
  
  

– Proposte di risoluzione sulla situazione in Darfur (RC-B6-0512/2006)

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La situazione in Darfur sta peggiorando dinanzi ai nostri occhi. E’ sconvolgente constatare la nostra impotenza di fronte a una simile aggressione. Ho seguito da vicino le consultazioni sulla risoluzione, che appoggio, ma vorrei che facessimo qualcosa di più.

 
  
  

– Relazione Karim (A6-0256/2006)

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno è decisamente favorevole alla creazione del mercato unico. A tal fine, l’Unione deve avere una politica commerciale comune nei confronti degli altri paesi. Tuttavia, non è compito dell’Unione criticare la politica interna dell’India.

Il relatore trova a ridire, inter alia, sulla burocrazia indiana, sulla struttura del settore pubblico e sulla politica regionale del governo centrale dell’India.

La Lista di giugno sostiene la causa dell’autodeterminazione e della sovranità degli Stati, indipendentemente dal fatto che appartengano all’Unione europea o siano in altre regioni del mondo. Pertanto abbiamo votato contro la relazione.

Inoltre reputiamo possibile che l’India abbia una propria posizione sulle politiche commerciale e agricola dell’Unione europea.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questo importante documento sulle relazioni dell’Unione europea con l’India affronta moltissimi punti, su alcuni dei quali non siamo d’accordo.

Nonostante la relazione citi alcuni motivi di preoccupazione, che condividiamo, essa è in linea con una strategia di liberalizzazione del commercio mondiale nel quadro dell’OMC o attraverso la proliferazione di accordi bilaterali o multilaterali sul libero commercio, nell’ambito della concorrenza e dei legami con gli Stati Uniti – una strategia che contrastiamo fermamente.

La relazione sostiene la cosiddetta agenda di Doha per lo sviluppo e la ripresa dei negoziati, attualmente bloccati, sulla liberalizzazione del commercio e dei mercati in tutto il mondo.

Ancora una volta, la relazione sottolinea la necessità che l’Unione europea solleciti l’India e il G20 a “rendersi conto” (???) del fatto che “l’offerta europea in materia di agricoltura deve essere seguita da un’offerta ragionevole da parte del G20 in materia di accesso al mercato per i prodotti non agricoli e i servizi”, la qual cosa è inaccettabile.

Si motiva così il nostro voto contrario.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Karim sulle relazioni economiche e commerciali dell’Unione europea con l’India. A mio modo di vedere, la relazione ha accolto anche i richiami agli importantissimi aspetti sociali ed evidenzia il divario sociale esistente tra ricchi e poveri, tra sud e ovest e tra nord ed est. Vorrei ricordare in particolare l’importanza dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) per tutti i lavoratori indiani. Sebbene la relazione inviti gli investitori stranieri ad assumersi le loro responsabilità politiche applicando le condizioni di lavoro minime dell’Organizzazione internazionale del lavoro, vorrei sottolineare che questo richiamo dovrebbe valere anche per i datori di lavoro indiani, al fine di costruire in quel paese strutture uniformi che consentano di superare le disuguaglianze e di migliorare la qualità del lavoro.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La relazione d’iniziativa che ci è stata sottoposta ha il grande merito di ricordarci quanto sia importante per il nostro futuro sviluppare una strategia adeguata per le relazioni con l’India. I paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) sono un fattore decisivo per comprendere l’attuale realtà del commercio mondiale, anche se non è consigliabile adottare strategie identiche nei confronti di Brasile, Russia, India e Cina – tutt’altro.

Le nostre relazioni con i paesi BRIC dovrebbero essere perseguite in maniera tale che la globalizzazione, lo sviluppo economico e la crescita del commercio mondiale diventino fattori di prosperità per tutti, o almeno per il maggior numero possibile di persone. Per realizzare tutto questo occorrono strategie differenziate: la democratica e popolosa India è diversa dalla popolosa e non democratica Cina o dalla Russia, nostro vicino.

Se vogliamo avere successo, è prioritario che, da un lato, consideriamo il nostro futuro in rapporto allo sviluppo di quei paesi e, dall’altro, definiamo strategie adeguate per le relazioni con ciascuno di essi. L’India è un paese di grande rilevanza e la sua situazione dal punto di vista geografico, politico ed economico richiede un’attenzione particolare poiché ci aspettiamo che in futuro diventi un importante alleato.

 
  
  

– Relazione Breyer (A6-0254/2006)

 
  
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  Hynek Fajmon (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la delegazione del partito ceco ODS al Parlamento europeo si è rifiutata di appoggiare la relazione dell’onorevole Breyer sulle prospettive delle donne nel commercio internazionale. Questa relazione è un esempio di proclama sinistrorso e femminista che non può portare nulla di buono. Siamo assolutamente contrari alla teoria della qualità di genere e a qualsiasi requisito basato su questo errato approccio alla società umana. Noi consideriamo le persone come individui singoli, con diritti e garanzie individuali e garantiti dallo Stato, non come gruppi collettivi predeterminati dal genere e con diritti collettivi. L’uguaglianza di fronte alla legge è ormai da lungo tempo una realtà in tutti i paesi. Negli Stati membri dell’Unione europea tutte le donne e tutti gli uomini sono liberi e possono usare la loro libertà come meglio credono; ne è un esempio il fatto che le donne dedicano all’educazione dei figli più tempo che gli uomini. Il requisito di uguaglianza tra uomini e donne è in contrasto con l’idea di libertà. Pertanto, non possiamo in alcun modo appoggiare un sistema che prevede quote riservate alle donne nei consigli di amministrazione delle imprese pubbliche, come proposto nella relazione. Non condivido neppure l’affermazione della relatrice secondo cui la liberalizzazione del commercio mondiale comporterà per gli uomini e le donne di tutto il mondo nuove occasioni di realizzazione personale e maggiore benessere. Abbiamo perciò votato contro la relazione.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Abbiamo votato contro la relazione sulle prospettive delle donne nel commercio mondiale.

Il libero commercio aumenta la ricchezza e riduce la povertà. Negli ultimi decenni, la globalizzazione ha prodotto enormi miglioramenti del livello di vita, non da ultimo per le donne e i bambini. Il libero commercio crea un maggior numero di posti di lavoro tutelati, oltre a offrire alle donne con posti di lavoro precari maggiore sicurezza e una via d’uscita dalla povertà – contrariamente a quanto si afferma nella relazione.

La relazione si incentra sulla forma, anziché sulla sostanza. L’uguaglianza è importante, soprattutto nel mondo del lavoro, perché se le donne dispongono di un proprio reddito possono diventare molto più indipendenti e acquisire il controllo della propria vita. Una maggiore globalizzazione, e non un’espansione delle Istituzioni dell’Unione, è la strada giusta per aumentare l’autonomia delle donne.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore della risoluzione perché, nonostante alcuni punti che non condividiamo, propone una visione positiva del ruolo delle donne e della lotta contro la discriminazione, particolarmente nel settore del commercio internazionale.

Tuttavia non possiamo non rilevare che la relazione si sarebbe dovuta spingere più in là; avrebbe infatti dovuto denunciare la liberalizzazione del commercio internazionale e il suo impatto negativo sugli abitanti dei paesi meno sviluppati, in modo speciale sulle donne. Inoltre, avrebbe dovuto denunciare i tentativi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei di bloccare una concezione più progressista della lotta delle donne per l’affermazione dei loro diritti.

Infine, avrebbe dovuto condannare le spietate manovre delle multinazionali, che sfruttano il lavoro delle donne di un paese fino a quando trovano un altro paese nel quale possono aumentare i loro profitti, infischiandosene degli effetti dell’aumento della disoccupazione sulle donne e peggiorando le loro condizioni di vita.

 
  
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  Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Mi sono rifiutato di partecipare alla votazione sulla relazione Breyer, la quale, partendo dall’assioma della necessaria promozione delle donne in tutti i comparti dell’economia, è diventata un guazzabuglio di idee che riunisce quanto c’è di meglio ma, soprattutto, quanto c’è di peggio.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione perché riconosce il fondamentale, ma spesso trascurato, ruolo svolto dalle donne a sostegno delle economie in tutto il mondo. La relazione rileva che persistono disparità tra donne e uomini sia all’interno sia all’esterno dell’Unione europea per quanto riguarda le opportunità di istruzione e di lavoro. Nel contempo la relazione richiama l’attenzione su un dato importante, ovvero il fatto che il cosiddetto “lavoro delle donne”, che comprende la cura della famiglia e l’assistenza sociale, tradizionalmente non è né riconosciuto né remunerato.

In realtà, le donne forniscono già un significativo contributo economico sia in ambito privato sia in ambito pubblico. Nel passato, molte politiche per il commercio internazionale e lo sviluppo non hanno riconosciuto le dimensioni del contributo che le donne dei paesi in via di sviluppo danno alla produzione del reddito e alla gestione del bilancio familiare. Pertanto accolgo con favore e sostengo gli inviti a praticare politiche mirate a incoraggiare una maggiore partecipazione economica delle donne, allo scopo di migliorare ulteriormente la loro condizione e di aumentare il loro reddito e il loro patrimonio. Appoggio altresì la raccomandazione formulata nella relazione affinché gli Stati membri dell’Unione europea seguano l’esempio della Norvegia e stabiliscano una quota minima del 40 per cento per la rappresentanza femminile nei consigli delle società per azioni.

 
  
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  Cristiana Muscardini (UEN), per iscritto. Il rapporto che esiste tra questioni di genere e scambi commerciali non ha solo una valenza economica, bensì riflette purtroppo una cultura presente in varie parti del mondo, dove la donna è ancora ai margini della società.

Nella relazione si afferma che l’espansione del commercio ha agevolato e accelerato l’ingresso delle donne nella moderna economia industriale. Permettetemi una considerazione: troppe volte le affermazioni di principio non corrispondono alla realtà, infatti l’imprenditoria femminile continua a trovare enormi difficoltà, anche perché spesso espressione della piccola e media impresa o distribuzione e dell’artigianato, settori sempre più colpiti dal processo di mondializzazione dei mercati, troppo spesso senza regole chiare e condivise.

Occorrono nei fatti più aiuti economici, ma anche più aiuti strutturali, per sostenere le donne nel mondo del lavoro e dell’impresa combattendo con forza quella pseudocultura che vede i diritti sociali ed economici delle donne, sanciti dalla piattaforma di azione di Pechino, ignorati o addirittura etichettati come ostacoli.

Nonostante il nostro voto favorevole alla relazione, mi preme ricordare come il compito della politica e dell’azione dell’Unione sia quello di far fronte con proposte coraggiose agli aspetti negativi che penalizzano larghi strati di donne, soprattutto nei paesi più poveri, ma anche negli Stati dell’Unione.

 
  
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  Lydia Schenardi (NI), per iscritto. – (FR) Devo congratularmi con la collega, onorevole Breyer, per la sua relazione. Infatti non posso che condividere le sue conclusioni che raccomandano, e cito: “di adottare un cambio di paradigma nelle politiche commerciali dell’Unione”. Si è resa necessaria una relazione della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere affinché i diritti non solo delle donne, ma di tutti i lavoratori, venissero finalmente presi in considerazione nell’attuale processo di globalizzazione voluto e subito da Bruxelles.

La relatrice sembra scoprire con una certa ingenuità che la pressione della concorrenza in un’economia sempre più globalizzata porta a una diminuzione delle retribuzioni e dei costi di gestione, alla disoccupazione, al trasferimento e alla chiusura di aziende. Le cifre, in effetti, sono piuttosto inquietanti: il 70 per cento degli 1,3 miliardi di persone che vivono in povertà nel mondo è costituito da donne.

Tuttavia devo riconoscere che vale la pena di sottolineare in questa sede che la disuguaglianza tra i generi, soprattutto in Asia e in Africa, dove le donne vengono umiliate, derise e considerate inferiori agli uomini, crea difficoltà, com’è ovvio, nei settori economico, commerciale, sociale e politico. Anzitutto, è piuttosto evidente che è lo stesso status di donna che bisogna immediatamente rivedere in tutti quei paesi in cui molto spesso prevale la legge coranica.

 
  
  

– Relazione Guerreiro (A6-0266/2006)

 
  
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  Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) Tra difficoltà economiche, esaurimento degli stock e controlli meticolosi, la pesca europea naviga in pessime acque e i pescatori del Mediterraneo ne subiscono le pesanti conseguenze. E’ ora che l’Unione europea tragga da questi dati le dovute conclusioni.

In questa relazione figurano diverse linee guida positive, che rappresentano il frutto sia degli sforzi comuni compiuti con i pescatori della mia regione sia del sostegno del mio gruppo politico. Anzitutto essa invita la Commissione europea a rivedere il proprio operato e a formulare proposte più concrete e più ambiziose al fine di rispondere alla gravità della crisi che attraversa il settore. Secondariamente, essa sostiene le organizzazioni professionali di pescatori e la loro partecipazione (cogestione) all’attuazione della PCP e al miglioramento della gestione delle risorse. Infine, il documento integra diversi nostri emendamenti volti a salvaguardare la pesca artigianale nel Mediterraneo.

Per tali ragioni voterò a favore di questa relazione, che costituisce un segnale politico forte in direzione di una politica comunitaria ambiziosa.

Avrei auspicato, tuttavia, che il Parlamento europeo si spingesse oltre, chiedendo un programma specifico per la pesca nel Mediterraneo. Il nostro emendamento sulla questione è stato respinto, ma noi non ci fermeremo qui: continueremo a lottare a fianco dei pescatori della mia regione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Con questo voto, il Parlamento europeo ha ratificato le principali proposte, volte a migliorare la situazione economica del settore, che erano state precedentemente adottate all’unanimità dalla commissione per la pesca e riteniamo che questo sia un fattore positivo.

Tali proposte sono state formulate dai rappresentanti del settore della pesca molto tempo fa per fronteggiare l’attuale crisi economica e sociale, ulteriormente esacerbata dal forte aumento dei costi del carburante.

Plaudiamo all’inserimento nella versione definitiva, su nostra proposta, della definizione di chiare priorità per le risorse ittiche e la pesca, con un finanziamento adeguato nell’ambito del settimo programma quadro della Comunità in materia di ricerca, sviluppo tecnologico e attività di dimostrazione.

Plaudiamo altresì al fatto che, nonostante la pressione esercitata da parte dei principali paesi noti come “contribuenti netti”, quali la Germania, sia stata mantenuta la richiesta di aumentare il bilancio per il Fondo europeo per la pesca in una situazione, come espresso nella risoluzione in esame, di insufficienza di risorse per attuare gli strumenti della PCP.

Spetta ora alla Commissione presentare iniziative che rendano tutto questo possibile.

Deploriamo tuttavia che la richiesta di creare un regime assicurativo pubblico per permettere al settore pesca di far fronte a situazioni impreviste sia stata eliminata, specialmente considerando che il Parlamento ha presentato richieste analoghe per altri settori, come l’agricoltura.

 
  
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  Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. (EL) L’industria della pesca è importante sia per la catena alimentare sia per lo sviluppo delle economie locali. Specialmente in aree periferiche, come le isole Egee e la Grecia, la sopravvivenza dipende dalla pesca, che contribuisce altresì a conservare tradizioni culturali locali.

Nel corso degli ultimi anni abbiamo incontrato numerosi problemi, soprattutto nella pesca costiera, in parte a causa dell’organizzazione comune del mercato (OCM), dei programmi di smantellamento delle imbarcazioni, della riduzione dei prezzi di prima vendita per i pescatori non accompagnata da una pari riduzione ai consumatori, e dell’aumento dei costi provocato dal prezzo del carburante. Ne risulta che l’industria è in crisi, i redditi sono drasticamente in ribasso e certe aree vengono abbandonate.

La comunicazione della Commissione individua le difficoltà del settore, ma le soluzioni che propone non sono attuabili. Non solo non riescono a risolvere i problemi esistenti, ma ne creano di nuovi. Oltretutto non è stato previsto alcun fondo per gli aiuti necessari all’industria, come giustamente rileva il relatore.

Anzi, il testo propone una riduzione dello sforzo di pesca e un ammodernamento della flotta, in altre parole una cessazione dell’attività che comporterebbe la disoccupazione per un vasto numero di piccole e medie imbarcazioni e concentrerebbe la flotta a un ristretto numero di navi di grosse dimensioni. Una simile politica da parte dell’Unione europea e dei governi è deprecabile, perché provoca la creazione di cartelli in varie industrie, favorendo lo sfruttamento di produttori e consumatori.

 
  
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  Jan Mulder (ALDE), per iscritto. – (NL) La delegazione del partito liberale olandese (VVD) ha votato a favore dell’adozione della relazione Guerreiro in quanto il nostro partito vuole veder migliorare la posizione economica del settore della pesca. Siamo consapevoli che molti operatori del settore hanno vissuto nell’insicurezza economica negli ultimi anni a seguito degli aumenti dei prezzi del carburante. Al contempo, tuttavia, siamo favorevoli a una pesca sostenibile e pertanto ci opponiamo al rinnovo e all’ammodernamento delle flotte a meno che non avvengano all’insegna della sostenibilità. Ci opponiamo altresì a pagamenti di compensazione in quanto ciò costituirebbe un aiuto artificiale al settore.

 
  
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  Seán Ó Neachtain (UEN), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore questa comunicazione della Commissione, che riconosce la dura situazione economica in cui versa il settore alieutico comunitario.

E’ facile dire che lo smantellamento delle imbarcazioni e l’eliminazione dell’eccesso di capacità porterà a maggiori profitti, ma in realtà molte comunità costiere sono state devastate da tale iniziativa. Questa realtà si riflette tanto nelle comunità costiere dell’Algarve, in Portogallo, che abbiamo visitato alcune settimane or sono, quanto nelle comunità tradizionali di pescatori dell’Irlanda.

Concordo che sia necessario trovare un equilibrio tra le risorse ittiche e il numero di pescherecci, ma non credo che ciò debba avvenire a spese dei piccoli pescherecci, che costituiscono l’80 per cento della flotta europea. Dobbiamo trovare un terreno paritario per le misure conservative prese a scapito delle piccole imbarcazioni e per quelle a scapito dei pescherecci d’alto mare.

Ritengo che la PCP non sia stata uno strumento comunitario di successo nella tutela dei pescherecci tradizionali e delle comunità cui essi appartengono: è tempo di cambiare politica per raggiungere un equilibrio migliore.

 
  
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  Glenis Willmott (PSE), per iscritto. – (EN) La relazione riconosce le difficoltà economiche che il settore attraversa; tuttavia, per mantenere una posizione coerente coi problemi fondamentali dell’industria alieutica – eccesso di capacità e di catture – il partito laburista al Parlamento europeo desidera esprimere il proprio disaccordo sulla posizione adottata dalla relazione su quattro punti:

1. Demolizione e smantellamento: il partito laburista ritiene che questa dovrebbe costituire un’opzione tra le strategie da adottare per gestire l’eccesso di capacità.

2. Il proposto aumento degli aiuti “de minimis”, pagamenti che possono essere corrisposti all’industria alieutica per misure che altrimenti sarebbero destinate a distorcere la concorrenza o ad aumentare la capacità: la relazione chiede di portare il massimale a 100 000 euro. La Commissione ha proposto un incremento di 30 000 euro e il partito laburista appoggia un approccio più cauto.

3. Sostituzione dei motori e Fondo europeo per la pesca – la relazione è stata superata dall’accordo di compromesso sul FEP, ma il partito laburista rimane dell’opinione che non dovrebbero essere previsti aiuti per la sostituzione di imbarcazioni o di motori.

4. Aiuti/meccanismi di compensazione: la relazione suggerisce tali soluzioni, ma non riconosce il ruolo che questo svolge nell’incrementare l’eccesso di capacità nel settore.

 
  
  

– Relazione Miguélez Ramos (A6-0263/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa relazione sollecita la Commissione ad adeguare il regolamento per la pesca dello squalo alla realtà della pesca comunitaria, soprattutto per quanto concerne il rapporto di equivalenza – attualmente pari al 5 per cento – tra il peso delle pinne e il peso della carcassa.

Tale percentuale massima è stata trasposta direttamente dalla realtà statunitense e non è adeguata alle specie pescate dai paesi dell’Unione europea, ad esempio alla verdesca, specie catturata principalmente dalla flotta portoghese nelle acque delle Azzorre.

In questo senso concordiamo con la relatrice quando propone l’aumento di tale limite al 6,5 per cento, sulla base di studi scientifici esistenti e su richiesta di diversi paesi membri le cui flotte sono colpite da quest’impasse della Commissione. Tale situazione è già stata riferita nella relazione dell’ICCAT.

Nel caso del Portogallo, sono a rischio 11 palangari per la cattura del pesce spada e di specie pelagiche, cui viene applicata la percentuale del 5 per cento.

Tenendo conto che, anche negli emendamenti presentati, vi è un certo grado di contraddizione tra i dati scientifici e quelli tecnici, riteniamo che sia necessario realizzare un forum tecnico, con la partecipazione di scienziati e di professionisti del settore, allo scopo di raggiungere un consenso scientifico e chiarire se sia necessario modificare la percentuale massima ed eventualmente in che misura.

 
  
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  Glenis Willmott (PSE), per iscritto. – (EN) Il partito laburista al Parlamento europeo accoglie con estremo favore il regolamento (CE) n. 1185/2003 del Consiglio relativo all’asportazione di pinne di squalo a bordo dei pescherecci in quanto fattore importante ai fini della conservazione del pesce. Il regolamento è volto a prevenire lo spinnamento e l’eliminazione in mare delle carcasse dopo che le preziose pinne sono state rimosse. La pratica dello spinnamento, com’è noto, minaccia la sopravvivenza di numerose specie di squalo.

Fatta questa premessa, il partito laburista rileva con stupore e delusione che la presente relazione Miguélez Ramos minaccia di aumentare tale pratica. Il paragrafo 5 della relazione chiede di aumentare il rapporto tra il peso delle pinne e quello del corpo dal 5 al 6,5 per cento, in particolar modo per la verdesca, lasciando erroneamente intendere che il CIEM e l’ICCAT sostengano un aumento di tale percentuale per questa specie. Nel 2005 è stato sottoposto all’attenzione del CIEM un documento che però questo organismo non ha preso in considerazione, né ha espresso un’opinione in merito. Allo stesso modo, gli scienziati dell’ICCAT hanno rivisto il rapporto tra il peso delle pinne e quello del corpo, ma non hanno raccomandato un aumento del limite massimo.

Il partito laburista si è espresso a favore degli emendamenti che contribuirebbero a eliminare la pratica barbarica dello spinnamento dello squalo.

– Emendamento n. 1, che sospenderebbe qualunque modifica nel rapporto tra il peso delle pinne e quello della carcassa fino a riesame della questione; (…)

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
  

– Relazione Ransdorf (A6-0216/2006)

 
  
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  Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Ransdorf perché sottolinea l’importanza delle nanoscienze e delle nanotecnologie in campi diversi come la medicina, la chirurgia, l’energia, l’elettronica, la metallurgia, eccetera. Tuttavia ho votato contro gli emendamenti del gruppo Verde/Alleanza libera europea e contro alcuni paragrafi che, col pretesto del principio di precauzione, vogliono far credere che le nanotecnologie sono pericolose perché manipolano le particelle più piccole, ovvero gli atomi e le molecole. Tutto ciò è ridicolo. Laddove gli americani vedono delle opportunità, gli europei sentono anzitutto il desiderio di proteggersi da qualunque immaginabile rischio!

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) La comparsa di nuove scienze suscita sempre la sua parte di entusiasmo, speranza, interrogativi e anche opposizione; le nanotecnologie, le scienze che si occupano di oggetti della dimensione di un atomo, non costituiscono eccezione a questa regola.

In qualità di deputata liberale, sono naturalmente portata a sostenere il lavoro dei ricercatori sulle nanoscienze e sul controllo dell’assemblaggio degli atomi, una rivoluzione dietro cui si nasconde un immenso potenziale di applicazioni tecnologiche in campi diversi come i veicoli, gli alimenti, i farmaci e la medicina rigenerativa.

E’ necessario rafforzare la posizione dell’Europa in materia di nanotecnologie in relazione alla concorrenza mondiale. A titolo del settimo programma quadro occorre sbloccare fondi per oltre 610 milioni di euro l’anno. E’ altrettanto essenziale fornire risposte chiare ai cittadini che si preoccupano dell’eventuale tossicità delle nanoparticelle per l’ambiente, per la catena alimentare e per il nostro organismo.

Il sostegno dell’opinione pubblica non è scontato, è qualcosa che si guadagna e che richiede istruzione, pazienza e trasparenza: ecco perché l’Unione e gli Stati membri devono evitare di ripetere in questa sede gli errori commessi nel caso degli OGM, dove la scarsa chiarezza dell’informazione e le misure prese hanno portato una larga maggioranza degli europei a provare sospetto, e rigetto, nei confronti di una scienza che peraltro si era mostrata promettente.

 

9. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 12.50, riprende alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAURO
Vicepresidente

 

10. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

11. Ordine del giorno della prossima tornata: vedasi processo verbale

12. Vertice ASEM (Helsinki, 10 e 11 settembre 2006) (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sulla dichiarazione della Commissione relativa al Vertice ASEM (Helsinki, 10 e 11 settembre 2006).

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, parlo a nome della collega Ferrero-Waldner, che non può essere presente questo pomeriggio.

Desidero ringraziarvi per avermi dato questa opportunità di riferire sul positivo esito del sesto Vertice dell’Incontro Asia-Europa svoltosi a Helsinki il 10 e 11 settembre. Al Vertice hanno partecipato tutti i 39 partner ASEM, compresa la Commissione, 35 dei quali a livello di capi di Stato o di governo. La massiccia partecipazione è una riprova della grande importanza attribuita dai partner alle relazioni Asia-Europa mentre l’ASEM sta entrando nel suo secondo decennio di vita.

Al primo posto tra i risultati tangibili del Vertice è stata la decisione di consentire alla Bulgaria, alla Romania, all’India, alla Mongolia, al Pakistan e al Segretariato dell’ASEAN di aderire all’ASEM. L’apertura del sudest asiatico rappresenta uno sviluppo storico che rafforzerà sensibilmente il peso collettivo dell’ASEM nella promozione del multilateralismo e di obiettivi politici comuni nell’arena internazionale.

Nel quadro del tema generale “Sfide mondiali, risposte comuni”, il Presidente Barroso ha rimarcato la natura internazionale delle sfide e delle minacce che il mondo moderno si trova ad affrontare e l’esigenza di dare una risposta concertata. Tematiche globali quali il terrorismo e le minacce per la salute possono essere affrontate soltanto facendo ricorso al sistema internazionale multilaterale, con al centro l’ONU.

Per mantenere un sistema di scambi multilaterali aperto ed equo, è stato fondamentale decidere di riaprire i negoziati di Doha non appena le circostanze lo permetteranno. Tuttavia, si è rivelato necessario adottare adeguate politiche in campo economico, sociale, dell’istruzione e dell’occupazione al fine di migliorare la capacità della società di adeguare e accrescere la coesione sociale, perseguendo al contempo la crescita della produttività. Lo sviluppo di una società della conoscenza è stato un altro elemento fondamentale per garantire una crescita sostenibile e una competitività di livello globale.

Il Presidente si è unito agli altri partner nel dare un forte sostegno al dialogo interculturale e interconfessionale. L’armonia nella diversità era possibile, e poteva esserci soltanto tolleranza zero per l’intolleranza. Il Presidente ha condiviso con gli altri la sua profonda preoccupazione per il progredire dei mutamenti climatici, e ha invitato i partner a collaborare per giungere a un utilizzo dell’energia efficiente, pulito e sostenibile e alla riduzione delle emissioni. Un passo importante è stato l’adozione da parte del Vertice di un’ambiziosa dichiarazione sui mutamenti climatici, contenente un impegno comune a rispettare pienamente gli impegni previsti dalla convenzione quadro delle Nazioni Unite e dal suo Protocollo di Kyoto.

I leader politici hanno partecipato a discussioni veramente aperte e franche sui principali sviluppi nella regione, compresi la penisola coreana, la Birmania/Myanmar e il Medio Oriente. Alla presenza del ministro degli Esteri della Birmania/Myanmar, gli Stati membri hanno espresso il loro profondo disappunto per la mancanza di progressi verso la democrazia nel paese a partire dal Vertice di Hanoi del 2004.

Guardando al futuro, il Vertice ha adottato una Dichiarazione sul futuro dell’ASEM, individuando gli ambiti su cui l’ASEM dovrebbe concentrare il proprio lavoro per prepararsi al prossimo Vertice di Pechino nel 2008 e oltre.

Oltre ai vertici bilaterali con la Repubblica di Corea e con la Cina, il Presidente Barroso ha incontrato il Presidente indonesiano e il Primo Ministro di Singapore, mentre il Commissario Ferrero-Waldner ha visto i ministri degli Esteri di Vietnam, Thailandia, Indonesia e Filippine.

Gran parte del valore dell’ASEM risiede nella sua capacità di chiamare in causa tutti gli attori coinvolti. Il Presidente del partenariato parlamentare Asia-Europa si è rivolto per la prima volta ai leader politici in occasione del Vertice; anche i rappresentanti delle ONG, delle imprese e dei sindacati si sono incontrati a margine del Vertice.

Il Vertice di Helsinki ha impresso nuovo slancio all’ASEM all’inizio del suo secondo decennio di attività e, con l’ampliamento, gli ha conferito una capacità anche maggiore di influenzare l’agenda internazionale. La Commissione continuerà a svolgere il suo ruolo per cercare di realizzare le piene potenzialità di quel forum.

 
  
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  Panagiotis Beglitis, a nome del gruppo PSE.(EL) Signor Presidente, desidero rivolgere un ringraziamento particolare al Commissario McCreevy per averci aggiornati sul Vertice tenutosi a Helsinki.

L’emergere del ruolo geostrategico e geoeconomico dell’Asia e il dinamismo di forti economie emergenti stanno dando forma al nuovo quadro internazionale in cui l’Unione europea è chiamata a raccogliere le impegnative sfide politiche, economiche, energetiche e ambientali poste dalla globalizzazione.

Oggi, l’Asia è presente in modo dinamico nel sistema internazionale e, oltre a influenzarlo, contribuisce a modellare i nuovi rapporti di forza del XXI secolo. Né è casuale – anche a livello simbolico – che il nuovo Segretario generale dell’ONU proverrà dall’Asia. Pertanto, l’esigenza che l’Unione europea sviluppi efficacemente il nuovo ambiente asiatico sta diventando più impellente. L’istituzionalizzazione dei vertici annuali sta fornendo un contributo al dialogo e alla cooperazione multilaterale in settori di importanza cruciale per il futuro dell’umanità, come la pace, la sicurezza, l’energia, l’ambiente e lo sviluppo economico e sociale. Da questo punto di vista, il Vertice dell’ASEM di Helsinki ha conseguito risultati positivi, poiché ha confermato alcuni principi fondamentali della cooperazione multilaterale e ha evidenziato le priorità di base per far fronte alle nuove sfide internazionali.

Tuttavia non dobbiamo illuderci o coltivare eccessive speranze, perché l’Unione europea non dispone di una strategia comune integrata per l’Asia, con politiche e meccanismi che influiscano sullo sviluppo. Le strategie nazionali degli Stati membri non costituiscono una base stabile per la strategia europea comune. Inoltre, i paesi asiatici più forti – oltre al quadro delle dichiarazioni generali – hanno già formulato e stanno perseguendo con coerenza le proprie agende strategiche nazionali nei campi dell’energia, del commercio e della soluzione dei problemi internazionali e regionali.

Inoltre, la cooperazione multilaterale e le norme di condotta vengono riadattate alle loro condizioni, per esempio, nel campo della tutela ambientale, dei diritti sociali dei lavoratori e dei diritti delle donne e dei bambini.

Vorrei commentare in particolare il fatto che, se è vero che l’Unione europea può registrare un bilancio statistico positivo nei suoi rapporti economici e commerciali con i paesi asiatici, ciò non può nascondere le deplorevoli carenze dell’Asia nella tutela dei diritti umani, delle libertà democratiche e dei principi di tolleranza e diversità. Il recente colpo di Stato in Thailandia e il deficit democratico in numerosi paesi asiatici lo confermano. Inoltre, l’ascesa del fondamentalismo islamico sta mettendo in pericolo la stabilità e la sicurezza generali.

Ho la sensazione che ogni vertice sia contraddistinto da un eccesso di liste dei desideri e da una carenza di impegni e obiettivi chiari da attuare. E’ per questo che la Commissione europea potrebbe avanzare alcune idee per il controllo operativo dei vertici e per l’esigenza di istituzionalizzare, a mio parere, i rapporti tra l’Unione europea e l’Asia.

 
  
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  Jules Maaten, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, l’importanza del dialogo politico, economico e culturale tra l’Europa e l’Asia non va sottovalutata, naturalmente, e sono ancora sorpreso del fatto che i due principali gruppi presenti in questa Aula abbiano comunque deciso di non presentare una risoluzione che prosegua il lavoro del Vertice ASEM di Helsinki del 10 e 11 settembre. La proposta appena presentata dal gruppo socialista al Parlamento europeo è molto sensata, ed è deplorevole che non siamo stati in grado di esprimerla in una risoluzione.

Questo dialogo dà naturalmente la precedenza alla cooperazione economica, che io ritengo molto positiva, poiché è un modo per rafforzare ulteriormente i legami economici – sotto forma di scambi commerciali e di investimenti – tra l’Unione europea e l’Asia, la quale dispone di enormi potenzialità economiche: si prendano ad esempio, gli eccellenti risultati della Corea del Sud. Cinquant’anni fa era ancora un paese in via di sviluppo, ma oggi il 97 per cento circa della sua popolazione compresa tra i 25 e i 34 anni ha completato almeno le scuole secondarie: la più alta percentuale del mondo industrializzato. Gli investimenti nel campo dell’istruzione sono molto redditizi, poiché contribuiscono alla prosperità e all’espansione dell’economia.

Occorre ampliare i nostri programmi economici per includervi la promozione di contatti e joint venture che coinvolgano le piccole e medie imprese comunitarie e asiatiche, stimolando altresì la cooperazione tra organismi quali gli enti locali e le università. Constato anche con piacere che la Commissione sta cercando di prendere seriamente in considerazione la possibilità di stringere accordi commerciali bilaterali con paesi asiatici, sicuramente con Singapore, ma forse anche con la Thailandia. Si potrebbero, naturalmente, prendere in considerazione anche paesi come la Malaysia e l’Indonesia in assenza di accordi commerciali globali. Lo considero un modo positivo di compiere passi in avanti.

Tuttavia, se si hanno rapporti d’affari con l’Asia, non è ovviamente possibile considerare l’economia indipendentemente da altre tematiche. A mio parere è inoltre impensabile che questa Assemblea taccia dinanzi al recente colpo di Stato in Thailandia, dove, il 19 settembre, un organo militare autodefinitosi “Consiglio per le riforme democratiche” ha rovesciato il governo democraticamente eletto. E’ vero che nutrivamo seri dubbi su tale governo, ma è altrettanto vero che per superare questo problema il golpe militare non è la soluzione giusta. Notiamo, allora, che la Thailandia, un paese che si stava veramente avviando a diventare una democrazia stabile che sarebbe stata di esempio per il mondo e certamente per l’Asia, ha fatto un passo indietro.

Gli edifici parlamentari e i tribunali sono stati chiusi, le televisioni estere non possono più operare, e i canali locali, sotto il controllo dei militari, trasmettono canzoni patriottiche. Perfino i blog thailandesi sono stati chiusi e sottoposti a censura. E’ chiaro che abbiamo motivo di essere preoccupati per questa situazione: l’Unione europea, nell’affrontare questo stato di cose, deve mettere al primo posto i valori democratici. Pertanto trovo molto scorretto il nostro trattamento di Taiwan.

Infine, questo tipo di dialogo deve contemplare anche i diritti umani. Si stanno infatti verificando episodi inquietanti nelle Filippine e in Myanmar, e sono lieto che se ne parli. Ciononostante, desidero congratularmi con la Commissione – e, in questo caso, anche con il Consiglio – per il Vertice ASEM. In passato, abbiamo adottato una linea molto critica, in particolare per la posizione del Consiglio e per la sua assenza da questo vertice. Questa volta, invece, vi è stata una sorta di miglioramento, che spero prosegua. Auguro alla Commissione che i suoi sforzi in questa direzione vadano a buon fine.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

 

13. Azioni future nel settore dei brevetti (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sulla dichiarazione della Commissione relativa alle azioni future nel settore dei brevetti.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, i diritti di proprietà intellettuale (DPI) sono il fulcro di un’economia fondata sulla conoscenza. L’innovazione è il segreto di un’Europa più competitiva a livello mondiale. La tutela della proprietà intellettuale è di importanza cruciale, perché i diritti di proprietà intellettuale non premiano soltanto l’investimento in nuovi prodotti e servizi ma garantiscono anche il trasferimento di tecnologie, che agisce da stimolo di ulteriori innovazioni. La recente consultazione sul futuro del sistema dei brevetti in Europa ha lanciato un messaggio semplice: il quadro normativo deve offrire una tutela dei brevetti accessibile a tutte le imprese, grandi e piccole, garantire la certezza del diritto ed essere applicato a vantaggio di tutti gli attori. Pertanto è essenziale un solido quadro normativo. Devo ripetere che occorre tenere il passo: rispetto ai nostri principali partner commerciali, l’Europa sta perdendo terreno.

Il brevetto comunitario resta bloccato in sede di Consiglio, ma, riconoscendone l’importanza economica, sentivo che era errato lasciare l’intera questione dei brevetti in un limbo. Perciò, all’inizio dell’anno, come sapete, ho avviato una consultazione di ampio respiro tra tutte le parti interessate sulla futura politica europea in materia di brevetti.

La consultazione ha dimostrato che l’industria appoggia lo sforzo della Commissione per semplificare il sistema brevettuale europeo e per renderlo più vantaggioso economicamente. Esistono due grandi problemi in questo ambito: le lingue, o i costi di traduzione, da un lato, e la giurisdizione dall’altro. L’introduzione di un brevetto comunitario gode di ampio sostegno. Tuttavia non si può dire che l’industria ami il compromesso politico raggiunto nel 2003 in seno al Consiglio sul brevetto comunitario. Respinge le soluzioni proposte riguardo alle lingue e al sistema giurisdizionale perché non conseguono le riduzioni dei costi e la semplificazione del sistema dei brevetti invocate dall’industria.

Contemporaneamente, si registra anche una forte richiesta di migliorare l’attuale sistema europeo di brevetti, posto in essere dalla Convenzione di Monaco, con la conclusione di un accordo sulla giurisdizione dell’EPLA, l’accordo sulla risoluzione delle controversie in materia di brevetti europei, e con la ratifica ed entrata in vigore dell’accordo di Londra sul regime linguistico.

E’ interessante notare che nessuna iniziativa per il miglioramento del sistema dei brevetti UE ha ricevuto l’appoggio unanime degli attori coinvolti. Attori diversi sottolineano aspetti diversi, e molti suggeriscono la necessità di adottare un pacchetto di misure diverse, da attuare in parallelo.

Pertanto sono convinto che abbiamo bisogno di un approccio pluridisciplinare. Per riuscire, dovremmo affrontare tutte le tematiche relative ai brevetti in un pacchetto. Tale pacchetto dovrà rispondere alle critiche e alle esigenze degli attori coinvolti. Avremo successo soltanto se saremo in grado di dimostrare che ciò che proponiamo sarà dotato di un valore aggiunto rispetto allo status quo, in particolare per quanto riguarda i costi di brevettazione (costi di traduzione) e la certezza giuridica (sistema di competenze giurisdizionali). Attualmente ci stiamo occupando delle opzioni relative al percorso da seguire e le presenteremo in una comunicazione e in un piano d’azione che la Commissione dovrà adottare entro la fine dell’anno.

Una componente chiave di questo lavoro riguarda la tematica giurisdizionale. Attualmente, benché le imprese abbiano a disposizione uno sportello unico presso il quale possono acquisire un brevetto (l’UEB), si possono trovare a difendere il brevetto su più fronti allo stesso tempo. Questo perché i brevetti concessi dall’Ufficio europeo dei brevetti sono in realtà un pacchetto di brevetti nazionali e possono essere fatti valere soltanto dai tribunali nazionali. La possibilità che una vertenza venga depositata presso più tribunali per la stessa invenzione fa lievitare i costi, naturalmente, ma crea anche un clima di incertezza, il che è anche peggio, perché tribunali diversi in paesi diversi possono fornire interpretazioni divergenti della stessa invenzione brevettata. Dobbiamo affrontare questo problema con urgenza. L’attuale “mosaico” può impedire ai titolari dei brevetti di far valere i propri diritti e scoraggia i candidati, in particolare le PMI, le quali cercano una tutela efficiente e accessibile dei brevetti, dall’utilizzare il brevetto europeo. L’Europa attualmente non è in grado di offrire alle imprese innovative una soluzione ottimale per la tutela della loro proprietà intellettuale. Non possiamo aspirare a diventare l’economia più competitiva al mondo se non riusciamo a trovare soluzioni praticabili alla richiesta e alla tutela dei brevetti.

Il brevetto comunitario e le iniziative volte a migliorare il brevetto europeo, ovvero l’accordo di Londra sulle traduzioni e l’EPLA, non si escludono a vicenda. Entrambi puntano allo stesso obiettivo: un sistema di brevetti migliore, meno costoso e più affidabile. E’ per questo che intendo perseguirli entrambi. Dobbiamo affrontare sfide simili nella progettazione del regime giuridico per il brevetto comunitario: dobbiamo individuare un sistema unificato che garantisca indipendenza giuridica e chiarezza e affidabilità agli utenti dei brevetti, evitando al contempo un’eccessiva centralizzazione e frammentazione.

Per perseguire tale obiettivo, la Comunità deve essere coinvolta nell’EPLA, che si occupa della condivisione delle responsabilità fra Stati membri e a Comunità. E’ ovvio che il Parlamento dovrà dare il proprio contributo nel momento in cui la Comunità procederà con le proposte necessarie per portare avanti questo tema nel prossimo futuro.

So che si sono levate voci critiche nei confronti dell’EPLA. Lasciatemi dire soltanto che considero l’EPLA un’iniziativa concreta volta a dotare di maggiore unità la giurisprudenza europea in materia di brevetti. E la certezza giuridica è ciò che serve alla nostra industria, grande o piccola che sia. Esistono centinaia di migliaia di brevetti concessi dall’UEB. Anche se avessimo un brevetto comunitario, avremmo bisogno di snellire il processo di attribuzione delle competenze per i brevetti rilasciati dall’UEB.

Sta a noi partecipare a questa iniziativa per far sì che possa potenziare la competitività della nostra economia. Riconosco che sussistono legittimi dubbi e preoccupazioni: il costo di una controversia in ambito EPLA, l’effetto delle norme procedurali, che dobbiamo ancora vedere, e l’indipendenza dei giudici EPLA dall’UEB. Tuttavia, sono convinto che il modo migliore per affrontare tali problemi sia quello di impegnarsi attivamente nel processo e di garantire un risultato che sia soddisfacente ed equo per tutte le parti in causa e pienamente conforme alle norme giuridiche dell’UE.

Chiaramente, né il brevetto comunitario, né l’EPLA sono una panacea. Ci saranno sempre imprese – quelle più piccole – che preferiscono avere a che fare con i loro uffici brevetti nazionali, o impiegare modelli d’impresa che non dipendono dai brevetti. Dobbiamo trovare il modo di aiutarle e sostenerle. E, naturalmente, dobbiamo impedire che le grandi aziende abusino della loro posizione, sfruttando i propri brevetti oppure ignorando slealmente i diritti di brevetto degli altri.

La consultazione ha sollevato varie problematiche di questo tipo, per esempio i possibili meccanismi di mediazione che potrebbero precedere la controversia, l’esigenza di creare mercati tecnologici che permetterebbero alle imprese di scambiare i loro diritti di proprietà intellettuale con maggiore efficienza, e l’idea di scambiare le pratiche migliori tra gli uffici brevetti nazionali, soprattutto tenendo conto delle particolari esigenze delle PMI. Risponderò a tutte queste problematiche collaborando con i miei colleghi della Commissione, e proponendo una strategia di ampio respiro.

Di fronte all’economia del XXI secolo, un’economia globale e basata sulla conoscenza, dobbiamo urgentemente trovare una soluzione al problema dei brevetti. Conto sul sostegno del Parlamento per trovare una soluzione completa a queste complesse problematiche.

 
  
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  Klaus-Heiner Lehne, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, da ormai due anni sono uno dei due relatori del gruppo direttivo del Parlamento europeo per il processo di Lisbona. Come sapete, abbiamo avviato assieme il processo di Lisbona nel 2000, e, da allora, abbiamo lavorato senza posa per evidenziare, nelle dichiarazioni dei capi di Stato e di governo e nelle risoluzioni del Parlamento, che lo sviluppo del sistema europeo dei brevetti è uno dei presupposti più importanti che ci consentiranno di perseguire gli obiettivi definiti a Lisbona. Mi ha colpito l’enfasi posta dal Commissario McCreevy sull’importanza di questa materia. Il nostro obiettivo deve essere quello di ottenere un brevetto semplice, economico, applicabile in tutta Europa, se possibile, che dia non solo alle grandi aziende ma, in particolare, alle piccole e medie imprese l’opportunità di tutelare nel mercato interno le proprie innovazioni: infatti, sono le piccole e medie imprese a detenere il maggior numero di brevetti innovativi.

Il punto è che dobbiamo cambiare l’attuale frammentato panorama europeo dei brevetti al fine di ridurre drasticamente i costi procedurali, delle consulenze e di traduzione, che rappresentano un grosso onere per le piccole e medie imprese. Questo è il fine ultimo da raggiungere. Chiaramente, è già possibile tutelare le proprie invenzioni in tutta Europa, ma, in pratica, occorre farlo in ogni Stato membro, direttamente tramite gli uffici brevetti nazionali oppure indirettamente tramite l’Ufficio europeo dei brevetti, con il pacchetto di brevetti che è stato ricordato in precedenza. In caso di controversie o violazioni bisogna, in teoria, avviare procedimenti, sostenere spese legali e così via in tutti quei paesi. Questo problema va risolto, e le procedure rese più sostenibili e praticabili, specialmente per le PMI. Occorre sviluppare ulteriormente il mercato interno in questo ambito.

Il suo predecessore, il Commissario Bolkestein, ha avviato una lodevole proposta di normativa unica europea in materia di brevetti volta a creare un brevetto comunitario. Tuttavia, se la base giuridica è l’articolo 308 ed è richiesta l’unanimità in Consiglio, sarà difficile giungere a un accordo. In questo caso particolare, non si è trovato l’accordo nella disputa sulle lingue: attualmente esistono 20 lingue ufficiali che il Consiglio richiede; dopo il prossimo allargamento saranno 22. L’industria afferma, a ragione, che quel tipo di brevetto non serve a nessuno: il suo costo è talmente esorbitante che è assolutamente inutile ed è praticamente privo di valore economico. La competitività del brevetto europeo ci farebbe arretrare sensibilmente a livello mondiale e non garantirebbe la qualità richiesta. Un brevetto di questo tipo sarebbe vantaggioso soltanto per le imprese più grandi e ricche che se lo potrebbero permettere, ma forse neppure per loro. Per le medie imprese sarebbe del tutto inutilizzabile. Pertanto, il Regolamento è rimasto bloccato, e il Consiglio non cambia posizione.

Anche il mio suggerimento di proseguire il processo di armonizzazione, che avete avuto la bontà di includere nella consultazione, signor Commissario, è stato respinto da tutte le parti in causa, principalmente in seguito a quanto è successo alla seconda lettura della direttiva sulle invenzioni attuate mediante elaboratori elettronici, che ha mostrato che si correva il rischio di adottare una legislazione che non avrebbe migliorato l’attuale sistema dei brevetti, anzi, l’avrebbe peggiorato considerevolmente.

Pertanto, non abbiamo compiuto progressi neanche nel campo dell’armonizzazione. Perciò, cosa ci resta da fare? Non ci resta che proseguire e sviluppare ulteriormente l’attuale sistema dei brevetti. Esistono, comunque, problemi istituzionali in questo ambito: da un lato, la pretesa dell’Unione europea, pienamente legittima, che gli Stati membri non legiferino in ambiti che, ad ogni modo, rientrano solo in parte nella sua sfera di competenza e appartengono al mercato interno; dall’altro, la volontà degli Stati membri di fare passi avanti. Sono dell’idea che occorra collegare questi due problemi per cercare di risolverli. A mio parere, un’opzione possibile sarebbe che l’Unione europea partecipi in qualche modo – da decidere per via negoziale – all’accordo europeo sui brevetti e, in cambio, che essa risolva le preoccupazioni istituzionali relative all’EPLA. Potrebbe essere un modo per migliorare la situazione mentre è ancora impossibile raggiungere un accordo in seno al Consiglio in materia di brevetto comunitario.

Rispetto alle critiche delle lobby espresse pubblicamente, a mio modo di vedere, l’affermazione che l’introduzione di una singola Corte europea per i brevetti in ambito EPLA renderebbe più facile brevettare il software è, a dir poco, insensata. Si tratta di pure congetture non dimostrate – in un caso si tratta di diritto procedurale, nell’altro di diritto sostanziale – né l’EPLA è più costoso. Deve essere chiaro che qui si stanno confrontando le mele con le pere. Se l’EPLA sarà attuato, non sarà necessario risolvere le controversie legali in tutti i paesi coinvolti: un tribunale, di secondo grado, per così dire, pronuncerà un giudizio parimenti vincolante per tutti gli Stati firmatari.

Sono molto grato al Commissario McCreevy per come ha condotto la consultazione. Deduco dalle dichiarazioni pubbliche del Commissario che anch’egli ha tratto ovviamente le conclusioni giuste dai risultati della consultazione. Vorrei dire, sia personalmente, sia a nome della grande maggioranza del mio gruppo, che noi condividiamo e appoggiamo questa posizione. Non vi è alternativa: altrimenti, il magnifico progetto di sviluppare il sistema europeo dei brevetti è destinato a fallire.

 
  
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  Michel Rocard, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, non siamo in molti in questa Aula, il che non significa che non stiamo decidendo di problemi seri – proprio il contrario. Vi parlerò a nome di tre gruppi politici o perfino di più, proprio come ha appena fatto il mio collega e amico, onorevole Lehne.

Signor Commissario, questo dibattito è scaturito dall’iniziativa del Parlamento europeo ed è nato dal nostro desiderio di rispondere positivamente alla sua consultazione. La ringraziamo per questo e ci congratuliamo con lei.

Dopo le difficoltà incontrate sulla brevettabilità del software, eravamo lieti che la Commissione – tramite la sua intermediazione – stesse avviando una procedura volta a riavviare le discussioni e il lavoro preparatorio in merito al brevetto europeo.

Signor Commissario, avevamo incrociato le spade, eravamo in disaccordo su diversi punti. L’ho appena ascoltata con grande attenzione. Posso dire di condividere praticamente tutto ciò che ha detto. Condivido tutto, ma c’è un punto che non ha toccato, e, dato il suo silenzio, è quello su cui mi soffermerò e che, essendo ancora irrisolto, lascia al momento coloro che rappresento in uno stato di incertezza piuttosto negativo.

Permettetemi di spiegarmi meglio. Tutti noi in questa Aula, in quanto europei, desideriamo il brevetto comunitario. Condivido questa posizione con il mio collega e amico, onorevole Lehne, che ha appena parlato con la sua consueta eloquenza.

Sappiamo tutti che questo brevetto ha incontrato enormi difficoltà e che si trova in una fase di stallo. Il principale motivo di questo stallo è rappresentato dal fattore linguistico. In realtà, i quattro fattori che provocano questo stallo sono il problema linguistico, il problema dei costi, il problema della coerenza giuridica della magistratura e il problema della sovranità: è di quest’ultimo che non si è parlato.

Sono convinto che i veri mezzi per spezzare l’impasse politica, culturale e intellettuale in Consiglio in materia di brevetto europeo siano legati principalmente alla soluzione del problema linguistico. A differenza del mio collega, onorevole Lehne, non sono soltanto un deputato europeo favorevole all’Europa: sono anche un francese. Nessuno è perfetto, mi perdonerete per questo. Vorrei dichiarare in questa sede che la ratifica dell’accordo di Londra – che il mio paese non ha ancora ufficialmente approvato, ma gli raccomando di farlo – offrirebbe a tutti noi l’opportunità di superare la nostra arroganza linguistica e l’ostilità che essa fomenta e di imparare a vivere insieme, sapendo che in tutto il mondo una sola lingua prevale sulle altre. Possiamo non gradire, ma così stanno le cose; è una questione di comodità. Ciò potenzialmente sbloccherebbe la situazione di stallo rispetto all’avvio dei piani per un brevetto comunitario. Pertanto la risoluzione che uscirà da queste discussioni dovrebbe esprimere questo punto.

Il secondo problema riguarda i costi: vi accennerò soltanto per dire che tre quarti del fattore costi è legato alle lingue – questo è il problema di cui tratterò – e che il restante quarto è di piccola entità, che probabilmente occorre migliorare l’EPLA e che è scandaloso pensare che potremmo assistere alla ratifica di un accordo che secondo molti esperti aumenterebbe i costi. Non ne abbiamo bisogno.

L’unico problema di cui non si è parlato consiste nel sapere quale sovranità legislativa definirà e svilupperà l’ambito di ciò che è brevettabile, rispetto a ciò che non lo è, nel corso del tempo.

Questo Parlamento sarà molto sensibile a tutto ciò che riguarda la brevettabilità della materia vivente: un problema centrale per la civiltà. Inoltre, per quanto riguarda il software, non possiamo ratificare l’EPLA, perché tale accordo conferisce a un gruppo professionale di giudici una funzione in parte internazionale, in parte europea: quella di apportare le modifiche alla giurisprudenza che essi ritengono più opportune, senza alcun controllo legislativo o sovranità che possa influire sulle loro azioni.

E’ questo aspetto che non possiamo accettare: l’idea che la sovranità europea non abbia alcun effetto sulla definizione dell’ambito di competenza. Di conseguenza, poiché l’EPLA è un corpo di giurisdizioni autonome che bloccano e frenano l’attuazione del brevetto europeo, noi diciamo no all’EPLA e vi raccomandiamo di…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Sharon Bowles, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, signor Commissario, come sapete, ho partecipato alla giornata di consultazione sui brevetti. Ho presentato la mia proposta e ho letto molte delle altre e penso che quello che ci avete appena fornito sia un riepilogo molto onesto. Vorrei anche ringraziarvi per aver spostato la giornata di consultazione a una data che non coincidesse con una seduta a Strasburgo, consentendo a me e ad altri parlamentari di parteciparvi.

Si è trattato di un esercizio utilissimo, perché ha mostrato la dimensione dei problemi relativi alle proposte sul brevetto comunitario. Le traduzioni, come sapevamo, erano un problema, ma ora è chiaro che l’esigenza di un sistema di risoluzione delle controversie, composto di giudici specialisti cui si può avere accesso nell’ambito degli Stati membri, ne rappresenta un altro. Tutti noi desideriamo che le considerazioni relative al mercato unico prevalgano: in tal modo avremo alla fine un brevetto comunitario, ma la consultazione dimostra che esistono provvedimenti che è possibile adottare per migliorare il processo.

L’iniziativa EPLA da parte degli Stati membri, che ha carattere opzionale, abbraccia alcuni di questi provvedimenti. Il processo è ancora in corso, perciò ora avete l’opportunità di partecipare e vedo di buon occhio il fatto che voi intendiate cogliere questa opportunità. Ciò può risultare utile soltanto per tentare di perseguire l’obiettivo di un sistema di brevetti europei e comunitari singoli o unificati. Forse potete contribuire a risolvere i punti su cui l’EPLA è stato criticato. Un punto che vorrei veder risolto sarebbe ridurre al minimo le parcelle dei tribunali, piuttosto che costringere le parti in causa a sostenere tutti i costi delle parcelle dei giudici e i costi di costituzione della corte d’appello. Un secondo punto è mantenere i tribunali dei brevetti nazionali, anziché abolirli progressivamente entro sette anni. Potrebbero sicuramente restare attivi, così come le registrazioni dei brevetti nazionali coesistono da quasi 30 anni con i brevetti europei.

D’altro canto, la possibilità di avere tribunali di primo grado nazionali e un gruppo di giudici, di cui almeno uno tecnicamente qualificato e almeno due legalmente qualificati e provenienti da Stati membri diversi, potrebbe essere superiore all’attuale regime della Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE), nel caso richiedessero un brevetto comunitario.

L’onorevole Rocard e alcuni altri hanno criticato l’EPLA, perché consentirebbe ai membri della commissione di ricorso dell’UEB di diventare giudici tecnici. Tale obiezione si basa unicamente sul fatto che non si condividono determinate decisioni in uno o due ambiti tecnologici. Non tiene conto del registro disponibile al pubblico che dimostra che le commissioni tecniche dell’Ufficio europeo dei brevetti (UEB) sono indipendenti sia dalla sua divisione d’esame, sia dalle sue pratiche. Ignora il fatto che, nella struttura dell’EPLA, tali giudici tecnici sarebbero in minoranza rispetto ai giudici nazionali che sono stati elogiati da coloro che hanno le stesse convinzioni dell’onorevole Rocard riguardo alla loro presa di posizione in quegli ambiti tecnologici. Tuttavia, mi chiedo se vorremmo metterli in condizione di ricoprire le due cariche contemporaneamente – credo che l’intenzione fosse un’altra – e penso che si potrebbe chiarire questo punto.

Inoltre, le nomine dei giudici da parte di rappresentanti dei governi degli Stati membri segue i precedenti di varie Istituzioni, compresa la CGCE, perciò non penso che questi argomenti siano molto fondati e sarebbe certamente un errore per la Commissione non contribuire e non imparare dal processo EPLA.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, intervengo a nome della collega, onorevole Evelin Lichtenberger, che oggi pomeriggio non può essere presente in Aula.

Parliamo sempre di un’Europa competitiva, basata sulla conoscenza, ma alcuni hanno così poca fiducia nelle potenzialità dell’Europa che preferiscono rafforzare un organismo esterno all’UE (l’Ufficio europeo dei brevetti) a discapito degli interessi dell’Unione europea. Se ciò che vogliamo è una giurisdizione armonizzata, perché non perseguiamo tale obiettivo mediante direttive UE? Sarebbe il modo più ovvio di procedere, ma alcuni hanno paura di affrontare il processo democratico.

Dopo la lotta sulla brevettabilità del software, sembra che alcuni siano preoccupati per gli emendamenti che il Parlamento europeo potrebbe proporre. Perciò vorrebbero procedere nel modo meno democratico possibile, mettendo il destino delle aziende europee nelle mani della burocrazia dei brevetti anziché in quelle dei politici eletti. Inoltre, il costo delle controversie sarebbe arduo da sostenere per le PMI perché ogni controversia relativa a un brevetto UEB andrebbe direttamente dinanzi a una nuova corte internazionale – un vero e proprio autogol per la competitività europea.

Vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che alcune grandi multinazionali come Nokia e GlaxoSmithKline sono molto preoccupate per questa proposta. Se essa non aiuta le PMI, né è vista di buon occhio dai grandi paesi, a chi servirà? Ciò che possiamo dedurre con sicurezza è che incrementerà soltanto il lavoro dei legali competenti in materia di brevetti. L’Europa non ha solo bisogno di più brevetti: ha bisogno di più brevetti di alta qualità che favoriscano una vera innovazione. Il numero di domande di brevetto presentate ogni anno all’Ufficio europeo dei brevetti è aumentato negli ultimi sette anni di circa il 60 per cento. Tuttavia tale aumento non corrisponde a un incremento delle attività innovative, il che ci fa temere per un eventuale ampliamento delle competenze dell’Ufficio brevetti.

Continueremo a ripetere ai nostri colleghi, e in particolare al Commissario, che soltanto un quadro comunitario creerà le condizioni per un diritto europeo dei brevetti efficace e competitivo a livello internazionale.

 
  
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  Thomas Wise, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, l’anno scorso il Parlamento respinse con 684 voti contro 14 un tentativo di imporre i brevetti sul software, perché, così come i libri e tutti i materiali scritti, il modo migliore per descrivere il software è “idee sotto forma simbolica” e deve continuare a essere soggetto soltanto al diritto d’autore. Il Parlamento era anche persuaso che brevettare il software avrebbe soffocato le invenzioni, indebolito le piccole imprese e danneggiato l’economia, eppure quest’anno la Commissione torna con una proposta di ancora più ampio respiro, che permetterebbe di brevettare il software.

La proposta è quella di creare un solo tribunale dei brevetti, i cui giudici sarebbero nominati dalla stessa commissione che nomina i giudici per l’attuale corte d’appello dell’Ufficio europeo dei brevetti, dotato di funzione puramente consultiva. La Commissione ha un seggio alla commissione di appello e, mediante questa proposta, acquisirebbe anche diritti di voto. Questo fa sorgere seri dubbi riguardo all’indipendenza della nuova corte, specialmente se consideriamo che l’UEB non si fa scrupoli di brevettare il software e che questa proposta impegna un solo tribunale dei brevetti a seguire i precedenti creati dalle passate decisioni dell’UEB.

Per ammissione della stessa proposta, le controversie presentate dinanzi a questo nuovo tribunale costerebbero da due a tre volte di più rispetto a quelle presentate alle corti nazionali dei brevetti, che essa abolirà. In tal modo l’appello a questa corte sarà fuori dalla portata di tutte le aziende, tranne quelle più grandi. Pensavo che la direttiva sulle invenzioni attuate mediante elaboratori elettronici fosse negativa finché non ho visto questa proposta. Se passa, sarò lieto di sostenere l’opinione leninista secondo cui il peggio è meglio. Nondimeno, dovremmo ripetere il nostro no e chiedere ai Commissari quale parte del no non capiscono.

 
  
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  Barbara Kudrycka (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, il sensibile aumento nelle domande di brevetto sta intensificando l’impatto della legislazione brevettuale poco chiara. Ecco perché servono soluzioni che consentano l’avvio del processo di armonizzazione della legislazione brevettuale. Di conseguenza, è necessaria una chiara definizione di ciò che può o non può essere brevettato. E’ importante non ricorrere all’impiego della legislazione brevettuale isolandola dalle innovazioni stesse, perché per sua stessa natura un brevetto comporta una certa restrizione alla libera concorrenza. Una direttiva di armonizzazione sarebbe la soluzione migliore dal punto di vista degli interessi comunitari, ma il Parlamento ha respinto le precedenti proposte della Commissione.

Occorre pertanto ricercare altre soluzioni. Una delle idee che sono state avanzate è che tutti gli Stati membri dell’Unione accettino e ratifichino la Convenzione EPLA. Occorre tenere presente, tuttavia, che possiamo appoggiare questa Convenzione soltanto qualora soddisfi i criteri ritenuti essenziali dall’Unione. Tra gli altri, questi criteri comprendono la formulazione di una definizione chiara, per quanto possibile, di ciò che è possibile brevettare garantendo l’indipendenza degli organismi di regolamentazione e la totale imparzialità dei giudici che decidono in merito alla tutela e alla validità dei brevetti. Anche i costi della tutela dei diritti di brevetto devono essere equilibrati e semplici da attuare.

Questi sono i motivi per cui attualmente non siamo in grado di adottare la Convenzione. Le sue implicazioni possono essere difficili da valutare perché, sebbene sia ovvio che l’EPLA riguarda soluzioni istituzionali, non va tralasciato il potenziale impatto sul diritto sostanziale, specialmente per quanto riguarda le pratiche dell’Ufficio europeo dei brevetti. Chiedo pertanto alla Commissione di preparare una valutazione dettagliata dell’impatto di ciascuna delle proposte presentate in questa sede. Ciononostante, è estremamente importante chiarire che il Parlamento desidera veramente modificare la politica brevettuale. Il tipo di modifica che abbiamo in mente, tuttavia, deve soddisfare le esigenze sia delle grandi, sia delle piccole e medie imprese europee.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE).(ES) Signor Presidente, vorrei congratularmi con il Commissario McCreevy per il lavoro svolto sulla creazione di un mercato interno, in particolare per quanto riguarda il diritto in materia di brevetti.

Tuttavia, devo sottolineare che noi parlamentari europei siamo qui in rappresentanza dei nostri elettori, e le reazioni a questa proposta che abbiamo registrato tra gli elettori del settore industriale del mio paese sono state negative. Questo per vari motivi: il problema delle lingue – credo che la soluzione proposta sia molto peggiore di quella che abbiamo applicato all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno, che offre una più ampia pluralità di lingue – e il problema delle competenze, che è già stato discusso in questa sede.

Abbiamo la nostra giurisdizione, ovvero quella della Corte di giustizia delle Comunità europee e del Tribunale di primo grado; la creazione o la moltiplicazione di competenze al di fuori dell’Unione europea solleva una serie di problemi di cui dobbiamo tenere conto.

Sento che questa proposta è destinata al fallimento, come le precedenti proposte, perché non tiene conto di questi fattori. Dobbiamo fare passi avanti in materia di brevetti, ma, a tal fine, dobbiamo avere un’ampia base politica.

In primo luogo, vorrei dire che, al momento, le procedure giurisdizionali che vanno al di là della struttura dell’Unione europea non ispirano fiducia, e abbiamo grande fiducia nelle splendide Istituzioni della Corte di giustizia e della Corte di primo grado. In secondo luogo, ricordo che il problema delle lingue non è una questione futile. So che molti hanno una lingua di natura più universale, ma nell’ambito dell’Unione europea abbiamo ricercato soluzioni al problema linguistico, perché l’Unione europea comprende diverse culture, diversi modelli e diversi sistemi giuridici che devono poter coesistere.

Spero che il Commissario e la Commissione tutta riflettano su questo punto e siano in grado di presentarci una proposta che sia accettabile per l’intera Unione europea.

 
  
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  Toine Manders (ALDE).(NL) Signor Presidente, signor Commissario, grazie per aver cercato di far ripartire ancora una volta questo lento bastimento. Da oltre trent’anni discutiamo di brevetti, ed è molto strano che un così alto numero di parlamentari critichino le vostre idee, anche se quasi tutti gli Stati membri dell’UE sono firmatari della Convenzione di Monaco. Così facendo, danno prova di scarsa fiducia nei nostri Stati membri; la trovo una situazione di stallo abbastanza strana in sé, e penso anche che vi sia qualcosa di insolito nel fatto che non si possa ancora discutere di brevetto comunitario a livello di Consiglio.

Al momento attuale, l’UE non ha alcun mezzo di controllo democratico sull’Ufficio europeo dei brevetti, e questo naturalmente è deplorevole. Condividiamo il vostro modo di pensare, e sarebbe positivo se l’UE si comportasse come ha fatto alla Conferenza dell’Aia, ovvero partecipasse come organizzazione politica ed economica, permettendo anche a noi, in quanto parte di essa, di influire su ciò che accade. In tal caso, quindi, la cooperazione intergovernativa non sarà più all’ordine del giorno, e si adotterà il metodo comunitario. Sarei lieto se l’Unione europea partecipasse altresì alla Convenzione di Monaco; in questo modo la Commissione, e forse anche il Parlamento, potrebbero esercitare un controllo democratico continuo su ciò che accade. Pertanto, insieme al gruppo del Partito popolare europeo e ai liberali – e spero che il gruppo socialista si unisca a noi – abbiamo presentato una risoluzione che appoggia la vostra posizione, con l’intento di esaminare le opzioni disponibili. Riteniamo che sia l’unica soluzione se il Consiglio continuerà a discutere a lungo di questo punto.

Qui non stiamo parlando delle norme che regolano le lingue o i costi, e chiaramente non desideriamo sciogliere i tribunali nazionali, ma deve esserci, in ultima istanza, una camera speciale presso la Corte di giustizia della Comunità europea composta di giudici specialisti in grado di stabilire in che modo trattare i brevetti di tutta Europa, nel caso arrivino vertenze al tribunale.

Per quanto riguarda le invenzioni attuate mediante elaboratori elettronici cui faceva riferimento l’onorevole Rocard, non vogliamo riaprire quel vaso di Pandora; concordo con lui che farlo sarebbe molto tedioso. Possiamo anche vedere come si possa continuare a commettere errori in ambito UEB, e, per il semplice fatto di non poterli correggere, è importante approfondire questo aspetto.

Sono rimasto molto colpito dalle parole di un Commissario irlandese, che ha di recente dichiarato, in Finlandia: “Basta belle parole su Lisbona; ora passeremo all’azione”. Spero che è quello che farà, perché è stato lei, signor Commissario, a rilasciare quelle dichiarazioni.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ho ascoltato attentamente il dibattito questo pomeriggio. Siamo tutti d’accordo che la situazione non è perfetta e sappiamo tutti che esistono opinioni diverse in merito alle soluzioni giuste da adottare. Sono convinto che, in un mondo ideale, il brevetto comunitario sia la soluzione, ma nel mondo reale non vi sono prospettive di accordo sul brevetto comunitario nell’immediato futuro.

Perciò dovrei restare seduto a non far nulla, aspettando che accada qualcosa? Certo, sarebbe un modo facile per uscirne, ma sarebbe anche molto irresponsabile, perché non accadrà nulla se non prenderemo l’iniziativa.

La consultazione ci ha fornito alcuni messaggi chiari e importanti. Vi è un immenso desiderio di un sistema di brevetti che sia più semplice e meno costoso e che mantenga gli elevatissimi standard qualitativi delle sue procedure di esame e di concessione.

Tutti gli attori coinvolti si sono sforzati in ogni modo di trasmetterci le loro opinioni. Ora, giustamente, si aspettano azioni pratiche. Sono d’accordo con loro. Penso sia giunto il momento di adottare un’iniziativa concertata per migliorare il sistema dei brevetti in Europa. In quanto responsabili delle decisioni politiche e delle regolamentazioni, è nostro dovere farlo.

Attualmente, ci troviamo in una situazione di stallo. Dobbiamo compiere il primo passo, quello più difficile, in una direzione o nell’altra. Non esiste alcuna soluzione perfetta. Nessun singolo elemento fornirà tutte le risposte. Dobbiamo riunire strumenti diversi per soddisfare le diverse esigenze dei diversi attori coinvolti. Come ho dichiarato nelle mie osservazioni preliminari, il brevetto comunitario e l’EPLA non sono iniziative incompatibili tra di loro; infatti, il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di farle convergere. In entrambi i casi il nostro fine è lo stesso: un sistema dei brevetti migliore, meno costoso e più affidabile.

Vedo chiaramente i potenziali difetti e i pericoli dell’EPLA. Ma avremo maggiori possibilità di ottenere l’esito giusto per il mondo imprenditoriale europeo se ci impegneremo attivamente nella negoziazione dell’accordo.

La strategia in materia di brevetti contiene ora qualcosa in più che non i nostri piani futuri relativi al brevetto comunitario e all’EPLA. Esiste una vasta gamma di provvedimenti di formulazione e di sostegno di cui dobbiamo tenere conto, la maggioranza dei quali rivolti alle piccole aziende. Il nostro obiettivo è produrre un sistema che soddisfi le esigenze di tutti gli attori coinvolti a tutti i livelli – nazionale, europeo e comunitario – e produca un buon equilibrio tra i diversi interessi coinvolti.

Vorrei chiarire un ultimo punto: dopo 30 anni di politica, non mi sorprendo più facilmente. Ma questa settimana mi sono un po’ sorpreso. Mi sono un po’ sorpreso del fatto che il profilo della nostra strategia futura, che ho delineato nel mio discorso a Helsinki di qualche settimana fa, sia stato usato da alcuni per asserire che la Commissione desidera riportare in agenda la questione delle invenzioni attuate mediante elaboratori elettronici. Ora, sono abituato alle argomentazioni forti e ai collegamenti, ma questo collegamento mi lascia alquanto perplesso. In varie occasioni ho dichiarato dinanzi a questa Assemblea che, finché resterò Commissario per il mercato interno e i servizi, la Commissione non presenterà alcuna iniziativa e che io non svolgerò alcun lavoro a tal fine. Alcuni possono essere d’accordo, altri disapprovare, ma questo Parlamento ha respinto la posizione comune l’anno scorso. Rispetto e accetto quella decisione e non farò assolutamente nulla per cambiarla.

Lasciate che vi tranquillizzi: sono un uomo di parola. Traendo conclusioni dall’esercizio di consultazione, non avevo assolutamente in mente le invenzioni attuate mediante elaboratori elettronici. Questo non cambierà nel resto del mio mandato.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Comunico che il termine per la presentazione di proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento è fissato a lunedì 9 ottobre 2006 alle 12.00.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 12 ottobre alle 11.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Richard Corbett (PSE).(EN) Nutro seri dubbi in merito alla proposta di un sistema di tribunali competenti in materia di brevetti che sarebbero distanti dalle istituzioni democratiche e da un corretto controllo di legittimità. La bozza di risoluzione sull’accordo sulla risoluzione delle controversie in materia di brevetti europei (EPLA) potrebbe, se attuata, mettere le controversie in materia di brevetti nelle mani di coloro che hanno un interesse personale in un ampio utilizzo dei brevetti, produrrebbe ulteriori costi a carico delle PMI, provocherebbe un’esplosione di vertenze e potrebbe limitare l’innovazione in Europa.

I sostenitori dell’EPLA fanno riferimento al tribunale federale centrale per i brevetti USA, ma questo sistema ha prodotto un eccessivo impiego dei brevetti, e una notevole quantità di controversie e minacce criminose di controversie.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, non sono nemmeno le 16 e il dibattito d’urgenza di questa settimana, che sarebbe durato soltanto un’ora, è stato annullato. In altre parole, avremmo terminato alle ore 17. Vi erano importanti questioni da discutere, come il colpo di Stato in Thailandia e la situazione in Moldavia, ma la Conferenza dei presidenti ha deciso arbitrariamente che non vi sarebbe stato alcun dibattito d’urgenza. Vorrei protestare fermamente, ancora una volta, al termine della seduta, contro questa decisione. Ci hanno detto che questa era la seconda seduta di settembre, ma non è vero: la tornata di agosto si è tenuta agli inizi di settembre, e questa è in realtà la tornata di settembre. Pertanto, abbiamo il diritto di tenere un dibattito d’urgenza in occasione di ciascuna tornata regolare a Strasburgo. Vi chiedo di trasmettere questa protesta all’Ufficio di presidenza e alla Conferenza dei presidenti.

 
  
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  Presidente. – La sua osservazione sarà trasmessa alla Conferenza dei presidenti.

 

14. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale

15. Dichiarazioni scritte che figurano nel registro (articolo 116 del regolamento): vedasi processo verbale

16. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale

17. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale

18. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale

19. Interruzione della sessione
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  Presidente. – Dichiaro interrotta la sessione del Parlamento europeo.

(La seduta termina alle 16.00)

 

ALLEGATO (Risposte scritte)
INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO (La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è la sola responsabile di queste risposte)
Interrogazione n. 1 dell'on. Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0695/06)
 Oggetto: Disoccupazione giovanile
 

Per la presidenza finlandese, come sarà coordinata l'azione degli Stati membri in modo che siano mantenute le promesse del Consiglio di ridurre progressivamente la disoccupazione e la povertà dei giovani?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Innanzi tutto, occorre sottolineare che lo sviluppo e l’attuazione di una politica intesa a ridurre la disoccupazione e la povertà dei giovani ricade nella sfera di competenze degli Stati membri. La Presidenza finlandese darà seguito ai processi già definiti al fine di confrontare i piani programmatici degli Stati membri a ogni riunione del Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e consumatori”.

L’importanza dell’occupazione giovanile è più volte evidenziata nella strategia europea per l’occupazione. Gli obiettivi e i parametri di analisi comparativa riportati di seguito, che riguardano in particolare i giovani, sono stati concordati nell’ambito della strategia di Lisbona, nonché del quadro della strategia europea per l’occupazione.

In primo luogo, a ogni giovane verrà offerta, prima che siano trascorsi sei mesi di disoccupazione, la possibilità di ricominciare con un’attività di formazione o di riqualificazione professionale, con la pratica lavorativa, con un lavoro o altra misura che ne favorisca l’inserimento professionale.

In secondo luogo, entro il 2010 nell’Unione europea almeno l’85 per cento dei giovani di 22 anni di età deve aver completato il ciclo di studi di livello secondario.

Agli Stati membri è stata fornita un’ulteriore indicazione riguardo a come si potrebbero e dovrebbero conseguire tali obiettivi attraverso le linee di orientamento per le politiche per l’occupazione 2005-2008 adottate dal Consiglio nel 2005.

E’ d’uopo prima di tutto tener presente che tutti gli Stati membri avevano già inserito il problema dei giovani nei rispettivi programmi di riforma nazionale per il periodo 2005-2008, che hanno presentato nell’autunno 2005. Agli Stati membri, tuttavia, è stato chiesto di proporre una serie di propri obiettivi prioritari ed essi hanno scelto percorsi diversi per affrontare le questioni legate all’occupazione giovanile. Si dovrebbe altresì osservare che gli obiettivi fissati a livello comunitario sono già stati raggiunti in alcuni Stati membri.

Al momento gli Stati membri sono impegnati nell’adeguamento dei vari programmi di riforma nazionale che saranno verosimilmente portati a termine per la fine di ottobre di quest’anno. I programmi di riforma nazionali e le relative misure adottate per migliorare l’occupazione giovanile saranno esaminati nel corso del mandato presidenziale della Finlandia, più precisamente in novembre, da parte della commissione per l’occupazione e di nuovo in dicembre ad opera del Consiglio “Affari sociali”. I risultati verranno presentati alla Commissione che li utilizzerà quale base per la stesura della sua relazione annuale.

Attualmente gli Stati membri stanno anche predisponendo i loro programmi d’azione nazionale relativi alla prossima fase del Fondo europeo sociale (2007-2013). I collegamenti tra il FES e il quadro politico – vale a dire, la strategia europea per l’occupazione – saranno rafforzati affinché il Fondo in questione possa assumere un ruolo più incisivo nel conseguimento degli obiettivi in materia di occupazione definiti nell’ambito della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione. L’intento è impiegare il FES a favore delle azioni volte ad ampliare e promuovere gli investimenti nel capitale umano, in particolare migliorando i sistemi di istruzione e di formazione. Un obiettivo è stimolare l’occupabilità tra gli studenti potenziandone la formazione professionale in modo da adeguarla alle esigenze del mercato del lavoro. Con queste premesse, gli Stati membri possono inserire nei propri programmi misure intese a rafforzare l’occupabilità dei giovani, ridurre il tasso di abbandono precoce degli studi e sostenere il passaggio dal mondo scolastico a quello del lavoro.

Per quanto attiene alla povertà dei giovani, dalle valutazioni intermedie della strategia di Lisbona dell’UE è emerso che i giovani hanno beneficiato meno rispetto ad altri gruppi di età delle politiche volte a incoraggiare l’inclusione e a sviluppare un mercato del lavoro dinamico. L’onorevole deputato può rivolgersi alla Commissione per chiedere ulteriori ragguagli in proposito.

La relazione congiunta sulla protezione sociale e sull’inclusione sociale 2006 del Consiglio e della Commissione ha sottolineato che l’azione intrapresa nell’ambito del metodo di coordinamento aperto deve assolutamente concentrarsi sulla povertà di bambini e giovani. Al contempo, è stato evidenziato il ruolo fondamentale dell’istruzione generale e della formazione professionale nella rottura della trasmissione della povertà tra una generazione e l’altra.

Nel corso del mandato della Presidenza finlandese, il comitato della protezione sociale avrà l’opportunità di proseguire il dibattito in materia, mentre la relazione congiunta sulla protezione sociale e sull’inclusione sociale 2007 verrà elaborata sulla base dei programmi d’azione nazionali relativi all’inclusione sociale per il periodo 2006-2008.

 

Interrogazione n. 2 dell'on. Manuel Medina Ortega (H-0698/06)
 Oggetto: Relazioni con le organizzazioni regionali dell'America del Sud
 

In base agli ultimi cambiamenti politici avvenuti in America del Sud, che prospettive ha il Consiglio di rafforzare le relazioni con le organizzazioni di integrazione di tale parte del mondo?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

A questo proposito, mi permetto di rammentare all’onorevole parlamentare gli importanti impegni sul versante dell’integrazione regionale assunti in occasione del quarto Vertice UE-America latina/Caraibi svoltosi il 12 maggio 2006 a Vienna, e riportati nelle conclusioni del Consiglio sulla comunicazione della Commissione relativa all’America latina. Il Consiglio riconosce che il Parlamento europeo si è prodigato non poco per incoraggiare l’integrazione regionale nell’America latina e per rafforzare le relazioni con organizzazioni di questa parte del mondo.

Il paragrafo 32 della Dichiarazione di Vienna recita: “L’integrazione regionale è un elemento essenziale per la stabilità, la crescita economica, gli investimenti e per rafforzare il ruolo di entrambe le regioni sulla scena internazionale. Affermiamo i principi di cooperazione e solidarietà quali basi dei nostri processi di integrazione. Date queste premesse, incoraggiamo e sosteniamo con forza i paesi dell’America latina e dei Caraibi affinché diano seguito ai rispettivi processi di integrazione regionale”.

L’integrazione regionale può contribuire in misura significativa alla stabilità. Entrambe sono obiettivi fondamentali del partenariato strategico tra Unione europea e America latina. L’UE e i paesi partner dell’America del sud hanno sviluppato sistemi globali volti a promuovere questi due fattori, perché occorre un impegno costante e notevole per essere in grado di sostenerli, per attuarli con maggiore efficacia, per consentire ad ambo le parti di beneficiarne e per poterne ampliare la portata in futuro. Questi sistemi si estendono ben al di là del commercio e della cooperazione. Comprendono il dialogo politico inteso a ricercare approcci condivisi, nonché l’azione congiunta in questioni multilaterali al fine di rafforzare la capacità dell’UE, e quella dell’America latina, di esercitare influenza su aspetti globali della massima importanza per entrambe le regioni.

E’ un dato di fatto che tutti i processi di integrazione hanno incontrato difficoltà e la situazione dell’UE non ne è di certo esente. A suo favore posso ribadire che a Vienna l’UE si è comportata in modo esemplare tentando di risolvere i vari problemi legati al processo di integrazione nell’America centrale, alla Comunità andina e al Mercosur.

E’ pertanto con particolare soddisfazione che affermo che a Vienna e a partire da quel Vertice si osservano e si sono potuti osservare progressi sufficienti che ci consentono ora di avviare gli indispensabili negoziati internazionali e di intraprendere i passi necessari per aprire il ciclo di consultazioni sugli accordi di associazione tra l’Unione europea, l’America centrale, la Comunità andina e il Mercosur. Tali accordi di associazione integreranno gli accordi già conclusi con Messico e Cile e quelli in fase negoziale con il Mercosur. L’11 luglio la commissione del Parlamento europeo per gli affari esteri si è riunita per riesaminare la situazione.

Al contempo abbiamo anche discusso come possano incidere eventuali cambiamenti nell’ambito della compagine della Comunità andina e del Mercosur in seguito alla decisione del Venezuela di aderire al Mercosur. All’attuale presidenza della Comunità andina, la Bolivia, e al suo segretario generale va riconosciuto il merito di aver gestito la crisi in queste ultime settimane con straordinaria abilità. Il Mercosur prenderà in considerazione le sfide associate al fatto di accogliere un nuovo membro tra le proprie fila. E’ un aspetto che potrebbe essere oggetto di dibattito al prossimo incontro con il Mercosur sul dialogo politico. L’UE conferma la disponibilità a riavviare le consultazioni con il Mercosur il più presto possibile.

Infine, posso dichiarare che, come riportato nelle conclusioni del Consiglio adottate nel febbraio 2006, è obiettivo dell’UE promuovere l’integrazione della regione nel suo insieme.

 

Interrogazione n. 3 dell'on. Brian Crowley (H-0703/06)
 Oggetto: Tariffe della telefonia mobile
 

Può il Consiglio fare una dichiarazione definitiva sui progressi compiuti quest'anno nell'eliminazione dei costi di roaming dalle bollette a carico degli utenti di telefoni cellulari in Europa?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Da vari anni il Consiglio e la Commissione controllano da vicino la tendenza registrata dai costi di roaming. Di recente la questione è diventata oggetto di maggiore attenzione, soprattutto dall’ottobre 2005, ossia da quando la Commissione ha creato il primo sito web volto a fornire informazioni più trasparenti agli utenti dei servizi di roaming e ad aiutarli a trovare le soluzioni più adeguate districandosi nella giungla di tariffe e contratti.

A seguito degli interventi da parte della Commissione, risulta che gli operatori hanno in qualche modo ridotto le tariffe e le hanno inoltre rese più trasparenti. I costi per i servizi di roaming internazionale continuano tuttavia a differenziarsi non poco, e i clienti ancora oggi spesso non sono in grado di comprendere il metodo impiegato per calcolarli. A quanto pare l’approccio graduale non si è dimostrato una scelta efficace, e il Consiglio nella sua veste di legislatore è disposto a prendere in considerazione altre soluzioni per eliminare gli oneri eccessivi.

La Commissione ha presentato una proposta di regolamento che potrebbe rivelarsi valida per conciliare le varie esigenze. Il Consiglio ha appena iniziato ad affrontare in dibattito la proposta in parola, che è stata pubblicata il 12 luglio 2006, e ne proseguirà la disamina in collaborazione con il Parlamento nella prospettiva specifica di pervenire a una soluzione equilibrata, evitando distorsioni del mercato, inutili interruzioni dell’attività degli operatori o aumenti dei prezzi in altri settori.

 

Interrogazione n. 4 dell'on. Liam Aylward (H-0705/06)
 Oggetto: Cambiamento climatico
 

Può il Consiglio comunicare quali nuove iniziative intende adottare la Presidenza finlandese dell'UE per risolvere il problema sempre più grave del cambiamento climatico?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

L’onorevole deputato è di certo a conoscenza che i piani della Presidenza finlandese in materia di cambiamenti climatici sono stati presentati in occasione dell’intervento del ministro Jan-Erik Enestam in sede di commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare in data 12 luglio 2006. In sintesi, tali piani sono i seguenti.

Nei prossimi mesi l’UE avvierà i lavori preparatori in vista dei negoziati internazionali da affrontare in occasione della conferenza di follow-up che si svolgerà a Nairobi dal 6 al 17 novembre 2006. Nell’ambito di tale evento, l’UE deve ancora una volta dimostrare di essere saldamente alla guida nell’attuazione del piano di azione di Montreal onde creare una base per un sistema per il 2012 e gli anni a venire che sia effettivamente di portata mondiale.

A tale scopo, la Presidenza si fa promotrice delle questioni legate ai cambiamenti climatici in sede dei vertici che vedono riunite l’Unione europea e i paesi terzi (Cina, India, Repubblica di Corea, l’ASEM, Russia, Canada). I vertici tra l’UE e la Cina, la Repubblica di Corea e l’ASEM hanno già avuto luogo, e la dichiarazione di quest’ultimo interlocutore in merito al clima è già disponibile. Per prepararsi adeguatamente alla partecipazione ai negoziati internazionali, il Consiglio e il Parlamento avranno l’opportunità di confrontarsi sulla recente analisi costi-benefici relativa alla strategia di riduzione delle emissioni che la Commissione ha richiesto al Consiglio europeo. Di recente l’UE e gli USA hanno deciso di promuovere un dialogo su cambiamenti climatici, tecnologia pulita e sviluppo sostenibile. Il primo incontro al riguardo si svolgerà in Finlandia quest’autunno.

L’UE inoltre sta proseguendo i lavori iniziati per rispettare gli impegni assunti. Su proposta della Commissione, il Consiglio e il Parlamento stanno riesaminando il sistema comunitario di scambi delle emissioni e procedendo a una valutazione della seconda fase del programma europeo sui cambiamenti climatici. Il secondo programma europeo sui cambiamenti climatici, varato nell’ottobre 2005, si propone di esplorare nuove soluzioni vantaggiose in termini di costo per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra in conformità dei principi della strategia di Lisbona dell’Unione. Sono stati istituiti appositi gruppi di lavoro la cui attività è concentrata sullo studio di aspetti quali la cattura e il sequestro del carbonio, le emissioni di biossido di carbonio generate dai veicoli commerciali leggeri, le emissioni prodotte dal settore aeronautico e l’adeguamento all’impatto del cambiamento del clima. L’attività del gruppo di lavoro in materia di aviazione è incentrata su aspetti tecnici attinenti a un’eventuale estensione degli scambi di emissioni alle emissioni generate dall’aviazione. Un altro gruppo di lavoro ha anche valutato il livello di attuazione da parte degli Stati membri delle politiche e delle misure del primo programma europeo sui cambiamenti climatici e in quale proporzione hanno inciso sulla riduzione delle emissioni.

Infine, occorre osservare che la Finlandia ha predisposto un indennizzo per le emissioni prodotte in occasione degli spostamenti di coloro che hanno preso parte a riunioni organizzate durante la Presidenza; in alternativa, offre ai partecipanti un modo facile di adeguare su base volontaria i propri livelli di emissioni.

 

Interrogazione n. 5 dell'on. Eoin Ryan (H-0707/06)
 Oggetto: Relazioni UE-Iran
 

Può il Consiglio rilasciare una dichiarazione sull'attuale situazione delle relazioni politiche tra l'UE e l'Iran e, più in particolare, sulla posizione del governo iraniano in merito alla sua inosservanza delle decisioni dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica per quanto riguarda i suoi programmi di ricerca nucleare?

 
 

Interrogazione n. 6 dell'on. Gay Mitchell (H-0746/06)
 Oggetto: Iran
 

Il Consiglio vorrà far conoscere il futuro percorso che l'Alto Rappresentante Javier Solana seguirà nei suoi negoziati con l'Iran sulle questioni nucleari ancora irrisolte?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Il Consiglio ha più volte manifestato la propria volontà di impegnarsi per pervenire a una soluzione diplomatica che tenga conto delle preoccupazioni della comunità internazionale suscitate dal programma nucleare dell’Iran, tuttavia al contempo afferma il diritto di tale paese a impiegare l’energia nucleare per scopi pacifici secondo quanto riportato nel Trattato di non proliferazione nucleare. A tale proposito, il Consiglio ha accolto con favore l’iniziativa dell’Alto rappresentante dell’UE e dei ministri degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito, Cina, Federazione russa e Stati Uniti d’America che il Segretario generale del Consiglio e l’Alto rappresentante hanno comunicato all’Iran il 6 giugno 2006.

Il Consiglio ha dato il suo pieno sostegno alla strategia equilibrata indicata nell’iniziativa in questione e ha invitato l’Iran a optare per un approccio positivo riguardo all’azione suggerita. La proposta spianerebbe la strada a nuove relazioni con il paese basate sul rispetto reciproco e su una cooperazione rafforzata in campo politico ed economico, mitigando al tempo stesso i timori che la comunità internazionale nutre nei confronti della natura pacifica del programma nucleare iraniano.

Il Consiglio si permette di ricordare che il Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e il Consiglio di sicurezza dell’ONU hanno reiteratamente chiesto all’Iran di sospendere qualsiasi attività legata all’arricchimento dell’uranio e al suo ritrattamento. Il 31 luglio il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1606 (2006) che chiede all’Iran di sospendere tutte le attività connesse con l’arricchimento e il ritrattamento dell’uranio in previsione di ispezioni che l’AIEA dovrà essere autorizzata a effettuare. Qualora l’Iran non si conformi alla risoluzione entro il 31 agosto, il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha manifestato l’intenzione di adottare misure ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

Il Consiglio ha dichiarato che se l’Iran decide di sospendere tutte le attività di arricchimento dell’uranio e applica il protocollo aggiuntivo, sarà possibile riavviare i negoziati, nonché bloccare la procedura in seno al Consiglio di sicurezza.

Il 15 settembre 2006 il Consiglio ha osservato che la relazione del 31 agosto 2006 elaborata da Mohamed El Baradei, direttore generale dell’AIEA, sottolineava che l’Iran non si era conformato a quanto richiesto nella risoluzione 1696 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e affermava che sarebbe stato opportuno prendere in considerazione l’adozione di una serie di misure di follow-up al documento in oggetto. I ministri hanno espresso la loro soddisfazione per il ciclo di consultazioni che l’Alto rappresentante ha tenuto con Ali Larijan, segretario del consiglio supremo di sicurezza nazionale dell’Iran, allo scopo di esplorare la possibilità di avviare negoziati con l’Iran stesso. Essi hanno accordato il proprio sostegno a queste azioni e hanno evidenziato l’importanza di pervenire a una soluzione in tempi rapidi.

 

Interrogazione n. 7 dell'on. Seán Ó Neachtain (H-0709/06)
 Oggetto: Iniziative relative alla banda larga
 

Può illustrare il Consiglio quali iniziative ha intrapreso al fine di promuovere un più ampio utilizzo della banda larga nelle zone regionali, periferiche e insulari d'Europa?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

La diffusione dell’impiego della banda larga figura da molti anni nel piano programmatico dell’UE e senza dubbio continuerà a comparirvi anche in futuro. I servizi a banda larga contribuiscono in misura rilevante al conseguimento degli obiettivi generali della strategia di Lisbona e tutte le fasi di sviluppo delle politiche in materia devono essere considerate alla luce del perseguimento dei due obiettivi della strategia i2010 (che sono compatibili per loro natura).

Il primo consiste nel creare uno spazio unico europeo dell’informazione capace di accogliere un mercato interno diverso basato su comunicazioni, messaggi e contenuti elettronici aperti e competitivi.

Il secondo obiettivo è costruire una società europea dell’informazione che promuova la partecipazione, in cui venga attribuita priorità al miglioramento dei servizi pubblici e alla qualità della vita e che, al contempo, riduca il divario digitale tra chi può e chi non può accedere ai servizi in banda larga.

Come ha sottolineato il Consiglio nelle sue conclusioni del 1° dicembre 2005, la strategia i2010 è una responsabilità condivisa tra Stati membri, Istituzioni comunitarie e parti interessate. Il Consiglio ha invitato gli Stati membri a “promuovere lo sviluppo di reti avanzate senza soluzione di continuità attraverso la rapida attuazione di strategie nazionali intese ad incrementare la copertura a banda larga e l’accesso multipiattaforma e a stimolarne l’adozione, utilizzando, ove opportuno, i Fondi strutturali dell’UE, secondo gli orientamenti della Commissione”(1).

Tutti i programmi di riforma nazionali (PRN) che gli Stati membri hanno presentato alla Commissione lo scorso anno dopo il rilancio della strategia di Lisbona hanno affrontato aspetti legati alla diffusione e alla copertura a banda larga. Molti PRN hanno proposto programmi di ampia portata in materia di banda larga (AT, IE, EE, FI, FR, HU, IT, LU, LT, PT, SI, ES). Benché la concorrenza sia ritenuta il principale propulsore per lo sviluppo delle comunicazioni a banda larga, le norme comunitarie in materia di aiuti di Stato permettono agli Stati membri di fornire sovvenzioni pubbliche a reti di banda larga in regioni dove la copertura è scarsa. Questo genere di intervento è consentito laddove gli aiuti di Stato vengono impiegati per promuovere l’introduzione della banda larga e sono essenziali per correggere una distorsione del mercato o tariffe irragionevolmente elevate per i servizi in banda larga.

Gli orientamenti strategici proposti in merito alla politica di coesione comunitaria affermano altresì che è importante che in tutta l’Unione siano disponibili appropriate infrastrutture di comunicazione a banda larga a prezzi accessibili. E’ stata pertanto elaborata una specifica linea guida di azione relativa ai nuovi programmi in materia di politica di coesione per il periodo 2007-2013 in base alla quale si deve garantire la disponibilità di infrastrutture di informazione e comunicazioni, nonché la prestazione dei servizi ad esse associati, in particolare nelle aree rurali, nelle regioni periferiche e nei nuovi Stati membri, qualora il mercato non sia in grado di mantenere i servizi necessari a un prezzo ragionevole né di offrire una loro diffusione adeguata.

In occasione della riunione a livello ministeriale svoltasi a Riga nei giorni 11-13 giugno 2006, incentrata sulla tecnologia dell’informazione e delle comunicazioni per una società partecipativa, è stata adottata una dichiarazione relativa a una società dell’informazione che promuove la partecipazione, in cui si sostiene che per conseguire tale obiettivo una condizione imprescindibile è una strategia comunitaria su larga scala. I ministri dell’UE hanno deciso, tra l’altro, di dedicare maggiore attenzione alla diminuzione dello squilibrio nella distribuzione geografica della banda larga promuovendo l’accesso a tariffe ragionevoli a reti di informazione e comunicazione, nonché a dispositivi terminali, contenuti e servizi ovunque, soprattutto nelle aree remote e rurali e nelle zone in una posizione svantaggiata, tra cui i piccoli centri, e riducendo in misura sostanziale le disparità nell’accesso a Internet grazie all’aumento della disponibilità di connessioni a larga banda nelle zone poco servite, con l’obiettivo di garantire la fornitura di servizi in banda larga ad almeno il 90 per cento della popolazione dell’UE entro il 2010.

La dichiarazione di Riga ha invitato la Commissione a raccogliere materiale, creare reti a tutti i livelli, confrontare indicatori regionali e locali, nonché a procedere a valutazioni comparative e scambi di buone prassi ed esperienze maturate in Europa e altrove. Inoltre, all’Esecutivo è stato chiesto di proporre, quale elemento della strategia i2010 per il 2007(2) e in conformità della dichiarazione di Riga, un approccio comune all’iniziativa intesa a una società dell’informazione per il 2008 al fine di stimolare la partecipazione europea.

Infine, i ministri hanno incoraggiato le future Presidenze a suggerire interventi adeguati in materia e a proseguire a sostenere attivamente la Commissione nello sviluppo dell’iniziativa per il 2008. Con queste premesse, la promozione dei servizi a banda larga nelle aree rurali sarà argomento di dibattito in occasione della conferenza annuale sulla società dell’informazione i2010 in programma il 27 e 28 settembre 2006 a Espoo, in Finlandia.

 
 

(1) Documento di lavoro dei servizi della Commissione, “Orientamenti sui criteri e le modalità di attuazione dei Fondi strutturali a favore delle comunicazioni elettroniche” (SEC(2003) 895).
(2) Più a lungo termine, gli Stati membri elaboreranno misure durature e coordinate nell’ambito di un gruppo di lavoro ad alto livello sull’iniziativa i2010 e del relativo sottogruppo avente a oggetto una società dell’informazione che promuove la partecipazione. Quest’ultimo, in particolare, è impegnato nei lavori preparatori dell’iniziativa europea 2008. L’argomento sarà oggetto di dibattito nel mese di aprile 2007 in sede di gruppo di lavoro ad alto livello.

 

Interrogazione n. 8 dell'on. Bernd Posselt (H-0711/06)
 Oggetto: Negoziati di pace per la Cecenia
 

Come valuta la Presidenza le possibilità di intavolare negoziati di pace con il governo ceceno, democraticamente eletto nel 1997, sotto la sorveglianza dell'OSCE, e costretto alla clandestinità dal presidente Putin, con specifico riferimento alla proposta di pace avanzata dal suo ministro degli Esteri, Achmed Sakajev, in esilio a Londra?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

La Presidenza del Consiglio ringrazia l’onorevole deputato per la domanda posta, e lo assicura di condividerne le preoccupazioni riguardo alla situazione in Cecenia.

Sin dallo scoppio della crisi nella Repubblica di Cecenia della Federazione russa, il Consiglio ha sostenuto con estrema chiarezza che solo una soluzione politica basata sul dialogo e la fiducia, e che goda del consenso della popolazione cecena, può appianare la situazione in modo permanente.

Il Consiglio desidera sottolineare che sarà suo preciso impegno affrontare sistematicamente i problemi afferenti la situazione in Cecenia in sede di dialogo politico con la Federazione russa e in occasione degli incontri a scadenza semestrale con la Russia aventi a oggetto i diritti umani, il cui quarto ciclo è previsto per il mese di novembre.

Secondo le informazioni di cui dispone la Presidenza del Consiglio, le proposte di Ahmed Zakayev non godono del favore di altri leader separatisti ceceni ed è per tale motivo che è prematuro valutare se tali proposte sfoceranno in un confronto.

 

Interrogazione n. 9 dell'on. Frank Vanhecke (H-0714/06)
 Oggetto: Regolarizzazione dei clandestini in Italia
 

Dopo che il governo socialista spagnolo di Zapatero ha consentito, nei mesi di gennaio-febbraio 2005, a circa 800.000 clandestini di regolarizzare la loro situazione, anche il nuovo governo di sinistra Prodi II ha proceduto alla regolarizzazione delle persone che soggiornano illegalmente sul territorio italiano.

Con la libera circolazione delle persone, centinaia di migliaia di immigrati regolarizzati potranno a breve varcare liberamente le frontiere interne europee.

Il ministro degli Interni austriaco, Liese Prokop, rileva a giusta ragione la gravità delle conseguenze di tali decisioni per gli altri Stati membri e caldeggia intese fra gli Stati membri per addivenire a una procedura uniforme d'intervento contro i clandestini, essendo inteso che, in linea di massima, la politica di accoglienza degli stranieri rientra nella sfera nazionale di competenza.

Potrebbe il Consiglio far conoscere la sua opinione in merito?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Come afferma l’onorevole deputato, la politica in merito alla legalizzazione della situazione degli immigrati clandestini ricade nella sfera delle competenze nazionali, e fino a oggi il Consiglio non si è pronunciato sulla possibilità di tentare di pervenire a un accordo tra gli Stati membri riguardo a un approccio coordinato volto a regolarizzare la situazione di tali soggetti.

Un passo concreto in questa direzione sarà l’entrata in vigore della decisione del Consiglio che istituisce un meccanismo d’informazione reciproca sulle misure degli Stati membri nei settori dell’asilo e dell’immigrazione. La Commissione sarà responsabile dello sviluppo e della gestione della rete. Nel settembre 2006 il Consiglio ha stabilito un approccio generale alla questione. Manca ancora la valutazione del parere del Parlamento europeo, dopo di che lo strumento potrà essere adottato.

Per il prossimo anno è in programma l’avvio di uno studio incentrato sulle procedure di regolarizzazione applicate dagli Stati membri e sul loro impatto nell’Unione europea considerata nel suo insieme. L’indagine servirà da base per un futuro dibattito congiunto sulla legalizzazione. Sarà inoltre in occasione di questo evento che gli Stati membri si confronteranno sull’eventuale esigenza di disporre di una normativa comunitaria comune in materia.

 

Interrogazione n. 10 dell'on. Agustín Díaz de Mera García Consuegra (H-0720/06)
 Oggetto: Crisi migratoria nelle isole Canarie
 

Dei 18.000 immigranti che sono giunti alle Canarie in modo irregolare dal mese di gennaio, secondo il parere delle autorità dello Stato nell'arcipelago, nessuno è rimasto sulle isole, in quanto dai centri di accoglienza sono stati inviati sulla penisola, vale a dire sul continente, senza occupazione e senza luogo d'accoglienza. Le frontiere terrestri del nord della Spagna sono molto più vulnerabili di quelle marittime e sono molto utilizzate dalle reti mafiose che trafficano gli esseri umani. La maggior parte delle 18.000 persone di cui sopra provengono da Mauritania e Senegal e parlano francese.

Il Consiglio ha valutato quale sia la destinazione finale di questi flussi che patiscono per mesi su questo itinerario pericoloso, difficile e illegale?

Di fronte alla dimostrata incapacità e incompetenza delle autorità spagnole, che cosa può fare e che cosa ha intenzione di fare il Consiglio ?

 
 

Interrogazione n. 11 dell'on. Philip Bushill-Matthews (H-0730/06)
 Oggetto: Immigrazione in Spagna
 

Il Consiglio è preoccupato del crescente numero di immigranti africani che arriva illegalmente alle isole Canarie? Dato che gli immigranti che non possono essere rimpatriati entro 40 giorni hanno il permesso di rimanere in Spagna, il Consiglio è preoccupato che possano essere liberi di trasferirsi altrove nell'UE? Quale azione considera il Consiglio appropriata per affrontare la questione?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

L’approccio globale all’immigrazione adottato lo scorso dicembre contempla misure prioritarie che riguardano l’Africa e la regione del Mediterraneo intese a ridurre la pressione delle migrazioni in quelle regioni. Obiettivo dei provvedimenti è rafforzare la cooperazione e l’interazione tra gli Stati membri, nonché intensificare il dialogo e la cooperazione con gli Stati africani e l’intera regione mediterranea.

Il Consiglio segue da vicino il processo di attuazione dell’approccio globale. Inoltre, il Consiglio europeo ha esortato la Commissione a elaborare entro la fine del 2006 una relazione sui progressi compiuti in merito.

Si richiama l’attenzione dell’onorevole deputato sulle misure pratiche e sulle iniziative elencate nella risposta comune fornita dal Consiglio alle interrogazioni orali H-0440/06, H-0455/06, H-0460/06, H-0473/06 e H-0478/06.

Il Marocco ha organizzato, con il sostegno attivo di Spagna e Francia, un Vertice afro-europeo a livello ministeriale svoltosi il 10 e 11 luglio 2006 a Rabat, inteso a discutere il fenomeno dell’immigrazione e del suo sviluppo. In occasione dell’incontro è stato adottato un piano d’azione che affronta in particolare il controllo dell’immigrazione illegale dall’Africa centrale e occidentale nell’UE e la questione del rimpatrio degli immigrati clandestini. Tutti gli Stati che hanno partecipato hanno sottolineato il rispettivo impegno ad attuare il piano d’azione quale intervento urgente.

Per quanto riguarda in particolare la situazione delle Canarie, l’UE ha già adottato azioni per far fronte all’arrivo di gruppi di immigranti clandestini e ha sostenuto la Spagna con varie iniziative.

Tra le iniziative intraprese figura l’invio alle Isole Canarie di una missione di studio dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (FRONTEX), il cui compito è monitorare la situazione in loco. L’Agenzia ha altresì proposto di istituire un gruppo comune di sostegno formato da funzionari di FRONTEX ed esperti nazionali degli Stati membri e di mandarlo nelle Canarie.

Nel giugno 2006 FRONTEX ha presentato al Consiglio i risultati di uno studio di fattibilità relativo alla creazione di una rete di pattuglie costiere del Mediterraneo che coinvolga gli Stati membri dell’Unione europea e i paesi nordafricani (il progetto MEDSEA). Inoltre, è prevista l’elaborazione di uno studio di fattibilità di carattere tecnico riguardo a un sistema di controllo la cui portata si estenda alle frontiere marittime meridionali (BORTEC).

FRONTEX ha anche lanciato due operazioni, HERA I e HERA II, volte a ridurre il numero di immigranti che arrivano alle Canarie. HERA I è stata avviata il 15 luglio e durerà tre mesi. Gli Stati membri invieranno esperti al fine di coadiuvare le autorità spagnole nelle operazioni di identificazione degli immigranti. HERA II riguarda il monitoraggio delle zone marittime al largo della Mauritania e del Senegal e intorno a Capo Verde. L’operazione è stata lanciata a metà agosto ed è tuttora in corso. Italia, Portogallo e Finlandia hanno cooperato con l’amministrazione spagnola. La Spagna ha siglato accordi con la Mauritania e il Senegal che autorizzano le navi iberiche a pattugliare le loro acque territoriali. A Tenerife è stato istituito un centro di coordinamento il cui organico è formato da rappresentanti di alcuni Stati membri, un rappresentante di FRONTEX e funzionari per conto delle autorità spagnole.

E’ previsto il lancio di un’operazione analoga a Malta volta a ridurre il numero di immigranti che arrivano sull’isola (si tratta della missione JASON I) e che sarà strutturata in due parti: identificazione e rimpatrio degli immigranti clandestini intercettati in mare e pattugliamenti congiunti nelle acque costiere della Libia.

Infine, il Consiglio ha avviato la disamina di una proposta della Commissione per l’introduzione di un meccanismo inteso all’istituzione di squadre di intervento rapido alle frontiere.

Si richiama inoltre l’attenzione dell’onorevole deputato sul fatto che l’Unione europea è attualmente impegnata nella formulazione di una strategia per la gestione congiunta delle frontiere esterne. Il potenziamento di tale gestione figura tra le priorità del programma di lavoro della Presidenza finlandese ed è altresì oggetto di discussione approfondita nella comunicazione dell’Esecutivo del luglio 2006 relativa alle priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione illegale di cittadini di paesi terzi. Nel documento, la Commissione elenca i settori prioritari in cui occorre attuare una serie di misure, o proseguire quelle esistenti, e quali azioni ritiene sarebbe opportuno adottare.

 

Interrogazione n. 12 dell'on. Sajjad Karim (H-0717/06)
 Oggetto: Gaza
 

Il Relatore speciale delle Nazioni Unite John Dugard ha accusato Israele di violare "le norme più fondamentali del diritto umanitario" a Gaza, dove sono stati uccisi 200 palestinesi e sono state ferite parecchie centinaia di civili. I danni alle strade, ai ponti e agli edifici governativi, e un attacco aereo all'unica centrale elettrica hanno causato penuria di energia e problemi di approvvigionamento idrico. Può dire il Consiglio in che modo ha reagito dinanzi a queste violazioni del diritto internazionale e quali misure ha preso per alleviare la sofferenza collettiva del popolo palestinese?

La guerra in Libano ha impedito il referendum del Presidente Abbas, mentre l'annuncio di colloqui con Hamas sulla formazione di un governo di unità nazionale ad ampia base suscita in ugual misura speranze e brutti presagi. È d'accordo il Consiglio sul fatto che la maggior parte dei palestinesi sarebbe disposta a sostenere una formula che riconosca lo Stato di Israele, se ciò consentisse di allentare le restrizioni alla libertà di movimento e di sbloccare gli aiuti occidentali? In caso di risposta affermativa, quali passi ha compiuto il Consiglio per cercare di portare entrambe le parti ad una posizione di questo tipo, nella speranza di riavviare il processo di pace?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

La prima parte dell’interrogazione posta dall’onorevole deputato riguarda la situazione a Gaza in seguito agli attacchi da parte dell’esercito israeliano che il 25 giugno 2006 hanno colpito una base nella zona settentrionale di Kerem Shalom. Nella sua dichiarazione del 30 giugno il Presidente ha rammentato a tutte le parti interessate l’obbligo che incombe loro di proteggere le vite dei civili e che nell’ambito delle operazioni militari non deve mai venir meno il rispetto del diritto internazionale. E’ motivo di particolare biasimo la distruzione delle infrastrutture essenziali che ha comportato un ulteriore aggravamento della situazione umanitaria a Gaza. La Commissione è intervenuta direttamente, inviando combustibile agli ospedali di Gaza tramite il meccanismo temporaneo internazionale affinché tali strutture possano utilizzare i loro generatori di emergenza. In occasione della riunione straordinaria del 29 agosto della commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo, il rappresentante dell’Esecutivo ha dato ai membri della commissione in questione ulteriori ragguagli in merito al flusso di aiuti essenziali che quest’anno l’UE sta fornendo al popolo palestinese. Alla conferenza dei donatori internazionali svoltasi a Stoccolma il 1° settembre l’Unione ha assunto un grande impegno. Nella riunione del 15 settembre anche il Consiglio si è espresso a favore dell’estensione del meccanismo temporaneo internazionale e ha convenuto di prorogarne di altri tre mesi la durata.

La seconda parte dell’interrogazione è incentrata sul riavvio del processo di pace tra israeliani e palestinesi, che il Consiglio sostiene. La “formula che riconosca lo Stato di Israele”, cui fa riferimento l’onorevole parlamentare, corrisponde totalmente a uno dei tre principi del Quartetto, ossia il riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele. Gli altri due principi sono un impegno alla non violenza e l’accettazione degli accordi e degli obblighi esistenti, compresa la tabella di marcia. Il Consiglio condivide quanto affermato dall’onorevole deputato, vale a dire che se l’Autorità palestinese fosse disposta a riconoscere Israele e a impegnarsi a rispettare gli altri due principi, tale scelta promuoverebbe progressi concreti nei settori menzionati nella domanda. La questione è un elemento focale dei contatti politici e delle azioni diplomatiche intraprese dall’UE in tale campo. Tale posizione è stata ribadita anche al vertice del Consiglio dell’UE del 15 settembre 2006.

 

Interrogazione n. 13 dell'on. Chris Davies (H-0724/06)
 Oggetto: Detenzione di membri eletti del Consiglio legislativo palestinese
 

Quali passi di protesta ha effettuato il Consiglio presso il governo di Israele riguardo alla detenzione senza accuse né processo di membri eletti del Consiglio legislativo palestinese?

 
  
 

Nelle conclusioni pubblicate a seguito della riunione del 17 luglio 2006, il Consiglio ha invitato Israele a rilasciare immediatamente i membri del Consiglio legislativo palestinese rinchiusi in carcere, cui l’onorevole deputato fa riferimento nell’interrogazione posta. Il Consiglio ha ribadito la propria richiesta in data 15 settembre 2006. Da allora, rappresentanti dell’UE a vari livelli hanno reiteratamente sollevato la questione.

 

Interrogazione n. 14 dell'on. Panagiotis Beglitis (H-0744/06)
 Oggetto: Congelamento dell'aiuto economico dell'Unione europea all'Autorità palestinese
 

Dopo le elezioni legislative palestinesi del 25 gennaio 2006 che si sono svolte, secondo l'Unione europea e le organizzazioni internazionali, in modo assolutamente libero e democratico, e la formazione del governo da parte di Hamas, il Consiglio dei ministri ha deciso di congelare l'aiuto economico dell'UE destinato all'Autorità palestinese. All'ora attuale Mahmud Abbas, presidente dell'Autorità palestinese, si sforza di formare un governo di unità nazionale.

Intende il Consiglio decidere la revoca immediata delle sanzioni economiche nel caso in cui si formi il nuovo governo palestinese, contribuendo così a rafforzare il presidente Abbas e a lottare contro i gravi problemi economici e sociali cui fa fronte il popolo palestinese?

In quale modo, allo stesso tempo, intende il Consiglio rispondere al rifiuto persistente di Israele di restituire i milioni di dollari in tasse e diritti doganali di cui priva illegalmente l'Autorità palestinese?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Il 15 settembre 2006 il Consiglio ha espresso l’auspicio che il nuovo governo di unità nazionale per i palestinesi si conformi ai principi del Quartetto al fine di consentire di intervenire immediatamente nell’area cui fa riferimento l’interrogazione dell’onorevole deputato.

Il Consiglio europeo, in occasione del Vertice del 15 e 16 giugno 2006, e il Consiglio, nelle varie riunioni svoltesi a partire da aprile 2006, hanno sollecitato Israele a riprendere i trasferimenti delle entrate tributarie e doganali palestinesi essenziali per evitare una crisi nei territori palestinesi.

 

Interrogazione n. 15 dell'on. David Martin (H-0752/06)
 Oggetto: Bambini palestinesi detenuti
 

Quale iniziativa adotta il Consiglio per esercitare pressioni sul governo israeliano affinché rilasci i bambini palestinesi detenuti?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Le consultazioni dell’Unione con Israele sono incentrate su importanti questioni correlate ai diritti umani e concernenti in particolare la situazione dei palestinesi nei territori occupati, ovvero gli ostacoli e le restrizioni alla libertà di circolazione, la realizzazione e l’espansione degli insediamenti e la costruzione del muro sulla terra dei palestinesi. In questo contesto rientra anche il problema dei bambini palestinesi detenuti, cui l’onorevole deputato fa riferimento nella sua interrogazione.

Ognuno di questi elementi relativo ai diritti umani è costantemente oggetto di confronto nei contatti politici in corso tra l’Unione e Israele e in particolare nell’ambito del gruppo di lavoro UE-Israele sui diritti umani, per il quale il sottocomitato ha definito i dettagli relativi a dialogo politico e cooperazione.

 

Interrogazione n. 16 dell'on. Sarah Ludford (H-0719/06)
 Oggetto: Aiuti all'Afghanistan
 

Cosa pensa il Consiglio in merito all'annuncio del segretario generale della NATO Jaap de Hoop Scheffer che occorre aumentare urgentemente gli aiuti all'Afghanistan o correre il rischio che il paese ritorni a essere un focolaio di terrorismo?

È d'accordo il Consiglio con il segretario generale della NATO sul fatto che i paesi donatori e le organizzazioni internazionali non hanno rispettato gli impegni assunti nei confronti dell'Afghanistan in occasione della Conferenza di Londra del gennaio 2006 concernenti maggiori aiuti da parte delle Nazioni Unite, del Gruppo degli Otto, dei donatori bilaterali e anche dell'Unione europea e in particolare che "l'UE dovrebbe essere molto più attiva nell'addestramento della polizia nazionale afghana".

Per quale motivo l'UE e gli Stati membri non hanno mantenuto le promesse fatte al popolo dell'Afghanistan? Non pensa il Consiglio che così facendo mettono in pericolo l'avvenire di tale popolo e non contribuiscono certo alla lotta contro il terrorismo?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Come altri importanti donatori di aiuti, l’Unione europea è pienamente impegnata ad assicurare forte e costante sostegno a un Afghanistan democratico, tuttavia i semplici impegni a erogare aiuti sostanziali non cambiano il fatto che le attuali insurrezioni e i numerosi gruppi armati illegali impediscono a parte degli aiuti di raggiungere la destinazione auspicata nelle varie parti del paese.

L’UE continua a essere uno dei principali donatori che sostengono il processo di transizione in Afghanistan. In occasione delle Conferenze sull’Afghanistan di Tokyo (gennaio 2002) e Berlino (marzo 2004), l’Unione europea si è impegnata a stanziare 3,8 miliardi di dollari (3,1 miliardi di euro) a titolo di aiuti per la ricostruzione per il periodo 2002-2006. Questo importo rappresenta il 30 per cento degli aiuti totali di 12,5 miliardi di dollari (10 miliardi di euro) che i donatori internazionali si sono impegnati a erogare a Tokyo e Berlino.

L’Afghanistan riceve più aiuti dall’UE di qualsiasi altro beneficiario in Asia. Dal 2002 la Commissione ha concesso 657 milioni di euro all’Afghanistan a titolo di aiuti per la ricostruzione. Alla fine del 2005 e del 2006 sono stati/saranno stati forniti aiuti per un importo di almeno 376 milioni di euro, e questo significa che gli aiuti per la ricostruzione forniti dalla Commissione superano l’importo di 1 miliardo di euro indicato nel 2002. Queste cifre non comprendono l’importo di 216,5 milioni di euro di aiuti umanitari fornito tra il 2001 e il 2004. La Commissione gestisce gli aiuti con efficacia, in quanto gli stanziamenti vengono impegnati, si concludono i relativi accordi e i pagamenti sono effettuati con tempestività.

Finora l’UE è riuscita a rispettare gli impegni assunti a Londra ed è fiduciosa riguardo al futuro. L’UE continua a essere pienamente impegnata a sostenere la democrazia e la stabilità in Afghanistan nel lungo periodo. Come tutti i donatori, l’UE valuta costantemente gli aiuti che concede all’Afghanistan ed è consapevole che il paese costituisce ancora un contesto molto difficile in cui fornire aiuti internazionali. L’UE auspica di poter concentrare gli aiuti più di quanto sia avvenuto finora sulle province al di fuori di Kabul e intende soprattutto rafforzare le strutture di governo e lo Stato di diritto nel paese.

 

Interrogazione n. 17 dell'on. Dimitrios Papadimoulis (H-0733/06)
 Oggetto: Cooperazione tra la Bulgaria, la Grecia e la Russia nel settore dell'energia
 

Il 3 settembre 2006, il Presidente della Russia, il Primo Ministro greco e il Presidente bulgaro hanno sottoscritto ad Atene una dichiarazione comune in vista di una maggiore cooperazione nel settore dell'energia. Il primo asse di tale cooperazione è costituito dalla realizzazione dell'oleodotto Bourgas-Alexandroupoli. Le tre parti si sono impegnate a firmare l'accordo tra Stati sull'avvio dei lavori di costruzione dell'oleodotto anteriormente alla fine del 2006. La concorrenza internazionale in materia di risorse energetiche rende particolarmente importante il progetto non soltanto per i paesi partecipanti, bensì anche dal punto di vista dell'autosufficienza energetica dell'Europa.

Può il Consiglio dire come commenta la suddetta dichiarazione di cooperazione nel settore dell'energia tra la Russia, la Grecia e la Bulgaria, il cui obiettivo primario è la realizzazione dell'oleodotto Bourgas-Alexandroupoli? Qual è il suo parere sul progetto di trasporto di gas naturale russo con un oleodotto che attraverserà la Turchia, passerà per la Grecia e terminerà in Italia? Come intende incoraggiare tali progetti tenendo presenti anche le ragionevoli preoccupazioni ambientali che sono state espresse?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Per quanto riguarda la prima e la seconda domanda, posso dire che il Consiglio accoglie con favore la dichiarazione comune sottoscritta ad Atene il 3 settembre 2006. Quando saranno operativi, i previsti oleodotti cui l’onorevole parlamentare fa riferimento contribuiranno a diversificare le rotte di approvvigionamento di energia verso l’Unione europea. Nelle riunioni di marzo e giugno 2006, il Consiglio europeo ha espresso sostegno incondizionato alla diversificazione delle rotte di approvvigionamento, in quanto aumenterà la sicurezza delle forniture di energia nell’Unione europea.

Il progetto di gasdotto cui si accenna nella seconda domanda potrebbe beneficiare di un cofinanziamento comunitario, in quanto il gasdotto tra Turchia, Grecia e Italia è considerato un progetto di interesse europeo nella nuova decisione relativa alle reti transeuropee.

Quanto alla terza domanda, desidero ricordare che il Consiglio e il Parlamento europeo incoraggiano attivamente, attraverso la procedura di codecisione, soltanto i progetti indicati nella nuova decisione relativa alle reti transeuropee. Tali progetti riguardano le reti del gas e dell’elettricità (come menzionato in precedenza, il progetto di trasporto di gas naturale potrebbe beneficiare di un cofinanziamento comunitario). Le conclusioni del Consiglio europeo di marzo e giugno 2006 potrebbero essere interpretate come un incentivo politico per tali progetti. In questo contesto, vorrei anche menzionare il programma INOGATE (programma interstatale sul trasporto di petrolio e gas verso l’Europa). Nell’ambito di questo programma, l’oleodotto Bourgas-Alexandroupoli è stato designato come una delle rotte prioritarie per il trasporto di petrolio grezzo. Attualmente il programma INOGATE è finanziato a titolo del programma TACIS e in futuro riceverà finanziamenti a titolo dello strumento europeo di vicinato e partenariato.

Riguardo alle considerazioni ambientali cui si fa riferimento, il Consiglio desidera affermare che questi progetti devono rispettare le norme e le procedure nazionali in materia di ambiente e, com’è ovvio, nell’Unione europea devono essere applicate le normative ambientali comunitarie, oltre al fatto che la nuova decisione relativa alle reti transeuropee stabilisce che i progetti, e soprattutto quelli di interesse europeo, devono:

– promuovere lo sviluppo sostenibile e la protezione dell’ambiente, riducendo, tra l’altro, i rischi ambientali associati al trasporto di energia

e

– rispettare le convenzioni internazionali in materia di ambiente.

Sotto questo punto di vita il gasdotto è utile, in quanto contribuirà a ridurre il numero di spedizioni effettuate via mare nello stretto del Bosforo, altrimenti molto congestionato.

 

Interrogazione n. 18 dell'on. Danutė Budreikaitė (H-0757/06)
 Oggetto: Accordo di partenariato e di cooperazione UE-Russia
 

L'Unione europea si accinge a sottoscrivere un nuovo accordo di cooperazione con la Russia. Si è dedicata un'attenzione particolare ovviamente all'approvvigionamento dell'Europa di risorse energetiche provenienti dalla Russia.

La Russia ha preso peraltro la decisione di costruire un oleodotto attraverso la Bulgaria e la Grecia (il petrolio proveniente da Novorossisk sarà trasportato fino in Bulgaria con petroliere). Il gasdotto dell'Europa del nord che va dalla Russia verso la Germania sotto il mar Baltico si aggiunge all'accordo nei Balcani. Vediamo quindi che, avendo abbondanti riserve energetiche e sviluppando le infrastrutture energetiche, la Russia rafforza in futuro la sua posizione dominante sul mercato dell'energia.

Tuttavia, nonostante questa politica russa dell'energia e il crescente rischio di un diktat energetico l'UE dà la priorità ad accordi strategici a lungo termine con la Russia per la fornitura di energia proveniente da questo paese.

Ritiene il Consiglio che la sicurezza energetica degli Stati membri dell'UE sia garantita se questi non hanno una politica energetica comune né un sistema di reti di approvvigionamento di risorse energetiche?

Nell'accordo di partenariato UE-Russia sono previsti dispositivi di salvaguardia per limitare la possibilità di un abuso della posizione dominante della Russia sul mercato dell'energia?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Il Consiglio, in collaborazione con il Parlamento europeo, ha definito una politica energetica comune introducendo in più fasi pacchetti legislativi sull’energia. Tali misure contribuiscono a garantire la stabilità dell’approvvigionamento di energia verso l’UE. La sicurezza dell’approvvigionamento energetico, insieme alle questioni della competitività e della sostenibilità, costituiscono anche la base dell’analisi strategica della politica energetica dell’UE, che la Commissione europea propone di presentare al Consiglio e al Parlamento europeo nel 2007, e alla quale il Consiglio, durante il mandato della Presidenza finlandese, intende dare il proprio contributo.

Gli accordi strategici a lungo termine sono un fattore importante in futuro per la sicurezza dell’approvvigionamento di energia, tuttavia è necessario anche tenere conto di altri fattori collaterali, in particolare quelli menzionati nelle conclusioni della Presidenza delle riunioni del Consiglio europeo di marzo e giugno 2006 e nel documento presentato congiuntamente dalla Commissione e dall’Alto rappresentante del Consiglio. Tra i principi enunciati in questi documenti figurano la diversificazione delle fonti energetiche, la trasparenza nel settore dell’energia e la buona gestione, la creazione di condizioni di trasparenza e di sicurezza per gli investimenti e il commercio nel settore dell’energia e l’accesso non discriminatorio di paesi terzi e di transito alle infrastrutture.

Il Consiglio intende avvalersi dei meccanismi di cooperazione e delle strutture esistenti in seno alla Commissione per cercare di rilanciare il dialogo sull’energia tra l’UE e la Russia. Per questo motivo, durante il mandato della Presidenza finlandese si svolgerà un’altra riunione del Consiglio di partenariato permanente tra i ministri dell’Energia di UE e Russia e le questioni all’ordine del giorno su cui si dovrà discutere saranno numerose. Il miglior modo per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di energia tra l’UE e la Russia in futuro è sottolineare l’importanza della dipendenza reciproca e includere la Russia in un sistema di regolamentazione coerente e vincolante. Il Consiglio incoraggia la Russia a ratificare il Trattato sulla carta dell’energia e a concludere i negoziati sul protocollo relativo al transito. Inoltre, il nuovo accordo tra UE e Russia comprenderà un capitolo sostanziale sull’energia, che conterrà principi fondamentali di cooperazione in materia di energia.

Infine, il Consiglio desidera menzionare che di recente il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato una decisione sulle reti transeuropee nel settore dell’energia, che costituirà un importante passo avanti verso la diversificazione delle fonti energetiche e delle rotte di trasporto dell’energia, e pertanto darà un considerevole contributo all’aumento della sicurezza dell’approvvigionamento di energia. Questo obiettivo dovrebbe inoltre essere conseguito quando verrà concluso ed entrerà in vigore il Trattato che istituisce la Comunità dell’energia con i paesi dell’Europa sudorientale, in quanto l’accordo estenderà il modello di mercato interno dell’energia ai paesi vicini.

 

Interrogazione n. 19 dell'on. Hélène Goudin (H-0736/06)
 Oggetto: Direttiva dell'UE sulla qualità dell'aria
 

Nell'ambito della direttiva dell'UE sulla qualità dell'aria la Svezia caldeggia la fissazione di valori limite vincolanti per il particolato scontrandosi con lo scetticismo di taluni Stati membri i quali propongono una speciale deroga. Inoltre, non pochi Stati membri intendono prorogare la decorrenza della deroga per gli Stati che non hanno ancora fissato valori limite per il biossido di azoto, il benzolo e le polveri fini (PM 10). Condivide la Presidenza la posizione svedese secondo cui la direttiva dell'UE sulla qualità dell'aria dovrebbe prefiggersi obiettivi più ambiziosi, stante la necessità di valori limite vincolanti? Conviene altresì la Presidenza sulla fondatezza delle critiche, di tanto in tanto rivolte alle istituzioni dell'UE, poiché esse non annettono, in misura sufficiente, ai problemi ambientali la rilevanza che meritano?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Come l’onorevole parlamentare sa, la decisione relativa all’emanazione della direttiva sulla qualità dell’aria verrà adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio attraverso la procedura di codecisione. In attesa dei risultati della prima lettura del Parlamento europeo, il 27 giugno 2006 il Consiglio ha adottato un approccio generale alla direttiva. Lo scopo della direttiva è prevenire e limitare i rischi per la salute umana e gli effetti negativi sull’ambiente dell’inquinamento atmosferico. Per quanto riguarda il particolato fine (PM 2,5), il pacchetto di compromesso conteneva un programma in due fasi costituito da un valore non vincolante da conseguire entro il 2010 e da un valore limite vincolante che lo avrebbe sostituito nel 2015. In questo modo sarebbe possibile raccogliere dati in Europa sui livelli di concentrazione del particolato PM 2,5. I valori limite per l’anidride solforosa, il biossido di azoto, le polveri fini PM 10, il piombo, il benzene e il monossido di carbonio non sono stati modificati. A determinate condizioni rigorose, può essere chiesta per un periodo limitato un’esenzione dagli obblighi previsti per le polveri fini PM 10, il biossido di azoto e il benzene.

Il Consiglio ritiene che la direttiva costituisca un passo avanti verso il miglioramento della qualità dell’aria e confida che il Parlamento europeo esaminerà la questione, in modo da poter stabilire le condizioni necessarie per la conclusione dell’accordo.

In merito alla domanda generale riguardante l’attribuzione o meno da parte delle Istituzioni dell’UE di sufficiente priorità alle questioni ambientali, il Consiglio sottolinea che tiene attivamente conto del fatto che la protezione e il miglioramento dell’ambiente sono uno degli obiettivi fondamentali del Trattato.

 

Interrogazione n. 20 dell'on. Esko Seppänen (H-0739/06)
 Oggetto: Accordo sullo zucchero
 

La decisione dell'Unione europea di limitare la produzione di zucchero negli Stati membri ha causato la chiusura di uno zuccherificio in Finlandia. L'Unione europea accorda determinati aiuti strutturali per l'arresto della produzione di zucchero. Il governo finlandese orienta queste risorse unicamente verso l'industria e i produttori di zucchero, senza destinarle alla riqualificazione dei lavoratori o ad altre spese di ristrutturazione. Ritiene la Presidenza del Consiglio che non utilizzare le risorse finanziarie in questione anche a favore dei lavoratori dello zuccherificio chiuso sia conforme allo spirito dell'accordo sullo zucchero?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Il 20 febbraio 2006 il Consiglio ha deciso di intraprendere una profonda riforma del settore dello zucchero nell’UE e ha elaborato tre regolamenti allo scopo di rafforzarne la competitività e l’orientamento al mercato.

In questo contesto, è stato introdotto un importante incentivo finanziario, che è stato offerto alle imprese produttrici di zucchero meno produttive sotto forma di adeguati aiuti alla ristrutturazione, in modo che pongano fine alla loro produzione nell’ambito delle quote. Tutte le imprese produttrici di zucchero, isoglucosio o sciroppo di inulina, per le quali è stata concessa una quota fino al 1o luglio 2006, hanno diritto all’aiuto alla ristrutturazione, che sarà versato per tonnellata di quote cui si è rinunciato, a condizione che la rinuncia avvenga nel corso delle campagne 2006/2007, 2007/2008, 2008/2009 o 2009/2010.

Nel regolamento cui si fa riferimento il Consiglio ha tenuto conto degli aspetti sociali delle chiusure di zuccherifici. Per ricevere gli aiuti alla ristrutturazione, uno zuccherificio deve presentare allo Stato membro in questione una richiesta che contenga un piano di ristrutturazione. Tale piano deve presentare una proposta di razionalizzazione che suggerisca misure per la riqualificazione dei dipendenti, per il loro trasferimento a nuovi lavori e per il prepensionamento. Lo zuccherificio deve anche impegnarsi a soddisfare i requisiti menzionati nel periodo fissato dallo Stato membro interessato.

 

Interrogazione n. 21 dell'on. Bill Newton Dunn (H-0741/06)
 Oggetto: Convenzione sui reati informatici (Cybercrime)
 

Nessuno dei parlamenti nazionali degli Stati membri ha ancora ratificato la convenzione del Consiglio d'Europa sui reati informatici.

Perfino il Senato degli Stati Uniti lo ha già fatto - nonostante l'opposizione di un senatore repubblicano che obiettava trattarsi di una legge straniera. Se il Senato degli Stati Uniti ha potuto, perché non possono gli europei?

Cosa sta facendo il Consiglio per spronare quei parlamenti nazionali che stanno tirando per le lunghe aiutando così i criminali?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Come l’interrogante, il Consiglio è preoccupato per la situazione relativa alla ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sui reati informatici. Finora la Convenzione è stata firmata da tutti gli Stati membri e sette l’hanno ratificata. E’ entrata in vigore il 1o luglio 2004 e attualmente viene applicata nei sette Stati membri menzionati in precedenza.

Nel maggio 2006 la Presidenza ha chiesto agli altri Stati membri di riferire in merito alle loro procedure di ratifica entro la fine dell’anno.

Il 24 febbraio 2005 il Consiglio ha anche adottato una decisione quadro relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione (2005/222/GAI). La decisione stabilisce che è necessario completare il lavoro svolto dalle organizzazioni internazionali, in particolare i lavori del Consiglio d’Europa sul ravvicinamento delle legislazioni penali in materia di criminalità ad alta tecnologia, mediante l’adozione di un approccio comune dell’Unione europea in questo settore. Gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per conformarsi alle disposizioni della decisione quadro entro il 16 marzo 2007.

 

Interrogazione n. 22 dell'on. Marian Harkin (H-0749/06)
 Oggetto: Sostegno ambizioso agli aeroporti regionali
 

Il Governo irlandese ha ideato un programma chiamato "The National Development Capital Grant Scheme for Regional Airports", ed ha chiesto alla Commissione di approvare tale schema.

Potrebbe il Consiglio indicare quando la domanda è stata ricevuta e su quale base era stata presentata?

Potrebbe il Consiglio riassumere tutte le questioni e difficoltà presentate da tale domanda, dalla prospettiva degli aeroporti di categoria D delle regioni Obiettivo 1?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Il Consiglio non può rispondere alle singole questioni sollevate, in quanto non rientrano nel campo di attività della Commissione.

 

Interrogazione n. 23 dell'on. Inger Segelström (H-0751/06)
 Oggetto: Libri infantili per il Kurdistan
 

L'interrogante è vivamente preoccupata per il mancato sdoganamento di più di 1200 libri per bambini pervenuti in Turchia da più di due settimane. La destinazione finale di detti libri è la città di Barman nel Kurdistan settentrionale. I libri, compilati da autori svedesi di letteratura infantile ovvero utilizzati nelle scuole svedesi, fanno parte di un progetto diretto dall'organizzazione KOMAK di difesa dei diritti dell'infanzia con sede in Svezia e sono finanziati dall'organizzazione svedese di assistenza allo sviluppo tramite il Centro internazionale Olof Palme. Il progetto fa capo ad un programma - il cui principale responsabile è il ministero degli Esteri - teso a promuovere la democratizzazione della Turchia. Il 7 agosto 2006, i libri sono giunti ad Istanbul dove sono rimasti bloccati presso le dogane turche poiché, nonostante gli sforzi dell'impresa di trasporto, nessun impiegato ha provveduto ad espletare le necessarie formalità.

Per poter avviare i negoziati relativi ad un'adesione all'Unione europea occorre adempiere i criteri politici di Copenaghen, i quali implicano, fra l'altro, che il paese candidato sia in grado di garantire la democrazia e la tutela dei diritti umani, ivi compresi i diritti delle minoranze. Non permettere che libri per bambini redatti in lingua kurda siano introdotti nel paese costituisce, a giudizio dell'interrogante, una manifesta violazione dei criteri di Copenaghen. Come intende il Consiglio attivarsi per porre rimedio a tale situazione ed impedire il ripetersi di casi analoghi?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Il Consiglio non è a conoscenza del caso particolare cui l’onorevole parlamentare fa riferimento, che tuttavia ha un nesso con la questione generale della protezione delle minoranze. Detto questo, vorrei sottolineare ancora una volta che l’Unione europea la considera una questione importante. Si tratta di uno dei settori fondamentali in cui dobbiamo continuare a compiere ogni possibile sforzo affinché la Turchia promuova la diversità culturale, nonché il rispetto e la protezione delle minoranze, in conformità dei principi sanciti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nella Convenzione quadro del Consiglio d’Europa per la tutela delle minoranze nazionali, nonché delle migliori prassi degli Stati membri.

Anche se sono state attuate alcune misure, in particolare per quanto riguarda le trasmissioni radiofoniche locali private in lingua curda, occorre fare di più per eliminare gli ostacoli che ancora restano. Sono inoltre necessarie adeguate misure per incoraggiare lo studio di lingue diverse dal turco. Il quadro di negoziato comprende tali questioni, che costituiscono priorità a breve termine del partenariato di adesione riveduto. L’UE le solleverà sistematicamente a tutti i livelli nell’ambito del processo di riforma in corso in Turchia, come ha fatto in occasione dell’ultima riunione del Consiglio di associazione UE-Turchia svoltasi a Lussemburgo il 12 giugno 2006.

L’onorevole parlamentare può pertanto star certa che l’UE continua a seguire con attenzione gli sviluppi in questo ambito, per poter valutare i progressi compiuti dalla Turchia verso l’adesione. E’ ovvio che questi sviluppi incidono sullo svolgimento dei negoziati.

 

Interrogazione n. 24 dell'on. Avril Doyle (H-0755/06)
 Oggetto: Competitività e soluzioni energetiche
 

Uno dei temi fondamentali della Presidenza finlandese riguarda la competitività dell'Europa e la sua performance all'interno del mercato globale. La Presidenza ha indicato soluzioni energetiche quali parte del programma di crescita. Quali misure concrete verranno adottate a tal fine?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Il Consiglio ritiene che una politica energetica adeguatamente pianificata possa promuovere la crescita e la competitività nell’Unione europea. Molti fattori contribuiscono a conseguire questo obiettivo.

Innanzi tutto, l’efficienza energetica è uno degli scopi principali. In Europa vi sono ancora molte possibilità di investire in modo economicamente efficace nell’efficienza energetica. I progressi compiuti in questo ambito saranno vantaggiosi per le imprese europee, in quanto, da un lato, ridurranno i loro costi energetici e, dall’altro lato, aumenteranno la competitività della tecnologia europea in tale settore. Durante l’attuale Presidenza, vengono intraprese alcune iniziative concrete attuando una direttiva sulla pianificazione ecologica, una direttiva sull’efficienza energetica nell’edilizia e una direttiva su un efficiente uso finale dell’energia e il risparmio energetico. Il Consiglio si aspetta inoltre che la Commissione presenti un piano d’azione in materia di efficienza energetica, raccomandando gli interventi necessari per accrescere tale efficienza, al quale il Consiglio risponderà in maniera adeguata. Per quanto riguarda la R&S, il Consiglio richiama l’attenzione dell’onorevole parlamentare sulla proposta di settimo programma quadro, nella quale l’efficienza energetica figura tra i principali obiettivi nel campo dell’energia. E’ pertanto essenziale che la cooperazione tra il Parlamento europeo e il Consiglio sia efficace e produttiva, in modo che il programma quadro possa essere adottato entro la fine di quest’anno. Va inoltre menzionato il programma quadro per la competitività e l’innovazione, che sarà approvato entro breve, che include un programma sull’energia intelligente e pertanto misure per promuovere l’uso di fonti energetiche rinnovabili, l’efficienza energetica e la competitività attraverso progetti integrati.

L’efficienza energetica deve anche essere considerata un fattore indispensabile nel processo innovativo, come si afferma nella comunicazione globale sul tema “strategia dell’innovazione a livello europeo: dalla teoria alla pratica”, recentemente pubblicata, sottolineando che inserire obiettivi di efficienza nell’innovazione ambientale potrebbe servire come modello per altri aspetti dell’energia.

In secondo luogo, si può dire che il funzionamento del mercato interno europeo dell’energia va migliorato in vista della sua completa liberalizzazione, consentendo una maggiore concorrenza. In questo modo il costo della distribuzione e dell’acquisto di energia si ridurrebbe a vantaggio delle imprese e dei cittadini europei.

Il Consiglio collabora con l’Esecutivo per conseguire questo obiettivo, in particolare sulla base delle due comunicazioni della Commissione sulle direttive relative al mercato del gas e dell’energia e mediante ricerche nel campo dell’elettricità e del gas.

In terzo luogo, il Consiglio sta adottando la stessa strategia nelle sue relazioni con i paesi terzi: cerca di migliorare il funzionamento del settore dell’energia dei paesi terzi e di promuovere la regolamentazione e la concorrenza in questi settori, che hanno ripercussioni sull’economia dell’Europa. Ad esempio, creando un mercato dell’energia regionale comune per le reti dell’elettricità e le reti del gas naturale nell’Europa sudorientale e legandolo al più ampio mercato europeo si compie un importante passo avanti per promuovere e mantenere lo sviluppo economico. La promozione dell’efficienza energetica in collaborazione con i paesi terzi è un altro elemento della politica del Consiglio in questo campo. In occasione della riunione del G8 di San Pietroburgo, la Presidenza e la Commissione hanno sostenuto le iniziative in materia di efficienza energetica, il cui scopo è accrescere tale efficienza in molti settori in tutto il mondo. L’energia e l’efficienza energetica sono stati importanti argomenti di discussione nel corso del Vertice dell’ASEM svoltosi a Helsinki in settembre e nelle riunioni bilaterali tenutesi con la Russia e altri paesi durante l’attuale Presidenza. Un altro esempio è il rinnovo approvato di recente dell’accordo Energy Star sulle apparecchiature per ufficio concluso con gli Stati Uniti; il Consiglio valuterà la proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione e alla firma dell’accordo non appena la riceverà. Lo scopo è adottare la proposta il più presto possibile, avvalendosi di un’adeguata collaborazione con il Parlamento europeo al riguardo. Lo stesso vale per il regolamento dell’UE che integra l’accordo bilaterale nel diritto comunitario.

Questo è in sintesi il modo in cui il Consiglio intende influire sulla crescita e la competitività dell’economia europea attraverso la politica energetica nei prossimi mesi.

 

Interrogazione n. 25 dell'on. Athanasios Pafilis (H-0761/06)
 Oggetto: Procedimenti penali nei confronti di antifascisti lituani
 

La Procura generale della Lituania ha avviato, il 24 agosto 2006, un procedimento penale nei confronti di due ex leader delle autorità di sicurezza dell'Unione sovietica ormai settantaseienni, a motivo del fatto che, nel 1952, i due uomini avevano scoperto il rifugio di un gruppo armato antisovietico. Furono arrestate sette persone armate, poi condannate a morte e giustiziate. Come è noto tuttavia, le forze che combattevano, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, contro le autorità sovietiche nella regione del Baltico in territorio sovietico non erano alto che i nazisti locali, che cercavano senza successo di scatenare un'ondata di terrore.

Condanna il Consiglio l'inaccettabile tentativo, da parte delle autorità lituane, di alterare la storia e intende chiedere la sospensione dei provvedimenti penali nei confronti dei due antifascisti settantaseienni?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Il Consiglio non ha mai discusso tale questione, che non rientra nella sua sfera di competenza.

 

Interrogazione n. 26 dell'on. Diamanto Manolakou (H-0763/06)
 Oggetto: Brutale ingerenza del governo statunitense negli affari interni di Cuba
 

Approfittando dello stato di salute del dirigente cubano Fidel Castro, il governo statunitense sta intensificando gli sforzi per rovesciare il governo cubano e interferire nella vita del paese. Stando alle dichiarazioni dello stesso Presidente Bush e del Ministro degli Affari esteri, Condoleeza Rice, gli USA hanno chiesto il rovesciamento del governo legittimo di Cuba e la formazione di un governo di transizione cui hanno promesso sostegno politico ed economico, e hanno minacciato guai a quanti impediscono la formazione di un siffatto governo.

Condanna il Consiglio il tentativo di sfruttare la malattia di Fidel Castro, le dichiarazioni e i progetti del governo americano contro Cuba che costituiscono un'ingerenza gratuita nei suoi affari interni e una violazione brutale della sua integrità territoriale e della sua indipendenza, oppure intende conformarsi come ha chiesto lo stesso Presidente Bush ai governi alleati?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

La questione sollevata dall’onorevole parlamentare riguarda gli Stati Uniti d’America e Cuba. Il Parlamento europeo è a conoscenza della posizione comune dell’UE su Cuba e non è il caso di ribadirla.

La questione cubana è all’ordine del giorno delle riunioni del dialogo politico con gli Stati Uniti. In occasione del Vertice svoltosi il 21 giugno, l’UE e gli Stati Uniti hanno espresso seria preoccupazione riguardo alla situazione dei diritti umani a Cuba e hanno esortato il governo cubano a intervenire quanto prima per migliorare la situazione. L’UE è soddisfatta dell’impegno espresso nella seconda relazione pubblicata di recente dalla Commissione statunitense per l’assistenza a una Cuba libera. In base a tale impegno, spetta agli stessi cubani decidere in merito al futuro governo e al sistema sociale del loro paese.

 

Interrogazione n. 27 dell'on. Laima Liucija Andrikienė (H-0766/06)
 Oggetto: Allargamento della zona Schengen
 

I nuovi Stati membri dell'UE si stanno preparando ad entrare nella zona Schengen nell'ottobre 2007. A tal fine entrambe le parti - i paesi candidati e la stessa UE - devono soddisfare determinati requisiti tra cui l'SIS e l'SIS II. Quali sono le previsioni del Consiglio in merito ai progressi nella creazione ed attuazione del Sistema Informativo Schengen e confida esso nel completamento di tali lavori entro l'ottobre 2007? Prevede il Consiglio ritardi nell'allargamento della zona Schengen? Quali conseguenze politiche, economiche e di altra natura potrebbe causare tale ritardo ai paesi candidati della zona Schengen e all'UE?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Nella riunione del 15 e 16 giugno 2006, il Consiglio europeo ha ribadito che avrebbe aderito al piano relativo al sistema d’informazione Schengen di seconda generazione, che dovrà essere operativo entro l’aprile 2007. Una valutazione, effettuata da gruppi di lavoro tecnici, dei dati forniti dai servizi della Commissione europea, induce tuttavia la Presidenza a ritenere che l’allargamento della zona Schengen subirà inevitabilmente un ritardo.

La Presidenza propone di organizzare un dibattito nel corso della riunione del Consiglio di dicembre sul calendario generale relativo all’inclusione dei nuovi paesi Schengen, tuttavia la discussione dipende innanzi tutto dal chiarimento da parte della Commissione di molti degli aspetti del piano del progetto. In secondo luogo, deve essere definito un calendario di valutazione per i nuovi paesi Schengen, sulla base del piano presentato dai servizi della Commissione.

Devono inoltre essere adottati nuovi strumenti giuridici per quanto riguarda il SIS II. Le caratteristiche tecniche devono essere adattate agli strumenti con cui sono strettamente connessi l’adozione degli strumenti e lo sviluppo del sistema. I servizi della Commissione hanno già precisato che la descrizione delle caratteristiche tecniche potrà essere completata soltanto quando sarà stato raggiunto un accordo sugli strumenti. Gli Stati membri dovranno valutare le possibili conseguenze di questo ostacolo in riferimento alle informazioni disponibili al momento della riunione del Consiglio di dicembre.

 

Interrogazione n. 28 dell'on. Proinsias De Rossa (H-0768/06)
 Oggetto: Nomina di un rappresentante UE per la Birmania
 

Quali azioni ha adottato il Consiglio a seguito della risoluzione del Parlamento europeo del 17 novembre 2005 sulla Birmania (P6_TA(2005)0444), alla luce in particolare dell'articolo 7 in cui viene sollecitata la nomina di un alto rappresentante dell'UE con l'incarico di adoperarsi per il rilascio di Aung San Suu Kyi, Hkun Htun Oo e di altri esponenti politici, per lo sviluppo di una strategia globale dell'UE per la Birmania che consenta di fornire l'aiuto umanitario alla popolazione birmana dall'interno del paese e attraverso strategie transfrontaliere, nonché per il conseguimento della transizione verso la democrazia e del rispetto dei diritti umani?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Nella sua risposta il Consiglio desidera richiamare l’attenzione sull’interrogazione scritta E-1779/06 che l’onorevole parlamentare ha presentato sullo stesso argomento. Nel periodo intercorso l’atteggiamento del Consiglio non è cambiato.

Al pari dell’interrogante, il Consiglio è preoccupato riguardo al permanere di una situazione di stallo e alla mancanza di riforme in Birmania/Myanmar. Per questo motivo, lo Stato membro che detiene la Presidenza, ossia la Finlandia, ha parlato della situazione nel corso del recente Vertice Asia-Europa (ASEM) svoltosi a Helsinki e al quale hanno partecipato tredici paesi asiatici, fra cui Birmania/Myanmar. Inoltre, in occasione della riunione bilaterale della troika del 10 settembre l’UE ha comunicato al ministro degli Esteri birmano i suoi più seri motivi di preoccupazione e ha condannato il fatto che Aung San Suu Kyi continui a essere tenuta agli arresti domiciliari e che altri prigionieri di coscienza siano in stato di detenzione. Ha anche esortato il governo birmano ad offrire al paese maggiori possibilità di sviluppo della democrazia e di rispetto dei diritti umani.

 

Interrogazione n. 29 dell'on. Simon Coveney (H-0771/06)
 Oggetto: Situazione di crisi nel Myanmar orientale e lungo la frontiera con la Thailandia
 

Stando alla maggior parte dei resoconti di organizzazioni di assistenza e difesa dei diritti delle minoranze che operano nel Myanmar e lungo le sue frontiere, all'interno del paese le condizioni sono notevolmente peggiorate nello spazio di un anno. Le offensive dell'SPDC (Consiglio di stato per lo sviluppo e la pace) negli stati di Karen e Karenni si sono tradotte in una quantità crescente di profughi che attraversano la frontiera e fuggono in Thailandia. Il ricorso allo stupro come arma da guerra per eliminare intere etnie è ben documentato in tutto il paese. Un altro rapporto riferisce di almeno 50 casi, soltanto nel 2006, di donne kachin vittime della tratta di esseri umani dal Myanmar alla Cina. Le donne vengono vendute come schiave del sesso a bordelli o come "mogli" a uomini cinesi. La Presidenza finlandese ha sospeso il divieto e concesso il visto al ministro degli affari esteri dell'SPDC per consentirgli di partecipare al vertice dell'ASEM, a Helsinki. Come previsto, al vertice, i rappresentanti dell'UE si sono ancora una volta sentiti dire che l'SPDC ha bisogno di "più tempo" per attuare le riforme in materia di democrazia e i diritti dell'uomo.

Può il Consiglio far sapere quali progressi in materia di diritti dell'uomo e di riforme democratiche ha comportato la concessione del visto a U Nyan Win? Quali azioni intende il Consiglio adottare per affrontare la situazione di crisi nel Myanmar orientale e lungo la frontiera con la Thailandia? Intende il Consiglio impegnarsi a sollevare con urgenza la questione della tratta delle donne, in particolare di quelle di etnia kachin, con il governo cinese e con l'SPDC del Myanmar?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

L’Unione europea segue con molta attenzione la situazione in Birmania/Myanmar e, in tale contesto, la situazione delle minoranze etniche nel paese. Come l’onorevole parlamentare sicuramente sa, in maggio il Consiglio ha fermamente condannato gli attacchi nei confronti di civili che hanno fatto seguito all’intensificarsi delle operazioni dell’esercito della Birmania/Myanmar contro l’Unione nazionale karen (KNU). Le azioni dell’esercito hanno costretto un considerevole numero di persone a spostarsi dal loro luogo di origine nella parte settentrionale della regione abitata dai karen, e inoltre una nuova ragguardevole ondata di rifugiati è fuggita in Tailandia.

L’UE ha costantemente chiesto alle autorità della Birmania/Myanmar di porre fine agli abusi contro i civili e ai movimenti di rifugiati nelle regioni del conflitto, e continua a invitare entrambe le parti a rispettare pienamente il diritto umanitario internazionale. L’UE sostiene l’inviolabilità regionale della Birmania/Myanmar, ma esorta il governo a tutelare i diritti umani di tutti i cittadini e gruppi, a prescindere dalla loro origine etnica o della loro religione.

In tutte le riunioni con la Birmania/Myanmar, l’UE esorta il governo a consentire alle organizzazioni internazionali e alle ONG un accesso senza ostacoli al paese, in particolare per fornire aiuti umanitari, per permettere al Comitato internazionale della Croce rossa (CICR) di far visita ai prigionieri politici senza supervisione e per favorire lo svolgimento di indagini indipendenti.

Sospendendo il divieto di visto nei confronti di U Nyan Win, l’UE ha avuto l’opportunità, in una riunione della troika e in presenza di altri ministri degli Esteri asiatici, di informare il ministro degli Esteri della Birmania/Myanmar direttamente, in modo approfondito e inequivocabile della perdurante insoddisfazione dell’Unione rispetto alla situazione in Birmania/Myanmar e dello sconcerto dovuto al fatto che il governo della Birmania/Myanmar non ha promosso in misura significativa la democratizzazione del paese, né migliorato la situazione dei diritti umani. Allo stesso modo, l’UE ha avuto l’opportunità di esprimere la propria preoccupazione riguardo alla situazione delle minoranze etniche del paese, in particolare nella regione dei karen.

Il Consiglio solleva anche regolarmente la questione della situazione in Birmania/Myanmar in occasione delle riunioni di dialogo politico con i paesi vicini alla Birmania/Myanmar, fra cui la Cina, e invita continuamente tali paesi ad avvalersi dei loro contatti con la Birmania/Myanmar per favorire un cambiamento nel senso della democrazia, della riconciliazione nazionale e dello sviluppo sostenibile. In questo modo il Consiglio esprime anche il parere secondo cui sarebbe vantaggioso per i paesi vicini sostenere il buon governo e la capacità amministrativa in Birmania/Myanmar, rendendo più facile, ad esempio, affrontare i problemi della tratta di esseri umani, del traffico di droga e della diffusione di malattie infettive.

 

Interrogazione n. 30 dell'on. Leopold Józef Rutowicz (H-0770/06)
 Oggetto: Importazioni di fragole provenienti dalla Cina
 

Dal 2004 vige una procedura antidumping sulle importazioni di fragole congelate dalla Cina. La protezione dei produttori di fragole surgelate sta a cuore alla Polonia, uno dei principali paesi produttori ove la situazione attuale, a seguito del crollo dei prezzi, vede l'esclusione da questo mercato di numerosi produttori.

Può il Consiglio precisare quando sarà sospesa la decisione relativa all'applicazione dei dazi antidumping temporanei sulle importazioni di fragole provenienti dalla Cina?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Il Consiglio è ben consapevole delle preoccupazioni che i produttori locali degli Stati membri, e soprattutto della Polonia, hanno espresso riguardo alle importazioni di fragole congelate dalla Cina.

L’interrogante conoscerà senza dubbio le norme antidumping generali, che prevedono che la Commissione compia indagini e applichi misure temporanee. Il 19 gennaio 2006 la Commissione ha avviato un’indagine allo scopo di verificare se le importazioni interessate costituiscano o meno un caso di dumping in senso giuridico e abbiano effetti economici negativi sulla produzione di fragole congelate. Se, alla luce di tale indagine, la Commissione giungerà alla conclusione che devono essere adottate misure temporanee, queste dovrebbero entrare in vigore entro il 18 ottobre 2006 e continuare a essere applicate per almeno sei mesi.

Qualora, a tempo debito, concluda che devono essere adottate misure definitive, la Commissione invierà una proposta ufficiale al Consiglio, il quale dovrebbe quindi decidere in merito alle misure in questione entro un mese. Finora il Consiglio non ha ricevuto proposte di questo genere dalla Commissione.

 

Interrogazione n. 31 dell'on. Ryszard Czarnecki (H-0774/06)
 Oggetto: Coinvolgimento di Stati membri dell'Unione europea in Libano
 

Come giudica il Consiglio la partecipazione di alcuni Stati membri dell'Unione europea alla prevista forza di pace in Libano?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Nelle conclusioni del 15 settembre 2006, il Consiglio ha sottolineato il suo impegno a sostegno della piena attuazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ha fatto riferimento al consistente contributo degli Stati membri dell’UE alla missione dell’UNIFIL rafforzata. Le truppe europee costituiranno l’elemento centrale di questa operazione di pace rafforzata delle Nazioni Unite. L’elevato livello di coinvolgimento degli Stati membri evidenzia la loro determinazione a conseguire gli obiettivi indicati nella risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

 

Interrogazione n. 32 dell'on. Georgios Toussas (H-0776/06)
 Oggetto: Uccisione di leader sindacali nelle Filippine
 

Il 16 e 17 agosto 2006 alcuni "ignoti" hanno assassinato nelle Filippine Orlando Rivera, leader dell'organizzazione sindacale dei pescatori di sinistra, e Julie Velasquez, leader del sindacato contadino e presidente di una sezione del Movimento agricolo delle Filippine. Tali omicidi, che vanno ad aggiungersi ad una serie di atti analoghi perpetrati contro attivisti, giornalisti, sindacalisti ecc. di sinistra, sono stati condannati da partiti politici e personalità di spicco, nonché da Amnesty International, che ha rivolto critiche molto aspre alla Presidente Gloria Arroyo a causa della sua "incapacità di porre termine agli omicidi politici perpetrati nel paese", e da altre ONG.

Qual è la posizione del Consiglio riguardo alla situazione sopradescritta e al clima di terrore nei confronti di leader sindacali, clima che il governo Arroyo quantomeno tollera non adottando misure adeguate per farvi fronte?

 
  
 

La presente risposta fornita dalla Presidenza non è di per sé vincolante per il Consiglio né per i suoi membri.

Il Consiglio è a conoscenza di tali eventi e di varie altre esecuzioni illegali che si sono verificate nelle Filippine negli ultimi mesi e di cui sono stati vittime rappresentanti della stampa, difensori dei diritti umani, attivisti politici, avvocati e altri.

L’UE esprime regolarmente profonda preoccupazione riguardo a tali atti e invita le autorità a intervenire immediatamente per risolvere il problema perseguendo i colpevoli e attuando misure preventive.

La questione è stata discussa con le autorità filippine a vari livelli, e fra l’altro con la Presidente Arroyo e il ministro degli Esteri Romolo in occasione del Vertice Asia-Europa (ASEM) svoltosi a Helsinki il 10 e 11 settembre. L’UE ha preso atto che il governo filippino ha istituito uno specifico gruppo di lavoro con il compito di esaminare la questione delle esecuzioni illegali. Il gruppo di lavoro comprenderà anche rappresentanti della società civile. L’UE continuerà a esaminare queste misure e, se necessario, ad adottare le azioni pertinenti.

L’UE è anche disposta ad aiutare le Filippine nel tentativo di rafforzare il proprio sistema giuridico.

 

INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE
Interrogazione n. 40 dell'on. Liam Aylward (H-0706/06)
 Oggetto: Libro bianco dell'Unione europea sullo sport
 

Può illustrare la Commissione quali sono le sue aspettative nell'elaborare entro quest'anno un nuovo Libro bianco sullo sport nell'UE, nonché indicare entro quale termine le organizzazioni sportive europee potranno fornire i loro contributi in ordine al contenuto di tale Libro bianco?

 
  
 

Come l’onorevole parlamentare afferma a giusto titolo, la Commissione sta preparando un’importante iniziativa relativa al ruolo dello sport in Europa, nella prospettiva della possibile adozione di un Libro bianco sull’argomento.

Ambito e obiettivi del previsto Libro bianco

Il previsto Libro bianco sullo sport potrebbe essere basato su una valutazione intesa a chiarire l’importante ruolo svolto dallo sport in Europa sotto il profilo economico e sociale nonché a sottolinearne la capacità di contribuire agli obiettivi politici complessivi della Commissione. Tale documento tratterebbe inoltre degli interessi dello sport e delle sfide con cui le specifiche organizzazioni sportive devono attualmente confrontarsi in Europa, anche in termini di pubblica amministrazione.

Il previsto Libro bianco cercherebbe inoltre di individuare future azioni relative alla visibilità dello sport. Per il Libro bianco sarebbero pertanto necessarie una stretta collaborazione con vari servizi della Commissione e ulteriori consultazioni delle parti interessate.

E’ auspicabile che l’iniziativa possa rispondere alle aspettative manifestate dagli organismi sportivi interessati, che hanno espresso le loro opinioni nel quadro del dialogo sul tema “l’UE e lo sport: soddisfare le aspettative” avviato dalla Commissione nel 2005. Da varie parti, fra cui anche dai governi dell’UE, sono giunte richieste concrete di affrontare i recenti sviluppi relativi allo sport in Europa.

Per garantire la riuscita dell’iniziativa è indispensabile anche la collaborazione con il Parlamento, e pertanto la Commissione accoglie con favore il calendario della prevista relazione sul “calcio professionale”, in merito alla quale è disposta a fornire la propria collaborazione. I risultati di questa relazione potrebbero essere integrati nel previsto Libro bianco.

Calendario

Per quanto riguarda il calendario, la Commissione ritiene pertanto che vi sia l’impulso necessario per intraprendere nel 2007 un’importante iniziativa, come il previsto Libro bianco sullo sport.

E’ ovvio che l’elaborazione e la pubblicazione di un documento di questo genere devono essere precedute da un processo di ampia consultazione, in cui siano coinvolte tutte le parti governative e non governative interessate. La Commissione ha iniziato un periodo di intense consultazioni interne ed esterne che continuerà fino agli inizi del 2007.

Sul fronte esterno, nel giugno 2006 la Commissione ha avviato una Conferenza di consultazione cui ha partecipato il più ampio movimento sportivo europeo. Cinque giorni fa il Commissario per l’istruzione, la formazione, la cultura e il multilinguismo ha incontrato i responsabili delle federazioni sportive europee per discutere di governance nello sport in Europa. Verso la fine dell’autunno una consultazione on line offrirà a tutti l’opportunità di esprimere interessi e preoccupazioni in merito ad alcuni argomenti fondamentali del Libro bianco. La Commissione continua a incoraggiare le organizzazioni sportive a partecipare a tale processo.

La Commissione è disposta a esaminare ulteriormente le preoccupazioni specifiche delle organizzazioni sportive, i cui contributi scritti sono accolti con favore in qualsiasi fase del processo di consultazione. Al fine di strutturare il processo di consultazione, la Commissione invita le organizzazioni sportive a esprimere il loro parere attraverso le loro organizzazioni centrali europee. Questo sistema ha funzionato molto bene nel recente passato e dovrebbe aiutarci a portare a termine questo difficile compito.

 

Interrogazione n. 41 dell'on. Gay Mitchell (H-0747/06)
 Oggetto: Quadro europeo delle qualifiche
 

Considerando che il Quadro europeo delle qualifiche annunciato il 5 settembre è un esercizio facoltativo, la Commissione vorrà descrivere come sarà di utilità diretta per le Istituzioni che rilasciano dette qualifiche?

 
  
 

L’obiettivo del quadro europeo delle qualifiche e dei titoli (EQF) è aumentare la trasparenza delle qualifiche e dei titoli al fine di promuovere l’apprendimento permanente e la mobilità geografica e professionale di discenti e lavoratori.

Il progetto di proposta raccomanda agli Stati membri di usare l’EQF come strumento di riferimento per facilitare i confronti tra qualifiche e titoli rilasciati nell’ambito di sistemi diversi e di rapportare il sistema nazionale delle qualifiche e dei titoli all’EQF e, ove possibile, di sviluppare un quadro nazionale delle qualifiche e dei titoli. Agli Stati membri si raccomanda inoltre di garantire che tutte le nuove qualifiche nonché i titoli e i documenti dell’Europass contengano un riferimento all’appropriato livello dell’EQF. Tali raccomandazioni, se attuate, promuoveranno la trasparenza e la comparabilità di singole qualifiche e titoli laddove non esistano strumenti vincolanti. In base agli articoli 149 e 150 del Trattato, non possono essere adottati atti legislativi comunitari vincolanti su materie come l’EQF.

L’EQF risulterà pertanto utile per gli istituti e le autorità che rilasciano qualifiche e titoli, rendendo più facile interpretare le varie qualifiche e titoli rilasciati nell’ambito dei vari sistemi di istruzione e formazione e rendendo più trasparenti per gli altri le qualifiche da essi rilasciati. Qualora gli Stati membri adottino o dispongano già di un quadro nazionale delle qualifiche e dei titoli, è ovvio che l’attuazione dell’EQF potrà essere molto più efficace.

 

Interrogazione n. 42 dell'on. Simon Coveney (H-0772/06)
 Oggetto: Divario tra i livelli di competenza linguistica esistenti nei diversi Stati membri
 

Recenti studi hanno mostrato l'esistenza di enormi divari di competenza linguistica fra gli Stati membri. Prevede la Commissione di introdurre nuove misure per cercare di rafforzare il multilinguismo negli Stati membri?

 
  
 

Nel 2005 la Commissione ha pubblicato la comunicazione intitolata “L’indicatore europeo di competenza linguistica”(1), di cui si occuperà un gruppo di esperti governativi degli Stati membri. Poiché non esiste un’indagine standardizzata sulle competenze linguistiche nell’Unione europea, è necessario raccogliere dati precisi e aggiornati sull’efficacia dei sistemi di insegnamento delle lingue straniere. A tale scopo verrà utilizzato l’indicatore, dal quale la Commissione potrà desumere il livello generale di conoscenza delle lingue straniere negli Stati membri.

In questo contesto, si prevede di sottoporre ad appositi test di competenza un campione di allievi degli istituti di istruzione e formazione di tutti gli Stati membri. A seguito delle raccomandazioni del Consiglio europeo di Barcellona del 2002, l’indicatore dovrebbe misurare, per ciascun candidato del campione, le competenze in almeno due lingue diverse dalla lingua materna.

 
 

(1) COM(2005) 356 def.

 

Interrogazione n. 43 dell'on. Ryszard Czarnecki (H-0775/06)
 Oggetto: Finanziamenti per l'insegnamento delle lingue straniere
 

Può la Commissione far sapere se l'Unione europea intende destinare risorse finanziarie all'insegnamento delle lingue straniere per i giovani dei nuovi Stati membri nel quadro degli sforzi tesi ad assicurare pari opportunità in materia d'istruzione?

 
  
 

Attraverso i programmi SOCRATES e LEONARDO, la Commissione ha investito più di 30 milioni di euro all’anno in progetti concreti che stimolano l’entusiasmo degli studenti di lingue e dei loro insegnanti, fra cui scambi scolastici, programmi di assistenza linguistica e di formazione degli insegnanti nell’ambito dell’azione COMENIUS e attività di sensibilizzazione e creazione di strumenti linguistici innovativi nell’ambito dell’azione LINGUA.

Sono stati inoltre effettuati considerevoli investimenti nella mobilità attraverso l’azione ERASMUS e il programma LEONARDO, che prevedono entrambi fondi per corsi di preparazione linguistica, il programma GIOVENTU’e l’azione di gemellaggio tra città. Le relazioni che la Commissione riceve dai partecipanti a tali azioni indicano che la mobilità è un fattore fondamentale per motivare le persone a conoscere i propri vicini e ad apprenderne la lingua.

Questi tipi di attività continueranno con il nuovo programma nel campo dell’apprendimento permanente che durerà dal 2007 al 2013, in particolare attraverso l’attività principale relativa alle lingue e i sottoprogrammi COMENIUS, ERASMUS e LEONARDO. Come l’onorevole parlamentare saprà, tuttavia, conformemente all’articolo 149 del Trattato, la Commissione deve rispettare la responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché le loro diversità culturali e linguistiche.

 

Interrogazione n. 46 dell'on. Eoin Ryan (H-0708/06)
 Oggetto: Misure di sicurezza negli aeroporti europei
 

Può indicare la Commissione quali misure ha adottato finora al fine di perfezionare i dispositivi di sicurezza negli aeroporti europei e illustrare quali sono eventualmente i suoi piani per migliorare ulteriormente la sicurezza in tali aeroporti in una prospettiva futura?

 
  
 

Subito dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, la Commissione ha elaborato un regolamento quadro sulla sicurezza dell’aviazione civile. Il regolamento, adottato nel dicembre 2002(1), ha istituito norme fondamentali comuni sulle misure di sicurezza aerea e meccanismi adeguati per controllare l’applicazione delle norme, fra cui l’effettuazione di ispezioni da parte della Commissione.

Dalla sua entrata in vigore, la Commissione, attraverso la procedura di comitatologia, ha adottato dieci regolamenti di attuazione contenenti le misure e gli adattamenti tecnici delle norme fondamentali comuni. La Commissione, con l’ausilio del Comitato per la sicurezza dell’aviazione civile, riesamina periodicamente le misure di sicurezza aerea e apporta gli adeguamenti eventualmente necessari.

Dal febbraio 2004 la Commissione conduce anche ispezioni periodiche negli aeroporti degli Stati membri per verificarne la conformità alle norme comuni. Finora la Commissione ha effettuato più di 70 ispezioni.

Sulla base dell’esperienza acquisita nell’attuazione del regolamento quadro, nel settembre 2005 la Commissione ha proposto una revisione di tale regolamento(2), allo scopo di semplificare l’attuale regolamento quadro e di garantire una maggiore flessibilità, in modo da consentire di reagire rapidamente ai nuovi rischi, di avvalersi degli ultimi sviluppi tecnologici e di proteggere in maniera più adeguata le informazioni sensibili sotto il profilo della sicurezza.

La proposta di regolamento quadro riveduta è stata presentata al Parlamento e al Consiglio il 23 settembre 2005 e attualmente è in fase di prima lettura da parte del Consiglio. La Commissione ritiene molto importante la rapida adozione del regolamento in questione.

La Commissione continuerà a compiere ogni possibile sforzo per assicurare un’applicazione armonizzata delle norme comuni per la sicurezza dell’aviazione civile al fine di prevenire atti di interferenza illecita nei confronti di aeromobili civili in Europa. La Commissione, con il Comitato per la sicurezza dell’aviazione civile, sta inoltre elaborando una risposta adeguata alle nuove minacce emerse a seguito degli ultimi eventi.

 
 

(1) Regolamento (CE) n. 2320/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2002 che istituisce norme comuni per la sicurezza dell’aviazione civile (GU L 355 del 30.12.2002).
(2) COM(2005) 429 def. – C6-0290/2005 – 2005/0191(COD).

 

Interrogazione n. 47 dell'on. Bernd Posselt (H-0712/06)
 Oggetto: Collegamenti ferroviari rapidi nella Germania meridionale
 

Di quali informazioni dispone la Commissione circa la dimensione temporale e finanziaria di due importanti collegamenti ferroviari rapidi nella Germania meridionale, ossia la tratta tedesca dell'asse europeo "Magistrale für Europa" da Kehl fino al confine austriaco nonché il collegamento da Monaco di Baviera fino al tunnel di base del Brennero di cui è appena iniziata la costruzione?

 
  
 

Per quanto riguarda la “Magistrale für Europa”, la relazione di Péter Balázs, Coordinatore europeo per l’asse prioritario n. 17 (Parigi-Stoccarda-Vienna-Bratislava) afferma che la modernizzazione dell’asse ferroviario in questione – di cui è già in corso una parte dei lavori – dovrebbe essere quasi del tutto completata entro il 2015. I ministri dei Trasporti di Francia, Germania, Austria e Slovacchia hanno confermato la loro volontà in tal senso firmando il 9 giugno 2006 una dichiarazione d’intenti.

Quanto alla linea tra Monaco e Kufstein (frontiera austriaca), non si tratta di una linea ad alta velocità, ma di una linea tradizionale. Situata sull’asse del Brennero, questa linea è stata oggetto negli ultimi anni di alcuni ammodernamenti. Nel medio periodo si prevede di aumentarne la capacità nel contesto dell’apertura del futuro tunnel di base del Brennero nel 2016. E’ prevista la conduzione di alcuni studi nel periodo 2007-2008 per individuare le migliori soluzioni tecniche. Tali studi esamineranno in particolare la variante di Rosenheim per i treni merci e la tratta transfrontaliera tra Germania e Austria. Allo scopo di garantire l’interoperabilità dell’asse, si sta inoltre valutando la possibilità di dotare la linea del sistema europeo di segnalamento ERTMS(1), in quanto tale sistema è previsto per il futuro tunnel di base e le nuove linee della valle dell’Inn in Austria.

 
 

(1) Sistema europeo di gestione del traffico ferroviario.

 

Interrogazione n. 48 dell'on. Sepp Kusstatscher (H-0713/06)
 Oggetto: Progetti-TEN: redditività del Tunnel di Base del Brennero (TBB)
 

La ferrovia del Brennero non è sufficientemente utilizzata, il trasporto di merci è in regresso e la linea ferroviaria Pontebbana è anch'essa poco utilizzata. Inoltre, la Svizzera sta costruendo due nuove trasversali alpine ferroviarie di grandi capacità.

Perché è necessaria, ciò nonostante, la costruzione del TBB ed in quale misura sarà esso redditivo visto che, entro il 2020, si prevede che il trasporto di merci su rotaia aumenterà di pochissimo?(1)

Esiste un approfondito studio di redditività ed è stato calcolato o si calcoleranno le perdite che il TBB accumulerà fintantoché non sarà realizzata la tratta meridionale?

Wolfgang Roth (ex vicepresidente della BEI) ritiene che "attualmente il progetto non dovrebbe essere affatto finanziato" poiché "si rischiano immani perdite"(2). Stando così le cose, non è forse il finanziamento del TBB compromesso anche dall'eventuale impossibilità di reperire investitori privati?

 
  
 

E’ vero che da alcuni anni il trasporto ferroviario di merci attraverso il passo del Brennero è in diminuzione. Ciò è in larga misura dovuto alle difficoltà legate alla “strada viaggiante”, ossia il servizio di trasporto di autocarri tramite ferrovia, il cui uso è diminuito da quando, alla fine del 2003, è giunto al termine il regime di ecopunti. Dai risultati del primo semestre del 2006 emerge tuttavia una considerevole ripresa del traffico sulla strada viaggiante lungo la rotta del Brennero.

Nel più lungo periodo occorre tenere presente che il traffico ferroviario attuale attraverso il passo del Brennero è raddoppiato rispetto a quello degli anni ’90. Nello stesso periodo di tempo è raddoppiato anche il trasporto su strada.

Il traffico lungo l’asse del Brennero continuerà ad aumentare in misura considerevole nei prossimi anni. Nelle condizioni attuali, tale aumento sarebbe sostanzialmente assorbito dal traffico stradale, che solleva il grave problema dell’inquinamento nelle valli alpine e della congestione.

Le attuali condizioni di utilizzo della linea ferroviaria che passa attraverso il passo del Brennero non sono tali da poter attrarre un ampio volume di traffico. Sono necessarie da due a tre locomotive per salire al passo del Brennero e due per ridiscendere, e la lunghezza e il peso massimi dei treni sono troppo limitati.

Il progetto di tunnel di base del Brennero, che comprende il tunnel in questione e le relative vie di accesso in Austria e in Italia, renderà possibile realizzare una rotta quasi piana. Una locomotiva potrà pertanto viaggiare senza fermarsi da Monaco a Verona, con treni più lunghi e più pesanti. L’eliminazione delle locomotive di trazione supplementari per salire al passo del Brennero e delle lunghe procedure alla frontiera consentirà di ottenere una considerevole riduzione dei costi di esercizio.

Il tunnel di base del Brennero è incluso nell’elenco dei progetti prioritari della rete transeuropea fissato dal Parlamento e dal Consiglio. Nel quadro dei preparativi per questo progetto, nel 2004 è stato condotto uno studio di fattibilità socioeconomica. Da tale studio, che tiene conto delle vie di accesso, risulta che l’opera offrirà nel complesso un vantaggio netto.

La struttura di finanziamento del progetto assumerà la forma di un partenariato tra pubblico e privato attualmente in fase di discussione. Il coordinatore europeo, Karel Van Miert, e la Banca europea per gli investimenti sono direttamente coinvolti in tali discussioni. L’obiettivo di tutti i partner del progetto è la presentazione, all’inizio del 2007, di un progetto definitivo, che includa gli aspetti giuridici e finanziari, da parte del promotore binazionale BBT SE, su raccomandazione di un consorzio consultivo guidato da KPMG e a seguito di una gara d’appalto internazionale indetta all’inizio del 2006.

Infine, è importante sottolineare che questo progetto rientra nel contesto di una politica globale per quanto riguarda l’attraversamento delle Alpi. I tunnel svizzeri in fase di costruzione, il progetto di tunnel del Moncenisio e il progetto di tunnel del Brennero sono complementari in quanto rispondono a flussi di traffico diversi: i tunnel svizzeri non ridurranno la crescita del trasporto stradale attraverso il passo del Brennero.

 
 

(1) Cfr. “Valutazione intermedia del Libro Bianco sui Trasporti della Commissione europea del 2001”.
(2) (Fonte: Der Standard, 1/2 luglio 2006)

 

Interrogazione n. 49 dell'on. Dimitrios Papadimoulis (H-0726/06)
 Oggetto: Azione concertata degli armatori in merito ai collegamenti navali da e per le isole greche
 

In risposta ad una precedente interrogazione (E-2290/06) dell'interrogante relativa all'"Azione concertata degli armatori in merito ai collegamenti navali da e per le isole greche", la Commissione ha affermato che "invierà alla Grecia un questionario dettagliato onde determinare in quale misura vengano rispettate le condizioni imposte dal regolamento (CEE) n. 3577/92(1) per la stipula di contratti per la prestazione di un servizio pubblico o l'imposizione di obblighi per la prestazione di un servizio pubblico. Essa verificherà inoltre in quale misura siano state concesse sovvenzioni pubbliche o, se del caso, in quale misura esse siano compatibili con le disposizioni del Trattato in materia di aiuti statali".

Dato che, a partire dall'introduzione del regolamento (CEE) n. 3577/92, la quantità di sovvenzioni per le società di cabotaggio aumenta di anno in anno a titolo del bilancio statale e dato che quest'anno, in parecchie isole, è calata l'affluenza di turisti a causa della riduzione dei collegamenti e dell'aumento delle spese di trasporto, può la Commissione dire se ha inviato alle autorità greche il summenzionato questionario? Intende essa esaminare la struttura azionaria delle società di cabotaggio che, in seguito a reciproci riscatti di quote, può portare a una posizione dominante? Qual è, finora, la reazione delle autorità greche?

 
  
 

Il questionario della Commissione dovrebbe fornire informazioni precise e approfondite su tutte le questioni di fatto e di diritto sollevate. A tale scopo, la Commissione deve integrare le informazioni ad essa fornite dall’onorevole parlamentare nell’interrogazione scritta E-2290/06, cui la Commissione ha fornito una risposta il 28 luglio 2006. Non appena disporrà delle informazioni necessarie, la Commissione invierà il questionario alle autorità greche. La Commissione esaminerà inoltre le questioni della concorrenza e delle partecipazioni incrociate nel settore del cabotaggio marittimo.

 
 

(1) GU L 364 del 12.12.1992, pag.7.

 

Interrogazione n. 50 dell'on. Frank Vanhecke (H-0734/06)
 Oggetto: Recepimento della direttiva europea 2003/20/CE da parte del Belgio
 

La direttiva europea 2003/20/CE(1) stabilisce che i bambini la cui statura non superi i 135 cm possono viaggiare soltanto in autovetture munite di un apposito seggiolino. Per le famiglie che contano molti bambini in tenera età un siffatto obbligo di (sicurezza) rappresenta un aggiuntivo quanto notevole onere finanziario. A quanto pare, la sesta direttiva europea sull'IVA dovrebbe consentire agli Stati membri di ridurre dal 21% al 6% l'IVA sui seggiolini di sicurezza.

Potrebbe la Commissione far sapere quali Stati membri dell'UE abbiano recepito, in data 9 maggio 2006, la direttiva 2003/20/CE nella loro legislazione nazionale ? Quali Stati membri dell'UE si sono avvalsi, e/o intendono avvalersi, della possibilità di ridurre l'IVA sui seggiolini per bambini?

 
  
 

Al 9 maggio 2006, che è la data entro la quale gli Stati membri avrebbero dovuto attuare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2003/20/CE, avevano comunicato le misure nazionali di recepimento i seguenti Stati membri:

Repubblica ceca, Italia, Lettonia, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Portogallo e Slovenia.

Successivamente hanno comunicato misure nazionali di recepimento i seguenti Stati membri:

Belgio(2), Danimarca, Germania, Spagna, Francia, Irlanda, Finlandia e Regno Unito.

La Commissione sta esaminando tali comunicazioni allo scopo di verificare la conformità alle disposizioni della direttiva.

Per quanto riguarda la questione della riduzione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), le disposizioni della sesta direttiva europea sull’IVA consentono agli Stati membri di applicare un’aliquota ridotta dell’IVA minima del 5 per cento ai seggiolini per bambini per autoveicoli. Questa possibilità è lasciata alla discrezione degli Stati membri.

In base alle informazioni di cui la Commissione dispone, gli Stati membri che si avvalgono di questa possibilità e attualmente applicano un’aliquota ridotta sono i seguenti:

Repubblica ceca, Polonia e Regno Unito.

La Commissione non dispone di informazioni riguardo alle intenzioni degli altri Stati membri in relazione alla possibile applicazione di un’aliquota dell’IVA ridotta sui seggiolini per bambini.

 
 

(1) GU L 115 del 9.5.2003, pag. 63.
(2) Decreto regio del 22.8.2006, Moniteur belge del 25.8.2006, pag. 42353.

 

Interrogazione n. 51 dell'on. Hélène Goudin (H-0737/06)
 Oggetto: Una direttiva dell'UE pone in discussione la circolazione di vecchie barche a vapore
 

In Svezia la circolazione di vecchie barche a vapore, fra l'altro nell'arcipelago di Stoccolma, costituisce un'apprezzata componente del patrimonio culturale nazionale. Le autorità marittime svedesi hanno fatto capire che una siffatta circolazione potrebbe cessare, e ciò perché la direttiva dell'UE sulla sicurezza marittima prescrive rigorose esigenze in ordine ad una capillare ristrutturazione delle barche a vapore, la quale, peraltro, si presenta estremamente complessa, dispendiosa o praticamente impossibile da realizzare. Pertanto la direttiva sulla sicurezza marittima mette a repentaglio il futuro del traffico di barche a vapore che circolano nelle acque svedesi fin dal 19° secolo. Potrebbe la Commissione confermare che la direttiva sulla sicurezza marittima minaccia la circolazione delle barche a vapore svedesi ovvero hanno le autorità svedesi interpretato con eccessivo zelo la predetta direttiva? Non ritiene la Commissione che la Svezia e gli altri Stati membri siano capaci di emanare da sé norme di sicurezza per disciplinare, a livello nazionale, la circolazione delle barche a vapore?

 
  
 

La direttiva 98/18/CE(1) relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri non si applica alle navi da passeggeri storiche progettate prima del 1965 e costruite principalmente con i materiali originali. Gli Stati membri hanno tuttavia la facoltà, se lo desiderano, di applicare le disposizioni di tale direttiva a questo tipo di navi.

In questo caso particolare, sembrerebbe che le autorità marittime svedesi abbiano deciso di limitare la circolazione di vecchie navi a vapore a zone costiere locali per motivi di sicurezza.

 
 

(1) Direttiva 98/18/CE del Consiglio del 17 marzo 1998, GU L 144 del 15.5.1998.

 

Interrogazione n. 52 dell'on. Marian Harkin (H-0750/06)
 Oggetto: Sostegno ambizioso agli aeroporti regionali
 

Il Governo irlandese ha ideato un programma chiamato "The National Development Capital Grant Scheme for Regional Airports", ed ha chiesto alla Commissione di approvare tale schema.

Potrebbe la Commissione indicare quando la domanda è stata ricevuta e su quale base era stata presentata?

Potrebbe la Commissione riassumere tutte le questioni e difficoltà presentate da tale domanda, dalla prospettiva degli aeroporti di categoria D delle regioni Obiettivo 1?

 
  
 

Il 7 giugno 2006 le autorità irlandesi hanno notificato il programma di concessione di capitali destinati allo sviluppo nazionale a favore di sei aeroporti regionali situati a Donegal, Sligo, Knock, Galway, Kerry e Waterford, conformemente all’articolo 88 del Trattato CE. Attualmente la Commissione sta esaminando il relativo fascicolo.

Nella riunione del 26 settembre 2006, la Commissione ha deciso di autorizzare il regime di sovvenzioni ritenendo che il sostegno del governo irlandese agli investimenti nei sei aeroporti regionali costituisca una forma di aiuto di Stato compatibile con le regole della concorrenza.

Questa decisione è stata presa sulla base degli orientamenti adottati lo scorso settembre dalla Commissione per promuovere lo sviluppo degli aeroporti regionali, soprattutto quelli più piccoli, come i sei in questione nel presente caso, in particolare se sono isolati o si trovano in regioni in ritardo di sviluppo (obiettivo 1).

 

Interrogazione n. 53 dell'on. Ivo Belet (H-0759/06)
 Oggetto: Attuazione del progetto IJzeren Rijn (Linea ferroviaria del Reno)
 

La riattivazione dell'IJzeren Rijn costituisce un progetto prioritario europeo TEN. Il 6 luglio 2006, è stata infine insediata una commissione di esperti indipendenti per predisporre un parere sulla valutazione e sull'entità dei costi, ciononostante l'attuazione del progetto potrebbe essere rinviata alle calende greche oltretutto perché le competenti autorità olandesi non intendono parteciparvi.

Conviene la Commissione che l'attuazione, quanto prima possibile, di tale progetto è nell'interesse della collettività e che la sua realizzazione dovrebbe andare di pari passo con le necessarie precauzioni per ridurre l'inquinamento acustico per chi abita nelle vicinanze?

E' la Commissione disposta a promuovere un'iniziativa tesa a contribuire all'attuazione di tale progetto, di notevole rilevanza sotto il profilo economico ed ecologico?

E', a giudizio della Commissione, la realizzazione di tale progetto compatibile con la tutela delle zone che rientrano nella sfera di applicazione della direttiva sull'avifauna e sugli habitat?

 
  
 

Nel quadro degli orientamenti comunitari del 2004 per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti approvati dal Parlamento e dal Consiglio europeo, il progetto di “ferrovia del Reno” è uno dei trenta progetti prioritari. Si tratta del progetto prioritario 24: asse ferroviario Lione/Genova-Basilea-Duisburg-Rotterdam/Anversa. Tali orientamenti, che rappresentano un quadro di riferimento generale per l’attuazione della rete, implicano il rispetto delle direttive europee e in particolare di quelle in materia di ambiente.

E’ ovvio che la Commissione farà tutto il possibile affinché il progetto sia realizzato conformemente agli orientamenti e seguirà con la massima attenzione i lavori della commissione di esperti indipendenti che fornirà un parere sulla ripartizione dei costi del progetto. Occorre tuttavia rammentare che la realizzazione di un progetto dipende da una decisione sovrana degli Stati membri interessati.

Per quanto riguarda l’importanza di questi progetti in termini ambientali, le valutazioni d’impatto sono obbligatorie nel quadro degli orientamenti comunitari per lo sviluppo delle reti transeuropee dei trasporti (articolo 8, paragrafo 1), e il rispetto della legislazione comunitaria, fra cui le direttive “uccelli”(1) e “habitat”(2), fa parte delle condizioni per la realizzazione del progetto. La Commissione accorderà finanziamenti soltanto se verrà rispettata la legislazione europea.

 
 

(1) Direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103 del 25.4.1979), modificata dalla direttiva 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991 (GU L 115 dell’8.5.1991).
(2) Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206 del 22.7.1992).

 

Interrogazione n. 54 dell'on. Leopold Józef Rutowicz (H-0765/06)
 Oggetto: Sviluppo del trasporto sulle vie navigabili interne
 

Se è vero che le imprese di trasporto sulle vie navigabili interne svolgono un ruolo di operatore minore sul mercato nazionale e internazionale dei trasporti di merci in Polonia è pur vero che lo stato delle vie navigabili e il potenziale dei porti fluviali interni non consentono una crescita sensibile dei volumi trasportati. Inoltre lo sviluppo del trasporto sulle vie navigabili interne in Polonia resta limitato soprattutto a seguito delle forti variazioni nella portata delle acque dei fiumi nel corso dell'anno, dell'assenza di regolarizzazione dei principali fiumi e dei relativi affluenti, del persistente ghiacciamento dei fiumi e di installazioni portuali obsolete. L'attuale rete delle vie navigabili e l'assenza di nuovi investimenti in infrastrutture importanti ostacolano lo sviluppo del trasporto di merci su nave e su convoglio a spinta attraverso tutta l'Europa nonostante il trasporto fluviale costituisca una soluzione particolarmente idonea per l'ambiente e garantisca costi di trasporto poco elevati per molte categorie di carichi.

Quali misure di aiuto intende quindi la Commissione adottare per estendere e sviluppare la rete delle vie navigabili in Polonia in modo che sia integralmente collegata alla rete europea di trasporto fluviale?

 
  
 

La Commissione è favorevole allo sviluppo del trasporto sulle vie navigabili interne in Europa per motivi legati all’ambiente, ai costi ridotti e alla sicurezza del trasporto.

Per quanto riguarda la Polonia, una parte della sua rete è inclusa nelle reti transeuropee. Si tratta del fiume Oder e di un piccolo segmento del fiume Vistola.

Finora la Commissione non ha ricevuto alcuna richiesta di assistenza finanziaria relativa a un progetto di infrastrutture di navigazione interna in Polonia.

Ciononostante, nell’ambito del quadro finanziario per il periodo 2007-2013 la Polonia ha dichiarato che intende avviare alcuni progetti di infrastrutture nella parte settentrionale del fiume Oder.

Spetta alla Polonia intraprendere l’iniziativa di attuare progetti di infrastrutture nella propria rete di navigazione interna. Questi progetti potranno beneficiare dell’assistenza finanziaria a titolo dei Fondi strutturali e del bilancio RTE-T o di prestiti della BEI.

La Commissione esaminerà qualsiasi richiesta di assistenza finanziaria della Polonia per progetti in questo settore.

Nel quadro del programma di azione “NAIADES” adottato dalla Commissione nel gennaio 2006 e relativo alla promozione del trasporto sulle vie navigabili interne, la Commissione ha annunciato un piano di sviluppo su scala europea finalizzato al miglioramento e al mantenimento delle infrastrutture idroviarie interne e delle installazioni di trasbordo. Tale piano dovrebbe concentrarsi sull’eliminazione delle strozzature, nel rispetto dell’ambiente acquatico naturale, e fornire orientamenti in materia di finanziamento e di priorità.

Il programma di azione “NAIADES” è stato accolto favorevolmente dal Consiglio dei ministri dei Trasporti e attualmente è in fase di esame da parte del Parlamento.

 

Interrogazione n. 55 dell'on. Georgios Toussas (H-0777/06)
 Oggetto: Rischi per la vita dei passeggeri e degli equipaggi delle navi
 

Con il DPR 124 (Gazzetta ufficiale della Repubblica ellenica 136/6.7.2006) sulla libera prestazione di servizi nel settore dei trasporti marittimi il governo greco ha proceduto arbitrariamente alla soppressione del limite di età per il ritiro delle navi greche fissato a 30 anni (legge 2932/2001), sostenendo di voler così armonizzare la legislazione greca con quella europea, su proposta della Commissione. Nell'interrogazione del 23 gennaio 2006 (H-0031/06(1)) si segnalava che, sulla base di un parere motivato della Commissione al governo greco, si sarebbe dovuto procedere alla soppressione del limite dei 30 anni fissato per il ritiro delle navi passeggeri vetuste e in cattivo stato di conservazione. L'argomento secondo cui la Commissione chiedeva un'armonizzazione della legislazione in materia di prezzi dei biglietti e di condizioni operative delle navi non regge, dal momento che negli ultimi tre anni gli aumenti reali dei prezzi hanno superato il 250%. Applicando il criterio dei profitti per le società di navigazione, gli armatori e il ministero della Marina mercantile stabiliscono le condizioni operative, le rotte e la frequenza delle navi, creando situazioni che rischiano di portare ad un nuovo naufragio analogo a quello del "Samina Express" e mettendo in grave pericolo la vita di passeggeri ed equipaggi.

Dal momento che il ministro della Marina mercantile afferma che nel quadro della messa in atto della politica dell'Unione europea questa misura è necessaria, qual è la posizione della Commissione riguardo all'aumento del limite di età delle navi al di là dei 30 anni?

 
  
 

La Commissione desidera rammentare che, come ha dichiarato nella sua risposta alla precedente interrogazione menzionata dall’onorevole parlamentare, non ha inviato alla Grecia alcun parere motivato contenente una contestazione relativa al limite di età fissato dalla legislazione greca per il ritiro delle navi vetuste.

La direttiva 98/18/CE del 17 marzo 1998(2) relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri, modificata dalla direttiva 2003/24/CE del 14 aprile 2003(3), non stabilisce limiti di età automatici per le navi da passeggeri, ma prevede soltanto il ritiro dal servizio per le navi Ro/Ro da passeggeri delle due classi superiori (A e B) la cui chiglia sia stata impostata anteriormente al 1o ottobre 2004 e che raggiungerebbe l’età di 30 anni entro il 1o ottobre 2010 senza soddisfare i requisiti di stabilità previsti dalla direttiva 2003/25/CE del 14 aprile 2003(4), per aumentare la sicurezza dei passeggeri e dell’equipaggio migliorando la capacità di salvataggio delle navi Ro/Ro da passeggeri in caso di incidenti.

Tutti gli Stati membri possono tuttavia adottare misure aggiuntive se ritengono che i requisiti di sicurezza applicabili in base alla direttiva 98/18/CE debbano essere rafforzati in determinate situazioni derivanti da specifiche condizioni locali. Spetta a ciascuno Stato membro decidere di avvalersi o meno di tale possibilità.

 
 

(1) Risposta scritta del 15.2.2006.
(2) GU L 144 del 15.5.1998, pag.1.
(3) GU L 123 del 17.5.2003, pag.18.
(4) GU L 123 del 17.5.2003, pag.22.

 

Interrogazione n. 56 dell'on. Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0696/06)
 Oggetto: Impegno per la salvaguardia della tradizione classica
 

Al punto 8 (scienze socio-economiche e le scienze umane) del settimo programma quadro per le attività di ricerca (2007-2013) si sottolinea che l'Europa dispone di una base di ricerca solida e di elevata qualità nelle scienze socio-economiche e nel settore delle scienze umane e che a livello dell'UE esiste un terreno estremamente fertile per la ricerca in questi campi che si spera presenti un elevato valore aggiunto europeo.

Con quali azioni concrete e con quali finanziamenti intende la Commissione sviluppare, diffondere e salvaguardare la tradizione classica (ricerche linguistiche e ricerche storiche sull'età antica, medioevale e moderna) onde dar vita, attraverso la valorizzazione delle differenze e somiglianze fra le civiltà, a una comprensione comune del passato storico, delle lingue e dei valori europei?

 
  
 

L’Europa dispone di una solida base di ricerca nelle varie discipline delle scienze umane. Negli ultimi anni i progetti di ricerca in questo settore hanno beneficiato di un sostegno in progressivo aumento attraverso i programmi quadro.

Già nel corso del quinto programma quadro (5PQ), l’UE ha sostenuto progetti che hanno coinvolto ricercatori nel campo delle scienze umane, in particolare su questioni quali l’identità europea e il rafforzamento di tale identità, anche in prospettiva storica, e valori legati alla democrazia e alla cittadinanza.

Nell’ambito del 6PQ, le scienze umane sono state esplicitamente oggetto di numerosi inviti a presentare proposte e attualmente sono in corso più di 10 progetti in alcuni settori, in particolare nel campo della linguistica e della storia:

Codice identificativo dell’invito

Oggetto

Progetti finanziati

FP6-2002-Citizens-3

“Dialogo culturale e società europea”

2 reti di eccellenza (NOE)

FP6-2004-Citizens-4

“Diversità linguistica e società basata sulla conoscenza”

1 rete di eccellenza (NOE) e 1 progetto integrato (IP)

FP6-2004-Citizens-5

“Valori e religioni in Europa”

5 progetti di ricerca specifici mirati (STREP) e 2 azioni di coordinamento (CA)

Informazioni su questi progetti sono disponibili sul sito http://cordis.europa.eu/citizens/home.html.

Per il 7PQ l’idea è quella di rafforzare ulteriormente l’inclusione delle scienze umane nel contesto generale del tema 8 “scienze socioeconomiche e scienze umane”. Ad esempio, il testo proposto per il programma specifico fornisce le seguenti parole chiave per le scienze umane: interazioni culturali, tradizioni, patrimonio culturale, strategie rispetto alla convivenza di molteplici culture, ruolo delle lingue, dell’arte e delle religioni, atteggiamenti e valori.

Per accrescere ancor più la partecipazione delle scienze umane e incoraggiare la ricerca interdisciplinare e multidisciplinare tra scienze sociali e scienze umane, nel maggio 2006 è stato istituito un gruppo di esperti per le scienze umane.

Parallelamente, la Commissione ha avviato una consultazione su Internet, invitando la comunità dei ricercatori a esprimere osservazioni su un primo progetto di programma di ricerca per il tema 8.

In questo contesto, sono in corso i preparativi per il programma di lavoro per il periodo 2007-2008 per il tema 8. Anche se per il momento sarebbe prematuro rivelare particolari al riguardo, va sottolineato che aspetti della ricerca relativi alla letteratura e alle arti, nonché alle interazioni culturali e alle strategie rispetto alla convivenza di molteplici culture, potrebbero essere inseriti nel primo invito a presentare proposte, la cui pubblicazione avverrà subito dopo l’entrata in vigore del 7PQ.

Inoltre, anche la nuova proposta di programma Cultura (2007-2013), che si auspica venga adottata entro la fine del 2006, è un altro degli strumenti di finanziamento della Commissione nel campo della cultura. Dopo la sua adozione, è molto probabile che gli inviti a presentare proposte vengano pubblicati agli inizi del 2007, tuttavia per ottobre 2006 è previsto un invito a presentare proposte preliminare per il 2007 contenente le informazioni più importanti.

L’obiettivo generale del programma proposto è quello di contribuire alla valorizzazione di uno spazio culturale comune agli europei sviluppando la cooperazione culturale tra i creatori, gli operatori culturali e le istituzioni culturali dei paesi partecipanti al programma, al fine di favorire l’emergere di una cittadinanza europea. Gli obiettivi specifici del programma sono: 1) promuovere la mobilità transnazionale delle persone che lavorano nel settore culturale, 2) incoraggiare la circolazione transnazionale delle opere e dei prodotti artistici e culturali, 3) favorire il dialogo interculturale.

 

Interrogazione n. 57 dell'on. Manuel Medina Ortega (H-0699/06)
 Oggetto: Negoziati nell'OMC: protezione della banana comunitaria
 

Nel quadro dei negoziati dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, che proposte sta presentando la Commissione al fine di proteggere in maniera efficace i produttori di banane dell'Unione europea?

 
  
 

Il mercato dell’UE finora ha reagito bene al nuovo regime delle importazioni per le banane che consiste in un’aliquota tariffaria di 176 euro per tonnellata e in un contingente esente da dazi di 775 000 tonnellate per le banane provenienti dai paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), che dal 1o gennaio 2006 ha sostituito il precedente regime dei contingenti.

Alla luce dell’estrema delicatezza che continua a rivestire tale questione che è stata oggetto di annose controversie commerciali, dalla Conferenza ministeriale di Hong Kong del dicembre 2005 il nuovo regime delle importazioni è stato sottoposto a un meccanismo di controllo e di revisione di cui è stata affidata la responsabilità al ministro norvegese Støre. Lo scopo è determinare l’aliquota tariffaria da consolidare nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e sulla cui base si applicheranno le future riduzioni derivanti dai negoziati sull’agenda di Doha per lo sviluppo. Nel contesto di tali negoziati, che per il momento sono sospesi, la Commissione ha anche respinto la richiesta avanzata da alcuni paesi di trattare le banane come prodotto tropicale e pertanto di applicare riduzioni più elevate all’aliquota tariffaria.

La Commissione segue con estrema attenzione il funzionamento del nuovo regime delle importazioni e partecipa in maniera costruttiva al processo Støre allo scopo di giungere a un accordo che offra un livello adeguato di protezione del mercato dell’UE e, com’è auspicabile, allo stesso tempo ponga fine alla controversia sulle banane.

 

Interrogazione n. 58 dell'on. Mairead McGuinness (H-0702/06)
 Oggetto: Finanziamento del bilancio dell'UE e conseguenti prospettive per la PAC
 

Secondo una recente relazione di Teagasc, l'ente nazionale irlandese di ricerca, consulenza e formazione per l'industria agricola e alimentare, gli agricoltori irlandesi usufruiranno maggiormente in futuro degli aiuti diretti al reddito elargiti dall'UE, qualora l'UE dovesse concordarlo in sede OMC.

Questa prospettiva si presenta in un periodo in cui sembra sussistere un minore impegno da parte degli Stati membri dell'UE nel finanziare le politiche dell'Unione per il futuro, incluse quelle relative all'agricoltura, rendendo così meno certa la sopravvivenza dell'attuale regime dei pagamenti disaccoppiati oltre il 2013.

Dal punto di vista del bilancio, come intende la Commissione affrontare le realtà sempre più dure e conflittuali cui sono confrontati molti agricoltori nell'UE?

Gli agricoltori devono essere più competitivi, ma sanno di non poter competere con le crescenti quantità di alimenti a buon mercato prodotti in base a standard più bassi all'esterno dell'UE a seguito di un accordo concluso nell'ambito dell'OMC. Allo stesso modo si rendono conto che l'impegno dell'UE nel settore agricolo e alimentare si sta attualmente riducendo.

 
  
 

Lo scopo principale della riforma della politica agricola comune (PAC) del 2003 era rafforzare la competitività del settore agricolo comunitario. La nuova PAC incoraggia gli agricoltori a ottenere redditi più adeguati dal mercato anziché calcolare la migliore combinazione di sovvenzioni, e promuove norme elevate in materia di protezione dell’ambiente, benessere degli animali e sicurezza alimentare per consentire all’agricoltura dell’UE di far fronte alle sfide di un futuro contesto commerciale ragionevole.

Un esito ambizioso dei negoziati, attualmente interrotti, nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) sulla liberalizzazione degli scambi commerciali rappresenterà di certo una sfida per l’agricoltura dell’UE, in particolare l’applicazione di tariffe più basse e la prevista eliminazione delle restituzioni all’esportazione. Al contempo, un accordo in seno all’OMC aprirebbe nuove opportunità di mercato per le esportazioni agricole dell’UE, soprattutto per i prodotti di qualità e ad alto valore aggiunto.

Per il momento non esiste alcun motivo per prendere in considerazione la possibilità di modificare il contenuto politico della riforma della PAC del 2003. Per il 2008 è prevista una verifica dei principali strumenti della PAC allo scopo di mantenere l’idea generale alla base della riforma della PAC, ossia la sostenibilità sotto il profilo economico, ambientale e sociale, che resterà valida anche in futuro.

L’onorevole parlamentare fa riferimento all’aspetto finanziario della questione. Con l’accordo interistituzionale del maggio 2006 sulla disciplina di bilancio e la sana gestione finanziaria sono state decise le prospettive finanziarie per tutto il periodo dal 2007 al 2013. Nel dicembre 2005 il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a procedere “a una revisione generale e approfondita comprendente tutti gli aspetti relativi alle spese dell’UE, compresa la PAC, e alle risorse, inclusa la correzione per il Regno Unito, e a presentarla nel 2008/2009”. Si tratterà pertanto di una revisione che affronterà la questione di bilancio sollevata dall’onorevole parlamentare. Il Parlamento sarà associato a tale revisione.

 

Interrogazione n. 59 dell'on. Brian Crowley (H-0704/06)
 Oggetto: Bilancio dell'UE per il periodo 2007-2013
 

Può la Commissione fare una dichiarazione su come il bilancio dell'Unione europea per il periodo 2007-2013 contribuirà a migliorare il livello di competitività dell'Unione europea dal punto di vista economico?

 
  
 

L’accordo finale su un quadro finanziario per l’UE per il periodo 2007-2013 fornisce uno schema stabile e coerente per il finanziamento di un’Unione europea allargata nei prossimi sette anni.

Per tutto il periodo l’UE spenderà 74 miliardi di euro per programmi e iniziative nell’ambito della sottorubrica 1A, incentrata direttamente su competitività e occupazione. Inoltre, i considerevoli investimenti previsti in altre rubriche contribuiranno a promuovere la crescita e l’occupazione in Europa e pertanto a rafforzare la competitività globale dell’UE. Questo vale in particolare per lo stanziamento di 308 miliardi di euro della sottorubrica 1B destinato alla coesione per la crescita e l’occupazione. L’UE investirà pertanto 382 miliardi di euro, ovvero il 44 per cento del proprio bilancio generale, per promuovere la crescita, l’occupazione e la competitività.

La spesa destinata alla competitività per la crescita e l’occupazione (sottorubrica 1A) aumenterà di circa il 70 per cento tra il 2006 e il 2013 e quella destinata alla coesione per la crescita e l’occupazione (sottorubrica 1B) di più del 20 per cento nello stesso periodo.

Alcuni esempi di programmi specifici che accresceranno la capacità dell’Europa di competere sul mercato mondiale sono costituiti dal programma per la competitività e l’innovazione (CIP), dal settimo programma quadro di ricerca, dal programma riguardante l’apprendimento permanente, dal programma GALILEO e dalle reti transeuropee.

Inoltre, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione proposto di recente contribuirà a far fronte ai costi sociali del processo di adeguamento in corso nell’UE per promuovere la competitività nel contesto dei mutamenti del commercio mondiale. Questo strumento sarà finanziato attraverso i fondi non spesi.

Il quadro finanziario offre una base per un’Unione europea più competitiva nei prossimi sette anni ed è chiaro che i finanziamenti comunitari possono svolgere un ruolo catalizzatore al riguardo. Detto questo, la promozione della crescita, dell’occupazione e della competitività è una responsabilità condivisa e richiederà il compimento da parte degli Stati membri di analoghi sforzi. Anche se le basi sono ormai state poste, all’ambizione e alle azioni a livello europeo dovranno corrispondere adeguati investimenti e contributi da parte di attori pubblici e privati a tutti i livelli per consentire all’Europa di crescere e prosperare.

 

Interrogazione n. 60 dell'on. Seán Ó Neachtain (H-0710/06)
 Oggetto: La sesta direttiva IVA dell'Unione europea
 

L'interrogante ha ricevuto da un cittadino irlandese alcune segnalazioni che in termini generali si possono sintetizzare nel modo seguente:

Questa persona svolge un servizio pubblico, ossia si occupa della fornitura di servizi postali, e a questo scopo ha arredato dei locali nuovi sostenendo una spesa di 250.000 euro. Per l'arredamento dei suddetti locali l'importo dell'IVA dovuta ammonta ad oltre 33.000 euro.

Secondo le disposizioni della sesta direttiva IVA dell'UE (77/388/CEE(1)) egli non ha alcuna possibilità di chiedere il rimborso dell'IVA allo Stato per il fatto che svolge un servizio pubblico, mentre, qualora prestasse un servizio privato o commerciale, potrebbe recuperare tale somma dallo Stato.

È disposta la Commissione a rivedere l'applicazione della sesta direttiva IVA dell'UE al fine di esaminare come i fornitori di servizi pubblici possono essere trattati in modo così diverso rispetto ai fornitori di servizi privati, e valutare quali misure si possono adottare per garantire il superamento di tale anomalia nell'ambito dell'attuale regime fiscale dell'UE in una prospettiva futura?

 
  
 

Uno dei principi fondamentali della sesta direttiva relativa all’imposta sul valore aggiunto (IVA)(2) è che l’IVA versata per i costi sostenuti da un soggetto passivo è deducibile soltanto se tali costi sono legati alla fornitura di beni o servizi soggetti a imposta.

L’articolo 13, punto A, paragrafo 1, lettera a) e punto B, lettera e) stabilisce che la fornitura di servizi pubblici postali e di francobolli è esentata dall’IVA. Quando le attività di un operatore rientrano nell’ambito di questa disposizione, beni e servizi forniti (come uscite) sono esentati dall’IVA, ma l’IVA versata per i beni e i servizi dallo stesso acquistati (come entrate) non è deducibile.

E’ vero tuttavia che l’esenzione dall’IVA per i servivi pubblici postali e i francobolli non è del tutto adeguata al mercato postale liberalizzato a seguito della direttiva 97/67/CE. L’attuale esenzione dall’IVA è distorsiva della concorrenza tra operatori come gli ex monopoli di Stato che beneficiano dell’esenzione e altri operatori che non ne hanno diritto. La Commissione ha già segnalato le disparità di applicazione di questa esenzione nella Comunità.

Per affrontare questa situazione, nel 2003 la Commissione ha proposto(3) di abolire l’attuale esenzione dall’IVA sui servizi pubblici postali e sui francobolli con la possibilità per gli Stati membri di applicare un’aliquota ridotta dell’IVA a un’ampia serie di servizi postali. Quest’ultimo aspetto limiterebbe le ripercussioni sui prezzi per i consumatori privati. Gli Stati membri non sono tuttavia riusciti a giungere a un accordo e la proposta è ancora bloccata in Consiglio.

E’ tuttavia necessaria una corretta applicazione dell’esenzione dell’IVA sui servizi postali nella Comunità. La Commissione ha dovuto avviare procedure di infrazione contro alcuni Stati membri(4) in cui l’attuale esenzione dall’IVA non viene applicata in modo corretto. Nel frattempo, la Commissione esorta il Consiglio a riprendere le discussioni e ad adottare la sua proposta di modernizzazione del trattamento IVA dei servizi postali. E’ chiaro che la situazione attuale è insoddisfacente per tutte le parti, compresi, come sottolineato dall’onorevole parlamentare, gli operatori del settore esentato, che non possono recuperare l’IVA versata per investimenti indispensabili.

 
 

(1) GU L 145 del 13.6.1977, pag. 1.
(2) Sesta direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977 in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (77/388/CEE), GU L 145 del 13.6.1977.
(3) COM (2003) 234 def. del 5 maggio 2003 modificato da COM (2004) 468 dell’8 luglio 2004.
(4) Regno Unito, Germania e Svezia.

 

Interrogazione n. 61 dell'on. Sajjad Karim (H-0715/06)
 Oggetto: Scambi studenteschi
 

Nella sua relazione sulle relazioni UE-India: una partnership strategica (A6-0256/2005) il Parlamento europeo "si congratula per la recente firma fra la Commissione e il governo dell'India di un accordo in base al quale la Commissione crea mille borse di studio (per un importo di 33 milioni di euro) per l'accesso di studenti indiani a università europee in virtù del programma Erasmus Mundus, (...) prende nota del fatto che il Consiglio indiano per le relazioni culturali offre a studenti europei la possibilità di accedere a università indiane, ma lo invita a mostrare maggiore interesse per questo aspetto al fine di contribuire più attivamente a consolidare le basi dell'associazione strategica."

Può la Commissione fornire informazioni aggiornate in merito alla situazione dell'attuazione di queste proposte, con particolare riferimento alla collaborazione in materia scientifica e tecnologica?

La Commissione crede che scambi professionali ed economici potrebbero essere utili, sia per la comprensione interculturale, sia per la promozione di un flusso di informazioni a doppio senso?

La Commissione prevede di dar seguito al successo del Programma di formazione di dirigenti - Scambio tra i popoli - esistente con il Giappone e la Corea estendendo il programma all'India con finanziamenti congrui?

 
  
 

La promozione di scambi accademici e studenteschi costituisce un aspetto importante del piano d’azione comune UE-India concordato nel corso dell’ultimo Vertice UE-India svoltosi nel settembre 2005. Si tratta di uno degli elementi fondamentali degli sforzi compiuti per accrescere la visibilità dell’UE in India e dimostrare che anche l’Europa, al pari dell’India, rappresenta il futuro.

La Commissione ha stanziato un importo di 33 milioni di euro per la “finestra” a favore dell’India del programma ERASMUS per il periodo 2005-2007. Tale importo dovrebbe consentire di finanziare circa 900 borse di studio in un periodo di tre anni (2005-2007).

Erasmus Mundus ha registrato risultati estremamente positivi in India. Nei primi due anni di attuazione della “finestra” a favore dell’India del programma, è stata utilizzata circa la metà dell’importo totale per finanziare più di 400 borse di studio per studenti indiani. Nel terzo e ultimo anno di attuazione della “finestra” (anno accademico 2007-2008), la Commissione prevede di finanziare circa 500 altre borse di studio.

Per conseguire questo risultato, di recente la Commissione, attraverso la sua delegazione a Delhi, ha intensificato gli sforzi volti a divulgare informazioni su Erasmus Mundus in India. Dal 24 al 26 novembre 2006 si svolgerà a Delhi un’importante fiera europea dedicata all’istruzione superiore, che potrà essere utilizzata quale occasione per un’opera di ulteriore sensibilizzazione sulle opportunità offerte dal programma.

A seguito dell’esito positivo della prima fase, in seno alla Commissione sono in corso discussioni riguardo alla proroga della “finestra” a favore dell’India di Erasmus Mundus dopo il 2007.

Per rispondere alla preoccupazione dell’onorevole parlamentare, la Commissione desidera sottolineare che più della metà degli studenti indiani che hanno ricevuto una borsa di studio nell’ambito di ERASMUS per studiare in Europa intende scegliere quali materie scienza e tecnologia.

La Commissione e le autorità indiane non hanno previsto di attuare in India il programma di formazione di dirigenti in quanto il suo scopo principale è fornire formazione a professionisti europei nelle lingue dei mercati di esportazione più importanti per l’UE, ossia Cina, Giappone e Corea, in cui non è diffusa la conoscenza delle lingue europee. L’uso sistematico dell’inglese nei contatti commerciali con l’India non rende necessario estendere il programma in questione a tale paese.

 

Interrogazione n. 62 dell'on. Rosa Miguélez Ramos (H-0716/06)
 Oggetto: Incendi di foreste in Galizia
 

La Penisola iberica, soprattutto la regione della Galizia, è stata colpita ancora una volta quest'estate da un'ondata di incendi di foreste che hanno distrutto centinaia di migliaia di ettari di bosco e di vegetazione, allevamenti, vigneti, orti, case e infrastrutture agricole, compromettendo l'agricoltura, l'allevamento e il patrimonio forestale e causando gravi danni alle economie locali, all'attività produttiva e al turismo.

Può dire la Commissione in che modo le nuove misure o i nuovi piani di gestione sostenibile delle foreste da essa previsti potranno contribuire a ridurre tali effetti catastrofici e a correggere la complessa ed incerta situazione ambientale in cui si trova il territorio della Galizia, che è parte integrante dell'importante patrimonio forestale del sud dell'Europa?

Può dire inoltre quali misure intende prendere per correggere alcune delle conseguenze negative della PAC, che sono all'origine dello spopolamento e dell'abbandono – dovuti alla scarsa redditività – degli spazi forestali e dell'ambiente rurale?

Può dire infine in che modo conta di facilitare l'applicazione del Fondo di solidarietà, onde evitare che, ancora una volta, come è già accaduto in altre occasioni, la sua utilizzazione sia un insuccesso?

 
  
 

La Commissione è consapevole della gravità dei danni causati dagli incendi di foreste verificatisi quest’estate, soprattutto nella regione della Galizia, e desidera esprimere profonda solidarietà alle persone colpite.

Attualmente la Commissione sta organizzando lo svolgimento di uno studio il cui scopo è ottenere un quadro globale delle cause alla base del deterioramento delle foreste nell’UE, fra cui anche gli incendi forestali. Questo studio, i cui risultati sono previsti per la fine del 2007, dovrebbe consentire di definire proposte concrete per prevenire il deterioramento delle foreste a livello di UE. Lo studio fa parte del piano d’azione dell’UE per le foreste presentato dalla Commissione nel giugno 2006(1). Inoltre, la proposta LIFE+(2) si aggiunge agli strumenti esistenti a sostegno delle azioni in materia ambientale, inserendosi in un nuovo strumento più ampio e più integrato. La proposta prevede di sostenere programmi di monitoraggio di boschi e foreste e di prevenzione degli incendi boschivi, consentendo di continuare le attività attuate nell’ambito del regolamento Forest Focus, che scadrà alla fine del 2006.

Per quanto riguarda la politica agricola comune (PAC), negli ultimi anni sono state introdotte modifiche sostanziali a seguito delle riforme della PAC del 2003/2004. La politica di sviluppo rurale promuove lo sviluppo sostenibile delle aree rurali, contribuendo a rafforzare la competitività dell’agricoltura e della silvicoltura, e la creazione di nuove fonti di reddito e di occupazione nelle aree rurali. Il nuovo regolamento relativo allo sviluppo rurale(3) per il periodo 2007-2013 include alcune misure a favore del settore forestale che gli Stati membri possono attuare in base alle loro priorità, fra cui misure di prevenzione degli incendi di boschi e foreste e di ricostituzione di boschi e foreste danneggiati dagli incendi.

In merito al Fondo di solidarietà, lo Stato membro interessato deve presentare richiesta alla Commissione entro dieci settimane dalla data in cui si è verificato il primo danno. Al 26 settembre 2006 non è pervenuta dal governo spagnolo alcuna richiesta di questo genere. La possibilità di assistenza finanziaria a titolo del Fondo di solidarietà dipende dal fatto che siano o meno soddisfatti i criteri stabiliti nel regolamento(4) per la mobilitazione del Fondo. L’assistenza finanziaria del Fondo di solidarietà può essere utilizzata per un numero limitato di interventi di emergenza effettuati dalle autorità pubbliche, come la riparazione provvisoria di infrastrutture fondamentali, la fornitura di alloggi temporanei e il finanziamento di servizi di soccorso. Il Fondo non può compensare perdite private, neppure nei settori agricolo e forestale.

 
 

(1) Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su un piano d’azione dell’UE per le foreste, COM(2006) 302 def. del 15.6.2006.
(2) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante lo strumento finanziario per l’ambiente (LIFE +), COM(2004) 621 def. del 29.9.2004.
(3) Regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio del 20 settembre 2005 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), GU L 227 del 21.10.2005.
(4) Regolamento (CE) n. 2012/2002 del Consiglio che istituisce il Fondo di solidarietà dell’Unione europea.

 

Interrogazione n. 65 dell'on. Sarah Ludford (H-0722/06)
 Oggetto: Obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate
 

Nell'aprile 2004 il Consiglio ha approvato la direttiva 2004/82/CE(1) sull'obbligo dei vettori di comunicare in anticipo i dati relativi alle persone trasportate, nonostante che il Parlamento europeo avesse respinto la proposta in ragione delle inadeguate garanzie di protezione dei dati. Il fatto che la direttiva sia basata sulle basi giuridiche del controllo delle frontiere e dell'immigrazione (articoli 62, paragrafo 2, a) e 63, paragrafo 3, b) TEC) non ha impedito agli Stati membri di assumersi l'autorità di utilizzare i dati per scopi di polizia (articolo 6, paragrafi 1 e 5), senza limiti di tempo sulla conservazione dei dati o nessun altra salvaguardia a livello europeo della privacy dei dati.

La direttiva 2004 doveva essere attuata dagli Stati membri al 5 settembre 2006 ma la proposta decisione quadro del terzo pilastro sulla protezione dei dati per le informazioni relative alla sicurezza tuttora non è stata concordata dal Consiglio. Qual è pertanto l'attuale posizione della Commissione sulla conformità della direttiva 2004 ai requisiti di protezione dei dati?

 
  
 

Gli Stati membri stanno recependo la direttiva 2004/82/CE nel diritto nazionale. In tale processo devono rispettare le disposizioni della direttiva in questione e della direttiva 95/46/CE relativa alla protezione dei dati personali e la corrispondente legislazione nazionale in materia di protezione dei dati personali. Per il momento, nove Stati membri hanno informato la Commissione di aver (parzialmente) recepito la direttiva 2004/82/CE. La Commissione sta analizzando le misure nazionali di recepimento alla luce della direttiva 2004/82/CE e della direttiva 95/46/CE.

 
 

(1) GU L 261 del 6.8.2004, pag. 24.

 

Interrogazione n. 66 dell'on. Jacky Henin (H-0723/06)
 Oggetto: Azione contro i movimenti speculativi di capitali investiti a breve termine
 

La società Tréfimétaux, del gruppo italiano KME, specializzata nella trasformazione del rame, intende delocalizzare in Germania e in Italia le attività di fonderia e di laminazione attualmente presenti in Francia, sopprimendo in tal modo 215 posti di lavoro. Tale scelta si rivela incomprensibile sotto il profilo della competitività dell'impresa, in quanto lo stabilimento tedesco è meno performante e il costo della manodopera è più elevato. La decisione adottata dalla KME, su pressione della società finanziaria INTEK, che impone tassi di redditività del 18%, spingerà la clientela verso fornitori esterni all'Unione europea. Ci troviamo dunque alla presenza di una situazione in cui azionisti poco scrupolosi, che compromettono la strategia e l'esistenza dell'impresa per rendere produttivi i propri investimenti speculativi a breve termine.

Quali iniziative intende adottare la Commissione per contrastare il flagello dei movimenti di capitale speculativi a breve termine che distruggono l'occupazione e minano lo sviluppo industriale dell'Unione?

 
  
 

Le perdite di posti di lavoro dovute alla delocalizzazione di imprese sono motivo di preoccupazione per la Commissione, tuttavia l’onorevole parlamentare saprà che il Trattato prevede la libera circolazione dei capitali nell’Unione europea, tranne che in specifiche circostanze, quale condizione per il corretto funzionamento del mercato unico. La delocalizzazione di imprese è un fenomeno normale nella vita economica e riflette un processo di efficace distribuzione delle risorse nell’economia dell’UE, facendo sì che gli investimenti siano destinati ai progetti che offrono il massimo livello di redditività e che l’economia possa ristrutturarsi e diversificarsi. In questo processo di distribuzione delle risorse vi sono purtroppo inevitabili costi di adeguamento, in quanto capitali, posti di lavoro e competenze legati ai progetti si trasferiscono da un luogo a un altro. L’effetto complessivo dei movimenti di imprese sull’andamento dell’economia dell’UE e sul benessere dei cittadini dell’Unione resta tuttavia positivo. Sarebbe pertanto controproducente scoraggiare o vietare questo processo economico.

L’Unione europea dispone tuttavia di norme molto chiare applicabili in questi tipi di circostanze, e dobbiamo chiedere con fermezza che vengano mantenute. Ad esempio, una decisione di delocalizzazione deve essere preceduta da un’adeguata informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori, come previsto da varie direttive comunitarie. In questo contesto riveste fondamentale importanza il dialogo sociale, come la Commissione rammenta sistematicamente.

Le imprese hanno una considerevole responsabilità sociale per l’Europa, e ciò dovrebbe risultare ovunque evidente. La Commissione non critica a priori la decisione di un’impresa che comporti una delocalizzazione, tuttavia conduce politiche in cui si attribuisce maggiore importanza alle soluzioni sostenibili rispetto ai benefici a breve termine. Non si tratta soltanto di una questione di responsabilità sociale, ma anche di conseguire obiettivi di politica industriale, una politica industriale attiva che mantenga l’attività in Europa.

La Commissione sta anche definendo una serie di strumenti che possono contribuire ad attenuare le ripercussioni sociali del cambiamento e delle ristrutturazioni, e a questo proposito possono svolgere un ruolo molto importante in particolare i Fondi strutturali e il Fondo sociale europeo. La Commissione esorta gli Stati membri a integrare pienamente nelle loro priorità e nella programmazione nazionale l’obiettivo definito a livello europeo di un adattamento al cambiamento.

 

Interrogazione n. 67 dell'on. Chris Davies (H-0725/06)
 Oggetto: Detenzione di membri eletti del Consiglio legislativo palestinese
 

Quali passi di protesta ha effettuato la Commissione presso il governo di Israele riguardo alla detenzione senza accuse né processo di membri eletti del Consiglio legislativo palestinese?

 
  
 

La Commissione condivide la preoccupazione dell’onorevole parlamentare riguardo alla detenzione di membri eletti del Consiglio legislativo palestinese (CLP). La detenzione di legislatori palestinesi è in contrasto con il diritto internazionale, oltre ad avere effetti negativi per le istituzioni dell’Autorità palestinese che è nostro dovere tutelare.

La Commissione ha sollevato la questione con le controparti israeliane in varie occasioni, per esempio durante il viaggio compiuto dal Commissario per le Relazioni esterne in Israele nel luglio 2006.

La Commissione ritiene che la questione vada considerata tenendo conto di un quadro più vasto. Il rilascio dei membri del CLP detenuti fa parte di una più ampia serie di questioni che deve essere risolta per consentire il riavvio dei negoziati tra israeliani e palestinesi.

La Commissione ha accolto con favore la decisione del tribunale militare palestinese della scorsa settimana di rilasciare diciotto legislatori palestinesi. Si resta in attesa della decisione definitiva del tribunale a seguito dell’appello della procura delle forze di difesa israeliane.

 

Interrogazione n. 68 dell'on. Catherine Stihler (H-0728/06)
 Oggetto: Coordinamento dei Servizi segreti
 

Il settimanale italiano L'espresso ha pubblicato recentemente un riferimento della Commissione alla creazione di un "Centro che coordina vari servizi segreti". Virtualmente niente è trapelato sul Centro dalla sua costituzione - sembra - l'anno scorso, nonostante l'auspicio espresso dalla Commissione per un "maggior controllo parlamentare" sui servizi di sicurezza nazionali nell'Unione.

Potrebbe la Commissione confermare l'esistenza di un Centro UE di coordinamento dei servizi segreti? Potrebbe inoltre fornire dettagli sul suo finanziamento, il suo staff, le nazioni partecipanti e che tipo di controllo parlamentare esista sulle sue attività?

 
  
 

E’ vero che il Commissario per la Giustizia, la libertà e la sicurezza ha fatto riferimento al Centro di situazione dell’UE, noto in generale come “SITCEN”, nell’intervista al settimanale italiano L’Espresso menzionata nell’interrogazione. La Commissione accoglie con favore il contributo del SITCEN alla sicurezza dell’UE dopo il rafforzamento dei suoi mezzi e del suo mandato a seguito degli attentati terroristici di Madrid dell’11 marzo 2004.

L’espressione “Centro che coordina vari servizi segreti” menzionata dall’onorevole parlamentare non è stata usata in quanto tale dal Commissario per la Giustizia, la libertà e la sicurezza per descrivere il SITCEN. Tale espressione è stata in realtà usata dal settimanale L’Espresso che fa riferimento in italiano a un “centro di coordinamento dei servizi a Bruxelles”. Questa espressione può indurre in errore il lettore per quanto riguarda le attività del SITCEN che non comprendono il coordinamento di attività operative antiterroriste, ma soltanto l’attività relativa alla pertinente analisi di dati informativi strategici.

In ogni caso, non vi è nulla di segreto riguardo all’originaria creazione del SITCEN per sostenere la politica estera e di sicurezza comune alla fine degli anni ’90 o alla decisione adottata nel 2004 di estenderne il mandato alla fornitura al Consiglio di valutazioni strategiche delle minacce ai fini della lotta contro il terrorismo sulla base di informazioni provenienti dai servizi nazionali. In effetti, nel dicembre 2004 lo stesso Consiglio europeo ha accolto con favore il piano d’azione riveduto dell’UE e le relazioni aggiuntive presentate dal Segretario generale/Alto rappresentante e dalla Commissione sulla lotta contro il terrorismo nonché i progressi compiuti dal giugno 2004, che dovrebbero portare a ulteriori risultati concreti come evidenziato in tali contributi e in particolare: […/…] per quanto concerne la cooperazione in materia di intelligence, le connessioni stabilite tra il Gruppo antiterrorismo e il rafforzato Centro di situazione dell’UE, che a decorrere dal 1o gennaio 2005 fornirà al Consiglio valutazioni strategiche delle minacce sulla base di informazioni provenienti dai servizi nazionali, e un migliore scambio di informazioni con l’Europol. Il Consiglio europeo ha invitato il Segretario generale/Alto rappresentante a riferire sui progressi compiuti, compresa la cooperazione rafforzata tra i servizi di polizia e i servizi di sicurezza anche in connessione con il Centro di situazione. Queste conclusioni del Consiglio europeo sono pubbliche.

Dal punto di vista istituzionale e amministrativo il SITCEN è un servizio del Segretariato generale del Consiglio. La Commissione non può fornire maggiori informazioni come richiesto dall’onorevole parlamentare.

 

Interrogazione n. 69 dell'on. Gerardo Galeote (H-0729/06)
 Oggetto: Incendi nell'estate 2006 in Galizia
 

Tra il 3 e il 15 agosto dell'anno corrente la Galizia ha subito la maggiore ondata di incendi della sua storia. Quest'anno, sia il numero di incendi che l'estensione delle aree bruciate sono stati molto maggiori del solito.

E' evidente che per lottare contro gli incendi, le autorità regionali e nazionali del territorio interessato organizzano i dispositivi adeguati che, qualora risultino insufficienti, possono e debbono essere coadiuvati dall'aiuto e la solidarietà europea, particolarmente mediante i servizi di protezione civile funzionanti nell'Unione.

Potrebbe la Commissione fornire informazioni esatte su quale giorno del mese di agosto le autorità spagnole hanno contattato i servizi della Commissione richiedendo aiuti e in che giorno la Commissione ha ricevuto la richiesta di aiuti nella lotta contro il fuoco che imperversava nella Comunità autonoma di Galizia durante la prima metà del mese di agosto?

Potrebbe la Commissione specificare che tipo di aiuti ha sollecitato il governo spagnolo e quali sono stati i mezzi forniti dall'Unione nella lotta contro gli incendi?

 
  
 

Il Centro di monitoraggio e informazione (CMI) della protezione civile della Commissione ha ricevuto una richiesta di assistenza dal governo spagnolo per lottare contro gli incendi forestali nella Comunità autonoma della Galizia. La richiesta è pervenuta al CMI il 9 agosto 2006 alle 9.32.

Il governo spagnolo ha chiesto tre aerei Canadair, cinque elicotteri dotati di benne per l’acqua o elicotteri cisterna e 20 autobotti antincendio.

Tale richiesta ha provocato una rapida risposta da parte del CMI, che ha immediatamente allertato le autorità della protezione civile dei 30 paesi che partecipano al meccanismo comunitario di protezione civile. Entro poche ore la Spagna ha ricevuto offerte di assistenza da vari Stati membri. Lo stesso giorno, a poche ore dalla richiesta di assistenza della Spagna, sono arrivati nel paese quattro aerei Canadair e un’unità antincendio composta da 20 veicoli e 65 vigili del fuoco. Le offerte successive hanno incluso elicotteri e unità antincendio composte da personale, vari tipi di autobotti e attrezzature antincendio. Italia, Portogallo e Francia sono stati tra i primi a fornire l’assistenza della protezione civile attraverso il meccanismo comunitario.

 

Interrogazione n. 70 dell'on. Hans-Peter Mayer (H-0731/06)
 Oggetto: Obbligo per i cittadini dell'UE di pagare un elevato dazio doganale per l'importazione di veicoli in Portogallo
 

Ogni cittadino dell'UE il cui veicolo sia immatricolato in uno Stato diverso dal Portogallo e che risieda sul territorio portoghese più di 180 giorni l'anno (per esempio, se decide di trascorrervi l'inverno), è tenuto a pagare un dazio doganale nel quadro di una procedura d'importazione (cfr. in particolare il decreto legislativo n. 40/1993). Sono esclusi da tale obbligo di pagamento soltanto gli automezzi pesanti, le roulotte, i motocicli e i veicoli industriali, che devono dimostrare di essere in possesso di determinati requisiti (per esempio, il numero dei posti).

Un'esenzione per i cittadini dell'UE che vogliono fissare in Portogallo la loro dimora abituale è possibile solo in base a requisiti rigorosi (cfr. il decreto legislativo n. 264/1993).

Il metodo di calcolo del dazio comporta di norma che l'importo da pagare per l'importazione del veicolo raggiunge un livello sproporzionato rispetto al prezzo d'acquisto o al valore di mercato.

Può la Commissione far sapere se le disposizioni nazionali della Repubblica portoghese, che obbligano i cittadini dell'UE che soggiornano in Portogallo più di 180 giorni a importare il loro veicolo e a pagare un dazio elevato, sono compatibili con il diritto comunitario?

 
  
 

Occorre innanzi tutto sottolineare che le tasse di immatricolazione di autoveicoli, come l’Imposto automóvel (di seguito denominato IA) stabilito conformemente ai decreti legislativi n. 40/1993 e n. 264/1993 in Portogallo, presentano palesemente carattere fiscale e vengono riscosse non a causa dell’attraversamento da parte di un’autovettura della frontiera dello Stato membro che l’ha introdotta, bensì per altri elementi fattuali, fra cui la prima immatricolazione dell’autovettura sul territorio di tale Stato(1). Tali tasse devono pertanto essere considerate parte di un sistema generale di tributi interni che gravano sulle merci e non dazi doganali all’importazione ai sensi degli articoli 23 e 25 del Trattato CE. Il Portogallo non agisce pertanto in violazione del diritto comunitario solo perché mantiene tale tassa, a condizione che non si creino nei confronti dei veicoli importati discriminazioni vietate dall’articolo 90 del Trattato CE. La Commissione non dispone di informazioni da cui risulti l’esistenza di tali discriminazioni.

Quanto al requisito di immatricolare un veicolo in Portogallo e di versare la relativa tassa quando una persona abbia trascorso più di 180 giorni in tale paese, va sottolineato che la direttiva 83/182/CEE del Consiglio relativa alle franchigie fiscali applicabili in materia d’importazione temporanea di autoveicoli prevede un requisito quantitativo di sei mesi per ogni periodo di dodici mesi, durante i quali gli Stati membri devono esentare da tali tasse i veicoli privati immatricolati in un altro Stato membro. Quando una persona trascorre più tempo in un particolare Stato membro, come regola generale lo Stato membro interessato può imporre la tassa in questione. Stabilendo un criterio quantitativo di 180 giorni a tale fine, in alcuni casi il decreto legislativo portoghese n. 264/1993 può determinare una differenza pari anche a cinque giorni. La Commissione intende contattare le autorità portoghesi in materia.

In merito alla possibilità prevista dalla legislazione portoghese di ottenere a condizioni molto rigorose l’esenzione dalla tassa di immatricolazione di autoveicoli nei casi in cui cittadini dell’UE desiderino stabilire la propria residenza in Portogallo, va rammentato che a livello di UE non esiste alcuna armonizzazione nel settore delle tasse di immatricolazione di autoveicoli, e pertanto gli Stati membri non hanno alcun obbligo di esentare da tali tasse i veicoli importati definitivamente nel loro territorio(2). Il Portogallo, di sua iniziativa, ha tuttavia deciso di esentare dall’IA i veicoli personali importati in occasione del trasferimento della propria residenza in Portogallo da parte del proprietario. E’ ovvio che la Commissione accoglie con favore l’iniziativa, ma non ha la competenza necessaria per chiedere al Portogallo di modificare le condizioni stabilite a tale fine.

Per quanto riguarda le elevate aliquote fiscali, è necessario ribadire che, poiché non esiste un’armonizzazione nel settore della tassazione di autoveicoli a livello di UE, gli Stati membri possono stabilire tali tasse e determinarne il livello come ritengono opportuno. Secondo la sentenza emessa dalla Corte nella causa Commissione contro Danimarca, l’articolo 90 del Trattato CE non consente di censurare il carattere eccessivo dei livelli di tassazione e pertanto gli Stati membri possono decidere liberamente in merito alle aliquote fiscali, anche se potrebbero apparire eccessivamente elevate(3). Ne consegue che il Portogallo, applicando aliquote fiscali elevate all’immatricolazione di autoveicoli, non viola il diritto comunitario, a condizione che non si creino ostacoli transfrontalieri agli scambi tra Stati membri e che venga rispettato il principio di non discriminazione sancito nel Trattato CE.

 
 

(1) Sentenza della Corte del 17 giugno 2003 pronunciata nella causa C-383/01, De Danske Bilimportører Skatteministeriet, Told- og Skattestyrelsen, Racc. 2003, pag. I-06065, punto 34.
(2) Purtroppo, secondo la Corte, le tasse di immatricolazione di autoveicoli non rientrano nel campo di applicazione della direttiva 83/183/CEE, nel senso che l’esenzione in essa prevista non si applica nei casi di IA. Cfr. sentenze del 15 luglio 2004 pronunciate nella causa C-365/02, Marie Lindfors, punti 22 e 23 e nella causa C-387/01, Harald Weigel, Ingrid Weigel Finanzlandesdirektion für Vorarlberg, punto 45.
(3) Sentenza della Corte dell’11 dicembre 1990 pronunciata nella causa C-47/88, Commissione delle Comunità europee/Regno di Danimarca, Racc. 1990, pag. I-04509, punto 10.

 

Interrogazione n. 71 dell'on. Georgios Karatzaferis (H-0732/06)
 Oggetto: Sentenza a favore delle cooperative edilizie greche
 

Secondo taluni articoli della stampa greca (per esempio, il quotidiano "ETHNOS", del 17.7.2006, ecc.), la Corte europea dei diritti dell'uomo ha accolto il ricorso di una cooperativa edilizia greca la cui proprietà è vincolata dallo Stato greco (da decenni) in quanto ritenuta "area forestale" benché lo stesso Stato greco abbia riconosciuto ufficialmente che detta cooperativa e altre 325 cooperative ed i loro membri hanno pagato e pagano regolarmente i contributi. Curiosamente, l'unica a restare indifferente è la Commissione sebbene anche il Parlamento europeo abbia invitato -attraverso il sig. Libicki, presidente della commissione per le petizioni- il sig. Karamanlis, primo ministro greco, a risolvere tale questione.

Non si rende conto la Commissione che tutti, tranne la stessa, constatano le azioni illegali delle autorità greche che mantengono vincolata la proprietà di 1,5 milioni di cittadini greci e di altre nazionalità dell'UE in Grecia? Come intende la Commissione reagire nei confronti delle autorità greche?

 
  
 

La Commissione desidera richiamare l’attenzione dell’onorevole parlamentare sul fatto che ha risposto in varie occasioni a interrogazioni del Parlamento europeo riguardanti proprio lo stesso argomento. Si tratta delle interrogazioni scritte E-0316/05 e E-0450/06 e delle petizioni P-819/2005, P-462/2005, P-392/2005, P-330/2004, P-298/2004 e P-158/2004.

In una lettera inviata all’onorevole parlamentare il 7 giugno 2006 in risposta a una lettera del 13 marzo 2006, il Presidente della Commissione ha ribadito la posizione della Commissione secondo cui “…le questioni sollevate non rientrano nel diritto comunitario e pertanto la Commissione non può intervenire. Questo caso riguarda possibili violazioni del diritto fondamentale in materia di proprietà da parte dello Stato greco in Grecia. La controversia con lo Stato greco è limitata a questioni relative all’esercizio di diritti come comproprietari di terreni edificabili, che non rientrano in alcun modo nel diritto comunitario. Non è pertanto possibile stabilire il legame necessario tra diritto fondamentale eventualmente violato e diritto comunitario”.

 

Interrogazione n. 72 dell'on. Claude Moraes (H-0735/06)
 Oggetto: Acquisto e vendita di armi leggere
 

Con riferimento a Europol e alla cooperazione generale in materia di polizia, la Commissione ha proposte specifiche riguardo all'acquisto, vendita e trasferimento di armi leggere tra Stati membri, in quanto la questione interessa particolarmente la mia circoscrizione di Londra?

 
  
 

I trasferimenti intracomunitari di armi leggere (ossia escluse le armi da guerra) sono disciplinati essenzialmente dalle disposizioni della direttiva del Consiglio(1) relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi.

Questa direttiva stabilisce un’armonizzazione minima, nel senso che gli Stati membri possono adottare nella propria legislazione disposizioni più rigorose di quelle previste nella direttiva.

La direttiva prevede in particolare uno scambio di informazioni e/o un’autorizzazione nel caso di trasferimenti intracomunitari di armi da fuoco, riportando anche dati sulle loro caratteristiche.

A seguito della conclusione del Protocollo delle Nazioni Unite (ONU) contro la fabbricazione e il traffico illeciti di armi da fuoco e delle loro parti, elementi e munizioni, nel marzo 2006 la Commissione ha proposto di adattare le disposizioni della direttiva 91/477/CEE al contesto normativo(2). Conformemente al protocollo dell’ONU sulle armi da fuoco si propone di rendere obbligatoria la marchiatura delle armi durante la fabbricazione e di far sì che gli Stati membri si impegnino a conservare i registri sulle armi da fuoco per un periodo di almeno dieci anni.

Questa proposta è attualmente in fase di discussione in seno al Parlamento.

 
 

(1) Direttiva 91/447/CEE del Consiglio del 18 giugno 1991.
(2) COM(2006) 93 def.

 

Interrogazione n. 73 dell'on. Alejo Vidal-Quadras (H-0740/06)
 Oggetto: Attuazione della direttiva 95/46/CEE relativa alla tutela dei dati personali
 

Si è messo in evidenza, in una precedente interrogazione (H-0022/06(1)) che esistono seri dubbi quanto all'uso delle anamnesi cliniche in Catalogna a fini non sufficientemente chiari e, sicuramente, illegittimi. Pare, all'ora attuale, che l'Agenzia catalana per la protezione dei dati stia finalmente considerando la possibilità di sanzionare i responsabili ospedalieri e non la Generalità di Catalogna che ha commissionato lo studio in questione. Ritiene la Commissione che l'uso di anamnesi cliniche per realizzare studi linguistici sia "necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico", ai sensi dell'articolo 7, lettera e) della direttiva 95/46/CE(2)?

Tenendo presenti le disposizioni degli articoli 14, 15, 22, 23 e 24 (diritto di opposizione della persona interessata, ricorsi, responsabilità e sanzioni) e il fatto che la pagina web dell'Agenzia catalana per la protezione dei dati dispone solamente dei rispettivi formulari in catalano, essendo la Catalogna una Comunità Autonoma in cui metà della popolazione utilizza il castigliano (lingua ufficiale di Stato) come lingua materna, ritiene la Commissione che i diritti dei cittadini catalani siano pienamente protetti?

 
  
 

Come la Commissione ha già precisato nella precedente risposta all’interrogazione H-0022/06, la direttiva 95/46/CE relativa alla protezione dei dati personali affida la competenza di controllare la liceità delle attività di trattamento dei dati personali eseguite in uno Stato membro alle autorità responsabili della protezione dei dati negli Stati membri. Tali autorità devono essere dotate di poteri di intervento adeguati per applicare la legislazione nazionale in materia di protezione dei dati e prevenire o porre fine alle attività illecite di trattamento dei dati, in particolare per mezzo di controlli o sanzioni.

La direttiva prevede inoltre che le autorità nazionali responsabili della protezione dei dati devono poter ricevere ed esaminare reclami presentati da qualsiasi persona riguardo alla tutela dei propri diritti e delle proprie libertà in relazione al trattamento dei dati personali. Nell’attuazione della direttiva, gli Stati membri devono assicurare che le condizioni stabilite dalla legge o le prassi amministrative nazionali consentano a qualsiasi persona di esercitare effettivamente questo diritto.

Spetta pertanto a ciascuno Stato membro, in applicazione dell’articolo 7 della direttiva, che stabilisce le basi giuridiche relative alla legittimazione del trattamento dei dati, determinare per legge o con decisione delle autorità responsabili della protezione dei dati se si può eseguire un’indagine per valutare l’uso di una lingua negli ospedali e nei servizi medici e le relative condizioni.

Come la Commissione ha affermato nella precedente risposta, qualora le indagini svolte dai servizi della Generalità di Catalogna siano in contrasto con la normativa spagnola relativa alla protezione dei dati personali adottata per attuare la direttiva in questione, le autorità spagnole responsabili della protezione dei dati devono adottare misure adeguate per garantire il rispetto della normativa.

La Commissione ha già chiesto alle autorità spagnole di fornire informazioni sui fatti cui si fa riferimento nell’interrogazione per verificare che lo studio condotto dalla Generalità di Catalogna sia conforme alla legislazione spagnola di attuazione della direttiva 95/46/CE relativa alla protezione dei dati personali. Le autorità spagnole hanno informato la Commissione che, a seguito delle indagini e delle ispezioni effettuate per verificare la legittimità degli studi condotti dai servizi della Generalità di Catalogna, sono stati avviati vari procedimenti che potrebbero portare alla luce l’eventuale violazione delle disposizioni normative spagnole relative alla protezione dei dati personali. Tali procedimenti, ancora in corso, potrebbero comportare l’imposizione di sanzioni o l’adozione di altre misure da parte delle autorità responsabili della protezione dei dati al fine di garantire la conformità alle disposizioni normative spagnole in materia.

 
 

(1) Risposta scritta del 15.2.2006.
(2) GU L 281 del 23.11.1995, pag. 31.

 

Interrogazione n. 74 dell'on. Bill Newton Dunn (H-0742/06)
 Oggetto: Evitare lo spamming
 

Lo spamming - che è l'invio simultaneo di milioni di noiosissime e-mail a un costo virtualmente gratuito per il mittente - potrebbe essere sensibilmente ridotto se esistesse la volontà politica di farlo. Se gli autori di queste e-mail fossero obbligati a suddividere gli invii in piccoli lotti, per evitare le spese, ciò li rallenterebbe considerevolmente. La Commissione ha intenzione di proporre tariffe onerose per l'impiego esagerato della posta elettronica?

 
  
 

La direttiva 2002/58/CE relativa alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche usa l’espressione “comunicazioni commerciali indesiderate” per definire ciò che è comunemente noto come “spam”. L’articolo 13 di questa direttiva stabilisce che gli Stati membri devono vietare l’invio di messaggi commerciali indesiderati mediante posta elettronica o altri sistemi di messaggeria elettronica quali SMS o MMS (Multimedia Messaging Service), a meno che l’abbonato al servizio di comunicazione elettronica non abbia preventivamente espresso il proprio consenso. Questa forma di tutela si applica agli abbonati che sono persone fisiche. Gli Stati membri possono decidere di estendere questo regime alle persone giuridiche o scegliere un sistema basato sull’opposizione (opt-out) per le comunicazioni indesiderate inviate a persone giuridiche.

Inoltre, qualora gli Stati membri permettano l’invio di comunicazioni commerciali non sollecitate a persone giuridiche tramite posta elettronica, l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2000/31/CE relativa al commercio elettronico prevede che tali comunicazioni siano identificabili in modo inequivocabile.

L’imposizione di tariffe relative all’invio di (grosse quantità di) comunicazioni non sollecitate tramite posta elettronica penalizzerebbe in misura eccessiva le imprese che attuano prassi di commercializzazione legittime conformemente alle disposizioni nazionali in materia di comunicazioni commerciali non richieste. Per quanto riguarda le imprese che violano le norme in materia di comunicazioni commerciali non richieste, per scoraggiare questo tipo di comportamento è necessaria un’azione volta a far rispettare la normativa.

La Commissione intende adottare entro la fine del 2006 una comunicazione su comunicazioni commerciali non richieste (spam), programmi spia (spyware) e altre forme di software maligno (malware), in cui saranno valutati gli sforzi finora compiuti per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi suscitati da spam, spyware e software maligno e le azioni intraprese dall’UE, dal settore e dagli Stati membri per affrontare questo tipo di problemi. Sulla base dei risultati finora conseguiti la comunicazione individuerà le ulteriori azioni che devono essere intraprese dalle pertinenti parti interessate. La Commissione resta in attesa di ascoltare i pareri del Parlamento e del Consiglio su questa comunicazione.

 

Interrogazione n. 75 dell'on. Francesco Enrico Speroni (H-0743/06)
 Oggetto: Discriminazione fra cittadini britannici ed altri cittadini europei
 

Nel pronunciare il 30 agosto 2006 una sentenza nei confronti di Francesco Ferrari, di professione autista ed imputato per infrazioni alle norme della circolazione stradale, il giudice della Crown Court di Londra, secondo testimoni presenti in aula, ha rimarcato che la condanna a sei mesi di reclusione doveva essere intesa come esempio per tutti gli autisti europei. Come intende agire la Commissione a fronte di tale palese discriminazione?

 
  
 

La Commissione ricorda che l’applicazione del codice della strada e gli atti giudiziari che ne conseguono sul territorio del Regno Unito rientrano nella competenza esclusiva di tale Stato.

Per tale motivo, e in assenza di elementi di diritto comunitario nella fattispecie, la Commissione non può esaminare la questione nel senso auspicato dall’onorevole deputato.

 

Interrogazione n. 76 dell'on. Panagiotis Beglitis (H-0745/06)
 Oggetto: Costruzione di un oleodotto da Bourgas (Bulgaria) a Alexandroupoli (Grecia)
 

La Grecia, la Russia e la Bulgaria hanno riconfermato recentemente la loro volontà politica di costruire un oleodotto da Bourgas (Bulgaria) a Alexandroupoli (Grecia) destinato a trasportare il petrolio russo verso i paesi europei.

Tenuta presente l'importanza economica e strategica del progetto, può la Commissione dire se intende partecipare al finanziamento della costruzione di tale oleodotto?

Considerando che la costruzione e il funzionamento dell'oleodotto esigono il rispetto di norme ambientali elevate, può la Commissione dire come intende pianificare il controllo ambientale di tale progetto?

 
  
 

Per adeguare le infrastrutture del settore energetico che invecchiano e per definire nuove rotte di approvvigionamento alternative sono necessari considerevoli investimenti nell’UE e nei paesi di transito. Come indicato nel Libro verde intitolato “Una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura”, una delle priorità è costruire oleodotti destinati ad agevolare l’approvvigionamento di petrolio del Mar Caspio nell’UE.

La Commissione è consapevole che vengono presi in considerazione vari progetti di oleodotti allo scopo di trasportare nei mercati europei il petrolio grezzo del Mar Nero. Oltre ad accrescere la sicurezza dell’approvvigionamento, questi progetti possono contribuire a ridurre il trasporto marittimo di petrolio nei congestionati stretti turchi, diminuendo pertanto i gravi rischi per l’ambiente e la popolazione locale. La Commissione sostiene ogni progetto adeguatamente fondato che possa contribuire al raggiungimento di tali obiettivi. Ne consegue che la Commissione accoglie con favore il recente accordo intergovernativo relativo all’oleodotto Bourgas-Alexandroupoli e si augura che possa favorire la realizzazione di questo progetto.

La Commissione ha fornito un sostegno finanziario di 1,9 milioni di euro per gli studi di fattibilità di questo progetto nel quadro dei Fondi strutturali per il periodo 1994-1999 attraverso l’iniziativa comunitaria INTERREG II “frontiere esterne”. (I fondi pubblici totali destinati al progetto sono stati pari a 2,7 milioni di euro). Non è previsto alcun contributo finanziario nelle attuali prospettive finanziarie per il periodo 2000-2006 a titolo dei Fondi strutturali o degli strumenti finanziari della politica estera.

In base agli attuali orientamenti relativi alle reti transeuropee nel settore dell’energia (RTE-E), gli oleodotti non sono ammissibili ai fondi comunitari, secondo quanto deciso dal Parlamento e dal Consiglio(1). Il progetto potrebbe tuttavia essere ammissibile al sostegno di istituzioni finanziarie internazionali e, in particolare, della Banca europea per gli investimenti.

La costruzione e il funzionamento dell’oleodotto dovranno rispettare le direttive comunitarie in materia ambientale applicabili a questo tipo di grandi progetti nel settore dell’energia, in particolare per quanto riguarda l’impatto ambientale del progetto e le zone di protezione speciale interessate.

 
 

(1) Decisione n. 1229/2003/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2003 che stabilisce un insieme di orientamenti relativi alle reti transeuropee nel settore dell’energia e che abroga la decisione n. 1254/96/CE.

 

Interrogazione n. 78 dell'on. David Martin (H-0753/06)
 Oggetto: Bambini palestinesi detenuti
 

Quale iniziativa adotta la Commissione per esercitare pressioni sul governo israeliano affinché rilasci i bambini palestinesi detenuti?

 
  
 

La Commissione è a conoscenza del fatto che bambini palestinesi sono detenuti in Israele, talvolta in condizioni difficili.

Nell’ambito dell’iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell’uomo, la Commissione finanzia alcuni progetti che rivolgono particolare attenzione alla questione dei bambini prigionieri, tra cui progetti che si occupano di detenzione/custodia (Medici per i diritti umani) e di tortura (B’tselem, Comitato pubblico contro la tortura in Israele, Consorzio italiano di solidarietà).

Nelle riunioni con le autorità israeliane, e in particolare nel contesto della politica europea di vicinato, la Commissione rammenta a Israele gli obblighi derivanti dal diritto umanitario internazionale.

 

Interrogazione n. 79 dell'on. María Isabel Salinas García (H-0754/06)
 Oggetto: Annullamento dell'OCM del cotone da parte della Corte di giustizia
 

La Corte di giustizia delle Comunità europee ha annullato, il 7 settembre 2006, dopo un ricorso presentato dal governo spagnolo, il regime di aiuti previsto dalla nuova Organizzazione comune di mercato del cotone. La Corte argomenta che, nel calcolo degli aiuti necessari per garantire la redditività e la sostenibilità della coltura, non si è tenuto conto né dei salari dei lavoratori come spese fisse né dell'industria ausiliaria della sgranatura, che è necessaria e indissolubilmente legata alla coltivazione.

Nelle circostanze attuali, che sono incoraggianti per un settore che si era visto fortemente danneggiato dalla riforma, e tenuto conto del fatto che quest'ultima rimarrà in vigore, per motivi di certezza giuridica, fino all'adozione di un nuovo regime di aiuti proporzionale e in linea con i principi della riforma, può dire la Commissione quali azioni conta di intraprendere al riguardo? Può dire inoltre quale sarà il calendario della nuova riforma dell'OCM del cotone?

 
  
 

La Commissione ha preso atto della sentenza emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee nella causa avviata dal Regno di Spagna contro il Consiglio dell’Unione europea. Tale sentenza annulla la riforma del settore del cotone adottata dal Consiglio nel 2004.

La Commissione procederà ora a un’analisi approfondita della sentenza prima di trarre le proprie conclusioni sulle misure adeguate da adottare per conformarsi alla sentenza. Occorre uno studio approfondito del settore del cotone dell’UE, in particolare tenendo conto dei costi della manodopera e della sostenibilità del settore della sgranatura.

L’analisi del mercato e l’elaborazione di una proposta nel settore del cotone dovranno tuttavia essere effettuate secondo le procedure e le norme stabilite internamente alle Istituzioni comunitarie. La Commissione non potrà pertanto presentare immediatamente una nuova proposta.

La Corte ha chiarito che deve essere adottato un nuovo regolamento entro un “tempo ragionevole”, ma nel frattempo la riforma del 2004 può continuare a essere applicata fino alla definizione del nuovo regime.

 

Interrogazione n. 80 dell'on. Athanasios Pafilis (H-0762/06)
 Oggetto: Disastro ecologico causato dai bombardamenti israeliani nel Mediterraneo meridionale
 

Alle incalcolabili conseguenze e alla strage di migliaia di innocenti provocate dalla guerra criminale di Israele contro il Libano va aggiunto anche l'immane disastro ecologico delle coste meridionali del Mediterraneo. Inoltre, a causa dei raid aerei israeliani contro gli impianti della centrale elettrica di Jieh, circa 30.000 tonnellate di nafta si sono riversate in mare per centinaia di chilometri di costa, col rischio reale che possano lambire anche le coste europee. Le prime stime fatte dall'Organismo Marittimo Internazionale valutano il costo del disinquinamento a oltre cinquanta milioni di euro.

Può la Commissione precisare se intende chiedere allo Stato di Israele di porre rimedio, a sue spese, al disastro ecologico provocato dai suoi raid aerei contro le infrastrutture civili di Jieh, oppure, se ancora una volta dovranno essere i popoli a pagare per i crimini di Israele contro l'umanità?

 
  
 

La Commissione ha deplorato in varie dichiarazioni gli attacchi israeliani contro infrastrutture civili durante gli ultimi episodi di violenza.

La Commissione ha assistito le autorità libanesi che hanno dovuto affrontare il problema dell’inquinamento da petrolio provocato dai bombardamenti coordinando la fornitura di competenze e occupandosi del controllo e dell’analisi di immagini satellitari.

Non spetta alla Commissione sollevare la questione degli indennizzi con lo Stato di Israele a nome del governo libanese.

 

Interrogazione n. 81 dell'on. Diamanto Manolakou (H-0764/06)
 Oggetto: Incendi devastanti in Grecia
 

La scorsa estate in Grecia, in particolare, in Calcidica e nella Laconia, gli incendi hanno distrutto migliaia di ettari di bosco e decine di abitazioni, e arrecato danni al patrimonio zootecnico e floreale. L'accresciuto numero degli incendi ma anche la loro portata, che è stata tre volte superiore a quella dello scorso anno, sono dovuti soprattutto ad attività criminali volte a far declassare le zone forestali e alla grave assenza di misure preventive e di mezzi antincendio.

Intende la Commissione invitare gli Stati membri ad astenersi da azioni di commercializzazione, declassamento e privatizzazione delle suddette zone forestali? Cofinanzia misure di rilevazione dei danni, indennizzo e soccorso ai sinistrati e contribuisce al pieno rimboschimento delle aree devastate dagli incendi? Intende favorire misure volte alla messa a punto di meccanismi uniformi di protezione dei boschi e di lotta agli incendi boschivi, nonché a far fronte alle carenza di mezzi e personale?

 
  
 

I Trattati dell’UE non prevedono una politica forestale comune, che continua a rientrare principalmente nell’ambito di competenza nazionale. Questo vale anche per la politica di assetto territoriale in quanto l’unica legislazione comunitaria esistente è relativa ai siti di Natura 2000.

Tuttavia, nel quadro del regolamento Forest Focus(1) e del sistema europeo di informazione sugli incendi boschivi, l’UE cofinanzia misure di prevenzione degli incendi boschivi attuate dagli Stati membri. E’ stata anche creata una banca dati al fine di raccogliere tutti i dati sulle zone incendiate nell’UE. Poiché il regolamento Forest Focus scadrà alla fine del 2006, le misure di protezione di boschi e foreste da esso previste potrebbero essere mantenute attraverso il nuovo strumento finanziario per l’ambiente LIFE+(2).

Per quanto riguarda la possibile assistenza a titolo del Fondo di solidarietà dell’Unione europea(3), lo Stato membro interessato deve presentare richiesta alla Commissione entro dieci settimane dalla data in cui si è verificato il primo danno. A tutt’oggi (26 settembre 2006) non è pervenuta alcuna richiesta di questo tipo dal governo greco.

In merito al rimboschimento delle zone incendiate, il nuovo regolamento relativo allo sviluppo rurale(4) per il periodo 2007-2013 prevede alcune misure forestali che gli Stati membri possono attuare in base alle proprie priorità, fra cui misure di prevenzione degli incendi di boschi e foreste e la ricostituzione di boschi e foreste danneggiati dagli incendi.

Nel 2001 è stato istituito un meccanismo comunitario di protezione civile allo scopo di favorire la cooperazione negli interventi di assistenza della protezione civile in caso di gravi emergenze, come gli incendi boschivi, che possono rendere necessarie urgenti azioni di risposta. Riunendo le capacità di protezione civile degli Stati membri partecipanti, il meccanismo comunitario può garantire una protezione ancor più adeguata soprattutto per le persone, ma anche per l’ambiente naturale e culturale nonché per i beni. In questo modo, costituisce per gli Stati membri uno strumento utile per ovviare a possibili carenze di mezzi e di personale per affrontare emergenze come gli incendi boschivi.

 
 

(1) Regolamento (CE) n. 2152/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 novembre 2003 relativo al monitoraggio delle foreste e delle interazioni ambientali nella Comunità (Forest Focus), GU L 324 dell’11.12.2003.
(2) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante lo strumento finanziario per l’ambiente (LIFE +), COM(2004) 621 def. del 29.9.2004.
(3) Regolamento (CE) n. 2012/2002 del Consiglio dell’11 novembre 2002 che istituisce il Fondo di solidarietà dell’Unione europea, GU L 311 del 14.11.2002.
(4) Regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio del 20 settembre 2005 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), GU L 227 del 21.10.2005.

 

Interrogazione n. 82 dell'on. Laima Liucija Andrikienė (H-0767/06)
 Oggetto: Utilizzazione dei fondi strutturali dell'UE nei nuovi Stati membri
 

L'attuale periodo di programmazione dei fondi strutturali (2000-2006), che riguarda tutti gli Stati membri e in particolare quelli nuovi a partire dal 2004, sta per giungere al termine. Come valuta la Commissione la performance dei nuovi Stati membri nell'attuazione della politica strutturale dell'UE durante questo periodo di programmazione? Quali sono stati i maggiori problemi da essi incontrati e i principali risultati da essi conseguiti nell'utilizzazione dei fondi strutturali dell'UE?

 
  
 

Le spese nell’ambito dell’attuale periodo dei Fondi strutturali continueranno fino alla fine del 2008 e soltanto in quel momento sarà possibile effettuare una valutazione finale. Questo vale in particolare per i nuovi Stati membri, in cui la programmazione è iniziata soltanto nel 2004 e la maggior parte degli effetti si avrà in futuro.

Va tuttavia sottolineato che, in termini di crescita del prodotto interno lordo, tutti i nuovi paesi tranne Malta hanno di recente superato i vecchi Stati membri dell’UE a 15. Ad esempio, nel 2005 la crescita in Estonia e Lettonia è stata di circa il 10 per cento e nella Repubblica ceca e in Slovacchia di circa il 6 per cento, contro una media dell’UE stimata dell’1,6 per cento.

I contributi comunitari favoriscono la crescita e la creazione di posti di lavoro nei nuovi Stati membri. In molti dei nuovi Stati membri l’assistenza dell’UE è incentrata sul rafforzamento della competitività del settore delle imprese, sull’aumento dell’occupazione e delle opportunità di lavoro e sulla correzione delle carenze delle infrastrutture nel settore ambientale e in quello dei trasporti.

Anche per quanto riguarda la capacità di assorbimento, è troppo presto per trarre conclusioni sui pagamenti intermedi in quanto nel 2004 e nel 2005 sono stati versati soprattutto anticipi.

Infine, dai primi risultati delle valutazioni emerge che i nuovi Stati membri hanno compiuto considerevoli progressi nel rafforzamento della necessaria capacità amministrativa, nonostante il periodo di tempo relativamente breve e la limitata esperienza maturata in precedenza nella gestione di tali programmi. E’ stato istituito con successo il quadro di gestione dei Fondi strutturali, creando le autorità di pagamento, i comitati di sorveglianza e gli organi di attuazione e introducendo sistemi di gestione e di verifica.

La Commissione è pertanto sicura che, man mano che arriveranno ulteriori dati, potrà confermare l’efficacia dei Fondi strutturali nel promuovere la crescita, la competitività e l’occupazione nei nuovi Stati membri.

 

Interrogazione n. 83 dell'on. Jens-Peter Bonde (H-0773/06)
 Oggetto: Gli arumani della Romania
 

Può la Commissione far sapere se gli arumani della Romania sono considerati alla stessa stregua delle altre minoranze nazionali dell'Unione europea? Che cosa è possibile fare per migliorare la loro situazione?

 
  
 

La Commissione è stata informata che gli arumani non sono considerati in Romania una minoranza nazionale. Ciò significa che godono degli stessi diritti degli altri romeni.

La Commissione attribuisce tuttavia grande importanza alla tutela delle minoranze in Romania e pertanto segue continuamente la situazione delle minoranze in Romania fin da quando ha iniziato a pubblicare relazioni periodiche su tale paese. E’ nostro parere che nel corso degli anni la situazione generale per quanto riguarda la tutela delle minoranze sia migliorata.

E’ ovvio che la Commissione non può indicare soluzioni concrete per la definizione delle relazioni tra minoranze e maggioranza in Romania, in quanto spetta alle autorità romene decidere in materia. La Commissione è disponibile a dare seguito favorevole a qualsiasi soluzione positiva su cui le parti possano trovare un accordo.

Come l’onorevole parlamentare sa, il parlamento romeno attualmente sta discutendo un progetto di legge sulle minoranze nazionali. La Commissione ritiene che una soluzione negoziata nel contesto delle raccomandazioni della Commissione di Venezia sarebbe uno sviluppo positivo, anche se continua a sottolineare l’importanza di un soluzione decisa a livello nazionale.

 

Interrogazione n. 84 dell'on. Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (H-0778/06)
 Oggetto: Tetto dei pagamenti diretti agli agricoltori
 

Attualmente l'importo annuale dei pagamenti diretti alle aziende agricole non è assolutamente limitato. In tal modo le aziende più vaste, che potrebbero essere redditizie sul mercato senza aiuto esterno, percepiscono una quota assolutamente sproporzionata dei pagamenti, il che è contrario sia agli obiettivi che ai principi della PAC, nonché allo spirito della strategia di Lisbona. Ciò detto sarebbe la Commissione favorevole alla creazione di un tetto per i pagamenti diretti annuali, fissato per esempio a 50.000 euro per azienda agricola? Questo tetto si applicherebbe soltanto al 2% degli agricoltori e consentirebbe di risparmiare quasi 8 milioni di euro all'anno.

 
  
 

La possibilità di introdurre tetti, o massimali, per i singoli agricoltori, al fine di migliorare la distribuzione dei pagamenti diretti tra agricoltori, è stata considerata per la prima volta nel 1992 quando furono stabiliti i pagamenti diretti per gli agricoltori.

All’epoca delle discussioni su Agenda 2000 e sulla revisione intermedia nel 2002, tale considerazione è stata estesa e la Commissione ha proposto misure concrete per fissare massimali, che in definitiva non sono state tuttavia inserite nell’accordo finale.

Nel contesto delle discussioni generali sull’esame completo e globale del bilancio dell’UE e sulla verifica dello stato della politica agricola comune (PAC) previsti per il periodo 2007-2009, la Commissione riesaminerà la questione dei massimali.

Il 4 giugno 2006 sono stati pubblicati dati indicativi per l’esercizio finanziario 2004 sulla distribuzione degli aiuti diretti versati ai produttori in base al regolamento (CE) n. 1259/1999 e una relazione di accompagnamento.

Da questi dati si può calcolare che ricevono più di 50 000 euro 83 060 beneficiari, che rappresentano l’1,7 per cento degli agricoltori dell’UE. In totale, questi agricoltori hanno ricevuto 8 157 miliardi di euro per l’esercizio finanziario 2004. Se per questo esercizio finanziario fosse stato applicato un meccanismo di fissazione di un massimale con un tale tetto individuale, la spesa di bilancio sarebbe stata di 4 153 miliardi di euro, con una differenza di 4 004 miliardi di euro.

Va tuttavia sottolineato che questo calcolo di bilancio non tiene conto di possibili cambiamenti strutturali in risposta a tale misura.

 
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