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Testi presentati :

RC-B6-0556/2006

Discussioni :

PV 26/10/2006 - 12.3
CRE 26/10/2006 - 12.3

Votazioni :

PV 26/10/2006 - 13.3
CRE 26/10/2006 - 13.3

Testi approvati :


Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 26 ottobre 2006 - Strasburgo Edizione GU

12.3. Uzbekistan
Processo verbale
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione concernenti l’Uzbekistan(1).

 
  
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  Józef Pinior (PSE), autore.(PL) Signor Presidente, quest’Assemblea ha discusso a lungo della situazione in Uzbekistan, che non mostra alcun segno di miglioramento; al contrario, la repressione sta crescendo d’intensità.

Il più recente rapporto di Human Right Watch, pubblicato il 3 ottobre 2006, descrive la situazione nei dettagli. Nessuno è ancora stato chiamato a rispondere del massacro di Andijan, qualunque voce critica viene messa a tacere, e non vi è rispetto per la libertà religiosa. Né vige alcuna forma di cooperazione con le istituzioni internazionali in materia di rispetto dei diritti umani e dei diritti fondamentali. Nel mese di settembre in Uzbekistan sono scomparsi due giornalisti, Djamshid Karimov e Ulugbek Khaidarov; entrambi erano noti per il loro spirito indipendente e per le critiche al regime. Alla fine Karimov è stato trovato in un ospedale psichiatrico, e Khaidarov in una prigione.

La strategia del Parlamento europeo dovrebbe mirare a favorire il ritorno dell’Uzbekistan nella comunità dei paesi democratici che hanno deciso di attuare un processo di riforme. Non dobbiamo intraprendere alcuna azione che possa interferire con tale processo.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), autore.(EN) Signor Presidente, è insolito per noi, ma attualmente stiamo imponendo sanzioni all’Uzbekistan. Le sanzioni vanno usate con parsimonia e soltanto se non vi sono alternative, tuttavia al momento il Parlamento non deve esitare a invocarle e applicarle, giacché sono l’unico strumento efficace per incoraggiare cambiamenti all’interno di questo paese.

E’ importante che l’Unione europea parli con voce sola, e la proposta di risoluzione costituisce appunto un tentativo in questo senso. In primo luogo, dobbiamo concordare sull’opportunità di accertare la situazione reale. Nel considerando C affermiamo che: “il governo dell’Uzbekistan non ha ancora rispettato le condizioni stabilite dal Consiglio al momento dell’applicazione delle sanzioni”. Quindi, qualsiasi decisione di rimuovere le sanzioni attualmente applicate sarebbe illogica e assurda: un assurdo incentivo, per non dire una ricompensa per la decisione dell’Uzbekistan di ignorarci.

Eppure, come si legge nel considerando B, il Consiglio “Affari generali e Relazioni esterne” dovrà decidere il 13 novembre 2006 se prorogare le sanzioni adottate l’anno scorso. Ci risulta che siano in corso tentativi di rimuovere le sanzioni; il mio gruppo è contrario e ci auguriamo che l’Assemblea sia d’accordo con noi. Riteniamo opportuno rinnovare e ampliare le sanzioni, soprattutto in considerazione del continuo rifiuto dell’Uzbekistan di autorizzare un’inchiesta indipendente in merito agli avvenimenti di Andijan.

Vorremmo che il paragrafo 2 prevedesse l’ampliamento delle sanzioni e lo specifico rifiuto di concedere il visto ad alcune persone. In tal modo ribadiremmo la nostra crescente frustrazione per la mancanza di progressi che abbiamo osservato, senza danneggiare il popolo uzbeko.

E’ importante continuare a esercitare pressioni, e ci auguriamo che l’Assemblea rimanga ferma e risoluta. Sono certo che la signora Commissario condivide le nostre preoccupazioni, e nutriamo viva la speranza che ella terrà fede al nostro impegno.

 
  
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  Elisabeth Jeggle (PPE-DE), autore. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, come dimostrano i tragici eventi che si sono verificati ad Andijan, in Uzbekistan, nel maggio 2005, è importante che quest’Assemblea, lungi dal distogliere lo sguardo dalle violazioni dei diritti umani, ovunque esse avvengano, risponda adottando iniziative pratiche; la nostra è un’Istituzione democratica, e in quanto tale non deve consentire che i diritti umani vengano calpestati e soffocati in nessuna regione del mondo. Né deve permettere che la cooperazione tra quest’Assemblea e altri parlamenti metta a rischio i rapporti diplomatici. Discutendo dell’attuale situazione in Uzbekistan, è opportuno considerare anche il passato di quel paese, ed è proprio su questo che la risoluzione deve basarsi.

Il mese scorso, la delegazione per le relazioni con i paesi dell’Asia centrale – di cui faccio parte – aveva deciso di recarsi in Uzbekistan. Il fatto che il piano sia rimasto lettera morta non è da attribuirsi alla mancanza di cooperazione da parte delle autorità uzbeke, ma al fatto che ben pochi deputati di quest’Aula hanno dimostrato interesse per questo viaggio. Di conseguenza, non abbiamo potuto farci un’opinione dell’attuale stato di cose in Uzbekistan per quanto riguarda i diritti umani, la democratizzazione e l’istituzione di un sistema giudiziario indipendente, e siamo stati costretti a basarci su informazioni fornite da terzi.

Non fraintendetemi: anch’io ritengo che spesso in Uzbekistan i diritti umani e i tentativi di democratizzazione vengano repressi, e che occorra considerare con attenzione l’opportunità di mantenere le sanzioni nei confronti dell’Uzbekistan, in particolare l’embargo sulle forniture di armi. Non credo però che l’ampliamento delle sanzioni, fino a includere il rifiuto di concedere il visto per entrare nell’Unione europea al Presidente uzbeko Islam Karimov, ci farebbe avvicinare al nostro obiettivo; servirebbe soltanto a interrompere le relazioni diplomatiche, e non è certo questo il nostro scopo. Nessuno degli eventi in corso giustificherebbe una risposta politica così forte, quindi devo chiedervi di sostenere con urgenza l’emendamento che ho presentato e di votare a favore della sua approvazione. Se non riuscissi in questo tentativo di compromesso, mi vedrei costretta a votare contro la risoluzione.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL), autore. – (DE) Signor Presidente, ho notato con interesse che nella relazione di “Giornalisti senza frontiere” l’Uzbekistan compare al centocinquantottesimo posto, dopo paesi come la Bielorussia e la Russia. La situazione dei diritti umani in Uzbekistan è stata oggetto di frequenti dibattiti in quest’Aula, soprattutto dopo gli eventi di Andijan. Ma il nodo da sciogliere nella discussione è il seguente: quale sarà la risposta dell’Unione europea?

Come abbiamo detto, se ci devono essere sanzioni, queste dovranno applicarsi soprattutto ai movimenti di armi e truppe. E’ essenziale chiudere la base militare tedesca, ubicata a Termes in Uzbekistan; infatti, se le sanzioni non verranno rispettate integralmente, sarà necessaria una deroga importante, e quindi riteniamo che questo punto sia il banco di prova della nostra politica sui diritti umani, soprattutto in quest’Aula.

Per tale ragione abbiamo presentato questo emendamento al fine di chiudere la base militare tedesca a Termes. Questa base viene utilizzata da tutti gli Stati membri della NATO, e quindi anche da Stati membri dell’Unione europea, e perciò deve essere chiusa.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE), autore.(EN) Signor Presidente, l’Uzbekistan è uno Stato autoritario, che in passato faceva parte dell’Unione Sovietica e che, per raggiungere la stabilità economica e politica, viola brutalmente i diritti umani dei propri cittadini.

Il ricordo del massacro di Andijan, perpetrato nel maggio 2005, è ancora vivo nella nostra mente, tanto più che, a quanto pare, le numerose richieste di condurre un’indagine indipendente, avanzate dall’ONU, dall’Unione europea e da altri, sono state ignorate. Inoltre, nonostante alcuni recenti tentativi di migliorare il rispetto dei diritti umani nel paese, la situazione delle libertà civili rimane profondamente anacronistica. Secondo i dati forniti da affidabili ONG che operano a tutela dei diritti umani, come Amnesty International, le più preoccupanti violazioni dei diritti umani riguardano casi di tortura, arresti arbitrari e restrizioni della libertà di religione e di parola, e colpiscono soprattutto i membri di organizzazioni religiose, i giornalisti, le attività dei diritti umani e gli attivisti politici, fra cui si annoverano i membri dei partiti di opposizione attualmente al bando.

Nonostante le sanzioni oggi vigenti, il processo di riforma democratica nel paese è lentissimo ed estremamente limitato. Quindi, con questa proposta di risoluzione chiediamo al Consiglio non solo di prorogare di un anno le sanzioni esistenti, ma anche di ampliare le sanzioni fino a includere il rifiuto dell’Unione europea di concedere visti e il congelamento dei beni posseduti nell’UE da parte di alcuni funzionari di alto grado del governo uzbeko. Lo facciamo con rammarico, ma riteniamo di non avere altra alternativa se non quella di ricorrere alle maniere forti per poter manifestare poi la nostra benevolenza.

Ci auguriamo che il governo uzbeko comprenda la nostra determinazione, quando si tratterà di affrontare i problemi dei diritti umani, e ponga rapidamente rimedio all’ampio deficit democratico che ancora esiste in questo paese.

 
  
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  Adam Jerzy Bielan (UEN), autore.(PL) Signor Presidente, poco è cambiato in Uzbekistan dall’ultima risoluzione del Parlamento europeo concernente la situazione di quel paese e le repubbliche dell’Asia centrale. Il governo uzbeko non ha ancora acconsentito allo svolgimento di un’indagine indipendente sugli eventi verificatisi il 13 maggio 2005 ad Andijan, quando le truppe inviate dal Presidente Karimov hanno soffocato nel sangue una sommossa popolare. Quel bagno di sangue si è concluso con la morte di varie centinaia di persone, che il governo ha definito terroristi. Gran parte dei giornalisti indipendenti e degli attivisti dei diritti umani subiscono intimidazioni da parte dei servizi di sicurezza, e alcuni sono stati esiliati dal paese.

La recente scomparsa di Djamshid Karimov e Ulugbek Khaidarov è stata fonte di gravi preoccupazioni per i futuri sviluppi dell’Uzbekistan. Si dice che Karimov e Khaidarov fossero gli ultimi giornalisti rimasti nel paese che abbiano osato criticare il governo e il suo capo negli ultimi 17 anni. Quando questi due uomini sono stati individuati alcuni giorni più tardi, uno era stato condannato a un periodo di detenzione con l’accusa di ricatto, l’altro era stato ricoverato in un ospedale psichiatrico.

La società civile uzbeka chiede una società più aperta, in cui si rispettino le libertà personali e i diritti umani. Il popolo uzbeko vorrebbe anche vedere progressi reali sulla strada verso la democrazia. La guerra al terrorismo non deve violare le convenzioni internazionali, e non dev’essere presa a pretesto per distruggere l’opposizione politica, calpestando i diritti umani o limitando le libertà civili.

 
  
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  Tadeusz Zwiefka, a nome del gruppo PPE-DE. (PL) Signor Presidente, sono passati 15 anni dal giorno in cui crollò l’impero del male – una definizione senz’altro puntuale dell’Unione Sovietica – e la situazione è ormai abbastanza chiara. Soltanto le repubbliche dell’ex Unione Sovietica che hanno deciso di costruirsi un futuro secondo il modello occidentale democratico possono garantire che creeranno una società civile sul proprio territorio e rispetteranno i diritti umani.

Al contrario, i paesi che hanno cercato rifugio sotto l’ala protettrice di Mosca, e in cui restano al potere governi guidati da ex comunisti, sono fonte di allarme e preoccupazione. Vorrei comunque attirare la vostra attenzione sul fatto che tendiamo a discutere singoli casi. Oggi, in particolare, stiamo discutendo di una delle numerose tragedie verificatesi in Uzebekistan. I tempi sono ormai maturi per dichiarare con fermezza che l’unico motivo per cui tali eventi si verificano è che questi regimi possono contare sul consenso di Mosca; essi godono della protezione della dirigenza russa, e possono quindi agire in questo modo. E’ giunto il momento di dire basta.

 
  
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  Ana Maria Gomes, a nome del gruppo PSE. – (PT) Perfino in una regione soffocata da dittature autocratiche, il massacro di Andijan è riuscito a isolare l’Uzbekistan di Karimov. Secondo il governo sarebbero morte 169 persone, mentre l’opposizione stima che vi siano state 745 vittime. Indipendentemente dalle cifre, i responsabili dovranno essere identificati e portati davanti alla giustizia. L’Unione europea lo ha fatto, sebbene solo parzialmente e con sei mesi di ritardo. Nel mese di novembre, il Consiglio ha adottato un embargo sulle armi e altre sanzioni restrittive; a distanza di un anno, quali sono stati gli sviluppi?

La repressione si è intensificata, mettendo a tacere le ONG e i giornalisti. Nel mese di marzo, l’Alto Commissario per i rifugiati è stato espulso dal paese e, cosa ancora peggiore, tra novembre e luglio, con un esercizio di rara ipocrisia, più di 250 persone, accusate di aver provocato il massacro di maggio, sono state condannate dopo processi sommari e grotteschi, ripresi con grande enfasi da tutti i media.

Tutto questo sta a dimostrare non soltanto l’estrema necessità di prorogare le attuali sanzioni per altri 12 mesi, ma anche di estenderle, congelando le transazioni finanziarie e i visti per entrare in Europa ai principali torturatori di Tashkent, ed ampliandole fino a includere il loro capobanda, il Presidente Karimov.

 
  
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  Daniel Strož, a nome del gruppo GUE/NGL.(CS) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, è giusto e necessario monitorare il rispetto dei diritti umani, che si parli del Tibet, del Guatemala o dell’Uzbekistan, perché si tratta di diritti inalienabili nell’era della globalizzazione. Alla luce delle discussioni e delle iniziative promosse e portate avanti dal Parlamento europeo, tuttavia, credo che quest’Istituzione preferisca occuparsi delle violazioni dei diritti umani e dei problemi a esse correlati in qualsiasi parte del mondo, eccezion fatta per lo stesso territorio dell’Unione europea.

Ci lascia del tutto indifferenti, per esempio, la tragica situazione dei cosiddetti non cittadini russi che vivono in Lettonia, la prostituzione e il lavoro minorile che interessano alcuni Stati membri, la terrificante situazione dei media e la criminalizzazione e persecuzione della sinistra nella Repubblica ceca, nonché la clamorosa crescita della povertà e dell’estremismo di destra in Germania.

Una ragione di più, forse, per affrontare i problemi dell’Uzbekistan e del Tibet, o ancora della Bielorussia e della Cina, e simili. Mi arrischierei a dire, tuttavia, che la maggioranza conservatrice sta deliberatamente e astutamente trasformando il Parlamento in una sorta di fedele cane da guardia che è ben lieto di rimanere al di qua dello steccato e abbaiare ai vicini.

Dovremmo in primo luogo concentrarci sui problemi che interessano direttamente gli Stati membri dell’Unione europea.

 
  
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  Michał Tomasz Kamiński, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, in primo luogo devo dire che sono rimasto sbigottito nell’ascoltare l’intervento appena pronunciato dal rappresentante dell’estrema sinistra al Parlamento europeo. La situazione in Uzbekistan non è comparabile con la situazione di nessun paese europeo. Ci sono indubbiamente molti paesi afflitti da diversi problemi, ma confrontarli con la situazione in Uzbekistan, dove la gente muore e viene perseguitata per le proprie opinioni politiche, è veramente oltraggioso.

Mi rattrista constatare che, in materia di difesa dei diritti umani, vi sono persone in quest’Aula che riescono ad annullare il diffuso consenso che prevale sulla difesa e la promozione dei valori fondamentali europei, come i diritti umani, la democrazia e la libertà d’espressione – consenso che dovrebbe estendersi dalla sinistra alla destra di quest’Assemblea.

Sosterrò la risoluzione in cui chiediamo di ampliare le sanzioni contro il regime uzbeko, poiché l’Unione europea è qualcosa di più di un semplice organo politico tenuto insieme da comuni interessi economici. Credo fermamente nell’Unione europea come comunità di valori e, in quanto tale, l’Unione deve dare l’esempio, condannando senza alcuna ambiguità tutte le violazioni dei diritti umani, ovunque esse si compiano.

(Applausi)

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM.(PL) Signor Presidente, esattamente un anno fa stavamo discutendo la situazione in Uzbekistan, sulla scia della sanguinosa repressione di una manifestazione contro il regime totalitario del Presidente Karimov e le violazioni dei diritti umani da questo perpetrate.

Anche l’indipendenza dell’Uzbekistan è messa a repentaglio dall’aspra lotta condotta dalle grandi potenze per conquistare la propria sfera d’influenza. Nonostante le sanzioni che sono state imposte e le successive risoluzioni del Parlamento, in Uzbekistan si continuano a imprigionare e torturare gli attivisti dei diritti umani. Lo stesso destino è riservato a coloro che si battono per riferire la verità, e sappiamo tutti che la verità non può essere cancellata per decreto, con leggi o sentenze detentive.

Il pugno di ferro del regime si fa sentire non solo sui rappresentanti dell’opposizione, ma sulla nazione tutta, nella sua lotta per l’indipendenza e i cambiamenti democratici. Soprattutto le donne vengono colpite. Benché, nel contesto delle pari opportunità, abbiano ottenuto il diritto al divorzio, molto spesso esse devono affrontare ogni sorta di problemi da sole, giacché è su di loro che ricade l’onere dei bambini e della famiglia. Ovviamente auspichiamo il rispetto dei diritti umani e un voto favorevole su questa risoluzione.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (NI). (PL) Signor Presidente, un solo minuto certo non basta per discutere delle violazioni dei diritti umani commesse in Uzbekistan. Possiamo solamente ricordare che deve ancora aver luogo un’inchiesta indipendente sui fatti accaduti 18 mesi fa a Andijan; quegli avvenimenti hanno poi indotto le autorità di Tashkent a dichiarare guerra ai giornalisti indipendenti e ai difensori dei diritti umani.

Secondo le Nazioni Unite in Uzbekistan si pratica ancora la tortura; è vero che in quel paese l’estremismo islamico si sta rafforzando, ma ciò non può costituire un pretesto per violare i diritti umani. Il ruolo guida che l’Uzbekistan svolge in Asia centrale rappresenta un motivo ancor più forte per chiedere che vi siano rispettati lo Stato di diritto, le norme democratiche e i diritti umani.

A molte migliaia di chilometri dall’Uzbekistan si trova un altro paese che viola i diritti umani senza il minimo scrupolo: la Bielorussia. Sanzioni in materia di visti sono state imposte sia all’Uzbekistan che alla Bielorussia; l’estensione di queste sanzioni sembra una misura ragionevole che merita il nostro sostegno. Forse questo cosiddetto ricatto dei visti farà capire all’Uzbekistan in che cosa consistono gli standard europei.

(Applausi)

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, la mia stessa presenza qui serve a saldare un mio debito personale nei confronti del popolo uzbeko. Mio nonno, infatti, soldato austriaco nella prima guerra mondiale, fu preso prigioniero dai russi e soltanto grazie alla solidarietà degli uzbeki riuscì a sopravvivere al gelido inverno dei dintorni di Tashkent.

Noi tutti, credo, nutriamo vivissima simpatia per il popolo uzbeko, e proprio per questo condanniamo le violazioni dei diritti umani che avvengono in quel paese, stigmatizzando la presenza al potere di un regime che non soddisfa minimamente i nostri standard in materia di diritti umani. Desidero che tali violazioni vengano denunciate con forza, e auspico pure un’estensione delle sanzioni.

Mi sembra però inutile aggiungere ulteriori divieti d’ingresso, del tipo previsto nel paragrafo 2. Non mi pare che si possano risolvere i problemi esibendo un atteggiamento servile nei confronti del Presidente Putin in occasione di un vertice, e magari invitando il Presidente cinese a quello successivo, per poi fare la voce grossa con i mini-Putin o i tirannelli da due soldi; suggerisco perciò di adottare standard ragionevoli. Estendere le sanzioni? Sono d’accordo. Denunciare le violazioni dei diritti umani? Sono d’accordo anche su questo. Ma se si tratta di passare il giovedì pomeriggio a imporre divieti di ingresso nell’Unione a tutti i capi di Stato che ci vengono in mente, devo dire che questa mi sembra demagogia piuttosto che una credibile iniziativa politica.

 
  
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  Karin Scheele (PSE). (DE) Signor Presidente, come tutti sanno il giovedì pomeriggio noi non imponiamo assolutamente nulla. In relazione ai vari problemi di diritti umani che si registrano nelle diverse parti del mondo, il nostro Parlamento si limita a formulare richieste di un tipo o dell’altro. Con la risoluzione odierna noi chiediamo al Consiglio di estendere la politica di sanzioni, includendovi alcuni settori di cui abbiamo già discusso. Il governo dell’Uzbekistan continua a non consentire lo svolgimento di un’inchiesta indipendente sui morti di Andijan – inchiesta del tipo che numerose istituzioni internazionali hanno già sollecitato in passato e continuano a invocare. L’Uzbekistan dovrebbe invece lavorare per giungere allo svolgimento di tale inchiesta, insieme all’OSCE e alle Nazioni Unite.

I rapporti tra Unione europea e Uzbekistan sono per noi una questione importantissima, ma tali rapporti devono fondarsi sul rispetto della democrazia, sullo Stato di diritto e sui diritti umani.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, è passato ormai un anno e mezzo dal massacro di Andijan del 13 maggio 2005, ma il ricordo è ancora vivo nella nostra mente. Le autorità uzbeke hanno respinto le richieste internazionali di condurre un’indagine indipendente, e non c’è stata alcuna inchiesta affidabile sulla strage. I processi contro coloro che hanno preso parte alle dimostrazioni, che sono state la causa scatenante del massacro, sono stati condannati dall’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell’uomo dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e giudicati palesemente iniqui.

Anche i successivi sviluppi non danno adito a grandi speranze. A giudicare dalle informazioni in nostro possesso, la tortura è ancora diffusa. Nessun organismo internazionale ha potuto contattare i rifugiati ritornati in Uzbekistan. L’Uzbekistan si rifiuta di cooperare con l’Ufficio per le procedure speciali delle Nazioni Unite. La società civile e i difensori dei diritti dell’uomo sono soggetti a continue persecuzioni, e infatti molti difensori dei diritti dell’uomo sono stati incarcerati.

La Commissione ha notato con particolare preoccupazione che numerosi dei principali attivisti per i diritti dell’uomo sono stati condannati a lunghi periodi di detenzione, e Mukhtabar Todjibaeva rimane in prigione. Siamo a conoscenza di vari casi di questo tipo.

Nonostante questo quadro così tragico, riteniamo che non sia opportuno interrompere ogni canale di comunicazione con l’Uzbekistan. Sapete bene che, in risposta al massacro di Andijan, l’Unione europea ha adottato sanzioni nei confronti dell’Uzbekistan, e in particolare, come è stato ricordato in precedenza, l’embargo sulle forniture di armi, il rifiuto di concedere visti ai responsabili del massacro di Andijan e la sospensione delle riunioni tecniche con l’Uzbekistan. Il 14 novembre si deciderà se prorogare o ampliare la portata di queste sanzioni.

Per consentire agli Stati membri di ottenere un quadro esaustivo e completo della situazione in Uzbekistan, all’inizio di novembre si terrà il Consiglio di cooperazione Unione europea-Uzbekistan, che peraltro consentirà all’Unione europea di dar voce alle nostre numerose preoccupazioni su Andijan e le sue conseguenze direttamente con le autorità uzbeke, a livello ministeriale.

In considerazione dei risultati raggiunti dal Consiglio di cooperazione, gli Stati membri decideranno se prorogare o ampliare le sanzioni.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi, alla termine della discussione, ossia tra breve.

 
  

(1)Cfr. Processo verbale.

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