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Resoconto integrale delle discussioni
Martedì 14 novembre 2006 - Strasburgo Edizione GU

10. Seduta solenne – Georgia
Processo verbale
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  Presidente. – Signor Presidente della Repubblica di Georgia, signore e signori, a nome del Parlamento europeo le do il nostro più caloroso benvenuto.

Tre anni fa, dopo le elezioni parlamentari annullate dal regime allora in carica, nel suo paese c’è stata la Rivoluzione delle rose, e nei libri di storia il suo nome, Presidente Saakachvili, sarà per sempre associato a quella rivoluzione.

Sotto la sua guida, i suoi compatrioti hanno rivendicato elezioni corrette e la fine della corruzione e del malgoverno che stavano rovinando il paese.

(Applausi)

Sebbene il regime precedente si fosse rifiutato di accogliere le vostre richieste, è stato rovesciato senza spargimenti di sangue. E’ prevalso il “potere del popolo” e i georgiani in massa hanno potuto eleggere lei come nuovo presidente.

Signor Presidente, il Parlamento europeo ha sostenuto il cambiamento democratico nel suo paese. In occasione delle elezioni abbiamo inviato una missione di osservatori, mentre la nostra commissione per gli affari esteri ha avuto il piacere di riceverla subito dopo la sua proclamazione a presidente, non qui a Strasburgo bensì nella nostra sede di Bruxelles.

La Rivoluzione delle rose ha risvegliato le speranze che una democrazia reale e libera possa affermarsi anche nelle regioni ancora più a est del Baltico, dell’Europa centrale e orientale.

Un anno dopo, in Ucraina c’è stata la Rivoluzione arancione. A quell’epoca, il futuro sembrava pieno di promesse; ora, invece, dobbiamo constatare che sono sorti numerosi problemi e ostacoli lungo un percorso che certamente non è agevole.

Dalla Rivoluzione delle rose a oggi il suo paese ha compiuto molti progressi, però i conflitti nelle regioni secessioniste dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia si sono aggravati.

E’ evidente che la Russia sta esercitando una forte pressione sul suo paese; in proposito, posso assicurarle che durante la cena con il Presidente Putin abbiamo discusso a lungo della Georgia. Ora, nel rivolgersi al Parlamento europeo, lei ha la grande opportunità di illustrare la situazione nel suo paese, consentendo così ai rappresentanti dei popoli europei di apprendere direttamente da lei in quali difficili circostanze viva oggi il suo popolo e quali siano i problemi connessi con la dipendenza energetica della Georgia dal potente vicino.

Il Parlamento europeo e l’Unione europea nel suo complesso appoggiano pienamente il diritto del suo paese alla sovranità e all’integrità territoriale: su questo punto non v’è dubbio alcuno. Abbiamo detto anche che i conflitti nell’Ossezia meridionale e in Abkhazia devono essere risolti al tavolo negoziale ed esclusivamente con mezzi pacifici: neppure questo problema può essere risolto militarmente.

In una risoluzione da noi approvata il mese scorso qui a Strasburgo, abbiamo invitato la Russia a porre fine a ogni atto di repressione e vessazione contro i cittadini di origine georgiana che vivono in Russia e a revocare tutte le misure adottate di recente contro il suo paese, tra cui la sospensione di tutti i trasporti e dei collegamenti postali. Nondimeno vorremmo invitare tutte le parti ad astenersi da qualsiasi commento verbale che possa accentuare inutilmente la tensione.

Crediamo che il Consiglio e la Commissione debbano trovare la strada per aiutare il suo paese a superare e a equilibrare gli effetti economici e sociali dei provvedimenti adottati dalla Russia contro la Georgia.

Signor Presidente, desideriamo manifestare il sostegno del Parlamento europeo all’approvazione da parte del consiglio di cooperazione UE-Georgia, riunitosi oggi a Bruxelles, del piano d’azione sulla politica europea di prossimità.

Le rinnoviamo il nostro benvenuto e mi auguro che la sua presenza qui oggi ci offra l’opportunità, attraverso il dialogo, di risolvere i problemi che il suo paese si trova ad affrontare e che ci riguardano tutti.

A lei la parola, signor Presidente.

(Applausi)

 
  
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  Mikhaïl Saakachvili, Presidente della Georgia. – (ES) Signor Presidente, la ringrazio vivamente per le sue parole e il suo invito, che sono molto importanti per il nostro paese.

Onorevoli deputati al Parlamento europeo, desidero ringraziarvi per il vostro cortese invito. Essere qui a Strasburgo è particolarmente importante per me. E’ stato infatti in questa città che, giovane studente, appena arrivato dall’Unione Sovietica, ho scoperto per la prima volta l’Europa in tutta la sua diversità e ricchezza. E’ stato qui che ho imparato cosa siano i diritti umani e il solenne dovere dello Stato di proteggere i cittadini, non di perseguitarli. Quale rivelazione! E sempre qui ho osato sognare che quanto andavo studiando si sarebbe potuto realizzare un giorno anche nel mio paese, che avrei potuto piantare quei semi che soltanto adesso, finalmente, sono germogliati. Era un sogno ardito e, forse, persino un po’ pericoloso per l’epoca, ma è un sogno che non ho mai dimenticato.

C’è anche un altro motivo per cui Strasburgo è importante per me. E’ la città in cui ho incontrato mia moglie Sandra, a un seminario sui diritti umani.

(Applausi)

Telefonai a mia madre dalla cabina pubblica dell’Orangerie, di fronte alla sede del Consiglio d’Europa, dove seguivo uno stage, per dirle che avevo incontrato una bella ragazza olandese. Bene, ora siedono l’una di fianco all’altra nella galleria del pubblico.

(Applausi)

Sono molto orgoglioso che la nostra famiglia multinazionale sia qui rappresentata da tre generazioni, tra cui mia nonna. Voglio quindi dire grazie a voi e dire grazie anche a questa città e alle sue istituzioni per avermi permesso sia di acquisire conoscenze sia di incontrare l’amore – due beni incommensurabili dai quali non mi separerò mai.

Permettetemi di iniziare il mio intervento con alcune parole in lingua georgiana. Non ci interessa intervenire nella discussione sul fatto se la Georgia appartenga all’Europa vecchia o a quella nuova. Credo che noi apparteniamo in realtà all’Europa più antica, e quindi ce ne stiamo in disparte ad osservare.

(L’oratore parla in georgiano. Il testo inglese è una traduzione)

A nome del mio paese, desidero esprimere la mia gratitudine a tutti voi – all’Unione europea e, in particolare, a voi in quanto parlamentari europei – perché esistete e operate.

L’Europa ha sempre ospitato molte nazioni diverse, grandi e piccole. I georgiani sono europei sin da quando Prometeo fu incatenato alle nostre montagne e gli Argonauti vennero nel nostro paese in cerca del vello d’oro. Quando si parla dell’identità europea, del fatto se i georgiani siano o meno europei, noi non interveniamo. Noi siamo un antico popolo europeo. I georgiani sono non soltanto europei ma anche europei convinti, e l’Europa è sempre stata per noi l’entità cui ci siamo rivolti in primis per chiedere aiuto e sostegno morale in tutti i momenti difficili che abbiamo vissuto.

Ciò che ci unisce è un legame comune e inscindibile, un legame fondato sulla cultura, sulla nostra storia comune e su valori comuni che hanno come fulcro la celebrazione della pace e la realizzazione di società giuste e prospere. Questa è la sostanza di ciò che spesso viene definito il “progetto europeo”. La mia nazione è orgogliosa di far parte di questo progetto e di contribuire alla sua stabilità, forza e resistenza. Perché, vi prego di prenderne atto, la Georgia è per voi un partner forte e affidabile, ora e in futuro, dato che abbiamo un destino comune.

(L’oratore riprende a parlare in inglese)

Vorrei soltanto chiedervi se avete mai considerato per un momento che ne sarebbe stato del mondo post-sovietico se non ci fosse stata l’Unione europea. In circostanze come questa, non posso fare a meno di pensare alla lungimiranza e alla leadership che portarono alla creazione di un’Europa unita, espresse in maniera così eloquente da Robert Schuman nel 1950. Mi chiedo cosa direbbe oggi Schuman osservando l’attuale cartina dell’Europa e le sfide che il nostro continente sta affrontando.

Dalle macerie della guerra avete innalzato un faro di giustizia, pace e prosperità. Da questo punto di vista, avete risposto con le vostre azioni, perché la visione di Schuman resiste tuttora.

In particolare, la vostra disponibilità ad accogliere come nuovi membri i paesi dell’ex area sovietica ha rafforzato in misura considerevole la pace e la democrazia in Europa. Il successo ottenuto da questi nuovi membri è d’incoraggiamento per altri paesi, come il mio, ad andare avanti, perché abbiamo beneficiato e continueremo a beneficiare della loro esperienza e conoscenza, nonché della vostra visione e prudenza.

Forse, il modo migliore per esprimere la mia gratitudine è affermare che desideriamo emularvi! Ma lasciatemi mettere bene in chiaro una cosa: non voglio allarmarvi chiedendo un’immediata adesione della Georgia all’Unione europea. No, l’adesione è un obiettivo lontano, non è all’ordine del giorno della nostra agenda a breve termine. Piuttosto, il nostro sviluppo ha come fondamento i principi su cui poggia l’Europa, e in proposito ho motivo di essere ottimista, sulla base di un potenziamento della nostra partnership. La Georgia che stiamo costruendo è fondata saldamente sullo Stato di diritto, sul rispetto dei diritti umani e sulla pace. Il cammino che abbiamo intrapreso verso l’Europa è stato scelto dal popolo georgiano in prima persona. Per i cittadini della Georgia e per me, tale scelta è la personificazione stessa della tenace identità europea del nostro paese. Ed è l’unica strada su cui possiamo andare avanti.

La mia visita odierna cade in un momento importante della nostra storia: tra breve celebreremo infatti il terzo anniversario della Rivoluzione delle rose.

Come molti di voi sanno, tre anni fa la Georgia era, sostanzialmente, uno Stato al collasso. Immaginate un paese in cui la sopravvivenza quotidiana era una dura lotta per tutti tranne per i pochi privilegiati, un paese in cui regnava l’insicurezza e dominava il disordine, in cui la sicurezza dello Stato era sottomessa agli interessi dei vicini più grandi. La Georgia era un paese dalla corruzione dilagante e dall’ingiustizia endemica, in cui lo Stato di diritto era sicuramente assente.

Oggi, a tre anni di distanza, la Georgia è cambiata al punto da essere irriconoscibile: stiamo attuando un processo di riforma delle istituzioni e dell’economia per dare maggiore prosperità e stabilità al nostro popolo e alla nostra regione. Senza i cambiamenti degli ultimi anni, oggi noi saremmo uno Stato completamente fallito – non solo nella nostra regione, ma anche nel contesto dei nostri vicini europei.

Credo invece che la Georgia di oggi possa affrontare la sfida di diventare un vicino modello per l’Europa, e questo è il messaggio che vi voglio trasmettere questo pomeriggio. Avanzo tale rivendicazione in questa sede perché negli scorsi tre anni abbiamo perseguito con costanza quattro obiettivi immediati: il ripristino della democrazia e dello Stato di diritto, l’eliminazione della corruzione, la creazione di reddito per i nostri cittadini e la tutela della nostra integrità territoriale.

Quegli obiettivi sono, come potete immaginare, collegati l’uno all’altro e hanno tutti come premessa il rafforzamento delle istituzioni e della responsabilità pubblica. Affinché tale progetto possa concretizzarsi, occorre essenzialmente che la poesia della democrazia sia sostenuta dalla prosa dello Stato di diritto. In buona sostanza, ciò significa attuare riforme fondate sull’assunto che nel paese deve regnare la giustizia, e quando dico giustizia intendo questo concetto nell’accezione europea: la democrazia dev’essere alimentata da un’infrastruttura di valori e istituzioni tali da dare protezione e offrire opportunità a tutti i cittadini. Lo Stato di diritto deve prevalere in modo trasparente, in maniera uguale per tutti. Certo, tutto questo è più facile a dirsi che a farsi, e accoglierò con piacere l’aiuto dell’Unione europea per tradurre in pratica tale visione.

Oggi in Georgia abbiamo riformato completamente le forze di polizia. Pertanto, gli automobilisti georgiani non temono più di essere fermati arbitrariamente dai poliziotti della stradale che chiedono bustarelle. Gli imprenditori georgiani non temono più di diventare vittime casuali di vessazioni. Secondo un sondaggio Gallup condotto in Georgia tre o quattro anni fa, il tasso di fiducia nelle forze di polizia era inferiore al 5 per cento; in pratica, la polizia era l’istituzione più odiata del paese. Oggi il tasso di fiducia ha superato il 75 per cento e la polizia è considerata una delle istituzioni più affidabili, sicuramente più affidabile delle polizie di tutti gli altri Stati ex sovietici. Si tratta di un cambiamento radicale.

Abbiamo assunto un impegno indissolubile a riformare il nostro sistema giudiziario e, attraverso una forte collaborazione con le Istituzioni europee, abbiamo creato e stiamo finanziando un programma pluriennale completo.

Vorrei commentare alcuni dei suoi punti qualificanti. Oggi stiamo rafforzando sia l’indipendenza sia la professionalità dei nostri giudici e dei professionisti del settore giudiziario e, allo stesso tempo, stiamo ridimensionando i poteri del presidente. A seguito delle nuove proposte di modifica della Costituzione, il presidente non potrà più nominare direttamente i giudici. Mi auguro che tali emendamenti siano approvati nel prossimo mese di dicembre.

Siamo impegnati altresì nella riforma del sistema scolastico e nel rafforzamento della tutela dei diritti umani mediante un’opera di riqualificazione delle forze di polizia. Si tratta di una questione d’importanza nazionale. Stiamo costruendo nuove prigioni conformi agli standard degli osservatori dei diritti umani e sveltendo le procedure giudiziarie per garantire il diritto a un processo equo in tempi giusti, allo scopo di dare attuazione ai diritti fondamentali. Continueremo a mettere mano al nostro sistema giudiziario perché, altrimenti, le riforme saranno prive di fondamenta.

Sono lieto di poter affermare oggi che il nostro parlamento esercita una funzione di controllo di livello mai visto prima. In quanto capo dell’esecutivo, posso attestare che i bilanci sono sottoposti ad attento scrutinio, che il controllo è severo e che nelle sue decisioni l’esecutivo tiene nella dovuta considerazione le osservazioni del parlamento.

Inoltre, la Georgia offre uno degli ambienti più liberali per l’attività della stampa libera e ospita una operosa comunità di ONG. La nostra legislazione in materia di libertà di stampa è tra le più liberali – se non la più liberale in assoluto. Purtroppo per i politici, la legge georgiana prevede che i media non possano mai essere citati in giudizio, per nessun motivo. E questo è un bene, perché così si creano maggiori opportunità.

Forse, uno dei principali rimpianti che mi rimangono è il fatto che la Georgia continua a non avere un’opposizione abbastanza forte da poter sfidare il governo. Non lo dico a cuor leggero; non è un fatto positivo, però non vi sarebbe nulla di più pericoloso per una democrazia alle prime armi che creare artificiosamente un’opposizione. E’ negativo per un aspirante governo non avere un’opposizione forte, più responsabile e più competente e capace di mettere il governo alla prova. Sono certo che questo tipo di opposizione si formerà a mano a mano che si svilupperà la società. E forse, presto o tardi – ma, mi auguro, non troppo presto –, l’opposizione vincerà in elezioni libere e corrette. Abbiamo senz’altro creato le condizioni politiche e giuridiche perché una simile ipotesi possa concretizzarsi. Spetta ora ai gruppi dell’opposizione compiere il prossimo passo.

Il nostro cammino di trasformazione è iniziato a partire da un’idea molto semplice: ogni cittadino deve sentirsi sicuro. A tal fine, è stato necessario sradicare la corruzione, e questo è stato il nostro obiettivo prioritario. Per creare una rete di sicurezza sociale, abbiamo attuato riforme economiche aggressive e creative. Oggi la Georgia attira molti investimenti. In quanto paese relativamente povero di risorse naturali, possiamo puntare soltanto sulla nostra ingegnosità e sul nostro senso di disciplina. Perciò abbiamo le aliquote fiscali più basse d’Europa, alcune delle leggi sul lavoro più flessibili e alcune delle procedure commerciali, doganali e di regolamentazione più semplici. Le riforme liberali si sono rivelate essere lo strumento migliore per contrastare la corruzione, garantendo al contempo la libertà delle imprese e la tutela dei diritti di proprietà. E si sono rivelate anche il modo migliore per produrre entrate, cosicché ora possiamo costruire più strade, scuole e ospedali. Sono orgoglioso del fatto che, se ancora due anni fa nessuna scuola georgiana aveva accesso a Internet, oggi ben l’80 per cento di esse dispongono di computer e collegamento a Internet, e l’anno prossimo arriveremo al 100 per cento. Stiamo costruendo nuove scuole che sono alla pari con le migliori scuole olandesi, tedesche o ceche. Quest’anno ne abbiamo costruite 340 – un bel numero, per un paese piccolo come il nostro. Inoltre, nel solo 2006 abbiamo costruito più strade che in tutti gli altri anni dal 1991, anno della nostra indipendenza. Nel corso della sua conferenza annuale a Singapore, la Banca mondiale ha classificato quest’anno la Georgia come il paese a economia riformata che ha ottenuto i risultati migliori al mondo e come uno dei posti migliori al mondo per fare affari. Nel corso di due anni siamo passati da una delle piazze peggiori a una delle piazze migliori per fare affari.

Quest’anno la crescita dell’economia georgiana sarà notevole dato che, stando alla Banca mondiale, siamo anche il paese che, tra quelli euroasiatici in transizione, ha registrato i risultati migliori nella lotta contro la corruzione. Non è un caso se la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo ci classifica fra le tre nazioni europee col minor tasso di corruzione. Vorrei ora citare altri dati che, forse, illustrano ancora meglio i risultati che abbiamo raggiunto.

Nel 2004, il primo anno dopo la Rivoluzione delle rose, per la prima volta dal 1991 abbiamo registrato un tasso di immigrazione e un tasso di natalità positivi. L’anno scorso, in un paese di poco meno di cinque milioni di abitanti, il bilancio tra i cittadini georgiani che sono emigrati e quelli che invece sono tornati in patria si è chiuso con un saldo positivo di quasi 100 000 unità. Hanno, per così dire, votato con i piedi. E’ un fatto sorprendente. Non penso, quindi, che l’Europa debba aver timore ad aprirci le sue porte, perché i georgiani non hanno alcuna intenzione di fuggire nottetempo dal loro paese – in realtà, ci stanno tornando.

(Applausi)

Un simbolo di questa nuova, sorprendente tendenza è l’ospedale centrale di Tbilisi. Aveva cessato di svolgere le funzioni di ospedale ed era stato occupato da profughi georgiani rifugiatisi lì a causa della guerra in Abkhazia. L’anno scorso un folto gruppo di eminenti professionisti georgiani, ritornati in patria dagli Stati Uniti, dalla Spagna, dalla Germania e dalla Russia, ha ripristinato l’ospedale. Li abbiamo aiutati ed eseguito le riparazioni; abbiamo fornito ai profughi gli aiuti necessari per andarsene e ora quella struttura è uno dei migliori ospedali al mondo. Alcuni europei hanno detto che in Europa c’è soltanto un altro ospedale come quello.

Un altro simbolo: georgiani come Nina Gedevanovna Ananiashvili, che è stata una delle migliori ballerine del Bolshoi, tornano nel paese di origine per ricostruirlo. Lei ha rinunciato a una carriera molto redditizia al Bolshoi per ricostruire da zero il corpo di ballo georgiano, che oggi è di altissimo livello, forse uno dei migliori della nostra regione, e presto andrà in tournée in giro per il mondo.

Il nostro obiettivo attuale è di concentrarci sulla creazione di posti di lavoro stabili. Insieme con il mio consulente per le questioni economiche Maklar, ex Primo Ministro dell’Estonia e come tale uno dei padri del miracolo economico estone, abbiamo definito programmi di formazione sul posto di lavoro che hanno dato ottimi risultati. Le nostre riforme nel settore dell’occupazione saranno completate soltanto quando tutti i cittadini georgiani avranno la sensazione che ognuno di loro può contare su opportunità di lavoro concrete.

La Georgia è un paese estremamente caloroso e ospitale, e anche molto bello. Poco fa ho mostrato al Presidente Borrell un album di fotografie della Georgia. E’ un paese che i viaggiatori europei hanno apprezzato in passato e stanno ora riscoprendo; da questo punto di vista, siamo invero uno dei segreti meglio conservati d’Europa.

Vorrei proporvi una breve citazione dal libro scritto da Sir Oliver Wardrop nel 1888 e intitolato The Kingdom of Georgia: “Non v’è ragione alcuna per cui la Georgia non debba diventare un luogo di vacanza popolare. Non è poi così lontana come si pensa. Ha il grande vantaggio di essere quasi sconosciuta ai turisti, non ci sono le sfrontate estorsioni che scatenano la nostra collera in paesi più vicini a casa nostra e, oltre a tutto, è più economica della Scozia”. Prego i deputati scozzesi di non aversela a male con me, sto solo citando – però è vero!

(Si ride)

Riconsiderando l’effetto combinato delle nostre riforme, credo si possa concludere obiettivamente che i passi compiuti ci hanno permesso di avvicinarci di più all’Europa dal punto di vista istituzionale e culturale. Con la vostra politica di prossimità, ci avete messo a disposizione un quadro di riferimento per aumentare la crescita. Oggi firmeremo il piano d’azione che traduce in fatti dettagliati molte delle nostre comuni priorità. Però, dobbiamo continuare a costruire nello spirito e nella lettera di quell’impegno, perché voglio che il mio paese lavori con l’Europa affinché l’Europa sappia che ha, nella Georgia, un partner e un amico assolutamente affidabili.

Per alcuni, tuttavia, la nostra strategia ha avuto effetti sgraditi, e sembra che il cammino di riforma della Georgia significhi il nostro distacco dalle sfere d’influenza di una volta – che, secondo loro, sarebbero ancora attuali. Come avete giustamente osservato nelle vostre dichiarazioni fondamentali di due settimane fa sul nostro paese, credo che l’epoca delle “sfere d’influenza” sia finita.

(Applausi)

Vi ringrazio per quelle dichiarazioni e per le espressioni affatto adeguate e pertinenti che avete usato. A ogni nazione dev’essere data l’opportunità di decidere liberamente come e con chi costruire il proprio futuro. La nostra strategia è fondata sulla nostra volontà di essere un partner sicuro e affidabile, non un satellite debole e sottomesso. Siamo una nazione che può vantare una lunga tradizione di indipendenza, interrotta 200 anni fa a seguito della violenta espansione dell’Impero russo. Per tre brevi anni, dal 1918 al 1921, abbiamo goduto di un altro momento di indipendenza, che poi però ci è stata rubata un’altra volta. In quali circostanze?

Nel 1921 l’esercito bolscevico, con il pretesto di proteggere una minoranza etnica in una delle nostre province, invase la Georgia e la riconquistò. In quel periodo, più di 500 000 georgiani morirono nei gulag, tra essi anche molti membri della mia famiglia. Abbiamo pagato un prezzo troppo alto, e non intendiamo pagarlo di nuovo. Non permetteremo, quindi, che la storia si ripeta, costi quel che costi. Dopo tutto, siamo nel 2006, non nel 1938, nel 1939, nel 1956 né nel 1968.

Fino a che punto le nazioni piccole sono chiamate a sacrificare le loro aspirazioni di libertà? Quante volte possiamo chiedere al più piccolo di abbassare la voce e di resistere alla tentazione di reagire alle provocazioni? Speriamo che non ci verrà chiesto mai più di soccombere e di dire che, in quest’epoca, la giustizia è una questione di dimensioni, numeri e forza, che è il potere a conferire diritti, e non viceversa. Speriamo non succeda mai più che, qualora l’una o l’altra nazione europea sia minacciata, quel famoso riferimento di uno statista degli anni ’30 a “dispute in un paese lontano tra popoli di cui non conosciamo nulla” venga considerato una risposta adeguata.

Fortunatamente quel tipo di politica – mi auguro – è stata relegata definitivamente al passato e spero che un giorno i georgiani, insieme con gli orgogliosi rappresentanti della Repubblica ceca, un paese allora così distante da noi, saranno considerati alla pari degli altri membri della famiglia europea.

(Applausi)

Oggi la Georgia viene punita perché ha scelto di avvicinarsi quanto più possibile all’Europa e di allinearsi alle istituzioni euro-atlantiche. Poiché siamo una democrazia, le pressioni cui siamo sottoposti non hanno prodotto altro se non un ulteriore consolidamento della nostra società. Coloro che le esercitano non capiscono che non è possibile mettere sotto pressione le democrazie, perché si ottiene l’esatto contrario dell’effetto voluto. La situazione si era già aggravata dopo che la Russia, come sapete, aveva chiuso il proprio mercato alle importazioni di merci dalla Georgia, cosicché ora gli apprezzati vini e l’acqua minerale georgiani – principale fonte di reddito per il nostro paese – sono banditi dal mercato russo, ed è ulteriormente peggiorata negli scorsi mesi a seguito dell’embargo totale sui trasporti e sui collegamenti postali con la Georgia imposto dalla Russia. Ancora pochi giorni fa la Gazprom ha annunciato che avrebbe più che raddoppiato, rendendolo così antieconomico, il prezzo che applica alle sue esportazioni di gas in Georgia. In parole semplici, l’insieme di questi provvedimenti può essere sintetizzato nell’espressione “blocco economico”.

Non intendo profittare di questa circostanza per inasprire ulteriormente le tensioni tra Georgia e Russia, né considerarla come un’opportunità per ingenerare un sentimento antirusso nel cuore dell’Europa. Ci sono già abbastanza tensioni e denigrazioni; questo genere di retorica non produrrebbe alcunché di costruttivo. Penso piuttosto che sia giunto il momento di ricorrere alla diplomazia, alla discussione, all’individuazione costruttiva delle zone di interesse comune e di responsabilità comune.

(Applausi)

A nome del mio governo e del mio popolo, sono pronto a impegnarmi su questa strada, perché è l’unica percorribile. Voglio che queste mie parole siano interpretate ancora una volta come un aperto invito ai nostri colleghi e a tutti i nostri interlocutori affinché, attraverso il dialogo, ritornino sulla via della normalità e dell’armonia. Credo che i leader di entrambi i paesi condividano la responsabilità di garantire che, sotto la nostra leadership, le relazioni tra i due paesi non peggiorino in maniera irreparabile. Andiamo avanti sollecitamente e in uno spirito di buona volontà. Come voi, il popolo georgiano non è e non sarà mai antirusso.

Permettetemi di citare un altro grande statista europeo, Konrad Adenauer, che nelle sue memorie così ricorda la situazione di allora: “Noi eravamo un paese piccolo e fortemente esposto. Con le nostre forze non saremmo riusciti a ottenere nulla. Non dobbiamo diventare una terra di nessuno tra Oriente e Occidente perché non avremmo amici da nessuna parte e avremmo invece un nemico molto pericoloso a Oriente”.

Oggi la situazione geografica è un po’ diversa, però ritengo che alcune di quelle parole si attaglino anche al mio paese. Le considerazioni del Cancelliere Adenauer sono valide ancora oggi. La nostra aspirazione europea è semplicemente quella di poter crescere in conformità delle nostre libere scelte e in armonia con tutti i nostri vicini, così come molti di voi hanno fatto decenni fa. In tale ottica, credo che le misure attuali abbiano carattere transitorio e che, con pazienza e buon senso, con il dialogo e il rispetto reciproco, saranno annullate e i nostri rapporti si normalizzeranno – si devono normalizzare.

Nel nutrire quest’auspicio ho l’appoggio di tutto il mio popolo. Tuttavia, se c’è oggi una cosa che mi crea qualche tentennamento nelle nostre relazioni con la Russia, è la questione sollevata in modo così puntuale dall’Unione europea a Lahti e a Lussemburgo qualche settimana fa: la questione della giustizia.

In proposito vorrei citare il grande scrittore russo Alexander Solženitzin, le cui opere, allora proibite, ho letto con molta passione quand’ero ragazzo. Egli ha scritto: “La giustizia è la coscienza, non la coscienza individuale bensì la coscienza dell’intera umanità. Coloro che sanno discernere con chiarezza la voce della loro coscienza di solito sanno discernere anche la voce della giustizia”.

Credo che la vostra solidarietà durante questo difficile periodo esprima in tutta evidenza proprio tale senso di giustizia. Perché, quando si espellono da scuola i bambini che hanno un nome georgiano, sono in pericolo tutti i nostri figli. Quando artisti, scrittori, attori, sportivi di fama sono perseguitati e costretti al silenzio, siamo tutti costretti al silenzio. Quando migliaia di cittadini vengono deportati con la forza dalle loro case e condotti in strada ammanettati, siamo tutti deportati.

Io e il popolo georgiano vi siamo grati per le vostre espressioni di sostegno al nostro paese. Quando abbiamo temuto di essere isolati, l’Europa ha tenuto alta la bandiera dei nostri valori. Invero, proprio questo Parlamento ha fatto sentire in Europa la voce della moralità. Non dimenticheremo mai la vostra solidarietà.

Questo è il risveglio dei valori fondamentali ai quali tutti aspiriamo. Vediamo che questi valori sono vivi in Europa, nella vostra dichiarazione.

Quando mi sono recato in Lituania dopo l’embargo russo sul vino georgiano, ho visto giovani volontari lituani, tra cui studenti delle università di Vilnius e Kaunas, andare in giro per i supermercati, insieme con i loro insegnanti, per convincere i clienti ad acquistare il vino georgiano dicendo che era il vino della libertà, che i georgiani stavano pagando il prezzo della loro libertà e avevano bisogno di aiuti immediati, e che pertanto era doveroso comprare quel vino in segno di solidarietà.

L’esercito polacco ha deciso che durante i ricevimenti degli ufficiali sarà servito esclusivamente vino georgiano, e noi gliene siamo profondamente grati. Non abbiamo bisogno di armi dell’esercito polacco, ci basta questo gesto, che di per sé ci è di grande aiuto.

Ma la più grande manifestazione di solidarietà ci è venuta dalla Russia stessa. Le voci più forti che abbiamo udito sono giunte, infatti, da quel paese. Sono rimasto commosso dai cittadini russi che hanno avuto il coraggio di far sentire la propria voce. Posso citare vari esempi: in molte parti della Russia, normali cittadini sono scesi in strada portando sugli abiti stelle gialle con le parole “Io sono georgiano”; a Mosca, i direttori di alcune scuole superiori hanno minacciato di licenziare gli insegnanti che avessero consegnato alla polizia elenchi di studenti dal nome georgiano, correndo il rischio di essere licenziati in tronco essi stessi; a San Pietroburgo, i tassisti si sono rifiutati di ubbidire agli ordini del consiglio municipale, che aveva detto loro di non trasportare persone anche semplicemente di aspetto georgiano e di non condurre i clienti nei numerosi ristoranti georgiani della città, e hanno minacciato di scioperare se fossero stati messi alle strette.

Il gesto di un singolo può fare una grande differenza. Sono rimasto molto impressionato dalle parole della famosa attrice russa Inna Churikova, la quale ha detto di recente: “Tutte le disgrazie che succedono sono colpa dei georgiani? Non sopporto quando cercano di farmi il lavaggio del cervello attraverso lo schermo della televisione. I risultati si vedono già: la gente odia i georgiani e tra non molto odierà anche gli armeni e gli altri. Tutto ciò è vergognoso e voglio domandare alla gente: cosa state facendo? Svegliatevi!”. Un grande esempio di coraggio e determinazione.

Vorrei ricordare un altro personaggio famoso, l’attore russo Alexander Saladasky, che oggi è l’eroe della Russia moderna perché, in segno di protesta, ha chiesto la cittadinanza georgiana.

Un altro eroe della Russia moderna e, invero, dell’Europa è Shurshadze, che una volta si chiamava Shurshin; è un giovane studente di San Pietroburgo di cui ho letto sui giornali. Insieme con alcuni compagni di studi, in segno di sfida verso la politica fondata sulla xenofobia e sull’odio, egli ha compiuto un gesto di grande audacia cambiando il suo cognome da Shurshin in Shurshadze, dandogli cioè un suffisso georgiano.

Credo che siamo tutti colpiti dall’esempio dei cittadini russi che hanno deciso di dissentire da una politica contraria a quelli che riconosciamo come valori europei. Oggi, da questa sede, dal Parlamento europeo, desidero ringraziare tutte quelle persone.

Sono venuto qui oggi con lo scopo di condividere con voi la visione europeista della Georgia. Tale visione comporta, tra l’altro, l’adozione delle soluzioni europee del XXI secolo per risolvere le sfide attuali. Noi siamo una piccola democrazia convinta del fatto che, solo attraverso e con l’Europa, il nostro paese e la nostra regione potranno diventare partner sicuri e duraturi. Siamo legati indissolubilmente.

Così, attraverso gli approcci europei alla conciliazione fondata su interessi comuni, ma anche su valori comuni, possiamo trovare soluzioni capaci di creare una società che non escluda nessuno, una società nella quale nessuno è perdente.

Riguardo al rispetto di questi requisiti, voglio darvi alcune rassicurazioni e alcuni chiarimenti. In molti ambienti la Georgia viene vista come un paese aggressivo, che cerca di ripristinare la sua integrità territoriale per mezzo della forza. Vi posso garantire nel modo più assoluto che non è così. Le nostre intenzioni sono pacifiche, esclusivamente pacifiche, perché sappiamo cos’è la guerra, sappiamo riconoscere le vittime perché oggi vivono in mezzo al nostro popolo, sappiamo che la guerra non può essere una soluzione.

Io stesso ho dedicato la mia carriera e la mia formazione allo studio dei diritti umani e mi sono specializzato in particolare nei diritti delle minoranze. Nella mia tesi universitaria, che ho discusso all’Istituto norvegese per i diritti umani, ho affrontato il tema dei diritti delle minoranze e, più nello specifico, quelli dei popoli dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia. Oggi in Abkhazia vivono meno di 40 000 persone di etnia abcasa e nell’Ossezia meridionale vivono meno di 20 000 persone di etnia osseta. Voglio che abbiate presenti queste cifre perché talvolta sembra che si parli di centinaia di milioni di persone. I numeri di queste minoranze sono invece molto piccoli, e proprio per questo sono particolarmente sensibile alle loro esigenze. So quello che provano. Da un lato, questi piccoli gruppi sono diventati pedine di un gioco più grande di loro o, se volete, ostaggi di grossi interessi politici e di una visione miope, associata a rigurgiti imperialistici. Dall’altro lato, nutrono preoccupazioni reali, vere, che posso comprendere e che condivido nel profondo.

Conosco le loro preoccupazioni e stiamo cercando di ascoltare e soddisfare le loro esigenze. Purtroppo ci sono ancora molti che soffrono a causa di questi conflitti: più di 300 000 persone di etnia georgiana, insieme con ebrei, greci, russi e ucraini, sono state cacciate dall’Abkhazia. Ancora oggi le proprietà di quelle persone cacciate sono abitate da altri e spesso vengono persino vendute illegalmente. Pochissimo tempo fa, uno dei più famosi cineasti franco-georgiani, Otar Ioseliani, nel commentare la recente campagna, ha osservato che la storia sembra ripetersi, prendendo di mira una seconda volta le stesse vittime. Ha biasimato la comunità mondiale perché se ne sta in silenzio, esattamente come la prima volta.

Ha detto: “La prima volta che l’amministrazione russa ha compiuto la pulizia etnica in Abkhazia è stato nel 1993, trasformando in rifugiati 500 000 persone. Coloro che non sono potuti scappare attraversando a piedi le alte montagne sono stati massacrati per mano dei mercenari, che hanno devastato e distrutto il paese. E, a proposito, anche quella volta tutti se ne sono stati zitti”. Ora quelle stesse persone vengono arrestate nelle strade di Mosca. Stamattina, venendo qui al Parlamento europeo, ho incontrato due abcasi, i quali mi hanno raccontato di essere stati deportati dalla Russia e di aver pagato una bustarella a un poliziotto per essere mandati in Francia. Ora sta succedendo tutto un’altra volta: la prima è stata nel 1993, e oggi ci risiamo.

Ecco, questa è la dolorosa eredità che ci è stata riservata. Ma questa volta cerchiamo di non restare in silenzio. Oggi non ci meritiamo punizioni. I popoli osseto e abcaso sono nostri concittadini. Di nuovo non posso fare a meno di citare le sempre valide parole di Sir Oliver Wardrop, che nel suo libro The Kingdom of Georgia del 1888 così ha scritto: “Occorre prima di tutto togliere dalla mente del lettore un’idea che è diffusa quasi ovunque in Europa e che, forse, è la ragione principale dell’apatia con cui i politici sono soliti guardare al Caucaso. Si ritiene abitualmente, e la pensa così anche qualcuno di coloro che ci sono stati, che la Transcaucasia sia abitata da un gran numero di tribù, più o meno selvagge, che non hanno nulla in comune tranne i dubbi benefici del dominio russo. Nulla di più fuorviante. Gli studenti di etnografia possono anche divertirsi compiendo accurati studi sulle origini di khevsur, svan, pshav, osseti (e abcasi); a noi basti sapere che tutti quei popoli sono, quanto meno dal punto di vista politico, georgiani e hanno combattuto sotto i re di Cartveli sin dai tempi di Guglielmo il Conquistatore”.

La Georgia è uno Stato multietnico e credo che proprio questa diversità, questo mosaico, sia uno dei nostri principali punti di forza. Non un punto debole, bensì un punto di forza.

Sono stato molto orgoglioso, pochi giorni fa, di inaugurare una nuova scuola di lingua osseta al di fuori dell’Ossezia meridionale, che è il territorio sotto il nostro controllo; in tal modo vi è ora un numero doppio di scuole di lingua osseta al di fuori dell’Ossezia meridionale di quante ve ne siano al suo interno.

Siamo tuttora uno Stato unitario, però siamo sicuramente aperti a ogni tipo di accordo che consenta a tutte le minoranze di avere un proprio posto, e garantiamo a tutte le minoranze un alto grado di autonomia, simile a quella dell’Alto Adige e di molte altre regioni d’Europa. Per tali motivi, il nostro compito è quello di tendere la mano in uno spirito di pace, giustizia e riconciliazione per cercare di risolvere i nostri problemi attraverso negoziati e compromessi, affinché quelle zone e tutti i popoli che le considerano come la loro casa possano condividere e godere la stessa prosperità e le stesse garanzie di sicurezza di cui beneficia oggi il resto della Georgia.

Alcuni sostengono che i nostri problemi di separatismo siano semplicemente una questione di politica interna della Georgia; purtroppo le cose non stanno così. I conflitti sono continuati perché derivano da annose rivendicazioni territoriali – residui del periodo sovietico, quando un impero è crollato e le élite hanno cercato di conservare i propri privilegi e i propri feudi. I generali combattevano guerre per ottenere una dacia in Abkhazia, perché questa era la massima forma di proprietà privata concessa ai tempi dell’Unione Sovietica – e continuano a restare attaccati a quelle dacie.

In tale scenario, la tattica tanto applicata oggi è quella di dare sostegno a procuratori locali e di creare blocchi istituzionali per impedire discussioni e negoziati bilaterali. In tale scenario, a perdere sono le persone e le future generazioni, che cresceranno in un clima di odio e paura.

Il messaggio che voglio lanciare oggi pomeriggio è un messaggio di riconciliazione, di apertura, di riconoscimento e difesa dei diritti delle minoranze. Non possiamo ricorrere alle soluzioni del XIX o del XX secolo. Quando affrontate queste sfide, vi invitiamo a fare appello alla vostra obiettività, al vostro interesse e, soprattutto, al vostro senso di giustizia.

Onorevoli deputati, le mie osservazioni si fondano sul convincimento che oggi dobbiamo trovare soluzioni europee adatte al XXI secolo, per non dover sperimentare più le funeste soluzioni del XX secolo, quando vigeva il motto “il diritto deriva dalla forza” e gli Stati più piccoli erano inevitabilmente smembrati da quelli più grandi.

Mi auguro che il mio convincimento e la mia responsabilità in quanto leader democratico possano trovare riconoscimento. Non resterò mai in silenzio né inerte di fronte a gravi minacce alla democrazia e all’integrità territoriale del mio paese. No, in una situazione così difficile la Georgia deve dar prova di calma e di spirito costruttivo. Questo è esattamente quanto ci accingiamo a fare.

Il nostro scopo è portare avanti le riforme politiche, sociali ed economiche, per quanto difficili possano essere, nonché continuare a costruire partendo dai risultati che abbiamo ottenuto e dai progressi che abbiamo compiuto, per lanciare un segnale positivo.

Negli anni ’90 la Russia usò l’arma del blocco economico per impedire l’integrazione dei paesi baltici nell’Unione europea. Alla fine, però, quell’espediente non fece altro che accelerare il riorientamento delle economie baltiche da est verso ovest. Lo stesso avverrà nel caso della Georgia.

Oggi desidero cogliere l’opportunità offertami da questo forum per proporre un cammino mirato a una più stretta collaborazione tra l’Unione europea e la Georgia, in particolare attraverso il consolidamento della nostra collaborazione nella politica di prossimità e la ricerca di nuove strade per approfondire le nostre relazioni, affinché la Georgia possa essere per sempre un modello di ciò che l’esempio europeo può realizzare. Noi siamo pronti. Per raggiungere quest’obiettivo, tuttavia, abbiamo bisogno dei vostri giudici, dei vostri esperti di diritto, dei vostri economisti e dei vostri esperti di sicurezza.

Vogliamo costruire una Georgia che sia in grado di mettere in sicurezza i propri confini, affinché l’intera Europa sia più sicura. Con la vostra collaborazione, potremo superare le ripercussioni dell’attuale embargo, soprattutto se ci verrà data l’opportunità di commerciare liberamente con la Turchia e di realizzare progressi in tal senso con l’Unione europea.

Se ci darete la possibilità di commerciare con voi, ci eviterete di dover venire a chiedere il vostro aiuto. Lavoriamo insieme per superare le nostre dispute territoriali.

Ho proposto colloqui con Mosca e con i leader delle regioni separatiste, per trovare un terreno comune d’incontro. Abbiamo chiesto ai governi europei di partecipare a questo processo allo scopo di facilitarlo. E’ il momento di creare un clima di fiducia.

Insieme con l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, le Nazioni Unite e l’Unione europea abbiamo proposto all’Ossezia meridionale e all’Abkhazia la forma di indipendenza più ampia possibile, e oggi vi posso confermare che questa nostra proposta è tuttora valida.

Auspico che tutti coloro che in passato sono stati vittima della guerra possano oggi operare insieme per costruire un futuro migliore.

Non è nell’interesse dell’Europa, della Russia né dei paesi confinanti con l’Europa permettere che questa questione si trascini ancora nel tempo, senza che si crei un nuovo quadro di riferimento per affrontare le nuove sfide.

Se, dunque, vogliamo prevenire il separatismo dilagante, dobbiamo risolverci a un approccio di tipo nuovo, un approccio europeo capace di conciliare le fedi individuali con l’autodeterminazione e l’integrità territoriale. Ciò è d’importanza vitale per la nostra sicurezza collettiva, e lo potremo realizzare solo insieme.

E’ stato per me un privilegio condividere oggi con voi le mie osservazioni e riflessioni sulla scelta della Georgia a favore dell’Europa. Credo che il nostro cammino futuro – un cammino di impegno e reciproco beneficio – stia trovando maggiore attenzione nelle capitali e nelle Istituzioni europee, e questa tendenza va senz’altro incoraggiata.

Concludendo, desidero citare nuovamente le parole di Robert Schuman: “L’Europa non sarà costruita tutta in una volta sola, né sulla base di un unico progetto. Sarà costruita attraverso conquiste concrete che creeranno innanzi tutto una solidarietà de facto”. Credo che oggi abbiamo visto emergere un simile clima di solidarietà; esso è sicuramente presente in quest’Aula, è nei nostri cuori e nelle nostre azioni mentre ci incamminiamo insieme verso il futuro.

(L’Assemblea, in piedi, applaude lungamente)

 
  
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  Presidente.(in georgiano) La ringrazio molto per le sue parole, signor Presidente.

(Applausi)

Come può notare, il mio georgiano è ben peggiore del suo spagnolo. Ad ogni modo, parlando nella sua lingua volevo farle sentire tutto il calore con cui il Parlamento europeo l’ha accolta.

Il Parlamento europeo è un amico della Georgia, come ha dimostrato nella sua recente risoluzione in cui chiede che cessino gli attacchi contro cittadini georgiani. Il Parlamento si augura inoltre che la sua presenza e le sue parole in quest’Aula contribuiscano a migliorare le relazioni tra il suo paese e la Russia.

Può contare su di noi, signor Presidente. Didi madloba.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MOSCOVICI
Vicepresidente

 
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