2. Dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
3. Servizi nel mercato interno (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura (A6-0375/2006), della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sulla posizione comune del Consiglio in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno [10003/4/2006 C6-0270/2006 2004/0001 (COD)] (Relatore: onorevole Gebhardt).
Evelyne Gebhardt (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, giungiamo oggi al termine di un dibattito che continua in Parlamento da oltre due anni sul tema della direttiva sui servizi. Ritengo che possiamo essere del tutto soddisfatti e orgogliosi del lavoro che abbiamo svolto in questo ambito.
Ovviamente non sono l’unica ad aver lavorato sulla questione; molti dei miei colleghi hanno fatto la loro parte per assicurare una collaborazione costruttiva. Consentitemi soltanto di citare alcune persone che desidero ringraziare, per rendere omaggio a tutti coloro che si sono adoperati per garantire una così positiva collaborazione. Desidero quindi ringraziare gli onorevoli Goebbels, Swoboda, van Lancker e McCarthy, nonché l’onorevole Thyssen del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, gli onorevoli Jonckheer e Rühle del gruppo Verde/Alleanza libera europea e l’onorevole Jäätteenmäki del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa. Tutti loro hanno contribuito in misura notevole al nostro successo.
C’è poi una persona che vorrei ringraziare in particolare, ed è il relatore ombra del gruppo PPE-DE, onorevole Harbour.
(Applausi)
Vorrei altresì esprimere un ringraziamento a nome dell’onorevole Schulz, che me l’ha chiesto specificamente ieri sera, per la cooperazione costruttiva che ha potuto sperimentare, poiché non è stato facile, date le divergenze di opinione rappresentate in questa Assemblea, redigere un testo comune in grado di ottenere un largo consenso senza causare divisioni tra il Parlamento e i cittadini dell’Unione europea, né si poteva dare per scontato che si riuscisse a portare a termine tale impresa.
Questa costruttiva collaborazione può essere constatata anche nel testo oggi in discussione, che coniuga gli interessi dei lavoratori e dei consumatori con quelli dell’economia. Siamo riusciti, con questo testo, a dare un reale contributo al fine di mettere le persone maggiormente al centro della politica. A mio parere, è essenziale per il nostro futuro lavoro in Parlamento affermare con assoluta chiarezza che stiamo plasmando la politica sulle persone, sui cittadini d’Europa. L’economia è importante, la stabilità è importante, ma più importanti in assoluto sono i cittadini in nome e per conto dei quali formuliamo le politiche.
Con questo testo comune siamo intanto riusciti, attraverso la soppressione del principio del paese d’origine, a proteggere i diritti dei lavoratori, vale a dire il diritto del lavoro, il diritto sociale, la tutela dei consumatori e altre importanti questioni collegate ai diritti, e a dotarci di una regolamentazione positiva. Era molto importante per noi migliorare i diritti dei lavoratori, evitando così una concorrenza malsana tra i sistemi sociali degli Stati membri.
La soppressione degli articoli 24 e 25 evita che la direttiva servizi colpisca o metta in pericolo la direttiva relativa al distacco dei lavoratori e ci ha permesso di lavorare congiuntamente in modo efficace in questo ambito. Escludendo dal campo di applicazione della direttiva sui servizi elementi piuttosto significativi dei servizi di interesse generale, abbiamo fatto sì che si trovasse una soluzione a un problema veramente enorme, alla luce del fatto che questa direttiva sui servizi è in effetti, ovviamente, una direttiva per i servizi commerciali, il che significa che i servizi sanitari e sociali, che hanno requisiti totalmente diversi a causa degli speciali interessi coinvolti, non rientrano nel campo di applicazione della direttiva.
Comunque non abbiamo fatto soltanto qualcosa per i lavoratori; abbiamo anche fatto in modo che questa direttiva sui servizi creasse vantaggi per l’economia, per i prestatori di servizi. Abbiamo fatto in modo di rendere molto più facile la libera circolazione dei prestatori di servizi in altri Stati membri. Abbiamo realizzato questo obiettivo, per esempio, codificando di fatto il principio della libertà di prestazione dei servizi, affermando con assoluta chiarezza che le misure protezioniste negli Stati membri devono essere abolite e che sono disponibili sportelli unici per aiutare i prestatori di servizi a spostarsi nell’Unione europea.
Vi sono ancora un paio di punti che dobbiamo discutere in Parlamento, e sono punti che abbiamo già discusso. Ritengo che oggi la Commissione possa fornire un’importante risposta a queste domande; in modo più specifico, può chiarire un paio di punti assolutamente fondamentali per noi, connessi in particolare al diritto del lavoro, ai diritti alle prestazioni di sicurezza sociale, al diritto penale e agli orientamenti che la Commissione deve provvedere ai sensi della direttiva servizi, con l’intenzione, per quanto ne so, non di incominciare a fornire interpretazioni sull’attuazione della direttiva servizi, ma piuttosto di garantire che la direttiva rappresenti un aiuto per gli Stati membri. L’interpretazione dei testi è compito della Corte di giustizia e non della Commissione. La Commissione lo ha capito e ne siamo assai soddisfatti.
Signor Presidente, attendo ora con grandissimo interesse la dichiarazione della Commissione.
(Applausi)
Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, il voto in seconda lettura sulla direttiva servizi sarà una pietra miliare nella storia del Parlamento europeo, non solo per l’importanza di questa direttiva per i cittadini e le imprese europei, ma anche per il ruolo di guida che il Parlamento ha svolto nel processo legislativo.
E’ innegabile che la direttiva sui servizi costituisce un elemento essenziale dei nostri sforzi mirati a sollevare l’economia europea e a sfruttare il potenziale del mercato interno per i servizi.
Il testo ora all’esame offrirà un reale valore aggiunto al mercato interno, riducendo la burocrazia, rimuovendo le barriere e migliorando la certezza giuridica per imprese e consumatori. Getta fondamenta solide per una nuova struttura del mercato interno con un impatto positivo sulla libertà di stabilimento e la creazione di nuove attività.
Questo è cruciale per sostenere l’imprenditorialità e per promuovere la crescita e l’occupazione. I prestatori di servizi possono star certi di avere di fronte regimi di autorizzazione equi e trasparenti e procedure semplici e rapide. Potranno ottenere informazioni ed espletare tutte le formalità amministrative attraverso sportelli unici in qualsiasi Stato membro e, inoltre, per via elettronica. Questo semplificherà, accelererà e ridurrà il costo per la creazione di nuove imprese e risolverà la necessità di trattare con livelli diversi di autorità.
Parimenti, la direttiva darà finalmente una spinta alla prestazione transfrontaliera di servizi. La nuova disposizione sulla libertà di prestazione dei servizi, che era al cuore del compromesso in prima lettura, pone in giusto equilibrio la garanzia del diritto dei prestatori di servizi al libero accesso e al libero esercizio di un’attività di prestazione di servizi, riconoscendo nel contempo agli Stati membri il diritto di invocare i propri requisiti essenziali in determinate circostanze chiaramente definite. Questo migliorerà nettamente la certezza giuridica per i prestatori di servizi e per i consumatori.
E’ importante che la direttiva sarà sostenuta dagli obblighi imposti agli Stati membri di cooperare e aiutarsi reciprocamente per garantire che le imprese siano controllate in modo adeguato ed efficiente in tutta l’Unione europea, evitando la duplicazione di controlli.
Questi tre elementi – la semplificazione dello stabilimento, la libertà di prestazione dei servizi e infine l’assistenza e la cooperazione tra gli Stati membri – sono sempre stati al centro dell’impegno della Commissione per aprire il mercato dei servizi. La posizione del Parlamento europeo è stata cruciale per trovare un largo consenso su questi punti.
Nell’affrontare questo fascicolo, il Parlamento europeo ha dimostrato la propria maturità e capacità di trovare compromessi equilibrati su questioni molto complesse. In prima lettura avete chiaramente assunto la direzione e siete riusciti a raggiungere il largo consenso che auspicavamo.
Raggiungere un consenso in seno al Consiglio non è stato facile. Alcuni Stati membri hanno avuto serie difficoltà nell’accettare il vostro delicato compromesso sul campo di applicazione della proposta e sul meccanismo relativo alla libertà di prestazione dei servizi. Alla fine, dopo una vigorosa difesa da parte della Commissione e della Presidenza del compromesso raggiunto in Parlamento, la posizione comune è stata adottata. E’ una posizione comune che rispetta e riflette il compromesso politico del Parlamento, contenente soltanto modifiche minori introdotte soprattutto per offrire una maggiore chiarezza giuridica.
Siete consapevoli del fatto che il compromesso rispecchiato nella posizione comune è molto delicato e fragile. Un tentativo di riaprire il testo genererà inevitabilmente un nuovo dibattito nel Consiglio e metterà in pericolo il compromesso raggiunto. Esorto l’Assemblea a riconoscere che la posizione comune riflette da vicino la prima lettura del Parlamento e a evitare di chiedere ulteriori modifiche mediante emendamenti. Il voto del 23 ottobre 2006 in seno alla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori dimostra che questo è possibile.
A questo punto non vi sono emendamenti “tecnici” o “minori”.
Sono consapevole che nelle discussioni che hanno preceduto il voto in commissione sono state sollevate certe questioni istituzionali e giuridiche che preoccupano alcuni deputati al Parlamento europeo. In questo contesto, vorrei fare le seguenti dichiarazioni al fine di rispondere alle preoccupazioni espresse da alcuni di voi.
“Riguardo al controllo dei requisiti nazionali che gli Stati membri applicano ai servizi forniti da altri Stati membri, il Consiglio ha chiesto alla Commissione di fornire orientamenti e analisi, e la Commissione farà del suo meglio per assolvere tale compito. Questo non darà poteri supplementari alla Commissione, che, in virtù del Trattato, quando lo ritenga necessario, può formulare raccomandazioni o pareri nei settori definiti dal Trattato. Gli orientamenti serviranno soltanto ad assistere gli Stati membri ad applicare la direttiva in modo corretto. Non offriranno un’interpretazione giuridicamente vincolante della direttiva, che è prerogativa della Corte di giustizia, né modificheranno le disposizioni della direttiva stessa, che è prerogativa del Parlamento europeo e del Consiglio. La Commissione svolgerà questo compito in modo aperto e trasparente in stretta cooperazione con le altre Istituzioni. In particolare informerà regolarmente il Parlamento europeo sui risultati e sul seguito dato alla sua analisi.
Riguardo alla necessità di ulteriori armonizzazioni, nella futura revisione della direttiva, la Commissione valuterà se, nel campo dei servizi, siano necessarie ulteriori misure e, in tal caso, quale genere di misure sia adatto. La Commissione, in particolare, esaminerà se per certi servizi o certe questioni sia necessaria un’ulteriore armonizzazione.
La Commissione prenderà così in considerazione i suggerimenti espressi dal Parlamento europeo, in particolare in prima lettura della direttiva. Ove necessario, e in linea con il nostro approccio di miglioramento della normativa, la Commissione presenterà proposte specifiche, anche per l’armonizzazione, ove ciò sia giustificato.
Riguardo all’impatto della direttiva sul diritto del lavoro, il Parlamento europeo e il Consiglio volevano evitare che la direttiva intaccasse il diritto del lavoro o i diritti delle parti sociali di difendere i loro interessi collettivi. La Commissione vuole affermare inequivocabilmente che la direttiva sui servizi non avrà effetto sul diritto del lavoro stabilito nelle legislazioni nazionali né sulle prassi stabilite negli Stati membri e non intaccherà i diritti collettivi delle parti sociali definiti secondo la legislazione e le prassi nazionali. La direttiva servizi avrà un impatto neutrale nei confronti dei diversi modelli degli Stati membri relativi al ruolo delle parti sociali e delle modalità di difesa degli interessi collettivi in base al diritto e alle prassi nazionali. Resterà comunque d’applicazione il diritto comunitario, in particolare il Trattato.
Riguardo all’impatto della direttiva servizi sul diritto penale, come è dichiarato nel testo, la direttiva servizi non avrà ripercussioni sulle norme di diritto penale degli Stati membri. Questo significa che in generale gli Stati membri potranno applicare le loro norme di diritto penale non solo ai prestatori di servizi stabiliti sul loro territorio, ma anche ai prestatori stranieri che operano sul loro territorio. Questo perché le norme di diritto penale, in generale, si applicano a tutti nello stesso modo, indipendentemente dal fatto che venga prestato un servizio. Comunque, gli Stati membri non potranno ricorrere al diritto penale per aggirare o impedire l’applicazione delle disposizioni della direttiva servizi.
In merito all’impatto della direttiva sui servizi sociali, i servizi sociali relativi all’edilizia popolare, all’assistenza all’infanzia e al sostegno a famiglie e persone bisognose sono una manifestazione del principio di coesione sociale e solidarietà nella società e sono prestati dallo Stato, da prestatori di servizi per conto dello Stato o da organizzazioni di volontariato riconosciute. Questi servizi sono stati pertanto esclusi dal campo di applicazione della direttiva servizi. E’ chiaro che questa esclusione copre anche i servizi prestati da chiese e organizzazioni ecclesiastiche a scopi caritatevoli e filantropici.”
Ho disposto che il testo di queste dichiarazioni sia consegnato al Segretariato affinché venga incluso nel verbale di questa tornata.
Spero che queste dichiarazioni contribuiscano a fugare le preoccupazioni sollevate da alcuni. La Commissione spera che faciliteranno l’accettazione della posizione comune da parte del Parlamento.
Prima di concludere, noto che l’onorevole McCarthy ha presentato a nome della sua commissione tre emendamenti relativi alla nuova procedura normativa con scrutinio. Questi emendamenti sono il risultato dell’accordo raggiunto fra le tre Istituzioni l’estate scorsa sulla revisione della procedura di comitatologia e possono essere accettati dalla Commissione.
La settimana prossima ricorrono due anni dall’insediamento di questa Commissione e dalla mia nomina a Commissario per il mercato interno e i servizi. Per gran parte di tale periodo il dibattito sulla direttiva servizi è stato in primo piano. Penso che ora dovremmo adottare la direttiva e cominciare ad attuarla. Attendo con interesse di ascoltare il parere del Parlamento.
(Applausi)
Mauri Pekkarinen, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevole Gebhardt, signor Commissario, onorevoli deputati, come hanno già detto gli oratori intervenuti in precedenza, oggi stiamo facendo la storia del mercato interno.
Per quasi tre anni il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sono stati impegnati in un lavoro accurato e ambizioso sulla direttiva servizi. Veramente il lavoro non è sempre stato facile e talvolta i progressi sono stati lenti. Possiamo consolarci per il fatto che oggi esiste qui in Parlamento un consenso più forte che mai prima durante il processo di elaborazione.
La direttiva rappresenta una notevole riforma europea. Non stupisce, quindi, che si siano incontrati numerosi ostacoli per giungere all’accordo. Ci sono state autentiche divergenze di opinione sul suo contenuto, oltre a occasionali lievi malintesi.
Anche se oggi tutti vogliamo guardare al futuro, vorrei comunque sollevare un paio di questioni che sono sorte durante il processo di elaborazione. In primo luogo, desidero ricordare a tutti il voto in Parlamento della primavera scorsa, il cui risultato potrebbe essere considerato un compromesso storico. Il Parlamento è riuscito a pervenire a un compromesso in quella che era una situazione politica molto difficile, e questo ha permesso di procedere con la proposta di direttiva a una fase successiva e riuscita di elaborazione.
In proposito, desidero ringraziare ancora una volta il Parlamento europeo per tale compromesso, specialmente la relatrice, onorevole Gebhardt, la presidente della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, onorevole McCarthy, i relatori ombra e numerosi altri deputati che hanno lavorato con molto impegno per trovare soluzioni comuni.
Sei Presidenze del Consiglio hanno partecipato al difficile compito della formulazione della direttiva. Per la Finlandia, il paese che detiene in questo momento la Presidenza, la situazione attuale è una sfida a un tempo gradita e impegnativa. La Presidenza finlandese è stata in grado di sfruttare i risultati conseguiti dalle Presidenze precedenti, specialmente dalla Presidenza austriaca. La posizione comune del Consiglio dopo la primavera scorsa ha dato alla Presidenza un forte mandato di portare avanti la questione.
Molto lavoro ha richiesto anche l’adozione della posizione comune nel Consiglio, che ha comportato una considerevole flessibilità e una vera volontà di compromesso. Apprezzo, poi, in particolare la sensibilità dimostrata dal Parlamento europeo riguardo all’adozione di una decisione comune anche in questo ambito e il valore aggiunto che ne deriva.
Anche il ruolo della Commissione è stato cruciale nel processo di elaborazione. Quando il dibattito in Parlamento e nel Consiglio è stato particolarmente veemente, la Commissione, in modo coerente con il suo ruolo fondamentale, si è sforzata di usare argomenti costruttivi per orientare il processo di elaborazione verso una direzione sostenibile.
Oggi il Commissario McCreevy ha menzionato alcune questioni delicate nella direttiva, sulle quali è stato chiesto alla Commissione di adottare una posizione. Parlando a nome della Presidenza, sostengo pienamente e condivido il messaggio del Commissario, la necessità di formulare una dichiarazione e il suo contenuto. Il ruolo personale del Commissario durante il complesso processo di stesura è stato esemplare per la sua obiettività e per il modo in cui ha rispettato le opinioni di entrambe le Istituzioni.
Un risultato di questo lungo processo di elaborazione è che la proposta di direttiva è ora cambiata sotto vari profili durante il dibattito. L’obiettivo e l’intenzione comuni di sviluppare il mercato interno sono comunque rimasti immutati. La direttiva aprirà numerose porte, tanto ai prestatori di servizi quanto, al tempo stesso, agli utenti dei servizi, che siano consumatori o imprese.
La direttiva non rappresenta comunque il punto finale dello sviluppo del mercato interno dei servizi. Al contrario, è un passo in avanti unico nello sviluppo del mercato interno dei servizi vitali. E’ diventato chiaro negli ultimi anni che le disposizioni contenute nel Trattato non sono sufficienti da sole per regolare con chiarezza assoluta il mercato interno dei servizi, che costituisce il vero cuore dell’Unione. Ritengo che la direttiva servizi fornirà agli operatori del mercato proprio il tipo di sicurezza giuridica che attendevano da così lungo tempo. Questo è il più grande valore aggiunto della direttiva.
La Presidenza finlandese del Consiglio apprezza vivamente il fatto che oggi si voti soltanto su alcuni degli emendamenti. Tra questi vorrei menzionare i tre emendamenti relativi alla comitatologia presentati in plenaria.
Posso confermarne l’accettazione da parte del Consiglio, il quale può, a tale riguardo, modificare la sua posizione comune. In merito agli altri emendamenti, spero che la posizione comune rimarrà immutata.
Signor Presidente, spero che oggi in plenaria il Parlamento prenderà una decisione finale e definita sulla direttiva servizi. Così l’obiettivo riguardante l’accordo condiviso da entrambe le Istituzioni, il Parlamento europeo e il Consiglio, sarebbe realizzato in seconda lettura.
(Applausi)
Evelyne Gebhardt (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, è mia convinzione che, con la dichiarazione ufficiale dalla Commissione, siano state chiarite le ultime incertezze giuridiche in relazione ad aspetti particolari come, tra l’altro, il diritto del lavoro e la legislazione in materia di sicurezza sociale. Ora mi sento quindi di poter raccomandare all’Assemblea di adottare la posizione comune presentataci dal Consiglio dei ministri senza alcun emendamento, ad eccezione, naturalmente, dei tre emendamenti relativi alla procedura di comitatologia che abbiamo concordato.
Penso che il Parlamento abbia svolto molto bene la sua parte; desidero ringraziare ancora una volta la Commissione e la Presidenza del Consiglio per avere accettato il nostro testo quasi inalterato.
C’è ancora un punto, tuttavia, un po’ spiacevole, sul quale vorrei soffermarmi. Vorrei raccomandare alla presente e alle future Presidenze del Consiglio di abbandonare il tipo di comportamento adottato sinora. Non è accettabile che la Presidenza ripeta continuamente durante una seconda lettura che non è possibile discutere ulteriormente la questione e che non accetti emendamenti voluti dal Parlamento perché in seno al Consiglio è stato realizzato un compromesso fragile. Anche in Parlamento è stato raggiunto un compromesso fragile ed è importante fare in modo che nel corso della codecisione venga data piena espressione ai diritti del Parlamento, del Consiglio dei ministri e della Commissione.
Per questa ragione, il modo in cui si sono svolte le cose in questa occasione non può essere di esempio per i futuri processi legislativi. L’ho accettato questa volta perché è stato adottato il 90 per cento del testo del Parlamento e perché il Parlamento non ha subito grandi perdite. Tuttavia, non sarà sempre così. In questi casi, il Consiglio non deve dire no e insistere che non è più possibile alcuna discussione sulla questione. Questa non è cooperazione costruttiva, e spero sinceramente che si tratti di un caso isolato e che, in futuro, potremo di nuovo avere una normale cooperazione nel processo di codecisione.
(Applausi)
Malcolm Harbour, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, signor Commissario, questo è un giorno importante per i cittadini europei. Lo sottolineo perché talvolta, quando parliamo di concetti come il mercato interno, dimentichiamo che i cittadini sono al centro degli eventi e sono coinvolti nel nostro lavoro politico. Questa direttiva mira a migliorare la vita di tutti i cittadini nell’Unione europea e a promuovere la crescita e il dinamismo nell’economia. E’ quindi fondamentale.
Quello che è così importante riguardo a questa direttiva – e talvolta, forse, lo dimentichiamo durante i nostri grandi dibattiti – è che, di fatto, essa è stata il risultato di un accurato lavoro della Commissione, alla quale desidero rendere omaggio. La direttiva affronta le profonde frustrazioni vissute dalle imprese, in particolare dalle piccole imprese, nell’esercitare i loro diritti nel mercato unico. Questo è lo scopo essenziale della direttiva, e le sue disposizioni sono estremamente particolareggiate. Nei confronti degli Stati membri sono previste non meno di 40 misure specifiche per abbattere le barriere e 65 disposizioni per migliorare le procedure. Ora tocca agli Stati membri; sono loro a dover attuare le misure, e li controlleremo affinché raggiungano gli obiettivi.
Voglio dare particolare rilievo al fatto che per la prima volta viene imposto agli Stati membri un obbligo specifico di promuovere il mercato unico presso le imprese nazionali, di incoraggiare le imprese ad avvalersi del mercato unico nel settore dei servizi, a uscire dai propri confini e a intraprendere relazioni commerciali transfrontaliere. Il mercato unico è un progetto condiviso di tutti noi. Non si decide qui, bensì, di fatto, negli Stati membri. Noi possiamo fare del nostro meglio e questa direttiva è un importante passo avanti nella realizzazione di tale obiettivo.
Un aspetto degno di nota di questa direttiva è che essa è un esempio di buona politica. Perché lo dico? Perché il testo è frutto di molte discussioni costruttive e particolareggiate: lunghi dibattiti e voti in commissione, perché diverse parti volevano avvalorare la propria posizione, negoziato e compromesso.
E’ stato un esempio di buona politica, guidata dall’onorevole Gebhardt, la quale è stata così generosa da ringraziarmi in modo particolare. Da parte mia, voglio dirle che è stato un piacere lavorare con lei. Talvolta si è trattato di una vera sfida, perché lei è stata un leader molto deciso nel portare avanti il lavoro, ma penso che ciò che abbiamo fatto insieme sarà positivo per i cittadini europei. Comunque, non abbiamo lavorato solo noi su questo progetto, ma tutti i membri della nostra commissione, e anche altri. Voglio ringraziare in particolare il mio team nella commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, molti componenti del quale parleranno tra breve, ma abbiamo anche lavorato in stretta cooperazione con i colleghi liberali, in particolare nella votazione cruciale che la Presidenza è stata così gentile da menzionare poco fa. I colleghi ne parleranno ora in modo più dettagliato.
Concludo ringraziando la Federazione delle piccole imprese nel Regno Unito e aggiungendo un paio di punti all’attenzione dell’Assemblea sull’importanza di questa direttiva. Il primo è che le piccole e medie imprese rappresentano quasi il 90 per cento del settore dei servizi; sono fondamentali per questa proposta. In secondo luogo, se ogni piccola impresa in Europa creasse un posto di lavoro, avremmo risolto il problema della disoccupazione nell’Unione europea.
(Applausi)
Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, naturalmente desidero ringraziare l’onorevole Gebhardt a nome del gruppo socialista al Parlamento europeo – e in particolare l’onorevole Goebbels, che purtroppo non può essere qui presente oggi. Come relatrice, l’onorevole Gebhardt ha saputo condurre abilmente la nave della direttiva sui servizi attraverso acque tempestose.
Desidero però ringraziare anche i colleghi degli altri gruppi politici, in particolare il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei. Pur essendoci, ovviamente, divergenze nella visione sociopolitica, credo che abbiamo adempiuto la nostra responsabilità di presentare una soluzione tangibile accettabile per i cittadini europei.
Sono particolarmente riconoscente al Commissario McCreevy, senza il quale questo processo non avrebbe potuto essere strutturato così bene, e alle Presidenze del Consiglio – in particolare quella finlandese, ma anche la Presidenza austriaca. Chiederei al Consiglio di tenere presente che la Presidenza austriaca ha creato un precedente quando ha invitato noi deputati a una riunione del Consiglio. Questo non dovrebbe rimanere un caso isolato; tale possibilità dovrebbe certamente restare aperta anche in altri contesti.
Desidero inoltre ringraziare la Confederazione europea dei sindacati per aver svolto con noi serrate consultazioni e per aver reso possibile il raggiungimento di un compromesso.
Sono nato nel punto in cui un tempo c’era il confine tra est e ovest – tra Vienna e Bratislava – e sono quindi consapevole delle paure, ma anche delle speranze, associate a un mercato interno dei servizi. Se il nazionalismo e il protezionismo stanno guadagnando ancora una volta terreno in molti dei paesi di transizione, come pure in molti dei “vecchi” Stati membri, una delle ragioni potrebbe essere che le persone sono sopraffatte dalla velocità, e talvolta anche dalla brutalità, alla quale si sta creando questo mercato interno. Perciò era così importante trovare un modo per istituire il mercato interno – che è necessario – rendendo nel contempo giustizia alle considerazioni sociali.
In fondo, la politica a livello di UE consiste non solo nel rimuovere gli ostacoli al mercato interno – questa è una parte della questione – ma anche nel creare le condizioni necessarie del quadro politico per rendere questo mercato interno accettabile per i cittadini. Per tali ragioni, il mio gruppo darà il suo convinto appoggio alla direttiva. Naturalmente, abbiamo alcune riserve – che saranno presentate più tardi – ma, nel complesso, il mio gruppo sostiene questo valido compromesso che è stato raggiunto.
Dovremmo avere il coraggio di sostenere oggi questo compromesso e di promuoverlo anche all’esterno. Ancora una volta, un sincero ringraziamento all’onorevole Gebhardt.
(Applausi)
Anneli Jäätteenmäki, a nome del gruppo ALDE. – (FI) Signor Presidente, desidero ringraziare i colleghi Malcolm Harbour ed Evelyne Gebhardt, e molti altri, per l’ottima collaborazione. In particolare ringrazio il Commissario McCreevy, poiché, senza il suo approccio razionale alla cooperazione, certamente non si sarebbero compiuti progressi.
I servizi sono una fonte cruciale di crescita e occupazione nell’Unione europea. Durante il periodo 1997-2002 circa il 96 per cento dei nuovi posti di lavoro è stato creato nei settori dei servizi. E’ quindi importante che non vi siano barriere non necessarie alla crescita a livello nazionale. La direttiva sui servizi è un passo nella giusta direzione.
So che qualcuno in Parlamento non è soddisfatto, perché ritiene che non abbiamo fatto abbastanza, ma c’è anche chi crede che il Parlamento e il Consiglio abbiano fatto un passo troppo grande. La proposta ora al nostro esame è un compromesso; è ciò che è stato possibile realizzare data la situazione.
Il Parlamento europeo è stato accusato di erodere a poco a poco la proposta originale della Commissione. Al tempo stesso, però, nessuno si è preso la briga di menzionare il gran numero di settori ai quali la direttiva ancora si applica. La direttiva copre un’ampia gamma di settori come l’edilizia, i servizi per le imprese, montaggio e installazione, commercio e distribuzione, servizi per i viaggi e il tempo libero.
Scopo di questa proposta è quindi quello di liberalizzare i servizi, riducendone così il costo. La domanda per vari servizi dipende dal prezzo, ma altrettanto importante è la fiducia. Se un prestatore di servizi lavora con puntualità e precisione, la fiducia aumenta e ciò contribuisce ad accrescere il mercato. Non è la direttiva che avrà questo effetto: la responsabilità è del prestatore di servizi.
Per un mercato interno vitale nell’UE, la libera circolazione dei lavoratori è importante tanto quanto la direttiva sui servizi. All’epoca dell’allargamento a est, solamente Svezia, Irlanda e Regno Unito hanno permesso un accesso libero e immediato ai loro mercati del lavoro ai cittadini dei nuovi Stati membri. Ora che sta per avvenire un nuovo allargamento, ancora una volta vi sono Stati membri che erigono barriere. Queste nuove barriere potenziali sono molto fastidiose e causano problemi alla liberalizzazione del mercato interno. Sono un passo indietro. Se vogliamo fare un passo avanti con la direttiva servizi, è auspicabile che si compiano progressi allo stesso modo riguardo alla libera circolazione della manodopera.
(Applausi)
Heide Rühle, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, onorevole Gebhardt, siamo delusi dal rifiuto dei tre principali gruppi, la maggioranza dell’Assemblea, di condurre una vera seconda lettura della direttiva servizi.
L’onorevole Gebhardt si è battuta fino alla fine, ma così sembra ancora più difficile capire come ella possa considerare un grande trionfo per il Parlamento un risultato di cui, ancora di recente, ha detto che conteneva punti giuridicamente imprecisi e poco chiari. Certamente, il Consiglio ci ha messi sotto pressione affermando dall’inizio che qualsiasi emendamento del suo testo avrebbe causato il fallimento dell’intera direttiva – ma quello era lo stesso Consiglio che, in prima lettura, ha affermato di aver seguito il testo del Parlamento praticamente nella sua interezza. Purtroppo, però, il nostro testo non è stato seguito interamente e in alcuni punti si è insinuata una mancanza di chiarezza, principalmente su questioni inerenti all’Europa sociale.
Questa mancanza di chiarezza si riferisce alla definizione e all’esclusione di servizi in modo generico e di servizi di interesse economico generale in particolare. Si riferisce in modo specifico all’esclusione di servizi sociali e al riconoscimento dei contratti collettivi negoziati dalle parti sociali. Non si tratta di questioni insignificanti; si tratta di questioni fondamentali che sono state usate dagli oppositori della Costituzione per ottenere un voto negativo nel referendum francese. Avremmo potuto prendere il Consiglio in parola quando più e più volte ha sottolineato dopo i referendum che la nuova versione della direttiva servizi avrebbe rispettato pienamente i diritti sociali. Purtroppo, però, non è così.
C’è una differenza tra limitarsi a citare l’esempio dei servizi sociali e accontentarsi di un elenco incompleto, che lascia grandi lacune nel caso di alcuni Stati membri e deve quindi essere interpretato dalla Corte di giustizia. E’ incomprensibile come la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori abbia potuto accettare un testo del genere. Dopo tutto, la relatrice per questa commissione, onorevole Rudi Ubeda, che tra l’altro è membro del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, ha affermato nella sua relazione sui servizi sociali che questi servizi differivano notevolmente tra gli Stati membri e che, di conseguenza, era necessaria una definizione. Com’è possibile escludere in modo coerente che assicuri la certezza giuridica un settore non adeguatamente definito?
Purtroppo, tuttavia, la commissione non ha prestato ulteriore attenzione a tale questione, limitandosi a riaffermare la sua volontà di non causare problemi al Consiglio. Di conseguenza, nell’ansia di mostrare obbedienza, ha rinunciato al suo tradizionale diritto di condurre una vera seconda lettura della direttiva servizi. Questo certamente non è un trionfo per il Parlamento; al contrario, è una sconfitta – di cui ci pentiremo per molto tempo a venire.
Neppure la dichiarazione della Commissione cambia questo fatto. Al massimo è vincolante per l’attuale Commissione, ma non è giuridicamente vincolante, poiché l’interpretazione della legge rimane prerogativa della Corte di giustizia – come ha riaffermato oggi il Commissario McCreevy.
Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, nei rapporti tra il Parlamento e il Consiglio si conosceva la codecisione e la conciliazione; oggi, con la direttiva sui servizi, si aggiunge la capitolazione. Come chiamare diversamente l’inverosimile decisione presa dai gruppi maggioritari di cedere alle ingiunzioni del Consiglio accettando di ritirare tutti gli emendamenti esaminati in seno alla commissione del mercato interno e di adottare senza colpo ferire una posizione comune del Consiglio che costituisce indubbiamente un passo indietro rispetto al loro stesso compromesso dello scorso 16 febbraio?
Ricordo che la Confederazione europea dei sindacati aveva giudicato necessario emendare questo testo su alcuni punti che considera “d’importanza capitale”, in particolare nel senso di una “più netta esclusione del diritto del lavoro e dei servizi sociali dalla direttiva e di un maggiore rispetto dei diritti fondamentali”.
Di fatto, il testo del Consiglio subordina la tutela del diritto del lavoro negli Stati membri al rispetto del diritto comunitario – una formula vaga che rinvia alle regole della concorrenza. Alcuni di voi si consolano con una rassicurante dichiarazione del Commissario McCreevy. E’ davvero uno strano atteggiamento! Mi permetto di ricordarvi che proprio il Commissario McCreevy, appena un anno fa, aveva giustificato in nome del diritto comunitario il rifiuto da parte di un’impresa della Lettonia di riconoscere i contratti collettivi della Svezia nella causa Vaxholm, che fece grande scalpore.
D’altra parte, il Consiglio ha ristabilito per la Commissione un esorbitante potere di controllo – a priori e a posteriori – sulla legislazione degli Stati membri, potere che il Parlamento voleva limitare. Il Commissario McCreevy considera questo cambiamento un miglioramento cruciale, ed è comprensibile, ma come lo considera il Parlamento? Nessuno dice niente.
Infine, come temevamo, si è già cominciato a sfruttare le ambiguità e le zone grigie del testo della direttiva, che avevo denunciato già in prima lettura, a nome del mio gruppo, perché, come dicevo, prestano il fianco a interpretazioni incontrollabili da parte della Commissione e della Corte. Ad esempio, la comunicazione della Commissione sui servizi sociali sviluppa una visione estremamente riduttiva di questi servizi, i quali, come tra l’altro il Commissario Špidla ha tenuto a sottolineare, rientreranno sempre più nel campo di applicazione del diritto comunitario in materia di mercato interno e di concorrenza.
Un’altra comunicazione della Commissione, relativa al distacco dei lavoratori, attacca le regolamentazioni di certi Stati membri nei confronti di prestatori di servizi di altri paesi dell’Unione, giudicandole sproporzionate. Anche qui la Commissione si rifà all’inesauribile giurisprudenza della Corte. Dove sono dunque le salvaguardie che la direttiva doveva offrirci contro questa deriva di tutta la vita sociale verso una concorrenza stile “liberi tutti”?
In generale, il Presidente in carica aveva avvertito lucidamente: “l’interpretazione della Corte sarà necessaria in numerosi casi”. Ebbene, il mio gruppo non appoggerà questa gigantesca opera di deregolamentazione. A mio parere, oltre alla questione dei servizi, si pone quella del concetto stesso di integrazione europea. Vogliamo armonizzare le regole di protezione verso l’alto mediante la legge, oppure accettiamo l’armonizzazione attraverso il mercato e la concorrenza, che porta con sé inevitabilmente un abbassamento del livello delle norme? Vogliamo promuovere la democrazia parlamentare e dei cittadini, o vogliamo lasciarci governare a colpi di giurisprudenza e di comunicazioni interpretative?
A poche settimane dal cinquantenario del Trattato di Roma, è legittimo porsi queste domande e scommetto che presto le porranno con forza anche molti dei nostri concittadini.
(Applausi)
Adam Jerzy Bielan, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, il settore di servizi è responsabile per quasi il 70 per cento del PIL dell’Unione europea ed è la principale fonte di crescita economica. Tuttavia, esistono migliaia di ostacoli amministrativi allo sviluppo di questo settore.
Lo scopo principale della direttiva servizi è tagliare questa burocrazia, cosa che faciliterebbe poi la prestazione di servizi transfrontalieri sui mercati dei 25 Stati membri. La Commissione europea ha identificato oltre 90 ostacoli che i prestatori di servizi, come meccanici, ragionieri e specialisti di informatica, devono superare per poter svolgere la loro attività in un altro Stato membro.
Di norma, queste difficoltà sono create intenzionalmente da paesi che temono la concorrenza di imprenditori di altri Stati e vogliono proteggere i propri mercati a qualsiasi prezzo. Di solito ciò avviene a spese del consumatore, al quale sono offerti servizi più costosi e di qualità più bassa.
Anche in questa forma indebolita, la direttiva servizi è un passo nella giusta direzione sulla strada lunga e tortuosa diretta a rendere competitiva l’economia europea e a semplificare la vita, specialmente per le piccole imprese. Gli anni a venire dimostreranno se, come sostiene il Commissario McCreevy, diventerà una pietra miliare in termini di rimozione degli ostacoli alla prestazione di servizi sul mercato interno. Conosceremo il risultato solo quando gli Stati membri integreranno la direttiva nell’ordinamento giuridico nazionale in un modo tale da minimizzare effettivamente questi ostacoli, che sono incompatibili con il principio della libera prestazione di servizi sancito dal Trattato e danneggiano i consumatori e gli imprenditori europei.
La Commissione europea dovrebbe svolgere al riguardo un ruolo significativo e agire nella sua veste di custode dei Trattati e della legislazione europea per garantirne il rispetto. Fortunatamente, siamo riusciti a evitare un ulteriore deterioramento della direttiva servizi rifiutando, in sede di commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, tutti gli emendamenti proposti dalla relatrice, onorevole Gebhardt. Indebolire ulteriormente la direttiva servizi ratificata dal Consiglio, che costituisce comunque un compromesso difficile, non solo sarebbe dannoso per il libero mercato dei servizi, ma potrebbe anche condurre a scartare l’intero progetto e a sprecare così tre anni di duro lavoro.
Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (DA) Signor Presidente, quella che il Parlamento sta per approvare oggi è una direttiva per avvocati e giudici. Saranno i giudici di Lussemburgo a determinare quello che è stato deciso. Le regole sono assai poco chiare. Ho cercato invano di rimuovere le peggiori imprecisioni mediante tre emendamenti inequivocabili.
Primo: gli Stati membri possono chiedere il rispetto dei contratti collettivi locali da parte di tutte le parti prestatrici di servizi. Secondo: gli Stati membri possono decidere autonomamente quali servizi saranno prestati sotto l’egida pubblica e quali saranno soggetti al mercato. Terzo: gli Stati membri possono applicare l’IVA e altre imposte sui servizi forniti da imprese straniere. Si tratta di tre importanti questioni sulle quali non ho ricevuto risposte chiare. Il Movimento di giugno è favorevole a un mercato unico dei servizi e diamo il benvenuto, in particolare, a lavoratori e imprese dei nuovi Stati membri, ma si devono applicare i livelli retributivi danesi. La concorrenza non deve basarsi su retribuzioni più basse, condizioni di lavoro meno rigorose o aliquote più basse di IVA e tasse.
Marine Le Pen (NI). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nove mesi dopo la sua adozione in prima lettura, il Parlamento europeo chiude la direttiva sui servizi, detta direttiva Bolkestein, approvando senza emendamenti la posizione comune del Consiglio. E’ una vittoria della socialdemocrazia, convinta dall’ultraliberismo economico.
A eccezione dei servizi di interesse generale non commerciali, nulla sfugge alla liberalizzazione dei servizi. Nemmeno i servizi sociali sono del tutto esclusi dalla relazione Gebhardt. Ingannate i cittadini, onorevoli colleghi. Questa direttiva non farà sparire il dumping sociale, fiscale e salariale. I fornitori di servizi abili e disonesti continueranno a giocare sulle legislazioni nazionali e a sfruttare i punti deboli della direttiva appoggiandosi sulle direttive settoriali.
Un esempio: più di 100 000 lavoratori dell’edilizia sono distaccati in Francia per contratti temporanei, la maggior parte di essi non dichiarati. Esiste un dumping sociale legale per quanto riguarda le responsabilità, perché i lavoratori distaccati restano affiliati al regime di sicurezza sociale del loro paese d’origine. In questi casi, il diritto del lavoro viene violato legalmente.
Infine, siamo contrari ai meccanismi di valutazione delle restrizioni nazionali alla prestazione transfrontaliera di servizi: si tratta di un inammissibile controllo sugli Stati da parte della Commissione e di un eccesso di burocrazia comunitaria.
Per queste ragioni, voteremo contro la relazione Gebhardt.
Marianne Thyssen (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, siamo riusciti a trasformare una proposta che era di gran lunga troppo trasversale nel suo campo di applicazione, di gran lunga troppo radicale nella sua spinta alla deregolamentazione e poco realistica in termini di attuazione in una direttiva che fa esattamente ciò che deve fare, vale a dire rimuovere gli ostacoli per le imprese che desiderano stabilirsi all’estero e per i prestatori di servizi al fine di consentire loro di svolgere attività transfrontaliere e, quindi, di consentire a tutti, comprese le PMI, di avvalersi dei loro diritti fondamentali ai sensi del Trattato.
Nonostante le posizioni iniziali molto diverse, non solo tra i gruppi ma anche al loro interno, e chiaramente anche tra gli Stati membri, e nonostante molti malintesi sul contenuto e sulle ripercussioni della proposta, siamo riusciti a produrre un prodotto finale equilibrato e giustificabile, in parte ascoltando con attenzione le reciproche ragioni e quelle dei cittadini, in parte lavorando insieme in maniera costruttiva.
Economicamente e socialmente, stiamo offrendo una migliore apertura del mercato interno a vantaggio dei servizi, per una maggiore crescita e per l’occupazione, senza penalizzare i consumatori né la protezione sociale. Istituzionalmente, abbiamo dimostrato che la democrazia europea funziona e che il Parlamento prende sul serio le proprie responsabilità. Giuridicamente, anche se la formulazione lascia un poco a desiderare, certamente ci preoccupiamo di apportare un valore aggiunto stabilendo una maggiore certezza giuridica.
Spero quindi che manterremo questo approccio al momento di votare e che riusciremo ad approvare la posizione comune con una maggioranza molto vasta, poiché, in fondo, tale posizione rispecchia in modo adeguato il compromesso che noi stessi abbiamo formulato. Anch’io vorrei esprimere il mio apprezzamento per tutti coloro che, durante il corso di questi ultimi due anni, sono riusciti a lavorare insieme, non solo i responsabili politici nelle tre Istituzioni ma anche il personale.
Arlene McCarthy (PSE). – (EN) Signor Presidente, oggi, come presidente della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sono immensamente orgogliosa del lavoro e dell’impegno sia della nostra relatrice che dei membri della commissione, per aver permesso all’Europa di dare finalmente il via libera all’apertura del mercato dei servizi. Sono stati i deputati e il Parlamento a trovare il compromesso necessario per salvare la legislazione sui servizi dall’impasse nazionale e dalla paralisi nel Consiglio.
Nella stampa britannica, sorprendentemente, il Parlamento è stato lodato per essersi coalizzato dimostrandosi “un’istituzione seria ed efficace”. L’articolo prosegue dicendo che la chiave del successo della legge sui servizi è stata forgiata qui a Strasburgo. Concordo con il giornalista quando afferma che è ora di dare più ascolto al Parlamento europeo.
Voglio ringraziare il Consiglio e la Commissione per aver riconosciuto il diritto del Parlamento di controllo normativo nelle nuove procedure e per aver accettato i nostri tre emendamenti. Questo è stato l’atto legislativo più controverso ma anche più importante nell’Unione europea. Nonostante le differenze ideologiche e nazionali, noi deputati al Parlamento europeo siamo riusciti a trovare un modo per aprire il mercato, aumentare i posti di lavoro e la crescita e dare ai nostri cittadini la fiducia e la sicurezza per usare e accedere a tali servizi in tutta l’Europa.
La legge è stata controversa nella riduzione della burocrazia per le imprese, ma dobbiamo assicurare standard di qualità elevati e scelta per i consumatori, salvaguardando nel contempo le condizioni di lavoro, la salute e la sicurezza dei lavoratori. Il Parlamento ha ascoltato le preoccupazioni e i timori dei cittadini, cosicché la libertà di prestazione di servizi non è la libertà che mina i diritti dei consumatori o dei lavoratori. Ogni Stato membro ora deve assicurare il libero accesso al proprio territorio, e deve essere ugualmente chiaro che il diritto di mantenere regole nazionali, proteggere la politica pubblica, la salute pubblica, la sicurezza o l’ambiente non deve significare che la legittima protezione si trasformi in un negativo protezionismo. Tale protezione dev’essere giustificabile e proporzionata, senza discriminare altri operatori.
Guardiamo al futuro. La prova del nove sarà la nostra capacità di realizzare gli obiettivi, di aprire il mercato per le imprese e far sì che ne beneficino i nostri consumatori. Non possiamo parlare di benefici se non raggiungiamo gli obiettivi.
Il nostro lavoro non è ancora finito. Le nostre tre Istituzioni devono continuare a lavorare insieme per tener fede all’impegno di ottenere risultati concreti. Certamente, come presidente della commissione per il mercato interno, sono pronta a tener fede al nostro impegno di aiutare la Commissione e il Consiglio affinché rispettiamo i diritti dei consumatori e dei lavoratori e conseguiamo gli obiettivi a favore delle imprese di tutta l’Europa.
PRESIDENZA DELL’ON. FRIEDRICH Vicepresidente
Toine Manders (ALDE). – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, siamo giunti a un momento storico, perché in questo Parlamento, come organismo politico, abbiamo preso una decisione propria su una delle libertà fondamentali. Lasceremo alla Corte di giustizia il compito di trattare gli altri aspetti, perché ieri sera eravamo ansiosi – a proposito del gioco d’azzardo – di affrontare il vero lavoro sporco. Invece lo lasceremo ai giudici della Corte di giustizia, che non sono eletti. Sono lieto che ora, finalmente, i politici, i rappresentanti eletti dei cittadini d’Europa, abbiano preso una decisione sulla libera circolazione dei servizi. Sono particolarmente grato all’onorevole Gebhardt per aver fatto in modo che il suo gruppo non proponesse emendamenti.
Ho notato anche che l’atmosfera, ora che il compromesso è sul tavolo, è migliorata notevolmente, perché questo tema era fonte di molta tensione. A mio parere, comunque, non si tratta della tensione tra Polonia e Francia, tra i Paesi Bassi e gli Stati baltici o cose del genere. Si tratta di Europa, Cina e India. Noi, come europei, non dobbiamo quindi perdere slancio quando sono coinvolti i diversi popoli.
Pierre Jonckheer (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, desidero fare due osservazioni. Vorrei insistere sul fatto che gli otto emendamenti presentati dal nostro gruppo sono stati votati dal Parlamento in prima lettura, con una maggioranza sufficiente. Ciò dimostra chiaramente che la posizione comune del Consiglio non riflette appieno il testo del Parlamento.
La seconda osservazione che vorrei fare è la seguente: prima di lanciarci in grandi voli pindarici sulla portata storica della direttiva, dovremmo essere cauti. Ricordo che questa direttiva sarà attuata da tutti gli Stati membri al più tardi nel 2009 e che la prima relazione di valutazione della Commissione sarà presentata al Parlamento europeo solo nel 2010. Solo allora vedremo qual è la portata reale di questo testo nei vari Stati membri, al termine della procedura di valutazione prevista all’articolo 39 della direttiva stessa. Invito coloro che ci promettono un futuro migliore e che parlano di milioni di nuovi posti di lavoro a essere prudenti: non facciamo ai cittadini europei promesse che non siamo certi di poter mantenere.
Per concludere, dirò qualche parola sulla filosofia generale che sottende questa proposta: il nostro gruppo ha appoggiato la libera prestazione dei servizi e in particolare la libera prestazione dei servizi transfrontalieri. Ma al tempo stesso abbiamo sempre affermato la nostra esigenza di avere tutte le garanzie in materia di condizioni di lavoro e di divieto del lavoro illegale, e che queste condizioni siano rispettate in tutto il territorio dell’Unione. Da questo punto di vista, Commissario McCreevy, accolgo la sua dichiarazione, che però impegna politicamente soltanto l’attuale Commissione. Nel 2010 ci sarà un’altra Commissione.
Sahra Wagenknecht (GUE/NGL). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sin dall’inizio, la direttiva servizi è stata il progetto di chi in Europa vuole veder prevalere il capitalismo senza alcuna salvaguardia sociale. La direttiva incoraggerà la liberalizzazione, la deregolamentazione e la privatizzazione, nonché il dumping salariale e sociale su una scala senza precedenti. Le imprese saranno soddisfatte, ma per la maggioranza dei cittadini sarà un disastro. Nonostante tutte le proteste e tutta l’opposizione, oggi il Parlamento adotterà questa direttiva, e coloro che ne trarranno vantaggio devono ringraziare in particolare quanti nel gruppo socialista al Parlamento europeo hanno fatto del loro meglio per gettare fumo negli occhi delle persone con menzogne e falsità.
Il compromesso che sarà adottato oggi non mantiene in vita quel che resta di un’Europa sociale. E’ un martello neoliberale progettato per abbattere tutti gli aspetti sociali. Quelli che lo sostengono devono farlo tenendo gli occhi aperti. Noi continueremo a opporci a questo assalto neoliberale.
Guntars Krasts (UEN). – (LV) Di consueto si ritiene che le nuove leggi migliorino, rafforzino e contribuiscano al successo delle attività dell’Unione europea. Non è così, tuttavia, per il progetto di direttiva oggi in discussione. La Commissione europea precedente aveva fondato la proposta di direttiva sul principio del paese d’origine – un principio sviluppato dalla Corte di giustizia e consolidato nella giurisprudenza del diritto privato internazionale. L’attuale Commissione si è affrettata a collocare la direttiva, basata sul principio del paese d’origine, entro i principi dei documenti strategici dell’Unione europea, compresa la strategia di Lisbona. Questa chiave per l’apertura del mercato dei servizi europeo, tuttavia, si è rotta nelle mani del Parlamento. Il principio del paese d’origine è scomparso dal testo della direttiva e la formulazione delle disposizioni dell’articolo 16 assomiglia al principio del reciproco riconoscimento – un principio che in pratica potrebbe rivelarsi troppo soggettivo e ingombrante per aprire il mercato di servizi. Oggi il Parlamento europeo delegherà agli Stati membri la piena responsabilità di decidere se, quando e come si svilupperà il mercato dei servizi dell’Unione europea. Possiamo solo sperare che questo, di fatto, si realizzi.
Patrick Louis (IND/DEM). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, alla vigilia del referendum in Francia, l’UMP giurava che la direttiva Bolkestein era stata ritirata e i socialisti dicevano che era finita nelle pattumiere della storia. Entrambi non solo hanno mentito, ma oggi aggravano la loro posizione in almeno quattro punti.
Primo punto: il principio del paese d’origine. Si lascia mano libera alla Corte di giustizia, che ha inventato questo concetto nelle sue sentenze nelle cause Cassis de Dijon e Säger. Di sicuro non vorrà sacrificare la sua creazione!
Secondo punto: la protezione dei lavoratori. Si subordina il diritto del lavoro, di competenza nazionale, al rispetto del diritto comunitario, senza Trattato né ratifica. A che punto si arriverà nel sostituire il diritto del lavoro con il diritto commerciale?
Terzo punto: il controllo dei prestatori di servizi. Si pongono gli Stati membri in una situazione insostenibile impedendo loro di esercitare qualsiasi controllo. Che cosa possono sapere delle condizioni di lavoro in un’impresa polacca che non conoscono neanche?
Quarto punto: i servizi coperti dalla direttiva. Si allarga di nuovo il campo di applicazione della direttiva, che toccherà circa 6 000 professioni e forse di più, viste le ambiguità del testo.
In conclusione, ritengo che, con questo compromesso voluto da tutti i 25 Stati membri, la Corte e la Commissione acquistino un potere esorbitante per realizzare il mercato interno, senza preoccuparsi del dumping sociale che schiaccia i nostri lavoratori e che continuerà a pesare sulla disoccupazione. Il popolo è stato ingannato sull’adesione della Turchia, abbindolato sul caso dell’IVA, disprezzato nel suo rifiuto del superstato e ora tradito sulla direttiva Bolkestein! Francamente, quanti di noi oggi possono guardare in faccia un elettore?
Mario Borghezio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, le finalità – rispetto al progetto originario della Commissione, che era già altrettanto pericoloso – di imporre una regolamentazione unica per tutti gli Stati membri dell’Unione europea sono da noi considerate, anche alla luce degli interessi diffusi del sistema delle piccole e medie imprese, specialmente quelle della Padania, ancora molto pericolose, perché esse portano a una concorrenza spietata nel settore dei servizi che – lo ricordiamo – rappresenta il 70 per cento del PIL prodotto all’interno dell’Unione europea.
E’ lecito chiedersi se, su un tema così delicato, siano stati veramente ascoltati e accolti i rilievi fatti dalla società civile o se i pericoli di dumping sociale ed economico siano stati effettivamente eliminati da questa nuova versione edulcorata della direttiva Bolkestein. Purtroppo la concorrenza sleale da parte di imprenditori spregiudicati a danno del sistema delle piccole e medie imprese, che invece lavorano nel pieno rispetto delle leggi, è a tutt’oggi presente e questi sono i risultati di una liberalizzazione che è stata voluta dalla Commissione e dalla Corte di giustizia delle Comunità europee. Noi diciamo “no” a questo centralismo burocratico dell’Unione europea.
József Szájer (PPE-DE). – (HU) Signor Presidente, insieme a molti altri deputati dei nuovi Stati membri, l’anno scorso in prima lettura non ho votato a favore della direttiva servizi. Tuttavia, in questa votazione, intendo sostenerla. All’epoca non l’ho appoggiata perché desideravo inviare un messaggio: nell’Europa di recente riunificata non è ammissibile ignorare gli interessi dei nuovi Stati membri quando si adotta un importante nuovo atto legislativo. L’avvertimento è servito. Effettivamente, questo ha aiutato il Consiglio a compiere progressi, ad esempio, nei settori molto discussi del diritto penale e del diritto del lavoro che ostacolavano la libera prestazione di servizi.
Vorrei sottolineare che il nuovo testo obbliga ogni Stato membro a rivedere le leggi in vigore che impediscono la libera prestazione di servizi. Tutti questi sono passi nella giusta direzione. Successivamente alla prima lettura, è stato perseguito più attivamente il coinvolgimento dei nuovi Stati membri e dei deputati di quei paesi. Sono fiducioso che la fine del dibattito, spesso difficile e aspro, sulla direttiva servizi aiuterà l’Unione a lasciarsi alle spalle quel periodo di crisi, a imprimere nuovo slancio al mercato interno e a dare alle piccole e medie imprese un’occasione per creare più posti di lavoro e contribuire ad accelerare la crescita economica dell’Unione.
Nondimeno dobbiamo anche imparare da questo processo. Dobbiamo lavorare di più per ripristinare la fiducia tra vecchi e nuovi Stati membri. A tal fine, occorre fermare l’allarmismo secondo cui la manodopera e i servizi a costi inferiori dei nuovi membri minacceranno il modello sociale dei vecchi Stati membri. Si tratta di un timore infondato ed è un tradimento del principio della libera concorrenza che è alla base dell’economia dell’Unione.
I nuovi Stati membri hanno aperto molto tempo fa i loro mercati ai beni e ai capitali e non è sempre stato facile. Ora tocca ai vecchi Stati membri aprire i loro mercati ai servizi. La direttiva servizi che sta per essere adottata costituisce un passo avanti. Avremmo preferito compiere un passo più lungo, ma tutti hanno rinunciato a qualcosa. La direttiva servizi deve ora superare le prove della praticità e della Corte di giustizia delle Comunità europee. Auguro a questo testo di riuscire a superare entrambe le prove.
Harlem Désir (PSE). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, grazie al lavoro e alla determinazione della nostra relatrice Evelyne Gebhardt, e grazie anche alla mobilitazione del movimento sindacale europeo, in prima lettura il Parlamento ha rimosso i principali pericoli dalla direttiva servizi nella sua versione iniziale, quella del Commissario Bolkestein. Il Parlamento è riuscito a rimuovere dalla direttiva tutti i servizi sociali, compresa l’edilizia popolare, i servizi sanitari, i servizi audiovisivi, i trasporti e le agenzie di lavoro temporaneo. Parimenti, la direttiva sul distacco dei lavoratori e il diritto del lavoro non potevano essere intaccati, eliminando così i principali pericoli di dumping sociale. Anche il principio del paese d’origine è stato soppresso. Tuttavia rimanevano due grandi problemi: in primo luogo, non tutti i servizi di interesse economico generale sono stati esclusi dal campo d’applicazione, a causa dell’opposizione del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei e del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa; in secondo luogo, la nuova versione dell’articolo 16, pur eliminando il principio del paese d’origine, non stabiliva chiaramente il principio del paese di destinazione.
Questi problemi non sono stati risolti dalla posizione comune del Consiglio, che, sebbene abbia ripreso effettivamente gran parte delle conclusioni della prima lettura del Parlamento, su parecchi altri punti ha fatto un passo indietro, in particolare sui servizi sociali e sul diritto del lavoro, come ha sottolineato la Confederazione europea dei sindacati. Su questi punti, come su altri, quali gli effetti sul diritto penale, il senso degli orientamenti della Commissione, la necessità di future armonizzazioni, tutti hanno riconosciuto la necessità di un chiarimento e lei, signor Commissario, ha fatto una dichiarazione in questo senso. Tuttavia, poiché la procedura di codecisione non è finita, sarebbe stato più logico adottare emendamenti per chiarire questi elementi negli articoli stessi. Purtroppo, constato che il PPE ha neutralizzato la seconda lettura rifiutando tutti gli emendamenti presentati dalla relatrice all’epoca del dibattito nella commissione per il mercato interno. In un certo senso, questo gruppo ha privato il Parlamento europeo del suo diritto di emendamento, e lo trovo deplorevole.
La delegazione socialista francese ha quindi depositato una serie di emendamenti ritenendo che il compromesso non sia soddisfacente nel suo stato attuale, che lasci la porta aperta a troppe incertezze in relazione all’interpretazione della Corte. Credo che, quando si tratta di distinguere tra le liberalizzazioni, da un lato, e i diritti sociali e i diritti fondamentali, dall’altro, il ruolo del legislatore sia quello di chiarire e non di lasciare la porta aperta alla giurisprudenza.
Nathalie Griesbeck (ALDE). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, cinquant’anni fa i padri fondatori prevedevano già la possibilità della libertà di prestazione dei servizi su tutto il territorio europeo per creare il mercato interno. Nel settore dei servizi, che rappresenta una parte considerevole non solo della nostra economia ma soprattutto dell’occupazione e della competitività, un rinnovamento e una revisione erano diventati non solo logici, ma indispensabili.
Vorrei fare due osservazioni: la prima, di ordine politico, è che la proposta Bolkestein, presentata da un vecchio Commissario a un vecchio Parlamento, era inaccettabile, e qui l’abbiamo combattuta in molti. Oggi, dopo l’immenso lavoro che è stato realizzato, siamo molto lontani dalla proposta Bolkestein.
La seconda osservazione riguarda il concetto di fondo: questo testo riafferma il principio della libera circolazione dei servizi, pur preservando le prospettive di un’ulteriore armonizzazione dell’Unione. Sono lieta che il progetto attuale tenga conto del 90 per cento delle esigenze del Parlamento, escludendo dal suo campo di applicazione i servizi di interesse generale non economici, certi servizi sociali e i servizi sanitari.
Per concludere, voglio sottolineare il fatto che l’esame di questo testo è stato un esempio di esercizio democratico del potere del Parlamento e ha permesso – malgrado i pareri dell’estrema destra e dell’estrema sinistra dell’Assemblea – di dimostrarne la maturità.
Jean-Luc Bennahmias (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, è innegabile che il Parlamento ha svolto un lavoro enorme su questa direttiva e che questo testo non ha più molto a che vedere con la direttiva proposta due anni fa dalla Commissione.
Tuttavia, il fatto che, dopo la prima lettura, il Consiglio europeo abbia cambiato un certo numero di frasi importanti, come abbiamo sentito poco fa, ha come conseguenza che la seconda lettura non si spinge abbastanza lontano, ed è un peccato. Così i lavoratori, i cittadini, i consumatori non percepiscono più veramente la necessità di avere una direttiva sui servizi. E’ difficile per loro comprendere oggi che si liberalizza senza nulla di preciso sui servizi sociali e sui servizi sanitari. C’è ancora troppa vaghezza, ci sono troppe zone grigie in questo compromesso proposto dalla Commissione e dal Consiglio europeo.
Kartika Tamara Liotard (GUE/NGL). – (NL) Signor Presidente, il Parlamento sta per votare sulla direttiva europea sui servizi, probabilmente per l’ultima volta. Ormai sembra un fatto compiuto, poiché i gruppi maggiori mi hanno già lasciato intendere che vogliono sostenere il compromesso senza presentare alcun emendamento. A quanto sembra, ritengono che la direttiva, nella sua forma attuale, sia talmente perfetta da indurli a rinunciare al loro diritto democratico di presentare proposte di miglioramento.
Il mio gruppo è meno entusiasta. La direttiva sui servizi continua a costituire una minaccia per la qualità dei servizi e le conquiste dei lavoratori in tutta Europa. Il testo continua a presentare punti oscuri e resta aperto a interpretazioni diverse. Inoltre, i miglioramenti apportati in una precedente lettura rischiano ora di essere pregiudicati dal fatto che, per esempio, la direttiva sul distacco dei lavoratori viene ridotta all’osso. Per questo motivo il mio gruppo voterà contro la relazione Gebhardt.
Nigel Farage (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, qualcuno mi ha detto che questa è una direttiva su cui l’UKIP può pronunciarsi a favore. Riguarda la liberalizzazione dei mercati. Permette di aiutare le piccole imprese negli scambi transnazionali. Avrà ottimi effetti in ambito commerciale.
Bene, ci risiamo, vero? Abbiamo infatti aderito a un mercato comune dal quale è scaturito un mercato unico, e quale risultato ha avuto tutto questo? Regolamentazione, costi e opportunità perse oltreoceano.
Solo il mese scorso, è stata svolta un’indagine su un migliaio di imprese britanniche. Secondo quanto auspicato dal 60 per cento di loro, il Regno Unito deve rinegoziare le proprie relazioni con l’Unione europea riducendole a un semplice accordo di libero scambio e nulla più. Questo appello, però, non è stato lanciato solo da uno sparuto gruppo di poujadisti. Citerò Michael Spencer, presidente di ICAP e recentemente eletto l’uomo più potente della City di Londra, il quale ha dichiarato che gli imprenditori sono stufi del volume di costose regolamentazioni prodotte dall’UE. Chi lavora all’interno della City è sempre più scettico sul valore che ricaviamo da tutto questo.
E’ evidente che ormai il mondo imprenditoriale britannico si rende conto che il costo di produrre una direttiva dietro l’altra, come fanno Istituzioni come questa, sta avendo un effetto negativo. Il mercato unico non è adatto all’economia globale del XXI secolo e credo che saranno le imprese britanniche a tirarci fuori da questa situazione.
Jana Bobošíková (NI). – (CS) Onorevoli colleghi, se questa direttiva sui servizi verrà adottata nella sua forma attuale, che è un misero compromesso, potremmo cinicamente osservare che abbiamo ottemperato almeno in parte al Trattato di Roma. Se si considera che esso è stato firmato almeno cinquant’anni fa, si tratta di un risultato piuttosto scarso. E’ un atto di accusa nei confronti dei politici il fatto che, nelle discussioni sulla direttiva, il timore della concorrenza internazionale e il timore dei cosiddetti standard sociali siano prevalsi sulle visioni di un’Unione in grado di prosperare grazie alla libera circolazione delle persone e dei servizi. E’ altresì un atto di accusa nei confronti dei politici avere dimenticato che la concorrenza è uno degli strumenti dello sviluppo economico e che gli standard sociali sono i frutti, e non i semi, della prosperità.
Credo fermamente che, eliminando uno dei pilastri della direttiva, il principio del paese d’origine, iniziativa populista e indubbiamente vile, abbiamo sprecato qualsiasi possibilità di migliorare nettamente il tenore di vita dei cittadini. Abbiamo sprecato la possibilità di migliorare la prestazione dei servizi, di ridurre i prezzi e di creare nuovi posti di lavoro.
Jacques Toubon (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa volta nel mio intervento formulerò un breve bilancio e alcuni omaggi. Il Parlamento europeo ha fatto fronte comune per elaborare la direttiva sul mercato interno dei servizi, che reca il suo marchio. Questa è una vittoria del Parlamento europeo, una vittoria sulla morosità europea, una vittoria sui pregiudizi, una vittoria del modello europeo, che è tutta una questione di equilibrio: l’equilibrio tra le necessarie riforme e la preservazione dell’acquis che ci lega.
In realtà la direttiva apre il mercato interno dei servizi e obbliga gli Stati membri a eliminare eventuali ostacoli alla libera prestazione di servizi. Si tratta di una prospettiva molto importante in termini di crescita e occupazione per tutti. Al tempo stesso, la direttiva preserva le normative comunitarie esistenti, non permette alcuna violazione dei diritti sociali, esclude la liberalizzazione dei servizi pubblici e tiene conto dell’interesse pubblico. Questo compromesso – e lo posso testimoniare perché ne ho seguito lo sviluppo sin dall’estate del 2004 – scaturisce dalle proposte avanzate dal mio gruppo politico e dagli accordi conclusi in seno al gruppo tra quelle che, all’inizio, erano posizioni nazionali e ideologiche divergenti. La dichiarazione formulata poc’anzi dall’onorevole Szájer ne è una dimostrazione. Questa direttiva trae origine dal dialogo, che è l’essenza stessa della nostra vita parlamentare.
Per questo vorrei innanzi tutto ringraziare non solo il nostro principale supervisore, l’onorevole Harbour, ma anche l’onorevole Thyssen, con cui ho lavorato a fianco a fianco, l’onorevole Karas, l’onorevole Szájer e l’onorevole Handzlik, l’onorevole Gebhardt, che ha gestito la questione dall’inizio alla fine e che è stata così gentile da tenere in considerazione un europarlamentare inesperto come me, nonché l’onorevole McCarthy e l’onorevole Whitehead, che non intendo certo dimenticare. Al di fuori del Parlamento, i miei ringraziamenti vanno al Commissario McCreevy, che ha tenuto fede fin dall’inizio alle promesse fatte al Parlamento, e anche al Ministro Bartenstein, che ha svolto un ruolo decisivo.
Ho appena sentito, però, alcune incredibili osservazioni. Onorevoli colleghi, il meglio è nemico del bene. La posizione comune rappresenta il 95 per cento del nostro testo. Signor Presidente, eserciteremmo davvero il nostro potere se avviassimo una procedura di conciliazione, ben sapendo che porterebbe all’assenza di qualsivoglia direttiva? Come Parlamento abbiamo invece il dovere, ovvero il diritto, di assumerci le nostre responsabilità. Per questo i deputati francesi dell’UMP voteranno a favore della posizione comune, scegliendo ciò che è davvero importante.
Lasse Lehtinen (PSE). – (FI) Signor Presidente, due anni fa in quest’Aula espressi il timore che in alcuni paesi il dibattito sulla direttiva servizi aveva portato a galla anche sentimenti xenofobi e una propensione al protezionismo economico, reazioni che non rappresentano un vanto per questa Comunità. Il Primo Ministro lussemburghese si è chiesto recentemente perché ora temiamo di più le persone che vengono dall’est che i missili posizionati in quegli stessi paesi vent’anni fa.
Attraverso il dialogo siamo tuttavia giunti a un compromesso accettabile, poiché questa direttiva, benché parzialmente, aprirà alfine il mercato dei servizi.
La direttiva sembra proteggere professionisti altamente qualificati ed espone alla concorrenza gruppi professionali con un livello di istruzione inferiore. Medici e farmacisti restano esclusi dal suo ambito di applicazione, in cui invece rientrano falegnami e parrucchieri.
Il tempo, tuttavia, dissiperà timori e pregiudizi, poiché alla fine la pratica prevarrà sulla teoria. Inoltre, in futuro la direttiva diventerà ovviamente più praticabile e aperta, nella misura in cui interesserà tutti i cittadini d’Europa.
Dobbiamo imparare che noi, in Europa, non potremo competere efficacemente con altri continenti se non abbiamo nemmeno il coraggio di competere tra di noi.
Ona Juknevičienė (ALDE). – (LT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto porgere il benvenuto all’onorevole Gebhardt, che ha redatto questo documento elaborato. Alcuni di noi hanno dichiarato che riuscire a trovare un compromesso è stata una grande conquista. Sono parzialmente d’accordo. Credo tuttavia che non abbiamo ancora raggiunto il nostro obiettivo.
Il nostro obiettivo è liberalizzare il mercato, poiché il suo potenziale è fondamentale per la crescita economica della Comunità e la creazione di posti di lavoro. Attualmente è stagnante.
La direttiva proposta può stimolare l’emergere di nuovi servizi attraverso la creazione di fondamenta giuridiche. C’è di buono che la seconda parte della direttiva definisce chiaramente le azioni che non possono essere rivolte contro i prestatori di servizi. Non condivido tuttavia la decisione di ridurre tanto drasticamente l’elenco di attività, poiché i paesi destinatari continuano ad avere l’opportunità di creare barriere alla fornitura di servizi.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, la liberalizzazione del mercato dei servizi offre un’opportunità di scelta. Dobbiamo pertanto garantire che in tutta la Comunità siano disponibili servizi di qualità elevata a prezzi competitivi. La direttiva sui servizi deve garantire tale obiettivo, cosa che, però, nella sua versione attuale ancora non fa.
Ian Hudghton (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, riconosco che questo compromesso rappresenta un certo miglioramento rispetto alla proposta originale della Commissione. Riconosco altresì che è necessario e auspicabile rimuovere i rimanenti ostacoli alla prestazione transfrontaliera di servizi commerciali. Credo tuttavia che, nel corso del processo, dovremmo dotare di certezza giuridica – e intendo “certezza” – i fornitori di servizi pubblici essenziali e, soprattutto, rassicurare gli innumerevoli cittadini che dipendono fortemente dai servizi sociali prestati a livello locale.
Le rassicurazioni verbali fornite in buona fede non saranno gli strumenti utilizzati dai giudici nel caso di future controversie giudiziarie; su questo sono pienamente d’accordo. E’ il testo di una direttiva che sarà importante. Pertanto ho sottoscritto diversi emendamenti, come l’emendamento n. 31, in cui si afferma a chiare lettere che spetta agli Stati membri definire i servizi di interesse generale nel loro territorio. Vorrei pregare i colleghi di riconoscere che questo è un emendamento ragionevole e che deve essere adottato, al pari di altri.
Eoin Ryan (UEN). – (EN) Signor Presidente, credo che la direttiva sui servizi sia uno dei più importanti atti legislativi che adotteremo in seno a questo Parlamento. Desidero congratularmi con il Commissario McCreevy, l’onorevole Gebhardt e l’onorevole Harbour per tutto il lavoro che hanno svolto. Si tratta indubbiamente di un passo nella giusta direzione.
La direttiva renderà l’Europa più competitiva e in questo modo creerà occupazione fornendo valore aggiunto ai suoi cittadini. Qualcuno sostiene che stiamo gettando fumo negli occhi dei cittadini; tutt’altro: getteremmo davvero fumo negli occhi dei nostri cittadini se non apportassimo cambiamenti alla nostra economia, come stiamo facendo oggi.
Che ci piaccia o meno, è innegabile che viviamo in un mondo globalizzato e l’Europa deve diventare più competitiva se vuole competere su scala globale. Il 50 per cento circa di tutto il commercio mondiale è ora appannaggio delle economie emergenti e, se vogliamo competere con loro e mantenere il modello sociale europeo, ci occorre un’economia vivace che investa nel genere di servizi che riteniamo importanti per i cittadini d’Europa. Questa direttiva è un passo nella giusta direzione; è il genere di riforma che dobbiamo operare a livello europeo se vogliamo tenere fede ai valori che reputiamo giusti per i nostri cittadini. Sono molto favorevole a questa direttiva.
Nils Lundgren (IND/DEM). – (SV) Signor Presidente, la posizione comune del Consiglio è una vittoria della ragione. La concorrenza nel settore dei servizi verrà rafforzata e, al contempo, verrà rispettata l’indipendenza nazionale degli Stati membri. Si tratta di un buon compromesso. La Lista di giugno è contraria al protezionismo nazionale, alla burocrazia e a ciò che resta del sistema corporativo in Europa. Tali restrizioni ostacolano la concorrenza, lo sviluppo e la crescita all’interno del settore dei servizi. La Lista di giugno è lieta che il Consiglio, di comune accordo con il Parlamento, abbia deciso di respingere il principio del paese d’origine, che avrebbe sicuramente agevolato un aumento della concorrenza all’interno di alcuni settori dei servizi, provocando però svantaggi smisurati. Il principio del paese d’origine avrebbe costretto gli Stati membri a rinunciare all’autodeterminazione nazionale in alcune delle aree più importanti della vita sociale. E’ evidente che le leggi, le norme e le tradizioni che vigono in un paese sono il frutto di un debito processo democratico e vanno osservate da tutti coloro che operano sul suo territorio. La Lista di giugno è quindi favorevole alla posizione comune del Consiglio sulla direttiva servizi.
James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, l’abbandono del principio del paese d’origine e la riduzione dei servizi contemplati, in particolare l’omissione dei servizi sociali e dei servizi non economici, rende questa proposta di direttiva molto più allettante dell’ultima volta che è stata discussa. Tuttavia, continuo a nutrire alcune preoccupazioni, non da ultimo a causa della fretta di programmare l’armonizzazione delle legislazioni nazionali sulla prestazione di servizi, con la sua inevitabile valanga normativa e il timore che i fornitori stranieri di servizi, pagando salari minimi, generino lavori precari peggiorando così la situazione nei paesi ospitanti, soprattutto se viene concessa loro un’autorizzazione temporanea che li mette in condizione di eludere i controlli nazionali del paese ospitante.
Per quanto riguarda un aspetto specifico, sono lieto che le attività relative al gioco d’azzardo saranno escluse dall’ambito della direttiva. La loro inclusione avrebbe alimentato la crescita di tale industria distruttiva e incrementato la miseria e l’instabilità sociale che tanto spesso ne derivano.
Othmar Karas (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’inizio dell’anno è stato contrassegnato da dimostrazioni contro questa direttiva; ora che il 2006 volge al termine, assistiamo invece a un trionfo di parlamentarismo. Non ci siamo ostacolati a vicenda, non ci siamo fatti sfruttare; molti di noi hanno invece superato se stessi assumendosi la responsabilità dei cittadini europei.
Questa direttiva europea è un trionfo del Parlamento europeo e del dialogo, e dovrebbe fungere da incentivo per tutti i parlamenti. Siamo legislatori, non governi. Abbiamo dato prova di leadership e tagliato il nodo gordiano. Mi auguro che questa situazione possa protrarsi a lungo. La libertà di fornire servizi è un diritto fondamentale; la decisione odierna rappresenta un importante passo avanti per quanto riguarda tale libertà.
Questa decisione ha anche dissipato molti pregiudizi sull’UE. Innanzi tutto, la direttiva è un trionfo del sistema europeo dell’economia sociale di mercato, in cui il mercato non viene contrapposto alla sicurezza sociale. Dobbiamo realizzare coerentemente le quattro libertà, ma dobbiamo altresì coinvolgere sempre più i cittadini.
In secondo luogo, abbiamo dialogato con i partner sociali e abbiamo preso parte ai negoziati svoltisi in seno al Consiglio. A tale proposito, sono riconoscente al Ministro Bartenstein e al Cancelliere Schüssel per essersi schierati dalla nostra parte. In questo modo abbiamo potuto incrementare il mercato, realizzare un mercato interno più forte, contribuendo altresì alla crescita e all’occupazione, e garantire la sicurezza sociale.
Vorrei però ringraziare anche tutti i miei colleghi, soprattutto coloro che fin dall’inizio si sono rifiutati di sostenere gli sforzi volti a ottenere una maggioranza qualificata in prima lettura, poiché è sempre più difficile difendere un compromesso che una posizione individuale. Abbiamo semplificato molti aspetti, fornito certezza giuridica e offerto al pubblico un modello di lavoro parlamentare.
(Applausi a destra)
Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Signor Presidente, credo che dagli interventi pronunciati finora sia emersa una posizione chiara: un’ampia maggioranza del Parlamento voterà a favore del testo adottato e, pertanto, non vi è motivo di temere che la proposta di direttiva venga respinta.
Non sarà dunque necessario ricorrere alla procedura di conciliazione, grazie non solo al gran lavoro di cui si è fatta carico la collega Gebhardt, ma anche all’enorme lavoro svolto dal Commissario McCreevy. Desidero rivolgere a entrambi le mie più fervide congratulazioni.
Vorrei ringraziare il Commissario McCreevy per la dichiarazione pronunciata, a nome della Commissione, sulle eccezioni a favore del diritto del lavoro e del diritto sociale e penale. Come ha affermato egli stesso, erano necessarie perché sono stabilite dal diritto comunitario, ma chiariscono anche la situazione.
Nonostante le affermazioni di alcuni scettici, si tratta di un grande progresso. Non si può dire, ad esempio, come hanno dichiarato alcuni colleghi, che non possiamo contare sul sostegno dei nostri elettori, anzi. I miei elettori sono invece felicissimi che il Parlamento abbia svolto questo ruolo in questo momento.
Non possiamo nemmeno criticare l’eccesso di regolamentazione. Senza regolamentazione, non vi può essere una società organizzata. Chi di noi sa ciò che accade, ad esempio, nel terzo mondo – dove i paesi sono privi di legislazione – sa che la regolamentazione è necessaria. Attraverso la legislazione che abbiamo adottato, il Parlamento, la Commissione e il Consiglio doteranno la società europea di un sistema di libertà di prestazione di servizi che garantirà al contempo l’elevato livello delle condizioni lavorative, sociali e anche ambientali di cui disponiamo attualmente.
Ritengo che le tre Istituzioni abbiano compiuto un grande sforzo.
Gli emendamenti che verranno approvati nell’ambito della comitatologia erano necessari. Sono altresì lieto che siano stati accolti tanto dalla Commissione quanto dal Consiglio, e speriamo che il successivo sviluppo di questa direttiva, attraverso le procedure di comitatologia e con il consenso di Parlamento, Consiglio e Commissione, permetta di affinarla e perfezionarla ulteriormente, nonché di chiarire le eventuali difficoltà che potrebbe presentare.
In conclusione, signor Presidente, credo che questo sia un gran giorno per il Parlamento europeo, per il Consiglio, per la Commissione e per tutti i cittadini dell’Unione europea.
Alexander Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signor Presidente, il salto compiuto oggi dalla grande coalizione di Bruxelles, con la netta esclusione dei membri dei nuovi paesi UE, non è stato sufficientemente ambizioso. Era orientato nella giusta direzione, ma non era all’altezza delle aspettative. E’ vero che la creazione di sportelli unici aiuterà almeno a ridurre le formalità amministrative. Un altro miglioramento è che non si possono più obbligare le piccole e medie imprese a mantenere uno stabilimento permanente in un altro Stato membro.
Tuttavia, quando nel 2006 plaudiamo al fatto che le restrizioni imposte ai prestatori stranieri di servizi debbano essere giustificate e le misure adottate a livello nazionale nei loro confronti proporzionate, in realtà celebriamo la conquista di un traguardo che avremmo dovuto raggiungere al più tardi entro il 1994.
Abbiamo dimenticato per strada dove e perché abbiamo iniziato a lavorare sulla direttiva servizi: stavamo cercando di alimentare uno slancio concreto per la crescita, fornendo così un impulso altrettanto tangibile all’occupazione. L’insuccesso registrato segue uno schema familiare: alleanze di datori di lavoro e organizzazioni interprofessionali tramano contro il cambiamento, contro la concorrenza e l’apertura del mercato. Raramente, in altri dibattiti, i rischi erano stati esasperati e le opportunità minimizzate fino a questo punto. L’allarmismo organizzato sui lavoratori dell’Europa orientale ha dato il peggio di sé e a rimetterci sono i disoccupati di tutta Europa.
Anche la Commissione deve chiedersi perché non ha avuto il coraggio di difendere i suoi protetti dagli attacchi dei demagoghi. Ora è suo dovere seguire con attenzione l’applicazione della direttiva negli Stati membri affinché, dalla porta di servizio nazionale, non vengano imposti nuovi oneri, in particolare alle PMI.
Irena Belohorská (NI). – (SK) La direttiva oggi all’esame contiene solo una parte del testo originale, poiché sono state eliminate quasi tutte le aree, compreso il principio fondamentale del paese d’origine.
Abbiamo escluso i servizi medici e sociali e i servizi di interesse generale, nonché tutti i riferimenti ai lavoratori distaccati, poiché questi ambiti devono essere affrontati separatamente su base settoriale. Resta tuttavia da capire quando e se è davvero opportuno procedere in tal senso. Una direttiva vuota può non provocare alcun danno, ma al tempo stesso può non arrecare alcun beneficio.
Oserei dire che questa direttiva è completamente inutile e non risolve alcunché nella sua attuale forma annacquata. Secondo il principio del paese d’origine, una piccola impresa di Bratislava può applicare il diritto slovacco quando presta un servizio a un cliente di Vienna. Tuttavia, lo Stato membro ospitante insisterà sull’applicazione della propria legislazione se, ad esempio, ciò è nell’interesse della politica pubblica, della sicurezza pubblica, della protezione della salute, della tutela ambientale e così via. Questa formulazione della direttiva lascia l’applicazione del principio del paese d’origine alla discrezione dei funzionari.
E’ stato dimostrato che i vecchi Stati membri traggono beneficio dalla manodopera a basso costo e altamente qualificata dei dieci nuovi Stati membri, e le nostre infermiere, le nostre ragazze alla pari e i nostri esperti di tecnologia dell’informazione hanno dato prova delle loro capacità. Tuttavia, temono che un’infermiera che fornisce i propri servizi come una piccola impresa possa creare una concorrenza eccessiva e stanno camuffando...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Andreas Schwab (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, non ripeterò uno a uno i ringraziamenti rivolti dall’onorevole Toubon a tutti i parlamentari, ma sappiate che rispecchiano i miei sentimenti. Ritengo, come ha affermato l’onorevole Karas, che si sia verificata una grande convergenza di opinioni tra tutti gli eurodeputati e che i colleghi abbiano svolto un ruolo positivo contribuendo a placare i timori nutriti dai paesi d’origine. Il fatto che siano stati placati è almeno in parte attribuibile all’apertura di un cammino che porta al completamento del mercato interno dei servizi.
Questi negoziati, su cui il Parlamento ha esercitato una particolare influenza, sono stati anche molto impegnativi per i nostri collaboratori; come è già stato sottolineato, il Parlamento si è dimostrato influente e, oltre a fungere da forza trainante, ha svolto anche un ruolo di conciliazione come Istituzione. L’onorevole Harbour, il nostro relatore ombra, ha affermato che questo è un gran giorno per i cittadini europei. Resta solo da dire che il sentiero della realtà che questa direttiva quadro indica ai cittadini europei non è ancora stato battuto, e gli Stati membri devono percorrerlo in maniera attenta e costruttiva, poiché la direttiva getta esclusivamente le fondamenta del futuro completamento del mercato interno europeo dei servizi.
Il principio del paese d’origine è diventato il principio della libertà di fornire servizi. Il mercato interno deve essere completato, ma, come ha recentemente chiarito l’Istituto Bruegel, deve anche essere evidenziato con ancora più forza dagli Stati membri, dagli attori della società civile nonché dalla Commissione e dal Parlamento, anche ai fini della comprensione pubblica. Si tratta di un’altra grande sfida per noi.
Personalmente, ritengo che la critica formulata da alcuni stimati colleghi secondo cui verrebbero trasferite troppi compiti alla Corte di giustizia europea in relazione all’applicazione della direttiva sia alquanto irrisoria, poiché, in ogni caso, i principali responsabili nell’ambito di una direttiva quadro restano gli Stati membri. Rivolgo il mio appello al Ministro, quale rappresentante del Consiglio, affinché il Consiglio si faccia carico in particolar modo di questa fondamentale responsabilità.
Edit Herczog (PSE). – (HU) Signor Presidente, è positivo essere una deputata al Parlamento europeo oggi. E’ positivo perché possiamo annunciare di avere ottenuto grandi risultati. Dopo l’impasse della Costituzione e prima della chiusura della quinta fase dell’allargamento dell’Unione, riusciremo a creare la libera circolazione dei servizi, probabilmente con una vasta maggioranza, e questo è un grande traguardo. Ricordate? Un anno e mezzo fa, il caso dell’idraulico polacco era l’emblema di una xenofobia esecrabile in ogni sua forma. Un anno e mezzo fa, non intravedevamo alcuna speranza per un accordo tra datore di lavoro e lavoratore, tra vecchi e nuovi Stati membri, tra sinistra e destra.
E’ un traguardo enorme che oggi gli eurodeputati respingano categoricamente la discriminazione. Oggi la discriminazione tra vecchi e nuovi Stati membri è relegata al passato. E’ un traguardo enorme che stiamo creando nuove opportunità per tutti i 476 milioni di abitanti dell’Unione. E’ un traguardo enorme che si stia creando un’opportunità giuridica per coloro che attualmente sono costretti a lavorare nell’economia sommersa. Ed è un traguardo altrettanto grande che i lavoratori che presentano reclami legittimi abbiano un’altra opzione oltre al ricorso ai procedimenti legali, che si protraggono per molti anni prima che la Corte di giustizia di Lussemburgo riconosca i loro diritti.
E’ un traguardo enorme che i datori di lavoro e i lavoratori, le piccole e medie imprese, le grandi aziende e i consumatori ne beneficeranno e si avvicineranno alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona fissati da tutti noi. E’ un traguardo considerevole che il Parlamento sia riuscito a formulare il messaggio politico della direttiva, come lo è anche il fatto che tra le due letture molti abbiano deciso, in ultima analisi, di sostenere la proposta.
Se gli Stati membri recepiranno adeguatamente la direttiva, fra dieci anni potremo guardare indietro con orgoglio e dire che abbiamo fatto ciò che il nostro paese e l’Europa avevano chiesto. Vi ringrazio per l’attenzione e mi congratulo con tutti i partecipanti per il loro contributo.
Luigi Cocilovo (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, in un minuto non si può dire tutto il necessario, per cui farò una scelta sul possibile, affermando anzitutto che sono convinto che l’adozione di questa direttiva, nella formulazione attuale, possa aiutare l’Europa. La direttiva contribuisce a sciogliere incrostazioni e a superare ostacoli e barriere che hanno pesato sull’unificazione del mercato dei servizi e sull’iniziativa di imprese di offerta di prestazioni professionali, anche al di fuori dei confini nazionali.
Allo stesso tempo, tuttavia, la direttiva fornisce garanzie e rafforza la prospettiva di una dimensione europea di mercato e di sistema, dove la libera circolazione sia possibile non solo per la competizione schiacciata sulla concorrenza per costi e rischio di dumping ma anche per le buone regole o prassi, tese a garantire principi ed interessi irrinunciabili, come quelli relativi alla garanzia delle prestazioni universali, degli interessi generali, anche in ambiti di rilevanza economica, degli obiettivi di qualificazione d’impresa, della tutela dell’ambiente e della sicurezza e delle tutele sociali fondamentali. Presidente, concludo esprimendo la speranza di avere domani non solo più Europa ma anche un’Europa migliore.
Ryszard Czarnecki (NI). – (PL) Signor Presidente, dobbiamo avere l’onestà di affermare che la direttiva Bolkestein era migliore perché apriva effettivamente il mercato dei servizi, e che le obiezioni espresse in quest’Aula contrastano con lo spirito di solidarietà dell’Unione europea. Questo difficilissimo compromesso, tuttavia, ha ovviamente una certa importanza, ed è comunque migliore della mancanza assoluta di una direttiva. Su questo non vi è alcun dubbio.
Abbiamo motivo di preoccuparci? Beh, a dire la verità, il gran numero di eccezioni costituisce un problema. Esiterei a parlare di successo e mi asterrei anche dall’affermare che si tratta di un momento storico. Aspettiamo di vedere che cosa succederà nella pratica. Da queste eccezioni può scaturire una situazione che farebbe dell’onnipresente idraulico polacco un ospite sgradito. Per concludere, il diavolo non è così brutto come lo si dipinge e l’idraulico polacco non è così terribile come qualcuno ha voluto lasciare intendere, anche tra i membri di quest’Assemblea.
Małgorzata Handzlik (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, la direttiva servizi non è semplicemente un documento legislativo sui servizi, non è semplicemente un passo verso la liberalizzazione dei servizi che semplifica nettamente la vita dei prestatori europei di servizi. La direttiva sui servizi è in primo luogo una dimostrazione, è la prova che indica a tutti gli europei che possiamo lavorare in comune in un’Europa unita e che questo apporta notevoli benefici al cittadino medio. E’ la dimostrazione che, insieme, possiamo raggiungere risultati importanti in seno all’Unione europea e che, attraverso la condivisione delle nostre esperienze, possiamo ottenere un compromesso ampiamente accettato.
Il lavoro svolto sulla direttiva ha dimostrato che possiamo superare le divisioni a livello nazionale, storico e di partito ed elaborare un documento legislativo equilibrato per il mercato dei 450 milioni di consumatori, negli interessi sia dei prestatori di servizi sia dei consumatori.
Sono soddisfatta dell’attuale proposta di compromesso, anche se mi aspettavo una maggiore apertura e il mantenimento del principio del paese d’origine. Molte persone criticano la direttiva ritenendola troppo liberale e troppo sociale. A mio parere, però, grazie alle centinaia di ore di lavoro dedicate alla sua stesura e alla partecipazione di molte persone, la direttiva è diventata un documento legislativo di compromesso per un’Europa unica in cui, pur aprendo e liberalizzando il mercato dei servizi, facciamo anche in modo che i consumatori e i fornitori di servizi ottengano un adeguato livello di protezione.
Negli Stati membri, compresa la Polonia, la direttiva alimenta grandi speranze di migliori opportunità lavorative, prospettiva che molti prestatori di servizi e consumatori attendevano con ansia.
Sono convinta che, come rappresentanti dei cittadini d’Europa, abbiamo svolto il nostro dovere e oggi possiamo votare a favore della direttiva con la coscienza a posto. Si tratta di un importante passo avanti verso l’integrazione del mercato unico, benché resti molto lavoro da svolgere per aprirlo del tutto. Si tratta altresì di una pietra miliare che attua i principi sanciti dal Trattato di Roma, che non siamo riusciti ad applicare prima, e di cui celebreremo il 50o anniversario l’anno prossimo.
Il lavoro sulla direttiva servizi è stato particolarmente importante per i nuovi Stati membri. Durante la prima lettura abbiamo assistito a molti esempi di egoismo nazionale, protezionismo e opportunismo, ma siamo anche riusciti a elaborare un denominatore comune nell’interesse di tutti gli Stati membri dell’Unione europea.
Anne Van Lancker (PSE). – (NL) Signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, innanzi tutto desidero ovviamente rivolgere i miei più sentiti ringraziamenti all’onorevole Gebhardt e a tutti i colleghi con cui ho lavorato a questa direttiva per tanti mesi, poiché grazie a tale collaborazione e grazie anche, ovviamente, alla mobilitazione dei sindacati e delle ONG, abbiamo ora dinanzi a noi una direttiva sui servizi in cui il diritto del lavoro, i contratti collettivi di lavoro, i diritti sociali e i diritti dei consumatori vengono rispettati appieno. Dobbiamo rallegrarci di questo risultato.
Sono altresì lieta che molte aree sensibili, ossia i servizi sociali, i servizi sanitari e le agenzie di lavoro interinale, esulino dall’ambito di applicazione di questa direttiva, in quanto dobbiamo ovviamente elaborare norme più severe in materia se non vogliamo che tali settori rimangano semplicemente alla mercé della libera prestazione di servizi. Ringrazio il Parlamento di essersi rigorosamente attenuto alla posizione comune del Consiglio in proposito.
Alcuni oratori hanno affermato che nella posizione comune del Consiglio si riscontrano diverse ambiguità e ovviamente hanno ragione, signor Presidente in carica, tanto che vari colleghi ed io avremmo voluto eliminare tali ambiguità attraverso una serie di emendamenti. Continuo a ritenere che, come legislatori, sia nostro dovere redigere testi giuridici chiari e comprensibili che non si prestino ad alcuna interpretazione. Poiché affronta questioni quali l’autonomia del diritto del lavoro e la definizione dei servizi sociali esclusi, il contenuto di questi testi non è irrilevante, e condivido il rammarico provato dalla relatrice per la totale indisponibilità del Consiglio a porre rimedio a tale situazione attraverso la presentazione di emendamenti.
Benché a mio avviso il significato giuridico dell’interpretazione della Commissione sia limitato, sono tuttavia molto riconoscente alla Commissione per la sua interpretazione; ritengo infatti, signor Commissario, che l’interpretazione abbia un forte significato politico, ovvero sia sinonimo dell’impegno assunto dalla Commissione che i colleghi e io sicuramente ricorderemo all’Esecutivo attuale e ai suoi successori. Spetta pertanto a noi dotare di maggiore certezza giuridica i servizi sociali e sanitari nella legislazione futura.
Sophia in ’t Veld (ALDE). – (NL) Signor Presidente, secondo alcuni questo è il regalo di compleanno per il 50o anniversario dell’Unione. Se ricevessi un regalo di questo tipo dai miei amici, penso che ne cercherei di nuovi. Non intendo togliere nulla a tutto il lavoro che è stato svolto, ma per la prima volta ho votato contro e attualmente non posso sostenere nemmeno il compromesso, mi spiace.
Purtroppo, l’intero dibattito è stato pervaso da sentimenti di timore, conservatorismo e protezionismo. Questo compromesso non aggiunge granché a ciò che è già sancito dal Trattato. Di per sé, questa potrebbe non essere una buona ragione per votare contro; lo è invece il fatto che la direttiva sembra creare motivi giustificativi per l’esenzione dei servizi pubblici dalle norme della concorrenza leale. A mio avviso si tratta di un precedente molto pericoloso, e inoltre – poc’anzi si è parlato di chiarezza giuridica – le definizioni utilizzate spiccano per la loro ambiguità giuridica.
La ragione per cui ritengo che questo dibattito sia pervaso dall’ipocrisia è che, quando l’Europa occidentale comprò le imprese dell’Europa dell’est all’inizio degli anni ’90, non si tenne alcuna discussione. Signor Presidente, questa è un’incredibile occasione mancata per l’Europa.
Konstantinos Hatzidakis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, la direttiva di cui discutiamo oggi è un successo per l’Europa, un successo per lo sviluppo e un successo per i lavoratori.
E’ molto importante che, dopo un lungo periodo di discussione, si sia trovato il giusto compromesso, giungendo così, da un lato, all’apertura del mercato dei servizi e all’agevolazione degli investimenti attraverso l’eliminazione degli ostacoli burocratici, giuridici e tecnici e, dall’altro, al pieno rispetto dei diritti dei lavoratori – come hanno ammesso i sindacati europei a febbraio – e al tempo stesso, ovviamente, alle esenzioni per alcuni settori particolari.
L’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in una delle sue relazioni afferma che, grazie a questa direttiva, verranno creati 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro. Sarebbe un peccato non sfruttare una simile occasione, tutelando al contempo i diritti dei lavoratori. Non adempiremmo il nostro dovere nei confronti dei cittadini, soprattutto dei lavoratori.
La proposta iniziale della Commissione aveva suscitato obiezioni e incomprensioni. E’ particolarmente positivo che questa procedura si concluda con un vastissimo consenso in seno all’Unione europea. Abbiamo l’unanimità del Consiglio e la stragrande maggioranza dei deputati al Parlamento europeo sostiene la posizione comune del Consiglio. Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, insieme ai liberali e ai socialisti, è arrivato a un approccio comune e questo dimostra che l’Europa sa ancora dialogare, appianare le proprie divergenze e giungere a soluzioni che sono necessarie per i cittadini, soprattutto per i più deboli dal punto di vista finanziario e sociale.
Penso che dovremmo essere tutti molto soddisfatti del ruolo particolarmente importante svolto dal Parlamento europeo in questa riuscita procedura.
Joseph Muscat (PSE). – (MT) Perché la discussione su questa direttiva ha avuto un risultato positivo? Per due ragioni, direi. In primo luogo, non abbiamo trattato i lavoratori come numeri; abbiamo invece posto i diritti dei lavoratori e di altre categorie al di sopra di tutte le altre considerazioni. La seconda ragione è che abbiamo rimosso gli ostacoli alla libera circolazione delle persone non creando rivalità tra i lavoratori, ma tentando di usare questa libertà di circolazione per migliorare i loro diritti. Non abbiamo reso più semplice offrire servizi alle peggiori condizioni possibili, né abbiamo incoraggiato i lavoratori ad agire così. Questo voto dovrebbe inviare un forte segnale contro qualsiasi sfruttamento, contro qualsiasi tentativo di sfruttare i lavoratori stranieri offrendo condizioni peggiori. Né i lavoratori in un particolare paese devono essere pressati, con questo stratagemma, ad accettare condizioni peggiori. Inoltre, i lavoratori dovrebbero ricevere informazioni complete sulle condizioni offerte ad altri lavoratori. Voglio ringraziare l’onorevole Gebhardt, l’onorevole Harbour e anche il Commissario McCreevy per l’ottimo lavoro.
Karin Riis-Jørgensen (ALDE). – (DA) Signor Presidente, la ringrazio per avermi dato la parola. Finalmente si conclude la preparazione della direttiva sui servizi. Finalmente possiamo tirare un sospiro di sollievo dopo oltre 12 anni di frizzi e lazzi, e finalmente possiamo attenderci un mercato interno dei servizi, forse monco, ma sempre meglio di niente. Vorrei utilizzare il mio breve tempo di parola per mettere in evidenza i problemi che comporta avere una direttiva mutilata. Il gioco d’azzardo è stato escluso dal campo di applicazione della direttiva. Ma cosa succede? La Commissione, con il Commissario McCreevy in prima fila, sta indagando sul monopolio del totocalcio in non meno di dieci Stati membri. Analogamente, i servizi sanitari sono stati esclusi dal campo di applicazione della direttiva, eppure meno di un mese fa la Commissione ha presentato un piano ambizioso relativo alla mobilità dei pazienti. In altre parole, le conseguenze di una direttiva indebolita sono che abbiamo una legislazione a spizzichi invece di regole chiare e precise sui servizi per tutte le industrie e tutti i settori dell’Unione europea. Lo trovo fastidioso, ma comunque oggi voterò a favore, perché se non si può ottenere ciò che piace, bisogna farsi piacere ciò che si ottiene.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) La direttiva che adotteremo oggi libererà, credo, il settore dei servizi dalla burocrazia e dalla discriminazione che sono state il risultato di livelli considerevoli di diffidenza tra paesi e di una mancanza di fiducia nella competitività nazionale. Il dibattito ha mostrato quanto sono diventate profonde le divisioni tra i paesi. Oggi costruiremo un ponte che rappresenta un compromesso conquistato a fatica dopo tre anni di negoziato tra Parlamento e Consiglio. Io credo che dovremmo rifiutare le proposte della sinistra, che minerebbero le fondamenta di quel ponte.
Sono stati esclusi dalla direttiva così tanti servizi che essa sembra avere perso ogni significato. Ma questo non è del tutto vero, poiché essa apporterà cambiamenti fondamentali alle regole. Gli Stati dovranno abrogare tutte le regole discriminatorie nel settore dei servizi. Saranno istituiti sportelli integrati, che si occuperanno di tutte le formalità per la prestazione a lungo termine e temporanea di servizi in un altro Stato. L’autorizzazione deve essere trasparente e accessibile a tutti. Non sarà più possibile un rifiuto immotivato dei permessi né ritardi di mesi nella risposta. Se le autorità non risponderanno entro il termine massimo, il permesso sarà accordato automaticamente. Le imprese risparmieranno tempo e denaro perché non dovranno presentare documenti superflui nella lingua originale né copie autenticate insieme alle traduzioni. Nessuno dovrà ottenere un’assicurazione nel paese dove è prestato il servizio né disporre di capitali non realistici. Saranno accettati i documenti richiesti per la concessione dell’autorizzazione nel paese d’origine. I dati obbligatori potranno essere forniti anche elettronicamente. Sarà proibito costringere le imprese a registrarsi o ad avere un ufficio nel luogo dove i servizi saranno offerti solo temporaneamente. Le autorità avvieranno una cooperazione transfrontaliera per il controllo delle attività e i sistemi saranno interoperativi.
Avremmo potuto fare di più, ma questo sarà comunque un contributo significativo al completamento del mercato interno. Dopo anni di temporeggiamento, finalmente è stato costruito un ponte per superare le divisioni causate dalla diffidenza europea. Questo ponte condurrà alla libertà dei servizi senza discriminazione, alla creazione di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro per gli europei e a miglioramenti della qualità dei servizi. In fondo, questa è una delle ragioni d’essere dell’Unione. Per concludere, ringrazio i relatori, specialmente l’onorevole Harbour.
(Applausi a destra)
Richard Falbr (PSE). – (CS) Onorevoli colleghi, persino i sindacati europei hanno protestato contro la proposta originaria di direttiva, soprannominata Bolkestein – o forse dovremmo dire Frankenstein – ereditata dalla Commissione Prodi. Dopo oltre due anni e mezzo di negoziati e di ricerca di un compromesso, io, ex sindacalista, posso ora alzare la mano a favore della proposta all’esame. L’onorevole Gebhardt e quanti hanno contribuito a raggiungere il risultato finale hanno un grande merito per il fatto che dalla confusione originale è emersa una direttiva accettabile.
Devo dire che, per quanto non ne sia soddisfatto, la direttiva avrebbe potuto essere peggiore. Comunque, sono lieto di osservare che, con la buona volontà di tutti, questa direttiva sarà un successo. La proposta che abbiamo adottato non è priva di difetti, ma nella vita – e specialmente nella vita politica – non si può avere tutto. La mia gratitudine per il risultato ottenuto va al Parlamento europeo. A molti cechi insoddisfatti potrebbe sembrare un’operazione di facciata, ma io rimango ottimista.
Šarūnas Birutis (ALDE). – (LT) Sono convinto che oggi il Parlamento dimostrerà la sua maturità nel portare avanti le riforme di Lisbona. L’onorevole Gebhardt e il Parlamento hanno già fatto molto lavoro su questa direttiva dopo la prima lettura. Ricordiamo ancora le frasi sui giornali secondo cui l’intera direttiva era stata buttata all’aria. Triste, ma vero.
Onorevoli colleghi, la Commissione e il Consiglio hanno dimostrato rispetto per il Parlamento e quindi oggi abbiamo un testo che rappresenta il parere di oltre il 90 per cento dei deputati. Dobbiamo garantire un feedback. Noi siamo i responsabili nei confronti dei cittadini europei per l’affidabilità delle decisioni comuni e per il mantenimento di un vero compromesso europeo. Il Parlamento creerà un buon precedente e darà un segnale di accoglienza alle imprese e ai consumatori europei.
Esorto tutti i colleghi ad approvare la direttiva con il 70 per cento di voti; è ora di liberare dalla pressione burocratica il potenziale di questo settore, che assicura il nostro benessere, e di compiere un seppur piccolo passo avanti.
Alexander Stubb (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, vorrei incominciare con un’osservazione come francofono: quando hanno parlato l’onorevole Le Pen dell’estrema destra francese e l’onorevole Wurtz dell’estrema sinistra francese, entrambi hanno tratto esattamente le stesse conclusioni. Sarebbero una splendida coppia!
Oggi abbiamo motivo di festeggiare e anche ragioni di tristezza e di speranza. Il motivo per festeggiare è che abbiamo di fatto una direttiva sui servizi che costituisce davvero un passo avanti. Anch’io desidero congratularmi con l’onorevole Gebhardt e l’onorevole Harbour per il lavoro svolto. A mio parere dovrebbe essere chiamata direttiva Gebhardt-Harbour.
Sono anche felice che il Parlamento europeo abbia svolto un ruolo molto forte in questo, e desidero congratularmi con la Presidenza finlandese, con il Ministro Pekkarinen e in modo particolare con Satu Mäkinen, che ha ridefinito cosa vuol dire essere un duro negoziatore finlandese.
La tristezza nasce invece dalla constatazione che l’atmosfera in cui abbiamo condotto il dibattito sulla direttiva sui servizi è stata alquanto avvelenata. Abbiamo rilevato tracce di nazionalismo e protezionismo, nonché un po’ di xenofobia, come ha detto l’onorevole Lehtinen. Abbiamo parlato della direttiva Bolkestein e dell’idraulico polacco, e molte volte abbiamo lavorato per restringere il campo di applicazione della direttiva invece di ampliarlo. Tutto ciò è un po’ triste, perché significa che abbiamo perso in qualche misura la fiducia reciproca.
Perché la speranza? La ragione di speranza è che possiamo convivere con questa direttiva. Penso che la chiave sia che ora gli Stati membri possono cominciare ad attuare la direttiva e il Parlamento europeo può dare seguito a tale attuazione. Spero anche che la Corte di giustizia delle Comunità europee interpreterà questa direttiva in senso liberale.
Concludo dicendo che dovremmo ristabilire la fiducia che c’era tra gli Stati membri e ricordare che nel 1957, 50 anni fa, abbiamo definito questa Unione fondata su quattro libertà, che sono la libera circolazione di servizi, merci, capitali e persone.
(Applausi al centro e a destra)
Jan Andersson (PSE). – (SV) Signor Presidente, anch’io voglio innanzi tutto ringraziare tutti coloro che hanno collaborato e, in particolare, la relatrice, onorevole Gebhardt, che ha davvero fatto un ottimo lavoro. Nel minuto che ho a disposizione per il mio intervento, voglio soffermarmi sul diritto del lavoro. A mio parere le formulazioni della prima lettura del Parlamento erano migliori. Le formulazioni che l’onorevole Gebhardt ha cercato di far passare nella commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori erano migliori di quel che vediamo oggi. Sono comunque del tutto soddisfatto di ciò che viene detto sul diritto del lavoro, sui contratti collettivi e simili, perché abbiamo anche una dichiarazione della Commissione.
L’onorevole Wurtz ha citato la causa Vaxholm e so che gli avvocati specializzati in diritto del lavoro in Svezia hanno criticato aspramente il Commissario McCreevy su quel caso. Ho parlato oggi con gli stessi avvocati, i quali giudicano eccellente la dichiarazione della Commissione sul tema del diritto del lavoro. Condivido il loro parere e credo che la dichiarazione, insieme con la relazione stessa, sia valida.
In conclusione, voglio dire che si tratta di questioni importanti e che quelle che abbiamo qui sono le proposte del Parlamento, le cui osservazioni più importanti sono state tutte recepite. Quindi risulta facile votare oggi a favore della relazione.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) In questo momento stiamo decidendo il destino di uno dei più importanti atti legislativi emanati dal Parlamento europeo.
Insieme ai deputati dei nuovi Stati membri, in tutta sincerità politica, non vedevamo la direttiva Bolkestein come uno spauracchio, ma piuttosto come una chiara opportunità per l’Unione europea allargata. Sin dall’inizio del nostro mandato in Parlamento abbiamo partecipato attivamente a discussioni burrascose e abbiamo spiegato che la liberalizzazione del mercato dei servizi è necessaria per creare nuovi posti di lavoro, aumentare il tasso di crescita nell’Unione europea e realizzare la nostra ambizione di diventare l’attore dominante nella concorrenza a livello mondiale. Abbiamo cercato di persuadere i nostri colleghi che l’idraulico polacco non è una minaccia, ma un beneficio per il mercato interno europeo.
Il Parlamento europeo ha accettato un compromesso che in parte liberalizza il mercato, ma mantiene una protezione in un certo numero di settori. Anche se non è una soluzione ideale, si può essere soddisfatti del fatto che il principio chiave elaborato dal PPE-DE – la libertà di prestazione dei servizi – garantisce un equilibrio fra un’Europa sociale e un’Europa liberale per quanto riguarda l’apertura del settore dei servizi e, al tempo stesso, stabilisce procedure ragionevoli per le piccole e medie imprese, oltre a un’elevata qualità dei servizi e alla protezione dei consumatori.
Voglio esprimere il mio apprezzamento per il lavoro dell’onorevole Gebhardt, dell’onorevole Harbour e di tutti i relatori ombra, e sono lieta che la Commissione e il Consiglio abbiano accettato il compromesso raggiunto dal Parlamento europeo nei settori sensibili. La buona notizia è che la posizione comune del Consiglio è simile alla posizione raggiunta dal Parlamento europeo in prima lettura.
Onorevoli colleghi, con lo storico voto odierno il Parlamento europeo può diventare l’architetto del mercato comune dell’UE per i servizi. Mi aspetto che gli Stati membri si comportino con altrettanto senso di responsabilità e attuino la direttiva nell’ordinamento giuridico nazionale entro tre anni. Sono sicura che la direttiva sui servizi sarà il regalo giusto per festeggiare l’anniversario dell’Unione europea.
Dariusz Rosati (PSE). – (PL) Signor Presidente, oggi, dopo due anni di difficili negoziati, finalmente la direttiva sui servizi sarà adottata dal Parlamento europeo. E’ un giorno positivo, non solo per l’idraulico polacco ma anche per i consumatori e le imprese europei. Il settore dei servizi incide sull’economia europea per il 70 per cento. Perciò è così importante aprirlo alla concorrenza e dare alle imprese l’opportunità di acquistare e prestare liberamente servizi in tutta l’Europa.
Ovviamente, il compromesso raggiunto non è assolutamente ideale e non soddisfa tutte le nostre aspettative. Durante la discussione vi sono stati molti malintesi e disaccordi ideologici, si è fatta troppa propaganda sul tema del dumping sociale e si è dedicata troppo poca attenzione all’interesse dell’Europa nel suo insieme. Il timore razionale della concorrenza di altri Stati membri significa anche che non si è data sufficiente considerazione alle argomentazioni razionali e agli elementi di logica economica. Intanto, la liberalizzazione del mercato dei servizi determinerà la crescita del PIL di tutti gli Stati membri e sarà uno stimolo potente per la creazione di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro.
Anche se la proposta di direttiva oggi in discussione non è perfetta, è nondimeno un importante passo avanti. Invito pertanto ad adottarla senza emendamenti.
Roberta Angelilli (UEN). – Signor presidente, onorevoli colleghi, l’Europa, per sostenere crescita ed occupazione, ha bisogno di ampliare il mercato, eliminando i troppi ostacoli burocratici che ci sono in questo settore. Tuttavia ciò non deve avvenire a discapito dei diritti dei lavoratori, né creare situazioni di sfruttamento o di dumping sociale. Sebbene dopo una forte battaglia parlamentare siano stati esclusi dalla direttiva originaria una serie di servizi di rilevanza sociale, quello che andiamo a votare rimane un testo ancora ambiguo, in cui non è ancora ben chiaro il confine tra questa direttiva e il diritto del lavoro e le tutele sociali nazionali.
Per questi motivi, nonostante le rassicurazioni di questa mattina, chiediamo che la direttiva, nella sua concreta applicazione, rispetti le pratiche di concertazione nazionale e non eluda gli accordi collettivi di categoria. Chiediamo soprattutto una severa verifica dell’applicazione della direttiva, affinché non siano violate le norme a tutela dei diritti dei lavoratori e dei consumatori e le norme a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Stefano Zappalà (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, già durante la scorsa legislatura e in parte della presente, mi sono occupato di altre direttive e iniziative che riguardano l’attuazione del mercato interno, insieme agli onn. Gebhardt e Harbour. Stamani non posso che complimentarmi, doverosamente e concretamente, con la collega Gebhardt, perché, oltre che della direttiva “Forniture e servizi”, durante la scorsa legislatura ci siamo occupati insieme anche della direttiva “Qualifiche professionali”.
La direttiva in esame, che, così com’è stato evidenziato, è una parte fondamentale dell’attuazione prevista dai trattati del mercato interno, è anche, tutto sommato, il seguito di altre attività legislative che abbiamo portato avanti con i colleghi Gebhardt e Harbour. Detta direttiva, che riveste un’importanza fondamentale, porterà certamente il nome della collega Gebhardt, con la quale desidero congratularmi per la capacità con cui è riuscita, non oggi bensì già in prima lettura, a portare a felice conclusione la direttiva in esame in un settore così importante.
Non so se a tutti risulta chiaro che la legislazione che stiamo approvando è intesa ad armonizzare i sistemi nazionali e non a imporsi su di essi: si tratta di un concetto che, a mio avviso, deve essere chiaro a tutti. Mentre ci accingiamo a compiere un altro atto sulla via del completamento del mercato interno, va riconosciuto ed evidenziato chiaramente ancora una volta – avendo udito aleggiare ancora un nome in quest’Aula, che non esiste più – che il Parlamento europeo, rispetto agli egoismi nazionali rappresentati dal Consiglio e rispetto agli egoismi di altro tipo rappresentati dalla Commissione, è l’istituzione che riesce a risolvere problemi di rilevante valore.
Maria Matsouka (PSE). – (EL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la maggioranza del Parlamento europeo ritiene che la direttiva Bolkestein non esista più dal febbraio scorso. La proposta iniziale è infatti stata migliorata e alcune delle sue disposizioni pericolose sono state abolite. Questo è stato il risultato di una dura battaglia condotta dai socialisti e dalla sinistra. Comunque, lo spirito neoliberale rimane nella posizione comune del Consiglio, in quanto le questioni cruciali sui diritti dei lavoratori europei non sono chiarite. Inoltre, i servizi di interesse economico generale non sono esclusi dal campo di applicazione e nell’articolo in discussione sul principio del paese d’origine prevale il principio dell’ambiguità. Si farà appello alla Corte di giustizia delle Comunità europee perché elimini le scappatoie creando, come ha fatto in altri settori, una giurisprudenza liberale che favorisce le imprese col pretesto di completare il mercato interno.
Abbiamo presentato emendamenti insieme ai socialisti francesi e belgi e sosterremo qualunque emendamento che possa migliorare ulteriormente il testo. Comunque, al di là dei testi, governati da questa ambiguità intenzionale, c’è la realtà, una realtà fatta di lavoratori disoccupati, poveri, disillusi. Non ignorateli o, almeno, non prendeteli in giro.
Charlotte Cederschiöld (PPE-DE). – (SV) Signor Presidente, oggi nel Parlamento europeo si sta compiendo un passo notevole in termini di principio. A mio parere, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei e il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa sono stati forse più capaci degli altri di tenere in vita il compromesso. Desidero ringraziare in modo speciale sia l’onorevole Harbour, che a mio parere ha dato un contributo notevole, sia, ovviamente, l’onorevole Gebhardt. Il Parlamento europeo ha trasformato un conflitto politico in un largo consenso. La direttiva servizi è desiderata da molti. Sottolineerei inoltre che il diritto di stabilimento compare in termini molto forti nella Carta dei diritti fondamentali.
Attualmente il nuovo governo in Svezia sta cercando di semplificare le regole nel mercato del lavoro e di rendere il lavoro più proficuo. Ora tali sforzi ricevono uno slancio supplementare da questa direttiva, che rende più accessibili i mercati europei. Le imprese incontreranno meno ostacoli in uno dei più grandi mercati del mondo con grandi opportunità di crescita. Secondo alcune stime, saranno creati circa 600 000 nuovi posti di lavoro. Per il mercato del lavoro svedese, dove il 70 per cento dei posti di lavoro è nel settore dei servizi, questo significa un grande miglioramento.
Comunque, la direttiva sui servizi fornisce una base; è un primo passo, non l’ultimo. Certamente si potrebbe desiderare molto di più, ma credo che, quando sarà il momento, si compiranno anche gli altri passi. Ad ogni modo, i settori esclusi – peraltro, in numero eccessivamente alto, tra cui, ad esempio, i servizi sanitari – sono ovviamente coperti dalle regole del Trattato, cosa di cui anche il Commissario, per fortuna, è consapevole. Il lavoro in questo campo, quindi, continua. Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito e anche la Commissione per i suoi sforzi volti a migliorare le cose per le imprese e i consumatori – sforzi che, si spera, avvantaggeranno i cittadini portando una migliore qualità a prezzi più bassi nel caso di certi servizi.
Proinsias De Rossa (PSE). – (EN) Signor Presidente, desidero congratularmi con l’onorevole Gebhardt per la sua straordinaria tenacia e saggezza politica. Anche altri hanno svolto un ruolo chiave, ma temo che lei abbia sostenuto il peso maggiore.
Questo risultato costituisce un successo, date tutte le circostanze per i cittadini come lavoratori, consumatori e prestatori di servizi. L’esito dimostra che è possibile conseguire risultati efficaci ed equi tra 25 Stati membri, nonostante tutte le nostre differenze. Quelli che ignorano tale diversità continuano a rifiutare questo compromesso, in particolare il gruppo kamikaze GUE/NGL, che ignora il fatto che la richiesta principale che ha avanzato – l’abolizione del principio del paese d’origine – è stata in realtà soddisfatta.
Ora il Consiglio deve smettere di farsi gioco dei diritti dei lavoratori in Europa. La farsa della settimana scorsa sulla direttiva sull’orario di lavoro è stata vergognosa. Dateci una direttiva sull’orario di lavoro che sia attuabile e funzionante e una direttiva efficace sul distacco dei lavoratori. A meno che non agisca in tal senso, il Consiglio continuerà a esercitare potere sui cittadini, che temono per la qualità della loro vita lavorativa e temono la corsa verso il basso, e questi timori stanno erodendo il cuore dell’Europa.
Simon Coveney (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, oggi è un giorno positivo per l’Unione europea. Il processo per giungere a un accordo sulla direttiva servizi non è stato facile. Sebbene nessun gruppo politico del Parlamento abbia ottenuto esattamente ciò che voleva, siamo riusciti a raggiungere un compromesso fattibile e accettabile per la grande maggioranza dei deputati. Soprattutto, oggi il Parlamento sta inviando un forte segnale alla Commissione e al Consiglio perché procedano e realizzino questa direttiva non appena ciò sarà concretamente possibile. Per tale ragione il mio gruppo ha deciso di non modificare la direttiva in questa fase, riconoscendo che non sarebbe utile riaprire il dibattito in Parlamento o nel Consiglio.
L’attuazione della direttiva sui servizi darà alla fiacca economia dell’Unione europea un impulso energico assai necessario in questa fase. Il settore dei servizi è cruciale per la crescita economica e la prosperità dell’Europa, contribuendo per quasi il 70 per cento del PIL in tutta l’Europa. Imprese e consumatori dovrebbero trarre profitto dalla creazione di un mercato comune più aperto per i servizi. Al momento i servizi incidono solo per il 20 per cento sul commercio tra Stati membri. La direttiva mira a rimuovere molte delle barriere al commercio e ai servizi transfrontalieri e a ridurre la burocrazia che le imprese, specialmente quelle piccole e medie, incontrano quando cercano di espandersi oltre i confini nazionali in nuovi mercati dell’Unione. In passato le piccole e medie imprese d’Europa con la capacità di crescere sono state particolarmente svantaggiate dai costi connessi con i requisiti amministrativi e giuridici. Ora possono guardare ai benefici di questa direttiva, che riduce nettamente tali oneri per il futuro commercio transfrontaliero.
Questa direttiva è di enorme importanza per il mio paese, che è un esportatore netto di beni e servizi. Le imprese e i prestatori di servizi irlandesi ora approfitteranno, spero, dell’ambiente semplificato per offrire servizi in tutta l’Unione europea.
La direttiva sui servizi faciliterà la crescita, la creazione di posti di lavoro e l’aumento dell’attività economica nel settore dei servizi in tutta l’Unione, garantendo nel contempo la protezione sociale e dei lavoratori.
Come ultimo oratore del Parlamento in questa discussione, auguro al Commissario di tradurre in realtà senza indugi questa direttiva.
(Applausi)
Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Per la precisione, confermo che la Commissione accetterà gli emendamenti nn. 40, 41 e 42, che riguardano la comitatologia e introducono la procedura normativa di controllo. La Commissione respinge tutti gli altri emendamenti.
Le preoccupazioni sollevate in questi emendamenti sono state affrontate nelle mie dichiarazioni iniziali. Vari deputati hanno fatto commenti sulla certezza giuridica, domandandosi se la direttiva condurrà a una lunga sequela di controversie che dovranno essere risolte dalla Corte di giustizia. Non condivido tale preoccupazione. Esiste un largo consenso fra gli Stati membri su questo testo. Vi ricordo che nessuno Stato membro ha votato contro la posizione comune. La vasta maggioranza dei deputati al Parlamento europeo ha dichiarato di volerla sostenere nel voto che si svolgerà a breve. Dato questo largo consenso, non vedo perché gli Stati membri dovrebbero cercare di non rispettare la direttiva. Tutti concordano sulla necessità di imprimere una spinta al settore dei servizi, e questo è esattamente ciò che la direttiva farà.
Nella discussione di ieri sul programma di lavoro della Commissione, l’onorevole Harbour e altri hanno evidenziato un punto molto valido sull’attuazione e sulle risorse da destinare a tale scopo. Nella Commissione, inizieremo immediatamente a concentrarci sul recepimento e sull’attuazione della direttiva. Semplificare la vita ai prestatori di servizi e ai loro clienti è un lavoro impegnativo. Gli Stati membri hanno tre anni per attuare la direttiva. Dovrebbero cominciare immediatamente, non perché lo dico io, ma perché le loro economie hanno bisogno di questa direttiva e la Commissione li riterrà responsabili.
L’alto livello di consenso che si è manifestato oggi è il risultato di una serie di importanti innovazioni nel nostro approccio all’attività legislativa nell’Unione europea. In primo luogo, il Parlamento ha assunto il ruolo di colegislatore e invece di scegliere l’opzione più facile, rifiutando una proposta molto controversa, i deputati si sono tirati su le maniche e sono giunti a un accordo sulle modifiche essenziali al testo, che lo hanno reso accettabile a tutte le parti politiche. Per me è stato un importante segnale della maturità di questa Istituzione.
In secondo luogo, la Presidenza sta facendo tesoro del vostro approccio e ha lavorato sodo per compiere progressi a partire da tale consenso. Oltre a invitare i deputati al Parlamento europeo al Consiglio informale “Competitività”, i quali hanno partecipato direttamente alle discussioni con i ministri, la Presidenza ha organizzato una serie di riunioni con le parti sociali. Tutto questo ha contribuito in grande misura all’accordo su cui voterete più tardi. E’ assai opportuno che alcune di queste innovazioni siano state introdotte durante la Presidenza finlandese, perché quello è il motto della Presidenza finlandese.
Infine, due punti. Nel ringraziare l’onorevole Gebhardt, l’onorevole Harbour e tutti gli altri – molti deputati di tutti i gruppi del Parlamento hanno partecipato al raggiungimento dell’ampio consenso al quale siamo pervenuti, ed è stato compiuto un enorme lavoro di cui si è riconosciuto il merito ai deputati in questa sede – vorrei anche sottolineare che vari funzionari della Commissione hanno lavorato molto per apportare le modifiche e per arrivare dal testo prodotto dal Parlamento in prima lettura al testo sottoposto all’esame del Consiglio. Voglio esprimere anche questo riconoscimento.
A beneficio di coloro tra noi che, di tanto in tanto, fanno qualche scommessa – non che questa sia un’attività abituale per la maggior parte dei deputati al Parlamento europeo! – vorrei dire che non credo che un anno fa avreste scommesso molti soldi sulla nostra capacità di pervenire alla posizione odierna. Di ciò dobbiamo ringraziare numerose persone, sia qui in Parlamento sia nei vari Stati membri e nella Commissione. Al riguardo, voglio esprimere il mio particolare apprezzamento.
Infine, per me personalmente c’è stato almeno un ulteriore e imprevisto beneficio: nel corso degli ultimi due anni ho avuto modo di conoscere moltissimi deputati al Parlamento di tutti i raggruppamenti. Questo non sarebbe successo se non avessi dovuto affrontare la controversa direttiva sui servizi. Quindi vi ringrazio anche di questo.
(Applausi)
Mauri Pekkarinen, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, voglio ringraziarvi brevemente per la discussione, molto interessante e costruttiva. L’obiettivo comune dell’Unione europea è quello di migliorare la nostra economia in termini di produttività e competitività e di aumentare l’occupazione. La creazione di un mercato interno dei servizi più vitale è molto importante se vogliamo raggiungere tali obiettivi.
Desidero ringraziare tutti voi. Attendo con impazienza l’imminente votazione.
Presidente. La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà oggi, alle 12.30.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Pedro Guerreiro (GUE/NGL). – (PT) Per l’UNICE (Unione delle confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro) l’accordo raggiunto nel Consiglio sulla direttiva Bolkestein è un passo in avanti “importante” e “promettente”. La direttiva dovrà quindi essere “recepita e attuata correttamente e in tempi rapidi”, obiettivo al quale l’UNICE e i suoi membri nazionali – in Portogallo, l’Associazione industriale portoghese (AIP) e la Confederazione dell’industria portoghese (CIP) – “contribuiranno attivamente”.
Così dicono i rappresentanti dei grandi gruppi economici e finanziari, che vedono in questo “passo” nuove opportunità di sfruttamento dei lavoratori e di dominio economico. La direttiva servirà a minare la sovranità nazionale degli Stati membri per quanto riguarda la definizione, la protezione e il finanziamento dei servizi pubblici nonché la definizione delle norme sulle modalità di prestazione dei servizi in generale. Al tempo stesso rafforzerà il potere degli enti soprannazionali come la Commissione europea e la Corte di giustizia rispetto agli Stati membri. L’accento sarà posto sulla concorrenza, con conseguenze gravissime per i lavoratori e i servizi prestati alla popolazione.
Si tratta di una proposta inaccettabile che deve essere respinta.
Infine vorrei mettere in evidenza il ruolo dei socialdemocratici (il gruppo socialista al Parlamento europeo), che, con i loro cavilli e le loro “tattiche”, hanno contribuito a indebolire gli obiettivi e il campo di applicazione della direttiva in votazione. Dopo aver proposto in origine la direttiva, hanno apportato qualche modifica (di facciata), per riaffermare infine il loro sostegno a ciò che in precedenza dicevano di aver rifiutato.
Katalin Lévai (PSE). – (HU) La direttiva è indubbiamente un passo importante che renderà possibile superare i principi teorici del Trattato di Roma e offrirà le condizioni pratiche per la libera circolazione dei servizi. Spero che attuando una delle quattro libertà, sarà possibile eliminare la prassi deleteria con cui gli Stati membri hanno impedito, con numerosi metodi, l’attuazione di tale principio.
Nel contempo, in considerazione degli emendamenti riguardanti le esclusioni, non è chiaro quali settori saranno in pratica esclusi dalla direttiva sulla libera circolazione dei servizi, né se essa, nella sua forma attuale, assolva il suo scopo originario. Penso che il Parlamento abbia perso una grande opportunità per difendere una proposta che promuoverebbe efficacemente una migliore competitività dell’Unione europea creando un mercato interno unificato.
D’altra parte trovo encomiabile che la direttiva rispetti pienamente i diritti in materia di contrattazione collettiva e la firma, l’estensione e l’applicazione dei contratti collettivi, nonché il diritto di sciopero e di azione sindacale in concordanza con le normative degli Stati membri che disciplinano le relazioni industriali.
In sintesi, penso che, pur non potendo essere completamente soddisfatti del risultato, poiché l’elenco di esclusioni e di condizioni limitanti è forse troppo lungo, la direttiva copre comunque un’ampia gamma di attività economiche e imporrà una certa disciplina agli Stati membri dell’UE. Considero anche di grande importanza il fatto che, grazie alla direttiva, le imprese saranno meglio informate, più aggiornate e meno dipendenti.
Georgios Toussas (GUE/NGL). – (EL) La direttiva sulla liberalizzazione dei servizi promuove le ambizioni reazionarie del capitale europeo. Rafforza il monopolio dei mercati dei servizi con ripercussioni particolarmente sfavorevoli sulla qualità, la sicurezza e il costo dei servizi. Offre ai monopoli la possibilità di fruire di servizi “a basso costo” forniti da prestatori di servizi di altri Stati membri. Approfitta del mercato interno per ridurre il prezzo della manodopera e per sfruttarla, mietendo così profitti eccessivi. Promuove la liberalizzazione e la penetrazione delle grandi imprese in una serie di aziende e servizi pubblici. Mette in discussione diritti per i quali si è lottato duramente. Esercita pressioni sulla classe operaia in tutti gli Stati membri, discriminando tra i lavoratori al fine di ridurre i rapporti di lavoro al minimo comune denominatore. Introduce cambiamenti legislativi a spese della classe operaia e dei suoi diritti. Apporta al diritto del lavoro cambiamenti reazionari che si stanno già elaborando dietro le quinte dell’associazione tripartita tra i governi dell’UE, la plutocrazia e le forze sindacali riconciliate.
Il partito comunista greco invita la classe operaia e la base a lottare contro l’intera politica antiproletaria dell’UE e dei governi degli Stati membri, a contribuire a cambiare il rapporto di potere a livello politico e sindacale e a rendere più efficace la loro azione, al fine di soddisfare le moderne necessità della famiglia lavoratrice della base.
(La seduta, sospesa alle 11.30 in attesa del turno di votazioni, riprende alle 11.45)
PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS Vicepresidente
4. Turno di votazioni
Presidente. – Do la parola all’onorevole Rack per una mozione di procedura.
Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, se ho ben capito, il Presidente deve presiedere la seduta. In sua vece può intervenire oltre una dozzina di vicepresidenti. Se è davvero impossibilitato a prendere parte alla seduta, al suo posto dovrebbe essere presente almeno uno di questi vicepresidenti.
Presidente. – No, onorevole Rack. Ero io incaricato di presiedere il turno di votazioni. Il mio lieve ritardo è dovuto al fatto che mi trovavo all’aeroporto per ricevere l’Emiro del Qatar e nel tragitto di andata e ritorno si è verificato un leggero ritardo.
Passiamo ora al turno di votazioni.
(Per i risultati e ulteriori dettagli della votazione: vedasi il processo verbale)
4.1. Una nuova strategia quadro per il multilinguismo (votazione)
Prima della votazione sul paragrafo 20
Zbigniew Zaleski (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, qualora il paragrafo 20 non venga respinto, propongo un emendamento orale:
“Poiché altrimenti le lingue dei nuovi Stati membri, meno utilizzate e meno riconosciute, soprattutto nell’Europa occidentale, perderanno terreno e il loro spazio sociolinguistico sarà occupato dalle lingue dominanti, e in particolar modo dall’inglese”.
(Il Parlamento respinge l’emendamento orale)
4.2. Sistema di preferenze generalizzate dell’Unione europea (votazione)
5. Benvenuto
Presidente. – Permettetemi di porgere il benvenuto a Olexander Moroz, presidente del Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, presente in tribuna d’onore insieme alla delegazione che lo accompagna.
(Applausi)
Auguriamo al signor Moroz una felice permanenza presso di noi e auspichiamo che riesca a dirigere i lavori parlamentari nel suo paese in modo tale che l’Ucraina possa passare dalla difficile situazione attuale a un futuro democratico, prospero e stabile nel quale potrà sempre contare sulla nostra amicizia e sul nostro appoggio.
Ho inoltre il piacere di porgere il benvenuto in tribuna d’onore a una delegazione del parlamento algerino, presieduta da Abderrezak Bouhara, vicepresidente del Consiglio della nazione, in questi giorni in visita presso il nostro Parlamento.
Speriamo che le riunioni che il signor Bouhara avrà con i membri della delegazione per le relazioni con i paesi del Maghreb e con altri membri di questa Assemblea contribuiscano a rafforzare i nostri molteplici legami con la Repubblica di Algeria e ci permettano di progredire nella ricerca comune della pace, della prosperità e della democrazia per i paesi situati su entrambe le sponde del Mediterraneo.
PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES Presidente
(La seduta solenne inizia alle 12.05)
6. Seduta solenne – Qatar
Presidente. – Onorevoli colleghi, vostra Altezza, mi pregio di dare il benvenuto all’Emiro del Qatar, lo Sceicco Hammad bin Khalifa al-Thani. Desidero inoltre ricordare che è qui in visita il presidente del parlamento ucraino, presente in tribuna d’onore.
E’ un onore per noi oggi porgere il benvenuto al primo capo di Stato di un paese del Golfo che tiene un discorso al Parlamento europeo.
In effetti, è la prima volta che abbiamo il piacere e l’onore di ricevere un capo di Stato proveniente da una regione così importante come quella del Golfo.
Lei è stato un pioniere nel processo di democratizzazione della sua regione. Ha promosso una costituzione scritta, approvata mediante un referendum, che garantisce tutta una serie di riforme democratiche, tra cui, naturalmente, il riconoscimento della libertà di espressione e di opinione, la concessione del suffragio universale a tutti i cittadini adulti, uomini e donne, e l’istituzione di un parlamento da eleggere con regolari elezioni che si celebreranno il prossimo anno.
Inoltre, Altezza, lei ha svolto un ruolo importante sulla scena internazionale. Lei e il suo paese, un piccolo paese con appena 200 000 cittadini e oltre 600 000 immigrati. Un paese che ha organizzato la Conferenza di Doha che ha varato il round di negoziati OMC ancora in corso.
E’ l’unico Stato arabo che attualmente è membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
E’ un pioniere nella concessione di aiuti finanziari e nell’invio di truppe per la forza di pace in Libano. Le sue truppe si trovano là insieme alle nostre.
Ha dato un notevole slancio alla ricerca di una soluzione pacifica al conflitto tra Palestina e Israele, essendo uno dei pochissimi Stati arabi che intrattengono relazioni commerciali con Israele.
Inoltre, dieci anni fa, nel 1996, lei ha preso una decisione importante, che ha avuto notevoli ripercussioni in tutto il mondo, quando ha autorizzato le trasmissioni del canale televisivo Al-Jazeera, rivoluzionando l’accesso alle notizie e alle informazioni nel mondo arabo.
Quel canale ora trasmette in inglese e contribuisce al dialogo e alla comprensione tra civiltà. Forse anche noi un giorno riconosceremo l’importanza di un canale in arabo e inglese e forse anche noi, un giorno, avremo un canale televisivo europeo che trasmetterà in arabo.
Vostra Altezza, siamo estremamente interessati ad ascoltare le parole che vorrà dirci questa mattina.
Vorremmo sentire la sua opinione sullo sviluppo della democrazia nel Qatar. Ma vorremmo anche conoscere il suo punto di vista su come possiamo promuovere la pace in Palestina e la pace e la stabilità in Iraq. E su come ridurre le tensioni con l’Iran.
Durante tutto il mio mandato – che presto giungerà al termine – ho insistito sull’importanza per l’Europa delle relazioni con il mondo arabo e islamico. Credo che sia una delle sfide geostrategiche più importanti con cui si confrontano gli europei: le relazioni con il mondo islamico, che devono andare molto più in là delle relazioni con i nostri vicini immediati, i paesi del Mediterraneo.
Questo Parlamento si compiace dunque del fatto che siano iniziati i negoziati su un accordo commerciale tra la nostra Unione, l’Unione europea, e i paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo. Ci auguriamo che i negoziati si possano concludere in tempi rapidi, cosicché le relazioni con il Qatar e i suoi vicini assumano un maggiore contenuto strategico e politico. In quest’ottica, la sua visita odierna al Parlamento europeo acquista un significato e una rilevanza ancora maggiori.
La sua visita, la visita del suo paese, per noi è importante per molte ragioni; inoltre, avviene in una giornata simbolica perché, sempre oggi, il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sull’Alleanza di civiltà ha appena presentato le sue raccomandazioni al Segretario generale Kofi Annan, a Istanbul.
E’ un buon momento per la sua presenza qui tra noi a Strasburgo, nel cuore dell’Europa, affinché le sue opinioni e le opinioni del mondo arabo possano avvicinarci e consentirci di affrontare il futuro più uniti di quanto non sia stato possibile in passato.
Sua Altezza reale Sceicco Hamad Bin Khalifa Al-Thani, Emiro dello Stato del Qatar(1). – (EN) Nel nome di Dio, misericordioso e pietoso, signor Presidente, onorevoli parlamentari, desidero esprimervi la mia gratitudine per il cortese invito a parlare dinanzi a questo Parlamento, che rappresenta 450 milioni di europei ed è uno degli esempi di integrazione regionale di maggior successo nel mondo intero. Vorrei anche ringraziarvi per l’ospitalità, la cordiale accoglienza e i sentimenti di amicizia che mi avete dimostrato.
Nel rivolgersi al Parlamento europeo, non si ha altra scelta che esprimere una grande ammirazione per l’opera diligente che si è svolta sul continente europeo per molti decenni. Nel corso di quegli anni i vostri paesi, con motivazione e forza di volontà, sono stati capaci di dimenticare le pagine dolorose del passato e di aprire un nuovo capitolo promettente, già ricco di successi. Il prestigioso status internazionale di cui oggi gode il Parlamento europeo rappresenta un faro di ispirazione che molti altri paesi stanno cercando di emulare. Noi, nel mondo arabo, abbiamo l’esperienza della Lega degli Stati arabi, che ci fa sperare che anche noi riusciremo a realizzare quello che avete realizzato voi. In questa sede, desidero sottolineare che la democrazia non è solo una necessità per ogni paese del mondo, bensì è un requisito fondamentale per l’integrazione economica regionale e per la stabilità delle relazioni internazionali in tutte le regioni del mondo, perché impedisce a un paese di prendere decisioni arbitrarie che spettano a tutte le nazioni in tutti i paesi.
Lo Stato del Qatar, come ben sapete, ha scelto la democrazia come strumento per proteggere i diritti umani e promuovere la partecipazione del popolo. La nostra scelta democratica è in linea con il nostro obbligo di praticare il principio di Al-Shoura, una delle regole fondamentali dell’islam, che non può essere trascurata e che è stata istituita per ampliare la partecipazione del popolo. Quindi, la democrazia non dev’essere limitata ai pochi, ma dovrebbe comprendere tutto il popolo. Questo principio non si può applicare in modo selettivo. E’ un diritto fondamentale che non può essere ignorato né calpestato. Talvolta, nella realtà della nostra regione si evidenziano comportamenti differenti dai principi dell’islam. Questo non è dovuto a un problema insito nel principio stesso, ma al fatto che viene male interpretato e applicato in modo sbagliato.
L’islam non solo invita i fedeli a partecipare alla vita pubblica, ma li invita anche a rispettare le minoranze e a proteggerne i diritti. Incoraggia le persone a conoscere le altre culture e ad interagire con esse in un rapporto di dare e avere. Mi ha fatto molto piacere che molti dei miei amici europei conoscano questo aspetto dell’islam e siano bene informati sulla storia dei loro vicini. Significa che hanno il desiderio di instaurare con loro un rapporto e un dialogo fruttuosi.
Vorrei ricordare che gli arabi fecero da ponte tra la civiltà greca e l’Europa, con la traduzione in arabo di opere greche. Molti famosi filosofi e pensatori greci furono in tal modo trasferiti nel pensiero europeo, dando quindi vita al Rinascimento.
Molte persone sono entrate in contatto con l’islam e si sono convertite a questa religione con piena convinzione e accettazione, grazie all’interazione e alle comunicazioni culturali con musulmani. L’islam si è diffuso attraverso il dialogo ed è proliferato con la convinzione. Non è mai stato imposto con la forza. C’è chi afferma il contrario, ma queste persone sbagliano e offendono l’islam.
Occorre sottolineare l’importanza del dialogo tra i seguaci di diverse religioni e impegnarsi per la continuità tra le religioni, al fine di evitare qualsiasi scontro artificiale e inutile. Purtroppo, in Oriente e in Occidente esistono gruppi e individui che hanno invocato un simile scontro. Si tratta di persone ignoranti, che si sono dichiarate nemiche di chi è diverso da loro per la razza o il colore della pelle; non vedono nella diversità una fonte di ricchezza e non prestano ascolto agli appelli per l’avvicinamento e il dialogo nel mondo.
Colgo questa occasione per esortare tutte le persone ragionevoli, sagge e oneste, in Oriente e in Occidente, a fare fronte comune per bloccare i proclami di divisione e intolleranza, che minacciano la pace e il rispetto per le religioni e i luoghi sacri.
(Applausi)
Occorre promuovere il rispetto per le religioni e i luoghi sacri per non metterli in pericolo. E’ ugualmente importante collaborare per combattere le distorsioni, provocate da fomentatori, ignoranti ed estremisti, delle percezioni reciproche delle diverse parti. Lo Stato del Qatar dedica un impegno costante a tale scopo e ospita molti forum intesi ad incoraggiare il dialogo tra civiltà, come il Forum annuale per il dialogo tra religioni.
La situazione del Medio Oriente riveste da sempre una notevole importanza per l’Europa a causa della vicinanza geografica delle due regioni e della loro continuità politica, economica e culturale, che non è mai venuta meno nel corso della storia. In considerazione di tale vicinanza è indubbiamente nell’interesse dell’Europa sostenere vaste riforme nei paesi del Medio Oriente e incoraggiarli a proseguire con serietà sulla strada delle riforme senza tornare sui loro passi e senza abusare del concetto di democrazia con parole vuote. Ampie riforme e la democrazia reale sono la strada per un Medio Oriente migliore, affinché quei paesi possano raggiungere la stabilità, i loro abitanti possano godere della libertà, le loro istituzioni possano diventare più forti e gli Stati possano progredire sulla base del rispetto della legge; un Medio Oriente dove le persone dispongano di tutti i mezzi scientifici ed economici di base per trattare come pari con i vicini e il resto del mondo, per agire come partner e non essere emarginati.
A questo proposito sappiamo, e probabilmente l’Europa lo sa ancora meglio, che l’immigrazione da o attraverso i paesi del Medio Oriente è divenuta una sfida enorme. Benché l’Europa si impegni molto da anni per affrontare la questione, le soluzioni vincenti sono sempre quelle che vanno alla radice del problema e ne affrontano le cause, non solo i sintomi. Di conseguenza, quando il processo di riforma sarà portato a termine con successo e la cultura della democrazia sarà consolidata nel Medio Oriente, e i suoi popoli saranno in grado di combattere tutte le forme di corruzione, molte delle persone che lasciano il loro paese alla ricerca di una vita decente non sceglieranno più di emigrare, purché possano soddisfare le proprie aspirazioni nel proprio paese.
Il consolidamento della democrazia e il raggiungimento della pace in Medio Oriente sono obiettivi di pari importanza. La mancanza di democrazia e l’incapacità di trovare una soluzione giusta per il problema palestinese hanno prodotto varie forme di violenza, che alcuni considerano atti di terrorismo da combattere con le misure più severe, senza differenziare tra una forma o l’altra, né prendere in considerazione modi per eliminare le cause che le alimentano. Noi denunciamo tutte le forme di terrorismo e collaboriamo con la comunità internazionale per combatterle. Tuttavia, intendiamo distinguere tra gli atti di violenza ingiustificata su persone innocenti per qualsivoglia pretesto, che vanno denunciati, e quello che è il diritto legittimo di un popolo di opporre resistenza all’occupazione secondo le leggi e le consuetudini internazionali.
Siamo convinti che una soluzione giusta alla questione palestinese si dovrebbe basare sull’attuazione di tutte le risoluzioni internazionali da parte di israeliani e palestinesi, con il sostegno della comunità internazionale per entrambe le parti. In questo modo si eviterebbe la complessità raggiunta recentemente nelle relazioni tra le due parti. Il governo palestinese, costituito negli ultimi mesi dal movimento di Hamas conformemente alla libera volontà del popolo palestinese, avrebbe dovuto avere l’opportunità di lavorare per la popolazione che l’ha eletto.
Invece di essere premiato per avere esercitato la democrazia – cosa che si vede raramente nella nostra regione – il popolo palestinese è stato punito per questo. Non capisco come si possa imporre un embargo su un governo democraticamente eletto e come si possano imporre sanzioni collettive su tutta la popolazione solo perché ha esercitato il suo diritto democratico di eleggere le persone che la governeranno.
(Applausi)
Non è una contraddizione chiedere libere elezioni e poi contestarne il risultato?
La definizione della questione palestinese è collegata alla disponibilità di Israele di adempiere tutti i suoi obblighi, attuando le risoluzioni internazionali che sanciscono il ritiro dai territori arabi occupati, l’istituzione di uno Stato palestinese indipendente con la città santa di Gerusalemme come capitale, la cessazione immediata della distruzione delle infrastrutture palestinesi e delle uccisioni e torture di civili, per cui decine di palestinesi innocenti nei territori occupati hanno perso la vita, come nell’ultimo caso del massacro di Beit Hanoun. Questa è la via d’uscita dalla situazione di stallo in cui si trova ora la questione palestinese, e riteniamo che la comunità internazionale dovrebbe impegnarsi di più per arrivare rapidamente a una soluzione del problema, con vantaggio non solo per il Medio Oriente ma per il mondo intero.
Occorre trovare una soluzione generale al conflitto arabo-israeliano. Questa necessità è stata riconfermata dalla recente guerra distruttiva mossa da Israele contro il Libano. Ora che i combattimenti si sono fermati e che le forze UNIFIL – alle quali partecipa il Qatar – hanno cominciato a svolgere i loro compiti, ci auguriamo che il Libano sarà in grado di esercitare la sua sovranità su tutto il suo territorio, e che Israele la rispetti.
Riguardo all’Iraq, ci auguriamo che il paese superi la crisi attuale, che mantenga la sovranità e l’unità dei suoi territori e che la popolazione dell’Iraq ritrovi la sicurezza e la libertà. Confido che l’Unione europea, che è consapevole del pericolo rappresentato dalla situazione irachena per la stabilità regionale nel Medio Oriente, raddoppi gli sforzi per aiutare l’Iraq a superare la situazione pericolosa in cui si trova in questo momento.
La stabilità nel Medio Oriente impone inoltre che il Parlamento europeo continui a impegnarsi per una soluzione pacifica alla questione del programma nucleare iraniano, con la conferma che i suoi obiettivi resteranno esclusivamente pacifici e sotto la supervisione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. A questo proposito, vorremmo ribadire l’invito a eliminare la presenza di armi nucleari in Medio Oriente e a obbligare Israele a firmare il Trattato di non proliferazione.
(Applausi)
Prima di concludere il mio discorso, desidero ricordare la forza del rapporto di cooperazione tra l’Unione europea e lo Stato del Qatar nello specifico, e con il Consiglio di cooperazione degli Stati del Golfo in generale. Dalla firma del trattato di cooperazione tra i paesi del Consiglio di cooperazione degli Stati del Golfo e l’allora CEE nel 1989, lo Stato del Qatar ha consolidato le relazioni con l’Unione europea in vari settori. Solo nel campo dell’energia, il Qatar ha concluso contratti con una serie di paesi dell’Unione europea, tra cui Italia, Belgio, Regno Unito e Spagna, per soddisfare il fabbisogno di gas naturale di questi paesi. Abbiamo instaurato rapporti di collaborazione anche in campo culturale, economico e politico. Il Qatar e l’Unione europea saranno quindi in grado di rafforzare ulteriormente i legami che li uniscono.
Vi ringrazio nuovamente, e che la pace e la grazia di Dio siano con tutti voi.
(L’Assemblea, in piedi, applaude lungamente)
Presidente. – Sua Altezza, la ringrazio per le sue parole. Sono sicuro che avranno contribuito a una maggiore comprensione del punto di vista del mondo arabo, del mondo islamico, su questioni che sono di interesse comune, per l’Europa e per voi.
E’ stato un onore per il Parlamento europeo riceverla. La ringrazio molto.
Josu Ortuondo Larrea (ALDE). – (ES) Signor Presidente, il motto fondamentale dell’Unione europea è “unità nella diversità”. Sin dalle sue origini, stiamo cercando di costruire uno spazio comune non solo economico ma, soprattutto, di opportunità di vita e libertà. Questo tra popoli e nazioni che hanno molto in comune: non mi riferisco solo agli interessi strategici, politici e sociali che condividiamo, ma anche ai nostri valori, alle abitudini e al modo di intendere la vita.
Abbiamo una base culturale comune che comprende il pensiero greco, il diritto romano, il cristianesimo, la Riforma, l’Illuminismo, il Rinascimento e anche la globalizzazione. Nel contempo, tuttavia, è indubbio che conserviamo differenze culturali e identità specifiche e, in particolare, le nostre lingue. Questa diversità, benché possa apparire solo come un ostacolo, in realtà è una fonte di grande ricchezza e vitalità.
Per questo, anche se non è stata approvata, ho votato a favore della proposta di modifica del Trattato sull’Unione europea, affinché possa esistere una legislazione comunitaria in materia di rispetto e protezione delle lingue, in particolare delle lingue minoritarie, e sia istituita un’agenzia europea per la diversità linguistica e il multilinguismo.
Ho votato a favore anche della promozione dell’apprendimento, da parte dei cittadini europei, di almeno due lingue oltre alla propria, poiché ritengo che questo sia il modo migliore per favorire la comprensione reciproca, la coesistenza e l’unità.
Michl Ebner (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, sulla questione del multilinguismo sono favorevole all’adozione di questa relazione dell’onorevole Joan i Marí. In effetti, ho votato a favore anche se con un certo numero di riserve, che mantengo tuttora. Credo che né la Commissione europea né i colleghi deputati – o almeno la maggioranza – nel corso della votazione in Aula abbiano dimostrato sufficiente coraggio su una serie di emendamenti. Il multilinguismo è un presupposto essenziale per la tolleranza e l’accettazione, e occorre fare di più in questo campo nell’interesse della comprensione all’interno dell’UE.
E’ un fatto che il Parlamento aveva deciso che la Commissione avrebbe dovuto studiare la questione della creazione di un’agenzia e presentare al Parlamento una relazione in merito, ed è altrettanto vero che la Commissione si è dimostrata inadempiente in proposito. Questa omissione dev’essere corretta.
La procedura in quest’Aula è che le relazioni vengano presentate prima che si tengano le relative discussioni e si prendano le decisioni.
Tomáš Zatloukal (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, è una buona notizia che sia stata adottata la nuova strategia quadro per il multilinguismo. I singoli Stati membri saranno responsabili dell’attuazione di questa politica. Alcuni Stati membri stanno già apportando modifiche ai rispettivi sistemi scolastici. Una parte sostanziale di questi cambiamenti riguarda l’insegnamento delle lingue straniere come strumenti di comunicazione e riconoscimento della diversità culturale.
Dobbiamo fornire un sostegno inequivocabile all’indicatore europeo di competenza linguistica, se vogliamo fare il miglior uso possibile dei singoli sistemi di conoscenza linguistica nella pianificazione della formazione. La motivazione all’insegnamento delle lingue straniere è accresciuta anche dalla trasparenza degli esami e delle certificazioni in campo linguistico, a vantaggio di chi li affronterà nella sua carriera futura.
La relazione rappresenta un importante contributo al rafforzamento dell’insegnamento delle lingue straniere, al miglioramento della competitività dei lavoratori e alla promozione della comunicazione tra i cittadini e le Istituzioni europee. Questo è un ulteriore motivo per il quale ho votato a favore della relazione.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione. In tutta questa euforia per il multilinguismo, non dobbiamo dimenticare le carenze evidenziate dai risultati in costante declino degli studi PISA.
Il numero degli stranieri nelle classi dovrebbe di norma essere limitato al 30 per cento, per favorire l’integrazione, mantenere standard di qualità e ridurre il potenziale di conflitti culturali. Quindi, a mio parere, una sufficiente padronanza della lingua locale prima di cominciare il normale percorso scolastico e, se necessario, un maggiore sostegno linguistico, ad esempio sotto forma di un anno supplementare alla scuola per l’infanzia o di preparazione alla scuola primaria, dovrebbero diventare la norma nell’UE.
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, vorrei aggiungere le mie riserve a quelle del collega Mölzer. Questa relazione contiene alcuni spunti eccellenti, in particolare laddove segnala che l’insegnamento dell’inglese non ha bisogno di essere sovvenzionato dall’Unione europea.
Si propone una posizione estremamente ambiziosa, intesa a trasformare in lingue ufficiali tutte le circa sessanta lingue minoritarie, che tuttavia in qualche modo va a discapito delle 21 lingue nazionali dell’Unione, alcune delle quali sono già in qualche misura minacciate: lettone, lituano, estone, ungherese e sloveno non sono lingue utilizzate per le comunicazioni internazionali. Anche la situazione dell’italiano, del tedesco e del francese è motivo di qualche preoccupazione.
E’ piuttosto paradossale che la relazione proponga di fare economie sulla base del fatto che queste lingue ufficiali dell’UE non sono necessariamente considerate lingue di lavoro in tutte le delegazioni, al fine di concedere finanziamenti a vantaggio delle lingue regionali. Ieri abbiamo avuto l’esempio piuttosto increscioso del capo di Stato di un paese che recentemente ha raggiunto la piena indipendenza, che si è sentito obbligato a parlare in inglese invece che nella sua lingua madre, anche se ha studiato a Strasburgo! A mio parere questo non fa presagire nulla di buono per lo sviluppo del multilinguismo nell’Unione europea.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Joan i Marí su una nuova strategia quadro per il multilinguismo, seppure con qualche riserva in merito ad alcune proposte ed emendamenti che sono stati adottati.
A mio parere, la strategia europea per il multilinguismo dovrebbe coprire l’insegnamento e la promozione delle “lingue europee diffuse nel mondo”, una definizione che si applica al portoghese, che è la terza lingua comunitaria più parlata nel mondo (dietro a inglese e spagnolo e davanti a tedesco, francese e italiano). Per la sua unicità e per il fatto che è parlata da circa 200 milioni di persone in otto paesi di cinque continenti, la lingua portoghese dovrebbe rientrare tra le lingue ufficiali dell’UE. La relazione omette di riconoscerlo come sarebbe opportuno.
Il portoghese rappresenta il legame più duraturo tra i continenti, in quanto è un mezzo di comunicazione, è la materia prima utilizzata da grandi poeti e scrittori e ha una dignità acquisita in ottocento anni di storia.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Sosterrò questa relazione con un certo grado di riluttanza. Mi pare che l’aggiunta infinita di ulteriori lingue al cocktail delle lingue ufficiali dell’UE non vada necessariamente a vantaggio del funzionamento efficiente delle Istituzioni. Sono d’accordo che dev’essere possibile per i deputati parlare ed ascoltare nelle rispettive lingue, ma questo non è necessariamente vero per i funzionari della Commissione o del Consiglio.
Ora ci troviamo in una situazione anomala nella quale sarà disponibile il gaelico per chi proviene dalla Scozia, lo spagnolo per chi proviene da Gibilterra, ma non il gallese per chi proviene dal Galles. Tuttavia, se dobbiamo aggiungere nuove lingue, chiederei che tra queste ci sia la lingua di una parte del mio elettorato, e precisamente quello della Cornovaglia. E’ una lingua minoritaria, ma i suoi potenziali parlanti sono almeno altrettanto numerosi quanto i parlanti di maltese, una lingua ufficiale della Comunità.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Il multilinguismo è importante per la libertà di circolazione all’interno dell’Unione europea. Quindi abbiamo votato a favore della relazione nel suo complesso.
Tuttavia, abbiamo votato contro certe formulazioni proposte, comprese quelle concernenti la legislazione in materia linguistica a livello dell’UE, l’istituzione di un’agenzia per la diversità linguistica e/o il multilinguismo e la costituzione di un gruppo di lavoro interistituzionale incaricato di presentare una modifica al Trattato sull’UE, nell’intento di creare una base giuridica per il concetto di “rispetto della diversità linguistica”.
Come sempre, entra in gioco la tendenza del Parlamento europeo a esagerare. Desideriamo puntualizzare che gli Stati membri hanno la responsabilità esclusiva di organizzare l’insegnamento e garantire il pieno rispetto dei contenuti dei sistemi scolastici. Di conseguenza, spetta a ciascuno Stato membro assicurarsi che i suoi cittadini ricevano un’adeguata formazione linguistica.
Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Desidero congratularmi con l’onorevole Joan i Marí per la sua relazione importante e tempestiva su una nuova strategia quadro per il multilinguismo, alla quale do il mio pieno sostegno. Accolgo con favore le misure proposte per promuovere il multilinguismo in Europa.
L’esistenza di diverse lingue in Europa è una caratteristica peculiare del processo di integrazione europea e un elemento fondamentale della cultura europea. L’apprendimento di varie lingue, che è l’obiettivo noto come “lingua madre + 2” stabilito nella strategia di Lisbona, dovrebbe essere incoraggiato nell’intento di agevolare la comunicazione tra i popoli di diversi paesi e di promuovere l’accettazione delle differenze tra di essi.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione e accolgo volentieri le misure intese a proteggere le lingue minoritarie e ad accrescerne l’utilizzo. Tuttavia, l’incoraggiamento del multilinguismo non dovrebbe trasformarsi in un uso eccessivo (e non necessario) di prestazioni di interpretariato e traduzione nelle lingue regionali.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione perché il multilinguismo è un argomento che mi sta molto a cuore e perché sento che l’UE dovrebbe mandare un messaggio forte e chiaro di promozione della diversità linguistica nel suo territorio.
Riguardo all’indicatore europeo di competenza linguistica, citato nella relazione, ribadisco gli argomenti già esposti nella mia dichiarazione scritta sulla questione.
L’adozione di un indicatore di competenza linguistica è necessaria per rimediare alla mancanza di dati verificabili sulle competenze linguistiche dei cittadini dell’UE. Tuttavia, l’indicatore non dev’essere limitato alle cinque lingue più parlate nell’UE. Oltre ad altri fattori, dobbiamo tenere conto del profilo di altre lingue europee presenti nel mondo. Si tratta di un aspetto fondamentale della questione, che l’UE deve integrare nella sua politica di apertura e di cooperazione con il resto del mondo.
Per questo motivo, il mio voto a favore dell’emendamento n. 4 è un modo per enfatizzare l’invito rivolto alla Commissione a definire una tabella di marcia specifica per estendere l’indicatore a tutte le lingue ufficiali dell’UE, come ho proposto nella mia dichiarazione scritta.
José Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Nella nuova strategia quadro per il multilinguismo, mi compiaccio del fatto che il Parlamento abbia ripreso il mio contributo al riconoscimento dell’importanza strategica e della rilevanza globale delle lingue europee diffuse nel mondo.
In tutto il mondo, 350 milioni di persone sono di madrelingua inglese; lo spagnolo è la lingua madre di 280 milioni di persone, il portoghese di 230 milioni di persone e il francese di 125 milioni di persone. Queste cifre e la diffusione geografica dei parlanti di queste lingue sono indicative dell’importanza delle lingue europee presenti nel mondo. Queste lingue aumentano la nostra capacità di sostenere e rafforzare le relazioni e i contatti diretti con le altre parti del mondo senza bisogno di un intermediario.
Passando a un altro aspetto della questione, sono consapevole del fatto che gli oppositori della promozione del multilinguismo citano i costi come uno dei motivi per eliminarlo o sostituirlo con un’unica lingua di lavoro, o solo alcune.
E’ innegabile che si tratta di un costo. Tuttavia bisogna ricordare, malgrado gli argomenti finanziari citati, che tra i costi sostenuti nella costruzione dell’Europa moderna questo è per un’ottima causa: la promozione della nostra tradizione. Il multilinguismo certamente costa meno di una guerra ed è una potente attività culturale.
Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) Quello del multilinguismo è un concetto importante. Occorre riconoscere l’unicità del Parlamento europeo, che dispone dell’interpretazione simultanea in 21 lingue diverse, presto 23. Tuttavia, se vogliamo realizzare l’obiettivo della competenza linguistica di tutti i cittadini europei nella propria madrelingua più altre due lingue, occorre un sostegno a livello di Stati membri.
In Scozia sono sempre meno le persone che scelgono di studiare le lingue straniere a scuola e all’università. Occorre invertire la tendenza. Mi fa piacere che tutti i ragazzi di dieci anni nelle scuole scozzesi stiano imparando una lingua straniera. Il loro impegno dovrebbe essere incoraggiato e sostenuto. Andrebbe lodato anche il sostegno dell’esecutivo scozzese all’insegnamento in lingua gaelica.
– Sistema di preferenze generalizzate dell’Unione europea (B6-0578/2006)
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Il desiderio di far dipendere la concessione del sistema di preferenze generalizzate a determinati paesi – vale a dire l’accesso privilegiato al mercato europeo per le loro esportazioni – dall’osservanza delle regole minime dell’Organizzazione internazionale del lavoro è una buona cosa.
Tuttavia, come di solito accade con questo tipo di risoluzioni, temo che siamo ancora allo stadio delle pie illusioni. Malgrado le clausole che impongono il rispetto dei diritti umani e dei diritti “sociali” basilari con cui l’Europa di Bruxelles infarcisce i suoi accordi commerciali internazionali, non credo che abbia mai punito una violazione di tali diritti né applicato tali clausole. Accetta di commerciare con la Cina e ne ha sostenuto l’ingresso nell’OMC, nonostante quello che sappiamo sulle condizioni di lavoro in quel paese comunista, sull’esistenza dei campi Laogai e del lavoro forzato, sulla repressione politica e la mancanza di libertà, e anche sulla violazione sistematica del diritto di proprietà, con l’esercizio su vasta scala di attività di contraffazione e copia.
Si tratta di un problema di credibilità, e su questo punto l’Europa non ne ha.
Richard Howitt (PSE), per iscritto. – (EN) Ogni anno vengono uccisi più sindacalisti in Colombia che in tutto il resto del mondo. Nel 2005 ne sono stati uccisi 70, 260 hanno ricevuto minacce di morte, 56 sono stati imprigionati arbitrariamente, sette sono sopravvissuti ad attentati con esplosivi o armi da fuoco, sei sono stati rapiti e tre sono scomparsi.
La Commissione è stata molto orgogliosa di spendere le sue credenziali nel combinare i vantaggi del sistema di preferenze generalizzate con le norme sui diritti. La stessa OIL ha dichiarato che la Colombia non rispetta pienamente le norme fondamentali dell’OIL sul lavoro, come sarebbe necessario per accedere ai vantaggi del regime SPG+. La ratifica di una convenzione OIL non equivale alla sua attuazione, come possono sicuramente testimoniare i sindacalisti della Colombia.
Accolgo dunque con favore questa risoluzione e la dichiarazione resa dal Commissario Mandelson nel corso della discussione, ed esorto la Commissione a rivedere la posizione della Colombia nell’ambito del regime SPG+. Altrimenti, un paese che assassina i suoi sindacalisti continuerà ad apparire ricompensato per averlo fatto.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Mi compiaccio di questa votazione. Ormai in troppi paesi beneficiari del sistema di preferenze generalizzate si verificano ripetute violazioni dei diritti dei lavoratori. La Commissione deve garantire l’attuazione delle pertinenti convenzioni OIL mediante valutazioni regolari e trasparenti.
Oldřich Vlasák (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei illustrare le ragioni per cui ho votato a favore della proposta di raccomandazione sulla direttiva relativa ai servizi nel mercato interno. Innanzi tutto, giudico molto positivamente il fatto che, dopo tre anni di lunghi negoziati, le Istituzioni europee siano giunte a una decisione sui progressi in vista della liberalizzazione della circolazione dei servizi, che porterà alla creazione di più di mezzo milione di nuovi posti di lavoro e sosterrà la crescita economica nei nostri paesi.
Benché la direttiva, nella sua forma definitiva, non corrisponda interamente alla mia idea originale di liberalizzazione dei servizi nel mercato interno comunitario, porterà tuttavia un valore aggiunto a tutti i partecipanti, ed è per questo motivo che ho votato a suo favore. Faciliterà l’accesso dei commercianti e delle PMI ai mercati degli altri Stati membri. Il compromesso raggiunto in seno al Consiglio, tuttavia, è molto fragile, e non vi è motivo di metterlo a rischio. Per questo motivo non ho votato a favore di alcuni emendamenti relativi a questioni delicate, quali il rispetto del diritto del lavoro e del diritto penale, la definizione di servizi sociali e gli obblighi di selezione. Tali questioni daranno senz’altro adito a future discussioni.
Péter Olajos (PPE-DE). – (HU) In qualità di deputato al Parlamento europeo proveniente da uno dei nuovi Stati membri, ho combattuto alacremente per i diritti delle nostre imprese e dei nostri lavoratori, e in diverse occasioni ho rivolto domande alla Commissione, sia oralmente che per iscritto, in merito alla tutela e al rispetto dei diritti dei lavoratori.
Nel corso di questo processo, spesso ci siamo imbattuti in problemi giuridici, politici ed economici. Frequentemente siamo stati accusati di dumping sociale, di abbassare gli standard di sicurezza sul posto di lavoro e di altre simili assurdità. Ormai la maggior parte dei problemi – compresi i casi SoKo Bunda e Pannonia riguardanti lavoratori ungheresi in Germania – è stata risolta, le sentenze dei tribunali hanno fermato l’azione delle autorità tedesche e sono in corso persino cause per danni.
Accogliere oggi la direttiva sui servizi è un immenso passo avanti verso il chiarimento dei diversi dubbi. Si tratta di un compromesso, il che significa che nessuno è soddisfatto al cento per cento, ma è un buon compromesso che porterà avanti la nostra causa, ossia ottenere le libertà fondamentali dell’Unione, la libera circolazione dei servizi.
Michl Ebner (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione della collega Gebhardt, soprattutto perché provengo da una zona di confine, in cui queste difficoltà sono vissute quotidianamente. Credo pertanto che si tratti di misure positive, che giovano anche e soprattutto alle zone di confine.
Mi rammarico alquanto per le polemiche di cui è stato oggetto per anni il progetto di direttiva sui servizi di cui ci occupiamo quest’oggi, che alla fine ha avuto un grandissimo consenso anche in quest’Aula, un consenso a mio avviso meritato. Mi auguro che in altre occasioni prevalgano le proposte propositive e positive sulle polemiche.
Danutė Budreikaitė (ALDE). – (LT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la libertà di fornire servizi è una delle quattro libertà dell’Unione europea sancite dal Trattato CE, che vieta che si limiti lo stabilimento dei cittadini di uno Stato membro in un altro e che si creino barriere alla libera circolazione dei servizi.
Onorevoli colleghi, sono trascorsi due anni da quando abbiamo iniziato a lavorare su questo documento, che autorizza una libertà che è nostro diritto fondamentale da ben 50 anni. Il principio del paese d’origine (condizione preliminare per la libera circolazione dei servizi), i servizi di interesse generale, l’assistenza sanitaria, i servizi sociali e gli altri sono stati tutti esclusi dalla proposta di direttiva.
La Lituania è stato l’unico paese ad astenersi dal voto sulla direttiva in seno al Consiglio. A mio parere, non ci vorrà molto per capire che l’attuazione della direttiva non sarà all’altezza delle nostre aspettative. Pertanto mi sono opposta a tale direttiva, esattamente come in prima lettura.
Bernadette Vergnaud (PSE). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, benché si siano compiuti molti progressi rispetto al testo iniziale presentato dalla Commissione europea, la direttiva sui servizi nel mercato interno oggi sottoposta al voto è diversa da quella della prima lettura del Parlamento europeo. Pertanto ho votato contro la posizione comune.
I servizi d’interesse economico generale, in effetti, fanno ancora parte del campo d’applicazione della direttiva, come pure alcuni servizi d’interesse generale. Anche la portata dell’esclusione dei servizi sociali d’interesse generale è molto più limitata. I diritti fondamentali garantiti dalla Carta europea ora figurano solo in un considerando. In conclusione, il testo resta ambiguo per quanto riguarda l’esclusione del diritto del lavoro.
Pur fornendo alcune delle risposte necessarie a tali questioni, cosa che reputo essenziale, la dichiarazione scritta presentata dalla Commissione europea non ha alcun valore giuridico e, nel caso in cui una vertenza giuridica arrivi in tribunale, la Corte di giustizia non potrà tenerne conto. Sarebbe stato diverso se tale dichiarazione fosse venuta dal Consiglio, in quanto colegislatore insieme al Parlamento.
Richard Corbett (PSE). (EN) Signor Presidente, nell’accordo in discussione, che ha ottenuto l’approvazione della grandissima maggioranza di tutti i partiti, il Parlamento si è mostrato al meglio. Abbiamo esaminato ed emendato le proposte della Commissione, assicurato che fossero attuabili e politicamente accettabili in tutti i nostri paesi e abbiamo ottenuto una soluzione che confido porterà enormi benefici all’economia comunitaria.
Mi compiaccio in particolare della modifica apportata in extremis all’accordo in materia di comitatologia. Solo pochi mesi fa abbiamo firmato un accordo con il Consiglio al fine di accordare al Parlamento maggiori diritti di scrutinio relativamente alle misure attuative che deriveranno da questa direttiva.
E’ stato inaccettabile che il Consiglio abbia detto, in un primo momento, che il nuovo accordo non si sarebbe applicato a questa direttiva. Faceva parte dell’accordo la clausola che esso fosse applicabile anche a tutte le nuove misure legislative che conferissero successivamente alla Commissione la facoltà di adottare misure attuative quasi legislative. Ora, fortunatamente, questa disposizione è stata inserita nell’accordo; pertanto, nessuna misura attuativa di un provvedimento quasi legislativo che derivi da questa legislazione potrà entrare in vigore se il Parlamento la rifiuta.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). (PL) Signor Presidente, ho votato a favore dell’adozione della versione modificata del progetto di direttiva sui sevizi. In altre parole, ero contrario a respingerla. Sono perlopiù ottimista e per questo motivo penso che essa contribuirà a diminuire la burocrazia, aumentare la crescita economica e creare nuovi posti di lavoro.
Siamo onesti, però, e ammettiamo che la versione originale della direttiva, presenta dalla Commissione europea tre anni fa, era di gran lunga migliore e avrebbe potuto contribuire in modo più efficace a raggiungere gli obiettivi della strategia di Lisbona.
La direttiva attuale è stata edulcorata in modo significativo ed è difficile definirla un grande successo. Sembra che alcuni dei vecchi Stati membri temano la libera fornitura di servizi e la concorrenza con i nuovi Stati membri, e che accampino quale giustificazione il timore del dumping sociale. Un simile atteggiamento è arduo da comprendere, poiché immagino che tutti vogliamo che l’Europa diventi più competitiva e dinamica.
Hubert Pirker (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, sono convinto che la proposta di direttiva sui servizi che abbiamo votato rappresenti il raggiungimento di un buon compromesso tra la libertà di fornire servizi, da un lato, e la necessità d’imporre restrizioni nell’interesse dei lavoratori e delle PMI, dall’altro. In effetti, è per questo che ho votato a favore della relazione.
Ora tocca agli Stati membri controllare che le disposizioni vengano osservate. Solo allora saremo in grado di considerare questa direttiva sui servizi un successo a tutti gli effetti. Vorrei invitare la Presidenza del Consiglio, il Consiglio ora assente a insistere presso gli Stati membri affinché predispongano effettivamente i meccanismi di controllo adeguati per l’attuazione della direttiva sui servizi.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. (FR) L’adozione da parte del Parlamento europeo della direttiva sui servizi permette l’istituzione di disposizioni generali che faciliteranno l’esercizio della libertà di stabilimento da parte dei prestatori di servizi, il che favorirà la libera circolazione di servizi, dei quali si garantisce l’alta qualità, escludendo inoltre il rischio di dumping sociale implicito nel concetto iniziale del principio del paese d’origine, che è stato eliminato.
Il campo di applicazione della direttiva è stato notevolmente ridotto ed esclude in particolare i servizi sanitari, i servizi pubblici non commerciali e alcuni servizi pubblici commerciali. Le attività di servizio rappresentano il 70 per cento del PIL comunitario e offrono un potenziale di crescita e occupazione significativo. Guardando indietro, vorrei sottolineare che al Presidente della Repubblica francese Chirac era stato caldamente consigliato di bloccare il testo iniziale, presentato dall’allora Commissione Prodi.
La questione dimostra la crescente influenza del Parlamento europeo, per il quale si tratta di un’importante vittoria politica che simboleggia il concetto di economia sociale di mercato espresso nel progetto di Trattato costituzionale per l’Europa. Ora dobbiamo rivolgere l’attenzione agli Stati membri, che sono responsabili della trasposizione di questo testo nel diritto nazionale in modo giusto, equo e sincero.
Graham Booth (IND/DEM), per iscritto. (EN) In quanto deputato appartenente allo UKIP, ho votato a favore della maggior parte degli emendamenti presentati dai gruppi GUE/NGL e Verts/ALE perché, nei limiti della loro comprensione dei rischi del sovranazionalismo, tali emendamenti tuttavia riconoscevano, tentando di evitarlo, il danno che una mancanza di controllo democratico e nazionale sulla fornitura di servizi può arrecare alla gente comune e soprattutto ai cittadini meno abbienti.
Gerard Batten, Derek Roland Clark, Nigel Farage, Jeffrey Titford e Thomas Wise (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Abbiamo votato per la maggior parte degli emendamenti presentati dai gruppi GUE/NGL e Verts/ALE perché, nei limiti della loro comprensione dei rischi del sovranazionalismo, tali emendamenti tuttavia riconoscevano, tentando di evitarlo, il danno che una mancanza di controllo democratico e nazionale sulla fornitura di servizi può arrecare alla gente comune e soprattutto ai cittadini meno abbienti.
Françoise Castex (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di respingere la posizione comune del Consiglio sui servizi nel mercato interno. Il voto in seconda lettura è stato dato a un testo superato rispetto al voto in prima lettura. Restano troppe incertezze quanto all’applicazione del principio del paese di origine. Il testo non chiarisce in alcun modo le restanti ambiguità in merito alla tutela dei servizi pubblici e dei consumatori.
Ancor più grave è il fatto che, benché il diritto del lavoro rientri nelle competenze nazionali, il Consiglio abbia subordinato proprio il rispetto del diritto del lavoro alle decisioni comunitarie, e pertanto l’osservanza di tale diritto d’ora in poi sarà soggetta alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.
In questo caso l’Unione europea volta le spalle all’ambizione iniziale di creare un’area europea unita. Con l’armonizzazione verso il basso delle norme di protezione sociali, ambientali e per i consumatori, si compromette il modello sociale europeo.
Brigitte Douay (PSE), per iscritto. (FR) Oggi, mercoledì 15 novembre, i deputati francesi del gruppo socialista al Parlamento europeo hanno negato il proprio sostegno alla relazione sui servizi nel mercato interno in altre parole, la direttiva servizi.
In effetti, malgrado gli importantissimi passi avanti compiuti in prima lettura dalla relatrice socialista del gruppo PSE, onorevole Gebhardt non ultimo il rifiuto del principio del paese d’origine , il Parlamento non ha ottenuto alcuna garanzia dalla Commissione in merito a un progetto di direttiva quadro sui servizi pubblici.
Essendo questa la seconda lettura di un testo per cui non vi è votazione finale sul testo completo, abbiamo accordato il nostro sostegno all’emendamento presentato da numerosi gruppi (il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica e il gruppo Verde/Alleanza libera europea), che mirava a respingere il testo. Abbiamo altresì presentato diversi emendamenti volti specificamente a garantire il rispetto della libertà degli Stati membri di definire ciò che intendono per servizi sociali d’interesse generale.
Come ha affermato l’onorevole Poignant a nome dei socialisti francesi, “la definizione, formulazione, organizzazione e l’effettivo finanziamento dei servizi d’interesse generale, economici e non, deve restare compito degli Stati membri e delle loro autorità regionali e locali”.
Anne Ferreira (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’emendamento che mirava a respingere la posizione comune del Consiglio sulla direttiva servizi. Tale direttiva è inadeguata poiché introduce maggiore confusione e incertezza giuridica e indebolisce ulteriormente la proposta modificata che il Parlamento europeo ha adottato in prima lettura, per cui ho espresso voto contrario.
Questo vale in particolare per il diritto del lavoro e i servizi sociali e pubblici, che sono stati esclusi dal campo d’applicazione della direttiva sui servizi. Inoltre, il testo del Consiglio accorda, tuttavia, alla Commissione la facoltà di sovrintendere all’applicazione della direttiva.
Pur essendo scomparso dal testo nel documento modificato dalla Commissione, il principio del paese d’origine non è stato sostituito da quello di paese di destinazione o paese ospitante, il che mi pare molto negativo, soprattutto perché sarà la Corte di giustizia delle Comunità europee a comporre le dispute che potrebbero conseguirne.
Pertanto è una direttiva sui servizi con orientamento liberale quella che è stata adottata oggi, 15 novembre.
Tre anni di dibattiti non avranno permesso di evitare una conclusione foriera di conseguenze pericolose per l’Europa politica e sociale. E’ un duro colpo all’integrazione europea, che proprio non ci voleva.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) L’adozione della direttiva che ha appena avuto luogo è un fatto estremamente inquietante. Siamo profondamente delusi per il fatto che sia stata respinta la proposta di bocciare la posizione comune del Consiglio che il nostro gruppo ha presentato e in calce alla quale apponiamo il nostro nome.
Ciò che è accaduto oggi equivale a una resa da parte dei due maggiori gruppi in seno al Parlamento, il gruppo socialista al Parlamento europeo e il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, relativamente alle posizioni espresse in prima lettura lo scorso febbraio. Non hanno fatto nulla per promuovere l’accordo che avevano creato e votato in seguito alle proteste e alle manifestazioni di Strasburgo. Ora sono ritornati ad alcuni degli aspetti più nocivi della famigerata direttiva Bolkestein originale.
Il loro obiettivo è la liberalizzazione dei servizi, anche nell’ambito dei servizi pubblici, cedendo così alle pressioni da parte dei grandi gruppi economici e finanziari, che hanno visto questo “passo” come una nuova occasione di sfruttamento dei lavoratori e di dominio economico. L’approvazione di questa direttiva non solo minerà il diritto sovrano degli Stati di definire, tutelare e finanziare i servizi pubblici, ma eliminerà anche la loro capacità di determinare gli standard di finanziamento e di tutelare i servizi nel loro complesso. Così facendo, rafforzerà il potere degli enti sopranazionali quali la Commissione.
Crediamo che ciascun paese debba continuare a detenere il diritto sovrano di prendere decisioni per quanto riguarda i pubblici servizi di cui ha bisogno, la proprietà pubblica, la forma di finanziamento e organizzazione e i diritti dei lavoratori e degli utenti finali.
Jean-Claude Fruteau (PSE), per iscritto. (FR) Malgrado i notevoli progressi compiuti rispetto al testo iniziale della Commissione europea, il testo sui servizi nell’Unione proposto oggi in seconda lettura non offre garanzie sufficienti per la prevenzione di ogni rischio di distruzione del modello sociale europeo.
Alcuni servizi sociali sensibili, quali l’edilizia popolare, i servizi di assistenza alle famiglie e i servizi sanitari pubblici, che inizialmente erano esclusi dal campo di applicazione della futura direttiva in prima lettura, sono stati così reintegrati da parte degli Stati membri.
Il vuoto giuridico che accompagna in particolare l’abolizione del PPO non è stato eliminato, lasciando all’arbitrio dei giudici della Corte di giustizia e non al legislatore il compito di definire le future caratteristiche della politica europea per mezzo della giurisprudenza che questa situazione senza dubbio genererà.
Date simili premesse, è evidente che la dichiarazione scritta della Commissione, che mira a chiarire alcuni punti oscuri del testo, come l’esclusione del diritto del lavoro, è priva di qualunque valore giuridico effettivo, il che rende particolarmente incerta la sua influenza e utilità.
Per tutti questi motivi, ho votato contro la proposta di direttiva sui servizi.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Se la nuova versione della direttiva Bolkestein non fosse già stata segnata da gravi mancanze, soprattutto quella di non essere fondamentalmente diversa dalla direttiva che l’ha preceduta, un motivo da solo ci avrebbe spinto a rifiutarla: il consenso sospetto tra il gruppo socialista al Parlamento europeo e il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei e, per giunta, l’adozione da parte loro del compromesso redatto in seno al Consiglio.
La vera rivoluzione si sarebbe avuta, tra l’altro, dichiarando esplicitamente la priorità che uno Stato membro applichi il proprio diritto nazionale, e in particolare il proprio diritto del lavoro nazionale e il proprio diritto sociale, penale e fiscale nazionale, sul proprio territorio – vale a dire, il principio del paese di destinazione in opposizione al principio del paese d’origine. In questo modo non si sarebbe impedito ai fornitori di servizi provenienti da un altro Stato membro di offrire servizi in un altro paese; si sarebbero semplicemente create le condizioni per un’equa concorrenza con gli operatori nazionali. La rivoluzione si sarebbe avuta accettando che gli Stati membri potessero introdurre condizioni in merito all’accesso ad alcune attività, quali la situazione del mercato del lavoro o le ragioni che giustificano la pianificazione territoriale. Invece non hanno questa possibilità.
Dopo la concorrenza con il resto del mondo e la concorrenza tra imprese, l’Europa ora istituisce la concorrenza tra lavoratori europei, siano essi autonomi o dipendenti, e quindi la concorrenza tra sistemi sociali. Va incontro al disastro.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) La Lista di giugno accoglie con favore la direttiva sui servizi, ritenendo che le società di servizi, indipendentemente dal paese da cui provengono, non debbano essere oggetto di discriminazioni in alcun paese comunitario.
Nel corso della discussione intorno alla direttiva sui servizi la questione fondamentale è se il principio del paese d’origine debba stare alla base della direttiva o se si debba applicare appieno la legislazione del paese ospitante. Il principio del paese d’origine riguarda settori importanti, ma rigorosamente limitati, quali l’edilizia, le attività d’impiantistica e i servizi di consulenza. Siamo favorevoli alla concorrenza in questi settori, ma riteniamo che essa debba verificarsi in condizioni eque per tutte le parti interessate. Crediamo che sul territorio svedese debbano valere le norme svedesi. Pertanto è positivo che nella posizione comune il Consiglio respinga il principio del paese d’origine.
La posizione del Consiglio è perlopiù una vittoria per le opinioni che la Lista di giugno rappresenta. La concorrenza nel settore dei servizi verrà intensificata. Nel contempo, sarà rispettata l’indipendenza nazionale degli Stati membri, in quanto il principio del paese d’origine non costituisce la base della direttiva. E’ positivo che i monopoli nazionali dei servizi non vengano interessati e che rimangano intonsi il diritto nazionale del lavoro, gli accordi collettivi, i diritti sindacali e la legislazione in materia di sicurezza sociale.
Mathieu Grosch (PPE-DE), per iscritto. – (DE) La posizione comune del Consiglio tiene ampiamente conto degli emendamenti fondamentali adottati dal Parlamento in prima lettura. Ciò che viene escluso è spiegato con chiarezza e si riferisce in particolare ad ambiti quali i servizi sanitari e i servizi audiovisivi.
Il principio del paese d’origine è stato eliminato, e la legislazione in materia di lavoro e gli accordi sociali nei paesi interessati sono stati rispettati.
E’ stato inoltre favorito l’accesso al mercato delle nostre imprese eliminando molte barriere arbitrarie.
Le opinioni della Commissione, inoltre, hanno fatto maggiore chiarezza. Di conseguenza, il risultato complessivo dei negoziati può essere considerato un successo per il Parlamento, ma anche per la politica economica e sociale. Naturalmente ogni compromesso ha le sue debolezze e alcuni degli emendamenti del Consiglio non sono chiarissimi, ma sarebbe un errore mettere in dubbio il risultato complessivo, che tutto sommato è molto positivo, riaprendo il dibattito in seno al Consiglio.
Ambroise Guellec (PPE-DE), per iscritto. (FR) La direttiva sui servizi è stata appena adottata, con una chiara maggioranza. Il merito è del Parlamento europeo. Si tratta di una vittoria per l’Unione europea. Perché? I servizi rappresentano più di metà dell’economia europea e sono la principale fonte di posti di lavoro. La libera fornitura di servizi figura tra i principi fondanti dell’Unione e la creazione di un autentico mercato interno dei servizi è cruciale per la crescita economica in Europa, e quindi per la creazione di posti di lavoro.
Con il testo adottato oggi a Strasburgo ci impegniamo a seguire questa via, offrendo le necessarie garanzie in materia di salvaguardia dei servizi pubblici d’interesse generale e di continuità del nostro acquis sociale e del nostro diritto del lavoro. Escludendo il principio del paese d’origine, il testo vieta la concorrenza sociale e costituisce un ostacolo efficace al dumping sociale. Abolisce gli ostacoli protezionistici ingiustificati, pur permettendo agli Stati membri di applicare le proprie norme nazionali qualora l’interesse pubblico lo giustifichi. Il campo d’applicazione del testo è stato inoltre limitato, con l’esclusione di settori sensibili quali il settore audiovisivo, sanitario, parte di quello dei servizi sociali, il settore delle scommesse e perfino quello notarile. Si tratta di un buon compromesso, che porterà avanti l’Europa secondo gli interessi della popolazione.
Benoît Hamon (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la direttiva perché, nonostante le migliorie apportate nel corso della discussione parlamentare e grazie alle pressioni dei sindacati e alla partecipazione dei cittadini, penso che essa rimanga profondamente liberale.
Non si prospetta alcuna autentica armonizzazione che vada a beneficio dei consumatori e dei lavoratori in cambio della spaventosa deregolamentazione del settore dei servizi in Europa, che va principalmente a beneficio delle imprese.
Per quanto riguarda i servizi pubblici, anche se la Commissione rifiuta di compiere progressi relativamente alla direttiva quadro sui servizi d’interesse generale, la direttiva sui servizi contribuisce a indebolire i servizi pubblici, alcuni dei quali ne subiranno gli effetti allo stesso modo di semplici servizi commerciali.
In conclusione, i “requisiti proibiti e i requisiti da valutare” negli articoli 14 e 15 rendono impossibile o perlomeno estremamente arduo realizzare un’eventuale regolamentazione nel settore dei servizi. Vi sarà un prezzo massimo per i servizi di base, un numero minimo di dipendenti per garantire la qualità di taluni servizi sensibili, pianificazione territoriale, ad esempio per l’apertura di supermercati, e norme che finora erano considerate garanzie per il rispetto dell’interesse generale e che ora vengono viste invece come altrettanti ostacoli inaccettabili alla libertà di stabilimento e d’impresa.
Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Reputo troppo limitato l’elenco ristretto di servizi d’interesse generale, che lascerà molti servizi in un limbo. Sono dentro o fuori? Non abbiamo alcuna direttiva quadro in questi settori, che sono essenziali per combattere la povertà e per incoraggiare la coesione sociale e che rivestono un’importanza particolare per le donne. Si tratta di politiche comunitarie fondamentali. La dichiarazione di stamani da parte della Commissione non può vincolare la futura Commissione che deterrà il mandato quando la direttiva entrerà in vigore. La dichiarazione non ha alcun valore legale dinanzi alla Corte di giustizia, che ora prenderà decisioni cui il Parlamento ha scelto di sottrarsi. Nel voto odierno abbiamo visto che la maggior parte dell’Assemblea preferisce non rilasciare dichiarazioni chiare in materia di diritti dei lavoratori e di tutela dei servizi pubblici. Come spiegheranno ai loro consiglieri a livello locale e regionale che ne stanno indebolendo il ruolo nel determinare la fornitura di servizi d’interesse generale e nel salvaguardare l’interesse pubblico? Il Parlamento ha ottenuto cambiamenti positivi nella proposta originaria. Avremmo potuto fare di più.
Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Malgrado qualche miglioramento, malgrado qualche settore aggiuntivo sia stato escluso dal campo d’applicazione, o meglio di disturbo, della prima versione della direttiva Bolkestein, il presente testo, nella sua nuova versione, resta fondamentalmente inaccettabile. Rimane una porta aperta al dumping sociale e alla concorrenza sleale tra lavoratori.
Di fatto non risolve alcuno dei problemi sollevati dalla direttiva originale. Non esclude i servizi pubblici e non salvaguarda il diritto degli Stati membri di determinare il modo in cui tali servizi si definiscono, si organizzano e si finanziano. Nega i legittimi requisiti economici, sociali o di diversa natura che gli stessi Stati membri possono imporre all’accesso a un’attività, riconoscendo loro solo la possibilità d’invocare “esigenze prioritarie d’interesse generale”, concetto vago che la Corte, a Lussemburgo, si farà carico d’interpretare nel modo più restrittivo possibile. Subordina il rispetto del diritto del lavoro dello Stato membro in cui il servizio viene fornito al rispetto del diritto comunitario e, più in concreto, del principio di libera fornitura di servizi sancito dai Trattati, mossa che equivale a rinnegare l’applicazione di tale diritto nazionale.
Diversi milioni di europei hanno rifiutato quest’Europa ultraliberale, che disprezza le persone e le nazioni e pone in primo piano le leggi del mercato, gli interessi finanziari e la sacrosanta concorrenza. Ascoltateli prima che sia troppo tardi!
Marie-Noëlle Lienemann (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’emendamento che respinge la direttiva, la quale rappresenta un passo indietro in confronto al voto in prima lettura perché lascia aperta l’applicazione del principio del paese d’origine e non esclude in alcun modo i servizi pubblici – SIG, SIEG – da questa “libera concorrenza”, con il risultato che verranno notevolmente destabilizzati.
La Commissione europea spiega che il testo non stabilisce chiaramente quale legge si applicherà e che pertanto nella maggior parte dei casi troverà applicazione il diritto privato internazionale, strettamente legato al principio del paese d’origine. Il margine di manovra degli Stati membri per intervenire in ambito sociale sarà estremamente ridotto. Malgrado i progressi formali compiuti, a poco a poco con questo testo s’imporrà la realtà liberale e il nostro modello sociale verrà messo a rischio.
Patrick Louis e Philippe de Villiers (IND/DEM), per iscritto. – (FR) Nel tentativo di ottenere il consenso dei cittadini francesi all’epoca del referendum sulla Costituzione europea, il fronte del “sì”, in particolare all’interno dell’UMP, fece loro tre promesse: che la direttiva Bolkestein sarebbe stata ritirata, che l’IVA sarebbe stata abbassata per il settore della ristorazione e che si sarebbe abbandonato il progetto di adesione della Turchia all’Unione europea. Alla fine, i cittadini francesi si sono ritrovati con la Turchia, con la direttiva Bolkestein e con un’aliquota IVA invariata.
Il compromesso su cui votiamo oggi è, a quanto pare, una versione edulcorata del testo originale, che – oltre al danno anche la beffa – prevede per la Commissione e la Corte di giustizia pieni poteri per ripristinare il testo iniziale. Come può affermare l’onorevole Toubon che adottando questo compromesso spera di “evitare il peggio”?
Il peggio significherebbe dunque l’assenza di una direttiva, ma questa era esattamente la promessa fatta ai francesi nel 2005 dall’UMP e dal capo di Stato!
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. (FR) E’ senza entusiasmo che oggi voto a favore della direttiva sui servizi. Il testo è stato fin troppo distorto e manipolato. Disposizioni essenziali come quelle sul distacco dei lavoratori sono scomparse, cosa che deploro.
Ci hanno detto che tali disposizioni sono state eliminate per prevenire il dumping sociale, ma non è assolutamente vero. Esse avrebbero chiarito le norme e i controlli di base all’interno dell’Unione europea in materia d’imprese e lavoratori. Analogamente, ci rallegriamo molto del fatto, che accogliamo con favore, che il principio del paese d’origine accompagnato dalle necessarie tutele sia scomparso.
Nel contempo, però, come possiamo essere ansiosi di compiere un gran balzo in avanti per il mercato interno? Che cosa offriamo alle nostre imprese e ai cittadini? In ogni caso, non le norme chiare di cui hanno bisogno nel mercato interno.
Troppe bugie e paure hanno guastato i dibattiti al riguardo, a danno del mercato interno e dell’integrazione della nostra Europa.
Con questa direttiva, abbiamo perso una grande occasione di integrarci maggiormente. Traiamone un insegnamento per il futuro e non commettiamo di nuovo gli stessi errori.
David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la relazione Gebhardt e sostanzialmente l’adozione della direttiva sui servizi. Il Parlamento ha svolto un ruolo significativo nel permettere una circolazione più libera dei servizi transfrontalieri nell’Unione senza minare i servizi sociali, i diritti sindacali o le leggi ambientali. Il Parlamento dovrà monitorare attentamente l’attuazione della direttiva per assicurare che gli impegni presi in Aula dal Commissario vengano rispettati.
Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. (EN) La direttiva sui servizi avrà conseguenze notevoli sulla vita dei lavoratori e dei consumatori, abbassando il livello di fornitura dei servizi e aumentando il rischio di dumping sociale. Riserva la priorità assoluta alla libertà di fornire servizi transfrontalieri, mentre libertà quali i diritti sociali e la contrattazione collettiva vengono escluse o eliminate.
La direttiva incoraggia l’abbassamento dei salari e offre alle società numerosi espedienti da sfruttare per pagare meno della retribuzione minima. Incentiva i fornitori di servizi a stabilirsi in paesi con bassi livelli di salario e di tasse, e incoraggia una corsa al ribasso in materia di stipendi e condizioni di lavoro.
I requisiti normativi sono parte integrante del funzionamento di tutti i servizi, e la necessità di tali requisiti aumenta di pari passo con il grado di partecipazione del settore privato. La direttiva mette in discussione il diritto degli Stati membri e delle autorità locali di regolamentare i servizi.
In conclusione, il Parlamento ha ceduto alla Commissione e al Consiglio rifiutandosi di sostenere la già inadeguata posizione espressa in prima lettura.
Purtroppo non ho potuto votare in questa occasione perché mio figlio era ricoverato in ospedale.
Joseph Muscat (PSE), per iscritto. (MT) Ho votato a favore della direttiva per due ragioni.
Innanzi tutto non abbiamo trattato le persone come numeri a servizio del mercato, abbiamo invece riservato la priorità assoluta ai diritti dei lavoratori.
La seconda ragione è che abbiamo eliminato tutte le restrizioni alla circolazione delle persone, non mettendo i lavoratori l’uno contro l’altro e scatenando così una gara in cui vince chi offre i propri servizi alle peggiori condizioni, ma dando prova di voler utilizzare la libertà di circolazione per promuovere i diritti dei lavoratori.
Questo voto dovrebbe inviare con forza il messaggio che non si deve continuare ad approfittarsi dei lavoratori stranieri offrendo condizioni peggiori di quelle riservate ai lavoratori locali. Né dev’essere ammissibile esercitare pressioni sui lavoratori locali affinché, con tali metodi, accettino salari e condizioni inferiori.
Al di là di questo, i lavoratori vanno informati in modo dettagliato circa le condizioni offerte ai lavoratori locali e stranieri, e non vanno lasciati all’oscuro. La mancanza d’informazioni conduce al sospetto e all’antagonismo, proprio come accade, ad esempio, alla Malta Drydocks.
Non si deve risparmiare sulle spese limitando i diritti dei lavoratori, ma elevando la qualità dei servizi. Questo è ciò che la direttiva deve realizzare.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La coalizione e la sinistra europea nel suo insieme hanno votato contro la proposta di direttiva Bolkestein modificata adottata dal Parlamento europeo perché essa sarà fonte di pressioni sui lavoratori e rappresenterà un duro colpo per l’Europa sociale.
Il compromesso tra la destra europea e i socialisti moderati non elimina affatto la logica neoliberale e l’immane impatto sociale negativo della proposta. Con le sue ambiguità, tale compromesso lascia la porta aperta a ulteriori interpretazioni sfavorevoli da parte sia della Commissione che della Corte di giustizia. La proposta riformulata di Commissione e Consiglio adottata oggi dal Parlamento senza alcun emendamento rafforza tutte queste pericolose ambiguità.
La Corte di giustizia delle Comunità europee protegge sistematicamente con la sua giurisprudenza le imprese che prestano servizi, sfruttando il principio del paese d’origine. Le sue sentenze vanno sempre contro le norme del paese ospitante, con l’argomentazione che ostacolano le attività delle imprese in questione.
L’adozione della direttiva incentiva il pericoloso trasferimento delle imprese in paesi con esigua legislazione sociale ed ambientale.
La lotta della sinistra europea al dumping sociale proseguirà anche dopo il voto sulla direttiva, a livello sia nazionale che europeo, in collaborazione con i sindacati e le ONG.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Naturalmente ho votato a favore della direttiva sui servizi. Frutto di ampi compromessi, è un testo modificato, rivisto e rimaneggiato che liberalizza il mercato dei servizi in Europa. Ho votato a favore di questo testo, come un’ampia maggioranza dell’Assemblea – quasi quattro quinti dei deputati.
La liberalizzazione del mercato dei servizi sarà positiva per le nostre economie: contribuirà alla lotta al lavoro nero e garantirà una migliore protezione sociale a tutti i lavoratori europei. Secondo l’OCSE, la direttiva creerà due milioni e mezzo di posti di lavoro in Europa e, fino a prova contraria, sarà fonte di occupazione; questa è tuttora la migliore politica sociale che esista!
La demonizzazione è la tattica usata da chi ne è privo; aggiungerei che è divertente osservare che, in ambito socialista, solo un ultimo drappello d’irriducibili, comprendente i belgi francofoni, ancora respinge questo compromesso che è stato accolto da tutti, anche dai sindacati!
Parlamento e Consiglio hanno fatto la loro parte e dimostrato che coloro che perseverano nel demonizzare questo testo hanno torto. Nella sua forma attuale, il testo preserva le parti migliori del modello sociale europeo e riconosce la natura specifica dei servizi d’interesse generale. I colegislatori hanno posto fine alle menzogne, dando all’Europa un’opportunità di crescita!
Martine Roure (PSE), per iscritto. – (FR) In conformità del mio voto sulla direttiva sui servizi in prima lettura, ho votato contro la posizione comune. Il Consiglio, in effetti, non ha accolto tutti gli emendamenti presentati dal Parlamento europeo. Ho dovuto respingere la posizione comune del Consiglio poiché esclude chiaramente il diritto del lavoro e i servizi sociali d’interesse generale.
Per questo motivo ho firmato insieme ad altri e votato tre emendamenti, presentati dalla delegazione socialista francese, che prevedono la chiara e totale esclusione del diritto del lavoro e dei servizi sociali d’interesse generale dal campo d’applicazione della direttiva sui servizi. In effetti, si tratta di tutelare i diritti fondamentali dei cittadini europei, che non devono essere regolati dalle norme del mercato interno.
Pur spiegando i propri intenti in diversi punti, la dichiarazione della Commissione non è sufficiente in quanto non vincolante.
In conclusione, ho votato a favore degli emendamenti che miravano alla completa esclusione dei servizi d’interesse generale dal campo d’applicazione della direttiva.
José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. (PT) L’Unione europea ha impiegato 50 anni per ottenere la libera circolazione dei servizi sancita nel Trattato di Roma del 1957, che ora sta per diventare una realtà.
L’Unione europea compie un ulteriore passo nella direzione giusta con la direttiva sui servizi, che favorirà la libertà di stabilimento e la libertà di fornire i servizi offerti dal mercato interno negli Stati membri dell’Unione.
Se la direttiva Bolkestein è stata controversa fin dall’inizio, il testo definitivo è decisamente meno esplicito.
Credo tuttavia che la relazione abbia trovato il giusto equilibrio tra l’esigenza fondamentale di aprire il settore dei servizi alla concorrenza e quella di preservare nel contempo il modello sociale europeo.
Ho votato a favore della direttiva perché penso che il Portogallo abbia molto da guadagnare, traendo dunque il massimo beneficio dal mercato interno.
L’adozione della direttiva era la cosa giusta da fare, se non altro perché è stata eliminata una serie di ostacoli amministrativi e giuridici imposti dalle autorità nazionali, regionali e locali. Le società portoghesi, e in particolare le PMI, saranno i principali beneficiari.
L’adozione della direttiva, inoltre, contribuirà al raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona, che mirano a una maggiore crescita, occupazione e libertà di scelta dei servizi per i consumatori.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. (NL) Benché la posizione comune del Consiglio in merito alla direttiva sui servizi, sulla quale oggi dobbiamo esprimere il nostro voto, possa rappresentare un miglioramento rispetto all’originaria proposta della Commissione, alcuni suoi aspetti restano tuttora inaccettabili.
Il documento crea incertezza giuridica. Non si chiarisce, ad esempio, quali normative si applichino e in quale misura gli Stati membri possano imporre misure a carattere nazionale. La possibilità di un’armonizzazione verso l’alto non è stata contemplata. La clausola di revisione, inoltre, apre la via alla reintroduzione del principio del paese d’origine e all’aggiunta di servizi attualmente al di fuori del campo d’applicazione della direttiva. I servizi d’interesse economico generale rientrano nel campo d’applicazione della direttiva e, non essendoci alcuna direttiva quadro per i servizi d’interesse generale, questa direttiva rischia di formare un quadro orizzontale per i servizi d’interesse economico generale.
Deploro inoltre il fatto che l’elenco dei servizi sociali che non rientrano nel campo d’applicazione della direttiva che in origine era indicativo sia diventato un elenco restrittivo. E’ inoltre deludente l’assenza di qualunque riferimento alla Carta europea dei diritti fondamentali. In conclusione, sono particolarmente insoddisfatto della resa dell’Assemblea per quanto riguarda la massima applicazione dei risultati ottenuti in prima lettura. Di conseguenza, viene messo a rischio il futuro dell’Europa democratica e sociale.
Catherine Stihler (PSE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore il voto odierno in merito alla direttiva sui servizi e sostengo il compromesso raggiunto.
Konrad Szymański (UEN), per iscritto. (PL) L’unico vantaggio del presente compromesso in merito alla direttiva sui servizi è che la sua adozione non peggiorerà la base su cui opera il mercato dei servizi. Questa è l’unica ragione per cui possiamo sostenere il compromesso nella votazione odierna. La Corte di giustizia fornirà la prova del nove per la direttiva, in quanto certamente verrà chiamata frequentemente a dirimere le dispute riguardanti i contenuti contraddittori della direttiva.
Da un lato è stata sancita la libertà di fornire servizi. Dall’altro, la direttiva non si applica agli ambiti, definiti in modo vago, dei servizi pubblici e sociali e delle agenzie di lavoro temporaneo. Non ha alcun potere sulla regolamentazione della legislazione in materia di lavoro e degli accordi collettivi e il suo campo d’applicazione è limitato per quanto riguarda il lavoro svolto dai lavoratori distaccati.
Ne consegue che, quando verrà adottata la direttiva, non vi sarà alcuna eliminazione di barriere reali alla fornitura di servizi nell’Unione. Si tratta di un compromesso raggiunto interamente a spese dei nuovi Stati membri, che hanno un vantaggio competitivo sul mercato comunitario, soprattutto nel settore dei servizi. Nessuna delle ragioni sociali addotte per l’introduzione delle suddette eccezioni e restrizioni serve a raggiungere gli obiettivi sociali dichiarati. Danno soltanto prova di sciovinismo politico da parte dei sindacati e di altri gruppi d’interesse dei vecchi Stati membri.
Finora le discussioni sul progetto sono state il massimo esempio d’ipocrisia europea cui abbiamo assistito in questo semestre. Il Parlamento europeo e con lui l’intera Unione europea finge d’introdurre i principi di un mercato comune nel settore dei servizi. Così facendo, non solo ci prendiamo in giro da soli, ma ci facciamo anche beffe dei cittadini.
Salvatore Tatarella (UEN), per iscritto. (FR) Innanzi tutto vorrei porre l’accento sull’efficacia del lavoro svolto dalla relatrice, onorevole Gebhardt, che ha assicurato che il testo adottato fosse nettamente migliore del progetto iniziale del Commissario Bolkestein.
Nondimeno, nonostante la bontà del suo lavoro, ho votato a favore dell’emendamento per respingere la direttiva e degli emendamenti che ho firmato, insieme a quelli presentati dal gruppo Verde/Alleanza libera europea e dal gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, poiché il testo di seconda lettura non arriva dov’era giunto quello di prima lettura.
Nel testo restano numerose zone grigie, che si sarebbero dovute chiarire prima di poter accogliere una normativa di tale importanza, che riguarda il futuro dei cittadini d’Europa.
Alcuni servizi, inoltre, come ad esempio i servizi d’interesse generale, non sono stati eliminati dal quadro della direttiva, il che potrebbe causare imprevisti.
Reputo eccessivo il margine di controllo degli Stati membri e d’interpretazione della direttiva concesso alla Corte di giustizia e alla Commissione. Il legislatore dà più del dovuto al governo dei giudici.
Presidente. Con questo si concludono le dichiarazioni di voto.
9. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
(La seduta, sospesa alle 13.10, riprende alle 15.00)
PRESIDENZA DELL’ON. MOSCOVICI Vicepresidente
10. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
11. Situazione a Gaza (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla situazione a Gaza.
Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, l’Unione europea nutre profonda preoccupazione per la violenza esplosa a Gaza nelle ultime settimane. Nel corso di un’operazione militare da parte d’Israele, l’8 novembre diverse persone sono morte a Beit Hanoun, e a causa di un disastroso fuoco di sbarramento quasi 20 palestinesi, tra cui donne e bambini, hanno perso la vita mentre lasciavano l’area. Parecchie persone, inoltre, sono rimaste ferite. L’azione militare ha altresì distrutto le infrastrutture cittadine. L’Unione europea deplora profondamente la violenza e il danno arrecati da questi atti di brutalità.
Nel contempo, i palestinesi continuano a lanciare indiscriminatamente razzi Qassam contro Israele, ad esempio contro le città di Ashkelon e Sderot. A causa di questi attacchi si sono avuti anche un morto, numerosi feriti e danni materiali. L’Unione ha invitato i leader palestinesi a fare tutto il possibile per porre fine a tali attacchi.
L’Unione europea non può accettare l’uso della violenza. Ciascun paese ha il diritto di difendersi, ma questo non lo autorizza a fare un uso irrazionale della forza su larga scala o a intraprendere azioni simili a quelle cui si è assistito a Beit Hanoun. Israele deve adattare la portata degli interventi alla situazione. Deve rispettare il diritto umanitario internazionale. La sicurezza non vale solo per una parte, ma per tutti nella regione mediorientale. L’Unione europea si è rivolta a Israele affinché ponga fine all’azione militare a Gaza.
L’Unione ha altresì invitato i leader palestinesi a fermare il lancio di missili che va avanti in misura variabile dall’inizio dell’autunno. Lo scopo dei lanci è probabilmente quello di accrescere timore e insicurezza, il che, com’è ovvio, si rivolge erroneamente alla popolazione civile. Gli israeliani non dovrebbero più vivere in un clima di continua paura: anche loro hanno diritto alla pace. I palestinesi devono smettere di ricorrere alla violenza per fini politici.
La crescente spirale di violenza minaccia di distruggere qualunque possibilità di riavviare il processo di pace in Medio Oriente. Episodi come quelli descritti servono solo ad allontanare le parti dalle opportunità a disposizione, soprattutto ora che occorre un processo di pace che miri a negoziare l’istituzione di un modello a due Stati. Lo scopo è ancora la creazione di uno Stato palestinese autonomo, che viva in pace accanto a Israele. L’Unione europea si augura che gli episodi di Beit Hanoun non siano motivo di scoramento per le parti in causa e la comunità internazionale e che non le spingano ad abbandonare la ricerca di una pace durevole e giusta.
L’Unione europea spera inoltre che gli attacchi a Beit Hanoun non dissuadano i palestinesi dal proseguire la ricerca di armonia reciproca e della formazione di un governo di unità nazionale che possa soddisfare le condizioni poste dal Quartetto. L’intera comunità internazionale necessità di un degno interlocutore quale suo partner. I palestinesi hanno diritto a un governo che rappresenti gli interessi di tutti i cittadini.
Nel contempo, la situazione umanitaria tra i palestinesi è motivo di grande preoccupazione per l’Unione europea. Le condizioni economiche e umanitarie nei territori palestinesi sono intollerabili. La situazione verrebbe notevolmente migliorata se Israele tenesse aperti i valichi di frontiera a Rafah e Karni e se migliorasse la mobilità palestinese. L’Unione europea, inoltre, ha invitato Israele a riconoscere come entrate i dazi e i tributi doganali riscossi, che appartengono ai palestinesi. Questo potrebbe semplificare notevolmente la situazione economica dei palestinesi.
La stessa Unione europea ha cercato di aiutare i palestinesi. Quest’anno, attraverso vari canali, sono stati forniti più di 650 milioni di euro di aiuti, il che corrisponde a circa il 25 per cento in più rispetto all’anno scorso. Il meccanismo internazionale temporaneo è stato uno strumento funzionale di assistenza ai palestinesi, e speriamo che di esso possano fare buon uso anche Israele e altre parti in causa.
La situazione in Medio Oriente non è dunque molto promettente alla luce dei fatti degli ultimi giorni, ma ciononostante dobbiamo continuare a credere in un futuro migliore. L’Unione europea farà tutto il possibile per sostenere il processo di pace.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, grazie per avermi invitato in questo giorno simbolico, il 15 novembre, in cui si celebra la festa nazionale palestinese, per parlare della situazione a Gaza.
L’escalation di violenza a Gaza è culminata di recente nell’attacco dell’8 novembre da parte delle forze di difesa israeliane a Beit Hanoun, che ha avuto come conseguenza la morte di 18 civili palestinesi. In risposta, la mia collega, Commissario Ferrero-Waldner, ha dichiarato di essere “profondamente sconvolta da questo episodio particolare”. Il nostro pensiero ora va soprattutto alla famiglia Uthamina, che ha perso sei donne e otto bambini, uccisi nel sonno, e a tutti i palestinesi e gli israeliani innocenti che hanno perso la vita in questa spirale di violenza.
In seguito all’attacco, il Commissario Ferrero-Waldner ha invitato tutte le parti a porre fine alla violenza e a dare una possibilità al dialogo. Le fazioni palestinesi devono smettere di lanciare razzi nel territorio israeliano. Del diritto all’autodifesa di Israele, che pur riconosciamo, non devono fare le spese vite innocenti.
L’attacco di Beit Hanoun è l’ultimo di una serie d’incursioni nella striscia di Gaza iniziata il 28 giugno. Le operazioni militari hanno arrecato danno a infrastrutture essenziali, soprattutto a Gaza tra cui la centrale elettrica, importanti strade e ponti ed edifici governativi e ucciso quasi 300 palestinesi, perlopiù civili. In risposta, quest’anno la Commissione ha intensificato l’assistenza per far fronte alla crescente situazione d’emergenza e alle esigenze umanitarie.
Nel giugno 2006, abbiamo lanciato il meccanismo internazionale temporaneo, che contribuisce mediante risorse finanziarie degli Stati membri e della Comunità europea ad alleviare la crisi socioeconomica nei territori palestinesi. Tale meccanismo ha sovvenzionato la fornitura di servizi di base a 1,3 milioni di persone che vivono nella striscia di Gaza e di prestazioni sociali a 100 000 palestinesi vulnerabili. L’ambito dell’operazione si sta ora estendendo a 150 000 casi.
Attraverso ECHO, la Commissione ha destinato 84 milioni di euro all’assistenza a famiglie palestinesi vulnerabili cui vengono forniti cibo, acqua e servizi igienico-sanitari, assistenza sanitaria e protezione sociale. La Commissione europea offre altresì un pacchetto di aiuti alimentari di 26 milioni di euro. Aiuti in cibo e in denaro vengono erogati mediante l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione ai profughi palestinesi classificati tra i casi di particolare gravità, mentre pacchetti alimentari vengono distribuiti ai non rifugiati attraverso il programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite.
La Commissione è altresì uno dei principali donatori dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione. Nel 2006 abbiamo fornito 64 milioni di euro al suo fondo generale. Tale Agenzia offre servizi sanitari, educativi e altri servizi sociali ai rifugiati palestinesi. A Gaza, questi servizi rappresentano l’unico elemento di stabilità in un contesto di insicurezza.
I nostri sforzi possono alleviare la crisi umanitaria per i palestinesi. La causa fondamentale, tuttavia, ossia la mancanza di speranza in una soluzione pacifica per israeliani e palestinesi, va affrontata con urgenza. Vi è un bisogno pressante di ritornare a un ampio processo di pace con una prospettiva politica chiara.
Al processo di riconciliazione tra palestinesi va data una possibilità. Dobbiamo incoraggiare il Presidente Abbas a proseguire gli sforzi per formare un governo di unità nazionale, che si fondi sui cosiddetti “principi del Quartetto” di non violenza, riconoscimento degli accordi internazionali, riconoscimento d’Israele quale Stato e che tenga conto dei precedenti impegni. In questo modo si contribuirà a riportare la speranza in uno Stato autonomo e indipendente per i palestinesi.
Per questo motivo il Consiglio “Affari generali e Relazioni esterne”, che si è riunito lunedì, ha accolto con favore la proposta della Commissione di offrire sostegno supplementare ai palestinesi non appena si costituisca un governo di unità nazionale. Al fine di fornire tale sostegno entro la fine dell’anno, dovremo ricorrere alla riserva per aiuti d’urgenza e ottenere il consenso dell’autorità di bilancio. La Commissione farà affidamento sul sostegno del Parlamento europeo.
In parallelo all’assistenza comunitaria, Israele deve versare centinaia di milioni di dollari di entrate fiscali e doganali che ha percepito a nome dell’Autorità palestinese e che da marzo trattiene in risposta alla formazione del governo guidato da Hamas.
Tutti dobbiamo collaborare cosicché, in occasione della prossima festa nazionale palestinese, si possano festeggiare i progressi compiuti verso la creazione di uno Stato palestinese democratico, autonomo e sovrano.
Hans-Gert Poettering, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signora Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, la situazione in Medio Oriente è a un tempo preoccupante, pericolosa e tragica. E’ preoccupante perché i conflitti proseguono da decenni e non se ne intravede la fine. E’ pericolosa perché le tensioni tra le parti contrapposte sono in costante aumento, e perché le potenze esterne, quali Siria e Iran, esercitano la loro influenza in misura crescente. Infine, è tragica perché tra le vittime si contano le persone comuni, e soprattutto numerosi bambini.
Come diciamo a tutte le parti in causa in Medio Oriente, una soluzione militare è fuori discussione: occorre che alla pace si arrivi attraverso il dialogo e i negoziati. Diciamo inoltre che la politica “dell’occhio per occhio, dente per dente” è da escludere, perché non farà altro che creare ulteriori tensioni, con ciascuna parte che risponde a un attacco assalendo l’altra con maggior forza. Dobbiamo spezzare questo ciclo della violenza. Lo chiediamo sia alla parte israeliana che a quella palestinese.
La posizione del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei è cristallina. Vogliamo uno Stato israeliano con confini sicuri e, analogamente, uno Stato palestinese con confini sicuri. La dignità di un israeliano è analoga a quella di un palestinese, e non possiamo applicare due pesi e due misure. Vogliamo uno Stato libanese indipendente e democratico. Chiunque metta in dubbio il diritto di esistere di ciascuno di questi Stati quello israeliano e quello libanese ci sono già, e ci dovrebbe essere quello palestinese rischia di arrecare danni duraturi non solo alla pace nella regione, ma anche, nelle circostanze attuali, alla pace mondiale.
L’Unione europea e altri devono dare un contributo alla pace. Credo che l’Unione europea sia davvero molto lieta di dare tale contributo disponendo le proprie truppe nella regione, anche se avremmo voluto vedere un esercito europeo anziché eserciti nazionali dei singoli Stati membri. Si tratta di una questione che l’Unione europea deve tuttavia valutare per il futuro quale strumento per dare un contributo davvero europeo al riguardo. Ciononostante, anche solo il fatto che i soldati si trovino sul posto rappresenta un passo avanti. L’evoluzione verso un contributo veramente paneuropeo, anche militare, deve però continuare.
Ora tocca ai politici, i cui punti di forza principali sono la fiducia e la credibilità. Laddove vi siano critiche da fare, dobbiamo farle, indipendentemente dal fatto che i responsabili siano israeliani o palestinesi. Per quanto riguarda le decisioni del Consiglio di sicurezza e lo dico da filoamericano convinto è inaccettabile che ogni critica o condanna mossa a Israele venga censurata dagli Stati Uniti.
(Applausi)
Vorrei dire in tutta serietà che non è questo il modo di ottenere credibilità né, soprattutto, di costruire la fiducia in tutti i partner coinvolti. Ritengo che l’opportunità dell’Unione europea consista nella sua credibilità al riguardo, perché riconosciamo il diritto di esistere sia allo Stato israeliano che a quello palestinese e desideriamo la pace in Libano.
Se, con il massacro di Beit Hanoun, presumibilmente dovuto a un errore tecnico, Israele ha provocato tali terribili conseguenze, le scuse non bastano. In futuro le sue decisioni politiche devono assicurare che Israele non reagisca costantemente secondo il principio “occhio per occhio, dente per dente”.
(Applausi)
Mi hanno appena informato che oggi i razzi Qassam hanno ucciso una donna e portato via entrambe le gambe alla guardia del corpo di un ministro. Questo deve finire. Dobbiamo dirlo a entrambe le parti, e dobbiamo essere credibili. Noi europei non dobbiamo chiudere un occhio, ma assumerci le nostre responsabilità.
(Applausi)
Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, non è la prima volta che il Parlamento discute della situazione a Gaza, ed è improbabile che sia l’ultima. E’ però la prima volta che una discussione rivela la formazione di un’opinione in seno all’Assemblea che implicherà un cambiamento nelle relazioni dell’Unione europea con uno dei suoi partner, cioè Israele.
I commenti dell’onorevole Poettering dimostrano che necessitiamo di una discussione che superi la divisione tra i gruppi sulla posizione che l’Unione europea deve assumere in merito a questa situazione e soprattutto al ruolo d’Israele e del governo israeliano negli sviluppi nella regione.
Non ho alcuna aspettativa dalle organizzazioni terroristiche. Che cosa ci aspettiamo dai terroristi? La risposta è terrore, disprezzo per il genere umano, le sofferenze indicibili che questi criminali hanno provocato e continuano a provocare ogni giorno nel mondo di cui l’onorevole Poettering ha dato poc’anzi un esempio. Quali aspettative può avere un sistema giuridico comune quale quello comunitario da simili individui? La risposta è “nessuna”. Non sono partner adatti a noi. Non sono le persone in cui dobbiamo e possiamo riporre le speranze quando si tratta di costruire la pace.
Dobbiamo tuttavia nutrire aspettative da un paese democratico fondato sullo Stato di diritto. Israele, paese meraviglioso, il paese fondato in risposta al punto più basso raggiunto nella storia del genere umano, ha diritto alla nostra completa solidarietà nella regione. Chiunque tenti di minacciare questo Stato o di mettere in dubbio il suo diritto a esistere incontrerà l’opposizione di tutti gli europei. Non vi sono limiti alla nostra solidarietà con Israele.
In quanto paese democratico fondato sullo Stato di diritto, tuttavia, Israele deve essere aperto alle domande. Dev’essere possibile chiedere a una democrazia che poggia sui nostri stessi valori fondamentali come si può definire un evento come quello di Beit Hanoun un “incidente tecnico”. Da una cultura giuridica democratica mi aspetto che i responsabili di questo “incidente tecnico” siano chiamati a rispondere delle proprie azioni.
(Applausi)
Purtroppo la pausa estiva del Parlamento è stata interrotta da un incidente tecnico simile a Qana. Mi domando tuttora chi ne sia responsabile.
Se vi sono danni collaterali dagli sviluppi nella regione, Israele deve preoccuparsi del fatto che la sua cultura giuridica non ne faccia parte. Ovviamente Israele deve difendersi ed essere in grado di farlo, e da parte nostra dobbiamo dargli una mano. Gli eventi in Libano sono nell’interesse della sicurezza israeliana. Ciò che gli europei vogliono, affinché vi sia uno Stato palestinese stabile, è nell’interesse della sicurezza di Israele. Tutti i nostri tentativi finanziari o diplomatici, e ora militari sono nell’interesse della sicurezza israeliana. Ciò che l’Unione europea, sistema giuridico comune, non può tuttavia accettare è rispondere all’illegalità con l’illegalità. Questo è inaccettabile.
Altra cosa inaccettabile è restare in silenzio mentre un partito che giudica i cittadini in base alla loro origine etnica, come il partito di Liebermann, entra a far parte del governo in un paese come Israele. Questo è inaccettabile.
(Applausi)
E’ diritto sovrano d’Israele eleggere un simile partito, ma è altresì nostro diritto sovrano di deputati al Parlamento condannare una simile politica. Nessun socialdemocratico al mondo ha alcunché in comune con Liebermann.
L’unica opportunità per una soluzione nella regione è la rinuncia alla violenza. Il dialogo è l’unica strada percorribile. Le parti in causa devono tentare di guardare al di là di tutta la violenza e di tutte le esperienze dolorose e parlarsi. Vi sono stati alcuni validi tentativi: ricordiamoci gli sforzi di Yitzhak Rabin, che era capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, e tuttavia sapeva che il dialogo è l’unico modo per superare la guerra e i conflitti.
Il dialogo non è una garanzia di successo, ma ciò che è certo è che senza di esso non vi è alcuna possibilità di pace. Ci aspettiamo pertanto che soprattutto Israele dia la priorità al dialogo politico anziché a un’ulteriore militarizzazione.
(Applausi)
Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signor Presidente, ho perso il conto del numero di volte che abbiamo discusso del Medio Oriente negli ultimi mesi, ma so che dal nostro dibattito di settembre 150 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, di cui 70 solo nell’ultima settimana. L’atrocità compiuta a Beit Hanoun, dove sono stati uccisi 18 civili palestinesi, è tanto imperdonabile quanto inspiegabile.
In una spirale di violenza in cui vi è aggressione armata da entrambe le parti, spesso è arduo distinguere l’attacco dalla rappresaglia, ma non ho dubbi che David Grossman abbia detto il vero la settimana scorsa, quando ha affermato che la condotta dei capi israeliani è infame.
Il mio collega, onorevole Davies, è stato di recente a Gaza. Racconta, come altri, che Gaza è diventata una prigione, in cui quotidianamente si parla di esecuzioni extragiudiziali, di vite distrutte e ridotte in miseria, di rappresaglie sproporzionate soprattutto da quando è iniziata l’operazione “Summer Rains”, i razzi Qassam hanno ucciso 14 civili nell’arco di due anni. La reazione dell’esercito israeliano ha provocato la morte di 126 persone nell’ultimo mese, di cui 63 non implicate nei combattimenti.
Il tempo è scaduto. Non possiamo più aspettare. La comunità internazionale non può continuare a condannare aspettando di risolvere la situazione. Si tratta di una strategia disastrosa che lascia il campo libero agli altri. Dobbiamo rilanciare il dialogo e i negoziati, senza perdere tempo a schierare osservatori internazionali e militari a Gaza. Dobbiamo rinnovare l’impegno del Quartetto, e mi auguro che gli Stati Uniti rafforzino il proprio ruolo prestando assistenza nei negoziati, creando il precedente per un nuovo multilateralismo.
I palestinesi devono comprendere che l’uso del terrore non varrà mai loro il riconoscimento che cercano, e gli israeliani devono capire che con l’incessante spregio del diritto internazionale e l’azione militare sproporzionata contro obiettivi civili perdono credibilità.
In occasione della cerimonia di commemorazione di Yitzhak Rabin, David Grossman ha parlato di un paese ipnotizzato di fronte al dilagare della follia, della rozzezza, della violenza e del razzismo, di uno Stato che sperpera la buona volontà e distrugge la vita dei propri cittadini, soprattutto dei giovani. Israele stesso è recentemente ricorso ai bulldozer dell’esercito per distruggere le tombe dei soldati britannici uccisi a Gaza nel 1917 e il 31 ottobre ha inviato aerei da combattimento F-15 contro i soldati francesi in servizio al fianco delle forze dell’UNIFIL in Libano. Quanti nemici vuole avere Israele? Per quanto tempo pensa di poter reggere in questo stato di conflitto irrisolto?
E’ tempo che su entrambi i fronti coloro che sono ragionevoli si uniscano, magari per rilanciare il processo di Ginevra, ed è tempo che l’Unione europea faccia il possibile per promuovere, incoraggiare e sostenere tale processo.
(Applausi)
Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. (FR) Signor Presidente, due settimane fa ero a Gaza con gli onorevoli Davies e Morgantini e con altri deputati il giorno in cui l’esercito israeliano ha iniziato l’assedio di Beit Hanoun. E’ stato l’inizio di una campagna di esecuzioni extragiudiziali, massacri e distruzione di beni civili. Israele, la potenza occupante nei territori palestinesi, viola costantemente i diritti umani e il diritto umanitario internazionale nell’assoluta impunità.
L’uso della forza eccessiva e indiscriminata contro i civili e i beni di carattere civile, la distruzione degli impianti per la fornitura di energia e acqua, la demolizione degli edifici pubblici, le restrizioni alla libertà di circolazione e le conseguenze di tutte queste azioni sulla salute pubblica, l’alimentazione, la vita familiare e la condizione psicologica dei palestinesi rappresentano una flagrante punizione collettiva che è in sé una flagrante violazione della quarta Convenzione di Ginevra.
Va detto che non ci sono scuse per il continuo lancio di razzi Qassam contro Israele, ma nulla può giustificare che si infligga a un intero popolo una punizione draconiana come quella imposta da Israele. In tali circostanze, l’Unione europea deve smettere di sostenere la politica d’Israele.
In particolare, deve assumersi piena responsabilità per quanto riguarda il controllo del valico di frontiera di Rafah e non piegarsi più semplicemente al volere del governo israeliano. L’UE deve utilizzare gli strumenti a disposizione nel quadro dell’accordo di associazione, e in particolare la clausola sui diritti umani, al fine di assicurare che le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario non restino impunite. Deve chiedere il rimborso delle tasse percepite illegalmente dagli israeliani. Il dialogo con il futuro governo di unità nazionale va ripristinato quanto prima, e deve riprendere l’assistenza diretta alle istituzioni palestinesi.
L’Unione europea e gli Stati membri devono infine fare tutto il possibile per far sì che si applichi il parere espresso dalla Corte internazionale di giustizia in merito alla costruzione illegale del muro. Va indetta con urgenza una riunione del Consiglio di associazione UE-Israele. Se si protrarranno le violazioni, occorrerà prendere in considerazione l’idea di una revisione dell’accordo.
In conclusione, l’Unione europea deve fare appieno la propria parte organizzando una conferenza internazionale per promuovere la pace nella regione.
Luisa Morgantini, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, “Perché la dirigenza politica continua a rispecchiare le posizioni dei radicali e non quelle della maggior parte degli elettori? Come è successo? E come possiamo, oggi, rimanere a guardare, come ipnotizzati, il dilagare della follia, della rozzezza, della violenza e del razzismo in casa nostra? […] La nostra dirigenza politica e militare è vuota di contenuto. [Caro Olmert,] per una volta tanto guardi i palestinesi, non attraverso il mirino di un fucile o da dietro le sbarre chiuse di un check-point: vedrà un popolo martoriato non meno di noi, conquistato, oppresso e senza speranza. Forse per questo la maggior parte di noi ha accettato con indifferenza il rozzo calcio sferrato alla democrazia dalla nomina a ministro di Avigdor Liebermann, un potenziale piromane posto a capo dei servizi statali, responsabile di spegnere gli incendi.”
Queste non sono, ovviamente, parole mie: non sono né israeliana, né palestinese. Sono le parole di David Grossmann, che ha perso un figlio in una guerra inutile, provocata, certo, anche dai missili Katiusha, ma una guerra che ha visto uccidere migliaia di libanesi e anche di israeliani, tra cui il figlio di David Grossmann. La Commissaria Wallström ha detto che oggi, 15 novembre, è l’anniversario della festa dei palestinesi. Che cosa accadde il 15 novembre 1988? La dichiarazione e l’accettazione, da parte dei palestinesi, di uno Stato palestinese sui territori del 1967: quindi riconoscimento dello Stato di Israele. Lo stesso non è però avvenuto da parte del governo israeliano, che non ha mai riconosciuto confini sicuri del 1967, perché continua a costruire insediamenti, né lo Stato di Palestina.
Io sono stanca: in sette anni e mezzo di mandato in questo Parlamento sento costantemente ripetere la stantia frase “due popoli e due Stati”. Occorre certamente adoperarsi affinché vi siano due popoli e due Stati che possano coesistere pacificamente. Ma perché continuare a ripetere formule vuote, dato che, invece, lo Stato di Palestina non si sta costruendo e dato che la scelta politica, aiutata anche dalla follia di estremisti palestinesi, non vede lo Stato palestinese crescere, bensì vede la corrosione continua della terra palestinese.
La settimana scorsa aono stata a Gaza con dodici parlamentari (e mi dispiace che la delegazione ufficiale del Parlamento non ci fosse): abbiamo visto cosa vuol dire vivere là dentro, in quella prigione a cielo aperto; abbiamo visto che cosa significa usare armi che sono ancora sconosciute e che forse si stanno sperimentando sui corpi dilaniati dei giovani uccisi da bombe che cadevano e demolivano le case; l’abbiamo visto, come lo vedete voi! Ecco perché non possiamo più dire soltanto “due popoli, due Stati”: dobbiamo agire con incisività. Io credo che sia indispensabile una conferenza internazionale di pace con tutte le parti in causa. Ma bisogna organizzarla veramente, bisogna agire!
I palestinesi non avrebbero bisogno dei nostri 650 milioni di euro se gli israeliani versassero le tasse che sono di proprietà palestinese: facciamo in modo, così come costringiamo altri – e ovviamente non con le armi – che Israele adempia le sue…
(L’oratore viene interrotto dal Presidente)
(Applausi)
Eoin Ryan, a nome del gruppo UEN. (EN) Signor Presidente, la comunità internazionale ha distolto lo sguardo dalla continua crisi di Gaza. E’ stata distratta da altri accadimenti in Medio Oriente, quali la guerra in Libano, Iraq e Iran. Noi tutti dobbiamo rinnovare i nostri sforzi per cercare di incoraggiare un processo di pace a Gaza. Per porre fine al conflitto, che sta distruggendo così tante vite da entrambe le parti, devono scendere a compromessi sia i palestinesi che gli israeliani.
Accolgo con favore gli sforzi compiuti da Hamas e Fatah per formare un governo unitario nel tentativo di porre fine all’embargo internazionale contro la Palestina. Invito Hamas, sotto la nuova amministrazione, a riconoscere Israele o ad accettare una soluzione al conflitto mediorientale che sia praticabile per due Stati, perché credo sia l’unica via percorribile.
Condanno il lancio di razzi da Gaza compiuto stamani dai militanti palestinesi, che ha ucciso una donna anziana e ferito un’altra persona nella città israeliana di Sderot. Condanno inoltre l’uccisione dei 18 civili nel bombardamento di Beit Hanoun da parte dell’esercito israeliano della settimana scorsa. Il principio “occhio per occhio”, tuttavia, lascia tutti ciechi.
Pur riconoscendo a Israele il diritto di difendersi dagli attacchi, molti di noi ieri hanno visto il documentario su Gaza e hanno ascoltato i colleghi che di recente hanno visitato la regione. Sono rimasto sconvolto da quello che ho udito e visto: la pura brutalità inflitta ai civili palestinesi. Entrambe le parti devono comprendere che l’unica soluzione è sedersi a un tavolo a parlare. Il dialogo è l’unica via percorribile. Occorre una leadership coraggiosa su entrambi i fronti. In Irlanda conosciamo fin troppo bene il vortice di violenza generato da simili conflitti. Conosciamo altresì fin troppo bene gli enormi benefici che ciascuno può trarre quando la violenza finisce e si hanno negoziati effettivi e un autentico dialogo.
Tutti dobbiamo sforzarci di costruire la fiducia. Quest’anno l’Unione europea ha incrementato l’assistenza al popolo palestinese e ha chiesto a Israele il pagamento immediato delle tasse e dei tributi doganali riscossi. Continua inoltre a perseguire il rilascio del soldato israeliano catturato e dei legislatori palestinesi detenuti in Israele, nonché la riapertura dei punti di attraversamento della frontiera di Gaza.
L’Unione europea ha l’obbligo di proteggere la vita dei civili. In questo momento, si trova in una posizione più forte per agire da intermediario onesto rispetto a Regno Unito e America. Le persone ragionevoli devono farsi sentire e porre rimedio a quanto sta accadendo. Se non facciamo nulla, il male avrà la meglio.
Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. (NL) Signor Presidente, stamani sette lanci di razzi palestinesi contro Israele hanno avuto come esito il mesto dato di un morto e un ferito grave nella città di Sderot. Gli autori della violenza sostengono si tratti di una vendetta per il bagno di sangue della scorsa settimana a Beit Hanoun, ad ogni modo non a nome della famiglia Athamna di Beit Hanoun, gravemente colpita. Al contrario, questa sottolinea come potete vedere con i vostri stessi occhi nei giornali israeliani di oggi che si è versato abbastanza sangue. Purtroppo questo spirito palestinese di riconciliazione non trova risposta alcuna da parte di vari rappresentanti di primo piano di Hamas. Negli ultimi cinque giorni, hanno sottolineato con la massima enfasi che il nuovo governo palestinese non è tenuto a riconoscere il nemico sionista. Consiglio e Commissione possono far luce su tale ripetuta disputa politica palestinese tra Fatah e Hamas? Nel contempo, vorrei conoscere la loro reazione alla dichiarazione di Mohammed Shabir, che è stato proposto quale Primo Ministro di un governo palestinese unito: “chiarirò la mia posizione dopo la nomina”. Vi siete già messi in contatto con lui?
Il Quartetto dovrebbe riunirsi oggi al Cairo al fine di rilanciare il processo di pace. Mi aspetto che alla situazione esplosiva di Gaza si dia un’alta priorità. In fin dei conti, Consiglio e Commissione non saranno all’oscuro di ciò che il capo dello Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano, ha detto al Knesset, e cioè che se la politica radicale e l’ondata militare di Gaza non cambiano, Israele non avrà altra scelta che preparare un’operazione militare su larga scala. Il capo dello Shin Bet, Diskin, ha altresì comunicato che da quando Israele si è ritirato da Gaza, non meno di 33 tonnellate di esplosivi militari, ingenti quantitativi di armi e una cifra in contanti compresa tra i 50 e i 70 milioni di dollari americani sono stati contrabbandati nella striscia di Gaza. L’Egitto in particolare, si è ritirato, benché questo sia in contrasto con l’accordo militare stabilito con Israele.
Per riassumere, l’Unione europea deve considerare l’incontro del Quartetto un’occasione per ricordare all’Egitto e, di fatto, al resto del mondo arabo, le loro responsabilità. Gaza non deve trasformarsi nel temutissimo Hamasstan.
Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, sono appena tornato dalla Palestina. Sono partito senza pregiudizi e preconcetti ma ho trovato una situazione peggiore del previsto: una polveriera pronta ad esplodere con effetto domino su tutta l’area.
Nove sono i mesi di stipendi non pagati a causa del blocco dei trasferimenti: uffici pubblici serrati, scuole chiuse, ospedali operanti solo per le emergenze purtroppo frequenti. Undicimila i prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane, di cui quattrocento bambini e quarantuno deputati eletti in consultazioni che la Comunità internazionale ha riconosciuto come libere e trasparenti. Diciannove, di cui dodici minori, sono le vittime degli scontri degli ultimi giorni, che hanno preso di fatto il via il giorno dopo la nostra partenza. Novecentododici sono i chilometri di lunghezza del muro colossale che sta sventrando il paese e dividendo intere famiglie per ragioni che poco o nulla hanno a che fare con la sicurezza. Novecentomila sono gli alberi di ulivo, anche secolari, distrutti per realizzare questa imponente ed inutile opera. Ottantasette è la percentuale di indigenti a Gaza, dove i collegamenti sono preclusi, così come la possibilità di ogni iniziativa di import-export. Milletrecentoquindici sono i metri che costituiscono la frontiera militarizzata di Gaza, percorribile solo a piedi, anche da anziani e bambini dopo controlli interminabili: un varco d’altri tempi, dall’aria incredibilmente tetra. Eppure, girando per le strade rimane un barlume di speranza negli occhi stanchi della gente.
L’Europa ha ancora una chance di riscatto: riprendiamo il cammino da dove si era interrotto e allacciamo quel filo spezzatosi negli ultimi tempi. Peroriamo una soluzione giusta ed equa che preveda due popoli e due Stati: sicurezza per lo Stato di Israele, il cui riconoscimento non è in discussione, e diritti per la Palestina libera ed indipendente. Time is up: o un’iniziativa forte ed incisiva ora o altrimenti dovremo assumerci tutti la responsabilità di non aver voluto o saputo fare abbastanza.
(Applausi)
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signora Vicepresidente della Commissione, credo che si debbano trarre due conclusioni dalla discussione di questo pomeriggio.
La prima è stata menzionata dal presidente del mio gruppo, onorevole Poettering, secondo il quale dobbiamo essere coerenti con le posizioni che abbiamo assunto in passato e, così come abbiamo condannato gli attacchi indiscriminati agli israeliani innocenti, dobbiamo condannare anche questo attacco sproporzionato da parte delle forze israeliane, che ha provocato la morte di civili, soprattutto donne e bambini.
Purtroppo, signor Presidente, malgrado le scuse del Primo Ministro e l’indagine che verrà condotta dal governo israeliano, queste persone non torneranno in vita.
Signor Presidente, nella seduta solenne di stamani ci è stato ricordato che tali problemi di violenza ricorrente in Medio Oriente si possono risolvere solo mediante una soluzione equa ed esaustiva.
Mi sorprende tuttavia – e sono lieto che sia presente la Presidenza in carica del Consiglio – che, come rammentava un Primo Ministro belga, Mark Eyskens, su cento occasioni in cui l’Unione europea vota in seno alle Nazioni Unite, in sessanta casi ciascuno Stato membro voti a modo suo. Signor Presidente, l’Unione europea non diventerà un attore importante sulla scena internazionale agendo in tal modo.
Credo che chiunque in quest’Aula riconosca a Israele il diritto legittimo di difendersi, ma sarebbe stato opportuno che le Nazioni Unite avessero condannato questo tragico episodio.
Pertanto vorrei rivolgermi alla Presidenza in carica del Consiglio affinché si adoperi per assicurare che, se l’Unione europea vuole essere un attore importante sulla scena internazionale, possa esprimersi all’unisono almeno in ambito internazionale e, in particolare, in seno alle Nazioni Unite, in cui gli Stati membri non devono agire nel modo deplorevole cui abbiamo assistito nel caso dei tragici eventi che stiamo condannando.
Véronique De Keyser (PSE). – (FR) Signor Presidente, da giugno sono state uccise in Palestina più di 300 persone. L’espressione diplomatica usata per questa strage è “reazione sproporzionata”. Dove sta la sproporzione? Sta nel fatto che in questa seconda intifada sono stati uccisi dieci palestinesi per ciascun israeliano, con un rapporto di 100 a uno dall’inizio della guerra in Libano. Perciò vi è una mancanza di proporzioni. Il fatto è, tuttavia, che ciascuna di queste morti è inutile.
In questo momento, i massimi organismi internazionali – sia le Nazioni Unite che il Quartetto – appaiono paralizzati di fronte agli Stati Uniti. Pertanto l’Europa dovrebbe fare ciò che ha fatto in Libano, adottando una posizione forte e univoca, come l’odierna risoluzione comune del Parlamento. Dovrebbe pertanto sfruttare tutti gli strumenti politici a disposizione, compreso l’accordo di associazione con Israele, per porre fine alla violenza. Tale violenza condanna tutti i palestinesi alla morte, ma condanna anche la democrazia israeliana. Pone fine alla democrazia in Israele, il cui governo si è appena alleato con un partner xenofobo che propugna idee di pulizia etnica.
Cerchiamo di essere coraggiosi almeno quanto quegli israeliani che invocano la giustizia e il diritto internazionale scrivendoci oggi dell’orrore dei massacri in questione. Penso in particolare ai coraggiosi firmatari del manifesto pubblicato dalle principali organizzazioni israeliane per i diritti umani, che chiedono di porre fine alla morsa intorno a Gaza. Per questo motivo chiedo che venga tolto il blocco su Gaza, che riprendano gli aiuti alla Palestina e che venga dato sostegno al governo di unità nazionale in procinto di formarsi. Sarebbe una vittoria dei moderati sugli estremisti su tutti i fronti.
Mi preoccupa inoltre l’eventuale utilizzo da parte degli israeliani di nuove armi di distruzione di massa in questa sporca guerra – armi di cui si è già sospettato l’uso in Libano – e chiedo l’avvio di un’inchiesta internazionale al riguardo. Condivido l’idea di una conferenza internazionale di pace che riunisca tutte le parti in causa in Medio Oriente, tra cui Siria e Iraq e, unendomi alla richiesta espressa nell’editoriale del quotidiano Haaretz, invoco l’invio a Gaza di una forza d’intervento internazionale.
In conclusione, inviterei l’Unione europea a sfruttare ogni possibilità di pace in tale situazione esplosiva. Morte e carestia non sono decisamente terreno fertile per la pace. Non abbiamo tutte le responsabilità della crisi, ma ne abbiamo. Oserei dire che, interrompendo prematuramente gli aiuti alla Palestina e applicando un meccanismo intermedio la cui attuazione ha richiesto un po’ di tempo, abbiamo contribuito a creare il caos ora dominante in Palestina. A ciascuno il proprio compito, naturalmente, ma abbiamo errori cui rimediare e responsabilità da assumerci.
Alyn Smith (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, come molte altre persone oggi presenti, mi trovavo a Gaza con l’onorevole Morgantini solo un paio di settimane fa, quando è iniziata quest’ultima fase della crisi attuale. Abbiamo assistito alla brutalizzazione sistematica, deliberata e molto sofisticata ed efficace di un intero popolo.
Gaza è una prigione senza speranza. Qualunque palestinese moderato viene bloccato ad ogni occasione nel tentativo di creare uno Stato palestinese sistematico che possa avere successo. Viene bloccato dagli israeliani, e le colpe vanno assegnate in modo opportuno. L’unico risultato che tutto questo può dare è sempre maggiore violenza, e per il momento possiamo curare solo i sintomi.
Abbiamo visto funzionari comunitari in buona fede – oggi abbiamo sentito parlare del meccanismo internazionale temporaneo – e in effetti l’UE sta facendo molto per affrontare i sintomi umanitari del disastro. Tuttavia, come ha detto poc’anzi il Commissario, le radici della situazione sono politiche e la sua soluzione dev’essere politica. L’accordo di associazione va discusso e si devono valutare eventuali sanzioni, o cureremo per sempre i sintomi di un disastro umanitario. Non siamo disarmati e dobbiamo usare tutto ciò che abbiamo a disposizione.
Adamos Adamou (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, “Europa”, “pace”, “diritti umani”, “Palestina”, “Gaza”: il vocabolario da noi usato è ricco di parole. La realtà è piena di guerra, sofferenza e dolore, e in Aula continuiamo a parlare, ad approvare risoluzioni e a ripetere “diritti umani” e “pace”. Non facciamo altro che continuare a parlare. Quanti delitti e quante morti occorrono affinché l’Europa smetta di comportarsi come Ponzio Pilato? In Palestina non sono solo le persone a morire; sta morendo anche la speranza, e tuttavia credo che la sofferenza umana non sia una cosa cui ci si abitua.
La visita del Parlamento europeo è stata posticipata per motivi tecnici, o così dicono. Qualcuno deve spiegarci quali sono i motivi tecnici e chi ne è responsabile. Forse alcuni partiti non volevano che andassimo? Se non reagiamo, saremo nuovamente complici di delitti commessi, non oggi, non ieri, ma, per quanto ne sappiamo, da decenni.
Alla fine, le parole devono diventare gesti concreti. Nel quadro del diritto internazionale e senza alcuna intenzione di danneggiare la persona comune, vanno imposte sanzioni a Israele. Quando lo Stato d’Israele sarà disposto a restituire il denaro sottratto ai legittimi proprietari in Palestina che stanno morendo di fame? I palestinesi non sono terroristi, né chiedono l’elemosina. Sono persone che lottano contro gli interessi di terzi per la dignità e la sopravvivenza. Sono persone che, di fronte all’ipocrisia della comunità internazionale, l’occupazione e il terrore, lottano per continuare a esistere.
Elmar Brok (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signora Vicepresidente della Commissione, signora Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, il fatto principale al riguardo è che su entrambi i fronti le persone soffrono per via della politica. La seconda questione è che, visto in un quadro internazionale, il conflitto in Medio Oriente ha raggiunto proporzioni tali da essere al centro degli sforzi per salvaguardare la pace mondiale nonché delle minacce a tale pace. Sono entrambe ragioni per cui il conflitto va risolto alla svelta e il Quartetto deve presentarsi unito in tutte le sue componenti e avanzare richieste personali rigorose anziché avere ciascun membro che si limita a elaborare documenti per proprio conto.
Dobbiamo ammettere che Israele ha abbandonato Gaza e che quanto vi sta accadendo è in parte un conflitto interno tra palestinesi, accompagnato da terrorismo, che si sta aggravando a un punto tale da arrivare quasi alla guerra civile. Israele come Stato, inoltre, deve rispondere alle organizzazioni terroristiche che non sono di competenza di alcuno Stato particolare. Questo spiega perché abbiamo difficoltà a valutare la situazione. Questa non è però una giustificazione per azioni quali il bombardamento di civili e delle loro case, perché anche Israele deve comprendere che la sua unica possibilità di assaporare la pace e la sicurezza durevole, come per uno Stato palestinese autonomo, consiste nello spezzare il ciclo della violenza. Per questo motivo, Israele deve considerare se le sue strategie sono davvero quelle giuste da adottare.
Dopo tutto, che cosa ha ottenuto Israele dalla guerra condotta in Libano per vendicarsi della cattura di singoli soldati che in definitiva ha fatto sì che le forze prosiriane prevalessero sulla catena Iran-Siria-Hezbollah in Libano? In che modo quella guerra ha servito gli interessi d’Israele?
Anche in questo caso si dovrebbe vedere una sorta di responsabilità, e il nuovo governo di consenso nei territori palestinesi formatosi di recente potrebbe rappresentare l’opportunità per un nuovo inizio, al fine di assicurare la pace mondiale e dare un futuro agli abitanti della regione.
Proinsias De Rossa (PSE). – (EN) Signor Presidente, Gaza è un campo di prigionia per 1,3 milioni di palestinesi, ben rinchiusi da Israele.
Gli occupanti vengono ridotti alla fame; le loro infrastrutture sanitarie e educative vengono distrutte; la loro economia viene devastata, e loro vengono massacrati. Ben 80 – non solo 18 – tra uomini, donne e bambini sono stati uccisi la settimana scorsa, ed erano per la maggior parte civili intenti semplicemente a svolgere le loro attività quotidiane e a cercare di condurre la propria esistenza.
Tutto questo è opera di uno Stato che sostiene di essere l’unica democrazia della regione. Quale vergognosa espressione di democrazia! Israele ora polverizza anche questi sfortunati con armi sperimentali. Commissione e Consiglio non hanno detto una parola su come intendono indagare al riguardo.
Lanciare razzi Qassam non porterà la libertà al popolo palestinese, e da parte mia condanno tali lanci. E’ altresì chiaro, tuttavia, che la potenza di fuoco israeliana e l’oppressione israeliana dei palestinesi non porteranno un futuro sicuro neanche a Israele. Solo i negoziati per una soluzione a due Stati consentiranno di ottenere tale sicurezza, e vorrei chiedere a tutte le parti coinvolte di avviarli il più presto possibile.
Tokia Saïfi (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, dopo il massacro di Qana in Libano, abbiamo assistito a un altro massacro di civili, questa volta a Beit Hanoun.
Il governo israeliano ha espresso profonda preoccupazione per la nuova tragedia, descrivendola come un errore tecnico. Sappiamo già, tuttavia, che una tale ammissione non sarà sufficiente per prevenire il massacro di altri innocenti in futuro. Per porre fine a tale interminabile escalation, l’Europa deve scuotersi dall’inerzia e intraprendere infine iniziative forti al fine di creare rapidamente una pace sostenibile.
Innanzi tutto, dobbiamo eliminare la nostra morsa finanziaria sui territori palestinesi, in quanto si potrebbe pensare che tale misura sia stata specificamente concepita per accrescere la violenza e portare il caos. In secondo luogo, va interposta quanto prima una forza militare tra Israele e Palestina, com’è accaduto tra Libano e Israele con la FINUL. Se tale forza è efficace in Libano, lo sarà in Palestina. Dobbiamo soprattutto chiedere, infine, la creazione di uno Stato palestinese con confini sicuri e riconosciuti.
Con i risultati delle elezioni intermedie negli Stati Uniti, oggi forse si apre uno spiraglio. L’amministrazione americana, mi auguro, ridefinirà la propria politica in Medio Oriente. Nella nuova strategia che sta prendendo forma, l’Europa deve avviare una nuova dinamica per la pace in cui assume infine il proprio ruolo politico e cessa di essere una mera fonte di finanziamenti.
Non dobbiamo mai dimenticare che quello tra Israele e Palestina non è un conflitto come tutti gli altri. Vi è in gioco una dimensione internazionale. E’ giunto il momento e non vi è un attimo da perdere. Siamo coraggiosi e assumiamoci le nostre responsabilità prima che sia troppo tardi.
Panagiotis Beglitis (PSE). – (EL) Signor Presidente, la sortita delle madri vestite di nero che hanno salvato i figli a Beit Hanoun, mostrata dai media internazionali, è stata il coro della moderna tragedia che vivono i cittadini palestinesi che aspirano alla propria liberazione. Non vi può essere però alcuna liberazione per i palestinesi fintanto che proseguirà nella zona la strategia pericolosa e inconcludente delle Nazioni Unite, fintanto che continuerà la politica pericolosa e inconcludente della leadership civile-militare d’Israele.
Oggi purtroppo abbiamo sentito il Commissario parlare come se l’Unione europea fosse un’ONG umanitaria internazionale. Signora Commissario, l’Unione europea, tuttavia, è un’organizzazione politica con obblighi internazionali e il compito di difendere i principi democratici e il diritto umanitario internazionale. L’Unione europea, ancora una volta, ha dato prova delle sue enormi lacune strategiche in merito alla questione della Palestina. Javier Solana avrebbe dovuto essere qui oggi per vedere i risultati della decisione adottata dal Consiglio dei ministri a febbraio, quando sono state imposte sanzioni economiche ai cittadini palestinesi che si esprimevano democraticamente con le elezioni. Queste fasi di stallo in seno all’Unione europea vengono pagate oggi, da un punto di vista politico e umanitario, dai cittadini palestinesi.
Ioannis Kasoulides (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, il governo e l’esercito israeliani si sono scusati per il tragico “errore tecnico” che ha causato la morte di diciannove civili innocenti, perlopiù donne e bambini, a Beit Hanoun. La questione non è se tali scuse siano accettabili o meno, ma è che l’uso di una forza così potente con tanta facilità e frequenza comporta inevitabilmente “errori tecnici”, soprattutto quando la soglia di considerazione per la vita umana è tanto bassa.
Israele e Palestina non troveranno mai pace e tranquillità se continueranno ad essere avventati. I palestinesi non otterranno mai risultati con i razzi Qassam e gli attentatori suicidi. Gli israeliani attireranno sempre più Qassam e attentatori suicidi reagendo in modo tanto sproporzionato e potente. Nessuna parte può vincere in modo unilaterale. L’unilateralismo è morto e sepolto in Libano.
Pensando in positivo, teniamo conto dell’appello del Primo Ministro Olmert al Presidente Abbas riguardo a colloqui senza precondizioni, progressi nella formazione di un governo di unità nazionale tra Fatah e Hamas, un governo di tecnocrati – con il Primo Ministro Haniya che si astiene dalla sua leadership – nonché accettazione implicita da parte di Hamas della necessità di sedersi allo stesso tavolo con Israele. E’ ora che il Quartetto intervenga e che l’Unione europea smetta di esserne un membro passivo.
In conclusione, spero che l’esito delle elezioni negli Stati Uniti faccia sì che l’amministrazione americana riveda la propria politica e il proprio ruolo in Medio Oriente.
Béatrice Patrie (PSE). – (FR) Signora Presidente Lehtomäki, signora Commissario, onorevoli colleghi, dal canto mio, sono molto lieta del consenso pressoché storico ottenuto dai vari gruppi politici in seno al Parlamento – un consenso che ci permette di inviare un chiaro messaggio politico.
E’ chiaro come il sole che gli attacchi da parte dell’esercito israeliano non possono essere definiti un “errore tecnico” nemmeno con uno sforzo d’immaginazione. Si ha l’impressione che siano piuttosto l’ennesima punizione collettiva inflitta ai palestinesi, biasimati per le scelte politiche compiute in seguito alle ultime elezioni legislative. Posso solo deplorare la somiglianza tra questi attacchi e i metodi usati contro le popolazioni civili del Libano meridionale nel corso della guerra dell’estate 2006, poiché in entrambi i casi sono state utilizzate bombe a grappolo.
E’ vero che anche la popolazione israeliana è oggetto di attacchi omicidi. Si è tuttavia autorizzati ad aspettarsi che uno Stato democratico come Israele si comporti come prescrive il diritto internazionale – cosa che non si può chiedere alle organizzazioni terroristiche.
Di fronte a una simile situazione, l’Unione europea deve imporsi quale forza trainante del Quartetto ed essere favorevole a ripristinare la roadmap. Il nuovo corso politico negli Stati Uniti, la prospettiva che in Palestina si formi un governo di unità nazionale, nonché, soprattutto, le voci di protesta levatesi in seno alla società israeliana sono fattori di speranza per quanto concerne il rilancio del processo di pace.
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, l’incidente di Gaza della settimana scorsa, quando una bomba dell’esercito israeliano ha colpito per errore Beit Hanoun, provocando la morte di diciannove palestinesi innocenti, è chiaramente tragico. Il Primo Ministro israeliano si è scusato e ha ordinato che venga condotta un’indagine approfondita al riguardo.
Israele, non va dimenticato, si è ritirato da Gaza in buona fede, ma l’Autorità palestinese non è riuscita a stabilirvi l’ordine. Abbiamo invece assistito a una degenerazione sfociata nel caos, a lotte intestine e al ripetuto e deliberato lancio di razzi Qassam contro obiettivi israeliani civili innocenti, come la donna uccisa oggi a Sderot, senza parole di scusa dai militanti, come quelli di Hamas, e all’uso di scudi umani da parte delle milizie, come gli Hezbollah hanno fatto in Libano lanciando razzi da aree civili, provocando così una risposta che ha portato alla tragedia di Beit Hanoun. Tali milizie controllate da Hamas, inoltre, devono ancora rilasciare il caporale Shalit da loro rapito.
Ieri è stato annunciato che un nuovo governo di unità nazionale si è costituito sotto la guida del tecnocrate indipendente Mohammad Shbair, ma il suo portavoce, Fawzi Barhoom, nega che Hamas ora riconoscerà Israele e purtroppo ha invece dichiarato che il nuovo governo riconoscerà i termini del “documento dei prigionieri”, che è una dichiarazione firmata quest’anno dai palestinesi detenuti in carceri israeliani che implicitamente – ma non esplicitamente – riconosce Israele invocando uno Stato palestinese in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Resta da vedere se basterà a smantellare il meccanismo internazionale temporaneo e a ripristinare appieno gli aiuti dell’Autorità palestinese, e dovranno anche arrivare presto rassicurazioni sulla fine delle violenze terroristiche.
Sosterrò a malincuore la risoluzione, ma non posso accordare il mio sostegno alla sua richiesta di una forza multinazionale delle Nazioni Unite che vigili sui territori occupati, in quanto i risultati ottenuti dall’UNIFIL in Libano sono ancora tutti da dimostrare. Temo che mentre parliamo gli Hezbollah si stiano riarmando e cerchino un pretesto per iniziare un’altra guerra contro Israele.
Non chiedo neppure la cessazione da parte d’Israele di tutte le attività militari fintanto che è oggetto di attacchi, come ha affermato il mio collega liberale, onorevole Davies.
Edith Mastenbroek (PSE). – (EN) Signor Presidente, quando considero la nostra politica nei confronti dei palestinesi, vedo il bastone, ma dov’è la carota? I palestinesi stanno perdendo tutta la fiducia rimasta in una soluzione e in noi in quanto parte della comunità internazionale. Ci troviamo di fronte a due popoli desiderosi di pace e che conducono una vita tranquilla, e non possiamo più contare sulla vecchia retorica. Tutti sappiamo dove si trova la soluzione. Dobbiamo riconoscere che le due parti non ce la fanno da sole. Questa volta un invito al negoziato – per quanto giustificato – non basterà.
Vorrei chiedere a Consiglio e Commissione: siete disposti a considerare le idee audaci? Si lasci che i palestinesi delimitino il proprio Stato con la linea verde quale confine. Poi riconosciamolo, esercitiamo tutta la nostra influenza per farlo riconoscere anche dal Quartetto e costringiamo quindi Israele ad accettarlo. Solo allora eventuali azioni per accrescere la speranza e la fiducia avranno qualche possibilità di successo, perché non vi può essere pace senza giustizia. Lo dico da amica d’Israele, convinta come sono che non dobbiamo solo salvare il futuro dello Stato palestinese, ma anche proteggere Israele da se stesso. Questa è la nostra responsabilità.
Antonio Tajani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Gaza è il cuore del cuore del problema: è il cuore della crisi tra israeliani e palestinesi e della crisi mediorientale; da lì nasce la grande offensiva del terrorismo; dalla mancata soluzione dei problemi israelo-palestinesi nasce l’11 settembre, il rafforzamento di Al-Qaida e la crisi mediorientale. Ecco perché l’Europa deve svolgere un ruolo importante e coinvolgere paesi come la Siria, distinguendo il ruolo della Siria da quello dell’Iran.
Ovviamente, nessuno di noi intende giustificare Israele per quanto è accaduto nei giorni scorsi a Gaza – ci sono delle responsabilità da parte delle Forze armate israeliane – ma sarebbe un grave errore puntare l’indice per la crisi generale soltanto su Israele. Dobbiamo ricordarci di ciò che succede, dei missili lanciati dal territorio palestinese, con il consenso anche di organizzazioni terroristiche ed estremiste, perché c’è chi non vuole osteggiare il processo di pace.
L’Europa deve svolgere un ruolo costruttivo e determinante per fare progredire tale processo di pace, disinnescare ogni azione che possa rappresentare una provocazione, da una parte e dall’altra. Il ruolo dell’Europa deve essere equilibrato: guai se l’Europa si scatenasse contro Israele e se lo considerasse responsabile di tutto ciò che accade, perché così non risolveremmo la situazione.
Noi dobbiamo impegnarci per la nascita di uno Stato palestinese, adoperarci perché Israele possa sentirsi sicuro nel proprio territorio, evitando che ogni famiglia israeliana sia costretta, di mattina, a mandare un figlio a scuola su un autobus e un altro figlio su un altro autobus, perché non sa quali dei due tornerà a casa. Su questo noi dobbiamo essere molto determinati, facendo comprendere ad Hamas che non c’è spazio per iniziative militari e terroristiche e agli Hezbollah che non c’è spazio per un loro ruolo politico nel processo di pace.
PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA Vicepresidente
Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. (FI) Signor Presidente, ringrazio i deputati al Parlamento per questo dibattito molto valido. Il Consiglio condivide l’opinione espressa tanto enfaticamente nel corso della discussione secondo cui è il momento di un intervento politico. E’ il momento di un intervento politico e siamo sempre stati dell’idea che questa crisi non si possa risolvere militarmente; occorre invece una soluzione politica globale. Occorre una soluzione che proponga un modello a due Stati e che imponga agli abitanti della regione, tra cui le persone comuni, di accettare adeguatamente l’obiettivo della convivenza e d’impegnarsi in suo favore a tutti i livelli della società.
In Aula si è espressa con forza la speranza che l’Unione europea faccia ciò che può. A nome del Consiglio, posso assicurarvi che l’Unione europea e la Presidenza faranno tutto ciò che è in loro potere. Il potenziale e la forza comunitari nella soluzione della crisi stanno nel fatto che l’Unione è un interlocutore credibile agli occhi di tutte le parti in causa. Non si può trovare un simile punto di forza da alcuna altra parte. Per poter proseguire il suo lavoro e il suo ruolo di interlocutore credibile nella soluzione alla crisi, l’Unione europea dev’essere in grado di sostenere una politica univoca e coerente, e il problema di trovare il modo per promuovere tale coerenza è una sfida quotidiana.
Stiamo intervenendo vigorosamente al fine di assicurare che anche il Quartetto ricopra un ruolo importante nella risoluzione della crisi, e mireremo a sostenere la partecipazione attiva del Quartetto. E’ altresì essenziale che, al fine di trovare una soluzione globale, siamo in grado di convincere i paesi della regione a impegnarsi a partecipare a questo processo.
La prossima occasione in cui la questione mediorientale verrà dibattuta nell’ambito del forum multilaterale di cooperazione sarà senza dubbio il Vertice UE-Russia della prossima settimana, e poi a fine novembre la riunione dei ministri degli Esteri sul processo di Barcellona a Tampere. Lavoreremo inoltre con alacrità per far sì che il Quartetto si riunisca a dicembre. Si tratta di un’importante questione e di un problema serio e a lungo termine proprio alle porte dell’Europa, e perciò dobbiamo ricorrere a tutte le nostre risorse per trovare una soluzione politica globale, di lungo periodo e duratura.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, l’escalation di violenza a Gaza aumenta solo la sofferenza dei civili e alimenta l’estremismo. Come ho detto, la Commissione ha intensificato l’assistenza per rispondere alle emergenze e alle esigenze umanitarie. Si tratta di un contributo utile, ma la soluzione è altrove. L’unica via percorribile per Israele e per i palestinesi è la negoziazione di una soluzione praticabile a due Stati. La comunità internazionale come molti di voi hanno già detto ha il compito di rilanciare un processo di pace credibile. L’Unione europea deve svolgere un ruolo preponderante al riguardo e, mediante la sua partecipazione al Quartetto, incoraggiare eventuali idee che mirino a promuovere la pace in quell’area, tra cui una Conferenza internazionale sul processo di pace in Medio Oriente.
Presidente. Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento(1).
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, giovedì.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
David Martin (PSE). (EN) L’Unione europea deve fare tutto il possibile e utilizzare ogni strumento a disposizione, compreso l’accordo di associazione tra UE e Israele, per porre fine alla violenza a Gaza. Le continue violenze condannano i palestinesi a una morte lenta e rischiano di infiammare l’intero Medio Oriente. Morte e carestia non sono terreno fertile per la pace. Dobbiamo porre fine al blocco israeliano di Gaza, ripristinare gli aiuti alla Palestina e sostenere un governo di unità nazionale. Condivido appieno l’idea di una Conferenza internazionale di pace che riunisca tutti gli attori mediorientali, tra cui Siria e Iran. Occorre una forza internazionale a Gaza con urgenza.
12. Convenzione sull’interdizione delle armi biologiche e tossiniche (BTWC), bombe a frammentazione e armi convenzionali (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla Conferenza d’esame della Convenzione sull’interdizione delle armi biologiche e tossiniche (BTWC) che si svolgerà nel 2006.
Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, negli ultimi anni le questioni relative alle armi di distruzione di massa e al controllo degli armamenti sono state al centro della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea. L’azione multilaterale sul controllo degli armamenti e sul disarmo si è comunque trovata di fronte a enormi sfide in anni precedenti, e i risultati ottenuti sono stati modesti. Esiste un urgente bisogno di invertire questa tendenza.
A Ginevra si sta svolgendo la terza Conferenza di revisione degli Stati firmatari della Convenzione su talune armi convenzionali. Sia questa conferenza che la sesta Conferenza di revisione degli Stati firmatari della Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche, prevista tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, sono un’occasione per dimostrare che la comunità internazionale oggi è in grado di rispondere con efficacia alle sfide del controllo degli armamenti e del disarmo.
Troppo spesso la popolazione civile è vittima dell’utilizzo di armi contemplate dalla Convenzione su talune armi convenzionali. La rimozione dei residuati bellici esplosivi rappresenta un onere crescente per la comunità internazionale. L’universalizzazione del protocollo V della Convenzione su talune armi convenzionali relativo ai residuati bellici esplosivi e la sua effettiva attuazione implica che tutti dobbiamo fare uno sforzo. L’Unione europea ha accolto con favore l’entrata in vigore del protocollo nel corso della Conferenza di revisione.
Il protocollo sui residuati bellici esplosivi è stato redatto in risposta alla minaccia umanitaria rappresentata dagli ordigni inesplosi, comprese le bombe a grappolo, nei confronti delle popolazioni civili successivamente a una guerra.
I recenti avvenimenti nel Libano meridionale ci rammentano i pericoli per la popolazione civile derivanti dai residuati bellici esplosivi, in particolare le bombe a grappolo, nonché le difficoltà e i costi della loro rimozione. Occorre affrontare senza indugio questo problema. Di conseguenza, l’UE ha proposto che il lavoro del gruppo di esperti governativi previsto dalla Convenzione su talune armi convenzionali continui nel 2007. L’attuale mandato del gruppo comprende la formulazione di misure preventive per migliorare la progettazione di determinati tipi di munizioni, nell’intento di ridurre al minimo i rischi per la popolazione. Inoltre, diversi Stati membri dell’UE si sono impegnati individualmente ad avviare i negoziati su un protocollo giuridicamente vincolante, inteso a rispondere ai rischi per l’umanità derivanti dalle bombe a grappolo. Tuttavia, gli Stati membri dell’UE non hanno un’opinione comune su come trattare l’aspetto relativamente limitato delle bombe a grappolo nel quadro della Convenzione su talune armi convenzionali.
Questa mattina alla Conferenza di revisione si è convenuto di appoggiare la posizione dell’Unione sulle bombe a grappolo e si è presa la decisione di proporre l’istituzione di un gruppo di esperti allo scopo di preparare raccomandazioni per interventi futuri relativi alle bombe a grappolo nel quadro della Convenzione in questione.
Nel corso dei cinque anni di negoziati sulle mine terrestri antiveicolo, l’UE ha ripetutamente menzionato che il nostro obiettivo è un protocollo giuridicamente vincolante che promuova il diritto umanitario internazionale e vi apporti un valore aggiunto. Tuttavia un accordo su un simile protocollo appare improbabile alla Conferenza di revisione.
Sono ormai più di trent’anni che la Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche funge da base normativa e giuridica per il disarmo e la non proliferazione di armi biologiche. Oggi, quello delle bioscienze è uno dei settori scientifici che si evolvono più rapidamente, con infinite potenzialità positive e negative. La Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche dev’essere in grado di adeguarsi agli sviluppi scientifici e di rispondere alle possibili sfide che li accompagnano. Le conferenze di revisione sono un’opportunità in questo senso.
L’Unione europea ha lavorato intensamente per prepararsi alla sesta Conferenza di revisione della Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche, in linea con gli obiettivi della strategia dell’UE contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Questi obiettivi comprendono, in particolare, l’applicazione di questa Convenzione in tutto il mondo, la promozione della sua attuazione e della sua osservanza a livello nazionale, nonché il suo rafforzamento.
Nel febbraio di quest’anno, il Consiglio ha adottato una posizione comune sulla sesta Conferenza di revisione. Si tratta di una posizione di compromesso tra un approccio realistico e uno più ambizioso, che insiste comunque su una revisione generale della Convenzione e su interventi pratici di miglioramento della sua attuazione. In aggiunta alla posizione comune, l’Unione ha preparato documenti di lavoro tematici su diversi argomenti.
Oltre all’azione comune, l’UE ha concordato un piano d’azione sulla Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche, nel quale gli Stati membri si sono impegnati a prendere misure per rafforzare la Convenzione, quali l’annuncio di eventuali misure di rafforzamento della fiducia. Queste misure concrete renderanno più plausibili i principali obiettivi della posizione comune dell’UE sulla Conferenza di revisione della Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche.
La terza Conferenza di revisione della Convenzione su talune armi convenzionali ha buone, anche se non ottime, probabilità di successo. Ci auguriamo in ogni caso un esito positivo. Anche la sesta Conferenza di revisione della Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche presenta buone probabilità di concludersi con successo.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, le armi di distruzione di massa rappresentano la maggiore minaccia potenziale per la sicurezza europea, e in termini di capacità di provocare stragi quelle che destano maggiori preoccupazioni sono le armi nucleari e biologiche.
Mentre esiste una memoria collettiva degli orrori di Hiroshima e Nagasaki, non esistono immagini comuni equivalenti per le armi biologiche. Le morti di massa provocate da agenti biologici, o da malattie come la peste, sembrano invece appartenere alla “storia antica” o alla fantascienza.
Dobbiamo augurarci che le cose restino così, ma non possiamo restare a guardare. Riflettete sulle seguenti considerazioni. Innanzi tutto, diversamente dalle armi nucleari, quelle biologiche non dipendono da forniture limitate di uranio e plutonio. Con il rapido sviluppo e la diffusione delle bioscienze, queste armi sono ormai alla portata di chi potrebbe farci del male. Il pericolo che esseri umani, animali o piante possano essere attaccati da agenti biologici è reale.
Secondo, stando a notizie ufficiali, i terroristi intendono dotarsi di armi biologiche. Se i terroristi dovessero lanciare attacchi biologici in Europa, molte vite sarebbero a rischio e il nostro stile di vita potrebbe cambiare radicalmente.
Terzo, nel recente passato le armi biologiche sono state utilizzate. Gli attacchi con l’antrace negli Stati Uniti alla fine del 2001 hanno ucciso poche persone, ma hanno provocato uno sconvolgimento sociale e politico significativo, di più ampia portata, e i colpevoli sono ancora in libertà.
Come siamo tutelati oggi? Tutti gli usi e le forme di possesso di armi biologiche sono vietati dall’entrata in vigore della Convenzione sulle armi biologiche nel 1975. Tuttavia, si tratta del più debole tra i dispositivi di regolamentazione delle armi di distruzione di massa. Non contiene disposizioni per la verifica della sua osservanza o della sua attuazione e, diversamente dal Trattato di non proliferazione nucleare e dalla Convenzione sulle armi chimiche, non prevede un’istituzione centrale con poteri di vigilanza. Inoltre, i firmatari della Convenzione sono meno numerosi di quelli di ognuno dei due trattati.
Quindi, la nostra sicurezza aumenterebbe se si potesse rafforzare l’efficacia della Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche e migliorarne l’applicazione. Gli Stati firmatari dovrebbero essere incoraggiati ad affrontare queste carenze nel corso della prossima Conferenza di revisione che si svolgerà verso la fine di questo mese.
Una sicurezza efficace comincia a livello nazionale. Il mio collega, Commissario Frattini, è ben consapevole dell’esigenza di adottare misure. La Commissione sta valutando le potenziali risposte attraverso un approccio generale comune. Le risposte nazionali alle minacce biologiche sono chiaramente insufficienti. Oltre a lavorare sul rafforzamento della salute pubblica e delle misure di sorveglianza e risposta in campo sanitario, nella primavera del 2007 pubblicheremo un Libro verde sulla preparazione europea alle minacce biologiche.
I disastri e le malattie non rispettano i confini. La questione delle minacce biologiche è uno di quei problemi riguardo ai quali le politiche interne ed esterne sono inestricabilmente collegate. Si può fare molto migliorando la collaborazione e il coordinamento internazionale. Intendiamo condividere le migliori prassi in fatto di preparazione alle minacce biologiche: aiutando gli altri a proteggersi, proteggeremo meglio anche noi stessi.
Vorrei dire qualche parola anche su un tipo molto diverso di arma mortale. Le munizioni a grappolo inesplose rappresentano una minaccia per la sicurezza degli esseri umani e lo sviluppo sostenibile. Questi ordigni uccidono ogni giorno persone innocenti, e il 30 per cento delle vittime è costituito da bambini. Sono un problema rilevante, in termini politici e per la vita quotidiana nelle ex zone di guerra.
E’ attualmente in corso una Conferenza di revisione che vedrà l’entrata in vigore del protocollo V della Convenzione relativo ai “residuati bellici esplosivi” – ossia ordigni inesplosi, munizioni o submunizioni di bombe a grappolo. L’attuazione di questo protocollo, inteso a eliminare la minaccia posta alla popolazione da queste eredità della guerra, sarà un positivo passo avanti.
Gli avvenimenti della scorsa estate in Libano hanno messo in evidenza il problema, in particolare considerando l’elevato tasso di mancato funzionamento delle submunizioni a grappolo utilizzate. E’ importante aiutare il Libano nel difficile compito di eliminare questi residui bellici mortali e noi vi abbiamo contribuito con circa 5 milioni di euro. Inoltre, sosteniamo l’esigenza di concentrare maggiormente l’attenzione sul rafforzamento del diritto umanitario internazionale in questo campo e sulla necessità di garantirne l’osservanza.
Le attività di assistenza e cooperazione della Commissione in materia di disarmo umanitario – vale a dire interventi di sminamento, bonifica di residui bellici esplosivi e lotta alla diffusione illegale di piccole armi – hanno tutte un impatto positivo per il miglioramento della sicurezza umana e contribuiscono alla sostenibilità delle nostre politiche di sviluppo. Siamo grati al Parlamento europeo per il sostegno fornito a queste iniziative.
Elizabeth Lynne, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, è importante che l’UE faccia sentire la sua voce sulla Convenzione su talune armi convenzionali questa settimana e sulla Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche la prossima settimana.
Un aspetto importante che mi preoccupa, e il Commissario ne ha parlato, è l’impiego delle bombe a grappolo. Sono state utilizzate diffusamente in recenti conflitti: Iraq, Afghanistan e Libano, solo per citarne alcuni. Poiché non rientrano nell’ambito del Trattato sulle mine terrestri del 1997, vengono utilizzate nell’impunità, ma hanno comunque lo stesso effetto devastante, con civili uccisi o menomati per il resto della vita.
Secondo la relazione “Fatal Footprint”, pubblicata questo mese da Handicap International, le forze di difesa israeliane hanno riversato in Libano tra il luglio e l’agosto di quest’anno almeno quattro milioni di bombe a grappolo. In tutto il mondo, i civili rappresentano il 98 per cento delle vittime registrate di questi ordigni. Questo è uno dei motivi per cui esorto il Consiglio e la Commissione a sostenere il crescente movimento per il cambiamento all’interno della comunità internazionale e le iniziative di alcuni paesi, tra cui il Belgio e la Norvegia, volte a istituire leggi nazionali che vietino l’uso delle munizioni a grappolo nei loro territori e da parte delle loro forze armate. Inoltre, plaudo alla Croce Rossa per la sua campagna e l’appello per il divieto dell’impiego di bombe a grappolo, la distruzione delle scorte e l’accelerazione dei programmi di bonifica.
Per quanto concerne le armi biologiche e tossiche, occorre esercitare maggiori pressioni sul governo degli Stati Uniti, che si è rifiutato di appoggiare un protocollo di verifica giuridicamente vincolante, pregiudicando il futuro della Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche e la sua credibilità. Dobbiamo anche assicurarci che venga istituito un segretariato permanente che vigili sull’attuazione della Convenzione.
Angelika Beer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, Commissario Wallström, onorevoli colleghi, la morte viene come conseguenza della guerra e dobbiamo essere consapevoli del fatto che le bombe a grappolo non cadono dal cielo da sole, ma vengono lanciate dagli alleati dell’Europa e che questi stessi alleati continuano a produrle e ad esportarle.
E’ stato detto che le bombe a grappolo e le munizioni inesplose rappresentano una sfida per le ex zone di guerra, ed è qui che devo contraddirvi: al contrario, non sono un problema per le ex zone di guerra, ma piuttosto una sfida per l’Unione europea, che deve assicurarsi che nessuno dei suoi Stati membri produca, esporti o utilizzi queste armi, e che non deve più permettere ai suoi alleati di farlo così come hanno fatto gli americani o gli israeliani nel conflitto più recente.
Partendo da questo presupposto e considerando l’incapacità dell’Unione europea di prendere iniziative, quindici giorni fa noi – e quando dico “noi” non intendo “noi Verdi”, bensì i coordinatori dei conservatori, dei socialisti, dei liberali e io personalmente – abbiamo scritto una lettera alla Presidenza finlandese con un appello urgente per una posizione europea a favore di un divieto totale da presentare alla Conferenza in questione, che rappresenta un’opportunità storica per la proibizione delle munizioni a grappolo.
Avete chiarito a quest’Assemblea che non siete disposti a farlo o non ne siete in grado. Ci dite che intendete istituire un gruppo di lavoro; bene, come certamente saprete, si dice che quando non si sa come andare avanti si crea un gruppo di lavoro. E’ anche un modo cinico di procedere, se consideriamo che giorno dopo giorno la vita di civili, funzionari di polizia e truppe dell’ONU da noi inviate nelle regioni di crisi è messa a rischio da quello che rimane di queste armi.
Quindi desidero esortarvi caldamente, ancora una volta, a prendere l’iniziativa ora e – visto che siete in grado di farlo – a garantire che i parlamenti nazionali degli Stati membri dell’UE descrivano le munizioni a grappolo per quello che effettivamente sono, vale a dire un tipo di armi che devono essere messe al bando e alle quali gli europei devono rinunciare una volta per tutte, rifiutandosi di impiegarle o di accettarne l’utilizzo in qualsiasi guerra.
Vittorio Agnoletto, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio gruppo è, ovviamente, a favore di una generale proibizione, sul piano mondiale, della produzione, dell’uso e del commercio di armi biologiche e si augura che la prossima Conferenza di Ginevra decida il rafforzamento delle pertinenti Convenzioni internazionali. Riconosco volentieri che l’Unione europea ha posizioni avanzate su questi argomenti e mi auguro che la Commissione faccia più del possibile per arrivare a una proibizione di queste armi mostruose sul piano mondiale.
Dobbiamo, però, riconoscere che il problema principale per arrivare a tale proibizione ha un nome e un cognome: George W. Bush. Il Presidente degli Stati Uniti è personalmente responsabile del boicottaggio politico, da parte americana, dei negoziati di Ginevra. Ha deciso, nei fatti, di ritirarsi dalle discussioni: anzi, gli USA hanno fatto del potenziamento degli arsenali biologici, dell’uso del fosforo bianco e dell’uranio impoverito uno dei punti di forza della loro aggressiva e inaccettabile politica militare, così come non hanno ratificato la Convenzione sulla proibizione delle mine antiuomo, non hanno firmato il Terzo Protocollo della Certain Conventional Weapons Convention (CCWC), così come hanno rilanciato le guerre stellari.
Questa posizione degli Stati Uniti è pericolosa per la sicurezza mondiale. E’ necessario che l’Unione europea superi la propria inerzia e faccia un punto centrale dei negoziati di Ginevra la pressione sugli Stati Uniti.
Gerard Batten, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, la Presidente Lehtomäki ha parlato del piano d’azione dell’Unione europea in relazione alla Conferenza di revisione della Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche. Ancora una volta, l’Unione europea si assume erroneamente le attribuzioni di uno Stato politico che ha il potere di determinare le politiche in materia di misure militari e di difesa, che sono di competenza delle nazioni sovrane.
L’UE non ha mai dovuto difendere militarmente i suoi cittadini e speriamo che non debba mai farlo, per una serie di motivi. Intanto, paesi come il mio, la Gran Bretagna, che sono effettive potenze militari, devono assolvere questa responsabilità. In effetti, occorre una maggiore regolamentazione internazionale delle bombe a grappolo, soprattutto per quanto riguarda le cosiddette “bombe stupide”, che non dispongono di un meccanismo di autodistruzione. La Gran Bretagna è anche una potenza di primo piano nella ricerca nel campo della difesa contro le armi biologiche e tossiniche, e data l’attuale minaccia terroristica dell’islam fondamentalista, la Gran Bretagna deve mantenere la propria indipendenza e libertà d’azione in questo ambito.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, la produzione e l’uso di armi biologiche un tempo era appannaggio degli Stati. Oggi, i progressi nelle biotecnologie sono tali che occorrono risorse sempre più limitate per produrre virus pericolosi, batteri e veleni, con la conseguenza che anche le organizzazioni terroristiche possono ricorrere alla guerra biologica.
Nel marzo di quest’anno, l’Interpol ha rilevato segnali preoccupanti del fatto che Al-Qaeda si sta preparando a commettere atti di terrorismo biologico. Il livello di distruzione che potrebbe risultarne sarebbe di gran lunga superiore a quello degli attentati di New York, Madrid e Londra. E’ impossibile concludere accordi con i terroristi, così come si fa tra Stati. E’ di vitale importanza che le forze di polizia vengano ulteriormente addestrate nella prevenzione e nel controllo del terrorismo biologico. Alcune leggi dovrebbero essere adattate per rendere possibile il controllo di ricerche scientifiche delicate.
Occorre inoltre prestare attenzione allo scambio di informazioni tra i servizi segreti all’interno dell’Unione europea, ma anche con i nostri partner negli Stati Uniti, in Russia e in tutte le altre nazioni che intendono assumersi le proprie responsabilità nella lotta contro il terrorismo.
Achille Occhetto, a nome del gruppo PSE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo del PSE approva con entusiasmo questa proposta di risoluzione, perché la considera un passo decisivo in quella strategia contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa, adottata dall’Europa nel dicembre 2003 e perché fa della riduzione della minaccia biologica una priorità emergente. Nello stesso tempo è importante l’impegno che chiediamo affinché tutti gli Stati non ancora aderenti si conformino alla legislazione in materia di proibizione delle armi biologiche, anche al fine del raggiungimento di quella universalità che è parte integrante e vincolante del diritto internazionale.
In questo quadro fondamentale rimangono comunque gli strumenti volti a verificare l’effettiva attuazione della Convenzione, strumenti sui quali, nell’ultimo riesame, è venuta meno l’adesione statunitense. Voglio anche sottolineare l’importanza della richiesta, contenuta nella risoluzione, della messa a punto di uno specifico protocollo 6 che vieti, senza ambiguità, la fabbricazione e l’impiego delle cluster bombs – una vergogna – utilizzate anche nelle guerre umanitarie per raggirare la Convenzione contro le mine antiuomo.
Nello stesso tempo l’Europa deve evidenziare il rapporto diretto tra tendenze alla proliferazione, che vanno combattute strenuamente, e mancato processo di disarmo. L’Occidente avrà maggiore autorità morale contro la proliferazione di qualsiasi tipo di arma se: 1) gli USA cesseranno di opporsi all’adozione di strumenti di verifica e alla messa al bando delle cluster bombs; 2) riprenderà il cammino del disarmo anche all’interno del club atomico. Quello di oggi quindi è un passo importante, ma solo un primo passo nel lungo cammino per la messa al bando di tutte le armi di distruzione di massa.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). – (ES) Signor Presidente, come molti altri strumenti di regolamentazione delle armi a livello mondiale, la Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche è uno strumento necessario, seppure insufficiente, nella lotta contro l’irrazionalità umana.
Esiste dunque un’unica alternativa accettabile per la sesta Conferenza di revisione che si aprirà il 20 novembre prossimo: rafforzare tale strumento, in particolare nell’intento di definire effettivi meccanismi di verifica e di promuoverne l’applicazione universale.
Inoltre, per quanto riguarda le bombe a grappolo, posso solo sostenere caldamente l’appello affinché alla Convenzione sulle armi inumane sia aggiunto un sesto protocollo. A mio parere, si dovrebbe aggiungere un trattato specifico completo, che vieti senza ambiguità la produzione, lo stoccaggio, il trasferimento e l’utilizzo di questo genere di armi, come nel caso delle mine antiuomo.
Alla luce della natura indiscriminata delle bombe a grappolo e del loro enorme impatto sulla popolazione civile, l’impiego di queste armi non dev’essere più tollerato in alcun modo. Il caso del Libano, attualmente sotto inchiesta, è solo un esempio dei molti che ne illustrano le ragioni.
Ana Maria Gomes (PSE). – (PT) Negli ultimi anni abbiamo assistito all’erosione dei più importanti strumenti giuridici per combattere la proliferazione delle armi di distruzione di massa, e la Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche non fa eccezione. Siamo più che mai vulnerabili nei confronti di devastanti attacchi terroristici.
Le principali idee contenute nella presente risoluzione, sulla quale si è raggiunto un notevole consenso da parte di tutti i gruppi politici del Parlamento, sono note da decenni e si applicano anche ad altre convenzioni. Queste idee si possono sintetizzare in tre parole chiave: universalità, applicazione e verifica. Occorre lottare contro le famigerate bombe a grappolo e le mine antiuomo. Queste armi immorali devono essere messe al bando. Queste bombe seminano morte in maniera indiscriminata e il fatto che il tasso di esplosione immediata sia basso significa che continuano a uccidere persone innocenti anche molti anni dopo la fine di un conflitto.
La recente guerra in Libano, nella quale Israele ha disseminato nel paese migliaia di bombe a grappolo, dovrebbe indurci a vietare una volta per tutte la produzione e l’impiego di tutti i generi di bombe a grappolo, come abbiamo fatto con le mine antiuomo. Forse la semplice aggiunta di un nuovo protocollo all’attuale Convenzione contro talune armi convenzionali non è sufficiente; forse è giunto il momento per una convenzione specifica. Poco importa, purché l’UE si mobiliti e l’umanità unisca le forze per eliminare queste armi atroci.
Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, l’Unione e il Consiglio sono molto preoccupati del fatto che gli abitanti di zone di guerra rimangano feriti o uccisi anche dopo la conclusione del conflitto. Si tratta di una situazione che si evidenzia con chiarezza nel caso del Libano, dove le bombe inesplose rappresentano un problema reale per la popolazione civile.
La Presidenza si compiace per l’entrata in vigore del Protocollo relativo agli ordigni inesplosi. In futuro lavoreremo per garantire che i danni provocati alla popolazione civile dalle munizioni siano ridotti al minimo. Quanto alla cooperazione internazionale in materia di bombe a grappolo d’ora in avanti, continueremo a impegnarci per trovare una posizione comune nell’Unione europea e fare progressi in quella direzione.
Infine, desidero comunicare che l’onorevole Beer e i suoi colleghi riceveranno molto presto una risposta alla lettera da loro inviata alla Presidenza.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la discussione informata che si è svolta su questi temi è un ulteriore elemento nell’argomentazione contro la guerra e un altro argomento a favore della prevenzione e dell’auspicabile possibilità di evitare l’impiego di queste armi.
Come sapete, nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune queste non sono aree in cui la Commissione può prendere l’iniziativa. Tuttavia, noi siamo parte della soluzione quando si tratta delle conseguenze di una guerra. Le sofferenze umane, le munizioni inesplose e i problemi umanitari derivanti dalle guerre in tutto il mondo sono per noi una sfida.
La Commissione naturalmente continuerà a sostenere gli interventi di rimozione di tali armi, lavorando con la comunità internazionale e le ONG. La guerra in Libano è durata pochi giorni, ma le sofferenze umane continueranno per molti anni.
Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento(1).
13. Iniziativa europea nel campo della protezione civile (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sull’interrogazione orale (B6-0442/2006) dell’onorevole Florenz a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, dell’onorevole Galeote a nome della commissione per lo sviluppo regionale, dell’onorevole Daul a nome della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, al Consiglio, sull’iniziativa europea nel campo della protezione civile (O-0115/2006).
Antonios Trakatellis (PPE-DE), autore. – (EL) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signora Vicepresidente della Commissione europea, l’esperienza acquisita nel corso degli ultimi anni nell’affrontare le catastrofi naturali e quelle causate dall’uomo ha dimostrato che la capacità di intervento nazionale presenta lacune e che, di conseguenza, aumentano le aspettative riguardo all’assistenza comunitaria, che dovrà essere in grado di assicurare un intervento efficace in materia di prevenzione e risposta rapida. Da questo punto di vista, occorre un sistema di emergenza e di risposta rapida, basato sui quattro elementi seguenti: identificazione e valutazione dei rischi, controllo costante dei rischi, un meccanismo di allarme e di comunicazione e, infine, la preparazione, in altre parole la capacità di reagire e fornire aiuto.
Desidero soffermarmi brevemente su determinati parametri di particolare importanza che caratterizzano un meccanismo di protezione civile efficace, come indicato nella straordinaria relazione Barnier approvata in seduta plenaria e nella relazione che ho presentato in occasione della seduta plenaria euromediterranea.
Abbiamo bisogno di un sistema di sorveglianza, di unità di intervento degli Stati partecipanti, di linee guida sulla risposta e informazioni pertinenti per i cittadini, di migliori pratiche per affrontare tali situazioni, nonché di assistenza consolare reciproca nel determinare i punti di contatto tra Stati membri.
E’ sottinteso che senza i necessari finanziamenti e la fondamentale partecipazione degli Stati membri, tutto il progetto resterà in sospeso. Pertanto, signora Presidente in carica del Consiglio, le chiedo se il Consiglio vuole rispondere a questa esigenza e, naturalmente, garantire la necessaria cooperazione degli Stati membri.
Ritengo che alla fine, nelle relative decisioni, predominerà la necessità di rispondere a questa esigenza e alle aspettative dei cittadini, necessità dettata prima di tutto dall’aumento della frequenza e dell’intensità delle catastrofi naturali che causano vittime, nonché danni finanziari e ambientali.
Inoltre, dobbiamo sempre tenere bene a mente che promuovere la cooperazione fra gli Stati membri nel campo della protezione civile rafforzerà gradualmente una coscienza europea nei cittadini e sarà un esempio tangibile della solidarietà che deve distinguere l’Unione europea.
Gerardo Galeote (PPE-DE), autore. – (ES) Signor Presidente, senza addentrarci nelle motivazioni di fondo, nel corso degli ultimi anni numerosi paesi sono stati colpiti da gravi catastrofi naturali. Soprattutto nel periodo estivo abbiamo subito incendi, inondazioni e le conseguenze di una siccità particolarmente inclemente.
Spesso osserviamo che le regioni colpite degli Stati membri, talvolta anche di quelli più sviluppati, non dispongono di mezzi sufficienti per far fronte a tali fenomeni con le sole proprie forze.
Nondimeno, talvolta sembra che siamo più disposti a offrire la nostra solidarietà quando il disastro si verifica a migliaia di chilometri di distanza piuttosto che quando colpisce un paese membro.
Nonostante tutto ciò, il Consiglio sembra essersi fossilizzato in un atteggiamento passivo. Alcuni riterranno che non sia il caso di spendere altro denaro, ma non si tratta di una questione finanziaria, e ne è un esempio il fatto che voi, rappresentanti del Consiglio, non fate avanzare la riforma del Fondo di solidarietà dell’Unione europea, che non costerà un solo euro in più al bilancio comunitario.
Talvolta non siamo nella posizione di esprimere alcun giudizio. La seduta plenaria ha approvato l’invio di una delegazione nelle regioni maggiormente colpite all’inizio di settembre e, signor Presidente, l’Ufficio di Presidenza del Parlamento europeo è ancora impegnato in questioni normative che deve risolvere prima di dare il via libera alla delegazione in questione.
Tuttavia non ci perderemo d’animo, poiché nessuno ritiene che non si debbano mettere a disposizione i mezzi per un’azione comune che renderà più efficace la nostra assistenza alle persone. Anche il principio di sussidiarietà verrà rispettato. Non vi è alcuna intenzione di ledere la sovranità degli Stati membri.
Esiste una relazione, di cui il Michel Barnier è responsabile, sottoposta all’attenzione del Consiglio, che fornisce una base valida per questo lavoro. Desidero sapere se il Consiglio intende dar seguito alla questione. Il Parlamento europeo la sosterrà senza dubbio con entusiasmo e gli europei gliene saranno grati.
Markus Pieper (PPE-DE), autore. – (DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, nessuna regione può affrontare da sola le catastrofi naturali, a prescindere che si tratti di incendi boschivi, terremoti o inondazioni. Combatterle e, soprattutto, far fronte alle relative conseguenze va oltre la capacità delle autorità regionali e pertanto le regioni colpite dipendono dalla solidarietà, e innanzi tutto dall’aiuto delle regioni confinanti e dal sostegno a livello nazionale, che comprende la responsabilità della protezione civile e della prevenzione delle catastrofi.
Desidero chiarire che non ci occorrono nuove competenze a livello europeo che significherebbero una duplicazione delle strutture e uno sperpero di denaro nell’apparato amministrativo. Inoltre giudico in qualche modo problematica l’idea di utilizzare il denaro europeo dei Fondi strutturali o persino le risorse destinate allo sviluppo rurale. La politica europea per le zone rurali guarda al futuro; essa sostiene gli Stati nazionali nelle relative strategie d’investimento regionali nell’ambito della concorrenza internazionale. Adesso alcuni chiedono che queste preziose risorse siano utilizzate per prevenire gli incendi boschivi e risarcirne le vittime e, anche a tale proposito, devo dire che non sembra particolarmente sensato impiegare il denaro dei contribuenti europei per dispositivi come le fasce tagliafuoco.
Come tutti sappiamo, il Fondo di solidarietà dell’Unione europea è stato creato per affrontare le catastrofi davvero gravi, per intervenire proprio in quelle situazioni in cui i singoli paesi non sono in grado di far fronte a calamità naturali; tuttavia chiedo che questo Fondo sia più flessibile nell’impiego del denaro. Chiedo inoltre che siano introdotte regole più vincolanti riguardo al coordinamento internazionale degli interventi in situazioni di crisi, inizialmente a livello bilaterale tra gli Stati interessati e in casi eccezionali anche a livello europeo, ma cerchiamo di evitare nuove superstrutture europee nel campo della protezione civile e altri sprechi di preziose risorse europee per azioni che in linea di massima dovrebbero davvero essere lasciate agli Stati nazionali.
Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, nel formulare la sua risposta, il Consiglio è partito dal presupposto che i membri di quest’Assemblea desiderassero sapere in quale modo il Consiglio intende sviluppare e promuovere i servizi di protezione civile dell’Unione. I discorsi introduttivi pronunciati hanno ora confermato che la nostra supposizione era corretta e che proprio di questo si tratta.
L’obiettivo principe dell’attività del Consiglio è instaurare un coordinamento migliore volto a garantire un funzionamento più efficace degli interventi di assistenza. Il Consiglio farà affidamento sulle strutture esistenti, quali il centro di informazione e monitoraggio della protezione civile che opera in collaborazione con la Commissione e il Segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea.
Il secondo obiettivo del lavoro del Consiglio è fornire assistenza rapida ovunque necessario. Gli stessi Stati membri hanno la responsabilità principale di fornire assistenza in situazioni di emergenza. Per quanto riguarda la proposta della Commissione relativa alla creazione di uno strumento finanziario per i servizi di emergenza e per interventi di assistenza rapida, il Consiglio sta verificando se, in presenza di determinate condizioni, sia eventualmente possibile impiegare per il noleggio di mezzi di trasporto e attrezzature una parte degli stanziamenti del bilancio comunitario destinati a operazioni di protezione civile dell’UE. Tutto ciò dimostra che il Consiglio ritiene molto importante rafforzare la preparazione dell’Unione europea in materia di protezione civile.
Konstantinos Hatzidakis, a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signor Presidente, il fatto che sia la terza volta negli ultimi mesi che dibattiamo l’argomento in questione dimostra l’accresciuta sensibilità del Parlamento europeo.
In un’altra occasione ho sottolineato che è paradossale che disponiamo di una politica comune per l’agricoltura, l’ambiente e lo sviluppo regionale, ma non abbiamo un piano programmatico per le catastrofi naturali che colpiscono l’agricoltura, lo sviluppo regionale e l’ambiente. E’ un paradosso che ha caratterizzato fino a oggi il funzionamento dell’Unione europea.
Inoltre, ritengo che l’indifferenza riguardo a questi aspetti stia anche rafforzando l’euroscetticismo. L’immagine dell’Unione europea sarebbe molto più positiva se esistesse un meccanismo europeo e se l’Unione europea fosse presente dopo ogni catastrofe naturale nel momento in cui i cittadini devono affrontare il problema. Dobbiamo capirlo e non credo che si debba riflettere troppo a lungo per rendersene conto. Non intendiamo sostituire gli Stati membri. Naturalmente anche gli Stati membri continueranno a essere presenti, ma ciò che desideriamo è il coordinamento.
Ministro Lehtomäki, è stato il Consiglio ad invitare Michel Barnier, eminente europeo e Commissario di indubbio valore, a presentarvi una proposta, non noi. Voi avete preso in considerazione la proposta del Consiglio a giugno e, da allora, non ha registrato il benché minimo progresso. Dovete dirci qualcosa. So che qui non rappresentate esclusivamente il vostro paese, bensì 25 Stati, e che dovete coordinarvi tra voi, coordinarvi davvero. Sono passati mesi. Dobbiamo aspettare ancora altre catastrofi come quella avvenuta in Germania nel 2002 prima di intervenire? All’epoca i disastri sono stati il motivo per cui abbiamo creato il Fondo di solidarietà. Non possiamo andare avanti in questo modo. Prima o poi dovrete dirci qualcosa di più preciso e avete tempo fino a dicembre per sollevare la questione e dare seguito alla relazione Barnier. Lo dovete a voi stessi, perché siete stati voi a chiedere a Michel Barnier di elaborare il testo, e lo dovete soprattutto ai cittadini europei.
Edite Estrela, a nome del gruppo PSE. – (PT) Signora Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, i tempi cambiano e così le esigenze. Il clima non è più quello che era decine di anni fa. Nel corso dell’anno giorni di clima secco si alternano giorni di piogge torrenziali.
“Il cambiamento climatico non è fantascienza” ha affermato oggi Kofi Annan all’apertura della Conferenza sul cambiamento climatico tenutasi a Nairobi. Secondo stime di esperti in campo assicurativo nel 2040 le catastrofi naturali provocheranno 2,3 miliardi di euro di danni.
Il cambiamento climatico è all’origine di catastrofi naturali in tutto il mondo che hanno lasciato dietro di sé una scia di morte e distruzione. Il riscaldamento globale è uno dei principali problemi dei nostri tempi. E’ necessario sensibilizzare i cittadini e incoraggiarli a partecipare alla prevenzione di questi disastri, sebbene la responsabilità della gestione della risposta alle calamità naturali incomba soprattutto ai paesi interessati e l’Unione svolga un ruolo di sostegno.
E’ necessario rafforzare il meccanismo di protezione civile comunitario dotandolo di maggiori risorse e competenze. Questo è, in effetti, ciò che ha affermato lei, Ministro Lehtomäki, ma quale forma assumerà in pratica tale processo di rafforzamento? Come pensa di agire il Consiglio per rafforzare il meccanismo di protezione civile europeo? Il Consiglio è a favore dell’idea di creare un centro europeo per il coordinamento strategico che si occupi della raccolta e della diffusione di informazioni sulle situazioni di emergenza e di fornire le risorse per una risposta rapida al fine di lottare contro le varie catastrofi? Come intende servirsi il Consiglio della relazione Barnier, citata poc’anzi?
Sono questi gli interrogativi per i quali vorremmo ricevere una risposta.
Jean Marie Beaupuy, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, se c’è un’area per la quale tutti i cittadini europei attendono una risposta comunitaria efficace è quella delle catastrofi naturali su vasta scala.
Ciascuno ha potuto constatare che, in occasione di grandi catastrofi come ad esempio lo tsunami, c’è una risposta rapida non solo da parte dei singoli paesi e delle ONG, ma anche dei nostri concittadini che, donando denaro, abiti e tempo, sono in grado di unire le forze e intervenire. Tuttavia, abbiamo anche osservato che, nel momento in cui è avvenuta una di queste calamità, ciò che mancava era una valida organizzazione. Dobbiamo, in effetti, confrontarci con un’organizzazione inadeguata.
E’ per questo motivo che, insieme al mio gruppo, sono favorevole all’attuazione di azioni preventive e alla realizzazione di una capacità di risposta estremamente rapida alle conseguenze delle tragedie. A tale proposito, desidero sottolineare la qualità della relazione Barnier che espone bene il problema e propone soluzioni costruttive non solo in termini di efficacia, come ci si aspetta e come è già stato evidenziato dai miei colleghi, ma anche in termini di sussidiarietà. A questo punto, vorrei indicare in cosa consiste l’interesse della relazione in questione. Sebbene nessuno contesti il fatto che spetta alle varie organizzazioni militari, ai vigili del fuoco e ad altri operatori esercitare appieno le rispettive responsabilità, occorre riconoscere che solo l’Unione europea è in grado di garantire un coordinamento preventivo e reattivo.
Infine, desidero far presente che l’Unione europea ha avuto così l’opportunità di dimostrare a tutto il mondo che la parola “solidarietà” non è un termine vacuo, ma può essere tradotta come “azione concreta”. Se in futuro si registreranno catastrofi simili a quelle avvenute in passato, e purtroppo c’è il rischio che ciò si verifichi nel 2007, e l’Unione europea sarà presente sul campo per offrire una risposta alle sofferenze umane e contenere i danni materiali, tecnici ed ecologici, essa apparirà agli occhi del mondo più unita e molto più concreta. Anche per questa ragione è importante che la Presidenza riesca ad attuare questa operazione già all’inizio del 2007.
Derek Roland Clark, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Esistono, in effetti, due fenomeni: le catastrofi naturali o quelle causate dall’uomo, e gli attacchi terroristici.
Mi si permetta di parlare dalla prospettiva del Regno Unito, dove lo scorso anno abbiamo vissuto entrambe le esperienze Lo scorso dicembre, in un deposito di stoccaggio di petrolio nei pressi di Londra, abbiamo avuto il più grande incendio mai avvenuto in tempo di pace in Europa. A luglio c’è stato un grave attentato terroristico nel centro di Londra, durante il quale sono stati fatti esplodere tre convogli della metropolitana e un autobus.
In entrambi i casi abbiamo fatto fronte alla situazione. Non si tratta solo di una questione di sussidiarietà: non vogliamo diventare dipendenti, né nessun altro dovrebbe diventarlo.
Ho pertanto una domanda da porre. Che cosa intendete con “consolati europei”? Devono essere imposti ai sistemi nazionali, senza tener conto di questi ultimi?
Un’altra domanda: quale sarà il compito del corpo di protezione civile europeo citato nella relazione Barnier? Si tratta di un’unità armata? Se lo è, da chi sarà controllata? Dove avrà sede? Potrebbe essere impiegata senza la richiesta o il permesso del governo nazionale?
Infine, la Costituzione comprendeva una politica europea sulla prevenzione delle catastrofi naturali e sulla protezione civile. Un’ulteriore domanda: si tratta di un tentativo di introdurre parti della defunta Costituzione in una nuova normativa?
Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, da questa discussione è emerso con estrema chiarezza che il Consiglio, il Parlamento e senza dubbio anche la Commissione condividono esattamente gli stessi obiettivi. Innanzi tutto, dobbiamo riuscire a definire accordi efficaci per il coordinamento nel campo della protezione civile. L’altro obiettivo comune è che l’assistenza debba arrivare in modo efficace ovunque sia necessaria. E’ importante tenere bene a mente che occorrerà un alto livello di cooperazione per raggiungere questi obiettivi comuni. Non abbiamo bisogno necessariamente o automaticamente di nuove strutture e non dobbiamo pensare che qualcosa funzionerà a dovere solo creando una nuova struttura. La cooperazione è quindi una priorità, e una parola chiave qui.
Inoltre, parlando di determinate catastrofi naturali, dobbiamo ricordare, soprattutto quando gli eventi hanno luogo al di fuori del nostro continente, che sul campo sono attivi molti operatori oltre all’Unione europea. In tali situazioni, occorre che l’Unione faccia parte di una più ampia operazione coordinata a livello internazionale. La necessità di coordinamento sul campo è emersa nettamente in occasione dello tsunami, quando c’erano decine, persino centinaia di operatori in loco contemporaneamente.
Al momento, le proposte di Michel Barnier sono in fase di esame e assimilazione da parte degli Stati membri. Hanno obiettivi molto ambiziosi e proprio ora il lavoro del Consiglio è concentrato sull’adozione di decisioni relative allo strumento finanziario, che sfocerà in uno strumento di protezione civile comune. Nondimeno proseguono i lavori anche per quanto riguarda le proposte formulate da Michel Barnier, il quale è stato invitato a esporre le proprie idee al Consiglio “Giustizia e Affari interni” il 5 dicembre.
Presidente. – La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Sebastiano (Nello) Musumeci (UEN). – L’ennesima e opportuna interrogazione sulla delicata questione della capacità dell’Unione europea in materia di protezione civile pone in primo piano uno dei settori più tortuosi e controversi che gli Stati membri abbiano mai affrontato.
Come ho già avuto modo di dire – interpellando a varie riprese la Commissione europea ed esprimendomi in Aula – il settore della protezione civile, essendo materia di pertinenza dei singoli Stati, si scontra inevitabilmente con normative, formazione professionale e pratiche diverse. Per tale ragione, al fine di rendere omogenee le diverse legislazioni nazionali, sostengo da tempo la tesi della capacità e del rafforzamento del coordinamento delle forze d’intervento nazionali. E questo, a mio parere, non può che essere delegato ad una speciale Agenzia per la Protezione civile europea, modellata sulla Federal Emergency Management Agency statunitense.
L’esperienza recente insegna come – al di là della buona volontà dimostrata, ad esempio, in occasione dello spaventoso tsunami che ha flagellato parte dell’Oceano Indiano nel 2004 – la gestione dell’emergenza dell’Unione europea si rivela, purtroppo, assolutamente fallimentare.
Margie Sudre (PPE-DE). – (FR) La strategia sviluppata nell’eccellente relazione Barnier volta a trarre il massimo vantaggio dai notevoli sforzi compiuti dagli europei nel campo degli aiuti d’emergenza potrebbe completare il meccanismo comunitario di protezione civile istituito nel 2001, a prescindere che la crisi sia all’interno o all’esterno dell’Unione.
Sono favorevole in particolare alla proposta che mira a introdurre questa forza nelle sette regioni ultraperiferiche dell’UE, grazie alle quali l’Europa è presente in termini umani e territoriali al largo delle coste africane (isole Canarie e Madera), nell’Oceano Indiano (isola della Riunione), sul o in prossimità del continente americano (Guyana, Martinica, Guadalupa e isole Azzorre), senza parlare dei territori d’oltremare nel Pacifico, ossia Polinesia francese e Nuova Caledonia.
Dobbiamo seguire l’esempio della Croce Rossa francese che ha istituito oltremare gruppi di risposta alle crisi umanitarie, in grado di precipitarsi nella zona interessata in meno di 24 ore, di allestire ospedali di emergenza e di fornire tende, medicine, acqua, mezzi di telecomunicazione e supporto logistico.
Al fine di rendere tangibile l’espressione “Europa dei progetti”, l’Unione europea deve prendere iniziative mosse da una volontà politica precisa, comprensibile e forte.
Una protezione civile europea rafforzata comporterebbe una dimensione federativa che identifichi con vigore l’azione europea e, conformemente al principio di solidarietà caro alla nostra Comunità, rappresenterebbe una fonte d’orgoglio per i nostri concittadini.
PRESIDENZA DELL’ON. MARIO MAURO Vicepresidente
14. Inquadramento delle agenzie europee di regolazione (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca in discussione le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sull’inquadramento delle agenzie europee di regolazione.
Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, all’Unione europea e ai suoi cittadini occorrono agenzie efficaci che operano in maniera trasparente. Come sapete, per promuovere tale obiettivo il 28 giugno 2004 il Consiglio ha adottato le conclusioni sulla comunicazione della Commissione concernente l’inquadramento delle agenzie europee di regolazione.
Nelle suddette conclusioni, il Consiglio si è concentrato sull’intenzione della Commissione di presentare la proposta relativa a uno strumento giuridicamente vincolante che dia un inquadramento orizzontale alle agenzie di regolazione. Il Consiglio era dell’avviso che la proposta dovesse affrontare questioni quali la creazione, il funzionamento e la supervisione delle agenzie di regolazione, al fine di garantire in particolare coerenze, trasparenza, buon governo, credibilità ed efficienza in termini di costi, nonché la legittimità della loro azione esecutiva.
In un secondo momento, nel febbraio 2005, la Commissione ha elaborato un progetto di accordo interistituzionale relativo all’inquadramento delle agenzie europee di regolazione. La proposta indicava che scopo dell’accordo istituzionale era il rafforzamento dell’inquadramento orizzontale per la creazione, la struttura, il funzionamento, la valutazione e il controllo delle agenzie di regolazione.
Tuttavia, quando il progetto è stato preso in esame in sede di gruppo di lavoro, nell’aprile 2005 il Consiglio ha ritenuto che non si potesse pervenire ad alcuna intesa sull’argomento sotto forma di accordo interistituzionale, per lo meno in termini di contenuto. Né è stato ritenuto possibile ammettere alcuna base giuridica per le agenzie di regolazione, in quanto il Trattato non ne prevede nessuna per un atto giuridico del genere. Durante il dibattito in Consiglio sono stati proposti vari modelli per portare avanti la questione, tuttavia non è stato possibile raggiungere alcun accordo in proposito.
Nel corso della nostra Presidenza abbiamo valutato diverse opzioni per la definizione di un accordo interistituzionale in materia di agenzie di regolazione. Abbiamo prestato particolare attenzione al contenuto della proposta della Commissione e all’aspetto della base giuridica. Tuttavia, non si è mai giunti al punto di avere una proposta completamente nuova da parte della Commissione. E’ stato inoltre impossibile organizzare nuovi dibattiti sulla questione. Emerge tuttavia con chiarezza la necessità di confrontarsi maggiormente sul contenuto e sul formato di un’eventuale proposta imminente della Commissione.
E’ inoltre importante ricordare che qualsiasi inquadramento orizzontale delle agenzie deve anche funzionare a livello pratico. Occorre una garanzia dell’effettiva necessità della loro creazione e del loro funzionamento, con un’analisi puntuale dell’efficienza in termini di costi del progetto. La Presidenza finlandese è perfettamente consapevole che il Parlamento ha posto l’accento su tale argomento in varie occasioni.
Nel suo progetto di accordo interistituzionale, la Commissione ha sottolineato che agli enti di regolazione verrebbe affidato un compito di servizio pubblico. Contribuirebbero a migliorare le modalità di attuazione e applicazione delle norme comunitarie in tutta l’Unione europea. Non è pertanto solo una questione di creare un quadro giuridicamente vincolante al fine di rafforzare il lavoro dell’Unione. Dobbiamo dimostrare all’opinione pubblica che l’Unione sta cercando di compiere progressi in questioni ch’essa ritiene importanti, in maniera credibile ed efficiente in termini di costi, e in questo caso con l’aiuto di agenzie di regolazione.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la Commissione resta dell’idea che un accordo interistituzionale rappresenti la soluzione migliore per un inquadramento delle agenzie di regolazione. Solo tale strumento giuridico ha il vantaggio di coinvolgere fin dall’inizio tutte e tre le Istituzioni e di consentire loro di approvare norme adeguate di buon governo applicabili alle agenzie di regolazione.
La recente creazione di alcune nuove agenzie e la prospettiva di istituirne altre a breve sottolinea ulteriormente la necessità di progredire in tal senso. Al momento vi sono 21 agenzie nell’ambito del primo pilastro e 2 in via di istituzione: l’istituto europeo per l’uguaglianza di genere e l’agenzia europea delle sostanze chimiche, che verranno creati in conformità del regolamento REACH.
A quanto pare, concordiamo tutti sulla necessità di intervenire. Se il problema è lo strumento con cui muoverci e se l’accordo interistituzionale proposto è motivo di discussioni, il Consiglio deve chiarire quali alternative propone.
La Commissione è disposta a prendere in considerazione eventuali alternative, ma deve sapere in quale modo il Consiglio intende portare avanti la questione.
Georgios Papastamkos, a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signor Presidente, la funzione delle agenzie europee di regolazione è strettamente correlata alla governance europea articolata in molti livelli, nonché alla strategia europea volta a conseguire l’obiettivo di legiferare meglio. Lo stato di inerzia interistituzionale raggiunto dalla questione mi induce a rivolgere i seguenti interrogativi al Consiglio e alla Commissione:
Primo, occorre o meno definire i termini e criteri di base per l’inquadramento delle agenzie di regolazione?
Secondo, il numero di agenzie di regolazione sembra essere in aumento, acuendo pertanto la frammentazione e l’assenza di trasparenza e uniformità. La Commissione e il Consiglio si adopereranno a favore della razionalizzazione, della trasparenza, del controllo democratico e di un approccio orizzontale alle agenzie di regolazione?
Terzo, la Commissione ha rinviato la sua iniziativa. A propria volta, il Parlamento europeo ha formulato le sue posizioni in maniera ambigua. La diplomazia istituzionale del silenzio adottata dal Consiglio va interpretata come il rinvio della questione alle calende greche?
Quarto, il Consiglio – ed esigiamo una risposta precisa – considera il progetto di accordo interistituzionale della Commissione un testo vivo?
Quinto, se il Consiglio dovesse intervenire, la Commissione è disposta a rivedere il proprio progetto e a riformularlo con parole nuove, cosicché possa costituire la base di un accordo interistituzionale?
Jo Leinen, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, la situazione attuale è di fatto completamente insoddisfacente. Vi sono 21 agenzie europee e una pletora sconcertante di modelli, tutti impenetrabili per il pubblico e i cittadini europei, e persino per gli organi – ad esempio il nostro Parlamento – che li rappresentano. Non è certo un esempio positivo di valido e buon governo il fatto che non si riesca più a comprendere ciò che accade in seno a tali enti.
Già nel 2003 avevamo fatto presente che occorreva riorganizzare tali agenzie, e l’abbiamo poi ribadito nel 2005; ora è trascorso un altro anno senza che accadesse nulla. Le cose non possono andare avanti così. La Presidenza deve veramente sforzarsi di pervenire a un’intesa nel Consiglio su come agire congiuntamente alle altre Istituzioni – la Commissione e il Parlamento – per redigere un accordo in materia di amministrazione e obbligo di rendiconto di tali agenzie. Come è stato osservato, qui ci occupiamo di aspetti che stanno a cuore al pubblico; l’autorità per la sicurezza alimentare, l’agenzia per i medicinali, l’agenzia per le sostanze chimiche, l’agenzia per l’ambiente – sono tutte impegnate in questioni che interessano al pubblico, e se nessuno sa chi è responsabile o come funzionano tali enti, non deve stupire che i cittadini considerino frustrante la politica europea.
Non posso non far presente alla Presidente in carica che il Consiglio sta effettivamente costringendo il Parlamento a ricorrere a mezzi più drastici: lei avrà visto che la commissione per i bilanci non ha sbloccato i fondi per le nuove agenzie da noi richiesti. Le risorse destinate all’agenzia per i diritti umani, all’agenzia per la parità di genere e all’agenzia per le sostanze chimiche, anziché essere rese disponibili, sono state accantonate in una sorta di operazione di emergenza volta a costringere il Consiglio a chiarire la questione una volta per tutte. Auspico che lei riesca a smuovere la situazione.
Andrew Duff, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, ritengo sia giusto tenere a mente quale sarebbe la situazione se non esistessero tali agenzie di regolazione, che svolgono una funzione vitale di supervisione a livello federale. Se non ci fossero, la Commissione dovrebbe creare un’unica gigantesca macchina burocratica centralizzata e nominare un esercito di prefetti e ispettori delle finanze per pattugliare l’Unione.
Dovremmo tuttavia sviluppare un approccio molto meno spontaneo e più coordinato all’istituzione delle agenzie, che dovrebbero diventare un esempio di governance europea moderna, di carattere consultivo, trasparenti, autonome e responsabili. Il Parlamento stesso dovrebbe esercitare un grado maggiore di autocontrollo e procedere a un esame spassionato, per poter esercitare il nostro potere di discarico.
Convengo con la Commissione sulla necessità impellente di un accordo interistituzionale, ma se venisse bloccato chiederei alla Commissione di prendere in considerazione un regolamento sulla base dell’articolo 308.
Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei innanzi tutto ringraziarvi per i commenti che la Presidenza ha ricevuto sulla presente questione da parte dei vari gruppi. Come ho rilevato nel mio discorso di apertura, quest’autunno abbiamo riflettuto e tentato di trovare alternative diverse all’accordo interistituzionale. Gli elementi particolarmente cruciali della proposta della Commissione sono il contenuto e l’aspetto relativo alla base giuridica.
E’ assolutamente indispensabile creare un ambiente normativo e un inquadramento che funzionino alla perfezione, in maniera razionale ed efficiente in termini di costi, anche per quanto riguarda le questioni pratiche. Occorre ovviamente un dibattito costante negli Stati membri per perfezionare tale progetto, e ci adopereremo per promuovere e rendere più circostanziato tale dibattito per l’intero periodo del nostro mandato presidenziale.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, potrebbe essere il momento opportuno per richiamare alla mente l’insieme di principi comuni di buon governo che la Commissione voleva inserire in un accordo interistituzionale teso a svolgere una funzione di supervisione e aiuto delle agenzie, in quanto fornirebbe una descrizione delle medesime e formulerebbe norme sulla loro creazione, struttura e funzionamento, comprese le questioni di trasparenza, valutazione e controllo. Nella foga della discussione sul formato, non dobbiamo dimenticare il contenuto.
Noi della Commissione siamo disposti a considerare l’opzione menzionata dall’onorevole Duff di valutare l’opportunità di un regolamento sulla base dell’articolo 308. Siamo aperti a studiare tale alternativa. Tuttavia, per quanto riguarda il processo decisionale, al Parlamento spetterebbe, ad esempio, un semplice ruolo consultivo sul contenuto del regolamento futuro. Per tale ragione preferivamo un accordo interistituzionale.
Infine, non posso che esprimere il nostro auspicio di aprire un dialogo su tali questioni. Continueremo a cercare il metodo più appropriato, efficace e vantaggioso in termini di costo per gestire queste tematiche imprescindibili e tentare di stabilire norme comuni e un insieme condiviso di principi di buon governo per le agenzie.
(La seduta, sospesa alle 17.20, è ripresa alle 17.35)
Presidente. – Come ho avuto modo di spiegare precedentemente, la seduta è stata sospesa perché, per la prima volta nell’arco della legislatura, i lavori parlamentari sono in anticipo.
15. Una strategia per la dimensione settentrionale incentrata sul Mar Baltico (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca in discussione la relazione presentata dall’on. Alexander Stubb, a nome della commissione per gli affari esteri, su una strategia per la dimensione settentrionale incentrata sull’area del Mar Baltico (2006/2171(INI)) (A6-0367/2006)
Alexander Stubb (PPE-DE), relatore. – (EN) Signor Presidente, grazie delle sue gentili parole. Cercherò di fare come i finlandesi loquaci e rubare al massimo cinque minuti del suo tempo.
Propongo tre domande. Innanzi tutto, qual è l’argomento della relazione? In secondo luogo, perché la presentiamo? Infine, cosa vogliamo esattamente?
Per quanto riguarda la prima domanda sui contenuti della relazione, il documento concerne una strategia per la Dimensione settentrionale incentrata sull’area del Baltico. Lo ripeterò ancora, soprattutto per i finlandesi presenti. E’ una strategia incentrata sull’area del Baltico per la Dimensione settentrionale: lo scopo, quindi, è rafforzare questo concetto.
La nostra idea è che la Dimensione settentrionale si basi su tre splendidi pilastri. Uno di essi è quello da noi chiamato il pilastro Paavo Väyrynen, in altre parole l’Artico. Il secondo è quello che potremmo definire il pilastro Paasilinna, cioè la Russia, e il terzo il pilastro Beazley, ovverosia il Baltico e la strategia per l’area del Baltico. La relazione si concentra esclusivamente sulla strategia per l’area del Baltico.
Essa si pone tre obiettivi. Primo: sostenere la Dimensione settentrionale. Secondo: fare del Mar Baltico una priorità della Dimensione settentrionale; siamo fortemente convinti che questa dovrebbe essere l’area più importante della Dimensione settentrionale stessa. Terzo: far percepire il Mar Baltico come un’area di grande richiamo, come un concetto.
Perché presentiamo questa relazione e perché proprio ora? Il primo motivo, di ordine generico, è che in seguito all’allargamento del 2004 il Mar Baltico è diventato un mare interno, un mare nostrum. Esso è circondato da otto Stati membri dell’UE, un paese terzo – la Russia – e, ovviamente, Kaliningrad. Fondamentalmente, però, si tratta di un mare dell’UE.
Abbiamo una meravigliosa finestra di opportunità, per un duplice motivo. Il primo è legato alla Presidenza finlandese, che ci offre la possibilità di procedere sulla questione; il secondo è il Vertice UE-Russia previsto per il 24 novembre. Per questo motivo volevamo far approvare il documento il più rapidamente possibile.
Per chi non ha mai visto il Mar Baltico, ricordo che quand’ero bambino in molti punti se ne poteva vedere il fondale. La profondità media è 58 metri. Stando sul molo si riusciva a vedere il fondo. Era trasparente, si vedevano le alghe, era un bellissimo posto per nuotare. Per chi vi è stato di recente, adesso è di color verde sporco. Verde sporco! E’ una vergogna. E’ veramente in cattivo stato. I livelli di ossigeno sono molto bassi, e non si vede praticamente nulla. E’ giunto il momento di reagire.
58 metri di profondità media! Una goccia d’acqua impiega 30 anni per entrare e poi uscire dal Mar Baltico, che quindi ha una circolazione molto lenta. Probabilmente le persone provenienti dal Mediterraneo hanno un’idea totalmente diversa dell’acqua: vedono il Mediterraneo trasparente, blu, meraviglioso. Noi invece vediamo un mare verde e sporco. Dobbiamo fare qualcosa.
Questo documento tratta anche di economia, di cultura e di sicurezza.
Terzo e ultimo punto: cosa vogliamo? Potremmo riassumere la relazione utilizzando un’analogia religiosa, dicendo che vogliamo i dieci comandamenti del Mar Baltico. Il primo comandamento è diretto al Commissario Wallström e ai suoi colleghi: vogliamo che la Commissione prenda un’iniziativa sulla strategia per l’area del Baltico. Sarebbe meraviglioso se la Commissione lo facesse, in un modo o nell’altro.
Il secondo comandamento riguarda l’organizzazione di un incontro al vertice prima di ogni Consiglio europeo, in cui i capi di Stato e di governo della regione del Mar Baltico, Germania compresa, si riuniscano e discutano le rispettive posizioni.
Il terzo – punto che ha riscosso il sostegno della stragrande maggioranza delle persone della regione, tranne alcuni che non sono d’accordo – è che vogliamo una specifica linea di bilancio. Si può pensare che il mondo giri attorno ai soldi, ma se si vuole essere dotati di una vera e propria strategia per l’area del Baltico si devono avere politiche, e per le politiche occorrono soldi. E’ molto semplice. Non stiamo dicendo che questa dovrebbe essere l’unica fonte: come nel caso della Dimensione settentrionale, ad esempio, l’assistenza potrebbe essere concessa dalla PEV.
Il quarto comandamento è la tutela ambientale, ad esempio l’idea della creazione di aree protette.
Il quinto riguarda un tema piuttosto attuale, cioè un mercato e una politica energetica specifiche per la regione. Ovviamente non citerò, in questa sede, il gasdotto tra Russia e Germania.
Il sesto comandamento concerne le infrastrutture. Dobbiamo adoperarci sugli aspetti legati alla rete idrica, aerea, ferroviaria e stradale per il buon funzionamento delle infrastrutture.
Settimo, vorremmo che nella regione fosse applicata la libertà di circolazione nelle sue quattro forme, ovverosia la libera circolazione dei capitali, delle persone, delle merci e dei servizi.
Ottavo, vorremmo avere un buon sistema di scambio tra centri di eccellenza, e quindi buoni scambi studenteschi.
Nono, e questo è il cavallo di battaglia dell’onorevole Lax, vorremo semplificare l’attraversamento dei confini. I finlandesi conoscono i problemi al riguardo.
Decimo, necessitiamo di una maggiore presenza di Europol.
Nel complesso, a livello concreto chiedo tre cose. Primo: un’iniziativa da parte della Commissione. Secondo: che la Presidenza finlandese proponga questo tema all’interno del pacchetto sulla Dimensione settentrionale in occasione del Vertice UE-Russia. Sono stati presentati quattro emendamenti. In qualità di relatore, nella lista di votazione voterò a favore di due emendamenti, quello presentato dai verdi e quello proposto dall’onorevole Jäätteenmäki del gruppo ALDE. Per quanto riguarda il terzo, che verte sulla regione artica, suggerisco una votazione per parti separate. Su una parte esprimerò sicuramente voto contrario, mentre sull’altra mi pronuncerò invece a favore. Sull’ultimo emendamento, presentato dall’onorevole Väyrynen, che è contrario a una specifica linea di bilancio, voterò contro e chiederò alla maggioranza dei colleghi di fare altrettanto.
Ecco cos’è la strategia incentrata sull’area del Baltico, perché la adottiamo e cosa vogliamo.
(Applausi)
Presidente. – Questa Presidenza prende anche atto del suo disperato desiderio di una vacanza nel Mediterraneo. Chiederemo alla delegazione italiana di invitarla.
Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, questa settimana la tornata del Parlamento europeo discute molte temi inerenti al mare, come fa ora con la strategia incentrata sull’area del Baltico. La Presidenza è lieta che si discutano tematiche regionali all’interno di una più ampia discussione. Lunedì si è tenuto un dibattito sulla direttiva UE sulla strategia per l’ambiente marino, anch’essa parte integrante della politica marittima comunitaria in fase di redazione. La conferenza parlamentare sulla Dimensione settentrionale prevista per la prossima primavera è un esempio positivo dell’interesse mostrato dal Parlamento per le questioni nordiche.
I problemi del Mar Baltico si ripercuotono in maniera molto diretta sia sugli otto Stati membri dell’Unione che costeggiano il Baltico sia sulla Russia. Anche la Norvegia e l’Islanda partecipano alla cooperazione nel Mar Baltico in qualità di membri del Consiglio degli Stati del Mar Baltico. Questo mare, un’importante via di navigazione, è fondamentale per tutti i paesi dell’UE.
Una cooperazione orizzontale di ampia portata si rivela quindi necessaria sia all’interno dell’Unione sia tra UE, Russia e altri partner in settori quali ambiente, energia, traffico, formazione, giustizia e affari interni e questioni sanitarie. Anche la politica marittima comune dell’Unione, in fase di stesura, servirà a rafforzare tale cooperazione. Per raggiungere risultati concreti, sarà necessario utilizzare con maggiore efficacia i programmi di finanziamento interni e gli strumenti delle relazioni esterne dell’Unione. Inoltre, dovranno nascere opportunità di cooperazione transfrontaliera che, tra l’altro, viene sostenuta dal nuovo strumento di vicinato e partenariato.
L’intervento del relatore fa riferimento alla Dimensione settentrionale e propone che la strategia per l’area del Baltico ne sia parte integrante. Tuttavia, la Dimensione settentrionale è anche una componente della politica delle relazioni esterne dell’UE: verte sui settori operativi dei quattro spazi comuni adottati dall’UE e dalla Russia, nonché su tematiche ambientali, sociali e sanitarie. Il Mar Baltico è una delle aree su cui punta la Dimensione settentrionale oltre a Russia nordoccidentale, Kaliningrad e regioni artiche.
Uno degli obiettivi della Presidenza finlandese è rivedere la politica prevista dalla Dimensione settentrionale in base alle decisioni adottate in occasione della riunione ministeriale della Dimensione settentrionale tenutasi lo scorso anno a novembre. Il nuovo documento programmatico per la Dimensione settentrionale è stato negoziato quest’anno tra UE, Russia, Norvegia e Islanda. Esso, insieme alla dichiarazione politica di riferimento, saranno adottati venerdì della prossima settimana a Helsinki. A nostro avviso, la nuova politica concordata consoliderà l’impegno dei partner nella Dimensione settentrionale, costituendo una solida base su cui sviluppare una concreta collaborazione nella regione del Baltico. Auspichiamo, inoltre, che una Dimensione settentrionale rafforzata aiuti a chiarire le attività e la divisione delle competenze all’interno della rete eterogenea di cooperazione tra regioni baltiche e artiche.
La situazione ecologica del Mar Baltico è preoccupante e richiede urgenti misure in linea con i principi dello sviluppo sostenibile. L’Unione europea, i singoli paesi e le istituzioni finanziarie internazionali hanno unito le proprie risorse nel quadro di un partenariato ambientale in seno alla Dimensione settentrionale. Numerosi governi, organizzazioni – in particolare la HELCOM (commissione di Helsinki) – e altri attori si stanno adoperando per salvare l’ambiente marino del Mar Baltico. I progetti di partenariato ambientale della Dimensione settentrionale si concentrano principalmente sulla Russia nordoccidentale, ma dei loro effetti beneficiano tutti i paesi della regione. Di conseguenza il Mar Baltico è già, fortunatamente, un’area cruciale per la Dimensione settentrionale.
Un futuro strumento chiave per migliorare la situazione di tutti i mari europei, Baltico compreso, sarà la direttiva UE sulla strategia per l’ambiente marino, il cui obiettivo finale è il raggiungimento di un “buono stato ecologico” entro il 2021. Si tratta di un obiettivo ambizioso, e occorre subito adoperarsi per conseguirlo. La Presidenza finlandese cercherà di raggiungere un consenso politico sulla direttiva nel Consiglio di dicembre.
Anche il partenariato in materia di salute e benessere sociale si inserisce nel quadro della Dimensione settentrionale, ed è volto a prevenire le malattie contagiose o causate dallo stile di vita e a ridurre i problemi sociali. Inoltre, si segnala la nascita di una nuova forma di partenariato per i trasporti e la logistica. L’importanza che comunicazioni di trasporto efficaci e una logistica efficiente rivestono per la crescita economica e la competitività è più evidente che mai nel caso di economie interdipendenti.
Proprio in questo momento, la Commissione europea sta elaborando una nuova politica marittima europea di ampia portata che tiene conto dei valori economici, politici e ambientali dei mari e delle zone costiere d’Europa. Il Mar Baltico è un’area marina importante per l’Europa, e i suoi problemi specifici meritano particolare attenzione. Lo stesso dicasi per lo sviluppo di una politica marittima dell’UE; il dibattito di questa sera è sicuramente finalizzato a questo obiettivo.
La politica marittima dell’UE sarà una buona opportunità di collaborazione per gli Stati membri. La cooperazione è necessaria, perché le caratteristiche specifiche delle regioni artiche e settentrionali e lo sfruttamento del potenziale della regione richiederanno progetti di ricerca congiunti e sviluppo tecnologico da parte degli Stati membri dell’UE. In collaborazione con i paesi terzi tipici della regione, si fa ora ricorso ad accordi internazionali e organizzazioni esistenti. Le molteplici sfide presenti nell’area del Mar Baltico, quali la conservazione marina, la sicurezza in mare, la pesca, l’uso sostenibile delle coste e lo sviluppo del settore marittimo della regione richiedono una cooperazione efficace, di tipo orizzontale. La zona del Mar Baltico è un’ottima opportunità per testare la politica marittima dell’UE in fase di stesura, allargandone i benefici a tutta l’Unione.
La questione del Mar Baltico è importante ed è un segnale positivo che Unione europea e Parlamento le stiano prestando grande attenzione. Vorrei solo dire che alcune idee del relatore, quei dieci comandamenti, sono già realtà. E’ positivo e di vitale importanza per la questione baltica che tutti i paesi della regione siano coinvolti nel programma di cooperazione, e che si impegnino concretamente a risolvere i problemi comuni. Dobbiamo mirare a questo tipo di impegno comune per garantire la cooperazione sul Mar Baltico.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, la Commissione ringrazia l’onorevole Stubb per la relazione stilata ed è lieta dell’opportunità di questo dibattito. L’impegno e la determinazione del relatore sono evidenti. Il Mar Baltico è estremamente importante per l’Unione europea, poiché otto dei nove paesi che vi si affacciano sono Stati membri dell’UE. E’ un punto d’incontro tra Unione europea e Russia. Proprio per questo il nuovo documento programmatico per la politica della Dimensione settentrionale, che sarà adottato più avanti nel corso del mese, considererà il Mar Baltico, il Mare di Barents, Kaliningrad e l’Artico come aree prioritarie.
La nuova politica della Dimensione settentrionale sarà, nel nord, l’espressione regionale degli spazi comuni UE-Russia e vedrà la piena partecipazione della Norvegia e dell’Islanda. La Dimensione settentrionale, inoltre, avrà priorità specifiche: la salute, il benessere sociale, la tutela delle popolazioni autoctone dell’Alto nord e una particolare attenzione per l’ambiente e la cultura.
Una nuova politica comune della Dimensione settentrionale implica che tutti i partner saranno uniti da uno stesso obiettivo: garantirne la riuscita. Il cofinanziamento, quindi, sarà la prassi normale, soprattutto in presenza di una Federazione russa sempre più prospera.
La Dimensione settentrionale non deve essere finalizzata solo ai progetti, bensì garantire un dialogo politico continuo sulle molteplici sfide e opportunità. I quattro consigli regionali del nord – il Consiglio degli Stati del Mar Baltico, il Consiglio euro-artico di Barents, il Consiglio nordico e il Consiglio artico – sono attori importanti di questo dialogo.
La Commissione è grata per l’interesse che il Parlamento ha dimostrato nei confronti di questa politica e, in particolare, per la risoluzione del 16 novembre 2005, antecedente la riunione ministeriale della Dimensione settentrionale. La Commissione, inoltre, plaude all’iniziativa del Parlamento di indire la prima conferenza del foro parlamentare della Dimensione settentrionale all’inizio del prossimo anno.
Per quanto riguarda la strategia incentrata sull’area del Baltico nella Dimensione settentrionale, oggetto del dibattito odierno, la Commissione terrà conto di questa relazione parlamentare nelle discussioni che si terranno in occasione dell’evento organizzato dalla Dimensione settentrionale, che vedrà l’adozione della nuova politica e che si terrà subito dopo il prossimo Vertice UE-Russia a Helsinki alla presenza dei Primi Ministri norvegese e islandese.
La Dimensione settentrionale è una politica esterna dell’UE ma, ovviamente, è importante migliorare il rapporto di interdipendenza che sussiste tra politiche interne dell’UE e Dimensione settentrionale. Questo è il motivo per cui la Commissione conferisce priorità assoluta alla cooperazione transfrontaliera, uno dei valori aggiunti più importanti della Dimensione settentrionale. Si tratta, in effetti, di un settore in cui le politiche interne ed esterne necessariamente si uniscono.
Ora il Mar Baltico è una priorità della Dimensione settentrionale poiché siamo preoccupati per l’ambiente fragile e il crescente traffico che lo attraversa, come giustamente evidenziato nella relazione. Esistono altre minacce meno tangibili che gravano sui cittadini della regione del Mar Baltico quali la lotta al crimine organizzato, la tratta di esseri umani, le malattie trasmissibili e stili di vita nocivi alla salute. Tutto ciò richiede una stretta collaborazione con la Russia, ma anche con la Norvegia e l’Islanda. Esistono inoltre molte possibilità di cooperazione economica tra Mar Baltico e Russia. Sono tutti obiettivi importanti che saranno sviluppati in futuro, ai quali la Dimensione settentrionale può offrire un grande contributo. Ovviamente le politiche interne dell’UE, con i propri settori di competenza e strumenti specifici, apporteranno un importante contributo alla realizzazione di questi obiettivi negli Stati membri della regione del Mar Baltico, e meritano di essere discusse nei contesti adeguati.
La Commissione è impaziente di avvalersi della nuova politica della Dimensione settentrionale per dare valore aggiunto a uno spazio che abbraccia Russia, Norvegia e Islanda onde affrontare le molteplici sfide della parte settentrionale del nostro continente. In tale contesto, la Commissione accoglie favorevolmente la relazione del Parlamento e, sicuramente, si farà carico di divulgare l’importanza della regione del Mar Baltico. Personalmente, cercherò di integrare gli elementi importanti di questa relazione nell’attuazione della nuova politica comune della Dimensione settentrionale.
Giles Chichester (PPE-DE), relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. – (EN) Signor Presidente, desidero concentrarmi su tre punti evidenziati nel parere della mia commissione.
In primo luogo, sottolineo che riteniamo importante l’ulteriore utilizzo dell’energia eolica offshore nel Baltico e dimostrazioni di vari tipi di concetti di energia delle onde.
In secondo luogo, ribadisco l’importanza di sviluppare una maggiore cooperazione con la Russia. Desideriamo collaborare nel settore energetico al fine di garantire il rispetto dei principi di reciprocità e trasparenza e indurre la Russia a ratificare il trattato sulla Carta dell’energia e il Protocollo di transito. Siamo preoccupati per le forniture di gas russe dirette in Europa.
In terzo luogo, invitiamo tutti i paesi membri della Dimensione settentrionale a prendere coscienza dell’importanza di due programmi dell’UE che rientrano nelle competenze della nostra commissione, GALILEO e SESAR, perché riteniamo che l’impegno delle parti della Dimensione settentrionale in relazione a entrambi rafforzerebbe la crescita sostenibile e la competitività della regione.
Christopher Beazley, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) L’intervento che avevo preparato è stato brillantemente riassunto dall’onorevole Stubb, il relatore, e quindi mi limiterò a porre due domande.
In primo luogo mi rivolgerò al Ministro Lehtomäki: è d’accordo sul fatto che, come già evidenziato nel dibattito, le circostanze sono completamente diverse da quando la Finlandia aveva concepito la Dimensione settentrionale? In altre parole ora sono otto, e non quattro, gli Stati membri dell’UE che costeggiano il Mar Baltico, e non tutti considerano la Dimensione settentrionale alla stessa stregua. Il motivo per cui, ad esempio, il processo di abbellimento UE-Russia ha subito una battuta d’arresto è che, come sappiamo, la Polonia nutre alcune riserve sul rifiuto della Russia di ratificare la Carta dell’energia. Non è forse d’accordo che in seno al Consiglio dei ministri, nella fase di preparazione alle discussioni e ai negoziati della Dimensione settentrionale, sarebbe molto utile tenere prima un dibattito interno dell’UE con gli otto Stati membri della regione baltica?
In secondo luogo, sono molto riconoscente al Commissario Wallström per i commenti e per avere acconsentito a includere gran parte della relazione nel parere della Commissione sull’evoluzione e lo sviluppo futuri della Dimensione settentrionale. In realtà, però, ha dimenticato di parlare del bilancio. Non mi sembra che il Parlamento debba comportarsi con umiltà, mendicando assistenza. Dopo tutto, siamo un ramo dell’autorità di bilancio dell’UE; mi sembra quindi logico che, se questo deve essere un elemento importante, esistano meccanismi e sistemi per cui, come in altre parti dell’UE – EuroMed ad esempio –, si possa disporre di una dotazione di bilancio specifica. Dovremmo riflettere seriamente su questo punto, anziché sorvolare sulla questione.
La mia ultima osservazione è nuovamente rivolta al Commissario Wallström e riguarda la comunicazione, che è il suo mandato. Sembra che questa esperienza possa lanciare un vero messaggio di affermazione e successo ai cittadini dell’UE, mostrando che una regione completamente dissestata dalla guerra fredda è ora in grado di ripristinare una certa armonia, prosperità e stabilità. Sono quindi convinto che questo dibattito debba essere reso noto all’opinione pubblica, in modo da divulgare quello che è un vero successo dell’UE.
(Applausi)
Justas Vincas Paleckis, a nome del gruppo PSE. – (LT) La strategia sul Mar Baltico per la Dimensione settentrionale è indubbiamente un documento di grande importanza. Essa riflette i meriti del relatore, onorevole Stubb, e di tutto l’Intergruppo baltico che vi si sono dedicati con grande impegno.
La burrasca della guerra fredda ha causato più danni alla costa baltica di quanti non ne abbia causati ad altre coste a livello politico, economico ed ecologico. Lo vediamo anche ora, quando il Mar Baltico sta diventando un mare interno dell’UE. La costa russa che vi si affaccia offre un’ottima opportunità di collaborare con questo paese.
La regione, con una popolazione di 85 milioni di persone, è una delle aree economicamente e socialmente più forti dell’UE; il modello di Stato assistenziale è applicato a molti settori. Tuttavia, le differenze nel tenore di vita di questi paesi sono sconvolgenti e, in alcuni luoghi, l’aumento dell’esclusione sociale è allarmante. Questa strategia dovrebbe permettere di superare tali tendenze.
E’ stata rivolta particolare attenzione alla tutela ambientale, all’economia e ai trasporti. I tre elementi di questa triade dipendono fortemente dall’energia e dalla sicurezza energetica, che viene violata quando uno qualsiasi dei paesi ha un potenziale enorme o nutre ambizioni eccessive. I paesi della regione, quindi, necessitano di un mercato comune dell’energia. Occorre prestare ancora più attenzione a un impiego efficace dell’energia e alle fonti energetiche rinnovabili. Un dibattito sull’energia nucleare e azioni mirate sono inevitabili. All’inizio di dicembre un ponte energetico collegherà l’Estonia alla Finlandia, e dovrà essere rafforzato con ponti simili tra Lituania e Svezia e Lituania e Polonia. La strategia richiede collegamenti più solidi e rapidi di autostrade, ferrovie e vie fluviali nell’Europa centrale e settentrionale. La Polonia si trova proprio al crocevia: se Varsavia non dedicherà maggiore attenzione a questi progetti, essi rimarranno a lungo sulla carta.
Il Mar Baltico ha profondità limitata ed è molto fragile dal punto di vista ecologico. Ogni anno si registrano più di 60 incidenti di petroliere e 400 fuoriuscite illegali di petrolio. Il mare riceve le acque reflue non trattate di una popolazione di oltre un milione di persone che vive sulla costa. E’ necessario, quindi, istituire ed estendere zone di tutela della costa e applicare norme di protezione ambientale più restrittive rispetto a quelle attualmente previste nelle direttive UE.
L’Unione europea non vuole limitarsi ad avere un partner serio nella regione di Kaliningrad della Federazione russa: vuole avere anche un partner affidabile. Georgiy Boos, governatore della regione, considera Kaliningrad come una finestra russa sull’Europa e una finestra europea sulla Russia. Vorremmo che questa finestra si spalancasse a nuovi venti di cooperazione. Una sua maggiore apertura, o il processo contrario, chiarirebbero la direzione verso cui si sta muovendo la Russia.
La proposta di stanziare una linea di bilancio specifica per il finanziamento di questa strategia dimostrerebbe l’affinità e l’innovazione della regione baltica. Sono convinto del suo valore perché essa può e deve diventare un laboratorio di nuove idee, progetti e innovazioni che, su più ampia scala, rivestono la stessa importanza.
(Applausi)
Paavo Väyrynen, a nome del gruppo ALDE. – (FI) Signor Presidente, la Dimensione settentrionale si consolida in maniera soddisfacente. Lo scorso anno abbiamo presentato al Parlamento europeo un’iniziativa per la strategia sul Mar Baltico realizzata nel quadro della Dimensione settentrionale; ora abbiamo una relazione ad hoc. Essa riguarda, da una parte, la cooperazione tra UE e Stati membri e, dall’altra, la cooperazione con la Russia. La Commissione e il Consiglio hanno negoziato accordi con Russia, Norvegia e Islanda in base ai quali la Dimensione settentrionale della politica comunitaria sulle relazioni esterne sarà una politica comune a questi paesi e all’Unione. Tali accordi devono essere firmati alla fine di novembre a Helsinki.
La Commissione deve redigere al più presto una proposta di strategia incentrata sul Mar Baltico, come richiesto dal Parlamento, che deve riguardare tutti i settori politici, la politica interna e quella esterna. La sua messa a punto e attuazione richiederanno il contributo di tutte le Direzioni generali della Commissione, e la strategia dovrà essere finanziata da tutte le relative linee di bilancio.
Il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa non crede sia saggio disporre di una linea di bilancio separata per la strategia sul Mar Baltico. In questo momento stiamo accumulando fondi di bilancio per le regioni confinanti con il nuovo strumento europeo di vicinato e partenariato. Un’eventuale suddivisione in nuove linee di bilancio non sarà di alcuna utilità, né aumenterà i fondi per la regione del Baltico: al contrario, probabilmente avrà l’effetto opposto. Certo, quella di cui ha spesso parlato l’onorevole Stubb è un’idea allettante, ma noi dobbiamo considerare le cose dal punto di vista della sostanza, e non dell’apparenza.
Il prossimo passo potrebbe essere la redazione, da parte del Parlamento europeo, di una nuova relazione completa sulla Dimensione settentrionale che tenga conto, da una parte, di questa relazione sul Mar Baltico e, dall’altra, degli accordi conclusi con i paesi confinanti, ovvero la Russia, la Norvegia e l’Islanda. Infine, desidero ringraziare l’onorevole Stubb per l’ottima collaborazione prestata nella stesura della presente relazione.
PRESIDENZA DELL’ON. McMILLAN-SCOTT Vicepresidente
Inese Vaidere, a nome del gruppo UEN. – (LV) Onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Stubb per l’eccellente relazione. L’allargamento dell’Unione europea agli Stati baltici ha creato l’obiettiva esigenza di rivedere lo strumento della Dimensione settentrionale. L’adesione dei nuovi Stati membri offre opportunità senza precedenti. L’area del Mar Baltico può diventare la regione più dinamica e competitiva al mondo, e apportare enormi benefici all’economia di tutta l’Unione europea traducendo in realtà la strategia di Lisbona. La Dimensione settentrionale deve diventare uno strumento permanente, dando priorità alla regione del Mar Baltico. E’ molto importante rafforzarne il pilastro interno. Creando un mercato comune dell’energia e promovendo l’uso di fonti di energia rinnovabile e progetti di efficienza energetica, gli Stati della regione avranno la possibilità di ridurre la propria dipendenza energetica dalla Russia. Nella messa a punto di nuovi progetti nel settore energetico è molto importante coinvolgere tutti gli Stati membri dell’Unione europea interessati ed effettuare una valutazione internazionale di impatto ambientale per evitare il ripetersi della situazione cui stiamo assistendo, con l’eventuale costruzione del gasdotto nordeuropeo. Lo sviluppo della cooperazione con la Russia è tra i mandati importanti della Dimensione settentrionale. Gli Stati baltici intrattengono relazioni di lunga data con questo paese e possono ottenere buoni risultati dall’esperienza acquisita. Al momento la Russia – che, a livello di risorse, è uno dei paesi più ricchi al mondo – sta stranamente ancora ricevendo assistenza a titolo di vari programmi dell’Unione europea. Il principio di parità e cooperazione deve sostituire questo approccio. La Dimensione settentrionale deve essere dotata di una base finanziaria stabile per potere svolgere il proprio mandato. In merito a questo punto abbiamo un parere diverso dal precedente oratore, e crediamo sia necessaria una linea di bilancio separata per integrare le risorse esistenti con diverse fonti. Ciò consentirebbe di sviluppare progetti di infrastrutture estremamente necessari, come il Rail Baltica, un’autostrada del Baltico, e altri.
Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE). – (LT) Il Mar Baltico, come è già stato ricordato oggi, è il mare interno dell’Unione europea su cui si affacciano nove paesi, otto dei quali Stati membri dell’UE e il nono rappresentato dalla Russia, specificatamente dalle regioni di Kaliningrad e di San Pietroburgo. Un terzo della popolazione UE vive in questi otto Stati membri e, per un terzo, contribuisce al prodotto interno lordo dell’Unione europea. Sino a questo momento la Dimensione settentrionale è stata perlopiù mirata alle regioni russe; quindi, l’eventuale integrazione della strategia per il Mar Baltico arricchirebbe la Dimensione settentrionale di ulteriori contenuti specifici.
La regione del Mar Baltico è più competitiva di altre tre regioni dell’UE: l’Europa centrale, le isole britanniche e la penisola iberica. Negli ultimi anni, essa ha primeggiato rispetto ad altre regioni europee per indicatori quali il benessere, la crescita della produttività e l’innovazione scientifica. I principali vantaggi di quest’area sono la presenza di buone infrastrutture, di una forza lavoro qualificata, di una corruzione limitata e di un forte settore della ricerca. Occorre sottolineare, tuttavia, la scarsa applicazione del potenziale competitivo della regione: nessun paese è dotato di un mercato abbastanza grande per sviluppare la competitività necessaria. La soluzione è quindi chiara: potenziare l’integrazione della regione.
Il Parlamento europeo deve approvare un articolo della nostra risoluzione che suggerisce di (cito): “per conseguire l’obiettivo della trasparenza e della coerenza (…), istituire una specifica linea di bilancio relativa alla strategia per il Mar Baltico, possibilmente a titolo dello strumento di vicinato e partenariato, che consenta di integrare l’attuale finanziamento della Dimensione settentrionale” (fine della citazione).
I timori in merito a un eventuale rifiuto della Commissione europea di portare avanti questa idea sono infondati. E’ molto più importante convincere gli Stati membri dell’UE, soprattutto quelli non appartenenti alla regione, a sostenere questa strategia, poiché la maggiore integrazione della regione offre all’UE la possibilità non solo di diventare più dinamica e competitiva, ma anche di risolvere altre questioni comunitarie come la sicurezza energetica, la politica comune dell’energia e il miglioramento delle relazioni con la Russia.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signor Presidente, la risoluzione del Parlamento europeo sostiene la politica della Dimensione settentrionale e definisce la regione del Mare del Nord un’area prioritaria. Con l’allargamento del 2004 il Mar Baltico è praticamente diventato un mare interno, il Mare Nostrum dell’Unione europea.
La regione baltica può diventare l’esempio della regione economica più dinamica dell’UE, segno evidente dello sviluppo di un’economia europea basata sulla tecnologia d’avanguardia, un’economia moderna e competitiva su scala globale. In tale contesto, si segnala l’esigenza di proteggere l’ecosistema del Mar Baltico, che è estremamente vulnerabile vista la limitata profondità del fondale, la lenta circolazione dell’acqua e gli alti livelli di inquinamento.
Promuovere l’innovazione nel settore della ricerca e discutere tematiche inerenti alla cultura e alla società civile sono obiettivi che meritano particolare attenzione.
Il Mar Baltico, che collega Unione europea, Russia, Norvegia e Islanda, deve diventare un esempio di zona di pace e sicurezza.
In particolare, sottolineo la possibilità di trasformare la regione di Kaliningrad in una regione pilota, dotata di un migliore accesso al mercato interno. Si tratta di un’opportunità discussa nei negoziati congiunti tra Russia e Unione europea.
La cooperazione nella regione del Mar Baltico potrebbe mostrare la giusta strada da seguire in questa parte del continente, e indicare la via verso una cooperazione con la Russia e altri paesi.
Diana Wallis (ALDE). – (EN) Signor Presidente, ovviamente ci congratuliamo con il relatore per il documento e gli interessanti spunti sollevati, ma non terrei fede al mio ruolo di presidente della delegazione parlamentare per le relazioni con l’Islanda e la Norvegia se non esprimessi un certo disappunto per la mancanza di una relazione o risoluzione che esprima tutta la portata della politica della Dimensione settentrionale. Me ne dispiace perché credo che, in questo modo, stiamo trascurando le grandi questioni geopolitiche che dobbiamo affrontare nell’Alto nord riguardanti il cambiamento climatico, l’approvvigionamento energetico e le risorse marine. Sono ovviamente temi di enorme interesse per il Baltico, che però interessano anche l’Artico e l’Alto nord. Se vogliamo che i paesi partner, la Norvegia e l’Islanda, si uniscano a noi, dobbiamo proiettarci verso l’esterno e non rimanere chiusi in noi stessi.
In passato, quando abbiamo discusso della questione, il Parlamento si è battuto per non limitare la Dimensione settentrionale a una politica ministeriale. Abbiamo lottato per ridarla in mano ai parlamentari, per rimetterla alla competenza dei deputati della regione. Spero saremo in grado di farlo durante l’incontro che prevediamo di tenere all’inizio del prossimo anno.
Vorrei ribadire che la Dimensione settentrionale non deve riguardare noi soli. Nell’anno in corso, la Commissione ha concluso un accordo molto importante con la Groenlandia. Può essere una cosa di poco conto, ma dimostra che la finestra dell’Artico è aperta e deve rimanere aperta, e che l’attività deve spingersi oltre i nostri confini. L’anno prossimo sarà l’Anno polare internazionale. Spero che guarderemo e terremo in considerazione l’Alto nord, e che il prossimo anno gli attribuiremo tutta l’importanza e l’attenzione che merita nell’ambito della politica della Dimensione settentrionale.
Hanna Foltyn-Kubicka (UEN). – (PL) Signor Presidente, desidero congratularmi con il relatore per avere preparato un buon documento sul futuro del Mar Baltico. Tuttavia, nel discutere le specifiche caratteristiche della regione, non dobbiamo dimenticare i fattori importanti che ne hanno plasmato il carattere, tra cui anche fattori storici come gli arsenali di armi chimiche che, dalla Seconda guerra mondiale, giacciono sul fondo del Mar Baltico.
Vi è inoltre il problema legato alla presenza di un ecosistema fragile, oltretutto minacciato da un crescente volume di trasporti marittimi e investimenti previsti, come la costruzione del gasdotto settentrionale che potrebbe scatenare un disastro ecologico. Prima di iniziare simili attività, è fondamentale svolgere un’attenta analisi dell’impatto che potrebbero avere sull’ambiente naturale. E’ altresì importante avviare una procedura di consultazione con le parti interessate ed essere pronti a cambiare le attività previste nel caso in cui abbiano un impatto negativo sull’ecosistema del Baltico.
Inoltre, nel costruire l’autostrada marina occorre tenere in considerazione i problemi ecologici e gli interessi nazionali della regione. Dobbiamo garantire pari accesso ai porti del Mar Baltico e ai benefici generati dall’autostrada. E’ altresì importante garantire una stretta collaborazione tra gli Stati membri nella costruzione delle reti energetiche, e la solidarietà tra gli stessi nei rapporti che intercorrono con la Russia. Attualmente la Polonia sta bloccando qualsiasi accordo con la Russia sino a quando questa non aprirà le porte ai nostri prodotti agricoli e alle nostre carni. L’Unione europea ha risposto dicendo che l’Occidente non ha intenzione di rimanere al freddo per via delle salsicce polacche. Ci ricordiamo dell’espressione “non vogliamo morire per Danzica”, e sappiamo tutti com’è finita in quella occasione.
(Applausi)
Vytautas Landsbergis (PPE-DE). – (LT) Signor Presidente, la relazione oggetto del dibattito è un passo importante per tutta l’Unione europea. Si sta profilando un cambiamento nel pensiero politico di questo nuovo secolo, che potremmo descrivere con il concetto di “scoperta del Baltico”.
Il Mar Baltico è costituito da acqua, coste e fondale, come gli altri mari. Le sue acque hanno profondità limitata e sono le più inquinate tra tutti i mari europei dell’Atlantico. In molti punti il fondo marino è già senza vita, e sarà colpa nostra se in Europa nascerà un nuovo Mar Morto. Questo processo è stato accelerato dal gran numero di armi chimiche tedesche affondate qui alla fine della Seconda guerra mondiale, tra cui bombe e palle di cannone contenenti diossina, gas mostarda e altri “souvenir” che, dopo 60 anni di corrosione, iniziano a diventare un pericolo. Ciò potrebbe scatenare una spaventosa catastrofe, sia per le acque sia per la costa. Quest’ultima rappresenta una grande attrattiva per le sue spiagge di sabbia bianca e pinete; la penisola dei Curi rientra nella lista del patrimonio culturale mondiale dell’UNESCO. La sua bellezza è stata creata dalla natura e dall’uomo: ora l’uomo potrebbe distruggerla e la natura non è grado di difenderla. La costa orientale del Mar Baltico è abitata da antiche nazioni che non intendono piegarsi alle catastrofi ecologiche causate dal capitalismo postsovietico.
Oggi, visto l’esito dell’accordo russo-tedesco sul cosiddetto gasdotto settentrionale, non mi limiterò ad additare la responsabilità di Gazprom, ma anche quella del governo tedesco nel caso in cui la sua costruzione abbia effetti sui depositi di veleno mortale che giacciono sul fondo del Mar Baltico.
L’Unione europea, che ha patrocinato il finanziamento del gasdotto senza alcun accertamento o garanzia, dovrebbe assumersi ancora più responsabilità per i molteplici effetti negativi di questo presunto “buon affare”, ovverosia responsabilità per le conseguenze della discriminazione economica e della disintegrazione politica dell’Europa, e per gli effetti ecologici e demografici derivanti da eventuali calamità.
E’ un bene adottare questo primo documento europeo sulla strategia per il Baltico, ed è positivo che stiamo iniziando a capire le nostre responsabilità.
Andres Tarand (PSE). – (ET) Nel gennaio 1990, il Primo Ministro finlandese Kalevi Sorsa aveva organizzato una conferenza parlamentare sul Mar Baltico per sviluppare nuovi orientamenti di cooperazione regionale in virtù della nuova situazione politica. Purtroppo, i rappresentanti degli Stati baltici furono costretti a compromettere il buon esito della conferenza a causa del già chiaro atteggiamento malevolo della Russia che, alcuni giorni dopo, trovò espressione concreta nell’attacco alla torre della televisione di Vilnius. Allora usammo la tribuna politica per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale su questo pericolo, e altri obiettivi passarono in secondo piano.
Ciononostante, presentammo un piano strategico a nome del partito dei Verdi. Rileggendolo ho notato che, nonostante i radicali cambiamenti politici intercorsi, esso non ha migliorato la tutela ambientale del Mar Baltico. Una delle nostre raccomandazioni era porre fine al trasporto di petrolio sul Mar Baltico il cui volume, invece, è triplicato.
Ieri il quotidiano russo Независимая газета (Giornale indipendente) ha pubblicato un articolo sul gasdotto del Mar Baltico. L’articolo afferma che ora verrà presentata una proposta agli Stati del Mar Baltico per la realizzazione degli studi ecologici necessari. E’ un’ottima iniziativa ma, purtroppo, le priorità seguite sono sbagliate. Prima di tutto è stata prestata attenzione alle condizioni politiche, poi a quelle economiche e, solo in un terzo momento, a quelle ecologiche, come se fossero una sorta di ornamento. Anche la fine dell’articolo è degna di nota: gli oppositori del gasdotto prevedono di far naufragare l’intera operazione con l’ausilio di munizioni affondate durante la Seconda guerra mondiale. Apparentemente il sesto gasdotto di Urengoy ha fatto la stessa fine che, a quanto detto, è stato l’unico motivo del crollo dell’Unione Sovietica.
Vorrei far notare che tutte le condizioni erano favorevoli all’opportuna realizzazione di una valutazione ecologica nel Mar Baltico; oltre a ciò, vorrei segnalare la presenza dell’organizzazione HELCOM, attiva nel campo della tutela ambientale, e gli otto anni di cooperazione a livello accademico.
In breve, la nostra delegazione approva l’approccio adottato dall’onorevole Stubb e, in tal senso, gli esprime i più sinceri ringraziamenti. Inoltre riteniamo che, in conformità ai tre pilastri dell’onorevole Stubb, non ci sia bisogno di includere l’Artico nella strategia per il Mar Baltico. A nostro avviso, varrebbe la pena aprire – per il lavoro previsto sull’ecosistema del Mar Baltico e molti altri aspetti – una nuova linea di bilancio dell’Unione europea dedicata a questo mare, unico al mondo.
Henrik Lax (ALDE). – (SV) Signor Presidente, essendo anch’io tra i primi che hanno discusso e poi collaborato a fondare la rete dell’Intergruppo baltico in seno al Parlamento europeo, per due anni ho avuto il piacere di contribuire al lavoro che ora ha portato a questa relazione.
Quando l’UE si è allargata a dieci nuovi Stati membri, è stato possibile riunire le nazioni che si affacciano sul Mar Baltico. Ora, il cuore della regione può dare alla Dimensione settentrionale un contributo vitale. L’UE deve sfruttare il considerevole potenziale dell’area del Baltico. Più rapido sarà l’incremento della prosperità dei nuovi Stati membri, più forte sarà l’UE nelle relazioni con i paesi vicini. Per far questo, l’UE deve necessariamente attivare alcune misure. Abbiamo quindi bisogno di un programma pratico della Commissione in cui tutti i settori da essa amministrati svolgano il ruolo loro assegnato.
La soluzione di questioni importanti per l’intera Unione europea richiede una regione baltica forte. Grazie al contatto diretto tra le persone, dobbiamo abbattere le barriere psicologiche tra est e ovest. Abbiamo bisogno di una politica dei visti moderna e di una migliore cooperazione economica con la Russia. Dobbiamo risolvere le controversie sui confini nel Baltico, ripristinare l’equilibrio ecologico nel Mar Baltico, porre fine al boicottaggio russo sui generi alimentari polacchi ed eliminare le code di autocarri, lunghe sino a 30 miglia, ferme ai valichi di frontiera nella Finlandia orientale. L’UE è presente per risolvere problemi comuni. Il veto non deve essere l’unico modo per attirare l’attenzione su questioni importanti. Si rivela quindi necessaria una strategia comune dell’UE. E’ importante che la Commissione non perda tempo ad affrontare il problema, e la relazione dell’onorevole Stubb è una base eccellente da cui partire.
Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN). – (PL) Signor Presidente, il Mar Baltico, che oggi è praticamente un mare interno dell’Unione europea, è una questione prioritaria sia per l’economia della regione sia per l’Unione europea nel suo complesso.
Purtroppo, il Baltico è la zona con le acque marine più inquinate al mondo. Richiede quindi attenzione, ovverosia una strategia congiunta e una collaborazione coerente tra paesi dell’Unione europea e Russia per la sua attuazione.
E’ positivo, quindi, che al Vertice UE-Russia di Helsinki del 24 novembre si discuta un accordo su una nuova dichiarazione politica riguardante la Dimensione settentrionale e un documento programmatico strategico.
Nell’affrontare il problema del Mar Baltico bisogna ricordare che sulle sue coste vivono circa 85 milioni di persone e che è caratterizzato da una ricca biodiversità di flora e di fauna, tra cui molte specie già in via d’estinzione. Per secoli questo mare ha sfamato milioni di persone ed è stato un mezzo di sostentamento non solo per i pescatori e le loro famiglie, ma anche per le persone impegnate in altre attività. La gente di mare ha altresì creato una cultura propria, che dovremmo proteggere con la stessa cura con cui difendiamo l’ambiente, la bellezza del paesaggio e le ricchezze materiali.
Ecco perché, per noi, il gasdotto settentrionale previsto e i pericoli di inquinamento chimico e mobilitazione militare ad esso associati sono fonte di timore. Il Mar Baltico è un tesoro che abbiamo ereditato dai nostri antenati, insieme al dovere di tramandarlo, con i suoi valori, alle generazioni future.
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, mi permetta innanzi tutto di congratularmi con il relatore, l’amico Alexander Stubb, e il collega, onorevole Christopher Beazley, per il buon lavoro svolto in qualità di presidente dell’Intergruppo baltico.
Appoggio pienamente le parole dell’onorevole Diana Wallis sulla necessità di elevare il prestigio dell’UE nell’Europa settentrionale. La Dimensione settentrionale è una politica comunitaria di ampio respiro che gestisce le relazioni tra UE e zone nordoccidentali della Russia, tra cui le regioni di Kaliningrad, del Baltico e del Mar Artico. La Dimensione settentrionale è attuata nel quadro dell’accordo di partenariato e di cooperazione con la Russia. E’ concepita per operare con i paesi delle regioni settentrionali dell’Europa al fine di incrementare la prosperità, rafforzare la sicurezza e combattere con decisione pericoli quali l’inquinamento ambientale del Mar Baltico, i rischi nucleari come quelli posti dalla flotta sottomarina russa nella penisola di Kola, la criminalità transfrontaliera e la gestione delle risorse marine.
Otto Stati membri dell’UE – Danimarca, Germania, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia e Svezia – circondano il Mar Baltico, e il confine tra UE e Russia si è allungato di molto dopo l’allargamento. Tuttavia, le relazioni tra l’UE e la Russia non possono dipendere esclusivamente dalle relazioni tra gli Stati baltici e la Russia. Il nostro partenariato strategico e l’esigenza comune di garantire sicurezza energetica all’UE, nonché la cooperazione nella lotta al terrorismo e il bisogno di coinvolgere la Russia in settori quali la prevenzione della proliferazione nucleare da parte di paesi come l’Iran e la Corea del Nord, si spingono oltre le questioni regionali come quelle affrontate dalla Dimensione settentrionale.
Attualmente TACIS e INTERREG concedono assistenza finanziaria, ma presto la Russia entrerà a far parte dello strumento europeo di vicinato e partenariato, e l’UE dovrebbe essere dotata di una linea di bilancio specifica per la regione. I cambiamenti climatici ora rendono l’Artico più accessibile alle attività dell’uomo, come lo sfruttamento delle risorse naturali e una maggiore navigazione, ma l’Artico svolge anche un ruolo importante come segnale di avvertimento per cambiamenti climatici potenzialmente catastrofici su scala globale.
Ora abbiamo scoperto che le esportazioni russe di energia possono anche essere un’arma a livello politico, come abbiamo visto lo scorso anno in Ucraina e quest’anno con la Georgia. Ora circolano molte voci sull’intenzione della Russia di costituire un cartello del gas sulla falsariga dell’OPEC, al quale dobbiamo opporci a tutti i costi. Invito il Presidente Putin a trovare il modo di ratificare la Carta dell’energia dell’UE, cha darebbe a tutte le imprese comunitarie maggiore accesso al petrolio e al gas russo. L’UE, inoltre, deve investire di più in fonti di energia rinnovabile e a basse emissioni di carbonio, incoraggiando il più possibile il ricorso a diverse fonti di approvvigionamento.
Katrin Saks (PSE). – (ET) Signor Presidente, onorevoli colleghi, pur trattandosi di un mare comune gli abbiamo attribuito diversi nomi, e bisogna ammettere che non siamo ancora riusciti a considerarlo uno spazio comune, né abbiamo sfruttato tutte le sue possibilità. Per tale motivo accolgo con favore gli sforzi compiuti dall’onorevole Stubb e dal presidente Toomas Hendrik Ilves nella messa a punto di questa strategia.
Sotto l’egida della Dimensione settentrionale, la nostra strategia per questo lago comune potrebbe diventare ancor più grande. Sono convinta che in un mondo in via di globalizzazione e in un’Unione europea multiculturale e in fase di espansione tutti noi cerchiamo nuove identità, e il Mar Baltico potrebbe svolgere un ruolo importante in tal senso diventando una specie di simbolo. Nel corso della storia ci sono sempre stati legami tra i paesi che si affacciano sul mare, ma la cooperazione volta allo sviluppo della regione nel suo complesso porterebbe queste relazioni su un nuovo piano. Tutti noi ne trarremmo benefici. Lo stesso mare, che oggi è uno dei corpi d’acqua più inquinati, richiede un’azione comune.
Perché abbiamo bisogno di questa strategia? Un’area comune del Mar Baltico non nascerà da sola, né con singoli progetti; abbiamo bisogno di un’attività coordinata…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Anneli Jäätteenmäki (ALDE). – (FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero congratularmi con l’onorevole Stubb per l’eccellente relazione e ringraziarlo per l’ottima collaborazione prestata. Vorrei solo soffermarmi su un aspetto, l’emendamento che insieme all’onorevole Wallis ho presentato sull’istituzione di un ufficio locale nella zona del Mar Baltico.
Attualmente, la Banca europea per gli investimenti opera in 11 Stati membri dell’UE e in 6 paesi terzi della regione mediterranea e dell’Africa. Solo una filiale, quella in Polonia, si trova nella regione del Baltico e in un nuovo Stato membro. Al contrario, nell’Europa meridionale e nella regione del Mediterraneo vi sono in tutto otto filiali. Una succursale della BEI è stata aperta a Vienna la scorsa primavera, e sarà responsabile dei progetti nell’Europa centrorientale e nella regione dei Balcani. Tuttavia, non è competenza delle filiali essere responsabili dei progetti nei nuovi Stati membri, nei paesi nordici o nei paesi baltici.
Credo sia importante istituire un ufficio di questo tipo, responsabile di sovrintendere alle operazioni di finanziamento nella regione e di tradurre in realtà la strategia per il Mar Baltico. La presenza di questa filiale potrebbe altresì contribuire ai grandi progetti di finanziamento nel quadro dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione dell’UE nel corso di mandati successivi e, in tal modo, facilitare la cooperazione nella regione baltica promuovendo progetti di grande entità.
Bogdan Klich (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, la Dimensione settentrionale della politica estera dell’Unione europea non è solo una priorità della Presidenza finlandese. E’ anche un aspetto estremamente importante della politica estera polacca, e delle politiche estere di altri sette Stati membri dell’Unione europea che si affacciano sul Mar Baltico. Nell’ultimo decennio, il Baltico è diventato una regione che collabora in maniera pacifica con la Russia. Per mantenere questa situazione dobbiamo eliminare i pericoli oggi apparsi all’orizzonte. Oggi le minacce principali sono la crescente dipendenza dei paesi della regione dalle forniture russe di carburanti e tutti i problemi rimasti irrisolti nell’area di Kaliningrad.
Raccogliere queste sfide è un compito superiore alle forze dei singoli paesi e del nostro gruppo di otto paesi. E’ quindi di fondamentale importanza che esse diventino una priorità per l’intera Unione europea. Allo stato attuale il 24 per cento delle forniture di gas proviene dalla Russia, una percentuale che aumenterà in futuro. La possibilità, menzionata poco fa dall’onorevole Tannock, che la Russia crei un cartello del gas è ulteriore motivo di preoccupazione. Gli investimenti come il gasdotto baltico stanno aumentando la dipendenza dell’intera Unione europea dal suo vicino orientale, e causano pericolose tensioni politiche tra membri della stessa Unione.
Oggi, la regione di Kaliningrad continua a essere una bomba a orologeria. Non siamo solo preoccupati per il livello di mobilitazione militare nella zona, ma anche per la situazione sociale di Kaliningrad. Una forte percentuale della popolazione è infetta da AIDS, l’ambiente naturale è in degrado e la criminalità organizzata dilaga.
Di conseguenza, se l’Unione europea nel suo insieme non riuscirà a interessarsi a questi problemi, non vi sarà una politica comune per l’energia o per Kaliningrad. Senza una politica comune saremo tutti votati al fallimento.
Janusz Onyszkiewicz (ALDE). – (PL) Signor Presidente, vorrei soffermarmi sulla questione di Kaliningrad, perché in effetti rappresenta una grande sfida. Tutti noi avevamo sperato che Kaliningrad diventasse per la Russia quello che Hong Kong era per la Cina, invece temiamo che possa diventare quello che Puerto Rico è diventata per gli Stati Uniti.
A parte i pericoli menzionati dal precedente oratore, onorevole Klich, vorrei ricordare un altro problema irrisolto, ovvero il fatto che, a 15 anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine della guerra fredda, vi sono ancora enormi arsenali di armi a Kaliningrad, e nessuno sa perché. I dati sono noti perché la Russia, come firmatario della Convenzione sulla proibizione o restrizione dell’uso di certe armi convenzionali, è costretta a rendere pubbliche queste cifre. Vi sono più carri armati a Kaliningrad che negli eserciti britannico e francese messi insieme. Perché sono là? Come ho detto, sono passati 15 anni dalla fine della guerra fredda.
Per tale motivo bisogna chiaramente cercare di risolvere questa serie di problemi insieme alla Russia, poiché l’intera regione baltica e il suo avvenire dipendono in gran parte dal futuro della regione di Kaliningrad. Probabilmente oggi è la zona più dinamica, e ha un enorme potenziale di ulteriore sviluppo economico.
Tunne Kelam (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, questa è un’iniziativa congiunta dei membri del nuovo Intergruppo baltico, brillantemente presieduto da Christopher Beazley, in base a cui l’onorevole Stubb ha redatto una relazione molto efficiente. Vorrei attirare la vostra attenzione sullo spirito su cui si fonda, che non è creare una regione separata, bensì aprire l’area del Baltico all’intera Europa, nell’interesse di tutti gli Stati membri dell’UE. La Dimensione settentrionale continuerà quindi a essere una forma di politica estera di cooperazione con la Russia, l’Islanda e la Norvegia. Tuttavia, sarà aggiunto come priorità un nuovo aspetto della cooperazione interna dell’UE molto importante, che potremmo definire il “pilastro Beazley”: questo perché dobbiamo sfruttare appieno il potenziale di cooperazione degli otto Stati membri che circondano il Mar Baltico.
Diversi studi dimostrano che l’indice di competitività della regione è uno dei più alti tra le regioni europee per crescita della prosperità e della produttività, innovazione scientifica, infrastrutture, manodopera qualificata e persino basso livello di corruzione. Dobbiamo quindi coordinare i nostri sforzi per sfruttare pienamente le quattro libertà fondamentali in questa regione, attribuendole così una nuova immagine come una delle zone più attraenti e in più rapido sviluppo dell’UE. Per tale motivo abbiamo anche bisogno di una linea di bilancio specifica, e questo sarebbe il nostro contributo allo sviluppo della strategia di Lisbona.
Per concludere, desidero ricordare alla Commissione il primo comandamento, ovvero che ora spetta a lei prendere l’iniziativa sulla base di questa relazione.
Margarita Starkevičiūtė (ALDE). – (LT) Signor Presidente, mi ero preparata un discorso completamente diverso, ma sono stata rapita dall’idea del Commissario sulla necessità di concentrarsi su temi legati al cattivo stile di vita nella regione del Baltico.
Per anni l’importanza geopolitica della regione è stata ignorata, eppure l’area del Baltico è un motore della modernizzazione che permette lo sviluppo dell’Europa settentrionale sino all’Artico. Questa regione – conoscendone la storia – ha reso possibile la modernizzazione della Russia. Grazie a questa regione la Finlandia ha acquistato forza; (è un peccato che il ministro finlandese non prenda parte a questo importante dibattito). Quindi, l’importanza della regione è stata costantemente sminuita. A mio avviso, la presente relazione offre l’occasione per ringraziare l’onorevole Stubb per gli sforzi volti a imprimere slancio alla regione baltica, che al momento è un motore della modernizzazione nell’Europa settentrionale e che, in questo caso, potrebbe persino essere un motore della modernizzazione per l’intera Unione europea.
Condivido inoltre l’idea esposta dall’onorevole Beazley secondo cui questo progetto ben si sposa con l’attività principale del Parlamento, ovvero avvicinare il processo decisionale alle persone. Spero che la Commissione si ricordi anche di questo.
Bogusław Sonik (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, credo che il Mar Baltico non dividerà, bensì unirà sempre più i paesi di questa regione grazie alla creazione e alla promozione di relazioni economiche, al rispetto dei loro diritti politici e alla conservazione del loro patrimonio naturale. Ciò, tuttavia, non sarà possibile se verranno promossi alcuni interessi economici alle spese di altri, senza il rispetto dei principi di cooperazione, solidarietà e responsabilità comuni basati su rapporti di buon vicinato. Esempio calzante è la costruzione del gasdotto settentrionale, qui ricordato a più riprese, un investimento deciso senza consultare i partner della regione baltica.
Dobbiamo chiederci quali sono i nostri scopi e le priorità nell’ambito di una maggiore cooperazione nel gruppo degli otto paesi del Baltico. Da una parte proclamiamo l’esigenza di proteggere l’ecosistema del Mar Baltico, dall’altra temiamo un dibattito onesto e aperto sulle questioni ambientali associate alla costruzione del gasdotto.
Vi ricordo che, lo scorso anno, 60 deputati di questa Assemblea hanno proposto di tenere un dibattito sugli aspetti ambientali legati alla costruzione del gasdotto. Il dibattito non ha mai avuto luogo; i presidenti non lo hanno incluso nell’ordine del giorno.
Desidero inoltre informare i rappresentanti di Consiglio e Commissione che la Russia sta ostacolando il libero passaggio sul Mar Baltico proibendo alle navi di attraversare lo stretto tra la laguna della Vistola e Kaliningrad. Ciò significa che il porto di Elblag, di recente ristrutturato grazie a fondi dell’Unione europea, sta morendo perché ha perso l’accesso al mare aperto.
Sembra sia stata data priorità agli interessi unilaterali della Russia, che ha una base dell’esercito nello stretto.
La strategia per il Baltico ha evidenziato tali pericoli e, per questo motivo, desidero ringraziare l’onorevole Stubb per la relazione. Il collega può contare sul nostro appoggio per gli scopi che intende raggiungere. Desidero inoltre ringraziare tutti i membri dell’Intergruppo baltico e il loro leader, Christopher Beazley, per l’impegno profuso.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, essendo nata nel nord della Svezia ho io stessa una Dimensione settentrionale, e quindi sono convinta che sarebbe stato più facile per la collega, Commissario Ferrero-Waldner, mantenere il sangue freddo in questo dibattito!
Ho ascoltato con molto piacere questa discussione sulla strategia per il Mar Baltico nonché l’intero dibattito sulla Dimensione settentrionale. In parte, la sfida consiste nel fare in modo che la strategia per il Mar Baltico includa tutti gli elementi importanti, non solo quelli connessi alla Dimensione settentrionale.
Confido che la nuova politica della Dimensione settentrionale, che in futuro sarà gestita congiuntamente da Unione europea, Russia, Norvegia e Islanda, andrà sostanzialmente a vantaggio della regione del Mar Baltico, perché nessuna delle sfide di questo mare può essere affrontata senza un vero coinvolgimento della Russia, proprio come nessuna delle sfide del Mare di Barents può essere affrontata senza Russia e Norvegia.
Permettetemi di soffermarmi solo su alcune delle questioni specifiche che sono state sollevate. Innanzi tutto, per quanto riguarda il Mar Baltico, le decisioni sugli investimenti devono ovviamente essere prese dagli investitori, ma la Commissione ha ritenuto molto importante effettuare le opportune valutazioni di impatto ambientale per l’attuazione del progetto, e non abbiamo privilegiato una strada rispetto all’altra.
In merito alla regione di Kaliningrad, essa ovviamente è stata un settore prioritario per la politica della Dimensione settentrionale e continuerà a esserlo. Oltretutto, è una zona di particolare interesse per le relazioni bilaterali con la Russia. Il regime di transito è stato applicato con successo ed è stato sensibilmente agevolato dall’enorme assistenza concessa dall’UE, su cui la Commissione prevede di presentare la relazione entro fine anno. Inoltre, benché il regime di transito sia una questione importante, non dobbiamo dimenticare che la ricetta del successo di Kaliningrad sarà il forte sviluppo economico della regione, sostenuto dall’UE nel pieno rispetto dei programmi russi per questo territorio. Una maggiore crescita economica di Kaliningrad tesa a ridurre il divario con i vicini paesi dell’UE contribuirebbe a eliminare le lunghe code al confine. Al tempo stesso, continueranno gli investimenti comunitari nelle infrastrutture transfrontaliere. Ecco come ci stiamo impegnando su questo punto molto importante.
Come dimostrato lo scorso anno dall’importantissima apertura dell’impianto di trattamento delle acque reflue a sudovest di San Pietroburgo, che ha avuto tangibili effetti benefici sulla qualità delle acque nel Golfo della Finlandia, la cooperazione e il finanziamento congiunto con la Federazione russa sono possibili, e si rivelano fruttuosi sia per i loro cittadini sia per i nostri. I prossimi grandi progetti di partenariato ambientale della Dimensione settentrionale nella regione di Kaliningrad si sposano con i progetti TACIS nel settore idrico attuati nella stessa zona, e confermano queste premesse. Inoltre, l’adesione alla Dimensione settentrionale dei nostri partner SEE, la Norvegia e l’Islanda, attribuisce un’impronta settentrionale paneuropea a questa politica, di cui dovremmo essere lieti.
Infine, vorrei aggiungere qualcosa a quanto affermato dall’onorevole Wallis. La partecipazione di Canada e Stati Uniti attribuisce alla Dimensione settentrionale anche un valore circumpolare e transatlantico che dovremmo mantenere.
Un’osservazione anche in materia di bilancio. La Commissione ritiene che la proposta contenuta nella relazione di costituire una linea di bilancio separata per la strategia del Mar Baltico comporta, in realtà, alcuni rischi: sarebbe contraria alla logica di semplificare gli strumenti finanziari esterni dell’UE. Lo strumento europeo di vicinato e partenariato sarebbe lo strumento naturale per accompagnare la realizzazione della politica della Dimensione settentrionale, ma anche altri strumenti finanziari potranno dare il loro contributo. Non possiamo permetterci di trascurare alcuna componente della Dimensione settentrionale, e dovremmo sfruttarne appieno il potenziale e le sinergie. Lo strumento europeo di vicinato e partenariato aprirà nuove opportunità, soprattutto nell’ambito della cooperazione transfrontaliera che, associata al maggiore contributo di una Russia più prospera e a una più ampia disponibilità di finanziamenti concessi alla zona dalla Banca europea degli investimenti, offrirà i giusti incentivi e migliorerà il benessere dei cittadini di tutta l’Europa settentrionale.
Presidente. Grazie, signora Commissario. Desidero ringraziare anche il relatore, l’onorevole Beazley e tutti gli oratori.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani.
Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)
Marianne Mikko (PSE). – (ET) Dieci anni senza revisione e rivalutazione sono troppo lunghi, anche per una strategia a lungo termine. L’iniziativa della Dimensione settentrionale ha ricevuto uno slancio e una direzione precisa durante l’ultima Presidenza della Finlandia. Ora, la Finlandia detiene nuovamente la Presidenza dell’UE.
Nel frattempo, la regione del Mar Baltico è diventata irriconoscibile. La Russia ora è abbastanza ricca da acquistare in blocco le infrastrutture per l’energia in tutta Europa. Il Cremlino ha riguadagnato fiducia in se stesso, è addirittura aggressivo. Gli Stati baltici sono diventati Stati membri dell’Unione europea, e il Mar Baltico è un nostro mare interno.
La regione del Mar Baltico adesso è la più competitiva al mondo, soprattutto grazie al successo dei paesi scandinavi. Per mantenere la propria posizione, è fondamentale che la regione funzioni come un tutt’uno in forma allargata.
La relazione del collega Alexander Stubb sottolinea la necessità di una strategia precisa per il Mar Baltico. L’attuazione della strategia presuppone un finanziamento e, di conseguenza, una linea di bilancio specifica per la strategia del Mar Baltico è inevitabile. Senza questa, l’intera strategia si ridurrebbe a una formula priva di contenuto.
L’aspetto finanziario della Dimensione settentrionale riguardava solo la concessione di aiuti alla Russia. I fondi dell’Unione europea sono riusciti a ridurre in maniera significativa il pericolo di inquinamento nucleare e convenzionale russo. E’ ora di andare avanti, di concentrarsi sull’armonizzazione dello sviluppo degli Stati baltici e dei paesi scandinavi.
La sicurezza interna, la salvaguardia dell’ambiente, i trasporti e le infrastrutture devono raggiungere i livelli scandinavi. I mercati relativamente piccoli degli Stati membri devono essere integrati. C’è molto da fare, e prima inizieremo migliori saranno i risultati che potremo raggiungere.
16. Attuazione della strategia europea in materia di sicurezza nel contesto della PESD (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0366/2006), presentata dall’onorevole Karl von Wogau a nome della commissione per gli affari esteri, sull’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza nell’ambito della PESD [2006/2033(INI)].
Karl von Wogau (PPE-DE), relatore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei iniziare puntualizzando, signor Presidente, che l’onorevole Dimitrakopoulos mi ha ceduto i suoi due minuti di parola, pertanto sono nella posizione privilegiata di poter parlare per oltre sette minuti.
Argomento del dibattito odierno è la strategia dell’Unione europea in materia di sicurezza, come proposta dall’Alto rappresentante e adottata dai capi di Stato e di governo il 12 settembre 2003, le linee fondamentali della quale non sono mai state così rilevanti come oggi; va tuttavia precisato che la situazione geopolitica è mutata in questi anni, e anche le nostre priorità devono cambiare. Per tale ragione, nella relazione chiediamo al Consiglio di presentare a quest’Assemblea, in ciascuna legislatura, una relazione sulla strategia europea in materia di sicurezza che possa poi essere dibattuta sia in questa sede sia presso i parlamenti nazionali. E’ la procedura applicata negli Stati Uniti, dove una relazione chiave come quella in oggetto viene presentata in ciascuna legislatura; di conseguenza un sistema simile potrebbe esserci utile per intensificare il dialogo transatlantico su tali questioni.
Dopo tutto, noi europei poniamo un’enfasi diversa rispetto agli americani sulla strategia per la sicurezza; privilegiamo un assetto globale multipolare, quello che Solana chiama multilateralismo efficace. Non riponiamo la nostra fiducia nelle coalizioni dei volonterosi, bensì nella Carta delle Nazioni Unite e nelle organizzazioni internazionali. Se vogliamo che tale strategia riscuota successo, dobbiamo sapere con chiarezza che ci riusciremo solamente se renderemo più efficienti le organizzazioni internazionali.
La relazione contiene inoltre una nuova definizione dell’Unione di sicurezza e di difesa, che rappresenta il prossimo passo che dovremmo compiere, e che è effettivamente auspicato dai cittadini dell’Unione europea; infatti, stando ai sondaggi, il 70 per cento di essi desidera che l’Unione disponga di poteri rispetto alla politica di sicurezza e di difesa e in merito alla loro sicurezza; è questo che vogliono i cittadini.
Ma che cos’è un’Unione di sicurezza e di difesa? Implica tutta una serie di elementi, quali ad esempio il ministro degli Esteri europeo previsto dal progetto di Costituzione. Proponiamo inoltre un viceministro degli Esteri, che si occuperebbe delle questioni legate alla difesa. Perché ci serve? Ricopro tuttora la carica di presidente della sottocommissione parlamentare per la sicurezza e la difesa, ma non ho un interlocutore sul fronte dell’esecutivo – e ciò è esemplificato dal fatto che i posti riservati al Consiglio stasera sono vuoti.
Ci serve un interlocutore nell’esecutivo con cui discutere tali questioni in evoluzione; di qui la nostra richiesta di un viceministro degli Esteri, nonché di un aspetto non contenuto nella relazione, ma a cui so che l’onorevole Brok è interessato, vale a dire un servizio diplomatico comune e un impegno di aiuto reciproco, come proposto nel progetto di Costituzione, ma già presente nel Trattato di Bruxelles, su cui si fonda l’Unione europea occidentale.
La mia proposta personale consisterebbe nel concentrarci su tale progetto a favore di un’Unione di sicurezza e di difesa, se vogliamo far ripartire il processo costituzionale; sono infatti certo che sia più facile persuadere le persone del loro desiderio di una politica unica per la sicurezza e la difesa che non spiegare loro ancora una volta che cosa sia una Costituzione.
La nostra esperienza passata ci insegna che chiarire in anticipo le nostre intenzioni e procedere poi a precisare le istituzioni e i cambiamenti istituzionali necessari è sempre stata garanzia di successo, per cui ritengo che sia ragionevole porre tale progetto al centro del processo costituzionale.
Oggi l’Unione europea dispone di truppe soggette al suo comando – prestano servizio in Bosnia-Erzegovina e in Congo. A decorrere dall’inizio del 2007, avremo a disposizione due unità chiamate col termine inglese di “battle groups” ogni sei mesi, che potranno essere dispiegate con pochissimo preavviso. L’Unione europea e la nostra Assemblea detengono una responsabilità particolare rispetto a tali soldati, che verranno inviati in Congo, in Bosnia-Erzegovina e altrove, vale a dire la responsabilità di non esporli a rischi non necessari, una situazione che per i soldati è un dato di fatto nel momento in cui le attrezzature o la struttura di leadership sono inadeguate; pertanto, alla luce di ciò, nella relazione formuliamo proposte per l’abolizione delle carenze nell’area della ricognizione – una situazione che ho potuto constatare più volte in Congo.
Benché l’Unione europea stia ancora conseguendo risultati inadeguati nel campo delle telecomunicazioni e dei trasporti via terra e via mare, occorre in primo luogo un controllo democratico efficace, che comporta necessariamente informazioni e consultazione, due voci ancora carenti. Non siamo adeguatamente informati sui piani del Consiglio; benché l’accordo interistituzionale menzioni la nostra consultazione, il Consiglio è estremamente esitante nell’applicarla.
Le questioni della sicurezza, della guerra e della pace, non devono essere lasciate ai generali, né soltanto all’esecutivo, perché occorre il controllo democratico dei parlamenti eletti dal popolo, vale a dire dei parlamenti nazionali e della nostra Assemblea.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) La Commissione accoglie con favore la esauriente relazione in oggetto, che dimostra l’importanza attribuita dal Parlamento europeo alla strategia europea in materia di sicurezza e più in generale al settore della sicurezza.
Come saprete, la Commissione non ricopre un ruolo di guida in tale settore, ma offriamo un contributo importante alla sicurezza in situazioni di crisi. Concordo con il relatore che dobbiamo agire sulla base di un concetto onnicomprensivo di sicurezza nell’ambiente odierno, e che vanno debitamente affrontati gli aspetti di sicurezza sia esterni sia interni. Occorre sfruttare tutti gli strumenti disponibili, che siano civili o militari, nelle mani degli Stati membri o dell’Unione, per conseguire i nostri obiettivi nella sfera della sicurezza. E, come precisato nella comunicazione della Commissione dello scorso giugno intitolata “L’Europa nel mondo”, dobbiamo incrementare la coerenza, l’efficacia e la visibilità mediante un approccio pragmatico e cooperativo. Vi assicuro che la Commissione continuerà a cooperare col Consiglio nel pieno rispetto delle nostre rispettive responsabilità istituzionali.
Mi confortano gli sforzi recenti intrapresi nell’Unione da Stati membri, Commissione e segreteria del Consiglio per collaborare più strettamente al fine di realizzare gli obiettivi della strategia europea in materia di sicurezza. Vorrei menzionare qualche esempio: lo sviluppo dei concetti di riforma del settore della sicurezza e di disarmo, smobilitazione e reinserimento, nonché le azioni concrete in Afghanistan e nella Repubblica democratica del Congo; la missione di assistenza alle frontiere a Rafah e in Moldova, e la missione in programma in Kosovo.
I nuovi strumenti introdotti nel contesto delle prospettive finanziarie 2007-2013 agevoleranno un miglior coordinamento. In particolare, lo strumento di stabilità, con il suo orientamento a breve e lungo termine, ci consentirà di reagire in maniera flessibile alle sfide imminenti, e risponderà in parte alle vostre esigenze di una maggiore supervisione parlamentare nel campo della sicurezza.
La Commissione si è dedicata attivamente allo sviluppo di politiche per fronteggiare le minacce principali alla sicurezza e promuovere un multilateralismo efficace. Il lavoro della Commissione si è concentrato tra le altre cose sulla politica di vicinato, sull’efficacia dell’assistenza allo sviluppo, sugli aiuti umanitari e sulla protezione civile. In base alle lezioni tratte dall’esperienza sinora acquisita, a breve formuleremo proposte per una PEV rafforzata. La relazione cita inoltre varie iniziative assunte dalla Commissione nei campi della risposta alle catastrofi e alle crisi, comprese le emergenze sanitarie.
La relazione esprime soddisfazione per il lavoro svolto dalla Commissione sulla creazione di un mercato europeo delle attrezzature di difesa e segnatamente approva le prossime iniziative sugli appalti della difesa e i trasferimenti intracomunitari. Siamo grati al Parlamento per il sostegno continuo in quest’area delicata. I progressi in tal senso rafforzeranno la competitività dell’industria europea e lo sviluppo di capacità militari e civili per le politiche comunitarie.
La Commissione è particolarmente riconoscente al Parlamento per l’appoggio concesso nel campo della ricerca sulla sicurezza e della politica spaziale, che costituiscono già priorità tematiche specifiche del settimo programma quadro. Concordiamo pienamente sull’importanza della ricerca per la competitività.
In tali aree, le Commissione sta collaborando a stretto contatto con l’Agenzia europea per la difesa al fine di assicurare complementarietà e sinergie per lo sviluppo di capacità e il rafforzamento della base industriale europea. La Commissione e l’Agenzia europea per la difesa insieme hanno un ruolo chiave da svolgere per passare da un approccio nazionale a uno europeo e nella convergenza tra le industrie della sicurezza e della difesa. Opereremo nel pieno rispetto dei limiti imposti dall’attuale assetto istituzionale e dalle posizioni politiche chiaramente espresse nell’ambito della ricerca a scopo civile e di difesa, rispettando il carattere civile del programma di ricerca europea in materia di sicurezza.
In conclusione, vorrei sottolineare che le relazioni del Parlamento sono graditissime, così come le riunioni congiunte della commissione per gli affari esteri e delle commissioni corrispondenti dei parlamenti nazionali, e le audizioni pubbliche. Fare periodicamente il punto della situazione può essere utile per guidare i nostri sforzi al fine di adeguare le nostre strategie a un ambiente che cambia. La Commissione contribuisce con piacere a tali dibattiti fornendo informazioni complete sulle proprie attività che rientrano negli sforzi comuni dell’UE.
Elmar Brok, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signora Vicepresidente, vorrei esprimere il mio enorme apprezzamento per la presenza della Vicepresidente, che testimonia l’importanza attribuita dalla Commissione alla politica in materia di sicurezza e di difesa, mentre l’assenza del Consiglio da un dibattito sull’argomento – se interpretata positivamente – potrebbe significare che la Presidenza finlandese, ora che la struttura a pilastri è stata messa da parte, sta progressivamente accettando il fatto che anche la politica di sicurezza e di difesa è diventata un argomento comunitario. Se non fosse per il fatto che concordo con tale interpretazione favorevole, mi sarei decisamente adirato per tale assenza.
La politica estera, di sicurezza e di difesa sta acquisendo sempre maggiore importanza, e vorrei ringraziare l’onorevole von Wogau per la relazione, nonché la sottocommissione per la sicurezza e la difesa per il lavoro svolto, che mette in luce l’effettiva importanza del campo in cui gli sviluppi ci stanno conducendo. Se si considerano gli sforzi intrapresi per assicurare le nostre forniture energetiche, la situazione in Iran, i cambiamenti che potrebbero verificarsi nella politica americana in Iraq e Afghanistan in seguito alle elezioni, il dibattito di oggi pomeriggio su Gaza, per non parlare di ciò che sta accadendo in Darfur e in altre regioni, dove alcuni acquistano materie prime e altri organizzano campagne per i diritti umani e grandi vertici a Pechino e Shanghai, non è difficile rendersi conto quanto tale questione acquisirà importanza in Europa, e per tale motivo è necessario compiere alcuni sforzi in tale direzione. Solo se noi europei acquisiremo maggiore credibilità in termini di capacità militare potremo convincere l’alleanza transatlantica ad affidarsi non soltanto alla potenza militare, bensì alla triplice combinazione di prevenzione, che ha la precedenza, gestione delle crisi civili e capacità militare. Conseguiremo tale obiettivo solamente grazie alla nostra posizione forte in seno a quello che si definisce l’Occidente, e per tale ragione dobbiamo rafforzare i nostri rapporti con la NATO.
Al posto di una molteplicità di operazioni singole gestite da quartieri generali nazionali, auspicherei un accordo politico che favorisse interventi sulla base di “Berlin plus”, in quanto ciò corrisponderebbe non soltanto a un approccio più comunitario, ma contemporaneamente significherebbe obiettivi comuni e cooperazione con la NATO.
Helmut Kuhne, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, vorrei esprimere brevemente l’opinione del gruppo socialista al Parlamento europeo su quanto è emerso dalla commissione.
Ci sono tre elementi che consideriamo importanti. Innanzi tutto, la necessità di rafforzare gli elementi diplomatici e civili della strategia di sicurezza. In secondo luogo, l’esigenza di evitare le trappole che potrebbero imporci una disciplina militare infondata; il testo non contiene concetti quali “attacco preventivo” o simili. In terzo luogo, gli strumenti e i requisiti istituzionali devono essere tenuti rigorosamente separati. Consideriamo tali punti alla stregua di progressi importanti, e siamo riusciti a portarli avanti grazie alla valida cooperazione con il relatore, per la quale sono grato. Da un punto di vista socialdemocratico, tuttavia, restano ancora in sospeso alcuni aspetti controversi.
Mano a mano che si avvicina il Natale, intravediamo il rischio di un progressivo allungamento della lista dei desideri nel campo degli appalti; dovremmo concentrarci sulle priorità che ci siamo già posti, quali il trasporto aereo, l’informazione e la comunicazione. E’ inutile aspirare a veicoli anfibi, a una flotta mediterranea e a portaerei, che ci distraggono dalle reali priorità in termini di strategia. Dobbiamo inoltre porci la domanda se questi ultimi esempi non appartengano a un contesto molto diverso dalla strategia di sicurezza.
D’altro canto – benché appoggeremo gran parte degli emendamenti che rendono più precisi i passaggi del documento riguardanti la diplomazia, la società civile e il disarmo – non riteniamo che la prevenzione delle crisi debba sempre e comunque comportare l’uso di mezzi esclusivamente non militari.
La realtà odierna è già cambiata, e il relatore l’ha ricordato. Abbiamo inviato truppe in Macedonia per prevenire lo scoppio di una guerra civile simile a quelle scatenatesi in altri Stati della ex Jugoslavia. In Congo non abbiamo utilizzato soltanto mezzi civili, abbiamo anche inviato un contingente di truppe per garantire elezioni pacifiche, e sono convinto che i nostri soldati potranno rientrare a casa alla fine del mese in corso.
Per concludere, vorrei ritornare sul punto sollevato dal relatore all’inizio del suo intervento e a ragione, vale a dire il fatto che l’analisi delle minacce e delle azioni intraprese nel quadro della strategia di sicurezza deve essere riesaminata periodicamente. Una volta adottata la relazione, dovremmo poi discutere di come la nostra Assemblea possa organizzare il processo in questione.
Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare sentitamente l’onorevole von Wogau per la sua eccellente relazione, che offre uno studio accurato e completo dell’attuale linea di pensiero della commissione per gli affari esteri e della sottocommissione per la sicurezza e la difesa. Vorrei inoltre ringraziarlo per gli sforzi profusi al fine di raggiungere il più ampio consenso possibile con gli altri gruppi politici. Benché ciò significhi chiaramente che il mio gruppo approverà la relazione, vorrei sottolineare due punti particolari.
Il primo punto riguarda la necessità di garantire un controllo parlamentare efficiente, a livello sia nazionale sia comunitario. L’UE, si è detto, è attualmente impegnata in un numero crescente di operazioni militari e civili in varie parti del mondo. Insisto sulla necessità che il Parlamento venga continuamente aggiornato, informato e consultato ogniqualvolta si esamini la possibilità di una nuova operazione. Fino ad ora, tutte le operazioni sono andate bene, ma è decisamente possibile che un giorno si verifichi un incidente di grande entità e che ci siano rimostranze diffuse per la mancata supervisione parlamentare.
In secondo luogo, è anche necessaria maggiore chiarezza sui rispettivi ruoli e responsabilità della Commissione, dell’Alto rappresentante, del Consiglio e degli Stati membri. Chi paga cosa viene deciso troppo spesso caso per caso, causando un ulteriore ostacolo alla supervisione. Le conseguenze potrebbero essere sovrapposizioni e sprechi e, peggio ancora, una vera e propria concorrenza tra gli inviati speciali del Consiglio e le delegazioni della Commissione, ad esempio. Sia il Consiglio sia la Commissione lo negheranno, è comprensibile, ma molti di noi conoscono la verità, benché tale concorrenza non rappresenti la regola generale, fortunatamente.
Infine, più di ogni altra cosa serve la volontà politica da parte dei governi degli Stati membri e questa, ahimè, è tutta un’altra storia.
Angelika Beer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, le buone maniere in quest’Aula impongono di iniziare porgendo calorosi complimenti al relatore e, pur essendo felice di adeguarmi, voglio anche esprimere il mio profondo rammarico per non poter raccomandare al mio gruppo di approvare la relazione – a meno che non vengano accettati i nostri emendamenti principali, ovviamente: è la prima volta che mi succede in due anni e mezzo.
Giustifico tale fatto in primo luogo riferendomi al contenuto della relazione, e in secondo luogo per motivi di forma. L’aspetto fondamentale è che gran parte della relazione – come ha posto in evidenza un onorevole collega – sembra una sorta di lista della spesa dell’industria degli armamenti, fatto incompatibile con il titolo “strategia europea in materia di sicurezza nell’ambito della PESD”, che fa riferimento a concetti molto più complessi.
Di conseguenza, la relazione non presenta un concetto completo, anzi, al contrario. Ritengo che questa sia la ragione che ha indotto il gruppo stesso del relatore a presentare 45 emendamenti, un numero considerevole.
Se si esamina la relazione nel dettaglio, ne emerge il tentativo evidente di confondere i confini stabiliti dal Trattato tra sicurezza interna ed esterna. L’Europol rientra nella PESD. In base alle intenzioni, la PESD dovrebbe essere utilizzata per combattere il terrorismo e per proteggere le infrastrutture, le forniture energetiche e i confini esterni. Fondere in tal modo le funzioni di polizia, militari e giudiziarie è in palese violazione dei trattati attualmente in vigore, e genera inoltre ulteriori problemi di sicurezza; è il medesimo approccio adottato dal Presidente Bush, da Dick Cheney e dal dimesso Rumsfeld. La sicurezza interna modellata sulla falsariga della politica di sicurezza statunitense ha già fallito ed è inutile copiarla.
In secondo luogo, dalla relazione pare emergere l’assenza del cosiddetto braccio civile della politica europea in materia di sicurezza e difesa, benché gran parte delle 17 missioni della PESD sia di natura civile. Né viene fatta sufficiente menzione della prevenzione di conflitti civili, proprio ciò che serve in questo momento.
In terzo luogo, invece di entrare nei dettagli del mercato della difesa, sarebbe stato opportuno parlare apertamente della sicurezza europea e del disarmo – sia convenzionale sia nucleare – eppure tale tematica non compare nella relazione.
In quarto luogo, vorrei esaminare la questione dei beni militari da acquistare: portaerei, sistemi di comunicazione satellitari – tutte apparecchiature che vengono chieste e giustificate col fatto che stiamo diventando un’Unione di difesa. Quali segnali ci sono in questo momento, è la mia domanda, che esprimano una valutazione realistica di ciò che dobbiamo fare adesso? Dobbiamo adoperarci per l’armonizzazione, dobbiamo esortare gli Stati nazionali, nell’interesse di tutti, ad armonizzare le loro strategie, strutture ed apparecchiature, ma l’idea di essere un’Unione di difesa è un po’ campata in aria. Il “fondamentalismo” è sempre stata una prerogativa dei Verdi, ed è sorprendente che adesso vi muoviate voi in quella direzione.
A mio avviso, le risoluzioni adottate a Colonia, Helsinki e Feira sono state completamente stravolte e, se fossimo a scuola, vi darei zero per essere andati fuori tema. Mi spiace dirlo, ma siamo di fronte a un tentativo di rimilitarizzazione della politica estera europea. In sede di commissione avevamo negoziato un consenso, ed è stato il relatore a romperlo all’ultimo minuto. E’ una procedura scorretta, e non siamo disposti ad accettarla.
Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, i Verdi stanno imparando, a quanto pare. Il presidente della sottocommissione per la sicurezza e la difesa ha prodotto una relazione sulla politica militare nell’Unione. La relazione è stata avvolta nella bambagia socialdemocratica, il linguaggio – originariamente chiarissimo – privato del suo mordente. Evidentemente non si è potuta inserire la dichiarazione presente nel progetto di relazione secondo cui l’UE, in determinate circostanze, dovrebbe essere aperta al concetto di guerra preventiva; quel tipo di linguaggio era indubbiamente troppo diretto.
La relazione commette gli errori solitamente associati a una politica estera comunitaria militarizzata. Include un’analisi dei rischi della strategia europea in materia di sicurezza, secondo la quale le principali minacce per l’Unione europea e i suoi cittadini sono il terrorismo internazionale, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, i conflitti regionali, il fallimento degli Stati e la criminalità organizzata.
E la povertà, la fame e le disuguaglianze sociali? La relazione si schiera a favore della sorveglianza militare dei confini – contro chi, mi chiedo? – e del ricorso ai mezzi militari per garantire l’accesso alle risorse. L’UE vuole sviluppare un partenariato strategico con la NATO; la relazione “si compiace per la crescente capacità della NATO di svolgere un ruolo al di fuori del proprio teatro di operazioni” – e tutto ciò in una relazione del Parlamento europeo. Auspica inoltre un rafforzamento considerevole delle capacità operative europee, compreso il trasporto aereo e marittimo, e la mescolanza tra elementi civili e militari viene ulteriormente intensificata.
La relazione non è altro che un catalogo di richieste tese all’ulteriore militarizzazione dell’Unione europea – vengono tra l’altro chiesti maggiori fondi per le operazioni di crisi, che dovranno essere reperiti nel bilancio comunitario, il che significa nuovi accordi finanziari. Dopo i giochetti correlati al meccanismo Athena, ora ci viene praticamente proposta l’introduzione di un bilancio militare.
Sappiamo tutti che il Trattato di Nizza considera giustamente illegittimo un bilancio militare indipendente per l’UE; per tale motivo assistiamo a tentativi di “resurrezione” del deceduto Trattato costituzionale dell’Unione, in quanto si legge nella relazione “sottolinea l’importanza del trattato che adotta una costituzione per l’Europa, che apporterà notevoli progressi verso la realizzazione di una Unione di sicurezza e di difesa”. E’ proprio per tale motivo che siamo contrari a tale Trattato costituzionale per l’UE, mentre nella relazione si auspica l’Unione europea quale unione militare.
Per alcuni rendere l’UE un’unione militare è l’obiettivo principale, e i paragrafi 51 e 52 della relazione rispecchiano una loro lista di desideri, con nuovi armamenti e maggiori fondi per acquistarli e permettere all’UE di diventare protagonista militare sulla scena mondiale. E’ sbagliato affrontare così la realtà. Attualmente l’UE è coinvolta in almeno 11 operazioni militari e di polizia nel mondo, e altre sono imminenti; l’elenco comprende ora l’Afghanistan, in cui le truppe della NATO stanno uccidendo un numero crescente di civili, e adesso l’UE vuole partecipare quanto prima alla carneficina, quando ciò che serve – e subito! – è il rimpatrio delle truppe dall’Afghanistan e dagli altri paesi. L’Unione europea non ha bisogno di altri armamenti; deve essere una potenza civile. Ciò che ci serve, e anche urgentemente, è il disarmo.
Gerard Batten, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, nei primi anni ’50 Jean Monnet ha proposto una Comunità europea di difesa, con un esercito europeo guidato da un ministro della Difesa europeo, un bilancio comune e appalti comuni per le armi. Grazie al Cielo tale progetto è stato respinto dai francesi dopo che il Presidente de Gaulle si era opposto all’idea.
Jean Monnet e i suoi seguaci non si sono lasciati scoraggiare e hanno perseguito indefessamente l’idea di un’unione politica europea da costruire con i mezzi economici invece che mediante la difesa e l’apparato militare. Più di 50 anni dopo, abbiamo un’Unione europea che ha quasi portato a termine la sua agenda politica: ha il proprio Presidente, il proprio gabinetto rappresentato dalla Commissione, un Parlamento, una moneta unica, una bandiera, un inno e una Corte di giustizia, solo per citare alcuni dei suoi attributi.
Tuttavia, se dev’essere un vero Stato, deve disporre di proprie forze militari, e la relazione punta su questo aspetto. Il documento chiede una politica comune in materia di attrezzature e di appalti per la difesa, una struttura di comando e di controllo e sistemi di comunicazione integrati. Quale modo migliore per assicurare l’integrazione delle forze militari nazionali europee che non garantendo il loro avvio in maniera talmente interdipendente da impedirne l’operatività indipendente? La pillola militarista viene tuttavia addolcita dal riferimento alle operazioni militari e alla gestione delle crisi. Eppure, indipendentemente da come lo si voglia chiamare, si tratta di un esercito, e se la guerra rappresenta la prosecuzione della politica con altri mezzi, l’Unione europea ha bisogno di un esercito per perseguire le sue ambizioni di politica estera.
Non mi sorprende che l’onorevole von Wogau persegua l’integrazione politica con gli stessi mezzi. Crede nell’integrazione politica ed è aperto in tal senso, e lo rispetto per questo. Trovo invece riprovevole che il Primo Ministro britannico, quel bugiardo di Tony Blair, e il suo governo laburista marcio e corrotto, colludano con il processo di integrazione delle forze armate britanniche nell’esercito europeo proposto, fingendo però di difendere l’interesse nazionale britannico.
Presidente. Per fortuna ha superato l’età prescritta per il servizio di leva, onorevole Batten, pertanto la questione non la riguarderà mai.
(La seduta, sospesa alle 19.20, riprende alle 21.00)
PRESIDENZA DELL’ON. KAUFMANN Vicepresidente
17. Composizione dei gruppi politici: vedasi processo verbale
18. Attuazione della strategia europea in materia di sicurezza nel contesto della PESD (seguito della discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulla relazione dell’onorevole von Wogau sull’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza nell’ambito della PESD.
Tunne Kelam (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, vorrei ringraziare il relatore per aver presentato un’analisi completa dei problemi attuali della strategia europea in materia di sicurezza e per aver preso in esame le minacce del mondo moderno. Un esempio di tali minacce compare al paragrafo 10, dove la relazione sottolinea che l’Unione europea deve essere in grado di fornire un contributo sostanziale per promuovere il disarmo regionale.
Vorrei richiamare la vostra attenzione sull’area di Kaliningrad, un’enclave russa altamente militarizzata che si trova dentro i confini comunitari. Continuare a fingere che queste ultime vestigia della guerra fredda e dell’espansione sovietica siano una cosa con cui occorre convivere sarebbe pericoloso e assurdo. Pertanto, la smilitarizzazione di tale area, seguita idealmente dalla trasformazione di Kaliningrad in un progetto pilota e dall’apertura al libero commercio, dovrebbe essere uno degli argomenti da sollevare all’imminente Vertice UE-Russia. La relazione von Wogau presenta chiaramente il nostro obiettivo finale. Siamo sulla buona strada per realizzare un’Unione di sicurezza e di difesa. Tuttavia, ci ricorda anche che l’Unione è ancora molto lontana da tale obiettivo. Stiamo semplicemente prendendo atto dei progressi, aumentando le capacità e cercando fondi aggiuntivi.
Dobbiamo avere chiari in mente alcuni problemi. Occorre stabilire un mercato comune nel campo della difesa, predisporre un bilancio europeo che copra gli aspetti sia militari sia civili della sicurezza, e intensificare la cooperazione tra i ministri europei della Difesa, con l’obiettivo finale di creare la carica di viceministro degli Esteri europeo incaricato della PESD. A tal fine, è essenziale evitare la duplicazione degli sforzi e coordinare tutte queste attività con la NATO. Vi è l’esigenza urgente di rendere accessibili a tutti gli Stati membri allo stesso livello i sistemi di intelligence su base spaziale.
Libor Rouček (PSE). – (CS) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, in Europa si sente ripetere spesso che è in corso una crisi di fiducia pubblica nel progetto e nella politica europea. Tale scetticismo scompare quando si parla di politica di sicurezza e di difesa. Come è emerso dai sondaggi, più di due terzi degli europei sostengono tale politica e sono del parere che i rischi e i pericoli associati a terrorismo, criminalità organizzata, conflitti regionali e diffusione delle armi di distruzione di massa richiedano una soluzione congiunta a livello europeo.
La relazione von Wogau chiede una tale soluzione comune, e auspica il rafforzamento di alcuni elementi della politica europea di sicurezza e di difesa. Appoggio pienamente tale richiesta e gli sforzi volti a istituire una sicurezza e una difesa comunitarie. Le proposte per la creazione di un mercato interno per lo sviluppo, la fabbricazione e l’acquisto di armi, di un sistema condiviso per le comunicazioni e i mezzi di informazione e di meccanismi di difesa civile europea sono solo alcuni passi nella giusta direzione, a mio avviso. All’Europa occorre un approccio comune ai rischi e alle minacce in materia di sicurezza, e la relazione von Wogau delinea tale approccio in maniera realistica ed eccellente.
Alexander Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, la politica europea in materia di sicurezza e di difesa si trova a dover affrontare grandi sfide, e l’UE non deve chiudere gli occhi e ignorarle. In futuro l’UE si vedrà certamente costretta ad assumere sempre più impegni internazionali, e gli sviluppi preoccupanti in Medio Oriente, nella Corea del Nord e in Iran preannunciano tale tendenza.
Ci occorre una macchina decisionale efficiente, una struttura di comando visibile, chiarezza sui poteri di ciascuno, personale competente da dispiegare rapidamente e provvisto di attrezzature moderne, e la capacità logistica per inviare rapidamente le truppe dove ne sussiste la necessità. La relazione von Wogau esprime queste stesse richieste e contiene anche proposte di miglioramento; per tale ragione la sosterremo.
Negli ultimi anni la PESD ha realizzato qualche progresso; a partire dal 1° gennaio 2007 diventeranno pienamente operativi i gruppi tattici, e il Consiglio “Affari esteri”, che si è riunito ieri, ha rilevato ulteriori miglioramenti della qualità delle attrezzature utilizzate dagli eserciti degli Stati membri. L’Agenzia europea per la difesa offre un contributo prezioso per l’armonizzazione del mercato degli armamenti e il coordinamento di progetti congiunti di ricerca nella sfera della sicurezza e della difesa.
Va tuttavia ricordata la tendenza preoccupante all’aumento della pianificazione di missioni comunitarie fuori bilancio. Un maggior numero di missioni presuppone la loro legittimità in termini democratici, ma non può essere garantito se le loro finanze vengono programmate senza interpellare il Parlamento europeo, determinando un’ingiustificata mancanza di trasparenza. La relazione contiene proposte piacevolmente chiare su come prevenire tali sviluppi, e noi le appoggiamo appieno.
Aggiungerei che, a mio parere, la presente discussione si dovrebbe svolgere a Bruxelles, e non a Strasburgo.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). – (ES) Signora Presidente, sull’elaborazione della strategia europea in materia di sicurezza hanno influito tre grandi dibattiti di natura internazionale: il dibattito sulle nuove minacce che si sono dovute affrontare e su come fronteggiarle, in particolare in seguito all’11 settembre, quello sui problemi che affliggono le Nazioni Unite quale forum universale e multilaterale per la prevenzione e la gestione delle controversie, e quello sugli impegni che l’Unione deve assumere per diventare protagonista più attiva, capace e coerente a livello mondiale.
La strategia europea in materia di sicurezza precisa pertanto che le principali minacce che pesano sull’Unione europea e sui suoi cittadini sono il terrorismo internazionale, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, i conflitti regionali, il fallimento degli Stati e la criminalità organizzata.
Non posso che concordare sull’importanza di tali problemi. Temo tuttavia che tale elenco non ponga sufficientemente l’accento su altri aspetti che ritengo altrettanto rilevanti, se non di più. Mi riferisco ad esempio alla povertà, all’assenza di un sistema di giustizia globale, alla criminalizzazione collettiva di gruppi e comunità, alla crescente militarizzazione del pianeta, al saccheggio delle risorse primarie di sussistenza dei paesi più poveri da parte di quelli più ricchi, all’inquinamento dell’ambiente e alla distruzione degli ecosistemi sociali.
A tale riguardo, non ritengo che l’Unione europea offra sempre la risposta più appropriata, in termini politici o strutturali. Ad esempio, da tempo circolano voci a favore della creazione di un esercito unico europeo. Ciononostante, tale esercito viene sempre visto come un’aggiunta o, se si vuole, un complemento ai 25 eserciti esistenti, e non come un corpo sostitutivo, come dovrebbe essere, a mio avviso.
Benché in apparenza non si possa che concordare sul fatto che, per gestire le minacce attuali, non servono più tanti eserciti di natura nazionale, disponiamo ancora di un’Unione europea dotata di 25 eserciti nazionali, il cui personale ammonta a circa due milioni di persone che hanno come compito primario la difesa dei confini e degli interessi degli Stati membri, operazioni che complessivamente costano più di 160 milioni di euro l’anno. Inoltre, si tratta di cifre che molti di noi vorrebbero veder stanziate per la prevenzione e la gestione dei conflitti.
In breve, le azioni e le decisioni dei governi non sembrano attualmente in linea con il cambiamento di atteggiamento nei confronti della sicurezza a cui abbiamo assistito di recente, in particolare a livello europeo.
Diamanto Manolakou (GUE/NGL). – (EL) Signora Presidente, la relazione descrive in maniera chiarissima ed estremamente illuminante la natura dell’Unione europea quale unione imperialista di monopoli europei in via di militarizzazione.
La cosiddetta “strategia europea in materia di sicurezza” non ha nulla a che vedere con la sicurezza per i cittadini; è una malcelata politica imperialista aggressiva che opera in due direzioni: in primo luogo, verso l’adesione incondizionata agli USA e alla NATO nelle operazioni criminali contro i popoli e, in secondo luogo, verso la costruzione di meccanismi propri dell’Unione europea volti a rafforzarne la potenza militare, per consentirle di intraprendere azioni militari e di intervenire autonomamente. L’obiettivo è garantirsi una quota migliore dei mercati al momento della loro spartizione. Tale politica si basa sul principio della guerra preventiva, sull’adozione, a tutti gli effetti, della nuova dottrina militare della NATO per gli interventi militaristi in tutto il mondo, col pretesto di combattere le minacce globali, il terrorismo e l’interruzione del flusso delle risorse naturali, l’imposizione della democrazia, la gestione delle crisi e il principio dell’attacco preventivo.
Annuncia che gli interventi militaristi dell’Unione europea non hanno più alcun limite di azione. La loro portata si sta estendendo al mondo intero. Adotta indirettamente il modello degli interventi imperialisti in Jugoslavia, in Afghanistan e in Iraq, in altre parole della guerra imperialista basata su vari pretesti, quali le armi di distruzione di massa in Iraq, che non sono mai state trovate, seguita dall’occupazione e dalla ricostruzione. Tali operazioni arricchiscono gli imperialisti saccheggiando le ricchezze delle popolazioni.
Promuove inoltre la creazione di forze di pronto intervento e mette deliberatamente in relazione le missioni militari e civili, definendo “umanitari” gli interventi militari. Crea addirittura un collegamento tra la sicurezza esterna dell’Unione e la creazione di una forza di polizia e di forze dell’ordine europee, con la militarizzazione dei confini e un approccio militare a immigrati e profughi. Aumenta persino i finanziamenti per fini militari con bilanci nascosti. Per i lavoratori, invece, vi sono retribuzioni da fame e strettezze permanenti. Per promuovere tale strategia, l’aggressività dell’Unione si sta intensificando a dismisura, sia verso i paesi terzi sia all’interno dei propri confini. Il nemico è il popolo.
Gli sforzi volti ad accrescere il potere militare dell’Unione europea sono collegati agli sforzi per rafforzarla nella concorrenza imperialista e tra le industrie belliche. Il tentativo di mostrare che, in apparenza, l’Unione europea sta prendendo le distanze dalla politica americana imperialista in Iran è una menzogna spudorata raccontata al popolo. La soddisfazione per Guantánamo, i voli della CIA e i rapimenti sul suolo europeo è ipocrita, in quanto segue la medesima politica imperialista e, al contempo, rafforza la cooperazione internazionale con la ΝΑΤΟ.
I popoli devono temere e combattere il riarmo, la militarizzazione e il terrorismo degli imperialisti.
Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signora Presidente, mi congratulo vivamente per la relazione sulla politica europea in materia di sicurezza. Si tratta di una relazione eccellente che, a mio parere, non richiede ulteriori emendamenti. In particolare, non necessita di quegli emendamenti che priverebbero l’Unione europea di influenza militare nel mondo.
Se vuole svolgere un ruolo di maggior peso sulla scena mondiale, l’Unione europea deve poter contare su una presenza militare efficace, non solo lungo i propri confini, ma anche in altre parti del mondo. Tale obiettivo non verrà conseguito semplicemente creando un’agenzia per la difesa e armonizzando gli armamenti. Occorre anche convincere l’opinione pubblica europea a sostenere una maggiore spesa per la difesa che sia in linea con le nostre ambizioni.
L’Europa ha dimostrato di non abusare del potere militare, pertanto le paure dei pacifisti sono fuori luogo in questa sede. Di fatto, dovremmo temere per la nostra capacità politica e militare di assumerci la responsabilità della sicurezza globale.
La creazione di una politica europea per la sicurezza non dovrebbe mirare a copiare la NATO, il nostro strumento di politica di difesa più importante, testato e collaudato. Né la nostra autonomia strategica dovrebbe stravolgere la nostra cooperazione tecnica e politica con i poteri della NATO. Di fatto, il mondo occidentale, che si estende ben oltre i confini dell’Unione europea, ha il diritto di aspettarsi da noi un contributo autentico per la cooperazione e la sinergia in termini di attività congiunte. La relazione ha presentato tali aspetti in maniera equilibrata, per tale ragione la sosterremo volentieri nella votazione di domani.
Andrzej Tomasz Zapałowski (IND/DEM). – (PL) Signora Presidente, il dibattito odierno sull’attuazione di una strategia europea in materia di sicurezza è una delle discussioni più importanti sul futuro dell’Unione europea. Rappresenta un passo in avanti verso l’adozione di alcune delle soluzioni contenute nel defunto Trattato costituzionale. La proposta di istituire la carica di ministro europeo degli Esteri e della difesa è una minaccia per gli interessi di molti Stati membri.
L’accordo della Germania con la Russia è stato un esempio sublime di solidarietà europea nel campo dell’energia. E’ molto tipico e dovrebbe essere visto alla stregua di un segnale d’allarme. E’ ragionevole per l’Unione avere a disposizione uno strumento per esercitare un’influenza militare sulle regioni immediatamente circostanti. Tuttavia, ogni tentativo di assumere responsabilità militari per la sicurezza mondiale rappresenterebbe una volontà di sostituzione della NATO o, per essere più precisi, di indebolimento dell’influenza degli Stati Uniti in Europa e nel mondo.
Non ci dovrebbe essere concorrenza tra la NATO e l’Unione europea nel campo della politica per la sicurezza e la difesa. Va sottolineato che la NATO ricopre un ruolo molto più importante e dispone di capacità molto maggiori rispetto alle forze armate dell’Unione europea. Vi sono ovviamente paesi dell’UE che non sono membri della NATO, e dobbiamo trovare un modo per coinvolgerli in questioni relative alla sicurezza europea. Tale tipologia di cooperazione dovrebbe avere luogo nel quadro della cooperazione tra le forze armate nazionali dei paesi membri.
Non occorre creare nuovi quartieri generali di comando, è sufficiente destinare contingenti delle forze armate nazionali alla collaborazione in azioni specifiche. E’ tuttavia essenziale creare un sistema europeo coerente nel campo dell’intelligence, della risposta alle crisi e del monitoraggio delle minacce economiche. Spetta ai governi nazionali e all’Unione controllare il modo in cui i singoli Stati membri si preparano agli attacchi terroristici o se dispongono di un sistema di difesa territoriale adeguato. Inoltre, l’Unione dovrebbe gestire la sicurezza nel vicinato e non tentare di esercitare un’influenza globale né farsi coinvolgere nei conflitti locali che scoppiano nel mondo.
Geoffrey Van Orden (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, mi sono opposto con coerenza all’ingerenza comunitaria nella sfera della difesa. I paesi europei sono responsabili della loro sicurezza mediante le loro iniziative individuali o collettivamente tramite la NATO, e le cose dovrebbero restare come sono. L’Unione europea si è introdotta nel territorio della difesa, non per aggiungere capacità di difesa, perché non è questo lo scopo, bensì perché alcuni desiderano che l’UE acquisisca attributi più simili a quelli di uno Stato e diventi un attore a livello globale, capace di perseguire i propri obiettivi autonomi di politica estera. A tal fine, vuole avere a disposizione l’intera gamma degli strumenti di politica estera, comprese le forze armate.
La relazione si spinge tuttavia ben oltre le ambizioni immediate persino di coloro che al momento gestiscono la PESD. Chiede un’Unione di sicurezza e di difesa, e pretende che l’UE disponga di un proprio bilancio per la difesa. Che il Cielo ci aiuti se chi detiene la responsabilità della politica agricola comune, della politica comune della pesca e di tutta la sovraregolamentazione controproducente e onnipresente nella nostra vita inizierà anche a occuparsi dell’organizzazione della nostra difesa.
Tali proposte inaccettabili di un’Unione di sicurezza e di difesa e di un bilancio comunitario per la difesa sono di per sé sufficienti ad assicurare l’opposizione della delegazione dei conservatori britannici, ma il contesto internazionale in cui si svolge il dibattito di tale relazione la rende doppiamente meritevole di rigetto. La NATO è attualmente impegnata in un’operazione vitale in Afghanistan. Non esagera chi afferma che il successo di tale missione è indispensabile per il futuro della NATO e per la nostra sicurezza a lungo termine. L’Alleanza ha chiesto ripetutamente rinforzi per tale missione in Afghanistan con truppe da combattimento, elicotteri tattici da trasporto e di fatto con sforzi solleciti di ricostruzione civile per consolidare i vantaggi militari acquisiti. Con alcune onorevoli eccezioni, la risposta degli alleati europei è stata pietosa. Da parte mia sono fermamente convinto che la PESD rappresenti una distrazione dalla NATO e faccia parte del problema.
In quest’epoca di minacce per la democrazia e di esigenza di solidarietà, è deleterio che europei e americani abbiano visioni strategiche contrastanti o addirittura due organizzazioni di difesa con sovrapposizione di membri e che avanzano richieste concorrenti sulle medesime, limitate risorse.
Ana Maria Gomes (PSE). – (PT) Desidero congratularmi con l’onorevole von Wogau per la sua relazione ambiziosa. Tale relazione riconosce che, malgrado i progressi registrati nell’area della sicurezza e della difesa europee, resta ancora molta strada da fare. Concordo con quanto ha affermato oggi l’onorevole von Wogau in Assemblea: il processo di costruzione di un’Unione di sicurezza e di difesa può potenzialmente riavvicinarci ai cittadini dell’Unione.
Le cifre dell’Eurobarometro parlano chiaro: il 77 per cento degli europei è a favore di una politica europea nel campo della sicurezza e della difesa. Persino nel Regno Unito, il paese dell’onorevole Van Orden e di alcuni dei più accesi euroscettici di quest’Assemblea, l’appoggio è del 59 per cento.
La relazione in oggetto ha tuttavia una portata limitata. Benché proponga coraggiosamente la predisposizione di un bilancio europeo per le attività militari dell’Unione, promuova il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali nel controllo delle politiche europee di sicurezza e di difesa e chieda giustamente che i progressi proposti dal Trattato costituzionale non vengano messi da parte, la relazione si limita a reiterare il sostegno alle iniziative presentate dal Consiglio e dalla Commissione in aree vitali dell’integrazione industriale e della creazione di un mercato europeo per le attrezzature di difesa.
E’ deludente che la relazione non si spinga oltre. Sono fermamente a favore dell’introduzione del principio di preferenza europea nell’area degli appalti per le attrezzature di difesa. A lungo termine è in gioco l’autonomia strategica dell’Unione, e finora il Parlamento non è riuscito a offrire una nuova visione in questo campo.
Signora Presidente, non dobbiamo lasciarci accecare dal dogma del mercato. E’ essenziale che, sotto la guida dei nostri amici e partner nel mondo, non dimentichiamo le implicazioni strategiche e politiche di tale settore dell’industria.
Andrew Duff (ALDE). – (EN) Signora Presidente, questa è la prima revisione seria della strategia europea per la sicurezza da parte del Parlamento, ma le cose sono tutt’altro che chiare per quanto riguarda la NATO. Affermiamo che la NATO è responsabile della nostra difesa collettiva e che rappresenta un forum per le relazioni transatlantiche. Non diciamo però quello che faremmo se la NATO non ristabilisse la pace in Afghanistan. La NATO non può essere sconfitta; è stata penalizzata dall’assenza di una chiara rivalutazione strategica dopo la fine della guerra fredda e continua a subire le ripercussioni di una cooperazione scadente con l’Unione europea. Il Parlamento non dovrebbe avere timore di analizzare criticamente la NATO, altrimenti il nostro controllo sullo sviluppo della politica europea in materia di sicurezza e di difesa resterebbe sempre immaginario.
Hélène Goudin (IND/DEM). – (SV) Signora Presidente, nei due anni che ho trascorso qui in Parlamento mi sono imbattuta in molte relazioni che trattavano qualsiasi argomento possibile e immaginabile. Tuttavia, la relazione oggetto del dibattito odierno è la peggiore che abbia mai visto finora. L’onorevole von Wogau propone ora una cosa ora un’altra, ma il tema principale è quello della militarizzazione dell’UE mediante lo sviluppo della politica estera e di sicurezza comune. Si propone di estendere la portata della strategia europea in materia di sicurezza, il che aprirebbe la strada a guerre preventive simili a quelle a cui stiamo assistendo attualmente in Medio Oriente, ad esempio.
L’onorevole von Wogau ritiene inoltre che gli sforzi militari nel campo della gestione delle crisi andrebbero finanziati dal bilancio comunitario. In altre parole, sarebbero i contribuenti della Svezia, paese neutrale, ad esempio, a finanziare le operazioni militari in tutto il mondo. Tra le proposte più bizzarre c’è quella di predisporre una forza navale permanente nel Mediterraneo per difendere gli interessi comunitari di sicurezza nella regione. Come se non bastasse, il relatore sottolinea anche l’esigenza di una Costituzione, in quanto accelererebbe la creazione di un’unione della difesa.
Quando nel 1995 la Svezia ha aderito all’UE, molti svedesi erano scettici. Il fatto che l’UE potesse diventare militarizzata era proprio una delle preoccupazioni respinte dai fautori dell’Unione come totalmente ingiustificata. Oggi, poco più di dieci anni più tardi, ci rendiamo conto che tale realtà è tutt’altro che impossibile. Anzi. Per quanto mi riguarda, non voglio vedere i miei tre figli e altri giovani europei arruolati in un esercito comunitario, e pertanto mi rivolgo ai miei onorevoli colleghi affinché si esprimano contro la relazione nella votazione di domani.
Bogdan Klich (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, la strategia del 2003 di Solana è un documento eccellente. Descrive accuratamente le minacce e le sfide che ci troviamo ad affrontare, oltre a delineare con chiarezza la risposta specificamente europea che è diventata il biglietto da visita di una politica europea di sicurezza e di difesa.
In tal senso, non sembra necessario aggiornare tale documento. Dopo tutto, la NATO si serve del medesimo concetto strategico dall’aprile 1999. E’ l’unico punto su cui sono in disaccordo con la proposta dell’onorevole Karl von Wogau.
Il valore della relazione si situa altrove, nelle prospettive che delinea per la PESD. E’ il risultato di una valutazione franca delle attuali capacità civili e militari dell’Unione europea, e l’onorevole Karl von Wogau dichiara che “l’Unione europea dispone attualmente soltanto di risorse limitate per operazioni civili e militari”. Karl von Wogau trae inoltre la giusta conclusione da tale valutazione. Innanzi tutto, chiede una cooperazione intensa tra l’Unione europea e la NATO. In secondo luogo, esorta l’Unione a concentrare le proprie capacità sulle zone geografiche immediatamente circostanti.
Il relatore conosce la causa di tali capacità limitate, in quanto cita la carenza di trasporti strategici aerei e marittimi, di sistemi integrati di telecomunicazione e di capacità in termini di servizi segreti, soprattutto in relazione ai satelliti. Tali osservazioni sono tutt’altro che nuove, in quanto tali carenze ci accompagnano per lo meno dalla prima conferenza sull’impegno di capacità del 2002.
Tuttavia, a mio avviso il punto di forza della relazione va ricercato nella prospettiva a lungo termine che l’onorevole Karl von Wogau delinea per la PESD. Si spinge oltre i confini degli obiettivi operativi, in altre parole rivolge lo sguardo oltre il 2010 e i termini del Trattato costituzionale. Tali prospettive implicano la creazione di un’Unione di sicurezza e di difesa. Non dobbiamo perdere di vista tale obiettivo. E’ e dovrebbe essere la guida per i prossimi passi da intraprendere per lo sviluppo della PESD.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signora Presidente, vorrei iniziare citando i risultati dell’indagine dell’Eurobarometro, secondo i quali il 70 per cento dei cittadini europei è a favore di una politica europea di sicurezza e di difesa. A proposito delle sfide della nostra epoca, i cittadini dell’Unione europea sembrano avere un’idea migliore dei rappresentanti del Consiglio, che stasera non sono presenti alla plenaria di Strasburgo.
La strategia europea per la sicurezza dovrebbe concentrarsi sugli obiettivi più importanti in termini di creazione di una politica comune di sicurezza e di difesa per l’Unione europea. Dovremmo soprattutto chiedere l’integrazione di una nuova generazione di sistemi satellitari nel sistema europeo e la messa a disposizione di esercito e polizia dei dati raccolti utilizzando il centro satellitare di Torrejón. I servizi segreti si confermano una delle aree più importanti della strategia. In secondo luogo, i gruppi di intervento rapido già predisposti dovrebbero essere provvisti di apparecchiature per l’intelligence e le comunicazioni che siano identiche o per lo meno compatibili con quelle della NATO.
Alexander Stubb (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, mi congratulo col signor Commissario Frattini per essere rimasto così a lungo. Forse è emozionato in vista della prossima stagione della Ferrari, che correrà con Kimi Raikkonen. Mi scusi, onorevole Duff, so che non segue la Formula Uno! Vorrei sollevare cinque punti.
Primo punto: sono a favore della relazione. A mio parere è eccellente. C’è soltanto una cosa che secondo me è lievemente esagerata, e cioè l’idea di un ministro europeo della Difesa oltre al ministro degli Esteri. Attenderemo che la Costituzione incominci a crearne uno prima di pensare anche all’altro.
Il secondo punto riguarda l’onorevole Van Orden, che purtroppo ha già lasciato l’Aula. Ha sollevato molti problemi a proposito del rapporto tra NATO e UE. Dico sempre all’onorevole Van Orden che dovrebbe stare tranquillo. Con la Costituzione tutti questi problemi scompariranno, ma purtroppo mi sa che non è nemmeno a favore della Costituzione.
Terzo punto: ritengo che gli interessi strategici di UE e USA siano esattamente gli stessi, e la relazione lo evidenzia in maniera esemplare. Per tale motivo ritengo che dobbiamo tentare di risolvere i nostri problemi insieme, come suggerisce l’onorevole von Wogau.
Quarto punto: a mio parere, il problema strutturale maggiore che abbiamo tra la PESD e la NATO è il fatto che la nostra cooperazione non funziona come dovrebbe. In qualità di ex funzionario pubblico, ritengo che i rapporti siano eccessivamente limitati agli addetti ai lavori, in altre parole ci sono troppi funzionari pubblici che interagiscono con i loro omologhi. Forse tale rapporto dovrebbe diventare di tipo politico per ottenere un risultato.
Il mio punto conclusivo riguarda il fatto che la forza della PESD consiste nella sua diversità. Se ci concentrassimo soltanto sugli aspetti civili della gestione della crisi, inganneremmo noi stessi. La questione è, ad esempio, accettate la pulizia etnica? Se la risposta è no, ci serve anche l’aspetto militare della gestione della crisi. Appoggio pertanto la relazione con tutte le mie forze. Ritengo che sia eccellente.
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei ringraziare l’onorevole von Wogau per la sua relazione completa, pragmatica e anche coraggiosa.
Condivido l’opinione – sostenuta dal 70 per cento della popolazione europea e dalla maggior parte dei membri dell’Assemblea – secondo cui l’unica risposta alle minacce importanti che incombono su di noi, dal terrorismo al fallimento degli Stati, e che sembra promettere risultati soddisfacenti è una strategia europea per la sicurezza. Mi associo inoltre all’opinione del relatore secondo cui tale strategia dev’essere costantemente adattata se l’Europa desidera rimanere anche in futuro uno spazio di sicurezza, libertà e prosperità.
Poiché in futuro è molto improbabile che venga appoggiato un incremento delle spese militari, dobbiamo fare un uso più efficiente di quanto non abbiamo fatto finora dei mezzi e delle risorse a nostra disposizione; per tale motivo la politica europea in materia di sicurezza e di difesa necessita di standard comuni, di ricerca e sviluppo condivisi e di un unico sistema di appalti. Occorre un sistema unico di riconoscimento aereo e spaziale e standard comuni per le telecomunicazioni.
Occorre cooperazione strategica tra le forze dispiegate sul campo della sicurezza interna ed esterna. Dai dispiegamenti attuali di truppe in Congo emerge che, malgrado la loro dedizione abbia prodotto risultati positivi, vi sono altrettante carenze da gestire.
Sappiamo tutti che l’UE, pur essendo un gigante economico, continua a essere un nano in termini di politica di sicurezza, ma se vuole diventare un’unione politica deve smetterla di essere un nano della sicurezza e abbandonare le animosità nazionali a favore di un progetto più olistico e ampio.
Per tale ragione la Comunità ha bisogno di una politica di sicurezza che venga anche finanziata dalla Comunità stessa, con il Parlamento che partecipa al processo decisionale e lo controlla, e con una guida politica nella persona di un viceministro degli Esteri. La relazione va in questa direzione, e pertanto non è solamente coraggiosa, ma anche lungimirante, nell’interesse di un’Europa sicura per i suoi cittadini.
Presidente. La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Alexandra Dobolyi (PSE). – (EN) Accolgo con favore la relazione, che riflette puntualmente le nostre opinioni sull’evoluzione della PESD in futuro.
La PESD dovrebbe accentuare maggiormente il proprio carattere civile-militare; le migliori combinazioni di risorse e strumenti ci possono offrire il risultato ottimale di stabilizzazione sul campo. L’obiettivo è quello di stabilizzare un’area di gestione della crisi con prospettive migliori nel lungo termine.
In tal senso, non dobbiamo prendere ispirazione dal modello militare della NATO, bensì riuscire a sviluppare il nostro approccio autonomo, come nel caso del Congo. I belligeranti hanno più fiducia in noi, in quanto l’UE non è guidata da una nazione leader con secondi fini politici, e le sue decisioni vengono prese mediante regole trasparenti.
Una capacità di reazione rapida nei movimenti e nei trasporti è una sfida comune per tutte le operazioni comunitarie, indipendentemente dalla loro natura. L’Europa dovrebbe studiare meglio l’utilizzo e le sinergie delle risorse civili di trasporto. Gli europei sono al primo posto nel campo dei trasporti aerei e marittimi civili, e tale vantaggio potrebbe essere sfruttato anche per accelerare le risposte in periodi di crisi. La pianificazione multimodale, la combinazione ottimale di diversi tipi di risorse (aeree, marittime, elicotteri, treni) e un impiego più oculato delle risorse civili devono essere integrati nei nostri concetti di svolgimento delle operazioni.
Bogdan Golik (PSE). – (PL) Signora Presidente, il raggiungimento degli obiettivi presentati nella strategia per la sicurezza dipende soprattutto dalla capacità dell’Unione europea di tradurre in pratica il documento in esame che, a propria volta, darà credibilità all’Unione in termini di una politica seria in materia di sicurezza, e la renderà un’entità capace di intervenire in maniera decisiva in situazioni di crisi. Al momento, molte sono le sfide che ci aspettano nel campo della politica estera, quali i conflitti in Medio Oriente, le missioni militari che coinvolgono soldati degli Stati membri e l’emergere di nuove potenze mondiali quali Cina o India. Di questi tempi, è essenziale rafforzare la nostra politica estera e di sicurezza comune.
Per rendere tale politica più efficace ed efficiente, dobbiamo prendere provvedimenti chiave già da adesso e rispondere alle domande essenziali poste dal respinto Trattato costituzionale. Occorrono inoltre persone e istituzioni che conducano tale politica. Tra le priorità si annoverano la creazione della carica di ministro degli Esteri comunitario, maggiori risorse finanziarie, un’analisi più accurata dei problemi chiave e il coordinamento delle politiche degli Stati membri. E’ importante creare il nostro centro di competenze nel campo delle operazioni militari, delle azioni di mantenimento della pace, delle missioni di pace e della gestione delle crisi. La sicurezza degli Stati membri dell’Unione europea può essere garantita da un sistema efficace e versatile e da una regione stabile.
L’attuazione della strategia dipenderà soprattutto dalla volontà dei paesi membri e dall’adempimento diligente delle responsabilità loro assegnate. Azioni quali l’adozione di un quadro giuridico, di un calendario di attuazione e di impegni nel campo delle relazioni estere non saranno di per sé sufficienti a creare un sistema efficace per prevenire e combattere le minacce.
19. Successioni e testamenti (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0359/2006), presentata dall’onorevole Gargani a nome della commissione giuridica, recante raccomandazioni alla Commissione sulle successioni e i testamenti [2005/2148 (INI)].
Giuseppe Gargani (PPE-DE), relatore. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, dico subito che nell’Unione europea, rispetto al provvedimento che abbiamo in esame, vi sono tra le cinquanta e le centomila successioni per causa di morte e si tratta di un provvedimento destinato a diventare il riferimento ai problemi di diritto internazionale.
Quello delle successioni transfrontaliere è un fenomeno molto vasto, che si imbatte in difficoltà sempre crescenti e che è all’origine di profonde divergenze fra i sistemi di diritto internazionale privato e di diritto sostanziale degli Stati membri. Tutto questo si traduce spesso in ostacoli alla libertà di circolazione e al godimento dei diritti di proprietà. Per questo la commissione giuridica, che ho l’onore di presiedere, ha deciso di prendere l’iniziativa per rendere più semplice le successioni ereditarie in Europa, avvalendosi di un potere attribuitole dall’articolo 192, e chiedere alla Commissione di adottare una proposta legislativa.
Poiché noi, onorevoli deputati – è una considerazione che io faccio sempre – purtroppo non disponiamo ancora di un potere di iniziativa legislativa, come tutti i colleghi dei parlamenti nazionali, mi rivolgo proprio a lei, onorevole Commissario, caro Frattini, chiedendole, con la forza che il voto di maggioranza qualificata darà – ne sono certo – il suo impegno per una nostra richiesta incisiva nell’interesse dei cittadini dell’Europa.
Lei sa bene che oggi per entrare in possesso dei beni ereditari, gli aventi diritto devono iniziare procedimenti in ogni paese nei quali sono collocati i beni. E’ un processo non solo costoso e impegnativo: la trasmissione dei beni per via ereditaria, essendo un modo speciale di trasferire la società, è legata ad aspetti affettivi e personali, a rapporti interpersonali che sono molto complessi e che trascendono anche le ragioni del diritto. Mi permetto di evocare un ricordo molto personale della mia gioventù, quando ero all’università: avendo fatto la tesi sul diritto ereditario, il professor Cariota-Ferrara diceva che il diritto ereditario era un diritto affettivo, un diritto molte volte sofferto. Per cui, cari colleghi e caro Presidente, sono convinto che la nostra proposta rappresenti davvero un contributo reale alla costruzione dell’Europa dei cittadini.
Io ringrazio la commissione che ha discusso a lungo di questo problema, che abbiamo approfondito in tutti gli aspetti. Credo veramente di offrire al Parlamento una proposta assolutamente valida, che comporta un avanzamento dell’Europa politica e dell’Europa dei cittadini. Vi invito pertanto a sostenere questa relazione, chiedendo anche al Commissario Frattini di farlo proprio in nome dei cittadini europei.
La relazione da noi proposta predispone gli strumenti tesi a garantire che ci sia una legge applicabile e un solo giudice. Legge applicabile e giudice competente devono, in linea generale, coincidere e il criterio per stabilirlo è anch’esso oggettivo: il luogo di residenza abituale del defunto al momento della morte. Tuttavia, non viene esclusa l’autonomia privata: chi fa testamento può scegliere quale legge regolatrice applicare all’intera successione: la propria legge nazionale ovvero la legge dello Stato in cui ha la residenza abituale al momento della scelta. Le parti in causa, qualora sorga una controversia, potranno a loro volta scegliere la legge applicabile e il foro competente.
Ma la cosa più importante per la quale vorrei spendere qualche parola e che ritengo il pilastro della nostra proposta, è il fatto che la relazione preveda l’istituzione di un certificato successorio europeo, che indichi in maniera vincolante la legge applicabile alla successione, i beneficiari dell’eredità, i soggetti incaricati della sua amministrazione e i relativi poteri, nonché i beni ereditari. Il certificato sarà redatto secondo un modello standard e consentirà la trascrizione dell’acquisto ereditario nei pubblici registri dello Stato membro di ubicazione dei beni.
A tale proposito, avendo la collega Berger condotto uno studio approfondito più degli altri proprio rispetto a questa proposta e presentando cinque emendamenti, vorrei dire che tengo particolarmente al fatto che il certificato abbia una sua obbligatorietà, una sua consistenza, una sua certezza. Infatti, se non si stabilisce questo, credo che venga meno un po’ tutta l’impalcatura del provvedimento, che perde efficacia e diventa un po’ meno un riferimento, e che non tutti i paesi dell’Europa, della Comunità possono tenere in considerazione, per cui finirà per essere un provvedimento consultivo e non obbligatorio, il che probabilmente attenua, in qualche modo, una forza che invece consiste proprio nella certezza del diritto e nella capacità di raggiungere tutti i cittadini, perché abbiano una possibilità concreta di acquisire l’eredità attraverso questi strumenti.
Gli altri emendamenti, a mio avviso, sono da respingere e al riguardo desidero rivolgere un appello particolare alla collega, affinché rifletta e possa conferire alla proposta, magari attraverso un ritiro o una soluzione diversa dello stesso emendamento, una maggiore incisività.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, signor relatore, onorevoli deputati, in primo luogo desidero congratularmi con convinzione con il presidente Gargani e con la commissione che egli presiede, per avere formulato una proposta che, se approvata dall’Aula – come io mi auguro – non esisterò a tradurre in una proposta legislativa.
Anch’io vorrei partire da una constatazione. Abbiamo lavorato a lungo per comprendere quale fosse il pensiero degli operatori del diritto, dei tecnici della materia ma soprattutto dei cittadini dell’Unione europea, per quanto riguarda la possibilità di disporre di uno strumento che individui con chiarezza la legge applicabile e che permetta pertanto di facilitare la creazione di un vero spazio europeo in materia di successioni e testamenti.
Ebbene, dai risultati di un sondaggio condotto da Eurobarometro nel luglio 2006 sui vari aspetti del diritto di famiglia in Europa, è emerso che una media dell’80 per cento dei cittadini europei ritiene necessario il riconoscimento delle ultime volontà successorie all’interno dell’intero spazio europeo. Vi sono ovviamente dei paesi in cui il consenso al riguardo è ancora più forte: ad esempio, in Germania, un grande paese fondatore, e in Lettonia, un paese più piccolo, si è registrato il 92 per cento di consensi a favore di una normativa del genere; nel mio paese, l’Italia, l’88 per cento, come pure in Ungheria. C’è stata dunque un’ampia risposta dalla quale si evince una media di quattro quinti dei cittadini europei favorevoli a facilitare la regolazione europea delle successioni testamentarie.
Nel marzo 2005 la Commissione ha pubblicato un Libro verde in materia, che ci ha permesso di raccogliere centinaia di risposte di grande interesse dagli ambienti accademici, dagli ambienti giudiziari, dagli operatori della materia. Abbiamo raccolto altresì molte buone idee dall’audizione sulle successioni transnazionali, che il Parlamento ha avuto l’ottima idea di organizzare. Tra l’altro vi informo che la Commissione ha organizzato a sua volta un’audizione pubblica sul medesimo tema, che si terrà il prossimo 30 novembre, audizione che ci permetterà di raccogliere ulteriori idee che, con la relazione del presidente Gargani, ci permetteranno, a mio avviso, di presentare presto una proposta legislativa.
L’ultimo argomento su cui desidero brevemente soffermarmi è quello già toccato dal presidente Gargani, cioè quello di un certificato europeo ereditario. Credo anch’io, come il relatore, che, se vogliamo uno strumento europeo in questione sia davvero incisivo, esso deve avere un’efficacia vincolante all’interno del territorio europeo. A questo proposito, molti di voi ricorderanno altri strumenti di diritto internazionale privato su cui abbiamo raggiunto un accordo. Ebbene, se un determinato strumento, una volta adottato in uno Stato membro, potesse essere rimesso in discussione ogni volta negli altri Stati membri in cui deve essere applicato, non avendo appunto l’efficacia vincolante, si pregiudicherebbe uno dei capisaldi dello spazio di libera circolazione delle decisioni.
Si potrebbe ovviamente obiettare che un certificato ereditario, in quanto tale, ha sempre un valore vincolante, perché altrimenti non potrebbe certificare delle situazioni. Credo però che in questo caso sia opportuno sottolinearne il carattere vincolante, in quanto stiamo realizzando, forse per la prima volta, uno strumento utile a risolvere quel problema di circolazione tra i cittadini europei, che si esprime anche attraverso il riconoscimento delle ultime volontà, cioè delle successioni e dei testamenti. Mi permetto pertanto di esprimere in anticipo un’opinione che è in totale sintonia con quella dell’onorevole Gargani.
Manuel Medina Ortega, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signora Presidente, l’onorevole Gargani ci ha presentato una relazione che esprime la volontà della commissione giuridica che le Istituzioni europee intervengano nell’ambito del diritto di successione.
Il Commissario Frattini ha sottolineato che l’80 per cento dei cittadini europei ritiene che il diritto di successione debba essere disciplinato e riconosciuto in maniera armonizzata in tutta l’Unione europea. Non stiamo parlando di teorie, bensì della realtà di persone che vivono in paesi diversi o le cui famiglie risiedono in paesi diversi e che, in caso di successione, si trovano in una situazione assolutamente disperata.
Purtroppo, i Trattati dell’Unione europea non prevedono la possibilità di armonizzare il diritto sostanziale in materia di successioni. Tale situazione andrà rettificata in futuro, in quanto non ha molto senso che le conseguenze, il sistema giuridico e i diritti degli eredi cambino totalmente a una distanza di pochi chilometri o a seconda che una persona risieda in un paese piuttosto che in un altro.
Per il momento, la commissione giuridica, tramite la relazione Gargani, si limita a rivendicare dinanzi alla Commissione la necessità di cominciare a proporre azioni di natura legislativa. Il Commissario Frattini ha manifestato la disponibilità della Commissione in tal senso. Probabilmente al momento non potremo avanzare di molto.
In sede di commissione giuridica abbiamo esaminato i meriti e il contenuto delle proposte che il Commissario Frattini ha incluso nell’allegato; alcuni emendamenti presentati dalla mia collega socialista, onorevole Berger, sono tesi a correggere alcuni difetti emersi in tale allegato, ma la cosa più importante è che la Commissione sia disposta a fare proposte concrete, come ha indicato in questa sede il Commissario Frattini. Non possiamo improvvisare sulla questione, in quanto dobbiamo agire sulla base della nostra esperienza.
Chiunque abbia avuto a che fare con una questione di successione internazionale all’interno dell’Unione avrà dovuto affrontare enormi difficoltà, soprattutto in termini di giurisdizione.
Forse dovremmo iniziare a gestire la problematica dal punto di vista della giurisdizione, delle competenze dei tribunali e del riconoscimento e dell’efficacia delle decisioni, eliminando il procedimento dell’exequatur, come raccomanda l’onorevole Gargani, che non ha senso nell’Unione europea.
Auspico pertanto che gli sforzi dell’onorevole Gargani e il contributo del Commissario Frattini ci permettano a breve di avere sul tavolo proposte pratiche per lo sviluppo del diritto comunitario in questo campo.
Diana Wallis, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, a nome del mio gruppo vorrei esprimere la mia soddisfazione per il Libro verde e ringraziare sentitamente l’onorevole Gargani per la relazione e il lavoro che è stato svolto in termini di consultazione. E’ stato veramente gradito.
Si tratta chiaramente di una questione che riguarda un numero crescente dei nostri cittadini e che dobbiamo affrontare, pur non essendo semplice. Quando si pensa a quanto sia terribile per chiunque affrontare un lutto, e se a tali difficoltà si aggiungono anche quelle legate alla gestione di una situazione di natura legale transnazionale, ci si rende conto che è necessario affrontare tali problematiche per semplificare la vita ai nostri cittadini, dopo averne tanto incoraggiata la mobilità – come abbiamo fatto.
Tuttavia, i problemi giuridici che emergono vanno a toccare la sfera della sussidiarietà. Sono correlati molto profondamente alla cultura dei nostri diversi sistemi giuridici. E’ tuttavia chiaro che, se vogliamo affrontare il problema, dobbiamo, come ha detto l’onorevole Gargani e come sottolineerà anche il mio gruppo, orientarci verso un certificato successorio europeo vincolante. Il nostro obiettivo primario dev’essere consentire la libera circolazione di tale certificato, analogamente a quanto accade per le sentenze ordinarie. Tuttavia sarà difficile in quanto, come ho detto, sono coinvolte sfere di politica pubblica dei nostri vari paesi. Vi sono aspetti di diritto fiscale. Voglio tuttavia elogiare la relazione e spero che il Commissario potrà farla diventare uno strumento legislativo.
Maria Berger (PSE). – (DE) Signora Presidente, il relatore – nonché presidente della nostra commissione – merita di essere ringraziato per la relazione e anche per la disponibilità ad accogliere numerosi emendamenti in seguito ai dibattiti in sede di commissione.
Oggi è una buona giornata per trattare un argomento non proprio divertente: il decesso e l’eredità. Poiché la direttiva sui servizi è stata adottata in seconda lettura, non c’è stato fortunatamente alcun rinvio per i servizi funerari, cosa che molti avrebbero voluto. Stasera esaminiamo le iniziative europee nel campo del diritto di successione.
Tanto per cominciare, vorrei chiarire un malinteso, visto che è evidente che si è trattato di un errore tecnico. Non sto cercando di contestare l’effetto vincolante del certificato successorio, vorrei soltanto cancellare la frase “fino a prova contraria”; al contrario: desidero rafforzare e non eliminare il carattere vincolante di tale certificato. Poiché si tratta di un punto che devo chiarire con i servizi del Parlamento, probabilmente anche gli altri gruppi potranno votare a favore, viste le circostanze.
Auspico che l’emendamento n. 3 sia ora accettabile. Come punto di partenza proponiamo un periodo di residenza di almeno due anni, in quanto le persone non dovrebbero essere soggette a conseguenze legali inattese a causa di un trasferimento a breve termine, mentre non vogliamo rendere la vita facile a chi vuole sfuggire alla legge del proprio paese in materia di successioni e danneggiare i propri familiari semplicemente trasferendosi altrove.
Vorrei ora spendere due parole a favore dei miei altri emendamenti, che prevedono il certificato di conformità. Poiché la raccomandazione 1 dimostra la nostra volontà di non interferire col diritto procedurale degli Stati membri, considero tale verifica di conformità contraria al principio di non interferenza non solo nel diritto sostanziale degli Stati membri, ma anche nel diritto procedurale.
Spero che queste spiegazioni convincano gli altri gruppi ad appoggiare i nostri emendamenti.
Presidente. La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani.
20. Donne nella politica internazionale (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0362/2006), presentata dall’onorevole Gomes a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, sulle donne nella politica internazionale. [2006/2057(INI)].
Ana Maria Gomes (PSE), relatore. – (PT) Signora Presidente, onorevoli colleghi, desidero ringraziare di cuore tutti i gruppi politici per i contributi forniti nella stesura della presente relazione, che hanno migliorato in misura sostanziale il testo stesso. La presenza delle donne sulla scena politica internazionale è aumentata. Basti pensare al Cancelliere Angela Merkel, alla Presidente Bachelet, alla Presidente Ellen Johnson-Sirleaf, e a Han Myeong-Sook e Luísa Diogo, Primi Ministri rispettivamente della Corea del Sud e del Mozambico. Anche la Presidenza dell’Unione europea è guidata da una donna, Tarja Halonen. Eppure un’analisi più attenta rivela che la presenza femminile in politica è tuttora inadeguata sia a livello mondiale che europeo, anche nei nostri Stati membri. Raccogliere dati per l’elaborazione del documento che ho presentato non è stata un’impresa facile, il che non fa altro che confermare un quadro desolante.
A livello globale, nonostante la dichiarazione e la piattaforma d’azione adottata a Pechino e malgrado gli Obiettivi di sviluppo del Millennio, solo in dieci dei 191 paesi membri delle Nazioni Unite la carica di capo di Stato o di governo è affidata a una donna e solo il 16 per cento dei parlamentari del mondo è costituito da donne. Nell’ambito dell’ONU, dei 91 inviati o rappresentanti del Segretario generale solo nove sono donne.
Nonostante la risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottata sei anni fa, la composizione degli organismi e delle missioni a livello internazionale di mantenimento della pace e risoluzione dei conflitti è tuttora caratterizzata da una mancanza di parità tra i generi. Tre settimane fa, in sede di Consiglio di sicurezza si è tenuto un dibattito incentrato su donne, pace e sicurezza al fine di valutare i progressi compiuti nella realizzazione di detta risoluzione. Tutti sono stati concordi nell’affermare che c’è ancora molto da fare per riuscire a tradurre le buone intenzioni e le parole positive in azioni concrete. Dal dibattito sono scaturite raccomandazioni che esortano a una maggiore partecipazione delle donne alle missioni di pace e chiedono un’efficacia operativa più incisiva di tali missioni. E’ stato altresì chiesto di procedere con urgenza a un cambiamento culturale nell’ambito del gabinetto del vicesegretario generale riguardo alle operazioni di mantenimento della pace. La relazione presentata contiene raccomandazioni analoghe.
Vorrei ora riprendere il tema della situazione in Europa. Nonostante la risoluzione 2025 e altre ancora adottate da quest’Assemblea, e malgrado la strategia di Lisbona, la composizione della Commissione europea non è tuttora caratterizzata dalla parità di genere. Inoltre, nelle 107 delegazioni dell’Unione europea in paesi terzi, solo sette donne sono attualmente capo delegazione. Il Consiglio annovera solo una donna tra i 14 rappresentanti personali dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, benché non manchino donne qualificate, di provata esperienza e competenti negli Stati membri e in seno alle Istituzioni europee.
In pratica, a tutti i livelli del processo decisionale, fatta eccezione per il vertice, si può osservare che il tetto di vetro sta iniziando a dare segni di cedimento, se non di rottura totale, in quanto, di fatto, solo per quanto riguarda le massime cariche del potere europeo le donne sono vergognosamente sottorappresentate. In ambito nazionale, vorrei sottolineare l’esempio pionieristico del governo Zapatero in Spagna. In un mondo in cui il meccanismo politico ha sempre tentato per tradizione di ostacolare la partecipazione delle donne al potere politico ed economico, quello spagnolo è un esempio modello, che dimostra che la democrazia caratterizzata dalla parità di genere è possibile e che molto dipende da una leadership politica illuminata.
Le conclusioni cui perviene la presente relazione sono semplici: occorre intervenire per sopperire alla mancanza di pari opportunità a livello europeo e nazionale in tutti i campi. Ad esempio, l’ONU e il Segretario generale, attraverso una politica di assunzione, potrebbero fungere da esempio nel mondo, e l’Unione europea, grazie al sostegno di reti internazionali di donne e a politiche in materia di risorse umane, potrebbe garantire la presenza equilibrata di donne e uomini nei centri decisionali del contesto politico ed economico.
A tale proposito, giudico positivo il fatto che il Consiglio abbia deciso di inviare un questionario agli Stati membri al fine di ottenere informazioni sul livello di attuazione della risoluzione 1325. I governi nazionali devono anche incoraggiare più donne a candidarsi per cariche politiche a livello nazionale, europeo e internazionale, nonché garantire sistemi elettorali dai cui scaturiscano istituzioni democratiche con una rappresentanza equilibrata; in nessun organo democratico la rappresentanza di uno o dell’altro sesso dovrebbe essere inferiore al 40 per cento e superiore al 60 per cento. Le quote e gli altri meccanismi elaborati per assicurare l’equilibrio, oggi essenziali per garantire la presenza delle donne, potrebbero diventare necessari anche per gli uomini. In assenza di parità di rappresentanza la democrazia è tronca e non funziona in modo adeguato. Al riguardo, rivestono un’importanza cruciale normative e misure che consentono a uomini e donne di conciliare meglio vita familiare e professionale.
Infine, i partiti politici devono promuovere la partecipazione delle donne introducendo quote e creando altri strumenti volti a stabilire l’equilibrio, tra cui una formazione specificamente rivolta alle donne per facilitarne la carriera politica. L’impulso per un inversione di rotta dipende altresì dalla qualità della leadership politica di partito. Prendete, ad esempio, il mio paese, il Portogallo, dove alle donne è consentito intraprendere la professione di giudice, diplomatico, o entrare nell’esercito o nelle forze di sicurezza da quando è caduta la dittatura, nel 1974. Si tratta di percorsi professionali che potrebbero fornire un numero nettamente superiore di candidati di entrambi i sessi per tutti i tipi di missioni e incarichi a livello europeo e internazionale. Dal 1974 la presenza delle donne nell’ambito di queste carriere è aumentata in modo straordinario, tuttavia il fenomeno non ha interessato i vertici di tali contesti, quali i centri delle decisioni governative o di partito. E’ più che mai palese che l’effetto del tetto di vetro ha iniziato il suo corso, nonostante la schiacciante presenza di donne qualificate nelle università, nella pubblica amministrazione e in generale nel mondo del lavoro. Di recente è stata adottata una legge in materia di parità che disciplina la composizione delle liste elettorali dei partiti politici, di cui attendiamo i risultati pratici. Dobbiamo intraprendere un percorso lungo il quale i numeri non devono essere la nostra sola preoccupazione. Dobbiamo piuttosto riconoscere e porre in risalto la differenza in termini di qualità riconducibile alla rappresentanza politica delle donne nell’elaborazione dei piani programmatici di governo, nella risoluzione dei conflitti, nella trasparenza e nella presentazione dei rendiconti; in altre parole, il ruolo assunto nel rafforzamento dello Stato di diritto e della democrazia.
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signora Presidente, desidero innanzi tutto congratularmi con la relatrice per l’eccellente documento presentato. La Commissione è profondamente impegnata nella promozione della parità di genere, all’interno e all’esterno dell’Unione europea, e il sostegno continuo da parte del Parlamento europeo a queste tematiche è di fondamentale importanza.
Il mondo ha bisogno di donne che occupino posizioni decisionali a tutti i livelli, sia nell’ambito delle comunità locali che nel contesto politico internazionale. Donne e uomini devono partecipare su un piede di parità all’elaborazione di piani programmatici che riguardano noi tutti, nonché allo sviluppo di soluzioni dei problemi che dobbiamo affrontare.
Tuttavia, se ci guardiamo intorno, che cosa vediamo? La maggior parte delle decisioni è tuttora appannaggio degli uomini. I principali esempi citati nella relazione sono la dimostrazione lampante che la situazione non è idilliaca neppure per le nostre democrazie europee e, come ha giustamente sottolineato la relatrice, occorre intervenire con maggiore incisività anche nell’ambito delle nostre rispettive Istituzioni, la Commissione e il Consiglio, per conseguire un migliore equilibrio di genere.
Stereotipi e discriminazioni sono tuttora una realtà, i sistemi di assunzione e promozione basati sulla discriminazione sono diffusi, la segregazione nell’ambito del mercato del lavoro e della formazione impedisce alle donne di raggiungere il loro pieno potenziale.
Uno dei fattori principali rimane la suddivisione squilibrata tra responsabilità professionali e familiari. Gli interventi in questo ambito rientrano tra le competenze nazionali, tuttavia sono certo che la Commissione possa apportare un reale valore aggiunto promuovendo azioni di sensibilizzazione, grazie alla raccolta di informazioni, ad attività di ricerca e analisi, nonché attraverso la messa in reti e la diffusione delle migliori pratiche. Questo ruolo della Commissione è riportato con chiarezza nella nostra comunicazione di marzo 2006 “Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini”. Anche il futuro Istituto europeo per l’uguaglianza di genere contribuirà a mantenere tale tematica tra le priorità dell’agenda europea, a raccogliere e analizzare dati, a condurre attività di ricerca e a divulgare le buone prassi.
Una delle aree prioritarie della tabella di marcia è incentrata sulla promozione della partecipazione paritaria delle donne e degli uomini al processo decisionale. Poiché gli stereotipi di genere negativi sono fortemente collegati a una sottorappresentanza femminile, ne abbiamo inserito l’eliminazione tra gli obiettivi chiave del nostro programma.
Tra le azioni strategiche che l’Esecutivo intende avviare nei prossimi cinque anni si possono evidenziare la creazione di una rete europea di donne che occupano posizioni di responsabilità a livello politico ed economico, nonché campagne di sensibilizzazione, raccolta di dati, analisi e scambio di pratiche ottimali che coinvolgono tutte le parti interessate al fine di combattere gli stereotipi sessisti.
Nella tabella di marcia figura anche la promozione dell’uguaglianza di genere al di fuori dell’Unione europea. Un esempio dei nostri interventi nel campo della politica estera è quello del piano d’azione quinquennale sulla parità di genere che verrà siglato in data odierna a Istanbul dai ministri dei 35 paesi che aderiscono al partenariato euro-mediterraneo. La partecipazione della donne alla vita politica è uno dei pilastri fondamentali del piano d’azione di oggi che si avvarrà del sostegno di un progetto regionale che partirà nel 2007.
A titolo dell’Iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell’uomo finanziamo vari progetti che promuovono la responsabilizzazione delle donne. Tra i vari esempi desidero ricordare il progetto regionale per l’Africa occidentale che mira a rafforzare la partecipazione delle donne nei cinque paesi della regione, il progetto regionale in America latina il cui obiettivo è potenziare la partecipazione democratica dei giovani, soprattutto le ragazze, e infine i progetti avviati in Egitto, Giordania, Nigeria, Marocco e Kirghizistan volti ad dare autonomia alle donne affinché possano partecipare attivamente alla vita politica.
Ritengo positivo il fatto che la relazione non trascuri l’aspetto legato alle elezioni. A tale proposito, la Commissione ha già inserito la prospettiva di genere nella metodologia in materia di monitoraggio delle elezioni e la partecipazione delle donne è oggetto di controllo costante grazie all’opera delle missioni di osservazione elettorale. Un valido esempio è quello della missione europea inviata di recente nello Yemen.
Come sapete, l’impegno della Commissione riguardo all’integrazione transnazionale della dimensione di genere nelle nostre relazioni esterne è profondo e di vecchia data. Dal 2001, il programma d’azione per l’integrazione della dimensione della parità di genere nella cooperazione allo sviluppo comunitaria ci ha offerto un quadro che ci ha permesso di realizzare un ampio programma di formazione e sviluppare strumenti politici. Nel 2007, in collaborazione con le Nazioni Unite e l’Organizzazione internazionale del lavoro, lanceremo un nuovo programma inteso alla costruzione di capacità, rivolto in particolare ai nostri governi partner, alla società civile e ad altri interlocutori dei paesi terzi che si occupano dell’attuazione dei programmi. Una particolare priorità tematica del programma riguarderà la promozione della partecipazione delle donne al processo di costruzione della pace, in linea con quanto indicato nella risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Infine, sono perfettamente consapevole del fatto che, nonostante siano stati registrati progressi, è tuttora necessario compiere sforzi enormi in direzione della parità di genere e della partecipazione attiva delle donne alla sfera politica. A tale proposito, la Commissione si impegna a proseguire la mobilitazione di tutti gli strumenti disponibili. Vi sono aspetti che occorre affrontare con urgenza, innanzi tutto la necessità di attribuire maggiore attenzione alla dimensione di genere in ambito giuridico, legale, costituzionale ed elettorale. Dobbiamo rafforzare il nostro sostegno a favore del coinvolgimento attivo delle donne sul versante dell’elaborazione e all’attuazione di politiche a livello nazionale. In secondo luogo, nelle imprese è fondamentale una maggiore rappresentanza femminile a livello gestionale al fine di garantire il più vasto patrimonio possibile di idee, prospettive, esperienze e competenze nel quadro del processo decisionale ad alto livello. Terzo punto, eliminare gli stereotipi sessisti nell’istruzione, nella formazione, nel mercato del lavoro e nei mezzi di comunicazione rappresenta una sfida importante in tutti i paesi.
Infine, per conseguire un equilibrio di genere negli organi di decisione, occorre mobilitare e coinvolgere appieno gli uomini se si vuole progredire davvero. Politiche a favore della famiglia destinate a donne e uomini, quali accordi di lavoro più flessibili e strutture di qualità per la custodia dei bambini, possono rivelarsi strumenti preziosi.
Marie Panayotopoulos-Cassiotou, a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signora Presidente, l’iniziativa dell’onorevole Gomes di redigere una relazione sulle donne nella politica internazionale è lodevole in quanto, come ha giustamente osservato il Commissario, i confronti tra numeri e cifre che riporta – che spaziano dai Premi Nobel alle donne che hanno raggiunto posizioni chiave sulla scena politica internazionale negli Stati membri o in seno a organizzazioni internazionali – ben illustrano la scarsa partecipazione femminile.
E’ indiscutibile che una società democratica debba essere rappresentata degnamente da uomini e donne e che la pari partecipazione debba prendere le mosse con la formazione e un’introduzione precoce ai segreti della politica per uomini e donne, senza alcuna discriminazione di genere, e con la possibilità di conciliare l’occupazione professionale nel contesto della politica estera internazionale con la vita familiare.
Insieme ai promettenti piani d’azione dell’Unione europea ricchi di obiettivi ambiziosi, la relazione Gomes manterrebbe il suo valore e la propria natura topica se non facesse alcun riferimento a particolari governi nazionali e se non riportasse elenchi di paesi che hanno adottato provvedimenti che non si possono valutare esclusivamente alla luce della citazione fatta.
La partecipazione delle donne quale mera presenza fisica sulla scena politica internazionale non è sufficiente. Anzi, esse devono partecipare in virtù di qualifiche e competenze valutate a prescindere dal loro sesso. Le costituzioni e le normative degli Stati membri dovrebbero sostenere il principio della parità di trattamento e i partiti dovrebbero appoggiare uomini e donne di valore senza operare alcuna discriminazione. Non si tratta comunque di una questione di sussidiarietà? Possiamo interferire sulla composizione dell’ONU? Non dobbiamo pertanto accogliere questi specifici punti della relazione.
Ringrazio, com’è ovvio, la Commissione europea per gli sforzi compiuti e invito il Parlamento europeo a sostenere il principio di parità e a promuovere una composizione equilibrata dal punto di vista del genere in seno alle proprie direzioni, rappresentanze di delegazioni e delegazioni.
Daremo il nostro appoggio esclusivamente agli specifici punti della relazione cui ho accennato.
Zita Gurmai, a nome del gruppo PSE. – (HU) Signora Presidente, la partecipazione equilibrata delle donne al processo decisionale è una delle principali sfide che deve affrontare la politica in materia di pari opportunità. Questo tema sarà presente anche nell’imminente programma d’azione sulle pari opportunità. E’ un’area in cui si devono conseguire risultati concreti in tutti gli ambiti, non ultima la politica estera, tanto per citarne uno. Le pari opportunità non devono rimanere circoscritte al territorio dell’Unione europea. Dobbiamo promuovere la presenza delle donne nella vita politica a livello mondiale.
Le nostre idee riecheggeranno come una voce nel deserto, se non saranno accompagnate dalla necessaria volontà politica. Per tale ragione, è importante che al Vertice di marzo sei primi ministri, e precisamente i premier di Repubblica ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Ungheria e Svezia, abbiano approvato il patto europeo per la parità di genere, che estende le prospettive delle pari opportunità alle nostre attività in collaborazione con la Commissione. Si auspica che questo approccio offra alle donne maggiori possibilità di avanzare nelle carriere intraprese, nonché di conciliare adeguatamente vita lavorativa e privata. L’onorevole collega ha svolto un lavoro di eccellente qualità e pertanto propongo di approvarne la relazione.
Anna Záborská (PPE-DE). – (SK) Quale ex diplomatica e donna impegnata nella politica da anni, comprendo bene il motivo per cui l’onorevole Gomes ha proposto questo tema e la ringrazio.
Sono totalmente a favore del fatto che la partecipazione paritaria e completa delle donne al processo politico e a quello decisionale debba rispecchiare appieno l’effettiva struttura della società. Tale coinvolgimento è fondamentale per le generazioni future e per il corretto funzionamento dei sistemi democratici. E’ indubbio che l’uguaglianza tra i sessi in termini di dignità e responsabilità giustifichi in modo oggettivo la presenza delle donne in cariche pubbliche. Sostenere realmente le donne nella politica presuppone riconoscerne il valore di madri, nonché il ruolo svolto in seno alla famiglia, aspetto, questo, che riguarda tutte le altre funzioni e professioni pubbliche.
Inoltre, tali cariche e professioni devono essere strettamente collegate tra loro se tendiamo a uno sviluppo sociale e culturale che sia autenticamente e pienamente umano. Siamo onesti. Le donne sono sempre profondamente coinvolte nei momenti difficili della vita, dove fungono da grandi pacificatrici e mediatrici per eccellenza. Occorre senz’altro intervenire con maggiore incisività al fine di garantire che le condizioni in cui le donne e madri vivono e lavorano non lascino il benché minimo spazio alla discriminazione nel mondo della politica. In futuro le donne saranno sempre più impegnate nelle gravi questioni di attualità oggetto di accesi dibattiti. Non è usuale osservare una forte presenza femminile in tutte le aree, in quanto le donne sono per natura avverse a una società organizzata esclusivamente in base ai criteri dell’efficienza e della produttività, e insistono per ridefinire questi sistemi secondo una prospettiva più umana.
In conclusione, desidero esprimere il desiderio che tutte le donne attive in politica possano diventare le artefici di un nuovo femminismo, in grado di apprezzare ed esprimere i veri talenti delle donne in tutti gli ambiti della vita sociale, sfuggendo alla tentazione di imitare i modelli proposti dalle controparti maschili. E questi sono talenti intesi a eliminare qualsiasi forma di discriminazione nella pubblica amministrazione e nei partiti politici.
Pia Elda Locatelli (PSE). – Signor Presidente, Commissario, onorevoli colleghi, cinque giorni fa le Nazioni Unite hanno celebrato il 60° Anniversario dell’istituzione della Commissione ONU sulla condizione delle donne. In tale occasione Kofi Annan ha dichiarato che il mondo comincia finalmente ad afferrare che lo strumento più efficace per promuovere lo sviluppo è l’empowerment delle donne e delle bambine, empowerment, dice Annan, che aumenta la produttività economica, riduce la mortalità materna ed infantile, migliora la nutrizione e promuove la salute.
Il concetto di empowerment, sviluppato per prima dall’Unione europea, è stato lanciato con forza dalla IV Conferenza mondiale sulle donne delle Nazioni Unite, la Conferenza di Pechino, ben undici anni fa. E’ tempo di rilanciare l’empowerment, organizzando una nuova conferenza mondiale. Con questa relazione ci rivolgiamo ancora una volta alla Nazioni Unite perché convochino la Quinta Conferenza mondiale e lo facciamo con una voce sola, la voce europea, in rappresentanza di 25, e a breve, 27 membri delle Nazioni Unite su 191, una massa d’urto notevole. Questo è uno dei follow-up che chiediamo con il voto a questa esaustiva ed equilibrata relazione, per il quale ci congratuliamo con la relatrice.
Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (PPE-DE). – (EL) Signora Presidente, gli interventi precedenti hanno posto in risalto l’assenza di partecipazione delle donne nel contesto della politica internazionale, un’assenza senza eguali si potrebbe dire, rispetto ad altre aree politiche.
Ringrazio pertanto l’onorevole Gomes che ci ha offerto l’opportunità di confrontarci ancora una volta su questo tema. Innanzi tutto, perché si tratta di un argomento di straordinaria importanza dal punto di vista dell’equilibrio e della democrazia nel mondo moderno che assume una particolare valenza al fine di conseguire gli obiettivi dell’uguaglianza, della giustizia e, ovviamente, della prosperità, come abbiamo già avuto modo di sentire.
Il secondo motivo è perché questa dimensione di solito non è contemplata nelle strategie per l’uguaglianza adottate dagli Stati membri e l’Unione europea, logicamente, non ha la competenza per imporla, anche se potrebbe promuoverla in modo più vincolante e con maggiore efficacia.
L’attuale situazione non è soddisfacente, come abbiamo sentito, né le previsioni sono ottimistiche, dal momento che, secondo quanto emerge dagli studi condotti, la partecipazione delle donne in seno ai parlamenti nazionali potrebbe superare globalmente il 30 per cento non prima del 2040. Dobbiamo quindi guardare con attenzione le nostre realtà e ripartire la colpa in tutta onestà, ammettere che le semplici verità e i valori fondamentali non trovano attuazione nella pratica a causa di una società cui mancano conoscenza e informazione, nonché, ovviamente, per la mancanza di volontà politica in tutti gli organismi, ciascuno per propria parte, come indicato nella relazione e negli emendamenti presentati dal mio gruppo politico.
Per concludere, desidero soffermarmi sulle nostre responsabilità nelle Istituzioni dell’Unione europea. La Commissione europea e il Parlamento europeo dovrebbero inserire sistematicamente nelle rispettive relazioni esterne la dimensione di tematiche che riguardano le donne e dovrebbero tendere a una partecipazione equilibrata, sia per quanto attiene la rappresentanza nelle relazioni esterne sia nella composizione delle delegazioni.
Edite Estrela (PSE). – (PT) Desidero per prima cosa congratulandomi con l’onorevole Gomes per l’eccellente relazione presentata, che affronta un argomento quanto mai attuale e pertinente. Le donne sono sottorappresentate nella vita politica sia a livello nazionale che europeo, una situazione che si ritrova anche in quest’Aula.
E’ incomprensibile che la presenza femminile nelle università sia maggiore di quella maschile e che il numero di donne che vantano diplomi di master e dottorati sia sempre più elevato, e che al contempo sia così difficile ch’esse occupino cariche nell’ambito del processo politico decisionale o del potere economico. Nel momento in cui le donne raggiungono un certo livello, si frappone sempre un tetto di vetro che impedisce loro di proseguire.
La parità è un elemento fondamentale della democrazia stessa. L’esperienza ha dimostrato che un sistema di quote può portare a una società più uguale e, di conseguenza, più equa e armoniosa. Gli Stati membri devono adottare normative che garantiscano l’uguaglianza.
Desidero concludere, signora Presidente, con una domanda retorica. Quanto sarebbe diverso il mondo se fosse guidato da una maggioranza femminile? Non sarebbe differente anche l’Europa?
Anna Hedh (PSE). – (SV) Signora Presidente, innanzi tutto desidero ringraziare l’onorevole Gomes per la validissima relazione presentata. E’ un tema di estrema importanza in termini di uguaglianza di genere e democrazia. Oltre la metà degli europei è costituita da donne. E’ quindi anche essenziale da una prospettiva democratica che le donne partecipino appieno al processo decisionale in ambito politico esattamente come gli uomini.
La politica europea in materia di uguaglianza si basa sul benessere, vale a dire qualcosa di cui si deve far tesoro e su cui dobbiamo continuare a costruire perché oggi permangono importanti deficit che interessano tanto la parità quanto il benessere. Si tratta di riuscire a conciliare vita professionale e vita privata. Gli aspetti che qui affrontiamo riguardano una suddivisione squilibrata delle responsabilità familiari nonché la discriminazione nel mondo del lavoro e nella formazione professionale. Dobbiamo offrirci un aiuto reciproco affinché anche alle donne sia data la possibilità di partecipare al processo politico. Un paese in cui il potere non sia ripartito equamente tra uomini e donne non è uno Stato sociale in cui tutti gli individui sono uguali. Sul lungo periodo, un simile Stato crea condizioni valide anche per gli uomini ma, sul breve periodo, forse gli uomini hanno bisogno di cedere un po’ e lasciare più spazio alle donne.
Malgrado dichiarazioni politiche, raccomandazioni, programmi d’azione e normative specifiche a livello nazionale, le donne sono tuttora sottorappresentante in politica. Che cosa dobbiamo fare se il nostro obiettivo è ottenere la parità? Ritengo, purtroppo, che l’unica soluzione sia adottare un sistema di quote ed elaborare una legislazione in materia, meccanismi che non dovrebbero essere necessari. Se gli uomini dovessero partecipare ai lavori intesi alla promozione della parità di genere, sarebbe possibile risolvere questo problema annoso.
Teresa Riera Madurell (PSE). – (ES) Signora Presidente, sappiamo che i conflitti internazionali riguardano in particolare le donne: la maggior parte di profughi e sfollati è costituita da donne, ad esempio.
Dobbiamo tuttavia essere ben consapevoli del fatto che non sono le donne a prendere le decisioni che portano a tali situazioni in quanto, come spiega con estrema chiarezza l’onorevole Gomes nella sua relazione straordinariamente interessante, le donne sono praticamente assenti nell’ambito dei processi decisionali relativi alla politica internazionale, malgrado le raccomandazioni del programma d’azione di Pechino e la risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e nonostante il fatto che, secondo gli esperti, le donne siano dotate di un particolare talento per condurre negoziati e concludere accordi.
E’ paradossale quindi che la maggioranza delle ONG che svolgono un ruolo attivo nelle consultazioni di pace e nei processi postbellici sia costituita da donne. Le Istituzioni comunitarie devono offrire il loro sostegno a queste donne, come pone in risalto la relazione.
E’ urgente adottare tutte le misure necessarie a garantire una presenza equilibrata tra uomini e donne in tutte le aree dove si adottano le decisioni che riguardano il nostro destino collettivo. La mancata presenza delle donne rappresenta un deficit democratico.
Le misure proposte in materia dalla relazione sono molto coraggiose e interessanti e sono perfettamente in linea con i provvedimenti adottati dal governo del mio paese, la Spagna.
Complimenti, onorevole Gomes.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). – (PL) Signora Presidente, “le donne rappresentano la metà dei potenziali talenti e specializzazioni dell’umanità e la loro sottorappresentazione negli organi di decisione è una perdita per la società nel suo insieme”, questa è una citazione tratta dalla dichiarazione ministeriale di Atene siglata 14 anni fa. Malgrado numerose dichiarazioni politiche analoghe, i programmi d’azione speciali e la relativa normativa, il fenomeno della discriminazione di genere non è scomparso.
Dei quasi 44 000 parlamentari a livello mondiale, solo il 16 per cento è costituito da donne. Dei 191 paesi che sono attualmente membri delle Nazioni Unite, solo sette hanno una donna che ricopre la carica di capo di Stato e solo otto hanno a capo del governo una donna. La sottorappresentanza delle donne nel processo politico e decisionale è un fenomeno associato alle difficoltà poste dal tentativo di conciliare vita professionale, familiare e sociale ed è spesso il risultato della discriminazione sul lavoro e nell’ambito della formazione professionale.
L’Unione europea deve offrire un esempio al mondo in termini di pari opportunità e democrazia. Tuttavia, persino in quest’Assemblea, nel Parlamento europeo, le donne formano solo il 30 per cento dei deputati. Alcuni paesi, quali Cipro o Malta, non hanno neppure una donna tra i rispettivi rappresentanti. Gli Stati membri e i partiti politici in tutta Europa dovrebbero puntare a una cosiddetta “partecipazione equilibrata”, che preveda una quota minima del 40 per cento e una massima del 60 per cento per la presenza dei due sessi nelle loro liste di candidati. La rappresentanza sociale deve essere effettivamente equa.
Desidero ringraziare l’onorevole Gomes per l’eccellente relazione elaborata. Mi auguro che contribuisca a cambiare la situazione delle donne nella vita politica.
Presidente. La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani.
21. Lotta contro la tratta di esseri umani - approccio integrato e proposte per un piano d’azione (discussione)
Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0368/2006), presentata dall’onorevole Bauer a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, recante una proposta di raccomandazione del Parlamento europeo destinata al Consiglio sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, un approccio integrato e proposte per un piano d’azione [2006/2078(INI)].
Edit Bauer (PPE-DE), relatore. – (SK) La tratta di esseri umani viene oggi definita la vergogna indubbiamente più grave dei tempi moderni, oltre che la più clamorosa violazione dei diritti umani; si tratta anche di un’attività criminale eccezionalmente pericolosa, che rappresenta la terza maggior fonte di introiti dopo il commercio di armi e il traffico di droga, con un giro d’affari di miliardi di euro e di dollari.
Proprio oggi il Vaticano ha rilasciato una dichiarazione in cui la tratta di esseri umani viene giudicata peggiore del commercio di schiavi. Secondo le stime degli esperti, nell’Unione europea ogni anno sono circa 100 000 le vittime della tratta; i più recenti dati dell’UNICEF indicano che due terzi degli Stati membri figurano tra i paesi di origine e di destinazione. E’ perciò sbagliato pensare che il fenomeno non ci riguardi, così come è sbagliato credere che il problema investa solo poche migliaia di prostitute, il cui destino è spesso tragico. Si registrano nuovi sviluppi, come per esempio l’accrescersi del numero di coloro che rimangono vittima della tratta di esseri umani per motivi legati al lavoro forzato, alla fornitura di servizi, all’accattonaggio forzato da parte dei bambini o alla piccola criminalità, senza contare la tratta a fini di adozione illegale o matrimonio forzato. Una relazione del Consiglio d’Europa segnala inoltre prove di un traffico di organi umani nei paesi europei.
Benché nella grande maggioranza dei casi le vittime siano donne, vi sono allarmanti indicazioni del fatto che i bambini rappresentano ormai il 40-50 per cento delle vittime. La relazione vuole offrire un panorama della questione della tratta di esseri umani nel suo complesso; non si tratta di immigrazione clandestina o della prostituzione in sé, ma della tratta di esseri umani, in cui la precoce identificazione delle vittime è un elemento di grandissima importanza. In mancanza di tale identificazione, può succedere che le vittime stesse, alla fine, siano accusate di reati connessi all’immigrazione o di coinvolgimento in attività illegali e vengano così estradate dal paese prima di poter contribuire allo smascheramento di temibili organizzazioni criminali, correndo il grave rischio di ricadere nelle mani delle medesime reti criminali.
In tale contesto è necessario sottolineare l’importanza del piano dell’Unione europea, così come di altri collaudati approcci, regole e procedure per la lotta contro la tratta di esseri umani, che secondo l’opinione generale hanno rappresentato un grande passo avanti in questo settore.
Vorrei comunque indicare quattro nodi problematici presenti nella relazione.
In primo luogo, benché il reato sia gravissimo, per quanto riguarda la legislazione in materia e la sua applicazione negli Stati membri si registra una situazione tutt’altro che soddisfacente. Cinque Stati membri devono ancora ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale o il relativo protocollo supplementare – noto come Protocollo di Palermo – volto a prevenire, sopprimere e punire la tratta di persone, specialmente donne e bambini; addirittura dieci Stati membri devono ancora aderire al Protocollo facoltativo della Convenzione sui diritti del fanciullo concernente la vendita di bambini, la prostituzione infantile e la pedopornografia.
Fino ad oggi, la Convenzione del Consiglio d’Europa sull’azione contro la tratta degli esseri umani è stata ratificata da un solo paese, mentre sette Stati membri non l’hanno neppure firmata. Vi sono problemi per quanto riguarda il mantenimento degli impegni presi. In uno Stato membro il reato di tratta è punibile solo con un’ammenda; in un altro paese non è possibile perseguire la tratta dei bambini che sono poi costretti a mendicare, dal momento che l’accattonaggio di per sé non costituisce reato; in altri paesi ancora le persone giuridiche non possono essere considerate responsabili di tali reati. L’applicazione si dimostra problematica anche in alcuni Stati membri che dispongono di tutti gli strumenti opportuni – per esempio una legislazione in materia di lavoro o la presenza di ispettorati del lavoro – ma non riescono a eliminare la tratta di esseri umani.
In secondo luogo, le nostre carenze nel settore della prevenzione non sono meno gravi. Ricordo un dato sconvolgente, contenuto in una recente relazione dell’UNICEF: il 30 per cento dei bambini di tutto il mondo non è iscritto all’anagrafe, e questi bambini – insieme a quelli che vivono per strada – sono una facile preda per i criminali.
In terzo luogo, la protezione delle vittime non è unicamente un compito umanitario. Europol ha dimostrato in maniera convincente che senza proteggere le vittime non possiamo sperare di smascherare in maniera efficace le potenti organizzazioni di criminali e i mediatori; nonostante questo, anziché proteggere le vittime spesso si preferisce ricorrere alla più comoda opzione della criminalizzazione.
In quarto luogo, è ovvio che per combattere efficacemente la tratta occorre intensificare la cooperazione tra gli Stati membri ed Europol, Eurojust, Frontex, UNICEF e altre organizzazioni internazionali, comprese le ONG. Se unificassimo i criteri per l’identificazione delle vittime e giungessimo a una definizione unica dei reati che sono la causa di queste tragedie, daremmo un contributo sostanziale per comprendere più a fondo i nuovi sviluppi che il fenomeno potrà assumere e la portata complessiva del problema; per il momento dobbiamo accontentarci di stime considerate del tutto inattendibili dagli esperti del settore, e quindi i criminali continuano a godere di un vantaggio iniziale sugli organismi di polizia.
Concludo ringraziando i colleghi che hanno contribuito a migliorare la relazione; vorrei inoltre esprimere la mia adesione a un commento formulato qualche tempo fa dalla signora Helga Konrad, ex rappresentante speciale dell’OSCE per la lotta alla tratta di esseri umani. Nel problema della tratta ci troviamo a un bivio: abbiamo accumulato vaste conoscenze, ma la nostra volontà di agire non è affatto certa. Molti di noi ritengono giunto il momento di iniziare una lotta intransigente contro questo reato gravissimo, pericoloso e ripugnante.
PRESIDENZA DELL’ON. OUZKÝ Vicepresidente
Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero anzitutto congratularmi con la relatrice per quest’importantissima relazione. La politica europea contro la tratta di esseri umani costituisce una priorità non solo per il Parlamento ma anche per la Commissione europea e per me personalmente.
Per combattere la tratta occorre intraprendere un’azione più ampia ed efficace; molte nuove iniziative sono state adottate a livello nazionale e internazionale, ma i risultati non sono paragonabili alle enormi dimensioni di questo fenomeno criminale. Il piano d’azione europeo – approvato, come ricorderete, nel dicembre scorso – fornisce il quadro d’azione pratica mirante ad affrontare tutti gli aspetti della tratta.
Vorrei indicare alcune priorità che per me sono irrinunciabili. In primo luogo, per quanto riguarda gli Stati membri, è essenziale che essi accelerino l’applicazione della direttiva 2004/81/CE riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperano con le autorità competenti. Essa prevede, in particolare, misure di assistenza e reintegrazione sociale, un periodo di riflessione e il rilascio di un titolo di soggiorno alle vittime della tratta, tenendo conto anche della Convenzione approvata dal Consiglio d’Europa nel 2005.
A questo proposito è importante notare che il periodo di riflessione e le misure di assistenza vengono accordati alle vittime, indipendentemente dalla loro capacità o disponibilità a collaborare con le autorità di polizia; inoltre, dopo il rilascio del titolo di soggiorno, le vittime hanno accesso al mercato del lavoro, alla formazione professionale e all’istruzione.
Qual è la situazione a questo punto? Assai deludente, purtroppo. Finora solo due Stati membri hanno recepito la direttiva europea, e la Commissione europea ha esaminato appena sei notifiche di iniziativa per il recepimento; da dodici Stati membri non è giunta alcuna notifica. Come sapete, il termine per il recepimento scadeva il 6 agosto 2006, e quindi ho deciso di avviare una procedura d’infrazione contro tutti gli Stati membri che non hanno ancora recepito questa importante direttiva dell’Unione europea.
In materia di assistenza e reintegrazione sociale, va anche ribadita l’esigenza di una stretta e costante cooperazione fra autorità pubbliche, autorità di polizia e ONG; mi sembra importantissimo che, per quanto riguarda la protezione e la reintegrazione delle vittime, si instauri una cooperazione stretta e permanente fra autorità pubbliche e settore privato.
In merito poi alle indagini, dopo le iniziative prese da Europol, occorre intensificare la cooperazione di polizia a livello internazionale tra le unità speciali degli Stati membri. Sto promuovendo e incoraggiando il rafforzamento e il miglioramento della cooperazione fra tutte le unità speciali nazionali impegnate nella lotta contro la tratta di esseri umani. Su questo punto, tuttavia, vorrei sottoporvi una riflessione. Per quanto riguarda le procedure giudiziarie, noto con disappunto che assai spesso le accuse formulate contro i criminali che sfruttano le vittime del traffico – per esempio per motivi sessuali – sono alquanto deboli, dal momento che si concentrano semplicemente sullo sfruttamento della prostituzione anziché sull’accusa più concreta e importante, ossia la riduzione delle vittime in condizioni di schiavitù. Tocca al pubblico ministero formulare le accuse, ma spero vivamente che giudici e magistrati adottino una linea ben più dura che in passato.
Vi sono inoltre le priorità della Commissione europea. Ho deciso di formare un gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani; tale gruppo si occuperà specificamente degli indicatori e dei criteri occorrenti per individuare le diverse forme di traffico legate allo sfruttamento della manodopera. Nel medesimo contesto, all’inizio del 2007 proporrò una legislazione europea che preveda sanzioni per i datori di lavoro che sfruttano i lavoratori clandestini, obbligandoli a condizioni di lavoro simili alla schiavitù.
Per quanto riguarda la tratta a fini di sfruttamento sessuale, tra breve elaboreremo un questionario mirante a valutare, fra l’altro, il possibile impatto di una nuova legislazione che infligga sanzioni penali a chi acquista servizi sessuali sapendo che la persona interessata è vittima della tratta; in merito a tale questionario mantengo perciò la promessa che vi avevo fatto.
Ma soprattutto è necessario combattere le cause fondamentali della tratta, tra cui la povertà, l’assenza di opportunità occupazionali, la violenza di genere e la discriminazione di genere. Tra breve, i miei dipartimenti ospiteranno un seminario interdipartimentale su questo tema, proprio per individuare con precisione i principali problemi che vanno emergendo.
Un ultimo punto importante è l’incremento della consapevolezza. La Commissione è favorevole a istituire una giornata contro la tratta di esseri umani, che potrebbe essere l’11 giugno; con tale iniziativa si vuole aumentare la visibilità dei problemi connessi alla tratta, nonché delle misure adottate per combatterla. La giornata sarà un appello alla cooperazione delle istituzioni pubbliche e della società civile, oltre che un’occasione per valutare la qualità e i risultati di tutte le azioni intraprese.
Simon Coveney (PPE-DE), relatore per parere della commissione per gli affari esteri. – (EN) Signor Presidente, per prima cosa vorrei congratularmi con il Commissario Frattini per il suo intervento assai positivo, ma anche per l’intero suo operato in questo campo. Egli si sta seriamente adoperando per imprimere un salto di qualità alla lotta contro la tratta, e tale merito gli va riconosciuto.
Desidero pure congratularmi con l’onorevole Bauer per la sua relazione. Non è stato facile elaborare questo documento, inserendo nella versione finale i diversi pareri di svariate commissioni parlamentari; a me è toccato il compito di redigere il parere della commissione per gli affari esteri sulla tratta di esseri umani, dedicato specificamente agli aspetti di questo problema che riguardano le relazioni esterne. Un folto numero di paragrafi e raccomandazioni provenienti dal parere da me stilato sono stati integrati nel testo della relazione, e ringrazio l’onorevole Bauer per la collaborazione che mi ha offerto a questo proposito.
Questa sera vorrei soffermarmi essenzialmente sugli aspetti di politica estera; la relazione sottolinea l’esigenza che gli Stati membri aderiscano alle convenzioni internazionali, in modo da contrarre l’obbligo concreto di affrontare i problemi connessi alla tratta. Il governo irlandese, per esempio, non ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, né il protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, allegato alla Convenzione stessa; sia la Convenzione che il protocollo sono stati ratificati da 121 paesi di tutto il mondo – tra cui gran parte dei paesi europei – ma sette Stati membri dell’Unione europea devono ancora ratificarli, e questo è davvero intollerabile.
La relazione invita poi gli Stati membri ad applicare la direttiva del Consiglio sui titoli di soggiorno, così da offrire alle vittime della tratta l’opzione della residenza temporanea. Si tratta di una misura assolutamente necessaria per introdurre una prospettiva diversa, che non consideri più le persone oggetto della tratta come immigrati clandestini, ma piuttosto come vittime di abusi; in tal modo, inoltre, le vittime cui sia garantito un trattamento equo e umano saranno incoraggiate a rivolgersi alla polizia.
Tra gli elementi fondamentali del parere formulato dalla commissione per gli affari esteri, c’è la richiesta che Commissione e Consiglio sollevino regolarmente il problema della tratta di esseri umani nel dialogo politico con i paesi terzi. Laddove appropriato, dovranno essere fatte valere le clausole sui diritti umani contenute negli accordi stipulati dall’Unione europea con tali paesi, per esprimere le nostre preoccupazioni relative alla tratta. In varie regioni del mondo risulta ormai chiaro che le pressioni esercitate dai governi, dalle organizzazioni internazionali e dalle ONG cominciano ad avere il loro effetto sull’atteggiamento con cui si considera la tratta. All’Unione europea spetta la responsabilità di portare all’attenzione di tutti – con la massima decisione e con ogni mezzo disponibile – l’incessante scandalo di quella che in pratica è la schiavitù dell’era moderna.
L’Europa deve dare l’esempio, se vuole che le altre parti del mondo seguano la sua guida. Non sono affatto convinto – e l’intervento del Commissario ha rafforzato la mia opinione – che i governi dell’Unione stiano affrontando questo problema con la dovuta serietà. Quest’atteggiamento deve cambiare, e la relazione che stiamo discutendo è un passo nella direzione giusta.
Jean Lambert (Verts/ALE), relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. – (EN) Signor Presidente, anch’io desidero ringraziare la relatrice per l’ottimo lavoro che ha compiuto su questa relazione. Com’è stato ricordato, io ho redatto il parere della commissione per l’occupazione, da noi dedicato alla situazione delle persone vittime di una tratta che le utilizza come manodopera. In effetti, uno degli aspetti più apprezzabili di questa relazione è, a mio avviso, la lucidità con cui essa individua l’ampio ventaglio di motivazioni che stanno alla base della tratta di esseri umani.
La mia commissione accoglie con particolare favore l’impostazione basata sui diritti umani del piano d’azione integrato, e riconosce la necessità di porre l’accento – come ha detto il Commissario – sul lavoro e i servizi forzati, nonché sulla schiavitù e i risultati schiavistici della tratta di esseri umani. Solo da poco, purtroppo, abbiamo avuto le prove di questi risultati schiavistici: lavoratori che non possono scegliere quando, dove o come lavorare, privi di diritti e costretti a dimorare in un alloggio obbligato; sottoposti a maltrattamenti fisici, privi di cure mediche, senz’acqua nella calura dell’estate, persone che talvolta vengono persino lasciate morire, com’è avvenuto a Morecombe Bay nel Regno Unito.
Nell’esaminare le cause di questa situazione, la nostra commissione si è soffermata sul problema della domanda, notando che nell’Unione europea la domanda di lavoratori a basso costo, remissivi e senza documenti alimenta il commercio clandestino di esseri umani; la commissione ritiene che l’esistenza di questa forza lavoro possa spingere al ribasso i costi, ma a scapito della dignità umana e pregiudicando inoltre gli standard lavorativi, le misure in materia di salute e sicurezza, l’equità della retribuzione nonché il reddito locale e/o nazionale per la mancata corresponsione di imposte e contributi sociali.
Apprezziamo l’invito, formulato nella relazione, a esaminare, per esempio, l’attività alquanto sospetta di quelle agenzie di collocamento che si occupano sia di cittadini dell’Unione europea che di paesi terzi, e che spesso fungono da paravento per le forme schiavistiche che abbiamo ricordato. Stimiamo necessario applicare la legislazione sul lavoro vigente e mettere in rete le informazioni provenienti dagli ispettorati del lavoro per inserirle nella sfera delle informazioni di polizia allo scopo di bloccare o smantellare la tratta; in questo quadro, anche la formazione sembra essere una dimensione importante dell’attività degli ispettorati.
Riconosciamo anche l’importanza delle buone prassi da parte delle aziende per un autentico rispetto delle norme in ogni fase del processo, e riconosciamo altresì l’utile contributo che reti, sindacati e datori di lavoro seri possono offrire per prevenire la tratta e assistere le vittime.
Parlando a titolo personale, apprezzo moltissimo l’azione che il Commissario afferma di voler intraprendere in tema di permessi di residenza temporanei; mi rammarico invece per la posizione assunta dal mio paese, per esempio, che considera le vittime – come ha detto l’onorevole Coveney – più come immigrati clandestini che come vittime. La polizia ci informa che le persone espulse ricadono ripetutamente nel vortice della tratta, si trovano in un circolo vizioso, e non vengono considerate individui vulnerabili e neppure potenziali fonti di informazioni.
Accolgo con grande soddisfazione l’intervento del Commissario e la relazione stessa, cui mi auguro faccia seguito un’azione decisa.
Maria Carlshamre (ALDE), relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. – (EN) Questa relazione è il frutto della cooperazione rafforzata – in base all’articolo 47 – fra due commissioni parlamentari, quella per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni e quella per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. Anch’io quindi ne sono parzialmente responsabile, in particolare per le parti che riguardano la tratta di donne e ragazze a fini di sfruttamento sessuale.
Diciassette anni: è questa l’età della tipica vittima della tratta in Europa. E’ una ragazzina che finisce in un bordello, o in un cosiddetto servizio di accompagnatrici in Germania, in Austria o nei Paesi Bassi.
Diciassette anni: è da tutto questo tempo che il Parlamento discute il problema della tratta, producendo documenti in materia. Secondo alcuni dovremmo attenerci a quanto l’Assemblea ha fatto sinora, ma io dico invece che dobbiamo smetterla con le idee campate in aria, i discorsi a vuoto e le risoluzioni, e deciderci finalmente ad affrontare la questione con spirito pratico.
In primo luogo dobbiamo individuare il nemico: si tratta della criminalità organizzata. Mentre noi discutevamo, costoro hanno cambiato programmi e interessi, passando da armi e droga alla più redditizia compravendita di esseri umani da destinare all’industria del sesso. Stiamo parlando di beni e prodotti commerciali; stiamo parlando di veri e propri mercati, in cui ragazzine nude vengono vendute al miglior offerente; stiamo parlando di ragazze che vengono vendute all’età di diciassette anni, e a venti vengono gettate via perché non valgono più niente. Ho parlato con queste ragazze, che mi hanno narrato storie di orrore inconcepibile: venivano stuprate quattordici volte al giorno. Vogliamo porre fine a tutto questo, o preferiamo continuare a discutere? L’industria della criminalità organizzata trae alimento dalla domanda di uomini comuni, che ritengono di avere il diritto di comperare il corpo di una ragazzina al prezzo più basso possibile.
Alcuni affermano che la tratta di donne e ragazze a fini di sfruttamento sessuale è già considerata un reato, mentre la prostituzione è una semplice transazione commerciale fra adulti consenzienti. Però più del 90 per cento delle ragazze coinvolte nell’industria del sesso in Germania, in Austria e nei Paesi Bassi, dove la prostituzione è legale, provengono dall’estero. Come si può essere certi che queste ragazze facciano volontariamente quello che fanno? Come si può essere sicuri che esse non sorridano solo perché sanno che qualcuno, in patria, minaccerà le loro famiglie se non ubbidiscono? Se questo vi sembra un lavoro come un altro, perché mai non volete che lo faccia vostra figlia? O magari vostra moglie? La domanda degli uomini che vogliono acquistare sesso è anch’essa una delle forze motrici dell’industria della tratta.
Se siete d’accordo con me sulla necessità di agire in maniera davvero concreta contro la tratta, vi chiedo di seguire il mio esempio e di votare domani contro gli emendamenti nn. 23, 24 e 25.
Commissario Frattini, le sono grata per il suo lavoro, ma stiamo ancora aspettando lo studio relativo all’impatto delle leggi europee in materia di prostituzione sul numero di vittime della tratta; per individuare la prassi migliore è di questo che abbiamo bisogno.
Carlos Coelho, a nome del gruppo PPE-DE. – (PT) La tratta di esseri umani è la forma moderna della schiavitù; non è un fenomeno recente, ma negli ultimi anni si è diffuso assumendo proporzioni allarmanti. L’OIL, per esempio, stima che in tutto il mondo i lavoratori forzati siano circa due milioni e mezzo.
La tratta di esseri umani è al terzo posto tra le forme di traffico più redditizie – dopo il commercio di droga e quello di armi – e si traduce nello sfruttamento sessuale che è già stato ricordato in questa sede, ma anche nel lavoro in condizioni abusive, nel lavoro domestico forzato, nelle adozioni illegali, nell’accattonaggio forzato e nella vendita di organi.
La lotta contro la tratta di esseri umani rappresenta dunque una delle priorità più importanti sia a livello comunitario, sia a livello internazionale. Il gruppo PPE-DE si congratula con l’onorevole Edit Bauer per l’ottima relazione che ci ha presentato; concordiamo sulla necessità di sviluppare una politica europea coerente per combattere con efficacia la tratta di esseri umani in tutti i suoi aspetti, da quelli relativi ai paesi di origine, di transito e di destinazione fino a quelli riguardanti il reclutamento, il trasporto, lo sfruttamento, nonché gli intermediari, i clienti e i beneficiari. Occorrerà assicurare protezione alle vittime e ai testimoni, promuovendo altresì strategie di prevenzione.
La tratta di esseri umani è inammissibile e non può essere agevolata dall’esistenza di lacune legislative; la legislazione dev’essere chiara, deve coprire tutti gli aspetti del problema e tutti gli Stati membri devono applicarla correttamente. Occorrerà creare una piattaforma legislativa che serva da base a una cooperazione più intensa a livello internazionale, e non posso fare a meno di stigmatizzare la lentezza con cui si procede alla ratifica e all’applicazione di diversi strumenti internazionali, come le convenzioni delle Nazioni Unite. Esorto gli Stati membri che non l’hanno ancora fatto ad adottare con la massima rapidità le misure necessarie, ed elogio il Commissario Frattini per le sue dichiarazioni di oggi e per la sua volontà di avviare procedure di infrazione nei confronti di quegli Stati membri che sono in ritardo nel recepimento delle direttive comunitarie.
Inger Segelström, a nome del gruppo PSE. – (SV) Signor Presidente, Commissario Frattini, onorevoli colleghi, inizio ringraziando l’onorevole Bauer per la sua eccellente relazione e la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni per la sua costruttiva cooperazione nonché per la cooperazione rafforzata con la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere; ringrazio anche il Commissario Frattini.
Faccio parte del Parlamento europeo da due anni e mezzo, e in questo periodo la tratta di esseri umani ha assunto un rilievo sempre maggiore nell’agenda politica, non solo in seno alla nostra Assemblea ma anche negli Stati membri e tra i cittadini europei; questo è un buon inizio. Sono lieta di constatare che oggi ci troviamo uniti nella condanna della tratta di esseri umani, come del resto era già avvenuto in occasione della Coppa del mondo di calcio; noto con soddisfazione che ora teniamo conto anche di altri aspetti della tratta di esseri umani, e che abbiamo stabilito con precisione che il fenomeno di cui ci occupiamo è in realtà un moderno commercio di schiavi, le cui vittime sono per l’80 per cento donne e bambini.
Mi preoccupa invece la carente analisi della sorte che attende donne e bambini dopo il loro ingresso nell’Unione europea; non serve a nulla indignarsi per il traffico transfrontaliero se chiudiamo gli occhi di fronte a quanto avviene poi nell’Unione europea, o non vogliamo parlarne. Chi acquista servizi sessuali compra indiscriminatamente donne e bambini nell’ambito di un mercato comunitario altrettanto indiscriminato. In tutte le occasioni in cui ho incontrato le donne vittime del traffico, esse mi hanno detto di essere state comperate e poi rivendute nel giro della prostituzione, per essere ininterrottamente offerte ai clienti per tutto l’anno in molti paesi dell’Unione europea; questo è stato possibile perché noi, nell’Unione europea, non osiamo ancora parlare di queste donne e di questi bambini, che pure anche in questo momento si trovano tra di noi. E’ ormai giunta l’ora di cambiare atteggiamento, e per prima cosa dobbiamo acquisire maggiori conoscenze. Il fatto che il 50 per cento delle persone vendute sul mercato della prostituzione sia costituito da bambini è scandaloso; dobbiamo vergognarci ogni giorno di non fare di più, poiché noi, nell’Unione europea, siamo responsabili dei diritti dei bambini.
Posso comunicarvi con orgoglio che noi del gruppo PSE abbiamo aggiunto un accordo sui criteri con cui procedere nell’azione: vogliamo fissare obiettivi, svolgere studi e acquisire informazioni più vaste, e poi forse potremo giungere a definire le esigenze di breve e lungo termine. Se i colleghi degli altri gruppi politici desiderano conoscere la nostra attività, posso dire che stiamo preparando un dibattito sui vari metodi possibili per stroncare la tratta di persone negli Stati membri, per esempio tramite la legalizzazione della prostituzione oppure – come in Svezia – per mezzo di una legge che vieti l’acquisto di servizi sessuali. Perché mai il gruppo PPE-DE ha timore degli studi elaborati dalle università? Mi piacerebbe saperlo.
Stasera opporsi semplicemente alla tratta di persone equivale a dire che il Parlamento europeo è preoccupato per questo problema. Tuttavia stiamo nascondendo la testa nella sabbia come gli struzzi, e non ci assumiamo la responsabilità di ciò che avviene a tutte le donne e ai bambini che vengono sfruttati in questo stesso istante nei nostri paesi. Molti accusano l’Unione europea di limitarsi quasi solamente a parlare, mentre dovremmo fissare obiettivi pratici; il gruppo PSE e io vogliamo quindi proporre all’Unione l’obiettivo di dimezzare, nel giro di dieci anni, il numero delle vittime della tratta di esseri umani.
Il gruppo PSE inoltre sostiene gli emendamenti dal n. 1 al n. 22 e il considerando P; ci asterremo nella votazione sul considerando O, poiché non intendiamo prendere posizione, né favorevole né contraria, in merito a un singolo studio; sull’emendamento n. 25 lasceremo libertà di voto. Da parte mia, voterò a favore del paragrafo 1, comma al, e contro l’emendamento n. 25, in base alla mia esperienza politica in merito all’atteggiamento prevalente in Svezia nei confronti del commercio sessuale e della prostituzione. Ora la cosa più importante è giungere a una riduzione del 50 per cento della tratta di esseri umani, e svolgere nel 2007 lo studio previsto nell’Unione europea. Ringrazio per questo dibattito tutti i miei concittadini, e ringrazio pure tutti coloro che hanno partecipato al dibattito in Assemblea, insieme al Presidente e al Commissario Frattini.
Margrete Auken, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DA) Signor Presidente, pronuncerò un discorso diverso da quello che avevo preparato, dal momento che gran parte di ciò che volevo dire è già stato detto. Questo è un dibattito proficuo, in cui dobbiamo sottolineare la necessità di affrontare questo problema sia tramite la ratifica delle convenzioni, sia per mezzo di un intervento diretto sulle più gravi disuguaglianze sociali. Permettetemi però di notare che far ratificare le convenzioni non basta; occorre anche applicarle. Posso dirvi che, anche nella sola Danimarca, le risorse stanziate per combattere il commercio sessuale sono troppo scarse. Le indagini non sono sufficienti, e le donne che rimangono vittime di questo traffico dispongono di trenta giorni appena prima di essere cacciate dal paese; non c’è abbastanza tempo né per fornire loro l’aiuto di cui hanno bisogno, né per affrontare in alcun modo il problema. Ci chiediamo allora se tutto ciò non dipenda in realtà dal fatto che accettiamo l’esistenza di una tratta di donne e bambini. Su questo punto sono d’accordo con gli svedesi: è dimostrato che, dove esiste un mercato, l’esistenza di questo fenomeno viene accettata senza problemi e fatalmente si crea una situazione più favorevole per i criminali. Costoro, insieme alle loro vittime, possono accedere con estrema facilità a un mercato già ben funzionante; se non si contrasta tale situazione, non credo che riusciremo a stroncare questo traffico.
E’ necessario tenere questo dibattito, perché è di capitale importanza prendere l’iniziativa su questo problema. Come ho detto, personalmente sostengo la proposta svedese, ma sono anche del tutto aperta ad altri suggerimenti, purché sia chiaro che non abbiamo bisogno solo di ratifiche ma anche di un approccio diverso; inoltre occorre stanziare dei fondi per fornire aiuti concreti, poiché altrimenti – come ha già notato la collega svedese che mi ha preceduto – sapremo offrire solo parole e poco altro. Posso dirvi che anche i traguardi meglio elaborati sono di scarso aiuto per le vittime della tratta, in mancanza di un adeguato intervento delle autorità, di volontà politica e di un sufficiente impegno; mi auguro che su questo punto sapremo essere tutti d’accordo.
Bairbre de Brún, a nome del gruppo GUE/NGL. – (L’oratore ha parlato in irlandese )
(EN) Signor Presidente, ringrazio la relatrice Edit Bauer per il notevole lavoro che ha compiuto sulla serie di proposte contenute nelle raccomandazioni per un approccio integrato alla lotta contro la tratta di esseri umani. Dal momento che siamo di fronte a un fenomeno in espansione, è necessario adottare un approccio integrato che sottolinei l’importanza della prevenzione nonché il punto cruciale della riduzione della domanda.
Noto con soddisfazione che la relazione esorta gli Stati membri e il Consiglio ad adottare per questo problema un approccio sempre più decisamente fondato sui diritti umani e sull’uguaglianza, oltre che imperniato nettamente sulla figura della vittima. E’ essenziale affrontare la tratta come una questione di diritti umani, anziché considerarla essenzialmente un problema di controllo delle frontiere: la tratta significa in primo luogo sfruttamento, non immigrazione clandestina. E’ inaccettabile che in alcuni paesi non esistano disposizioni di legge per garantire titoli di soggiorno alle vittime della tratta, mentre in altri, dove tali disposizioni esistono, sono legate alla cooperazione della vittima con la polizia. E’ chiaro che alcune vittime, troppo traumatizzate dall’esperienza subita, non sono in grado di fornire informazioni utili.
Anch’io apprezzo le osservazioni che il Commissario ci ha proposto questa sera; mi sembra che egli abbia sottolineato l’esigenza, da gran tempo sentita, di un’azione da parte dei governi, compreso quello del mio paese.
La relazione contiene misure importanti per la protezione delle vittime, e indica la portata delle misure di protezione necessarie, da includere e finanziare nell’ambito di qualsiasi piano d’azione e della relativa applicazione, di cui dovranno costituire un elemento di rilievo. Concordo con altri colleghi intervenuti: è giusto ratificare convenzioni, è giusto varare piani d’azione, ma per essere sicuri che tutto funzioni dobbiamo controllare concretamente l’azione stessa.
Individuare le vittime della tratta è, naturalmente, un fattore essenziale per garantire loro i servizi di cui hanno bisogno; per coloro che vengono in contatto con immigrati privi di documenti è quindi importante la formazione. La relazione segnala pure l’esigenza di adottare misure a tutela non solo delle vittime dello sfruttamento sessuale, ma anche dello sfruttamento sul lavoro e di altre forme di tratta.
I governi europei devono comprendere che l’introduzione di misure a tutela dei diritti dei lavoratori, per proteggere i lavoratori immigrati, è parte integrante della lotta contro la tratta. A mio avviso dobbiamo tener conto non solo della Convenzione del Consiglio d’Europa sull’azione contro la tratta degli esseri umani, ma anche della Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie; anche quest’ultima deve costituire un elemento essenziale della lotta contro il traffico di esseri umani.
Irena Belohorská (NI). – (SK) Accolgo con favore quest’importante relazione e ringrazio l’onorevole Bauer per il suo lavoro; sono lieta che alcuni emendamenti da me proposti siano stati accolti dalla sottocommissione per i diritti dell’uomo, e confido che anch’essi abbiano contribuito alla qualità della relazione.
La tratta di esseri umani è una delle attività criminali più sofisticate, meglio organizzate e più redditizie; si tratta di un problema che non riguarda solo i paesi in via di sviluppo, ma anche l’Unione europea. Nei miei emendamenti mi sono concentrata sul fatto che le vittime di abusi sessuali e della tratta dei esseri umani sono in gran parte minori – provenienti cioè dal segmento più vulnerabile della popolazione. Per esempio, il consenso di un minore alla prostituzione non si può considerare alla stessa stregua del consenso di una persona adulta e consapevole delle conseguenze del proprio comportamento. Su questo tema sono stati firmati molti accordi e trattati internazionali; numerosi Stati non hanno però ratificato tali strumenti e quelli che li hanno ratificati non li applicano, rendendoli in tal modo irrilevanti.
In occasione delle conferenze internazionali cui partecipano i vari Stati, tutti concordiamo sulla necessità di applicare questi documenti, sottoscritti del resto da tutti noi; ma quest’impegno si esaurisce spesso con l’ultimo giorno della conferenza e lo status quo rimane immutato. Oltre a soffermarci sul rapporto fra cliente e vittima, dobbiamo concentrare la nostra attenzione sui datori di lavoro, soprattutto nei paesi che non impongono requisiti in materia di visti. Bisogna instaurare una cooperazione fra i tre elementi di questo fenomeno: paesi d’origine, paesi di transito e paesi di destinazione. E’ necessario controllare l’attività e l’affidabilità delle agenzie di collocamento, comprese quelle che dovrebbero reclutare solo lavoratori stagionali.
Le aziende che impiegano manodopera a basso costo ottenuta per mezzo della tratta di esseri umani vanno punite con la massima severità. Non bastano le ispezioni presso le strutture che forniscono servizi sessuali; sarebbe auspicabile aggiungere ispezioni amministrative alle sanzioni previste dal diritto penale. Gli stanziamenti di cui dispongono le organizzazioni non governative che si occupano di diritti politici sono di gran lunga più cospicui di quelli forniti alle ONG attive nel settore della tratta di esseri umani o dei diritti delle donne; purtroppo, questa situazione sembra riflettere la scala di priorità che gli Stati membri si sono dati.
Kinga Gál (PPE-DE). – (HU) Signor Presidente, devo congratularmi con l’onorevole Edit Bauer che ha affrontato questa penosa e gravissima questione con encomiabile impegno e grande competenza professionale; nel voto di domani sosterremo la sua proposta senza riserve. Un ringraziamento va anche al Commissario Frattini, il cui impegno non è stato meno intenso. Un impegno incessante è infatti indispensabile, dal momento che la tratta di esseri umani – e specialmente di donne e bambini – dagli anni ’90 in poi ha conosciuto un incremento che ne ha fatto uno dei fenomeni più allarmanti a livello globale.
Senza dubbio, tutti abbiamo appreso dati sconvolgenti: li abbiamo uditi e discussi oggi stesso. Mi rattrista in particolare il fatto che il 40-50 per cento delle vittime sia costituito da bambini; secondo le stime dell’UNICEF, ogni anno un milione di minori rimane coinvolto nella tratta internazionale.
Alle radici del problema c’è, tra le altre cose, la disperata situazione dei paesi di origine, ma dobbiamo ammettere che il principale motore di questo traffico è la domanda. I trafficanti di esseri umani non avrebbero successo se nei paesi di destinazione non vi fosse una domanda così estesa di donne e bambini da sfruttare, ossia di manodopera a basso costo.
Non importa che praticamente tutto il mondo condanni lo sfruttamento sessuale o la schiavitù dei bambini, e che le forze di polizia dei singoli paesi si sforzino invano di smantellare le organizzazioni dei pedofili, se in realtà la tratta di esseri umani conserva dimensioni ampiamente internazionali. Dobbiamo quindi potenziare la cooperazione transfrontaliera per proteggere le vittime, assicurare efficacemente i colpevoli alla giustizia ed elaborare metodi complessivi di prevenzione.
Attualmente nell’Unione europea la tratta di esseri umani è l’attività criminale in più rapida crescita. La lotta contro la tratta di donne e bambini ha anche una connotazione morale, e a mio avviso abbiamo indubbiamente il dovere di combatterla; è triste dover constatare che il nostro Parlamento discute di questo problema in un’Aula dai banchi semideserti, perché credo che il fenomeno ci riguardi tutti, dal momento che sono in gioco i nostri figli.
Francisco Assis (PSE). – (PT) La tratta di esseri umani è un crimine ignobile, che degrada in maniera particolarmente insidiosa la stessa condizione umana. Purtroppo è divenuta una delle attività più redditizie della criminalità organizzata internazionale e colpisce ogni anno centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, incidendo specialmente sulle più vulnerabili: poveri, donne, bambini.
La lotta contro questo flagello costituisce una priorità improrogabile. Per condurre al successo questa lotta è necessario potenziare la cooperazione internazionale nei settori delle indagini, dello scambio di informazioni, dell’identificazione delle vittime, dell’applicazione del diritto e della reintegrazione. A tale proposito, gli Stati membri che ancora non l’hanno fatto devono affrettare il processo di ratifica e applicazione delle molteplici convenzioni internazionali vigenti, che possono offrire un decisivo contributo al progressivo sradicamento di quest’attività criminosa assolutamente intollerabile.
L’Unione europea deve inoltre impegnarsi più intensamente nella promozione di iniziative tese a eliminare le cause di questo traffico ripugnante, offrendo un reale ed efficace sostegno ai paesi più deboli, da cui ha origine gran parte della tratta.
Tutti noi, riuniti qui oggi a discutere questo problema, dobbiamo considerare lucidamente le enormi difficoltà della lotta che dobbiamo combattere insieme; ma dobbiamo anche ricordare che ci stiamo battendo in difesa della dignità umana, e proprio per tale motivo, onorevoli colleghi, non vi sono battaglie più urgenti di questa.
Leopold Józef Rutowicz (NI). – (PL) Signor Presidente, la tratta di esseri umani è una grande sfida per il ventunesimo secolo. Battendosi per la dignità umana e per arginare questo fenomeno, organizzazioni nazionali e internazionali hanno firmato una serie di dichiarazioni, convenzioni e direttive, applicando pure numerosi piani d’azione. Come ha osservato la relatrice, tali piani d’azione possono forse limitare la tratta di esseri umani nel senso più vasto, ma non ne eliminano le cause.
Queste cause sono la disoccupazione e la fame, la povertà che colpisce larghi strati sociali, gli alti costi indiretti del lavoro, la concorrenza e il desiderio di massimizzare i profitti. Tutto ciò incoraggia il lavoro illegale e consente alle comunità locali di chiudere gli occhi sul lavoro schiavistico (come avviene nei dintorni della città italiana di Foggia), sugli abusi sessuali, i conflitti etnici e le guerre.
Questa relazione può servire da base all’elaborazione di un programma che preveda ulteriori azioni in campo economico, giuridico, politico, educativo, informativo e istituzionale; l’applicazione di tale programma limiterebbe la tratta di esseri umani, cioè un’attività criminale che lede i principi della democrazia e la dignità umana.
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, la relazione dell’onorevole Bauer non ci offre soltanto un’approfondita analisi di questa drammatica situazione, ma anche proposte di ampio respiro sulle strategie più opportune per combattere efficacemente la tratta di esseri umani, cioè una delle forme più crudeli della criminalità organizzata. Sostengo queste proposte, che vanno dal miglioramento del quadro giuridico alle misure per la riduzione della domanda, e da provvedimenti per la protezione delle vittime fino a proposte per migliorare il coordinamento delle varie misure prese a livello nazionale ed europeo.
Propongo però di apportare qualche correzione su alcuni punti, in modo da prescrivere dettagliatamente agli Stati membri le misure da adottare per la protezione delle vittime, in materia di accesso al mercato del lavoro, all’alloggio, all’istruzione e così via, a prescindere dall’eventuale disponibilità delle vittime a collaborare con le autorità. A questo proposito gli Stati membri devono individuare misure adeguate per la protezione delle vittime, cioè misure che non producano il risultato di consegnare nelle mani dei trafficanti di esseri umani un numero ancora maggiore di vittime.
Inoltre, ringrazio in particolare il Commissario Frattini, che ha proposto misure assai concrete e sostenibili. Approvo senza riserve la sua volontà di minacciare conseguenze per quegli Stati membri che finora non hanno recepito tempestivamente direttive, regolamenti e anche convenzioni internazionali pertinenti – atteggiamento che è chiaramente inaccettabile. Alle direttive delle Nazioni Unite e dell’Unione europea devono finalmente seguire le azioni concrete degli Stati membri.
Andrzej Jan Szejna (PSE). – (PL) Signor Presidente, desidero anzitutto congratularmi con la relatrice, che ha affrontato una questione importantissima, di grande rilevanza politica e sociale.
La tratta di esseri umani è un problema di portata globale, una forma moderna di schiavitù che viola diritti umani fondamentali; la tratta di donne e bambini è un aspetto particolarmente tragico di questo fenomeno. Desidero dedicare il mio intervento agli aspetti economici del problema.
Bisogna sottolineare il fatto che la tratta di esseri umani è alimentata sia dall’offerta che dalla domanda. In contrasto con i livelli di sviluppo economico e sociale che si registrano in Europa, alcuni paesi in via di sviluppo offrono ben misere prospettive dal punto di vista economico e sociale, mentre la disoccupazione è alta e la povertà sempre più acuta. Tali fattori contribuiscono a creare una situazione di cui la criminalità organizzata può facilmente approfittare con la tratta di esseri umani.
Tuttavia, dobbiamo ricordare che anche la domanda di lavoratori a basso costo, senza documenti e remissivi – che si registra nell’Unione europea – contribuisce alla tratta illegale di esseri umani, dal momento che l’utilizzo di tale forza lavoro può ridurre i costi; ma ciò avviene a spese della dignità umana e pregiudica gli standard lavorativi, le misure in materia di salute e di sicurezza, l’equità della retribuzione nonché il bilancio locale e nazionale per la mancata corresponsione di imposte e contributi sociali.
Tra le forme di criminalità organizzata presenti nell’Unione europea, la tratta di esseri umani è quella che fa registrare l’incremento più rapido; le misure adottate per contrastarla non hanno prodotto finora risultati tangibili.
La lotta contro questo fenomeno presenta evidenti difficoltà, ma l’Unione europea deve agire con decisione. Per tale motivo dobbiamo adottare senza riserve la relazione in esame, che offre un approccio integrato, insieme al piano d’azione proposto.
Ivo Belet (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, donne e bambini sono le categorie più vulnerabili alla tratta di esseri umani, e malauguratamente il mondo dello sport non è senza colpe a questo riguardo. Sempre più spesso le società sportive professionistiche tendono ad attirare giocatori sempre più giovani – africani soprattutto – per l’ovvio motivo che possono assicurarseli a prezzo bassissimo o addirittura gratuitamente. Molte volte, però, questi giocatori vengono semplicemente abbandonati lungo la strada, e devono darsi alla clandestinità; è un fenomeno che riceve scarsissima attenzione.
Nel nostro progetto di relazione sul futuro del calcio professionistico in Europa chiediamo che la Commissione si occupi di questo problema nell’ambito della decisione quadro del Consiglio sulla lotta contro la tratta di esseri umani. Signor Commissario, dal momento che questa decisione afferma senza mezzi termini che lo sfruttamento dei bambini è un reato punibile, noi vogliamo che gli Stati membri introducano pesanti sanzioni contro di esso. Posso ricordarvi a questo proposito gli accordi stipulati due anni fa in occasione del Vertice dell’Aia? Il Consiglio europeo allora raccomandò l’adozione di un piano ai fini dell’elaborazione di norme comuni, migliori pratiche e meccanismi destinati a prevenire e contrastare la tratta di esseri umani.
Devo far notare al Commissario Frattini che questo problema sta diventando ogni giorno più urgente e acuto, in quanto alcuni club professionistici di calcio cercano di aggirare o svuotare di significato la cosiddetta “norma sui vivai”, attirando nell’Europa occidentale, o generalmente in Europa, giocatori sempre più giovani. Ciò comporta spesso lo spostamento di intere famiglie, molti membri delle quali vengono poi abbandonati a se stessi.
Aggiungo che noi sosteniamo senza riserve la norma sui vivai, che è già stata applicata dall’UEFA, in quanto essa incoraggia la formazione dei giovani calciatori; inoltre, a giudicare dalle prime discussioni avvenute in seno alle commissioni parlamentari, sembra che la norma sui vivai riscuota un ampio consenso nella nostra Assemblea. Quali che siano le nostre intenzioni, non dobbiamo mettere a repentaglio l’applicazione di questa misura, e per questo vi esorto a sostenere l’emendamento che ho presentato in proposito insieme alla relatrice; il mio invito, naturalmente, è rivolto ai colleghi in Parlamento, ma anche alla Commissione e ai ministri.
Justas Vincas Paleckis (PSE). – (LT) Desidero ringraziare la relatrice per l’importantissimo lavoro che ha compiuto.
Da molto tempo l’Europa può fieramente proclamare che la schiavitù è stata eliminata nel nostro continente prima che in tutti gli altri. Purtroppo, essa ora ritorna in forme diverse ma ugualmente ripugnanti, suscita sdegno e angoscia ma – per ironia – reca pure con sé enormi profitti.
Qual è il nostro compito più urgente? Dobbiamo coordinare meglio le azioni dell’Unione europea e di tutti i paesi vicini, eliminare le scappatoie giuridiche che permettono ai responsabili di sfuggire alla giustizia e rimanere impuniti, consegnare a tutti i deputati al Parlamento europeo una specie di “lista nera” degli Stati che hanno omesso di ratificare le convenzioni delle Nazioni Unite sulla tratta di esseri umani, e infine redigere un codice di condotta per i funzionari di Istituzioni e organismi europei, che potrebbe rivelarsi utile anche per alcuni colleghi.
Dobbiamo informare chiaramente i nostri cittadini – soprattutto quelli dei nuovi Stati membri dell’Unione – del rischio, che può incombere su di loro, di diventare preda dei trafficanti di esseri umani. Le vittime di questi criminali devono avere non solo il coraggio, ma anche il diritto di rivolgersi a istituzioni governative senza temere l’espulsione.
Presidente. La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.
Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)
Alessandro Battilocchio (NI). – Ho lavorato come relatore per la commissione sviluppo sullo Strumento finanziario per la Democrazia e i Diritti umani, insieme ai colleghi dell’AFET. La nostra Commissione ha votato un emendamento che inserisce la lotta alla tratta dei bambini e delle donne, che rappresentano la quasi totalità del fenomeno, tra le azioni finanziabili con questo strumento, per aiutare soprattutto i Paesi da cui proviene il traffico a lottare contro questa ignobile pratica.
Ma pochi progetti, anche se ben mirati, non sono sufficienti a combattere un fenomeno che riguarda più di un milione di vittime l’anno, soprattutto donne, ragazze e bambini. Un quadro giuridico di regolamentazione della prostituzione, una stretta collaborazione tra gli Stati Membri e soprattutto con i Paesi da cui maggiormente provengono le vittime, così come pene severissime per chi favorisce questo traffico, sono strumenti necessari per cercare di arrestare questa piaga. Ma occorre anche attuare una forte campagna di dissuasione e sensibilizzazione per tutti i cittadini europei che alimentano il commercio di persone, in primis attraverso il turismo sessuale.
In ultimo, vorrei dare il mio sostegno alle proposte della commissione di azioni che vanno a sostegno delle vittime, aiutandole ad uscire allo scoperto, a denunciare e a potersi riabilitare nella società europea.
22. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale