Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sulla relazione (A6-0365/2006), presentata dall’onorevole Herrero-Tejedor a nome della commissione per la cultura e l’istruzione, sul Libro bianco su una politica europea di comunicazione [2006/2087(INI)].
Luis Herrero-Tejedor (PPE-DE), relatore. – (ES) Signor Presidente, quando il Commissario, signora Wallström, ha presentato al Parlamento europeo il Libro bianco su una politica di comunicazione europea e ho appreso che avrei avuto l’onore di essere il relatore incaricato della relazione su quel Libro bianco, un mio amico giornalista che lavora qui, al Parlamento europeo, mi ha detto che la cosa migliore che avrei potuto fare era pubblicare una relazione brevissima, di una sola frase, vale a dire “Commissario Wallström, questo Libro bianco può essere usato solo come carta da pacchi perché, sebbene le sue intenzioni siano lodevoli, è assolutamente inutile”.
Io gli ho risposto: “Penso che tu sia un po’ ingiusto. Credo infatti che il Commissario Wallström si stia adoperando per creare una politica di informazione e comunicazione valida. Inoltre, a rischio di essere tacciato di ingenuità, in più occasioni mi ha dimostrato che quello è il suo obiettivo. Il problema è che attualmente non esistono le condizioni per poter articolare una siffatta strategia di informazione e comunicazione nell’Unione europea”.
Perché? Perché attualmente non esiste una base giuridica per strutturare tale politica e, dunque, per intraprendere azioni e controllarle adeguatamente.
Facciamo pertanto un passo avanti – e questo è l’approccio che ho adottato nel preparare la presente relazione – cercando di cambiare la situazione in cui ci troviamo, in quanto, ogni volta che ci riuniamo per parlare della strategia di informazione e comunicazione, formuliamo tutta una serie di raccomandazioni generiche che non portano a nulla. Proviamo a creare quello che ancora non abbiamo. Definiamo quella base giuridica indispensabile per agire, in futuro, in maniera molto più efficace.
Approfondendo tale aspetto, ho scoperto che esiste una sola formula per creare una base giuridica: l’applicazione dell’articolo 308 del Trattato.
Quando mi sono state spiegate le circostanze in cui sarebbe possibile applicare detto articolo, ho avuto la tentazione di rispondere: “E’ impossibile, non riusciremo a farlo”. Occorrono tre condizioni concomitanti che è molto difficile riunire. Primo: la Commissione deve formulare la richiesta; secondo: occorre che il Parlamento sia d’accordo; terzo condizione più difficile, è necessario che il Consiglio dia la sua approvazione unanime.
Ho parlato con il Commissario Wallström e mi ha detto che la Commissione era d’accordo. Ho consultato tutti i relatori ombra e mi hanno riferito che il Parlamento sarebbe potuto essere d’accordo. In seno al gruppo interistituzionale, abbiamo avuto la possibilità di ascoltare il parere del ministro che in quella occasione rappresentava il Consiglio, il quale ci ha detto che non era in grado di garantire l’unanimità del Consiglio poiché era un impegno che non poteva assumersi, ma poteva perlomeno affermare di ritenere che tale unanimità fosse potenzialmente raggiungibile.
Ora coesistono dunque tutti gli elementi, ma è molto improbabile che tale situazione favorevole si riproponga in futuro. In politica, la cosa più importante è saper sfruttare le condizioni createsi in un determinato momento.
Attualmente abbiamo un’opportunità che probabilmente non si ripresenterà, un’opportunità straordinaria di migliorare le cose creando una base giuridica, che certo non rappresenta la panacea di tutti i mali, ma senza dubbio costituisce un passo avanti, e possiamo scegliere di accettarla o respingerla. Io propongo di accettarla.
Onorevole Christa Prets, la prego di aiutarmi perché so, avendo udito l’intervento dell’onorevole Corbett, che il suo partito voterà contro l’applicazione dell’articolo 308. L’onorevole Corbett ritiene che vi sia un altro modo per ottenere tale base giuridica. Per me non esiste e, se esiste, vi prego di indicarmelo. Trattiamo. Parliamone. Non vi sono stati emendamenti da parte della commissione per gli affari costituzionali che ci abbiano offerto un’alternativa. L’onorevole Gérard Onesta, relatore ombra di questa relazione, che ringrazio per aver parlato a nome del gruppo Verts/ALE, ha capito che al momento abbiamo questa opportunità e ha convenuto sulla necessità di coglierla.
Lei sa, onorevole Prets, che all’interno della commissione per la cultura e l’istruzione vi è stato solo un voto contrario alla presente relazione, che sollecita l’applicazione dell’articolo 308. Cerchiamo di sfruttare la situazione. Non si tratta di una questione ideologica. Ho elogiato il Commissario Wallström, che non è del mio partito, perché credo che stia facendo la cosa giusta.
Ringrazio inoltre l’onorevole Bono per il suo ruolo di relatore ombra del gruppo PSE in seno alla commissione per la cultura e l’istruzione. So che mi aiuterebbe se potesse, ma so anche che la disciplina di gruppo talvolta impone criteri non necessariamente corretti.
Vi prego di riflettere prima del voto affinché la presente relazione sia adottata. Vi esorto a farlo dal profondo del cuore perché non si tratta di una questione ideologica. Si tratta invece di una questione politica, di una questione di opportunità che è necessario cogliere adesso, altrimenti in futuro sarà estremamente difficile.
Questo è il modo migliore di strutturare la politica che auspichiamo. Diversamente, onorevoli membri della commissione per la cultura e l’istruzione oggi presenti in quest’Aula, ci riuniremo ogni anno e ascolteremo un elenco di buone intenzioni che, oltre a rappresentare un notevole dispendio di denaro, comunicheremo al Commissario all’ultimo momento, senza alcuna possibilità di controllo. Non sapremo esattamente come viene speso il denaro o a cosa può servire. Non faremo altro che girare in tondo.
Onorevole Bono, onorevole Prets, onorevole Badia i Cutchet, voi che siete i membri della commissione per la cultura e l’istruzione presenti in Parlamento, abbiamo discusso la relazione e l’abbiamo approvata in commissione con un solo voto contrario. L’emendamento dell’onorevole Corbett non ha avuto buon esito in seno alla commissione per gli affari costituzionali. Non ci è stata presentata alcuna alternativa.
Cogliamo l’opportunità politica che ci viene offerta. Vi esorto a farlo dal più profondo del cuore.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei esordire ringraziando il relatore, onorevole Herrero-Tejedor, per l’eccellente lavoro svolto, il tono positivo della presente relazione e il sostegno da essa offerto alle idee della Commissione. Devo dire, tuttavia, che spero che il suo amico sia un giornalista migliore di quanto sia esperto delle Istituzioni dell’Unione europea.
Quando la Commissione ha adottato il Libro bianco in febbraio, ha affermato che era sua intenzione aprire un nuovo capitolo per quanto concerne la comunicazione tra l’Unione europea e i suoi cittadini. Così come l’abbiamo formulata, la nuova politica di comunicazione dovrebbe evolvere dal monologo al dialogo. Dovrebbe dare all’Unione europea una maggiore capacità di ascolto. Dovrebbe passare da una comunicazione incentrata sulle Istituzioni ad un approccio incentrato sui cittadini basato sul diritto fondamentale dei popoli all’informazione e all’ascolto. Dovrebbe passare da una comunicazione basata su Bruxelles a un approccio decentrato, da uno strumento accessorio a una vera e propria politica europea, al pari delle altre politiche comunitarie. In altre parole, dovrebbe diventare una politica a tutti gli effetti.
Tali premesse mi conducono direttamente alla questione della base giuridica per la politica di comunicazione che, ne convengo, in questo caso è un problema con aspetti molto difficili e controversi da affrontare. La base giuridica è un mezzo per dare legittimità a ciò che facciamo, per creare impegno, e dovrebbe enunciare i principi in base ai quali abbiamo lavorato sul tema della comunicazione.
La Commissione ha proposto una carta dei cittadini, un codice di condotta come noi l’abbiamo chiamato, che gli attori istituzionali, compresi gli Stati membri, potrebbero sottoscrivere su base volontaria.
La relazione suggerisce un approccio leggermente diverso invitando la Commissione a lavorare su un progetto di accordo interistituzionale ed esortandola a sondare la possibilità di intraprendere un vero e proprio programma comunitario per l’informazione e la comunicazione sull’Europa a norma dell’articolo 308 del Trattato CE.
La Commissione è disposta, come voi raccomandate, a esplorare tutte le possibilità per individuare una base solida per un’azione comune, da una carta dei cittadini ad una base giuridica formale, e sono più che lieta di abbracciare le idee formulate perché, lo ribadisco, il nostro intento è dare legittimità a ciò che facciamo.
Mi compiaccio nel vedere che la vostra relazione riconosce l’importanza dell’educazione civica e del coinvolgimento dei cittadini nel processo decisionale. Essa esorta la Commissione a garantire la consultazione del pubblico in una fase precoce della definizione di una politica, e questa posizione è anche condivisa da gran parte della società civile. Sicuramente intraprenderemo azioni in proposito.
Siamo più che consapevoli del ruolo cruciale svolto dai mezzi di comunicazione – stampa, televisione, radio e Internet – nella democrazia contemporanea. Noi tutti sappiamo che gran parte delle lacune a livello di comunicazione dipende dal fatto che gli affari europei sono trattati alquanto marginalmente e spesso in maniera impropria dai mezzi di informazione.
Al riguardo vorrei essere chiara, perché avete chiesto alla Commissione di definire con la massima precisione quale ruolo vorrebbe assegnare ai mezzi di comunicazione. Il problema, tuttavia, non può essere affrontato da tale angolazione. L’unico ruolo che i mezzi di comunicazione possono svolgere è quello che la nostra tradizione democratica ha affidato loro, ossia informare i cittadini in maniera indipendente, pluralistica e critica sui temi europei, come avviene per le questioni interne. Il problema è come creare le condizioni affinché ciò avvenga, e questo sarà il tema di una conferenza delle parti interessate che si terrà a Helsinki in dicembre, quale seguito dato al Libro bianco.
Un altro tema centrale del Libro bianco è la comprensione dell’opinione pubblica. Le nostre società stanno vivendo cambiamenti senza precedenti per la maggiore mobilità interna, la migrazione e la globalizzazione. L’opinione pubblica è diventata sempre più complessa da definire e da comprendere. Negli ultimi 30 anni, l’Eurobarometro è stato uno strumento molto utile per misurare l’opinione pubblica, le sue percezioni e i suoi orientamenti. Riteniamo, tuttavia, che si possa fare molto di più e, in tal senso, prendo atto delle vostre esitazioni in riferimento alla nostra proposta di un osservatorio dell’opinione pubblica europea, ma possiamo adottare un approccio più pragmatico o graduale alla questione. Per esempio, l’idea di istituire reti di esperti per scambiare buone prassi e sfruttare sinergie ha raccolto un consenso notevole durante la consultazione pubblica.
Non mi soffermerò sui tanti altri aspetti giustamente da voi affrontati nella vostra relazione molto completa come, per esempio, il ruolo degli Stati membri, l’importanza del livello regionale e locale, il coinvolgimento dei parlamenti nazionali o le responsabilità dei partiti politici, aspetti che sono tutti, ovviamente, fondamentali. In linea di principio, concordiamo su tali temi, e sono lieta che l’ambito del mio mandato mi consenta di elaborare proposte concrete per contribuire alla realizzazione di queste aspirazioni comuni.
La vostra relazione costituisce una pietra miliare nel processo che abbiamo avviato con il Libro bianco. Essa contiene un forte incoraggiamento a procedere sulla base di una collaborazione ancora più stretta tra le nostre due Istituzioni. La Commissione produrrà la propria relazione definitiva sul Libro bianco la prossima primavera, una relazione che delineerà una serie di proposte concrete e alla quale seguiranno piani di azione operativi. Il cammino che ci attende è ancora lungo e tutt’altro che privo di ostacoli, ma confido nel fatto che, con il vostro appoggio, riusciremo ad operare un reale cambiamento nel modo in cui l’Europa comunica con i suoi cittadini permettendo loro di esprimere concretamente la propria voce e ascoltandoli. Una politica di comunicazione dell’Unione europea può essere uno strumento per rafforzare la democrazia e attendo con ansia le prossime discussioni al riguardo.
Michael Cashman (PSE), relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. – (EN) Signor Presidente, non senza complimentarmi con il relatore, nel minuto a mia disposizione vorrei concentrarmi direttamente su ciò che dovremmo fare, ossia analizzare il modo in cui comunichiamo con i nostri cittadini, e ciò significa che dobbiamo essere assolutamente chiari sul linguaggio da utilizzare, un linguaggio che deve essere diretto, semplice, chiaro e preciso. E’ inutile parlare di strumenti e barometri. Non desteremmo alcun interesse. Dobbiamo invece mettere passione in ciò che facciamo e nel modo in cui lo facciamo.
Il nostro Parlamento è incontestabilmente l’Istituzione europea più riuscita. Eppure siamo criticati e raramente ci difendiamo. Abbiamo 25 Stati membri con culture e convinzioni politiche diverse che operano insieme per il bene comune di 450 milioni di cittadini. Un risultato più che brillante! Ma vendiamo e promuoviamo ciò che facciamo in maniera efficace? La risposta è no. Facciamo in modo che i parlamenti nazionali si impegnino nel loro ruolo di scrutinio? Ancora una volta, no. Semplicemente subiamo le critiche senza reagire in alcun modo.
Concludendo, approfitterei ancora di quattro secondi per sollecitare la Commissione a procedere con la sua proposta di revisione del regolamento (CE) n. 1049/2001. Non è un tema contenuto nella relazione, ma rientra nel suo programma di lavoro. Possiamo essere ritenuti efficaci e affidabili soltanto se i cittadini comprendono ciò che facciamo per loro.
Gérard Onesta (Verts/ALE), relatore per parere della commissione per gli affari costituzionali. – (FR) Signor Presidente, la commissione per gli affari costituzionali ha chiaramente espresso il proprio consenso per una politica di comunicazione corretta e accoglie favorevolmente l’operato del Commissario Wallström. D’altronde, è più che giunto il momento di disporre di una siffatta politica se crediamo agli Eurobarometri che dimostrano il profondo scarto tra le nostre Istituzioni e le aspettative dei cittadini. La commissione per gli affari costituzionali, inoltre, si rallegra per il fatto che la Commissione ipotizza una comunicazione bilaterale, il che rappresenta un elemento di indubbia novità: le Istituzioni parlano ai cittadini e i cittadini possono rivolgersi alle Istituzioni.
Il problema è che, dopo aver sancito questo eccellente principio sin dalle prime righe del Libro bianco, si ricercano un po’ a tentoni gli strumenti per garantire concretamente tale possibilità di espressione ai cittadini. Questa è la pecca, signora Commissario, della vostra proposta. Forse potreste trarre utile ispirazione dai suggerimenti del Parlamento, soprattutto quelli relativi alla creazione di un forum aperto dei cittadini, organo di concertazione che inizierà a essere testato nel 2007.
In linea di principio, la nostra commissione non è contraria ad un nuovo strumento interistituzionale, che si tratti di una carta o di un codice, ma chiede che le garanzie e gli obblighi che ciò implica siano attentamente studiati, rammentando peraltro che la Carta dei diritti fondamentali già definisce diritti in materia di informazione e che occorre in ogni caso rispettare le prerogative del nostro Parlamento, specialmente il suo potere di rivolgersi liberamente ai cittadini.
Occorre inoltre tener conto del ritmo molto particolare del dibattito a livello europeo, completamente svincolato dalle agende nazionali. In proposito, ricordiamo la nostra volontà di tenere un dibattito annuale sul tema in plenaria, qui, al Parlamento. Quanto alle nuove tecnologie, siamo d’accordo sul loro utilizzo, a patto tuttavia che non si crei una frattura digitale tra i cittadini che avranno accesso a queste nuove tecnologie e quelli che non vi avranno accesso. Riteniamo peraltro che sarebbe meglio gerarchizzare i nostri partenariati tra società civili, partiti politici europei e giornalisti, nel pieno rispetto, ovviamente, dell’indipendenza di questi ultimi. Osiamo persino formulare una proposta iconoclasta: lo sviluppo di un’amministrazione europea di prossimità affinché Bruxelles si avvicini ai cittadini.
Ciò che nella mia relazione non figura è la questione della base giuridica. La commissione per gli affari costituzionali non ha infatti voluto pronunciarsi sull’articolo 308. Con una votazione molto misurata non ha voluto fare espressamente riferimento a tale articolo, ma con una votazione dai margini altrettanti stretti, e ringrazio l’onorevole Andrew Duff, non ha scartato formalmente il ricorso a questo stesso articolo 308. A buon intenditor... La discussione sulla base giuridica resta dunque assolutamente aperta, anche se personalmente e a livello tattico, mi schiero senza riserve per quanto propone il vostro relatore Luis Herrero-Tejedor, con il quale colgo l’occasione per complimentarmi per l’apertura e la giovialità, oltre che per il suo lavoro costruttivo.
Doris Pack, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, mi compiaccio realmente per il fatto che la discussione sulla politica dell’informazione si tenga subito dopo quella sul Mediatore europeo poiché spesso, questa mattina, il Mediatore è stato citato in riferimento alle sue relazioni con il pubblico. Trovo problematico, e lo abbiamo riscontrato anche in commissione, che la Commissione, per quanto concerne le sue relazioni con il pubblico, spesso sia in ritardo rispetto a quanto il Mediatore desidera effettivamente ottenere.
Le risposte della Commissione alle tante richieste formulatele dal pubblico o da quanti realizzano progetti nell’Unione europea sono sovente scortesi, se non addirittura arroganti, e questo è semplicemente inaccettabile. Sono proprio i cittadini interessati, che rispondono a domande per la presentazione di proposte, a essere spesso oggetto di tale trattamento scostante, per cui perdono interesse per qualsiasi forma di ulteriore collaborazione con progetti europei.
Cosa ne sarà dunque dei cittadini che già in partenza hanno altri interessi e non sono coinvolti? Non è certo quello il modo giusto per trasmettere il nostro messaggio ai cittadini e devo dire che, se stiamo ricercando un loro maggiore coinvolgimento, la nuova strategia di comunicazione della Commissione non conseguirà tale obiettivo. Abbiamo bisogno che i cittadini restino dove sono ed è lì che dobbiamo comunicare con loro; non possiamo farlo da Bruxelles. La signora Commissario ha buone intenzioni, vuole veramente comunicare, ma il problema è che il pubblico non ha alcun interesse per quanto la signora Commissario propone alla sua attenzione, poiché ritiene che la Commissione sia già comunque tutta a favore ed in essa non ha alcuna fiducia. Ciò di cui abbiamo bisogno, pertanto, sono cittadini eletti sul loro territorio, abbiamo bisogno dei membri di questo Parlamento, del Bundestag tedesco, dei parlamenti regionali, con i quali parlare delle questioni che rivestono interesse per l’Europa, sebbene questo non ovvi al grande problema che essi si reputano i responsabili. Nella comunicazione dobbiamo cercare di avvicinarci maggiormente al pubblico potenziando i punti di informazione nelle città e creandone altri, perché sono proprio questi punti di informazione nei municipi che trasmettono il messaggio ai cittadini. Infine, ovviamente, dobbiamo avvalerci dei programmi già istituiti dall’Unione europea nel campo dell’istruzione. Programmi educativi come COMENIUS, ERASMUS e LEONARDO rappresentano la migliore strategia di comunicazione, per cui utilizziamoli e poi troveremo i cittadini di cui abbiamo bisogno per far progredire il progetto europeo.
Guy Bono, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, in veste di relatore per i socialisti in merito al progetto di relazione relativo al Libro bianco sulla politica di comunicazione europea, vorrei in primo luogo complimentarmi, come ha fatto poc’anzi l’onorevole Onesta, per il fatto che, finalmente, la comunicazione è concepita come un processo bilaterale tra Istituzioni e cittadini, e non più come una semplice operazione di marketing. Nondimeno resta molta strada da percorrere prima di creare una comunicazione europea che consenta di porre le questioni europee al centro dello spazio pubblico a livello nazionale.
L’ho detto in commissione e lo ribadisco in questa sede: mi dispiace che il Libro bianco continui a sopravvalutare le nuove tecnologie e a sottovalutare le televisioni nazionali. Sappiamo che i canali generalisti nazionali restano, e lo dimostrano le ricerche dell’Eurobarometro, la fonte di informazione privilegiata dai cittadini dell’Unione ed è opportuno, mi pare, agire a tale livello.
Inoltre, il Libro bianco stranamente tace sui mezzi finanziari. Orbene, noi tutti sappiamo che la democrazia e, dunque, la comunicazione hanno un costo. Fintantoché il bilancio pluriennale dell’Unione sarà inferiore al bilancio di un’agenzia pubblicitaria europea, si potranno di fatto attuare ben poche cose. Vorrei ovviamente complimentarmi con il relatore, onorevole Herrero, e dirgli che, per quanto riguarda la questione dell’articolo 308, la discussione non è chiusa. La mia collega, onorevole Christa Prets, tornerà più tardi sull’argomento.
Signora Commissario, purtroppo la Commissione parla di politica della comunicazione ogniqualvolta l’Europa è in crisi! La Commissione sente il bisogno di comunicare soltanto quando le cose vanno male. Il problema per la Commissione è il contenuto stesso della sua comunicazione. I cittadini identificano la Commissione con un organo ultraliberale che non si preoccupa affatto di tutelare i cittadini europei dai venti impetuosi della globalizzazione.
Ai cittadini e alla democrazia dobbiamo offrire una spiegazione migliore di ciò che accade a Bruxelles. La maggior parte dei cittadini europei non ha coscienza delle realizzazioni divenute possibili grazie alle politiche e ai finanziamenti dell’Unione europea. Inoltre, i cittadini troppo spesso ignorano che tutto ciò che viene deciso a Bruxelles emerge dalla volontà degli Stati membri. Se si sono liberalizzati elettricità, gas, trasporto ferroviario, trasporto stradale e, ora, il servizio postale è perché l’hanno voluto gli Stati membri! Senza questa volontà degli Stati membri, tutto questo non sarebbe accaduto.
In conclusione, ritengo che non abbiamo tanto bisogno di un codice di condotta delle Istituzioni europee in materia di comunicazione con i cittadini quanto di un codice di condotta per la Commissione affinché attui una politica più vicina alle preoccupazioni dei nostri concittadini. Infine, è un codice di condotta tout court che va sottoposto agli Stati membri affinché si assumano le proprie responsabilità e, una volta per tutte, smettano di “nazionalizzare” i successi europei e “comunitarizzare” gli insuccessi nazionali. Solo così l’Europa crescerà.
Karin Resetarits, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, il Libro bianco sulla comunicazione in merito al quale oggi votiamo è un esempio di come si possa trasformare qualsiasi cosa in scienza e imparare una serie di cose veramente interessanti. Se la casa è in fiamme, però, ciò che occorre concretamente fare per evitare che tutto sia distrutto è, anziché filosofeggiare sul fuoco, individuare la fonte dell’incendio, isolarla e afferrare un estintore.
L’Unione europea ha un grave problema di comunicazione e una pessima immagine. La cosa peggiore della quale i cittadini ci accusano è la nostra eccessiva burocratizzazione con leggi troppo avulse dalla realtà che non procurano loro alcun beneficio. Questo ovviamente non è vero, ma è proprio in tale ambito che dobbiamo trasmettere il messaggio, e spesso non lo facciamo.
In proposito, l’esempio più recente è quello dei regolamenti di sicurezza dell’Unione europea riguardanti il bagaglio a mano sugli aeromobili. Ascoltando gli utenti che ne parlano negli aeroporti, si può avere facilmente un’idea di quanto siano irritati dalla situazione, ma si comprende anche che ne attribuiscono tutte le colpe a Bruxelles e non a Osama bin Laden o altri terroristi. Siamo noi ad essere sul banco di accusa perché non è più possibile portare neanche una bottiglia di acqua a bordo, noi ad essere derisi quando insistiamo sui contenitori da 100 ml, anche se tali contenitori sono irreperibili in tutto il mercato unico dell’Unione europea.
Detto ciò, visto che questa controversa normativa è stata elaborata dalla Commissione, ad essa chiederei cosa ha fatto per migliorare il modo in cui è stata comunicata. Ha forse distribuito opuscoli ai passeggeri pregandoli di portare pazienza? Se lo ha fatto, io non ne ho sentito parlare. Ha riposto tutta la sua fiducia nelle notizie dei mezzi di comunicazione? Non basta. Ciò che occorre fare è rivolgersi direttamente al pubblico perché si sta interferendo direttamente con la sua vita e, considerato che sono le sue libertà ad essere limitate da queste norme di sicurezza, è necessario fornire ottime argomentazioni a loro favore. Questa è comunicazione.
Allo stato attuale, abbiamo dedicato due anni e mezzo al miglioramento della comunicazione, ma ne sono emersi solo concetti intellettuali, antitesi per eccellenza di una comunicazione efficiente. Vi esorto dunque ad essere più pratici, più concreti e, anziché trasformare la comunicazione in una scienza astratta, a vederla semplicemente per quello che è, ossia uno strumento e non un estintore quando qualcosa è in fiamme.
Diamanto Manolakou, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, ad oggi gli opuscoli informativi e i mezzi di comunicazione elettronici dell’Unione europea hanno formulato le sue politiche sfavorevoli alla base nei termini più allettanti nel senso che, anche se vanno a vantaggio del capitale, si presentano come se fossero a vantaggio dei lavoratori eliminando in tal modo qualsiasi opinione contraria; eppure i risultati sono stati nulli.
I lavoratori, giudicando sulla base della loro esperienza di vita, iniziano a mettere in discussione la visione dell’Unione europea, come ha dimostrato il notevole astensionismo alle ultime elezioni europee, con i referendum e i voti contrari sulla Costituzione europea in Francia e nei Paesi Bassi, con le reazioni all’euro e all’inflazione e con i grandi movimenti contro la privatizzazione (nell’istruzione, nella sanità e nel welfare) e i rapporti di lavoro (per quanto concerne l’assicurazione e altri aspetti), fatti che dimostrano come la credibilità dell’Unione europea stia vacillando agli occhi della gente. Pertanto, lentamente ma inesorabilmente, sta emergendo una tendenza verso scontri sociali e politici sempre più acuti.
Parrebbe che l’insoddisfazione della base si stia trasformando in una lotta alla politica inumana della povertà, dell’ingiustizia e della guerra. Così, la Commissione, nel suo Libro bianco su una politica europea della comunicazione, elenca tutti i mezzi, iniziando dalle sue Istituzioni, passando per gli Stati membri, i parlamenti nazionali, le autorità locali e i mezzi di comunicazione, spingendosi fino all’uso della formazione nel campo delle nuove tecnologie e di Internet, per individuare le preoccupazioni e l’insoddisfazione dell’opinione pubblica e della base e utilizzare le informazioni così ottenute per la sua propaganda.
Il suo obiettivo, sfruttando il denaro dei contribuenti, come nel caso del programma PRINCE, attraverso presunte azioni di informazione, è migliorare la sua propaganda ed esercitare pressione per l’adozione della Costituzione europea che militarizza l’Europa e condanna i suoi cittadini a meno diritti, ad un’austerità permanente, nonché alla tolleranza e all’accettazione della sua politica generale.
Essa concentra i propri sforzi sul controllo del modo in cui l’informazione è trasmessa dalle emittenti nazionali, dai giornali nazionali e regionali, dai canali privati, la stragrande maggioranza dei quali sono nelle mani del capitale, da Internet e così via, in maniera da formularne l’esatto contenuto atto a dissimulare la politica imperialista europea rendendola allettante e persuasiva agli occhi dei cittadini.
Il Libro bianco essenzialmente sviluppa una politica di comunicazione dinamica e attiva adducendo falsamente a pretesto la libertà di espressione e la comprensione delle sue politiche applicate. In tal modo, essa intende nascondere le sue scelte politiche unilaterali attraverso un dialogo sociale rafforzato che salvaguardi l’indispensabile regolare funzionamento dell’Unione europea quale meccanismo di consenso sociale e del capitale alle sue scelte politiche e/o di complicità con esse.
Zdzisław Zbigniew Podkański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, abbiamo una buona ragione per tenere oggi una discussione sulla politica europea della comunicazione in quanto si tratta di una politica inesistente. Ciò che attualmente definiamo comunicazione è, di fatto, nulla più di una comune propaganda. Parole e argomentazioni formulate non hanno fatto vibrare le corde dei nostri concittadini, né lo faranno, perché ciò che essi vogliono è dialogo e non propaganda unilaterale. Finché verranno proposte loro soluzioni dogmatiche preconfezionate, non si sentiranno coinvolti nella discussione, si rinchiuderanno in loro stessi e si trincereranno dietro le loro convinzioni. Se realmente vogliamo una comunicazione moderna o, ancor meglio, un dialogo sociale, dobbiamo prima chiederci se siamo pronti a parlare con la gente e, in caso di risposta affermativa, dobbiamo avviare un dibattito su ciò che dovrebbe essere l’Unione europea. Dovrebbe essere uno Stato federale o un’Europa di paesi e nazioni che operano in stretta collaborazione? Se vogliamo un dialogo, dobbiamo riconoscere i risultati dei referendum costituzionali in Francia e nei Paesi Bassi e non ritornare ostinatamente sul progetto di Costituzione ormai morto.
Smettiamola di discutere se si debba parlare di Europa per i cittadini o di cittadini per l’Europa. Cerchiamo invece di tenere un grande dibattito europeo sulla direzione che l’Europa sta prendendo e avviciniamo l’Europa ai cittadini, non con la propaganda, ma attraverso soluzioni valide, normative chiare, procedure semplificate, meno burocrazia, Istituzioni rispettose dei cittadini e opportunità di discussione tra partner alla pari.
Thomas Wise, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, la politica di comunicazione dell’Unione europea che la presente relazione valuta è stata elaborata nel tentativo di arrestare la crescita dell’euroscetticismo. E’ dunque un’ennesima reazione al rifiuto inequivocabile da parte dei cittadini di Francia e Paesi Bassi sia del progetto di Trattato costituzionale sia di un’ulteriore integrazione.
Anziché accettare il fatto che “no” vuol dire “no”, l’élite politica si illude che francesi e olandesi non abbiano basato il proprio “no” su motivazioni sensate frutto di un’adeguata informazione. Un funzionario della Commissione è stato infatti recentemente citato per aver detto: “Vista la recente esperienza in Francia e nei Paesi Bassi in merito ai referendum, non consiglieremmo a nessuno di organizzarne uno”. Dunque, chiedere alla popolazione di esprimere la sua volontà è diventato un tabù.
Posso darvi un consiglio? Siete sprofondati in una fossa che vi siete scavati voi stessi. Vi suggerisco di smettere di scavare e di buttare via la pala. Perché? Molto semplice: perché non avete capito la cosa fondamentale. Poco importa con quanto stile e con quanta vernice si ricopra un progetto perché, se la sostanza è marcia, il progetto fallirà. Affinché la comunicazione abbia successo, è necessario ascoltare. Gridare più forte è assolutamente inutile!
Le Istituzioni non sono sincere nei confronti dei cittadini che affermano di rappresentare. Francesi e olandesi hanno affondato il progetto, eppure andate avanti come se nulla fosse mai accaduto. Vi assicuro che se e quando i britannici avranno la stessa opportunità, i risultati saranno ancor più decisivi, e nessuna politica di comunicazione potrà mutare questa crescente presa di coscienza del fatto che, proprio negli Stati membri, il progetto dell’Unione europea è un costoso fallimento.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, sebbene la relazione giustamente sottolinei che i cittadini vanno ascoltati, risulta deprecabilmente lacunosa laddove si tratta di proporre soluzioni specifiche. Apparentemente si ipotizza che una politica di comunicazione migliore sia possibile soltanto se vi è più Europa, da cui l’arringa a favore della Costituzione europea e di partiti politici paneuropei. Sembra che non si sia appreso molto dai referendum in Francia e Paesi Bassi.
Certo, devo ammettere che è difficile entusiasmare i cittadini con una politica di comunicazione se le altre politiche si scontrano con l’opinione pubblica. Penso, per esempio, alla politica di allargamento. Sebbene Commissione e Consiglio sappiano fin troppo bene che la grande maggioranza degli europei è contraria all’adesione di un paese non europeo come la Turchia, non se ne preoccupano minimamente. Possiamo comunicare fino all’esaurimento delle forze, ma nulla colmerà il divario abissale tra l’opinione pubblica da un lato e le Istituzioni europee dall’altro.
La relazione lascia intendere che gli uffici di informazione della Commissione non sono in grado di suscitare l’interesse pubblico, concetto espresso, direi, in termini assai blandi. Nelle Fiandre, per esempio, il partito più grande del paese, il Vlaams Belang, non ha ricevuto neanche un invito ai dibattiti sui temi europei organizzati nelle province, dibattiti dunque riservati a coloro che la pensano nella stessa maniera, perché l’unico partito critico nei confronti della politica di allargamento e della Costituzione ne è stato escluso. Ma c’è di più. Il Commissario Wallström ha ammesso apertamente dinanzi al parlamento federale belga che tale discriminazione prosegue. Di conseguenza, nel mio paese, la cosiddetta comunicazione europea non è altro che propaganda, una propaganda che nessuno prende sul serio e che non alimenta alcuna credibilità. E’, in altre parole, uno sperpero di denaro.
Maria da Assunção Esteves (PPE-DE). – (PT) Signor Presidente, signora Commissario, il problema della comunicazione tra l’Europa delle Istituzioni e l’Europa dei cittadini è stato ignorato troppo a lungo.
L’Europa non ha ancora formato un centro politico in grado di coinvolgere e mobilitare i cittadini e conquistarsene il sostegno in un’epoca assai mutevole. Le ragioni che spiegano tale situazione sono semplici: l’assenza di una riforma strutturale adeguata, la prevalenza del potere della rappresentanza indiretta in Consiglio rispetto a quello della rappresentanza diretta in Parlamento, nonché la prevalenza della burocrazia e del lavoro svolto a porte chiuse sugli sforzi reali per pubblicizzare e informare.
Come ci ricorda l’Eurobarometro, i cittadini vedono le Istituzioni europee come una libertà remota o persino estranea. Non hanno neanche la più vaga idea di alcune di esse. La distanza dai centri di potere è lunga e il sistema politico non risponde al contesto sociale. La verità è che la cittadinanza europea, transnazionale, cosmopolita esiste soltanto quando è imposta per motivi politici, proprio perché le manca quel vigore spontaneo delle nostre cittadinanze nazionali. Abbiamo dunque urgentemente bisogno di cogliere l’importanza strategica dei mezzi di comunicazione di massa generalisti, dobbiamo urgentemente inserire l’Europa come materia nei programmi di studio in scuole, università e centri di formazione, è necessario pubblicizzare urgentemente le nostre Istituzioni nei mezzi di comunicazione, abbiamo urgentemente bisogno di prendere sul serio il lavoro svolto dagli uffici di informazione di Commissione e Parlamento negli Stati membri ed è essenziale non accantonare il progetto costituzionale per rimodellare l’Europa: senza una riforma istituzionale seria e senza una politica di informazione efficace, l’Europa sarà un gigante con i piedi di argilla.
Christa Prets (PSE). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, abbiamo appena sentito parlare dei referendum sul progetto di Costituzione europea nei Paesi Bassi e in Francia, ma vanno anche citati i motivi per i quali i cittadini si sono espressi in tal senso, poiché l’esito non è imputabile a manchevolezze dell’Unione europea e la maggior parte degli europei ha già votato a favore della Costituzione.
Occorre tuttavia pensare a come comunicarlo, e sul tavolo è stata portata una serie di proposte pratiche in tal senso sotto forma di Libro bianco, e, se vogliamo colmare le lacune a livello di conoscenza, è anche necessario sviluppare e promuovere un lavoro di alta qualità sulle relazioni pubbliche ad ogni livello, il che significa, tra l’altro, un maggior numero di punti di informazione in grado di fornire risposte utili ad un pubblico che vaga a tentoni nelle città alla ricerca di un modo per stabilire un contatto. Abbiamo infine bisogno di più mezzi di comunicazione a livello locale, regionale e nazionale, poiché spesso accade che le notizie diffuse dai mezzi di comunicazione assumano connotazioni negative.
Il Consiglio, peraltro, sia esso a Bruxelles o a Strasburgo, parla una lingua diversa da quella abitualmente usata dai cittadini. E’ colpa dell’Unione europea se tale o tal’altra decisione è stata recepita nel modo sbagliato, per cui, anche in questo ambito, occorre agire ed è per questo, proprio come chiede la relazione, che è importante incoraggiare il dialogo tra Consiglio, Commissione, Parlamento e cittadini, perché, grazie ad esso, forse avremo un’opportunità.
Condivido l’importanza dei programmi citati. Programmi come LEONARDO ed ERASMUS, per esempio, fanno molto per promuovere la comunicazione. Eppure stiamo riducendo gli stanziamenti a loro favore anziché incrementarli. Iniziative quali la cittadinanza attiva e i gemellaggi tra città sono importanti, e ne abbiamo bisogno in quanto preferibili a innumerevoli opuscoli. Eppure è proprio qui, dove non si dovrebbe, che stiamo operando tagli.
Quanto all’articolo 308, esso indebolirebbe il Parlamento, visto che non lo cita in alcun modo. Ci escluderebbe da qualsiasi consultazione ed è un risvolto dal quale dobbiamo difenderci.
Frédérique Ries (ALDE). – (FR) Signor Presidente, un Libro bianco sulla politica di comunicazione europea, che buona idea! E che buona idea aver aspettato tanto! Questo è, come è stato già affermato, l’unico effetto positivo del rifiuto della Costituzione in Francia e nei Paesi Bassi che ha infine messo i dirigenti d’Europa di fronte alle loro enormi responsabilità in termini di comunicazione. L’Europa non soffre di un deficit democratico – è un’accusa ingiusta – ma di un deficit di informazione, di spiegazione, di comunicazione adeguata, interattiva e comprensibile.
Se mi rallegro per questo Libro bianco, mi rammarico per il fatto che si accontenta di questioni e di principi. Non è più tempo di parlare di forum, consultazioni, inchieste, reti; non è più tempo di chiedersi quali misure vadano adottate: occorre adottarle.
I tre punti essenziali del presente documento sono, a mio giudizio, i punti 23, 24 e 32. Questa battaglia della cittadinanza europea si vince a scuola. Lo sperimentiamo tutti i giorni nei nostri incontri con gli studenti. E’ nell’ambito dell’insegnamento superiore che si coltivano, grazie a ERASMUS, veri cittadini europei imbevuti delle nostre culture e delle nostre differenze; è con i mezzi di comunicazione tradizionali – io non credo ai mezzi di comunicazione alternativi – che dobbiamo lavorare per fare valere il quotidiano delle nostre attività e decodificare il valore aggiunto delle nostre normative.
Concludo dicendo, signor Presidente, che questa sfida è immensa e che questo dibattito è essenziale perché la vera minaccia in Europa, oggi, non è lo scetticismo, bensì l’indifferenza. Orbene, la nostra arma per combatterla è comunicare.
Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlo a nome del nuovo PSI. Sono d’accordo con la Commissione nel sostenere l’importanza di avvicinare le istituzioni ai cittadini, anche grazie ad un’efficiente politica di comunicazione.
Condivido, tuttavia, l’approccio del relatore, secondo cui definire una linea comune a tutte le istituzioni ridurrebbe lo spazio per la libertà di espressione e anche per adattare, come è necessario, la comunicazione ai diversi settori d’azione e al divenire della realtà sociale e tecnologica. Un quadro giuridico in materia, infatti, non farebbe che appesantire inutilmente un settore che vive di creatività e spontaneità. Ma non dimentichiamoci che la comunicazione è uno strumento non un fine ultimo: se vogliamo che i cittadini si riavvicinino alle istituzioni, occorre che queste facciano il possibile per avvicinarsi a loro ed ascoltino le istanze che arrivano dal territorio.
Occorre quindi evitare legislazioni inutili; occuparsi di politiche ed azioni che concretamente abbiano un impatto positivo sulla crescita e lo sviluppo; rilanciare il progetto di Costituzione; aumentare l’efficienza, in primis, smettendola con questo assurdo e costosissimo trasloco mensile. Se sapremo fare tutto questo e sapremo poi in grado di comunicarlo, saremo più vicini ai cittadini.
Péter Olajos (PPE-DE). – (HU) Signor Presidente, secondo una teoria diffusa, è stata la capacità di espressione, ossia di comunicazione, che ha innalzato gli esseri umani al di sopra del loro ambiente. Non essendo un etologo, non sono in grado di dire se questo sia ciò che è realmente accaduto o se siano intervenuti anche altri fattori. E’ tuttavia un fatto certo che l’essere umano è l’essere più comunicativo sulla terra. In altre parole, la comunicazione avanzata è una caratteristica naturale distintiva dell’umanità.
Il problema è che non solo noi umani, ma anche istituzioni, organizzazioni e gruppi che creiamo vogliono comunicare, atto che non è intrinseco nella loro essenza o natura. Un’analisi storica ci porta a concludere che, in passato, le istituzioni responsabili dell’organizzazione e della direzione delle nostre vite non hanno sempre ricercato una comunicazione di alta qualità, bensì di fatto l’hanno spesso espressamente rifuggita. L’impegno per ottenere una comunicazione sempre migliore con la società è un tratto distintivo della democrazia ed è stata resa possibile dalla rivoluzione delle telecomunicazioni del XX secolo. Senza radio, televisione e Internet non saremmo neanche stati in grado di affrontare oggi l’argomento.
Alla luce di quanto precede, sostengo che l’Unione europea è una delle organizzazioni più aperte e comunicative che abbiamo mai avuto in Europa. Non è ovviamente perfetta, al contrario, ma sinora è la migliore. Certo potrebbe usare meno abbreviazioni o termini tecnici, i suoi concetti potrebbero essere più chiari e comprensibili, e così via.
Tutto ciò, però, sarebbe inutile se l’Unione europea, come comunicatrice, non godesse di credibilità. Senza credibilità, anche un messaggio comprensibile non viene recepito e, al riguardo, va aggiunto anche che i più grandi distruttori della credibilità dell’Unione europea altro non sono che i politici e i governi dei suoi Stati membri, ossia coloro nelle cui dichiarazioni l’Unione europea viene presentata unicamente come causa di difficoltà, mentre i suoi risultati positivi sono sempre citati come traguardi raggiunti dal governo di turno. Anche il Libro bianco avrà successo unicamente se gli Stati membri si impegneranno a sviluppare e sostenere una nuova politica di comunicazione comune europea.
Maria Badia i Cutchet (PSE). – (ES) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, nella discussione sulla presente relazione ancora una volta ci poniamo la questione del divario che separa le Istituzioni comunitarie dai cittadini analizzando i modi per ridurlo.
Sebbene io riconosca i grandi sforzi profusi dalla Commissione e da questo Parlamento per colmare lo scarto esistente, è assolutamente indispensabile coinvolgere i mezzi di comunicazione e i parlamenti nazionali.
E’ opinione diffusa tra i mezzi di comunicazione negli Stati membri che ciò che accade qui non faccia notizia o in generale non interessi i cittadini. Pertanto, dovremmo in primo luogo coinvolgere più direttamente i mezzi di comunicazione, in maniera che ci possano aiutare a divulgare e ad avvicinare la dimensione comunitaria ai cittadini evitando il gergo tecnico, una collaborazione che probabilmente ci permetterebbe anche di comunicare le notizie di attualità dell’Unione europea nelle fasce orarie di programmazione che registrano i maggiori ascolti.
Dal canto nostro, dobbiamo facilitare il lavoro di tali professionisti ed è indispensabile semplificare le procedure e renderle più trasparenti. Occorre creare forme di cooperazione e lavoro congiunto con i parlamenti nazionali, affinché questi possano informare i cittadini sulle questioni che li preoccupano a livello nazionale, regionale e locale, generando così, nell’ambito del loro normale lavoro, un riscontro sui vari temi, inclusi quelli inerenti la politica europea.
Ritengo inoltre che dovremmo continuare a guardare a Internet come a uno dei principali fornitori di informazione comunitaria, sebbene esso raggiunga solo una fetta di pubblico che già dimostra interesse per questo mezzo, mentre noi abbiamo anche un altro pubblico, che utilizza unicamente mezzi di comunicazione tradizionali – televisione e radio – attraverso emittenti e canali nazionali, regionali o locali.
Le nuove tecnologie possono schiudere nuovi orizzonti in tale ambito integrando diversi servizi e prodotti che possono agevolare la trasmissione multimediale dell’informazione, aumentando in tal modo il numero di quanti la ricevono.
Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signor Presidente, desidero congratularmi con il relatore.
Nello scarso tempo a mia disposizione vorrei ricordare la strategia che l’ex Presidente di questo Parlamento, onorevole Pat Cox, adoperava per comunicare l’Europa. In un celebre discorso, egli iniziò a parlare dell’impatto dell’Unione a livello locale su una piccola comunità dell’Irlanda meridionale che si valeva della legislazione europea per conservare i propri servizi telefonici, per poi spostarsi a livello globale, europeo, citando valori e questioni comunitari come le spiagge contrassegnate dalla bandiera blu, la tessera sanitaria europea e altri vantaggi di cui godono i nostri cittadini. Comunicare il valore aggiunto dell’Europa a livello locale, regionale, comunitario e mondiale è una strategia vincente.
Considerate la settimana in corso e i documenti legislativi che abbiamo approvato: abbiamo accolto un emendamento alla Convenzione di Aarhus, che già garantisce una partecipazione pubblica al processo decisionale e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. A questo abbiamo aggiunto gli OGM, un elemento che farà la differenza a livello locale, dove i cittadini possono ottenere un beneficio economico. Abbiamo infine approvato la direttiva sui servizi, un ulteriore documento di impatto positivo sui nostri cittadini.
Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Libro bianco su una politica europea di comunicazione intendeva arrestare l’aumento dell’euroscetticismo, visti gli esiti dei referendum in Francia e Olanda. Questo è il diabolico ritrovato per cercare di colmare la distanza tra l’Unione e i cittadini, invece che finirla di imporre astrattezze e vessazioni attraverso regolamenti e direttive.
Elaborare norme di condotta a cui tutte le Istituzioni europee dovrebbero attenersi – concordo pienamente con il relatore – riduce ulteriormente lo spazio per pareri indipendenti. Questo vale tanto più per il Parlamento, ove i già ristrettissimi spazi di libertà – basti vedere ad esempio come viene eletto il Presidente o come per i non iscritti siano compressi i tempi di parola e conculcata la possibilità di incidere sul processo legislativo – sarebbero ulteriormente ridotti da un codice che ne definisca le modalità di comunicazione. Basta buttare soldi in assurda propaganda!
Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, dire che vendere l’Unione europea è difficile non è tanto un’affermazione relativa alla sua potenziale utilità, quanto una considerazione di ordine fattuale sul come informare le persone in materia. Le problematiche che l’Europa deve affrontare sono altamente complesse: le nostre procedure sono prolisse e laboriose, una caratteristica che rende difficile ai nostri cittadini capirne l’utilità.
La colpa di tutto ciò, tuttavia, ricade almeno in parte su noi stessi, in quanto la Commissione è così presa dalla propria ricerca di obiettività che le riesce impossibile dire un sonoro sì alla Costituzione europea, e le autorità di questo nostro Parlamento fanno di tutto per relegare i visitatori di Bruxelles e Strasburgo nelle sale più remote o nei sotterranei.
Questa è la ragione per cui necessitiamo di un’informazione fresca e di migliore qualità, senza stare a discutere circa la sua base giuridica. Quello di cui abbiamo bisogno sono servizi televisivi ben fatti e accuratamente confezionati che raccontino quello che l’Europa fa a vantaggio dei cittadini, mentre non ci servono affatto lussuosi dépliant che nessuno legge e che tutti buttano nel cestino.
Andrew Duff (ALDE). – (EN) Signor Presidente, a nostro avviso, perderci in aspetti legali in un settore sensibile come questo sarebbe un grosso errore, E’ chiaro che una legge europea sui media sarebbe complessa, controversa e impopolare. Per tale ragione il mio gruppo si oppone strenuamente al ricorso all’articolo 308, che non risulta necessario, né opportuno. Preferiamo di gran lunga la pragmatica proposta originale della Commissione relativa alla stesura di un codice di condotta.
Alejo Vidal-Quadras (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, il 1° febbraio 2006 la Commissione ha presentato il Libro bianco su una politica europea di comunicazione; la relazione dell’onorevole Herrero, approvata a larga maggioranza dalla commissione per la cultura e l’istruzione, raccoglie i principali spunti della Commissione, introducendo tuttavia una novità essenziale, che ha dato origine a un serio e profondo dibattito sia in seno a questo Parlamento che a livello interistituzionale.
Al punto 10 la relazione Herrero invita la Commissione a valutare la possibilità di avviare un programma comunitario per l’informazione e la comunicazione, ai sensi dell’articolo 308 del Trattato.
Nella mia veste di Vicepresidente responsabile per l’informazione di questo Parlamento, ho seguito con particolare attenzione la discussione e devo segnalare che il gruppo interistituzionale si è espresso a favore della creazione di una base giuridica e che, come ha detto l’onorevole Herrero, altrettanto hanno fatto tutte le Istituzioni. A mio avviso vale la pena di tentare.
Sono cosciente delle riserve che tale proposta ha suscitato circa una possibile perdita di controllo da parte del Parlamento, ma trovo che questo sia strano, onorevoli colleghi, perché è difficile perdere qualcosa che non si possiede.
Nondimeno, è necessario tener presente tre cose. Anzitutto la relazione stabilisce chiaramente che, se la Commissione presenterà una proposta, il Parlamento dovrà partecipare appieno all’elaborazione del suo contenuto. Secondariamente, il Parlamento detiene un potente strumento, ossia il controllo di bilancio, ed infine esiste il gruppo interistituzionale sull’informazione, che ha il mandato di fissare le linee guida della politica di comunicazione.
Dobbiamo avere il coraggio di creare una strategia di comunicazione capace di presentare, spiegare e difendere l’Europa non solo con la ragione, ma anche con l’entusiasmo, la passione e l’emozione.
Per tale ragione desidero esprimere il mio pieno sostegno all’onorevole Herrero e alla sua relazione, per la creazione di un programma ai sensi dell’articolo 308 del Trattato.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, devo ammettere che questa discussione mi ha lasciato un po’ perplessa. Nel Libro bianco su una nuova politica europea di comunicazione abbiamo cercato anzitutto di analizzare che cosa non andava nelle precedenti politiche in materia e di individuare cosa dovevamo fare per tutelare in modo democratico il diritto all’informazione dei cittadini e permettere loro di intervenire nei processi decisionali dell’Europa.
Abbiamo definito cinque aree di azione. Ora dobbiamo definire principi comuni, come la libertà di espressione, la diversità, l’inclusione e la partecipazione. Dobbiamo dare ai cittadini maggiore potere, dobbiamo coinvolgerli in vari modi, dall’educazione civica, fornendo loro una conoscenza di base su quanto succede, all’impegno attivo nella società civile. Non possiamo ignorare i nuovi mezzi di comunicazione e le nuove tecnologie. Se pensiamo che pubblicare un articolo sul Financial Times sia sufficiente per comunicare con i cittadini, sono spiacente di comunicare che siamo nel 2006. Il dibattito prende vita anche in altre sedi.
La vera divisione, come qualcuno ha detto in occasione di una delle nostre conferenze con le parti interessate, è quella tra coloro che prendono le decisioni e coloro che utilizzano Internet.
Se guardate alla campagna in Francia, la maggior parte dei siti web sulla Costituzione era a favore del “no”. Dove si trovavano quelli che volevano esprimere un’opinione a favore? Non ricorrevano abbastanza a Internet. Dobbiamo capire e accogliere le nuove tecnologie.
Il quarto capitolo è capire l’opinione pubblica. Dobbiamo essere più professionali nel monitorare l’opinione pubblica e nel rapportarci con essa. Come molti di voi hanno osservato, dobbiamo operare di concerto: tutte le Istituzioni devono farsene responsabili.
Nel corso della discussione, alcuni ci hanno accusato di fare propaganda ad ogni piè sospinto, mentre altri sembrano ritenere che basti aumentare il numero di Info Point sull’Europa presenti sul territorio. Così non può funzionare. Dobbiamo dotarci di una politica di comunicazione seria, quale strumento di democrazia a beneficio dei cittadini. Essi hanno il diritto di capire meglio, di partecipare a una sfera pubblica dove esistano una cultura politica davvero europea e mezzi di comunicazione realmente paneuropei, che riflettano il dibattito in atto e ci aiutino a capire e seguirne il filo. Abbiamo bisogno altresì di luoghi di partecipazione per i cittadini.
Voi dite che in Europa abbiamo già la democrazia. Ebbene, soffriamo di un deficit di partecipazione. La maggior parte dei cittadini sostiene ancora di sapere molto poco o comunque non abbastanza dell’Unione europea e delle sue Istituzioni e di non essere in grado di seguire l’operato del Parlamento europeo o della Commissione. Possiamo forse dire che la cosa non ci interessa e continuare ad agire come abbiamo sempre fatto? Dobbiamo modificare il modo di comunicare con i cittadini; essi hanno il diritto di impegnarsi al nostro fianco.
Continueremo a lavorare su tutte le questioni che avete sollevato. Abbiamo sensibilmente aumentato il numero di centri di informazione diretta sull’Europa: ora ne abbiamo 400 e per la prima volta ne abbiamo aperti anche nel Regno Unito. Il prossimo anno il loro numero è destinato a salire di 30 unità e noi proseguiremo nel nostro impegno di informare i cittadini, ma questo non è ancora sufficiente. Non si tratta semplicemente di informazione, ma di comunicazione: questo deve diventare un processo interattivo.
La maggior parte dei nostri cittadini ricava molte delle proprie informazioni dalla radio o dalla televisione, perciò dobbiamo far sì che radio e televisione, a tutti i livelli, possano riferire ai cittadini cosa accade in Europa. Anche questo fa parte della nostra politica.
Rivedremo il regolamento (CE) n. 1049/2001, perché l’accesso all’informazione è di cruciale importanza. Trasparenza, apertura e accesso all’informazione sono al centro di una nuova politica di comunicazione.
Naturalmente discuteremo il contenuto delle varie politiche: ciò sta alla base del nostro modo di operare. Una politica di comunicazione non può sostituirsi né ai sani contenuti né a una buona politica. Per questa ragione ci impegniamo nel “Piano D”, che invita i cittadini a partecipare al dibattito politico sul futuro dell’Europa.
Prendiamo in seria considerazione le proposte di carattere pratico come Agora, che reputiamo estremamente importanti.
Abbiamo analizzato i problemi legati alla mancanza di una vera e propria politica di comunicazione, abbiamo identificato le cinque aree di azione e ora attendiamo una reazione seria da parte del Parlamento. Le aree individuate sono corrette? Se avete proposte alternative, saremo più che lieti di ricavarne idee estremamente pratiche, in modo da poter tornare a chiedere le risorse di bilancio necessarie a metterle in atto. Otterremo questo risultato riformando il nostro modus operandi, così da diventare più professionali, più aperti, più trasparenti e più democratici.
Vi ringrazio per il dibattito e spero che continueremo a discutere questi importantissimi principi con l’obiettivo di addivenire a una politica di comunicazione corretta per l’Unione europea e tutte le sue Istituzioni.
(Applausi)
Presidente. – Grazie, signora Commissario.
Non vedevo l’ora di intervenire in questo dibattito. La signora Commissario si è spiegata in modo molto corretto e la ringrazio per essersi espressa con tanta forza, ma mi fermo qui altrimenti rischio di abusare della mia posizione.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà oggi, alle 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Zita Gurmai (PSE). – (EN) La comunicazione diviene pragmatica nella misura in cui si basa su un dialogo costante con i cittadini europei, sulla discussione e sul chiarimento degli obiettivi e delle strategie dell’Unione volti allo sviluppo del progetto europeo. Parte di questa responsabilità ricade sull’Unione, ma quel che resta ricade sugli Stati membri. Il principale obiettivo è l’efficacia, pertanto la comunicazione dev’essere orientata in tal senso e dovrebbe poggiare su una base giuridica.
E’ assolutamente necessario che la stessa società europea, col suo dinamismo, svolga un ruolo decisivo. La comunicazione dovrebbe raggiungere tutti i membri della società tramite una serie di strumenti, tra cui i metodi tradizionali e le nuove tecnologie di comunicazione. Comunicare per mezzo di messaggi ben definiti, visioni chiare dell’Europa e politiche europee sulle lingue dei cittadini.
I cittadini europei vorrebbero vedere l’Europa come un modello di economia in crescita, competitività, coesione sociale e solidarietà e vorrebbero sentirsi parte attiva dei processi decisionali. Una comunicazione corretta, tuttavia, non deve mirare a trasmettere esclusivamente storie di successi e punti di forza, ma riferire anche sfide e problemi che le nostre società devono prepararsi ad affrontare e a risolvere assieme. Questa è la direzione in cui dovremmo muoverci.
Gábor Harangozó (PSE). – (HU) Scetticismo, una mancata Costituzione e una crescente incertezza sul processo di allargamento, sui nuovi Stati membri e persino sulla stessa Unione europea: sono tutte conseguenze di una politica di comunicazione inadeguata. Alla luce di questa considerazione dovremmo plaudire al Libro bianco della Commissione e alla sua intenzione di migliorare la comunicazione tra l’Unione e i suoi cittadini. La creazione di una sfera pubblica europea composta da cittadini ben informati su quanto accade al di là delle rispettive frontiere nazionali dev’essere indubbiamente al centro di una politica europea di comunicazione efficace.
Da un lato dobbiamo compiere progressi significativi nell’informazione sul funzionamento e sugli obiettivi delle Istituzioni europee, dall’altro dobbiamo essere capaci di ascoltare i cittadini degli Stati membri e renderli parte attiva nella creazione delle politiche europee. E’ a livello locale, regionale e nazionale che possiamo raggiungere i cittadini in modo più efficace, pertanto possiamo rendere il nostro processo di informazione più efficace solo rafforzando la comunicazione e rendendo più efficiente il flusso di informazioni tra questi livelli e le Istituzioni dell’Unione europea.
Non si tratta di creare semplicemente adeguati canali di comunicazione a due corsie, è lo stesso messaggio che dev’essere reso più chiaro e comprensibile. Dobbiamo pertanto smettere di utilizzare il gergo tecnico comunitario, che spesso risulta di difficile comprensione anche per un pubblico esperto. Il progetto europeo ed il suo successo dipendono, tra le altre cose, dal fatto che le persone che ne sono al contempo gli attori e lo scopo primo, ovvero i cittadini dell’Unione europea, li facciano propri.