4. Strategia dell’ampliamento e principali sfide 2006-2007 - Aspetti istituzionali della capacità dell’Unione europea di integrare nuovi Stati membri (discussione)
Presidente. – Abbiamo un argomento molto importante. L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:
– la relazione (A6-0436/2006), presentata dall’onorevole Elmar Brok a nome della commissione per gli affari esteri, sulla comunicazione della Commissione concernente la strategia dell’ampliamento e le principali sfide 2006-2007 [2006/2252(INI)] e
– la relazione (A6-0393/2006), presentata dall’onorevole Alexander Stubb a nome della commissione per gli affari costituzionali, sugli aspetti istituzionali della capacità dell’Unione europea di integrare nuovi Stati membri [2006/2226(INI)].
A parte la loro intrinseca importanza, questi argomenti assumono particolare significato alla vigilia del Consiglio europeo e si annoverano fra le più importanti questioni che saranno trattate dai capi di Stato e di governo. Non mancherò di trasmettere al Consiglio le risoluzioni adottate in materia dal Parlamento nella seduta odierna.
Elmar Brok (PPE-DE), relatore. – (DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, quest’anno, in primavera, l’Assemblea ha chiesto alla Commissione di elaborare una relazione sulla capacità di integrazione di nuovi Stati membri. La relazione è stata adottata l’8 novembre, ma non la consideriamo adeguata.
Finora, l’allargamento è stato uno degli elementi di maggiore successo della politica dell’Unione europea, con una notevole espansione dello spazio di pace, stabilità e sviluppo economico positivo, che contribuisce alla riunificazione dell’Europa. Sappiamo altresì che, nei paesi candidati e anche in altri paesi d’Europa, la prospettiva dell’adesione all’Unione è un elemento vitale del processo di riforma dello Stato. Queste due considerazioni positive si devono sempre tenere presenti.
In ogni caso, ora che l’allargamento ci porta a un totale di 27 Stati membri – con la possibilità che con la Croazia diventino presto 28 – dobbiamo essere consapevoli della necessità di riflettere sul futuro del progetto europeo. Vogliamo che l’Unione europea sia un vero e proprio progetto politico, che possieda la capacità di agire, di svolgere un ruolo nel mondo e di affrontare le questioni di politica estera e di sicurezza, la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, per le quali deve essere pronta ad agire, o vogliamo lasciarla andare alla deriva come un progetto economico? Occorre dare risposte chiare a questi interrogativi.
Deve essere chiaro che non si può andare avanti con l’attuale assetto istituzionale dell’Unione europea. Il Trattato costituzionale era stato previsto in risposta all’ultimo allargamento ed è quindi necessario completare e consolidare quest’ultimo allargamento, prima di cominciare a pensare seriamente ad altri grandi piani, se non vogliamo affondare noi stessi il progetto. Per questo motivo, il Trattato costituzionale, in certa misura, impone delle condizioni, e l’onorevole Stubb approfondirà l’argomento.
Vi sono anche altre questioni da affrontare, questioni per le quali si devono trovare risposte chiare, in modo da sapere quale direzione seguiamo, forse nel contesto della prossima clausola di revisione e delle prospettive finanziarie per il 2008/2009, in modo da sapere quali conseguenze avrà un determinato allargamento per il progetto europeo. In ogni caso, in molti settori – politica agricola, politica strutturale, eccetera – non si può andare avanti come avviene ora. Quali conseguenze si prospettano per alcuni Stati membri, di quanto si ridurranno i finanziamenti che ricevono, di quanto aumenteranno i contribuiti di altri? Tutti questi aspetti devono essere chiariti per poter portare avanti il progetto in modo serio.
E’ assolutamente chiaro che gli impegni che abbiamo assunto – per esempio a Salonicco, nei confronti dei paesi dei Balcani occidentali – devono essere onorati. Nessuno in seno all’Assemblea chiede di interrompere i negoziati in corso. Sappiamo che la questione è urgente e che i capi di Stato e di governo devono portare avanti il processo, mentre la Croazia attende sulla soglia, ma dobbiamo anche essere chiari sul fatto che la piena adesione non è, in ogni fase e in ogni singolo caso, nell’immediato o nel lungo periodo, l’unico strumento con cui possiamo rendere concreta, in modo credibile, la prospettiva europea. Per questi motivi, emergono questioni legate alla politica di sviluppo e di vicinato, o questioni riguardanti le coalizioni multilaterali di Stati che hanno la prospettiva di aderire all’Unione europea, e l’idea è far sì che i cittadini ottengano qualcosa sin d’ora, non solo tra 15 anni, con la conclusione di negoziati che non sono ancora nemmeno cominciati. Dobbiamo quindi sviluppare un approccio molto più creativo; mi basta pensare all’esempio dell’Ucraina, dove purtroppo si è perso molto tempo, e a nostre spese. E’ nel nostro interesse che quei paesi abbiano una prospettiva europea, non solo nel loro, e per questo motivo dobbiamo fare qualcosa, ma deve essere chiaro che, se allarghiamo l’Unione senza compiere progressi nel suo sviluppo interno, finiremo per avere un circolo interno, con membri dell’Unione europea di prima e di seconda classe. Per riassumerlo in uno slogan, siamo di fronte alla scelta tra la Costituzione e Verhofstadt. Anche questa è una conseguenza possibile. I paesi che più insistono sull’allargamento sono anche quelli che vogliono rallentare o arrestare il processo di approfondimento dell’Unione europea, e io stesso dubito della loro credibilità.
Per quanto riguarda la Turchia, assieme a diversi colleghi abbiamo proposto una formula in risposta ai nuovi sviluppi, e mi auguro che funzioni. E’ deplorevole che la Turchia non abbia rispettato i suoi obblighi giuridici e che vi sia stato un nuovo rinvio. D’altro canto, va detto che interrompere i negoziati sarebbe stato un errore. Ciò non significa tuttavia che la Turchia non debba adempiere tali obblighi nel lungo periodo.
(Applausi)
Alexander Stubb (PPE-DE), relatore. – (EN) Signor Presidente, vorrei fare cinque osservazioni riguardo alla nostra relazione sulla capacità di integrazione. Comincerò ringraziando tutti i colleghi che hanno preso parte alla procedura e senza dubbio il personale del segretariato, che ha svolto un magnifico lavoro.
La mia prima osservazione riguarda la terminologia che usiamo oggi. I termini originali in cui abbiamo affrontato la questione erano “capacità di assorbimento”. Quando valutavamo chi avrebbe dovuto preparare la relazione, ho parlato con il signor Assorbimento in persona: il mio buon amico onorevole Brok. Siamo giunti alla conclusione che assorbimento forse non era il termine migliore da utilizzare. Penso che Karl Bildt abbia espresso molto bene il concetto quando ha chiesto: chi vuole essere assorbito dall’Unione europea? La Francia vuole essere assorbita dall’Unione europea? Naturalmente la risposta è no. Abbiamo quindi scelto un’espressione più dinamica, più positiva, e deciso che la “capacità di integrazione” è effettivamente ciò che stiamo esaminando.
La mia seconda osservazione è che si tratta di un argomento potenzialmente delicato, perché gli interessi in gioco sono molti. L’amico e collega onorevole Brok, ne ha indicati alcuni. In altre parole, vi sono persone contrarie all’allargamento ma favorevoli alla Costituzione, persone contrarie alla Costituzione ma favorevoli all’allargamento, persone come me che sono favorevoli alla Costituzione e all’allargamento, e poi vi sono persone come l’onorevole Farage e altri che sono contrari a entrambi.
Abbiamo cercato di procedere tenendo conto di questi quattro tipi di interessi e penso che siamo riusciti a farlo abbastanza bene in questa relazione. Il concetto di capacità di integrazione in realtà non è nuovo. E’ sempre stato presente. Si è sempre svolto un dibattito, prima di ogni allargamento, su quanto si sarebbe dovuta approfondire l’Unione europea. Prima del 1973 l’Unione è diventata un’unione doganale. Prima del 1986 è stato presentato l’Atto unico europeo. Prima dell’adesione finlandese, austriaca e svedese avevamo il Trattato di Maastricht. Prima del big bang del 2004 avevamo i Trattati di Amsterdam e di Nizza. Ciò che vogliamo è una Costituzione prima del prossimo allargamento.
In terzo luogo, come definiamo la capacità di integrazione? Penso che la conclusione di questa relazione sia che si può fornire una vaga idea di che cosa significhi realmente e si può dire che non costituisce una condizione per l’allargamento, ma un criterio per noi, gli Stati membri attuali. Dobbiamo fare ordine in casa nostra prima di poterci allargare. Il problema è che non si può fornire una definizione rigorosa di capacità di integrazione, perché è legata a due aspetti. Uno è il momento dell’adesione e l’altro è il numero di nuovi Stati aderenti. In altre parole, l’allargamento del 1973 è stato radicalmente diverso da quello del 2004. Sempre riguardo alla definizione, la capacità di integrazione si compone di tre elementi: Istituzioni, bilancio e politiche.
La mia quarta osservazione riguarda il dibattito pubblico, e qui vorrei puntare il dito contro il Consiglio europeo, il quale afferma che bisogna collegare l’allargamento all’opinione pubblica. Sì, certo che bisogna farlo, ma non dite di non averne la possibilità. I negoziati sull’allargamento si aprono con decisione unanime. Ogni capitolo è aperto con decisione unanime. Ogni capitolo è chiuso con decisione unanime. L’intero pacchetto è approvato con decisione unanime; in più, ogni Stato membro è tenuto a ratificare l’adesione. Se entro questo periodo, che va da due a dieci anni, non siete in grado di spiegare ai cittadini i vantaggi dell’allargamento, penso stiate miseramente fallendo nei vostri intenti; quindi vi invito a svolgere il vostro lavoro e poi tornare a parlare di opinione pubblica. Bisogna ragionare in modo più strategico sull’allargamento.
La mia ultima osservazione riguarda la Costituzione. La relazione elenca alcune questioni che dobbiamo assolutamente chiarire prima del prossimo allargamento: voto a maggioranza qualificata, personalità giuridica, ministro degli Affari esteri, politica di sicurezza comune, eccetera. Sono questioni che dobbiamo assolutamente affrontare prima di poter procedere a un nuovo allargamento. Il messaggio della relazione è: mettiamo la casa in ordine entro il 2009 e poi cominciamo ad allargarci.
Concludo dicendo questo: l’allargamento probabilmente è la migliore politica che l’Unione europea abbia mai avuto. Ha portato pace, prosperità, sicurezza e stabilità. Quando parliamo di allargamento, evitiamo di trovare scuse meschine, perché sappiamo benissimo che non siamo mai pronti e, contemporaneamente, che siamo sempre pronti ad allargare l’Europa.
(Applausi)
Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, il Consiglio europeo di giugno ha deciso di proseguire e ampliare la discussione sull’allargamento e sulla futura strategia di allargamento dell’Unione durante la Presidenza finlandese. Il Consiglio europeo che si riunirà questa settimana discuterà tutti gli aspetti dei futuri allargamenti, compresa la capacità dell’Unione di accogliere nuovi Stati membri e il modo in cui migliorare la qualità del processo di allargamento sulla base dell’esperienza maturata finora.
Il Consiglio europeo svolgerà la sua discussione generale sull’allargamento facendo riferimento alla strategia di allargamento adottata dalla Commissione l’8 novembre. La strategia comprende anche una relazione speciale sulla capacità dell’Unione europea di accogliere nuovi Stati membri. L’obiettivo della Presidenza è far sì che le discussioni del Consiglio europeo diano peso alla visione comune del futuro del processo di allargamento. Lunedì, il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” ha esaminato le conclusioni del Consiglio europeo sull’allargamento. Il Consiglio ha avviato un dibattito costruttivo e approfondito in materia.
L’allargamento fa parte del processo di integrazione dell’Europa. Quando la Presidenza finlandese ha presentato il suo programma di lavoro alla commissione per gli affari esteri lo scorso luglio, abbiamo rilevato che l’allargamento ha innegabilmente promosso la crescita e la prosperità in Europa. Ha giovato sia all’Unione, assieme ai suoi Stati membri, sia all’Europa nel suo insieme. La prospettiva dell’adesione ha stimolato i paesi candidati a introdurre le riforme necessarie. L’allargamento ha contribuito ad accrescere l’influenza dell’Unione sulla scena politica internazionale. L’espansione del mercato interno ha permesso all’economia dell’Unione di rispondere in modo più efficace alle sfide della concorrenza globale.
La storica quinta ondata di allargamento sarà completata il 1° gennaio, quando la Bulgaria e la Romania, i cui candidati Commissari sono stati approvati ieri in questa sede, aderiranno all’Unione europea. Questo allargamento si è già rivelato un successo. Grazie all’allargamento, lo spazio di pace, stabilità, democrazia, Stato di diritto e prosperità si sta estendendo a quasi tutta l’Europa. Dobbiamo ora garantire che questa serie di successi continui.
L’Unione deve proseguire l’allargamento, come processo aperto e obiettivo, senza imporre nuove restrizioni o condizioni. A tal fine, occorre prestare maggiore attenzione al modo in cui l’allargamento possa procedere nella pratica. E’ del tutto naturale cercare di migliorare la qualità del processo di allargamento e preparare meglio l’Unione ad affrontarlo.
Come sappiamo, e come emerge chiaramente dagli interventi dei relatori, la capacità di integrazione, o la capacità dell’Unione di accogliere nuovi Stati membri, non è un criterio di adesione né dovrà mai diventarlo. La capacità di integrazione è nondimeno un fattore importante di cui tenere conto per garantire il successo dell’allargamento. Preservare la capacità di integrazione è nell’interesse sia dell’Unione sia dei paesi candidati. Se, tuttavia, all’interno dell’Unione dovessimo imporre condizioni sull’allargamento che un paese candidato non potesse in alcun modo soddisfare, rischieremmo di incrinare la volontà dei paesi interessati ad aderire all’Unione di introdurre riforme.
Per preservare la capacità di integrazione dell’Unione, è necessario che i paesi in via di adesione siano disposti ad accettare e rispettare gli obblighi derivanti dall’adesione all’Unione europea. E’ altresì essenziale che l’Unione sia in grado di funzionare in modo efficace e di svilupparsi. E’ importante che l’Unione possa accogliere nuovi membri quando essi sono pronti, sulla base dei progressi compiuti nei negoziati. Entrambe le considerazioni sono importanti anche per ottenere il sostegno dell’opinione pubblica al processo di allargamento.
La capacità di integrazione dell’Unione deve essere esaminata durante il processo di allargamento. Dobbiamo assicurare che l’Unione sia in grado di funzionare politicamente, finanziariamente e istituzionalmente in seguito a ogni allargamento. L’impatto dei futuri allargamenti sulle Istituzioni, sulle politiche e sul bilancio dell’Unione deve essere valutato con cura.
E’ importante che l’Unione tenga fede agli impegni assunti con la Croazia, la Turchia e i paesi dei Balcani occidentali nei negoziati relativi all’adesione. Per quanto riguarda la Turchia, la Presidenza ha fatto tutto il possibile per permettere il proseguimento dei negoziati. Siamo lieti della soluzione cui è giunto il Consiglio lunedì. Ci fornirà una base su cui proseguire.
I paesi candidati e i candidati potenziali hanno la responsabilità di introdurre le necessarie riforme interne. I progressi nel processo di adesione dipendono dai progressi compiuti in questo ambito. Il processo può avanzare soltanto se le condizioni sono soddisfatte.
Di recente si è diffuso un grande senso di stanchezza nei riguardi dell’allargamento. La diffusione di informazioni puntuali e concrete può fare molto per dissipare i dubbi diffusi. La verità è che l’Unione trae giovamento dall’ingresso di nuovi Stati membri e ha bisogno di loro.
Infine, signor Presidente, a nome della Presidenza vorrei ringraziare il Parlamento europeo per la sua viva partecipazione alla discussione sul futuro allargamento. Le due relazioni in esame oggi sono un prezioso contributo al dibattito in corso. La Presidenza terrà sicuramente conto delle relazioni sulla strategia di allargamento e sulla capacità di integrazione discusse oggi e dei pareri espressi dal Parlamento europeo in generale. Siamo certi che il Parlamento sosterrà la nostra missione comune.
(Applausi)
Olli Rehn, Membro della Commissione. – (FI) Signor Presidente, Ministro Lehtomäki, onorevoli deputati, colgo l’occasione per ringraziare la Presidenza per l’eccellente, stretta cooperazione instaurata durante questo semestre e, in particolare, vorrei esprimere le mie congratulazioni per la decisione che ha adottato lunedì, al fine di permettere il proseguimento dei negoziati di adesione con la Turchia. Tale decisione trasmette alla Turchia il chiaro messaggio che il mancato adempimento degli obblighi ha delle conseguenze, ma, al tempo stesso, grazie a quella decisione il Consiglio è riuscito a evitare uno scontro nelle relazioni tra l’Unione europea e la Turchia.
Questa decisione dimostra che l’Unione europea è in grado di decidere in modo risoluto e solidale questioni spinose come quella della Turchia, senza farne un grande dramma. Sono certo che l’Assemblea saprà apprezzarlo, e so che sarà apprezzato quanto meno dai 26 membri del Consiglio europeo che si riuniranno giovedì e venerdì e che non volevano un altro Vertice con la Turchia alla fine dell’anno.
(EN) Signor Presidente, vorrei congratularmi con i relatori, onorevoli Elmar Brok e Alexander Stubb (che non è ostinato, anzi, ha una grande flessibilità intellettuale, comunque si pronunci il suo nome!). Mi congratulo inoltre con la commissione competente e con tutti gli onorevoli deputati per l’intenso lavoro svolto su questo importante argomento.
La Commissione condivide molte osservazioni contenute nella relazione. Accogliamo con favore, in particolare, la preferenza per il concetto di “capacità di integrazione”, illustrato dagli onorevoli Brok e Stubb. Siamo lieti del sostegno accordato dal Parlamento alla strategia di allargamento della Commissione e ai suoi principi, nonché del sostegno ai nostri sforzi volti a migliorare la comunicazione e la trasparenza.
Concordo con il parere del Parlamento secondo cui la capacità di integrazione riguarda primariamente le Istituzioni, il bilancio e le politiche dell’Unione. Tuttavia, prima di soffermarmi su questi punti, permettetemi di sottolineare la somma importanza di tenere presenti i nostri interessi strategici quando esaminiamo la nostra capacità di integrazione.
Nel dibattito in corso in Europa in generale, spesso il modo in cui parliamo non è consequenziale. Alcuni sottolineano solo il significato strategico dell’allargamento per la pace e la democrazia. Altri si concentrano solo sui problemi interni che limitano la nostra capacità di integrare nuovi Stati membri. Se questi due discorsi non si incontrano, corriamo il rischio di aumentare la confusione tra i nostri cittadini e di erodere la nostra credibilità nei paesi candidati.
Dobbiamo quindi creare un nuovo consenso sull’allargamento, combinando questi due lati della medaglia. Dobbiamo proseguire la missione strategica dell’allargamento preservando il potere di persuasione e di trasformazione democratica ed economica dell’Unione e, al tempo stesso, dobbiamo assicurare che l’Unione rimanga in grado di funzionare con la graduale integrazione di nuovi Stati membri.
Per questi motivi, la Commissione migliorerà la qualità del processo di adesione. Svolgeremo valutazioni di impatto e valuteremo le conseguenze finanziarie per le politiche principali, soprattutto la politica agricola e la politica di coesione.
Dobbiamo inoltre applicare una rigorosa condizionalità. L’esperienza dimostra che quanto più preparati sono i nuovi Stati membri, tanto meglio l’Unione funziona dopo l’allargamento. Le questioni spinose, come la riforma giudiziaria e la lotta alla corruzione, devono essere affrontate nelle fasi iniziali dei negoziati.
Tuttavia, per migliorare la qualità del processo di adesione, non dobbiamo creare un sistema eccessivamente complesso, che aggiungerebbe solo ostacoli artificiosi a un processo già abbastanza complicato. Siamo tutti favorevoli alla semplificazione, non alla complicazione. Dobbiamo quindi avere regole chiare, procedure chiare, che siano comprese sia dai nostri cittadini sia dai paesi interessati, i paesi candidati.
Alcuni si chiedono se l’allargamento avvenga a scapito dell’approfondimento. La mia risposta è “no”: in passato l’Unione è riuscita ad approfondirsi e allargarsi contemporaneamente, e può farlo ancora.
Di conseguenza, si dovrà pervenire a una nuova configurazione istituzionale entro il momento in cui il prossimo nuovo Stato membro sarà presumibilmente pronto ad aderire all’Unione. Il Consiglio europeo ha stabilito un calendario per proseguire la riforma istituzionale, a partire da una dichiarazione politica che sarà adottata a Berlino il prossimo marzo. Le misure necessarie per creare un nuovo quadro istituzionale dovranno essere adottate entro la fine del 2008.
Abbiamo bisogno di una nuova configurazione istituzionale per rendere più efficace il nostro processo decisionale. Ne abbiamo bisogno per rafforzare la legittimità dell’Unione e per rafforzare il ruolo dell’Europa nel mondo. Infine, ma non per questo meno importante, ne abbiamo bisogno per l’Unione attuale e per i suoi cittadini di oggi o, al più tardi, di domani, non solo in vista di potenziali allargamenti futuri. Dobbiamo mantenere lo slancio dell’integrazione e approfondire e sviluppare ulteriormente l’Unione europea.
Sono certo che condividiate questi obiettivi, intesi a riformare e rafforzare l’Unione, e attendo con impazienza di lavorare con voi per conseguirli.
(Applausi)
Íñigo Méndez de Vigo, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto congratularmi con i due relatori. Non è un caso che siano entrambi membri del mio gruppo politico, signor Presidente, e abbiano agito insieme e in modo complementare. Loro non lo sanno, ma stamattina vi rivelerò un segreto: nel mio gruppo politico, onorevole Swoboda, gli onorevoli Brok e Stubb sono chiamati “i gemelli”. Mi auguro che altri gemelli più famosi a livello europeo non si offendano per l’usurpazione.
La verità è che hanno fatto ciò che dovrebbero fare gli altri gemelli. Hanno agito insieme nell’interesse dell’Europa. Non hanno assorbito gli emendamenti di altri gruppi politici, ma li hanno integrati. Ritengo quindi che oggi l’Assemblea voterà a favore di queste due relazioni sulla strategia di allargamento e sulla capacità di integrazione.
Signor Presidente, le due relazioni contengono vari impegni positivi. Il primo – come ha spiegato con grande eloquenza l’onorevole Stubb – è l’impegno a favore dell’allargamento. Siamo convinti che l’allargamento sia estremamente vantaggioso per l’Unione europea e per gli Stati che vi aderiscono. Non vi sono dubbi al riguardo. Chi dovesse averne, dovrebbe leggere il paragrafo 19 della risoluzione.
Tuttavia, è altrettanto chiaro che, perché l’allargamento abbia successo, l’Unione europea deve essere preparata ad accogliere nuovi Stati membri. La realtà è che in questo momento non lo è. Nessuno invita un ospite a casa propria se la casa non è preparata. Fare ordine in casa è il secondo impegno contenuto nella relazione dell’onorevole Stubb: l’impegno a favore del Trattato costituzionale.
Non molto tempo fa, due deputati al Parlamento su tre sostenevano la relazione Corbett-Méndez de Vigo. La relazione dell’onorevole Stubb dà risalto a questo fatto. Siamo tuttora convinti che il contenuto del Trattato costituzionale sia necessario per permettere alla nostra casa di accogliere nuovi ospiti.
A mio parere, è molto importante evidenziare questo punto, perché la Presidenza tedesca presenterà proposte con una data, il 2009, e ritengo che i paragrafi 9 e 10 della relazione Stubb indichino chiaramente quale dovrà essere il contenuto di ogni futura riforma e respingano anche un atteggiamento cui abbiamo dato risalto in più occasioni in seno al Parlamento: non vogliamo il cherry picking, l’attuazione frammentaria di determinati aspetti. Vogliamo l’equilibrio rappresentato dal testo del Trattato costituzionale.
Infine, signor Presidente, entrambe le relazioni contengono un messaggio politico chiaro. Lei parteciperà al Consiglio europeo e le chiedo di ribadirlo in quella sede: non vi saranno nuovi allargamenti senza una Costituzione europea. Non ve ne saranno. Il Parlamento deve adottare un parere conforme al momento dell’approvazione di ogni nuovo allargamento e intende esercitare questo diritto, così come proclama solennemente nella relazione in esame.
Signor Presidente, il mio gruppo sosterrà entrambe le relazioni e, per quanto riguarda la relazione dell’onorevole Stubb, voterà a favore degli emendamenti nn. 6, 7 e 8.
Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, vorrei cominciare ringraziando l’onorevole Brok e l’onorevole Stubb per le loro relazioni. Devo dire che, se guardo i due onorevoli colleghi assieme all’onorevole Méndez de Vigo, giungo alla conclusione che possono anche non assomigliarsi come due gocce d’acqua, ma il risultato è molto buono. Con il dovuto rispetto per lei, signor Commissario, il risultato di entrambe le relazioni a mio parere è migliore di quello della relazione della Commissione, in quanto le nostre esprimono i concetti in modo più chiaro e preciso, e ritengo che la Commissione dovrebbe seguirne l’esempio.
Anche qui, in seno al Parlamento, vi sono deputati che vedono una soluzione in una piccola Europa e sostengono che quanto più piccola è l’Unione europea, tanto migliore e più omogenea sarà. D’altro canto, vi sono deputati che sostengono “quanto più grande, tanto meglio”, perché poi potremo parlare per tutti. Tuttavia, non potremo parlare per tutti se non troviamo una voce comune, ed è quindi necessario creare le condizioni a tal fine. Non è la quantità a fare l’Europa, ma la qualità, e concordo pienamente con l’onorevole Méndez de Vigo sul fatto che ciò dipende, tra l’altro, dalla Costituzione europea.
Non è necessario che sia esattamente la Costituzione attuale, e probabilmente non lo sarà, ma per rendere l’Europa più efficace si devono attuare gli elementi essenziali di questa Costituzione. Senza dubbio, la seconda condizione essenziale è una base finanziaria adeguata. Siamo onesti: già ora non siamo in grado di soddisfare le aspettative e i desideri legittimi delle nostre popolazioni, che l’Europa può e deve soddisfare. Come può quindi funzionare un’Unione europea allargata se non creiamo le condizioni finanziarie adeguate a tal fine?
Dobbiamo dire ai nostri governi che non possono continuare a fare belle promesse sull’allargamento e al tempo stesso, ogni volta che si parla di base finanziaria, dire che non ci sono fondi disponibili. Non è accettabile, e il Parlamento deve dirlo in modo inequivocabile.
Permettetemi di fare un’altra osservazione sulla Costituzione. L’aspetto più importante, come sappiamo, è la riforma delle Istituzioni, con cui non si intende un piccolo ritocco ma una riforma fondamentale. Lo stesso vale, in gran parte, anche in campo finanziario, in termini di modelli di finanziamento che introducano una modifica fondamentale nella base finanziaria dell’Unione europea.
Passiamo dunque alla capacità di integrazione. A nome del mio gruppo, vorrei dire che la capacità di integrazione non è una barriera contro i futuri allargamenti, ma una precondizione per i futuri allargamenti, ed è una precondizione necessaria, non solo un prodotto secondario delle nostre riflessioni quando modifichiamo l’uno o l’altro particolare di un Trattato di adesione, fatto che in futuro non sarà più accettabile.
Parallelamente, è chiaro che occorre proseguire il dialogo sull’Europa sudorientale e sui Balcani, e non solo riguardo alla Croazia, per la quale ho l’onore di essere relatore. Anche dopo la Croazia, non si potrà tracciare un nuovo confine, si dovranno compiere progressi passo a passo. La Turchia, sulla quale interverrà in modo più approfondito l’onorevole Wiersma, deve adempiere i suoi obblighi, ma anche noi abbiamo ancora un compito di integrazione da portare a termine per quanto riguarda Cipro, e dobbiamo farlo.
Un’ultima osservazione: dobbiamo offrire ai paesi nel nostro vicinato, in particolare quelli attorno al Mar Nero, una visione realistica. A tal fine è necessaria una formula intermedia, tipo quella presa in considerazione dalla commissione per gli affari esteri, in seno alla quale l’onorevole Wiersma e io abbiamo proposto l’idea di una Comunità UE-Mar Nero, al fine di rafforzare i legami tra i paesi di quella regione e l’Unione europea. Si tratta di una specie di fase preparatoria, la quale, senza imporre alcun obbligo, potrebbe sfociare nell’adesione allorché le condizioni necessarie saranno soddisfatte.
Dobbiamo realizzare i desideri dei nostri vicini, ma possiamo farlo soltanto se realizziamo i desideri dei nostri concittadini in Europa, e al momento non lo stiamo facendo. Dobbiamo ancora creare le condizioni per poterlo fare; solo così sarà di nuovo possibile trasformare in realtà la visione di un’Europa grande e allargata.
(Applausi)
Presidente. – Onorevole Swoboda, è chiaro che gli onorevoli Stubb e Brok non sono gemelli, nel senso fisico del termine. L’onorevole Méndez de Vigo lo ha detto affettuosamente, per segnalare che agiscono insieme, come altri due famosi personaggi, Stan Laurel e Oliver Hardy. Anche loro non erano gemelli, ma agivano insieme.
(Si ride)
E’ in questo senso che va interpretato il carattere unitario del loro lavoro, e lo dico con il massimo affetto per i nostri relatori di oggi.
Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, anche se le battute sui gemelli cominciano a mostrare la corda, vorrei solo aggiungere che per fortuna non vi siete ancora trasformati in gemelli malvagi, perché di sicuro ciò sarebbe assai spiacevole.
Dal maggio-giugno 2005, l’allargamento nel suo insieme è sotto tiro. Si dice infatti che sia il motivo principale dei “no” espressi in Francia e nei Paesi Bassi. E’ stato in quel clima negativo che il concetto di capacità di assorbimento ha improvvisamente sollevato la testa. E’ un’espressione odiosa, che per molti rappresenta una scusa per mettere freno ai futuri allargamenti, e persino per mettere in discussione, se non revocare, gli impegni assunti al riguardo.
Il mio gruppo non ha mai seguito questa linea e tiene molto, innanzi tutto, a riconoscere che l’allargamento finora è stato un grande successo e, in secondo luogo, alla necessità di rispettare tutti gli impegni assunti nei confronti della Croazia e dei paesi dei Balcani occidentali, anche se alcuni si stanno formando solo ora, nonché gli impegni assunti con la Turchia.
In questo contesto, vorrei congratularmi con il Commissario Rehn, con i suoi colleghi della Commissione e con il Consiglio per le decisioni adottare riguardo alla Turchia, che a mio parere sono molto equilibrate. Pur non chiudendo la porta, si è chiarito qual è l’accordo, e in questa decisione avete tutto il nostro sostegno.
Infine, il mio gruppo è fermamente convinto – e l’onorevole Duff elaborerà l’argomento – che l’Unione e le sue Istituzioni debbano mettere ordine in casa propria, prima di procedere a un nuovo ciclo di allargamento. Questo è tuttavia compito dell’Unione europea, degli Stati membri, della Commissione, del Parlamento, del Consiglio e, non ultimo, del Consiglio europeo – non dei paesi candidati.
Entrambe le relazioni danno espressione a questo nuovo atteggiamento, più positivo, nei confronti dell’allargamento e sottolineano chiaramente la necessità di riformare le Istituzioni, e per questo motivo il mio gruppo intende sostenerle.
Joost Lagendijk, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, non ripeterò che l’allargamento finora è stato un enorme successo, in quanto lo hanno già detto molti colleghi e anche la Commissione e il Consiglio, e sebbene in seno all’Assemblea di fatto sembri una banalità, non è un lusso superfluo dirlo chiaramente in un’Unione europea in cui sono sempre più numerose le persone che mettono in discussione l’utilità e la necessità dell’allargamento.
Ciò detto, è nondimeno necessario, e a mio parere anche possibile, trarre insegnamento dal modo in cui abbiamo fatto le cose finora. Come ha già detto il Commissario, questi insegnamenti figurano nella sua relazione e anche nelle relazioni del Parlamento. Vi esorto a valutare ogni paese secondo i suoi meriti e a evitare lo stesso errore commesso trattando senza distinzione la Romania e la Bulgaria. Vi esorto a non indicare troppo presto una data, perché ciò si ritorcerà contro di noi e contro il processo. Non rimandate le questioni complesse all’ultimo minuto e prestate attenzione più ai risultati che all’impegno. Nell’ambito della discussione su questi insegnamenti, durante l’ultimo anno è improvvisamente emersa l’espressione “capacità di assorbimento”, ora detta “capacità di integrazione”. E’ una reazione di alcune persone favorevoli a un ulteriore allargamento, tra cui mi conto anch’io, che hanno paura di partecipare a questo dibattito perché molti oppositori hanno usato la capacità di integrazione come argomento a sfavore di un ulteriore allargamento.
Senza mezzi termini, affermo che la capacità di integrazione non è un argomento a favore dell’allargamento, né contro di esso, e deve essere chiaro a tutti di che cosa si tratta.
Permettetemi di evidenziare due elementi. Per quanto riguarda le riforme istituzionali, ripeto che, pur essendo molto favorevole a un nuovo allargamento che comprenda i paesi dei Balcani occidentali e la Turchia, sono anche convinto che questo allargamento sia impossibile sulla base dei Trattati attuali e che abbiamo quindi bisogno di una riforma istituzionale fondamentale. Penso solo che in seno al Parlamento non dovremmo polemizzare sul modo esatto in cui debba essere fatto, basta che sia fatto!
Riguardo agli altri aspetti di questa discussione sulla capacità di integrazione, il sostegno dell’opinione pubblica è fondamentale. Possiamo averlo soltanto se, assieme alle nostre controparti nazionali, riusciamo a svolgere bene il compito di trasmettere il messaggio che il passato è apprezzato per i meriti che ha, in modo che le persone non abbiano paura di sottolineare gli interessi a lungo termine dell’Unione. Ciò richiede anche leadership politica e coraggio politico, onde evitare di dare peso eccessivo a ogni singolo sondaggio di opinione sull’allargamento, i quali al momento possono essere un po’ meno ottimistici. Tutti questi elementi – coraggio, leadership politica, interessi a lungo termine – sono riuniti nel dibattito sulla Turchia.
Sono quindi molto favorevole al fatto che l’Assemblea non cavalchi il populismo, come accade in alcuni dibatti in corso in Europa sulla Turchia. Anche nel mio paese, ho notato che chi era favorevole due anni fa è ora improvvisamente contrario all’adesione turca, perché questa è la tendenza che emerge dai sondaggi di opinione. Non dobbiamo lasciarci coinvolgere da tale atteggiamento, nemmeno in questa relazione. Per questo motivo, riguardo a Cipro – e discuterò l’argomento con l’onorevole Brok – la Turchia deve tener fede alla promessa, ma deve farlo anche l’Unione europea. Mi compiaccio quindi dell’impegno assunto dai ministri degli Esteri di affrontare la questione dell’isolamento della parte settentrionale di Cipro la prossima primavera. Il futuro dell’Unione europea non si può costruire sull’instabilità e sulla paura, e questo è senz’altro vero nel caso dell’allargamento.
Erik Meijer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Signor Presidente, all’inizio degli anni ’90, l’allargamento è stato dichiarato uno degli obiettivi fondamentali dell’Unione. L’Europa, precedentemente ripartita fra tre blocchi economici, doveva riunirsi in fretta nell’Unione europea. In seguito, il piano per un ciclo di allargamento iniziale limitato – comprendente Estonia, Repubblica ceca e Cipro, ma non Lettonia, Slovacchia e Malta – fu improvvisamente abbandonato a favore di un grande allargamento. In questo ciclo, la Romania e la Bulgaria, anche se diventeranno Stati membri fra tre settimane, hanno chiuso la coda.
A seguito dell’impegno di accogliere tutti gli Stati dei Balcani che non abbiano ancora aderito, dopo il lento avvio dei negoziati con la Croazia e la Turchia e scemato l’entusiasmo di breve durata per una possibile, rapida procedura di adesione per l’Ucraina, la Moldavia e la Bielorussia, tutto si è vistosamente quietato. I negoziati con un altro paese candidato, la Macedonia, non sono ancora nemmeno decollati.
Emerge ora che i nuovi arrivi non sono più così bene accetti. Chi detiene il potere teme che, senza una Costituzione, l’Unione europea avrà sempre più difficoltà a funzionare correttamente e sempre più fondi dovranno essere ridistribuiti. I cittadini in generale sono testimoni del fenomeno dell’immigrazione di lavoratori, persone lontane da casa che svolgono i lavori sporchi e insicuri e sono mal pagate e male alloggiate.
L’adozione della direttiva sui servizi ha creato il timore che la valida legislazione sociale e i buoni contratti collettivi di lavoro nei vecchi Stati membri dovranno presto competere con normative inferiori applicate nei nuovi o futuri Stati membri. In ragione sia della politica neoliberale all’interno dell’Unione europea sia della mancanza di progressi nel processo di democratizzazione e nel rispetto dei diritti umani in Turchia, l’ulteriore allargamento sta diventando molto impopolare tra i cittadini degli attuali Stati membri.
Queste due mancanze ci hanno costretti a scalare marcia e adottare misure transitorie. Il pericolo è che gli Stati attualmente respinti stanno anche diventando sempre più dipendenti dall’Unione europea, fatto che può ostacolare le loro scelte e il loro sviluppo.
Il mio gruppo è favorevole, anche nei periodi transitori, a rispettare l’equivalenza dei paesi candidati potenziali e a offrire sostegno finanziario per permettere loro di mettersi al passo, anche nell’ottica di agevolare la loro futura adesione. Abbiamo il dovere, nei confronti dei numerosi residenti nei nostri Stati membri che provengono dall’ex Jugoslavia e dalla Turchia, di prendere in seria considerazione il desiderio di quelle regioni di aderire all’Unione.
Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, quando ho letto le due relazioni vi ho trovato una sola sorpresa piacevole: il quadro completamente nero delle prospettive di allargamento dell’Unione europea è stato sostituito da uno grigio. Questo schiarimento dovrebbe essere apprezzato. Il quadro si è schiarito ancor di più oggi grazie all’intervento del relatore, ma anche quello dipinto ora è ancora ben lontano dalla realtà.
Nonostante l’impressione che possono dare le due relazioni, non sono state le riforme istituzionali a rendere l’Unione sempre più forte sulla scena internazionale. L’Unione europea ha acquistato prestigio politico perché ora rappresenta un numero maggiore di cittadini e di imprese, ha un territorio più vasto e una maggiore influenza militare ed economica. E’ quindi dagli allargamenti degli anni ’80, degli anni ’90 e, più di recente, del 2004 che l’Unione europea ha tratto la forza per essere un soggetto globale. Questo cambiamento non è stato ottenuto brandendo la bacchetta magica della riforma del Trattato.
Noto una maggiore disponibilità a parlare della risoluzione del marzo 2006 sullo stesso tema, ma far dipendere l’allargamento dal Trattato costituzionale è semplicemente anacronistico. Possiamo attenderci cambiamenti istituzionali, ma la richiesta del Trattato nella sua forma attuale può solo essere interpretata come una scusa per arrestare il processo di allargamento senza buoni motivi. Una filosofia basata sul motto “o il Trattato costituzionale o la morte” non è né buona né saggia. Un pretesto del genere si può trovare nei dibattiti accademici sulla capacità di assorbimento o di integrazione.
L’integrazione europea non è un fenomeno chimico o fisico, non sono all’opera leggi di natura oggettive. L’integrazione è una questione di pura volontà politica, che dipende da noi e dai nostri omologhi negli Stati membri. Se siamo realmente d’accordo sul fatto che l’allargamento rappresenta un successo, dobbiamo chiederci perché dovremmo volere aggiungere trenta clausole basate su una filosofia non lontana dall’euroscetticismo meschino e codardo. Possiamo davvero essere sicuri che l’allargamento nuoccia alla qualità dell’integrazione? Forse la qualità dell’integrazione peggiora anche a causa di politiche inadeguate dell’Unione stessa? Forse questa qualità risente di un’agenda sovraccarica che imponiamo all’Unione europea, o di aspettative troppo diverse e troppo ambiziose?
Se dovessimo respingere queste mie critiche, ci rimarrebbe solo la verità assai banale che i paesi candidati devono soddisfare i criteri di adesione. Dubito che si debbano elaborare due intere relazioni solo per ricordarci questo principio ovvio e consolidato.
Per tali motivi, non intendo votare a favore di queste proposte, in quanto sembrano limitarsi a fornire un elenco di pretesti per sospendere il processo di integrazione senza un motivo valido.
Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, la relazione Stubb è deludente per più motivi. Innanzi tutto, non contribuisce in alcun modo a risolvere lo stallo istituzionale in cui si trova attualmente l’Unione. Solo la conferma del sostegno alla Costituzione europea e una sintesi di tale Costituzione al paragrafo 9, al momento dell’adozione della relazione, sembravano rappresentare la più recente posizione del Parlamento.
Altrettanto scandalosa è la mancanza di visione riguardo al processo di allargamento, il che mi porta alla mia seconda critica. Al paragrafo 11 si sottolinea la necessità di compiere sforzi per aumentare l’accettazione pubblica dell’allargamento, ma le cause alla base del calo di sostegno non sono affatto affrontate. La relazione perpetua inoltre il tabù della finitezza dell’Unione. E’ la totale mancanza di leadership politica nel definire i confini dell’Unione europea a diffondere scontento e incertezze sul processo di allargamento.
Nella relazione sugli aspetti istituzionali della capacità dell’Unione di integrare nuovi membri mancano anche raccomandazioni concrete volte a integrare il processo di allargamento nel Trattato. Propongo di integrare le varie fasi del processo di adesione in un trattato, in modo da applicare ai paesi candidati criteri uniformi in ogni fase della procedura. In tal modo, il processo di allargamento diventerà più trasparente e il Parlamento sarà in grado di dare sostanza alla sua responsabilità di controllo parlamentare in tutti i momenti cruciali del processo di adesione.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, si parla di strategia di allargamento e questo è un momento propizio per esaminare il modo in cui sono condotti i negoziati con i paesi candidati problematici, come la Turchia. E’ stato fissato un termine entro il quale la Turchia avrebbe dovuto soddisfare i suoi obblighi in materia di unione doganale, ma il governo turco si rifiuta di collaborare, e la cosiddetta sanzione dell’Unione europea equivale a mettere da parte i capitoli difficili per il momento e lasciar passare la scadenza senza prevederne una nuova.
La Commissione e il Consiglio hanno più volte dichiarato di voler evitare uno scontro con la Turchia e i turchi hanno ora compreso che sono loro, non noi, a poter dettare le condizioni. Infatti, il governo belga ha proposto una nuova dottrina al riguardo, secondo la quale con la Turchia, cito: “siamo impegnati in un allargamento geopolitico ed è necessaria una tattica diversa”. In altre parole, un paese candidato non europeo come la Turchia è libero di fare a tira e molla con i criteri di Copenaghen. L’Unione europea non ha alcuna risposta per le tattiche di mercanteggiamento da bazar della Turchia.
Il Commissario Rehn ha parlato poc’anzi di credibilità dell’Unione europea rispetto ai paesi candidati. Trascura un piccolo dettaglio, cioè la credibilità dell’Unione tra i cittadini europei. I cittadini sono sempre stati indotti a credere che i negoziati sarebbero stati sospesi se fosse risultato evidente che la Turchia non è all’altezza della situazione, il che è l’esatto contrario di ciò che sta accadendo ora. E’ questo il vero problema di credibilità dell’Unione europea.
Panayiotis Demetriou (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, signora Ministro, signor Commissario, onorevoli colleghi, oggi i relatori hanno presentato due relazioni eccezionali. Mi congratulo con loro perché hanno espresso i concetti in modo sintetico, completo e sostanziale.
Un interrogativo continua a circolare nell’Unione europea: quo vadis Europa? Il quesito si può suddividere in altre questioni: che tipo di Unione europea vogliono? Quali dimensioni vogliono che l’Unione europea abbia? L’Unione europea oggi funziona in modo efficiente?
Sono interrogativi tormentosi cui occorre rispondere, e le risposte si trovano nella visione cui intendiamo aspirare. Qual è la nostra visione? La nostra visione è comune. Vogliamo un’Unione europea democratica, prospera e umana. Vogliamo un’Unione europea che svolga un ruolo di regolazione sulla scena globale. Questo è il motivo per cui l’allargamento è un obiettivo interessato. L’allargamento fa parte della visione. Di conseguenza, non possiamo mettere il carro davanti ai buoi: devono procedere insieme. Da questo punto di vista, il Commissario Rehn ha ragione a dire che l’allargamento e l’approfondimento sono due – aggiungerei – facce della stessa medaglia.
Tuttavia, non si può parlare di allargamento a scapito della qualità e nell’interesse dell’espansione – l’obiettivo dell’Europa non è espansionistico – senza tenere conto delle condizioni in cui viviamo. Non è l’Unione europea a doversi adattare all’allargamento; a doversi adattare è ciascun paese che desidera aderire all’Unione europea. Riguardo alla Croazia e alla Turchia, di sicuro è positivo auspicare l’adesione della Turchia all’Unione europea; tuttavia, abbiamo fermato la Croazia quando non ha rispettato le condizioni. Non voglio dire che fosse necessario giungere a quel punto.
Per concludere, occorre procedere con la Costituzione, altrimenti l’allargamento non avrà alcun significato storico.
Jan Marinus Wiersma (PSE). – (NL) Signor Presidente, vorrei esprimere anch’io le mie congratulazioni ai due relatori, onorevoli Elmar Brok e Alexander Stubb, per l’ottimo lavoro svolto. Il quinto ciclo di allargamento dell’Unione europea è senza dubbio uno dei progetti più ambiziosi che l’Unione abbia mai realizzato. Serve anche come punto di riferimento, ovviamente, per la discussione di oggi. Questo allargamento ci obbliga inoltre a esaminare il funzionamento interno dell’Unione prima di intraprendere un nuovo ciclo e, per tale motivo, il tema della capacità di integrazione dell’Unione è di nuovo all’ordine del giorno.
Nondimeno, vorrei fare alcune osservazioni sulle critiche formulate sull’allargamento, spesso citate nel contesto della discussione in corso, dalle quali vorrei prendere le distanze perché esprimono varie idee che considero riprovevoli. In primo luogo, che questo allargamento è stato un errore; in secondo luogo, che l’Unione europea è completa; in terzo luogo, che le riforme interne sono specificamente necessarie per l’allargamento. Queste critiche non sono corrette. L’allargamento rappresenta un valore interno intrinseco, legato all’ambizione di far funzionare l’Unione europea in modo più efficace. Ripeto, e continuerò a ripetere, che l’allargamento del 2004 è stato un successo e lo sarà anche l’allargamento all’inizio del prossimo anno alla Bulgaria e alla Romania.
L’Unione è e sarà sempre un club aperto. Ha assunto impegni con diversi paesi, che dovremo onorare. Ad ogni modo, l’Unione europea deve essere riformata per poter continuare a funzionare ma anche perché i cittadini si aspettano di più dall’Unione europea. Questo di fatto ci riporta alla discussione sulla capacità di integrazione e sulla strategia di allargamento in termini pratici. Le relazioni Brok e Stubb dimostrano, a mio parere, che l’Assemblea è riuscita a definire le nostre aspettative in modo efficiente e che la Commissione ha adottato lo stesso approccio metodico, anche se, come ha rilevato l’onorevole Swoboda, ha lasciato senza risposta diverse questioni importanti, con la scusa che le riesaminerà a tempo debito.
Riguardo alla capacità di integrazione, ciò che conta di più per noi è che l’Unione europea svolga il suo lavoro. Le attuali Istituzioni e il Trattato di Nizza sono una base inadeguata per l’adesione di nuovi Stati membri. Spetta a noi introdurre le riforme istituzionali necessarie per permettere l’integrazione di nuovi paesi a una data successiva. Il fatto che i paesi candidati, a loro volta, siano tenuti a completare tutti i preparativi per l’adesione non è una novità: le condizioni sono stabilite dai criteri di Copenaghen sin dal 1993.
Vi sono alcuni elementi della capacità di integrazione dell’Unione di lapalissiana importanza. Abbiamo bisogno delle Istituzioni perché l’Unione europea possa funzionare in modo democratico ed efficace, e abbiamo bisogno di un bilancio commensurato alle ambizioni dell’Unione. Tuttavia, vorrei dire qualcosa anche sulla cosiddetta “capacità di agire”, che, a mio parere, riveste importanza cruciale. E’ importante che l’Unione europea, la Commissione e gli Stati membri lancino iniziative che rispondano ai desideri e alle aspettative dei cittadini europei, desideri e aspettative che devono anche essere al centro della comunicazione sull’Unione europea.
L’Unione europea deve dimostrare di che cosa è capace e deve riuscire a comunicarlo, perché è l’unica possibilità che abbiamo di creare e preservare con successo una struttura di sostegno per la cooperazione europea. L’allargamento fa parte di questo processo, non dobbiamo considerarlo come una politica distinta da adottare separatamente. L’allargamento deve anche far parte di quella che la Commissione definisce “l’agenda dei cittadini”. Soltanto se si dà vita a un dibattito pubblico sulla base di un’Europa che funziona meglio, ci si può attendere che in futuro i cittadini avranno un atteggiamento più positivo nei riguardi dell’allargamento.
Vorrei concludere con un’osservazione sulla Turchia, un tema cui ha già accennato l’onorevole Swoboda. Il nostro gruppo sostiene la posizione del Commissario Rehn. A nostro avviso, egli ha presentato una proposta ragionevole, cioè che dobbiamo reagire alla mancata attuazione del protocollo di Ankara da parte della Turchia, ma concordiamo con lui sulla necessità di non chiudere del tutto la porta e di mantenere aperti i canali di comunicazione. Siamo altresì favorevoli alla sospensione parziale o al rinvio dei negoziati che lei stesso ha menzionato. Continuiamo a insistere sulla necessità che la Turchia adempia i propri obblighi giuridici nei confronti dell’Unione europea, ma, al tempo stesso, riteniamo che le discussioni non debbano essere completamente interrotte.
Infine, ci auguriamo che, il prossimo anno, la Commissione e il Consiglio prendano iniziative per affrontare l’isolamento, soprattutto di natura economica, della parte settentrionale di Cipro.
Andrew Duff (ALDE). – (EN) Signor Presidente, accolgo con indubbio favore la soppressione delle espressioni “capacità di assorbimento”, che ricorda un panno da cucina, e “partenariato privilegiato”, che è un concetto vagamente condiscendente e, a essere onesti, privo di grandi privilegi.
Tuttavia, ora dobbiamo cercare di sviluppare la politica di vicinato con rapidità e creatività, in modo da creare condizioni di stabilità lungo la frontiera orientale per gli Stati che non possono aderire all’Unione e per quelli che decidono di non farlo. Ci apprestiamo a rinegoziare il Trattato e sarebbe opportuno inserire nella parte III un capitolo che descriva la politica di allargamento, trascriva i criteri di Copenaghen e definisca in modo molto più chiaro di quello attuale il processo e la soglia di adesione. Nel rinegoziare la parte III, si dovrà prendere in considerazione la creazione di una nuova categoria di accordi di associazione. Un miglioramento di questo tipo servirebbe a rassicurare l’opinione pubblica in merito alla qualità del processo di adesione e al ritmo di espansione della società europea postnazionale. Sarebbe anche molto utile ai paesi terzi nelle loro riflessioni sulle future relazioni con l’Unione.
PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS Vicepresidente
Johannes Voggenhuber (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, desidero congratularmi con entrambi i relatori, anche se da parecchio tempo cerco di liberarmi dell’immagine dei gemelli. Non so se l’onorevole Méndez de Vigo abbia pensato o meno alla madre di questi gemelli, ma metterli al mondo deve aver richiesto diversi anni. Ci congratuliamo con entrambi i relatori, ma non perché bensì nonostante appartengano entrambi al gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei. Nella crisi in cui versa l’Unione, essi hanno chiarito un aspetto di grande importanza.
Che cosa significa considerare l’approfondimento e l’allargamento come un compito indivisibile? I relatori hanno fornito una descrizione completa e critica di questo compito, formulando critiche nei confronti della Commissione, del Consiglio e del Parlamento stesso, ma sono stati gemelli anche nell’evitare scrupolosamente di trattare le questioni tabù di base, molto gravose. Hanno descritto la necessità di unire l’intera Europa senza però chiedersi che cosa sia realmente l’Europa nel suo insieme e dove siano i suoi confini. Quando si parla di unificazione e di approfondimento, qual è l’obiettivo ultimo di questo processo di unificazione? E’ chiaro che non si tratta solo di tenere unita l’Europa con un mercato e una moneta, ma qual è l’obiettivo politico? In gennaio l’onorevole Duff e io abbiamo presentato all’Assemblea una relazione in cui si sollevavano questi interrogativi, ai quali non è ancora stata data risposta. Questo è uno dei motivi per cui non possiamo rispondere a molti dubbi e timori dei cittadini. Esistono argomenti tabù e dobbiamo affrontarli.
Sono molto grato per le critiche esplicite contenute nella relazione Brok riguardo alla superficialità con cui sono descritte le conseguenze finanziarie dei vari allargamenti e la superficialità con cui sono trattate le questioni istituzionali. E’ una mancanza da parte della Commissione, la quale, sin dall’inizio di questa crisi costituzionale, non ha affrontato in modo adeguato i problemi delle Istituzioni; ma la stessa critica si può formulare riguardo alla superficialità con cui sono trattate questioni quali la sicurezza interna, la giustizia, la libertà dei media e i diritti fondamentali. E’ importante dirlo. Personalmente, considero deplorevole che, nella questione turca, si ponga ora in primo piano Cipro, perché non è veramente al centro del conflitto; qui si tratta più che altro di diritti fondamentali e di democrazia, questioni che sono invece passate in secondo piano. In futuro la Commissione dovrà trattare queste questioni in modo molto più scrupoloso.
Com’è possibile che in Polonia, un paese che ha firmato il Trattato, sia in corso un dibattito sulla pena di morte lanciato dal governo? Com’è possibile che il Presidente della Repubblica ceca, pochi mesi dopo aver firmato un Trattato analogo, metta in discussione i diritti sociali e l’economia sociale di mercato? Penso che per i futuri negoziati di adesione si debbano prevedere molte più discussioni con i paesi candidati sull’obiettivo dell’unificazione politica europea rispetto a quanto fatto finora.
Jaromír Kohlíček (GUE/NGL). – (CS) Vorrei innanzi tutto espandere gli interrogativi formulati dall’onorevole Voggenhuber. Com’è possibile che le pratiche molto inique osservate di recente siano state individuate in alcune parti del Trattato di adesione, messo a confronto con la realtà della situazione? Un esempio è la richiesta rivolta dalla Commissione agli Stati membri di valutare la cosiddetta capacità di integrazione, un tema di grande attualità al momento. I negoziati sull’allargamento dell’area di Schengen e sulle quote per lo zucchero sono scandalosi, e sono solo due piccole punte dell’iceberg che rivelano le debolezze dell’Unione. Concordo con lui che anche in questo caso si può individuare una possibilità di superare simili debolezze. Ancora una volta, si tratta di avere la volontà di discutere soluzioni che possano essere accettate da tutte le parti, anziché adottare un atteggiamento irritante, bellicoso, stile “prendere o lasciare”, con il quale noi, in paesi come la Repubblica ceca, abbiamo acquisito familiarità nei nostri negoziati di adesione.
Per i futuri cicli di allargamento, è importante non solo condividere valori comuni ma anche riconoscere la necessità di prendere sul serio le esigenze dei paesi storicamente meno influenti in Europa. Per esempio, il principio di solidarietà, gravemente compromesso dalla riduzione del bilancio dell’Unione dall’1,24 a circa l’1,05 per cento del PIL per il prossimo periodo di programmazione, in futuro dovrà essere rafforzato. Va altresì sottolineato che il Trattato costituzionale non può essere la base per il futuro sviluppo dell’Unione. Non è né una costituzione né un trattato, e questo va detto in modo forte e chiaro. Chiedo anche l’avvio di negoziati per definire un consenso sulle questioni legate al futuro dell’Unione con scadenze precise…
(L’oratore viene interrotto)
Signor Presidente, vorrei solo fare un’osservazione. Nel contesto delle relazioni postallargamento, menzionate nella dichiarazione con la Russia, attendo con particolare impazienza una soluzione per i problemi legati ai diritti umani e alla democratizzazione, per esempio negli Stati del Baltico membri dell’Unione.
Ryszard Czarnecki (UEN). – (PL) Signor Presidente, entrambe le relazioni in esame dovrebbero servire da segnali stradali per l’Unione europea. Tuttavia, nel XXI secolo, i soli segnali stradali non sono sufficienti: abbiamo bisogno anche di semafori. In questo caso, metaforicamente parlando, ci servono semafori a due colori anziché tre: dovremmo avere luci verdi e gialle, ma non rosse. Ciò significa che nessun paese deve essere automaticamente escluso dall’adesione all’Unione europea. Mostrare la luce rossa a un paese lungo la strada verso la Comunità europea è inopportuno, ma il traffico europeo precipiterebbe nel caos se l’unica luce sulla strada fosse verde.
A questo punto, vorrei ricordare la discussione che abbiamo svolto due anni fa riguardo all’adesione della Turchia. Durante la discussione i leader del gruppo Verde, cui appartiene l’onorevole Voggenhuber, hanno indicato il 2014 come data potenziale per l’adesione di Ankara all’Unione europea. Oggi ci rendiamo conto che si è trattato di surrealismo politico. Dobbiamo ammettere che, a parte la rapida adesione della Croazia e della Macedonia, paesi europei come il Montenegro, la Serbia, la Bosnia-Erzegovina o l’Albania devono poter aderire all’Unione europea prima della Turchia.
Dobbiamo affermare chiaramente, e lo dico il giorno in cui si svolge una riunione regolare dei deputati al parlamento del Montenegro con i rappresentanti del Parlamento europeo, che quanto più grande sarà l’Unione, tanto più potente sarà. Infine, l’Unione europea ha notevolmente accresciuto la sua importanza espandendosi, senza necessità di una Costituzione. Vorrei lanciare un monito agli onorevoli Brok e Stubb: non trattiamo i prossimi allargamenti come un pretesto per introdurre cambiamenti istituzionali.
Georgios Karatzaferis (IND/DEM). – (EL) Signor Presidente, sarebbe utile se il Commissario Rehn, il Commissario per l’allargamento, potesse definire le frontiere dell’Europa innanzi tutto per noi. Che cos’è l’Europa? Dove finisce l’Europa? A Istanbul, a Diyarbakir o a Bagdad? Non sappiamo dove siano i confini dell’Europa. Si stanno già raccogliendo firme nei corridoi per l’adesione di Israele. Perché non la Palestina o il Marocco domani? Ma quella sarà Europa? Cerchiamo di chiarire che cosa vogliamo: un’Europa unita o un’Eurasia unita? Stando così le cose, tutti si rendono conto di che cosa sta succedendo oggi. Oggi la Turchia non sta entrando in Europa, è l’Europa che sta entrando in Turchia, motivo per cui non è l’Europa ma la Turchia a dettare le condizioni.
Dobbiamo anche chiarire la questione dell’esclusione della parte settentrionale di Cipro: questa esclusione non è opera dell’Europa né di Cipro, è opera dell’esercito di occupazione. Se l’esercito di occupazione se ne andasse, il problema non esisterebbe. Ma su questo chiudiamo un occhio. Chiudiamo gli occhi. In uno dei 25 paesi d’Europa è presente un esercito di occupazione e noi fingiamo di non saperlo. Ciò crea ancora più arroganza in Turchia. Se volessimo essere equi, esigeremmo che l’esercito di occupazione lasciasse Cipro e che la Turchia riconoscesse tutti i 25 Stati membri, non solo 24. Se la Turchia non avesse riconosciuto la Francia o il Regno Unito, sarebbe ammessa? Naturalmente no. Perché? Perché Cipro è un paese piccolissimo? E’ un errore storico madornale da parte dell’Europa.
James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, è chiaro che i sostenitori della Costituzione respinta considerano l’allargamento come un carrozzone su cui salire per assicurare l’attuazione di parti di tale Costituzione. Di conseguenza, nella relazione Stubb troviamo il nuovo, male argomentato ma veemente attacco al veto nazionale, la richiesta di un ministro degli Esteri, la richiesta di più poteri per la Commissione non eletta e per la Corte di giustizia espansionistica, nonché di maggiori competenze per l’Unione.
L’allargamento di per sé non richiede niente di tutto ciò, ma gli europeisti fanatici come i nostri due relatori, privi di argomenti sostenibili per superare l’opposizione popolare alla Costituzione, hanno prodotto questa distorsione spuria secondo cui l’allargamento richiede una Costituzione. Dico che né questa Unione né un’Unione gonfiata dall’assurda inclusione della Turchia ha bisogno di una Costituzione.
In che bel guaio ci metterebbero Laurel Brok e Hardy Stubb! E tutto senza dedicare il benché minimo pensiero a chi pagherebbe. Come in passato, la previsione sembra essere che paesi come il Regno Unito continueranno a foraggiare allegramente questa follia sfrenata. L’Unione costa già al mio paese 4 miliardi di sterline netti all’anno e devo dire che proprio non possiamo permetterci di fare altra carità.
Jacques Toubon (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, le Istituzioni europee affrontano infine i punti essenziali: che cos’è l’Unione europea? Che cosa vuole? Chi può farne parte? Mi auguro che il Parlamento europeo, con le risoluzioni Stubb e Brok, contribuisca veramente ad abbandonare le finzioni e porre fine alla fuga in avanti nella strategia di allargamento.
La capacità di integrazione è definita molto bene dai tre elementi che figurano al paragrafo 8 della relazione Brok. A nostro parere, la priorità deve essere data ai progetti politici, non solo alle Istituzioni. Respingiamo l’idea che l’allargamento comporti lo smantellamento delle politiche comuni. E’ vero che la capacità di integrazione, correttamente definita dall’onorevole Stubb, non costituisce un criterio di adesione ma una condizione per procedere all’adesione.
Per il momento, riteniamo, come l’onorevole Stubb, che un ulteriore allargamento non possa avere luogo senza nuovi meccanismi di decisione, senza nuove risorse e senza una nuova rappresentanza dell’Unione. Questa è la conclusione che traiamo ora dall’infelice confronto tra l’adesione all’Unione dei 12 nuovi Stati membri, che è un successo, e il Trattato di Nizza, che è del tutto inadeguato. Dobbiamo ragionare con la stessa lucidità sulla Turchia.
Il Consiglio “Affari generali” ha preso atto delle conseguenze della situazione di Cipro, che ovviamente è intollerabile, ma non si tratta solo di una nuova mistificazione diplomatica? La sospensione rischia di essere inefficace e ininfluente sull’atteggiamento della Turchia. La nostra posizione deve essere riaffermata; l’Unione non ha la propensione per integrare la Turchia, deve invece instaurare un partenariato privilegiato con quel paese, di importanza cruciale per l’Europa.
Smettiamola di fingere: è una questione di interesse sia per la Turchia sia per l’Unione europea. L’allargamento non è un fine di per sé, è un mezzo per costruire il progetto politico dell’Europa.
Carlos Carnero González (PSE). – (ES) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Stubb per il suo lavoro in veste di relatore ombra del gruppo socialista al Parlamento europeo.
Egli ha svolto un lavoro serio, che soddisfa due condizioni fondamentali per questo tipo di relazione. In primo luogo, fornisce una risposta adeguata a un tema di straordinaria importanza e, in secondo luogo, e questo è l’aspetto chiave, crea una grande maggioranza in seno all’Assemblea. Ritengo che la relazione abbia buone probabilità di seguire la scia di altre, come la relazione Corbett-Méndez de Vigo, che all’epoca ottenne il sostegno praticamente unanime del Parlamento europeo, fatto che la rafforzò ulteriormente. Ne sono convinto, soprattutto perché stiamo discutendo la relazione dell’onorevole Stubb e la approveremo prima della riunione del Consiglio europeo fra qualche giorno e dopo il successo del secondo Forum interparlamentare sul futuro dell’Europa, svoltosi in questa sede la scorsa settimana.
E’ vero che si deve parlare di capacità di integrazione e non di capacità di assorbimento. Dobbiamo rispondere alle legittime preoccupazioni dei cittadini con un binomio fondato sull’approfondimento e sull’allargamento. Diciamo “sì” all’allargamento, che è stato un successo e deve essere lo strumento per costruire quella che una volta si chiamava, con un’espressione felice, la “casa comune europea”.
Onorevole Méndez de Vigo, non sono ospiti quelli che vogliamo in questa casa; sono persone e paesi ai quali la casa apparterrà, il che significa molto di più. Hanno il diritto non solo di alloggiarvi, ma anche di sentirsi a proprio agio e di contribuire alle decisioni sul suo acquis e sulla sua gestione collettiva. La capacità di integrazione non può quindi essere un nuovo criterio da aggiungere a quelli di Copenaghen, ma una condizione che ci poniamo come Unione, per assicurare che l’allargamento sia un successo. La capacità di integrazione comprende, come ben sappiamo, la capacità politica, la capacità istituzionale e la capacità finanziaria, prima di procedere a ogni nuovo allargamento. Lo afferma la relazione e lo ribadiamo tutti. Nizza non è sufficiente; questo è constatare l’evidenza. In politica, con l’unanimità, che significa la paralisi che stiamo vivendo, l’assenza della Costituzione ha un costo elevato.
Proprio per questo, nella relazione ci impegniamo a favore della Costituzione europea e del suo contenuto essenziale, come ha detto l’onorevole Swoboda. Il contenitore di per sé ha poca importanza, ciò che conta sono i principali progressi contenuti nella Costituzione, perché significano approfondimento e allargamento in tempo reale. Per questo motivo, è essenziale che il paragrafo 9 della relazione Stubb conservi la sua integrità.
Riteniamo che la Costituzione europea sarà portata a compimento tramite un opportuno accordo, senza eroderla e senza smembrarne l’insieme, ma logicamente tale accordo dovrà essere pronto entro il 2008 al più tardi, in modo che nel 2009 i cittadini possano votare con cognizione di causa. In caso contrario, prenderemmo in giro noi stessi e, di conseguenza, i cittadini.
Dobbiamo senz’altro rafforzare anche la politica europea di vicinato; l’allargamento deve essere accompagnato dalla politica europea di vicinato, rivolta, in particolare, all’importante regione euromediterranea. In questo contesto, il Parlamento europeo deve svolgere un ruolo essenziale prima e dopo ciascun processo.
Per questo motivo, onorevole Stubb, può contare sul sostegno fermo e risoluto del gruppo socialista alla sua relazione.
Alexander Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signor Presidente, è evidente dalla discussione su queste due relazioni che esiste un consenso incoraggiante in seno all’Assemblea sulla necessità di introdurre una profonda riforma istituzionale prima di poter accogliere nuovi candidati. Sappiamo tutti che l’Unione europea non è in buone condizioni ed è quindi giusto che il Parlamento, quando esamina la politica di allargamento, si concentri sulla capacità dell’Unione europea di integrare nuovi Stati membri, capacità che, diversamente da quanto affermano a volte alcuni deputati, non è un criterio nuovo ma un elemento importante trascurato in passato. I passati allargamenti hanno avuto successo, ma, nel 2004, l’Unione si è allargata senza un precedente o simultaneo approfondimento, il che ha messo a repentaglio l’idea di un’unione sempre più stretta. Soprattutto per noi parlamentari europei, questa idea di rinnovamento deve essere presente in tutto ciò che facciamo e a tal fine abbiamo bisogno di istituzioni efficaci, di volontà politica e, soprattutto, di sostegno pubblico, che otterremo solo se saremo credibili, e credibilità significa anche essere disposti a esplorare nuove vie ed esaminare alternative che ci permettano di cooperare con i futuri paesi candidati e avvicinarli a noi. La scelta non è, come ha affermato l’onorevole Brok, tra la Costituzione e Verhofstadt; la nostra visione deve essere Costituzione e Verhofstadt. Aggiungo solo che a mio parere dovremmo svolgere questa discussione a Bruxelles e non a Strasburgo.
Angelika Beer (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei fare innanzi tutto una breve osservazione sulla relazione della Commissione sulla strategia di allargamento, che per buoni motivi è suddivisa in tre parti. Un elemento centrale di tale strategia è la strategia di comunicazione proposta dalla Commissione.
Se noi politici partecipiamo a questa discussione, e abbiamo tutti i diritti di farlo, dobbiamo mettere in pratica noi stessi questa strategia di comunicazione, anziché parlare di elementi nascosti nelle profondità delle relazioni, allorché non vi figurano affatto. Permettetemi di dire con grande chiarezza – e mi riferisco alla relazione dell’onorevole Brok – che è anche scorretto usare le sensibilità nazionali e pareri faziosi per esprimere opposizione alla strategia di allargamento o alla Costituzione. E’ vero che alcune parti della relazione sono ambivalenti, ma chi ha fatto lo sforzo di leggerla tutta, saprà che se oggi discutiamo della relazione in questa versione è solo grazie ai massicci emendamenti introdotti dai liberali, dai verdi e dai socialdemocratici.
Reputo irresponsabili i tentativi compiuti da taluni, non solo tra i conservatori ma anche tra i socialisti, di far pagare il prezzo ai paesi candidati, e, poiché la politica di allargamento finora è stata una politica a favore della pace e vogliamo attenerci fermamente a essa, invito l’Assemblea ad approvare i nostri emendamenti nn. 12 e 14.
Mary Lou McDonald (GUE/NGL). – (EN) Signor Presidente, accolgo con favore questa discussione e vorrei fare alcune brevi osservazioni.
L’onorevole Stubb ha individuato diverse categorie di persone e di orientamenti politici sul tema dell’allargamento e della Costituzione. Sono molto favorevole all’allargamento, perché ritengo che sia stato un successo e che continuerà a esserlo, ma sono anche contraria alla Costituzione.
La capacità di integrazione è potenzialmente un concetto che sarà utilizzato per vendere o descrivere la Costituzione come una semplice serie di piccoli ritocchi alle Istituzioni per permettere l’allargamento nella pratica. Ma questo sarebbe non solo una mistificazione del testo in questione bensì anche un vero e proprio fallimento da parte nostra riguardo a ciò di cui continuiamo a parlare: la comunicazione con i cittadini dell’Unione. Per comunicare, bisogna ascoltare, e bisogna svolgere un dibattito fondamentale sulla direzione dell’Unione. Se i cittadini vedono i servizi pubblici e i diritti dei lavoratori compromessi, non esiste un buon modo di comunicarlo e quindi dobbiamo essere ricettivi.
Infine, sulla questione della Turchia, sostengo l’adesione, ma la questione di Cipro deve essere risolta. Si tratta di un’occupazione illegale permanente.
Jan Tadeusz Masiel (UEN). – (PL) Signor Presidente, mentre continuiamo a parlare di allargamento anziché trovare una nuova soluzione, il mondo cambia. Concordo sul fatto che l’allargamento è una delle politiche più importanti dell’Unione e garantisce la pace e la sicurezza nella regione. E’ altrettanto vero che i precedenti allargamenti hanno avuto successo. Tuttavia, un giorno questo successo potrebbe trasformarsi in fallimento. Nel mondo della fisica, solo l’universo può espandersi all’infinito; gli altri sistemi a un certo punto esplodono tutti, se continuano a espandersi. Anziché parlare di allargamento in modo rigido, antiquato e ridondante, dobbiamo sviluppare strumenti di azione da offrire ai nostri vicini, strumenti come la cooperazione, la politica di vicinato e gli accordi di associazione.
Inoltre, si dovrebbe aggiungere un nuovo criterio culturale all’elenco dei criteri definiti nel 1993 a Copenaghen che devono essere soddisfatti dai paesi candidati. Lasciamo che siano i cittadini stessi a decidere tramite referendum se vogliono che la Turchia diventi uno Stato membro dell’Unione europea o sia semplicemente un paese associato. Se vogliamo continuare a espanderci, di sicuro lo scopo deve essere offrire l’adesione all’Unione europea ai paesi che sono e sono sempre stati europei, come la Serbia, l’Ucraina o la Bielorussia.
Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, l’Unione europea sembra avere un’esigenza illimitata di assorbire nuovi paesi. Sempre più potere è sottratto agli Stati nazionali democratici e concentrato in un’Unione europea centralista e non democratica. Stando a quanto afferma, l’onorevole Stubb vuole un’unica entità con una struttura unificata e una personalità giuridica, in altre parole gli “Stati Uniti d’Europa”.
L’onorevole Stubb non si stupirà di apprendere che il Partito indipendentista britannico non è d’accordo, ma ho trovato un punto nella sua relazione su cui possiamo essere concordi. Quando parla di una Costituzione modificata, egli chiede l’adozione di una clausola che consenta agli Stati membri di ritirarsi dall’Unione europea. Prima o poi, il Regno Unito uscirà dall’Unione europea, Costituzione o meno, clausola di ritiro o meno, ma almeno l’onorevole Stubb ha il buongusto di riconoscere che i paesi devono avere il diritto di ritirarsi dal nuovo impero europeo.
György Schöpflin (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, a volte merita porsi questioni semplici, persino semplicistiche: perché allargare l’Unione europea? La semplice risposta è: per allargare la zona di democrazia e stabilità creata dall’Europa.
Tuttavia, la questione è più complessa di quanto non sembri a prima vista. La democrazia non è statica, richiede miglioramenti costanti, al fine di conferire potere alle persone. Questo è lo scopo fondamentale dell’approfondimento dell’integrazione. In questo contesto, l’allargamento solleva un problema specifico, che deve essere affrontato. L’Unione europea insiste sulla necessità che i futuri Stati membri giungano all’adesione con sistemi democratici pienamente funzionanti – come si conviene –, ma in tal modo si trascurano i cambiamenti che l’allargamento comporta all’interno dell’Unione stessa.
Il problema è che l’adesione di nuovi Stati membri non riguarda soltanto gli Stati ma anche i nuovi cittadini che si aggiungono tramite l’adesione. Di conseguenza, l’allargamento dell’Unione europea significa anche l’allargamento del demos europeo, dei cittadini d’Europa. La loro voce è raramente ascoltata nel dibattito sull’allargamento, anche se escludendo i cittadini si rischia di esacerbare il deficit democratico.
Un’Unione afflitta da un deficit democratico non può essere pienamente efficace nell’allargare la zona della democrazia a futuri Stati membri. Al contrario, potrebbe persino finire per esportare il deficit democratico, il che sarebbe del tutto controproducente. L’allargamento deve tenere conto dei desideri dei cittadini d’Europa, dal momento che si tratta del loro stesso allargamento, e non deve dare per scontato il loro parere. Agire altrimenti significa compromettere l’obiettivo di ampliare la zona europea di democrazia e stabilità.
Jo Leinen (PSE). – (DE) Signor Presidente, vorrei segnalare all’onorevole dell’UKIP che il Trattato costituzionale di fatto conferisce a ogni paese il diritto di ritirarsi dall’Unione, ma nessun paese lo ha ancora esercitato né lo farà – nemmeno il Regno Unito – dal momento che rimanere nell’Unione europea è molto più vantaggioso che uscirne. Non è un aspetto di cui mi preoccuperei. Conosciamo già questo tipo di propaganda da parte di deputati che pronunciano un discorso e poi lasciano l’Aula. Non merita parlarne.
Siamo tutti d’accordo sulla necessità di approfondire l’Unione, come ci viene promesso sin da Maastricht, quando gli Stati membri erano 12, rispetto agli attuali 27, ed è quindi più che ora di farlo. Lo stesso vale per tutti gli allargamenti futuri. Un emendamento dà l’impressione che per la Croazia e l’Europa sudorientale si possa sin d’ora fare a meno di questo requisito; invece, l’Unione deve essere approfondita prima dell’adesione di nuovi paesi.
Deve anche essere chiaro che la responsabilità di questi problemi è dell’Unione stessa, non dei paesi candidati, un aspetto che è già stato sottolineato. Il nostro compito è spiegare ai cittadini lo scopo e i vantaggi dell’allargamento, non ultimo per i nostri stessi paesi. Tutti i vecchi Stati membri traggono enormi vantaggi dall’arrivo di nuovi Stati membri. I vecchi Stati membri esportano verso quelli nuovi molto più di quanto importino. Si tratta quindi di una strategia favorevole a tutti, anche se ciò purtroppo non è comunicato ai cittadini. E’ questo l’ambito in cui dobbiamo recuperare terreno.
Vorrei accennare a un altro problema, che riguarda la procedura di ratifica delle nuove adesioni. Se i singoli paesi cominciano ad annunciare referendum sull’adesione di un nuovo Stato membro, ci troveremo in difficoltà. Anche questa questione deve essere affrontata.
Nel complesso, tuttavia, mi congratulo con i gemelli per aver individuato la giusta via lungo cui procedere, che l’Assemblea dovrebbe seguire.
István Szent-Iványi (ALDE). – (HU) Nella discussione di oggi quasi tutti concordano sul fatto che l’allargamento sia un successo. Se è così, dobbiamo continuare con fermezza a rispettare gli impegni assunti, perché l’Europa ha una necessità cruciale di successi. La riforma della procedura decisionale e il dibattito sulla capacità di integrazione non devono rallentare il processo di allargamento e non devono essere un pretesto per arrestarlo.
La Croazia deve essere giudicata in base ai suoi meriti. I negoziati con la Turchia devono proseguire, ma la Turchia deve anche dimostrare buona fede e soddisfare le condizioni. Per la Macedonia, dobbiamo definire chiaramente le condizioni per l’avvio dei negoziati. Per i paesi candidati potenziali, si devono prevedere condizioni precise di adesione, anche a medio termine, purché essi siano disposti a soddisfarle. L’Unione europea deve anche garantire più risorse, più fondi e condizioni più chiare e accessibili per i finanziamenti di preadesione; altrimenti, la nostra intenzione di proseguire l’allargamento non sarà credibile.
Cem Özdemir (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’allargamento è uno degli strumenti di politica estera e di prevenzione dei conflitti più efficaci nella storia dell’Unione europea, ma ci attendono sia sfide sia opportunità.
Dopo le adesioni della Romania e della Bulgaria, possiamo attenderci di dover affrontare quella della Croazia e quindi, in un ciclo successivo, non solo quella della Turchia ma anche dei paesi dei Balcani occidentali, che non devono essere dimenticati. Per quanto difficile sia questo compito, l’Unione, quando si allarga, deve anche approfondirsi, e ciò richiede una riforma del quadro istituzionale. Abbiamo un problema non tanto con l’opinione pubblica o con i paesi candidati quanto con le élite europee, e per questo motivo esorto l’onorevole Brok a prendere come modello Helmut Kohl, un grande europeo, che ha avuto il coraggio di far capire ai cittadini l’importanza di un’Unione più ampia e più profonda.
E’ giunto il momento di lanciare una nuova iniziativa per risolvere il conflitto di Cipro e porre fine all’isolamento della parte settentrionale turca dell’isola. Mi compiaccio dell’impegno assunto dalla parte greca dell’isola, ma è necessaria anche una nuova iniziativa, sotto l’egida delle Nazioni Unite, che permetta di trovare una soluzione definitiva al conflitto e consenta all’Unione di trattare i negoziati con la Turchia come una questione totalmente distinta.
Sylvia-Yvonne Kaufmann (GUE/NGL). – (DE) Signor Presidente, non possiamo prevedere quali paesi saremo in grado di accogliere nell’Unione europea, né quando, ma tre fatti sono chiari. Il primo è che, dopo la Bulgaria e la Romania, vi saranno altre adesioni all’Unione europea; il secondo è che tutti gli Stati europei che condividono i nostri valori e soddisfano i criteri di Copenaghen hanno diritto di presentare domanda di adesione all’Unione europea; il terzo è che il Trattato di Nizza non è una base idonea per allargamenti futuri. Ne consegue che è più che ora di introdurre una riforma ampia e profonda dell’Unione a 27.
Questa valutazione sarebbe stata corretta già sei anni fa, all’epoca dell’adozione della dichiarazione di Laeken, ed ora è più attuale che mai. A mio parere, l’approfondimento dell’Unione prima di nuovi allargamenti è un requisito indispensabile e il Trattato costituzionale è la chiave per la futura efficienza dell’Unione europea. Non è ammissibile fare richieste unilaterali ai paesi candidati all’adesione e attendersi che solo loro svolgano i propri compiti. Mi auguro quindi che sarà possibile, nel corso del prossimo anno, trovare una via d’uscita dalla crisi costituzionale con una soluzione accettabile per tutti i 27 Stati membri. Il problema è che la confusione politica renderà tutto estremamente difficile.
In termini di capacità di integrazione, sarà cruciale evitare di mirare solo a una riforma minimalista, o puramente istituzionale, dell’Unione europea. Non si deve rinunciare ad avere il Trattato costituzionale nel 2009. E’ inoltre indispensabile ridurre l’abisso tra l’Unione e i suoi cittadini. Bisogna dire in modo forte e chiaro, non solo ai cittadini della Francia e dei Paesi Bassi, che siamo pronti a trarre insegnamento dal “no” espresso in quei paesi e che siamo disposti a esaminare altri modi di condurre la politica europea in futuro. A mio parere, ciò significa soprattutto che la creazione di un’Europa sociale deve essere posta e rimanere al centro della politica europea.
Mario Borghezio (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo dibattito deve mandare alla Commissione una precisa indicazione, ovvero che essa deve subordinare il suo vasto programma di allargamento alla necessità di una strategia complessiva che riguarda il ruolo politico attuale e futuro dell’Unione europea.
Ciò comporta anche, e forse essenzialmente, una scelta di contenuto geopolitico su quelli che devono essere i confini dell’Unione europea. Ciò è particolarmente vero e cogente per quanto riguarda il dossier più delicato, quello della Turchia, per il quale comincia finalmente a profilarsi la soluzione del partenariato privilegiato.
Su un punto concordo con queste relazioni, ovvero sul fatto che nella comunicazione della Commissione sulla strategia di allargamento manca un’adeguata riflessione su un aspetto fondamentale: il rischio che un ulteriore allargamento dell’Unione europea, a cui non corrisponda un’adeguata capacità di integrazione politica, economica, finanziaria, ma anche culturale, abbia come conseguenza inevitabile l’indebolimento, se non il fallimento, del progetto politico dell’Unione europea.
E’ un fatto che la Commissione, nel momento in cui prospetta con sconcertante superficialità questo programma dell’allargamento, non indica quale sarà l’impatto finanziario che esso potrà avere, mentre è assolutamente necessario averne contezza prima di ogni eventuale adesione.
Siamo ben consapevoli degli sforzi che ci attendono in seguito all’adesione di Bulgaria e Romania, e allora è forse arrivato il momento di dire chiaramente ai paesi in attesa di adesione che, per ora, si aprono per essi delle prospettive diverse, come abbiamo indicato per la Turchia. Non dimentichiamo che raggiungere un compromesso sulle attuali prospettive finanziarie – che peraltro dovrà essere rivisto a breve – è stato estremamente difficile.
Questi ragionamenti ci fanno capire come la posizione di quei governi − come il governo Prodi − che insistono ad ogni piè sospinto sull’allargamento ai paesi balcanici senza tenere in alcun conto queste oggettive difficoltà, sia frutto di superficialità poco responsabile.
Inoltre, l’eccessiva condiscendenza usata in passato nelle procedure di adesione per quanto riguarda aspetti gravi come la corruzione e la criminalità, non può più essere tollerata se vogliamo che la costruzione europea continui a rispondere ai criteri e ai valori nei quali credono i nostri concittadini e i nostri popoli.
Paul Marie Coûteaux (IND/DEM). – (FR) Signor Presidente, da parte nostra voteremo contro la relazione, perché ha voluto prendere le distanze dalla saggia Europa delle origini, cioè l’Europa dei Sei, sei Stati membri che cooperano per stabilire un equilibrio a livello atlantico.
Gli ideologi dell’organizzazione soprannazionale hanno sovradimensionato il loro progetto, allargandosi in ogni direzione, senza nemmeno sapere dove siano le loro frontiere. Ora, a forza di eliminare le frontiere interne e non sapere nemmeno più che cosa sia una frontiera, questi euromaniaci non sanno più dove fermarsi. Di conseguenza, il loro progetto non è veramente politico, perché, ripeto, non possono esistere politiche senza il concetto di frontiera.
Oggi, questi euromaniaci scoprono che c’è sempre qualcuno al di là del muro, che devono continuare ad allargarsi sempre più, perché non sanno dire “no” a nessuno. Sono privi di qualsiasi Costituzione – che non si facciano illusioni! –, definitivamente privi di qualsiasi Costituzione. Hanno di fronte un immenso vuoto, sono costretti a cedere terreno, cioè a inventare un’Europa pragmatica a due o tre velocità, che sarebbe la scelta più ragionevole, anziché lanciarsi in una vertiginosa fuga in avanti.
Sono impegnati con la Turchia, si confrontano con nuovi paesi candidati all’adesione nel Caucaso, per esempio: dopo tutto, la Georgia fa ben parte del Consiglio d’Europa… Perché non i paesi del Maghreb, o il Libano, la cui storia è talmente legata a quella delle nostre nazioni?
Avanti, allora! Dal momento che questa povera Europa è ormai priva di ossatura, continuiamo ad allargarla, facendo ben attenzione a non dimenticare Stati curiosamente lasciati ai margini, come la Serbia o la Russia – forse perché restii ad accettare l’egemonia statunitense? Questo dice tutto, signor Presidente, sul fallimento, sì, sul fallimento della cosiddetta Unione europea.
Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, il Parlamento europeo da anni ripete, prima con prudenza e poi – come oggi – in modo inequivocabile, il duplice messaggio che non si può procedere a un nuovo allargamento senza una Costituzione funzionante. Allargandoci senza “se” e “ma”, sempre più in fretta, non facciamo bene a nessuno; al contrario, dividendo gli Stati membri in due classi, tramite deroghe, e alienando i cittadini d’Europa mettiamo a repentaglio ciò che è già stato realizzato.
L’allargamento, uno dei veri successi dell’Unione, è visto da sempre più persone come una minaccia e, per contrastare questo atteggiamento, dobbiamo formare opinioni, nel miglior senso della parola. Non è un compito facile, perché una Costituzione ha poco fascino politico, né in gran parte può averlo, perché è essenzialmente intesa a far funzionare meglio le Istituzioni e ad adottare decisioni a maggioranza discusse in pubblico, anziché attraverso l’alta diplomazia a porte chiuse. Si tratta di un modello finanziario che garantisca con razionalità l’equilibrio tra le funzioni e i fondi disponibili per svolgerle e, per molti versi, preveda anche nuove funzioni per l’Europa, sebbene già oggi moltissime persone ritengano che l’Europa stia diventando troppo invadente. Anche col bel tempo la questione energetica presenta una dimensione europea e dobbiamo affrontarla insieme.
Permettetemi di concludere con un’osservazione sulla Croazia, un paese candidato che riveste particolare importanza per il paese da cui provengo. La nostra richiesta di una Costituzione non significa che vogliamo ostacolare l’adesione della Croazia, anzi è vero il contrario. E’ perfettamente concepibile che aderisca nel 2009 o nel 2010, se la Presidenza tedesca riuscirà a ridare vita alla procedura di ratifica della Costituzione e a far riemergere il tema della Costituzione. Auguriamo alla Presidenza tedesca entrante il massimo successo in questa impresa.
Richard Corbett (PSE). – (EN) Signor Presidente, l’onorevole Stubb ha affermato che l’allargamento è la politica di maggiore successo dell’Unione e diffonde la stabilità, la pace e la prosperità in tutto il nostro continente.
Questa logica è tuttora valida. Naturalmente, significa che l’Unione europea deve adattarsi, soprattutto in termini di riforma istituzionale. Tuttavia, significa anche che dobbiamo bloccare qualsiasi allargamento finché non saranno realizzate tutte le riforme istituzionali? Se così fosse, l’ultimo allargamento non sarebbe mai avvenuto, perché il Trattato di Nizza era chiaramente inadeguato. Forse persino l’allargamento del 1973 non avrebbe avuto luogo.
Il fatto è che l’allargamento è uno dei fattori che stimolano la riforma. Alcuni Stati membri restii a introdurre la riforma istituzionale spesso ne accettano la necessità in conseguenza dell’allargamento. I sostenitori della riforma dovrebbero quindi sostenere l’allargamento. Tuttavia, l’onorevole Méndez de Vigo ha affermato che non si dovrà procedere a nuovi allargamenti senza il Trattato costituzionale. Infatti, al paragrafo 9 della relazione dell’onorevole Stubb si afferma che “qualsiasi allargamento futuro richiederà...” e poi si fornisce un lungo elenco di elementi che figurano tutti nel Trattato costituzionale. Abbiamo qualche difficoltà con questa posizione assoluta.
L’onorevole Brok ha affermato che coloro che più insistono sull’allargamento spesso sono gli stessi che si oppongono all’approfondimento. Eppure, se si vogliono realizzare entrambi, bisogna insistere su entrambi. Sussiste il pericolo reale che, da un lato, vi siano persone che affermano di non volere l’allargamento finché non saranno introdotte le riforme istituzionali e, dall’altro, persone che affermano che non abbiamo bisogno di una riforma istituzionale finché non vi sarà un allargamento. Se si vogliono portare avanti entrambi i progetti, bisogna sostenerli entrambi perché entrambi ci permetteranno di compiere progressi verso un’Unione europea allargata e riformata.
Questo è il motivo per cui il nostro gruppo ha presentato un emendamento al paragrafo 9, per precisare che non consideriamo una condizione essenziale l’approvazione di ogni singolo elemento di un programma istituzionale prima di ogni singolo allargamento. Riteniamo che i due processi – l’allargamento e la riforma – vadano di pari passo; si traineranno a vicenda e potrebbero persino finire per essere attuati lo stesso giorno, un nuovo Trattato e un Trattato di adesione, magari concentrati in uno solo.
Ignasi Guardans Cambó (ALDE). – (ES) Signor Presidente, l’allargamento non deve essere un fine di per sé. L’allargamento è un modo di ampliare un progetto e non possiamo permettere che il progetto si indebolisca a causa dell’allargamento.
In fin dei conti, questa discussione sta realmente compromettendo la nostra capacità di parlare di ciò che l’Europa vuole essere, di ciò che vuole fare. Il paragrafo 8 della relazione Brok è molto chiaro. Purtroppo potremmo essere, e di fatto siamo, di fronte a una fuga in avanti che ci permette di usare il pretesto dell’allargamento per evitare di parlare dei nostri problemi e delle nostre difficoltà.
Vi sono riforme istituzionali che non possono aspettare, con o senza allargamento. Vi sono misure politiche e finanziarie che si possono adottare ora, senza alcuna riforma. Vi sono gravi problemi di legittimità e azioni vergognose da parte della Commissione europea, quale l’approvazione segreta di norme in materia di sicurezza aeroportuale da imporre negli aeroporti, senza alcun tipo di controllo democratico e di informazione dei cittadini. Vi sono molte azioni che indeboliscono la legittimità democratica delle nostre Istituzioni.
Tutto questo deve essere risolto. E’ ovvio che dobbiamo aprire il dibattito sull’allargamento, e i due fronti devono aprirsi in parallelo. In ogni caso, l’allargamento non può essere usato come pretesto per esimerci dal compito di affrontare i gravi problemi presenti nell’Unione europea, con o senza la Turchia, con o senza l’allargamento.
Milan Horáček (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, vorrei ringraziare l’onorevole Brok e l’onorevole Stubb per le loro relazioni ed evidenziare i problemi legati alla possibile adesione della Croazia, un paese che ha compiuto notevoli progressi negli ultimi anni e può quindi rispondere alla sfida politica ed economica costituita dai criteri di Copenaghen. Poiché in questo contesto la sua capacità di integrazione non sarà messa alla prova, l’Unione deve definire una strategia chiara e risoluta per la rapida integrazione della Croazia. Non possiamo permettere che quel paese sia ostaggio dei problemi interni dell’Unione e dobbiamo adottare una linea flessibile riguardo alla sua adesione. Se così sarà, ciò significherà relativamente poco per l’Unione, ma tantissimo per la Croazia in termini di futuro democratico.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, vorrei fare alcune osservazioni su una delle due relazioni in esame oggi, la relazione Stubb.
E’ una relazione che promuove sforzi volti a migliorare il funzionamento dell’Unione a livello di procedure decisionali e a istituzionalizzarlo in modo che le decisioni siano sostanzialmente adottate dal suo nucleo principale, senza alcun diritto di veto per gli Stati più piccoli e in passato più indipendenti.
Il relatore ovviamente non ha ascoltato l’opinione pubblica, che ha respinto due volte il Trattato costituzionale. Non vi è altro modo di spiegare il fatto che dissotterri un testo morto e ne adotti le disposizioni antidemocratiche. Il contenuto delle modifiche approfondisce la mancanza di democrazia anziché ridurla o eliminarla. Mirano a promuovere il Trattato costituzionale con il suo contenuto sfavorevole al movimento di base entro il 2009. Anziché ampliare i diritti dei cittadini e garantire loro una migliore informazione, è chiaro che concepiscono il funzionamento e la procedura decisionale dell’Unione europea come un diritto quasi esclusivo della cerchia potente dell’Unione europea. E’ una tristezza che per l’ennesima volta i cittadini rimangano esclusi.
Andrzej Tomasz Zapałowski (UEN). – (PL) Signor Presidente, quando discutiamo la strategia di allargamento dell’Unione europea dobbiamo esaminare la nostra visione di un’Europa comune. Finora, gli inarrestabili tentativi politici di imporre la Costituzione hanno dato espressione al desiderio di creare un’organizzazione politica soprannazionale nella quale i paesi europei più grandi detengono la maggioranza decisiva. La questione dell’allargamento dell’Unione europea è generalmente discussa in questa prospettiva. Le questioni economiche passano in secondo piano. L’Unione europea vuole accogliere quanti più paesi gli Stati europei più grandi siano in grado di dominare. Per questo motivo, dal punto di vista del potenziale demografico, la prospettiva che la Turchia o l’Ucraina aderiscano all’Unione nei prossimi due anni non è accettabile per i responsabili delle decisioni.
Vorrei sottolineare che l’Unione europea può sopravvivere soltanto se le questioni economiche prevalgono sulle considerazioni politiche e sull’ambizione di creare un nuovo impero romano del XXI secolo, governato da tre o quattro paesi.
Jacek Protasiewicz (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, vorrei esprimere i miei ringraziamenti agli onorevoli Elmar Brok e Alexander Stubb, colleghi del mio gruppo politico, per l’impegno che hanno profuso nella preparazione delle relazioni. Entrambi i testi rivelano un approccio approfondito e competente a una delle sfide più importanti che attendono l’Unione europea, cioè il suo ulteriore allargamento. Come cittadino di un paese che ha aderito alla Comunità europea due anni e mezzo fa, posso apprezzare i vantaggi dell’adesione sia per l’economia polacca sia per la vita di milioni di polacchi.
Sono anche convinto che l’ultimo allargamento non abbia giovato solo ai nuovi Stati membri. L’intera Unione ne ha tratto giovamento, sia in termini economici sia in termini di sicurezza e stabilità. Lo stesso vale per i precedenti allargamenti della Comunità europea: ne hanno beneficiato sia i nuovi sia i vecchi Stati membri.
L’Unione europea è un esempio di impresa di successo perché non si è mai limitata a una cerchia elitaria di membri fondatori, ma è riuscita a crescere con saggezza, diventando così un soggetto sempre più influente su una scena sempre più globale.
Non dubito che vi saranno nuovi allargamenti dell’Unione europea. Gli Stati dei Balcani e i paesi alle frontiere orientali dell’Unione europea un giorno ne faranno parte, e anche questo gioverà alla nostra Comunità.
Non ho dubbi sulla necessità di introdurre riforme istituzionali prima del prossimo allargamento. Tuttavia, il mio timore è che, facendo totalmente dipendere questo processo dall’adozione di tutti gli elementi del Trattato costituzionale, respinto nei referendum francese e olandese, si possa dare l’impressione indesiderata che l’Unione non voglia accogliere nuovi membri. Così facendo, trasmetteremmo un segnale molto negativo alle società dei paesi che desiderano aderire alla nostra Comunità.
Non dobbiamo, e a mio parere non vogliamo, limitarci all’attuale circolo di membri, che conta già 27 paesi. La nostra disponibilità ad accogliere nuovi membri non deve essere una pedina nelle nostre controversie interne riguardanti la forma delle Istituzioni europee.
Csaba Sándor Tabajdi (PSE). – (FR) Signor Presidente, la politica europea di vicinato e la presenza di minoranze ungheresi fanno sì che l’Ungheria sia il paese più interessato al futuro allargamento dell’Unione: Croazia, Serbia e altri paesi dei Balcani occidentali. Comunque sia, in questo momento il compito principale è il rafforzamento e l’attuazione di profonde riforme economiche e istituzionali, senza però chiudere la porta all’allargamento. E’ deplorevole che, nella prospettiva storica della Comunità europea, questo allargamento non sia stato preceduto da un approfondimento economico e istituzionale: non si può allargare l’Europa con relativamente meno risorse e senza un Trattato costituzionale!
L’allargamento del 2004 ha avuto un esito positivo, che ha giovato ai vecchi e ai nuovi Stati membri. E’ una situazione favorevole a tutti. I dieci nuovi Stati membri si sono integrati senza problemi, senza turbolenze economiche, senza dumping sociale e senza flussi migratori. Dopo l’allargamento, l’Unione europea è riuscita ad adottare la direttiva sui servizi, la direttiva REACH, le prospettive finanziarie e sta per ampliare il sistema Schengen. Tuttavia, onorevoli colleghi, ciò che occorre è una campagna europea, perché nei paesi occidentali non si conosce il costo reale dell’allargamento e i nuovi Stati membri sono diventati i capri espiatori dei problemi interni dei paesi occidentali.
Marios Matsakis (ALDE). – (EN) Signor Presidente, i valori europei e i principi di giustizia, democrazia, libertà di espressione e rispetto dei diritti umani: belle parole, abusate in occasione di cerimonie prive di conseguenze e funzioni insignificanti e ipocrite, ma raramente pronunciate con serietà o seguite da azioni. La decadenza dello spirito europeo, associata alla difesa della subordinazione all’amministrazione statunitense, regna suprema in un’Unione europea minacciata dalla disintegrazione interna a causa della miopia dei Commissari per l’allargamento e da pugnalate alla schiena da parte di leader britannici sempre pronti a inchinarsi ai desideri dei loro padroni transatlantici.
Questa è la triste situazione di una Commissione e un Consiglio che gradualmente affondano l’Unione nella disillusione, permettendo a uno Stato asiatico, controllato militarmente, di dettare le proprie condizioni per concederci l’onore di aderire all’Unione, anziché imporgli di rispettare i suoi obblighi.
Onorevoli colleghi, non confondetevi. Con questo tipo di adesione turca, non sarà l’Unione ad allargarsi ma la Turchia. Commissario Rehn, mi congratulo quindi con lei per i suoi sforzi risoluti volti a ottenere l’adesione dell’Unione a un rinato grande impero turco-ottomano, e buona fortuna ai nostri cittadini, che osservano costernati e impotenti!
Giorgos Dimitrakopoulos (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, mi congratulo con l’onorevole Brok e con l’onorevole Stubb per il loro straordinario lavoro. Vorrei fare le seguenti osservazioni.
Politica di allargamento: è importante e deve essere estesa in modo coordinato ai rimanenti paesi dei Balcani occidentali, soprattutto alla luce degli imminenti sviluppi in Kosovo. La prospettiva europea e la politica di allargamento sono politiche a favore della pace e della cooperazione, cui tutti aspiriamo.
Turchia: l’altro ieri è stata adottata una decisione nella giusta direzione. Tuttavia, signor Commissario, le chiedo di riesaminare l’idea del calendario, perché integrerebbe e migliorerebbe la decisione adottata e le permetterebbe anche di proteggere la credibilità dell’Unione europea.
Politica di vicinato: la comunicazione della Commissione è inadeguata. Si tratta tuttavia di una politica importante, che deve essere sviluppata. Di conseguenza, attendiamo una nuova comunicazione, una comunicazione migliore e più integrata.
Infine, un’Europa allargata sarà più democratica, più efficiente, più trasparente e avrà maggiori sensibilità sociali se si doterà infine della sua Costituzione. Si stanno riaprendo le procedure, l’approccio corretto è affrontare le questioni e i problemi passo a passo, ma questo approccio ha anche una data di scadenza.
Inger Segelström (PSE). – (SV) Signor Presidente, vorrei ringraziare l’onorevole Brok e l’onorevole Stubb per questa discussione sul processo di allargamento e per le loro relazioni. Vorrei cominciare facendo alcune osservazioni sul parere espresso dall’onorevole Brok nel considerando F, cioè che l’allargamento non dovrebbe mettere in discussione la natura politica di questo progetto. Vengo dalla Svezia, un paese che ha chiaramente indicato in ogni studio che una delle principali questioni che l’Unione deve affrontare è il processo di allargamento continuo. La mia preoccupazione oggi è che non stiamo parlando in modo chiaro di allargamento continuo e di futura adesione della Turchia. Molti deputati al Parlamento si oppongono all’adesione della Turchia, fatto già diventato evidente con la richiesta del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei di svolgere la votazione sui negoziati di adesione della Turchia a scrutinio segreto. Molti di noi, tra cui io stessa, considerano incomprensibile che i rappresentanti politici abbiano paura di sostenere i propri pareri di fronte ai loro elettori, i cittadini d’Europa.
Nell’ultimo anno, in numerose occasioni sono stati espressi pareri che mi hanno indotta a chiedermi se vi sia la volontà di proseguire l’allargamento, anche se risolveremo le questioni centrali in cima al nostro ordine del giorno. Abbiamo bisogno di una nuova Costituzione, a prescindere dall’eventuale adesione di altri Stati, per garantire, tra l’altro, un moderno processo di adozione delle decisioni. Dobbiamo riformare la politica agricola per garantire i nuovi posti di lavoro del futuro e un’Europa sostenibile. Abbiamo bisogno di un bilancio più generoso per i futuri finanziamenti. Mi chiedo che cosa intenda l’onorevole Brok quando afferma, al paragrafo 11, che l’Unione può funzionare adeguatamente solo se tutti i suoi membri condividono valori comuni, derivanti da un’identità europea. Devo interpretarlo come la chiusura della porta alla Turchia?
Il mio gruppo, il gruppo socialista al Parlamento europeo, ha presentato un emendamento, il numero 29, che invitiamo tutti a sostenere. Siamo pienamente d’accordo sul fatto che la Turchia debba soddisfare le condizioni fissate sin dall’inizio riguardo a Cipro, ai curdi e ai diritti umani, oltre alle condizioni che si applicano a tutti gli altri paesi. Esprimiamoci in modo chiaro, però, e manteniamo le due agende separate.
PRESIDENZA DELL’ON. MOSCOVICI Vicepresidente
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, innanzi tutto ringrazio l’onorevole Brok e l’onorevole Stubb per le loro relazioni. Come sappiamo, sono entrambi molto competenti e dotati; personalmente, però, non sono del tutto favorevole alla direzione in cui vogliono portare l’Unione europea.
E’ vero che le riforme sono necessarie, ed è vero che l’allargamento per molti versi si è rivelato un metodo eccellente ed efficace per far progredire l’Unione europea. Su alcuni punti, tuttavia, dobbiamo anche ricordare i limiti dell’allargamento. L’Unione europea non può avere una politica in base alla quale continuiamo a espanderci all’infinito, e quando emergono problemi creiamo nuove agenzie. Dobbiamo anche riuscire a discutere in modo più approfondito come sarà l’Unione europea in futuro, quale tipo di Unione ci serva e in cosa consista realmente il suo lavoro.
Al riguardo, mi auguro che in questa discussione sull’allargamento si tenga conto anche dei limiti. Spesso solleviamo questioni sui limiti per la crescita nei nostri discorsi chiave, ma ora che si parla di allargamento dell’Unione europea dimentichiamo che esistono limiti anche per questo aspetto della crescita.
Bogdan Klich (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, il progetto di allargare ulteriormente l’Unione europea sta perdendo favore tra l’opinione pubblica. L’ultimo allargamento è stato logico, in quanto rappresentava il superamento definitivo della divisione artificiosa dell’Europa a seguito della Conferenza di Yalta. L’interrogativo che ci si pone ora è quale sia lo scopo di ulteriori allargamenti. Questo interrogativo mette in discussione lo scopo del grande progetto rappresentato dall’Unione europea. Che cos’è un’Europa comune e che cosa dovrebbe essere? E’ solo una comunità politica, volta a garantire la stabilità del governo democratico per i suoi membri, il rispetto dei diritti umani e delle libertà civili, il riconoscimento dello Stato di diritto e, in definitiva, la prosperità, grazie a un’efficiente economia di mercato? O è una comunità di valori, che ha radici comuni e un patrimonio culturale comune? E in questo caso, quali sono tali radici e qual è tale patrimonio?
Gli storici che studiano le culture evidenziano il fatto che l’identità europea contemporanea è il prodotto di molte tradizioni storiche. In ciascuno di noi, e in ciascuna nazione europea, rimangono elementi della tradizione filosofica greca e del repubblicanesimo romano. Siamo gli eredi dell’umanesimo del Rinascimento e del razionalismo dell’Illuminismo e, che lo si ammetta o meno, abbiamo anche un’eredità cristiana. Non inganniamoci. Anche se alcuni di noi oggi non vogliono accettarla, questa tradizione fa comunque parte dell’identità europea contemporanea. Se non altro, è presente nel principio fondamentale della dignità umana, che è alla base di un intero pacchetto di leggi fondamentali.
Come si afferma nella relazione dell’onorevole Brok, l’Unione può “funzionare adeguatamente solo se tutti i suoi membri condividono valori comuni, derivanti da un’identità europea”. Deve avere in mente un’identità che comprende la nostra eredità cristiana. Non dobbiamo dimenticare di menzionare questa eredità quando elaboreremo la Costituzione.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signor Presidente, oggi, il giorno in cui pronuncio queste parole, è il 25o anniversario dell’imposizione della legge marziale in Polonia, del tentativo di distruggere il sindacato Solidarność e il movimento della società polacca a favore della libertà e della democrazia. 25 anni dopo parlo in un mondo totalmente diverso, in seno al Parlamento europeo, in un’Europa fondata sui principi della democrazia, della pace, dello Stato di diritto e della giustizia.
Questo riferimento personale alla storia dimostra chiaramente il bene che l’Unione europea rappresenta per tutti gli europei. Oggi dobbiamo affrontare la sfida di trovare l’equilibrio tra ulteriore allargamento e capacità di assorbimento dell’Unione europea. Da un lato, l’Unione europea non può voltare le spalle ai paesi che aspirano all’adesione e chiudersi in una torre d’avorio di ricchezza e civiltà occidentale. Dall’altro lato, non può permettere che i fondamenti sociali e giuridici della Comunità si indeboliscano o scompaiano del tutto.
L’Unione europea deve adempiere i propri obblighi nei confronti dei paesi che aspirano all’adesione e prestare particolare attenzione ai risultati che tali paesi conseguono in termini di Stato di diritto, indipendenza del sistema giudiziario e rispetto dei diritti fondamentali. Le Istituzioni dell’Unione europea devono fornire una definizione più precisa di politica di vicinato rafforzata. A tal fine, dobbiamo istituire una Comunità UE-Mar Nero.
Le relazioni tra l’Unione europea e la Russia rimangono una questione fondamentale e comprendono tanto gli scambi commerciali e l’energia quanto, innanzi tutto e soprattutto, le questioni legate ai diritti umani, allo Stato di diritto e alla democrazia.
Henrik Lax (ALDE). – (SV) Signor Presidente, il periodo di riflessione ha dimostrato chiaramente che la grande sfida è ora convincere i cittadini d’Europa che possono prendere parte al processo decisionale e influenzare il futuro dell’Unione. E’ importante che essi osino fidarsi della loro capacità di influire e vogliano dare anche il loro sostegno quando, in futuro, l’Unione deciderà di accogliere nuovi Stati membri, potenzialmente molti.
Ogni europeo deve potersi sentire rappresentato in seno al Parlamento europeo. Per molti è una cosa scontata, ma non per tutti. In conseguenza dei sistemi elettorali nazionali e dei regolamenti relativi alla distribuzione dei seggi in seno al Parlamento europeo, un vasto gruppo di europei sarà escluso dal Parlamento quando proseguirà il processo di allargamento. Mi riferisco alle minoranze linguistiche regionali e nazionali, che oggi rappresentano circa 50 milioni di persone. Si tratta del 10 per cento della popolazione dell’Unione. Già nelle ultime elezioni abbiamo perso quattro minoranze. E’ deplorevole che vasti gruppi siano sistematicamente esclusi dal processo decisionale dell’Unione. Se ciò dovesse accadere, non dovremo attenderci il sostegno automatico di tali persone per la struttura europea futura. La questione deve essere esaminata seriamente nell’ambito della revisione del Trattato fondamentale dell’Unione. L’Unione non deve creare cittadini di seconda classe.
Camiel Eurlings (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, anch’io desidero esprimere i miei più sinceri complimenti ai due relatori, onorevoli Elmar Brok e Alexander Stubb, per l’ottimo lavoro svolto. L’allargamento, come molti hanno affermato prima di me, è uno dei maggiori successi dell’Europa. Se alcuni pensano che ciò sia ovvio, è sufficiente ricordare Aliaksandr Milinkievitch, intervenuto ieri in Aula, che è stato incarcerato più volte. L’ultima volta che è stato qui, suo figlio era in carcere, come altre centinaia di persone, solo per aver lottato per la libertà. Le cose sarebbero potute andare in modo molto diverso nell’Europa orientale, e le riforme democratiche di tutti i paesi che hanno aderito in un periodo così breve sono un’impresa eccezionale della quale l’Europa dovrebbe essere molto fiera.
Tuttavia, per conservare il sostegno a favore di questo efficace allargamento, è necessario garantire il giusto equilibrio in alcuni ambiti. La situazione si può paragonare a una casa. Se si continuano ad aggiungere stanze da letto al primo e al secondo piano, si devono rafforzare le fondamenta, e per questo è importante che il Parlamento si esprima in modo chiaro ed energico a favore dell’introduzione di un nuovo trattato prima del prossimo allargamento. Questo non riguarda tanto i nuovi membri quanto noi stessi. Anziché indulgere al compiacimento, dobbiamo fare ciò che va fatto.
E’ stato detto molto sulla capacità di integrazione. E’ davvero positivo che il concetto sia stato introdotto, anche se adesso occorre approfondirlo a livello istituzionale, finanziario e di trattato. Tuttavia, dal momento che la capacità di integrazione comporta anche il sostegno pubblico, dobbiamo spiegare ai cittadini che l’allargamento è positivo, possiamo imporre determinate condizioni ai paesi candidati e dobbiamo tentare, tramite riforme convincenti, di conservare il sostegno dei cittadini europei per questo processo.
Infine, per quanto riguarda la Turchia, era necessaria una sanzione chiara, perché le condizioni fissate devono essere soddisfatte. Il Consiglio ha trasmesso un nuovo chiaro segnale, sono stati introdotti momenti di valutazione e le regole per la Turchia sono state in certa misura inasprite; al tempo stesso, si fanno pressioni affinché noi stessi adottiamo soluzioni nell’interesse dei ciprioti del nord. Vorrei ribadire con fermezza che sosteniamo i riformatori in Turchia. Ci auguriamo che il prossimo anno si compiano progressi riguardo a Cipro e soprattutto che potremo di nuovo concentrare l’attenzione sulle riforme necessarie in Turchia. Esorto i riformatori a compiere progressi in materia di libertà di espressione e libertà di religione, in modo che il prossimo anno questo relatore possa esprimere un parere più positivo rispetto all’anno scorso.
Stavros Lambrinidis (PSE). – (EL) Signor Presidente, vorrei fare quattro osservazioni.
In primo luogo, vi è il mito – perché di un mito si tratta – che l’allargamento e l’approfondimento siano condizioni conflittuali. In realtà, sin dall’inizio degli anni ’80 è stato l’allargamento a imporre un maggiore approfondimento: Fondi strutturali, UEM e maggiore cooperazione per la lotta alla criminalità organizzata, l’immigrazione e la pace nel mondo. Questo è il motivo per cui deve proseguire.
La seconda osservazione ovviamente riguarda i Balcani occidentali. Sono lieto che il processo di integrazione di quei paesi non sia messo in discussione, né dovrà esserlo.
In terzo luogo, la saga della “capacità di assorbimento” o “capacità di integrazione”, con cui intendiamo la capacità di accogliere nuovi paesi. Si tratta di un obbligo dell’Europa. Il suo obbligo. Proprio come i criteri di Copenaghen sono un obbligo per gli altri paesi. Non siamo giornalisti o esperti di statistica che verificano se questa capacità esista o meno. Dobbiamo crearla, proprio per permettere ulteriori allargamenti.
La quarta osservazione riguarda la Turchia. E’ un vero peccato aver dovuto assistere ai mercanteggiamenti degli ultimi giorni. La Commissione parla di “rigorosa applicazione della condizionalità”, cioè di requisiti essenziali chiari, ma nel caso della Turchia trasmette un messaggio ambiguo. Non esercita pressioni dirette sulla Turchia perché rispetti il suo obbligo derivante dal protocollo, non esercita pressioni perché riconosca uno dei 25 Stati membri, Cipro; mercanteggia sull’apertura di uno, due o tre porti, ignorando totalmente la causa del problema, cioè un’occupazione militare che infrange tutti i valori europei che affermiamo di voler rafforzare ai fini dell’allargamento.
Esorto con vigore la Commissione a concentrare i suoi sforzi sugli aspetti fondamentali, con un calendario e con richieste precise alla Turchia, nell’interesse della Turchia stessa e dei democratici di quel paese.
Arūnas Degutis (ALDE). – (LT) Gli allargamenti, sia l’ultimo sia quelli precedenti, hanno rafforzato l’Unione, stimolato la sua crescita economica e aumentato la sua influenza nel mondo. Di conseguenza, dobbiamo confermare il nostro impegno di espandere ulteriormente l’Unione europea, in quanto si tratta di un’opportunità storica e della responsabilità di creare un’Europa unita e prospera.
Tuttavia, l’allargamento deve andare di pari passo con l’approfondimento dell’Unione, con l’adattamento delle sue Istituzioni perché continuino a funzionare con l’ingresso di nuovi membri. Da quest’anno, le strutture dell’Unione contano 27 Stati membri. Perché l’Europa possa espandersi e funzionare in modo efficace, dobbiamo svolgere alcuni compiti urgenti.
Primo, dobbiamo rafforzare il sostegno pubblico all’allargamento, e a tal fine dobbiamo illustrare con chiarezza i vantaggi dell’allargamento europeo, i suoi effetti positivi, i benefici economici e le responsabilità storiche.
Secondo, dobbiamo rivedere il piano finanziario, compreso il sistema finanziario, e adattarlo alle nuove esigenze di un’Unione allargata.
Terzo, dobbiamo introdurre i necessari miglioramenti e cambiamenti istituzionali.
E’ quindi importantissimo che i paesi che eserciteranno la Presidenza dell’Unione fino al 2008 adottino iniziative per trasformare in realtà il consenso sulla Costituzione.
Infine, vorrei rilevare che, guardando al futuro, è essenziale rinvigorire la politica europea di vicinato, che permetterebbe ai paesi partecipanti non solo di mettere a punto più rapidamente le riforme e rafforzare i legami con l’Unione europea, ma, se lo desiderano, anche di aspirare a diventarne infine membri.
Zsolt László Becsey (PPE-DE). – (HU) Intervengo anche a nome dell’onorevole Pál Schmitt, presidente della delegazione presso la commissione parlamentare mista UE-Croazia, e mi congratulo con l’onorevole Brok e l’onorevole Stubb per le loro relazioni eccellenti e realistiche.
Noi ungheresi siamo lieti che le relazioni rafforzino il principio di Copenaghen, secondo cui ogni Stato che desideri aderire deve procedere verso i negoziati sulla base dei propri meriti. Di conseguenza, nel caso della Croazia, attualmente impegnata nei negoziati, possiamo dichiarare con fiducia che la accoglieremo come nuovo Stato membro in questa ondata, sulla base dei criteri di Copenaghen. Infatti, l’adesione della Croazia sostanzialmente completa la quinta ondata di allargamento dell’Unione, quella dell’Europa centrale. La Croazia è legata a questa ondata principalmente attraverso la Slovenia, l’Austria e l’Ungheria, dal suo livello di sviluppo, dalla sua cultura giuridica e istituzionale e dal suo patrimonio millenario.
Su un altro piano, la Croazia può servire come buon esempio per gli Stati che desiderano cominciare l’allargamento dell’Unione europea ai Balcani occidentali. Fortunatamente, l’adesione della Croazia, considerate le sue dimensioni e il suo sviluppo, non presenta problemi né in termini di mercato interno né in termini di bilancio. Per quanto riguarda le condizioni istituzionali per l’adesione, esse possono essere soddisfatte modificando il Trattato di Nizza, compito che, in assenza di una Costituzione, dovrà essere prima o poi affrontato ai fini dell’adesione.
Al tempo stesso, il principio dei meriti specifici e dell’ulteriore allargamento deve realmente essere esaminato con maggiore serietà, sia nei Balcani occidentali sia nell’Unione. Ciò è vero per quanto riguarda il vicino della Croazia, la Serbia, che nutre grandi speranze e la cui provincia settentrionale di Voivodina può servire da ponte proprio in ragione delle sue radici occidentali. Potrebbe continuare a svolgere questo ruolo di ponte se la Serbia decidesse di preservare la regione, invece di proseguire la sua pratica attuale di reprimere la cultura tradizionale delle popolazioni indigene dell’Unione. Se tale pratica dovesse continuare, al posto di un’Unione europea basata sui nostri valori culturali avremmo un’Unione bizantina.
Marie-Line Reynaud (PSE). – (FR) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare l’onorevole Stubb per il suo lavoro su questo argomento molto delicato. La sua relazione ha il merito di affrontare il tema della capacità di integrazione sotto diverse angolature. Sono quindi lieta che il testo non si limiti a menzionare gli aspetti istituzionali della questione ma ponga anche l’accento su altre importanti riforme, senza le quali l’Unione non potrà accogliere nuovi membri. Penso, in particolare, alla revisione del sistema di finanziamento dell’Unione.
Sono riconoscente al relatore anche perché è riuscito a garantire la neutralità della relazione rispetto ai paesi candidati, evitando di cadere nella trappola di esprimere, in questa occasione, una posizione sull’adesione dell’uno o dell’altro Stato.
Infine, la relazione insiste, a ragione, sul ruolo maggiore che dovrà essere riconosciuto al Parlamento, non solo nel contesto del processo di adesione ma anche in vista delle future riforme istituzionali.
Vorrei tuttavia formulare una critica: in realtà, mi sembra che il relatore, forse per eccesso di zelo, abbia un po’ snaturato la relazione rispetto al suo obiettivo iniziale, elaborando un testo più sull’insieme delle riforme necessarie nell’Unione europea che sulla questione specifica della capacità di integrazione. Anziché enumerare un lungo elenco di riforme istituzionali, sarebbe stato preferibile, a mio parere, concentrarsi solo sulle riforme che costituiscono condizioni realmente essenziali per ogni nuovo allargamento.
Olle Schmidt (ALDE). – (SV) Signor Presidente, signor Commissario, il processo di allargamento dell’Unione è stato un grande successo, con il numero di Stati membri passato da 6 a 27. Siamo riusciti a veder prendere forma un’Europa totalmente nuova. Cominciare ad avere dubbi ora e parlare di “stanchezza” riguardo alla continuazione dell’allargamento sarebbe un passo nella direzione sbagliata. E’ chiaro che i criteri legati alla democrazia, ai diritti umani e a uno Stato di diritto ben funzionante devono essere soddisfatti. Abbiamo assistito anche alla straordinaria trasformazione della vecchia Europa centrale e orientale. E’ vero che l’Unione ha bisogno di nuove forme di adozione delle decisioni, ma non deve introdurre nuove condizioni per i paesi che tentano di diventare membri. Signor Commissario, personalmente considero molto inquietanti le forze all’interno dell’Unione europea che tentano di frapporre ostacoli alla futura adesione della Turchia. La nostra visione per il futuro deve essere un’Europa completa, e ciò comprende la Turchia.
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, diversamente da uno degli oratori che mi ha preceduto, considero l’allargamento uno strumento non di politica estera ma di politica interna europea. Per questo motivo, non si deve permettere al processo di allargamento dell’Unione di violare i confini dell’Europa, con l’adesione di un grande paese come la Turchia, che non è europeo o lo è solo in parte. Se ciò dovesse accadere, l’Unione europea diventerebbe una struttura eurasiatica come il Consiglio d’Europa, con l’aggiunta di un mercato interno, e questa non può essere una prospettiva allettante per chiunque voglia un’Europa realmente efficace, che sostituisca i nostri Stati nazionali nell’esercizio di funzioni essenziali – il tipo di Europa cui aspirano i federalisti convinti come me.
D’altro canto, però, non possiamo bloccare l’ingresso di paesi che sono a tutti gli effetti europei, e quindi respingo i tentativi di interpretare la relazione Brok – alcuni punti della quale sono senz’altro suscettibili di interpretazione – in modo da far apparire l’adozione del Trattato costituzionale come una condizione indispensabile per l’adesione di un paese dell’Europa centrale come la Croazia. Nelle loro recenti risoluzioni, il Partito popolare europeo, la CDU e la CSU hanno espressamente dichiarato che la Croazia costituisce un’eccezione in termini di processo di allargamento, in ragione delle sue dimensioni, della sua posizione nell’Europa centrale e della sua preparazione, e che in realtà essa avrebbe dovuto essere ammessa insieme con l’Ungheria e la Slovenia. Potrebbe essere definita un “residuo” – de facto anziché de jure – del processo di allargamento che stiamo completando, e per questo motivo mi opporrò a qualsiasi interpretazione che renda la Croazia – come ha giustamente affermato l’onorevole Horáček – un ostaggio del processo costituzionale. Certo, dobbiamo portare avanti il processo costituzionale in questo decennio; certo, abbiamo bisogno di un Trattato costituzionale per poter compiere nuovi progressi nel prossimo decennio, accogliendo nell’Unione europea Stati – come quelli dell’Europa sudorientale, tra la Croazia e la Grecia – la cui natura europea è indubbia, primo tra essi la Macedonia, che ha già lo status di paese candidato. Sono questi i paesi che hanno il diritto di diventare Stati membri a pieno titolo, ed è un diritto che difenderemo.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Helmut Kuhne (PSE). – (DE) Signor Presidente, vorrei fare alcune osservazioni sulla comunicazione. Anche io respingo l’idea dell’allargamento come strumento di politica estera, ma i miei motivi sono diversi da quelli dell’onorevole Posselt. Penso infatti che vi siano dei problemi, perché si possono vedere intere brigate di strateghi globali armati di buone intenzioni, carichi di strumenti di politica estera, correre in tutta Europa e anche oltre proclamando: “Preoccupati dalla minaccia di una guerra civile? Aderite all’Unione!”, e si può comprendere con grande chiarezza il motivo per cui così tanti cittadini dell’Unione dicano: “No, grazie, non sono uno strumento. Non sono qui per risolvere i problemi di politica estera. Non è questo il motivo per cui mi considero un cittadino dell’Unione; se questo è ciò che significa Unione europea, preferisco non averci nulla a che fare”.
La seconda osservazione che vorrei fare sulla comunicazione è che solleva la questione di quale sia la relazione reale tra l’affermazione costante che dobbiamo adempiere gli obblighi assunti e la nostra volontà di adottare una linea rigorosa con i paesi candidati sia durante i negoziati sia durante i preparativi per la loro apertura, per far sì che quei paesi assumano impegni e li mantengano, quando, in questa discussione – e mi congratulo con l’onorevole Posselt – si apre ogni concepibile porta sul retro nella speranza di far entrare nell’Unione il candidato favorito da un partito o dall’altro, prima di adottare la Costituzione. Il cittadino comune comprende bene il messaggio che si trasmette in tal modo, quindi non vi è motivo di parlare di stanchezza nei confronti dell’allargamento con un tono di voce accusatorio.
Chi pensa che si tratti solo di questioni di fatto farebbe meglio a occuparsi di questi problemi di comunicazione.
Alojz Peterle (PPE-DE). – (SL) Accolgo con favore entrambe le relazioni, come chiara espressione della volontà politica del Parlamento europeo, che rafforza la credibilità dell’Unione europea. Le considero un’espressione della nostra responsabilità nei confronti del futuro dell’Unione europea, e anche un’espressione della nostra responsabilità comune nei confronti del progresso globale.
Non farò osservazioni specifiche sulle due relazioni, ma, in ogni caso, sono favorevole a replicarne la filosofia. Mi sembra paradossale che, da un lato, parliamo di crisi dell’Unione europea e, dall’altro, questo Natale siamo letteralmente di fronte al fatto che un gran numero di paesi, in Europa e anche al di fuori di essa, sono propensi a entrare nella famiglia europea. Non possiamo rispondere che non vi sono abbastanza sedie attorno al tavolo europeo o che abbiamo problemi a definire le regole di casa.
Sono lieto, in particolare, che la relazione dell’onorevole Brok specifichi chiaramente che le strette relazioni multilaterali non sono un’alternativa alla piena adesione, ma un’opportunità supplementare per i paesi che al momento sono ancora molto lontani dall’ottenere la piena adesione. Sostengo altresì la posizione chiara nei confronti dei paesi dell’Europa sudorientale. Vorrei che fossero tutti specificati per nome nella prossima relazione, perché nessuno di essi merita di figurare in un elenco dei paesi residui – penso che ciò sia importante per noi.
Inoltre, alla Croazia e a tutti i paesi che seguiranno i passi della Croazia, nell’ambito del cosiddetto processo di Salonicco, si dovrebbe applicare il seguente principio: non appena un paese candidato è pronto, anche l’Unione europea deve essere pronta. L’ambizione europea deve essere premiata.
Genowefa Grabowska (PSE). – (PL) Signor Presidente, innanzi tutto mi congratulo con i relatori. Passando alla questione in esame, vorrei richiamare la vostra attenzione sulla questione seguente. L’Unione europea ha dimostrato di essere un progetto molto allettante e, da molti anni, attrae nuovi paesi. Per questo motivo, a mio parere, la discussione di oggi sull’opportunità che l’Unione europea debba continuare a espandersi è accademica, in quanto la risposta è fornita dal Trattato di Maastricht. L’articolo 49 del Trattato afferma chiaramente che ogni Stato europeo che rispetti i criteri politici ed economici può aderire all’Unione europea. Tali criteri sono stati definiti a Copenaghen nel 1993 e ora non dobbiamo inasprirli.
La discussione di oggi dovrebbe rispondere a una questione fondamentale, ovvero se possiamo cambiare i criteri per i futuri allargamenti, in funzione delle esigenze e delle aspettative attuali. Non penso che lo si possa fare. A mio parere, siamo vincolati al principio di mantenere la parola data, di rispettare gli accordi e all’antico principio romano pacta sunt servanda. Questo è il motivo per cui la cosiddetta capacità di assorbimento non può improvvisamente apparire come un criterio usato per bloccare l’accesso all’Unione europea ai paesi che soddisfano i criteri di Copenaghen.
Tutti gli allargamenti hanno rafforzato l’Unione e ne hanno favorito la crescita. Tuttavia, quegli allargamenti sono stati ben pianificati. Ritengo che soltanto una Costituzione europea permetterà di garantire che anche gli allargamenti futuri saranno ben pianificati.
Tunne Kelam (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, concordo con il Ministro Lehtomäki che l’allargamento deve proseguire come processo aperto, perché, a dispetto di molti moniti e timori, tutti gli allargamenti precedenti si sono rivelati un grande successo per l’Unione nel suo insieme. E’ stato e continuerà a essere un processo favorevole a tutti i soggetti coinvolti.
L’onorevole Stubb ha ragione a ricordarci che ogni nuovo allargamento ha imposto all’Unione, in modo assolutamente positivo, di approfondire la sua preparazione interna tramite nuove riforme. Il messaggio di oggi è che la base di Nizza non è più sufficiente per un nuovo allargamento. Non vi sono alternative, se non l’adozione del Trattato costituzionale e la sua applicazione pratica.
Tuttavia, la capacità di integrazione non deve essere considerata come un criterio aggiuntivo per i nuovi candidati. Deve essere considerata come un impegno interno a compiere il massimo sforzo per ottenere la necessaria nuova qualità della nostra coesione. L’Unione non deve trasmettere il messaggio sbagliato che chiuderemo la porta ai nuovi candidati. Ogni nazione europea ha diritto di aderire all’Unione e ha diritto di essere trattata non come un ospite ma come un potenziale e gradito membro di questa famiglia che continua a crescere. Dobbiamo quindi mostrare la massima apertura verso le nazioni interessate, compreso il paese natale di Aliaksandr Milinkievitch.
Infine, l’allargamento non riguarda solo i bilanci e le Istituzioni. Esiste un vasto sottofondo di opinioni, timori e pregiudizi popolari. E’ la psicologia popolare in cui è inciampato il Trattato costituzionale. Dobbiamo quindi affrontare apertamente queste esigenze e questi timori, incoraggiando un dibattito franco e amichevole tra vecchi e nuovi Stati membri sulle nostre diverse esperienze storiche e culturali. La mia esperienza è che questi timori e pregiudizi in realtà sono molto simili e in gran parte si rivelano infondati. Esiste un’enorme riserva di sostegno popolare per il Trattato costituzionale.
Ioannis Kasoulides (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, alla fine non c’è stato alcuno scontro! Il governo di Cipro ha accettato con i suoi partner il cosiddetto “ritardo” del treno turco. Non prendiamoci in giro. In ogni caso, non è necessario aprire la maggioranza dei capitoli sospesi, in quanto ci vorranno alcuni anni per raccogliere i parametri e chiudere un capitolo è una formalità, non ha alcun significato una volta completato tutto l’altro lavoro.
Quanto alle revisioni, esse si svolgono comunque ogni anno. Spesso si è dato troppo rilievo a Cipro quale motivo dello scontro. Ora è essenzialmente stato tolto di mezzo. L’Unione europea è libera di guardare in faccia la realtà. La Turchia ha ignorato e dichiara tuttora che ignorerà i suoi obblighi derivanti dall’accordo sull’Unione doganale, obblighi che esistevano ben prima della questione del cosiddetto isolamento dei ciprioti turchi.
Abbiamo ora di fronte i problemi reali: la libertà di espressione, la libertà delle minoranze religiose, la situazione dei diritti umani nella Turchia meridionale, la condizione femminile, le questioni legate alla corruzione, l’ingerenza del potere militare negli affari di governo e giudiziari. Solo due giorni fa, il generale Buyukanit ha ammonito il governo Erdogan per non aver chiesto il suo permesso per quella che alla fine si è rivelata un’apertura condizionata di un porto alle imbarcazioni cipriote.
Alcuni dicono che non dovremmo guardare la Turchia così come è oggi, ma pensare a come sarà tra 15 anni! La Turchia ci ha dato un’idea della sua volontà di diventare una vera democrazia europea. Sa come farla franca!
Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, condivido pienamente le preoccupazioni di numerosi cittadini europei che desiderano che si risolvano i problemi istituzionali prima di procedere a un nuovo allargamento.
E’ irragionevole pretendere che un’Unione a 27 possa funzionare in modo soddisfacente con le regole che si applicavano quando gli Stati membri dell’Unione erano 9, 10 o 15. Purtroppo, il Trattato costituzionale, che conteneva molti elementi positivi, è stato respinto da due nazioni. D’allora, la questione è congelata. Sono lieto che il Cancelliere Merkel abbia espresso l’intenzione di presentare proposte sulla procedura e sui tempi per risolvere il problema.
Ritengo tuttavia che, in questa fase, si debba mirare a risolvere un numero limitato di questioni, che sono nondimeno importanti per il regolare funzionamento dell’Unione, come la creazione della figura di ministro degli Affari esteri e di Presidente dell’Unione, la riduzione del numero di Commissari, l’aumento delle responsabilità del Parlamento europeo, la riduzione al minimo del requisito dell’unanimità nel sistema di adozione delle decisioni in seno al Consiglio, la personalità giuridica dell’Unione europea, la soppressione della struttura a tre pilastri e il potenziamento della politica di cooperazione rafforzata tra gli Stati membri e ovunque essa sia considerata necessaria per un funzionamento efficiente.
Mi chiedo tuttavia quanti Stati membri, vecchi e nuovi, supereranno i loro sofismi interni e si porranno come obiettivo sovrano il funzionamento regolare e l’efficienza dell’Europa a 27 Stati membri. In ogni caso, per concludere, ritengo che, se non rendiamo l’Unione operativa, non abbia alcun senso discutere di futuri allargamenti.
Tadeusz Zwiefka (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, chiunque abbia la fortuna di essere cittadino dell’Unione europea commetterebbe un peccato mortale proponendo di negare questa opportunità ad altri che vogliono coglierla. L’idea di limitare l’allargamento è ridicola. E’ come porre limiti alla libertà o alla democrazia.
La discussione di oggi ha dimostrato che in larga misura esaminiamo la capacità di integrazione e gli effetti dell’allargamento dal punto di vista della situazione interna dell’Unione europea. Parliamo della necessità di riforme radicali, e giustamente, perché non possiamo permetterci di essere deboli se vogliamo avere successo. Le riforme sono necessarie, ma devono far seguito a una diagnosi della situazione e a un programma di miglioramenti ben ponderato.
Ritengo che sarebbe una buona idea ristrutturare internamente il lavoro della Commissione europea. Se oggi abbiamo 27 Commissari che decidono il campo delle loro competenze, forse sarebbe ragionevole nominare due o tre Commissari responsabili di analizzare la situazione nell’Unione europea e preparare il programma di riforma in modo da garantire che saremo in grado di procedere a nuovi allargamenti.
Tuttavia, non possiamo considerare questa capacità solo dal punto di vista interno. Dobbiamo ricordare ciò che i cittadini dei paesi che aspirano a unirsi a noi pensano dell’Unione europea e della potenziale adesione all’Unione europea. La mia personale esperienza di lavoro nelle delegazioni con i paesi del Caucaso meridionale, oltre che con la Moldavia e l’Ucraina, dimostra che i comuni cittadini di quei paesi non pensano di ottenere l’adesione immediata, ma vogliono essere certi che la porta non sia chiusa. Sono disposti ad aspettare 20 o persino 30 anni per avere la possibilità di unirsi a noi. E’ un’opportunità che non possiamo negare loro.
La politica di informazione dell’Unione dovrebbe descrivere chiaramente che cos’è l’Unione, quali sono i suoi obiettivi e che cosa significa essere membro dell’Unione europea. Non dobbiamo dimenticarlo.
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, le successive, regolari ondate di allargamento sono un magnifico risultato dell’Unione. La quinta ondata, che due anni fa ha allargato l’Unione a 25 Stati membri, di fatto è stata un grande successo, nonostante i moniti che l’Unione rischiava la paralisi senza la Costituzione e i paesi come il mio avrebbero subito flussi immigratori insostenibili, compresa la popolazione rom.
Purtroppo, la relazione Brok tenta di collegare ancora una volta l’allargamento alla necessità assoluta di una Costituzione per l’Unione, mentre i conservatori britannici, che rappresento, sostengono che questo non è vero e che ciò di cui abbiamo veramente bisogno sono adeguamenti del Trattato, tramite una modifica del Trattato di Nizza che rifletta il nuovo assetto dei voti in seno al Consiglio, il numero di parlamentari europei e di Commissari, in conseguenza della prevista adesione, relativamente indolore, della Croazia tra un paio di anni.
Sono del parere che ora si debba esaminare seriamente anche la Commissione, che è sbilanciata. Tuttavia, ritengo che non si debba prevedere una rotazione dei Commissari assolutamente identica tra tutti gli Stati membri, ma trovare una formula matematica che permetta di preservare la presenza, almeno semipermanente, dei Commissari dei grandi Stati membri – so però che tale questione è controversa.
I nuovi Stati membri, in generale, sono più filoatlantici: credono in mercati più liberi e in tassi competitivi di bassa imposizione fiscale, un orientamento che apprezzo. Sono certo che anche l’adesione della Romania e della Bulgaria il 1° gennaio 2007 si rivelerà un grande successo.
In veste di relatore, ritengo che la politica europea di vicinato debba essere suddivisa in una dimensione meridionale euromediterranea, tramite il processo di Barcellona, e in un nuovo concetto orientale di comunità UE-Mar Nero, fondata sul libero scambio e sulla facilitazione dei visti, per rafforzare i nostri legami con paesi europei come l’Ucraina, la Moldavia e le tre Repubbliche del Caucaso. Invito gli Stati membri a informare la Moldavia e l’Ucraina che nel lungo periodo hanno diritto, a mio parere allo stesso modo di tutti i paesi dei Balcani occidentali, di diventare candidati potenziali all’adesione all’Unione.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, la visione di un’Europa unita e in pace, come sappiamo, è nata dalle rovine poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e d’allora continua a trasformarsi e svilupparsi. Così come l’espansione precipitosa di una grande impresa può esercitare pressioni intollerabili sulla sua forza lavoro, l’Unione e i suoi cittadini si sono separati, e non credo che l’accettazione perduta sarà riacquistata tramite campagne di relazioni pubbliche, in quanto conta molto di più risolvere i problemi esistenti, come l’occupazione, la globalizzazione, il terrorismo, la criminalità e i profughi. Anche le preoccupazioni in merito alla capacità di integrazione dell’Unione mi sembrano solo un nuovo sedativo per distrarre le persone dalla delusione già diffusa nei riguardi dell’allargamento.
Finora abbiamo insistito solo sulla necessità che i paesi candidati soddisfino i criteri di Copenaghen e abbiamo trattato la questione della capacità dell’Unione stessa di realizzare gli obiettivi di coesione e di integrazione come se fosse irrilevante. Per combattere la sensazione di trattare una questione incomprensibile e illimitata, non solo dobbiamo imporre limiti geografici, ma anche stabilire in modo chiaro fino a che punto l’Unione sia in grado di gestire le differenze sociali e culturali. Ritengo che la politica di immigrazione incontrollata seguita negli ultimi anni faccia sì che le persone con cui abbiamo a che fare siano molto più numerose di quelle che abbiamo la possibilità di integrare.
Paula Lehtomäki, Presidente in carica del Consiglio. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, innanzi tutto vorrei ringraziare tutti per questa discussione costruttiva, varia e di vasta portata. Anche se sembra che esistano alcuni disaccordi, si può individuare un atteggiamento comune molto forte in seno al Parlamento. E’ chiaro che, perché l’allargamento abbia successo, dobbiamo assicurare che l’Unione si sviluppi internamente e rimanga in grado di funzionare in tutte le situazioni. Questo è un elemento chiave della capacità di integrazione e, come è stato affermato nel corso della discussione, l’Unione europea deve svolgere i propri compiti. Per quanto riguarda i processi di allargamento e i negoziati in corso, dobbiamo ricordare che i compiti non sono stati svolti nemmeno per quanto riguarda gli ultimi processi.
Lunedì il Consiglio ha raggiunto il consenso politico sull’obiettivo di migliorare lo sviluppo economico della parte settentrionale di Cipro il più rapidamente possibile, soprattutto alla luce delle decisioni adottate nell’aprile 2004. L’altro aspetto dell’allargamento e l’altra parte responsabile sono ovviamente i paesi candidati e quelli interessati ad aderire all’Unione europea, ed essi devono soddisfare i criteri di adesione. La misura in cui lo fanno deve essere giudicata in modo molto oggettivo e, se necessario, anche critico, e naturalmente abbiamo piena fiducia nella competenza della Commissione, nella sua volontà e nella sua capacità di svolgere queste valutazioni. Di sicuro è un buon metodo da seguire per aumentare le prospettive di adesione sulla base dei progressi compiuti, anziché permettere che le date concordate a priori definiscano quando l’adesione debba essere completata.
Nel corso della discussione si è parlato molto del Trattato costituzionale e del suo futuro. Condividiamo tutti il parere che la Costituzione contenga numerosi elementi importanti per migliorare la capacità di integrazione dell’Unione. Nondimeno, dobbiamo ricordare che il Trattato costituzionale, o la riforma dell’Unione, non è necessario per l’allargamento: è necessario per migliorare l’attuale situazione dell’Unione e la sua capacità di funzionare.
E’ importante ricordare anche che non possiamo affidare la capacità di funzionare dell’Unione unicamente al Trattato costituzionale. I Trattati, dopo tutto, sono solo strumenti per attuare la politica dell’Unione europea. Senza la volontà politica e l’impegno nei confronti del progetto comune europeo, nemmeno i migliori trattati possono dare i risultati desiderati. In altre parole, abbiamo soprattutto bisogno di un impegno e della volontà di accettare un processo comune, e se la volontà esiste, sarà senza dubbio possibile riformare i Trattati.
La politica di vicinato per certi versi è legata all’allargamento dell’Unione, ma si tratta di una politica importante di per sé e quindi non può essere considerata come una sostituzione dell’allargamento. E’ ovvio che almeno i paesi interessati ad aderire all’Unione non accetteranno una politica di vicinato come compensazione o sostituzione della prospettiva dell’adesione all’Unione.
Signor Presidente, onorevoli deputati, oggi pomeriggio parleremo del Consiglio europeo di questa settimana e del suo ordine del giorno, e sono certa che avremo modo di tornare anche sugli argomenti trattati stamattina.
Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vi ringrazio per questa discussione molto concreta e responsabile, di grande importanza per il futuro dell’Europa. E’ una discussione molto incoraggiante. Forse ricorderete che nella mia introduzione ho affermato che in Europa vi sono due discorsi che spesso non si incontrano: uno dà risalto all’importanza strategica dell’allargamento e l’altro dà risalto solo alla nostra capacità di integrazione.
Questa discussione è incoraggiante, perché se siete riusciti a elaborare una posizione comune a partire dalle prime proposte dei gemelli – che non sono esattamente identici in termini di strategia di allargamento – il Consiglio europeo dovrebbe sicuramente essere in grado di trovare un consenso rinnovato sull’allargamento, che tenga conto sia del valore strategico dell’allargamento sia della nostra capacità di integrare nuovi membri.
Sono state fatte osservazioni sulla politica europea di vicinato. In realtà, nella relazione della Commissione dell’8 novembre si afferma che non tutti i paesi europei sono impegnati nel processo di allargamento. Infatti, l’Unione europea ha instaurato una grande varietà di relazioni con altri paesi europei. Abbiamo una struttura completa di accordi bilaterali con la Svizzera, abbiamo lo Spazio economico europeo, che è un accordo di integrazione economica di vastissima portata, e abbiamo la politica europea di vicinato.
Riguardo a quest’ultima, la Commissione ritiene che la nostra recente comunicazione sul rafforzamento della politica europea di vicinato risponda ampiamente alle attese del Parlamento. Si tratta di una politica distinta, ma parallela al processo di allargamento dell’Unione. Al tempo stesso, tale politica non impedisce il futuro sviluppo delle relazioni tra questi paesi e l’Unione europea, in conformità delle disposizioni del Trattato.
Sono state avanzate proposte per aggiungere ai criteri di Copenaghen criteri culturali. Posso dirvi che la Commissione non è favorevole a questa proposta.
Concludo facendo riferimento ad alcune riflessioni del sociologo e filosofo Ulrich Beck, riportare ieri da Le Monde, sulla recente visita del Papa in Turchia. Abbiamo qui un sociologo stimato che interpreta le azioni di un leader spirituale stimato.
(FR) Signor Presidente, continuo in francese e cito: “Il miracolo dell’Europa è che ha imparato dalla sua storia. E’ questa l’anima dell’Europa: l’aver trasformato i nemici in vicini. Questo può essere il motivo per cui il Papa, che ha riconosciuto l’importanza storica universale di un ravvicinamento tra cristiani e musulmani, sostiene la futura adesione all’Unione europea e di conseguenza l’europeizzazione della Turchia”.
Onorevoli deputati, sono sagge parole su cui merita riflettere durante il periodo natalizio e nell’anno nuovo.
(Applausi)
Presidente. – La ringrazio, signor Commissario, per la conclusione in francese. Per il resto, ciascuno giudicherà il contenuto della proposta, che da parte mia considero interessante.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà oggi, alle 12.00.
(La seduta, sospesa alle 11.55 in attesa del turno di votazioni, riprende alle 12.05)
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Gábor Harangozó (PSE). – (EN) In seguito alla conferma dell’impegno a favore della piena attuazione dell’agenda di Salonicco e dell’intenzione di onorare gli impegni assunti nei confronti dei paesi candidati e candidati potenziali per quanto riguarda i futuri allargamenti, dobbiamo ancora assicurare che l’Unione sia in grado di funzionare.
Integrando nuovi Stati membri, l’Unione deve affrontare le conseguenti sfide politiche, finanziarie e istituzionali che tale integrazione comporta. Il Trattato di Nizza non costituisce una base adeguata per ulteriori allargamenti, mentre la Costituzione offre soluzioni per la maggioranza delle riforme necessarie e costituisce un’espressione concreta della relazione tra approfondimento e allargamento. Per questo motivo, è necessario risolvere la questione costituzionale prima dell’elezione del Parlamento nel 2009. Le riforme devono essere introdotte prima di procedere a un nuovo allargamento. Il processo di allargamento diffonde la democrazia e la prosperità in tutto il continente europeo e al di là di esso. Abbiamo quindi una responsabilità nei confronti del nostro vicinato, in particolare nei confronti dei paesi candidati e candidati potenziali. Infine, per quanto riguarda la questione della “capacità di assorbimento” dell’Unione, condividiamo il parere del relatore, che preferisce il concetto positivo di “capacità di integrazione”.