Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla moratoria sulla pena di morte.
Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, il tema di cui vi parlerò oggi è sicuramente uno degli elementi fondamentali della politica dell’Unione europea nel campo dei diritti umani, e le numerose proposte di risoluzione presentate dai diversi gruppi rappresentati in quest’Assemblea dimostrano quanto il tema sia sentito.
Prendendo a riferimento le linee guida della politica dell’Unione verso i paesi terzi e sulla pena di morte approvate nel 1998 dal Consiglio dei ministri, l’Unione europea sta conducendo una campagna di portata mondiale per l’abolizione generalizzata della pena di morte. Da alcuni anni l’applicazione di moratorie è una componente essenziale di tale campagna, anche se non come obiettivo principale, bensì come traguardo intermedio sulla strada verso l’effettiva e definitiva abolizione della pena di morte.
L’Unione europea porterà avanti la sua politica di protezione dei diritti umani anche sotto la Presidenza tedesca e pertanto insisterà con decisione affinché siano proclamate moratorie della pena capitale e la stessa sia abolita definitivamente.
Ciò significa che, da un lato, continueremo a promuovere la discussione della questione di principio – non solo a livello di contatti bilaterali ma anche in sedi multilaterali, in particolare presso le Nazioni Unite – e, dall’altro, continueremo ad avere un approccio attivo verso i paesi che si trovano a un punto di svolta – quelli in cui si avvertono tendenze positive o negative sul tema della pena di morte – e ad esercitare pressioni nei loro confronti con interventi molto mirati in un gran numero di casi singoli urgenti.
So che il Parlamento europeo è sempre stato un convinto fautore di questa politica, e sono lieto di poter dire che, insieme, abbiamo già ottenuto molti risultati. Il fatto che all’incirca nei due terzi dei paesi del mondo la pena capitale sia stata abolita per legge o rimanga lettera morta va ascritto al forte e attivo impegno di tutti i sostenitori della campagna contro la pena di morte, alla quale, e mi fa piacere sottolinearlo, ha positivamente contribuito anche la partecipazione attenta alle attività del Consiglio d’Europa. 33 paesi hanno già ratificato il 13o protocollo aggiuntivo della Convenzione europea dei diritti umani, il cui scopo è l’abolizione della pena di morte anche in tempo di guerra.
Devo però ricordare che ci sono ancora troppi paesi – 66, per la precisione – che eseguono tuttora sentenze capitali, mentre si registrano alcune deplorevoli inversioni di tendenza in merito all’osservanza delle moratorie. Per tale motivo è molto importante non lesinare gli sforzi e continuare a proporre le nostre argomentazioni per l’abolizione della pena di morte presso forum internazionali e in altre sedi.
L’Unione europea ha presentato risoluzioni in tal senso alla Commissione per i diritti umani dal 1999 fino allo scioglimento della stessa, nel 2005, dimostrando, in tutto quel periodo, di essere in grado di assicurare maggioranze stabili a favore delle sue risoluzioni. Dopo lo scioglimento della Commissione, abbiamo dovuto cercare nuove strade per portare avanti la discussione sull’abolizione della pena di morte, anche se va detto che, non essendoci risposte facili, le nostre azioni devono essere molto ben ponderate se vogliamo evitare – e questa è una priorità – di fare marcia indietro rispetto a posizioni già acquisite.
Su questa linea c’è stato finora un convinto consenso all’interno dell’Unione europea; fino ad oggi, però, ci siamo peritati di proporre una risoluzione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, considerato che permane il forte rischio che venga respinta.
Invece, il 19 dicembre, su iniziativa dell’Unione europea e per la prima volta in assoluto, è stata sottoposta all’Assemblea generale dell’ONU una dichiarazione unilaterale sulla pena di morte che – è importante rilevarlo – ha ottenuto l’appoggio di 85 paesi di tutti i continenti. Per quanto incoraggiante, questo risultato conferma tuttavia che al momento attuale non sussiste ancora la certezza assoluta che una risoluzione dell’Unione europea possa essere approvata dall’Assemblea generale.
Stando così le cose, quale dev’essere il nostro prossimo passo? Tutti gli Stati membri dell’UE sono ben consapevoli della nostra intenzione di continuare a promuovere attivamente la campagna contro la pena capitale, alle Nazioni Unite e in altre sedi. Nel contempo, però, vorrei chiarire che si tratta di una materia tuttora molto difficile da affrontare e che pertanto qualsiasi campagna contro la pena di morte andrà a buon fine soltanto se l’Unione europea si muoverà un passo alla volta e dopo attenta riflessione.
Anche in futuro dobbiamo continuare ad agire tenendo bene a mente la necessità di evitare quanto più possibile che una nuova iniziativa dell’Unione fallisca, perché una sconfitta dell’UE significherebbe una vittoria di coloro che sono favorevoli alla pena di morte e, di conseguenza, un passo indietro nella lotta contro questa punizione disumana – un’evenienza che vogliamo e dobbiamo evitare a ogni costo. Credo che troveremo anche sostenitori per la nostra causa. Per tale motivo, alcune delle principali organizzazioni non governative impegnate in questa campagna, tra cui Amnesty International, consigliano di non precipitare gli eventi e ci ricordano che continuare a insistere affinché la questione sia discussa all’Assemblea generale delle Nazioni Unite potrebbe rivelarsi controproducente per l’Unione europea.
Al Consiglio “Affari generali” del 22 gennaio è stato quindi convenuto che elaboreremo innanzi tutto un approccio ben ponderato che ci metta gradualmente in condizione di esporre le nostre perplessità alle Nazioni Unite in maniera più efficace. Pertanto, agli ambasciatori a New York e Ginevra è stato conferito mandato di compiere sollecitamente tutti i passi possibili per arrivare a una discussione a livello di Nazioni Unite.
Sarà inoltre necessario esaminare, sulla base dell’esperienza e delle attuali valutazioni delle ONG competenti, le altre misure da prendere per portare avanti la lotta contro la pena di morte in seno alle Nazioni Unite.
In tal modo, nel mese di febbraio il Presidente in carica del Consiglio sarà in grado di avanzare proposte ai partner dell’UE sulle azioni future. Ritengo che questo sia un primo, importante passo e mi auguro che troveremo altri soggetti disponibili ad appoggiare il nostro impegno.
(Applausi)
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, colgo anch’io con piacere questa occasione di scambio d’opinioni sul tema della pena di morte e sui modi per promuovere l’abolizione universale di una pratica tanto odiosa.
Come sapete, l’abolizione della pena di morte a livello mondiale costituisce un obiettivo primario della politica estera dell’Unione europea nel campo dei diritti umani. Personalmente sono impegnata affinché l’Unione continui a svolgere un ruolo guida, come si è detto poc’anzi, in questo sforzo globale. Poiché tutti i presenti condividono l’obiettivo ultimo della nostra azione, ovvero l’abolizione universale, vorrei proporvi alcune riflessioni sul processo di abolizione e sugli strumenti per raggiungere tale obiettivo comune.
Innanzi tutto non dobbiamo dimenticare che l’abolizione della pena di morte nel continente europeo è stata un processo lento, spesso tortuoso e protratto nel tempo, che, nella maggior parte dei nostri Stati membri, si è sviluppato grazie alla combinazione di una forte leadership politica e un livello avanzato e maturo della tutela dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle istituzioni democratiche. Con alcune notevoli eccezioni, tra cui gli Stati Uniti d’America e il Giappone, la mappa globale dei paesi abolizionisti coincide quasi completamente con quella dei paesi a pluralismo democratico. Leadership lungimiranti e coraggio politico sono fattori essenziali per abolire la pena di morte. Questo impegno deve spesso essere sostenuto da una discussione nazionale aperta e dinamica, onde garantire che la decisione politica finale di abolire la pena di morte in un paese sia anche una decisione definitiva.
Nelle Filippine e, in certa misura, anche in Kirghizistan, la recente abolizione della pena di morte è stata, per l’appunto, il risultato sia di un notevole coraggio da parte della leadership politica sia di un’approfondita discussione a livello nazionale, che ha visto un’ampia partecipazione di esponenti della società civile – come è stato ricordato – e delle istituzioni. Anche negli USA ci sono segnali incoraggianti in alcuni Stati, ad esempio nel New Jersey e nel Maryland.
D’altro canto, però, non si può escludere che un paese reintroduca la pena di morte, come abbiamo visto purtroppo in Bahrein e come si teme avvenga anche in Perù. Inoltre, in molti altri paesi i nostri appelli per l’abolizione della pena di morte sono finora caduti nel vuoto.
L’esecuzione di Saddam Hussein e dei suoi accoliti ha infiammato nuovamente la discussione sulla pena di morte. Le terribili immagini della sua fine disdicevole hanno turbato persino alcuni sostenitori della pena di morte. Non dobbiamo però dimenticare che ogni anno vengono giustiziate migliaia di persone che per la maggior parte sono senz’altro di gran lunga migliori di Saddam, se non addirittura innocenti. La loro morte dovrebbe scandalizzarci ancora di più!
Se è evidente che l’abolizione della pena di morte in qualsiasi paese è, per citare Robert Badinter, “una vittoria dell’umanità su se stessa”, occorre continuare a valutare con realismo l’influenza che entità esterne, come l’Unione europea, possono esercitare su questo processo, perché esso rimane prima di tutto e più di tutto un processo interno.
Con questo non intendo dire che l’Unione europea starà a guardare; al contrario, è stata e resterà in prima fila nella campagna internazionale contro la pena di morte – specialmente in seno alle Nazioni Unite, come ricordato. Lo scorso dicembre l’Unione europea ha presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una dichiarazione sulla pena di morte che ha ottenuto un consenso record: 85 paesi. In conformità delle nostre linee guida sulla pena di morte, l’Unione europea è intervenuta più volte in singoli casi di condanna alla pena capitale, anche in paesi quali gli Stati Uniti d’America, l’Iran e l’Indonesia, e continuerà a farlo anche in futuro. L’Unione europea è, peraltro, la principale finanziatrice dei progetti abolizionisti gestiti dalla società civile e negli scorsi dieci anni ha speso oltre 15 milioni di euro per sostenerli in tutto il mondo.
Tradizionalmente, il Parlamento europeo e gli esponenti della società civile hanno svolto un ruolo essenziale sia appoggiando l’impegno in senso abolizionista dell’Unione europea sia stimolando la discussione sui modi per rafforzare la nostra politica. E’ fondamentale ascoltare con attenzione ciò che questi interlocutori hanno da dire quando si parla di possibili iniziative in diverse sedi internazionali, come sta facendo il Consiglio.
Ne è una prova la recentissima proposta di una moratoria universale sulla pena di morte avanzata dall’Italia all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Senza anticipare l’esito finale di questo processo di riflessione, vorrei sottoporvi tre considerazioni dei promotori dell’abolizione in merito alla moratoria, che reputo un utile contributo alla discussione odierna.
Pur rappresentando un elemento chiave della strategia dell’UE per l’abolizione universale, la moratoria non è, secondo il giudizio delle più importanti ONG, una panacea. Esse ritengono che la moratoria sia, per sua natura, fragile e reversibile e che debba essere accompagnata da un’abolizione in forza di legge. Al riguardo, le ONG citano il caso del Kirghizistan, dove la moratoria regolarmente applicata sulle esecuzioni capitali non ha impedito un aumento del numero di prigionieri condannati a morte. Penso che abbiamo bisogno di moratorie efficaci.
La seconda osservazione di alcune ONG è che la moratoria è solo uno degli strumenti di abolizione della pena di morte, assieme ad altri. Concordo sul fatto che, in tale contesto, dobbiamo ricorrere anche a strumenti quali la promozione del secondo protocollo opzionale sull’abolizione, aiuti per l’assistenza legale ai condannati a morte e altri strumenti ancora. Dovremmo quindi evitare che l’attuale discussione sulla moratoria metta in secondo piano il fatto che l’abolizione è un processo con molti risvolti.
Infine, nel riportare la discussione in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dobbiamo stare attenti ai possibili risultati. E’ cruciale che l’esito sia positivo. Dobbiamo tuttavia essere consapevoli del rischio rappresentato da un risultato ambiguo o addirittura controproducente – cui ha fatto riferimento la Presidenza del Consiglio –, viste le divisioni a livello internazionale su questo tema. Un eventuale fallimento dei nostri sforzi avrebbe conseguenze negative difficilmente emendabili. Pertanto, prima di compiere le nostre mosse dobbiamo valutare attentamente la situazione e i possibili scenari.
In conclusione, vorrei sottolineare l’importanza di mantenere un approccio comune, a livello di Unione europea, alla questione dell’abolizione universale della pena di morte. La Commissione non lesinerà gli sforzi per collaborare a tal fine con la Presidenza del Consiglio e con il Parlamento.
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Credo che le parole del Commissario Ferrero-Waldner indichino con chiarezza il modello di Europa che vogliamo perseguire: un’Europa di valori.
Se dovessi sintetizzare in un’immagine come è stato il sogno europeo nel corso degli anni, non avrei alcun dubbio nel dire, signora Presidente, che l’idea dell’Europa rappresenta un costante invito alla pace, alla comprensione, all’armonia e alla solidarietà, e che, oltre a quella che è una concezione legittima dell’Europa nel senso di un’Europa delle prospettive finanziarie, un’Europa nei suoi aspetti più tangibili, un’Europa del bilancio in pareggio e dei contribuenti netti, vi è anche, io credo, una concezione dell’Europa a un livello più elevato, ovvero l’Europa dei valori.
E’ esattamente in tale contesto, e in linea con questa visione di un’Europa dei valori, che la nostra iniziativa mira a realizzare una moratoria universale dell’applicazione della pena di morte.
Deve trattarsi di una moratoria di validità universale perché i diritti fondamentali e, in particolare, il diritto alla vita non devono essere affermati in una sola regione, in un solo paese o continente, bensì devono avere chiaramente un carattere universale e globale.
Possiamo quindi prendere atto con piacere del fatto che nel 2005 e 2006 tutta una serie di paesi, tra cui Liberia, Messico, Filippine e Moldova, hanno deciso formalmente di abolire la pena di morte. Credo che dobbiamo continuare a lavorare senza posa per far sì che i 70 paesi che tuttora la applicano si uniscano agli altri 128 che non vi fanno più ricorso.
Signora Presidente, vorrei dire che, se l’Unione europea vuole conservare la leadership morale ed etica che sta esercitando da qualche tempo, deve assolutamente impegnarsi per garantire che la democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali, in special modo del diritto alla vita, prevalgano in tutte le regioni del mondo, quest’anno e negli anni a venire.
Pasqualina Napoletano, a nome del gruppo PSE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la risoluzione che voteremo domani e il dibattito di questa sera collocano il Parlamento europeo in quel movimento mondiale che si sta rivolgendo all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, affinché sia possibile l’adozione di una risoluzione per una moratoria universale, che è una delle prime tappe verso l’abolizione generalizzata della pena di morte dagli ordinamenti di tutti i paesi.
Vorremmo che il Consiglio dei ministri, così come è stato detto, si impegnasse attivamente per questo obiettivo; la Presidenza è molto impegnata e ci auguriamo che questo punto rimanga tra le priorità del semestre. Analogo impegno è venuto dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione europea.
Dalle sue parole, la signora Ferrero-Waldner non mi pareva tuttavia molto convinta del fatto che, come primo passo, occorra passare attraverso la moratoria. Io, invece, insisterei su questo punto e chiederei alla signora Ferrero-Waldner: “Senza questo passaggio l’abolizione sarebbe più vicina?” Io credo di no: potrebbe quindi trattarsi di un primo passo, anche perché l’Unione potrebbe far valere, nelle relazioni internazionali, le vaste relazioni di cui gode nella politica di vicinato, negli accordi di associazione, nel partenariato strategico e, a mio avviso, anche i partiti politici europei potrebbero adoperarsi nelle sedi internazionali affinché le loro organizzazioni lavorino sui paesi aderenti.
Io credo che l’obiettivo sia la messa al bando della pena di morte dagli ordinamenti di tutti gli Stati, il che tra l’altro contribuirebbe a far sì che le Nazioni Unite godano del prestigio di un’istituzione garante di diritti universalmente riconosciuti.
Marco Pannella, a nome del gruppo ALDE. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, io mi atterrò ad una dichiarazione e ad una nota diffuse dalla Presidenza tedesca questa mattina. In questa nota, testualmente, “la Presidenza tedesca si appella ai governi interessati perché introducano una moratoria sulla pena di morte con effetto immediato”. Leggo la nota della Presidenza tedesca. E’ proprio questa la nostra posizione.
Credevo di conoscere anche una dichiarazione del Presidente Barroso di totale appoggio all’iniziativa italiana, intesa a formulare, nell’attuale Assemblea generale dell’ONU, una proposta di moratoria, che sarà sicuramente vincente: già nel 1999 vi era una maggioranza assoluta per una risoluzione che non fu presentata.
Non comprendo pertanto – o meglio, comprendo fin troppo bene – come, di fronte all’entusiasmo che stiamo riscontrando in queste ore in tutto il mondo per un’iniziativa che è la nostra iniziativa – quella del Parlamento europeo, quella dei presidenti dei nostri gruppi, quella che era stata preannunciata, già a Strasburgo, da Graham Watson e da altri colleghi in modo molto preciso – sia possibile tergiversare, nel momento in cui la Francia sta accentuando, in maniera incredibile, l’abolizione, con il cambiamento della sua Costituzione; nel momento in cui anche il Ruanda lo sta facendo; nel momento in cui appena ieri lo ha fatto il Kirghizistan. Dappertutto vengono rese dichiarazioni – dalla Siria, dal Libano – a sostegno di questa nostra posizione. Io penso che domani il Parlamento europeo, come ha già fatto il Consiglio d’Europa, prenderà la guida di questo movimento.
Nel concludere il mio intervento, signor Presidente, vorrei ricordare che sessant’anni fa c’era un asse Roma-Berlino. Io avevo dieci anni e lo ricordo bene. Oggi il caso vuole che, grazie alla concomitanza della Presidenza tedesca, l’iniziativa italiana e le recentissime iniziative francesi, emerga una realtà nuova. Io credo che abbia una rilevanza storica il fatto che Berlino e Roma oggi, in qualche misura, si esprimano in una posizione netta, senza ipocrisie e senza paura di vincere, perché qui c’è troppa gente che ha paura di vincere, non di perdere.
Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signora Presidente, la settimana scorsa, durante la discussione sulla vicenda degli operatori sanitari dell’ospedale di Bengasi, abbiamo espresso la nostra assoluta opposizione alla pena di morte in qualsiasi circostanza. Ora è importante ribadire questo principio, sancito dall’articolo 2 della Carta dei diritti fondamentali.
L’Unione ha sempre propugnato l’abolizione della pena capitale, al punto da inserirla tra i requisiti per l’adesione e tra i principi chiave della sua politica estera; inoltre, nel 1998 ha approvato linee guida sulla pena di morte e finanzia regolarmente progetti della società civile nell’ambito dell’Iniziativa europea per la democrazia e i diritti umani. Questo impegno ha dato buoni frutti: il numero delle esecuzioni negli Stati Uniti è diminuito, mentre in paesi come Messico, Liberia, Filippine e Moldova la pena di morte è stata abolita.
Ma ci sono anche cattive notizie: alcuni Stati degli USA hanno esteso l’applicazione della pena di morte ad altri reati oltre a quello di omicidio; a Singapore, la pena capitale continua a essere comminata a chiunque abbia con sé 15 grammi di eroina; la Cina detiene tuttora il record assoluto di sentenze capitali eseguite. Vi sono, poi, paesi come Iraq e Afghanistan dove la pena di morte è stata reintrodotta, e stava per accadere lo stesso anche in Perù, con il pretesto della lotta contro il terrorismo, ma fortunatamente non è successo.
Di fronte a queste tendenze negative e in vista del congresso del mondo in via di sviluppo sulla pena di morte, l’Unione deve tenere alta la guardia. L’orientamento dell’opinione pubblica internazionale a favore di una moratoria universale della pena di morte va affrontato nel quadro di una politica abolizionistica. Garantire la ratifica del secondo protocollo della Convenzione internazionale per i diritti civili e politici, che prevede l’abolizione della pena di morte, dovrebbe essere pertanto una delle priorità dell’Unione. E’ essenziale che Francia, Lettonia e Polonia, che non hanno ancora ratificato il protocollo, lo facciano quanto prima.
Luisa Morgantini, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, “nessuno può essere condannato alla pena di morte né giustiziato; nessuno può essere allontanato, espulso ed estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura, ad altre pene o a trattamenti inumani e degradanti”. Questo è quanto prevede la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e questo è ciò che mi rende, anzi, io credo, ci rende orgogliosi di essere parte dell’Unione europea. E’ la difesa della dignità umana, è capire che nessuno può essere padrone della vita di un altro e che non ci deve essere vendetta ma giustizia. E questo deve valere per tutti i tribunali, compresi quelli militari.
Troppi paesi hanno ancora la pena di morte e tra essi grandi paesi come la Cina, ma anche la più grande potenza militare e democratica, gli Stati Uniti d’America, che non hanno ancora saputo uscire dalla loro cultura da Far West.
Mi auguro che il Congresso contro la pena di morte a Parigi, al quale parteciperemo come Parlamento, possa rappresentare un passo ulteriore, a partire dalla moratoria, per bandire, insieme alla povertà, la pena di morte dal mondo. Mi auguro altresì che la gente che sfilerà per la strade di Parigi sia un monito per tutti coloro che anche in Europa pensano di reintrodurre la pena di morte. E’ la strada che comunque ci porta affinché l’ONU possa approvare completamente la moratoria.
Koenraad Dillen, a nome del gruppo ITS. – (NL) Signora Presidente, i paesi nei quali esiste ancora la pena di morte non meritano di far parte del consorzio civile, siano essi paesi islamici, dove vige ancora la lapidazione delle adultere, l’America di Bush, l’India, che è la democrazia più grande del mondo, o un paese comunista come la Cina. Non ho pertanto alcuna esitazione nel dare il mio appoggio alla richiesta di una moratoria universale. Un errore giudiziario e la vita di un innocente sono motivo sufficiente per considerare la pena capitale una barbarie. Consentitemi, però, di aggiungere due considerazioni.
Il rispetto della vita non dovrebbe impedire a uno Stato costituzionale di condannare chi commette crimini gravi a pene detentive di 30 anni effettive e non riducibili oppure all’ergastolo. Questa condizione deve e, di fatto, può favorire il raggiungimento di un consenso popolare sull’abolizione della pena di morte. Tale consenso non ci sarà se i nostri cittadini, sempre più spesso posti di fronte al crimine nelle sue forme più brutali, non aggiungeranno la loro voce alla richiesta di un’abolizione universale della pena capitale.
Inoltre, alcuni oppositori della pena capitale dovrebbero dar prova di una certa coerenza. Per esempio, durante una recente visita amichevole in Cina, che è uno Stato monopartitico, la candidata socialista alle elezioni presidenziali francesi ha lodato l’efficienza del sistema giudiziario cinese, un’efficienza che i familiari delle migliaia di persone condannate a morte ogni anno conoscono molto bene perché sono loro a dover pagare la pallottola che ha ucciso il congiunto condannato a morte. Ma Ségolène Royal non si è curata affatto di loro, consapevole che non le avrebbero procurato nuovi contratti, perché la cosa più importante è tutelare gli interessi commerciali delle grandi imprese in Cina, e purché ciò avvenga, ecco che taluni oppositori europei alla pena capitale ammutoliscono di colpo. Se l’Europa vuole conservare la sua credibilità, deve esercitare pressioni su paesi come la Cina, qualunque sia il prezzo che dovrà pagare in termini politici o commerciali.
Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlo a nome del nuovo PSI. L’esecuzione di Saddam ha riportato in primo piano la discussione sulla pena di morte, un dibattito assolutamente opportuno anche se non va utilizzato a fini strumentali e soprattutto non deve rappresentare un argomento da sollevare a corrente alternata. Questa è in primis una battaglia di civiltà e progresso.
Non siamo infatti solo in presenza di un’imprescindibile garanzia per l’individuo, di una richiesta di rafforzamento ulteriore della sfera di inviolabilità del singolo, ma ci troviamo di fronte ad una necessità storica e universale, un punto di approdo e di incontro globale per la civiltà del XXI secolo.
E’ stato detto, ed io condivido, che dopo l’abolizione della schiavitù nei secoli scorsi e l’interdizione della tortura, il diritto a non essere uccisi, a seguito di una misura giudiziaria, deve essere un altro comune denominatore, una nuova ed irriducibile dimensione dell’essere umano che fa di tutti noi una comunità. Oggi, da questo Parlamento, parte un primo e chiaro messaggio in questa direzione.
Simon Coveney (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, voglio esprimere il mio sostegno alle forti richieste giunte oggi dal Parlamento europeo – e alla campagna in atto al di fuori dell’Aula – per una moratoria universale delle esecuzioni capitali, da imporre senza condizioni attraverso una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Per molti anni l’Unione ha mantenuto come pilastro principale della sua politica estera e per i diritti umani l’obiettivo di porre fine al ricorso alla pena di morte a livello globale, conseguendo anche qualche risultato, soprattutto nell’ambito della strategia di prossimità. L’iniziativa odierna costituisce un ambizioso tentativo di elevare il profilo della discussione sulla pena di morte portandola in seno alle Nazioni Unite e di dare uno scossone ai 66 paesi, cui si è già accennato, che continuano a comminare la pena di morte. E’ importante rilevare che l’impegno a favore di una moratoria sulla pena capitale dovrebbe essere sempre collegato all’obiettivo finale di una sua abolizione in via legislativa, come osservato da alcuni degli oratori precedenti.
Il primo passo da compiere nella pratica è chiedere una moratoria, continuando tuttavia a cercare di promuovere l’abolizione ovunque possibile. Considerando quello che, in una prospettiva politica, possiamo fare qui in seno all’Unione europea, solleciterei il Consiglio a rivedere e aggiornare le linee guida sulla pena di morte, che risalgono al 1998, in modo da tener conto di nuovi elementi e strategie elaborati nel frattempo. Il terzo Congresso mondiale sulla pena di morte, che si terrà a breve a Parigi, potrebbe essere una buona occasione in tal senso.
A tutt’oggi, la politica attiva dell’Unione sul tema della pena di morte ha prodotto alcuni risultati positivi. In proposito, va accolto con favore e giustamente apprezzato il successo ottenuto dall’Unione grazie alle sue decise proteste contro le recenti proposte del Perù di introdurre la pena di morte anche in quel paese, in violazione della costituzione peruviana e della Convenzione americana sui diritti umani. La posizione assunta dall’UE ha concretamente influenzato il congresso peruviano nella sua decisione di respingere la relativa proposta di legge. L’Unione ha così dimostrato che è in grado di esercitare pressioni di importanza decisiva sulle politiche nazionali in materia di pena di morte, e non dovrebbe aver timore di farlo.
Elena Valenciano Martínez-Orozco (PSE). – (ES) Signora Presidente, ieri il ventiquattrenne Robert Wilson è stato condannato a morte da una giuria di New York. Si tratta della prima condanna capitale inflitta in quello Stato da 50 anni a questa parte.
Questo è un ulteriore tragico esempio dell’attuale minaccia ai valori universali che oggi noi tutti vogliamo difendere in quest’Aula, nonostante i significativi progressi compiuti in paesi quali Liberia, Messico, Filippine e Moldova.
Dobbiamo però continuare la nostra lotta per poter garantire che altri paesi, come la Cina, dove ci sono ogni anno circa 2 000 esecuzioni ufficiali – 8 000 secondo dati ufficiosi –, aderiscano alla moratoria universale e sospendano le esecuzioni.
Dobbiamo sostenere la società civile iraniana, che si sta mobilitando contro la pena di morte. L’Iran è tra i paesi con il numero più elevato di esecuzioni capitali: nel 2006 sono state 177. Inoltre, l’Iran ha violato la moratoria delle lapidazioni e sei donne sono state condannate a morte per lapidazione.
In particolare, vogliamo lanciare un appello agli Stati Uniti, un paese le cui decisioni hanno profonde ripercussioni sulla politica mondiale, affinché appoggi l’iniziativa italiana di una moratoria universale della pena di morte che sarà approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite – anche, mi auguro, con il sostegno del Parlamento europeo.
Come già rilevato dagli oratori precedenti, la moratoria è il primo, fondamentale passo verso l’abolizione. Questa è probabilmente una delle sfide più importanti che l’umanità si trova ad affrontare all’inizio del nuovo secolo.
Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Signora Presidente, in tutto il mondo 20 000 persone, rinchiuse nel braccio della morte, sono in attesa di essere uccise dai loro stessi governi. E’ triste constatare che oltre 3 000 di esse si trovano negli Stati Uniti. Ho citato esplicitamente quel paese non perché sia il peggiore – il peggiore è la Cina, con l’80 per cento delle esecuzioni capitali –, bensì perché nei confronti degli americani nutriamo aspettative, che potrebbero essere coronate da un cambiamento di atteggiamento. Alcuni segnali che vanno in quella direzione ci sono già: dal 1999 a oggi il numero di condanne capitali eseguite nei vari Stati degli USA è diminuito notevolmente, passando da 277 nel 1999 a 128 nel 2005. Dodici Stati hanno abolito la pena di morte, senza contare il Texas, dove ci sono state solo un terzo delle 1 100 condanne a morte eseguite negli Stati Uniti negli ultimi 30 anni.
Credo che la Commissione e la Presidenza del Consiglio debbano svolgere un ruolo più attivo e più fermo a favore di una moratoria e un’abolizione universale da applicare sulla base di una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Come ha dimostrato in alcuni altri campi della politica per i diritti umani, ad esempio nel caso delle consegne straordinarie e degli abusi compiuti nella guerra contro il terrorismo, l’Unione europea non sempre mette in pratica i propri principi in maniera così efficiente come vorrebbe il Parlamento europeo.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EL) Signora Presidente, ad oggi tutti gli Stati membri dell’Unione hanno ratificato il sesto protocollo della Convenzione europea dei diritti umani riguardante l’abolizione della pena di morte. Nutriamo altresì la speranza che essa sarà abolita sia per legge sia nella pratica in tutti i paesi del mondo – in tempo di guerra come in tempo di pace –, con il risultato di un maggiore e più forte rispetto dei diritti umani e della dignità umana, come sottolineato oggi dal Consiglio e dalla Commissione.
Consentitemi tuttavia di chiedervi se vi siete dati la pena di pensare ai diritti umani e alla dignità umana del dittatore Saddam Hussein e dei suoi compagni di detenzione, che sono stati dati in pasto ai guardoni di tutto il mondo. E’ questo il ruolo dell’Unione europea in quanto fattore globale di stabilità?
Come commentate le dichiarazioni del ministro degli Esteri britannico Becket, la quale ha affermato che Hussein ha semplicemente avuto quello che si meritava e che giustizia è stata fatta?
Cosa dovrebbero mai pensare i cittadini europei quando leggono le dichiarazioni di condanna del Consiglio, da un lato, e, dall’altro, ascoltano i commenti irridenti dei ministri? Dobbiamo uniformare i nostri comportamenti perché, a ben guardare, ci stiamo prendendo in giro da soli.
Jim Allister (NI). – (EN) Signora Presidente, devo dire che l’arroganza di questa Unione europea non conosce limiti. Non paga di ordinare agli Stati membri di non ricorrere al deterrente ultimo – la pena di morte –, vuole ora imporre tale volontà anche al resto del mondo.
Per quanto orribile sia il destino delle infermiere bulgare in Libia, e per quanto sia dovere di quest’Assemblea protestare vigorosamente contro la loro situazione, ciò non giustifica la nostra richiesta di una messa al bando universale della pena di morte. E’ senz’altro intollerabile che qualcuno possa essere incarcerato per sbaglio, però nessuna persona ragionevole chiede, per questo motivo, che l’istituto della carcerazione sia abolito tout court. No, personalmente ritengo che, laddove ci sia un sistema giudiziario equo, trasparente, rispettoso dei diritti umani, con procedure di appello affidabili, uno Stato nazionale sovrano abbia tutto il diritto di applicare la pena di morte per crimini capitali, soprattutto se questa è la volontà democraticamente espressa dal suo popolo. E’ lui, non noi, ad avere il diritto di scegliere ciò che reputa sia meglio per sé.
Carlo Casini (PPE-DE). – Signor Presidente, sono lieto di intervenire perché vengo, tra altro, dalla Toscana dove per la prima volta nella storia, il 30 novembre 1786, fu abolita la pena capitale e sono ancora commosso nel ricordo che nel 1987, insieme ad Amnesty International e al Movimento per la vita italiano, ottenni la commutazione della pena capitale negli Stati Uniti di Paula Cooper, una nera sedicenne che poi è venuta a ringraziarmi.
Mi piace anche ricordare che, come deputato italiano, presentai ed ottenni l’abolizione, con legge, della pena di morte nel codice militare di guerra, ragion per cui ho riflettuto molto sull’argomento. Interpreto ottimisticamente la storia umana che, nonostante tutto, è un faticoso cammino verso il bene, sospinto dal crescente emergere di un decisivo valore: la dignità di ogni essere umano. Questa dignità è talmente grande da non essere graduabile e perciò determina l’eguaglianza di tutti quale che sia la condizione della vita umana. Essa è anche indistruttibile: nemmeno le mani di un criminale possono cancellarne le tracce sul volto dell’uomo stesso che ha commesso il delitto.
La vita e la dignità non sono a disposizione di nessuno, né dei singoli Stati. Questa è la vera ragione per cui va abolita la pena di morte. Tutte le altre ragioni pratiche, che pur ben conosco, possono incontrare obiezioni ma questa no. L’Europa che intende costruire la sua identità, non tanto sulla concorrenza e sul mercato, ma sulla dignità e sui diritti umani non può tacere.
In questo momento non voglio parlare di incoerenze. Verrà il tempo in cui la dignità umana e il conseguente diritto alla vita estenderanno la loro forza persuasiva anche in altre aree della vita umana, dove oggi sono offuscati, purtroppo, anche all’interno della nostra Unione, nelle aree più emblematiche della povertà e dell’emarginabilità umana, quali sono il nascere e il morire.
Ignasi Guardans Cambó (ALDE). – (ES) Signora Presidente, se l’Europa dice no alla pena di morte non è per manifestare una sua superiorità morale, né per impartire lezioni a chicchessia, né perché è spinta da un senso di ampollosità collettiva. Lo fa per essere coerente con la sua fondamentale convinzione che la dignità umana vada rispettata e con la pluriennale esperienza della totale inutilità della pena capitale, nonché per il timore del grave e perfettamente documentato rischio che possa essere eseguita per sbaglio, sia pure in un unico, specifico caso – e, purtroppo, di casi del genere ce ne sono stati parecchi.
L’Europa deve impegnarsi a fare ciò che è possibile senza perdere di vista il fine ultimo del suo agire. E’ possibile, ad esempio, chiedere coraggiosamente una moratoria a tutto il mondo, a cominciare dai nostri partner più stretti e senza dimenticare – tengo a ribadirlo – il fine ultimo, ovvero l’abolizione universale della pena di morte.
Certo, non si deve ricorrere alla pena di morte, però questo principio deve valere sia nel caso di Saddam Hussein che in quello della persona che è stata condannata alla pena capitale negli Stati Uniti, senza aver avuto una vera e propria difesa durante il processo, per un crimine commesso quando era minorenne.
Signora Commissario, dobbiamo protestare contro quella condanna tanto vigorosamente quanto contro la condanna di Saddam Hussein, perché non dobbiamo avere due pesi e due misure. Se ci siamo impegnati nella battaglia contro la pena di morte, i prigionieri sconosciuti al grande pubblico e praticamente privi del diritto alla difesa meritano il nostro sostegno più ancora che un criminale come Saddam Hussein.
Bogusław Sonik (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, la discussione politica, religiosa e giuridica sull’applicazione o meno della pena di morte è in corso ormai da decenni ed è destinata a continuare anche in futuro. Già ai suoi tempi, il famoso scrittore Albert Camus si espresse contro la pena di morte, e l’ex ministro francese della Giustizia Robert Badinter condusse per molti anni una battaglia legale a livello europeo. Di norma, nei dibattiti infuocati di questo tipo vengono addotte forti motivazioni di carattere etico, e non mancano i richiami al diritto inalienabile alla vita. Si citano terrificanti dati statistici sul numero di condanne eseguite in paesi come la Cina o l’India, e la più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti d’America, viene messa sul banco degli imputati. I cattolici contrari alla pena di morte e quelli favorevoli escogitano argomentazioni del tutto contraddittorie partendo dalle stesse fonti, cioè i Vangeli, il catechismo e le encicliche papali. E’ molto difficile spiegare alle famiglie e ai parenti di chi è stato ucciso crudelmente – spesso si tratta di bambini – che la pena di morte non dovrebbe essere comminata ai responsabili di simili crimini. In circostanze del genere, sono i sentimenti a prevalere, i quali spingono le persone a desiderare un esito completamente diverso.
Vengo da un paese che ha sofferto prima sotto il giogo ferreo del regime totalitario nazista di Hitler e poi sotto il comunismo sovietico. Desidero precisare che il ricorso alla pena di morte è un elemento chiave di tutte le dittature, nessuna esclusa. Guardando alla storia del mio paese, la Polonia, vedo che nel periodo cui ho testé accennato ha perso intere legioni dei suoi figli e delle sue figlie migliori, uccisi in forza di sentenze pronunciate da tribunali fantoccio del regime comunista. Avendo preso in considerazione sia le argomentazioni a favore sia quelle contrarie alla pena di morte, devo dire che la sua abolizione è fondamentale per tenere a freno i folli fanatici pronti a sfruttare il sistema giudiziario per eliminare i loro oppositori. Il massimo che i concittadini di quegli eroi uccisi possono fare a distanza di anni, dopo aver riconquistato la libertà, è erigere monumenti in loro onore.
Questo è quanto ho imparato dalla storia delle generazioni dei miei genitori e dei miei nonni, e anche della mia generazione. Solo una delle 1 500 sentenze capitali eseguite in Polonia durante il periodo stalinista ha riguardato un criminale comune. Il prezzo da pagare per mettere un freno ai dittatori di qualsiasi tendenza politica può essere quello che i criminali meritevoli di questa condanna senza appello, invece di essere giustiziati, debbano trascorrere il resto della loro vita in prigione, senza la possibilità di essere rilasciati sulla parola. In tal caso, credo sia un prezzo che vale la pena pagare, per quanto doloroso possa essere farlo.
Justas Vincas Paleckis (PSE). – (LT) “La pena di morte è il modo più offensivo di uccidere, perché ha l’approvazione della comunità”. Queste parole di George Bernard Shaw, pronunciate quasi un secolo fa, sono ora condivise da un numero crescente di persone e dalla maggioranza dei paesi. Purtroppo, ci sono ancora 68 Stati che ignorano il diritto naturale dell’uomo alla vita. La pena di morte viene comminata più spesso non soltanto in Asia ma anche negli Stati Uniti. L’esecuzione capitale di Saddam Hussein è diventata, oserei dire, una dimostrazione di impotenza. Adesso ci troviamo di fronte all’opportunità straordinaria di lavorare a fianco del governo italiano per abolire la pena di morte in tutti i paesi del mondo. L’opposizione alla pena capitale è uno dei valori unificanti dei paesi comunitari, e per tale motivo la voce dell’Unione ha il suo peso. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite sosterrà, mi auguro, la proposta di moratoria dell’applicazione della pena capitale, con l’obiettivo ultimo di abolirla. Nel contempo è fondamentale condannare le dichiarazioni di taluni rappresentanti ufficiali dei nuovi Stati membri dell’UE sulla possibilità di legittimare la pena di morte. L’opinione pubblica mondiale va guidata in direzione dell’Europa.
Genowefa Grabowska (PSE). – (PL) Signora Presidente, l’articolo 1 del sesto protocollo aggiuntivo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali così recita: “La pena di morte è abolita. Nessuno può essere condannato a tale pena né giustiziato”. Su quel protocollo, redatto già nel 1983, si fondano il pensiero e le azioni degli Stati membri dell’Unione; esso riflette inoltre la posizione assunta dalla maggior parte dei paesi aderenti al Consiglio d’Europa. Sostanzialmente, questi sono gli standard europei per la tutela dei diritti umani. La questione se l’abolizione della pena capitale abbia rilevanza solo per l’Europa è retorica: la risposta è, naturalmente, no. Tutti hanno una sola vita da vivere e quella vita merita di essere protetta. Dobbiamo perciò sostenere una moratoria della pena di morte proclamata dalle Nazioni Unite. Sappiamo bene che la pena capitale è radicata in una cultura fondata sulla vendetta e sulla punizione, dalla quale l’umanità deve affrancarsi. E’ molto semplice cancellare la pena di morte dai codici penali: è sufficiente la volontà in tal senso del legislatore; sarà invece molto più difficile rinunciarvi in termini emotivi, riconoscere che è una punizione eticamente scorretta e bandirla per sempre dalla coscienza umana. Dobbiamo tuttavia essere consapevoli del fatto che, se falliremo in questo intento, dovremo continuare a chiederci se, nel XXI secolo, l’uomo possa continuare a uccidere i propri simili nel nome della legge.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signora Presidente, l’Unione europea chiede fermamente la messa al bando delle esecuzioni capitali fin dal 1998. Nell’ottobre 2003 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui si invitano le Istituzioni europee e gli Stati membri dell’UE a esercitare pressioni sull’Assemblea generale delle Nazioni Unite affinché proclami una moratoria delle esecuzioni capitali. Le Istituzioni europee e gli Stati membri dell’Unione devono garantire che il tema della pena di morte sarà affrontato nuovamente dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite attualmente in corso. A nome dell’Unione europea, gli Stati membri devono adoperarsi per presentare una proposta di risoluzione riguardante una moratoria generale dell’esecuzione della pena di morte, nell’ottica della sua abolizione, e per raccogliere intorno a tale proposta il massimo sostegno possibile tra i paesi aderenti alle Nazioni Unite. Le Istituzioni europee e gli Stati membri dell’Unione devono fare tutto quanto in loro potere perché si arrivi il prima possibile a una votazione con esito favorevole da parte dell’attuale Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Panagiotis Beglitis (PSE). – (EL) Signora Presidente, l’ampio consenso tra i partiti politici emerso dalla discussione odierna conferma il fatto che il Parlamento europeo è in grado di fungere da garante della civiltà democratica europea e da difensore dei diritti umani, della dignità umana e del diritto alla vita.
E’ dimostrato che la pena di morte non solo non previene il crimine, ma alimenta altresì l’odio e la violenza. Il mondo civilizzato non può rispondere alla barbarie di un atto criminale con la barbarie della morte.
Accogliamo con favore l’iniziativa del governo italiano, guidato dal Presidente Prodi, e l’appoggio alla stessa da parte del Presidente dell’Internazionale socialista Georgos Papandreu. Tutti gli Stati membri dell’Unione europea devono senz’altro ratificare il protocollo opzionale delle Nazioni Unite, il 13o protocollo della Convenzione europea dei diritti umani. Voglio aggiungere, tuttavia, che gli Stati membri dovrebbero inserirvi una disposizione per abolire la pena di morte nell’ambito del rispettivo ordinamento costituzionale.
In conclusione, vi esorto a non trascurare il fatto che nella società europea vi è attualmente un’ampia percentuale di cittadini favorevoli alla pena di morte; pertanto, insieme con la Commissione europea, dobbiamo lavorare anche in tale direzione, attraverso programmi di consultazione democratica, al fine di convincere anche quella parte della società europea.
Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, signora Commissario, dalla discussione è emerso in tutta evidenza il grande consenso su quello che è uno degli obiettivi fondamentali della politica dell’Unione europea nel campo dei diritti umani. Durante la discussione è stata ricordata spesso l’iniziativa italiana, sulla quale non deve esservi alcun fraintendimento: quando parliamo di quella iniziativa, non discutiamo della sua opportunità né dei suoi obiettivi, bensì di come, dove e, naturalmente, quando attuarla – in altri termini, della procedura da seguire piuttosto che della sostanza dell’iniziativa stessa.
Signora Commissario, lei lo ha già detto molto chiaramente. All’Assemblea generale del 19 dicembre scorso è stata letta una dichiarazione unilaterale che ha ottenuto l’appoggio di 85 Stati. Per quanto incoraggiante sia stato quel risultato, dobbiamo d’altro canto prendere in considerazione e tenere a mente un dubbio, ovvero se il nostro obiettivo possa essere raggiunto, dato che finora la dichiarazione ha ricevuto il sostegno di soli 21 dei 47 membri del nuovo Consiglio dei diritti umani di Ginevra. Sarò franco: non abbiamo ancora la maggioranza.
La situazione nella terza commissione delle Nazioni Unite è simile. Come ho detto nel precedente intervento, ci sono ora vari fronti sui quali dobbiamo prendere l’iniziativa. Anche il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” ha elaborato una strategia volta a raggiungere l’obiettivo cui voi tutti, nei vostri discorsi, avete fatto riferimento. Anche se al momento non sappiamo quando saremo in grado di realizzarlo, vi posso nondimeno garantire che vi appoggeremo nei vostri sforzi: su questo punto noi, la Commissione e la Presidenza, siamo d’accordo, perché anche noi ci stiamo impegnando per cancellare la pena capitale dalla faccia della Terra.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, concordo con quanto testé affermato dal Presidente in carica del Consiglio. Penso che vi sia un diffuso consenso tanto in quest’Aula quanto tra tutte le Istituzioni europee sulla sostanza della discussione odierna e sugli obiettivi che vogliamo raggiungere; talvolta, però, dobbiamo valutare con attenzione quale sia, dal punto di vista tattico, il passo più opportuno da compiere.
Voglio precisare che la Commissione è senza dubbio favorevole all’introduzione di una moratoria quale importante passo intermedio verso la completa abolizione della pena di morte, e naturalmente appoggia l’iniziativa italiana e la proposta di risoluzione del Parlamento europeo. Dobbiamo tuttavia analizzare la valenza tattica di tali iniziative – è questa la posta in gioco. Come possiamo garantire che l’iniziativa programmata nell’ambito dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite vada a buon fine? Dobbiamo preoccuparci di prepararla molto bene, contattando tutti i membri dell’ONU e fissando un calendario adeguato per il lancio di questa iniziativa per una moratoria universale.
Siamo inoltre molto attivi non solo in seno alle Nazioni Unite, ma anche a livello bilaterale in vari paesi, tra cui Cina e Perù. Ad esempio, ho scritto al Presidente peruviano per manifestare la nostra profonda preoccupazione, e mi auguro che sia ancora possibile annullare la decisione di quel paese.
Ringrazio il Parlamento europeo perché anch’esso ha colto le opportunità a sua disposizione. Lo ha fatto in passato e forse può farlo ancora di più in futuro dialogando con le diverse delegazioni. Come dicevo prima, molto spesso si tratta di una questione interna dei singoli paesi, e quanto più il Parlamento europeo riesce a dialogare con i parlamenti nazionali, tanto maggiore sarà l’influenza che potremo esercitare.
Presidente. – A conclusione della discussione, comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento.