Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sul cambiamento climatico.
Johannes Blokland, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, riprovo. Innanzi tutto, vorrei esprimere le mie sincere congratulazioni al Commissario Dimas e al Presidente in carica del Consiglio, il Ministro Gabriel, per le loro proposte e i loro interventi appassionati. E’ soprattutto grazie alla campagna di Al Gore e al rapporto di Sir Nicholas Stern che il cambiamento climatico è sotto i riflettori in questi ultimi mesi. Ciò significa che è un buon momento per compiere progressi concreti. L’Europa deve realmente assumere un ruolo guida nel dibattito sui cambiamenti climatici e sulle misure da adottare. Ciò che conta ora è che le recenti proposte della Commissione siano adottate non solo dalla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, ma anche dai capi di governo degli Stati membri. Il problema del clima è così vasto che sarà necessario mantenerlo all’ordine del giorno nei decenni a venire.
Poiché i cambiamenti climatici, e quindi il riscaldamento globale, non si possono semplicemente rallentare, soltanto le misure rigorose saranno efficaci. Ciò comporta necessariamente il passaggio a carburanti senza o a basse emissioni di carbonio. In termini concreti, ciò significa che dobbiamo dire addio ai combustibili fossili. Il Parlamento europeo ha già indicato che, entro il 2020, l’Europa dovrà conseguire una riduzione del 30 per cento delle emissioni di CO2. La Commissione ha invece proposto una riduzione del 20 per cento per disporre di margini di negoziazione ai fini di un accordo globale, che prevedrebbe poi una riduzione del 30 per cento delle emissioni in Europa. Vorrei che il Commissario Dimas ci spiegasse perché ritiene che questa tattica funzionerà.
Signor Presidente, vorrei chiederle un po’ di tempo in più, perché non mi sono potuto esprimere alla mia normale velocità.
Luca Romagnoli, a nome del gruppo ITS. – Signor Presidente, gentili colleghi, è assai comune in quest’Aula e certamente nella sensibilità dell’opinione pubblica l’intento di combattere i cambiamenti climatici. Intanto, consentitemi una chiosa, utile a sottolineare l’onestà intellettuale che dobbiamo ai cittadini meno edotti in materia: ovvero quando parliamo di combattere i cambiamenti del clima è bene specificare che ci riferiamo solo a quella parte d’influsso che ha l’uomo e le sue attività sull’ambiente, parte che, come scientificamente dimostrato, è di gran lunga minore rispetto alle determinanti geofisiche e astronomiche.
Certo, è utile una politica energetica che rispetti massimamente l’ambiente ma anche che assicuri l’approvvigionamento energetico essenziale al nostro sviluppo, che qui, con il massimo grado di indipendenza politica rispetto ai paesi extraeuropei, a tutt’oggi è lontana dal venire. Concordo ovviamente sugli obiettivi di abbattimento, come pure sugli sforzi per potenziare energie rinnovabili. Tutto giusto, certo, anche incentivare i veicoli meno inquinanti appare condivisibile. Ma non è che finirà come in Italia, ove la finanziaria 2007 favorisce chi può acquistare veicoli nuovi e condanna invece all’immobilità e a costi gravosi proprio i meno abbienti, che non possono permettersi il cambio di veicolo?
Infine, colleghi, pur non essendo sinofobico – credetemi – ancora una volta chiedo: tutti i nostri sforzi unilaterali in materia di sostenibilità hanno senso quando la Cina e le tigri asiatiche dell’economia immettono in un anno nell’atmosfera quantità di gas clima-alteranti, pari a quanto producono in dieci anni i paesi dell’Unione?
Sigmar Gabriel, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, ho chiesto di nuovo la parola per rispondere in termini chiari a un attacco rivolto alla Presidenza del Consiglio tedesca dall’onorevole Harms per quanto riguarda la posizione della Presidenza del Consiglio sulla partecipazione dell’industria automobilistica tedesca alla lotta contro i cambiamenti climatici.
Innanzi tutto, onorevole Harms, la Presidenza del Consiglio non può ancora avere una posizione sulla questione, in quanto la Commissione non ha presentato una proposta, né vi è stata una delibera a livello di Consiglio. Supponendo che lei si riferisca alla posizione del governo federale tedesco, onorevole Harms, vi sono alcuni elementi di cui lei dovrebbe prendere atto, il primo dei quali è che la sua affermazione secondo cui il governo federale tedesco sarebbe contrario a una proposta legislativa e a una legislazione a livello europeo che fissi le emissioni di CO2 a 120 grammi al chilometro è assolutamente falsa. In seno al governo tedesco vi è accordo sul fatto che, se l’impegno volontario dell’industria automobilistica europea dovesse venire meno, sarà ovviamente necessario introdurre una legislazione europea che imponga il limite di 120 grammi al chilometro per le emissioni di CO2. In secondo luogo, il governo federale tedesco è però del parere che…
(Commenti)
…se l’industria automobilistica europea si è prefissa questo obiettivo per il 2012, essa debba essere presa in parola. Anche su questo il governo tedesco non ha una posizione contraria.
In secondo luogo, il governo federale tedesco è tuttavia persuaso che si debba conseguire insieme l’obiettivo di 120 grammi tramite due elementi, il primo dei quali è la tecnologia automobilistica e il secondo l’inclusione di alcuni biocarburanti.
(Commenti)
Non so perché non dovrebbe funzionare. E’ un aspetto di cui dovremo discutere a tempo debito, ma il punto è questo: intendiamo permettere – e sinceramente preferirei che riuscissimo a condurre questa discussione con calma – che lo sviluppo della prima generazione di biocarburanti determini una maggiore concorrenza tra i prodotti alimentari, come è già avvenuto in Messico, dove il pane di granturco, l’alimento di base dei più poveri tra i poveri, ha subito un rincaro di circa il 60 per cento, o vogliamo investire nella seconda generazione di biocarburanti, i combustibili sintetici? Sì o no?
Se questo è ciò che vogliamo, dobbiamo risvegliare l’interesse del mercato. Va da sé che l’industria automobilistica e l’industria petrolifera avranno interesse a sviluppare combustibili sintetici, per ovviare a questa concorrenza nel settore alimentare, se diamo loro la possibilità di conseguire in parte l’obiettivo di 120 grammi tenendo conto dei biocarburanti. Dobbiamo discutere dei contenuti di questa proposta, ma chiedo all’onorevole Harms di non agire come se il governo tedesco fosse contrario a un’eventuale proposta legislativa che imponga l’obiettivo di 120 grammi.
In terzo luogo, mi auguro si sia d’accordo sulla necessità di conseguire questo obiettivo in termini di media calcolata per l’intera gamma di autovetture, in modo da ridurre i consumi e le emissioni di CO2 di tutte le auto, da quelle di lusso alle utilitarie, passando per quelle di media cilindrata. Se, tuttavia, l’impegno volontario dell’industria automobilistica europea dovesse essere imposto tramite la legislazione, ciò avverrà comunque nel modo previsto, cioè per tutte le classi di autoveicoli, in modo da ottenere una media di 120 grammi di CO2 al chilometro.
La quarta osservazione, onorevole Harms, è che penso vi siano due cose che dobbiamo davvero evitare. Forse siamo d’accordo almeno su questo, se non altro, ed è anche la posizione del governo tedesco. E’ un errore far partecipare l’industria automobilistica al sistema europeo di scambio di diritti di emissione, in quanto la conseguenza sarebbe rendere tale sistema ancora più complesso, e lo è già sin troppo. E’ quindi ragionevole regolamentare il settore al di fuori del sistema di scambio di emissioni.
Forse possiamo essere d’accordo anche sul fatto che la riduzione delle emissioni di CO2 è un compito futuro che non dobbiamo trasferire al settore privato affermando che esso, in definitiva, dipende dalle abitudini di guida dei singoli individui. E’ una sfida tecnologica cui vogliamo rispondere in modo tecnologico, cambiando la tecnologia automobilistica e tenendo conto in parte dello sviluppo dei biocarburanti sintetici e della loro integrazione.
Se la questione che ha sollevato riguarda la posizione del governo tedesco, mi auguro di aver fornito una risposta esauriente. Se invece la sua domanda era rivolta alla Presidenza del Consiglio – e così l’ho intesa – le sarei grato se avesse la bontà di dare alla Presidenza la possibilità di condurre almeno un dibattito generale in seno al Consiglio “Ambiente”, cosa che potrà fare solo quando la Commissione presenterà una comunicazione in materia.
Devo dire che, se la sua proposta deve essere interpretata come un invito a presentare tale comunicazione, al fine di poter condurre un dibattito generale, allora è una parte – di fatto l’unica parte – del suo intervento con cui concordo.
(Applausi)
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, ho ascoltato con grande attenzione ciò che ha affermato il Ministro Gabriel, perché sulle prime pagine dei quotidiani irlandesi di oggi si legge: “La Germania si oppone ai limiti dell’Unione europea per le emissioni delle auto”. I quotidiani proseguono, rivelando che “il Cancelliere tedesco Angela Merkel si è impegnata a contrastare con il massimo vigore i piani volti a introdurre limiti generali per le emissioni di CO2 delle autovetture…”. I due minuti a mia disposizione non mi permettono di proseguire.
Lei deve condurre una grande campagna di pubbliche relazioni, signor Ministro, se ciò che afferma è esatto, rispetto a ciò che dice la Presidente del Consiglio tedesca. Le chiedo quindi di risolvere la confusione presente tra voi, soprattutto perché, all’inizio della Presidenza tedesca, il Cancelliere Merkel ha pronunciato un discorso eccellente e molto incoraggiante su questo aspetto specifico, e ha garantito che la questione sarà in cima all’ordine del giorno al Vertice di marzo.
Dobbiamo avere maggiore padronanza politica in questa discussione. Il vero problema – e lo dico, attraverso la Presidenza, sia al Commissario sia al Ministro – è che abbiamo delegato il compito ai nostri funzionari e ai nostri diplomatici. E’ vero, Nairobi è stato “un passo avanti” in termini di preparazione del terreno. E’ ciò che ha detto. Ma è stato un passo da bambino, un passo avanti tortuoso, ed è quindi difficile considerarlo un miglioramento rispetto a ciò che era stato deciso a Montreal.
Non ha senso che migliaia di persone, provenienti da centinaia di paesi, si riuniscano una volta all’anno, disperdano carbonio e volino chissà dove per sedersi e discutere principalmente, a volte per due intere settimane, dei punti da iscrivere all’ordine del giorno e poi ripartano e si ritrovino un anno dopo a riprendere la discussione sull’ordine del giorno lasciata in sospeso 12 mesi prima! Se le nostre affermazioni e tutte le relazioni elaborate da economisti, ONG, ambientalisti e scienziati eminenti sono corrette – e lo sono, il 99 per cento della comunità è d’accordo sulla loro correttezza – dobbiamo assumere la massima responsabilità politica della risoluzione del problema, cioè a livello di vertice: non solo alle riunioni di vertice, ma anche alle conferenze e alle riunioni delle parti, a Nairobi e ovunque ci si riunisca. Dobbiamo portarlo ai piani superiori, a livello di primi ministri e capi di Stato, durante tutti i 12 mesi dell’anno, non solo alla riunione annuale della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici o alla riunione delle parti del protocollo di Kyoto.
E’ necessario assumere la responsabilità politica al massimo livello. Prendete le redini e guidate il programma!
Dorette Corbey (PSE). – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, Ministro Gabriel, mi auguro si possa essere d’accordo sulla proposta di ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture a 120 milligrammi e anche su una riduzione ancora maggiore per la seconda generazione di combustibili. Si devono assolutamente prendere provvedimenti, perché tantissime persone nutrono gravi preoccupazioni riguardo ai cambiamenti climatici. Domani le Nazioni Unite annunceranno che la Terra si sta riscaldando più rapidamente di quanto si fosse immaginato. L’Europa deve dar prova di leadership per risolvere il problema. Per questo motivo è importante adottare una posizione ferma sull’obiettivo del 30 per cento e non rassegnarsi ad accettare il 20 per cento, se il resto del mondo non si unirà ai nostri sforzi. Fare tutto questo assegnamento su altri paesi è assai deludente, anche se posso capirne la ragione. Innanzi tutto, abbiamo un dovere morale verso il resto del mondo: dal momento che abbiamo provocato i cambiamenti climatici, dobbiamo anche risolvere il problema. In secondo luogo, come si afferma nel rapporto Stern, è molto più economico adottare una politica rigorosa sul clima che sostenere i costi derivanti dall’adeguamento al riscaldamento globale. La politica sul clima offre ampie possibilità di innovazione e occupazione.
Chris Davies (ALDE). – (EN) Signor Presidente, la Presidenza è partita con il piede giusto su questa problematica. Non ho alcun dubbio sull’impegno del Ministro e ho ascoltato con grande piacere le chiare parole del Cancelliere due settimane fa. Tuttavia, è evidente che la retorica deve trovare corrispondenza nella realtà, e qui la Germania ha un problema. Innanzi tutto, ha il problema del piano di assegnazione nazionale. Mi rendo conto della difficoltà dovuta a una differenza di interpretazione tra la Presidenza e la Commissione, ma di sicuro non aiuta che proprio voi, che occupate la poltrona che scotta, non abbiate un piano di assegnazione nazionale approvato. Le chiedo quindi di risolvere la questione, signor Ministro.
Inoltre, come sappiamo, oggi è emersa la questione dell’industria automobilistica tedesca, presentata con grande retorica dai vari quotidiani. Sono qui adesso in una pausa di un’audizione, che ho il compito di presiedere, sulla riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture. Il chiaro messaggio di molti esperti intervenuti è che 120 grammi al chilometro è un obiettivo perfettamente realizzabile nel periodo di cinque anni di cui si parla, a un costo di mille euro: questa è la stima fornita da molti esperti. Si tratta inoltre di mille euro che i proprietari di autovetture possono recuperare rapidamente, grazie all’economia di carburante e ai risparmi alle pompe di benzina.
Vi chiedo quante volte, nelle discussioni sull’ambiente, abbiamo sentito l’industria dire all’Unione europea e al Parlamento europeo: “è impossibile, sarà la fine del settore, avrà costi astronomici”? Ma tante volte abbiamo introdotto una legislazione e poi, in qualche modo, i problemi sono spariti, l’industria si è adeguata, siamo diventati più competitivi e la nostra posizione si è rafforzata in tutto il mondo. Temo si stia verificando di nuovo. L’industria esagera, come sempre.
Discutiamo del modo in cui affrontare la questione dei cambiamenti climatici. Se esaminiamo il prezzo reale di un’automobile, che è notevolmente diminuito negli ultimi 20 o 30 anni, e diciamo che una riduzione del 25 per cento delle emissioni costerebbe mille euro in più, pur mantenendo il prezzo reale dell’automobile a un livello inferiore a quello di 30 anni fa, davvero non siamo in grado di sostenere questo prezzo? Come potremo guardare i nostri figli e dire loro che non siamo stati disposti a pagare poco di più per fare una differenza così grande?
(Applausi)
Claude Turmes (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, a mio parere, un motivo per cui dovremmo ampliare la discussione sulle autovetture è che essa evidenzia l’abisso presente tra le parole e i fatti. Ministro Gabriel, la sua proposta di combinare l’integrazione dei biocarburanti con il requisito dell’efficienza delle autovetture crea confusione perché, anche se si vende un’auto che può essere alimentata con biocarburanti, non si può avere la certezza che il cliente poi li userà. Ciò significa che, con il sistema da lei proposto, non è affatto chiaro il modo in cui si debbano misurare le emissioni, e questo crea enormi problemi.
Lei parla di emissioni di CO2 di 120 grammi al chilometro, ma in realtà vuole la stessa cosa che vogliono i costruttori automobilistici tedeschi, cioè 130 o 140 grammi. Questa sarebbe una mossa fatale non solo per l’Europa ma per il mondo intero, perché dobbiamo raggiungere un valore compreso tra 60 e 100 grammi al più tardi entro il 2020, e 120 grammi possono solo costituire una fase intermedia. La ringrazio anche per i chiarimenti che ha fornito. Mi auguro che il Cancelliere Merkel e il Ministro Glos siano dello stesso avviso, perché, stando alle notizie apparse sulla stampa negli ultimi giorni, non è affatto chiaro che lo siano. Non sono tedesco, ma per me la Germania è sempre stata uno dei paesi più all’avanguardia perché i cittadini tedeschi danno la massima priorità alla protezione dell’ambiente e alla lotta contro i cambiamenti climatici. Per una Presidenza tedesca che si propone di fare grandi cose sul fronte dei cambiamenti climatici è davvero una vergogna inciampare e cadere la prima volta che l’economia subisce una sia pur minima pressione.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, gli scienziati suonano il campanello di allarme da anni. Non si tratta di un pericolo futuro, ma di una minaccia attuale. Per questo le dichiarazioni ambiziose non sono sufficienti. Sono necessarie misure specifiche, con risultati concreti e quantificabili. Le autovetture forniscono un classico esempio: non appena le dichiarazioni generali si avvicinano a misure specifiche, le lobby reagiscono. A mio parere, la vita di tutti noi e dei nostri figli pesa e conta di più dell’industria automobilistica.
Accogliamo con favore le misure specifiche, quali la riduzione delle emissioni di biossido di carbonio, il sostegno alle fonti di energia rinnovabili, ai combustibili ecologici e alle nuove tecnologie più pulite. Il Parlamento europeo chiede alla Commissione e al Consiglio di fissare obiettivi più ambiziosi e, ancora più importante, di conseguirli. Dobbiamo cambiare molte nostre abitudini di vita e di consumo. L’Unione europea deve porsi all’avanguardia e creare una grande alleanza globale. Il protocollo di Kyoto, che alcuni ancora si rifiutano di adottare, non è più sufficiente.
Derek Roland Clark (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, sul tema in esame circolano mezze verità e dichiarazioni ambigue, che gettano dubbi sull’integrità della questione stessa e sollevano più interrogativi che risposte. Per esempio, perché, almeno al di fuori dell’Assemblea, si fa continuo riferimento alle emissioni di carbonio? Il carbonio è una sostanza solida nera; è nerofumo, grafite o diamanti. Si dovrebbe parlare di biossido di carbonio, che, tra l’altro, non è una sostanza inquinante, ma una componente naturale dell’atmosfera. Perché il direttore di un’agenzia ambientale britannica mi ha riferito che non sono stati in grado di collegare il riscaldamento globale ai cambiamenti climatici? Se il riscaldamento globale è dovuto al CO2 e all’effetto serra, e non a una variazione dell’attività solare, perché lo stesso direttore non è stato in grado di dirmi se l’effetto serra aumenta in modo proporzionale all’aumento di CO2 o aumenta enormemente con la stessa quantità di CO2, un aumento esponenziale o un aumento che tende a diminuire, il che significa una curva digradante e a un certo punto un effetto statico.
Perché il rapporto Stern mostra un grafico simile a un bastone da hockey per il riscaldamento globale – un aumento costante per un periodo di 2000 anni – se di fatto le temperature nel XIV e nel XV secolo erano più elevate di adesso? Perché l’associazione Amici della Terra afferma che l’incenerimento dei rifiuti per generare elettricità produce più CO2 dei generatori tradizionali alimentati a gas, se di fatto i rifiuti sono in gran parte costituiti da biocombustibili e sono quindi neutri in termini di carbonio? Ignorano il fatto che i rifiuti messi in discarica producono metano, che è un gas serra 12 volte più potente del CO2.
Infine, perché il Presidente della Commissione guida un’automobile che produce emissioni di CO2 a chilometro 1,6 volte superiori rispetto all’autovettura di media cilindrata che guido io?
Jana Bobošíková (NI). – (CS) Signor Presidente, diversi esperti sostengono che, a parte le congetture basate su emergenze a breve termine, non esistono prove scientifiche incontrovertibili del fatto che i gas serra derivanti dalla crescita industriale siano alla radice dei cambiamenti climatici. I cambiamenti climatici si verificano in milioni di anni e il clima ovviamente continuerà a cambiare. Non condivido quindi il parere che le persone possano cambiare la storia del pianeta con le abitudini quotidiane. Considero questo parere arrogante e antropocentrico.
Prendersi cura del pianeta ha poco a che fare con gli scambi di diritti di emissione, l’introduzione di norme più severe, l’adozione di nuove leggi o gli investimenti massicci nella riduzione delle emissioni prodotte dalle fonti di energia esistenti. Una linea di azione molto più ragionevole consiste nell’investire nello sviluppo di nuove fonti di energia e nell’energia nucleare. Sono fermamente convinta che l’atteggiamento miope, antinucleare, adottato oggi nei confronti del riscaldamento globale, con il pretesto della lotta ai gas serra, ci condurrà in un vicolo cieco, in cui sia i nostri redditi sia le nostre libertà saranno decurtati. Un atteggiamento del genere di sicuro non significa prendersi cura del pianeta nell’interesse dei nostri figli.
Françoise Grossetête (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, dobbiamo affrontare una sfida quadrupla: innanzi tutto, a livello di cambiamenti climatici e di volontà politica di farvi fronte; in secondo luogo, a livello di partecipazione internazionale alla lotta contro i cambiamenti climatici; in terzo luogo, a livello di innovazione necessaria per modificare i metodi di produzione e di impiego dell’energia; infine, a livello di adattamento dei paesi agli inevitabili effetti dei cambiamenti climatici.
Sono tentata di chiedere: che cosa aspetta l’Europa per aprire realmente il dibattito sull’energia nucleare? Intendo un dibattito serio, spassionato. Vi chiedo di non rinviarlo. L’alternativa delle energie rinnovabili è senza dubbio seducente, ma non abbiamo scelta, dobbiamo esaminare la situazione in modo realistico.
Prendiamo due esempi: l’energia eolica e i biocarburanti. La prima rappresenta lo 0,05 per cento del consumo mondiale di energia. A quale velocità dovremmo sviluppare l’energia eolica per ottenere una crescita del 2 per cento annuo del consumo globale di tale energia in un periodo di 30 anni? E’ semplicemente al di là della nostra portata. D’altro canto, i biocarburanti sono un modo interessante e mediatico di trattare un problema di politica agricola, ma le possibilità che offrono sono limitate dalle superfici agricole disponibili.
Commissario Dimas, lei dovrà convincere il suo collega, il Commissario Verheugen, a non frenare le nostre ambizioni. Ministro Gabriel, vi sono lotte in cui dovremo sostenere alcune industrie che, di fronte a questa minaccia globale, conducono azioni di retroguardia. Sono certa che i costruttori automobilistici tedeschi sapranno trovare risposte adeguate, che sono assolutamente necessarie.
Infine, che dire ai paesi terzi? Possiamo, per esempio, dire alla Cina che non ha il diritto di sviluppare la sua economia? Per non parlare dell’ipocrisia dell’Europa, che si autocompiace degli scambi di diritti di emissione.
Per concludere, coloro che indulgono al catastrofismo non fanno altro che destabilizzare l’opinione pubblica. Sono necessarie campagne di sensibilizzazione e informazione, non ha alcun senso diffondere timori. Non è costruttivo. Dobbiamo cercare di proporre soluzioni che funzionino. Ciò richiede uno sforzo da parte di tutti, e il tempo è la nostra unica priorità.
Riitta Myller (PSE). – (FI) Signor Presidente, per molti i cambiamenti climatici sono diventati una realtà soltanto ora che ne sono stati valutati i costi. Secondo una stima, il costo dell’inazione potrebbe raggiungere il 20 per cento del PNL globale. Se adottiamo provvedimenti ora, tuttavia, e limitiamo il riscaldamento globale a 2 gradi, il costo si ridurrà a una frazione di tale cifra. Inoltre, gli investimenti nell’economia a basse emissioni creeranno un mercato globale per le tecnologie a efficienza energetica, per le quali si prevede una crescita di valore fino a 27 miliardi di euro entro il 2020.
Perché l’Europa partecipi a questo sviluppo tecnologico, l’Unione deve creare un mercato interno funzionante per le forme di energia rinnovabili a basse emissioni. Dobbiamo ricordare che l’energia nucleare non può essere la risposta al problema, soprattutto se vogliamo che l’Europa sia un’economia energetica autosufficiente.
Henrik Lax (ALDE). – (SV) Signor Presidente, non ripeterò ciò che è già stato affermato, voglio solo dire una cosa. Il Parlamento europeo deve avviare un dialogo diretto con il Congresso americano appena eletto. Invece di limitarci a seguire il dibattito americano sui media, è nostro compito agire.
L’equilibrio politico in seno al Congresso è cambiato e si potrebbe ora aprire una porta alla cooperazione necessaria per permettere un cambiamento. Il Congresso ora ha persino istituito una commissione speciale sui cambiamenti climatici. La forza deriva da un’azione congiunta dell’Unione europea e degli Stati Uniti. Soltanto insieme possiamo influenzare paesi come la Cina e l’India e persuaderli a partecipare a un sistema globale di scambio di diritti di emissione. Non si può permettere che prima inquinino a piacere il loro e il nostro ambiente, solo perché sono paesi in via di sviluppo, e poi, solo quando avranno conseguito un alto tenore di vita, assumano le loro responsabilità nei confronti dell’ambiente globale.
Propongo che il presidente della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare contatti immediatamente la commissione omologa del Congresso americano. Si dovrebbe organizzare una riunione congiunta delle due commissioni interessate già in primavera. L’obiettivo di questo dialogo è far sì che gli Stati Uniti e altri paesi che non partecipano al sistema di scambio di diritti di emissione vi aderiscano.
In veste di rappresentanti dei cittadini d’Europa, dobbiamo avere il coraggio di prendere il toro per le corna. E’ questo il motivo per cui siamo stati eletti.
Caroline Lucas (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, vi è molta retorica in Aula oggi pomeriggio, soprattutto da parte del Consiglio, ma ciò che manca è il senso di urgenza e un impegno a favore di un’azione ambiziosa. E’ chiaro che l’Unione deve fare molto di più e dar prova reale di leadership.
Ad ogni modo, nel minuto a mia disposizione vorrei chiederle, Commissario Dimas, di fare qualcosa di concreto. Si parla molto di ciò che è sbagliato oggi, ma non abbastanza di ciò che occorre fare, delle risposte.
Desidero sollevare la questione delle quote personali di emissione di carbonio. E’ un regime che suscita crescente interesse in molti Stati membri, in base al quale a tutti gli individui sono assegnati pari diritti di emissione pro capite, diritti che sono poi ceduti, per esempio, quando si acquistano combustibili fossili o elettricità per uso personale. Ovviamente, tali diritti con il tempo diminuiscono.
E’ un regime complementare al sistema di scambio di diritti di emissione, ma per molti versi è più equo di un maggiore prelievo fiscale, ha il vantaggio di essere soggetto a un limite massimo generale che diminuisce con il tempo e, aspetto fondamentale, impegna i cittadini a livello personale. Influenza le scelte individuali, perché uno dei più forti disincentivi all’azione individuale è la sensazione che il nostro vicino non faccia ciò che noi stiamo facendo. Di conseguenza, le chiedo di incaricare i suoi servizi di verificare che cosa si possa fare per incoraggiare la diffusione di regimi di questo tipo in tutta l’Unione europea.
Umberto Guidoni (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli oltre 40 morti causati dalla tempesta Kyrill sono un triste presagio di quello che sarà il futuro prossimo venturo. Il riscaldamento globale e gli sconvolgimenti climatici connessi non sono un’invenzione dei movimenti ambientalisti: nel corso del XX secolo la temperatura media è aumentata di oltre mezzo grado e la causa va cercata nell’emissione di gas serra prodotta dall’attività dell’uomo. L’Unione europea è responsabile di circa il 14% di tali emissioni, la quota pro capite più alta del mondo. Per questo la lotta ai cambiamenti climatici, che richiede il contributo di tutti i paesi, deve vedere proprio le nazioni più avanzate all’avanguardia.
L’UE deve dunque continuare a lavorare secondo lo spirito di Kyoto, che ha portato a scommettere sull’innovazione tecnologica. Negli ultimi anni, però, si sono fatti passi indietro, in particolare in campo energetico e le recenti proposte della Commissione non sono all’altezza delle aspettative. Benché lei stesso, Commissario Dimas, avesse chiesto un taglio delle emissioni del 30% rispetto ai livelli del 1990, si è raggiunto un accordo al ribasso per il 20% ed è mancata una strategia nei trasporti, sulle energie alternative e sulle tecnologie per l’idrogeno verde. Senza parlare dell’ambiguità sul nucleare....
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Johannes Blokland (IND/DEM). – (NL) Signor Presidente, l’industria è destinata a prendere atto che saranno adottate misure drastiche. I diritti di emissione dovranno essere ridotti annualmente e si dovrà porre fine all’assegnazione gratuita di certificati di emissione. Inoltre, poiché sempre più settori dovranno rientrare nel sistema obbligatorio di scambio di diritti di emissione, è positivo che la Commissione intenda includervi il settore dell’aviazione. Sia i produttori sia i consumatori devono assumersi le loro responsabilità per quanto riguarda il clima, quindi dobbiamo farlo tutti.
Per concludere, non dobbiamo tentare di affrontare il problema del clima a livello unilaterale, perché le misure finirebbero per causare altri danni ambientali. La produzione e la combustione di biocarburanti devono essere rispettose dell’ambiente, ed è qui che è emerso il problema con l’olio di palma. In futuro si dovranno evitare errori madornali di questo tipo per l’ambiente.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Commissario, Ministro Gabriel, anche io ho solo un minuto a disposizione per trasmettere il mio messaggio. L’unica cosa che si può dire dopo averla ascoltata è che il leone ha un ruggito poderoso. Sappiamo che il Presidente Bush ha le redini del potere e il suo ruggito, signor Ministro, ricorda quello di uno dei suoi predecessori – Klaus Töpfer – nel 1992, quando ci trovavamo più o meno nella stessa situazione. Sembra quasi che si fosse aperta davanti a noi una finestra di opportunità storica a un certo punto tra la caduta del muro e la globalizzazione, ma, poiché nulla è accaduto, l’esempio è negativo.
Vorrei tuttavia incoraggiarla a insistere sulla questione, ad arginare nel modo più elegante possibile la resistenza opposta dall’industria automobilistica tedesca e a concentrarsi realmente sul problema. E’ chiaro che lei deve essere consapevole che ciò non avverrà senza sacrifici. Se riuscirà a rendere la prospettiva seducente per i ricchi Stati membri, il suo destino politico potrebbe essere analogo a quello del successore del ministro dell’Ambiente che ho nominato, e per lei, e forse per il mondo, non sarebbe affatto male.
Gunnar Hökmark (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, abbiamo due compiti da svolgere: uno è ridurre le emissioni di CO2 e l’altro è garantire che si possa rispondere ai mutamenti derivanti dai cambiamenti climatici. Entrambi richiedono la disponibilità di risorse per investimenti, opportunità di crescita e possibilità di prendersi cura dell’ambiente. I limiti e gli obiettivi sono importanti, ma è altrettanto importante adottare azioni compatibili con la crescita economica e le risorse disponibili per gli investimenti, al fine di salvaguardare la nostra capacità di intervento.
A volte si potrebbero esaminare le azioni più pratiche e realistiche. Ne menzionerò soltanto due. Gli autoarticolati combinati sono uno dei modi più incisivi di ridurre le emissioni di CO2 per quanto riguarda il trasporto su strada. Signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio: voi potete fare qualcosa al riguardo, in termini di azione pratica che produca un risultato sostanziale.
Il secondo compito riguarda la politica energetica. Eliminare gradualmente l’energia nucleare, secondo le modalità e i tempi previsti nell’Europa di oggi, è un modo sicuro di ottenere maggiori emissioni di CO2. Se riusciremo a lanciare più fonti di energia rinnovabili, la graduale eliminazione dell’energia nucleare ridurrà i vantaggi e forse avremo un saldo negativo, con maggiori emissioni di CO2.
Vorrei che la Presidenza tedesca assumesse un ruolo guida in una nuova politica. Dovreste farlo non per risolvere l’effetto serra, come dicono alcuni, ma per far sì che la situazione non peggiori. Dobbiamo almeno mantenere la stessa quota di energia nucleare che abbiamo oggi, per evitare di aumentare le emissioni di CO2.
Abbiamo bisogno di alta tecnologia, non bassa tecnologia; abbiamo bisogno di più scambi, non meno scambi; abbiamo bisogno di più investimenti, non meno investimenti; abbiamo bisogno di più crescita, non meno crescita. La sfida è combinare tutti questi elementi, e attendo fiducioso la vostra risposta sui due compiti che ho descritto, per quanto scomoda possa essere dal punto di vista politico.
Edite Estrela (PSE). – (PT) Kofi Annan ha affermato a Nairobi che i cambiamenti climatici non sono fantascienza. Sono un problema globale che esige una risposta globale da parte dei governi e dei cittadini. I governi devono adottare misure urgenti ed efficaci, ma anche i cittadini devono modificare le loro abitudini e i loro stili di vita. Per esempio, rinunciare all’auto e spostarsi di più a piedi fa bene alla salute e protegge l’ambiente.
La lotta ai cambiamenti climatici è una priorità delle Presidenze tedesca e portoghese. Mi auguro che, insieme, possano dare forte impulso a questa lotta e che l’Unione europea, alla prossima conferenza delle Nazioni Unite, che si svolgerà a Bali durante la Presidenza portoghese, colga l’occasione per guidare i negoziati verso un nuovo regime climatico. Mi congratulo con lei, Ministro Gabriel, per il suo eccellente intervento.
Anne Laperrouze (ALDE). – (FR) Signor Presidente, nel 2030-2050 le risorse fossili saranno esaurite? Il progetto ITER avrà mantenuto la promessa della fusione? Tenuto conto dell’enorme crescita in Cina e in India, le risorse energetiche saranno sufficienti? Quali saranno gli effetti della crescita sul clima? Non abbiamo necessariamente tutte le risposte a questi interrogativi, ma abbiamo la certezza che occorre agire nel quadro di una strategia europea e mondiale, perché l’energia è un’esigenza vitale e occorre arrestare il fenomeno del riscaldamento globale.
Approvo gli obiettivi ambiziosi volti a ridurre le emissioni dei gas serra del 30 per cento entro il 2020, perché l’Unione europea deve trasmettere un segnale forte per modificare comportamenti e mentalità, al fine di trovare soluzioni innovative con un’efficacia globale.
Accolgo con favore anche le misure proposte dalla Commissione europea, ma devono essere accompagnate da un’azione politica. Di conseguenza, occorre fare di più per imporre agli Stati membri di adottare misure incentivanti, ad esempio per l’impiego di biocarburanti e di energie rinnovabili, o misure fiscali per favorire il risparmio energetico e promuovere l’efficienza energetica degli edifici.
Inoltre, senza indulgere al catastrofismo, si dovrà lanciare una campagna europea di comunicazione, sostenuta dai media, al fine di mostrare ai cittadini d’Europea semplici gesti con cui ciascuno può contribuire a proteggere il clima. Il futuro che vogliamo richiede sviluppi tecnologici fondamentali ma anche azioni che tutti possiamo realizzare sin d’ora.
Satu Hassi (Verts/ALE). – (FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopodomani le Nazioni Unite pubblicheranno un rapporto scientifico nel quale si afferma che, con tutta probabilità, la temperatura sulla Terra aumenterà di 3 gradi in questo secolo. Se ciò dovesse accadere, la crosta ghiacciata della Groenlandia inevitabilmente si scioglierà e il livello del mare salirà di almeno sette metri. Ciò significa che la carta dell’Europa dovrà essere ridisegnata. Dobbiamo prevenirlo.
Dobbiamo adottare con la massima urgenza misure pratiche per limitare il riscaldamento globale a un massimo di 2 gradi, che è l’obiettivo dell’Unione. Dobbiamo però passare dalla retorica all’azione pratica. In questo contesto, è molto deludente che la Commissione europea oggi abbia di nuovo rinviato la questione dei limiti obbligatori per le emissioni di biossido di carbonio.
Dobbiamo comprendere che il fattore più importante è l’adozione di misure volte a migliorare l’efficienza energetica e dei combustibili. Ciò vale anche per i trasporti. Non possiamo girare attorno al problema ricorrendo ai biocarburanti per aumentare l’efficienza energetica. Se tentiamo di farlo, gli ambientalisti cominceranno a opporsi ai biocarburanti.
(Applausi)
Pilar Ayuso (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, signor Commissario, signor Ministro, onorevoli colleghi, innanzi tutto ringrazio la Commissione e il Consiglio per essere presenti in Aula a discutere di questa tematica e della strategia da seguire in futuro.
Tutti condividiamo il principio della riduzione delle emissioni inquinanti che informa le proposte della Commissione e degli Stati membri. Siamo d’accordo sulla diagnosi, anche se vi sono alcune differenze sui rimedi da adottare e sulle responsabilità di ciascuno. Sono lieta di aver sentito dire in Aula una cosa che considero essenziale, cioè che è necessario un accordo internazionale sulla riduzione delle emissioni cui aderiscano tutti i paesi. Se tale accordo non sarà raggiunto, difficilmente risolveremo la questione fissando obiettivi a livello unilaterale, anche perché, da sola, l’Unione europea non può né ridurre le emissioni mondiali né porsi obiettivi di mantenimento delle temperature a livello mondiale.
Sono sinceramente convinta che il nostro obiettivo principale debba essere la conclusione di un accordo internazionale, con sforzi da parte nostra, ovviamente, ma anche da parte delle nostre industrie. Come lei, signor Commissario, personalmente preferirei un obiettivo più flessibile, che tutti si impegnino a realizzare, a un obiettivo di riduzione del 30 per cento che non sappiamo da chi sarà sottoscritto.
Occorre inoltre tenere conto di una serie di principi. Primo: i paesi che storicamente hanno inquinato di più devono ridurre di più le loro emissioni, e per il futuro si devono fissare limiti ragionevoli per le emissioni delle economie emergenti. Secondo: tutti i settori devono far fronte alle loro responsabilità in funzione delle loro emissioni, perché non ha senso parlare di elettricità e non parlare di trasporti. Terzo: occorre tenere conto anche dei benefici per la conservazione del carbonio derivanti dall’agricoltura e dalle foreste, che sono regolatori ambientali naturali.
Infine, vorrei segnalare l’importanza di promuovere le fonti di energia rinnovabili e i mezzi di trasporto puliti e dire che è urgente lanciare, una volta per tutte, un serio dibattito sull’energia nucleare.
Eluned Morgan (PSE). – (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare il Commissario e il Ministro per l’impegno personale dedicato a questa questione fondamentale e ricordare all’Assemblea che sono questi i bravi ragazzi! Tantissime persone in seno alla Commissione e al Consiglio eserciteranno pressioni contro di loro in termini di che cosa intendiamo fare. Le proposte presentate dalla Commissione sono ambiziose; tuttavia, non lo sono abbastanza e non seguono la scienza. La scienza indica che per realizzare ciò che i ministri hanno già deciso – cioè limitare il riscaldamento a due gradi – è necessaria una riduzione del 30 per cento delle emissioni di carbonio. Se si segue il rapporto Stern, bisogna spendere ora per risparmiare poi.
Ciò che vogliamo è una leadership internazionale, una riduzione del 20 per cento non è leadership internazionale. I ministri devono dar seguito alle loro parole: se sottoscrivono questo obiettivo, devono realizzarlo. E’ deludente che gli Stati membri non sottoscrivano l’obiettivo vincolante del 20 per cento per le energie rinnovabili. E’ deludente che la Commissione abbia ceduto alla lobby automobilistica tedesca, ma è positivo sentire i ministri affermare che in realtà non cederemo alla lobby automobilistica, come hanno fatto alcuni Commissari, ma non il Commissario Dimas.
Signor Ministro, per favore risolvete la questione del vostro piano di assegnazione nazionale. E’ fondamentale. E’ ora che il Consiglio non si limiti a parlare, ma cominci ad agire.
(Applausi)
Péter Olajos (PPE-DE). – (HU) Concordo sul fatto che i cambiamenti climatici possono avere conseguenze catastrofiche per il mondo e quindi per l’Europa. Se nel corso dei prossimi dieci anni non modificheremo radicalmente le nostre abitudini attuali, se non cambieremo il nostro stile di vita attuale, potremo subire enormi danni economici ed ecologici.
Proprio per questo motivo, è nell’interesse di tutti gli Stati membri, nonché loro dovere morale, impegnarsi a favore della politica sul clima annunciata dalla Presidenza tedesca, cioè ridurre del 30 per cento le emissioni di gas serra, aumentare al 20 per cento la quota di energie rinnovabili nel mix energetico totale e aumentare al 10 per cento la quota di biocarburanti nel consumo di combustibili entro il 2020. Per quanto riguarda le azioni, chiedo alla Commissione di eseguire un confronto tra i programmi operativi degli Stati membri, attualmente in corso di valutazione, alla luce di questi obiettivi. Se la Commissione dovesse accertare che in un particolare Stato membro i fondi europei destinati alla realizzazione di questi obiettivi non sono sufficienti, essa dovrà esercitare i suoi poteri e rifiutarsi di accettare il programma operativo nella forma presentata dal paese in questione.
E’ inammissibile che alcuni Stati membri sostengano solo a parole l’efficienza energetica e gli sforzi europei congiunti compiuti nel campo del risparmio energetico. L’Ungheria e la Polonia intendono destinare poco più dell’1 per cento del bilancio dell’Unione a questo settore, mentre la Lituania, per esempio, è disposta a destinarvi il 5,4 per cento. E’ già chiaro che ciò non permetterà agli ungheresi e ai polacchi di rispettare i loro impegni attuali a livello di Unione.
Se pensiamo e agiamo in modo responsabile, nei prossimi sei mesi potrebbe cominciare la terza rivoluzione industriale. L’obiettivo di questa rivoluzione industriale è arrestare i cambiamenti climatici e il risultato sarà la creazione di un’economia dapprima a basse emissioni di carbonio e poi senza emissioni di carbonio.
Andres Tarand (PSE). – (ET) Negli ultimi giorni sono giunte molte informazioni interessanti da Davos sull’entità dei cambiamenti climatici e sulle loro possibili conseguenze catastrofiche. Ho partecipato alla stessa conferenza 12 anni fa e devo ammettere che in quella occasione i cambiamenti climatici non furono nemmeno menzionati. Parlare, tuttavia, non basta.
Lo scioglimento della crosta ghiacciata della Groenlandia, della calotta di ghiaccio artico e del permafrost siberiano ha notevolmente ridotto la quantità di ghiaccio presente sulla Terra, il che determinerà un pericoloso innalzamento del livello del mare in tutto il mondo. Sembra che questo ci abbia aiutati a comprendere meglio i pericoli che ci attendono. E’ chiaro che il protocollo di Kyoto come meccanismo politico è insufficiente, è necessaria un’azione più rapida. Anche questo è stato detto a Davos.
Dobbiamo fissare obiettivi vincolanti e ambiziosi in Europa per ridurre le emissioni di gas serra. Le economie in via di sviluppo in paesi chiave come l’India e la Cina devono avere un ruolo importante nel nuovo meccanismo politico. Affinché tali paesi seguano il nostro esempio, dobbiamo innanzi tutto dimostrare che l’Europa prende la questione sul serio e non si limiterà a una riduzione del 20 per cento.
Ján Hudacký (PPE-DE). – (SK) Per affrontare una questione seria come il cambiamento climatico, è necessario che il Parlamento europeo promuova una comunicazione migliore e una procedura più uniforme per individuare le soluzioni strategiche appropriate. A mio parere, l’iniziativa della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare avrebbe potuto prevedere una precedente consultazione della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, in particolare per quanto riguarda il pacchetto della Commissione europea sull’energia. Il progetto di risoluzione della commissione per l’ambiente propone nuovi obiettivi vincolanti molto più ambiziosi, eppure non abbiamo alcuna certezza in merito a se e come raggiungeremo i traguardi previsti dalle attuali proposte della Commissione europea.
Sappiamo tutti che è ora di agire per arrestare i cambiamenti climatici, perché la situazione è veramente seria. Non intendo elencare i segmenti del settore dell’energia in cui si possono ottenere miglioramenti sostanziali in termini di emissioni di CO2. I livelli di crescita attesi, tuttavia, generano nuove idee riguardo al problema della domanda crescente di energia. E’ fuori dubbio che lo sviluppo di nuovi impianti di generazione di energia si debba basare su tecnologie prive di emissioni di carbonio. Le fonti rinnovabili, che abbiamo a lungo e a ragione sostenuto, non saranno in grado di soddisfare la domanda in costante aumento. E’ quindi difficile comprendere perché l’energia nucleare, che praticamente non genera emissioni di CO2, trovi ancora così scarso sostegno e sia menzionata solo in modo vago nelle strategie della Commissione europea e dell’Unione europea in generale, che lascia le decisioni alla discrezione degli Stati membri.
Gyula Hegyi (PSE). – (EN) Signor Presidente, nel minuto a mia disposizione, vorrei concentrarmi su tre questioni legate ai miei emendamenti adottati ieri dalla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare.
I trasporti figurano tra i principali responsabili dei cambiamenti climatici; il trasporto su strada consuma cinque volte più energia del trasporto ferroviario per lo stesso numero di passeggeri. Lo stesso vale per le autovetture private, da un lato, e per i tram e la metropolitana dall’altro. Questo è il motivo per cui i trasporti pubblici devono essere una nostra priorità. In un’economia di mercato, in una società capitalista, questi ottimi obiettivi si possono in gran parte realizzare facendo ricorso a strumenti economici e finanziari. Si può aumentare l’efficienza energetica solo in presenza di un sistema fiscale ecologico molto equilibrato.
A lungo termine, l’Europa dovrà avere un regime fiscale ecologico armonizzato perché senza di esso la nostra politica ambientale comune non dispone di strumenti adeguati.
I nostri Stati membri industrializzati hanno esportato la loro energia e le loro attività ad alto consumo di risorse naturali nei paesi meno sviluppati, esportando anche le emissioni di gas serra e i danni ambientali. In futuro dovremo prevenire queste pratiche.
Herbert Reul (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, anche se un’onorevole collega ha affermato che non si dovrebbe discutere troppo a lungo di problemi politici come la protezione del clima se non esistono soluzioni, è vero anche il contrario, in quanto, in politica, si deve far sì che i problemi non siano ingigantiti fino a diventare il problema più importante in assoluto, che fa presagire la fine del mondo, senza poi offrire una soluzione che sfoci realmente in un cambiamento positivo.
Noto inoltre con una certa preoccupazione che alcuni recenti dibattiti sono condotti senza alcun contatto con la realtà; si parla di tempeste causate dai cambiamenti climatici, anche se chiunque legga la meteorologia intelligente sa che non è così. Alcune questioni semplicemente non sono sollevate, o cadono nel vuoto; per esempio, perché, nonostante l’aumento a livello mondiale delle emissioni di CO2 negli ultimi 120 anni, nella maggioranza delle località si registra un aumento della temperatura di solo 0,3 gradi? Perché tra il 1930 e il 1960 si è verificato il maggiore aumento di tempeste della categoria più elevata e negli ultimi quattro decenni l’aumento è stato meno marcato? Perché non sappiamo spiegare il fatto che, anche se tutti i paesi industrializzati riducessero del 30 per cento le loro emissioni di gas serra, nel 2100 non avremo fatto altro che ritardare di sei anni l’effetto di riscaldamento?
Non metto in discussione la necessità di affrontare con urgenza il problema; mi chiedo solo se lo stiamo esaminando in modo sufficientemente approfondito, se non stiamo agendo in modo precipitoso, se ci poniamo le domande corrette. Discutiamo dei cambiamenti climatici, della sicurezza dell’approvvigionamento e della competitività, ma non soppesiamo i vari aspetti, anzi li esaminiamo in termini di quali siano le alternative.
Perché non si riflette seriamente sulla possibilità di ottenere il 70 per cento dell’elettricità senza emissioni di CO2 dall’energia nucleare? Se la protezione del clima è così importante, si devono prendere in considerazione tutte le alternative, senza timori e senza pregiudizi ideologici, e una di queste alternative, in futuro, sarà l’energia nucleare. Se si vuole condurre questa discussione, occorre farlo su una base ampia, in modo aperto, dedicandole tutto il tempo necessario.
Matthias Groote (PSE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signor Ministro, la questione dei cambiamenti climatici di sicuro ci occuperà a lungo e l’intervallo tra l’azione e l’effetto, cioè l’effettiva inversione dei cambiamenti climatici, sarà anch’esso lungo.
Ciò rende ancora più importante adeguare l’Europa, le sue politiche e la legislazione che le accompagna a questo fenomeno. Dovremo adottare misure concrete al riguardo, il che ovviamente richiederà – oltre al proseguimento del protocollo di Kyoto dopo il 2012 – strategie di riduzione delle emissioni di CO2 nei singoli settori, per esempio delle autovetture private, riguardo alle quali non solo dobbiamo esprimere preoccupazione ma anche discutere le possibilità. La riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture e i conseguenti risparmi di carburante avranno un effetto positivo sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, se si tiene conto del fatto che il traffico su strada rappresenta da solo il 26,5 per cento del consumo totale di energia nell’Unione europea.
Le misure speciali già menzionate non richiedono la riscoperta della ruota; anche altri Stati, tra cui il Giappone, hanno introdotto programmi di riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture. In questo caso, le autovetture sono suddivise, nel quadro di programmi top runner, in nove diverse classi di peso per le quali sono stati fissati obiettivi di riduzione vincolanti.
Come ci ha ricordato di recente il rapporto Stern, il detto “il tempo è denaro” acquisisce un nuovo significato nella politica sul clima.
Anders Wijkman (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto concordo con l’onorevole Doyle sul fatto che il problema da affrontare non è ambientale bensì colpisce tutti i settori della società. Dobbiamo quindi adottare una strategia sistematica e globale.
All’onorevole Reul vorrei dire che, a mio parere, dobbiamo renderci conto del fatto che, parallelamente ai cambiamenti climatici, siamo colpiti anche dallo sfruttamento eccessivo della pesca, da un’enorme e rapida deforestazione e da una carenza idrica in molte regioni del mondo. Dobbiamo affrontare il fatto che gli stili di vita che abbiamo sviluppato in un mondo con 8-9 miliardi di persone superano la capacità di sostentamento del pianeta, ed è per questo che dobbiamo adottare una strategia sistematica che ci riporti in una direzione normale e sostenibile.
Ho chiesto la parola principalmente perché sono molto deluso da un aspetto del pacchetto della Commissione sull’energia e sul clima. Signor Commissario, in tale pacchetto lei parla di un partenariato per l’energia con l’Africa. E’ una buona idea, ma perché non proporre la stessa cosa per la Cina e l’India? So che esistono accordi tecnologici, ma vi sono pochissime risorse per sostenerli. Nei prossimi 5-10 anni le emissioni di quei paesi, a causa della crescita dei sistemi energetici, ci sommergeranno, a meno che non li aiutiamo ad adottare sin d’ora opportuni provvedimenti.
Alcuni dicono “la Cina deve pagare”. Tuttavia, ciò significa ignorare la nostra responsabilità storica per tutte le emissioni del passato e anche il fatto che i cinesi hanno bisogno di persone qualificate, hanno bisogno di tecnologie, hanno bisogno di investire in tecnologie pulite.
La domanda che rivolgo a lei e al Ministro è quindi: perché non pensate in grande? Perché non instaurate un partenariato con la Cina e con l’India e lo rafforzate con risorse finanziarie, in modo che si possa agire veramente insieme e con il necessario vigore? Altrimenti, penso che ciò che stiamo facendo ora avrà solo un impatto marginale negli anni a venire. Dobbiamo adottare tale duplice approccio, e ritengo che questa omissione nel vostro pacchetto sia lampante.
(Applausi)
Proinsias De Rossa (PSE). – (EN) Signor Presidente, questa è un’occasione d’oro per superare l’europessimismo, mostrando ai cittadini il valore aggiunto della condivisione del potere tra i nostri Stati sovrani al fine di affrontare il problema globale dei cambiamenti climatici, che è fonte di serie preoccupazioni per tutti. Tuttavia, le decisioni devono essere prese in modo trasparente e democratico, in modo che tutti sappiano chi esercita pressioni per rinviarne l’adozione. Posticipando le decisioni, non si fa altro che aggravare il problema.
Dobbiamo mettere in comune le nostre risorse, adottare norme e regole comuni e le sanzioni necessarie per garantirne l’applicazione. Si devono prendere ardue decisioni politiche in materia di imposizione fiscale, energie rinnovabili, efficienza dei combustibili e tecnologie più pulite, che rivoluzionino le nostre industrie e i nostri consumi. Infatti, perché non effettuare un’analisi comparativa dei programmi infrastrutturali nazionali, che in molti casi sono finanziati dall’Unione europea? Direi anche che dobbiamo guardarci dai falsi profeti, come il settore nucleare, che afferma di essere la risposta al problema.
Stavros Dimas, Μembro della Commissione. – (EL) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare tutti gli oratori intervenuti oggi per le loro osservazioni molto positive, che dimostrano che i deputati al Parlamento europeo sono perfettamente consapevoli del problema dei cambiamenti climatici, riflettendo in tal modo la posizione dell’opinione pubblica, altrettanto consapevole del problema.
Vorrei ringraziare la Presidenza tedesca, in particolare il Ministro Gabriel, per la cooperazione che abbiamo instaurato, per il modo in cui egli si è espresso e per il modo in cui difende le tematiche ambientali. Sono certo che la Presidenza tedesca otterrà buoni risultati, sarà all’altezza delle aspettative dei cittadini europei e risponderà ai pareri espressi in Aula stasera. Il cambiamento del clima è una sfida globale e per affrontarla è di importanza decisiva che l’Unione europea assuma un ruolo guida.
La discussione di oggi ci ha offerto la possibilità di evidenziare l’importanza delle decisioni che l’Unione europea deve adottare questa settimana e in quelle successive; queste decisioni sono necessarie per permettere l’avvio di negoziati internazionali e per poter esercitare pressioni a favore di un accordo a livello globale.
Dobbiamo salvaguardare la credibilità dell’Unione europea e il ruolo guida che essa svolge a livello internazionale nell’affrontare i cambiamenti climatici e trasmettere il più forte messaggio possibile ai nostri partner sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo.
Dobbiamo anche evidenziare l’importanza delle decisioni che si dovranno prendere nei prossimi anni riguardo al regime internazionale per i cambiamenti climatici – potrei tornare sulla questione più avanti – al fine di garantire che si compiano sforzi ancora maggiori a livello mondiale in seguito al primo periodo di impegni previsto dal protocollo di Kyoto, che terminerà nel 2012.
Gli argomenti scientifici ed economici a favore di un’azione ambiziosa a livello globale in risposta ai cambiamenti climatici sono ovvi e incontrovertibili. E’ necessario uno sforzo politico ancora maggiore per promuovere l’assunzione di impegni più ampi e fondamentali. Questo è precisamente l’obiettivo perseguito dalla Commissione con il pacchetto di misure sul clima e sull’energia.
I prossimi anni saranno decisivi per elaborare un quadro globale inteso a scongiurare cambiamenti climatici irreversibili e potenzialmente catastrofici. E’ necessaria la partecipazione attiva di tutti noi a questo dialogo, e stasera ho potuto constatare con grande soddisfazione che tale partecipazione non manca. E’ essenziale che il Parlamento sostenga il fermo impegno dell’Unione europea a favore di un’azione decisiva sia a livello europeo sia a livello internazionale.
(EN) Vorrei rispondere ad alcune osservazioni formulate stasera.
Innanzi tutto, per quanto riguarda gli obiettivi, devo ribadire che 15 mesi fa non si parlava di obiettivi. Il termine “obiettivo” non era nemmeno menzionato. Nelle sue conclusioni, il Consiglio europeo menzionava la necessità di esplorare ipotesi di riduzioni comprese tra il 15 e il 30 per cento con i paesi sviluppati. Nessuno pensava di assumere un impegno unilaterale per l’Unione europea. Alcuni deputati hanno affermato che forse la situazione è un po’ confusa. Devo precisare che abbiamo un obiettivo, cioè il 30 per cento, e chiediamo al Consiglio europeo di affidare alla Commissione il mandato di negoziarlo con altri paesi sviluppati. Tuttavia, a prescindere dall’accordo e finché tale accordo non sarà raggiunto, abbiamo assunto l’impegno unilaterale di ridurre le emissioni del 20 per cento nell’Unione europea. Per evidenziare la portata di questo impegno, vorrei rilevare che esso è più di due volte il nostro obbligo totale. Ho sentito dire che, fissando tale obiettivo, non siamo stati abbastanza ambiziosi e non abbiamo esercitato la leadership. Nessun altro paese del mondo è altrettanto ambizioso, nemmeno la California. Il governatore Schwarzenegger ha ricevuto molti elogi. Mi è stato chiesto perché non ci siamo prefissi un obiettivo analogo a quello del governatore Schwarzenegger, un obiettivo del 25 per cento entro il 2021 ma riferito ai livelli del 2006. Se fate i vostri calcoli, vi accorgerete che la sua ambizione è inferiore alla metà della nostra riduzione del 20 per cento.
Consentitemi quindi di dire chiaramente che siamo ambiziosi, dobbiamo esercitare la leadership nel mondo, dobbiamo praticare ciò che predichiamo e il nostro obiettivo è veramente ambizioso. Come sapete, per ottenere ciò che ci chiede la scienza, per limitare l’aumento medio della temperatura sul pianeta a 2 gradi centigradi, è necessaria una riduzione del 50 per cento da parte di tutti i paesi del mondo entro il 2050. Ciò vale per i paesi industrializzati come per i paesi in via di sviluppo: una riduzione del 60-80 per cento nei paesi industrializzati e del 30 per cento nei paesi in via di sviluppo entro il 2020. Alcuni hanno parlato di flessibilità: questi obiettivi del 20 e del 30 per cento sono flessibili, nel senso che non si applicano indistintamente a tutti i paesi dell’Unione europea ma saranno adeguati in funzione dell’accordo sulla ripartizione degli oneri concluso alcuni anni fa riguardo al conseguimento del nostro obiettivo totale. Si adotterà un sistema analogo.
E’ stata menzionata Nairobi. E’ chiaro che Montreal è stata diversa da Nairobi. A Montreal abbiamo ottenuto un grande risultato con il piano d’azione di Montreal. Secondo questo piano, a Nairobi avevamo alcune priorità che sono state conseguite. L’onorevole Doyle ha ragione ad affermare che non erano ambiziose, ma è stato un passo – un passo grande o piccolo, comunque un passo – e l’Unione europea ha realizzato tutte le priorità che aveva fissato, soprattutto nel tentare di aiutare i paesi meno sviluppati a ottenere investimenti con i soliti meccanismi flessibili di intervento.
L’onorevole Wijkman ha affermato che non siamo stati ambiziosi perché non abbiamo previsto un partenariato con la Cina, o abbiamo un partenariato senza finanziamenti. La verità è che esiste un partenariato UE-Cina e un’iniziativa UE-India, ed entrambi perseguono obiettivi specifici che saranno finanziati con fondi dell’Unione europea e fondi di vari Stati membri dell’Unione europea. Naturalmente, sono molto importanti perché, come lei ha detto, dopo il 2020 la Cina, l’India e gli altri paesi in rapido sviluppo genereranno più emissioni di tutti i paesi dell’OCSE. Di conseguenza, è indispensabile persuadere quei paesi a unirsi ai nostri sforzi in modo da poter combattere insieme i cambiamenti climatici, ma secondo il principio comune e differenziato della Convenzione delle Nazioni Unite.
Ho già detto quanto sia importante ottenere la partecipazione della Cina e dell’India e degli altri paesi in rapido sviluppo. Tuttavia, la partecipazione dei paesi industrializzati è ancora più importante. Il nostro primo obiettivo dev’essere quello di trovare il modo di persuadere i paesi industrializzati, come gli Stati Uniti, che sono responsabili del 25 per cento delle emissioni mondiali e non hanno ratificato il protocollo di Kyoto. L’opinione pubblica negli Stati Uniti sta cambiando e i segnali provenienti da quel paese sono incoraggianti. Tuttavia, sono necessari altri sforzi. In particolare, dobbiamo rafforzare il nostro sistema di scambio di diritti di emissione, perché uno strumento basato sul mercato come questo potrebbe essere il miglior modo di convincere gli Stati Uniti a partecipare. Alcuni Stati nordamericani hanno già un sistema di scambio di diritti di emissione; nel nord-est del paese esiste un sistema di scambio riguardante la generazione di energia. La California e alcuni altri Stati occidentali intendono introdurli e coopereremo con loro al fine di mettere a punto sistemi analoghi e collegarli insieme. Il sistema globale di scambio di diritti di emissione può quindi nascere dal basso. Al tal fine, è necessario un forte sistema di scambio di diritti di emissione nell’Unione europea, altrimenti non potremo sostenerne la validità. Questo è il motivo per cui dobbiamo avere piani di assegnazione nazionali che creino una carenza reale sul mercato. Se avessi accettato tutti i piani di assegnazione nazionali proposti dagli Stati membri, il sistema di scambio di diritti di emissione sarebbe crollato.
Voi deputati al Parlamento europeo, che avete svolto molte discussioni sul sistema di scambio di diritti di emissione, dovreste contribuire a persuadere gli Stati membri che nutrono riserve sui piani di assegnazione nazionali. Svolgerò il mio lavoro e valuterò tali piani alla luce della necessità di combattere i cambiamenti climatici.
E’ molto importante definire gli elementi di base di un regime futuro. Dobbiamo fissare obiettivi, individuare i mezzi con cui realizzarli e stabilire chi parteciperà alla loro realizzazione. Ho parlato dei partecipanti, i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo. Ora devo parlare degli obiettivi: 2 gradi centigradi è l’obiettivo. E’ essenziale tener fede all’impegno assunto dall’Unione europea. I mezzi sono, innanzi tutto, l’uso del mercato: è necessario un sistema globale di scambio di diritti di emissione; in secondo luogo, abbiamo bisogno di ricerca, tecnologia, sviluppo di tecnologie e impiego di tecnologie, come ha affermato il Ministro Gabriel. Dobbiamo quindi rendere finanziariamente interessante per i nostri partner economici il ricorso a nuove tecnologie. Dobbiamo anche trasferire le tecnologie ai paesi in via di sviluppo, e a tal fine sono necessarie risorse finanziarie, perché senza è impossibile farlo.
Abbiamo il meccanismo flessibile di Kyoto – i meccanismi di sviluppo pulito, l’attuazione congiunta – ma abbiamo anche bisogno di altri fondi. Sono grato al Ministro Gabriel perché, quando ho annunciato l’adesione dell’Unione europea al Fondo globale per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, ha immediatamente offerto un contributo significativo della Germania. L’Italia ha seguito l’esempio e mi auguro che lo faranno anche altri paesi, perché tali risorse sono necessarie per trasferire tecnologie ai paesi in via di sviluppo e permettere loro di ottenere l’efficienza energetica e compiere sforzi al fine di contrastare i cambiamenti climatici.
Oggi ho sentito parlare molto di biocarburanti e di biocarburanti di seconda generazione. Ho detto che la Commissione ha adottato oggi un atto legislativo molto importante. Tuttavia, tutti hanno parlato delle autovetture ma non di questa legislazione, che è invece molto importante! Oserei dire che risparmieremo più biossido di carbonio con questa direttiva che con l’altra, senza con questo affermare che le autovetture non sono importanti: sono molto importanti, soprattutto per il futuro. Avere un nuovo parco macchine nell’Unione europea è importante ai fini della lotta contro i cambiamenti climatici.
La direttiva sulla qualità dei carburanti adottata oggi dalla Commissione promuove l’uso di carburanti sostenibili per i trasporti, i biocarburanti, e soprattutto promuove i biocarburanti di seconda generazione, che sono rispettosi dell’ambiente.
Per le autovetture, la mia proposta è ancora in sospeso. La mia proposta è sul tavolo, come lo era 15 giorni fa. Sono molto lieto che oggi il Presidente abbia affermato che la prossima settimana sarà discussa dal Collegio. Abbiamo bisogno di autovetture pulite, competitive, finanziariamente accessibili, che contribuiscano alla lotta contro i cambiamenti climatici. Dobbiamo proteggere i consumatori, i lavoratori, i cittadini in generale e, naturalmente, combattere i cambiamenti climatici, proteggere il pianeta e proteggere i nostri paesi.
Infine, riguardo a Davos, è stata una riunione molto interessante perché, sebbene vi fossero importantissime questioni da discutere – l’Iraq, il Medio Oriente e Doha –, un sondaggio ha rivelato che, secondo il 57 per cento dei partecipanti interpellati, il problema numero uno che il mondo deve affrontare oggi è il cambiamento climatico, e ciò significa che i politici che esprimono l’opinione pubblica hanno ora ricevuto risposte anche dagli imprenditori. Gli imprenditori si sono uniti ai politici e all’opinione pubblica e hanno mostrato la loro determinazione nella lotta ai cambiamenti climatici. Per questo motivo, vi chiedo di sostenerci con l’adozione della vostra risoluzione, che sarà molto utile per portare avanti le nostre proposte.
Sigmar Gabriel, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei approfondire alcuni punti. Molti di voi hanno affermato che si parla di cambiamenti climatici da anni, ma nulla è accaduto. Vi prego di non sottovalutare ciò che la Commissione ha presentato nelle ultime settimane e di non sminuirlo.
La Commissione, per la prima volta, ha elaborato una strategia comune per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e per la protezione del clima, e a mio parere si tratta di un’occasione unica. Vorrei segnalare che in passato, di norma, queste questioni erano discusse separatamente, mentre ora abbiamo un’unica strategia.
Vorrei chiedere all’onorevole Harms, tra gli altri: quali sono esattamente le proposte più importanti che ha criticato? Il primo pacchetto riguarda l’efficienza energetica. Grazie all’aumento dell’efficienza energetica entro il 2020, non solo l’Unione europea sarà in grado di risparmiare 100 miliardi di euro, dei quali abbiamo urgente necessità per i consumatori, per gli investimenti nella ricerca e sviluppo e per molte altre questioni all’ordine del giorno; l’aumento del 20 per cento dell’efficienza energetica garantirà anche il risparmio di 780 milioni di tonnellate di CO2, il doppio di quelle che intendevamo risparmiare in Europa nel quadro del protocollo di Kyoto.
Spesso l’efficienza energetica non si presta ai grandi dibattiti ideologici e politici altrettanto bene, per esempio, dell’energia nucleare. Il più delle volte l’efficienza energetica riguarda piccole cose da tenere sotto controllo e su cui continuare a compiere progressi, ma offre anche le maggiori opportunità sia in termini di sicurezza dell’approvvigionamento energetico sia ai fini della protezione del clima.
Ritengo che le proposte della Commissione in materia costituiscano un pacchetto eccellente e sarei lieto se – a parte i titoli in prima pagina – dedicassimo almeno altrettante riflessioni al modo in cui si possano effettivamente attuare i numerosi singoli programmi contenuti in questo pacchetto, sia a livello di politica comunitaria sia nelle politiche degli Stati membri.
In secondo luogo, i 120 grammi di CO2 al chilometro dell’industria automobilistica fanno ovviamente parte della maggiore efficienza energetica, ma, per tornare alla sua questione relativa al modo in cui assicurare che si tenga conto anche di una quota proporzionata di biocarburanti, posso dire che stiamo tentando insieme di indurre l’industria petrolifera europea a passare dalla quota attuale del 5,75 per cento di biocarburanti a una percentuale decisamente più elevata. La Commissione propone il 10 per cento e alcuni Stati membri considerano fattibile una percentuale ancora più alta. A mio parere, il 12,5 o il 15 per cento non sono al di là della nostra portata e offrono una soluzione efficace per garantire che, nell’Unione europea, il petrolio raggiunga il mercato e le pompe di benzina soltanto se contiene la percentuale specificata di biocarburanti.
Lo considero assolutamente necessario, innanzi tutto per ridurre, anche in questo settore, la dipendenza dalle importazioni di petrolio e di gas, in secondo luogo per essere meno influenzati dagli aumenti dei prezzi a livello internazionale e, in terzo luogo, per garantire il più importante contribuito alla riduzione delle emissioni di CO2 attraverso i combustibili che consumiamo.
Il secondo grande settore è naturalmente quello delle energie rinnovabili. Per favore, non comportiamoci come se nell’Unione europea fosse già scontato che tutti gli Stati membri accetteranno l’obiettivo comune proposto dalla Commissione, cioè coprire il 20 per cento del consumo primario di energia in Europa con fonti rinnovabili. Il cammino è ancora lungo per raggiungere questo traguardo. Vorrei chiedere al Parlamento di aiutare noi e la Commissione a ottenere una maggioranza a favore di questo obiettivo al Vertice di primavera dei capi di Stato e di governo, perché a mio parere si tratta di uno dei più importanti che dobbiamo conseguire.
L’onorevole Grossetête, che ha chiesto una risposta sul tema dell’energia nucleare, purtroppo non è più in Aula, ma forse potete dirle da parte mia che, se l’energia nucleare rappresenta il 15 per cento del consumo di energia a livello di utenti finali in Europa, ha poco senso concentrarsi su questo 15 per cento perché, se lo facessimo, l’85 per cento rimarrebbe invariato.
Posso aggiungere che, se si vuole ridurre la dipendenza dalle importazioni di petrolio e di gas e abbattere le emissioni di CO2 delle autovetture, difficilmente si potrà proporre l’energia nucleare come alternativa, a meno che in Europa non si decida di guidare solo veicoli elettrici. Non penso che ciò si verificherà molto presto. Per questo motivo, concentrarsi sulle energie rinnovabili, come propone la Commissione, è decisamente la soluzione giusta. E’ chiaro che ciò richiederà un accordo sulla ripartizione degli oneri, in base al quale ogni paese europeo dovrà garantire una determinata percentuale e permettere così di conseguire l’obiettivo del 20 per cento del consumo primario di energia entro il 2020.
Permettetemi di concludere menzionando due settori in cui siamo molto distanti dal compiere un vero e proprio passo avanti. Molti di voi hanno affermato che dobbiamo persuadere le economie emergenti come la Cina, l’India e il Brasile – destinate a generare un alto livello di emissioni in futuro – a partecipare alla riduzione delle emissioni di CO2 tramite impegni volontari, ma preferibilmente obbligatori. E’ giusto, ma non saremo in grado di farlo senza offrire a quei paesi soluzioni tecnologiche che permettano loro di sostenere la crescita.
Non fa alcuna differenza che l’Unione europea opti per il 30, il 20, il 40 o il 10 per cento; l’unica possibilità di persuadere quei paesi consiste nell’offrire tecnologie che essi possano usare per il loro approvvigionamento energetico, che garantiscano la crescita e, al tempo stesso, non alterino il clima come è avvenuto finora nei paesi industrializzati, e siamo molto lontani dal farlo. Nonostante la buona iniziativa del Fondo globale per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, nonostante la disponibilità a trasferire tecnologie per mezzo di progetti basati sul meccanismo di sviluppo pulito nel quadro del protocollo di Kyoto, l’offerta è ben lungi dall’essere sufficiente.
Se volete sapere quanto sia diverso il modo in cui l’Unione europea e i paesi in via di sviluppo considerano questi aspetti, vi consiglio di partecipare qualche volta ai negoziati internazionali.
Quando si comincia a parlare di come affrontare i cambiamenti climatici, i nostri partner nei paesi in via di sviluppo lo interpretano come un intervento degli ex padroni coloniali, inteso a ostacolare il loro sviluppo economico. Quando andiamo in Brasile e parliamo del modo in cui proteggere la foresta pluviale – al fine di ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera e di salvaguardare la capacità naturale della foresta di assorbirlo – la risposta che otteniamo dai funzionari è: “non vi siete ancora abituati all’idea che queste sono le nostre foreste pluviali; prendiamo noi le decisioni, non i vecchi Stati colonialisti europei, che tentano ancora una volta di imporci la loro volontà”. Questa è la distanza reale da qualsiasi tipo di intesa comune su che cosa significhi proteggere il clima, ed è molto difficile trovare terreno comune su questo punto.
Alcuni di voi hanno affermato che dobbiamo fare sacrifici. Suppongo intendano che i popoli d’Europa devono rinunciare alla prosperità e ad altro. Non penso sia necessario. Nondimeno, noi Stati industrializzati dobbiamo essere disposti a restituire a quei paesi parte dei vantaggi che abbiamo acquisito negli ultimi due secoli grazie alle nostre ex colonie, parte della ricchezza che abbiamo accumulato a spese della loro povertà, non ultimo per dare risposta ai loro interrogativi sul modo in cui promuovere lo sviluppo economico e sociale nei loro paesi senza alterare il clima.
Questo è il sacrificio richiesto: non dobbiamo rinunciare alla nostra prosperità, ma all’idea di conservare solo per noi tutta la ricchezza che abbiamo creato in Europa e in altri paesi industrializzati.
Dovremo rendere disponibile parte di questa ricchezza per finanziare lo sviluppo e il trasferimento di tecnologie, insieme con le misure da adottare per adeguare quei paesi ai cambiamenti climatici già in atto. Questa è la seconda richiesta rivolta dai paesi in via di sviluppo ai paesi industrializzati. Prima di essere disposti a parlare con noi di limitare le loro emissioni di CO2 continuando a promuovere la crescita, essi vogliono avere la prova che siamo disposti a rimediare ai danni già causati nei loro territori dai cambiamenti climatici e ad aiutarli ad adattarsi a tali mutamenti.
Ora disponiamo di un fondo che dovrebbe raggiungere un valore di 300 milioni di euro – forse di più – entro il 2012, per finanziare misure di adattamento a livello mondiale. Chi in Aula crede veramente che 300 milioni di euro siano sufficienti per adeguare il mondo intero ai cambiamenti climatici? Questa cifra equivale più o meno al bilancio di due cittadine di medie dimensioni nel mio paese, ed è tutt’altro che sufficiente.
Queste sono le domande che ci sentiamo rivolgere. Nessuno ci chiede se in Europa siamo disposti a garantire una riduzione del 20, 30 o 40 per cento. Ci chiedono innanzi tutto che cosa stiamo facendo per garantire un vero trasferimento di tecnologie verso quei paesi, che permetta loro di promuovere la crescita e al tempo stesso di proteggere il clima, e, in secondo luogo, che cosa stiamo facendo per finanziare l’adattamento di quei paesi ai cambiamenti climatici, dei quali siamo responsabili. Queste sono le risposte che dobbiamo fornire se vogliamo avere la Cina, il Brasile e l’India – che genereranno una quota elevata delle emissioni future – dalla nostra parte.
Come il Commissario Dimas, sono convinto che l’America firmerà un accordo che funzionerà. Resta da vedere se l’accordo si chiamerà Kyoto o in altra maniera ancora da definire; è nondimeno certo che gli Stati Uniti parteciperanno a un mercato funzionante, a un sistema di scambio di diritti di emissione funzionante e a regimi di protezione del clima realmente efficaci.
Finché non forniremo risposte a queste questioni, per gli americani – a prescindere dal governo in carica – sarà facile evitare di assumere impegni vincolanti.
Vorrei fare un’altra osservazione, in risposta al deputato austriaco che ha detto che ho un ruggito poderoso, e all’onorevole Harms, che ha affermato che si sono già spese sufficienti parole ed è ora di passare all’azione. Ritengo si sia ben lontani dall’aver parlato a sufficienza, e se l’onorevole Harms ne vuole la prova, le basta guardarsi intorno in quest’Aula o nel Bundestag in Germania.
Se siamo convinti che i cambiamenti climatici siano realmente una sfida per l’umanità, perché non riusciamo a far sì che, in seno ai parlamenti nazionali, i deputati che intervengono nelle discussioni sulla riforma del servizio sanitario, sul mercato del lavoro, sulla politica estera e sul mantenimento della pace si interessino anche dei cambiamenti climatici?
Perché non siamo riusciti a convincere i deputati che erano presenti prima, durante le votazioni, a rimanere in Aula e partecipare alla discussione, arrabbiarsi per le affermazioni della Commissione o del Consiglio, presentare proposte, esprimere accordo o disaccordo, formulare critiche o contribuire alla discussione?
Siamo ben lontani dall’aver coinvolto gli elettori nella misura in cui avremmo dovuto, altrimenti su queste diverse questioni vi sarebbe unanimità nei singoli Stati membri. Stiamo quindi attenti a dire che si è già parlato abbastanza. Ritengo si debba percorrere ancora un buon tratto di strada per riuscire a conquistare il favore necessario e per far sì che le decisioni difficili ottengano il sostegno della maggioranza. Non basta convincere gli esperti di politica ambientale e, di fatto, alcuni di essi devono ancora essere persuasi, anche nei nostri Stati membri. Sono poco propenso a dire ad altri che cosa devono fare; abbiamo abbastanza da fare nel mio paese e temo di non essere l’unico a pensarlo.
PRESIDENZA DELL’ON. LUIGI COCILOVO Vicepresidente
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà nel corso della tornata di febbraio.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Richard Corbett (PSE). – (EN) Il cambiamento climatico è una delle più grandi sfide con cui si confronta l’umanità e risposte isolate e frammentate da parte dei singoli paesi sarebbero del tutto inadeguate.
L’Unione europea è il livello a cui l’azione può essere estremamente efficace, sia per definire regole comuni rigorose per il mercato interno sia per esercitare pressioni al fine di garantire un’azione a livello mondiale. Senza l’Unione, non vi sarebbe stato alcun accordo di Kyoto, ma ora dobbiamo procedere con molto più vigore per garantire un nuovo accordo per il futuro. Dobbiamo anche cercare di rafforzare il nostro sistema di scambio di diritti di emissione e di estenderlo ad altre regioni del mondo.
L’azione dell’Unione europea sull’ambiente dovrà essere efficace e visibile, in modo che i nostri cittadini comincino a interpretare la sigla “UE” come “Unione ecologica”!
Christine De Veyrac (PPE-DE). – (FR) Condurre la discussione sui cambiamenti climatici nello stesso momento in cui gli esperti internazionali sono riuniti a Parigi per discutere dei cambiamenti climatici e delle loro conseguenze significa trasmettere un segnale forte.
Il riscaldamento globale non è un fantasma creato dall’immaginazione di alcuni scienziati e politici in cerca di notorietà, è una realtà con la quale dobbiamo ormai confrontarci.
In quanto legislatori, è nostro compito elaborare regole volte a limitare le conseguenze dei cambiamenti climatici. Ciò vale, tra l’altro, per la proposta della Commissione di includere l’aviazione nel sistema di scambio di diritti di emissione. Questa legislazione è necessaria per controllare le conseguenze dell’enorme sviluppo del traffico aereo.
Tuttavia, dobbiamo prestare attenzione al modo in cui decidiamo di applicare questo meccanismo, perché non si tratta di penalizzare le linee aeree europee o di frenare lo sviluppo del trasporto aereo, bensì di limitare le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Perché i nostri sforzi incidano realmente sulle emissioni di CO2, a mio parere l’Unione dovrebbe legiferare anche sugli altri modi di trasporto, in particolare nel settore automobilistico.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) Com’è noto, la Commissione europea ha proposto di recente un pacchetto di misure sull’energia e diversi obiettivi riguardanti le emissioni di gas serra e le energie rinnovabili, affermando così la sua intenzione di combattere i cambiamenti climatici e promuovere la sicurezza energetica e la competitività dell’Unione europea.
La Commissione si è ora presentata in Aula per riaffermare tali obiettivi, insistendo su un accordo internazionale sul quadro post-2012 e su una riduzione del 30 per cento delle emissioni nei paesi industrializzati. Di conseguenza, l’Unione europea deve impegnarsi a ridurre del 30 per cento le emissioni di gas serra e adottare misure concrete, in particolare nel settore dell’energia.
Si preserva nondimeno – e non è una sorpresa – la possibilità di scambiare quote di emissione, che interessa soprattutto i paesi più vulnerabili sotto il profilo economico, quelli che non dispongono di fondi per acquistare diritti di emissione.
Se alcune proposte riguardanti la riduzione delle emissioni e le energie rinnovabili sono positive, vi è un altro insieme di proposte che sarà difficile realizzare, considerati i severi requisiti imposti ai diversi paesi e la resistenza opposta soprattutto dagli Stati Uniti. Tuttavia, l’aspetto più importante è che tutto questo non sia usato come pretesto per procedere a nuove liberalizzazioni e nuove concentrazioni nel settore dell’energia e non porti a nuove prevaricazioni da parte dei paesi più potenti.
Roger Helmer (NI). – (EN) Si parla come se la discussione fosse chiusa e la minaccia di un catastrofico riscaldamento globale fosse reale. Tuttavia, molti climatologi sono di diverso avviso e ritengono che gli attuali cambiamenti rientrino nel normale campo di variazione storico e che le previsioni di un riscaldamento futuro siano esagerate e allarmistiche.
Nondimeno, a prescindere dal nostro parere sui cambiamenti climatici, per garantire la sicurezza energetica è necessario ridurre la nostra dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili. Non possiamo più fare assegnamento sulla Russia, sul Medio Oriente, sulla Nigeria e sul Venezuela per l’energia.
Pur dovendo sviluppare le energie rinnovabili e migliorare l’efficienza energetica, esiste una sola tecnologia priva di emissioni di carbonio, in grado di garantire l’approvvigionamento continuo e affidabile di energia di base di cui abbiamo bisogno per stimolare la crescita economica, ed è quella nucleare.
E’ una vera e propria ironia che molti allarmisti, che chiedono drastiche riduzioni delle emissioni di carbonio, al tempo stesso si oppongano all’energia nucleare.
Alessandro Battilocchio (NI). – Come giustamente indicato dalla presidenza tedesca, una corretta politica energetica ed ambientale non è più rinviabile se vogliamo assicurare ai nostri cittadini e all’UE uno sviluppo sano e sostenibile nel tempo. Sono quindi d’accordo con i colleghi nell’assegnare all’argomento la priorità assoluta nel lavoro dei prossimi mesi.
Sembra paradossale, ma proprio nel cinquantesimo anniversario del progetto europeo, ed in un momento di stallo politico dovuto al fallimento della costituzione, alle difficoltà relative agli allargamenti ed all’allontanamento che registra una parte della popolazione europea, ci si presenta l’occasione, con strumenti economici, tecnologici e politici di gran lunga più adeguati, di rilanciare il processo con proposte concrete, risuscitando ed adattando alle necessità odierne l’idea che fu all’origine del processo europeo: l’unione di sforzi ed intenti per raggiungere un’adeguata indipendenza e sostenibilità energetica. Da essa, come accadde 50 anni fa, dipenderà lo sviluppo economico, cosi come la salute dei nostri cittadini e dell’ambiente in cui viviamo. Oggi inoltre, grazie al ruolo che l’Unione Europea riveste a livello globale, si aggiunge la possibilità di influire sulla stabilità politica del pianeta ed costituire un esempio per quelle giovani economie che, in pieno sviluppo economico, ancora non hanno coscienza delle conseguenze che esso comporta.