Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. – (DE) Do il mio voto a favore della raccomandazione per l’omologazione dei dispositivi di separazione destinati a proteggere i passeggeri dallo spostamento dei bagagli, forniti al di fuori della dotazione d’origine dei veicoli perché, in primo luogo, agevola il commercio dei veicoli a motore tra una parte contraente e l’altra e, secondariamente, garantisce anche uno standard elevato di sicurezza e di tutela ambientale.
Ciò considerato, non posso fare altro che sostenere l’armonizzazione delle norme applicabili agli autoveicoli.
Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. – (DE) Do il mio voto a favore di un regolamento riguardante l’omologazione dei veicoli a motore in riferimento al campo di visibilità anteriore del conducente. L’armonizzazione dei regolamenti applicabili agli autoveicoli ridurrà da una parte le barriere al commercio tra le varie parti contraenti e, dall’altra, garantirà standard elevati di sicurezza.
La proposta garantisce un adeguato campo di visibilità nell’autoveicolo attraverso il parabrezza e altri vetri, cosa che, dal punto di vista della sicurezza generale, va approvata senza riserve.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Appoggerò questa relazione che consolida il nostro accordo con la Repubblica di Corea sulla cooperazione scientifica e tecnologica. Seul è un operatore industriale globale sempre più importante ed è di vitale importanza che l’Unione assuma impegni con questo paese che è tradizionalmente più vicino agli Stati Uniti che a noi. Suppongo che questo accordo riguarderà la ricerca scientifica e tecnologica nella zona industriale di Kaesong, amministrata congiuntamente dalla Corea del Nord e dalla Corea del Sud, e sono certo che la Repubblica di Corea apprezzerà il nostro impegno che attualmente è rifiutato da Washington.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Siamo radicalmente contrari alla proposta del Consiglio sulla cooperazione scientifica tra l’Unione e la Corea, perché l’orientamento e la frammentazione della ricerca contribuiscono alla redditività dei gruppi monopolistici di imprese e del capitale in genere. Ciò è contrario alle esigenze reali dei lavoratori. E’ nell’interesse del popolo lottare contro questa scelta reazionaria nel campo della ricerca e contro accordi analoghi e soprattutto contro la politica sfavorevole ai lavoratori in generale e contro l’Unione stessa, nonché lottare per un cambiamento radicale affinché la ricerca possa essere orientata al soddisfacimento delle esigenze attuali delle classi lavoratrici e proletarie.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione della deputata lituana, onorevole Budreikaitė, sull’integrazione della sostenibilità nelle politiche di cooperazione allo sviluppo. La collega rileva giustamente che lo sviluppo sostenibile si basa sul presupposto che le esigenze della generazione attuale vadano soddisfatte senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le loro. E’ bene inserire nelle politiche pubbliche europee e in quelle degli Stati membri i concetti dello sviluppo sostenibile, che includono prosperità economica, coesione sociale e rispetto dell’ambiente. Ciò è essenziale relativamente alla cooperazione allo sviluppo, che è molto difficile da conseguire, considerando l’evoluzione demografica del pianeta e la necessità di sradicare la povertà. L’Unione dev’essere all’avanguardia nell’affermazione a livello planetario dei concetti dello sviluppo sostenibile. Questa, dopotutto, è una delle missioni fondamentali dell’Unione.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La relazione omette di fare riferimento alle cause che sono alla base delle sempre più profonde disuguaglianze e delle asimmetrie di sviluppo, dello sfruttamento sfrenato delle risorse naturali e dell’immane distruzione dell’ambiente nel mondo, e omette di denunciarne il vero responsabile, ovvero il capitalismo. Malgrado ciò, la relazione contiene un’ampia gamma di proposte e considerazioni che approviamo, come l’appello a conseguire l’obiettivo del 0,7 per cento del reddito nazionale lordo per realizzare l’effettiva cooperazione allo sviluppo improntata alla solidarietà.
Tuttavia, non possiamo accettare, per esempio, i seguenti punti:
– poiché “gli enti locali dei paesi in via di sviluppo non sono sempre in grado di sostenere i volumi di finanziamento necessari per investimenti di grandi dimensioni per la costruzione e la manutenzione di reti di infrastrutture, ad esempio per l’approvvigionamento d’acqua o il risanamento”, la relazione conclude che “soltanto l’apporto complementare di capitali privati mediante un partenariato pubblico-privato permetterà di ottenere il volume di finanziamenti necessario”, consegnando così su un piatto d’argento questa risorsa fondamentale per la vita al capitale privato;
– inoltre, subordina la riduzione del debito dei paesi meno avanzati, anziché prevederne la cancellazione, al cosiddetto “buon governo” i cui criteri sono dettati dagli interessi delle grandi potenze.
Da qui il nostro voto.
Andreas Mölzer (ITS), per iscritto. – (DE) Negli ultimi quindici anni abbiamo fatto progressi nella lotta alla povertà, ma siamo ben lontani dai risultati che speravamo di ottenere; infatti, se anche riusciamo a fare progredire lo sviluppo economico di un paese, questo non significa affatto che la povertà si sia ridotta. Non dobbiamo permettere che i finanziamenti destinati a chi si trova in condizioni svantaggiate finiscano in sistemi corrotti o vengano utilizzati per obiettivi quali l’acquisto di armi o il sostegno di regimi dittatoriali.
E’ qui che occorre monitorarne meglio l’efficacia controllando se i fondi per lo sviluppo vengono destinati alla giusta sede e per gli scopi giusti. Si potrebbe anche prendere in considerazione l’ipotesi di concentrarli sui cosiddetti “paesi ancora” che sono in grado di accelerare lo sviluppo di un’intera regione e dobbiamo inoltre essere aperti a nuovi approcci, compreso l’utilizzo del microcredito come mezzo per far sì che i poveri possano stabilmente cavarsela da sé.
– Risoluzione: diritti umani dei Dalit in India (B6-0021/2007)
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Volevo solo approfondire ciò che ho detto prima riguardo al modo in cui la risoluzione sui diritti umani dei Dalit è passata in Parlamento, senza la possibilità di apportarvi emendamenti, e segnalare in particolare alcune inesattezze fattuali della relazione, che non è mai stata sottoposta per un parere alla commissione per gli affari esteri né alla sottocommissione per i diritti dell’uomo. Vorrei protestare per il modo in cui l’articolo 90, paragrafo 4, è stato utilizzato da alcuni deputati di quest’Assemblea. Per esempio la risoluzione sottolinea l’incidenza dei crimini contro i Dalit e parla di crimini efferati nei loro confronti, come gli omicidi. Beh, vorrei fare presente che, in effetti, in India l’incidenza degli omicidi contro i Dalit è pari al 2,04 per cento, mentre essi costituiscono il 14 per cento della popolazione. Di fatto, quindi, se si è un Dalit, si ha una vita meno insicura di chi appartiene a una delle altre caste.
La risoluzione non fa cenno al funzionamento della legge sulla prevenzione delle atrocità, che ha l’obiettivo di facilitare la condanna di coloro che hanno aggredito i Dalit, e per di più non fa menzione del fatto che il tasso di alfabetizzazione, benché per i Dalit sia molto basso, è vicinissimo alla media nazionale. Né dice che è prevista una ricompensa, da parte del governo, volta fondamentalmente a sradicare il concetto dell’intoccabilità, e che ci sono incentivi in danaro per incoraggiare i matrimoni tra caste diverse.
La relazione è molto sbilanciata; è piena di imprecisioni e deploro, signor Presidente, che lei non sia stato in condizione di rinviarla in commissione, ma non ho altro da aggiungere.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di risoluzione presentata dalla commissione per lo sviluppo del Parlamento europeo sulla situazione dei diritti umani dei Dalit in India. Benché io ritenga che l’Unione deve essere molto cauta quando interferisce nelle costituzioni nazionali, sostengo questa risoluzione che denuncia la situazione inaccettabile dei Dalit, dovuta alla mancata applicazione di varie disposizioni che proibiscono discriminazioni in base alla casta.
Secondo la relazione e numerosi studi, i Dalit sono vittime di crimini e di oltraggi impuniti. A ciò s’aggiungono le violenze nei confronti dei bambini e delle donne, le quali sono vittime di una doppia discriminazione – di casta e di genere – durante tutta la loro vita, con annessi abusi sessuali. Sì, il Parlamento ha fatto bene a denunciare quest’ignobile situazione.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Il modo in cui vengono trattati i Dalit in India desta alcune gravi preoccupazioni in materia di diritti umani. Deve esistere un diritto universale a un lavoro dignitoso e alla non discriminazione, e il sistema delle caste, così com’è attualmente in India, non garantisce alcuno di questi diritti ai Dalit. Poiché le basi stesse dell’Unione e del Parlamento europeo si fondano su valori condivisi, di cui la non discriminazione rappresenta un elemento chiave, è nostro dovere esprimere preoccupazione quando vediamo che questi valori vengono violati e che questi diritti sono negati ad altri nei paesi terzi.
Margrietus van den Berg (PSE), per iscritto. – (NL) Il problema enorme che riguarda chi, al giorno d’oggi, è ritenuto senza casta e quindi “intoccabile” è sconvolgente. La segregazione sociale subita dai Dalit si può equiparare all’apartheid che vigeva in Sudafrica.
Il gruppo più numeroso di questi “intoccabili” vive in India ed è costituito da più di 160 milioni di individui cui spesso sono negati diritti fondamentali come l’istruzione, l’assistenza sanitaria e l’acqua potabile pulita, cui non è permesso avere una terra propria e che sono regolarmente vittime di violenza e sfruttamento.
Perciò intendo votare a favore di questa risoluzione che esorta il governo indiano a intensificare gli sforzi per stroncare realmente la discriminazione basata sulle caste e promuovere le pari opportunità. E’ apprezzabile che il Parlamento presenti proposte specifiche per contrastare questa discriminazione strutturale ai danni di un popolo.
Come lo stesso Primo Ministro indiano ha affermato il 27 dicembre 2006, “i Dalit hanno subito, nella nostra società, una discriminazione che è fondamentalmente diversa dai problemi che devono affrontare i gruppi di minoranza in generale. Il solo caso analogo di pratica della “intoccabilità” è stato l’apartheid in Sudafrica.” Spero che l’Unione discuterà il problema nell’ambito delle sue relazioni con l’India e contribuirà a sradicare questa grave ingiustizia sociale.
Josu Ortuondo Larrea (ALDE). – (ES) Signor Presidente, vorrei esprimere il mio appoggio all’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e la Repubblica del Gabon, nonché al resto degli accordi analoghi conclusi con altri paesi ACP (Africa, Carabi e Pacifico) e con alcuni altri Stati.
Tali accordi si basano sul principio della cooperazione reciproca e sono in linea con l’approccio di partenariato che si sta applicando alla dimensione esterna della nostra politica comune della pesca. Tramite questi accordi conseguiamo un doppio obiettivo: in primo luogo, garantiamo la tutela degli interessi della flotta comunitaria d’altura e, in secondo luogo, miglioriamo le condizioni al fine di pervenire a una pesca sostenibile nelle acque dei paesi partner.
A questo proposito, vorrei concludere sottolineando che l’Unione e la nostra flotta d’altura, in antitesi con altre che operano illegalmente, si sono impegnate ad assicurare la sostenibilità delle attività di pesca mondiali e hanno accettato il Codice di condotta per una pesca responsabile dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.
Dobbiamo sostenere questo e altri accordi, in quanto promuovono lo sviluppo dei paesi che sono nostri partner.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il nuovo accordo di partenariato nel settore della pesca con la Repubblica del Gabon, che è entrato in vigore il 3 dicembre 2005, ha una validità di 6 anni e include un protocollo che porterà alla riduzione del 40 per cento delle possibilità di pesca disponibili per le varie flotte degli Stati membri dell’Unione che operano in queste acque, compresa la flotta portoghese.
Inoltre, analogamente ad altri accordi per la pesca del tonno, sono aumentati dal 25 al 35 per cento delle spese totali gli oneri per gli armatori, ovviamente a fronte della riduzione del contributo comunitario.
Di conseguenza, è probabile che ora si assista a uno scarso utilizzo delle possibilità offerte dagli accordi, nonché alla demolizione di molte imbarcazioni per la pesca d’altura, fenomeno che sta già avvenendo in Portogallo.
Questa situazione ci spinge a mettere in forse il reale impatto di questi accordi, che comportano l’aumento dei costi per le flotte e la diminuzione delle possibilità di pesca.
E’ preoccupante, non da ultimo per la flotta portoghese, il fatto che questo accordo pregiudicherà la proporzionalità e la relativa stabilità di quello precedente per quanto riguarda la distribuzione delle opportunità di pesca con altre flotte.
Il Portogallo perderà il 50 per cento delle possibilità di pesca con palangari di superficie, mantenendo solo 3 licenze in luogo delle 6 di cui disponeva in base al precedente accordo.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Appoggio la relazione che modifica l’accordo di partenariato nel settore della pesca. Appoggio in particolare la richiesta di un maggior coinvolgimento parlamentare prima di un’eventuale proroga dell’accordo. Sono inoltre lieto che si vada incontro alle esigenze di sviluppo delle popolazioni costiere.
– Risoluzione: moratoria sulla pena di morte (B6-0032/2007)
Frank Vanhecke (ITS). – (NL) Signor Presidente, è inutile dire che ho votato a favore della risoluzione sulla moratoria universale in materia di pena di morte, perché sono un fermo oppositore della pena capitale, anche a livello personale.
Voglio tuttavia esprimermi con la massima chiarezza. Posso essere contrario alla pena di morte, ma credo fermamente che contro il crimine dobbiamo usare il pugno di ferro. Quello che sto cercando di dire qui è che è a causa dell’apatia e della viltà di molti governi europei se, come avviene nel mio paese, individui che secondo il diritto comune sono pericolosi delinquenti assassini e rapitori di bambini vengono sistematicamente rilasciati con rapidità, ed è pertanto in conseguenza di questo lassismo e di questa viltà che la gente chiede la reintroduzione della pena capitale in Europa. Come oppositore della pena capitale posso capire le motivazioni di queste persone e il mio parere è che si debbano tenere nella giusta considerazione le proteste da loro espresse.
Jean Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune presentata da cinque gruppi politici su un’iniziativa a favore della moratoria universale in materia di pena di morte. Nel momento in cui si tiene a Parigi il terzo congresso internazionale contro la pena di morte, era logico che l’Unione riaffermasse le proprie convinzioni e richiedesse di fare tutto il possibile per conseguire una moratoria universale sulle esecuzioni, mirando alla completa abolizione della pena capitale.
Scrivo questo con una certa fierezza, in quanto appartengo a uno Stato membro che, prossimamente, su proposta del suo presidente, il Presidente della Repubblica francese Chirac, e grazie alla saggezza dei suoi rappresentanti eletti, modificherà la sua Costituzione per inserirvi il bando della pena di morte, già previsto dalla legge.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione, perché sono contraria alla pena di morte che, nel XXI secolo, costituisce un terrificante esempio di barbarie e una violazione della dignità umana.
Non si può permettere che questo stato di cose continui. Pertanto concordo con la proposta di chiedere all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una moratoria globale sulla pena di morte.
Hanna Foltyn-Kubicka (UEN), per iscritto. – (PL) Non ho firmato la proposta di risoluzione comune, presentata da diversi gruppi politici, sulla moratoria universale in materia di pena di morte, né intendo votarla.
Sottoscrivo in pieno gli impegni assunti dalla Polonia conformemente al diritto internazionale in seguito all’adesione al Consiglio d’Europa e all’Unione, ma non ritengo che l’abolizione della pena di morte in altre parti del mondo sia una soluzione al problema della violenza e della brutalità.
Penso che sia giusto condannare l’abuso della pena capitale e la sua barbara applicazione, come nel caso dell’esecuzione di Saddam Hussein e di Barzan Ibrahim al-Tikriti.
Tuttavia, la completa abolizione della pena di morte nei confronti di criminali, terroristi e dittatori sanguinari nelle regioni del mondo più instabili e violente è una proposta irresponsabile, assurda e dannosa.
Ambendo a introdurre questa moratoria universale, l’Unione non può offrire ai paesi devastati dalla violenza alcun aiuto significativo nel campo della sicurezza pubblica. Pertanto, anche l’iniziativa del governo italiano, che oggi l’Unione si appresta ad approvare, può essere giudicata ipocrita.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) L’UE prevede, tra i suoi criteri di adesione, che gli Stati membri non pratichino la pena di morte né che i loro ordinamenti nazionali la contemplino. E’ più che giusto cercare di promuovere questo principio in tutto il mondo.
La pena di morte è un’infamia, dagli Stati Uniti alla Cina, dall’Asia centrale all’Africa centrale. Il problema è che mostriamo una certa ipocrisia quando giudichiamo alcune esecuzioni capitali più accettabili di altre. E’ sbagliato tanto giustiziare Saddam Hussein e Timothy McVeigh, il dinamitardo di Oklahoma City, quanto giustiziare Ken Saro-Wiwa, l’attivista nigeriano per i diritti umani, o le centinaia di vittime del regime brutale e totalitario di Saddam Hussein. Posso soltanto sperare che in futuro ci opporremo a questi barbari spettacoli pubblici nello stesso modo in cui ci opponiamo alle esecuzioni in Cina, dal momento che adesso la tecnologia moderna permette di sostituire le esecuzioni pubbliche con esecuzioni trasmesse via telefonino.
Marcin Libicki (UEN), per iscritto. – (PL) Non ho firmato la proposta di risoluzione comune, presentata da diversi gruppi politici, sulla moratoria universale in materia di pena di morte, né intendo votarla.
Sottoscrivo in pieno gli impegni assunti dalla Polonia conformemente al diritto internazionale in seguito all’adesione al Consiglio d’Europa e all’Unione, ma non ritengo che l’abolizione della pena di morte in altre parti del mondo sia una soluzione al problema della violenza e della brutalità.
Penso che sia giusto condannare l’abuso della pena capitale e la sua barbara applicazione, come nel caso dell’esecuzione di Saddam Hussein e di Barzan Ibrahim al-Tikriti.
Tuttavia, la completa abolizione della pena di morte nei confronti di criminali, terroristi e dittatori sanguinari nelle regioni del mondo più instabili e violente è una proposta irresponsabile, assurda e dannosa.
Ambendo a introdurre questa moratoria universale, l’Unione non può offrire ai paesi devastati dalla violenza alcun aiuto significativo nel campo della sicurezza pubblica. Pertanto, anche l’iniziativa del governo italiano, che oggi l’Unione si appresta ad approvare, può essere giudicata ipocrita.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) I diritti umani fondamentali sono una parte essenziale del ruolo e dell’identità dell’Unione europea. Come Istituzione comunitaria, il Parlamento europeo ha il dovere di sostenere gli sforzi volti a diffondere questi valori oltre i confini dell’Unione. Il sostegno alla moratoria sulla pena di morte evidenzia la necessità di difendere universalmente alcuni diritti umani. Appoggio in particolare il riferimento della risoluzione al modo ignominioso in cui è stato giustiziato Saddam Hussein.
Jean-Claude Martinez (ITS), per iscritto. – (FR) Certo, c’è la Francia, con i suoi pasticci giudiziari; certo, c’è l’Iraq, dove i giudici del capo dello Stato sono arrivati a cavallo dei missili degli invasori, e naturalmente c’è la Cina, dove tutto è in vendita, anche la pallottola per farsi saltare le cervella. Poi c’è la Libia e il caso delle infermiere bulgare.
Nel XXI secolo, in cui le questioni sono volutamente sempre più confuse, la pena di morte viene eseguita negli ospedali francesi, nei quali si uccidono gli anziani per liberare i letti e mettere i conti in pareggio. Viene eseguita nell’Europa di Maastricht, dove abbiamo ucciso il nostro futuro staccando la spina dei finanziamenti indispensabili.
La lebbra ideologica del reverendo Malthus – la crescita zero e il sottosviluppo sostenibile – ha contagiato i nostri decisori. Sembrerebbe che non ci siano posti a sufficienza al banchetto dell’umanità. Così lasciamo gli anziani alla mercé delle ondate di caldo e delle iniezioni letali, prepensioniamo le persone e riduciamo le loro ore di lavoro. Il diritto tributario strangola, il diritto del lavoro può essere soffocante e le leggi di bilancio ci derubano. Frattanto, al vertice di questa scala di tormenti malthusiani, il diritto penale dà l’ultimo tocco a questa nostra società con la cultura della morte. Nell’economia malthusiana lo “Stato eutanasia”, il “principio precauzionale” e la pena suprema dell’esecuzione sono alleati dell’orgoglio e del compiacimento.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) L’elenco dei paesi che autorizzano la pena di morte è lungo e l’elenco delle vittime lo è ancora di più: solo nel 2005 sono state giustiziate 2 148 persone.
E in Europa? Si può essere uno Stato europeo e al contempo tollerare la pena di morte? No e poi no! Inoltre i paesi candidati all’adesione all’Unione europea sono di fatto obbligati ad abolirla.
Noi, deputati europei, pensiamo addirittura che si debba essere ancora più ambiziosi. E’ questo l’obiettivo della risoluzione contro la pena di morte approvata oggi dal Parlamento. Con la prevedibile eccezione dell’estrema destra, tutti i gruppi politici del Parlamento avevano già sottoscritto la dichiarazione a favore della moratoria sulla pena di morte, in vista della sua abolizione universale.
E’ stata raggiunta la maggioranza richiesta per adottare la risoluzione, con un consenso non comune per il Parlamento. Da tale maggioranza si evince che l’aderire alla Comunità non significa solo mettersi d’accordo sulle quote di pesca. Se ne deduce soprattutto che l’Europa non transige sui suoi valori fondamentali. L’Europa è all’avanguardia nella lotta per l’abolizione della pena di morte, un fatto che merita di essere evidenziato.
Konrad Szymański (UEN), per iscritto. – (PL) Non ho firmato la proposta di risoluzione comune, presentata da diversi gruppi politici, sulla moratoria universale in materia di pena di morte, né intendo votarla.
Sottoscrivo in pieno gli impegni assunti dalla Polonia conformemente al diritto internazionale in seguito all’adesione al Consiglio d’Europa e all’Unione, ma non ritengo che l’abolizione della pena di morte in altre parti del mondo sia una soluzione al problema della violenza e della brutalità.
Penso che sia giusto condannare l’abuso della pena capitale e la sua barbara applicazione, come nel caso dell’esecuzione di Saddam Hussein e di Barzan Ibrahim al-Tikriti.
Tuttavia, la completa abolizione della pena di morte nei confronti di criminali, terroristi e dittatori sanguinari nelle regioni del mondo più instabili e violente è una proposta irresponsabile, assurda e dannosa.
Ambendo a introdurre questa moratoria universale, l’Unione non può offrire ai paesi devastati dalla violenza alcun aiuto significativo nel campo della sicurezza pubblica. Pertanto, anche l’iniziativa del governo italiano, che oggi l’Unione si appresta ad approvare, può essere giudicata ipocrita.
Christofer Fjellner (PPE-DE). – (SV) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Ries e la lotta all’obesità sconfinano in modo preoccupante in questioni che penso rientrino nella competenza degli Stati membri. Inoltre la relazione affronta temi di cui i politici non devono occuparsi affatto. A mio avviso, manca del tutto il punto di vista del singolo individuo.
Affermare che l’obesità è una malattia cronica non è solo errato, significa prendersi la responsabilità di chi è soprappeso o, peggio ancora, privare una gran quantità di persone soprappeso della speranza di essere in grado di influire sulla propria situazione. Essere in soprappeso può essere effettivamente un sintomo di una malattia cronica, ma andare oltre vuol dire forgiare il marchio del quale la relazione sostiene di volersi sbarazzare.
Tuttavia ciò che è, a mio avviso, più grave, è una cosa ben diversa: il desiderio di condurre i media in una direzione che, nella situazione attuale, è opportunistica. Questo è inaccettabile e non è ciò che i politici devono fare. Mi sorprende che tanti tra i deputati svedesi miei colleghi abbiano votato a favore della relazione. Noi conservatori svedesi abbiamo ovviamente votato contro.
Jan Andersson, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) Non riteniamo che la valutazione di ciò che viene considerato obesità cronica sia un tema politico. Questo compito deve spettare alla scienza medica. Pertanto ci siamo astenuti dal votare in merito a questo tema.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione della mia collega, l’onorevole Ries, sulla dimensione europea nella prevenzione di soprappeso, obesità e malattie croniche. In Europa il numero delle persone affette da obesità è aumentato drasticamente negli ultimi trent’anni. Questa evoluzione è paragonabile a quanto è avvenuto negli Stati Uniti nel corso degli anni ‘90: oggi, in Europa, il 27 per cento degli uomini e il 38 per cento delle donne sono considerati in soprappeso o obesi.
Le proposte del Parlamento sono basate su alimentazione sana, attività fisica e cure da prestare sin dall’infanzia e per tutto il corso della vita adulta. I professionisti della salute, lo sport, la qualità dei prodotti agricoli, le mense scolastiche, l’istruzione, la comunicazione e l’etichettatura nutrizionale sono tutti fattori, tra gli altri, sui quali l’Unione deve fare assegnamento per combattere questa piaga.
E’ molto importante che la Commissione effettui uno studio socioeconomico sulle conseguenze delle malattie legate al soprappeso, non solo a livello delle spese per le cure sanitarie, che come sappiamo rappresentano fra il 4 ed il 7 per cento delle spese totali, ma anche a livello di occupazione: disoccupazione, astensioni dal lavoro e invalidità.
Liam Aylward (UEN), per iscritto. – (EN) In settimana avevo invitato il governo irlandese a presentare proposte che avranno l’effetto di proibire del tutto le pubblicità di prodotti alimentari e di bevande con un alto tenore di grassi, sale e zuccheri specificatamente destinati ai bambini al di sotto dei 16 anni.
L’obesità infantile è un grave problema in Irlanda e in Europa e questo problema va effettivamente affrontato di petto.
Un divieto come quello a cui mi riferisco sta per essere introdotto nel Regno Unito dopo quattro anni di esaurienti ricerche e consultazioni. Queste ricerche comprendevano 2 000 interviste a bambini, genitori e insegnanti, nonché dettagli sulle abitudini alimentari delle famiglie desunti da un campione di 11 000 persone, e hanno rivelato chiaramente che la pubblicità televisiva incide sulle preferenze dietetiche dei bambini.
Secondo le stime del governo britannico, nelle famiglie in cui i bambini guardano anche un gran numero di programmi destinati agli adulti oltre a quelli per i ragazzi e i bambini, questi ultimi vedrebbero il 41 per cento in meno di pubblicità di prodotti alimentari e di bevande con un alto tenore di grassi, sale e zuccheri.
Stiamo parlando della tutela dei nostri figli e questo dev’essere il nostro principale interesse, sempre.
Lena Ek e Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. – (SV) Le questioni di sanità pubblica sono importantissime e le persone con problemi di salute hanno bisogno di tutto l’appoggio che possono ottenere.
A nostro avviso, però, la risoluzione oltrepassa i limiti della sussidiarietà. Le questioni in discussione devono essere invece affrontate a livello nazionale e regionale, motivo per cui abbiamo deciso di astenerci.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione perché la lotta all’obesità dev’essere una priorità politica per l’Unione. Dopotutto, il 27 per cento degli uomini e il 38 per cento delle donne europee sono in soprappeso.
Ancora più preoccupante è l’obesità infantile. Più di 5 milioni di bambini (nell’Europa dei 25) sono obesi e, ogni anno, emergono circa 300 mila nuovi casi. Occorre invertire questa tendenza.
Concordo su gran parte delle misure proposte, per esempio l’informazione dei consumatori sin dall’infanzia, le limitazioni alla pubblicità televisiva, le indicazioni nutrizionali e sulla salute sulle etichette degli alimenti, nonché una maggior coerenza tra la politica agricola comune e le politiche sanitarie.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Vediamo con favore l’approvazione della relazione che, tra altri punti, include le seguenti questioni chiave: il riconoscimento del fatto che promuovere un regime alimentare sano e l’attività fisica dev’essere una priorità politica per gli Stati membri e per l’Unione perché si tratta d’una componente fondamentale per la lotta all’obesità, nonché la raccomandazione di riconoscere ufficialmente l’obesità come malattia cronica.
L’obesità è la manifestazione più comune della cattiva alimentazione e deriva da un accumulo eccessivo di grassi. E’ associata a malattie debilitanti progressive e costituisce un grave rischio di incremento della mortalità per il rimanente della popolazione. Come tale, sta diventando un problema sempre più grande di salute pubblica.
Come afferma la relazione, secondo dati del 2006 sono già più di 300 milioni le persone obese in tutto il mondo, un numero che si è più che raddoppiato negli ultimi 15 anni.
Pertanto, oltre a incentivare la lotta alla malattia contemplando l’accesso dei pazienti alle cure sanitarie, ai farmaci, alla consulenza psicologica e così via, occorre adottare una strategia di prevenzione che comporti la promozione di un regime alimentare e di stili di vita salutari, con particolare attenzione alle donne e ai bambini perché, come gli studi effettuati hanno dimostrato, questi soggetti sono particolarmente vulnerabili a questa malattia.
Christa Klaß (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Tutto quello che cerchiamo di fare in materia di ambiente e sanità mira a proteggere la salute. La responsabilità in merito spetta agli Stati membri e deve restare di loro competenza. Il concetto di prevenzione sta diventando sempre più importante. La relazione Ries descrive i rischi che l’obesità, il soprappeso e le malattie croniche comportano per la salute. Perché i nostri bambini sono soprappeso?
Quali sono le cause? Questi problemi vanno discussi per sensibilizzare soprattutto le famiglie. La capacità di mantenere sano il nostro corpo giorno dopo giorno è un messaggio che va comunicato mediante la scuola e l’istruzione di carattere generale. La prevenzione di queste malattie comporterà necessariamente cambiamenti sociali, ma ciò non si potrà realizzare solo imponendo divieti alla pubblicità, diffondendo informazioni sulla salute e fornendo sacche sportive ai bambini quando cominciano le elementari. Viviamo in una società che va di fretta; quando entrambi i genitori lavorano, spesso manca il tempo per la famiglia, per allevare i figli e per cucinare.
Di conseguenza, è sempre più importante che la società intervenga preventivamente e che alle scuole e alle strutture scolastiche venga affidato l’insegnamento di quanto occorre sapere per la vita di ogni giorno. Anche così non dobbiamo smettere di ricordare alle famiglie i compiti e i doveri che competono loro e di metterle in grado di farvi fronte e onorarli. Neppure l’Unione può fare dimagrire la gente, né far sì che possa godersi la vita in salute. Gli Stati membri devono elaborare piani d’azione e provvedimenti, ma è la gente che deve metterli in pratica da sé.
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) E’ lodevole che la Commissione, per combattere il soprappeso, l’obesità e le malattie croniche, si preoccupi del fatto che tutti fruiscano di un’alimentazione sana e s’impegnino nell’attività fisica.
La proposta fiume di risoluzione, con i suoi 18 considerando e i suoi 53 paragrafi, prodotta dalla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, è tuttavia inaccettabile in quanto propone disposizioni che preannunciano un’ambigua ingerenza nelle competenze degli Stati membri, in parte sotto forma di un quadro legislativo comunitario.
Mi associo ovviamente al grido d’allarme che vogliamo fare risuonare di fronte all’epidemia di obesità che riguarda 3 milioni di bambini e il 20-30 per cento degli adulti, mentre 14 milioni di bambini e la metà della popolazione adulta sono in soprappeso.
Nella lotta per promuovere sane abitudini alimentari e il consumo di prodotti di alta qualità abbiamo alleati di grande levatura, ovvero gli eurochef, un’associazione che riunisce 4 000 cuochi di 17 Stati membri, cuochi che aderiscono a un codice d’onore e difendono la qualità intrinseca dei cibi salvaguardando i prodotti locali.
Credo che faremmo bene ad approfittare della loro professionalità e della loro disponibilità a promuovere le migliori pratiche...
(Dichiarazione di voto abbreviata conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Sostengo energicamente la relazione e il Libro verde della Commissione che s’intitola “Promuovere le diete sane e l’attività fisica: una dimensione europea nella prevenzione di sovrappeso, obesità e malattie croniche”, cui fa riferimento la relazione. Le questioni di sanità pubblica stanno destando sempre maggiore preoccupazione in Europa e questo documento fornisce un contributo bene accetto. Il rilievo dato dalla relazione al ruolo chiave svolto dalle scuole è apprezzabile, come lo è la richiesta di interventi volti a contrastare il declino allarmante del valore nutrizionale di frutta e verdura.
Andreas Mölzer (ITS), per iscritto. – (DE) Il fatto è che tutti sappiamo cosa sia sano e cosa no, anche senza le etichette imposte dall’Unione, eppure le nostre abitudini alimentari e di vita sono cambiate a tal punto che l’obesità, con tutte le conseguenze che comporta per la nostra salute, ha assunto proporzioni allarmanti. Tuttavia, la combinazione di scarsità di moto, cattiva alimentazione e troppa televisione rende anche la gente più aggressiva.
Da tempo sono in corso vari piani d’azione sulla salute ed è più che giusto che debbano essere avviati nei primi anni di scuola, perché è proprio in quell’età che il rischio di sovralimentazione compulsiva è molto alto, ma i certificati nutrizionali, gli asili infantili particolarmente attenti alla salute e persino i divieti pubblicitari non ci porteranno dove vogliamo arrivare. E’ nella famiglia che bisogna sentire e incoraggiare l’amore per lo sport, così importante per ridurre lo stress e l’aggressività, nonché sane abitudini alimentari.
Eppure è proprio questa, la pietra angolare della nostra società, ad essere costantemente sotto il tiro del moderno mondo del lavoro con i suoi orari lavorativi flessibili, il lavoro a turni e nel fine settimana e la richiesta continuamente rinnovata di orari d’apertura più lunghi. Quando si è stanchi fino allo sfinimento per via di una lunga giornata di lavoro, è più facile buttarsi su cibi pronti che fare la fatica di cucinare; ci si trova a desiderare di addormentarsi davanti al televisore con le patatine fritte e una bevanda gassata, e i bambini imitano il comportamento degli adulti.
Mentre esortiamo la gente a un maggiore esercizio fisico, limitiamo le lezioni di ginnastica per ragioni di bilancio o esoneriamo i bambini stranieri dal seguirle per motivi religiosi e le società sportive vedono scemare il loro sostegno.
Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) Sostengo la relazione dell’onorevole Ries sulla promozione delle diete sane e dell’attività fisica. Concordo che la lotta all’obesità infantile debba essere una priorità politica dell’Unione e dei suoi Stati membri. Dobbiamo prendere provvedimenti urgenti per incoraggiare i bambini a adottare uno stile di vita sano ed esortare gli Stati membri a incrementare l’educazione fisica nelle scuole.
Constato con piacere che la relazione riconosce l’importanza e il potenziale dei sistemi di indicazioni nutrizionali introdotti in diversi Stati membri. Approvo le richieste fatte alla Commissione al fine di ricercare e sviluppare a livello comunitario un “sistema scientifico di etichettatura di indicazioni nutrizionali sulla parte anteriore della confezione”. Credo che questo sia un modo semplice ma efficace per incoraggiare la gente a operare scelte più sane. Dobbiamo intervenire con urgenza per far sapere ai cittadini che la loro salute e quella delle generazioni future è nelle loro stesse mani.
Marianne Thyssen (PPE-DE), per iscritto. – (NL) Cattive abitudini alimentari mantenute a lungo e mancanza di esercizio fisico fanno sì che migliaia di persone, nell’Unione, soffrano di obesità ogni anno. Ciò aumenta il rischio di numerose malattie gravi, comprese quelle cardiache, pressione alta e disturbi respiratori.
Questo non incide solo sulla salute pubblica, ma aumenta anche il costo delle assicurazioni contro le malattie negli Stati membri. Pertanto sarei favorevole a un approccio integrato al problema. La sensibilizzazione e l’educazione dei consumatori, lo scambio di migliori pratiche tra Stati membri, un’etichettatura chiara sugli alimenti o campagne nelle scuole per promuovere stili di vita più sani: questi sono tutti accorgimenti per determinare i necessari cambiamenti comportamentali.
La lotta alla pancia va oltre le frontiere. In Europa possiamo fornire un contributo positivo e imparare gli uni dagli altri i sistemi per affrontare il problema. La cooperazione con gli Stati membri, le industrie, i media, l’istruzione e la società civile mi sembra la soluzione giusta.
Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Non c’è dubbio che l’obesità e l’eccesso di peso costituiscano un grave problema di sanità pubblica anche in Europa, un problema che deve figurare ai primi posti nella nostra agenda. Tuttavia, contrariamente a quanto fa la relazione, non bisogna farvi riferimento come a malattie croniche. E’ inoltre importante che ai bambini in età scolare vengano date opportunità di usufruire dell’istruzione sportiva e di praticare attività fisica durante gli intervalli. Spetta però a ciascuno Stato membro stabilire quale priorità assegnare alla questione che, considerando il principio di sussidiarietà, non può essere trasportata a livello comunitario. Pertanto ho deciso di votare contro la relazione nel suo complesso.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione dell’onorevole Wallis, che contiene diverse raccomandazioni sui termini di prescrizione nelle controversie transfrontaliere riguardanti lesioni personali e incidenti mortali. Contribuendo alla costruzione del nostro spazio europeo, dobbiamo fare tutto il possibile per semplificare la vita dei nostri concittadini. Ciò vale anche per l’armonizzazione dei termini di prescrizione. Introdurre il principio del paese d’origine, almeno provvisoriamente, è un’idea molto interessante perché in tal modo conferirebbe alla vittima diritti che le sono familiari. La relazione manda un duro messaggio alla Commissione e prova che il Parlamento è in attesa di una proposta legislativa che andrà preceduta da uno studio sulla questione.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il traffico transfrontaliero è aumentato come il numero degli incidenti che coinvolgono residenti di altri Stati membri dell’Unione. Un’inchiesta sugli effetti dell’esistenza di termini diversi di prescrizione e, in particolare, sul numero di casi relativi a lesioni personali in cui sono coinvolti cittadini in zone transfrontaliere – casi che comportano termini di prescrizione diversi –, può aiutarci a comprendere la situazione.
Ci sono periodi di prescrizione che variano da tempi brevi come 12 mesi, in alcuni Stati, fino a 30 anni o più in altri. Così la parte lesa rischia di vedersi negare il proprio diritto al risarcimento perché non ha avviato il procedimento giudiziario in conformità con la normativa straniera applicabile in materia di prescrizione.
Perciò quelli che rischiano maggiormente di vedere limitare i propri diritti sono i componenti più vulnerabili della società, tra cui quelli che sono stati feriti più gravemente o che, per qualche motivo, non sono in grado di tutelare adeguatamente i loro stessi diritti.
Pertanto può essere opportuno trovare una soluzione equa e praticabile che aiuti le vittime e i loro rappresentanti senza che le spese assicurative diventino insostenibili e senza mettere in forse il principio di sussidiarietà, o senza che si vada alla ricerca di paesi in cui i costi per gli assicuratori sono minori, come può accadere se il principio del paese di origine viene applicato nei loro confronti.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore delle proposte sui termini di prescrizione nelle controversie transfrontaliere riguardanti lesioni personali e incidenti mortali. Reputo essenziale che i cittadini europei possano godere della libertà di viaggiare all’interno dell’Unione ed essere certi del fatto che, se dovessero sorgere problemi, non dovranno far fronte a inutili restrizioni per ottenere un’adeguata riparazione legale oltre confine. La relazione farà la sua parte a tal fine: chiede alla Commissione di compiere un’indagine sugli effetti che l’esistenza di termini di prescrizione diversi ha sul mercato interno e in particolare sui cittadini che esercitano le loro libertà a norma del Trattato. E’ bene che qualunque nuova normativa in questo settore si basi su prove solide, anche per garantire che qualsiasi legge futura preveda misure specifiche e mirate per affrontare i problemi. Pertanto ho votato a favore della relazione Wallis, che chiede alla Commissione di fornire gli elementi probatori atti a permettere a questa legge di andare avanti.
Nina Škottová (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ciò che mi ha colpito nella relazione è l’accento posto sul fatto che le donne conseguono un numero significativamente inferiore di qualifiche accademiche rispetto agli uomini. Solamente il 15 per cento dei professori ordinari sono donne, mentre il numero di donne che si laureano è superiore a quello degli uomini, attestandosi al 59 per cento del totale. La bassa proporzione di donne con qualifiche accademiche non può essere imputata alla discriminazione ai danni di giovani donne e ragazze nell’accesso all’istruzione. Dietro a questo dato c’è tutta una serie di altri fattori. Se vogliamo davvero invertire la tendenza, è essenziale definire e analizzare questi fattori e cercare di affrontare la questione in modo mirato. Ad esempio, è necessario eliminare gli stereotipi nelle gerarchie a livello organizzativo. Le donne sono molto ben accolte e accettate come membri di gruppi di ricerca. La fiducia nelle loro capacità viene meno, tuttavia, se si tratta di affidare loro un ruolo direttivo. Eppure sono proprio queste cariche che permettono la creazione di scuole in campo scientifico e contribuiscono allo sviluppo di varie discipline e specializzazioni nelle facoltà universitarie. Ribadire di tanto in tanto che si dovrebbe aumentare il numero di donne nel mondo accademico va benissimo, ma è di gran lunga insufficiente rispetto a quel che sarebbe necessario realizzare. Dobbiamo piuttosto definire in modo preciso le condizioni dell’intero processo e lavorare per ottimizzarle in modo che le donne siano più coinvolte. Grazie.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione della collega Věra Flasarová sulla discriminazione nei confronti di giovani donne e ragazze nel settore dell’istruzione. Abbiamo infatti il dovere di combattere collettivamente la situazione attuale caratterizzata dal fatto che le donne sono meno numerose degli uomini nel conseguire qualifiche post-laurea e nel proseguire la formazione lungo tutto l’arco della vita per ragioni connesse al genere. L’istruzione è uno dei prerequisiti necessari ma di certo non l’unico, per godere pienamente di tutti gli altri diritti sociali, economici, culturali e politici e per assumere i propri doveri di cittadini. Nutro grandi speranze nelle attività del futuro Istituto per l’uguaglianza di genere. Occorre altresì combattere la discriminazione che si trovano a dover affrontare le donne, in particolare le più giovani, quando vivono in comunità che non rispettano la parità tra i sessi, respingendo qualsiasi forma di relativismo culturale e religioso suscettibile di violare i diritti fondamentali delle donne. Le ragazze devono avere accesso alla scuola dell’obbligo alla pari dei ragazzi.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Come sottolinea la relatrice, benché sia stato provato da tempo che donne e ragazze non sono meno capaci degli uomini e dei ragazzi nel campo dell’istruzione, per svariati fattori esse continuano a trovarsi in una posizione di svantaggio, specialmente nell’istruzione di livello superiore e nella formazione permanente.
Nel 2004 negli Stati membri dell’UE otto ragazze su dieci che studiavano in istituti di istruzione superiore hanno completato gli studi. Si tratta di un numero più elevato rispetto a quello dei ragazzi, dei quali soltanto tre su quattro hanno completato gli studi: ciò dimostra che le ragazze non sono meno motivate o capaci dei ragazzi in materia di istruzione.
Eppure la proporzione di ragazze che proseguono gli studi o che intraprendono la carriera accademica è inferiore. Sebbene le donne superino numericamente gli uomini nell’istruzione di livello universitario, attestandosi al 59 per cento contro il 41 per cento, soltanto il 43 per cento delle persone che hanno compiuto studi postuniversitari e appena il 15 per cento dei professori ordinari universitari è costituito da donne. Queste cifre dimostrano la spiccata disuguaglianza tra i sessi in termini di apprendimento permanente e di proseguimento dell’istruzione delle donne al di fuori dell’ambito accademico, confermando così che entrambi i fenomeni sono radicati nella persistente disuguaglianza tra i sessi, ben visibile anche nelle discriminazioni in termini di retribuzione.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione poiché mira ad affrontare le disuguaglianze che ancora persistono ai danni delle donne, principalmente nell’accesso e nel conseguimento di qualifiche accademiche di livello superiore, compreso a livello post-laurea e nella ricerca scientifica, nonché nell’ambito dell’apprendimento lungo l’intero arco della vita.
E’ necessario rivedere il contenuto dei libri di testo e assicurare che la formazione degli addetti al settore dell’istruzione sia orientata al soddisfacimento dei requisiti di una politica di genere equilibrata. Penso sia importante che la Commissione e gli Stati membri attuino una politica a favore delle minoranze nazionali, etniche e culturali, prestando particolare attenzione a un approccio multiculturale e consentendo l’accesso a un’istruzione di qualità per evitare una doppia discriminazione.
Ho votato a favore di questa relazione poiché ha il potenziale di eliminare gli stereotipi relativi alla discriminazione nei confronti delle donne sul posto di lavoro.
Bernadette Vergnaud (PSE), per iscritto. – (FR) I progressi compiuti in materia di uguaglianza tra uomini e donne nel campo dell’istruzione sono soprattutto quantitativi. D’ora in avanti dobbiamo lottare per un miglioramento qualitativo e per un cambiamento di mentalità, badando in particolare alla situazione delle ragazze e delle giovani donne che sono vittime di una duplice discriminazione.
Ho quindi votato a favore della relazione dell’onorevole Flasarová, che raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di attuare una politica a favore delle minoranze nazionali, etniche e culturali, adottando in particolare un approccio multiculturale e permettendo l’accesso a un’istruzione di qualità, al fine di evitare una doppia discriminazione. La relazione chiede anche agli Stati membri di offrire possibilità di accesso all’istruzione lungo l’intero arco della vita alle donne e agli uomini che si occupano dei propri figli e di favorire l’accesso delle donne a posizioni di responsabilità e a livello decisionale.
Infine, gli Stati membri e la Commissione dovrebbero utilizzare tutti i mezzi di cui dispongono per eliminare gli stereotipi che contribuiscono alla discriminazione delle donne sul posto di lavoro.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione del collega britannico Deva sulle relazioni dell’Unione europea con le isole del Pacifico, che sostiene una strategia per un partenariato rafforzato. L’Unione europea è molto presente nelle isole del Pacifico in un contesto contrassegnato dal fatto che la maggioranza dei paesi insulari del Pacifico ha conquistato l’indipendenza di recente. La politica volta ad aiutare i paesi insulari più poveri a conseguire gli Obiettivi di sviluppo del Millennio è un’ambizione adeguata e legittima per l’Unione europea. Che si tratti della pesca, del problema del cambiamento climatico, della protezione della biodiversità, dell’agricoltura, del turismo, del finanziamento delle infrastrutture, del sostegno all’istruzione, della lotta alla corruzione, del sostegno alla democrazia nei parlamenti di questi Stati, dell’uso dell’euro eccetera, esistono numerosi aspetti in cui la presenza dell’Unione europea può apportare un valore aggiunto incontestabile, ma molto resta ancora da fare.
Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) Dopo trent’anni di cooperazione UE-Pacifico, è ora di cambiare marcia. Perciò mi rallegro dell’adozione di questa “strategia per un partenariato rafforzato”.
La strategia comporta un rafforzamento del dialogo politico: dobbiamo infatti sostenere i nostri partner del Pacifico negli sforzi volti a superare le tensioni etniche, come nelle isole Figi, o a favorire la riconciliazione dopo una guerra civile, come nelle isole Salomone o a Timor Est. Nei prossimi anni questo dialogo politico deve anche permetterci di affrontare insieme una sfida importante: quella del riscaldamento climatico. Per lanciare questo dialogo politico rafforzato, possiamo organizzare con i nostri partner regionali le “conferenze regionali” previste dal nuovo accordo di Cotonou.
La strategia comporta risposte comuni ai problemi economici e sociali della regione. Anche qui la priorità è la realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio entro le scadenze stabilite. I negoziati in corso sulla conclusione di un accordo di partenariato regionale UE-Pacifico sembrano a tale riguardo essere cominciati male.
La maggior parte delle proposte degli Stati della regione è stata respinta dalla Commissione. Sarebbe paradossale votare oggi a favore di una strategia per un partenariato rafforzato mirato allo sviluppo, che la conclusione di un cattivo accordo di partenariato economico svuoterebbe, domani, del suo contenuto.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione e accolgo con favore il fatto che chieda di vietare i test nucleari e di denuclearizzare la regione del Pacifico.
José Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) In considerazione del fatto che alcuni Stati membri dell’UE hanno relazioni storiche e mantengono legami con questa regione, in termini politici o in termini culturali ed economici, l’Unione europea nel suo insieme dovrebbe potenziare tali legami a beneficio reciproco dei paesi della regione e degli Stati membri.
Data l’eterogeneità della regione, la dispersione delle sue comunità e i problemi specifici derivanti dalla natura insulare di molti dei paesi che la compongono, si rende necessario un approccio flessibile ed equilibrato da parte dell’Europa, che è già uno dei principali donatori internazionali.
Come portoghese, non posso che accogliere con favore l’esortazione rivolta dal relatore alla Commissione affinché predisponga programmi mirati a combattere la malaria a Timor Est. Ritengo, tuttavia, che tale appello debba essere esteso anche alle altre malattie infettive e contagiose che stanno devastando il paese.
Sono altresì lieto che sia stata richiamata l’attenzione sui problemi specifici di Timor Est e sottoscrivo l’invito alla Commissione europea ad appoggiare i leader di tale paese negli sforzi volti a costruire una società democratica, stabile, riconciliata, libera, prospera e giusta.
Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. – (FR) La pesca costituisce nell’Oceano Pacifico una risorsa fondamentale per le economie locali, e nella regione operano navi provenienti da tutto il mondo, in particolare dall’Europa. Ciò giustifica che la commissione per la pesca, di cui faccio parte, sia consultata su questa relazione.
A ottobre la commissione per lo sviluppo e il suo relatore hanno cercato di imporci la relazione senza possibilità di modifica, ma la proposta è stata respinta. La commissione per la pesca ha quindi avuto modo di proporre alcuni miglioramenti da apportare alla relazione, in particolare nella forma di una migliore cooperazione regionale e soprattutto con l’inclusione dei paesi e dei territori d’oltremare.
Il parere della commissione per la pesca è stato adottato all’unanimità dai suoi membri a novembre. Ora, alla vigilia della discussione in plenaria, ci viene annunciato che il nostro parere non sarà integrato nel documento e che solo alcuni elementi, selezionati arbitrariamente, saranno proposti come nuovi emendamenti.
Dinanzi alla nostra indignazione, è stato deciso di aggiungere il nostro parere alla relazione finale come “erratum/addendum”, senza votazione, che non è certo molto meglio.
La strategia in questione mirava in particolare a rafforzare il dialogo politico tra l’Unione e le isole del Pacifico. Sarebbe altrettanto auspicabile più dialogo tra le nostre commissioni parlamentari, che non distano neppure migliaia di chilometri!
Jan Andersson, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) Se sarà stabilito a livello europeo un nuovo statuto per le imprese, è importante che questo non rechi pregiudizio alla legislazione vigente negli Stati membri in materia di influenza, codecisione e rappresentanza dei lavoratori. Tra gli emendamenti presentati prima del voto, abbiamo quindi scelto di sostenere quelli del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica e del gruppo Verde/Alleanza libera europea, perché sono migliori dell’emendamento proposto dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione del collega Klaus-Heiner Lehne, che invia un messaggio molto importante alla Commissione europea sulla necessità di offrire agli imprenditori uno strumento per far funzionare e sviluppare le loro imprese in seno al mercato interno. Come l’onorevole Lehne, ritengo che sia giunto il momento di legiferare per creare una forma giuridica affidabile per una società privata europea per le piccole e medie imprese (PMI) con attività transfrontaliere. Non è possibile, in modo sostenibile, cercare di costruire il mercato interno senza semplificare la vita per le PMI che desiderano svilupparsi. Le proposte contenute in questa relazione sono molto interessanti: ad esempio, permettere alle PMI, con un capitale dell’ordine di 10 000 euro, di avere un’unica entità che potrà svilupparsi in tutti i paesi europei senza doversi registrare in ogni Stato membro e rispettando quindi un unico sistema di regole europee piuttosto che le varie normative nazionali. Naturalmente queste proposte non riguardano i diritti dei lavoratori, ma soltanto la struttura della società privata europea.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione poiché l’audizione pubblica tenutasi in seno alla commissione giuridica il 22 giugno 2006 ha sottolineato la necessità di una società privata europea come forma giuridica per le piccole e medie imprese con attività transfrontaliere. Per consolidare il mercato unico e quindi realizzare il desiderato miglioramento delle condizioni economiche e sociali nella Comunità, una chiara priorità è l’eliminazione delle barriere al commercio.