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Resoconto integrale delle discussioni
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Martedì 13 febbraio 2007 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 3. Allocuzione inaugurale del Presidente del Parlamento europeo
 4. Turno di votazioni
  4.1. Abrogazione della direttiva 68/89/CEE relativa alla classificazione del legname grezzo (votazione)
  4.2. Abrogazione della direttiva 71/304/CEE relativa agli appalti di lavori pubblici (votazione)
  4.3. Programma d’azione comunitaria per la promozione di azioni nel settore della tutela degli interessi finanziari della Comunità (programma “Hercule II”) (votazione)
  4.4. Modifica delle modalità di esecuzione del regolamento finanziario (votazione)
  4.5. Infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità (INSPIRE) (votazione)
  4.6. Revisione della direttiva quadro sui rifiuti (votazione)
  4.7. Strategia tematica per il riciclaggio dei rifiuti (votazione)
  4.8. Ruolo delle donne nella vita sociale, economica e politica turca (votazione)
 5. Dichiarazioni di voto
 6. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 7. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 8. Preparazione del Consiglio europeo (8 e 9 marzo 2007) (discussione)
 9. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
 10. Comunicazione della Presidenza:vedasi processo verbale
 11. Riforma dell’organizzazione comune del mercato del settore vitivinicolo (discussione)
 12. Modulazione facoltativa dei pagamenti diretti nell’ambito della PAC (discussione)
 13. Spettro radio (discussione)
 14. Cambiamento climatico (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 15. Nuovo accordo “PRN” – SWIFT (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 16. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 17. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. POETTERING
Presidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta inizia alle 10.05)

 

2. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

3. Allocuzione inaugurale del Presidente del Parlamento europeo
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  Presidente. – Signori ex Presidenti del Parlamento europeo, signora Cancelliere e Presidente del Consiglio europeo Angela Merkel, Presidente della Commissione Barroso, Presidente dell’Assemblea del Consiglio d’Europa van der Linden, signori Presidenti e rappresentanti delle Istituzioni europee, gentili ospiti e, soprattutto, onorevoli deputati al Parlamento europeo, l’elezione di un nuovo Presidente ogni due anni e mezzo – un tempo breve secondo i parametri della storia – è tradizione del Parlamento europeo fin dalle sue prime elezioni dirette del giugno 1979, ma non dimentichiamo che un Presidente del Parlamento europeo vede ben cinque Presidenze del Consiglio europeo – in questo caso la Presidenza tedesca, seguita da quella portoghese, slovena, francese e ceca – e quindi la responsabilità che incombe al nostro Parlamento è evidente, in particolare in questo momento, in cui l’opera di unificazione dell’Europa è assai avanzata, ma non ancora compiuta e, anzi, è tuttora a rischio a causa dell’attuale fallimento del processo costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi. Consapevole di questa responsabilità, il Parlamento europeo non può cedere il passo a nessuno quando si tratta di realizzare l’unificazione del nostro continente.

(Applausi)

Noi tutti ci collochiamo all’interno di un continuum che comprende coloro che ci hanno preceduti e coloro che verranno dopo di noi, e vorrei quindi ringraziare vivamente il mio predecessore, Josep Borrell Fontelles, a nome di tutto il Parlamento europeo e, in particolare, anche a livello personale, per il suo grande impegno e il suo lavoro instancabile come Presidente durante gli scorsi due anni e mezzo.

(Applausi)

Il mio vivo e sentito ringraziamento va anche agli ex Presidenti qui presenti oggi in Aula:

Emilio Colombo, Presidente del Parlamento nel periodo precedente all’elezione diretta e i suoi successori dopo il 1979: Simone Veil, Lord Henry Plumb, Enrique Barón Crespo, che siede ancora qui con noi, Egon Klepsch, Klaus Hänsch, tuttora deputato al Parlamento europeo, José-María Gil-Robles, Nicole Fontaine e Pat Cox.

(Vivi applausi)

A tutti voi porgo un caloroso benvenuto. E’ per noi motivo di grande gioia che abbiate tutti accettato l’invito a presenziare alla seduta odierna. Pierre Pflimlin e Piet Dankert non sono più con noi. Li ricordiamo con gratitudine.

Condivido con Klaus Hänsch, Ingo Friedrich, Karl von Wogau, Francis Wurtz e Jens-Peter Bonde il privilegio di essere stato un deputato al Parlamento europeo fin dalle prime elezioni nel 1979. Da allora abbiamo vissuto alti e bassi nella politica europea.

Il più grande successo è stato il superamento della divisione dell’Europa. I nostri valori comuni hanno prevalso. L’adesione all’Unione europea di Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Cipro e Malta il 1° maggio 2004 e di Bulgaria e Romania il 1° gennaio di quest’anno, insieme alla riunificazione della Germania il 3 ottobre 1990, rimangono per me il miracolo di questa generazione. Abbiamo tutti motivo di essere estremamente felici per questo, ora come sempre.

(Applausi)

Rimane comunque nostro comune dovere imparare gli uni dagli altri a rafforzare il rispetto e la comprensione reciproci. Dobbiamo quindi smettere di parlare di “vecchi” e “nuovi” Stati membri. Tutti noi, insieme, costituiamo il Parlamento europeo e le nazioni che rappresentiamo sono la comunità dell’Unione europea.

(Applausi)

Negli anni ’80, si parlava di “eurosclerosi”. Poi, comunque, arrivarono il mercato unico e la moneta unica europea. Noi in Parlamento abbiamo lottato per i nostri diritti e continueremo a farlo. Oggi questo Parlamento è influente e sicuro di sé. L’esperienza, quindi, c’insegna che possiamo ottenere successi per l’Europa quando noi stessi lo vogliamo, quando da parte nostra rimane una ferma e decisa volontà di realizzare l’unità del nostro continente, salvaguardandone allo stesso tempo la diversità. Oggi vorrei chiedere a tutti voi di continuare a lavorare con tale determinazione.

In ogni caso, riusciremo in questa impresa solo se i cittadini dell’Unione europea – con il loro attaccamento alle proprie origini e al proprio paese – capiranno e sentiranno, come europei, ciò che li unisce. Un senso di comunità e un senso del “noi” sono le condizioni necessarie per il nostro futuro condiviso. L’unificazione europea non è semplicemente un desiderio dettato dalle nostre menti; l’unificazione europea è anche un affare di cuore. Farlo capire chiaramente alle persone è forse la più grande sfida che dobbiamo vincere insieme.

Il nostro dovere è quello di metterci al servizio dei cittadini dell’Unione europea. Gli europei dovrebbero essere orgogliosi di ciò che hanno conquistato con i loro sforzi nel corso dei secoli in termini di valori, libertà, diritto e democrazia. E’ stato un lungo cammino. Sappiamo che le nostre radici europee affondano nella filosofia greca, nel diritto romano, nell’eredità giudaico-cristiana, nell’Illuminismo – in altre parole, nella nostra comune cultura europea. Tuttavia, vi sono state anche tragiche guerre civili europee e durante il XX secolo le ideologie totalitarie, fondate sul disprezzo dell’umanità, e in seguito, dopo il 1945, il coraggio dei padri fondatori di intraprendere la via del perdono e della riconciliazione, di costruire un’Europa nuova, migliore, più pacifica e comune. Dobbiamo ricordarlo anche oggi e riscoprire gli elementi che ci accomunano tutti. Il grande europeo francese Jacques Delors ha seguito le orme di Robert Schuman nel parlare di “anima europea”. Il grande europeo polacco Władysław Bartoszewski ha detto: “Europa significa soprattutto libertà dell’individuo e diritti umani – sia politici che economici”. Entrambi avevano ragione.

Vorrei soffermarmi sui valori europei. Essi poggiano sostanzialmente sull’idea di dignità umana. E’ nella dignità dell’individuo che rispettiamo l’altro, ci assumiamo doveri e costruiamo così un sistema basato sulla responsabilità e sulla solidarietà. Nelle nostre attività politiche pratiche dovremmo sempre servire la causa della dignità umana, e desidero incoraggiare tutti noi a difendere questo valore e i diritti umani in tutto il mondo.

Non si tratta di un’esortazione astratta. Non siamo i maestri del mondo, ma la nostra immagine umanitaria e i nostri valori diventano più convincenti per gli altri se noi stessi viviamo in modo credibile. Questo ha implicazioni molto concrete per le nostre politiche.

Vogliamo un partenariato con una Russia democratica e capace di agire, e perciò ci aspettiamo che le autorità russe compiano sforzi tangibili affinché gli assassini di Ana Politkovskaja, che tanto ha fatto per la libertà di stampa nel suo paese, siano adeguatamente puniti.

(Applausi)

Non dimenticheremo mai che senza gli Stati Uniti d’America non si sarebbero potuti piegare né il nazionalsocialismo né il comunismo sovietico, ma dobbiamo anche dire ai nostri amici americani che Guantánamo è incompatibile con qualsiasi ordinamento giuridico fondato sui nostri principi europei.

(Applausi)

Noi proteggiamo la vita umana. Se qualcuno – come ha fatto, ad esempio, il Presidente di una nazione con una grande storia di civiltà – nega l’Olocausto, respingeremo fermamente tali asserzioni perché non si abbatta su di noi l’orrore di un nuovo olocausto.

(Applausi)

E’ nostra convinzione che le persone in Israele e Palestina siano accomunate dalla stessa dignità umana. Sosteniamo quindi ugualmente il diritto di Israele di esistere e il diritto del popolo palestinese di vivere in un proprio Stato.

(Applausi)

Siamo al fianco di coloro che lottano pacificamente per la libertà e la democrazia, e questo spiega la nostra solidarietà con il vincitore del Premio Sacharov Alexander Milinkievič e i suoi compagni di lotta per una Bielorussia democratica libera dalla paura e dall’oppressione. Offriamo la stessa solidarietà agli altri vincitori del Premio Sacharov, le “Damas de Blanco” di Cuba e Aung San Suu Kyi di Birmania/Myanmar.

Noi difendiamo la dignità umana e i diritti umani. Nel Parlamento europeo siamo assolutamente convinti che la pena di morte sia incompatibile con questi principi. Esorto tutti noi, le Istituzioni dell’Unione europea e gli Stati membri, e le Nazioni Unite, a operare a favore dell’abolizione della pena di morte.

Se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi, è essenziale continuare la costruzione di un’Unione europea in grado di agire. Dobbiamo dotarci di una Costituzione che garantisca che possiamo rappresentare i nostri valori e interessi in Europa e come partner rispettato nel mondo.

Mi risuona ancora nelle orecchie il grande discorso tenuto da Louise Weiss il 17 luglio 1979, qui a Strasburgo, nella sua veste di deputato più anziano del primo Parlamento europeo direttamente eletto. Disse: “In ogni caso, non dimentichiamo mai che siamo sia eredi che esecutori: gli eredi di un mondo intellettuale e i suoi esecutori a beneficio delle generazioni a venire”.

Io stesso non potrei esprimere meglio questo concetto. I nostri sentimenti oggi sono rimasti molto simili a quelli espressi nel 1979, ma al tempo stesso viviamo in un mondo di nuove sfide che sono peculiari della nostra epoca.

L’idea dell’unificazione europea è stata in gran parte realizzata con successo dopo la firma del Trattato di Roma cinquant’anni fa. E’ divenuta l’espressione di uno dei periodi più felici della nostra lunga storia europea. All’inizio, dopo la Seconda guerra mondiale, l’idea di Europa trasse la sua forza dal desiderio di pace e libertà. Poi rafforzare la prosperità e realizzare l’uguaglianza sociale divennero i compiti e le motivazioni per l’unità europea. In entrambe queste idee l’Europa rimase fedele a se stessa, poiché l’unificazione del nostro continente ha offerto un’opportunità unica alle due metà del continente, troppo a lungo divise, di crescere insieme nella libertà.

Oggi, l’Europa trova riconoscimento e impulso nella ricerca di sicurezza dei suoi cittadini. Questa è per noi una preoccupazione molto seria, che ci è imposta, non richiesta ma inevitabile, dalla necessità di combattere il terrorismo. Per questo occorrono soluzioni ai problemi che più stanno a cuore ai nostri cittadini.

Il bisogno di sicurezza comprende anche il compito di offrire lavoro e protezione sociale in un mondo in rapida mutazione. Non possiamo evitare la globalizzazione. Dobbiamo costruirci un cuscinetto rafforzando la nostra competitività e salvaguardando nel contempo il modello sociale europeo.

A tale scopo, non basta soltanto parlare del drammatico fenomeno dei cambiamenti climatici, ma occorre anche adottare le misure necessarie – insieme ai nostri partner nel mondo – e applicarle con fermezza, prima che sia troppo tardi.

La sicurezza comprende aspetti come un approvvigionamento energetico comune e una politica comune in materia di immigrazione che rispetti tanto i diritti umani quanto la necessità di integrazione nella nostra società. Non possiamo permettere che si continui a morire nelle acque del Mediterraneo.

Non possiamo trovare la sicurezza che cerchiamo in un mondo in fiamme, dove vi sono persone che vivono in povertà e sono vittime della pressione sociale, un mondo nel quale prevale il disordine e nel quale l’ambiente naturale continua a essere distrutto.

Se in Europa desideriamo vivere in sicurezza, dobbiamo impegnarci come partner per la sicurezza del mondo in tutti i suoi aspetti e dobbiamo essere consapevoli del fatto che, senza soluzioni europee, non sarà più possibile superare la maggior parte delle sfide che si pongono al nostro continente e al mondo. Per quanto possa sembrare paradossale a prima vista, l’unità dell’Europa è sempre uscita rafforzata dalle crisi. Non sto dicendo che abbiamo bisogno di crisi perché siamo incapaci di trarre risultati positivi dalle circostanze positive. L’Unione europea ha bisogno di un nuovo slancio, di un rinnovamento. La strada è difficile; è vero, ma sono fermamente convinto che il nostro continente sia meglio attrezzato oggi per il suo futuro nel mondo del XXI secolo di quanto non fosse quindici o vent’anni fa.

Noi saremo giudicati in base a come sapremo orientare l’unità europea di recente realizzata su un percorso valido e sicuro a lungo termine. Dai politici come noi ci si attende capacità di guida; dobbiamo giustificare meglio di quanto non abbiamo fatto sinora i motivi per i quali l’Europa è un bene per tutti noi, che tipo di valore aggiunto comporta l’unificazione europea e quali sono gli obiettivi dei nostri sforzi. Dobbiamo superare l’impressione che le politiche europee abbiano solo una funzione tecnica, senza lungimiranza o nesso logico. Dobbiamo convincere attraverso le nostre azioni e a tal fine concentrarci sull’essenziale.

E’ nostro compito comune prepararci per il futuro in un modo sostenibile, il più possibile sicuro per i nostri figli e nipoti. Per questo abbiamo bisogno di un nuovo inizio, per una Europa migliore, per una Europa più forte, rivolta al futuro. Abbiamo bisogno soprattutto di un’Europa che creda in se stessa, attinga la sua forza dai propri valori e che voglia e possa essere un buon partner nel mondo.

Senza i media non possiamo comunicare l’Europa ai cittadini. Desidero ringraziare specificamente i corrispondenti e i giornalisti qui a Strasburgo per il loro lavoro di informazione, corretto e obiettivo, ma rivolgo un appello ai media nazionali, in particolare alle aziende televisive, private o pubbliche, affinché apportino il loro contributo nelle relazioni con l’opinione pubblica europea. Non è più adeguato ai tempi ritrarre l’Unione europea soltanto da una prospettiva nazionale. Chiedo alle emittenti televisive nazionali di aprire i loro studi alle tematiche europee e di ospitare i deputati al Parlamento europeo per parlare di tali temi.

(Applausi)

Abbiamo bisogno di un nuovo patto tra i cittadini europei e le loro istituzioni politiche nell’Unione europea. L’Europa dei cittadini e la credibilità delle Istituzioni europee dipendono l’una dall’altra. Il programma “Legiferare meglio” può dare un contributo in tal senso se apporterà un maggiore controllo democratico, trasparenza in seno al Consiglio, una trasposizione certa nel diritto nazionale, una valutazione delle conseguenze sociali, ambientali, economiche e amministrative e la semplificazione degli atti giuridici. Quando si progetta un atto di legislazione europea, dovremmo sempre domandarci: è utile per i cittadini e per l’ambiente? E’ necessario alla luce del principio di sussidiarietà? Ci rende più competitivi? Riduce la burocrazia e i costi? Noi, legislatori nel Parlamento europeo, dovremmo intervenire solo se si può rispondere affermativamente a queste domande.

Noi, il Parlamento europeo, dovremmo non solo preoccuparci di rappresentare gli interessi dei cittadini, ma anche dimostrare il nostro rispetto per la dedizione dei cittadini europei che con il loro lavoro aumentano il prestigio dell’Europa – in Europa e nel mondo. Dovremmo istituire un premio del Parlamento europeo a questo scopo. Perché non riconoscere anche l’impegno da parte di giovani per l’idea europea? I premi europei di alto livello hanno avuto un ottimo effetto sulla consapevolezza dell’opinione pubblica: perché non creiamo premi per i più giovani, per i giovani europei che si impegnano per l’ideale europeo in modo davvero esemplare?

Nei musei nazionali, la storia europea è quasi sempre rappresentata in termini puramente nazionali. Propongo di creare un luogo per la storia e per il futuro, dove il concetto dell’idea europea possa continuare a crescere. Propongo la fondazione di una “Casa della storia europea”. Non dovrebbe essere un museo arido e noioso, ma un luogo che alimenti il nostro ricordo della storia europea e dell’opera di unificazione europea e allo stesso tempo sia aperto all’ulteriore formazione dell’identità europea da parte dei cittadini attuali e futuri dell’Unione europea. Tale “Casa della storia europea” dovrebbe essere istituita nella sede delle Istituzioni europee e dovrebbe essere collegata a una rete di fondazioni comparabili negli Stati membri. La “dichiarazione sul futuro dell’Europa”, che sarà adottata congiuntamente dal Consiglio europeo, dal Parlamento europeo e dalla Commissione europea il 25 marzo 2007 a Berlino – un evento che presiederà lei, signora Merkel – potrebbe creare le condizioni per realizzare questo progetto.

L’Unione europea è il più grande raggruppamento di nazioni nel mondo, comprendente 27 nazioni con quasi 500 milioni di cittadini. L’Europa è un continente complesso, che ci pone di fronte a sfide enormi, e l’Unione europea non può più essere guidata con gli inadeguati strumenti dell’attuale sistema giuridico dei Trattati. Se la nostra comunità di valori vuole durare, ha bisogno di una fondamentale riforma. Il Trattato costituzionale rafforza sia il Parlamento europeo che i parlamenti nazionali, rafforzando la vita parlamentare e la democrazia. Viene riconosciuta per la prima volta l’autonomia amministrativa delle comunità quale fondamento del nostro ordinamento democratico europeo. La distribuzione dei poteri definisce le competenze europee. Sarò onesto: vi dico apertamente che non capisco coloro che da un lato criticano “Bruxelles” – e talvolta ciò è giustificato, così come lo è criticare la politica nazionale – ma nel contempo respingono il Trattato costituzionale, che costituisce proprio lo strumento di cui abbiamo bisogno per eliminare e correggere le carenze riconosciute.

(Applausi)

Il Parlamento appoggia il Trattato costituzionale – su questo non dobbiamo far nascere alcun dubbio. Vogliamo contribuire a fare in modo che i principi e la sostanza del Trattato costituzionale, compresi i suoi valori, diventino una realtà giuridica e politica. Il consenso cui siamo giunti qui nel Parlamento europeo sulla direttiva sui servizi e sui limiti della capacità di allargamento dell’Unione europea è una risposta costruttiva alle preoccupazioni dei cittadini. La “dichiarazione sul futuro dell’Europa” prevista per il 25 marzo 2007 a Berlino potrebbe costituire un’altra importante pietra miliare su questo cammino. Il suo nucleo dovrebbe essere il riconoscimento dei nostri valori e delle riforme necessarie, l’impegno a superare congiuntamente le sfide del futuro, delle quali ho parlato prima, un impegno alla solidarietà fra le nazioni d’Europa e per la supremazia della legge come fondamento delle nostre azioni. Nessun paese, nessuna nazione dell’Unione europea può essere lasciato solo con i propri problemi. Ciò esclude anche, comunque, l’egoismo nazionale. Chi pensa solo agli interessi del proprio paese alla fine non li servirà, perché distruggerà la solidarietà che è necessaria a difenderli.

(Applausi)

Noi intendiamo contribuire a fare in modo che, sotto la Presidenza tedesca del Consiglio, nel corso del Vertice del 21 e 22 giugno a Bruxelles vengano concordati una tabella di marcia e un mandato, al cui termine si realizzi integralmente il nucleo sostanziale della Costituzione europea prima delle prossime elezioni del Parlamento europeo nel 2009. Vi ricordo che il Trattato costituzionale è stato firmato da tutti i 27 governi ed è già stato adottato da 18 paesi. Dobbiamo comunque rispettare l’esito dei referendum.

A parte questo, comunque, se in un paese un cambio di governo mette in discussione quanto convenuto dall’Unione europea, non solo la società è divisa in quella nazione, ma il nostro continente, che è già abbastanza complesso, è sempre più bloccato. Dobbiamo rispettare i nostri principi giuridici europei: pacta sunt servanda – i trattati devono essere rispettati.

La nostra volontà di realizzare queste necessarie riforme deve essere ferma e decisa, e dobbiamo portare avanti queste riforme in modo che i popoli dell’Unione europea non vengano divisi, ma uniti. Insistiamo che il Parlamento europeo deve essere adeguatamente coinvolto nel lavoro.

Noi in Parlamento dobbiamo anche essere disposti a riformare noi stessi. In primo luogo ciò sarà molto impegnativo per ciascuno di noi, ad esempio in termini di essere presenti per le votazioni e le discussioni importanti. Come tutti sappiamo, molto rimane da fare a questo riguardo. Vorrei che l’Aula fosse sempre piena come questa mattina, anche se c’è ancora posto per qualcuno in più, perciò giovedì, dopodomani, sottoporrò una proposta ai presidenti dei gruppi per una riforma globale dei lavori del Parlamento. La Conferenza dei presidenti, cioè i presidenti dei gruppi – che hanno un ruolo importante – hanno già costituito un gruppo di lavoro su come migliorare il modo in cui lavoriamo. Vedo che i presidenti dei gruppi sorridono, lieti di sentire la conferma di questa iniziativa. Vi chiedo, onorevoli colleghi, di avviare i lavori e di presentarci i risultati appena possibile.

Il Parlamento è gestito in modo efficiente e vorrei ringraziare vivamente e sinceramente per la grande dedizione dimostrata il Segretario generale Julian Priestley, che il 1° marzo lascerà l’incarico dopo dieci anni!

(Applausi)

Onorevoli colleghi, non c’è dubbio che, a volte, e forse anche più spesso, vi sono motivi di critica nei confronti dell’amministrazione; noi accogliamo positivamente tali critiche. Tuttavia, chi ha lavorato a stretto contatto con Julian Priestley e con i suoi collaboratori riconosce quanto siano consapevoli delle loro responsabilità e con quanto impegno lavorino, e non ho mai sentito dire che qualcuno di loro abbia agito in maniera contraria alle intenzioni del Presidente. Spero ovviamente che le cose continuino allo stesso modo durante tutto il mio mandato e manterrò stretti contatti affinché si vada tutti nella stessa direzione. Un sentito ringraziamento, quindi, a Julian Priestley. Vorrei aggiungere che l’unico metro con il quale dovrebbe essere giudicata l’amministrazione è il modo in cui si pone al servizio delle nostre convinzioni europee – in modo apolitico, equo e obiettivo.

Posso dire all’Assemblea che il futuro dell’Europa dipende in grande misura dal modo in cui riusciremo a far coesistere le culture e le religioni nell’Unione europea e a convivere con i nostri vicini, soprattutto del mondo arabo e islamico.

Dobbiamo quindi fare la nostra parte affinché il dialogo tra culture e religioni costituisca il segno distintivo dell’Europa. Viviamo nel continente delle tre grandi culture e religioni – cristiana, ebrea e islamica – e abbiamo cittadini che provengono da altre grandi culture del mondo e che seguono altre religioni del mondo. Noi, al Parlamento europeo, dobbiamo incoraggiare e sostenere esempi di società civile europea impegnata nel dialogo tra le culture. A Siviglia ho conosciuto il lavoro dell’organizzazione “Tres Culturas”, e vi dico – non solo per onorare il mio predecessore spagnolo, Josep Borrell – che dobbiamo sostenere attivamente tutti gli esempi di convivenza in Europa fra cristiani, musulmani ed ebrei, e, ovviamente, anche coloro che non appartengono a nessuna di queste religioni. Si tratta di un investimento decisivo nel nostro sviluppo intellettuale. Al tempo stesso, è il migliore contributo che possiamo dare al dialogo tra le culture nel Mediterraneo e oltre, in Medio Oriente e nell’Africa settentrionale. Noi non vogliamo uno “scontro tra civiltà”, ma desideriamo la pace nella libertà e nella giustizia fra tutte le nazioni e le fedi. Per questo occorre gettare un ponte intellettuale e culturale sul Mediterraneo.

Questo dialogo deve fondarsi sulla tolleranza e la verità. Tolleranza non significa accettare tutto. Tolleranza significa convivenza pacifica rispettando le convinzioni degli altri e salvaguardando le proprie. Durante una delle mie numerose visite nei paesi arabi, un alto dignitario islamico mi chiese come vivono in Europa i musulmani. Io risposi che spesso non sono sufficientemente integrati, ma che possono praticare la propria fede e avere le loro moschee e luoghi di preghiera. Gli ho quindi chiesto se fosse vero che nel suo paese un musulmano o una musulmana possono essere puniti con la morte nel caso in cui si volessero convertire al cristianesimo. Il suo silenzio è stato eloquente.

Onorevoli colleghi, sono fermamente convinto che il dialogo tra le culture possa avere successo solo se è basato sulla verità e sulla tolleranza reciproca.

(Applausi)

E’ mia intenzione visitare i paesi arabi vicini dell’Unione europea e, nel corso delle visite negli Stati membri, ricercare un dialogo con le minoranze etniche, in particolare con i loro membri più giovani. Abbiamo un’importante istituzione parlamentare per il dialogo con il Medio Oriente, compresi Israele e il mondo arabo: l’Assemblea euromediterranea. Dobbiamo avvalerci efficacemente di questa istituzione per la pace, il partenariato e, se possibile, l’amicizia. Lo scorso fine settimana ho incontrato a Tunisi i quattro presidenti che governano l’Assemblea euromediterranea, vale a dire i presidenti dei parlamenti di Egitto, Tunisia, che attualmente detiene la presidenza, e Grecia, e abbiamo deciso che il dialogo interculturale e il problema della disoccupazione nei paesi del Mediterraneo saranno i temi del prossimo dialogo che si svolgerà a marzo e che, a giugno, intendiamo riservare particolare attenzione al Medio Oriente e al processo di pace, che speriamo sarà in pieno svolgimento in tale periodo.

Non appena le circostanze lo consentiranno, visiterò Israele, Palestina e Libano. Sono grato per l’invito che ho ricevuto a intervenire dinanzi al parlamento israeliano, la Knesset. Quando invitiamo personalità a parlare al Parlamento europeo, dovremmo porre l’accento sul dialogo interculturale.

Onorevoli colleghi, è compito di tutti noi rafforzare la democrazia e il sistema parlamentare europeo, perciò intendiamo collaborare con i parlamenti nazionali in un costruttivo partenariato per il bene delle nostre nazioni e dell’intera Unione europea.

Helmut Kohl, cittadino onorario dell’Unione europea, una volta disse: “Non abbiamo molto tempo. Il mondo in cui viviamo non è disposto ad aspettare che risolviamo i nostri problemi interni”. Aveva ragione. A questo aggiungerei che l’inazione, l’indifferenza, sarebbe il peggior male che possiamo commettere.

Al termine del mio mandato sarà eletto un nuovo Parlamento europeo. Se il nostro lavoro sarà convincente e se anche nelle capitali nazionali si parlerà dell’Europa in termini positivi, tornerà ad aumentare la partecipazione alle elezioni del Parlamento europeo. La nostra ambizione dovrebbe essere raggiungere questo obiettivo.

Il nostro lavoro è spesso privo di fascino, può essere stressante e non particolarmente spettacoloso, ma i nostri obiettivi sono grandi e ci si aspetta molto da noi. Noi cerchiamo di esserne all’altezza. In questo compito vorrei rappresentarvi tutti in modo da rafforzare la dignità del Parlamento europeo, l’unità del nostro continente europeo e l’efficacia dell’Unione europea. Vi chiedo il vostro aiuto, vi ringrazio per la fiducia e spero che insieme riusciremo a realizzare i nostri obiettivi.

(Prolungati applausi)

 
  
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  Angela Merkel, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Presidente Poettering, ex Presidenti e onorevoli deputati al Parlamento europeo, signor Presidente della Commissione Barroso, lei, signor Presidente, è uno dei deputati che ha assistito alle prime ore di vita del Parlamento europeo; penso che si possa affermare che lei ha contribuito a plasmare il Parlamento nel suo sviluppo straordinario che dai suoi primi passi lo ha portato a diventare quello che è oggi: un parlamento molto emancipato, con deputati sicuri del loro ruolo, con chiare strutture di partiti politici e gruppi parlamentari, e quindi un partner esigente nel dibattito europeo, del quale non possiamo immaginarci di dover fare a meno.

Lo sviluppo di questo Parlamento è una delle storie di successo dell’Unione europea, e ora sappiamo che senza il lavoro del Parlamento europeo molto di quanto abbiamo realizzato a favore dei cittadini d’Europa avrebbe preso un’altra forma. Vorrei ricordare, nella storia recente, il lavoro sulla legislazione REACH sulle sostanze chimiche, l’elaborazione della direttiva sui servizi e i dibattiti sulle prospettive finanziarie, in cui ci siamo continuamente sforzati di stabilire priorità lungimiranti e siamo riusciti a farle approvare, in difficili negoziati con il Consiglio e la Commissione in alcuni casi.

Nel suo discorso, oggi, lei ha richiamato la nostra attenzione sulle prossime elezioni del Parlamento europeo nel 2009. Ci presenteremo insieme di fronte ai cittadini d’Europa – noi come rappresentanti degli Stati nazionali e voi come rappresentanti del Parlamento europeo – per rendere conto a quasi 500 milioni di persone di ciò che ci preoccupa, di come questa nostra Europa li avvantaggia e perché è importante. Si tratta del mantenimento della pace, della solidarietà all’interno dell’Unione europea e della prosperità e della sicurezza sociale in un mondo globale in cui la concorrenza è diventata molto più dura per tutti noi. Per questa ragione non dobbiamo perdere di vista l’intero quadro nel mezzo di tutto il lavoro parlamentare specifico di routine. Con il suo programma di lavoro lei ha sottolineato il ruolo che lei immagina per il Parlamento europeo così come per l’Unione europea nel mondo.

Concordiamo sul fatto che la questione del Trattato costituzionale sarà fondamentale per le elezioni del 2009 – per quanto riguarda sia la nostra percezione di noi stessi e il nostro rapporto con i cittadini sia, in secondo luogo, la capacità di agire dell’Unione europea a 27. Per tale ragione la Presidenza tedesca dell’UE, insieme con la Commissione, il Parlamento e gli Stati membri, farà tutto il possibile per stabilire un calendario al fine di completare questo progetto e far sì che nel 2009 i cittadini sappiano per quale tipo di Europa voteranno e come questa Europa sarà capace di agire in futuro.

(Applausi)

Il mio appello è che dovremmo continuare la nostra discussione su come possiamo chiarire ulteriormente la struttura delle rispettive relazioni tra la Commissione, il Parlamento e il Consiglio, anche se suscita ancora controversie in alcuni settori. Anche per questa ragione, come ho menzionato nel mio discorso di apertura, ho messo in agenda la questione della discontinuità, perché credo che questo tema sarà importante a lungo termine. Come si percepisce un Parlamento di recente eletto – o, peraltro, una Commissione di recente eletta? Cosa deve essere realizzato, e come? Nemmeno il Trattato costituzionale risponde pienamente a queste domande e perciò credo che il dibattito debba proseguire.

(Tenui applausi)

Per passare ai problemi sostanziali, è chiaro che il tema dell’energia avrà un ruolo piuttosto centrale nella riunione di primavera del Consiglio dell’8 e 9 marzo. Oggi vorrei informarvi circa gli sforzi da noi compiuti per organizzare questa riunione del Consiglio, ma non prima di esprimere la mia sincera gratitudine alla Commissione, che ci ha fornito ambiziosi pacchetti di direttive e di dati sull’energia e sulla protezione del clima per l’ordine del giorno. Nelle imminenti riunioni per la preparazione del Consiglio di primavera – il Consiglio “Competitività” e il Consiglio “Ambiente” – dobbiamo ora stabilire le condizioni decisive per un dibattito fruttuoso all’interno del Consiglio. Sono favorevole alla proposta della Commissione di ridurre le emissioni di CO2 del 30 per cento entro il 2020, a condizione che l’obiettivo sia condiviso a livello internazionale. Io credo che i nostri viaggi internazionali ci incoraggino tutti a richiamare l’attenzione sul fatto che l’Europa produce il 15 per cento delle emissioni di CO2, mentre l’85 per cento è prodotto al di fuori dell’Unione europea. L’Europa deve essere all’avanguardia – un obiettivo per il quale ritengo che dovremmo impegnarci – ma l’Europa deve anche affermare in modo chiaro che nessun problema illustra più visibilmente di questo le interazioni a livello planetario e il fatto che l’azione di un continente non è sufficiente a fugare la minaccia che si pone all’intera umanità.

(Applausi)

Dovremo svolgere discussioni sullo sviluppo di un mercato interno competitivo; possiamo già intuire che saranno molto difficili, ma non sarà una sorpresa per chiunque abbia studiato l’argomento. Non rifuggiremo tali discussioni, poiché un mercato interno funzionante nel mercato dell’energia è essenziale. Intendiamo porre all’ordine del giorno la questione dell’efficienza energetica e parleremo di energie rinnovabili. La Presidenza tedesca dell’UE chiederà l’adozione di valori specifici e di approcci che prevedano riduzioni vincolanti. Voglio dire in modo assolutamente chiaro che nessuno Stato membro può eludere questa responsabilità. Per tale ragione la Repubblica federale di Germania, se posso dire questo in qualità di Cancelliere, ha già dovuto scendere a compromessi con la Commissione e non è stato facile per noi. L’abbiamo fatto in modo consapevole perché credo che ciascuno Stato membro debba fare la sua parte. Sarebbe un errore credere che la protezione del clima funzioni così, senza il coinvolgimento di tutti, e tale credenza erronea deve essere abbandonata.

(Applausi)

Dovremo prestare attenzione al tema della politica estera in materia di energia, in particolare nei negoziati relativi a un accordo di cooperazione con la Russia. Anche qui devo dire che speriamo e stiamo lavorando affinché questi negoziati possano cominciare. Purtroppo non siamo ancora giunti a questo risultato, ma sono ottimista che avremo compiuto un passo positivo in avanti quando ci incontreremo per il Vertice UE-Russia a maggio e metteremo la questione della “migliore regolamentazione” sull’agenda del Consiglio europeo; anche qui chiederei il sostegno del Parlamento per evitare di rimanere impantanati in vaghe promesse, ma per impegnarci a favore di obiettivi di riduzione quantitativa.

Sono consapevole delle preoccupazioni e dei timori che una minore regolamentazione potrebbe comportare una minore protezione. Non è quello che vogliamo, ma c’è spazio per migliorare il modo in cui organizziamo la burocrazia oggi e aggiungerei che, dal punto di vista dei cittadini d’Europa, sono necessari miglioramenti su tale fronte. Questo non significa che una regolamentazione non è valida se non usiamo la forma più complicata per verificarla.

(Applausi)

Signor Presidente, le nostre consultazioni in relazione alla dichiarazione sul futuro dell’Europa prevista per il 24 e 25 marzo stanno andando bene e dovrebbero continuare così. Nei suoi commenti lei ha sottolineato molto chiaramente ciò che si aspettano i cittadini dall’Unione europea riguardo alle relazioni esterne e alla politica di sicurezza e di difesa, e condivido il suo impegno per i diritti umani, di cui il Parlamento ha una grande tradizione, e sono lieta della sua volontà di porre tra le priorità il dialogo interculturale. Durante il mio recente viaggio in Medio Oriente mi sono resa conto delle grandi aspettative che il mondo ripone nell’Unione europea e in tutte le sue Istituzioni. In Medio Oriente si può percepire quasi fisicamente il desiderio di pace e la preoccupazione per il programma nucleare dell’Iran. In quest’area abbiamo una grande responsabilità di fare tutto quel che possiamo – con gli attori della regione nonché gli Stati Uniti d’America e la Russia, ovviamente – per mettere in moto il tanto atteso processo di pace.

Ho già detto in precedenza e ripeto che la fine della guerra fredda ha portato qualcosa di inaspettato nella vita degli europei come noi. Abbiamo visto che oggi, con 27 Stati membri, possiamo ancora lavorare e lottare per la pace e la libertà in un processo democratico con quasi tutti i paesi europei, anche se non è sempre facile. Questo fatto straordinario della nostra epoca dovrebbe incoraggiarci a lavorare per ottenere miracoli e opportunità anche in altre regioni del mondo.

Ciò che palestinesi e israeliani non vivono da decenni – una vita in pace, una vita in due paesi vicini non in guerra, una vita con la prospettiva della prosperità – deve essere anche il nostro obiettivo, perché abbiamo visto in prima persona che pace e amicizia possono emergere da differenze apparentemente insormontabili. Questa esperienza porta con sé un obbligo per noi come europei di prendere parte a questo processo. Sono quindi molto grata per il fatto che insieme a tutti i suoi colleghi nel Parlamento europeo abbia posto questo aspetto tra le sue priorità.

Signor Presidente, lei ha citato Helmut Kohl e ha detto che dobbiamo affrettarci e non possiamo permetterci di concentrarci continuamente su noi stessi. Perché le persone nell’Unione europea si aspettano da noi che continuiamo a plasmare con successo questo continente nell’era della globalizzazione negli interessi dei suoi cittadini. Milioni, anzi, miliardi di persone nel mondo si aspettano che l’Unione europea, con la sua esperienza e la sua prosperità, faccia la sua parte affinché il mondo possa godere di più pace e più libertà. Lavoriamo insieme per questo scopo. Grazie per il suo discorso; attendo con ansia di cooperare positivamente con il Parlamento.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Un vivo ringraziamento anche a lei, Cancelliere Merkel, per il suo incoraggiante discorso. Faremo tutto ciò che è in nostro potere affinché il Consiglio, la Commissione e il Parlamento lavorino insieme con successo per il nostro continente, per l’Unione europea.

 
  
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  José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, signora Cancelliere Merkel, signori ex Presidenti del Parlamento europeo, Presidenti delle Istituzioni europee, onorevoli deputati, quest’anno celebriamo ciò che l’Unione europea ha realizzato negli ultimi cinquant’anni: una storia che ha visto il Parlamento europeo giungere a incarnare in modo crescente la democrazia europea.

Sono lieto della presenza oggi in questa sede degli ex Presidenti del Parlamento europeo. A nome mio e della Commissione, vi ringrazio tutti per i vostri personali contributi all’Europa.

Voglio congratularmi con lei, signor Presidente, per questa iniziativa. E’ davvero importante. Alcuni politici credono che il mondo non esistesse prima che loro nascessero. Io penso che sia importante che chi è al servizio dei cittadini attraverso le istituzioni conservi questa memoria istituzionale. Una società onesta e civilizzata rende omaggio alla propria storia e rispetta le istituzioni. Voglio ringraziarla per il suo discorso, che ha dimostrato sia lungimiranza che sostanza. Condivido i suoi punti di vista e lodo il suo impegno.

Onorevoli deputati, avete eletto un Presidente la cui esperienza e il cui impegno per il nostro comune progetto europeo non sono secondi a nessuno.

I nostri valori europei sottolineano l’essenza dell’Europa che vogliamo e di cui facciamo tesoro: un’Europa di pace, libertà, democrazia, prosperità e giustizia. L’allargamento e l’integrazione dell’Europa a 27 paesi, liberi dalla guerra e dal totalitarismo, sottolinea la forza di questi valori e le lezioni che abbiamo tratto dalla storia: soltanto con un impegno condiviso possiamo dare le risposte che si attendono i cittadini nel mondo globale del XXI secolo.

Il pluralismo culturale e religioso è un forte valore europeo. In questo senso, accolgo con particolare favore l’accento posto dal Presidente Poettering sul dialogo interculturale e religioso. L’Unione europea è in una buona posizione per promuovere questo dialogo. Siamo imbevuti di diversità: diversità di tradizioni, di culture, di lingue, di nazioni. E’ uno dei nostri preziosi doni come europei. Siamo in qualche misura un successo di globalizzazione. Meglio di chiunque altro possiamo plasmare questo mondo globalizzato.

Il dialogo è il mezzo per assicurare che la diversità, lungi dal provocare divisione, arricchisca la nostra unità. Io credo fortemente che la diversità culturale sia una fonte della forza dell’Europa e della sua capacità di promuovere i suoi valori e interessi nel mondo. Questo dialogo deve essere adeguatamente coltivato. Intendiamo far sì che l’anno prossimo, che è stato designato “Anno del dialogo interculturale”, sia la piattaforma per questo dialogo. La Commissione persegue da tempo un dialogo con religioni, chiese e comunità fondate sulle stesse convinzioni, comprese quelle che non seguono una religione. Vorrei portare avanti questo progetto in associazione con il Parlamento europeo, quale dimostrazione visibile di come le Istituzioni europee, lavorando insieme, fanno avanzare l’integrazione europea.

L’anno scorso, per sottolineare l’importanza di questa dimensione, ho invitato il Presidente del Consiglio europeo a partecipare a una riunione con i leader religiosi e di chiese. Sono lieto dell’accordo raggiunto riguardo allo svolgimento di un vertice nel maggio di quest’anno, con i tre Presidenti delle Istituzioni politiche europee e i leader delle principali religioni e chiese, che avrò l’onore di ospitare.

Il 25 marzo abbiamo l’opportunità di celebrare sia i nostri conseguimenti che i nostri valori. Sono lieto che il Parlamento europeo e la Commissione europea stiano svolgendo un ruolo a pieno titolo nei preparativi per la dichiarazione sul futuro dell’Europa, a seguito della mia proposta dello scorso maggio. Questa dichiarazione, che sarà firmata a Berlino, rappresenta un vero punto comune di riferimento – una conferma di ciò che si prefigge l’Unione europea e una dichiarazione d’intenti su ciò che vogliamo realizzare nel XXI secolo.

Il mese scorso in Parlamento ho presentato proposte che vorrei vedere incluse nella dichiarazione di Berlino. Non l’ho fatto per il gusto in sé di presentare proposte. Esse corrispondono ai risultati che i cittadini europei vogliono che realizziamo. E credo che sia concentrandosi sugli obiettivi del nostro progetto comune che saremo in grado di pervenire a un consenso forte e allargato, anche riguardo a una soluzione del problema istituzionale.

Sono convinto che, se l’Unione europea dimostrerà ai cittadini europei che affronta la globalizzazione, promuove la crescita economica e l’occupazione, dimostra solidarietà sociale, affronta i cambiamenti climatici, aumenta la legittimità democratica, garantisce la sicurezza, difende i suoi valori e interessi in tutto il mondo, i cittadini europei potranno avere fiducia nelle riforme attuate dall’Unione europea per vincere le sfide di domani e per conseguire risultati pratici.

Siamo tutti qui al servizio dei cittadini europei. Se vogliamo godere del beneplacito pubblico, dobbiamo indirizzare le nostre attività verso le priorità dei cittadini e lavorare in un modo che giustifichi la loro fiducia, rispettando in particolare i principi di sussidiarietà e trasparenza. Abbiamo indicato esattamente questo approccio nella nostra comunicazione dello scorso maggio su un’agenda dei cittadini.

Per ottenere tali risultati dobbiamo mantenere e sviluppare un partenariato istituzionale, fondato sulla separazione delle competenze, ma anche sull’idea di interdipendenza istituzionale. Rispettando l’autonomia di ogni Istituzione, dobbiamo porre l’accento sulla comunanza dei nostri principi europei. Nonostante le naturali differenze politiche e ideologiche, coloro che sono impegnati per questi principi dovrebbero costruire un partenariato veramente europeo.

Io credo che la cooperazione tra Parlamento, Consiglio e Commissione stia funzionando bene. Ha dato prova del proprio valore in alcune difficili circostanze. In quest’ultimo anno abbiamo risolto difficili questioni come quelle dei servizi, delle sostanze chimiche, di REACH e delle prospettive finanziarie, per citarne solo alcune. E’ un risultato del lavoro comune delle tre Istituzioni in questo spirito di cooperazione. Sono impegnato a lavorare in stretta collaborazione con lei, signor Presidente, così come con il Cancelliere Merkel e i suoi successori al timone del Consiglio. Sono convinto che questo sia il modo migliore per conseguire i risultati chiesti dai cittadini.

La risoluzione del dibattito sul futuro dell’Europa non è secondaria: un’Unione europea più efficiente e democratica è al centro della nostra capacità di realizzare politiche e risultati. Sappiamo tutti che questo è ciò che avrebbe realizzato il Trattato costituzionale e vi sono limiti a ciò che possiamo realizzare in sua mancanza. Come spesso ripeto, non possiamo costruire l’Europa di domani con gli strumenti del passato. Il Trattato di Nizza non basta.

(Applausi)

So che il Parlamento europeo condivide l’impegno della Commissione europea a dare pieno appoggio al lavoro della Presidenza tedesca per trovare il modo giusto di procedere. L’energia e l’impegno del Cancelliere Merkel ci fanno davvero sperare di poter trovare un consenso e convincere i cittadini europei della giustezza della riforma e del progresso. Ma la Presidenza del Consiglio può conseguire risultati solo se è sostenuta da tutti gli Stati membri. Oggi che sono qui riunite tutte le Istituzioni europee, desidero esortare ancora una volta gli Stati membri a trovare una soluzione per quanto riguarda il Trattato costituzionale. So che dopo il voto negativo in due Stati membri è difficile, se non impossibile, ratificare lo stesso testo. Ma non dimentichiamo che tutti i governi lo hanno firmato. Ciò implica almeno due fatti. Innanzi tutto, gli Stati membri hanno riconosciuto che l’Unione doveva risolvere problemi comuni e sfide comuni. E non li abbiamo ancora risolti. Secondo, l’atto di firmare un Trattato implica anche una responsabilità nei confronti degli altri Stati membri, delle Istituzioni europee e dei cittadini europei. E’ dovere di tutti i governi europei essere costruttivi e attivi nella ricerca di una soluzione comune, e sottolineo la parola “comune”. In un momento storico come questo, in cui celebriamo l’unità pacifica dell’Europa, non abbiamo il diritto di dividerla nuovamente.

Riguardo alle loro posizioni sull’Europa, qualche volta alcuni politici mi ricordano James Mill, il padre di John Stuart Mill. John Stuart Mill disse una volta che suo padre amava l’umanità in generale, ma odiava ogni persona in particolare.

(Si ride)

Vediamo anche molti politici in Europa che professano il loro amore per l’Europa in generale, ma poi si oppongono a soluzioni europee per l’energia, i cambiamenti climatici, l’immigrazione e, ovviamente, il problema istituzionale. Siamo onesti: non abbiamo bisogno di dichiarazioni di intenti; abbiamo bisogno di impegno.

(Applausi)

Ci attendono nel prossimo futuro prove decisive, a cominciare dal pacchetto sull’energia e i cambiamenti climatici nel Consiglio europeo di marzo. Accolgo con grande soddisfazione la dichiarazione appena resa dal Cancelliere Merkel. Siamo onesti con noi stessi. La coerenza è una condizione per la credibilità. Non siamo credibili quando diciamo che vogliamo parlare con una sola voce al mondo esterno sull’energia e continuiamo a parlare fra noi con 27 voci e 27 mercati. Non siamo credibili quando indichiamo la lotta contro i cambiamenti climatici tra le più importanti priorità per l’Europa e poi non siamo capaci di concordare obiettivi specifici per le nostre politiche. Quindi, dobbiamo essere coerenti e credibili.

Signor Presidente, signora Cancelliere, onorevoli deputati, ho grandi speranze per il periodo che va da oggi alla fine di questa legislatura parlamentare. Credo che abbiamo stabilito le giuste priorità e le giuste basi di cooperazione per farle funzionare. Non vedo l’ora di lavorare in stretta collaborazione con il Presidente Poettering e con questo Parlamento, e con i colleghi del Consiglio europeo, per attuare una reale riforma in Europa e un reale cambiamento per i cittadini d’Europa alla fine di questo decennio.

Io credo che possiamo costruire un’Europa che sarà in grado di plasmare il futuro del nostro mondo sulla base dei valori di libertà e giustizia che sono così importanti per noi.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Presidente Barroso, la ringrazio per la sua dichiarazione e specialmente per il suo impegno per il partenariato con il Parlamento europeo, che è molto gradito. La ringrazio anche a titolo personale. Attendiamo con ansia il proseguimento della nostra solida cooperazione.

 
  
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  Joseph Daul , a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, mi congratulo vivamente con Hans-Gert Poettering per il brillante discorso, che sottolinea quanto l’Europa ha bisogno di coalizzarsi e di unire le forze.

In presenza di coloro che l’hanno preceduta nelle sue alte funzioni, e che saluto, nonché dei rappresentanti di tutte le Istituzioni europee, lei ha esposto la sua visione sul futuro dell’Unione europea. La visione di un’Europa al tempo stesso unita e integrata, ma anche aperta al mondo e cosciente delle sue responsabilità internazionali, un’Europa con cui i cittadini si identificano maggiormente e che sentono più vicina.

Il gruppo PPE-DE condivide profondamente questa visione. Apprezzo molto l’accento proattivo, positivo e costruttivo delle sue affermazioni. Bisogna smettere di parlare in termini negativi dell’Europa, smettere di chiedersi ciò che diventerà invece di attivarsi per ciò che dobbiamo fare.

Il progetto europeo è un successo. Ha permesso non solo lo sviluppo e la prosperità dei nostri paesi, ma ha anche garantito la pace nel nostro continente.

Abbiamo cambiato il corso della storia grazie a questo progetto e chi sostiene che non è sufficiente si guardi intorno, nella vita quotidiana: i benefici dell’Europa sono onnipresenti. Bisogna essere in cattiva fede per non riconoscerlo, ma certo, dobbiamo affermare con maggiore forza le convinzioni che poniamo nelle nostre realizzazioni, e imparare a valorizzarle meglio. Questo vale per l’euro, che è un successo, ma anche più in generale per il nostro lavoro di legislatori.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo tutte le ragioni per avere fiducia nel nostro futuro in seno all’Unione europea. Le sfide che dobbiamo ancora affrontare le supereremo solo nel quadro di un’Europa unita e determinata e certamente non in quello di un’Europa cupa o rivolta solo verso il suo passato.

Il nostro gruppo condivide, signor Presidente, le sue priorità, che ci sembrano rispondere sia alle grandi sfide del mondo attuale, sia alle preoccupazioni quotidiane dei cittadini. I due aspetti sono legati. Che cosa chiedono i cittadini d’Europa? Chiedono al tempo stesso più libertà, e questo vale soprattutto per i giovani, più sicurezza e maggiore protezione dalle minacce. Chiedono di poter lavorare e beneficiare del frutto del loro lavoro. Infine, vogliono che l’Europa difenda e promuova i valori della nostra civiltà e della nostra cultura.

Sono favorevoli alla protezione dell’ambiente e alla lotta contro il deterioramento climatico, su scala europea. Sono favorevoli a una politica energetica comune che garantisca approvvigionamenti sicuri a prezzi sostenibili, non escludendo nessuna fonte di energia capace di garantire la nostra indipendenza. Vogliono una politica agricola e alimentare equa che offra prospettive al mondo rurale, che garantisca anche la sicurezza alimentare, partecipando alle evoluzioni tecnologiche. Vogliono altresì una politica di ricerca e sviluppo che porti l’Europa all’avanguardia a livello mondiale nel campo dell’innovazione, come ci proponiamo negli obiettivi di Lisbona.

Personalmente, insisterò stamattina sulla vicinanza ai cittadini e sulla necessità di coniugare questo obiettivo con quello del dialogo tra le culture e le religioni, che rappresenta il lato positivo della lotta contro il razzismo e l’intolleranza, contro l’esclusione e la xenofobia. Non basta denunciare questi mali o lottare contro questi flagelli: bisogna dimostrare in modo positivo i vantaggi della conoscenza reciproca, i benefici della mescolanza sociale, la nobiltà dell’ospitalità, la grandezza della tolleranza, l’arricchimento reciproco del confronto tra le culture.

Al tempo stesso, è necessario che l’Unione europea si pronunci sui suoi limiti geografici, sulle sue frontiere e su una politica comune dell’immigrazione. Infine, l’Unione europea deve definire la sua strategia sulla globalizzazione. Questa strategia non può fondarsi sulla legge del più forte, bensì su una combinazione di competitività, elevati livelli di occupazione e protezione sociale. Abbiamo bisogno di una globalizzazione controllata.

Vorrei ancora una volta encomiare la Presidenza tedesca, e in particolare il Cancelliere Merkel, per la sua volontà di andare avanti con determinazione su tutti questi argomenti. Non sono soltanto sfide per i prossimi sei mesi, ma per i prossimi dieci o vent’anni.

La dichiarazione del 25 marzo, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’Unione, può essere l’occasione per proporre una rinascita dell’ambizione politica dell’Europa. Questa ambizione, conforme al progetto a lungo termine dei padri fondatori, comporta un rilancio istituzionale.

So, signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, Presidente Barroso, quanto ci tenete. Siamo sicuri che la Commissione e il suo Presidente, José Manuel Barroso, sono in grado di affrontare la sfida istituzionale. La Commissione è al tempo stesso custode dei Trattati e custode dell’interesse generale comunitario. Saremo sempre al suo fianco quando eserciterà con responsabilità questa doppia funzione. Unendo le nostre forze e condividendo le nostre convinzioni potremo far uscire l’Unione europea dalle abitudini inveterate.

Per concludere, avrei potuto citare Pierre Pflimlin, ex Presidente del Parlamento europeo, di cui celebriamo quest’anno il centenario della nascita, che desiderava un’Europa dei valori dello spirito, ma farò invece appello al più filoeuropeo dei nostri scrittori del XX secolo, Stefan Zweig, che, nella sua splendida biografia di Erasmo, dà una chiave ai costruttori dell’Europa di ieri e di domani: “Saranno sempre necessari coloro che indicano ai popoli ciò che li avvicina oltre a ciò che li divide e che rinnovano nel cuore degli uomini la fede in una forma più alta di umanità”.

(Applausi)

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, ex Presidenti del Parlamento europeo, onorevoli colleghi, prendo la parola come socialdemocratico, per evitare l’impressione di trovarci al congresso del Partito popolare europeo, e quello che mi tocca è un compito difficile. Come sapete, sono del parere che il discorso del Presidente del Parlamento europeo deve rappresentare tutti i deputati – o almeno dovrebbe avvicinarsi a tale obiettivo – e che non dovrebbe diventare oggetto di un dibattito politico di parte, poiché un discorso di quel tipo lo potrebbe pronunciare non chi convoca l’intera Assemblea, ma chi esprime un parere personale ai fini del dibattito.

Voglio riconoscere, signor Presidente, che lei ha pronunciato un discorso attorno al quale si può unire l’intera Assemblea, nel quale lei ha descritto i compiti essenziali che ci aspettano, e che il suo mandato coincide con un periodo decisivo per la politica europea. Non si scappa: le riforme o riusciranno o falliranno, e se falliscono, se la Costituzione non sarà approvata, se dobbiamo tornare all’incompleto Trattato di Nizza, allora – come lei ha detto molto bene nel suo discorso – a fallire non sarà solo un Trattato, ma anche un ideale.

Nel suo discorso lei ha descritto l’ideale europeo, spiegando che nella cooperazione tra le culture troviamo soluzioni, che l’intolleranza religiosa deve essere superata con il dialogo tra le religioni, che la pace e la pacifica convivenza si fondano sull’integrazione economica e sociale, e che l’abbandono di pretese territoriali può essere perfezionato con l’integrazione territoriale. Se confrontiamo questo ideale con le sfide che ci troviamo di fronte, diventa chiara la natura di tali sfide; sono l’odio tra razze e popoli, che troviamo ovunque, in tutto il mondo, l’intolleranza religiosa, che è dappertutto al di là dei nostri confini e, purtroppo, nuove rivendicazioni di potere sul territorio. Se vogliamo la pace in tutto il mondo, all’interno dell’Europa e tra questa e i paesi vicini, abbiamo bisogno più che mai dell’ideale dell’Europa per contrastare le cause di guerra come l’odio, l’intolleranza, l’esclusione e l’oppressione. A queste cose rispondiamo con l’integrazione – sia sociale che culturale – e con la ricerca di soluzioni tra religioni ed etnie, che lei ha descritto bene; il mio gruppo non può che dare il suo pieno appoggio.

Nel contempo, tuttavia, ci troviamo di fronte alla sfida – come lei ha detto giustamente – di affrontare i conflitti quotidiani. I cittadini non si accontentano di sedute solenni, anche se mi congratulo con lei per la seduta odierna, per la quale tutti ci siamo preparati a lungo, e, per quanto possa essere scettico, ne riconosco l’importanza. Tuttavia, non ci riuniamo tutti i giorni in seduta solenne. I cittadini vogliono da noi soluzioni ai conflitti quotidiani. Quando si spegne l’eco di ciò che viene detto in seduta solenne, la vita di ogni giorno non perde tempo a interpellarci. Ci sono tre cose che i cittadini vogliono da noi: innanzi tutto, vogliono che parliamo chiaramente; in secondo luogo, vogliono che presentiamo soluzioni; in terzo luogo, vogliono da noi fermezza e azione – unità d’azione se possibile, ma, in caso contrario, un’azione decisa a maggioranza come si fa in una democrazia. Anche quello deve essere possibile, e – tra l’altro – anche nel Consiglio.

Signora Cancelliere, prima che lei ci dica di più sulla discontinuità, non ho alcuna obiezione a discuterne, ma il più grande creatore di discontinuità è il Consiglio che lei presiede. Questo è il problema!

(Applausi)

Naturalmente, siamo presi alla sprovvista dai nostri problemi, che tutti noi dobbiamo affrontare – noi qui in Parlamento, lei nel Consiglio e la Commissione al suo interno. Il 1° gennaio di quest’anno il periodico “Cicero” ha pubblicato un’intervista straordinaria con lei, signora Merkel, che ho letto con molta attenzione. Una cosa incredibile che lei ha detto in tale occasione è questa: “Un altro obiettivo che intendo realizzare nel 2007 è quello di compiere ulteriori progressi nella lotta ai cambiamenti climatici. […] In vista di ciò, rivolgerò particolare attenzione, nel contesto internazionale, alle questioni ambientali”. Giusto! Lei ha detto la stessa cosa oggi. Ora vorrei citare qualcosa che lei ha detto altrove, qualcosa che – se ricordo bene – lei ha detto nel Bundestag tedesco, cioè che lei intende opporsi con vigore a un unico valore soglia per l’emissione di CO2 delle autovetture nuove a partire dal 2012. Voilà – la dura realtà della vita quotidiana ha preso di nuovo il sopravvento su di noi.

(Interruzione dell’onorevole Cohn-Bendit: “Discontinuità!”)

Anche questa è discontinuità. Noi dobbiamo…

(Interruzione dell’onorevole Ferber)

Signor Presidente, come può vedere sta accadendo ciò che temevo; questa seduta solenne potrebbe diventare un vivace dibattito, ma la CSU dell’onorevole Ferber ha così tante cose da risolvere che gli permetteremo un’interruzione.

Signora Merkel, Presidente Poettering, dobbiamo cercare di soddisfare entrambe le richieste. Dobbiamo non solo organizzare sedute solenni caratterizzate da un’aulica retorica, ma dobbiamo anche realizzare quotidianamente gli obiettivi. E’ questo che chiediamo. In tutti i discorsi che ho ascoltato oggi, è stato fatto riferimento all’Europa sociale che è il nucleo e il fondamento che mantiene unita la nostra società. Due anni e mezzo fa, quando ho detto questo nel mio primo discorso come presidente del mio gruppo, ho ottenuto risate beffarde da certi banchi del Parlamento. Aver compiuto un tale progresso in due anni e mezzo e trovarci ora tutti d’accordo su questo punto mi dà la speranza che, alla fine del suo mandato di due anni e mezzo – il tempo che lei ha detto rimarrà in carica – avremo compiuto ulteriori passi avanti.

Vorrei fare soltanto due brevi osservazioni conclusive. Signor Presidente, non condivido il suo parere secondo cui gli Stati Uniti d’America hanno sconfitto il comunismo o hanno contribuito a vincerlo nell’Europa orientale; non sono stati gli Stati Uniti, ma gli uomini e le donne coraggiosi in Polonia; i polacchi, gli ungheresi e il popolo degli Stati baltici hanno sconfitto il comunismo, non gli americani, e questo va detto, oggi più che mai, in quest’Aula, con gratitudine ai deputati provenienti da quei paesi, che rappresentano le nuove democrazie.

(Applausi)

Il mio commento finale è rivolto a lei, signor Presidente, poiché, dato che ha rivolto la sua attenzione al nostro futuro e ha tenuto un discorso che, a mio parere, è uno dei migliori che si siano uditi in quest’Aula da molti anni, vorrei anche dire che sono sicuro che lei lo metterà in pratica. Come Presidente di questa Istituzione, lei avrà un compito gravoso, in particolare per quanto riguarda il Trattato costituzionale, e se lei può contribuire a trovare un terreno comune tra i pareri estremamente divergenti dei capi di Stato o di governo, così come è riuscito, come presidente del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei a tenere uniti gli interessi contrastanti del suo gruppo, sono certo che la sua Presidenza sarà positiva.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Onorevole Schulz, non spetta a me giudicare il suo discorso, ma vorrei dire che, considerato che non voleva intervenire, lei è riuscito a farlo con molta convinzione. La ringrazio molto per questo.

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, la sua esperienza in questo Parlamento fin dalle elezioni dirette del 1979 le ha fornito i requisiti necessari e un raro senso di prospettiva per la carica che ricopre. Mi congratulo con lei per il suo discorso di questa mattina.

Lei è stato testimone dell’evoluzione dell’Unione europea, passata da nove Stati membri negli anni ’70 a 12 negli anni ’80, a 15 negli anni ’90, a 25 e poi 27 in questo decennio, con una serie di paesi in attesa dell’adesione. Lei ha visto il Trattato di Roma completato dall’Atto unico europeo, dai Trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza e ora dal progetto di Trattato costituzionale, mentre il mercato comune è stato potenziato con la creazione del mercato unico, con la moneta unica, la politica in materia di giustizia e affari interni, la politica estera e di sicurezza e ora la politica energetica.

Lei ha assistito anche – come alcuni altri di noi di più recente elezione – a un cambiamento profondo nella natura stessa dell’Unione europea. Non è più un’Unione con il compito di garantire la pace e la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, ma un’Unione che deve essere capace di affrontare le tre grandi sfide che abbiamo di fronte: la rapida crescita della popolazione mondiale e la migrazione, le risorse energetiche e i cambiamenti climatici e, infine, la criminalità organizzata internazionale collegata al terrorismo.

Fin qui, la spinta per la costruzione di questa Unione è venuta dall’interno. Ora giunge in modo crescente da oltre i nostri confini e la reazione delle nostre Istituzioni è stata incerta. C’è un malessere che colpisce la nostra Unione, che ha condotto a scontri tra gli Stati membri, i quali, per preservare la sovranità nazionale, stanno troppo spesso lasciando spazio all’anarchia globale, e ha condotto a scontri tra le nostre Istituzioni, che allontanano i cittadini, come le diverse confessioni della cristianità che discutono della sustanziazione invece di domandarsi perché nessuno va più in chiesa.

Presidente Poettering, lei ha l’opportunità di guidare il Parlamento in un momento in cui sta diventando sempre di più il fulcro dell’integrazione europea. E’ al Parlamento europeo che gli europei devono guardare in modo crescente: un Parlamento in ripresa, che parla in modo chiaro, che chiede al Consiglio e agli Stati membri di rendere conto del loro operato quando la loro azione contro il terrorismo calpesta i diritti che difendiamo, che è capace di giungere a un consenso – cosa che sfugge alla Commissione – sul mercato unico dei servizi o su misure di protezione dei consumatori, che lavora con i parlamenti nazionali per controllare l’Esecutivo, assicurando che la legge sia rispettata.

In breve, il Parlamento europeo sta diventando maturo. L’ideologia ha superato la nazionalità come principale criterio di votazione. E’ vero che il Parlamento non ha ancora il diritto d’iniziativa o il diritto di proporre il Presidente della Commissione, ma ora non sono cose impensabili e sempre più spesso si pensa che entrambi migliorerebbero la cultura democratica della nostra Unione.

Perciò, Presidente Poettering, spero che lei userà i suoi due anni e mezzo per mettere a fuoco la necessità di riforma di questo Parlamento, per darci un Parlamento meglio attrezzato per offrire la sua leadership, un Parlamento che si riunisce in sessione plenaria ogni settimana, un Parlamento che si concentra sulle importanti scelte politiche invece di votare su centinaia di emendamenti per modificare un punto e virgola, un Parlamento che usa appieno i suoi nuovi poteri di controllo per revocare e riesaminare le nostre leggi.

Quando lei è stato eletto per la prima volta, questo Parlamento era un’assemblea consultiva, progettata per dare un’approvazione proforma a decisioni prese da burocrati e diplomatici. Ora è una pietra angolare della nostra casa europea. In tredici anni di codecisione, quella funzione ha sviluppato gli organi di questo corpo, e la trasparenza ha dato ossigeno al flusso sanguigno.

Vorrei dire al Cancelliere Merkel che la procedura di codecisione dovrebbe essere estesa a tutti i settori politici – se si vuole che i meccanismi della democrazia funzionino a livello europeo. Il fatto è che l’Unione prende decisioni che sono vincolanti per gli Stati membri senza un adeguato controllo democratico o giudiziale, esponendoci alla censura della Corte dei diritti umani o delle corti costituzionali. Ce la siamo cavata per un pelo quando la Corte costituzionale tedesca ha esaminato la decisione quadro sul mandato di arresto europeo andando molto vicino a contestarne la legittimità. Se il governo tedesco, che soltanto alcuni mesi fa ha bloccato l’uso della clausola passerella dell’articolo 42, vuole davvero promuovere la democrazia in Europa, lei riconoscerà l’imperativo della votazione a maggioranza qualificata nel Consiglio e della codecisione col Parlamento europeo come base per tutta l’attività legislativa, altrimenti durante la sua Presidenza rischia di assomigliare al mimo Marcel Marceau, che sembrava scalare un muro ma in realtà non si spostava di un millimetro.

Signor Presidente, gli anni dal 1914 al 1989 nel nostro continente sono stati settantacinque anni di automutilazione. Quest’anno, con l’ingresso della Bulgaria e della Romania nell’Unione, possiamo liberarci dei fantasmi di quel periodo. Comunque, la libertà affonda le sue radici nel coraggio. Credo che esista una parola tedesca, Zivilcourage: voi, Cancelliere Merkel e Presidente Barroso, dovete fare appello al coraggio collettivo per portare avanti la nostra Unione come una vera democrazia, per creare quello che Winston Churchill chiamò nel 1945 “un patriottismo più ampio” e una cittadinanza comune per il popolo smarrito di questo turbolento e forte continente.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Grazie, onorevole Watson. Quando ha parlato delle enormi quantità di emendamenti ho visto sorridere molti degli ex Presidenti! Penso che questo sia un problema che hanno affrontato anche loro. La situazione peggiore, comunque, era agli inizi, nel 1979 – come ricorderà la Presidente Simone Veil – quando in alcuni casi avevamo più di mille emendamenti, ma non disponevamo di alcun sistema di votazione elettronico.

 
  
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  Brian Crowley, thar ceann Ghrúpa UEN. – A Uachtaráin, tá tú i do bhall den teach seo le fada anois agus tá tú ar dhuine de na baill is mó a bhfuil taithí aige ar obair an tí seo. Thug tú riamh, agus tabharfaidh, tacaíocht láidir d'Institiúid na Parlaiminte ag leibhéal na hEorpa agus ar an stáitse idirnáisiúnta. Chuir tú polasaí polaitiúil uaillmhianach don dá bhliain go leith atá romhainn amach os ár gcomhair anseo inniu. Tá tacaíocht iomlán tugtha ag mo ghrúpa polaitíochta don iarracht pholaitiúil riamh agus is mar sin a bheidh amach anseo.

(EN) Signor Presidente, oggi è un giorno in cui dovremmo riflettere sul nostro passato, ma anche dare una visione per il futuro. Penso che nel suo discorso di oggi lei abbia presentato non solo una sintesi del passato, ma anche un chiaro percorso verso il futuro.

Lei ha sollevato nel suo discorso una serie di punti che finora nessuno dei miei colleghi ha toccato. Il primo, che in un certo senso è il più impressionante di tutti, è il fatto che la Presidente del Consiglio e Cancelliere Angela Merkel e il Presidente della Commissione Barroso hanno dimostrato rispetto a lei e al Parlamento europeo con la loro presenza qui oggi per condividere questa occasione. E’ chiaramente positivo per lei come tedesco avere qui il suo capo di governo, ma lo è ancora di più per il Parlamento che Angela Merkel si sia presa il tempo per essere qui con noi, nonostante tutto il lavoro e gli sforzi che le incombono come Presidente del Consiglio.

Da parte nostra è d’uopo, a mio parere, agire di conseguenza, non solo per la presenza di coloro che ricoprono una carica, ma soprattutto per la responsabilità che gli elettori dell’Unione europea ci hanno affidato come loro difensori e portavoce. Talvolta questo ci porta in conflitto con gli ideali dei tecnici che lavorano per la creazione di una nuova Unione europea. Talvolta ci porta in conflitto con le esigenze dei governi degli Stati membri. Ma il nostro sacro dovere come Parlamento è quello di essere portavoce, di essere la voce della ragione, la voce della pace, la voce di una visione, ma soprattutto la voce di chi non ha voce. Dobbiamo ricordare chi è stato abbandonato o dimenticato dalle nostre società e far sì che possa essere accompagnato verso quel nuovo futuro e che possa avere una nuova opportunità.

Nel suo discorso di oggi, signor Presidente, reputo davvero fantastico – ed è la prima volta che l’ho sentito dire da qualcuno in quest’Aula con tale sincerità – ciò che lei ha detto sul ruolo dei giovani in Europa: la sua idea di un nuovo programma per i giovani, un premio per i giovani, per permettere alla nuova generazione di apprezzare e capire ciò che possiamo imparare dalla nostra storia.

Come hanno detto giustamente i colleghi, parliamo della sconfitta del comunismo e del nazismo ad opera degli americani. Senz’altro essi hanno svolto un ruolo in questo. Non neghiamo che l’Europa sarebbe morta senza l’aiuto degli Stati Uniti negli anni ’40. Non dimentichiamo che l’Europa sarebbe morta senza l’aiuto degli americani nel 1918. Non dimentichiamo che, senza l’assistenza degli Stati Uniti negli anni ’60 e ’70, saremmo stati sotto la minaccia costante e immediata di ulteriori guerre e violenze. Ma non dimentichiamo neanche quegli uomini e donne di grande lungimiranza – ricordiamo Solidarność in Polonia, la sollevazione ungherese, la rivoluzione di primavera, la rivoluzione di velluto, Papa Giovanni Paolo II – che sono stati portatori di una fede nella dignità degli esseri umani, nella dignità della differenza e nel diritto delle persone di far sentire la propria voce e di essere liberi in ogni ceto sociale. Questo non solo sconfigge il totalitarismo, sconfigge tutti i mali che oggi l’umanità si trova ad affrontare, ed ecco perché la sua idea di un dialogo culturale, di una comprensione delle diverse fedi e tradizioni è così importante per il futuro sviluppo dell’Europa. Se ci si informa su di noi, l’Europa non è una minaccia per nessuno, a prescindere dal fatto che si abbia o meno una fede. In molti modi tendiamo a diventare così liberali che dimentichiamo il pluralismo. Dimentichiamo la comprensione per le persone che hanno una forte convinzione di tipo non violento e tendiamo a escluderle da cariche e posizioni, ma al tempo stesso possiamo essere accomodanti con coloro che hanno un punto di vista piuttosto radicale nella vita e dare loro uno spazio.

Gli ultimi due punti che vorrei sottolineare si riferiscono ai commenti fatti da alcuni colleghi e dai Presidenti della Commissione e del Consiglio in relazione allo sviluppo futuro della politica europea. Forse sto interpretando male ciò che viene detto, ma i cittadini europei sono stanchi di sentirci parlare di cambiamenti istituzionali e riforme. I cittadini europei vogliono l’azione, vogliono risposte concrete ai problemi che abbiamo di fronte.

Abbiamo compiuto qualche progresso nella lotta ai cambiamenti climatici, nella politica sociale e in altre questioni importanti per il mercato unico, ma i cittadini vogliono azioni concrete negli ambiti della vita che li riguardano direttamente, e non una mera reazione ai problemi quando emergono. Troppo spesso in questo Parlamento guardiamo al passato e diciamo “questo è stato fatto male nel 1979” o “questo è stato fatto male nel 1992” o qualche altro errore è stato commesso nel 1997 oppure “abbiamo perso un’occasione”. Non dimentichiamo che la politica è un’arte, mentre l’economia è una scienza, in cui si ottiene il risultato corretto ogni volta se si applica la formula giusta. La politica è un’arte perché deve rispondere alle necessità della società, alle mancanze e ai desideri delle persone e, soprattutto, alla mutevolezza della società nel suo insieme.

Infine, il compito più incalzante che abbiamo di fronte a noi nel creare uno spazio più equo di pace e comprensione è nel Medio Oriente. Plaudo al suo desiderio di visitare il Libano, la Palestina e Israele e di cominciare a costruire tale processo. L’Europa deve essere nuovamente coinvolta a un livello centrale nella ricerca di una soluzione per la pace nel Medio Oriente.

Vorrei soltanto dirle, signor Presidente, per i prossimi due anni e mezzo, nonostante il duro lavoro che le abbiamo affidato e anche se dovrà affrontare venti tempestosi, che deve sempre ricordare che ha l’appoggio di questa Assemblea.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Grazie, onorevole Crowley. Lei ha parlato più a lungo rispetto al tempo assegnatole. Non dirò che ha ottenuto più tempo per le cose molto belle che ha detto, ma gli oratori che seguiranno dovranno attenersi al tempo di parola loro assegnato, anche se non sempre condividono la sua posizione.

 
  
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  Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi riconosciamo senz’altro e rispettiamo la serietà e la profondità del suo impegno europeo e il suo discorso, oggi, definisce delle priorità sulle quali – anche se rimangono un pochino vaghe – i Verdi/Alleanza libera europea si trovano sostanzialmente d’accordo.

Lei ha giustamente ricordato la storia di questo Parlamento e le sono molto grata di aver portato, oggi, in Aula i presidenti e le presidenti della nostra Assemblea. Ho avuto modo di conoscerne alcuni quando sono arrivata al Parlamento, come giovane ed entusiasta federalista, e di accompagnarne molti nello svolgimento del loro lavoro: sono pertanto veramente contenta di vederli qui oggi.

Ciò nondimeno, signor Presidente, noi l’aspettiamo alla prova dei fatti e questi fatti ci mettono di fronte a scelte molto concrete, che non possono rimanere vaghe e sulle quali il nostro Parlamento dovrà decidere se rimanere silenzioso e disciplinato o se essere il luogo dove si agisce in nome di un interesse e di un valore europeo, oggi quasi perso dietro ai balletti diplomatici e alle ragioni di Stato. Questa è la responsabilità della nostra Istituzione: essere una tribuna di discussione europea e delle proposte per l’Europa democratica. In questo senso, signor Presidente, il contributo della nostra Istituzione alla soluzione dell’impasse costituzionale non può semplicemente essere – come lei ha detto, ripetendo letteralmente e sicuramente non per caso quanto affermato dalla signora Merkel di fronte a noi – “salvare la sostanza della Costituzione”. Non ci possiamo accontentare di “salvare la sostanza della Costituzione” in modo semplicemente declamatorio.

Noi dobbiamo fare urgentemente due cose che nel passato, sotto la sua presidenza del PPE-DE e sotto la presidenza del collega Schulz, questo Parlamento non ha potuto e saputo fare – no, mi riferisco ai due presidenti dei gruppi maggioritari – e cioè, in primo luogo, trovare un accordo su che cosa fare esattamente, come Parlamento, in piena autonomia, in merito alla Costituzione e, in secondo luogo – più importante – batterci perché il Parlamento europeo mantenga il suo ruolo costituzionale, conquistato con la Convenzione. Se ci sarà da discutere di un calendario o di una proposta, noi vogliamo agire, signora Merkel, Presidente Poettering, in qualità di codecisori e non di osservatori. Presidente Poettering, io voglio vederla battersi per questo diritto del Parlamento.

(Applausi)

Presidente, lei ha parlato di valori e ha citato casi concreti che sono condivisibili riguardo al tema, importantissimo per la nostra Istituzione, della difesa dei diritti delle persone. Ha parlato anche di tolleranza, una parola che lei ama molto. Le dirò per conto mio che a me questa parola, ogni tanto, preoccupa, perché dietro la parola “tolleranza” sono stati commessi – tollerati per l’appunto – crimini e lesioni ai diritti degli individui, che non possiamo assolutamente dimenticare. Ecco perché noi preferiamo parlare di “diritti comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne”, che sono e devono rimanere uguali per tutti.

Parlare dei rapporti con la Russia significa introdurre il tema della Cecenia e, responsabilmente, aprire un dibattito sulla diminuzione della dipendenza energetica, sapendo criticare duramente quei paesi – e ce ne sono molti – che corrono in ordine sparso alla corte dello “zar” Putin. Nel dialogo con gli Stati Uniti non si potranno dimenticare la pena di morte in vigore in quel paese, i voli della CIA, la questione dei dati dei passeggeri, la guerra preventiva. Infine, la difesa dei diritti delle persone non potrà dimenticare, anche attraverso delle piccole risoluzioni d’urgenza, la difesa di quegli individui che da soli, persi in qualche prigione o qualche foresta, li difendono. Parlare di sicurezza, Presidente – lei ne ha parlato a lungo, a nome del nostro Parlamento – non può far passare in secondo piano le risoluzioni approvate a favore del disarmo e di un codice di condotta sugli armamenti.

Presidente, noi saremo molto attivi nel lavoro della riforma interna. Ci sono due temi che lei non citato e che mi sembrano fondamentali: il primo è il dibattito sulla sede. Io spero che lei personalmente e i gruppi parlamentari avrete il coraggio di tenere, in questa sede, una discussione sulla sede del Parlamento europeo. Magari la casa della storia europea potrà benissimo essere qui, in questo bellissimo palazzo. Chi lo sa? Penso però che sia importante che lei prenda veramente l’iniziativa di affrontare il problema di dove il Parlamento debba riunirsi.

Il secondo tema – so benissimo che dovrò lavorare duramente per convincerla – è quello di fare in modo che questa istituzione diventi più verde, non dal punto di vista politico ma dal punto di vista della sua sostenibilità ecologica. Io riuscirò a convincerla, ne sono assolutamente certa, giacché oggi come oggi lo spreco di risorse perpetrato anche da questa Assemblea in termini di acqua, luce ed automobili di servizio, è qualcosa che, per essere fedeli ai nostri impegni sui cambiamenti climatici, non possiamo tollerare.

Vorrei rivolgermi brevemente, in conclusione, alla signora Merkel. Le sue proposte sulla burocrazia, sulla discontinuità, sulla better regulation ci lasciano piuttosto freddi e preoccupati. Il problema della burocrazia è più nazionale che europeo: di quante persone è composta la delegazione che l’accompagna oggi? E’ sicuramente più nutrita di quella che accompagna il Presidente Barroso e chi si lamenta delle troppe regole sono le multinazionali, non i cittadini, i quali dimostrano – stando alle successive inchieste Eurobarometro – di volere più leggi a loro difesa e non di meno! Infine, la proposta sulla discontinuità introduce in realtà alla sua istituzione la possibilità di boicottare e ritardare tutte le leggi che a voi non piacciono.

Presidente, le auguro pertanto buon lavoro e credo che ci divertiremo nei prossimi due anni.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Ringrazio molto l’onorevole Monica Frassoni. Per quanto riguarda i diritti umani, siamo sempre stati d’accordo.

Per quanto riguarda la questione della sede del Parlamento, ho riflettuto sull’opportunità di parlarne, ma sono giunto alla conclusione che non fosse opportuno.

 
  
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  Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori ex Presidenti, che mi ricordano tanti momenti passati insieme, signora Presidente del Consiglio, signor Presidente della Commissione, non capita spesso che abbiamo l’occasione di fare un passo indietro e la possibilità, anche se brevemente, di scambiarci pareri sull’intero periodo che ci separa dalle prossime elezioni europee.

Non è un segreto che il mio gruppo non condivide le opzioni politiche della maggioranza del Parlamento. Tuttavia riprenderò deliberatamente taluni punti chiave del suo discorso per fare alcune proposte concrete. Si tratta di misure limitate che non hanno niente di rivoluzionario, e penso in tutta sincerità che non occorra necessariamente essere simpatizzante della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica per riconoscerne la validità. Se il Presidente del Parlamento europeo le prendesse soltanto in considerazione, si invierebbe un segnale positivo a importanti frazioni dell’opinione pubblica; vorrebbe dire che sono state ascoltate.

Pertanto, riferendosi alle aspirazioni degli europei, lei ha sottolineato, signor Presidente: “dobbiamo preservare il modello sociale europeo” e, soprattutto, ha aggiunto: “le nostre azioni devono essere convincenti”. E’ essenziale per fugare un malessere profondo che si nutre dell’idea che l’Unione europea, invece di proteggere i cittadini dagli effetti dell’attuale globalizzazione, troppo spesso contribuisce a rendere sempre più insicura l’esistenza dei cittadini.

Per cominciare a fugare questo senso di inevitabilità, sarebbe opportuna un’azione significativa. Propongo, signor Presidente, di invitare Consiglio, Commissione e Parlamento a rinunciare a un progetto di direttiva che riguarda tutta la popolazione dell’Unione e che sembra così dogmatico, infondato e devastante per il futuro dei servizi pubblici che rischia di provocare un nuovo effetto Bolkestein se nulla cambia nei prossimi mesi; mi riferisco al progetto di liberalizzazione dei servizi postali dal 1° gennaio 2009, sei mesi prima delle prossime elezioni.

Più in generale, lei ha insistito su un’altra idea che considero molto giusta e molto importante. Lei dice che abbiamo bisogno di “un nuovo patto tra i cittadini e le Istituzioni dell’Unione europea” e, riguardo al futuro Trattato europeo, che “dobbiamo riformare l’Unione in profondità”. Tutti concordano su questa esigenza, ma le opinioni divergono sulla sostanza del futuro diritto fondamentale europeo.

Il Presidente Barroso si è appena rivolto ai Paesi Bassi dicendo: per favore aiutateci, tutti devono mobilitarsi. Le propongo un metodo che permetterà a tutti di mobilitarsi, per contribuire a rilanciare l’Europa. Il processo che sta per iniziare deve essere l’occasione per un vero dibattito pubblico su scala europea, un dibattito sincero, il più possibile vicino ai cittadini, sul senso dell’Europa a cinquant’anni dal Trattato di Roma, sulla finalità delle nostre politiche comuni, sugli impegni che siamo pronti ad assumerci insieme in futuro. Se il Presidente del Parlamento si prefigge il compito di realizzare tale iniziativa avrà soddisfatto da subito il suo mandato.

Infine, signor Presidente, lei ha formulato alcune sagge osservazioni sul dialogo interculturale e più in particolare sul Medio Oriente, dove conta di recarsi in visita appena possibile. Ciò non mi sorprende da parte sua e la ringrazio. In questo spirito, tra tutte le iniziative auspicabili da parte del Presidente del Parlamento, la più emblematica a mio parere, all’indomani dell’accordo quasi insperato della Mecca, in cui Hamas al completo si impegna a rispettare le risoluzioni internazionali e gli accordi siglati dall’OLP con Israele, sarebbe quella di chiedere formalmente all’Unione europea di togliere l’embargo imposto al governo palestinese e dare una nuova possibilità alla speranza di una pace giusta in una regione da molte generazioni martoriata dall’occupazione e dalla guerra.

So che nessuna di queste iniziative sarà facile da intraprendere, signor Presidente, tuttavia sono interventi tali che, se lei li realizzerà, la storia ne serberà memoria.

 
  
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  Presidente. – Grazie, onorevole Wurtz. Le sono grato per il rispetto che ci siamo sempre dimostrati.

 
  
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  Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (DA) Signor Presidente, Cancelliere Merkel, Presidente Barroso, stimati ex Presidenti del Parlamento, che ricordo con piacere dalla Conferenza dei presidenti, ora abbiamo come Presidente l’onorevole Poettering, che non vede l’ora di aumentare la dose di UE, anche se intelligentemente parla anche di sussidiarietà. Dovrebbe indire un referendum nel quale potrebbe convincere anche i suoi connazionali a votare a favore di una Costituzione con più leggi e regolamenti fatti a Bruxelles. Tremila regolamenti non sono sufficienti. Non basta che l’86 per cento delle leggi ratificate nel Bundestag tedesco sia emanato a Bruxelles. Ascolti l’avvertimento dell’ex Presidente tedesco Roman Herzog, che presiedette la Convenzione. Prenda atto dei risultati dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi. I francesi e gli olandesi hanno avuto l’occasione per votare a favore della Costituzione e l’hanno sprecata. L’insegnamento che ora ne viene tratto è che non dovremmo mai più svolgere un referendum. Anche l’ex Presidente del comitato europeo del Bundestag, Jürgen Meier, ha affermato nella Convenzione costituzionale che si potrebbe optare per un referendum volontario nel Bundestag, puntando a raggiungere una maggioranza. Perché non permettere ai tedeschi di esprimere la loro opinione sulla Costituzione che la Presidente e la Presidenza tedesca del Consiglio vorrebbero tanto vedere adottata?

I funzionari di Bruxelles e i giudici in Lussemburgo hanno un attaccamento patologico per il sovradimensionamento e temono la democrazia. Non hanno capito la moderna tendenza a snellire le organizzazioni, a decentrare le responsabilità e all’outsourcing. Ciò che è sufficiente per le imprese non lo è altrettanto per l’UE. Bruxelles non deve cedere spazio agli Stati membri o ai cittadini. Le leggi sono molto migliori se formulate da 3 000 gruppi di lavoro segreti in seno alla Commissione e adottate da 300 gruppi di lavoro segreti in seno al Consiglio dei ministri, oltre che da 15 000 lobbisti professionisti. Lunga vita alla tecnocrazia in un’Unione europea corporativa! L’onorevole Mussolini può ripensare con orgoglio alla dedizione di suo nonno per il corporativismo. Agli elettori si può permettere di andare alle elezioni ogni cinque anni e votare a favore di qualcuno che non può proporre né adottare leggi. I rappresentanti eletti possono solo consigliare la Commissione presentando emendamenti. Attualmente tutto si riduce a questo, e una simile mentalità è anche al centro della Costituzione – ma in molti più settori.

Se qualcosa non può essere adottato dai ministri e dai funzionari del Consiglio, c’è sempre la possibilità di adire la Corte di giustizia in Lussemburgo con proposte di cui né l’elettorato, né i parlamenti nazionali né i governi sapranno niente. Sanzioni adottate all’unanimità in relazione a questioni ambientali sono ritenute illegali perché i giudici vogliono vedere tali sanzioni adottate attraverso processi decisionali a maggioranza, tenendo tutto sotto controllo. Sancito nei Trattati e nel progetto di Costituzione, il diritto di proprietà è chiaramente una questione di competenza degli Stati membri. Tuttavia, l’obbligo imposto agli agricoltori di risiedere nella propria azienda agricola è giudicato illegale, nonostante il verdetto unanime del parlamento danese che stabilisce il contrario. Gli elettori e i parlamenti sono considerati incapaci e le aziende a conduzione familiare sono ritenute superate. Mettiamo invece un gruppo di boriosi Junker in stile prussiano a gestire l’agricoltura in tutta l’UE. Gli agricoltori non sono abbastanza capaci, né sono sufficienti i contratti collettivi tra lavoratori e datori di lavoro, il diritto penale, i giudici nazionali o gli elettori. I grandi personaggi dell’Unione europea ne sanno molto di più.

Abbiamo registrato molte piccole vittorie per l’apertura e il Bundestag a Berlino ha introdotto le migliori regole per il vaglio dell’UE. Ora è giunto il tempo in cui la triplice divisione del potere in apertura, prossimità e democrazia deve governare l’intera Unione. Non ci devono più essere leggi che non possano essere emendate dai rappresentanti eletti. Non ci devono più essere leggi che non possano essere modificate dagli elettori alle prossime elezioni. Non ci devono più essere trattati e costituzioni che non siano stati approvati dagli elettori con referendum tenuti in tutta l’UE, preferibilmente nello stesso giorno.

Il Presidente ha menzionato la nostra strumentazione di votazione elettronica. Ricordo con affetto quando venne introdotto il nuovo sistema della Olivetti. Mi piacerebbe ritornare a quel sistema, perché così potrebbero davvero essere adottate le mie proposte.

 
  
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, coloro che conoscono meno i dettagli – in particolare i nostri ospiti nelle tribune – forse non sanno che in Danimarca le elezioni si svolgono di giovedì invece che di domenica e l’onorevole Bonde porta sempre tale circostanza a dimostrazione del fatto che egli è deputato al Parlamento europeo da più tempo, anche se è sbagliato in termini legali, poiché lui e io siamo entrambi diventati eurodeputati il 17 luglio 1979.

La sua continua insistenza su questo punto, comunque, mi fa sperare che non sia così del tutto privo di considerazione per l’Unione europea e per il Parlamento se asserisce così prontamente che – secondo la sua interpretazione – siede in Parlamento da più tempo di chiunque altro.

 
  
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  Bruno Gollnisch, a nome del gruppo ITS. – (FR) Signor Presidente, ex Presidenti, signora Cancelliere, signor Presidente della Commissione, il Presidente del Parlamento ha appena descritto con grande abilità un programma politico che ci si sarebbe forse aspettati da un Presidente del Consiglio europeo o addirittura della Commissione, più che da un Presidente del Parlamento nella sua funzione arbitrale.

Tenuto conto delle dinamiche di gruppo che spesso prevalgono nelle istituzioni, il suo discorso, signor Presidente, sulla volontà dei popoli riflette probabilmente l’opinione della maggioranza di questa Assemblea. Mi permetterà tuttavia di esprimere quello che i giuristi anglosassoni chiamano un parere dissenziente.

Lei ha parlato dell’insuccesso “provvisorio”, come lei ha detto, del progetto di Costituzione europea in Francia e nei Paesi Bassi, come se si trattasse solamente di un incidente di percorso limitato a due Stati. Ma tutti sanno, o dovrebbero sapere, che se questo progetto fosse stato proposto direttamente ai popoli degli Stati membri e non solo ai membri dei parlamenti nazionali, il rifiuto di questo testo, con ogni probabilità, sarebbe stato molto più vasto.

Allora, bisognerebbe sapere una volta per tutte perché, quando i popoli si esprimono liberamente contro il pensiero dominante, si ripresentano loro all’infinito i piatti che non hanno voluto mangiare. E perché, in compenso, quando si sono pronunciati in conformità con la corrente dominante, si insiste sul fatto che il loro impegno sarebbe definitivo, irrevocabile, perpetuo, così che non avrebbero il diritto di fare marcia indietro.

Nel suo discorso lei ha menzionato parecchi elementi importanti della nostra tradizione europea, tra i quali quattro in particolare: la filosofia greca, il diritto romano, la spiritualità giudeo-cristiana e l’Illuminismo. Ma una parte essenziale del problema è proprio questa: quanto è fedele l’Unione europea a questi elementi del suo patrimonio intellettuale, morale e spirituale?

L’Unione europea oggi è ispirata ai valori cristiani o a un edonismo generale che prepara la distruzione di questi stessi valori, in nome di un’ideologia dei diritti dell’uomo, sempre imperiosa, ma sempre a geometria variabile?

La struttura e il funzionamento dell’Unione sono retti dall’esigenza di chiarezza e di semplicità della filosofia greca e dalla tradizione politica ellenica di partecipazione diretta dei cittadini agli affari della città Stato o, al contrario, stiamo assistendo alla creazione di una struttura pesante, centralizzata, destinata a essere presto superata, che pretende di governare quasi 500 milioni di europei trascurando, in pratica, le loro differenze?

La legislazione dell’Unione europea si ispira alla precisione e alla concisione del diritto romano o si tratta di un’accozzaglia di migliaia di testi oscuri, verbosi, restrittivi anche nei dettagli? Siamo davvero rispettosi della tradizione di dibattito pubblico che ci hanno lasciato i greci e i romani? In quanto all’Illuminismo, non vi nascondo la nostra inquietudine quando abbiamo sentito, il mese scorso, il Cancelliere, signora Merkel, dopo avere citato abbondantemente Voltaire in questa sede, dirci poi, non letteralmente, certo, ma in sostanza, che non ci deve essere tolleranza per i nemici della tolleranza, un’affermazione che ci rimanda alle parole del rivoluzionario francese Saint-Just dinanzi al tribunale rivoluzionario che instaurò il Terrore: “nessuna libertà per i nemici della libertà”.

In conclusione, l’Europa è l’unica regione nella storia dell’umanità che ha inventato la libertà e l’uguaglianza delle nazioni. E’ la regione nella quale i popoli sono sempre insorti contro i tentativi egemonici, il che spiega la loro attuale diffidenza riguardo alle derive dell’Unione. Non abbiamo bisogno di un superstato eurocratico per garantire reciprocamente la sicurezza delle nostre nazioni e delle nostre frontiere, per avviare progetti dettagliati di cooperazione nel campo industriale, culturale o della ricerca, per proteggerci ragionevolmente dai flussi migratori o dalle importazioni di prodotti fabbricati a prezzi infimi che rovinano le nostre industrie. Gli strumenti del diritto internazionale bastano ampiamente a questo compito. Dobbiamo ritrovare il vero spirito dell’Europa e il diritto proprio degli europei.

 
  
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  Irena Belohorská (NI).(SK) Signor Presidente, anzitutto le porgo le mie sincere congratulazioni per la sua elezione a Presidente del Parlamento europeo, che è la più democratica e, al tempo stesso, una delle più importanti Istituzioni europee. Lei è diventato il primo Presidente del Parlamento europeo dopo l’adozione e l’attuazione del Trattato di Nizza. Attualmente, l’Unione europea comprende 27 Stati membri. Non è casuale il mio riferimento a questo fatto, poiché l’esperienza politica dimostra che l’attuazione di un trattato è seguita dai preparativi per un altro. Due anni di esitazione senza alcun progresso riguardo al Trattato costituzionale hanno danneggiato l’idea di un’Europa unita. Lei sta assumendo l’incarico in un momento in cui la Germania, uno degli Stati membri fondatori, detiene la Presidenza dell’Unione europea, e mi aspetto perciò che lei decida ciò che occorre fare riguardo al Trattato costituzionale. La maggior parte degli Stati membri ha deciso di appoggiare il Trattato costituzionale ed è disposta a proseguire nella realizzazione della visione di un’Europa unita e questa volontà non può essere ignorata a causa della posizione negativa adottata da due degli Stati membri.

Apprezzerei una riflessione da parte del Parlamento europeo, dopo l’elezione del suo Presidente, in merito all’introduzione di nuove regole o alla revisione del Regolamento vigente. Io ho rispettato l’accordo verbale concluso in passato dai due grandi gruppi politici riguardo all’elezione del Presidente del Parlamento europeo. Tuttavia, un sistema democratico dovrebbe permettere anche l’elezione di un candidato appartenente a un gruppo politico più piccolo. Sono sicura che in quest’Assemblea sono presenti molte persone eccellenti e capaci anche nei gruppi politici minori.

Signor Presidente, spero sinceramente che durante il suo mandato sosterrà il maggiore coinvolgimento da parte dei dodici nuovi Stati membri nella formulazione delle politiche europee. Esaminando come i nuovi Stati membri sono rappresentati attualmente nelle commissioni del Parlamento europeo, non posso che sentirmi delusa. Si può constatare un’analoga discriminazione contro i nuovi Stati membri se si considera il numero di cittadini di questi paesi assunti dal Parlamento europeo. Non è solo rilevante l’aspetto meramente numerico, ma anche le posizioni che ricoprono queste persone. Vi sono cittadini dei nostri paesi che spesso hanno due lauree, esperienze di lavoro all’estero e una buona padronanza di tre delle 15 lingue dell’UE, ma svolgono mansioni di segreteria, assistendo superiori le cui qualifiche accademiche e competenze linguistiche sono talvolta significativamente inferiori alle loro. Ad esempio, mi riferisco alla procedura nota come concorso interno per posti di segreteria, che si è svolta l’anno scorso ed è servita come base per assegnare circa 50 impiegati provenienti dai nuovi Stati membri a lavori di segreteria. Tutte queste persone sono laureate e lavorano attualmente ai livelli B e A, ma percepiscono retribuzioni a livello di segreteria. L’Unione europea sta risparmiando, poiché viene svolto un lavoro specializzato per un salario minimo, ma mi chiedo se questo rappresenta una forma di giustizia e di non discriminazione. La non discriminazione comprende anche l’uguaglianza di genere, un tema di cui si discute tanto spesso in questa sede. Abbiamo persino una commissione appositamente designata per occuparsi di tale questione, ma siamo in ritardo quanto all’applicazione.

In conclusione, signor Presidente, le auguro ogni successo nel suo ruolo di Presidente del Parlamento europeo. Ho personalmente grande stima per lei, per il suo ricco curriculum e la sua esperienza nella politica europea, e credo che lei sarà un valido e giusto amministratore degli affari pubblici.

 
  
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  Presidente. – Desidero ringraziarla, onorevole Belohorská, per le gentili osservazioni che ha formulato a titolo personale.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Katalin Lévai (PSE), per iscritto. – (HU) Accolgo con grande soddisfazione i discorsi del Presidente Poettering e del Cancelliere Merkel.

Citando Robert Schuman, possiamo affermare: “la storia dell’integrazione europea è fondamentalmente una storia di successo”. Un fallimento del processo costituzionale metterebbe a rischio la continuazione di questa storia di successo. Se non riusciamo a creare un’Unione più efficiente e più democratica, più vicina ai cittadini, si comprometterà seriamente il successo della strategia di Lisbona, la creazione di un’Europa più competitiva che nondimeno preserva i suoi valori sociali. Ritengo che un importante elemento sia la creazione di una legislazione più trasparente, più unificata, che possa promuovere lo sviluppo delle piccole e medie imprese a livello europeo e contribuire così alla creazione di posti di lavoro.

Anche aumentare la competitività è indispensabile per evitare che l’Europa sia costretta a interpretare il ruolo di “gigante economico-nano politico” nella politica mondiale. Oggi è forse più importante che mai per i valori europei, i diritti umani, la democrazia, lo Stato di diritto e le pari opportunità essere rappresentati a livello globale. Ciò vale specialmente nell’anno delle pari opportunità, durante il quale a livello sia europeo che nazionale dobbiamo compiere sforzi per aiutare chi è svantaggiato.

Seppure accolga con soddisfazione l’importanza data all’integrazione dei migranti, vorrei aggiungere riguardo alla loro situazione che non dobbiamo dimenticare la minoranza più consistente e forse più svantaggiata in Europa, i rom. Anche a tale riguardo dobbiamo abbattere l’immaginario muro di Berlino economico e sociale. Vorrei porre un accento particolare sulla protezione di donne e bambini, che sono i più vulnerabili e subiscono una doppia discriminazione.

Riguardo allo Stato di diritto, desidero ricordare che l’Unione è fondamentalmente basata su principi giuridici e il suo funzionamento presuppone che ogni cittadino ne rispetti le leggi. I deputati al Parlamento europeo devono essere i primi a rispettare le nostre leggi – altrimenti daremo un cattivo esempio a tutti i cittadini d’Europa.

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 12.05, riprende per il turno di votazioni alle 12.10)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LUIGI COCILOVO
Vicepresidente

 

4. Turno di votazioni

4.1. Abrogazione della direttiva 68/89/CEE relativa alla classificazione del legname grezzo (votazione)

4.2. Abrogazione della direttiva 71/304/CEE relativa agli appalti di lavori pubblici (votazione)
  

Prima della votazione

 
  
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  Arlene McCarthy (PSE), relatore. – (EN) Signor Presidente, vorrei solo richiamare l’attenzione dell’Assemblea su un emendamento tecnico da introdurre a norma dell’articolo 155 del Regolamento. Nella proposta della Commissione è stata fatta un’omissione tecnica all’articolo 2, che riguarda la trasposizione della proposta. Non è indicata una data precisa per la trasposizione negli Stati membri. Propongo quindi, a norma dell’articolo 155 del Regolamento, di aggiungere “[18 mesi dopo la data di pubblicazione]”, quale data per la trasposizione. E’ necessario specificare la data. Propongo agli onorevoli colleghi che questo sia adottato come emendamento tecnico.

 

4.3. Programma d’azione comunitaria per la promozione di azioni nel settore della tutela degli interessi finanziari della Comunità (programma “Hercule II”) (votazione)
  

Dopo la votazione

 
  
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  Herbert Bösch (PSE), relatore.(DE) Signor Presidente, non è molto utile che io intervenga dopo la votazione, per cui devo chiederle di essere più attento in futuro. Vorrei ringraziare sia la Presidenza tedesca sia la Presidenza finlandese che l’ha preceduta. Abbiamo portato a termine questo dossier in una sola lettura e nei prossimi anni spenderemo circa 100 milioni di euro per la lotta alle frodi. Questo è ciò che volevo dire all’Assemblea.

 

4.4. Modifica delle modalità di esecuzione del regolamento finanziario (votazione)
  

Prima della votazione

 
  
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  Ingeborg Gräßle (PPE-DE), relatore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho chiesto la parola perché devo informare l’Assemblea di una situazione allarmante nei negoziati tra il Consiglio e la Commissione. Avete di fronte una delle ultime possibilità per la Commissione Barroso di compiere progressi verso una dichiarazione di affidabilità positiva senza riserve.

Abbiamo osato riprendere le proposte della Commissione stessa e includerle in questa relazione. La Commissione tenta ora di respingerla senza proporre alternative. Chi, con l’inazione, oggi ostacola la semplificazione, un migliore recupero dei fondi erogati illecitamente e un controllo più efficace, garantisce che nell’aprile 2009 la Commissione otterrà un pessimo voto per la sua gestione. Nella procedura di discarico, solo due mesi prima delle elezioni europee, saremo alle prese con un bilancio particolarmente carente per il 2007, il primo delle nuove prospettive finanziarie. Se le nostre proposte non saranno accettate, la Commissione e il Consiglio, tirando il freno, offriranno agli euroscettici un valido argomento per il 2009.

Purtroppo, il Consiglio è in rotta di collisione, soprattutto dall’inizio della Presidenza tedesca. Invece di organizzare la pubblicazione degli aiuti e dei loro beneficiari su una base comune – come era già stato deciso – il Consiglio ha sorpreso tutti dicendo semplicemente “no”, senza fornire alcuna spiegazione, sia a questo sia per quanto riguarda gli aiuti a favore della ricerca e dello sviluppo, quindi all’intera amministrazione congiunta diretta e internazionale. In tal modo, il Consiglio semina zizzania in Europa perché, senza uniformazione, ognuno può fare o non fare ciò che vuole, e noi continuiamo ad assistere alla perdita di fiducia da parte dei contribuenti europei.

Il Consiglio priva questa Commissione di trasparenza, che è stato il suo successo più visibile nell’ambito del bilancio e non ha alcun valore se non assume forma concreta. Invito la Commissione e la Presidenza del Consiglio ad assumere con la massima urgenza le loro responsabilità per quanto riguarda il progetto giuridico e a unirsi a noi nell’opera di semplificazione e riduzione della burocrazia. Onorevoli colleghi, le proposte sono sul tavolo davanti a voi e vi invito caldamente ad approvarle.

(Applausi)

 

4.5. Infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità (INSPIRE) (votazione)

4.6. Revisione della direttiva quadro sui rifiuti (votazione)
  

Prima della votazione sull’emendamento n. 183

 
  
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  Bairbre de Brún (GUE/NGL). – A Uachtaráin, ar an drochuair bhí meancóg cló ag 183 nuair a chuireamar isteach é agus ní fhacamar é go dtí an bomaite deireanach. In ionad na dátaí 2012 - 2015 ba chóir go mbeadh na dátaí 2009 - 2012, in (a) agus (b). Tá mé buartha faoin mheancóg.

(EN) Mi spiace, vi è stato un errore di presentazione. L’Ufficio per la presentazione dei testi ne è a conoscenza. Ai punti (a) e (b) dovrebbe figurare il periodo “2009-2012” al posto di “2012-2015”.

Mar sin de ba mhaith liom leasú béil a mholadh faoin mheancóg cló a leasú in 183.

 
  
  

L’emendamento orale è accolto

 

4.7. Strategia tematica per il riciclaggio dei rifiuti (votazione)

4.8. Ruolo delle donne nella vita sociale, economica e politica turca (votazione)
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  Presidente. – Ciò conclude il turno di votazioni.

 

5. Dichiarazioni di voto
  

– Relazione McCarthy (A6-0017/2007)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Non è nostra intenzione pronunciarci sulla validità o meno della presente decisione di revocare la direttiva 68/89/CEE, anche se in linea di massima abbiamo le nostre riserve sulla propensione della Commissione ad armonizzare. In effetti, il nostro punto di vista è condiviso dalla maggior parte delle imprese e degli Stati membri che affermano di non applicare questa direttiva. D’altra parte è importante dare un giudizio sul processo in cui essa s’inquadra, segnatamente sull’iniziativa “Legiferare meglio”, che, sotto l’apparenza della semplificazione, costituisce in pratica una politica di deregolamentazione del mercato a livello nazionale e comunitario.

La giustificazione della Commissione non lascia spazio a dubbi: “Legiferare meglio è d’importanza cruciale per migliorare la competitività delle imprese europee e realizzare gli obiettivi dell’agenda di Lisbona”. L’obiettivo, per la Commissione, è tagliare “costi e ostacoli superflui che intralciano l’adeguamento e l’innovazione” e mettere in “pratica gli incentivi giusti e le condizioni di base del mercato affinché le imprese si evolvano”. In altre parole, lo scopo del “legiferare meglio” consiste nel beneficare le imprese piuttosto che tutelare i diritti lavorativi, sociali e ambientali dei consumatori. E’ a questo che ci opponiamo. Non vogliamo che questo procedimento conduca all’abrogazione di qualunque normativa che metta in forse il concetto che la concorrenza e i profitti delle imprese sono di primaria importanza e al di sopra di ogni altra considerazione.

 
  
  

Relazione Bösch (A6-0002/2007)

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. – (PL) Voto a favore della relazione sulla proposta di decisione del Parlamento e del Consiglio che modifica e proroga la decisione n. 804/2004/CE del Parlamento e del Consiglio del 21 aprile 2004 che istituisce un programma d’azione comunitaria per la promozione di azioni nel settore della tutela degli interessi finanziari della Comunità (programma Hercule II).

L’onorevole Bösch ha presentato una buona relazione. Le modifiche nel preambolo rispecchiano meglio i criteri e gli obiettivi di questo regolamento. L’emendamento proposto fornisce strumenti migliori per realizzare il piano d’azione e permette di controllarne più efficacemente la corretta attuazione. Lo stanziamento per il programma Hercule II di ulteriori 67 milioni di euro annui avrà effetti significativi sulla lotta al contrabbando e alle contraffazioni.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Appoggio il programma Hercule II e l’opera che svolge per la prevenzione, l’identificazione e la lotta alle attività che ledono gli interessi finanziari della Comunità. Il tipo di frode che il programma combatte va contrastato per preservare l’imponibile fiscale degli Stati membri.

 
  
  

Relazione Gräßle (A6-0007/2007)

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. – (PL) Voto a favore della relazione sulla proposta di regolamento della Commissione (CE, Euratom) che modifica il regolamento (CE, Euratom) n. 2342/2002, recante modalità di esecuzione del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio, che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee.

I relatori, gli onorevoli Gräßle e Pahor, hanno steso un’eccellente relazione e accolto numerosi emendamenti. Attuando il regolamento si conferirà più flessibilità e trasparenza al regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee. Si tuteleranno meglio gli interessi finanziari delle Comunità europee, dando contemporaneamente alla commissione per il controllo dei bilanci possibilità più trasparenti di valutare la corretta attuazione del bilancio comunitario nel capitolo di sua competenza.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Sostengo gli emendamenti presentati dalla relazione perché la funzione di bilancio del Parlamento riveste un’importanza vitale nel mantenimento del controllo democratico a livello europeo. Appoggio in particolare gli emendamenti volti a migliorare il confronto tra la volontà politica espressa nelle osservazioni del Parlamento sul bilancio e l’effettiva applicazione.

 
  
  

Relazione Brepoels (A6-0021/2007)

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, il sistema di dati INSPIRE rappresenta una conquista ragguardevole per noi in Europa perché per ogni politica, particolarmente in campo ambientale, ci occorrono informazioni territoriali confrontabili tra loro; perciò vorrei ringraziare anch’io la relatrice, onorevole Brepoels, per aver negoziato un ottimo compromesso che costituisce l’unico modo per consentire al pubblico di informarsi sugli incombenti pericoli ambientali e di usufruire dei sistemi che stiamo istituendo in Europa. INSPIRE sta fornendo un contributo essenziale in questo senso.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione perché varerà una politica di gestione dei rifiuti che ci sarà d’aiuto nel conseguire il nostro obiettivo di ridurre i rifiuti e tutelare l’ambiente. Dobbiamo proteggere l’ambiente a livello comunitario, e la relazione costituisce un tentativo in questo senso, soddisfacendo le priorità che penso dovremmo avere per quanto riguarda il nostro ambiente: ridurre la produzione di rifiuti non riutilizzabili o non riciclabili, responsabilizzare i produttori e gli importatori relativamente ai rifiuti, evitare la riclassificazione degli inceneritori a recupero di energia per lo smaltimento dei rifiuti e introdurre come requisito lo sviluppo di programmi di prevenzione nazionale dei rifiuti.

 
  
  

– Relazione Jackson (A6-0466/2006)

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, due cose rivestivano particolare importanza per noi austriaci per quanto riguardava la revisione di questa direttiva quadro sui rifiuti. Una era il regime specifico per i rifiuti organici, perché sia noi che la Germania disponiamo di sistemi di trattamento che funzionano ottimamente e vanno perciò mantenuti. Al contempo, però, invitiamo la Commissione a lavorarci ulteriormente per realizzare un sistema esteso a tutta l’Europa. La seconda cosa che ci interessava erano i rifiuti di catering e trattorie che, dopo un trattamento adeguato, possono essere riutilizzati nella suinicoltura. E’ importantissimo che questi e simili flussi alimentari siano trattati correttamente.

 
  
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  Andreas Mölzer (ITS). – (DE) Signor Presidente, in virtù di un processo lento ma sicuro, la società sta riconsiderando il suo approccio riguardo ai rifiuti; tuttavia, poiché sono sempre di più i paesi che vogliono smaltire i vecchi rifiuti e i proprietari degli impianti che vogliono evitarne il sovraccarico, l’immondizia viene trasportata da un capo all’altro dell’Europa. Anche se ormai prestiamo attenzione all’ambiente, di tanto in tanto ci accorgiamo che ci sono pecore nere che, di nascosto o sfacciatamente, eliminano i rifiuti in modo abusivo o pretendono denaro per costosi smaltimenti che non hanno realmente effettuato.

Ciò danneggia non solo lo spazio vitale che tutti condividiamo, ma costa molto denaro allo Stato e ai comuni; dobbiamo pertanto occuparcene più energicamente. Dobbiamo inoltre lavorare di più per sensibilizzare il pubblico perché alcuni cittadini, per via delle loro scarse cognizioni, smaltiscono cose come i farmaci in modo sbagliato. Inutile dire che dobbiamo fare di più in merito al riciclaggio e che l’Unione e i suoi Stati membri devono dare il buon esempio sotto questo aspetto. Non va poi dimenticato che lo stoccaggio dei rifiuti nucleari è un problema che non è stato ancora risolto, e questa è una ragione in più per astenersi dal costruire altre centrali atomiche.

 
  
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  Liam Aylward, Brian Crowley, Seán Ó Neachtain e Eoin Ryan (UEN), per iscritto. – (EN) Noi e la delegazione del Fianna Fail al Parlamento abbiamo votato a favore di una proposta più incisiva della Commissione in materia di rifiuti, una proposta che favorisca la gerarchia articolata in cinque sezioni e dia il rilievo necessario alla prevenzione e alla riduzione dei rifiuti, nonché al riutilizzo, al riciclaggio, al recupero e quindi allo smaltimento sicuro ed ecologico dei rifiuti in quest’ordine di priorità.

Abbiamo votato a favore della richiesta di obiettivi vincolanti per gli Stati membri al fine di stabilizzare la produzione di rifiuti anticipando al 2008 i livelli previsti per il 2012 e di sostenere la richiesta del Parlamento di un maggiore riutilizzo e riciclaggio allo scopo di ridurre la pressione sulle discariche, di far adottare agli Stati membri le misure necessarie per garantire che, ove sia possibile, tutti i rifiuti siano sottoposti a operazioni di recupero, di prendere provvedimenti al fine di promuovere il riciclaggio e istituire regimi di raccolta differenziata, nonché di andare, entro il 2020, verso una società del riciclaggio in cui il 50 per cento dei nostri rifiuti solidi comunali vadano riciclati oltre ai rifiuti biodegradabili e a quelli industriali.

La distinzione tra recupero e smaltimento è una questione importantissima. Abbiamo votato a favore degli emendamenti che distinguono chiaramente tra recupero e smaltimento e abbiamo votato contro gli emendamenti che riclassificherebbero le unità di smaltimento come unità di recupero.

 
  
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  Bernadette Bourzai (PSE), per iscritto. – (FR) Vorrei complimentarmi con la relatrice e con la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare per l’eccellente lavoro che hanno compiuto.

Dobbiamo davvero intervenire, perché le politiche di gestione dei rifiuti non sempre fanno progredire la causa del riciclaggio e del compostaggio. Purtroppo, lo smaltimento e l’incenerimento rimangono le procedure più diffuse per lo smaltimento dei rifiuti.

Sono favorevole alla gerarchia dei cinque livelli applicabili alla gestione dei rifiuti (prevenzione, riutilizzo, riciclaggio, recupero e smaltimento) perché, a mio avviso, l’obiettivo della riduzione dei rifiuti dev’essere prioritario e occorre dunque privilegiare una politica di prevenzione degli stessi. Sono favorevole, per esempio, all’introduzione dell’etichettatura dei prodotti finalizzata allo sviluppo di un consumo ecologico.

L’esclusione della terra di riporto dall’elenco dei rifiuti mi soddisfa per motivi di semplificazione. Nondimeno, ritengo necessario distinguere chiaramente tra riciclaggio e recupero e gestire le pratiche d’incenerimento per creare un recupero energetico vero e proprio, che non deve costituire un rischio per la salute umana né per l’ambiente.

Sostengo la proposta che, conformemente al principio “chi inquina paga”, chi produce rifiuti sia obbligato, in generale, ad assumersene la responsabilità.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La relazione solleva vari punti che sono, in certi casi, contraddittori. Da un lato si prefigge priorità in merito alla gestione dei rifiuti, enfatizzando la prevenzione, il riutilizzo, il riciclaggio e altre operazioni di recupero, e, dall’altro, in merito allo smaltimento dei rifiuti. Questo ci piace e speriamo che il testo definitivo rifletta in sostanza tale posizione.

Purtroppo, tuttavia, non sono stati approvati alcuni emendamenti positivi che erano stati presentati al fine di eliminare dalla classificazione il processo di incenerimento inteso come processo di recupero e di assicurare che il ricorso a questo metodo fosse automaticamente nullo, benché ne siano stati approvati altri di portata molto più limitata. Queste sono alcune delle contraddizioni.

Pertanto, nella fase negoziale che seguirà, dovremo prestare la massima attenzione alla procedura per controllare l’evolversi delle definizioni e i loro contenuti.

Per questo, in prima lettura, abbiamo dato la priorità agli aspetti che hanno migliorato la proposta originaria della Commissione. Il voto finale in seconda lettura, tuttavia, dipenderà dal chiarimento delle contraddizioni esistenti.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Voterò a favore della relazione Jackson sui rifiuti. E’ importante evitare di farci seppellire dalla proliferazione di imballaggi che la società dei consumi ci impone. Sono favorevole al massimo livello di riciclaggio possibile, ma non basta. Dobbiamo limitare il totale dei rifiuti generati prima di riciclarli. Per quanto possiamo cercare di fare, ci sarà sempre materiale da smaltire. Ammesso che lo smaltimento sia mantenuto a livelli minimi, non vedo problemi nel caso che parte di questo materiale venga bruciato. In Germania ho visitato impianti di cogenerazione, basati sull’incenerimento dei rifiuti, che sono meritevoli di apprezzamento. Avvalendoci di una gamma di provvedimenti anziché di una pianificazione unica valida per tutto aiuteremo il nostro pianeta e il nostro futuro.

 
  
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  Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Oggi ho sostenuto la relazione Jackson perché ha preso in considerazione le pressioni esercitate dalla commissione per l’ambiente con la sua posizione progressista per quanto riguarda la prevenzione e la gestione dei rifiuti. Sono particolarmente soddisfatta che il Parlamento abbia respinto la proposta della Commissione di riclassificare gli inceneritori comunali di rifiuti basati su certi criteri. Il Sinn Féin sostiene le comunità irlandesi che lottano contro l’imposizione di inceneritori pericolosi nelle loro comunità.

La relazione Jackson manda un segnale chiaro: il Parlamento appoggia i principi di una società del riciclaggio; gli Stati membri devono fare altrettanto. Anche l’inclusione del piano strutturato gerarchicamente in cinque sezioni e l’insistenza sull’obbligo da parte degli Stati membri di elaborare piani di prevenzione dei rifiuti sono bene accette. Mi dispiace, tuttavia, che non siano stati inclusi obiettivi più chiari e ambiziosi.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La questione dello smaltimento dei rifiuti riveste estrema importanza. Il dibattito deve incentrarsi sul concetto che gli eccessi di coloro che si fanno paladini dell’ambiente sfoceranno in una legislazione impraticabile e slegata dalla realtà. Tale inadeguatezza legislativa condurrà a sua volta al disinteresse per l’ambiente e lascerà un’eredità evitabile alle generazioni future.

D’altra parte, occorre essere consapevoli che, per buone che siano le nostre intenzioni di ridurre l’inquinamento, la realtà è che il miglioramento delle condizioni di vita nell’Unione, e invero in tutto il mondo, determinerà sempre un aumento dei consumi e, inevitabilmente, dei rifiuti. Perciò dobbiamo essere realisti e soprattutto cercare, come qui suggerito, di avere un ritorno positivo dal trattamento dei rifiuti, specialmente in termini di energia.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Meglio prevenire che curare. Questo adagio, che suona come una volontà di affrontare i problemi alla radice, si applica perfettamente alla politica europea dei rifiuti.

Come stanno dunque le cose? Tra il 1995 e il 2003, la produzione globale dei rifiuti è aumentata del 19 per cento, con una media di 3,5 tonnellate all’anno pro capite.

Se si aggiunge che viene riciclato meno del 20 per cento dei rifiuti, che nel 50 per cento dei casi i materiali al termine del loro ciclo di vita non vengono riciclati e finiscono disseminati in natura e che, inoltre, permettere la moltiplicazione degli inceneritori e dei rifiuti pericolosi per l’ambiente e la salute pubblica non costituisce una politica sostenibile, ne consegue che occorre ripensare tutta la filosofia della gestione dei rifiuti e ripensarla basandosi su tre assi principali: la progettazione ecocompatibile come priorità della politica di prevenzione dei rifiuti, dal momento che l’80 per cento dell’impatto ambientale si produce durante la fabbricazione e la lavorazione del prodotto; l’attuazione di una fiscalità ecologica dissuasiva e sfavorevole all’eccesso di imballaggi e ai prodotti ad alto consumo energetico; la chiusura di 10 000 discariche abusive presenti in Europa o il loro adeguamento in conformità alla direttiva europea del 2001 sulle discariche.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) Apprezzo la relazione in quanto affronta il problema comunitario dei rifiuti. Mi compiaccio che sia stato introdotto un obiettivo di stabilizzazione giuridicamente vincolante per la prevenzione dei rifiuti e che il principio della “gerarchia dei rifiuti” articolata in cinque sezioni non sia stato indebolito: prevenzione e riduzione dei rifiuti, loro riutilizzo, loro riciclaggio (attualmente se ne ricicla meno di un terzo), altre operazioni di recupero e, infine, loro smaltimento sicuro ed ecologico.

 
  
  

– Relazione Blokland (A6-0438/2006)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Come sappiamo, uno dei problemi della società moderna è la produzione dei rifiuti. Per tale motivo auspichiamo l’approvazione di questa relazione che mette in evidenza l’obiettivo primario della gestione dei rifiuti, ovvero la tutela dell’ambiente e della salute umana.

Vorremmo inoltre sottolineare l’approvazione della cosiddetta “gerarchia dei rifiuti”, ovvero l’enunciazione delle seguenti priorità d’intervento, che sono nell’ordine: prevenzione, riutilizzo, riciclaggio, altre operazioni di recupero come il recupero energetico e, infine, smaltimento. Conferendo maggiore importanza al tema della prevenzione si vuole ridurre il più possibile la produzione di rifiuti.

Non dimentichiamo, però, che, a causa dell’enorme quantità dei rifiuti prodotti attualmente, le misure applicabili finalizzate al riutilizzo, al riciclaggio e allo smaltimento sono inadeguate e insufficienti a rispondere alle esigenze.

La riduzione dei rifiuti è pertanto una questione fondamentale. Tuttavia, per raggiungere tale obiettivo occorre modificare gli standard di produzione e di consumo. Bisogna inoltre chiarire il problema e sensibilizzare in merito tutta la popolazione. Di conseguenza è necessario spiegare come verranno sostenuti i costi di gestione dei rifiuti e fornire garanzie per assicurare che l’“anello più debole della catena”, ovvero i consumatori, non sia quello che paga per tutti. Per questo riteniamo pericoloso il riferimento all’applicazione del principio “chi inquina paga”.

 
  
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  Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) In Grecia ci sono attualmente 3 500 discariche incontrollate. Circa la metà di esse inceneriscono i rifiuti, con gravi ripercussioni sull’ambiente e la salute pubblica. Il volume dei rifiuti è in aumento e, per la maggior parte, viene smaltito in discariche. D’altronde, il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti stazionano a un livello eccessivamente basso e il trasporto transfrontaliero illegale aumenta. Tutto ciò riguarda la maggior parte degli Stati membri ed è giustamente evidenziato nella relazione intitolata “Strategia tematica per il riciclaggio dei rifiuti”.

Purtroppo, anziché trovare soluzioni a questi problemi sociali, la Commissione si serve di obiettivi disorientanti e di definizioni fasulle, oltre a palesare la mancanza di obiettivi qualitativi e quantitativi, nel promuovere gli interessi – peraltro di grande rilevanza economica – dei costruttori e degli operatori di impianti d’incenerimento, mentre sappiamo che l’incenerimento produce inquinamento gassoso, rifiuti solidi nocivi e rifiuti liquidi tossici che contribuiscono all’effetto serra. Al tempo stesso, l’incenerimento frena il riciclaggio.

Questo conferma che l’Unione capitalista non può, per sua stessa natura, attuare una politica di gestione dei rifiuti basata sul criterio della tutela ambientale e della salute pubblica, perché tale approccio è incompatibile con la produzione incontrastata di profitti da parte del capitale.

Esprimiamo inoltre il nostro dissenso in relazione al principio “chi inquina paga” e al principio della “responsabilità del generatore di rifiuti” perché sono strumenti per sollevare dalle sue responsabilità l’inquinatore, che può di fatto inquinare impunemente pagando solo una pena pecuniaria.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione perché penso che dobbiamo realizzare una politica di gestione dei rifiuti che li riduca e protegga il nostro ambiente. Credo che la base della politica comunitaria dei rifiuti debba essere la tutela dell’ambiente e non consistere nell’agevolare il commercio dei rifiuti. Il principio “chi inquina paga”, il principio della responsabilità del produttore nella legislazione comunitaria in materia di rifiuti e l’applicazione di obiettivi concreti per la prevenzione sono aspetti importanti della relazione che mi trovano favorevole.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) La proposta di una direttiva separata sui fanghi di depurazione, una revisione della direttiva sugli inceneritori di rifiuti e le proposte sulla prevenzione degli stessi sono apprezzabili.

 
  
  

– Relazione Bozkurt (A6-0003/2007)

 
  
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  Philip Claeys (ITS). – (NL) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Bozkurt. Benché siano state tratte alcune conclusioni necessarie, in quest’Aula stiamo perdendo un’opportunità per esercitare un9effettiva pressione sul governo turco. I negoziati di adesione con la Turchia potrebbero essere utilizzati come leva per fare progressi nel campo dei diritti umani, in questo caso dei diritti delle donne; ma sembrerebbe che abbiamo preso scientemente la decisione di non farlo. In quest’aula c’è una maggioranza convinta che la Turchia debba poter aderire all’Unione ad ogni costo. Secondo la linea ufficiale, ovviamente, i negoziati con la Turchia possono essere sospesi in qualsiasi momento nel caso emerga che questo paese si sta chiaramente facendo beffe delle condizioni relative ai diritti umani. Tuttavia ci è parso chiaro non so quante volte che i negoziati non saranno mai sospesi. E’ una clausola che serve a un solo e unico scopo: tranquillizzare la maggioranza degli elettori europei che sono contrari all’adesione turca.

 
  
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  Françoise Castex (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione d’iniziativa dell’onorevole Bozkurt sul ruolo delle donne nella vita sociale, economia e politica della Turchia.

Benché il quadro giuridico relativo ai diritti della donna appaia nel complesso soddisfacente, la sua attuazione effettiva, a mio avviso, presenta ancora lacune: le violenze commesse contro le donne e, in particolare, i delitti d’onore e i matrimoni forzati devono essere sistematicamente oggetto di condanna.

Approvo la proposta della relazione che invita le istituzioni turche a costruire alleanze con tutte le espressioni – civili e sociali – della società per avviare campagne di sensibilizzazione sulle violenze commesse contro le donne e i bambini.

Mi compiaccio inoltre che sia stata approvata la raccomandazione inviata ai partiti politici turchi di includere, a partire dalle prossime elezioni del 2007, un maggior numero di candidate nelle liste elettorali.

Infine, mi rallegro per la richiesta fatta al governo turco di rendere obbligatorio l’accesso all’istruzione per le ragazze che non frequentano le lezioni perché ostacolate dalle loro famiglie.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Bozkurt perché consolida l’opinione che il governo turco debba adottare misure che permettano alle donne di svolgere un ruolo più importante nella vita sociale, economica e politica della Turchia, al di là dei progressi già compiuti.

La relazione dimostra che c’è ancora una lunga strada da percorrere in materia di tutela delle donne turche dalla violenza domestica e dai delitti d’onore, ed esorta inoltre il governo turco a costruire un maggior numero di rifugi per le donne vittime di violenze.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Votando a favore della relazione abbiamo voluto semplicemente associarci alla difesa dei diritti di tutte le donne turche anche nell’ambito dei negoziati di adesione tra la Turchia e l’Unione, nella cui agenda il tema cruciale del rispetto dei diritti umani, compresi quelli delle donne, è ai primi posti. Tuttavia non riteniamo che questo sia l’unico tema di cui tenere conto nei negoziati con la Turchia. E’ ben nota la nostra opposizione ai negoziati di adesione dal momento che la Turchia continua a occupare il nord di Cipro, cosa inammissibile. Pertanto non concordiamo su alcuni punti della relazione in esame.

Come recita la relazione approvata, benché il nuovo codice penale entrato in vigore nel giugno 2005 abbia sostanzialmente consolidato i diritti fondamentali delle donne turche, le direttive europee sull’uguaglianza di genere non sono ancora state trasposte integralmente. Deploriamo altresì che in certe parti del sudest della Turchia le ragazze non siano registrate alla nascita, cosa che ostacola la lotta contro i matrimoni forzati e i delitti d’onore, dal momento che le vittime non hanno un’identità ufficiale. Ci associamo inoltre alla richiesta fatta al governo turco di garantire alle donne appartenenti alla minoranza curda un uguale coinvolgimento nei programmi a favore dei diritti delle donne.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Condividiamo in toto l’idea che la Turchia, come altri paesi candidati, debba diventare uno Stato costituzionale democratico pienamente rispettoso dei diritti umani e della parità di genere.

Tuttavia molti singoli punti della relazione ci trovano contrari. Per esempio, è assurdo che il Parlamento proponga l’adozione di un sistema di quote obbligatorie che garantisca un’equa rappresentanza femminile nelle liste elettorali (paragrafo 41), che i partiti politici turchi si dotino di regole interne atte a garantire la presenza delle donne nei loro organi dirigenti a tutti i livelli (paragrafo 43) e che i partiti politici turchi includano un maggior numero di candidate nelle liste elettorali (paragrafo 44). L’Unione non impone questo tipo di requisiti ad altri paesi candidati o agli attuali Stati membri. E’ manifestamente assurdo che un paese candidato venga trattato diversamente a causa dell’imposizione di requisiti speciali. Inoltre, in conclusione, spetta ai singoli paesi decidere che tipo di misure occorra adottare per consolidare il ruolo delle donne nella società.

In base a quanto sopra esposto, abbiamo deciso entrambi di astenerci dalla votazione finale.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Io e i miei colleghi conservatori britannici sosteniamo l’adesione della Turchia all’Unione. Riteniamo inoltre importante che la Turchia, come tutti gli altri paesi candidati, soddisfi i criteri di Copenaghen.

Tuttavia la relazione sembra fissare le barriere all’adesione turca a un livello più alto rispetto a quelle poste ad altri Stati. Non possiamo suffragare un trattamento nei confronti della Turchia che sia diverso e meno ben disposto di quello riservato ad altri paesi candidati. Ovviamente la Turchia deve anche garantire che rispetterà i criteri di Copenaghen relativamente ai diritti delle donne e delle ragazze.

Abbiamo deciso di astenerci dal votare la relazione perché temiamo che il lungo elenco di richieste che essa contiene sia utilizzato politicamente dagli oppositori all’adesione turca alla Comunità. Per lo stesso motivo ci teniamo a fare presente che appoggeremo sforzi concreti intesi a migliorare la posizione delle donne in Turchia.

 
  
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  Rodi Κratsa-Τsagaropoulou (PPE-DE), per iscritto. – (EL) Noi deputati al Parlamento di Nuova democrazia abbiamo votato a favore della relazione Bozkurt, che tratta non solo della situazione problematica delle donne in Turchia in tutti i settori, ma anche delle misure che occorre prendere per adottare e applicare l’acquis comunitario nel paese candidato.

La Turchia deve continuare a profondere un impegno costante e multilaterale per tutelare i diritti umani delle donne eliminando la violenza, i delitti d’onore e la poligamia, nonché per abolire le discriminazioni nelle famiglie, nella vita sociale ed economica e in generale.

Ci siamo astenuti dal votare l’emendamento n. 15, ritenendo che esso non conferisca alcun valore aggiunto alla risoluzione.

E’ un fatto che la dimensione della parità costituisce parte dell’acquis comunitario, che il paese candidato deve adottare e applicare. Pertanto, il congelamento dei negoziati, come richiede l’emendamento in questione, ritarderebbe l’applicazione della parità tra i due sessi. Non dobbiamo dimenticare che c’è già una pressione in questo senso allo stato attuale dei negoziati. Vorremmo ricordare al Parlamento che l’apertura dei negoziati in merito al capitolo 19 sulla politica sociale e sull’occupazione, il quale fa direttamente riferimento alla discriminazione nei confronti delle donne, richiede sviluppi obbligati in Turchia e la sua osservanza da parte del paese, con obiettivi specifici al fine di promuovere la parità.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione perché cerca di valutare e proporre provvedimenti per l’evoluzione dei diritti delle donne in Turchia. E’ necessario cooperare con le autorità turche e la società civile per migliorare tali diritti, ed è questo che la relazione suggerisce. In particolare, alla luce della candidatura della Turchia all’adesione, il rispetto dei diritti umani, compresi quelli delle donne, deve diventare una priorità. Relativamente al rispetto dei diritti delle donne permangono problemi: la violenza contro le donne, inclusi i delitti d’onore; il basso livello di istruzione per donne e ragazze; il calo della loro partecipazione al mercato del lavoro. Sono felice di sostenere una relazione che riconosce la necessità di affrontare questi problemi e fornisce suggerimenti concreti su come riuscirci.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (PT) Matrimoni forzati, violenze domestiche, delitti d’onore, analfabetismo, eccetera: la situazione delle donne in Turchia non è un letto di rose. Secondo l’Unicef, ogni anno le famiglie impediscono a 700 000 ragazze di frequentare la scuola. Il tasso di occupazione tra le donne è inferiore al 25 per cento, quindi ben al di sotto del 55 per cento nell’Unione.

Sono cifre preoccupanti, mentre l’adesione della Turchia all’Unione suscita controversie. Per questo il Parlamento propone misure costruttive: valutazione dei progressi della Turchia in base a parametri; creazione di rifugi per le donne vittime di violenze; obbligo di registrare alla nascita tutte le bambine per impedire i matrimoni forzati; formazione delle forze di polizia e della magistratura nella prevenzione dei delitti d’onore al fine di incoraggiare l’apertura sistematica di inchieste e la pronuncia di condanne; sistema di quote obbligatorie per la partecipazione delle donne alla vita politica.

Non sono un’integralista in fatto di discriminazione positiva, ma sono convinta dell’utilità di misure provvisorie per la Turchia. Quel paese ha un evidente bisogno di donne che occupino posizioni di potere, che servano da modelli e determinino un cambiamento della mentalità tradizionale.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. – (SV) In occasione del voto sulla relazione dell’onorevole Bozkurt sul ruolo delle donne nella vita sociale, economica e politica della Turchia, ho scelto di votare a favore dell’emendamento inteso a sopprimere il paragrafo 41 avente per oggetto il sistema di quote. A mio avviso, il fatto che in Turchia non ci sia una maggior partecipazione delle donne alla politica rappresenta un grosso problema, ma secondo me un sistema di quote non è la soluzione giusta a questo problema.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) L’inizio dei colloqui con la Turchia sull’adesione alla Comunità è un fatto positivo. Tuttavia i diritti delle donne vanno attentamente monitorati. Occorre discutere il caso delle bambine nel sudest della Turchia che non sono state registrate alla nascita. Tutte le nascite devono essere registrate ufficialmente, a prescindere dal genere. Per quanto riguarda le donne in politica, si potrebbe fare di più per incoraggiare, educare e aiutare le donne che rivestono una carica elettiva. Tuttavia dobbiamo ricordare che nell’Unione ci sono ancora paesi in cui la rappresentanza femminile nella politica nazionale è inferiore alla media. Nel Regno Unito ci vorranno 200 anni prima che le donne siano equamente rappresentate nella Camera dei Comuni. Dobbiamo fare tutto il possibile per contrastare le disuguaglianze di genere ove si verificano.

 
  
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  Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Le circostanze attuali dimostrano che i negoziati di adesione con la Turchia sono cominciati troppo presto. La relazione sottolinea alcuni problemi gravi, specialmente il fenomeno dei delitti d’onore e della violenza contro le donne.

A prescindere dall’eventualità che diventi o meno uno Stato membro, la Turchia si trova alle soglie dell’Unione e costituirà un partner commerciale importante per la Comunità. E’ bene dunque che l’Unione continui a esercitare pressioni politiche sulla Turchia allo scopo di propiziarne lo sviluppo costruttivo. Tuttavia, sarebbe assai grave se il Parlamento volesse spingersi al punto di proporre un sistema di quote obbligatorie per la rappresentanza femminile nelle varie liste elettorali. L’Unione non ha il potere di interferire nelle procedure di candidatura che sono conformi a regole di base democratiche.

 

6. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 13.10, riprende alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. POETTERING
Presidente

 

7. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
  

(Il Parlamento approva il processo verbale della seduta precedente)

 

8. Preparazione del Consiglio europeo (8 e 9 marzo 2007) (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione del Consiglio e della Commissione sulla preparazione del Consiglio europeo dell’8 e 9 marzo.

 
  
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  Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, Commissario Wallström, onorevoli deputati, il Vertice di primavera dei capi di Stato e di governo, come negli anni precedenti, sarà principalmente dedicato alle questioni economiche, in particolare alla strategia di Lisbona. Siamo naturalmente lieti che quest’anno il Consiglio europeo di primavera si svolga nel contesto di una buona situazione economica, in cui si osservano sviluppi positivi sui mercati del lavoro. Ne traiamo la prudente conclusione che la strategia di Lisbona cominci a dare i primi frutti, ma siamo anche convinti che sia del tutto inopportuno riposare sugli allori. Al contrario, intendiamo sfruttare le tendenze generali favorevoli e l’ottimismo incipiente a favore di ulteriori riforme strutturali e compiere insieme nuovi sforzi al fine di valorizzare il successo degli ultimi mesi e garantire che esso perduri nel lungo periodo, perché è importante far sì che l’Europa sia in ottima forma e pronta per la concorrenza globale.

In seguito a intensi lavori preparatori, caratterizzati da una cooperazione molto stretta e proficua con la Commissione, siamo ora entrati nella fase calda dei preparativi per la riunione del Consiglio europeo dell’8 e 9 marzo. Il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” ha discusso ieri l’ordine del giorno commentato del Consiglio, elaborato dalla Presidenza, e sono lieto di potervi comunicare che gli Stati membri hanno pienamente approvato l’elenco dei temi proposti dalla Presidenza.

Nelle prossime settimane, il COREPER coordinerà i contributi delle diverse formazioni specifiche del Consiglio e svilupperà ulteriormente il progetto di conclusioni del Consiglio, alla luce di queste osservazioni essenziali. Forse a questo punto posso ricordare all’Assemblea le date in cui i vari Consigli specifici adotteranno i loro contributi: il Consiglio “Energia” si riunirà dopodomani per discutere uno dei grandi temi del Consiglio europeo, cioè il piano d’azione per l’energia; il Consiglio “Istruzione e gioventù” si riunirà il 16 febbraio, seguito dal Consiglio “Competitività” il 19 febbraio e dal Consiglio “Ambiente” il 20 febbraio. Il ciclo si concluderà con il Consiglio “Occupazione e affari sociali” e con il Consiglio ECOFIN, che si riuniranno rispettivamente il 22 e il 27 febbraio.

Anche se il Parlamento europeo non è direttamente coinvolto in queste attività preparatorie, posso assicurarvi che la Presidenza terrà conto delle posizioni da voi adottate in relazione ai temi che saranno discussi al Vertice.

Forse posso ora fornire maggiori particolari sui piani della Presidenza per il Vertice di primavera di quest’anno. Farò anche riferimento a ciò che la Presidente del Consiglio ha affermato in Aula stamattina. Tenteremo di garantire che il Consiglio europeo svolga il suo ruolo essenziale, che consiste nel concentrarsi sulle questioni fondamentali, definire indirizzi generali, prendere decisioni sul futuro e fornire orientamenti politici agli enti competenti a livello europeo e nazionale. Lo scambio di pareri di oggi e, naturalmente, il dialogo intenso con il Presidente del Parlamento durante il Vertice sono elementi importanti nello svolgimento di questo compito. Alla luce di tali considerazioni generali, abbiamo cercato di concentrare le delibere del Consiglio europeo sui temi riguardo ai quali in generale si ritiene necessaria un’azione e sugli ambiti in cui è richiesto un maggiore impegno.

In particolare, ci premureremo di sostenere le riforme strutturali avviate negli Stati membri e di promuoverle integrando le raccomandazioni specifiche per ciascun paese. Nel contesto del mercato interno, intendiamo rafforzare la volontà comune di colmare le lacune e individuare i punti deboli, accrescere la competitività dell’Unione nei confronti dei paesi terzi e al tempo stesso insistere sul rilancio del ciclo di Doha. Ci sta altrettanto a cuore incoraggiare l’innovazione, la ricerca e l’istruzione e promuovere la creazione di posti di lavoro e l’ulteriore sviluppo del modello sociale europeo, e in questo ambito la “flessicurezza” e l’evoluzione demografica sono temi centrali.

Come ha affermato stamattina il Cancelliere federale, legiferare meglio è importante per tutti noi, perché offre grandi potenzialità per rendere l’economia europea più competitiva. La riduzione della burocrazia è quindi una questione prioritaria per la Presidenza tedesca. Ci siamo posti l’obiettivo di trasmettere messaggi ambiziosi alla riunione del Consiglio europeo. In pratica, ci occuperemo innanzi tutto di semplificare la legislazione esistente e di esaminare il modo in cui migliorare la valutazione d’impatto di quella nuova. In quanto organi legislativi, il Consiglio e il Parlamento hanno la responsabilità specifica di garantire che le proposte della Commissione intese a semplificare la legislazione siano esaminate in modo approfondito e trattate con celerità. Il nostro compito principale è assicurare che la riduzione della burocrazia proceda, in particolare tramite la definizione di chiari obiettivi quantitativi.

Infine, come deciso l’anno scorso, il Consiglio esaminerà il piano globale dell’Unione per l’energia, che è legato ai tre obiettivi fondamentali dell’Unione in questo ambito: la sicurezza dell’approvvigionamento, la competitività e, come si deve sempre sottolineare, la compatibilità ambientale. La relazione strategica sull’energia presentata dalla Commissione in gennaio dimostra che solo una politica energetica che affronti tutti e tre gli apici di questo obiettivo triangolare sarà all’altezza delle sfide che attendono l’Unione; per questo motivo, insistiamo su una serie di misure – da adottare insieme – senza le quali non si potrà ottenere l’effetto desiderato. Il pacchetto comprende misure volte a rafforzare la concorrenza nel mercato interno dell’energia, dare un peso maggiore alle energie rinnovabili e contribuire allo sviluppo di migliori tecnologie energetiche e di una maggiore efficienza energetica. In questo contesto, il rafforzamento delle componenti della politica energetica legate alla politica estera riveste grande importanza. Vorrei essere chiaro e dire che è sempre più necessario che l’Europa si esprima a una sola voce in materia di energia.

La questione della protezione del clima è indissolubilmente legata a quella dell’energia. Poiché i cambiamenti climatici costituiscono la sfida del secolo, abbiamo la ferma intenzione di proporre risoluzioni ambiziose e lungimiranti, compresi obiettivi quantitativi, anche in questo ambito. Le proposte presentate dalla Commissione sul pieno coordinamento delle questioni energetiche forniscono una buona base a tal fine. Il Consiglio europeo deve sforzarsi di trasmettere un forte segnale a favore dell’ulteriore sviluppo del regime internazionale di protezione del clima dopo il 2012. Soltanto se i paesi industrializzati, guidati dall’Unione europea, si pongono all’avanguardia e adottano obiettivi e misure ambiziosi, ci si può attendere che i paesi emergenti siano disposti ad assumere impegni adeguati alle loro circostanze, al fine di limitare le loro emissioni in rapido aumento.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, signor Presidente in carica del Consiglio, non solo per ciò che ha affermato, ma anche perché ha utilizzato solo la metà del tempo a sua disposizione. Dovremo prenderlo ad esempio quando esamineremo la riforma dei metodi di lavoro dell’Assemblea. Anche il Consiglio è capace di imporsi dei limiti e di dire comunque qualcosa che merita ascoltare.

 
  
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  Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, marzo offre una vera opportunità all’Unione europea. In primo luogo, ci dà la possibilità di mostrare ai cittadini un’Unione europea che adotta decisioni chiare e ambiziose sui temi che stanno loro a cuore. In secondo luogo, saremo chiamati a sottoscrivere una dichiarazione che non solo celebrerà i risultati che abbiamo conseguito negli ultimi 50 anni, ma descriverà anche che cosa potremo fare in futuro. I due aspetti sono quindi strettamente legati. Un Consiglio di primavera fruttuoso sarà un perfetto trampolino di lancio per un’ambiziosa dichiarazione di Berlino.

L’Europa deve agire. Deve essere politica, efficace e svolgere un ruolo chiave nell’affrontare le grandi sfide del mondo globalizzato di oggi. La crescita e l’occupazione, i cambiamenti climatici e l’energia sono temi cui gli europei pensano tutti i giorni. Abbiamo una possibilità reale di mostrare che cosa l’Unione europea possa offrire, ovviamente nel pieno rispetto del nostro rinnovato impegno a legiferare meglio.

Vorrei concentrarmi sull’agenda relativa ai cambiamenti climatici, all’energia, alla crescita e all’occupazione. Due settimane fa, il gruppo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite ha esposto in modo pacato, chiaro e irrefutabile i dati sui cambiamenti climatici. L’obiettivo di limitare a 2 gradi l’aumento della temperatura è ancora realizzabile, ma per poco! Nel prossimo decennio si appurerà se riusciremo ad assumere il controllo della situazione. I nostri partner internazionali, gli investitori e i cittadini attendono un’azione chiara e risoluta da parte dell’Unione europea.

L’entità del problema è enorme. Perché abbia senso, la risposta deve essere coraggiosa, e ciò significa proposte politiche concrete e obiettivi vincolanti. Questo è il motivo per cui abbiamo proposto che i paesi industrializzati accettino un obiettivo di riduzione delle emissioni del 30 per cento entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990. Al tempo stesso, nessuno mette in discussione la necessità di coinvolgere i paesi in via di sviluppo nello sforzo globale volto ad abbattere le emissioni, ed essi possono realisticamente essere indotti a limitare innanzi tutto l’aumento delle loro emissioni e quindi a cominciare a ridurle entro il 2020.

Mi attendo che il Consiglio europeo di primavera trasmetta un segnale forte e convincente sulla necessità di un’azione decisa sui cambiamenti climatici. La risoluzione sui cambiamenti climatici che l’Assemblea adotterà domani è sia incoraggiante sia sbalorditiva e contiene un messaggio importante e urgente, che la Commissione trasmetterà ai capi di Stato e di governo durante la discussione sui cambiamenti climatici al Vertice di primavera.

Tuttavia dobbiamo anche dimostrare, sia all’interno sia all’esterno dell’Unione, che noi stessi siamo disposti ad agire oggi. Per questo motivo, il Vertice di primavera dovrà assumere un impegno forte e indipendente per l’Unione, al fine di ottenere una riduzione di almeno il 20 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2020. Questa sarà una dimostrazione reale del nostro impegno.

L’energia è un elemento chiave per abbattere le emissioni. Tuttavia, la problematica è ben più ampia: un approvvigionamento sicuro, prezzi più equi e maggiori possibilità di scelta sono tutte questioni che assillano ogni giorno i cittadini, preoccupati per se stessi, per le loro famiglie, per le generazioni future e, naturalmente, per l’industria europea. Si diffonde anche la sensazione istintiva che queste questioni si possano affrontare con efficacia solo a livello europeo. Di conseguenza, sarà una dura prova anche per l’Unione europea stessa.

Il mese scorso la Commissione ha illustrato la sua visione del modo in cui dare il giusto indirizzo alla politica energetica europea, e accolgo con grande soddisfazione il sostegno del Parlamento. Quando affrontiamo una sfida a lungo termine, è fondamentale che gli europei possano contare sui loro rappresentanti democraticamente eletti, affinché spieghino perché la riforma è essenziale, inseriscano i cambiamenti a breve termine nel contesto degli obiettivi a lungo termine e ci convincano che ciascuno di noi può offrire il proprio contributo, per esempio facendo il possibile in termini di efficienza energetica.

L’esauriente risoluzione che avete adottato il 14 dicembre dello scorso anno rispecchia il ruolo essenziale che il Parlamento svolge in questo contesto. L’ambizione e la convinzione del Consiglio europeo sono quindi fondamentali. Non possiamo più rinviare le decisioni. L’Europa deve trasmettere un segnale inequivocabile a conferma del suo impegno di dare una nuova forma all’energia europea nei prossimi decenni. Gli investitori sono pronti a intervenire su larga scala, ma hanno bisogno di un segnale più chiaro. Ciò significa un’azione decisiva sul mercato interno. Significa misure reali che garantiscano la solidarietà tra gli Stati membri. Significa dare la massima priorità alla ricerca in questo settore, per esempio come obiettivo primario per l’Istituto europeo della tecnologia. Significa un obiettivo preciso, ambizioso e soprattutto vincolante volto ad accrescere l’impiego di fonti di energia rinnovabili entro il 2020.

Con una chiara luce verde dal Consiglio europeo, la Commissione è pronta a presentare entro l’anno un ampio insieme di misure legislative concrete. I cambiamenti climatici e l’energia sono parte integrante della questione più ampia su cui si concentrerà il Vertice di primavera, cioè la strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione. Si stanno adottando misure reali per investire di più nell’innovazione, semplificare la vita alle imprese nuove e in crescita e aiutare i cittadini a prepararsi al cambiamento. La situazione economica, come sapete, sta migliorando e l’Europa ha mostrato di saper rispondere alla sfida della globalizzazione, ma questi primi passi hanno ora bisogno di un’accelerazione. Il consenso sul cambiamento si deve tradurre in azioni in ogni regione d’Europa e in ogni settore. La modernizzazione delle nostre economie e società è essenziale perché i nostri valori e la qualità della vita possano prosperare in questo mondo in rapida evoluzione.

Il Consiglio di primavera deve trasmettere il chiaro messaggio che intendiamo portare avanti la riforma a tutti i livelli, come indicato nella relazione annuale della Commissione sullo stato di avanzamento della strategia di Lisbona, comprese le raccomandazioni specifiche per i singoli paesi.

Al riguardo, la Commissione accoglie con grande favore il sostegno espresso dal Parlamento. La vostra risoluzione fornisce un contributo puntuale per ricordare alcuni parametri chiave in base ai quali sarà valutata la credibilità dell’azione; per esempio, la riduzione a una settimana al massimo del periodo di avvio delle nuove imprese e una protezione meno onerosa dei diritti di proprietà intellettuale.

Il tempo stringe, se vogliamo evitare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici, correggere gli squilibri globali tra offerta e domanda di energia e garantire una reale modernizzazione. E’ ora di porre tutta la nostra saggezza al servizio di questi obiettivi. George Bernard Shaw disse che non si diventa saggi ricordando il passato, ma assumendosi la responsabilità del futuro. Nel momento in cui festeggiamo i 50 anni dell’Unione europea, è saggio ricordarlo.

L’adozione di decisioni coraggiose, ambiziose e a lungo termine da parte del Consiglio di primavera in marzo porrà l’Unione europea sulla strada giusta per trovare risposte reali a queste problematiche estremamente urgenti.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, Vicepresidente Wallström, soprattutto perché non ha usato tutto il tempo a sua disposizione. E’ un ottimo esempio da parte della Presidenza e della Commissione.

 
  
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  Marianne Thyssen, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, onorevoli colleghi, ogni generazione ha il dovere e la responsabilità di fare la propria parte per il progresso. Anche la nostra deve rispondere a una sfida, quella della globalizzazione. Viviamo in un mondo in rapida evoluzione e apertura. Nell’Unione europea, dobbiamo far fronte a una concorrenza mondiale, talvolta aggressiva, con una popolazione che invecchia, il tutto nel contesto del riscaldamento globale.

Questa concorrenza diventa sempre più spietata non solo sul versante dell’offerta del nostro mercato, ma anche sul versante della domanda del mercato delle materie prime e dell’energia. Possiamo ignorare questi sviluppi, possiamo subirli passivamente, o possiamo prepararci. Tuttavia, per offrire ai bambini di oggi prospettive favorevoli in termini di qualità della vita e di impiego dignitoso, la risposta è una sola: fare il possibile per essere competitivi. Essere competitivi non significa cedere ciecamente alle pressioni della globalizzazione. Significa però che dobbiamo dotarci degli strumenti corretti per garantire un futuro a ciò che ci sta a cuore, cioè il nostro modello sociale europeo e i valori su cui si fondano il nostro stile di vita e la nostra società. Per essere competitivi, abbiamo bisogno di una visione coraggiosa, di una strategia e di persone, oltre che di risorse. Abbiamo la visione. Abbiamo la strategia di Lisbona, con il partenariato per la crescita e l’occupazione, a favore del quale noi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei ci siamo sempre impegnati al 100 per cento. Siamo anche enormemente grati alla Commissione Barroso, che dedica grande impegno alla questione, come fa anche la Presidenza tedesca, con la sua volontà di concentrarsi sui settori deboli che richiedono miglioramenti e su un serio piano per l’energia.

Nell’ultima relazione della Commissione abbiamo letto che in quest’ultimo anno le prospettive economiche sono migliorate. Dobbiamo cogliere questo momento favorevole per conseguire i nostri obiettivi con tanto più vigore, perché molto resta da fare, soprattutto negli Stati membri, la cui situazione a volte è descritta in modo troppo roseo nelle relazioni della Commissione. In vista del Vertice di primavera, domani adotteremo una risoluzione. Abbiamo potuto verificarla rispetto ai pareri dei parlamentari nazionali, con i quali abbiamo svolto un’utile riunione la settimana scorsa. La risoluzione elenca anche le nostre priorità, cui il nostro relatore ombra, onorevole Lehne, darà maggiore risalto. Il completamento del mercato interno, non ultimo per i consumatori e per le PMI, la semplificazione amministrativa, una valutazione d’impatto della cosiddetta pratica del goldplating (ovvero continue modifiche normative), più ricerca e innovazione, una strategia rinnovata per la politica energetica e la lotta ai cambiamenti climatici, con il dovuto riguardo per l’approvvigionamento energetico, la sostenibilità in termini di costi, una minore dipendenza, più fonti di energia rinnovabili e meno emissioni di gas serra: sono tutte misure che devono essere adottate se vogliamo conseguire il nostro obiettivo di maggiore crescita e occupazione. Secondo la maggioranza del nostro gruppo, esistono anche margini per l’energia nucleare, ma al riguardo rispettiamo pienamente il principio di sussidiarietà.

Lisbona, naturalmente, è più della somma degli elementi che ho elencato finora. Ciò che conta di più è occuparsi del benessere e della dignità delle persone e del loro ruolo e contributo nella società. Anche per questo dedichiamo la massima attenzione alla formazione e all’istruzione, all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, alla lotta all’esclusione, a una sana politica in materia di immigrazione e, di fatto, all’uguaglianza di genere, perché anche la mancata partecipazione delle donne capaci è una forma di fuga dei cervelli. Quanto alla riforma del mercato del lavoro, siamo impazienti di discutere il documento della Commissione sulla “flessicurezza”.

Lisbona riguarda le persone e il processo deve quindi essere sostenuto anche dalle persone. Finché l’opinione pubblica continuerà a considerare la strategia europea per la crescita e l’occupazione come parte del problema anziché della soluzione, vi è motivo di preoccuparsi. E’ necessaria una maggiore partecipazione delle persone e della società civile. Nei grandi progetti del passato, ai tempi dell’Europa del ’92 e dell’introduzione dell’euro, abbiamo avuto successo grazie a un’enorme iniziativa di comunicazione generalizzata. Noi, e di sicuro gli Stati membri, abbiamo perso delle occasioni durante il processo di allargamento. Senza una valida strategia di comunicazione, Lisbona non sarà compresa, sostenuta o attuata in modo adeguato – un’omissione che probabilmente va attribuita alla mancanza di coraggio politico. Vorrei quindi rivolgere un appello accorato alle tre Istituzioni affinché investano i loro fondi in questa causa e, se possibile, diano spazio a questo aspetto anche nell’importante dichiarazione di Berlino, in corso di elaborazione.

Ringrazio i relatori e il relatore ombra per la risoluzione che adotteremo domani, preparata in seno al gruppo di lavoro con i 33, sotto la presidenza dell’onorevole Daul. La risoluzione è piuttosto lunga, ma poiché gode di ampio sostegno, e anche questo è positivo, essa ci permette di trasmettere un ampio messaggio sull’indirizzo che vogliamo dare a questa strategia.

 
  
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  Robert Goebbels, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, in un momento in cui i problemi globali si accumulano, alcuni Stati membri dell’Unione sono tentati dal nazionalismo. L’insegnamento indiscutibile della globalizzazione in corso è che persino la Germania, la Francia, il Regno Unito o la Polonia sono relativamente impotenti di fronte alla crescita prevedibile di alcuni grandi paesi.

Tutti ammettono che il Trattato di Nizza non è più sufficiente per garantire la governance efficace dell’Unione a 27. Tuttavia, il Trattato costituzionale si è arenato, non solo a causa del “no” francese e olandese ma anche perché alcuni capi di Stato e di governo rifiutano di tenere fede alla parola data. La visione dell’Europa non può ridursi al solo mercato interno. I nostri concittadini vogliono una dimensione più sociale e una maggiore efficacia tramite l’azione comune.

L’integrazione europea è cominciata con la Comunità del carbone e dell’acciaio. L’anno scorso, la Cina è diventata il primo produttore mondiale di acciaio. In gennaio la Cina e la Russia hanno concluso 15 accordi di cooperazione nel settore dell’energia, uno dei quali riguarda la costruzione di due gasdotti con una capacità di 40 miliardi di metri cubi ciascuno.

Questo mese l’India, la Cina e la Russia parteciperanno a un forum trilaterale, al fine di promuovere gli scambi tra loro. Gli Stati Uniti e la Russia hanno appena siglato un accordo relativo a una ricerca congiunta nel settore nucleare. Cinesi, giapponesi, indiani, russi e americani cooperano per sviluppare nuove tecnologie che permettano di combattere i cambiamenti climatici. Dove si colloca l’Europa in tutto questo? Siamo ben lontani dalla solidarietà della CECA, ormai defunta. Fatichiamo a definire una politica energetica solidale, e quindi necessariamente comune, in un momento in cui la nostra dipendenza energetica aumenta. E’ vero, diamo priorità a obiettivi ambiziosi, ma per il 2020, 2030 o il 2050, cioè orizzonti temporali imprevedibili.

Il Cancelliere Merkel ci ha ricordato stamattina che l’Unione è responsabile del 15 per cento delle emissioni totali di CO2. Secondo il Commissario Dimas, la nostra quota è scesa al 14 per cento nel 2006, una riduzione che non è dovuta a una maggiore efficienza degli europei, bensì all’aumento delle emissioni di altri paesi industrializzati.

Se è evidente che l’Europa deve dare l’esempio, è altrettanto chiaro che non possiamo rimediare da soli ai problemi globali. L’Europa ha alcuni assi nella manica per influenzare il dibattito globale. Essa è tuttora la più grande potenza economica e genera il 30 per cento del prodotto mondiale lordo. Più di un terzo delle 2 000 imprese più grandi del mondo sono europee, siamo leader praticamente in tutti i settori, fatta eccezione per le tecnologie digitali e le biotecnologie. Per colmare queste lacune, il Vertice di Lisbona ha definito una strategia che è tuttora attuale, nonostante la lentezza esasperante con cui si compiono progressi, soprattutto per quanto riguarda la ricerca e l’innovazione.

Il Vertice imminente offrirà un’occasione per ridare il via alla sua attuazione. Tutte le analisi sono state svolte, tutti i problemi sono noti. E’ giunto il momento di prendere decisioni concrete. Il rilancio politico dell’Europa deve avvenire al più tardi entro giugno. Questa è per lo meno l’ambizione del gruppo socialista al Parlamento europeo.

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, la crescita dell’Unione nel 2006 ha raggiunto il 2,7 per cento, il livello più elevato in sei anni. La disoccupazione è scesa al 7,9 per cento, il minimo registrato dal 1998. Si ha la tentazione di dire “ottimo lavoro!”, ma la crescita del 2,7 per cento va valutata rispetto al 9,5 per cento in Cina e in India e il tasso di disoccupazione del 7,9 per cento rispetto a meno del 5 per cento negli Stati Uniti e al 4,1 per cento in Giappone. Alla luce di questi dati, l’obiettivo di Lisbona di far sì che l’Europa diventi l’economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo entro il 2010 non sembra solo ambizioso, ma anche irrealistico. Abbiamo già rinunciato alla data indicata. Possiamo mantenere l’obiettivo?

Questo dibattito si svolge una volta all’anno; alcuni Stati membri ignorano perennemente le nostre esortazioni. La relazione Kok ci ha rivelato due anni fa che gli obiettivi di Lisbona sono diventati farraginosi e i risultati sono poco convincenti. Ciò è dovuto al fatto che alcuni Stati membri hanno cercato di cavarsela alla meno peggio, anziché riformare i loro sistemi. Lisbona funzionerà solo se la riforma sarà attuata a livello europeo. Per solidarietà non si può intendere che i governi che hanno intrapreso l’arduo processo di riforma devono ora tirare fuori dai guai quelli che non lo hanno fatto. In alcuni paesi, persino l’opposizione non vede la necessità di una riforma; fa promesse ai cittadini che è impossibile mantenere, e sono tentato di dire:

(FR) “Si potrebbe dire che se ne infischiano altamente della realtà”.

(EN) Un’economia basata sulla conoscenza deve essere disposta a imparare. In Europa possiamo imparare gli uni dagli altri. Crescita economica e basso tasso di disoccupazione, un ambiente dinamico per le imprese e norme sociali elevate non si escludono a vicenda: pensate alla Danimarca o alla Finlandia.

Per modernizzare la protezione sociale e i regimi previdenziali è necessario introdurre maggiore flessibilità. La disoccupazione giovanile è decisamente troppo elevata, ma proteggere i nostri cittadini non significa proteggere posti di lavoro non competitivi. La rete di sicurezza sociale non deve sostenere le imprese in fallimento, ma aiutare quelle in difficoltà a reinserirsi in nuove attività economiche.

Il mio gruppo ritiene altresì che investire nelle tecnologie ecologiche sia fondamentale per contenere i cambiamenti climatici e garantire la sicurezza energetica in Europa. L’energia è letteralmente il motore trainante della nostra economia e i nostri ministri dell’Energia, che si riuniscono a Bruxelles questa settimana, devono raccogliere la sfida e avere il coraggio di aprire il settore dell’energia a una maggiore concorrenza e flessibilità, non solo separare le infrastrutture dalla fornitura. Costruire un vero mercato europeo dell’energia è importante ma non sufficiente; dobbiamo anche ridurre il consumo energetico, e mi auguro che la Commissione in futuro sarà ancora più ambiziosa di quanto non sia stata finora. Dobbiamo creare incentivi per stimolare i singoli individui a modificare le loro abitudini ed effettuare acquisti e investimenti ponderati, facendo ricorso al sistema fiscale.

Dobbiamo inoltre garantire la corretta applicazione della legislazione europea, comunicare ai cittadini che cosa occorre fare, e gli Stati membri devono tenere fede alle loro promesse di riforma economica, in modo che si possa dare la luce verde a Lisbona.

 
  
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  Cristiana Muscardini, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, uno dei motivi che più irrita l’opinione pubblica è l’eccesso di regolamentazione dell’Unione europea. Regole non solo troppo numerose ma anche poco comprensibili e complesse: questo trend deve essere interrotto. Fissare la curvatura delle banane o il diametro dei piselli o la lunghezza dei contraccettivi e crede di regolare, in questo modo, il mercato, significa essere lontani mille miglia dalla realtà quotidiana dei cittadini.

Norme simili sono il frutto di pressioni esercitate da forti interessi per la tutela di affari personali e non per il benessere dei cittadini. Laddove esistono troppe norme impera la burocrazia e non la politica o l’economia e di burocrazia l’Unione può anche morire. Legiferare meglio deve diventare un imperativo per le istituzioni e in questa funzione il Parlamento deve essere l’elemento propulsore. Siamo soddisfatti di trovare, anche su questo punto, l’attenzione della Presidenza del Consiglio.

Come dimostrano gli interventi in Aula questa mattina, è una certa sinistra europea che continua a chiedere nuova legislazione, poco interessandosi di quanto la stessa sia effettivamente applicata e applicabile. Crediamo che una società libera e solidale si basi su regole certe, chiare e condivise e non su elefantiache burocrazie. Per la crescita e lo sviluppo rivolgiamo un invito al Consiglio perché riprenda con maggiore determinazione una politica attenta ai problemi del continente africano e vigile rispetto ai diritti della persona e del lavoratore, nei paesi con i quali abbiamo scambi economici ma anche all’interno della stessa Unione.

Senza una politica energetica comune non ci sarà ripresa e sviluppo. Condividiamo il nuovo Libro verde della Commissione per quanto riguarda le fonti rinnovabili e il miglioramento delle infrastrutture per il gas naturale, puntando sui degassificatori, una posizione condivisa anche dalla Presidenza del Consiglio. Vanno perciò rimossi tutti gli ostacoli, compresi quelli del ministro italiano dell’Ambiente, Pecoraro Scanio, che sul problema continua a ignorare le posizioni europee al riguardo e perciò a frenare lo sviluppo. Sviluppo ed ambiente sono le sfide a cui dobbiamo dare risposte, anche attraverso la ratifica di un nuovo trattato che definisca, nell’Europa a 27, le nuove e diverse competenze delle nostre Istituzioni.

 
  
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  Rebecca Harms, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, vorrei innanzi tutto congratularmi con la Commissione per aver mantenuto una posizione ferma nella discussione sui piani nazionali di assegnazione per lo scambio di quote di emissione e per aver almeno confuso le aspettative correggendo il piano nazionale di assegnazione della Germania.

Mi sconcerta constatare che l’accordo sugli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture, chiaramente concluso nell’ambito di un accordo più ampio, non risponda alle aspirazioni della Commissione, e vorrei cogliere l’occasione per rilevare che in questo tipo di accordi sulle emissioni di CO2 – quelli attualmente conclusi tra gli Stati membri, la Commissione e il Consiglio – si ignora un aspetto, cioè che gli obiettivi che ci siamo posti non sono fissati dall’uomo: l’obiettivo di limitare il riscaldamento della Terra a 2 gradi è fissato dalla natura.

Se in questi compromessi tra diversi interessi nazionali e industriali continuiamo a ignorare un obiettivo fissato a Kyoto, penso che, nel futuro prevedibile, di fatto non potremo più affermare di perseguire una politica ambiziosa in materia di protezione del clima.

A parere dei Verdi, il pacchetto sull’energia e l’obiettivo di riduzione del 20 per cento delle emissioni di CO2 in Europa possono anche essere ambiziosi, ma non hanno più alcun legame con l’obiettivo generale di adottare misure atte a contenere il riscaldamento globale. Se ci accontentiamo davvero di questo 20 per cento, possiamo dire addio una volta per tutte all’idea di poter esercitare un’influenza positiva sul riscaldamento globale, cioè riuscire a limitarlo. Abbiamo appena appreso che, se mantenessimo il 20 per cento, la Terra si riscalderà di 4 o 5 gradi; in altre parole, le previsioni negative sui cambiamenti climatici si riveleranno di gran lunga peggiori.

A questo punto, posso solo lanciare un nuovo appello al Vertice di Bruxelles sull’energia affinché si ponga fine a questi accordi sulle percentuali di riduzione e si dia una buona volta attuazione alle proposte della Commissione. A mio parere, la parte più importante di questo pacchetto sull’energia riguarda l’efficienza e il risparmio energetico; in proposito vorrei chiedere nuovamente alla Commissione di riprendere ciò che aveva proposto all’Assemblea l’autunno scorso – quindi non molto tempo fa – sotto forma di piano d’azione per l’efficienza energetica. Anche qui ci dev’essere meno discontinuità. All’epoca, fu dato per scontato che l’obiettivo giusto per l’Europa era ridurre il consumo di energia. Oggi, nel pacchetto sull’energia è fermamente espresso il concetto che il consumo di energia in Europa registrerà un aumento costante. Sono quindi necessarie numerose correzioni.

Vorrei aggiungere un’osservazione sulla politica nucleare, perché so che molti paesi vi ripongono grandi speranze. Penso sia più che ora di effettuare controlli a livello europeo per accertare se la scandalosa cultura della sicurezza, sulla quale riceviamo sempre più rapporti dalla centrale nucleare svedese di Forsmark, sia un problema squisitamente svedese o se, nel corso dei decenni in cui è stata usata l’energia atomica, questo logoramento della cultura della sicurezza sia diventato un problema generale, per esempio a causa della riduzione del personale. E’ la terza volta che intervengo per protestare contro il fatto che la questione di Forsmark non sia ancora stata discussa a livello europeo, e il motivo per cui insisto tanto su questo punto è che ho appreso che l’Euratom erogherà prestiti per la costruzione di una nuova centrale nucleare a Belene, riguardo alla quale si conducono negoziati in segreto. Sarebbe la prima volta che l’esportazione di elettricità generata dall’energia nucleare finanzia una centrale nucleare nell’Unione europea con fondi europei, il che permetterà di agire come se si assistesse a un rinascimento dell’energia nucleare. A mio parere, però, questa industria versa di fatto in pessime condizioni, sia dal punto di vista della sicurezza sia in termini economici.

 
  
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  Gabriele Zimmer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Commissario Wallström ha affermato che il Vertice di primavera dovrà preparare nel miglior modo possibile la riunione che si svolgerà alcuni giorni dopo a Berlino, e posso concordare con lei, ma solo a due condizioni. La prima è che al Vertice di primavera sarebbe utile svolgere una discussione molto approfondita sulla dichiarazione di Berlino, eppure tutti sanno che una discussione esauriente sul possibile contenuto della dichiarazione comporta il rischio intrinseco che emergano divergenze di opinione. Non si svolgerà dunque alcun dibattito pubblico, alcun dibattito tra i capi di Stato? In tal caso, mi chiedo chi lavori a una dichiarazione importante come quella di Berlino, che dovrebbe accompagnare l’Unione nel suo futuro.

La seconda è che si devono iscrivere più questioni all’ordine del giorno del Vertice, per esempio come si possa condurre una lotta coerente contro la povertà, la disoccupazione e l’esclusione sociale parallelamente a una lotta efficace contro il riscaldamento globale. Che cosa significa questo, in particolare in termini di una trasformazione del settore dell’energia e dei trasporti che sia lungimirante e ad alta intensità di occupazione? Che cosa deve succedere perché sia infine adottata una soluzione realmente sostenibile per i problemi occupazionali, sociali, ambientali e globali?

Il fatto è che queste questioni non vengono sollevate. Si parla di legiferare meglio e di energia e cambiamenti climatici, ma mai dell’inizio ormai a lungo atteso di una ricostruzione sociale ed ecologica che contrasti veramente le divisioni sociali e la catastrofe climatica di cui tutti parlano. Solo pochi giorni fa abbiamo visto quante difficoltà ciò comporti per la Presidenza tedesca, come ha già rilevato l’onorevole Harms. Che “legiferare meglio” significhi soprattutto una maggiore apertura del mercato è già stato detto in modo inequivocabile dal Presidente Barroso la settimana scorsa, così come dalla Commissione nella sua comunicazione relativa all’attuazione della strategia rinnovata per la crescita e l’occupazione. Sia le imprese sia i consumatori dovrebbero trarre giovamento dall’apertura del mercato, ma maggiore apertura significa maggiore concorrenza e di conseguenza saranno sempre i forti a trarne vantaggio, mentre i deboli ne usciranno perdenti. L’apertura dei mercati non è compatibile con i cambiamenti strutturali che auspichiamo e di cui si parla sempre, anche se devo dire che la questione verte sempre su chi vuole che cosa in quale momento.

Il 1° febbraio, alla conferenza dell’Agenzia europea per la difesa – un ente la cui creazione previene l’entrata in vigore di una Costituzione europea – l’Alto rappresentante Solana ha chiesto un piano e una politica mirata, trainata dalla domanda, per l’industria degli armamenti. A mio parere, ciò non è assolutamente compatibile con gli obiettivi di un Vertice al quale ci si dovrebbe chiedere che cosa si possa fare per creare posti di lavoro sostenibili, combattere i cambiamenti climatici in modo sostenibile e – sempre in modo sostenibile – offrire a tutti i cittadini dell’Unione europea pari condizioni di vita e di lavoro di alta qualità.

 
  
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  Nigel Farage, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, molto spesso in politica ciò che conta realmente non è quel che si afferma in pubblico ma ciò che accade dietro le quinte, e lo stesso vale per il prossimo Vertice europeo. Il ministro tedesco degli Affari europei Gloser può anche parlare di sostenibilità e di politica energetica, ma devo dire che non so proprio come faccia a rimanere serio quando parla dell’ormai fallita agenda di Lisbona.

Tuttavia, ciò che non dice, ovviamente, è che a questo Vertice si discuterà la Costituzione europea. Il Cancelliere Merkel ha dichiarato che intende portare avanti il programma con determinazione e, di fatto, proprio questa settimana a Berlino sono in corso discussioni segrete sulla Costituzione.

Ancora una volta, si tenta di ordire un grande inganno. State cercando di rabberciare un minitrattato, di sbarazzarvi della parola che inizia con la “C” e negare così ai popoli d’Europa la possibilità di votare sul loro futuro. E’ come se tutti voi rispondeste a una vocazione superiore e sapeste che cosa è bene per le masse in Europa.

Potete pensare che mi stia inventando tutto, ma solo la scorsa settimana il Presidente Barroso ha affermato: “Da Primo Ministro, ero favorevole a un referendum [sulla Costituzione]”. Poi è arrivato a Bruxelles, e chiaramente gli hanno drogato le bevande, perché ora dice: “Se si fosse svolto un referendum sulla creazione della Comunità europea o sull’introduzione dell’euro, pensate che sarebbero esistiti?” Penso che la risposta sia nota e la risposta è “no”. Osando dire persino questo, il Presidente Barroso svela il progetto europeo, mostra un disprezzo assoluto nei confronti dei cittadini della Francia e dei Paesi Bassi, che hanno votato “no”, ma – e questo è più serio – mostra un disprezzo assoluto nei riguardi dello stesso processo democratico. Se continuate a insistere su questa Costituzione, se continuate a negare ai popoli d’Europa la possibilità di decidere il loro futuro, create le condizioni perché i nostri figli si trovino di fronte a problemi gravissimi.

 
  
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  Andreas Mölzer, a nome del gruppo ITS. – (DE) Signor Presidente, in vista del Consiglio europeo, permettetemi di fare alcune osservazioni fondamentali riguardo alla liberalizzazione e alla politica energetica.

A mio avviso, per soddisfare i criteri di Maastricht e le condizioni della strategia di Lisbona, si vendono i gioielli di famiglia dello Stato, mentre i cittadini devono stringere ancora di più la cinghia, chi lavora nei servizi pubblici troppo spesso è messo in prepensionamento o si ritrova disoccupato e trema di paura davanti alla perdita di sicurezza sociale. E’ stato promesso che tutto sarà meno costoso, più efficiente e più flessibile, ma queste promesse non si possono mantenere con la liberalizzazione. Le infrastrutture pubbliche si distinguono ora per i lunghi periodi di ammortamento e lo scarso rendimento.

Agli investitori privati, invece, interessa principalmente il denaro contante, e conosciamo tutti le conseguenze, per esempio la scarsa puntualità delle ferrovie e le tratte abbandonate che ci obbligano a riprendere l’automobile. Grazie alla privatizzazione delle poste, possiamo ora investire in nuove cassette delle lettere e compiere lunghi pellegrinaggi verso gli uffici postali, dove ci scontriamo con condizioni di lavoro inaccettabili che appartengono all’età della pietra. Le speculazioni sui titoli rendono l’elettricità più costosa, e a un certo punto potremmo persino finire per non poterci più permettere nemmeno l’acqua, perché sarà più redditizio venderla all’estero. Tuttavia, ancora più pericolosa è l’idea che i lavoratori stranieri e i richiedenti asilo offrano una risposta al basso tasso di natalità e possano garantire la nostra previdenza sociale. In tal modo, si accenderebbe la miccia su una polveriera, e le prime esplosioni già si sentono sempre più vicine.

E’ quindi necessario un ripensamento; dobbiamo dotarci di una politica adeguata a favore della famiglia e delle nascite, investire di più nell’istruzione e ricorrere a una dose ragionevole di protezionismo per promuovere i nostri settori economici e la nostra produzione agricola, al fine di proteggere i nostri cittadini dalla delocalizzazione delle imprese incoraggiata dall’Unione. A mio parere, non si può presumere di poter produrre energia ecologica utilizzando l’elettricità generata dall’energia nucleare, né che i biocarburanti provochino una penuria di prodotti alimentari, come è successo in Messico. In queste circostanze, è necessario promuovere attivamente la ricerca sulle nuove tecnologie o l’integrazione di altre forme di produzione di energia, che siano realmente più rispettose dell’ambiente.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI).(CS) Onorevoli colleghi, ritengo che il costo reale della guerra commerciale che imperversa dietro il pretesto del “riscaldamento globale” sarà presto evidente. Il Consiglio sta chiaramente per abbracciare le affermazioni pseudoscientifiche in voga secondo cui salveremo il pianeta soltanto riducendo in modo significativo le emissioni di CO2.

Se ci lasciamo persuadere che sia possibile influenzare i cicli climatici naturali della Terra, sacrificando la competitività dell’industria europea, non faremo la cosa giusta per il pianeta. Non faremo altro che assecondare gli interessi economici degli investitori e dei paesi che non hanno alcun riguardo per gli ossidi e i protocolli. L’inquinamento che evitiamo con i nostri sacrifici è più che compensato dalla loro produzione di CO2. Sono quindi estremamente delusa che il punto di partenza per i negoziati del Consiglio sull’energia sia la lotta ai cambiamenti climatici.

Ritengo che sia i nostri cittadini sia le nostre imprese siano più interessati al prezzo dell’energia, e soprattutto alla sua fornitura sicura e ininterrotta. Vorrei quindi concentrarmi sulla liberalizzazione del mercato dell’energia, che preverrà enormi aumenti dei prezzi. La Presidenza dovrebbe presentare una proposta appropriata su come garantire forniture ininterrotte dalla Russia all’intera Unione europea, non solo alla Germania. Infine, dobbiamo investire nello sviluppo di nuove fonti di energia, in particolare l’energia nucleare. Se non lo facciamo, i costi elevati dell’energia provocheranno danni irreparabili alla competitività delle imprese europee.

Come possono i disoccupati far fronte al costo astronomico dell’elettricità? Potrei mandarli al quartier generale del Consiglio a Bruxelles, ma dubito che sarebbe utile. Vi ringrazio.

 
  
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  Klaus-Heiner Lehne (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi innanzi tutto di fare un breve riassunto di ciò che abbiamo realizzato. Vorrei ricordare che circa due anni e mezzo fa la Commissione ha avviato una nuova iniziativa e in seguito alla relazione Kok ha affermato che la strategia di Lisbona doveva essere rilanciata. Vogliamo che questa strategia, che nella prima metà del decennio era essenzialmente un obiettivo politico, senza la minima possibilità di trasformarsi in realtà, almeno si avvicini all’obiettivo nella seconda metà del decennio. Direi che è successo. “Lisbona”, è vero, non suona ancora esattamente come “Kyoto”, ma tutti gli Stati membri stanno ora presentando i rispettivi piani nazionali. In seno all’Assemblea abbiamo individuato una struttura per affrontare la strategia di Lisbona con determinazione e tentare di portarla avanti. Anche la Commissione ha fissato nuove priorità al riguardo. Abbiamo organizzato conferenze interparlamentari in questa sede, alle quali ha partecipato un numero sempre maggiore di deputati ai parlamenti nazionali. Tutto ciò dimostra che siamo sulla strada giusta e che il tentativo di rilanciare la strategia è riuscito.

In secondo luogo, siamo riusciti a chiarire che, sebbene vi siano tre pilastri nella strategia di Lisbona, la crescita e la creazione di posti di lavoro sono condizioni indispensabili per poter condurre una valida politica ambientale e sociale. Al tempo stesso, abbiamo chiarito che la strategia di Lisbona è anche la risposta dell’Europa alla globalizzazione.

Nella risoluzione – i temi quest’anno saranno ovviamente diversi da quelli degli anni precedenti – affermiamo che esistono diverse carenze nel mercato interno, cui è necessario porre rimedio. Sono molte, ma vorrei segnalarne soltanto due. Una è la mancanza di un maggiore sviluppo della legislazione europea in materia di brevetti, e su questo fronte attendiamo iniziative da parte della Commissione, come quella che ha già lanciato sulla liberalizzazione degli scambi di merci nel mercato interno, che è una questione altrettanto cruciale.

Tuttavia, la priorità del Vertice e delle attività della Commissione – e anche del Parlamento – sarà la politica energetica. Permettetemi di ricordare la situazione dell’anno scorso: allora non si è riusciti a persuadere i capi di Stato e di governo che la politica energetica deve realmente essere un’ambizione dell’Europa e che è necessaria una strategia europea in materia, allora prevaleva ancora l’idea che la questione si potesse gestire a livello nazionale. Ora la situazione è cambiata. Questa volta, se la politica energetica sarà discussa al Vertice, tutti si baseranno sul presupposto che si tratta di un compito dell’Europa.

Nella risoluzione affermiamo che le energie rinnovabili devono ovviamente essere promosse nella massima misura possibile, ma rileviamo anche che l’energia nucleare continua a essere importante e in futuro diventerà inevitabile a causa delle emissioni di CO2. Nella risoluzione abbiamo affrontato il problema delle emissioni di CO2 nel suo insieme, che naturalmente è trattato in modo molto più approfondito nella risoluzione parallela sui cambiamenti climatici. Ci siamo posti obiettivi molto ambiziosi riguardo all’efficienza energetica, e di fatto ritengo che – come i dati hanno già dimostrato – una quota del 30 per cento del prodotto mondiale lordo associata a una quota di solo il 15 per cento delle emissioni sia già un’indicazione che l’Europa è all’avanguardia per quanto riguarda l’efficienza energetica. Possiamo però fare molto di più ed essere un esempio per il mondo.

Un altro aspetto che è già stato menzionato è la necessità di realizzare il mercato interno dell’energia. Sappiamo che continua a esistere una struttura oligarchica e monopolistica e che vi è solo una parte dell’Unione europea in cui si può parlare di un vero mercato interno, mentre in vaste zone dell’Unione si osservano vere e proprie lacune.

Vorrei anche affrontare l’aspetto legato alla necessità di “legiferare meglio”. Anche in questo caso si è realizzato molto. Ripensando all’accordo interistituzionale del dicembre 2003, si è sicuramente trattato di un importante passo avanti, ma non è tutto oro ciò che brilla. La Commissione non ha ancora accolto la richiesta del Parlamento – espressa in più di mezza dozzina di risoluzioni – relativa a una valutazione indipendente dell’impatto della legislazione; nondimeno continuiamo a insistere su questo punto. Se la Commissione non agisce al più presto, dovremo escogitare altri modi e strumenti per farlo noi stessi.

A mio parere, ciò che conta veramente ora è un’adeguata analisi comparativa, che ci permetta di verificare le relazioni degli Stati membri e indicare che cosa riteniamo sia necessario, per far sì che, attraverso tale analisi, gli obiettivi della strategia di Lisbona siano realizzati in modo ancora più efficace che in passato.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARTÍNEZ MARTÍNEZ
Vicepresidente

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, la Costituzione è già stata menzionata più volte. Essa prevede maggiori poteri per l’Europa nel campo della politica energetica. Tuttavia, poiché la Costituzione ancora non c’è, dovremo sforzarci di trovare un altro modo di acquisire questi maggiori poteri in materia di politica energetica, in particolare – come ha detto il Ministro Gloser – in relazione con la politica estera.

Come possiamo intrattenere buone relazioni tra pari con la Russia, se l’Unione europea, su queste questioni, non sa essere risoluta ed esprimere una sola voce? La Russia preferirebbe di gran lunga negoziare con i singoli paesi e metterli gli uni contro gli altri, ma ciò che chiediamo – specificamente a questo Vertice – è di chiarire che, nelle relazioni con la Russia, si deve esprimere una sola voce europea. Se la Russia lamenta di non avere pieno accesso al mercato, che cosa dobbiamo fare al riguardo noi europei? Ecco perché è così importante instaurare relazioni tra pari con la Russia.

In secondo luogo, dobbiamo diversificare. Dobbiamo avere accesso ad altre fonti, ma dove? Soprattutto nel Caucaso e nell’Asia centrale. Se si osserva il modo in cui gli Stati Uniti d’America – con tutta la loro fede nel libero mercato – sono riusciti a ottenere la costruzione di un oleodotto da Baku a Ceyhan in Turchia, via Tblisi, incoraggiando gli investitori privati a sostenere quello che era considerato un importante progetto politico, e lo si confronta con la debolezza e le difficoltà con cui si procede in questo campo nell’Unione europea – basta prendere ad esempio il gasdotto Nabucco per l’approvvigionamento di gas in Europa – è chiaro che dobbiamo esigere che l’Unione europea si mostri risoluta ed esprima una sola voce. Molti di questi aspetti sono già stati menzionati dall’onorevole Goebbels e vorrei che fossero veramente espressi in modo chiaro al Vertice.

Se riteniamo di dover diversificare, se riteniamo di avere bisogno di gasdotti supplementari, dobbiamo dirlo forte e chiaro, così la Russia cercherà di partecipare o di fare affari con noi. Se, sui mercati internazionali, non riusciamo ad affermarci con un inconfondibile profilo europeo, non saremo in grado di fare ciò che dobbiamo fare per i nostri cittadini, cioè garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico in Europa.

 
  
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  Alexander Lambsdorff (ALDE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, domani il Parlamento adotterà una risoluzione in cui rivolgiamo una serie di richieste al Consiglio. In veste di relatore, vorrei cogliere l’occasione per ringraziare il mio correlatore del gruppo socialista al Parlamento europeo, onorevole Hughes, per la sua cooperazione, sempre costruttiva, seria e leale. Tra poco egli vi presenterà le parti della risoluzione che trattano dell’occupazione e gli obiettivi intesi a legiferare meglio; da parte mia mi concentrerò sulle aspettative dell’Assemblea in merito alla politica energetica.

La cosa più importante che l’Assemblea si attende dal Consiglio è chiara a tutti: vogliamo una politica energetica comune e forte per l’Europa. Il compito più urgente per i capi di Stato e di governo è conseguire risultati concreti al Vertice di primavera, perché è su queste basi che sarà giudicato il suo successo o insuccesso.

Un mercato comune dell’energia che funzioni correttamente non è un fine di per sé. Innanzi tutto, il mercato unico dell’energia fa parte del progetto europeo. Vogliamo un’Unione europea che produca risultati. Se possiamo dire ai cittadini che le loro bollette del gas e dell’elettricità in costante aumento sono state riportate a un livello tollerabile grazie alla politica europea, ciò avrà un effetto positivo per l’Europa. Gli studi più recenti sul mercato europeo dell’energia hanno nuovamente evidenziato il fatto che siamo lontanissimi da un mercato interno dell’energia che funzioni correttamente, come ha già rilevato l’onorevole Lehne. Quasi dieci anni dopo le prime iniziative volte a liberalizzare i mercati dell’elettricità e del gas, un risultato come questo è come minimo deludente. Abbiamo bisogno di un mercato unico dell’energia innanzi tutto per i nostri cittadini.

Il secondo motivo per cui un mercato unico dell’energia che funzioni è importante è la competitività delle nostre imprese, in particolare sul versante della produzione. Nessuna impresa dovrebbe pagare più di quanto sia equo e appropriato per il quantitativo di energia che consuma: lo dobbiamo alle nostre imprese e agli uomini e donne che vi lavorano. In questo modo, realizziamo l’obiettivo della strategia di Lisbona, cioè il rafforzamento della nostra competitività interna e a livello internazionale. Il secondo motivo per cui abbiamo bisogno di un mercato unico dell’energia è quindi che esso è necessario per la competitività dell’Europa.

Il terzo motivo è che, in un mercato che lanci adeguati segnali in materia di prezzi, l’energia è usata in modo efficace, si sviluppano alternative e si realizzano risparmi. E’ vero che a volte sono necessarie direttive politiche perché si aprano nuove vie, ed è ciò che facciamo con questa relazione, al fine – o così ci auguriamo – di conseguire gli obiettivi di protezione del clima attraverso la politica energetica europea; in proposito, vi è consenso in seno al Parlamento. In terzo luogo, abbiamo quindi bisogno della politica energetica comune per un’Europa che si assuma le proprie responsabilità globali.

Domani, pertanto, l’Assemblea adotterà una risoluzione, della quale vi illustrerò ora una selezione dei punti più importanti, uno per uno. In primo luogo, le reti di distribuzione del gas e dell’elettricità devono essere gestite e amministrate in modo economicamente indipendente dal processo di produzione dell’energia, per porre fine al fallimento decennale del mercato dell’elettricità e del gas.

In secondo luogo, le energie rinnovabili contribuiscono a migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, e quindi chiediamo di aumentare la quota di fonti di energia rinnovabili al 50 per cento entro il 2040. Il Parlamento europeo sostiene obiettivi ambiziosi in materia di ricerca sull’energia in tutti i campi: fonti di energia tradizionali, rinnovabili e nucleari. L’Europa è leader in molti settori e questo ruolo deve essere consolidato e valorizzato, se vogliamo un assetto economico basato sulla conoscenza. L’Assemblea è d’accordo con le proposte della Commissione relative all’efficienza energetica e con l’obiettivo di conseguire un risparmio del 20 per cento entro il 2020.

Vogliamo un calendario per la riduzione del 30 per cento delle emissioni di CO2 entro il 2020. Sosteniamo inoltre la riforma del sistema di scambio di quote di emissione e al tempo stesso chiediamo una solidarietà rafforzata tra gli Stati membri per far fronte a eventuali crisi energetiche.

In seno all’Assemblea, vi è accordo trasversale fra tutti i gruppi sulla necessità di una politica estera comune in materia di energia. Le questioni energetiche devono diventare un elemento costante nelle relazioni esterne dell’Unione europea. Sono lieto di aver sentito il Presidente in carica del Consiglio affermare che in questo ambito l’Europa deve esprimere una sola voce, perché noi siamo esattamente dello stesso avviso.

Come ha affermato stamattina il Presidente Barroso, la nostra credibilità agli occhi dei cittadini dipende dalla capacità dell’Europa di rimanere unita, e siamo d’accordo con lui. La Commissione, il Consiglio e il Parlamento devono tutti fare egualmente fronte a queste sfide europee: è l’unico modo in cui potremo assolvere le nostre responsabilità nei confronti dei cittadini europei, dare loro risultati o, come ha affermato il Presidente del Parlamento stamattina, avere successo nell’interesse del nostro continente, al servizio dei cittadini dell’Unione europea. Vorrei aggiungere che a mio parere questa discussione dovrebbe svolgersi a Bruxelles e non a Strasburgo.

 
  
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  Guntars Krasts (UEN).(LV) Al momento l’ordine del giorno del Consiglio europeo di primavera è decisamente la questione più importante per l’Unione europea nel suo insieme e per ciascuno Stato membro. I compiti proposti in relazione con la strategia di Lisbona, e anche con la politica in materia di energia e cambiamenti climatici, sono ambiziosi, ma per metterli in pratica è necessario avere un senso della realtà. In gran parte sappiamo che cosa occorre fare per conseguire gli obiettivi proposti, ma il fatto che le riforme da introdurre siano collegate tra loro nella sfera economica, sociale e ambientale complica in modo significativo l’adempimento di questi compiti. L’interdipendenza tra gli Stati membri nel mantenere il ritmo e la qualità della riforma rende la situazione ancora più complicata. Lo abbiamo constatato di recente, nel corso delle ardue discussioni sulla direttiva sui servizi, che dovrebbe essere una pietra angolare della strategia di Lisbona. Sono ora all’ordine del giorno nuovi test per verificare la preparazione degli Stati membri a mantenere il ritmo della riforma, tra cui la liberalizzazione del mercato europeo dell’energia. Un mercato europeo dell’energia liberalizzato è una condizione essenziale per la competitività generale del mercato, l’indipendenza energetica, la stabilità a lungo termine e l’integrazione dei nuovi Stati membri nel mercato unico dell’elettricità e del gas. Uno dei compiti fondamentali di questo Vertice europeo è definire una strategia, basata sul consenso, che integri la visione degli Stati membri della politica energetica comune europea. La politica energetica deve diventare una componente della politica di sicurezza dell’Unione europea quanto prima possibile. Gli Stati membri devono riuscire ad adottare una strategia comune nei riguardi degli itinerari di approvvigionamento e di transito. Non si può più rinviare l’avvio di un dialogo permanente tra i paesi consumatori e i paesi fornitori di energia, volto a prevenire un aumento degli squilibri globali e lo sviluppo di condizioni di instabilità. Per quanto riguarda il maggiore fornitore di gas dell’Europa – la Russia – dobbiamo esigere che essa ratifichi un protocollo sul transito e il trattato relativo alla Carta dell’energia. Inoltre, in questo contesto, non si può ammettere che vi siano divergenze di opinione tra la Commissione e gli Stati membri. Mi auguro che al Consiglio europeo di primavera questa importante questione contribuirà a promuovere una visione comune dell’interdipendenza reciproca per quanto riguarda sia i compiti sia i risultati in ogni singolo Stato membro e nell’Unione europea nel suo insieme. Vi ringrazio.

 
  
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  Pierre Jonckheer (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, per il gruppo Verde/Alleanza libera europea è del tutto chiaro, come ha osservato la collega Rebecca Harms, che il Consiglio europeo di marzo sarà principalmente dedicato all’energia, e abbiamo alcune richieste da formulare al riguardo. Da parte mia, vorrei affrontare un altro punto, che riguarda l’evoluzione del mercato del lavoro e la fiscalità in Europa.

Permettetemi di fare due esempi. In Belgio, invece di perdere 4 000 posti di lavoro, lo stabilimento Volkswagen di Forest ne perderà 3 000 e i lavoratori passeranno dalla settimana di 35 ore alla settimana di 38 ore, per il medesimo salario e una maggiore flessibilità. A queste condizioni, la direzione del gruppo ritiene che lo stabilimento sarà uno dei più efficienti in Europa e soddisferà i criteri di una strategia di Lisbona efficace. Il secondo esempio riguarda i lavoratori dipendenti del settore privato in Francia, la metà dei quali percepisce una retribuzione inferiore a 1 400 euro al mese, come ci ha ricordato domenica la signora Royal.

Questi fatti gettano una luce crudele sul modello sociale europeo. Secondo molti economisti, questa evoluzione delle condizioni di lavoro e delle condizioni salariali è strutturale, in quanto è legata alle innovazioni tecnologiche e a una crescente globalizzazione delle attività. Nei prossimi anni, la maggioranza dei lavoratori europei subirà pressioni sempre maggiori. Come rispondere a questa situazione?

Penso che l’Unione europea possa essere d’aiuto. Può essere d’aiuto ponendo fine allo scandalo assoluto con cui si permette a un cittadino benestante di spostarsi da Monaco in Belgio, passando per il Liechtenstein, per eludere il sistema fiscale e sottrarsi così alla progressività dell’imposta.

Penso anche che l’Unione europea dovrebbe optare, come si è già impegnata a fare in seno al G8 e all’OCSE, per una politica risoluta di abolizione dei paradisi fiscali, che sono presenti in tutto il mondo e permettono al capitalismo finanziario di funzionare.

Penso inoltre che, se il Cancelliere Merkel e la signora Royal intendono dare un contenuto concreto al protocollo sociale che stanno annunciando nell’ottica di modificare il progetto di Trattato costituzionale, l’Unione europea debba dotarsi delle risorse necessarie per introdurre infine un’imposta minima sulle società nell’Unione europea, il che significa, se si vuole mantenere la regola dell’unanimità, che un gruppo di paesi dovrà decidersi ad assumere la guida.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) In questa discussione sul contributo al prossimo Consiglio di primavera, al quale si valuterà l’attuazione della cosiddetta “agenda di Lisbona”, adottata nel 2000, è importante ricordare che cosa è accaduto negli ultimi sette anni in termini di sfide e obiettivi individuati all’epoca per quanto riguarda, da un lato, la piena occupazione, la riduzione della povertà, le infrastrutture e gli strumenti di sostegno all’infanzia e le pari opportunità per le donne e, dall’altro, l’obiettivo tanto declamato di diventare l’economia della conoscenza più competitiva del mondo entro il 2010.

La verità è che, dal 2000, nell’Unione europea si assiste a una lenta crescita economica e occupazionale, un crescente trasferimento dei guadagni di produttività dai lavoratori ai datori di lavoro e un corrispondente peggioramento delle disuguaglianze sociali. Persistono livelli elevati di disoccupazione, la povertà e l’esclusione sociale colpiscono più di 72 milioni di persone, i lavori precari, con sempre meno diritti, si moltiplicano e i problemi si aggravano in conseguenza dei nuovi allargamenti, senza che si prevedano risposte finanziarie adeguate nei bilanci comunitari.

Ciò dimostra che le critiche che formuliamo su questa strategia sono ampiamente giustificate. L’attuazione dell’agenda di Lisbona non ha fatto altro che approfondire le liberalizzazioni e le privatizzazioni nei diversi settori – trasporti, energia, servizi postali, telecomunicazioni, servizi – mettendo a repentaglio i servizi pubblici essenziali, cui si aggiungono ora la flessibilità del lavoro e la tanto declamata “flessicurezza”, che rende sempre più facile licenziare i lavoratori.

Per questo motivo, sosteniamo una modifica radicale delle politiche condotte sia nell’ambito della strategia di Lisbona e del Patto di stabilità, sia per quanto riguarda gli indirizzi di massima di politica economica, gli orientamenti in materia di occupazione e il bilancio comunitario.

Di conseguenza, nella risoluzione alternativa presentata dal nostro gruppo per questa discussione, abbiamo scelto di dare priorità a un vero patto per il progresso economico e lo sviluppo sociale e a una strategia europea per la solidarietà e lo sviluppo sostenibile, basata su una maggiore solidarietà da parte dei paesi più sviluppati, con una migliore e maggiore distribuzione dei fondi comunitari. L’obiettivo è la coesione economica e sociale, il miglioramento delle condizioni di vita di tutte le persone, compresi gli immigrati, la dignità dei lavoratori e il rispetto dei diritti umani, soprattutto nei settori dell’istruzione, della salute, degli alloggi, della sicurezza sociale e della ricerca e sviluppo.

 
  
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  Patrick Louis (IND/DEM).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’onorevole Moscovici ha appena scritto un libro interessante in cui constata la morte del Trattato costituzionale. Spiega molto bene che non si può reintrodurre un minitrattato di straforo dopo che i cittadini si sono pronunciati al riguardo. Non possiamo agire in contrasto con il diritto dei Trattati. Il numero non basta, conta solo la sovranità di uno Stato.

La farsa di Madrid è stata un’impasse e un insulto alle regole diplomatiche. Vi dirò, onorevoli colleghi, che gli eurodeputati, me compreso, in questo caso non hanno avuto accesso alla sala del dibattito, mentre qualsiasi funzionario poteva accedervi liberamente. La soluzione per l’Unione non è ricreare Madrid, ma far rivivere lo spirito del Trattato di Roma, cioè ritrovare il senso della libera cooperazione tra nazioni sovrane, ristabilire la preferenza comunitaria e rinunciare alle velleità imperialiste di uno Stato soprannazionale, uno Stato che soffocherebbe i nostri popoli e osteggerebbe i diritti delle persone.

 
  
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  Carl Lang (ITS).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, per fissare gli obiettivi economici la Presidenza del Consiglio tedesca si basa su una relazione in cui si afferma che la disoccupazione in Europa è diminuita. Tuttavia, questa diminuzione è una conseguenza del calo del numero di persone attive dovuto all’invecchiamento della popolazione, più che il risultato di un’economia prospera. Con un tasso di crescita annuo limitato al 2,6 per cento, contro il 3,6 per cento negli Stati Uniti e il 10 per cento in Cina, l’Europa di Bruxelles rimane in coda alle grandi potenze economiche del mondo.

Inoltre, in alcuni Stati membri le statistiche ufficiali sull’occupazione sono falsate. In Francia, per esempio, se si aggiungono ai 2 milioni o più di disoccupati ufficiali i lavoratori messi in pensione o in prepensionamento, i disoccupati in formazione e i lavoratori con contratti sovvenzionati, la disoccupazione in realtà colpisce quasi 4,5 milioni di francesi, cioè il 18 per cento della popolazione attiva. Con la crescita a mezz’asta, una crescita demografica inferiore al tasso di sostituzione e imprese che delocalizzano le loro attività, l’Unione europea purtroppo prosegue il suo declino economico.

Se la diagnosi è dunque sbagliata, la cura prescritta, ispirata dalla politica maltusiana e antisociale praticata negli ultimi 20 anni, è nefasta: distruzione delle nostre frontiere commerciali, che consegna la nostra industria alla concorrenza sleale delle economie asiatiche, moltiplicazione degli ostacoli burocratici, ingresso legale di oltre un milione di immigrati extracomunitari all’anno, smantellamento dei nostri servizi pubblici, aggravio fiscale e messa a maggese della nostra agricoltura, sottoposta alle forche caudine dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Per restituire alle nostre economie la loro prosperità e dare ai nostri discendenti la sicurezza economica e sociale alla quale hanno diritto, dobbiamo costruire un’altra Europa e un altro modello commerciale, basati su frontiere sicure che proteggano le nostre imprese dal dumping sociale, sull’applicazione della preferenza comunitaria e sul rispetto dei valori che hanno reso grande la nostra civiltà: patria, libertà, lavoro, famiglia e sicurezza in tutte le sue forme, compresa quella economica e sociale.

 
  
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  Sergej Kozlík (NI). (SK) Nel gennaio 2007, due giorni prima che la Commissione europea adottasse ufficialmente il documento sul riesame strategico della politica energetica e altre relazioni sul settore dell’energia, l’eurobarometro ha pubblicato le conclusioni di uno studio condotto nel settore dell’energia. Lo studio indica chiaramente che le questioni energetiche, che si tratti di cambiamenti climatici o di future carenze energetiche, non sono considerate una priorità dai cittadini dell’Unione europea.

Le questioni energetiche figurano al dodicesimo posto nell’elenco delle questioni più gravi che l’Europa dovrebbe affrontare, ben dopo la disoccupazione, la criminalità, l’assistenza sanitaria e la situazione economica. E’ sconcertante che i cittadini d’Europa siano convinti che le cause alla radice dei problemi energetici vadano ricercate in continenti e in paesi diversi dall’Unione europea.

Quasi un quarto dei cittadini europei ha ammesso di non prendere alcuna precauzione per ridurre il proprio consumo di energia. I cittadini sono solo vagamente consapevoli del fatto che i prezzi dell’energia continueranno ad aumentare nel lungo periodo. Siamo alle soglie di una nuova rivoluzione industriale che dovrà affrontare le questioni legate all’energia e ai cambiamenti climatici, presentando obiettivi pratici e al tempo stesso di carattere prettamente politico. Perché i nostri sforzi abbiano successo, dobbiamo ottenere il più ampio sostegno possibile dai cittadini dell’Unione nella realizzazione di questi obiettivi, e i governi degli Stati membri dovrebbero smettere di tergiversare e affrontare invece le questioni irrisolte.

 
  
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  Gunnar Hökmark (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, la riunione con il Consiglio europeo a Berlino offre un’eccellente occasione per trasmettere un messaggio su ciò che abbiamo realizzato insieme e ciò che dobbiamo realizzare insieme nei prossimi anni, il primo passo fino al 2009. Ritengo sia importante chiarire, nella dichiarazione di Berlino, che i problemi e le sfide che dobbiamo affrontare esistono a causa del nostro successo, non del nostro fallimento.

Nuovi paesi presentano domanda di adesione in ragione di questo successo: hanno visto come l’Unione europea possa contribuire alla pace, allo Stato di diritto e alla stabilità. Nella discussione generale sulla globalizzazione, l’economia europea è il principale soggetto internazionale e ci offre la possibilità di rispondere e contribuire alla globalizzazione. Sulla questione della sicurezza e della stabilità nei Balcani, se l’Unione europea non ha potuto fare molto all’inizio degli anni ’90, oggi invece può fare la sua parte, ed è per questo che abbiamo la responsabilità. Se avessimo fallito, se non fossimo stati in grado di sviluppare l’Unione europea, nessuno ci avrebbe chiesto di risolvere il problema; ma ora abbiamo la capacità e quindi anche la responsabilità di farlo.

Lo stesso vale per la discussione sui cambiamenti climatici, perché, da un punto di vista economico ma anche ambientale, siamo uno dei principali soggetti globali. Possiamo contribuire alla discussione sulla riduzione dell’effetto serra più di chiunque altro, ed è per questo che dobbiamo farlo, ma con saggezza, creando opportunità per la crescita, gli investimenti e le tecnologie avanzate, perché altrimenti non saremo in grado di rispondere alla sfida dei cambiamenti climatici.

Si tratta di una duplice sfida. Dobbiamo ridurre i gas serra, ma al tempo stesso garantire un’economia stabile e prospera, che ci permetta di affrontare le sfide future.

 
  
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  Stephen Hughes (PSE).(EN) Signor Presidente, ho poco tempo a disposizione e quindi, in veste di relatore in materia e di membro della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, vorrei fare una cosa che non si fa spesso, cioè concentrarmi su alcuni aspetti della strategia di Lisbona legati alla dimensione sociale, alla coesione sociale e all’occupazione.

Sotto il titolo “Creare più posti di lavoro e moltiplicare le opportunità”, la nostra risoluzione sottolinea la necessità di un approccio equilibrato in materia di flessicurezza. Siamo d’accordo sulla flessibilità per le imprese, ma anche sulla necessità di garantire un adeguato livello di sicurezza per i lavoratori. Troppi milioni di nostri concittadini considerano la flessicurezza come una minaccia. Dobbiamo trasformarla in un’opportunità.

Esortiamo gli Stati membri che finora non hanno compiuto sforzi a impegnarsi di più e cooperare con le parti sociali per creare occupazione e aumentare la partecipazione dei giovani, delle donne e dei lavoratori anziani al mercato del lavoro. In particolare, li invitiamo ad assicurare che a ogni giovane che conclude la scuola siano offerte entro sei mesi un’occupazione, una formazione o altre misure di occupabilità; a offrire ai lavoratori disoccupati, soprattutto quelli meno qualificati, un accesso più ampio alla formazione; ad aumentare gli investimenti nelle strutture di assistenza all’infanzia, con servizi completi a un costo ragionevole; a ridurre ulteriormente gli oneri fiscali a carico dell’occupazione; a combattere l’esclusione sociale e la discriminazione; a investire di più nell’istruzione, nella formazione professionale e nell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, al fine di potenziare le competenze disponibili nell’Unione; ad assicurare un migliore adeguamento tra il sistema di istruzione e le esigenze dei nuovi mercati del lavoro, integrando la formazione allo spirito di impresa nei programmi scolastici; infine, a permettere ai lavoratori più anziani di continuare a lavorare su basi volontarie e a modificare i regimi fiscali e previdenziali per incoraggiare il prolungamento della vita professionale. Queste idee sono vecchie come la strategia di Lisbona. Ciò di cui abbiamo bisogno è un’azione da parte degli Stati membri.

Vorrei infine sottolineare la necessità che sia il Consiglio sia la Commissione escano dall’attuale situazione di stallo nella politica sociale e occupazionale. L’attuale mix della strategia di Lisbona è gravemente squilibrato. Se vogliamo ristabilire il contatto con i cittadini, dobbiamo ripristinare l’equilibrio a favore della politica sociale e occupazionale.

 
  
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  Margarita Starkevičiūtė (ALDE). (LT) Gli economisti hanno stabilito parecchio tempo fa che lo sviluppo europeo ha un effetto positivo sulle economie nazionali, in particolare sulle economie dei paesi più grandi. Questo effetto positivo deriva in gran parte dagli scambi commerciali, dagli scambi reciproci. A mio parere, purtroppo, si assiste ora a un processo di accentramento e le decisioni, che si tratti di politica energetica o di strategia di Lisbona, incoraggiano tale processo. Ciò potrebbe negare ogni opportunità agli scambi reciproci, in quanto vi saranno diversi centri per il commercio internazionale.

Ritengo che uno degli aspetti più importanti ed essenziali, sia pur tentando di mantenere in funzione il motore economico europeo e di condurre politiche volte a rendere i nostri paesi più efficienti e competitivi a livello internazionale, sia innanzi tutto la necessità di promuovere uno sviluppo uniforme in tutti gli Stati membri dell’Unione, tramite la creazione di centri per la ricerca scientifica e di centri per l’energia in vari paesi. Quando le economie nazionali saranno sincronizzate, il nostro motore economico smetterà di scoppiettare.

 
  
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  Konrad Szymański (UEN). (PL) Signor Presidente, le divergenze politiche tra le strategie economiche degli Stati membri hanno ostacolato l’attuazione della strategia di Lisbona. Ciò produce un effetto a catena sull’Unione. Se vogliamo realizzare gli obiettivi della strategia, dobbiamo creare un nuovo equilibrio politico.

I paesi che non vogliono regolamenti costosi e complessi, come la Polonia, il Regno Unito e gli Stati del Baltico, devono poter conservare un certo grado di capacità di controllare il processo legislativo. Ciò non è garantito dal Trattato costituzionale, motivo per cui rivolgo un appello personale alla Presidenza tedesca affinché non aderisca al credo tanto in voga in seno all’Assemblea “o il Trattato costituzionale o la morte”. Questo credo danneggerà enormemente l’Unione europea, in particolare per quanto riguarda la politica economica e normativa.

Lo stesso vale per la migliore qualità della regolamentazione europea. Se vogliamo conseguire gli obiettivi fissati in termini di legiferare meglio, non dobbiamo eludere questioni quali la distribuzione dei poteri o l’equilibrio politico nell’Unione europea. La riforma del Trattato deve essere soggetta a vere valutazioni pragmatiche dal punto di vista dei costi che una legislazione basata su una nuova sfera di competenze per il Consiglio comporterà. Il Trattato costituzionale non promuove questi obiettivi.

 
  
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  Bernat Joan i Marí (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, secondo la strategia di Lisbona dobbiamo creare uno Stato sociale tutto intorno all’Unione europea, che dovrà servire da modello nel nostro mondo globalizzato. Dobbiamo appellarci a un europeismo sociale per rendere l’Europa attraente agli occhi dei cittadini, perché la vita qui dovrebbe essere migliore rispetto ad altre parti del mondo. Un buon tenore di vita non si ottiene solo con la crescita economica, ma anche con elevati standard educativi, l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, il consumo culturale, eccetera.

D’altro canto, dobbiamo ridurre il riscaldamento globale senza penalizzare lo sviluppo nei paesi in via di sviluppo. Nella nostra parte del mondo, possiamo farlo migliorando la ricerca. Nei paesi in via di sviluppo, si può fare diffondendo gli aiuti all’istruzione e allo sviluppo, sempre legati a migliori standard educativi. Ritengo che una buona combinazione tra aiuti allo sviluppo e standard educativi più elevati sia la chiave per costruire un mondo globalizzato migliore.

 
  
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  Georgios Karatzaferis (IND/DEM).(EL) Signor Presidente, energia significa tre cose: nucleare, petrolio e gas. L’energia nucleare non è possibile in tutti i paesi d’Europa e inoltre significa “vivere pericolosamente”.

Il petrolio è controllato dagli Stati Uniti d’America: in un modo in Iraq, in un altro modo in Arabia Saudita, in un altro in Libia e in un altro ancora in Venezuela. Quali di questi paesi che hanno il petrolio sono vicini all’Europa? Nessuno. Il gioco è nelle mani degli americani. Che cosa rimane? Il gas.

Sostanzialmente, nella nostra regione è la Russia ad avere il gas. Come sono le nostre relazioni con la Russia? Le nostre relazioni con la Russia sono deludenti, proprio perché questo è ciò che vogliono gli americani. Avete visto che cosa è successo con il Presidente Putin l’altro ieri? Vi è un gasdotto pronto per la firma che non passa attraverso l’Asia, non passa attraverso la Bielorussia o l’Ucraina e quindi non ci espone a vicissitudini e ricatti. Si tratta del gasdotto Burgas-Alexandroupolis, che passa attraverso la Bulgaria e la Tracia. Anche in questo caso gli americani non permetteranno alla Bulgaria di firmare. Pertanto, se noi, l’Europa, vogliamo la nostra energia, se vogliamo il gas direttamente dalla Russia, perché non alziamo la pressione su questo gasdotto?

Se vogliamo avere il nostro petrolio, se ne trova in grandi quantità nell’Egeo. Abbastanza per alleviare la situazione in Europa. Ma anche qui c’è l’intoppo chiamato Turchia, controllata dall’America, che non permette l’esportazione del petrolio dell’Egeo.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la strategia di Lisbona è il nostro regolare argomento di discussione annuale in vista del Vertice di primavera e faremmo bene a considerare in modo più serio gli obiettivi che – in seno al Consiglio, alla Commissione e al Parlamento – ci siamo prefissi. L’unica cosa che chiedo è che si faccia ciò che è stato deciso, che si persuada con i fatti anziché con i semplici annunci, e riassumo il concetto in “legiferare meglio”.

Per poter legiferare meglio è necessaria una maggiore trasparenza, e una maggiore trasparenza si ottiene se tutta la legislazione è adottata con procedura di codecisione. Oggi abbiamo già sentito parlare di “pre-esame”, di come ogni atto legislativo europeo debba essere sottoposto a precedente verifica per quanto riguarda la sussidiarietà, al fine di rendere visibili il suo valore aggiunto per la legislazione europea e i suoi effetti sulla crescita e sull’occupazione. Si parla di analisi costi-benefici, di processi legislativi più brevi: cinque anni sono sufficienti per adottare un atto legislativo, non ne servono dieci o più. Dobbiamo migliorare gli strumenti con cui verifichiamo come e quando la nostra legislazione è applicata.

In secondo luogo, abbiamo nominato dei responsabili nazionali. Che cosa fanno? I parlamenti nazionali forniscono ogni sei mesi un resoconto della situazione per quanto riguarda il processo di Lisbona, indicano ciò che prevedono di fare e quando? Dov’è la relazione annuale della Commissione e dei responsabili nazionali destinata al Parlamento?

In terzo luogo, realizzare il mercato unico è compito nostro, così come rafforzare l’innovazione tramite l’uso efficiente delle risorse, adottare misure a favore del risparmio energetico, creare lo spazio della ricerca, rafforzare le PMI, e ciò significa rendere più agevole la creazione di nuove imprese, promuovere l’insediamento e lo sviluppo nelle zone rurali e incoraggiare le cessioni e affrontare infine attivamente le conseguenze dell’evoluzione demografica, in modo che non diventi un ostacolo per il nostro continente. Abbiamo sufficienti obiettivi; sono le azioni a creare fiducia e credibilità.

 
  
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  Udo Bullmann (PSE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, molti oratori hanno dato risalto alle numerose opportunità che si presentano oggi, e naturalmente hanno ragione, perché era da molto tempo che non ci si presentava la possibilità che abbiamo ora di ricominciare da capo insieme. Il grande problema dopo Lisbona è stato, come sappiamo, che i tassi di crescita sono crollati, anche perché gli Stati membri non hanno fatto abbastanza. Ora la crescita è ripresa nell’Unione europea, ma che cosa intendiamo fare? La crescita non si verifica da sola; per ottenere una crescita soddisfacente a lungo termine dobbiamo agire. Certo, il mercato unico è uno strumento potente; il 90 per cento di ciò che produciamo è acquistato all’interno dell’Unione europea dalle nostre imprese e dai nostri cittadini, e ciò è positivo, perché fa di noi un forte soggetto internazionale. Tuttavia, come ha rilevato l’onorevole Hughes, abbiamo raggiunto il punto in cui dobbiamo far tornare le persone al lavoro, non esercitando pressioni, né escludendo alcune categorie sociali, bensì tramite una migliore istruzione e formazione e creando nuove opportunità.

La discussione deve incentrarsi sul modo in cui dobbiamo portare avanti tutto questo insieme, prenderlo sul serio e metterlo in pratica negli Stati membri; a tal fine, però, è necessario un migliore coordinamento. Il coordinamento nella politica economica non deve essere una brutta parola in queste sale. Se non siamo nemmeno in grado di introdurre una base fiscale unitaria, non possiamo certo lanciare proclami su altre cose, e questo è un dibattito che dobbiamo svolgere anche nei nostri paesi.

L’onorevole Lehne ci dice che dobbiamo prima fare qualcosa per le imprese per poter poi fare qualcosa per l’ambiente. Non sono d’accordo. E’ una filosofia superata e inadatta alla rivoluzione dell’efficienza che attende le nostre imprese. E’ questa filosofia superata che ha portato molti di noi nel vicolo cieco dell’energia nucleare, un vicolo cieco dal quale dobbiamo uscire, e per questo motivo dobbiamo confrontarci e discutere di più gli uni con gli altri.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE).(FI) Signor Presidente, in occasione della seduta di gennaio il Cancelliere Angela Merkel ha pronunciato in quest’Aula un bel discorso sull’energia e i cambiamenti climatici. Ora, però, dobbiamo passare all’azione. Mi auguro che il Cancelliere e la Germania metteranno in gioco potere e prestigio per assicurare che l’Unione prenda l’iniziativa e diventi un pioniere sul fronte dei cambiamenti climatici e del loro controllo. La prevenzione dei cambiamenti climatici dipende da due importanti fattori: le emissioni di biossido di carbonio devono essere ridotte molto più drasticamente di quanto avvenga ora e l’Unione deve raggiungere un’efficienza energetica di gran lunga maggiore. E’ stato stimato che una risposta ai cambiamenti climatici inciderà sul PNL globale nella misura dell’1 per cento circa; in altre parole, sarà costosa. Gli stessi calcoli dimostrano tuttavia che l’indolenza e l’inazione costeranno ancora di più; di fatto, molto di più. Se l’attuazione della strategia di Lisbona deve proseguire, dobbiamo tenere conto anche dei cambiamenti climatici e prendere provvedimenti al riguardo.

 
  
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  Mirosław Mariusz Piotrowski (UEN). (PL) Signor Presidente, nel 2005 la strategia di Lisbona, che era descritta come un elenco di pii desideri, è stata adattata per tenere conto delle priorità reali delle società degli Stati membri dell’Unione. Nel verboso contenuto della montagna di documenti in materia, possiamo individuare alcune sfide da affrontare con urgenza.

Si tratta, innanzi tutto, di garantire la sicurezza delle forniture energetiche per l’intera Europa, non solo per alcuni paesi selezionati. La promozione delle fonti di energia rinnovabili rientra nello stesso ambito. In secondo luogo, si devono eliminare gli ostacoli ancora presenti per quanto riguarda la libera circolazione dei lavoratori nell’Unione europea e verificare costantemente l’applicazione di questo principio da parte dei singoli Stati membri. Ciò contribuirà a impedire che i lavoratori provenienti da paesi diversi da quello del datore di lavoro subiscano discriminazioni o siano addirittura trattati come schiavi. Infine, l’Unione europea deve anche respingere l’idea ormai del tutto superata di tentare di competere con gli Stati Uniti e sostituirla con quella di una stretta e sana cooperazione.

 
  
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  Jerzy Buzek (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, in generale, i cittadini d’Europa non comprendono la strategia di Lisbona. Temo che noi politici spesso commettiamo errori e non riusciamo a giungere al nocciolo della questione. Modifichiamo leggi e adottiamo direttive senza che queste esercitino alcun effetto sull’essenza della questione.

Sostanzialmente, la competitività dell’Unione europea sarà garantita dagli imprenditori che introdurranno nuove tecnologie e nuovi metodi di produzione e organizzazione. Questi imprenditori devono anche saper trasmettere alle grandi, alle piccole e alle medie imprese le loro idee in modo convincente. Sembra che ciò che manca in Europa sia lo spirito di impresa e una cultura imprenditoriale, soprattutto se confrontiamo la nostra situazione con quella degli Stati Uniti. Diamo troppo poca importanza all’idea di libertà, che non significa solo libertà di azione ma anche responsabilità. Le PMI sono la base di una società civile e di un responsabile autogoverno civico. E’ una cosa che dovremmo imparare sin dal primo anno di scuola. Dobbiamo insegnare ai giovani cittadini ad avere rispetto per l’imprenditorialità leale. Questi valori devono anche essere divulgati dai mezzi di informazione pubblica europei; dobbiamo inoltre condurre campagne finanziate dall’Unione per far conoscere gli europei del passato e del presente che hanno dato il maggiore contributo alla nostra competitività. Forse così potremo smettere di preoccuparci dei milioni di disoccupati, molti dei quali creeranno le proprie imprese. Forse così potremo smettere di preoccuparci del fatto che le nostre imprese e la nostra industria non sono innovative e non riescono a trarre vantaggio dai risultati della ricerca scientifica, un campo in cui l’Europa di fatto è molto brava.

Auguro al Commissario e alla Commissione europea di avere successo in questa azione e anche nell’ambito dell’informazione. Speriamo sia un successo per tutta l’Unione.

 
  
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  Inés Ayala Sender (PSE).(ES) Signor Presidente, ringrazio gli onorevoli Lehne e Lambsdorff e, in particolare, i colleghi, onorevoli Hughes e Goebbels per tutto il lavoro di coordinamento e cooperazione svolto in relazione a questo compito, che, giunto al secondo anno, si sta aprendo un varco nella coscienza e nella volontà politica degli Stati membri e delle nostre Istituzioni. Ciò avviene in modo singolare, sulla base delle riunioni preparatorie tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali.

In occasione dell’ultima riunione, svoltasi la scorsa settimana, il recupero dei trasporti, della logistica e delle infrastrutture europee è stato individuato, timidamente ma con fermezza, quale politica indispensabile perché l’economia europea possa affrontare con alcune garanzie le sfide della globalizzazione.

Questa globalizzazione giunge in Europa in nave nei nostri porti, in aereo nei nostri aeroporti, oppure attraverso le nostre strade e, anche se ancora troppo di rado, in treno e per via fluviale. Affrontiamo questa globalizzazione con strumenti quali Galileo, SESAR – il sistema di controllo aereo – RTMS, e-Safetynet, eccetera. Dobbiamo anche far fronte alle sfide che essa comporta in campo ambientale e sociale e in materia di sicurezza.

L’iniziativa della Presidenza tedesca ha favorito l’impegno in tal senso da parte del Consiglio “Trasporti”, con l’iniziativa di includere i trasporti, con le loro quattro priorità essenziali, nella proposta per la strategia di Lisbona di questa primavera. L’onorevole Harbour ha inoltre accettato di includerli come terzo paragrafo delle conclusioni del gruppo di lavoro sul mercato interno e l’innovazione alla riunione della scorsa settimana.

Per tale motivo chiedo, soprattutto agli autori e ai coordinatori della risoluzione, di integrare l’emendamento n. 10, volto a includere questo settore estremamente importante – trasporti, logistica e reti transeuropee – come base per la strategia di Lisbona.

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE).(EN) Signor Presidente, sono lieta che in questa risoluzione si riconosca che l’agenda di Lisbona non si basa solo sull’economia, ma ha anche una dimensione sociale. In quest’ottica, è importante che le persone escluse dal mercato del lavoro siano reinserite, assicurando che la direttiva quadro sull’occupazione del 2000 sia applicata equamente in tutti gli Stati membri. E’ altrettanto importante continuare a chiedere direttive specifiche sull’età e sulla disabilità, perché, se le persone non sono in grado di raggiungere il posto di lavoro, non possono nemmeno accettare l’offerta di un lavoro.

Sono soddisfatta anche della parte dedicata alla necessità di legiferare meglio, ma avrei preferito che fosse stato incluso un riferimento alle clausole di durata massima per tutta la legislazione.

Infine, la legislazione proposta in materia di salute e sicurezza dovrebbe basarsi su dati scientifici e medici aggiornati. Invito tutti a votare a favore del mio emendamento sull’accordo interistituzionale relativo alla necessità di legiferare meglio.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, ho tre osservazioni da fare sul Consiglio europeo. E’ un peccato che non siano presenti più persone in Aula, comunque farò queste tre osservazioni.

La prima riguarda l’agenda di Lisbona. Alla fine di marzo firmeremo la dichiarazione di Berlino. Uno dei suoi punti fondamentali riguarda l’agenda di Lisbona, cioè la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Deve essere incluso, semplicemente perché è uno dei principi fondamentali dell’Unione europea. Purtroppo viviamo in un periodo di protezionismo. Tale protezionismo deve finire; pertanto, un messaggio in tal senso deve figurare nell’agenda di Lisbona e nella dichiarazione di Berlino.

La mia seconda osservazione è che, a mio parere, sin dalla fine della Guerra fredda l’Unione europea sente la mancanza della minaccia rossa. Infatti, abbiamo avuto l’euro negli anni ’90 e l’allargamento in questo decennio, ma d’allora cerchiamo qualcosa e penso che la discussione di oggi dimostri che quel qualcosa è stato trovato: i cambiamenti climatici. Per molti versi, in realtà dovremmo ringraziare il Presidente Putin per aver inserito la politica energetica nell’agenda europea, perché se non avesse fatto ciò che ha fatto in Ucraina, non penso che oggi saremmo così entusiasti di discutere l’indipendenza energetica e il mix energetico. Sono molto soddisfatto della direzione in cui la Commissione sta orientando il dibattito sull’energia, il dibattito sull’ambiente e il dibattito sui cambiamenti climatici.

L’ultima osservazione che vorrei fare riguarda il mio argomento preferito: la Costituzione. So che non è all’ordine del giorno del Consiglio europeo dell’inizio di marzo, ma vorrei solo esortare la Presidenza tedesca a proseguire il buon lavoro che ha svolto finora nel portare avanti il processo. Abbiamo bisogno della Costituzione, ne abbiamo disperatamente bisogno per tre motivi: uno, rende l’Unione più efficiente; due, rende l’Unione più democratica; tre, rende l’Unione più facile da comprendere.

Mi auguro che otterremo una tabella di marcia per tale Trattato alla fine della Presidenza tedesca, in modo che esso possa entrare in vigore nel 2009.

 
  
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  Enrique Barón Crespo (PSE).(ES) In vista del Vertice di primavera, signor Presidente in carica del Consiglio, ritengo che il discorso pronunciato stamattina dal Cancelliere Merkel si inserisca perfettamente nell’agenda di marzo. Dopo la riunione di Madrid dei 18 “amici della Costituzione”, con i due che hanno annunciato la loro intenzione di ratificarla e quelli che non si sono ancora pronunciati – il loro silenzio è assordante –, ritengo sia importante sostenere quanto ha affermato la Presidente del Consiglio. Vorrei tuttavia aggiungere un’osservazione, cioè che per fare qualcosa dovremo usare più la penna che le forbici, perché difendere solo la sostanza è pericoloso, soprattutto se si comincia a sfrondare.

Vorrei segnalare, dal punto di vista della democrazia e dell’azione politica nel settore dell’energia, in vista delle politiche che dobbiamo adottare, che ridurre comporta un grave pericolo perché, dal punto di vista democratico – e al Parlamento questo aspetto interessa molto –, passeremo da 35 basi giuridiche a 85, e ciò riveste un’importanza enorme e decisiva.

In secondo luogo, riguardo alla strategia di Lisbona, vorrei introdurre un elemento che non è stato menzionato in Aula, ovvero la conclusione positiva del ciclo di negoziati di Doha. Possiamo parlare di cambiamenti climatici, possiamo parlare di energia e di modello sociale, ma se non conseguiamo una conclusione positiva nel ciclo di Doha – che chiaramente non può integrare questi elementi in modo diretto, ma dobbiamo tenerne conto e inserirli nell’agenda delle nostre relazioni internazionali – non penso che saremo in grado di risolvere da soli problemi che hanno una dimensione globale.

A mio parere, l’Unione europea deve condurre una politica attiva che comprenda questi elementi, tenendo conto dell’importanza di concludere il ciclo di Doha, che figura nel programma della Presidenza tedesca, ma del quale penso si parli troppo poco.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE). (LT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nelle mie osservazioni sull’attuazione della strategia di Lisbona, tra quattro priorità vorrei evidenziarne una: l’energia. E’ soprattutto in questo campo, con una competitività minima nei servizi di mercato e di rete, che l’Unione europea è ancora molto indietro. I paesi del Baltico sono tuttora isolati dal punto di vista energetico, sia in termini di elettricità sia, in particolare, in termini di gas naturale.

Il gasdotto dell’Europa settentrionale, in corso di costruzione in conseguenza di un accordo siglato da due soli paesi, la Germania e la Russia, non risolverà i problemi delle reti di commercializzazione e distribuzione del gas naturale. Il discorso del Presidente russo a Monaco ha dimostrato che in Russia sta riemergendo un atteggiamento imperialista, e sembra che l’intenzione rimanga invariata: continuare a usare la politica energetica per scopi politici.

Un mercato comune europeo dell’energia offrirebbe una garanzia di sicurezza nei riguardi dei paesi terzi e contribuirebbe a risolvere le crisi energetiche che possono scoppiare all’interno dell’Unione o essere provocate da fattori esterni. Nei negoziati con la Russia, è essenziale prevedere forme di tutela per proteggerci dall’eventuale imposizione di condizioni monopolistiche da parte di terzi.

Perché tutti possano sentirsi più sicuri, invito il Consiglio e la Commissione ad avviare al più presto una valutazione, condotta da esperti indipendenti, dei possibili effetti del gasdotto dell’Europa settentrionale. Il Mar Baltico non appartiene solo a due paesi, ma a tutta l’Unione europea.

 
  
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  Malcolm Harbour (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, penso che non si stupirà di sentire che, in veste di coordinatore del mio gruppo in seno alla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, io voglia affrontare, in particolare, le questioni riguardanti la futura strategia per il mercato unico. Signor Presidente in carica del Consiglio, so che lei riceverà dalla Commissione un documento strategico da esaminare. Non abbiamo ancora avuto la possibilità di vederlo, ma posso dire che mi auguro sia un documento coraggioso, perché abbiamo molto lavoro da svolgere.

Mi rivolgo a lei, in particolare, signor Presidente in carica del Consiglio, perché voglio richiamare la sua attenzione sul titolo di un’intera parte della nostra risoluzione: “Eliminare le carenze persistenti del mercato interno”. Tale parte è rivolta espressamente ai membri del Consiglio. La Commissione sta lavorando sodo a tal fine, ma resta il fatto che il mercato interno è una responsabilità condivisa. Possiamo fare tantissimo in seno al Parlamento e abbiamo fatto molto in merito alla direttiva sui servizi, un ottimo esempio recente, ma è necessario fare molto di più. Stiamo per esaminare, sotto la guida dell’onorevole Stubb, l’intera questione della libera circolazione dei beni nei settori non armonizzati. Anche questa sarà una proposta importante, ma è necessario che vi impegniate a trattare la questione.

Alcune settimane fa ho avuto il privilegio – anche l’onorevole Ayala Sender è membro della commissione e ne ha appena parlato – di essere relatore per la nostra riunione interparlamentare, alla quale si è discusso il mercato interno con parlamentari provenienti da tutti gli Stati membri. L’aspetto interessante è stato che essi danno preminenza alle quattro libertà appena menzionate dall’onorevole Stubb e al fatto che hanno bisogno di aiuto per poterle difendere in seno ai loro parlamenti contro i loro stessi governi. Talvolta si allude al fatto che è sin troppo facile attribuire al mercato interno la perdita di posti di lavoro o accusarlo di incoraggiare una maggiore concorrenza, negativa per i consumatori e per le economie, ma in realtà il mercato unico è assolutamente al centro della nostra risposta alle pressioni globali. Come ha affermato durante la nostra riunione un deputato a un parlamento nazionale, il mercato interno è fondamentale perché rafforza in profondità l’intera strategia di Lisbona.

Signor Presidente in carica del Consiglio, le chiedo di inserire questo punto nella sua agenda, di convincere i suoi colleghi ministri a cominciare a prendere realmente sul serio il mercato interno e la sua realizzazione e di coinvolgere i cittadini e i parlamentari del suo paese in questa sfida.

 
  
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  Bernard Poignant (PSE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, scegliere, fortuitamente o scientemente, l’8 marzo per aprire il Consiglio europeo significa scegliere la Giornata internazionale della donna. E’ stata una buona scelta da parte del Cancelliere Merkel, che, immagino, saprà valorizzare la giornata.

Vorrei reinserire il Consiglio europeo nel suo contesto storico: gli anni 2007-2010, a mio parere, saranno decisivi, un po’ come il periodo 1954-1957, tra il fallimento della Comunità per la difesa e il rilancio del bilancio europeo con il Trattato di Roma, del quale festeggiamo ora il 50° anniversario. Ci attendono numerosi appuntamenti: istituzionali, di bilancio, elettorali – con le elezioni europee e forse i referendum –, l’esame della strategia di Lisbona e anche della politica agricola. E’ quindi necessario che tutti noi cominciamo a persuadere le persone in modo che siano dalla nostra parte quando verrà il momento.

I cittadini ci sentiranno parlare di concorrenza, e non sono contrari. Ci sentiranno parlare di flessibilità delle imprese, e non sono contrari, purché sia garantita la sicurezza dei lavoratori. Ciò detto, vi suggerisco un’altra parola: armonizzazione. Sembra essere scomparsa dal nostro vocabolario, anche se figura nel Trattato di Roma. L’armonizzazione ambientale sta arrivando, compie progressi. L’armonizzazione fiscale si è un po’ arenata per quanto riguarda l’imposta sulle società. L’armonizzazione sociale è troppo debole. Sia come sia, penso che la musica ariosa dell’armonizzazione debba giungere all’orecchio dei nostri concittadini. Al tempo stesso, come molti altri, vorrei che il Consiglio incoraggiasse la Commissione a presentare un testo, una direttiva quadro sui servizi pubblici.

E’ senz’altro necessaria per riequilibrare il mercato, anche se è vero che nessuno qui è contrario. Non farebbe che tradurre il senso che Jacques Delors attribuiva all’integrazione europea, o almeno a una delle sue formule: la concorrenza stimola, la cooperazione rafforza, ma la solidarietà unisce.

 
  
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  Markus Ferber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, onorevoli colleghi, vorrei solo riprendere alcuni aspetti che sono già stati menzionati, uno dei quali è la riduzione della burocrazia. Oggi, a mezzogiorno, abbiamo abrogato due direttive; ciò nonostante ritengo che dobbiamo tutti sforzarci di più e penso anche che sia necessario un meccanismo che ci permetta di stabilire insieme quali direttive siano veramente superflue. Questa procedura laboriosa, in base alla quale la Commissione prepara qualcosa, poi il Consiglio deve dare il suo consenso e infine il Parlamento può pronunciarsi al riguardo, a mio parere non è efficiente. Ritengo che, insieme, se disponessimo di un sistema idoneo, potremmo abrogare le direttive superflue in modo molto più rapido, e sarei lieto se il Commissario competente partecipasse alla discussione su questo tema.

Vorrei affrontare brevemente una seconda questione. Quest’anno dovremo prendere una decisione su un atto legislativo volto a liberalizzare il mercato dei servizi postali, che riveste grande importanza per il mercato interno. Le proposte presentate dalla Commissione rivelano il grande impegno che essa dedica alla questione. In seno al Parlamento, cercheremo di concludere la prima lettura il più rapidamente possibile e mi auguro che il Consiglio trasporrà tutto ciò che sarà deciso al Consiglio europeo di marzo – con splendidi titoli e un linguaggio fiorito – nella legislazione relativa all’apertura dei mercati dei servizi postali. Si tratta di un settore in cui l’apertura è urgentemente necessaria perché, per favorire la crescita, creare posti di lavoro e promuovere la sicurezza sociale, non troveremo una soluzione nel modello finora imperante in Europa, cioè il monopolio. Attendo con impazienza le proposte del Consiglio e in particolare mi auguro che il governo della Repubblica federale di Germania proceda nella direzione che si è impegnato a seguire e non cada in ginocchio.

Oggi ho ascoltato molti interventi interessanti sulla politica energetica e desidero aggiungere un’ultima osservazione su questo tema. Vorrei dire all’onorevole Harms che considero oltremodo vergognoso che la politica energetica dei socialdemocratici e dei verdi contribuirà ad aumentare le emissioni di CO2 in Germania; le chiedo pertanto di non dare lezioni all’Assemblea su ciò che occorre fare al riguardo. Nei sette anni durante i quali ha avuto la responsabilità in materia, onorevole Harms, lei ha fatto esattamente il contrario di ciò che predica.

 
  
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  Gary Titley (PSE).(EN) Signor Presidente, penso sia molto difficile sottovalutare l’importanza del Vertice di primavera, perché precede la dichiarazione di Berlino, che spiegherà come e perché l’Unione europea è importante per il mondo e, in sostanza, rilancerà l’Unione europea. Esso precede le ulteriori riflessioni sulla futura riforma dell’Unione europea.

Vorrei quindi ribadire quanto affermato dal Commissario Wallström, cioè che il Consiglio europeo di primavera deve dimostrare come l’Unione europea possa conseguire risultati per i suoi cittadini, perché, prima di parlare di delicate questioni istituzionali, dovete parlare del modo in cui ottenere risultati. Penso che, se non riusciremo a intraprendere un’azione a questo Vertice, tutti i piani della Presidenza tedesca saranno compromessi.

Ritengo si debbano compiere azioni concrete, come è stato detto, in relazione al completamento del mercato interno. Vi sono semplicemente troppe carenze che ostacolano i cittadini che vogliono viaggiare e lavorare in altri Stati membri, anche riguardo a faccende quali la registrazione di un autoveicolo in alcuni Stati membri. Dobbiamo ottenere risultati in termini di legiferare meglio, per rafforzare i diritti dei consumatori e migliorare l’ambiente delle imprese. Dobbiamo rispettare l’impegno di ridurre del 25 per cento la burocrazia. In particolare, dobbiamo completare le dieci proposte pratiche accelerate, presentate dalla Commissione.

Sull’azione e l’energia, dobbiamo rispettare gli accordi esistenti in materia di liberalizzazione del settore energetico. Dobbiamo avere un mercato dell’energia competitivo, e ciò significa separare e rafforzare il potere degli organi regolatori. Mi auguro che il governo tedesco, al contrario della Presidenza tedesca, assumerà la guida in questo ambito.

Dobbiamo adottare provvedimenti per contenere i cambiamenti climatici. Dobbiamo assumere la guida a livello globale, ma possiamo farlo soltanto con un’azione volta a ridurre le nostre emissioni, abbattere l’uso del carbonio e rendere il sistema di scambio delle quote di emissione molto più efficace e ineccepibile.

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, la strategia di Lisbona è la risposta dell’Europa alle sfide della globalizzazione.

Gli sforzi compiuti dalla Commissione e dagli Stati membri per rilanciare e chiarire tale strategia ora devono dare frutti in termini di crescita e posti di lavoro. Il Consiglio europeo deve riaffermare che la soluzione alle nostre difficoltà economiche consiste in gran parte in una migliore attuazione della strategia di Lisbona, che preveda anche spese pubbliche produttive a favore degli investimenti, della ricerca e dello sviluppo, dell’energia e dell’ambiente.

La combinazione di riforme economiche, sociali e ambientali, a livello nazionale ed europeo, è l’unico modo di conseguire i nostri obiettivi comuni di miglioramento della competitività e creazione di nuovi posti di lavoro di migliore qualità.

Il Consiglio europeo adotterà anche il piano d’azione per l’energia, inteso a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento, la competitività e il rispetto dell’ambiente. Vorrei richiamare la vostra attenzione sull’impatto potenziale degli obiettivi realmente ambiziosi di riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2020, fissati dalla Commissione, perché, se l’obiettivo è senz’altro lodevole, dobbiamo assicurare che sia salvaguardato l’equilibrio tra i principi ecologici e la competitività delle imprese.

Sostengo la Presidenza tedesca e la Commissione nella loro difesa dell’iniziativa “legiferare meglio”. L’Europa ha spesso avuto la tendenza a introdurre troppi regolamenti, a volte su qualunque argomento, ma l’Unione non ha il ruolo di interferire in tutto. Essa deve anzi svolgere un lavoro migliore sulle politiche che richiedono un livello di decisione almeno europeo e che rappresentano un vero valore aggiunto europeo: l’energia, il clima, la sicurezza e l’immigrazione, per citarne solo alcune. E’ ora che l’Unione si concentri sull’essenziale, nel rispetto del principio di sussidiarietà e in risposta alle attese dei nostri concittadini.

 
  
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  Edite Estrela (PSE).(PT) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, nell’anno in cui l’Unione europea commemora i 50 anni del Trattato di Roma, nell’anno delle pari opportunità per tutti, nell’anno in cui il mio paese, il Portogallo, eserciterà la Presidenza dell’Unione europea, considero importante segnalare che, domenica scorsa, la popolazione portoghese ha approvato per referendum la depenalizzazione dell’aborto fino alla decima settimana di gravidanza.

Penso sia giusto sottolineare l’importanza di tale voto in quest’Aula e in questo contesto per altri due motivi: in primo luogo, perché la netta vittoria del “sì” corrisponde alle raccomandazioni adottate dal Parlamento europeo, che invitano a rendere l’aborto legale e sicuro in tutti gli Stati membri, e, in secondo luogo, perché, per felice coincidenza, come ha già rilevato l’onorevole Poignant, il Consiglio di primavera comincia l’8 marzo. Come ha affermato il Primo Ministro portoghese José Sócrates, con questo risultato il Portogallo compie un fermo passo avanti nella costruzione di una società più aperta, più tollerante e più giusta.

Riguardo alla strategia di Lisbona, è necessario anche rafforzare la componente sociale in tutti gli Stati membri, per permettere alle donne e agli uomini europei di conciliare meglio la vita familiare e la vita professionale, il che richiede, per esempio, la creazione e lo sviluppo di strutture di assistenza all’infanzia e ad altre persone dipendenti, con servizi di alta qualità a prezzi ragionevoli. Sono necessari nuovi e migliori posti di lavoro anche per le donne, nonché pari retribuzione per pari lavoro. Riteniamo che, senza la partecipazione delle donne, gli obiettivi ambiziosi della strategia di Lisbona non potranno essere realizzati.

 
  
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  Cristóbal Montoro Romero (PPE-DE).(ES) Signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, signora Vicepresidente della Commissione, la strategia di Lisbona rappresenta il lancio del grande progetto europeo, ora che abbiamo l’euro, volto a conseguire un maggiore benessere e soprattutto livelli di occupazione e di partecipazione degli europei all’attività lavorativa, in particolare delle donne. Si tratta di un progetto ambizioso per il 2010, che definisce il percorso verso l’apertura – l’apertura dell’Europa –, un percorso verso la liberalizzazione dei settori strategici come le comunicazioni, i trasporti, l’energia, i servizi finanziari, e anche verso la modernizzazione dei rapporti di lavoro, al fine di conseguire, tramite accordi sociali, una modernizzazione dei mercati del lavoro che permetta di avere maggiore accesso ai posti di lavoro, soprattutto ai giovani e ai disoccupati di lungo periodo.

Si assiste ora a una ripresa della crescita economica e questo Vertice, che si svolgerà in marzo e riesaminerà la strategia di Lisbona, deve confermare agli europei che la crescita economica del 2006 non è un evento passeggero, ma può rafforzarsi nel quadro dell’economia globale e di tale ripresa. A tal fine, sarà necessaria molta iniziativa politica e molta capacità politica per affrontare queste riforme che non si possono più rinviare. Oggi pomeriggio in Aula si è parlato di energia e di ambiente, in breve, tutte le riforme necessarie per far sì che gli europei tornino ad avere fiducia nel loro stesso progetto. Non vi sarà fiducia senza posti di lavoro.

Ciò che sta frenando il grande progetto europeo è l’incapacità di crescere, come diceva il Commissario Wallström, il basso livello di crescita, che non crea sufficienti posti di lavoro. Chi di noi si sente profondamente europeo è nondimeno convinto che sia ancora possibile recuperare questo processo e non lasciarlo morire.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE). (PL) Signor Presidente, ancora una volta discutiamo un programma per l’Europa che deve essere di ampia portata, chiaro e capace di rispondere alle sfide globali. Questa volta dobbiamo prestare particolare attenzione al problema della politica energetica comune, che al momento è una questione politica e sociale molto importante.

Dobbiamo ricordare che i recenti aumenti dei prezzi dell’energia in futuro diventeranno un problema sempre maggiore sia per i mercati mondiali dell’energia sia per lo sviluppo economico. Non abbiamo ancora una chiara strategia europea in materia di energia. Gli Stati membri continuano a concentrarsi sui propri interessi strategici, che si riflettono poi nelle loro decisioni politiche nazionali. Questo è il motivo per cui i margini sono ancora troppo stretti per una cooperazione a livello europeo. Una politica energetica europea, d’altro canto, significa agire in armonia e solidarietà.

Stamattina il Presidente della Commissione europea Barroso ha giustamente affermato che, se vogliamo essere trattati come un partner da prendere in considerazione nella politica energetica, dobbiamo esprimere una sola voce, non 27. La solidarietà è particolarmente importante per ottenere forniture sicure di energia. L’Unione europea deve parlare con una sola voce quando conduce negoziati con i suoi principali fornitori di energia, al fine di instaurare un buon partenariato a lungo termine e concludere accordi di cooperazione nel settore dell’energia.

Inoltre, la politica energetica è anche indirettamente legata alle priorità della strategia di Lisbona rinnovata, cioè rafforzare la crescita e l’occupazione. Su questa strategia, il Consiglio giustamente propone di concentrarsi su quattro elementi, cioè una politica economica basata sulla stabilità e sulla crescita, lo sviluppo del mercato interno, l’innovazione, la ricerca e l’istruzione, la creazione di nuovi posti di lavoro e lo sviluppo del modello sociale europeo.

La strategia di Lisbona, tuttavia, richiede ancora un maggiore impegno da parte dei governi degli Stati membri per la sua attuazione. Per garantire una crescita equilibrata, dobbiamo anche sostenere la componente ambientale e sociale della strategia, con particolare riferimento alla creazione di posti di lavoro.

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, oggi è il momento giusto per dire che, grazie alla riforma del 2004, la strategia di Lisbona è più di un semplice insieme di obiettivi irraggiungibili: le priorità sono più chiare e le responsabilità sono definite meglio.

Nel mio intervento, vorrei parlare della politica sociale nel quadro della strategia di Lisbona. In primo luogo, è del tutto evidente che la strategia di Lisbona non è, come alcuni vorrebbero, un tentativo liberale di compromettere i fondamenti e i valori del modello sociale europeo. Al contrario, la strategia di Lisbona rappresenta una visione che, essendo chiaramente riformatrice, mira a preservare i valori su cui si fonda il modello sociale europeo. La strategia di Lisbona definisce quindi un orientamento politico in relazione alla necessità di modernizzare i sistemi di protezione sociale, una risposta necessaria a ciò che avviene in Europa e nel mondo.

Questa linea di orientamento generale esprime l’idea che la politica sociale non deve essere considerata come un onere, ma innanzi tutto come un fattore capace di esercitare un’influenza positiva sulla crescita economica, attraverso l’aumento della produttività e della competitività e offrendo livelli di coesione sociale più elevati e l’accesso ai diritti fondamentali. Diventa quindi uno strumento importante per garantire la pace sociale e la stabilità politica, senza le quali non può esistere un progresso economico duraturo.

Grazie alla riforma del 2004, sono ora più ottimista che in passato riguardo all’attuazione della strategia di Lisbona. L’Unione europea è entrata in una fase di accelerazione economica e potrebbe superare la crescita degli Stati Uniti d’America. Solo nel primo semestre del 2006 gli investimenti sono cresciuti del 6 per cento, l’aumento delle esportazioni dovrebbe superare il 5 per cento e il tasso di disoccupazione è sceso ai livelli del 1998. Il 2006 è stato l’anno migliore del decennio e le prospettive per il 2007 sono molto positive. Queste cifre confermano che gli obiettivi della strategia di Lisbona hanno un effetto cumulativo sul campo, grazie al quale la crescita economica sostenuta determina la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro, un miglioramento continuo del tenore di vita dei cittadini dell’Unione europea, senza alcuna perdita di competitività e nel rispetto dei valori del modello sociale europeo.

Mi congratulo quindi con il Presidente Barroso e con la Commissione per la riforma che, al momento giusto, hanno deciso di introdurre nella strategia di Lisbona.

 
  
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  Christa Prets (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, si è parlato molto dell’attuazione efficace della strategia di Lisbona, o almeno dei tentativi in tal senso. Prima che lei lasci l’Aula, vorrei chiederle di intervenire, alla prossima riunione, a favore di chiare definizioni e chiare delimitazioni, delle quali siano responsabili i singoli, e per “singoli” intendo gli Stati membri e l’Unione europea.

Alla riunione interparlamentare della scorsa settimana a Bruxelles è risultato evidente che i nostri omologhi nei vari Stati membri avevano portato a Bruxelles tutte le loro critiche e le loro richieste riguardanti l’istruzione, l’occupazione, la sicurezza sociale, la protezione del clima, eccetera, e chiedevano soluzioni. Tuttavia, gran parte dei poteri e delle responsabilità è nelle mani degli Stati membri. Sono necessarie più informazioni e più trasparenza, perché i cittadini sappiano infine quali responsabilità spettano all’Unione europea e quali agli Stati membri.

L’istruzione è un elemento centrale della strategia di Lisbona. L’ultima relazione della Commissione sullo stato di avanzamento indica che gli Stati membri stanno ancora compiendo sforzi notevoli per conseguire i cinque obiettivi entro il 2010. Ciò richiede, con la massima urgenza, maggiori investimenti nell’istruzione e una chiara definizione dei diritti e degli obblighi in materia di istruzione e formazione lungo tutto l’arco della vita. Per ottenere una maggiore mobilità, è necessario anche il riconoscimento delle qualifiche. Quello che abbiamo fatto finora nell’Unione europea ha ancora una scarsa utilità pratica. Vi chiedo di tenerne conto nei vostri lavori.

La scorsa settimana ho partecipato a una riunione molto interessante con i giovani socialisti europei, che mi hanno chiesto di trasmettere il messaggio che l’istruzione è anche un fine di per sé e non sempre ha il solo scopo di aiutare le persone a diventare lavoratori adatti al mercato del lavoro, ma ha anche una grande influenza sullo sviluppo della coscienza individuale, delle competenze sociali e della comprensione della cultura. Lo considero un grande compito educativo per tutti noi.

 
  
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  Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, vorrei esprimere un sincero ringraziamento per i numerosi suggerimenti forniti, che sono anche riepilogati nella risoluzione del Parlamento che deve ancora essere adottata.

Ci siamo concentrati su alcune questioni importanti, cioè quelle riguardanti la strategia di Lisbona: crescita, occupazione, ma anche sostenibilità, che è stata aggiunta a Göteborg.

In particolare l’ultimo intervento, dell’onorevole Prets, ha dato risalto alla questione di chi sia responsabile della strategia di Lisbona, e la mia esperienza personale negli ultimi anni convalida questo punto. E’ chiaro che, in molti campi, si coordinano vari elementi, che devono poi essere attuati a livello nazionale. Nondimeno – e questo è legato all’altra questione sollevata oggi da diversi deputati – vi sono questioni riguardo alle quali tutti gli Stati membri concordano nell’affermare che le misure a livello nazionale non sono sufficienti ed è necessario intervenire a livello europeo. Ciò è a sua volta legato alla questione dell’adozione di atti legislativi: deve avvenire a livello europeo o può avvenire a livello nazionale?

Un’importante questione collegata è quella dell’energia, che a sua volta si inserisce nella sfera della crescita. Affronteremo anche questa questione al Consiglio europeo di primavera, in quanto lo sviluppo delle energie rinnovabili è all’ordine del giorno. Ciò rappresenterà anche un primo importante contributo alla protezione ambientale, un contributo che offre anche nuove opportunità di occupazione. Dopo tutto, questo settore si è rivelato una fonte di nuovi posti di lavoro, i quali, a loro volta, offrono la possibilità di esportare prodotti al di fuori dell’Unione. Non è sufficiente che l’Europa sia all’avanguardia nel risparmio energetico e nella lotta ai cambiamenti climatici; essa deve convincere anche altri a seguire questa linea. Tuttavia, possiamo convincere gli altri soltanto se diamo un buon esempio noi stessi.

Vorrei dare risalto a un altro aspetto importante, anche se non sarà un tema centrale del Consiglio europeo. Sono già stati lanciati – peraltro giustamente – numerosi appelli alla solidarietà energetica e anche richieste di dialogo con la Russia. Per conseguire questa sicurezza, tuttavia, sono necessari negoziati con la Russia, nonché un mandato per ravvivare infine l’accordo di partenariato e di cooperazione con tale paese, in modo da poter includere nei negoziati anche gli aspetti che incidono sulla questione della sicurezza energetica.

A questo riguardo desidero accennare a un altro aspetto, cioè il motivo per cui è importante condurre il dialogo con la Russia. Se oggi pensiamo al modo in cui i gasdotti sono installati in Russia, a dove sono installati e al fatto che – in parte in conseguenza del riscaldamento globale – le loro condizioni potrebbero presto deteriorarsi, comprendiamo che è importante entrare in stretto contatto con la Russia in questo contesto specifico, e non solo con gli altri paesi produttori e/o di transito.

Vorrei menzionare un ambito di cui hanno già parlato diversi deputati, tra cui l’onorevole Goebbels, cioè la dimensione sociale, il modello sociale europeo. Sono state formulate critiche occasionali sul fatto che questa dimensione non è realmente centrale. Vorrei ricordare all’Assemblea che, solo pochi giorni fa, la Presidenza ha organizzato una conferenza a Norimberga, guidata da Franz Müntefering, ministro federale tedesco del Lavoro e degli affari sociali, nonché Presidente del Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e problemi dei consumatori”, su questioni quali: come possiamo rispondere alla sfida della globalizzazione? Cosa può fare l’Unione? Cosa si deve conservare e cosa occorre cambiare in risposta alle sfide? Il Presidente del Consiglio si è anche posto l’obiettivo di proseguire questo esame durante la Presidenza tedesca del G8. Nondimeno, dobbiamo esaminare come mitigare i timori che questo mondo in evoluzione suscita in molti cittadini. E’ molto importante ricordare che i cittadini hanno bisogno di sicurezza nel cambiamento.

Tornando al tema di Lisbona, molti associano questa parola alla splendida capitale del Portogallo, mentre altri non fanno alcuna associazione. Il compito di porvi rimedio non spetta solo alla Commissione. E’ nostro dovere continuare a ricordare gli obiettivi della strategia di Lisbona – crescita, occupazione e sostenibilità – e coordinarli con nuove questioni e sfide, come la ricerca, l’istruzione e la formazione. Nel farlo, tuttavia, dobbiamo mostrare a livello nazionale che questo slancio e questo coordinamento provengono dall’Europa.

Vorrei fare un’ultima osservazione sul tema del Trattato costituzionale, anche se non è all’ordine del giorno del Consiglio europeo di primavera. Non è sufficiente fare osservazioni quali: “Perché non fare semplicemente a meno del Trattato costituzionale? I cittadini non lo vogliono”. Dichiarazioni di questo tipo sono errate, in quanto alcuni Stati membri, come la Spagna e il Lussemburgo, hanno accettato questo Trattato costituzionale, per via parlamentare o tramite referendum. E’ vero che altri due Stati membri lo hanno respinto, ma, al tempo stesso – come ha affermato alcune settimane fa qui in Aula il Cancelliere tedesco nel suo discorso sulla Presidenza tedesca – molte persone che rifiutano questo Trattato costituzionale vogliono conferire all’Unione europea più poteri e responsabilità, per esempio nel settore dell’energia. Questo è esattamente ciò che il Trattato costituzionale prevede. I singoli individui devono decidere che cosa vogliono, non possono sempre e solo scegliere gli elementi che preferiscono. Chi chiede diritti parlamentari, per esempio il meccanismo di allarme preventivo tramite una migliore regolamentazione, deve poter decidere a quale livello – nazionale o europeo – ritiene siano necessari regolamenti e debbano essere adottati.

 
  
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  Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ringrazio tutti i deputati per essere rimasti in Aula fino al termine della discussione. E’ sempre impegnativo creare un vero dibattito e non ascoltare solo monologhi.

Vorrei fare tre osservazioni. In primo luogo, riprenderò un aspetto che avete menzionato: la situazione di stallo sul Trattato costituzionale e quella che molti di voi hanno definito una mancanza di impegno da parte dei leader politici in Europa oggi. La Commissione, naturalmente, sostiene appieno quello che potremmo definire un impegno coraggioso e ambizioso da parte della Presidenza tedesca, volto ad assicurare che l’intera questione passi dalla fase di riflessione a quella dell’azione. Sappiamo che non sarà facile trovare soluzioni, ma faremo del nostro meglio. Dobbiamo superare questa situazione di stallo quanto prima possibile.

L’esito del Consiglio di primavera sarà molto importante in questo contesto, così come la sua capacità di conseguire risultati sulle questioni fondamentali all’ordine del giorno, compresi i cambiamenti climatici. Vorrei fare alcune osservazioni su ciò che alcuni di voi hanno affermato riguardo alle ambizioni della Commissione e dell’Unione europea. E’ importante dire che esiste un obiettivo a lungo termine e un obiettivo inteso a contenere i cambiamenti climatici. La riduzione del 30 per cento delle emissioni dei paesi industrializzati entro il 2020 è un passo necessario verso l’obiettivo a più lungo termine di ridurle del 50 per cento, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2050. E’ necessario comprendere che si tratta di un passo in quella direzione. La riduzione è essenziale per rispettare l’obiettivo di 2 gradi, che, come sappiamo, a sua volta dovrebbe prevenire uno sconvolgimento enorme e irreversibile del regime climatico globale. Spetta ai paesi industrializzati continuare a sostenere gran parte di questo sforzo globale volto a ridurre le emissioni nel prossimo decennio, come già stanno facendo nel quadro del protocollo di Kyoto, sia per essere credibili sia per motivare i paesi più poveri del mondo, che dovranno seguire il nostro esempio.

Abbiamo chiesto al gruppo di paesi industrializzati di ridurre le loro emissioni del 30 per cento. Chiediamoci se è un obiettivo ambizioso. Rispetto al 1990, le emissioni degli Stati Uniti sono attualmente superiori del 15 per cento, quelle dell’Unione a 25 sono inferiori del 5 per cento e quelle della Russia sono inferiori del 30 per cento. Non sarà facile, e non si può esaminare singolarmente, ma rappresenta una sfida enorme.

Permettetemi di menzionare anche i costi, perché molti di voi hanno parlato dei costi per l’industria. La Commissione ha svolto valutazioni di impatto che dimostrano come l’adozione di provvedimenti per limitare i cambiamenti climatici sia pienamente compatibile con una crescita globale sostenuta. Gli investimenti in un’economia a basse emissioni di carbonio richiederanno circa mezzo punto percentuale del PIL globale nel periodo 2013-2030 e ridurranno la crescita del PIL globale dello 0,19 per cento all’anno, ovvero di una frazione del previsto tasso di crescita annua del PIL, pari al 2,8 per cento.

Questo senza tenere conto dei vantaggi associati in termini di salute, maggiore sicurezza energetica e minori danni grazie alla prevenzione dei cambiamenti climatici. Si tratta di un modesto premio assicurativo da versare per ridurre in modo significativo il rischio di danni irreversibili alla nostra economia e al nostro pianeta, soprattutto se lo si confronta con la stima fornita dal rapporto Stern, secondo cui i cambiamenti climatici incontrollati nel lungo periodo costeranno tra il 5 e il 20 per cento del PIL. Dobbiamo quindi considerare il costo dell’inazione. I cambiamenti climatici ci costano già: chiedete alle compagnie di assicurazione in tutto il mondo.

Infine, il Consiglio europeo di primavera riguarda la strategia di Lisbona. Avete assolutamente ragione: se vogliamo comunicare, dobbiamo dire che si tratta di posti di lavoro e di crescita. Lisbona significa anche avere il coraggio di introdurre riforme. Concordo pienamente con l’onorevole Watson, che ha affermato che esistono ampie prove del fatto che la riforma funziona. Tuttavia, esistono anche prove del fatto che non è facile riformare le società dominate dalla paura e dall’insicurezza, perché temono il cambiamento. Lo notiamo anche in Europa, ed è per questo che dobbiamo creare fiducia e ricordare che la strategia di Lisbona – la strategia per l’occupazione e la crescita – riguarda anche la lotta all’esclusione sociale e alla povertà, che dobbiamo combattere la povertà anche in Europa, migliorare la qualità del lavoro, investire nell’istruzione, creare competenze civili e investire nelle persone: solo così si potranno vincere le paure.

Ascoltando tutti questi interventi interessanti, ho pensato allo stretto legame tra la strategia per la crescita e l’occupazione e lo sviluppo sostenibile, perché abbiamo ascoltato tutti gli argomenti che spiegano perché noi europei vogliamo che la crescita economica sia associata alla sicurezza sociale e al mantenimento di un alto livello di protezione ambientale, pur continuando a essere ambiziosi. Ritengo che lo sviluppo sostenibile sia un obiettivo che guadagna sempre più terreno quale prospettiva per l’Europa e per il mondo.

 
  
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  Presidente. – A conclusione della discussione, comunico di avere ricevuto cinque proposte di risoluzione sulla strategia di Lisbona(1)ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.30.

(La seduta, sospesa alle 17.20 in attesa delle interrogazioni rivolte alla Commissione, riprende alle 17.35)

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Ján Hudacký (PPE-DE). – (SK) Di sicuro siamo tutti d’accordo sul fatto che l’innovazione svolge o dovrebbe svolgere un ruolo dominante nel modo in cui rispondiamo ai rischi e alle opportunità che l’economia globale presenta. E’ risaputo che il maggiore problema inerente allo sviluppo dell’innovazione è l’insufficiente attuazione negli Stati membri. Il principale obiettivo della strategia di Lisbona è creare le condizioni per il rafforzamento dell’ambiente competitivo interno in ogni Stato membro. L’economia dell’Unione può solo essere tanto competitiva ed esperta in innovazione quanto le imprese più piccole e più remote nelle sue regioni. I programmi a favore dell’innovazione devono quindi essere attuati direttamente a livello regionale, dove possono creare un ambiente sufficientemente competitivo per le PMI locali.

Lo sviluppo dell’innovazione gestito a livello centrale è condannato all’insuccesso sin dall’inizio. Il modo in cui procedere consiste nel costruire un’infrastruttura tecnica regionale per l’innovazione, tra cui incubatori di tecnologie e centri ad alta tecnologia, in cui sia possibile sfruttare tutto il potenziale scientifico disponibile, oltre che ogni idea innovativa praticabile. Ciò deve andare di pari passo con un metodo flessibile per tutte le forme di finanziamento, in particolare per il capitale di rischio, tenendo conto del livello di sviluppo di una determinata impresa o progetto innovativo. Il finanziamento deve anche essere disponibile a livello regionale. E’ l’unico modo in cui possiamo sostenere, motivare, sviluppare e sfruttare il potenziale scientifico delle nostre regioni, ai fini di una crescita sostenibile duratura. Invito quindi la Commissione europea a esaminare gli aspetti che ho menzionato a proposito dello sviluppo dell’innovazione, quando valuta i quadri strategici nazionali di riferimento.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  

(1) Cfr. Processo verbale.


9. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0003/2007).

Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte alla Commissione.

Prima parte

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 41 dell’onorevole Evgeni Kirilov (H-0002/07):

Oggetto: Sorte delle infermiere bulgare e del medico palestinese e relazioni UE-Libia

Qual è, secondo la Commissione europea, l’impatto della propria politica di cooperazione con la Libia alla luce della condanna a morte pronunciata di recente dopo gravi violazioni dei diritti umani da parte del regime libico? Intende la Commissione procedere a un riesame della situazione e dei propri strumenti d’azione qualora non si registrino progressi?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Vorrei dire che sto seguendo molto da vicino la questione. Penso di essere stata la prima a vedere i bambini di Bengasi. Ho avuto colloqui con le famiglie, poi ho visto le infermiere, il medico palestinese e il leader Gheddafi. Vorrei confermare l’impegno della Commissione, e mio personale, su questo caso, come ha dimostrato la recente relazione presentata al Parlamento il 17 gennaio. Posso assicurarle che il raggiungimento di una soluzione soddisfacente ha la priorità assoluta. Sappiamo che si tratta di un caso tragico. Nel frattempo, il nostro gruppo di negoziatori è impegnato in un dialogo tuttora aperto con le autorità libiche. Tuttavia, ci si aspetta anche che non possa essere presa nessuna decisione finché il procedimento giudiziario non si sarà concluso. C’è ancora un passo da compiere.

La Commissione e il Consiglio valuteranno nuovamente la situazione sulla base dei futuri sviluppi e decideranno quali ulteriori azioni intraprendere. Come ho detto, siamo impegnati in un dialogo con le autorità libiche.

Devo far presente che la Libia e l’Unione non sono legate da nessun accordo internazionale. Quindi non c’è nessun quadro di cooperazione ufficiale, tranne le conclusioni del Consiglio d’Europa dell’ottobre 2004 che istituiscono una politica di impegno con la Libia su temi specifici come l’HIV/AIDS e l’immigrazione.

 
  
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  Evgeni Kirilov (PSE). – (EN) Signora Commissario, le sono grato per tutto ciò che ha fatto. Sono grato anche a tutti i politici europei che si sono incessantemente recati in Libia a sollevare la questione. Tuttavia possiamo affermare con certezza che, dopo un periodo di tempo così lungo, non ci sono risultati. Al contrario: ultimamente, da parte libica – anche da parte del colonnello Gheddafi – è stata continuamente sollevata la questione di un qualche complotto occidentale per uccidere questi bambini, con le nostre infermiere che avrebbero preso parte a questo complotto. Nessuno risponde a queste accuse e, se stiamo a quanto afferma il tribunale libico, dobbiamo dire che il tribunale ha stabilito alcuni anni fa che non c’è nessun complotto di questo genere. La questione è ancora pendente. Se ciò è vero, questo è un crimine contro l’umanità. Perché non contestiamo...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Beh, innanzi tutto, non sono andata in Libia continuamente. Ci sono stata una volta e quindi ho costituito un gruppo assieme ad altri; stiamo lavorando in via confidenziale perché si tratta di un caso delicatissimo.

Ora, mi lasci dire che non è vero neppure che non abbiamo mai reagito. Al contrario, abbiamo reagito molto apertamente e abbiamo cercato di ottenere la liberazione delle infermiere. Speravamo che questo sarebbe avvenuto poco tempo fa. Purtroppo non è stato così e, nel dicembre 2006, la pena capitale è stata riconfermata. Speravamo in una sentenza totalmente diversa. Per quanto riguarda la questione dell’accusa relativa al contagio dell’HIV/AIDS, devo dirle che le conclusioni dell’ultimo Consiglio “Affari esteri” affermano chiaramente che “questo verdetto ignora le prove schiaccianti, addotte da esperti internazionali di fama mondiale, a favore dell’innocenza degli imputati”. Pertanto, tali questioni sono chiaramente tutte sul tavolo, come ho detto. Abbia pazienza. E’ necessario avere un po’ di fiducia e di riservatezza. E’ un caso estremamente delicato, ma vogliamo risolverlo.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, abbiamo appena dibattuto sul fatto che vari Stati si avvalgono del proprio potere economico per favorire i propri interessi politici. L’Unione intende esercitare una pressione economica e usare essa stessa il potere economico in questo caso per garantire ai cittadini europei di godere della libertà e dello Stato di diritto? Penso che sia ora di mostrare una volta tanto i muscoli.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (DE) Signor Presidente, il fatto è – come ho detto poc’anzi – che finora non è stato instaurato un quadro internazionale di cooperazione tra l’Unione e la Libia. Naturalmente ne consegue che non è così semplice sfruttare la forza economica in questo caso. Quel che tuttavia abbiamo fatto è stato usare un altro aspetto – un aspetto positivo – del potere economico, per così dire, come ha confermato il Consiglio nelle sue conclusioni del 22 gennaio di quest’anno. In primo luogo, da parte sua, la Commissione ha già varato un piano d’azione nel 2005 e, in secondo luogo, abbiamo costituito in cooperazione con altri un Fondo internazionale per Bengasi, con l’aiuto del quale cercheremo naturalmente di soccorrere, in particolare, i bambini malati di AIDS.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 42 dell’onorevole Zbigniew Krzysztof Kuzmiuk (H-0006/07):

Oggetto: Problemi connessi alle forniture di energia importata dalla Russia

A fine dicembre e inizio gennaio 2007, Stati membri dell’UE tra cui la Polonia subivano la minaccia di un’interruzione della fornitura di gas naturale, in seguito a una controversia tra la Russia e la Bielorussia, e l’8 gennaio 2007 la Russia ha tagliato la fornitura di petrolio a Polonia, Germania, Repubblica ceca e Slovacchia, sempre a causa dell’attuale controversia con la Bielorussia. Costituiscono questi, purtroppo, solo gli ultimi esempi dell’uso da parte della Russia della fornitura energetica quale mezzo di pressione politica su Stati membri dell’Unione europea e su paesi terzi e attestano della scarsa affidabilità della Russia nel campo energetico.

Come intende agire la Commissione per risolvere tali problemi nell’ambito della strategia energetica europea attualmente in preparazione?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la questione della sicurezza dell’approvvigionamento è particolarmente importante per l’Unione e alcuni avvenimenti verificatisi in questi ultimi anni evidenziano la necessità per l’Unione di rafforzare le proprie misure politiche in questo settore. Ricordiamoci l’allarme che l’anno scorso ha destato in noi la controversia tra Russia e Ucraina e che quest’anno sta destando quella tra Russia e Bielorussia. Oggi vorrei tentare di riassumere in breve le varie iniziative che la Commissione ha intrapreso per accrescere la nostra sicurezza in merito ai rifornimenti in generale, e relativamente alla Federazione russa in particolare.

L’approvvigionamento energetico dalla Federazione russa gioca un ruolo importante nel soddisfacimento del fabbisogno energetico europeo, sfiorando il 30 per cento delle importazioni petrolifere comunitarie e costituendo il 44 per cento di quelle di gas. Al tempo stesso, il 67 per cento delle esportazioni russe di petrolio e gas è immesso nel mercato europeo e, considerata l’importanza reciproca di questa relazione, nel 2000 è stato avviato un dialogo tra la Federazione russa e l’Unione europea per discutere questioni relative all’energia, tra cui la politica energetica, gli sviluppi del mercato, le infrastrutture e la cooperazione tra l’Unione e la Russia in materia di tecnologia ed efficienza energetica.

Esiste inoltre un piano per lo spazio economico comune concordato durante il Vertice UE-Russia del maggio 2005, piano che include la cooperazione su un’ampia gamma di questioni energetiche e attività correlate. Per di più, occorre negoziare un nuovo accordo con la Federazione russa per dare seguito al partenariato già esistente tra Unione e Russia e all’accordo di cooperazione che scadrà alla fine dell’anno. Si prevede fin d’ora che includerà un accordo esauriente in materia di energia.

Faccio inoltre presente che, nella recente comunicazione “Una politica energetica per l’Europa”, la Commissione ha formulato parecchie proposte per mitigare la nostra crescente dipendenza dalle forniture energetiche esterne e per aumentare la nostra sicurezza in materia. La Commissione sottolinea che non esiste una soluzione unica, ma è necessario che ci siano varie iniziative diverse da intraprendere, tra cui l’aumento dell’efficienza energetica, la promozione di fonti di energia rinnovabili, la diversificazione delle forniture, un adeguato funzionamento del mercato interno e meccanismi di solidarietà interna per affrontare eventuali interruzioni di rifornimenti, anche tramite la cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia. Inoltre, la comunicazione sottolinea l’importanza di consolidare le nostre relazioni con tutti i nostri principali fornitori di energia e coi paesi di transito, nonché l’importanza che l’Unione parli con una sola voce.

In risposta alle recenti interruzioni nell’ambito dell’approvvigionamento energetico dalla Russia attraverso la Bielorussia, la Commissione ha indetto già quest’anno riunioni con il Gruppo di coordinamento per il gas e con il Gruppo di supporto per il petrolio, cui hanno preso parte, inter alia, rappresentanti degli Stati membri. In queste riunioni, alle quali i paesi terzi interessati sono stati invitati per fornire informazioni, si è quindi valutato l’impatto degli avvenimenti in questione sulla sicurezza energetica interna della Comunità e il modo in cui reagire.

Infine, per quanto riguarda il consolidamento del dialogo in materia di energia, la Commissione è impegnata a mantenere e rafforzare i nostri rapporti non solo con la Federazione russa, ma anche con altri importanti paesi e regioni che producono energia come la Norvegia, i paesi dell’OPEC, il Consiglio di cooperazione del Golfo, i paesi dei bacini del Caspio e del Mar Nero, quelli dell’Asia Centrale e del nord Africa mediante accordi bilaterali e dialoghi in materia di energia.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). – (PL) Signor Presidente, pur ringraziando la Commissione per essersi interessata ai problemi connessi alle forniture di energia destinate a tutti gli Stati membri, vorrei fare notare che la Russia, a mio avviso, sfrutta le forniture energetiche per esercitare pressione politica sugli Stati membri e sui paesi terzi. Ciò, purtroppo, appare assai evidente.

Inoltre vorrei chiedere se il sostegno della Commissione a favore del gasdotto settentrionale, ovvero il gasdotto sul fondale del mar Baltico, costituisce una manifestazione di solidarietà tra gli Stati dell’Unione o piuttosto esprime l’assenza di questa solidarietà.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Vorrei ringraziare l’onorevole Kuźmiuk per le sue osservazioni. Per quanto riguarda la questione del gasdotto del Mar Baltico, si tratta ovviamente di un gasdotto d’interesse transeuropeo, ma ciò che conta è che noi, come Unione – ovvero la totalità degli Stati membri – dimostriamo una solidarietà europea. Questo significa che dobbiamo dimostrarci solidali con i nostri Stati membri, questa è la nostra posizione.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, mi interesserebbe sapere quale sarà la strategia della Commissione relativamente ai gasdotti e alle navi metaniere. Abbiamo svariate possibilità di diversificare l’approvvigionamento. Quali sono i progetti della Commissione?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Noi, assieme agli Stati Uniti, intendiamo finanziare uno studio di fattibilità per un gasdotto transcaspico che comprenda anche la questione del GNL, il gas naturale liquefatto. Questo è un contributo alla diversificazione dell’approvvigionamento energetico europeo che riteniamo estremamente importante in questa fase.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE). (LT) L’estate scorsa la Russia ha sospeso le forniture di gas naturale alla Lituania tramite il gasdotto “Družba” (dell’amicizia); altri esempi sono stati menzionati in questa sede. Questo significa che bisogna trovare vie di approvvigionamento alternative. La Commissione non concorda che gli interventi sulle infrastrutture nel mar Baltico vadano coordinati e che prima che abbia inizio la costruzione di qualsiasi nuovo gasdotto il primo passo da compiere sia quello di effettuare una valutazione indipendente in merito all’impatto del gasdotto dell’Europa settentrionale?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Mi permetta di dire che lei sta facendo riferimento a un’interruzione tecnica. E’ ovvio che dobbiamo proseguire il dialogo con i russi per garantire che queste interruzioni non si protraggano e prevenirle totalmente in futuro. Credo che per il momento stiamo facendo proprio questo e spero che il dialogo in corso sull’energia serva davvero ad alimentare la fiducia in avvenire. Si è appena svolto un incontro della troika con la Russia, nel corso del quale sono state discusse le questioni energetiche in generale. Per inciso, il Presidente Putin ha detto ufficialmente che accetta i principi sanciti dalla Carta dell’energia: accessibilità, accesso libero ed equo ai mercati e soprattutto trasparenza. E’ una questione di trasparenza.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 43 dell’onorevole Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (H-0054/07):

Oggetto: Il “Canale della pace” in Medio Oriente

Il 10 dicembre i rappresentanti di Giordania, Israele e Palestina nonché della Banca mondiale hanno esaminato lo studio di fattibilità relativo alla realizzazione del “Canale della pace” o “Canale dei due mari”, un condotto lungo 180 km che collegherà il Mar Rosso e il Mar Morto. L’importanza economica (irrigazione del deserto del Negev, alimentazione di centrali idroelettriche e di impianti di desalinizzazione, fornitura di un miliardo di m3 di acqua potabile l’anno), quella diplomatica (dialogo e cooperazione reciproca fra Israele, Palestina e Giordania) e quella ambientale (lotta contro il rischio di prosciugamento del Mar Morto entro il 2050) di tale impresa sono enormi.

Il costo complessivo ammonta a 15,5 milioni di dollari, già impegnati dalla Banca mondiale.

Considerato che il Canale riveste un’importanza sotto molteplici aspetti, intende la Commissione prendere parte alla realizzazione (progettazione-finanziamento) di quest’opera di ampio respiro, nel quadro della cooperazione euromediterranea? In caso di risposta negativa, conta di contribuire sotto il profilo finanziario alla fase successiva, durante la quale verranno investiti 3 miliardi di dollari per il completamento del progetto nell’arco dei prossimi cinque anni? Inoltre, si potrebbe fare ricorso alla Banca europea per gli investimenti quale ulteriore strumento di investimento, al fine di garantire le risorse indispensabili?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Il livello del Mar Morto sta scendendo di un metro ogni anno. La Commissione è decisamente favorevole a progetti lungimiranti che affrontino il problema del fabbisogno idrico e le necessità ambientali della regione, e sostiene tutte le iniziative che coinvolgano la cooperazione tra i paesi vicini su questioni specifiche, in particolare sull’acqua, una risorsa di estrema importanza per quella regione, per trovare soluzioni mutuamente soddisfacenti. Tuttavia dobbiamo anche dire che la costruzione del Canale della pace costituirebbe un’impresa titanica, uno sforzo enorme, che potrebbe avere un impatto non indifferente sull’ambiente locale senza necessariamente risolvere le cause di questo abbassamento di livello del Mar Morto.

Riteniamo quindi che sia necessario un approccio alquanto prudente. La Commissione osserva che recentemente è stato autorizzato uno studio di fattibilità comprendente una valutazione dell’impatto ambientale e sociale. E’ stato istituito un fondo fiduciario a più donatori e la Francia, gli Stati Uniti, i Paesi Bassi e il Giappone si sono risolutamente impegnati a fornire il loro appoggio.

Il contratto per lo studio di fattibilità dovrebbe essere assegnato nel luglio di quest’anno e dovrebbe durare per più di due anni. Quindi la Commissione valuterà molto attentamente l’esito dello studio al momento della pubblicazione e si consulterà con la Banca europea per gli investimenti alla luce delle sue raccomandazioni. Inoltre, in tale fase terremo il Parlamento accuratamente informato sulle nostre riflessioni.

 
  
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  Rodi Κratsa-Τsagaropoulou (PPE-DE).(EL) Grazie per la risposta, signora Commissario, e per l’attenzione e l’efficienza con cui sta affrontando i temi dello sviluppo in Medio Oriente.

Lei ha perfettamente ragione quando afferma che occorre uno studio di fattibilità per un progetto così vasto, in modo da permetterci di sapere precisamente fino a che punto l’Unione s’impegnerà. Volevo chiederle se abbiamo qualche relazione finale sui programmi applicati fino ad oggi, in modo da incidere sulle cause, perché vediamo la situazione del fiume Giordano e quanto le sue acque costituiscano motivo di controversia tra i paesi in quell’area. Ci è noto se i nostri programmi siano stati applicati e possiamo valutarne l’esito sia dal punto di vista economico che da quello diplomatico, nonché da quello della cooperazione tra paesi?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Al momento non sono al corrente di nessun altro studio. Posso solo dire che questo studio di fattibilità dovrebbe richiedere 15 milioni di euro, che dovrebbe concorrervi anche la Commissione e che l’ammontare dell’intero progetto assomma a 3 miliardi di euro. Si tratta d’un progetto colossale e pertanto credo che valga la pena studiare attentamente la situazione prima di intraprendere qualsiasi azione. Tutto ciò fa parte del contesto dell’ambiente politico e della soluzione politica, e in questo momento siamo cautamente ottimisti perché s’intravede all’orizzonte l’abbozzo di un governo di unità nazionale in Palestina. Speriamo di poter ricominciare ad avere una sorta di cooperazione regionale, almeno tra alcuni paesi e l’Autorità palestinese. Pertanto incrociamo le dita e speriamo, ma credo che al momento l’andamento sia positivo.

 
  
  

Seconda parte

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 44 dell’onorevole Alain Hutchinson (H-1072/06):

Oggetto: Liberalizzazione completa dei servizi postali al 1° gennaio 2009

Il 18 ottobre 2006, la Commissione ha approvato la proposta di direttiva COM(2006)0594 def. che modifica la direttiva 97/67/CE relativa al pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari. Si tratta pertanto di una liberalizzazione totale dei servizi postali ivi compreso il piccolo plico di meno di 50 grammi. Due sono gli aspetti frequentemente denunciati, ossia la scelta della Commissione di mantenere al 1° gennaio 2009 la data di entrata in vigore, nonostante sia noto che vari Stati membri non saranno pronti per tale data, nonché l’inadeguatezza delle misure ventilate della Commissione per il finanziamento del servizio universale postale denunciata da dieci operatori postali storici.

Qual è la risposta della Commissione a tali critiche? Ha essa esaminato in maniera concreta ed attenta le incidenze della liberalizzazione completa dei servizi postali in Svezia dove da vari anni è stata anticipata? Sono stati riscontrati in Svezia aumenti del costo del francobollo per i piccoli plichi e perdite di pubblici impieghi? In caso affermativo, in quale proporzione? Qual è l’indice di gradimento degli svedesi per tale liberalizzazione? Si può considerare un inequivocabile successo l’esperienza svedese che costituisce un esempio concreto e non già il frutto di uno studio o di una speculazione teorica o ideologica?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, sia lo stato di preparazione alla totale apertura dei mercati postali che il finanziamento del servizio universale in un mercato libero sono stati esaminati con grande cura e attenzione dalla Commissione.

L’analisi della Commissione, basata su diversi anni di studi e discussioni continue e trasparenti con tutte le parti interessate, viene presentata con dovizia di dettagli nei documenti preliminari della Commissione. La proposta di direttiva e i suoi documenti di supporto sono ora in discussione in seno sia al Consiglio che al Parlamento europeo. Sta a voi e agli Stati membri in seno al Consiglio dare una valutazione. La Commissione ha tenuto conto dell’esperienza svedese cui fa riferimento l’onorevole deputato, nonché di tutti gli altri sviluppi commerciali e normativi del settore postale. Non si tratta di attribuire un particolare giudizio di valore ad alcuno o a tutti questi sviluppi né di suggerire che il modello svedese, o magari un altro, vada imitato altrove. Si tratta piuttosto di mostrare che esistono diverse soluzioni. Tali soluzioni possono essere attuate secondo le specificità di ciascun mercato nazionale al fine di operare la necessaria riforma postale, garantendo nel contempo la prestazione di un servizio universale efficiente.

Vale la pena di notare che in Svezia l’apertura del mercato è stata completata, garantendo la prestazione del servizio universale, senza che vi fosse bisogno di finanziamenti supplementari. Il governo svedese ha recentemente presentato uno studio particolareggiato sulla liberalizzazione del mercato postale svedese, i cui risultati non sembrano confermare i timori espressi dall’onorevole deputato.

In conclusione, come ho detto poc’anzi, la Commissione ritiene che il completamento della riforma postale sia essenziale per assicurare ulteriori migliorie per quanto riguarda l’efficienza e la qualità del servizio e per garantire la vitalità a lungo termine del settore postale e le opportunità commerciali e il potenziale d’impiego che esso produce.

 
  
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  Alain Hutchinson (PSE).(FR) Signor Commissario, grazie della risposta, che a mio avviso somiglia di più ad aria fritta che a una vera risposta alle domande che le ho rivolto in merito alla liberalizzazione dei servizi postali. In una domanda alludevo alle soluzioni in corso di studio da parte della commissione d’inchiesta sul periodo post-liberalizzazione. Quando parliamo di soluzioni, significa che esiste un problema, ma in questo momento vediamo che, quando si tratta della consegna di piccoli plichi postali – argomento all’ordine del giorno – non vi sono problemi. I cittadini sono contenti e le consegne procedono senza intoppi. Al contrario, dove si è liberalizzata la consegna di piccoli plichi, come in Svezia, i francobolli costano di più e il servizio è più scadente.

Signor Commissario, perché la Commissione esclude il mantenimento dell’area riservata che ci è familiare, che consente e salvaguarda il servizio universale per tutti gli europei, come non accadrebbe certo con i progetti che lei propone, come ha dimostrato l’esperienza precedente?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione.(EN) Secondo le informazioni di cui sono in possesso, la situazione in Svezia dimostra che il rendimento ora è migliore di prima, il che si deve alla concorrenza. Inoltre, il prezzo medio della posta (di cui la posta inviata dai consumatori rappresenta solo una piccola parte), tra cui gli invii delle imprese ai consumatori, è diminuito nettamente.

Nella proposta da noi avanzata vi è un’ampia gamma di possibilità per gli Stati membri circa le modalità di adempimento degli obblighi del servizio universale. Si noti che non ho apportato alcuna modifica all’obbligo di servizio universale e che ho concesso agli Stati membri un’ampia scelta di opzioni su come affrontarne il finanziamento.

Il nostro pacchetto non dovrebbe risultare una sorpresa per chi abbia seguito il dibattito, che va avanti, insieme alla liberalizzazione dei mercati, da 15 anni; questo è l’ultimo passo di quel processo specifico.

 
  
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  Piia-Noora Kauppi (PPE-DE).(EN) Signor Commissario, vengo dalla Finlandia, altro paese in cui abbiamo liberalizzato il mercato dei servizi postali, com’è accaduto in Svezia. Devo dire che è molto positivo che qualcuno che proviene da un paese dove non si è fatto altrettanto presenti il modello svedese e finlandese quale esempio delle conseguenze positive della liberalizzazione del mercato postale.

L’unico problema individuato nei paesi in cui la liberalizzazione si è avuta prima rispetto ad altri Stati membri è che i vecchi monopoli degli Stati membri che ancora hanno un mercato monopolistico hanno tentato di entrare nei nostri mercati per sfruttare la liberalizzazione a proprio favore. E’ stata una conseguenza molto negativa della liberalizzazione precoce dei mercati.

Vorrei pertanto chiedere se il Commissario McCreevy intende mantenere la data di entrata in vigore, aprendo veramente i mercati prima del 2009. In tal caso, godrà di tutto il nostro sostegno.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione.(EN) Sono lieto che l’onorevole Kauppi sia intervenuta al riguardo, perché la Finlandia è un paese con densità di popolazione molto bassa, dove l’obbligo di servizio universale è stato rispettato, come pure in Svezia. Questi mercati hanno visto i benefici della libera concorrenza, ed è giusto dire che lo stesso vale per gli altri mercati che hanno liberalizzato il settore postale.

E’ nostra intenzione rispettare la scadenza del 2009, espressa nella direttiva sulla liberalizzazione dei mercati del 2002, che affermava inoltre che per la fine del 2006 la Commissione avrebbe presentato le proprie proposte, confermando o smentendo l’apertura del mercato nel 2009 e qualunque ulteriore passo necessario, ed è quel che abbiamo fatto. La questione, tuttavia, ora è nelle mani dei colegislatori in seno a Parlamento e Consiglio dei ministri.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM).(SV) Vengo dalla Svezia settentrionale. In Svezia la liberalizzazione ha giovato non poco alle città, ma il governo deve intervenire per coprire altri luoghi. Ad esempio, nella città della Svezia settentrionale di Pajala, in cui vivo, abbiamo una strada lunga 270 chilometri lungo la quale vivono solo 200 famiglie. La Commissione è in grado di garantire che, se si dovesse avere una direttiva comunitaria, queste famiglie continuerebbero a ricevere la posta?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione.(EN) Sì, posso garantirlo, perché nel presentare la nostra proposta, abbiamo deciso di non apportare assolutamente alcuna modifica agli impegni dati dall’obbligo di servizio universale. Tutto resta esattamente com’è nella proposta attualmente in discussione presso le autorità di codecisione.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, signor Commissario, a parte la pessima esperienza della Svezia, vi sono numerosi altri Stati membri che contestano la fretta della Commissione e vi sono dieci agenzie postali tradizionali importanti che hanno scritto per evidenziare alcuni gravi rischi.

Glielo chiedo direttamente: terrà conto di queste obiezioni o insisterà dogmaticamente con la scadenza del 1° gennaio 2009?

Ho anche un’altra domanda: che cosa farà per assicurare che il concetto di servizio postale universale accessibile a tutti i cittadini non venga danneggiato, quando sappiamo che già vi sono problemi al riguardo in Svezia?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Ho detto più volte rispondendo alle interrogazioni che non apporteremo assolutamente alcuna modifica ai requisiti dell’obbligo di servizio universale. Quando abbiamo presentato la proposta, alcuni facevano pressioni affinché i requisiti di obbligo del servizio postale venissero modificati e resi meno restrittivi. Ho deciso di non farlo e tali requisiti sono rimasti esattamente uguali. Per quanto mi è dato di sapere, e come ha ribadito l’onorevole Kauppi, in Svezia l’impatto è stato del tutto positivo.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 45 dell’onorevole Georgios Toussas (H-1085/06):

Oggetto: Pratiche abusive delle banche

La politica dell’UE e dei governi degli Stati membri che è generalmente contro l’interesse del popolo ha reso baldanzose le banche che fanno pagare tassi d’interesse esorbitanti ed illegali e che dissanguano abusivamente, carpendo enormi somme di denaro, i beneficiari di mutui e, in generale, i lavoratori. Ciò è illustrato dal fatto che la Banca di Grecia ha imposto ammende di 25 milioni di euro a taluni istituti di credito per prassi non trasparenti ed abusive e, allo stesso tempo, ha invece introdotto sanzioni più flessibili per gli assegni scoperti e rifiuta di rendere noti i nominativi delle banche a cui sono state imposte le sanzioni.

Qual è la posizione della Commissione sul fatto di comunicare ai mass media a quali banche siano state imposte sanzioni dalle autorità di supervisione degli Stati membri per prassi abusive ed illegali al fine di fornire informazioni e proteggere in parte i beneficiari di mutui e, in generale, i depositanti?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole parlamentare per aver attirato la nostra attenzione sui problemi che i consumatori greci si trovano ad affrontare nei loro rapporti con le banche.

Siamo al corrente dei preoccupanti livelli dei tassi di interesse praticati in Grecia e abbiamo risposto a varie interrogazioni scritte sull’argomento. Nelle nostre risposte abbiamo citato una serie di iniziative che potrebbero influenzare i tassi di interesse al dettaglio in Europa. Ricordiamo iniziative riguardanti i mutui e il credito al consumo, nonché indagini settoriali imperniate sulla concorrenza, lanciate nel 2005 in materia di assicurazioni per le imprese e servizi bancari al dettaglio. Queste iniziative, insieme ad altre proposte presentate nel Libro bianco sulla politica dei servizi finanziari per il periodo 2005-2010, dovrebbero migliorare la concorrenza e l’efficienza sul mercato dei servizi finanziari al dettaglio e assicurare benefici pratici ai consumatori europei.

Per quanto riguarda specificamente l’interrogazione dell’onorevole parlamentare, appoggiamo le azioni volte a incoraggiare e a promuovere la trasparenza sui mercati finanziari europei. La trasparenza riveste particolare importanza per i consumatori, che hanno bisogno di disporre di informazioni complete e precise per poter operare una scelta informata. In relazione alla concorrenza, la Commissione rende noti i nomi delle banche destinatarie di una decisione definitiva a seguito di un’infrazione delle regole antitrust. Per contro non ci sono norme europee che impongano di pubblicare i nomi delle banche cui le autorità di supervisione degli Stati membri infliggano sanzioni per pratiche abusive o illecite.

Continueremo a monitorare il livello dei tassi di interesse man mano che verranno portate avanti le iniziative sui servizi finanziari al dettaglio, in modo che l’integrazione assicuri vantaggi pratici ai consumatori europei.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, le pratiche bancarie abusive o illecite, stando alle denunce quotidianamente diffuse dai mezzi di comunicazione, stanno assumendo proporzioni vastissime.

Questo è un aspetto del problema. Ma ve n’è un altro: nel 2006 la Banca centrale europea ha aumentato per ben due volte il tasso di riferimento. Di conseguenza anche le banche degli Stati membri hanno aumentato i tassi di interesse.

Quale conclusione traiamo da questo fatto? Che il divario fra il tasso di interesse attivo e quello passivo aumenta sempre più, a spese di chi contrae prestiti e dei lavoratori in generale.

Quali provvedimenti intende adottare la Commissione per ridurre la differenza fra i tassi di interesse attivi e quelli passivi?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Come ho già detto poc’anzi, siamo al corrente dei preoccupanti livelli dei tassi di interesse praticati in Grecia e abbiamo già risposto a varie interrogazioni scritte sull’argomento. Tuttavia la definizione dei tassi di interesse è principalmente compito delle istituzioni finanziarie e, di per sé, non è oggetto di normative né di regolamenti comunitari.

Nondimeno, come già precisato in risposte precedenti, abbiamo avviato una serie di iniziative che potrebbero influenzare il livello dei tassi di interesse al dettaglio in Europa, fra cui iniziative riguardanti i mutui e il credito al consumo. Nel giugno 2005 abbiamo anche avviato indagini settoriali specifiche in materia di concorrenza nel campo delle assicurazioni per le imprese e dei servizi bancari al dettaglio.

E’ vero che il livello dei tassi di interesse praticati in Grecia è molto alto, ma non è nostra responsabilità specifica modificare tale situazione, né è probabile che l’Unione acquisisca responsabilità al riguardo in futuro. In altri Stati membri in cui si è fatto sentire l’effetto della concorrenza, il tasso di interesse imposto ai consumatori è decisamente crollato. Posso riferire la mia personale esperienza su quanto si è verificato nello Stato membro da cui provengo. Quando un’istituzione finanziaria operante al dettaglio in un altro Stato membro ha annunciato l’intenzione di estendere la sua attività al mio paese, i tassi di interesse sono precipitati da un giorno all’altro.

 
  
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  David Martin (PSE).(EN) Come il Commissario probabilmente saprà, è stato riferito che la Commissione europea ha sborsato milioni di euro in spese bancarie per non passare attraverso l’amministrazione guidata da Hamas in Palestina. Nell’interesse della trasparenza, cui sostiene di essere favorevole per quanto riguarda il settore bancario, intende rendere noto il motivo per cui la Commissione è incorsa in queste ingenti spese e a quali banche le somme in questione sono state pagate?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Non sono in grado di rispondere alla sua domanda, onorevole Martin, ma farò le indagini del caso.

 
  
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  Robert Evans (PSE).(EN) Signor Commissario, per tornare alla questione delle prassi abusive delle banche, posso chiedere la sua opinione sulle esorbitanti commissioni che talune banche applicano sui bonifici transfrontalieri verso l’area dell’euro? Posso dire, a titolo di esempio, che a un cittadino britannico costa fino a dieci volte tanto fare un bonifico a una banca della zona euro, quando naturalmente si tratta soltanto di premere il tasto di un computer. Concorda che si tratta di spese sproporzionate e che l’intera questione dei bonifici transfrontalieri dev’essere disciplinata in modo che venga rispettato il principio della libera circolazione dei capitali all’interno dell’Unione?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Come lei sa, il più importante progetto comunitario in questo settore è il progetto SEPA, relativo alla creazione di un’area unica dei pagamenti in Europa. Naturalmente, nella fase iniziale, il progetto riguarderà la zona dell’euro. Le buone maniere mi impediscono di dire che cosa si dovrebbe fare nel Regno Unito rispetto alla zona dell’euro, ma sono certo che la risposta alla sua domanda è “più concorrenza”.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 46 dell’onorevole Sarah Ludford (H-0007/07):

Oggetto: Riciclaggio di denaro

Di recente, la City of London Corporation ha plausibilmente affermato che la lotta dell’Unione europea contro il riciclaggio di denaro – e quindi il potenziale finanziamento del terrorismo – mediante la creazione di un regime efficace per scoraggiare e individuare i criminali, è ostacolata dall’incoerenza, dalla disparità e dall’inadeguatezza con cui gli Stati membri applicano la seconda direttiva sul riciclaggio dei proventi di attività illecite del 2001.

Dato che della terza direttiva sul riciclaggio dei proventi di attività illecite è prevista l’attuazione entro il 2007, quale strategia intende adottare ora la Commissione per assicurare una rapida, adeguata e uniforme applicazione della normativa comunitaria in questa materia di vitale importanza in tutti gli Stati membri, che riesca a potenziare al massimo la possibilità di identificare le transazioni sospette e al contempo minimizzi i costi inutili e la burocrazia per le aziende e per gli onesti consumatori?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Come sapete, gli Stati membri sono tenuti a recepire pienamente la terza direttiva sul riciclaggio dei proventi di attività illecite nell’ordinamento interno al più tardi entro il 15 dicembre 2007.

La direttiva in questione rafforza l’azione di lotta contro il finanziamento del terrorismo. Prevede norme armonizzate nell’ambito delle quali gli enti e le persone interessate possano applicare misure inerenti alla diligenza nei rapporti con la clientela, tenendo conto dei rischi di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo. Per aiutare gli Stati membri a trasporre la direttiva in maniera adeguata e puntuale, stiamo seguendo una triplice strategia.

Innanzi tutto nel novembre 2006 abbiamo organizzato un primo seminario sul recepimento. Obiettivo dell’incontro era fornire un’opportunità di scambio di opinioni e chiarimenti su questioni di interpretazione e altri problemi legati al recepimento.

Abbiamo poi istituito una piattaforma europea fra le unità di intelligence finanziaria. Si tratta delle autorità nazionali preposte alla lotta contro il riciclaggio di denaro sporco e il finanziamento del terrorismo, le quali analizzano i rapporti che vengono trasmessi loro da istituzioni finanziarie e creditizie nonché da determinati operatori e imprese del settore non finanziario in relazione a eventuali transazioni sospette. Queste unità di intelligence sono direttamente coinvolte nell’attuazione della direttiva. In seno alla piattaforma europea vengono organizzati incontri sistematici per lo scambio di informazioni, in particolare sui riscontri da fornire agli organismi che hanno presentato le denunce.

Da ultimo sosteniamo il lavoro svolto dalla task force congiunta responsabile della lotta contro il riciclaggio di denaro sporco istituita dal Comitato di supervisione del sistema bancario europeo in associazione con gli organismi di vigilanza delle compagnie di assicurazione europee e quelli dei mercati mobiliari. L’obiettivo di questa task force è consentire la condivisione di esperienze e delle migliori prassi fra gli organismi di vigilanza dei servizi finanziari. Si tratta di un aspetto di cruciale importanza per un’attuazione uniforme della normativa in tutti i paesi dell’Unione. La Commissione partecipa a questa attività in qualità di osservatore.

 
  
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  Sarah Ludford (ALDE).(EN) La ringrazio, signor Commissario. Immagino che riceverete una grande quantità di informazioni. Ad ogni modo, intendete definire linee guida in modo da assicurare un’applicazione più uniforme? Mi pare infatti che al momento la situazione sia delle peggiori: non vi è parità di condizioni per le imprese, il che provoca discrepanze nei costi; la tutela dei consumatori non è costante: per esempio ci si dovrebbe chiedere se il diritto dei consumatori in materia di accesso alle informazioni ai sensi della direttiva sulla protezione dei dati non rischi di essere compromesso dalle misure di notifica previste dalla normativa contro il riciclaggio di denaro sporco, oppure se le banche non inseriscano nei loro questionari domande per loro utili dal punto di vista commerciale usando come pretesto l’applicazione dei principi che impongono di “conoscere il cliente”.

Apprezzo quello che state facendo, ma perché non definire un orientamento che ci permetta di fare qualche progresso verso una maggiore coerenza? In caso contrario ci sarà una confusione ancora maggiore, quando si tratterà di attuare la terza direttiva sul riciclaggio di denaro sporco.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Penso che l’osservazione dell’onorevole parlamentare sia perfettamente pertinente. Dall’esperienza acquisita nell’attuazione delle precedenti direttive posso dire che le prassi variano da uno Stato membro all’altro e probabilmente, all’interno di uno stesso Stato membro, variano anche fra le diverse istituzioni finanziarie. Conosco la situazione, ma non dimentichi che stiamo muovendo i primi passi. E’ vero che siamo già alla terza direttiva sul riciclaggio dei proventi di attività illecite, ma gli operatori coinvolti stanno imparando e ci auguriamo che, grazie al processo che è stato avviato e con la collaborazione degli organismi che ho citato poc’anzi, si possano identificare le migliori prassi e imparare gli uni dagli altri.

Non escludo che in futuro possano essere definite linee guida, come l’onorevole parlamentare suggerisce. Forse lo si farà, direttamente ad opera della Commissione oppure attraverso qualche agenzia da essa incaricata, nell’ambito del processo che ho esposto. Tuttavia, come risulterà evidente all’onorevole parlamentare, abbiamo adottato un’impostazione basata sul rischio, il che lascia un discreto margine di flessibilità agli organismi interessati, creando alcuni dei problemi che abbiamo appena delineato.

D’altro canto, se avessimo optato per un’impostazione più prescrittiva e minuziosa, avremmo probabilmente impiegato secoli per arrivare a un accordo fra i vari Stati membri, considerata la diversa cultura in quest’area. Credo che si stiano compiendo progressi e non escludo affatto qualche futura iniziativa che ci consenta di raggiungere quella maggiore uniformità che credo sia negli auspici di tutti.

 
  
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  Presidente. – Le interrogazioni nn. 47 e 48 riceveranno risposta per iscritto.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 49 dell’onorevole Carl Schlyter (H-1081/06):

Oggetto: Divieto di importazione di materie prime estratte in contrasto con il diritto pubblico internazionale

Le popolazioni native americane della regione di Black Mesa negli Stati Uniti, i Dineh e gli Hopi, lottano da più di 30 anni contro l’estrazione di carbone nel loro territorio e tutto ciò che tale attività comporta.

Agli inizi di quest’anno sono state chiuse la miniera di carbone e la conduttura che facevano uso dell’unica riserva idrica di suddette popolazioni. Purtroppo la gioia ha avuto breve durata perché è attualmente in progetto una riapertura e un ampliamento dell’attività con conseguenti trasferimenti forzati.

Per queste popolazioni la montagna Black Mesa è un luogo sacro ed è come se la cattedrale di Notre Dame a Parigi (la montagna è considerata una donna) venisse sfruttata da una ditta come cava di pietra. Non è questo in contrasto con la libertà di religione? Non si tratta di desacralizzazione di una religione?

Intende la Commissione vietare l’importazione di materie prime estratte in contrasto con il diritto pubblico internazionale e quindi introdurre il divieto di importazione per i prodotti delle aziende coinvolte qualora esse mettano in atto il progetto di ampliamento dell’attività estrattiva?

 
  
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  Peter Mandelson, Membro della Commissione.(EN) Vorrei ringraziare l’onorevole Schlyter per aver posto questa domanda. L’Unione europea si è impegnata a sostenere l’universalità e l’indivisibilità dei diritti umani – civili, politici, economici, sociali e culturali – riaffermati dalla Conferenza mondiale sui diritti umani di Vienna del 1993.

La Commissione comprende che gli indiani Dineh e Hopi desiderino preservare la propria identità mediante il controllo delle attività minerarie sul loro territorio. Pur non essendo convinta che il funzionamento della miniera di carbone violi alcuno strumento rilevante del diritto internazionale a protezione della libertà di religione, la Commissione considera tuttavia con molta serietà i diritti delle popolazioni indigene, come previsto dal documento di lavoro della Commissione sulle popolazioni indigene del maggio 1998.

La produzione di carbone negli Stati Uniti, tuttavia, è soggetta a norme ambientali e la questione complessiva dei diritti in questo caso è di competenza del governo statunitense. Per quanto riguarda la questione più generale dell’efficacia dei divieti d’importazione di carbone nell’ambito del sostegno ai diritti dei cittadini in luoghi specifici, sarebbe arduo determinare l’origine specifica del carbone importato nell’Unione europea. Di conseguenza, un simile divieto sarebbe difficile da attuare nella pratica.

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE).(SV) Vi è anche la risoluzione n. 2 del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite del 2006, che pone chiaramente l’accento sul diritto delle popolazioni indigene di avere luoghi sacri. In questo caso è l’intera montagna, specialmente l’acqua che contiene, a rappresentare il luogo sacro. Vengono utilizzati grossi quantitativi di acqua per trasportare il carbone in un condotto, il che significa che sia il carbone che l’acqua di questo luogo sacro vengono estratti in un modo che nega agli indiani i loro diritti di popolazione indigena. Non so se in Europa attualmente riceviamo carbone da questa montagna. In questo momento è in corso un’indagine su un’eventuale estensione dell’attività mineraria.

 
  
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  Peter Mandelson, Membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, la Commissione comprende molto bene che la regione in cui vivono gli indiani Dineh e Hopi è molto importante per le loro credenze religiose, cosa che non metto in dubbio. Comprendiamo inoltre che i loro diritti sono tutelati dalla costituzione americana, e perciò si tratta principalmente di un ambito in cui tocca ai tribunali statunitensi e non a noi intervenire. Vorrei solo ribadire ciò che ho detto, cioè che pensare a simili divieti di importazione non è davvero un modo auspicabile, secondo l’avviso della Commissione, di affrontare tali questioni. Un divieto di importazione non avrebbe alcun effetto se il carbone in questione venisse esportato verso paesi diversi dall’Unione europea, come senz’altro avviene, e perciò qualunque sanzione da parte nostra, a nostro avviso, non comporterebbe alcuna differenza materiale per la situazione oggettiva di queste popolazioni indigene.

 
  
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  Presidente. – Poiché l’autore non è presente, l’interrogazione n. 50 decade.

 
  
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  Presidente. – Poiché vertono sullo stesso argomento, annuncio congiuntamente l’

interrogazione n. 51 dell’onorevole Brian Crowley, sostituito dall’onorevole Sean Ó Neachtain (H-0030/07):

Oggetto: Negoziati sul commercio mondiale

Può la Commissione pronunciarsi sulla probabilità di un serio rilancio dei negoziati del Doha round sul commercio mondiale nel prossimo futuro?

e l’interrogazione n. 52 dell’onorevole Pedro Guerreiro (H-0069/07):

Oggetto: Negoziati nel quadro dell’OMC

In diverse relazioni delle Nazioni Unite si denuncia l’aggravamento delle disparità a livello dei redditi, in termini sociali ed economici, tra i diversi paesi e al loro interno, avvenuto negli ultimi anni, in un contesto in cui i tassi di povertà e di disoccupazione restano elevati o tendono ad aumentare, mentre contemporaneamente si verifica un aumento degli utili delle grandi multinazionali e la concentrazione della ricchezza – una simile realtà è ovviamente legata al notevole incremento della liberalizzazione del commercio e dei capitali su scala mondiale.

Visti i recenti contatti tra la Presidenza del Consiglio dell’UE, la Commissione europea e l’Amministrazione degli USA, può la Commissione comunicare le sue proposte e il calendario da essa previsto per i negoziati nel quadro dell’OMC, attualmente in una fase di stasi, segnatamente per quanto riguarda l’agricoltura, i prodotti non agricoli (compreso tessile e abbigliamento) e i servizi?

 
  
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  Peter Mandelson, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero fornire all’Assemblea un quadro preciso dell’attuale situazione dei negoziati sul commercio mondiale.

In gennaio l’incontro di Davos dei ministri del Commercio dell’OMC ha segnato ufficialmente la ripresa a Ginevra dei lavori di tutti i gruppi negoziali. Alla base di questa decisione vi è un rinnovato impegno politico ai più alti livelli, anche da parte del Presidente Bush, a portare a buon fine i negoziati. Credo si tratti di un impegno sincero che comporterà certamente un più livello elevato di partecipazione politica, in grado di assicurare il successo del ciclo negoziale. In questa prospettiva il 31 gennaio scorso il Direttore generale dell’OMC ha annunciato, in sede di Comitato dei negoziati commerciali, che tutti i gruppi negoziali avrebbero ripreso a Ginevra i lavori a livello multilaterale.

Le sovvenzioni all’agricoltura rimangono la principale questione da risolvere per giungere a un accordo. Tuttavia, una svolta nei negoziati agricoli deve portare con sé anche un serio impegno a ridurre le tariffe doganali relative ai prodotti industriali e, sulla stessa linea, impegni specifici di apertura del mercato in materia di fornitura di servizi. In questi settori ci aspettiamo iniziative concrete e significative da parte delle economie emergenti appartenenti al gruppo dei G-20, in assenza delle quali sarà impossibile giungere a una conclusione positiva del ciclo negoziale.

I negoziatori americani sembrano disposti a un cambiamento radicale di direzione, ma non hanno ancora precisato quali novità intendono proporre per ridurre le sovvenzioni che provocano distorsioni nel commercio dei prodotti agricoli. Per portare avanti il processo è indispensabile conoscere le loro intenzioni. Susan Schwab, rappresentante per il Commercio USA, sta prendendo contatto con la leadership democratica al Congresso per preparare il terreno e vedere come può rispondere ad alcune delle condizioni che le sono state poste per il rinnovo della delega a negoziare con procedura semplificata concessa all’amministrazione, la cosiddetta Trade Promotion Authority, ma per il momento non si è dimostrata disposta a compiere il salto necessario per raggiungere un accordo con il Congresso oppure per trovare una convergenza con i partner commerciali degli Stati Uniti su aspetti fondamentali degli attuali negoziati.

La proposta preliminare del nuovo Farm Bill, la nuova legge sull’agricoltura, presentata la scorsa settimana dall’amministrazione è stata accolta favorevolmente, anche se con una certa delusione in questo contesto. Per giungere a una felice conclusione del ciclo negoziale dell’OMC, è indispensabile che gli Stati Uniti emanino una nuova legge sull’agricoltura che contenga tagli più sostanziali e preveda una disciplina più rigida delle sovvenzioni che provocano distorsioni negli scambi commerciali, che sono oggetto di negoziato nell’ambito del Doha Round.

Per quanto riguarda la tempistica, invece, la tabella di marcia degli Stati Uniti è un po’ più chiara. Un progresso sostanziale su questioni chiave dell’Agenda di Doha per lo sviluppo è costituito dalla piattaforma su cui l’amministrazione Bush dichiara di voler chiedere una nuova TPA o il rinnovo della delega attualmente in essere prima della sua scadenza in giugno. Ciò implica, nei prossimi mesi, una netta presa di posizione su aspetti fondamentali dei negoziati.

Abbiamo tutto l’interesse a cercare di cogliere l’occasione, oggi esistente, di arrivare a un accordo. Da parte mia, non credo che temporeggiare fino all’estate, o anche più a lungo, sia un’opzione realistica. Considerando tutte le incertezze presenti negli Stati Uniti e altrove, rischieremmo di lasciar passare il momento di fragile entusiasmo che è venuto a crearsi. Questa è anche l’opinione del Consiglio europeo espressa nelle conclusioni della Presidenza al Consiglio “Affari generali” di lunedì. E’ auspicabile portare a buon fine l’agenda di Doha per lo sviluppo per ragioni economiche e per ragioni politiche nonché per salvaguardare gli equilibri internazionali. Continueremo quindi a negoziare in modo costruttivo e tenace per giungere a un accordo.

 
  
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  Seán Ó Neachtain (UEN), Ionadaí don údar. – Ba mhaith liom ceist a chur ar an gCoimisinéir, an bhfuil i gceist aige agus ag an gCoimisiún níos mó gearradh siar a dhéanamh ar an dleacht a chuirtear ar tháirgí feola a thagann isteach san Aontas Eorpach chun an Margadh Trádála Domhanda a luaigh sé a bhaint amach?

 
  
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  Peter Mandelson, Membro della Commissione. – (EN) La Commissione ha presentato una significativa proposta riguardante tutti gli aspetti dei negoziati sull’agricoltura nell’ottobre 2005. Successivamente, nell’estate 2006, io ho indicato l’ulteriore margine di flessibilità cui avremmo potuto far ricorso nell’ambito del nostro mandato per migliorare l’offerta, se lo avessimo giudicato opportuno allo scopo di controbilanciare eventuali offerte dei nostri partner in materia di agricoltura o su altri aspetti dei negoziati.

E’ nostra ferma convinzione – e al riguardo mi faccio portavoce della collega Fischer Boel, Commissario responsabile dell’agricoltura e dello sviluppo rurale – che, se fosse giustificato da proposte provenienti da altri partecipanti ai negoziati, il miglioramento dell’offerta sarebbe rientrato nel nostro mandato, quale è emerso dalla riforma della politica agricola comune concordata nel 2003 e attuata successivamente.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL).(PT) Collegandomi alla sua risposta precedente, vorrei porle la seguente domanda. La Commissione europea prevede eventuali nuove concessioni, in particolare in materia di agricoltura, per consentire ai negoziati di Ginevra – che suppongo siano già in corso, visto che ne è stata annunciata l’apertura – di concludersi finalmente con un accordo su un pacchetto globale di misure riguardanti, come lei ha detto poco fa, anche i prodotti industriali e i servizi?

Vorrei anche chiederle un commento sul fatto che l’accordo in seno al Consiglio sulla definizione di aree di libero scambio con le economie emergenti dell’Asia sia stato raggiunto in concomitanza con la ripresa dei negoziati nell’ambito dell’OMC.

 
  
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  Peter Mandelson, Membro della Commissione. – (EN) Per quanto riguarda l’ultimo punto, devo precisare che non rientra nell’oggetto dell’attuale ciclo negoziale dell’OMC. A proposito della prima domanda, non ho dubbi: per poter procedere alle altre fasi del negoziato, ovvero a quei settori che potrebbero offrire i più grandi vantaggi economici e in termini di sviluppo all’economia mondiale e soprattutto ai paesi in via di sviluppo – mi riferisco alle tariffe doganali dei prodotti industriali, alla liberalizzazione dei servizi, al rafforzamento delle regole in materia di scambi commerciali e in particolare alla promozione del commercio – dobbiamo innanzi tutto uscire dall’impasse che l’agricoltura ha rappresentato per questi negoziati, che sono rimasti a un punto morto per vari mesi.

Per poterci riuscire, dobbiamo ricevere un segnale inequivocabile da parte degli Stati Uniti sulla direzione che prenderà la loro politica sulle sovvenzioni all’agricoltura che provocano distorsioni nel commercio. Fino a quel momento, non sarà possibile rispondere in modo chiaro alle richieste americane riguardanti l’accesso al mercato dei prodotti agricoli perché inevitabilmente, se gli Stati Uniti e altri paesi a economia agricola competitiva chiedono ai paesi in via di sviluppo in quale misura intendano aprire i loro mercati ai prodotti provenienti dagli Stati Uniti e da altre regioni, questi risponderanno: “Perché, che cosa importiamo? Per che cosa vi aspettate che vi assicuriamo l’accesso al nostro mercato? Per i prodotti agricoli o per le sovvenzioni del Tesoro americano?”

E’ comprensibile che i paesi in via di sviluppo pongano questi quesiti; quindi, solo quando avremo informazioni più chiare e sicure sulle intenzioni degli Stati Uniti rispetto alle sovvenzioni all’agricoltura, sarà più facile rispondere a domande riguardanti gli altri pilastri dei negoziati agricoli – accesso al mercato e concorrenza all’esportazione – e potremo passare a trattare in modo significativo altri settori dei negoziati.

La mia impressione, come ho già detto in apertura, è che gli Stati Uniti stiano assumendo un impegno ragionevole. Stanno facendo sforzi apprezzabili nei confronti del Congresso americano e dei loro partner negoziali per portare avanti i colloqui, ma rimaniamo in attesa di una loro proposta esplicita e ferma in materia di sovvenzioni all’agricoltura, perché, fino a quel momento, sarà difficile che le controparti rispondano agli Stati Uniti, avanzando altre proposte di propria iniziativa.

 
  
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  David Martin (PSE).(EN) Innanzi tutto mi permetta di congratularmi con lei, signor Commissario, per la sua perseveranza e la sua caparbietà nel cercare di rimettere in carreggiata questi negoziati che sembravano ormai definitivamente compromessi.

Lei ha correttamente concentrato la sua attenzione sull’accesso al mercato dei prodotti agricoli, dei prodotti non agricoli e della prestazione di servizi, ma condivide l’opinione secondo cui potrebbe essere opportuno lanciare un’iniziativa di aiuto al commercio in modo da consentire ai paesi in via di sviluppo di cui lei ha parlato di entrare nel sistema degli scambi commerciali a livello globale? Molto di loro, come lei ha giustamente osservato, temono che l’apertura dei propri mercati costituisca un processo a senso unico che potrebbe condurli a importare di più ma non necessariamente a esportare di più. Per rassicurarli, non dovremmo aiutarli a diventare membri attivi del sistema commerciale mondiale?

 
  
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  Peter Mandelson, Membro della Commissione. – (EN) Sono grato all’onorevole parlamentare per aver sollevato una questione che è fondamentale per la costruzione di quella fiducia che permetterà ai paesi in via di sviluppo, soprattutto ai più poveri e privi di risorse, di affrontare una graduale integrazione nell’economia mondiale. Penso davvero che sia una condizione indispensabile, se vogliamo che questi paesi diano il loro contributo a una felice conclusione dei negoziati.

Da molto tempo la Commissione, a nome dell’Unione europea, esercita forti pressioni a favore di un’iniziativa di aiuto al commercio. Sono lieto di dirvi che in occasione dell’incontro ministeriale di Hong Kong è stato definito e adottato un impegno chiaro, a prescindere dal caso specifico. Spero che altri paesi del mondo industrializzato si uniscano a noi fornendo le risorse necessarie per la realizzazione del progetto.

In questo contesto desidero anche sottolineare l’importanza dell’accesso senza dazi doganali e senza quote d’importazione ai mercati di altri paesi da parte dei paesi meno sviluppati dell’OMC. Si tratta di un impegno di lunga data per noi, e ci auguriamo che anche altri, nel mondo industrializzato e fra le economie emergenti, lo facciano a seconda delle proprie possibilità. Se questi negoziati sul commercio mondiale sfoceranno in uno sforzo adeguato, daremo un grande contributo alla creazione di condizioni più eque nel mondo in via di sviluppo, assicurando maggiori risorse ai paesi che ne hanno più bisogno.

 
  
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  Presidente. – Le interrogazioni nn. 53 e 54 riceveranno risposta per iscritto.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 55 dell’onorevole Bernd Posselt (H-1067/06):

Oggetto: Sviluppo rurale nella regione frontaliera bavaro-boema

Come valuta la Commissione le opportunità di sviluppo rurale nella regione a ridosso del confine fra la Baviera e la Boemia, che tanto ha sofferto nella seconda metà del ventesimo secolo, con specifico riferimento alla parte sia tedesca che ceca? In quale misura comprendono programmi di sviluppo rurale anche progetti culturali?

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Nel periodo di programmazione 2000-2006 per la Baviera sono stati stanziati 1,6 miliardi di euro a titolo del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia. Nel prossimo periodo di programmazione 2007-2013 l’importo dei contributi da parte dell’Unione europea sarà di circa 1,3 miliardi e sarà reso disponibile sotto forma di sovvenzioni per le aree rurali bavaresi.

Le misure previste comprendono: lavori di restauro nei comuni rurali, sostegno a varie attività nel settore turistico e aiuti agli agricoltori nelle aree più svantaggiate.

In passato e nel prossimo periodo di programmazione gli abitanti delle aree confinanti con la Repubblica ceca hanno beneficiato e continueranno a beneficiare in misura rilevante dell’attuazione di queste e di altre misure nel contesto del programma di sviluppo rurale della Baviera.

La nuova bozza del programma operativo FESR 2007-2013 per la Baviera riserva particolare attenzione alle aree rurali e strutturalmente deboli a ridosso del confine con la Repubblica ceca. Le autorità bavaresi hanno proposto di concentrare in questa regione oltre 300 dei 575 milioni di euro di sovvenzioni totali a titolo del FESR, fra cui uno stanziamento speciale di 84 milioni di euro per la sola area di frontiera. Tali fondi saranno utilizzati per cofinanziare progetti destinati, fra l’altro, a promuovere il turismo e varie attività culturali.

Nel periodo compreso fra il 2004 e il 2006 nelle regioni ceche di confine sono stati spesi, con il contributo della Repubblica ceca, quasi 85 milioni di euro a titolo del FEAOG: ciò dimostra che la capacità di assorbimento è davvero molto elevata e la Commissione ritiene che questa tendenza rimarrà inalterata nel prossimo periodo di programmazione 2007-2013.

La bozza del programma di sviluppo rurale della Repubblica ceca comprende misure di supporto del patrimonio culturale e fruirà di un finanziamento di circa 50 milioni di euro a titolo del FESR. Inoltre il programma transfrontaliero INTERREG ceco/bavarese, avviato il 1° gennaio di quest’anno, ha un bilancio di 115 milioni di euro. Il programma in questione, che è appena stato sottoposto all’esame della Commissione, comprende sia misure di sviluppo rurale che provvedimenti di sostegno a varie attività culturali.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE/DE).(DE) Desidero ringraziare la signora Commissario per le dettagliate informazioni. Vorrei brevemente sollevare altri due punti. Innanzi tutto qual è la sua opinione sulla questione del patrimonio culturale architettonico? Il programma prevede anche il restauro di edifici storici, riguarda cioè anche il patrimonio architettonico della regione ceca di confine? In secondo luogo, che cosa pensa la signora Commissario degli scambi transfrontalieri in ambito culturale e fra i giovani, con particolare riferimento alla popolazione di frontiera e alle minoranze? Teniamo conto che esiste il Fondo per il futuro ceco-tedesco. La signora Commissario prevede una cooperazione al riguardo?

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Innanzi tutto penso di aver già detto chiaramente nella mia precedente risposta che sono disponibili fondi per salvaguardare il patrimonio culturale. Si tratta, a mio parere, di una questione estremamente rilevante, di cui entrambe le ragioni hanno tenuto conto. La sussidiarietà, cui attribuiamo grande importanza nel quadro della politica di sviluppo rurale, offre talune possibilità di intervento e il terzo asse di tale politica potrebbe contemplare vari progetti destinati ad appoggiare specificamente questi settori nelle diverse regioni.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (PSE).(LT) Ritengo che questa sia davvero una questione importante, dato che la Repubblica ceca, la Boemia e la Germania sono state separate per metà del XX secolo. Penso che le regioni per cui sono rimaste isolate per tutto il periodo della guerra fredda richiedano un’attenzione particolare e fondi specifici per consentire loro di ricominciare a crescere insieme. Lo stesso si potrebbe dire per la zona di confine lituano-polacca, che nel medioevo costituiva un solo paese ma che per tutto il XX secolo è stata emarginata e divisa in due Stati diversi.

Come risponderebbe alla proposta di riservare particolare attenzione al riconsolidamento delle regioni che sono state isolate durante il periodo della guerra fredda?

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Ritengo che la sussidiarietà sia molto importante nei nostri programmi di sviluppo rurale, perché offre agli Stati membri la possibilità di definire le loro priorità. Stiamo attualmente esaminando i nuovi programmi per il prossimo periodo finanziario (2007-2013) e presto avremo un quadro preciso dell’importanza attribuita alle varie aree. Lei dice giustamente che in talune regioni di frontiera vi sono interessi specifici, e io sono certa che i diversi Stati membri ne terranno conto nella definizione dei programmi.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 56 dell’onorevole Georgios Papastamkos (H-1084/06):

Oggetto: Revisione del quadro regolamentare relativo agli aiuti “de minimis”

Il 12 dicembre 2006, la Commissione ha comunicato di aver riveduto il quadro regolamentare relativo agli aiuti “de minimis”. Il nuovo quadro prevede di estendere il campo di applicazione alla commercializzazione e alla trasformazione dei prodotti agricoli.

Quali sono i “requisiti concreti” per sottoporre alla regola “de minimis” gli aiuti alle imprese operanti nel campo della commercializzazione e della trasformazione dei prodotti agricoli? Che tipo di relazione sussiste tra questo nuovo quadro regolamentare e le norme specifiche vigenti nel settore agricolo, visto che, a causa dell’esistenza di tali norme, in passato l’agricoltura era stata esclusa dal campo di applicazione della norma sugli aiuti “de minimis”? Quali sono i limiti posti al cumulo degli aiuti “de minimis” con gli aiuti statali? Quali ripercussioni avrà il nuovo e più elastico quadro regolamentare sullo sviluppo dell’economia agricola dell’UE e, in particolare, della Grecia?

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Alle imprese operanti nella trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli di cui all’allegato 1 del Trattato possono essere concessi aiuti “de minimis” fino a 200 000 euro su un periodo di tre esercizi fiscali, sempre che vengano rispettate determinate condizioni

Fino al 1° gennaio 2007 gli aiuti “de minimis” per la trasformazione e la commercializzazione erano disciplinati dalle disposizioni del regolamento della Commissione (CE) n. 1860/2004, erano fissati a un massimo di 3 000 euro per beneficiario su un periodo di tre anni e non potevano superare un tetto massimo complessivo stabilito per ciascuno Stato membro.

La trasformazione e la commercializzazione di prodotti agricoli sono state inserite nel campo di applicazione del nuovo quadro normativo in ragione delle analogie fra queste attività, da un lato, e le attività di trasformazione e di commercializzazione di prodotti non agricoli, dall’altro.

Per quanto riguarda la trasformazione e la commercializzazione di prodotti agricoli, gli aiuti “de minimis” possono essere cumulati agli aiuti di Stato a condizione che il totale non superi l’intensità massima stabilita per le misure sovvenzionate da aiuti di Stato.

Con le nuove norme, molto più flessibili, che regolano gli aiuti “de minimis” la Grecia, come tutti gli altri Stati membri, avrà maggiori possibilità di concedere aiuti e potrà farlo in tempi molto più rapidi perché gli aiuti “de minimis” non devono essere notificati. Sono previste condizioni molto più favorevoli di quelle stabilite da altri testi normativi applicabili agli aiuti di Stato. Questa flessibilità contribuirà a promuovere l’agricoltura degli Stati membri nell’Unione europea.

 
  
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  Georgios Papastamkos (PPE/DE) . – (EL) Signora Commissario, desidero congratularmi con lei per il nuovo quadro normativo proposto. Considero estremamente importante la norma che prevede un’eccezione a favore delle piccole e medie imprese attive nella produzione agricola.

Potrebbe fornirci maggiori precisazioni a proposito dei limiti massimi previsti per gli aiuti “de minimis” alle aziende agricole di piccole dimensioni situate in aree remote e sulle isole dell’Egeo e per quanto riguarda una più rapida concessione degli aiuti agli agricoltori danneggiati dalle intemperie?

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) L’idea alla base della decisione di rendere applicabili le stesse condizioni anche alle attività di trasformazione e di commercializzazione di prodotti agricoli deriva dal fatto che riteniamo possano esserci analogie con altri settori produttivi. Abbiamo pertanto introdotto la possibilità di ottenere aiuti per un massimo di 200 000 euro su un periodo di tre esercizi fiscali.

Non facciamo distinzione fra piccole e grandi imprese. La sola condizione è che non si tratti di produzione primaria. Ciò significa che i 200 000 euro previsti non possono essere concessi a un produttore primario né a un agricoltore. Gli agricoltori sono sempre assoggettati alle norme già in vigore, hanno cioè diritto ad aiuti “de minimis” per un massimo di 3 000 euro alle condizioni stabilite su un periodo di tre anni. Devo precisare tuttavia che la vecchia normativa relativa agli aiuti “de minimis” per il settore agricolo sarà sottoposta a revisione alla fine del 2008.

 
  
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  Paul Rübig (PPE/DE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, una delle sfide più serie che dobbiamo affrontare sono gli obiettivi di politica energetica stabiliti per il 2010. Vi è stata la proposta di incrementare del 10 per cento bioetanolo, biodiesel e energie rinnovabili. In quest’ottica abbiamo urgentemente bisogno di impianti di lavorazione. La signora Commissario ritiene che la regola “de minimis” potrebbe essere applicata anche in questo settore?

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Per i produttori primari di energia da fonti rinnovabili, segnatamente per gli agricoltori, vi è un incentivo specifico pari a 45 euro per ettaro se si sottoscrive un contatto per la produzione di energia rinnovabile. La questione è stata discussa con i nuovi Stati membri, che hanno introdotto il sistema a decorrere dal 1° gennaio 2007.

Se si desidera investire, per esempio, nella bioenergia a livello di impresa agricola, si possono prendere in esame le possibilità offerte nell’ambito del primo e del secondo pilastro della politica di sviluppo agricolo riguardanti la concorrenza e l’ambiente. Con riferimento alla questione dell’energia vi sono infatti diverse possibilità di ottenere aiuti specifici.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 57 dell’onorevole José Manuel García-Margallo y Marfil (H-1088/06):

Oggetto: Progetto di riforma dell’organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli

L’attuale progetto di regolamento relativo alla riforma dell’organizzazione comune all’organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli prevede la modifica dell’attuale regime di aiuti ai produttori di taluni agrumi (regolamento (CE) n. 2202/96(1)), convertendolo in un regime di aiuti disaccoppiati per superficie nell’ambito del meccanismo di pagamento unico (regolamento (CE) n. 1782/2003(2)). Calcolando gli importi di aiuto in funzione della superficie totale coltivata ad agrumi in ciascuno Stato membro, un ettaro coltivato ad agrumi riceverebbe in Italia circa 700 euro, in Grecia 600 euro e in Spagna circa 300 euro.

Poiché il livello degli aiuti di cui beneficia il settore ortofrutticolo è minimo, ed inferiore a quanto ricevono altri settori comunitari, la Commissione ha calcolato se vi siano margini sufficienti, nell’ambito delle misure globali di sostegno al settore ortofrutticolo, per mantenere gli aiuti nel loro attuale formato accoppiato? Se tale margine esiste, in base a quali relazioni tecniche è stata proposta la modifica del regime attuale e la sua conversione in aiuti disaccoppiati?

La Commissione ha valutato l’impatto del disaccoppiamento degli aiuti nel settore dell’industria comunitaria dei succhi di frutta, e le sue possibili ripercussioni sul livello dei prezzi e i quantitativi di succhi di frutta importati provenienti da paesi terzi, in particolare dal Brasile?

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) La Commissione vorrebbe ricordare all’onorevole García-Margallo y Marfil la necessità di adeguare il settore degli ortofrutticoli per allinearlo alla riforma della politica agricola comune, riforma avviata nel 2003. L’inclusione del settore degli ortofrutticoli nel regime del pagamento unico orienterà ancora di più il settore verso il mercato e darà ai produttori una certa stabilità in termini di reddito.

L’onorevole García-Margallo y Marfil ha preconizzato una distribuzione di aiuti nell’ambito del regime del pagamento unico alla quale nessuno, attualmente, potrebbe accedere, dal momento che dipende dal sistema in uso negli Stati membri, sistema che varia da uno Stato membro all’altro. Lo stanziamento di aiuti dipende dai diritti concessi dagli Stati membri in conformità con criteri obiettivi e non discriminatori.

La proposta è stata preceduta da diverse iniziative. Nel 2004 la Commissione ha presentato una comunicazione a seguito della quale la Presidenza olandese del Consiglio ha stabilito la linea da seguire. Inoltre è stata redatta, nel maggio 2005, la relazione d’iniziativa del Parlamento.

Oggi la Commissione ha ricevuto diversi studi di valutazione sul settore. E’ stata anche stilata una valutazione d’impatto che in cui è stata prevista anche un’ampia consultazione pubblica. La maggior parte delle organizzazioni che hanno risposto volevano un sostegno continuo alle organizzazioni di produttori. E’ stata ritenuta importantissima anche una promozione migliore del consumo di frutta e verdura.

Per quanto riguarda il disaccoppiamento, le opinioni divergono a seconda dei diversi prodotti interessati. Alcuni contribuenti ritengono che sia la risposta giusta al problema della gestione e delle differenze di trattamento che oggi notiamo nel settore.

La Commissione è fermamente convinta che la proposta di riforma avrà effetti positivi su tutto il settore degli ortofrutticoli.

 
  
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  José Manuel García-Margallo y Marfil (PPE-DE). – (ES) Signora Commissario, mi dispiace di non concordare con la sua opinione. La proposta della Commissione nasce viziata da due peccati originali. In primo luogo, non fa distinzione tra agrumi e altri prodotti ortofrutticoli, non distingue tra alberi e piante e, in secondo luogo, premia chi non lavora e penalizza chi lavora bene.

Oltre a questi due peccati originali, non ha tenuto conto di quattro proposte formulate dal governo di Valencia e dal governo di Murcia: la creazione di un fondo di crisi che contribuisca a sostenere il mercato, il divieto di nuove piantumazioni, un aumento dei controlli in merito all’origine degli agrumi provenienti da altri paesi e, infine, la promozione, attraverso finanziamenti comunitari, di un progetto di riconversione globale dell’agrumicoltura che permetta di adeguare la produzione alla domanda del mercato.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Se avessimo un’altra mezzora, sarei molto lieta di spiegare i dettagli e i vari elementi della riforma del settore ortofrutticolo. Sono assolutamente sicura che torneremo sull’argomento in virtù della nostra nuova proposta di riforma, sulla quale ho avuto una discussione interessantissima e approfondita con la commissione per l’agricoltura.

Innanzi tutto, è ovvio che vogliamo effettuare una riforma atta a rinvigorire il settore. Perché non dovremmo cercare la soluzione? Sono certa che il contenuto della proposta renderà il settore più forte e molto più orientato verso il mercato in avvenire.

La proposta prevede anche un potenziamento delle organizzazioni di produttori perché, quando abbiamo monitorato i vari Stati membri per vedere come avevano gestito l’opportunità costituita da tali organizzazioni, abbiamo notato che ci sono grandi difformità. In alcuni Stati membri, nei quali il settore degli ortofrutticoli è sano, non ci sono molte organizzazioni di produttori, ma il loro livello organizzativo è molto elevato, cosa che rende il settore assai competitivo in relazione a quello della vendita al dettaglio. Questo avrà un’importanza cruciale in futuro.

La proposta include inoltre uno strumento di gestione delle crisi a disposizione delle organizzazioni di produttori, un elemento che renderà più allettante per i produttori aderirvi.

Abbiamo anche semplificato il sistema con una nuova proposta, perché tutto il terreno dove si può coltivare frutta e verdura, mele e patate destinate al consumo rientrerà nel regime del pagamento unico per azienda; in tal modo, tutto sarà più semplice dal momento che, attualmente, vigono diversi tipi di diritti.

Dunque sì, ci sarà un vantaggio per il settore e sarei lieta di tornare sull’argomento e discuterne più dettagliatamente.

 
  
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  Presidente. – Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).

Con questo si concludono le interrogazioni rivolte alla Commissione.

 
  

(1) GU L 297 del 21.11.1996, pag. 49.
(2) GU L 270 del 21.10.2003, pag. 1.


10. Comunicazione della Presidenza:vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 19.05, riprende alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LUISA MORGANTINI
Vicepresidente

 

11. Riforma dell’organizzazione comune del mercato del settore vitivinicolo (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione presentata dall’on. Katerina Batzeli, a nome della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, sulla riforma dell’organizzazione comune del mercato del settore vitivinicolo (2006/2109(INI)) (A6-0016/2007)

 
  
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  Katerina Batzeli (PSE), relatore. (EL) Signora Presidente, come lei ha affermato, l’odierno dibattito in seno al Parlamento europeo sulla riforma dell’organizzazione comune del mercato del settore vitivinicolo apre una riflessione sul futuro di uno dei più importanti settori produttivi, economici e commerciali dell’Unione europea.

Quello su cui dobbiamo concentrarci oggi con questa revisione è l’obiettivo di mantenere tale settore europeo ai massimi livelli nel mondo, la semplificazione della legislazione comunitaria, la compatibilità con altre politiche europee di sviluppo, il riconoscimento dei prodotti, la loro proporzionalità e la coesione di tutte le aree vitivinicole.

Questo messaggio è emerso anche dai dibattiti tenuti in seno alla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e dalle opinioni espresse dalla commissione per il commercio internazionale e da quella per lo sviluppo regionale, nonché dalle nostre consultazioni con gli operatori del settore a livello nazionale ed europeo.

La riforma del settore deve tenere conto delle caratteristiche specifiche della produzione vitivinicola a livello regionale e nazionale, della struttura e organizzazione del settore, della sua capacità di esportazione e del fatto che potrebbe essere l’unico prodotto su cui la legislazione comunitaria si applica con un alto grado di sussidiarietà.

Gli accordi previsti dalle politiche attuali e i finanziamenti dell’attuale OCM, che spesso hanno alterato il mercato e la competitività dei prodotti, vanno modificati affinché il bilancio comunitario di 1,3 miliardi di euro, ai sensi del primo pilastro, venga assegnato a politiche che nel lungo periodo mirino a:

– mantenere e rafforzare la viticoltura europea;

– rafforzare e aumentare la competitività del settore a livello europeo e internazionale;

– un approccio territoriale che tenga conto della protezione ambientale e delle risorse naturali mediante il finanziamento delle pratiche agricole di coltivazione;

– regolare domanda e offerta controllando la produzione con il meccanismo dei sottoprodotti e della distillazione di alcol potabile e con la modernizzazione del registro vitivinicolo;

– compatibilità o adattamento delle politiche dell’OCM a quelle della PAC;

– mantenere il riconoscimento a livello internazionale e transregionale dei vini europei di qualità e dei vini a indicazione geografica e denominazione di origine, la classificazione dei quali dev’essere decisa in linea di principio dal Consiglio, tenendo conto delle opinioni scientifiche dell’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (OIV);

– intensificare la cooperazione tra tutte le agenzie vinicole, dal livello della produzione a quello della circolazione attraverso programmi operativi;

– rafforzare la viticoltura rurale e regionale con interventi strutturali supplementari.

Per raggiungere tali obiettivi strategici, la commissione per l’agricoltura propone alcune misure, che comprendono:

– in primo luogo, una riforma transitoria, in modo da dare ai produttori la possibilità di adeguarsi, abbandonando le misure di sostegno al mercato e passando a misure strutturali, pratiche di coltivazione e attività commerciali;

– in secondo luogo, le normali politiche comunitarie vanno integrate nello sviluppo nazionale e nei programmi di sostegno al settore, a seconda delle priorità e degli orientamenti previsti da ciascuno Stato membro in seguito alle consultazioni con gli operatori a livello nazionale e regionale.

Il finanziamento di tali programmi – mi riferisco alle dotazioni finanziarie nazionali – dovrà essere determinato a livello comunitario sulla base di criteri oggettivi standard in modo da evitare distorsioni o disparità tra Stati membri e regioni.

Signora Commissario, il mercato attraversa la sua fase più vulnerabile e delicata. Si tratta di un punto di svolta pieno di rischi. Con le sue proposte, tuttavia, lei abbandona la partita. Sta cacciando i vini e i commercianti europei dal mercato.

Wine Spectator ha pubblicato uno studio secondo il quale, nel 2010, gli USA saranno i massimi consumatori di vini di qualità e costosi. Con i suoi interventi finanziari aggressivi di sradicamento, distillazione e arricchimento, tutte misure sulla base delle quali lei ottiene un risparmio di 760 milioni di euro, si avrebbe una drastica riduzione dal punto di vista quantitativo, ma si farebbe uscire il vino europeo dal mercato, anche se questo non è giustificato dai suoi sviluppi. In sostanza, vi sarebbe una radicale ridistribuzione delle risorse comunitarie a beneficio delle aree vinicole ricche di grande produzione e a scapito delle aree regionali e montane e della varietà dei vini europei, nonché una ridistribuzione del mercato a vantaggio dei vini d’importazione.

Vorrei tuttavia dichiarare la mia posizione in merito agli emendamenti presentati in seduta plenaria. Le opinioni dei miei colleghi sono comprensibili e sono certa che essi intendono dar voce a interessi e richieste locali e nazionali.

La presente relazione, nella forma in cui ha ricevuto l’approvazione della commissione per l’agricoltura, è un documento equilibrato e completo che può passare senza modifiche al tavolo negoziale per la preparazione del testo legislativo. Attenuare le posizioni espresse nella relazione equivarrebbe a sminuire la posizione e la credibilità del Parlamento europeo. Non possiamo chiedere a gran voce una riforma radicale per poi proporre, in sostanza, un radicale status quo. Non possiamo condannare la Commissione per il suo tentativo di liberalizzazione e rispondere con la nazionalizzazione.

In conclusione, le nostre proposte devono mirare a progettare il futuro, non a smantellare i risultati ottenuti in passato.

(Applausi)

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione.(EN) Signora Presidente, ringrazio molto il Parlamento europeo e soprattutto la relatrice, onorevole Batzeli, nonché la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, la commissione per il commercio internazionale e la commissione per lo sviluppo regionale per il lavoro di preparazione di una relazione d’iniziativa sulla comunicazione della Commissione “Verso un settore vitivinicolo europeo sostenibile”.

Sapevo prima di cominciare che il processo di riforma sarebbe stato difficile e complesso. Gli ultimi mesi hanno senza dubbio confermato questa impressione. Le mie discussioni in seno alla commissione per l’agricoltura e con numerosi deputati in seno all’intergruppo sul vino, in quest’Aula e nelle loro circoscrizioni elettorali, mi hanno mostrato che stiamo affrontando questioni difficili e delicate.

Pertanto accolgo con favore la relazione. Si tratta di un lavoro ambizioso che investe l’intero ventaglio di aspetti affrontati nella comunicazione. Credo di non esagerare dicendo che l’onorevole Batzeli ha messo in rilievo i numerosi punti di contrasto che dobbiamo conciliare nel corso della riforma. E’ stato un valido sforzo, e ora esamineremo attentamente la relazione.

Innanzi tutto, stasera farò alcune osservazioni basate sulla nostra prima lettura della relazione. In primo luogo, vorrei esprimere un certo rammarico. All’inizio la relazione afferma che la Commissione, invocando la necessità della riforma all’interno dell’Unione europea, non presta sufficiente attenzione all’immagine dei vini europei. Pertanto vorrei essere del tutto chiara. Il settore vitivinicolo comunitario non è secondo a nessuno: produce il miglior vino del mondo, è estremamente vario e rappresenta una parte importante della nostra tradizione culturale.

Alcune parti del settore, tuttavia, si trovano in difficoltà. Milioni di ettolitri vanno in distillazione di crisi ogni anno. Ciò significa che il settore non è in perfetta salute, come invece sarebbe auspicabile. Voglio che il settore possa competere in modo che l’Europa continui a essere la maggiore produttrice di vino al mondo. Per questo motivo il regime attuale va modificato, perché la situazione non è più sostenibile.

Penso si possa concordare sul fatto che si è prodotto uno squilibrio strutturale. Le riserve sono cospicue e di conseguenza i prezzi di molti vini sono bassi e si sono ridotte le entrate dei viticoltori. Questi sviluppi, insieme al calo dei consumi, al cambiamento degli stili di vita e all’aumento delle importazioni da paesi terzi, ci hanno costretto ad attuare cambiamenti: questo fatto, mi sembra, è ampiamente riconosciuto.

La direzione che tutti vogliamo prendere è descritta nel considerando K della relazione, che propone i seguenti obiettivi di riforma: consolidare il dinamismo e la competitività del mercato senza rinunciare alla propria quota sui mercati internazionali, tenendo parimenti conto degli interessi dei produttori e dei consumatori di vino, del rispetto della tradizione viticola europea nonché della qualità e dell’autenticità dei vini europei.

E’ fuor di dubbio che siate critici verso alcuni elementi della comunicazione, tra cui questioni quali le previsioni di consumo e gli avvisi, e la contraddizione tra le politiche di sradicamento e la competitività.

La Commissione concorda sul fatto che una delle principali sfide sia rinvigorire la domanda, ma la redditività è ancor più essenziale e prima occorre arrestare il meccanismo di eccedenze strutturali che porta all’abbassamento dei prezzi e alle entrate negative. La redditività non si ottiene con la concentrazione della produzione in poche mani e la successiva standardizzazione del vino. Vi sono piccoli produttori che fanno vino di grandissima qualità ottenendo anche ottimi profitti, e non vedo alcun motivo per cui in futuro non debba continuare a essere così. Lo sradicamento, tuttavia, permette ai produttori di vino che non saranno mai in grado di essere competitivi e che non riescono a soddisfare la domanda dei consumatori di abbandonare l’attività con dignità e con un indennizzo. Senza dubbio nessuno vuole costringere i produttori privi di un futuro prevedibile di profitti nel settore a rimanere solo perché non si possono permettere di abbandonare. Comprendo appieno che lo sradicamento è una questione delicata. Pertanto apprezzo in modo particolare l’atteggiamento di cui il Parlamento europeo ha già dato prova al riguardo. Apprezzo che, anche a vostro parere, la decisione dello sradicamento spetti al viticoltore e, detto questo, ho anche studiato i vostri svariati suggerimenti con molta attenzione.

Affermate inoltre con molta chiarezza che la decisione dello sradicamento non può e non deve essere presa in una situazione di vuoto. Concordo appieno. Avete presentato suggerimenti per assicurare che lo sradicamento rispetti alcuni criteri sociali e ambientali, e vi posso assicurare che questi saranno fonte di utile ispirazione quando valuteremo come meglio inquadrare lo sradicamento nell’ambito della nostra proposta legislativa.

Ho inoltre notato che proponete di attuare una riforma in due fasi. Avremo molto tempo per discutere del calendario e di come calibrare i diversi strumenti nelle varie fasi, ma concordo sull’idea che innanzi tutto dobbiamo affrontare gli squilibri strutturali che oggi gravano pesantemente sul settore.

Una questione su cui lei torna nella relazione, che è stata altresì un fattore chiave nei dibattiti precedenti, è la sua netta propensione a mantenere il bilancio vitivinicolo all’interno del primo pilastro. Innanzi tutto, credo che questo sia in contrasto con l’opinione comunitaria che le misure per lo sviluppo rurale possano dare un contributo sostanziale alle migliorie necessarie nelle regioni vinicole. Non dimentichiamo che possiamo stanziare fondi per le regioni vinicole nell’ambito del bilancio di sviluppo rurale. Penso tuttavia che la sua posizione al riguardo poggi sulla falsa convinzione che io voglia allontanare fondi considerevoli dal primo pilastro, il che non è vero. Ho detto in numerose occasioni, e lo ripeto stasera, che in futuro la maggior parte dei finanziamenti al settore continuerà a venire dal primo pilastro, ma questo non deve impedirci di attingere dagli ovvi benefici insiti nel far ricorso anche al secondo pilastro.

So che in seno al Parlamento è forte l’impulso a favore di un maggiore impegno comunitario per la promozione. Di fatto è importante migliorare l’informazione sui vantaggi di un consumo moderato e responsabile di vino, e promuovere le opportunità nei paesi terzi in modo più aggressivo. Credo concorderete con me sul fatto che necessitiamo di un approccio più progressista e moderno. A questo presterò senza dubbio la dovuta attenzione nella proposta legislativa.

In conclusione, vorrei dire che lavoro con il Parlamento da due anni e mezzo. Avete chiaramente dimostrato di essere capaci di creativa lungimiranza, anche in ambiti delicati quali la riforma dello zucchero, nella ricerca di equilibrate soluzioni di riforma che preparino adeguatamente l’agricoltura comunitaria ad affrontare le sfide presenti e future. Quando però considero molte delle vostre proposte, soprattutto per quanto riguarda arricchimento, distillazione e stoccaggio privato, devo ammettere che vi trovo un po’ più timidi del solito quanto a zelo riformista. Non mi aspetto che ora giungiamo a concordare su tali questioni, ma queste sono aree in cui credo dovremo essere innovativi e creativi.

Ci aspetta dunque un lavoro cospicuo e difficile, ma attendo con ansia il vostro contributo indefesso e preziosissimo. Sono lieta di avere avuto l’occasione di discutere questa sera. Mi scuso con il Presidente per essere stata più lunga del solito, ma la questione è molto importante e fulcro di enorme attenzione in tutte le regioni d’Europa; per questo motivo mi sono presa la libertà di parlare un po’ più del solito.

 
  
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  Béla Glattfelder (PPE-DE), relatore per parere della commissione per il commercio internazionale. (HU) Nel suo parere, la commissione per il commercio internazionale ha sottolineato che nel corso del processo di riforma del settore vitivinicolo la cosa più importante è rendere il vino europeo più competitivo sui mercati internazionali come pure su quelli interni. Non è assolutamente un compito facile, poiché regolamentare il mercato vinicolo è straordinariamente complesso, e le industrie vinicole europee devono affrontare numerose difficoltà.

Uno dei punti importantissimi della raccomandazione della commissione per il commercio internazionale è che il sostegno allo sradicamento non può essere l’elemento centrale della riforma. Occorre un regolamento molto più complesso di questo. A mio avviso, nella misura in cui occorre dare sostegno allo sradicamento, lo si deve concentrare nelle regioni in cui attualmente si producono eccedenze.

Si può infatti notare che nelle regioni in cui la produzione è in deficit – in altre parole, in cui si consuma più di quanto si produce – oppure è in equilibrio, la crescita delle importazioni non viene principalmente da vigneti di altri Stati membri dell’Unione, ma da quelli di paesi terzi. Pertanto, se lo sradicamento viene condotto in aree che finora sono riuscite a produrre a sufficienza per il proprio consumo, ma che d’ora in poi non lo potranno più fare, non è per nulla certo che questo porterà a un calo delle eccedenze prodotte all’interno dell’Unione europea. E’ molto più probabile che porterà a un aumento delle importazioni da paesi terzi.

Oltre a queste considerazioni, è opinione della commissione per il commercio internazionale che si debba agire in modo energico nei fori internazionali, nel quadro dell’OMC, ossia negli accordi commerciali bilaterali, al fine di assicurare la protezione delle indicazioni geografiche.

 
  
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  Iratxe García Pérez (PSE), relatore per parere della commissione per lo sviluppo regionale.(ES) Nel parere presentato, la commissione per lo sviluppo regionale ha voluto porre l’accento su talune questioni che reputa importanti dal punto di vista della coesione territoriale, nel momento in cui si tratta di attuare una riforma che avrà conseguenze significative per alcune regioni europee.

I vigneti e la produzione vinicola svolgono un ruolo strutturale fondamentale in alcune regioni in quanto motore di sviluppo rurale, e pertanto, quando si tratta di adeguare le norme che regolano il settore vitivinicolo, occorre prendere in considerazione aspetti quali il crescente spopolamento che mina molte regioni europee.

Pertanto desideriamo richiamare l’attenzione sul sistema di sradicamento proposto dalla Commissione, che pregiudicherebbe gravemente la situazione economica e sociale di alcune regioni in cui il settore vitivinicolo è la principale fonte di occupazione e prosperità. Crediamo che la Commissione debba proporre misure volte a modernizzare le tecniche di produzione vinicola e i metodi di marketing.

In conclusione, la riforma va applicata in modo graduale e deve comprendere periodi di transizione e una valutazione costante dei suoi effetti sulla condizione economica e sociale delle regioni dell’Unione europea.

 
  
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  Elisabeth Jeggle, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei nuovamente ribadire che l’oggetto della discussione è una relazione d’iniziativa che rappresenta la risposta del Parlamento europeo alla comunicazione della Commissione in merito alla riforma dell’organizzazione comune del mercato del settore vitivinicolo. In qualità di relatrice per il gruppo del PPE-DE, posso dire che la Commissione a ragione considera il potenziamento della capacità innovativa e della competitività del settore vitivinicolo in Europa e nel mondo l’obiettivo primario della riforma, di cui fanno parte le campagne promozionali e informative volte a incoraggiare un consumo responsabile del vino.

Per perseguire con determinazione tali obiettivi, reputiamo indispensabile che la totalità dei finanziamenti al settore vitivinicolo permangano nell’ambito del primo pilastro. A tale proposito, siamo molto lieti che l’applicazione delle nuove norme segua il principio di sussidiarietà: si prevede infatti il recepimento delle norme stesse in programmi nazionali approvati dalla Commissione. Benché sradicamento e abbandono definitivo dei vigneti rientrino nella riforma, non ne devono rappresentare la parte centrale. Analogamente, prima di assegnare nuovi diritti di piantatura, occorre esaminare la situazione nelle singole regioni vitivinicole per quanto riguarda gli impianti illeciti.

Se vogliamo arrivare a una politica vitivinicola ambiziosa e lungimirante, dobbiamo adottare un approccio su misura per i finanziamenti attuali. L’attuale distillazione, che corrisponde a 600 milioni su un totale di 1,4 miliardi di euro, certamente non è un’opzione per il futuro. Crediamo tuttavia che occorra mantenere il sostegno alla distillazione dei sottoprodotti della vinificazione e alla distillazione di alcol potabile.

Il compromesso sulle tradizioni vitivinicole dei singoli Stati membri consiste nel rispetto delle diverse tradizioni e anche l’aggiunta di saccarosio fa parte delle pratiche enologiche tradizionali. La viticoltura non ha solo un valore economico, ma appartiene all’eredità culturale delle varie regioni dell’Unione europea. Le nuove sfide necessitano di norme che permettano la sostenibilità e la competitività sostenibile, elementi che dobbiamo porci come obiettivo.

 
  
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  Rosa Miguélez Ramos, a nome del gruppo PSE.(ES) Signora Presidente, innanzi tutto vorrei congratularmi con la relatrice, onorevole Batzeli, per l’immensa mole di lavoro svolto.

In secondo luogo, vorrei dire al Commissario Fischer Boel che secondo la sua stessa analisi il consumo di vino nell’Unione europea è in calo, la nostra bilancia commerciale rispetto ai paesi terzi si sta deteriorando e abbiamo un’eccedenza produttiva che la Commissione colloca al 15 per cento del totale per il 2011.

Concordo con il Commissario Fischer Boel sulla necessità di questa riforma, ma spero che ella abbia compreso il messaggio dell’Assemblea, ossia che lo sradicamento non può rappresentare l’elemento centrale su cui s’impernia la riforma, ma piuttosto un ulteriore strumento di adeguamento strutturale, soggetto al controllo degli Stati membri.

Abbiamo bisogno di una riforma che preservi il meglio di ciò che siamo. Non dev’essere una questione di produrre di meno per lasciare spazio a paesi terzi, ma di compiere i cambiamenti necessari a migliorare le nostre strutture di produzione, di trasformazione e soprattutto, come richiede il settore, di commercializzazione.

Per quanto riguarda il finanziamento, il Parlamento sostiene inequivocabilmente il mantenimento del bilancio attuale, nell’ambito del primo pilastro della PAC. La sua distribuzione a priori tra gli Stati produttori, in funzione dei dati storici, mediante i cosiddetti “pacchetti nazionali”, favorirà un’applicazione più adeguata della riforma.

Quanto alla liberalizzazione dei diritti di piantatura, credo vada condotta con prudenza e sempre sotto la supervisione e il controllo degli Stati membri.

Vorrei inoltre accordare espressamente il mio sostegno all’emendamento presentato dall’onorevole Fraga, che, per l’arricchimento, raccomanda l’uso di mosti prodotti all’interno dell’Unione europea.

 
  
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  Anne Laperrouze, a nome del gruppo ALDE.(FR) Signora Commissario, onorevole Batzeli, onorevoli colleghi, il settore vitivinicolo comunitario rappresenta un’attività economica di primaria importanza, soprattutto per quanto riguarda le esportazioni. L’Unione europea è la prima vigna del mondo. Il consumo mondiale di vino è in aumento, e tuttavia il settore vitivinicolo europeo è in crisi. Si tratta di una situazione davvero paradossale.

In seno al Parlamento abbiamo lavorato con passione per delineare la riforma dell’organizzazione comune del mercato del settore vitivinicolo. I produttori di vino sfruttano la loro esperienza per perpetuare la tradizione nella viticoltura moderna. Questi uomini e queste donne svolgono il proprio mestiere con passione, ed è nostra responsabilità difenderli, aiutarli ad affrontare la realtà economica e sostenerli con la stessa passione. Tuttavia, a tanta passione la Commissione sa rispondere solamente ordinando con freddezza “sradicamento su vasta scala, liberalizzazione dei diritti di piantatura e abolizione dei meccanismi di distillazione”.

A mio avviso, questa relazione, su cui esprimeremo il nostro voto giovedì, dimostra che il Parlamento risponde con una proposta di riforme, questo è vero, ma di riforme progressiste. A mio parere dobbiamo lasciare agli Stati membri, e soprattutto alle regioni, ampio margine di manovra al riguardo: non si può negare che, in alcune regioni, non cresce nulla al di fuori della vite, né si può negare il contributo dato dai produttori di vino alla struttura delle campagne.

Grazie alle loro competenze di pianificazione urbana e rurale, gli Stati membri e le regioni hanno dunque le capacità necessarie per valutare le politiche di impianto o sradicamento, in stretta cooperazione con i produttori e i rappresentanti del settore.

E’ vero che alcuni strumenti dell’attuale organizzazione del mercato comune sono ormai inadeguati o non vengono utilizzati correttamente, e tuttavia mi aspetto che la Commissione si dia pena di collaborare con gli Stati membri all’analisi delle conseguenze dell’abolizione o della sostituzione di tali strumenti, e soprattutto dei meccanismi di distillazione. Mi aspetto che la Commissione proponga strumenti di regolazione del mercato e di gestione di eventuali crisi.

La ricetta è semplice: vino di qualità e promozione. Il consumo mondiale di vino è in aumento, e il boom economico e culturale in alcuni paesi è accompagnato da un interesse per il consumo di vino. E’ importante che il settore vitivinicolo comunitario venga reso più competitivo mediante azioni condotte in tutte le fasi della produzione e della commercializzazione. Per quanto riguarda le pratiche enologiche, i nuovi paesi produttori hanno regolamenti più flessibili. Penso si debba stare attenti a non “globalizzare” i nostri vini. Senza dubbio dobbiamo allentare le restrizioni imposte ai produttori europei e permettere loro di adeguarsi alla domanda e all’accresciuta competitività. Accordo il mio sostegno al divieto di vinificazione dei mosti importati e della loro miscela con mosti comunitari.

In conclusione, vorrei ricordarle, signora Commissario, che i vini hanno il sapore della terra in cui vengono coltivati, il colore delle stagioni e lo spirito dei produttori di vino. Hanno il sapore dei paesi, dell’Unione europea. Mi viene in mente una citazione anonima: “Per fare un buon vino serve un pazzo appassionato che coltivi la vigna, un saggio che l’amministri, un artista lucido che faccia il vino, un amante che lo beva e un poeta che ne canti le lodi”.

 
  
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  Sergio Berlato, a nome del gruppo UEN. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, signora Commissario, il vino, oltre che produzione agricola ed economica, rappresenta per noi storia, cultura e tradizione. Non possiamo quindi accettare una riforma essenzialmente volta a ridimensionare un settore che oggi utilizza soltanto il 3% dei fondi di bilancio, a fronte di una produzione di valore aggiunto del 7%.

La Commissione propone di ridurre le produzioni e di estirpare circa 400.000 ettari di vigneti in cinque anni, adducendo la motivazione della necessità di ridurre i costi di gestione delle eccedenze di produzione e di migliorare la competitività europea attraverso il principio del “solo i più forti resteranno sul mercato”. E’ curioso constatare che, mentre in Europa si favorisce l’estirpazione dei vigneti, in altri paesi come in Sudamerica e il Sudafrica, si favorisce la loro piantumazione.

Considerando che la domanda globale non è in ribasso ma in aumento, sembra che la Commissione intenda ristabilire un equilibrio nel mercato interno dell’Unione europea senza prendere in considerazione la domanda globale e l’equilibrio del mercato mondiale e senza considerare che nella frettolosa opera di riduzione della produzione vinicola europea vi è il rischio di eliminare alcuni vigneti che, pur non producendo prodotti estremamente forti sul mercato, costituiscono produzioni regionali di qualità, con tradizioni storiche fortemente radicate che costituiscono a tutt’oggi il tessuto sociale di intere aree regionali.

La verità è che i vini del nuovo mondo stanno guadagnando mercato grazie a un crescente miglioramento della qualità delle produzioni, unita alla competitività dei loro prezzi. Le nuove modalità di intervento dovrebbero consentire a tutta la filiera di fare fronte alle nuove sfide imposte da un mercato sempre più globalizzato. La ricetta vincente rimane quella di chi investe sulla qualità e sulla caratterizzazione dei vini europei, sulle riduzioni dei costi, sulla promozione del vino per allargarne il mercato e temiamo pure che la liberalizzazione di nuove pratiche enologiche possa produrre il deterioramento dell’immagine del vino e quindi compromettere il rapporto di fiducia tra consumatore e prodotto, con conseguenza gravissime sul consumo.

Signora Commissario, al settore vinicolo serve una riforma che favorisca condizioni di maggiore competitività sul vino europeo, proseguendo con la ristrutturazione dei vigneti per renderli più competitivi e favorendo la permanenza della viticoltura a presidio del territorio e dell’ambiente. Le indicazioni geografiche e le denominazioni d’origine devono essere intese come strumenti indispensabili per meglio garantire e proteggere i produttori europei.

In definitiva, Signora Commissario, rilancio e sviluppo del settore sul mercato mondiale è quello che chiediamo per una nuova politica vitivinicola dell’Unione.

 
  
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  Friedrich-Wilhelm Graefe zu Baringdorf, a nome del gruppo Verts/ALE.(DE) Signora Presidente, signora Commissario, la relatrice è davvero una devota sostenitrice del vino europeo. Mi trovo in disaccordo con lei sotto molti aspetti, ma bisogna proprio riconoscere il suo impegno. Benché propenso ad accogliere le proposte della Commissione, devo sottolineare che molte regioni percepiscono la liberalizzazione attuata con cura attraverso tali proposte come una prova di insensibilità da parte di Bruxelles. E’ un dato da considerare con serietà, che anche la relatrice mette in luce. Quando ci ha invitati a bere il vino greco questa sera, mi sono trovato in pieno accordo con lei – e spero di non essere stato l’unico – sul fatto che a nessuno verrebbe in mente di trasformare il vino offertoci in tale occasione in puro spirito. E’ proprio questo il problema. Dobbiamo commerciare il vino in quanto prodotto di qualità, e dare ai viticoltori l’occasione di fare altrettanto.

Per quanto riguarda lo sradicamento – che, va detto e ripetuto, non dev’essere obbligatorio, bensì deve consistere nell’offrire ai viticoltori l’opportunità di cessare l’attività se non vedono alcun futuro nel mercato vitivinicolo – la Commissione deve intraprendere misure volte a creare un futuro migliore per il mercato. In altre parole, dapprima si dovrebbe rivolgere ai viticoltori un’offerta, per poi dire loro che, se non si può fare nulla, possono abbandonare la viticoltura con l’aiuto dei finanziamenti pubblici.

Vi è poi la questione delle regioni. Signora Commissario, si tratta di soldi. Le regioni hanno ricevuto denaro, e interrompere ora una determinata misura le priverà di tale denaro. Pertanto è una lotta per beni puramente materiali. Anche a tale proposito, alle regioni andrebbe assicurato che continueranno a disporre di tali finanziamenti – secondo specifici criteri sociali e ambientali e tenendo conto del mercato – affinché esse possano continuare a produrre vino. Imboccare questa via eliminerebbe molte tensioni, permettendo inoltre di raggiungere un accordo con la relatrice.

 
  
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  Diamanto Manolakou, a nome del gruppo GUE/NGL. (EL) Signora Presidente, l’ultima riforma della PAC ha posto l’obiettivo di tagli più rapidi al settore agricolo e al sostegno di cui tale settore gode, in modo da risparmiare risorse a favore di altre politiche impopolari.

Nel contempo si promuove l’eliminazione delle aziende agricole di piccole e medie dimensioni, in modo da concentrare in poche mani terra, produzione e commercio. Il vino non è esente da tale obiettivo.

E se l’Europa fosse al primo posto nel mondo per produzione, consumo ed esportazioni grazie ai vini di alta qualità che produce? Per l’Europa, gli elementi principali sono la concorrenza, la liberalizzazione del vino e le importazioni di mosti a scapito della produzione europea, che minano così anche la qualità.

Per questo motivo viene imposto lo sradicamento massiccio, con forti incentivi e svendite dei diritti delle vigne di piccole e medie dimensioni alle società del settore, favorendo in questo modo la creazione di cartelli, e adducendo a pretesto le eccedenze strutturali e la necessità di trovare un equilibrio tra domanda e offerta sul mercato comunitario al fine di garantire prezzi migliori.

Tale pretesto è una presa in giro, perché la liberalizzazione delle importazioni di mosti e vini da paesi terzi e la legalizzazione della pratica di miscelarli con mosti e vini comunitari, insieme al riconoscimento di pratiche vinicole che utilizzano materiali esteri per la vinificazione, trasformando in tal modo il vino da prodotto agricolo a prodotto industriale, favoriscono i vini economici, mettendo a rischio la qualità.

Quel che è certo è che le vigne europee si ridurranno, i viticoltori piccoli e medi scompariranno e trionferanno le importazioni. La misura dello sradicamento, inoltre, è già stata applicata in passato, una decina di anni fa.

In Grecia sono stati sradicati più di 20 000 ettari. Le eccedenze sono state ridotte temporaneamente, ma il problema è ricomparso con le massicce importazioni e di fatto ha dato come risultato la distillazione anche di vini di alto livello.

Ciononostante sono state eliminate migliaia di vigne di piccole e medie dimensioni. Per questo motivo la proposta della Commissione non può rappresentare una base di discussione, giacché non affronta il problema della viticoltura.

Né posso concordare con l’odierna relazione, perché in sostanza propone un periodo di transizione più lungo per l’applicazione del nuovo regolamento, con alcune modifiche alle misure proposte al fine di attenuarne le conseguenze.

 
  
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  Hélène Goudin, a nome del gruppo IND/DEM.(SV) Signora Presidente, i produttori di altre parti del mondo sono riusciti a produrre vini non solo graditi ai consumatori europei, ma anche più economici del vino europeo. Secondo la relatrice dobbiamo contrastare questa situazione immettendo più denaro nella politica agricola, attuando nel contempo campagne di diverso tipo.

Senza dubbio l’Europa produce alcuni vini eccezionali. La domanda interessante, in linea di principio, è se si debba permettere che i paesi più poveri vengano esclusi per favorire la produzione vinicola europea.

Il Nuovo Mondo di certo non è dato solo da giganti economici quali gli Stati Uniti e l’Australia, ma anche da paesi di recente industrializzazione come il Sudafrica, il Cile e l’Argentina, dove il vino viene spesso prodotto in zone povere e dimenticate. Nei suddetti paesi non c’è nulla di analogo alle reti di sicurezza sociale che si trovano negli Stati membri dell’Unione. Se si dovesse impedire la produzione vinicola in queste zone, vi sarebbero gravi ripercussioni sulla popolazione.

Quando si discute questo problema, è importante avere uno sguardo d’insieme, adottando quindi anche una prospettiva di salute pubblica. A lungo andare, gli aspetti protezionistici di questa relazione andrebbero a svantaggio dei produttori di vino sia dell’Unione sia del Nuovo Mondo. In fin dei conti, il vino è una bevanda alcolica, e perciò l’Unione non dovrebbe sponsorizzare campagne che ne incoraggino un consumo maggiore.

 
  
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  Jean-Claude Martinez, a nome del gruppo ITS.(FR) Signora Presidente, signora Commissario, fin dal 22 luglio 1993, data dei primi progetti di riforma del settore vinicolo, ci è stato detto che dobbiamo sradicare le vigne, sostenendo l’affermazione con tanto di numeri.

Nel 1993, per esempio, ci hanno detto che il consumo nel 2000 sarebbe sceso a 115 milioni di ettolitri, ma di fatto è stato di 127 milioni – la Commissione ha sbagliato di 12 milioni. Ci dicono inoltre che vi è sovrapproduzione, ma dove? Sul mercato globale delle bevande alcoliche sono mancati 9 milioni di ettolitri nel 2002 e 11 milioni nel 2003. E sappiamo perfettamente che è giunto il momento dei produttori di vino soprattutto in Cina, dove il Presidente Mao disse “lasciate che il popolo beva vino”.

Che cosa si cela dunque dietro queste riforme in materia di libera piantatura, aggiunta di zuccheri, distillazione, infusioni di trucioli, importazioni di mosti d’uva e, naturalmente, sradicamento? In realtà, la Commissione persegue due scopi con questo sradicamento di 400 000 ettari – l’episodio più violento nella storia mondiale del vino, perché dobbiamo risalire all’imperatore Domiziano nel 92 per trovarne uno equivalente: innanzi tutto, abbandonare le nostre esportazioni di vino nell’emisfero australe entro il 2015, in cambio del suo mercato dei servizi, e in secondo luogo il graduale trasferimento nell’Europa meridionale dei pensionati dell’Europa settentrionale. Pertanto l’Europa ha bisogno di una riserva di terra, che si può trovare nei 400 000 ettari che verranno sradicati e rimpiazzati da case – quattro milioni di case su quattro miliardi di metri quadri, con un giro d’affari di mille miliardi di euro.

E’ questo, questo sradicare terre, la vera tragedia, perché il vino non è solo un’OCM: è più dell’agricoltura, e persino più della cultura, nonostante i pittori, i 275 poeti del vino e le strutture dei 5 000 villaggi vitivinicoli d’Europa – il vino è il luogo d’incontro col divino. Alle nozze di Cana, il primo miracolo di Gesù è stata la trasformazione dell’acqua non in whisky o coca cola, né in telefoni cellulari Nokia, ma in vino. Rinunciare a tutto questo, pertanto, non è come rinunciare alle pecore della Nuova Zelanda o ai polli del Brasile: vuol dire rinunciare all’identità europea.

Per questo, signora Commissario, lei non deve abbandonare il vino, che l’argentino Jorge Luis Borges ha definito il profondo fiume patriarcale che scorre attraverso la storia del mondo.

 
  
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  Giuseppe Castiglione (PPE-DE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, signora Commissario, desidero ringraziare la collega Batzeli per il lavoro svolto e anche il Commissario Fischer Boel, per la capacità di ascolto dimostrata dal momento della comunicazione. Ci auguriamo che la proposta legislativa che ci sarà sottoposta sia coerente con le tante indicazioni fornite sia dal Parlamento sia dai produttori europei. Si tratta di una scommessa molto importante, che mette la viticoltura europea in condizioni di ridare slancio al mercato, di riacquisire competitività e soprattutto di permettere ai nostri vini di concorrere con i paesi terzi, riguadagnando vecchi mercati ma anche conquistandone di nuovi.

Alcune soluzioni non ci convincono del tutto, signora Commissario e, soprattutto, il caposaldo della riforma non può essere quello dell’estirpazione definitiva. Tale misura si tradurrà in un abbandono massiccio e incontrollato della viticoltura difficile che, oltre ad avere una funzione produttiva, ha anche un ruolo di tutela ambientale e paesaggistica. Estirpare dunque nel momento in cui i nuovi Stati produttori impiantano, significa lasciare loro nuove e ampie fette di mercato. Si tratta di fare una scelta e di campo e la nostra scelta non può che essere quella di un vino di qualità, non al pari di una qualsiasi bevanda. Nel promuovere i nostri vini dobbiamo promuovere le nostre tradizioni, i nostri territori, la nostra cultura, il nostro valore aggiunto, espressione di un grande patrimonio storico e culturale.

Per tale ragione non mi convince neppure la proposta di consentire l’utilizzo dei mosti importati per arricchire i nostri vini o tagliarli con i vini di paesi terzi, né tanto meno l’idea di indicare nell’etichetta l’annata del vitigno nei vini senza indicazione geografica, consentendo di utilizzare varietà legate al territorio ma soprattutto con il grande rischio di confondere il consumatore.

In tema di liberalizzazione dobbiamo invece tutelare gli sforzi e gli investimenti fatti dai viticoltori, promuovere le nostre indicazioni geografiche sul piano internazionale ed evitarne lo svilimento economico. Due sono le parole che dovremmo ricordare: flessibilità e orientamento al mercato. Ma “flessibilità” non significa improvvisa e totale e indiscriminata abolizione di tutte le attuali misure di gestione. Inoltre, signora Commissario, ritengo che le risorse vadano ripartite in base al criterio storico, ossia seguendo lo stesso criterio utilizzato per tutte le altre riforme finora adottate.

 
  
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  Vincenzo Lavarra (PSE). – Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, considero la relazione Batzeli sull’OCM vino un momento preparatorio di un dialogo che ci porterà alla relazione legislativa e dunque a decisioni definitive nell’arco di quest’anno. Tuttavia, penso che sia utile che il Parlamento si pronunci su alcuni dei capisaldi della proposta e fra questi, certamente, quello dell’estirpazione.

Come altri colleghi, non condivido questa proposta come unica ed esclusiva possibilità di riequilibrare il mercato. Dobbiamo confrontarci nello scenario mondiale e la forza del vino europeo sta nella valorizzazione della qualità e delle pratiche tradizionali, come pure nel collegamento con i territori e con le pratiche centenarie che accompagnano questa produzione.

A questo fine, anch’io sono contrario all’importazione dei mosti: abbiamo presentato come gruppo socialista un emendamento rafforzativo in questo senso. Io penso che, anche attraverso il passaggio di oggi, il dialogo porterà a risultati positivi anche per periodi di transizione verso misure che, come la distillazione, abolite immediatamente, tolgono reti di protezione per molti viticoltori. Io penso che il reciproco ascolto comunque consentirà di sostenere la produzione europea su scala mondiale.

 
  
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  Marie-Hélène Aubert (Verts/ALE).(FR) Signora Commissario, onorevoli colleghi, sono passati alcuni mesi ormai da quando siamo stati colti di sorpresa dall’accordo sul vino concluso con gli Stati Uniti, in merito al quale abbiamo dovuto indire una discussione urgente e che già conteneva alcuni dei pessimi ingredienti della riforma che oggi lei propone: mitigare i criteri europei di qualità dei vini, confondere le indicazioni geografiche e le denominazioni d’origine, accettare pratiche enologiche molto discutibili, liberalizzare maggiormente il mercato, a beneficio di prodotti standardizzati presumibilmente graditi a un consumatore mondiale non meno standardizzato.

Senza dubbio commercianti ed esportatori ne trarranno beneficio, ma certamente non se ne avvantaggeranno la lavorazione di prodotti strettamente legati, dal punto di vista culturale, alla propria area locale, né la varietà e le ricche fragranze dei vini europei, né il consumatore, che ben presto sarà costretto a sorbire bevande che a malapena si possono definire vino, né certamente i viticoltori, che lavorano sodo, talvolta in regioni difficili e in aree di dimensioni modeste, per tutelare la qualità del vino e il piacere di berlo.

Poniamo dunque fine ai meccanismi più assurdi che incoraggiano la sovrapproduzione e hanno troppi effetti nefasti, ma per favore, signora Commissario, combatta con noi e metta a disposizione le risorse per promuovere i vini di qualità, per sfruttare al meglio la varietà di gusti e territori, per preservare il terreno e la biodiversità e per descrivere al mondo intero questa meravigliosa alchimia del vino europeo che si perpetua da più di 2 000 anni.

 
  
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  Vincenzo Aita (GUE/NGL). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, credo che le cifre parlino chiaro: in questi ultimi anni l’Europa ha visto diminuire la propria produzione, mentre altri paesi extraeuropei vedono costantemente aumentare le proprie quote produttive. Oggi, nell’avviare la riforma dell’OCM del vino l’Europa deve tener conto che sono interessati circa 3.400.000 ettari e 3.000.000 di addetti. Pensare allo sradicamento come strumento di equilibrio del mercato significa percorrere la strada delle precedenti modifiche delle OCM del tabacco e dello zucchero. Non possiamo continuare su questa strada, che determina cadute di livello occupazionale e abbandono di interi territori agricoli, spesso collocati in aree fragili dal punto di vista della tenuta idrogeologica.

Qualsiasi riforma quindi deve tener conto soprattutto delle imprese, dei lavoratori e delle condizioni ambientali, ed è solo difendendo e mantenendo un sistema produttivo agricolo europeo che possiamo garantire la qualità e la sicurezza per i consumatori. Certamente, lo sforzo della relatrice, on. Batzeli, ha determinato un miglioramento rispetto alle posizioni del Commissario. Ma nonostante ciò ritengo che ci siano ancora elementi di preoccupazione.

Innanzitutto dobbiamo abbandonare l’ipotesi dello sradicamento e usare la leva della riconversione produttiva per quelle produzioni che hanno difficoltà di mercato, in direzione di una produzione di qualità. Così come dimostrano gli ultimi dati dell’esportazione europea, a essere premiata è la qualità e, di conseguenza, una produzione che deve identificarsi con i territori e con le nostre tradizioni. E’ questa la strada che bisogna seguire e non quella della trasformazione del vino in un semplice prodotto industriale. Da qui il rifiuto dello zuccheraggio come strumento di arricchimento e la necessità di definire regole precise sulla vinificazione.

In questo senso l’uso dei mosti di origine europea per l’arricchimento non può essere penalizzato, in quanto pratica della tradizione di viticoltura europea che non intacca la qualità del vino stesso. E’ per questo che è importante mantenere il sostegno al finanziamento ai mosti. In ultima analisi, qualsiasi riforma non può non tener conto delle modificazioni climatiche attualmente in atto, che avranno pesanti ripercussioni in alcune aree del sud dell’Europa, sconvolgendone i sistemi produttivi. E’ ora giunto il momento per l’Europa di difendere il suo territorio, la sua civiltà e le sue tradizioni.

 
  
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  Esther Herranz García (PPE-DE).(ES) Il vino non si fabbrica, è il prodotto di un lavoro paziente e delicato. Vi è una differenza sottile, ma importante, perché dice molto della persona che sta parlando e della sua opinione e sensibilità verso il settore. Il settore vinicolo europeo è in difficoltà. Il problema fondamentale che affronta in questo momento è l’aumento della domanda interna, perché il consumo sta tuttora crescendo a livello internazionale.

Il problema va tuttavia risolto, e nel risolverlo occorre tenere conto delle sue molteplici conseguenze, perché il settore europeo fa fronte a crescenti importazioni. Pertanto il problema non è ciò che produciamo, ma il prezzo a cui lo vendiamo. Perché vendiamo a prezzi diversi? Essenzialmente perché i produttori europei non devono rispettare gli stessi requisiti dei produttori di paesi terzi, ma molti di più, e perciò non competono alle stesse condizioni.

Dobbiamo rendere competitivo il settore, non distruggendo 400 000 ettari di vigne, ma controllando, non liberalizzando indiscriminatamente, bensì controllando, promuovendo e salvaguardando la cultura, la tradizione e la qualità delle vigne europee, perché il vino non si fabbrica, è il prodotto di un lavoro paziente e delicato. Pertanto dobbiamo sostenere tale cultura e promuovere tra i consumatori la consapevolezza di quale vino bevono e di quando si tratta di un vino de crianza o di un vino reserva, gran reserva, un vino da tavola, un vino de la tierra, un vino d’annata o come vogliamo chiamarlo. Dobbiamo migliorare e integrare tutte le qualità di vino, controllando le pratiche vinicole, promuovendo un consumo responsabile e soprattutto facendo ricerca, sviluppo e innovazione. Non fabbricando, ma lavorando il vino all’interno di una cultura, una tradizione e una qualità che rappresenta i vini europei, rispettando le nostre tradizioni e soprattutto aumentando la domanda al fine di armonizzare la qualità verso l’alto e mai verso il basso.

Pertanto speriamo che la proposta della Commissione dia almeno prova di leadership e d’immaginazione, garantendo davvero la competitività del settore.

 
  
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  Luis Manuel Capoulas Santos (PSE).(PT) Innanzi tutto vorrei congratularmi con l’onorevole Batzeli per l’ottimo lavoro svolto in circostanze difficili e ringraziare ancora una volta il Commissario Fischer Boel per la sua presenza in Aula.

Tutti i dibattiti politici, le audizioni, gli incontri con i rappresentanti del settore, i sopralluoghi nelle aree vinicole degli Stati membri e le centinaia di emendamenti sono ampia dimostrazione dell’interesse che i deputati nutrono per l’analisi dell’importante questione dell’agricoltura europea.

Vi è consenso sulla necessità di riforma ed è giusto sottolineare che non sono state proposte alternative al modello originario della Commissione. Vi sono tuttavia differenze importanti tra Parlamento e Commissione per quanto riguarda i tempi, l’intensità e le modalità di attuazione delle misure principali. Senza dubbio è necessario sradicare le vigne di scarsa qualità, ma bisogna iniziare da quelle illegali. E’ inoltre necessario che la decisione finale sullo sradicamento spetti agli Stati membri. Senza dubbio bisogna porre fine alle sovvenzioni per la distillazione, ma è indispensabile garantire sostegno alla distillazione di alcol potabile; i vini fortificati, tanto importanti per le esportazioni europee, hanno bisogno di tale sostegno.

Non ha senso promuovere l’autenticità e la tradizione dei vini europei sostenendo nel contempo il libero ingresso di mosto concentrato da paesi terzi. La relazione testimonia la buona fede e l’impegno del Parlamento. Confido che la Commissione accolga le nostre proposte, in modo da attuare riforme soddisfacenti nel settore.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Come ha confermato l’intervento del Commissario Fischer Boel, lo scopo principale della riforma dell’OCM del settore vitivinicolo, da lei auspicata, è il ricorso allo sradicamento delle vigne come mezzo per equilibrare il mercato vinicolo. Questo significa che le regioni meno sviluppate e soprattutto le aziende agricole a conduzione familiare e gli agricoltori a basso reddito sarebbero i più colpiti, con un effetto sociale e ambientale disastroso che aggraverebbe la desertificazione e di conseguenza porterebbe all’abbandono delle aree rurali.

Per vaste aree dei paesi del sud, come il Portogallo, le conseguenze potrebbero essere devastanti, al pari della tragedia degli incendi estivi nei boschi. Pertanto poniamo l’accento sulla protezione delle vigne e della viticoltura, che ha svolto un ruolo centrale nella civiltà europea, e in particolare in quella mediterranea. Vogliamo vedere i nostri agricoltori produrre vino sempre migliore e mantenere la distillazione di bevande alcoliche. Siamo contrari a sminuire la produzione di vino dall’uva per sostituirlo con un vino industriale che deriva dall’importazione di mosto da paesi terzi. Signora Commissario, i nostri vini di alta qualità vanno difesi.

 
  
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  Christa Klaß (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signora Commissario Fischer Boel, onorevoli colleghi, come il nostro Presidente in carica del Consiglio, Angela Merkel, ha detto nel suo discorso pronunciato in quest’Aula il 17 gennaio, “ciò che contraddistingue l’Europa, ciò che ne costituisce l’anima, è il modo in cui trattiamo la nostra diversità” e “l’anima dell’Europa è la tolleranza”.

Nelle ultime settimane e negli ultimi mesi abbiamo intrattenuto molte discussioni circa le proposte di riforma del mercato vinicolo. Nord e sud, le singole regioni vinicole, una vasta gamma di opinioni e interessi sono stati rappresentati. Ciascuno di noi pensa che, se avesse potuto scrivere da sé la relazione Batzeli, l’avrebbe fatta in modo diverso, più specifica, più concisa. Siamo comunque riusciti a moderare i diversi interessi in modo che tutti possano sostenerli.

Si tratta dunque di un compromesso non solo tollerante, ma anche rispettoso della diversità del settore vinicolo europeo, che porta a ulteriore sviluppo – benché con piccoli passi.

Il Commissario Fischer Boel si è data pena di visitare numerose regioni vinicole negli ultimi mesi, e di questo la ringrazio. Ha visto quanto le regioni siano diverse tra loro. In campo vinicolo, soprattutto, abbiamo bisogno di maggior margine per le decisioni a livello nazionale e regionale. Abbiamo inoltre bisogno di bilanci nazionali nell’ambito del primo pilastro, sulla base del quale si possono scegliere, e quindi attuare, misure adeguate da un catalogo comunitario di misure per il settore vinicolo nelle regioni.

Concordiamo sul fatto che non vogliamo desistere, non vogliamo sradicare 400 000 ettari. Vogliamo lottare per le quote di mercato, per i nostri posti di lavoro, il nostro paesaggio culturale, lo stile di vita europeo. Il vino fa parte dell’Europa e dobbiamo conservarne le tradizioni nonché le pratiche enologiche di antica memoria. I nostri concorrenti nel mondo sono pronti a fornire ciò che non produciamo più.

Vi è un elemento che la discussione ha messo in chiaro, ossia che Roma non fu fatta in un giorno: occorre tenacia. Le nostre politiche devono essere attendibili. Nel lungo periodo, tuttavia, le nostre misure vanno adattate in risposta al mercato.

 
  
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  Béatrice Patrie (PSE).(FR) Signora Commissario, onorevoli colleghi, il nostro lavoro non è stato vano. Innanzi tutto vorrei ringraziare l’onorevole Batzeli per la relazione, che apporta modifiche estese e molto positive alle proposte eccessivamente liberiste presentate dalla Commissione l’estate scorsa.

Di fatto dobbiamo inviare un messaggio forte all’intero settore vinicolo, che attraversa una grave crisi. Sappiamo che il calo dei consumi in Europa, insieme all’aumento delle importazioni da paesi terzi, ha avuto come conseguenza l’abbassamento dei prezzi e del reddito dei viticoltori, e che solo una politica di regolamentazione attiva, non una liberalizzazione estrema, ci farà uscire dalla crisi.

Vogliamo promuovere una viticoltura di qualità che rispetti la natura e le tradizioni delle aree vinicole e la diversità delle aziende agricole, soprattutto se a conduzione familiare. Lo sradicamento massiccio e indiscriminato di 400 000 ettari, visto come soluzione strutturale, va chiaramente escluso. I diritti di piantatura vanno preservati, ma nel contempo vanno intensificati i controlli per prevenire gli impianti illeciti. L’assegnazione di nuovi diritti iscritti nel registro vinicolo modificato deve andare soprattutto a beneficio di giovani produttori di vini di qualità.

Le organizzazioni commerciali svolgono un ruolo importante nella competitività del settore e andrebbero rafforzate mediante programmi operativi nazionali. In conclusione, la promozione di un consumo ragionevole di vino insieme a una dinamica politica di esportazione, che comprenda un’etichettatura semplificata, richiederà un’effettiva assegnazione di risorse di bilancio cospicue.

 
  
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  Ioannis Gklavakis (PPE-DE).(EL) Signora Presidente, signora Commissario, siamo sul punto di approvare la relazione sulla comunicazione della Commissione in merito all’organizzazione comune del mercato del settore vitivinicolo, insieme a una serie di emendamenti.

Ecco il messaggio fondamentale che vogliamo trasmettere alla Commissione:

– innanzi tutto, no allo sradicamento incontrollato in quanto può distruggere preziose aree di produzione che offrono pregiati vini di qualità;

– in secondo luogo, andrebbero mantenute alcune misure d’intervento – e qui mi riferisco alla distillazione – volte a equilibrare il mercato e a sostenere indirettamente il reddito dei produttori;

– in terzo luogo, vanno create dotazioni finanziarie nazionali che contengano diverse azioni tra cui gli Stati membri possano scegliere. Tuttavia, affinché tali dotazioni siano efficaci, devono ricevere finanziamenti adeguati;

– in quarto luogo, senza dubbio dovremo evitare di trasferire risorse dal primo al secondo pilastro, in quanto questo essenzialmente indebolirebbe l’OCM.

Dobbiamo rivolgere l’attenzione a soluzioni drastiche, e vorrei menzionarne due:

– in primo luogo, dobbiamo cercare soprattutto di mantenere una produzione vinicola comunitaria di alta qualità. Questo è un punto fermo;

– in secondo luogo, e più seriamente, dobbiamo mirare a una promozione più intensa dei vini comunitari. Le quote di mercato non crescono perché lo desideriamo ardentemente. Solo una politica aggressiva può produrre un aumento dei consumi all’interno e all’esterno dell’Unione europea.

Ovviamente vi sono opinioni divergenti sulle varie questioni della comunicazione, quali per esempio l’arricchimento del vino. Per noi – per me – il vino prodotto con l’aggiunta di zuccheri e acqua non si classifica tra i vini. Il vino viene prodotto dall’uva, non dalla barbabietola da zucchero.

So che verrà decisa l’aggiunta di zucchero. Se così avverrà, allora va dichiarato sull’etichetta. Dobbiamo essere onesti e proteggere sia i consumatori che i produttori.

 
  
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  Bogdan Golik (PSE). (PL) Signora Presidente, innanzi tutto vorrei congratularmi con lei per la sua elezione e per aver presieduto questo dibattito, e ringraziarla a nome dell’Assemblea per la grande pazienza dimostrata permettendoci di superare i limiti di tempo, cosa necessaria a vantaggio di tutti.

Signora Presidente, signora Commissario, innanzi tutto vorrei congratularmi con la relatrice, onorevole Batzeli, che negli ultimi mesi ha duramente lavorato per preparare la relazione sulla riforma del settore vinicolo e ha coordinato con grande sagacia il lavoro della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale su questo documento.

Concordo sulla necessità di una riforma sostanziale dell’organizzazione comune del mercato nel settore vinicolo e di una sistemazione della struttura produttiva vinicola per assicurare la competitività e l’equilibrio del settore. Occorre intervenire quanto prima per incoraggiare l’equilibrio del mercato, perché la mancanza di tale equilibrio brucerà quantità sempre più cospicue di risorse del bilancio comunitario.

Vorrei richiamare la vostra attenzione sull’esigenza di sostenere lo sviluppo delle aree rurali nelle regioni in cui la viticoltura, benché insignificante nell’ambito della Comunità nel suo insieme, è importante per il turismo locale e per la diversificazione dell’agricoltura nelle aree rurali. Tali aree verranno tutte parimenti interessate dalle riforme. Pertanto, per riformare il mercato vinicolo, dobbiamo adottare soluzioni che non pongano restrizioni economiche inadeguate alla viticoltura su scala locale. L’innovazione locale nella viticoltura delle aree rurali dei nuovi Stati membri, inoltre, non è direttamente collegata al mercato vinicolo europeo, e pertanto non necessita di regolamentazione basata su principi di mercato rigorosi. Tali regioni non hanno mai creato costose eccedenze vinicole, e qualunque azione volta a limitare future sovrapproduzioni non deve quindi applicarsi ad aree con un basso livello di produzione vinicola.

 
  
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  Carmen Fraga Estévez (PPE-DE).(ES) Signora Presidente, signora Commissario, l’impossibilità di raggiungere un compromesso prima dell’adozione della relazione ha portato a una serie di errori e contraddizioni che mi auguro vengano risolti con il voto in seduta plenaria.

Tra tali errori, vorrei porre l’accento su quello contenuto nel paragrafo 18, concernente la distillazione dei sottoprodotti, in cui si chiede che l’alcol ottenuto mediante una simile distillazione venga indirizzato, almeno in parte, al mercato dell’alcol potabile.

Questo dimostra la scarsa conoscenza dei diversi tipi di distillazione e degli alcol da essi prodotti, in quanto l’alcol potabile, inteso esclusivamente per la produzione di acquavite, porto e liquori, è un prodotto di qualità, cosa che non si può assolutamente ottenere con l’alcol da distillazione dei sottoprodotti.

Per tutti questi motivi credo si debba votare contro questo paragrafo, al fine di evitare ulteriore confusione in relazione ai tipi di distillazione e agli alcol da loro prodotti.

In secondo luogo, vorrei porre l’accento su una cosa cruciale per qualunque riforma dell’OCM: gli aspetti finanziari. Finora tutte le riforme dell’OCM hanno adottato una distribuzione dei fondi basata su criteri storici. Stranamente, nel caso della riforma del settore vinicolo, l’intenzione è di cambiare a favore di altre formule, che ancora non sono però molto chiare, ma che stanno creando grande incertezza nel settore.

Al fine di conferire maggiore chiarezza alla relazione Batzeli, pertanto, propongo inoltre di votare per gli emendamenti sull’impiego del criterio storico per la distribuzione dei fondi.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE).(HU) Commissario Fischer Boel, mi creda, anche noi vogliamo la riforma: una riforma profonda e radicale, e al riguardo la Commissione e il Parlamento europeo dovrebbero essere alleati. Il punto di disaccordo rispetto al Commissario è che non vogliamo dare altrettanto peso allo sradicamento, in quanto tutte le parti accettano il fatto che i cambiamenti di struttura e la modernizzazione sono almeno altrettanto importanti quanto lo sradicamento.

Vorrei richiamare l’attenzione della signora Commissario Fischer Boel sul grave rischio che nei nuovi Stati membri vi sia uno sradicamento eccessivo da parte dei viticoltori poveri, il che aggraverebbe solo i problemi dei nuovi Stati membri. Per questo motivo tutti i pagamenti vanno inseriti nella dotazione finanziaria nazionale, e vorrei congratularmi con il Commissario al riguardo, perché questo può significare il futuro non solo del settore vinicolo, ma dell’intera PAC: definiamo i limiti e inseriamoli nella dotazione finanziaria nazionale, in accordo con il principio di sussidiarietà.

Si tratta di un’ottima soluzione, ma le nostre basi per determinare le dotazioni finanziarie nazionali sono problematiche, signora Commissario, se è vero che si devono basare al 20 per cento su criteri territoriali e all’80 per cento su criteri storici. Sarebbe una grave discriminazione ai danni dei nuovi Stati membri. Di conseguenza, per i nuovi Stati membri solo una distribuzione della dotazione nazionale su base territoriale sarebbe accettabile, se le informazioni sono corrette – ma mi auguro non lo siano.

Per quanto riguarda il quinto aspetto, quello della distillazione, lei ha ragione: va fermata del tutto. In conclusione, per quanto riguarda lo sviluppo rurale, dobbiamo rendere possibile l’uso di finanziamenti supplementari allo sviluppo rurale per lo sviluppo delle regioni vinicole, oltre a quelli stanziati per il settore vitivinicolo.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signora Commissario, innanzi tutto mi dà grande soddisfazione notare che sono le donne a guidare questo dibattito. Purtroppo la relazione è stata sfortunata fin dall’inizio. E’ vero che un po’ è migliorata. Tuttavia, a mio avviso, è ancora troppo caotica per trasmettere con chiarezza il segnale desiderato alla Commissione e far capire, anche a questa Istituzione, che le cose non vanno male come appare dalla comunicazione. Sosterrò le parti della relazione che continuano a considerare indispensabile un’organizzazione di mercato specifica per il settore vinicolo. A mio parere, tuttavia, non è che una provocazione il fatto che ora la Commissione dedichi un’attenzione superficiale alle proposte di organizzazione a mercato unico per tutti i prodotti agricoli, mentre qui ci scervelliamo da mesi sulla riforma dell’OCM vitivinicolo e ortofrutticolo.

Quanto ci prende davvero sul serio la Commissione? Che cosa occupa i suoi pensieri? Per quanto riguarda l’OCM per il settore vinicolo, occorre che il finanziamento rientri nel primo pilastro. E’ necessario migliorare l’utilizzo dei fondi per mantenere e migliorare il nostro potenziale produttivo, riguadagnare i vecchi mercati e conquistarne di nuovi, nonché promuovere un moderato e sano consumo di vino. Occorre maggiore sussidiarietà e responsabilità per la professione, in modo che i finanziamenti possano essere spesi in modo più selettivo a livello regionale. Tuttavia, quando si tratta di assegnare finanziamenti nazionali, le regioni che hanno compiuto i minori sforzi per produrre e commercializzare vini di qualità non andrebbero ricompensate di nuovo, sulla base di “criteri storici”, per aver speso centinaia di milioni di euro per la distillazione di vino invendibile. E’ inaccettabile. E’ altresì impensabile che alle regioni settentrionali, che hanno commercializzato i propri vini di qualità senza finanziamenti europei, sia vietata la produzione dei propri vini secondo metodi tradizionali. Questo non risolve i problemi strutturali di quelle regioni che, inebriate dai milioni della distillazione, hanno trascurato completamente l’attuazione delle riforme strutturali.

L’Europa, infatti, non ha un’eccedenza strutturale di vino, bensì un’eccedenza che corrisponde esattamente alle quantità piantate illegalmente. Se i viticoltori vogliono rinunciare presto all’attività, devono poterlo fare e gli effetti sociali vanno ammortizzati, ma devono farlo senza arrecare danni ambientali irreparabili, sradicando entro i limiti della produzione di vino di qualità. Ai mercati mondiali dev’essere possibile competere a condizioni concorrenziali eque. I vini europei non vanno prodotti usando acqua europea, o mosti importati da paesi terzi. Miscelare vini europei e vini importati è altresì fuori questione. A cosa pensava la Commissione?

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Margrietus van den Berg (PSE).(NL) Signora Presidente, vorrei tentare un approccio diverso. Sarebbe miope pensare che, in quest’epoca di globalizzazione, la politica europea abbia conseguenze solo sui nostri cittadini. Se l’Europa modifica la politica del settore vinicolo, questo interesserà moltissime persone al di fuori dell’Europa, persone i cui redditi subiranno un calo per via della concorrenza sleale da parte del settore vinicolo europeo. Per questo motivo è necessario integrare le politiche in settori diversi. Le proposte della Commissione di riformare il settore vinicolo rappresentano un passo nella giusta direzione. In qualità di vicepresidente della commissione per lo sviluppo e di socialdemocratico, sono molto deluso del fatto che la relazione della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale abbia trascurato la politica europea di sviluppo e il commercio equo e solidale. Secondo la relazione è necessario tenere il settore vinicolo al di fuori dei negoziati che si svolgono intorno al tavolo del commercio mondiale.

Dopo tutto, stando alla relazione, le difficoltà del settore vinicolo sono causate da importazioni sempre crescenti da paesi terzi. Nel contempo, la Commissione deve prendere misure di ogni genere per proteggere il nostro settore vinicolo. Perché vorremmo riprendere ai paesi in via di sviluppo ciò che offriamo loro con la politica europea di sviluppo? Perché vorremmo chiudere i nostri mercati alla concorrenza leale? Perché non lasciar decidere al cliente quale vino voglia bere, che sia Bordeaux francese, Chardonnay sudafricano o Merlot cileno? La concorrenza leale con altri paesi non esclude un settore vinicolo europeo competitivo, ma una politica protezionistica per il settore esclude tuttavia decine di migliaia di persone il cui pane quotidiano dipende dal commercio equo del vino con l’Europa. Per questo motivo sono lieto di bere un bicchiere di Groot geluck sudafricano dicendo “A una politica europea coerente; la Commissione riceve il mio sostegno. Salute!”

 
  
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  Oldřich Vlasák (PPE-DE).(CS) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, ormai da qualche anno il mercato vinicolo è in difficoltà per via delle eccedenze, che l’attuale politica sul mercato vinicolo comune non è stata in grado di risolvere in modo soddisfacente. Il sostegno alla distillazione vinicola, per esempio, è a mio parere un insensato spreco di risorse limitate. Il mercato vinicolo riformato oggi non incoraggia i produttori di vini da tavola di qualità inferiore ad accostarsi alla produzione di vini di qualità superiore. Per questo motivo è tanto importante riformare il mercato.

Ciò che occorre è un sostanziale incoraggiamento alla competitività del settore vinicolo europeo. In questo contesto, la relazione Batzeli offre molti suggerimenti, e io, per parte mia, ritengo si tratti di un lavoro molto equilibrato.

L’area fondamentale su cui dobbiamo concentrare l’attenzione è la riforma del bilancio. Il sostegno dev’essere proporzionato all’area di terra usata per la coltivazione e al valore della produzione vinicola. Non si deve finanziare lo sradicamento di vigne che violino l’acquis. I pagamenti per l’esportazione di vino da tavola sono del tutto privi di sistematicità e di certo non contribuiscono a promuovere il buon nome del vino europeo.

Onorevoli colleghi, in ultimo è importante capire che se ci preoccupiamo di sostenere la competitività dei prodotti europei non possiamo perseguitare i produttori europei. Le condizioni geografiche nei paesi del nord sono diametralmente opposte a quelle del sud. Addolcire con la barbabietola da zucchero è una tradizione nei paesi del nord quanto acidificare il vino nei paesi del sud. Vietarlo segnerebbe la fine di tante belle famiglie di viticoltori dei nostri paesi, distruggendo le tradizioni e quindi anche le soluzioni ai problemi della produzione rurale. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Françoise Castex (PSE).(FR) Signora Presidente, signora Commissario, la viticoltura europea necessita di una riforma ambiziosa. Come avrete compreso, desideriamo che tale riforma rispetti la tradizione vinicola europea e gli uomini e le donne che lavorano nel settore.

Vorrei tuttavia richiamare la vostra attenzione sull’opinione della commissione per il commercio internazionale, inclusa nella relazione Batzeli. La riforma dell’OCM del settore vinicolo deve infatti tenere conto degli interessi commerciali. L’Europa resta il massimo esportatore mondiale di vino, e pur essendo necessario renderla più competitiva di fronte alla crescente concorrenza dalle vigne del Nuovo Mondo, la vitalità delle esportazioni del settore si basa soprattutto su una qualità e un’autenticità riconosciute in tutto il mondo.

Pertanto abbiamo bisogno di una politica commerciale aggressiva per promuovere la qualità dei vini europei. Sarebbe perciò assurdo e controproducente, per esempio, autorizzare la vinificazione dei mosti importati e la miscela di vini europei con vini provenienti da altre parti del mondo.

La relazione del Parlamento europeo è pertanto fortemente contraria. Analogamente, è necessario assicurare una migliore protezione delle indicazioni geografiche protette (IGP) e delle denominazioni d’origine protette (DOP) nel quadro dei negoziati e degli accordi bilaterali dell’OMC. Vogliamo difendere la produzione vinicola legata ad aree locali dai vini perlopiù non regolamentati.

Mi auguro, signora Commissario, che la Commissione europea rispetti le opinioni che appaiono nella relazione dell’onorevole Batzeli, cui questa sera rendo omaggio e con cui mi congratulo.

 
  
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  Armando Veneto (PPE-DE). – Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, sappiamo che la riforma che si tenta di attuare deve dare una risposta adeguata alla sfida della competitività del mercato vitivinicolo europeo nel contesto mondiale. Siamo d’accordo nell’affermare che l’Europa può vincere la sfida solo a condizione di conservare e migliorare la qualità del vino, esaltandone la specificità. Ma non tutte le risposte che abbiamo trovato sono pienamente coerenti con l’obiettivo finale. Sicché possiamo dire che il testo approvato in commissione agricoltura è il migliore possibile e tuttavia richiede ulteriori aggiornamenti.

E’ giusto pertanto procedere a una riforma prudente, per tappe, accuratamente gestita, basata sul principio di sussidiarietà al fine di rispettare le specificità esistenti a livello nazionale e regionale. Per questo tutti i finanziamenti agricoli vanno mantenuti sotto il primo pilastro: occorre attuare campagne di formazione per un consumo responsabile; conservare, almeno per ora, le misure di distillazione quale rete di sicurezza per i produttori; autorizzare gli Stati membri a limitare l’estirpazione dei vitigni su base di rigidi criteri ambientali e sociali, facendo rotta preferenziale verso la tutela delle piccole produzioni di qualità.

Quanto al mantenimento delle norme in vigore sulle pratiche ammesse per la vinificazione, zuccheraggi e mosti, osservo che la strenua difesa di tali pratiche da parte di alcune delegazioni pone il problema degli interessi nazionali rispetto a quelli dell’Unione e richiama l’esigenza di potenziare l’idea dell’Europa unita, evitando distorsioni di mercato che l’eccesso di nazionalismo comporta. Se la scommessa è quella di migliorare la competitività dei vini europei, la proposta di sostenere la pratica dell’aggiunta di saccarosio e quella di utilizzare i mosti va in controtendenza, perché l’uso di tali correttivi abbassa il livello di qualità e riduce le differenze, che sono invece l’espressione migliore della coltura del vino.

Forse avremmo potuto compiere uno sforzo maggiore per questo aspetto, ponendo il problema degli interessi comunitari e per chiedere, come io faccio, che tutti i paesi dell’Unione – nessuno escluso – valutino quanto sia inopportuno e politicamente scorretto anteporre gli interessi nazionali a quelli dell’Europa e come sia indispensabile trovare un giusto equilibrio tra tali esigenze.

 
  
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  Christine De Veyrac (PPE-DE).(FR) Signora Presidente, innanzi tutto vorrei congratularmi con l’onorevole Batzeli, la relatrice, che, come abbiamo udito, esprime un’opinione ampiamente condivisa in quest’Aula.

Vorrei dire ancora una volta che le proposte della Commissione non sono accettabili nella loro forma attuale. Lungi da noi negare l’esistenza di un problema: il consumo europeo è in calo, le esportazioni ristagnano, ma nel contempo le importazioni di vino aumentano. La risposta della Commissione è la proposta di un massiccio piano di sradicamento davvero inutile per i nostri viticoltori.

Ci dicono che vi è sovrapproduzione; va bene, ma rifiutare di intervenire sulle importazioni equivale a usare la produzione europea come “valvola di sicurezza” del mercato. E’ inaccettabile. Possiamo accettare lo sradicamento delle vigne solo se questo si basa su un approccio volontario, il che comporta un cospicuo indennizzo finanziario, e solo se si introduce il concetto di sradicamento temporaneo.

In secondo luogo, nemmeno la riduzione del bilancio per l’OCM del settore vinicolo è accettabile. La Commissione menziona la possibilità di trasferire parte del bilancio allo sviluppo rurale. Tuttavia, senza voler chiamare in causa il principio vero e proprio di un’OCM specifica per il settore vinicolo, trovo difficile capire come il già basso livello di crediti possa essere ridotto, soprattutto dopo aver da poco accolto due nuovi Stati, anch’essi produttori. Come hanno affermato molti deputati, siamo dunque contrari a un trasferimento, un trasferimento qualsiasi, di crediti dal primo al secondo pilastro della PAC.

Il mio terzo punto, con cui mi avvio a concludere, è che, da una parte, crediamo davvero che la viticoltura europea abbia un futuro. Non pensiamo che sia finito il tempo dei viticoltori. Il futuro non sta nella concentrazione di terre, come implica il massiccio piano di sradicamento. Dobbiamo costruire tale futuro rendendo più competitivi i nostri vini, soprattutto all’estero. Per questo crediamo che la prima priorità per una riforma dell’OCM del settore agricolo sia rendere le nostre vigne più interessanti mediante un grande progetto di promozione, e commercializzarle in tutto il mondo.

Mi ha fatto piacere sentirle dire altrettanto poc’anzi, signora Commissario; adesso passiamo ai fatti.

 
  
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  Giorgos Dimitrakopoulos (PPE-DE).(EL) Signora Presidente, vorrei congratularmi vivamente con la mia amica, onorevole Batzeli, per l’ottimo lavoro svolto, ed esprimere la mia soddisfazione, perché questa relazione è stata redatta da una collega proveniente dalla Grecia, paese che ha una storia vitivinicola vecchia di secoli.

Il vino, in quanto prodotto agricolo, è sempre stato per noi al centro della vita, dei costumi, delle tradizioni, della storia, della gioia e del dolore. In altre parole, è parte integrante della nostra civiltà.

E’ pertanto molto positivo che questa relazione rispecchi in larga misura le opinioni del settore vinicolo greco. Nel contempo, la relazione Batzeli costituisce una chiara presa di posizione da parte del Parlamento europeo alla luce della nuova OCM del settore vinicolo progettata dalla Commissione, e corregge con una salutare dose di prudenza e logica l’iniziale approccio della Commissione che peccava di frettoloso schematismo.

Chiedo di votare la relazione così com’è.

 
  
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  Agnes Schierhuber (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, vorrei unirmi ai ringraziamenti rivolti alla relatrice e a tutti i relatori ombra per il loro lavoro. Questa è la terza riforma del settore vinicolo in 12 anni, e sono lieta che ora una comunicazione della Commissione abbia permesso di conciliare le svariate posizioni e i diversi obiettivi. La ragione per cui le nostre opinioni all’inizio divergevano tanto è che il vino è un argomento dalla carica emotiva molto forte. Dico sempre che il vino è uno dei più eleganti prodotti agricoli. Tale divergenza viene messa in luce anche dalla presentazione di quasi 600 emendamenti. A mio parere, buona parte della relazione si può vedere in modo molto positivo. Essa contiene molti compromessi. Vorrei porre l’accento soprattutto sul fatto che delle pratiche enologiche tradizionali si è davvero tenuto conto. Va detto chiaramente, tuttavia, che non esiste alcuna possibilità di raddoppiare l’indennizzo o il sostegno alle regioni, in quanto non lo potremmo giustificare agli occhi del contribuente europeo.

Resta un problema significativo per l’Austria. Si deve ancora prendere adeguatamente in considerazione la questione dell’etichettatura dei vini da tavola. Ad ogni modo, vogliamo vedere i vini da tavola etichettati in modo diverso rispetto ai vini di qualità. Dev’esserci una chiara distinzione a favore dei consumatori.

In conclusione, chiedo al Commissario Fischer Boel di leggere con attenzione questa relazione d’iniziativa. Sono convinta che lei e l’intero suo staff lo faranno. Comprende alcune proposte valide che, auspicabilmente, la Commissione integrerà nella sua proposta sulla nuova OCM del settore vitivinicolo che dovrà presentarci in estate.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione.(EN) Signora Presidente, mi limiterò a sfiorare alcune delle principali questioni che molti di voi hanno sollevato nel corso di questa importantissima discussione.

Lo sradicamento è stato menzionato pressoché da tutti. Non sono molto sicura che abbiate ascoltato con attenzione ciò che ho detto nell’introduzione, quando ho ricordato la necessità di assicurare che lo sradicamento rispetti alcuni importanti e legittimi criteri sociali e ambientali. Ascoltate attentamente, e io prenderò in considerazione la cosa quando elaboreremo le proposte legislative.

L’onorevole Graefe zu Baringdorf ha detto con estrema chiarezza che lo sradicamento non va imposto ai viticoltori. Esatto. Non va imposto, perché la decisione di sradicamento spetta ai viticoltori e solo a loro. La decisione non spetta agli Stati membri o alla Commissione, ma esclusivamente ai viticoltori. Non dobbiamo però costringere quei viticoltori, che oggi devono lottare per sopravvivere nel loro settore, a continuare un’attività con cui non riescono a guadagnare di anno in anno. Perciò diamo loro la possibilità di lasciare il settore in modo dignitoso.

Per quanto concerne la distillazione, devo ancora incontrare qualcuno disposto a sostenere, in un’occasione non ufficiale, che la distillazione di crisi possa rivelarsi una scelta razionale. Al contrario, penso che essa offra ai cittadini la scusa di dipingere la PAC nel modo più negativo, facendo riferimento ai metodi e agli strumenti superati che usavamo in epoche precedenti. Non possiamo sostenere l’opportunità di spendere mezzo miliardo di euro l’anno per sbarazzarci di vino che nessuno vuol bere. Non funziona e mi auguro di incontrare il vostro sostegno al riguardo.

Abbiamo pertanto bisogno di promozione. E’ un fatto che il Parlamento europeo ha ribadito più e più volte, e sono pronta a compiere uno sforzo al riguardo. La promozione a livello europeo, tuttavia, non dev’essere un ammortizzatore per il settore vinicolo. Anche il settore stesso deve essere molto più aggressivo.

In Irlanda abbiamo visto crescere il consumo di vino. Oggi il 70 per cento del vino consumato in Irlanda viene importato dai paesi extracomunitari. Pertanto non ho proprio capito il motivo per cui, nel corso dei recenti campionati mondiali di aratura svoltisi in Irlanda, che hanno attirato 250 000 visitatori, fossero presenti solo due produttori di vino, nessuno dei quali europeo. Posso solo chiedermi perché.

Per quanto riguarda il mosto importato per la vinificazione, ho detto chiaramente fin dal principio che dobbiamo mettere tutto sul tavolo di discussione e ho preso nota delle reazioni del Parlamento europeo, di diversi Stati membri e delle parti interessate.

L’onorevole Christa Klaß ha affermato che vi sono enormi differenze all’interno delle diverse regioni. Ho potuto constatarlo personalmente, e pertanto penso che si debba porre l’accento sull’importanza delle dotazioni nazionali nella comunicazione della Commissione. Penso che gli Stati membri e le regioni abbiano così l’occasione di assegnare i diversi strumenti e il denaro nell’ambito di una dotazione nazionale adeguata alle diverse regioni. Lo reputo essenziale.

Molti di voi hanno sottolineato che dobbiamo fondare il futuro del settore vinicolo sulla qualità, qualità e poi ancora qualità, cosa che sostengo appieno.

Sono ansiosa di discutere in futuro della riforma del settore vinicolo che presenterò al Consiglio – spero subito prima della pausa estiva – dopodiché sarò lieta di venire in quest’Aula a presentarlo, nello stesso momento, quale base delle nostre discussioni future.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì, alle 12.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Il settore vinicolo comunitario produce alcuni dei migliori vini al mondo e ha un enorme potenziale che va sviluppato ulteriormente in modo sostenibile. La crescita costante del mercato in Cina, che ora inizia a produrre attivamente vino, insieme alla crescente produzione in altri paesi quali Australia, Nuova Zelanda, USA, Canada e Sudafrica, ha fatto sì che i vini del Nuovo Mondo guadagnassero una notevole quota di mercato a scapito dei vini europei.

Concordo con la Commissione sul fatto che gli squilibri tra domanda e offerta nel settore vinicolo, nonché le crescenti sfide poste ai mercati vinicoli europei e internazionale, implicano un’esigenza di riforma anche in questo settore. Tuttavia sono in pieno disaccordo con alcune soluzioni proposte nella comunicazione della Commissione del 22 giugno 2006. I piani di massiccio e indiscriminato sradicamento dei vigneti pongono una minaccia particolare all’ambiente, e a mio parere rappresentano un attacco ingiustificato alla tradizione vinicola europea. La viticoltura, che si fonda principalmente sulle risorse naturali, ha un effetto positivo sulla protezione del suolo dall’erosione. Come forza motrice dello sviluppo rurale, la viticoltura offre inoltre la promessa dell’auspicata prosperità per molte regioni europee.

Con la loro tradizione vinicola, le regioni della Slovacchia si sono concentrate sulla promozione dell’enoturismo, sfruttando il potenziale dei Carpazi minori, della Kamenínska, Hontianská e delle vie del vino Tokaj, e ora si aspettano che la riforma dell’OCM nel settore vinicolo assicuri la crescita dinamica e la competitività del settore vitivinicolo europeo mediante l’assegnazione di risorse finanziarie adeguate e, soprattutto, mediante la promozione dell’innovazione.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (NI), per iscritto. – Concordo con la Commissione sull’importanza di semplificare e armonizzare le misure legislative e di rafforzare la competitività del settore vitivinicolo europeo garantendo allo stesso tempo la sostenibilità ambientale. Tuttavia, se da una parte si rende necessario ridurre gradualmente il sostegno agli agricoltori europei e il pesante bilancio agricolo a favore di altre politiche, dall’altra parte occorre che l’UE tuteli i settori portanti della sua economia. Il settore vitivinicolo è senz’altro tra questi, con una produzione che nel 2005 ha fruttato quasi 2 milioni di euro, e che nella sola Italia interessa più di 2.500.000 di aziende, e non può essere interamente abbandonato alle regole del libero mercato: la libera concorrenza potrebbe avere un impatto deleterio sulla qualità e sulla diversità della nostra produzione, la quale si basa per la grande maggioranza sull’attività di piccole azione incapaci di competere a livello internazionale. Trovo inoltre increscioso il tentativo, purtroppo portato a termine, dei paesi del nord Europa di alterare le condizioni di concorrenza all’interno della UE proponendo aiuti all’utilizzo del saccarosio per aumentare la gradazione alcolica, senza mantenere quelli alla produzione del mosto, pratica corrente nel nostro e in altri paesi mediterranei, e che garantisce la qualità maggiore della nostra produzione.

 

12. Modulazione facoltativa dei pagamenti diretti nell’ambito della PAC (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione presentata dall’on. Lutz Goepel, a nome della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, sulla proposta di regolamento del Consiglio recante norme per la modulazione volontaria dei pagamenti diretti, di cui al regolamento (CE) n. 1782/2003 che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, e recante modifica del regolamento (CE) n. 1290/2005 (COM(2006)0241 – C6-0235/2006 – 2006/0083(CNS)) (A6-0009/2007)

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, per la seconda volta abbiamo l’opportunità di discutere la proposta sulla modulazione volontaria, e desidero nuovamente ringraziare l’onorevole Goepel per la sua relazione.

Non mi sorprende che abbiate riconfermato i pareri espressi lo scorso autunno e invitato di nuovo la Commissione a ritirare la proposta avanzata. Conosco e comprendo le preoccupazioni del Parlamento sulla modulazione volontaria. La mia posizione è a voi nota e non è necessario ripetere le vostre e le mie argomentazioni, ma dobbiamo affrontare la realtà. Ricorrendo a soluzioni diverse dalla modulazione volontaria, avrei preferito garantire risorse adeguate nel quadro della politica di sviluppo rurale, ma il Vertice europeo ha deciso altrimenti.

Una cosa mi è perfettamente chiara: le preoccupazioni del Parlamento non rimarranno inascoltate. Benché il Consiglio abbia confermato di volere mantenere la proposta, si fa il possibile per rispondere alle vostre preoccupazioni. Si è temuto che la modulazione volontaria potesse compromettere la politica agricola comune ma, per come stanno le cose, tutti gli indicatori rivelano che la modulazione volontaria sarà usata solo in pochissimi Stati membri per promuovere i programmi di sviluppo rurale.

Come ricorderete, abbiamo proposto che i soldi vengano spesi seguendo quasi tutte le norme che regolano lo sviluppo rurale. Credo, inoltre, che gli Stati membri intenzionati a ricorrere alla modulazione volontaria debbano effettuare una valutazione d’impatto prima di applicarla mentre, da parte nostra, dobbiamo garantire un attento monitoraggio della sua applicazione, soprattutto in riferimento alla situazione economica degli agricoltori. Ritengo, peraltro, che questo strumento debba essere di natura transitoria, e non permanente. Sono infatti convinta che, in futuro, a un eventuale aumento dei tassi di modulazione obbligatoria debba corrispondere un’equivalente riduzione dei tassi di modulazione volontaria. Gli sforzi tesi a inserire queste disposizioni nella proposta sarebbero pienamente appoggiati dalla Commissione.

Come sapete, è mia intenzione esaminare la modulazione obbligatoria e volontaria quando terremo un dibattito sul controllo dello stato di salute della politica agricola comune. Nel complesso, la Commissione è disposta a valutare possibili suggerimenti che portino a un compromesso accettabile per il Parlamento, il Consiglio e la Commissione.

Vogliamo essere costruttivi, ma anche voi dovrete esserlo.

Vorrei concludere sollevando un punto per me fonte di grande preoccupazione. Stiamo assistendo alla nascita di una nuova generazione di programmi di sviluppo rurale. Gli Stati membri hanno già investito nell’elaborazione di validi piani e programmi strategici nazionali per raggiungere gli obiettivi che il Parlamento si prefigge, ovverosia agricoltura e silvicoltura competitive, prestazioni ambientali, creazione di posti di lavoro e un vivace tessuto sociale nelle zone rurali. Siamo in una fase cruciale per consentire il rapido avvio di questi programmi.

Tuttavia, incombe la minaccia della riserva del 20 per cento adottata dal Parlamento europeo per gli impegni di spesa e i pagamenti destinati allo sviluppo rurale. Sono molto preoccupata per questo e per il grave problema che crea al lancio della nuova politica di sviluppo rurale. Il Commissario Grybauskaitė ed io abbiamo espresso nel dettaglio i nostri timori in una lettera congiunta ai presidenti della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e della commissione per i bilanci. La riserva impedisce una giusta applicazione della politica di sviluppo rurale. Visto che il Parlamento sostiene fermamente questa politica, spero capirete il problema causato dalla riserva. Essa crea ulteriori incertezze e difficoltà agli Stati membri nell’elaborazione dei programmi, alla luce dei tagli alla riserva nel bilancio destinato allo sviluppo rurale decisi al Vertice di dicembre 2005. L’approvazione dei programmi di sviluppo rurale subirà ritardi, e la Commissione può iniziare ad approvare i programmi solo se gli stanziamenti necessari per tutti i programmi dell’Unione sono previsti in bilancio. Di conseguenza, se la Commissione non potrà impegnare gli importi al 100 per cento, gli Stati membri dovranno ritirare i propri programmi o proposte e presentare proposte riviste che tengano conto della riduzione del 20 per cento. Se la riserva verrà abolita solo in un secondo momento, tutti i programmi di sviluppo rurale dovranno essere adattati di conseguenza, e potete capire che ciò rischia di ostacolare l’avvio dei programmi nella delicata fase iniziale.

Vogliamo trovare una soluzione accettabile per la modulazione volontaria ma, nel frattempo, non teniamo in ostaggio i nostri programmi rurali. Conto su di voi per risolvere questi problemi.

 
  
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  Lutz Goepel (PPE-DE), relatore. – (DE) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, non so se sia stata una buona idea citare la riserva del 20 per cento in questo momento, nell’ultimo capitolo di maggiore rilievo, mentre si discute la modulazione volontaria, vero oggetto di questo dibattito. Ovviamente possiamo discutere tutti gli altri aspetti, ma forse non adesso.

Il Commissario ha perfettamente ragione nell’affermare che non è la prima volta che discutiamo i pro e i contro della modulazione volontaria in seno a questa Assemblea.

Dalla nostra ultima discussione non vi sono state molte modifiche a livello di proposta legislativa. E’ vero: Consiglio e Commissione ci hanno fatto chiaramente capire che sono disposti a rispondere alle nostre preoccupazioni, ma finché non avremo un riscontro concreto dovremo ribadire, con la consueta chiarezza, che ci opponiamo alla proposta nella sua forma attuale.

La totale indifferenza per i poteri codecisionali del Parlamento in materia di politica e di bilancio nell’accordo finale in Consiglio è l’ulteriore prova del fatto che le altre Istituzioni non solo non ci tengono in considerazione nelle questioni di principio importanti, ma non sono minimamente interessate a noi. Questo deve cambiare, con o senza Costituzione.

Dobbiamo quindi rimanere uniti nell’opporci a questa proposta fino a quando Consiglio e Commissione non ci presenteranno un’offerta adeguata. E’ l’unico modo per ottenere risultati e credo che, così facendo, contribuiremo a rafforzare il ruolo del Parlamento europeo e, soprattutto, a sostenere gli agricoltori europei.

A questo punto desidero nuovamente ringraziare tutti i membri della mia commissione per essersi uniti a me in questo cammino. Vorrei inoltre esprimere i più sinceri ringraziamenti ai membri della commissione per i bilanci e ai rappresentanti di tutti i gruppi politici per avere appoggiato la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale nel suo difficile compito. A nome di molti altri, ringrazio in particolare gli onorevoli Mulder e Bösch che hanno fornito un contributo fondamentale nell’elaborare la posizione dell’Assemblea.

Faccio appello ai colleghi affinché, domani, si uniscano nel votare contro la proposta della Commissione. Uniamoci a Consiglio e Commissione per trovare una soluzione migliore. Ricordo comunque all’Assemblea che respingere la proposta è essenziale per spingere soprattutto il Consiglio, ma anche la Commissione, ad agire. Confido quindi nel vostro appoggio incondizionato.

Rivolgo ora un’osservazione di natura procedurale al Presidente. La seconda relazione sulla modulazione volontaria conferma la prima relazione, che ha comunque respinto la proposta della Commissione, e la questione è stata quindi rimessa alla commissione a norma dell’articolo 52, paragrafo 3, del Regolamento. Se domani bocceremo ancora la proposta della Commissione ed essa non ritirerà la propria proposta – cosa che credo non farà – saremo chiamati anche a votare sul progetto di risoluzione legislativa.

 
  
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  Agnes Schierhuber, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, desidero esprimere i più sinceri ringraziamenti al relatore e ai relatori ombra. Grazie a loro, ora tutte le Istituzioni tengono in maggior considerazione il Parlamento europeo e i suoi deputati. Sono convinta che, insieme, riusciremo a trovare una soluzione. In effetti, il Commissario ha già dato moltissimi suggerimenti. Tuttavia, anche il Consiglio alla fine deve cambiare idea: credo che questo, effettivamente, sarà possibile nel quadro di costruttivi negoziati.

Come nella prima votazione, vale il principio che non si deve indebolire la politica agricola comune – l’unica politica dell’Unione europea veramente sviluppatasi in ambito comunitario – né rinazionalizzarla.

L’esistenza dell’Europa si basa sulla solidarietà e sul rispetto, compreso il rispetto di tutti gli individui. Negli ultimi quindici anni, l’agricoltura europea è stata oggetto di riforme di ampia portata che non hanno avuto uguali in alcun’altra politica europea. Come il Commissario ha già ricordato stiamo esaminando il “controllo sullo stato di salute”, il cui dibattito inizierà il prossimo anno, così da essere pronti per il dopo 2013. E’ di fondamentale importanza che in Assemblea si continui ad adottare una linea coerente in tutti i gruppi e le commissioni, perché questo è l’unico modo per essere sicuri che il Parlamento e i suoi rappresentanti non continuino a essere ignorati.

Per tale motivo chiedo a tutti gli onorevoli colleghi, domani, di seguire la raccomandazione del nostro relatore e dei relatori ombra, come hanno fatto nella prima votazione.

 
  
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  Bernadette Bourzai, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signora Presidente, lo scorso novembre abbiamo respinto a grandissima maggioranza la proposta di regolamento sulla modulazione volontaria.

Poiché la Commissione europea non ne ha modificato il testo, persistono tutti i motivi per bocciare nuovamente il documento. Tutti li conoscono, quindi non li ripeterò: i tagli effettuati al secondo pilastro, il mancato cofinanziamento, il fatto che il cofinanziamento introduce distorsioni nella concorrenza tra Stati e lo squilibrio che ciò crea nella struttura della politica agricola comune che, ricordo, è l’unica politica comune europea che, di conseguenza, rischia di essere rinazionalizzata.

Tuttavia, le esigenze della politica di sviluppo rurale in termini di finanziamento sono reali, e temo veramente un crescente declino demografico nelle nostre zone rurali se non faremo niente per modernizzare le strutture agricole, rinnovare le generazioni degli agricoltori, migliorare la qualità della vita e dell’ambiente e incoraggiare la diversificazione economica delle campagne.

Pertanto le chiedo, signora Commissario, di proporre al posto della modulazione volontaria un aumento dei tassi della modulazione obbligatoria, che sia identica in tutti gli Stati membri. Desidero inoltre sottolineare che, attualmente, la modulazione obbligatoria si applica nel caso in cui un’azienda riceva più di 5 000 euro di aiuti all’anno, ovverosia alla grande maggioranza delle imprese agricole.

Un vero e proprio strumento di ripartizione degli aiuti agricoli dovrebbe tenere conto di altri criteri quali le dimensioni dell’impresa, il suo grado di dipendenza dagli aiuti, la manodopera utilizzata, il margine lordo eccetera. Oltre a questo, si potrebbe prevedere un tetto massimo degli aiuti diretti per una migliore distribuzione.

Purtroppo, anche se il Parlamento europeo respingesse in massa questa proposta per la seconda volta, una proposta che normalmente sarebbe un importante atto legislativo, si tratta solo di un parere, e concordo pienamente con l’onorevole Goepel. Credo quindi che dovremmo continuare a esercitare pressioni sulla Commissione e sul Consiglio e mantenere, per il momento, la riserva di bilancio del 20 per cento per i fondi di sviluppo rurale per il 2007.

 
  
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  Kyösti Virrankoski, a nome del gruppo ALDE. – (FI) Signora Presidente, signora Commissario, ci troviamo dinanzi alla seconda relazione dell’onorevole Goepel sulla modulazione volontaria dei pagamenti diretti all’agricoltura. Desidero ringraziare il relatore per l’eccellente lavoro svolto, sia per avere difeso l’agricoltura sia per avere protetto strenuamente le competenze del Parlamento europeo.

La proposta della Commissione si basa sulla decisione raggiunta dal Consiglio europeo quando è pervenuto a un compromesso sui quadri finanziari pluriennali. In base al compromesso, uno Stato membro può ridurre i pagamenti diretti per l’agricoltura fino al 20 per cento e usare i fondi per lo sviluppo rurale a suo piacimento. La modulazione volontaria sarebbe quindi un’ulteriore tassa che lo Stato membro potrebbe imporre agli agricoltori. Oltre a ciò, ovviamente, sugli agricoltori graverebbero le imposte stabilite a livello legislativo nello Stato membro interessato. Il sistema ridurrebbe le loro entrate senza prevedere alcuna forma di compensazione. Uno Stato membro potrebbe usare l’importo modulato per lo sviluppo rurale invece del proprio contributo, così la modulazione non aumenterebbe neppure i fondi disponibili in tal senso.

La modulazione volontaria sconvolgerebbe il delicato equilibrio creatosi tra i diversi Stati membri dell’Unione europea e le regioni: creerebbe squilibri tra gli agricoltori, e distorsioni nel mercato comune. D’altro canto, la modulazione volontaria comporterebbe un trasferimento dei fondi nel bilancio dell’Unione europea. In particolare, vi sarebbero alcune modifiche al rapporto tra spese obbligatorie e non obbligatorie e ai relativi importi. Il Parlamento europeo, inoltre, non avrebbe alcuna voce in capitolo.

La classificazione delle spese e gli importi accantonati a tal fine sono definiti con esattezza in un accordo interistituzionale; il cambiamento, quindi, sarebbe contrario all’accordo e ne comporterebbe la modifica. E’ impensabile che il Consiglio intenda venire meno a un accordo interistituzionale un mese dopo la sua entrata in vigore.

Scopo della politica agricola comune è garantire condizioni stabili, chiare ed eque agli agricoltori nell’esercizio della loro professione. La modulazione volontaria sarebbe in netto contrasto con questi principi. Il diritto all’esistenza dell’Unione europea, la sua stessa legittimità si fonda su politiche eque ed equilibrate. La modulazione volontaria non risponde a questi criteri.

I fondi dell’Unione europea devono essere utilizzati per i motivi per cui erano stati stanziati in bilancio. Se gli Stati membri inizieranno a sfruttare i fondi dell’UE per rimpolpare i propri bilanci, l’intera politica di bilancio comunitaria ne risulterà compromessa. La risposta è nelle mani del Consiglio e della Commissione, compresa la riserva del 20 per cento per i fondi di sviluppo rurale. Se Commissione e Consiglio avessero negoziato con il Parlamento, avremmo avuto la risposta molto tempo fa.

 
  
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  Andrzej Tomasz Zapałowski, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signora Presidente, per molti membri della commissione per l’agricoltura la discussione odierna sulla modulazione volontaria, ovverosia sulla limitazione dei pagamenti diretti, è l’occasione per pronunciare un clamoroso NO sui piani della Commissione europea.

Diciamo NO ai tentativi di discriminare gli agricoltori e addebitare loro il costo del programma di sviluppo rurale, per il quale si dovrebbero reperire risorse adeguate nel bilancio dell’Unione europea.

In questo dibattito si è parlato di eventuali discriminazioni nei confronti degli agricoltori, ipotesi che costituirebbe una violazione dei Trattati, della rinazionalizzazione della politica agricola comune e della distorsione della concorrenza. Vi ricordo che in molti nuovi Stati membri gli agricoltori sono stati oggetto di discriminazione durante il periodo di adesione, limitando la libera concorrenza nell’agricoltura. Per molti anni i nuovi Stati membri hanno ricevuto meno sovvenzioni che, probabilmente, si allineeranno a quelle ricevute dai vecchi Stati membri solo quando verranno applicati i tagli generali alle spese della PAC. La decisione di escludere dalla modulazione i beneficiari che ricevono meno di 5 000 euro è di difficile comprensione. Questi pagamenti sono rivolti alle piccole imprese. Se alla fine si introdurranno delle limitazioni ai pagamenti, il tetto massimo dovrebbe essere alzato a 50 000 euro. Le imprese più grandi possono più facilmente far fronte alla perdita di sovvenzioni.

 
  
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  Friedrich-Wilhelm Graefe zu Baringdorf, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signora Presidente, signora Commissario, il Parlamento ha presentato molte buone proposte sulla programmazione finanziaria a medio termine, ma il Consiglio non le ha adottate. Il Consiglio ha ridotto i fondi per lo sviluppo rurale, contrariamente alle raccomandazioni di Commissione e Parlamento – eravamo d’accordo su questo punto – di 20 miliardi di euro. Ora non dobbiamo sentirci responsabili per l’assurda condotta del Consiglio. Se queste proposte fossero state avanzate dal Parlamento, saremmo stati lo zimbello di tutti.

Allora dicevamo di volere considerare il cofinanziamento come uno strumento per reperire fondi in caso di mancata disponibilità di risorse. Vogliamo parità di trattamento tra primo e secondo pilastro per i pagamenti degli Stati membri. Così non è stato. La situazione attuale è che in Germania, ad esempio, i fondi del secondo pilastro sono ridotti del 40 per cento e, ovviamente, dobbiamo chiedere al governo tedesco di applicare una modulazione volontaria del 20 per cento a titolo compensativo. Non possiamo tuttavia accettare questi controsensi a livello europeo, perché esistono proposte migliori.

Quando la Commissione afferma – come ha detto anche il Consiglio – che, con questa inclusione nella riserva, teniamo in ostaggio lo sviluppo e le zone rurali, si sbaglia. Siamo noi quelli che difendono lo sviluppo dell’economia rurale e mettono un freno alle assurdità del Consiglio. Se il Consiglio non presenterà proposte migliori o non adotterà proposte migliori di quelle della Commissione, dovremo avvalerci di altre misure in cui il Parlamento ha potere codecisionale che, altrimenti, non avremmo. In questo caso il buonsenso è dalla parte del Parlamento, non del Consiglio. Chiedo alla signora Commissario di prendere le nostre parti, come noi abbiamo preso le sue, e ricordo al Consiglio che ha l’obbligo di pensare e agire in maniera ragionevole.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Signora Presidente, vorrei affrontare l’argomento da un punto di vista leggermente diverso. Da quando i Paesi Bassi hanno bocciato la Costituzione, nel mio paese si è scatenato un dibattito sull’inutile ingerenza dell’Europa in questioni che gli Stati membri sono assolutamente in grado di risolvere da soli. Quasi tutti i partiti olandesi ritengono che gli Stati membri debbano godere di maggiore libertà in settori che, non necessariamente, devono essere regolamentati dall’Europa. La Commissione, alla fine, ha presentato una proposta. Pur non essendo perfetta, è un buon punto di partenza poiché garantisce agli Stati membri maggiore libertà di disporre dei propri fondi agricoli, senza compromettere il reddito dei piccoli agricoltori. Con mia sorpresa, l’ultima volta quasi tutti i partiti olandesi hanno votato contro questa proposta. Esorto tutti i colleghi eurodeputati a votare, questa volta, a favore, in modo da far seguire alle parole i fatti.

 
  
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  Димитър Стоянов , от името на групата ITS. – Аз мисля, че Европейският съюз е съюз на суверенни държави, които са се събрали, за да си сътрудничат взаимно, а не да налагат една на друга какво да правят с плодовете на това сътрудничество.

Въпреки това, искам да кажа, че резервите на докладчика и на Парламента не са без основание, защото по наши данни 95% от земеделските производители в България нямат никаква представа как да кандидатстват за финансиране от Европейския съюз. Затова разрешаването на една доброволна модулация ще доведе до това, че тези 20% ще бъдат изцяло на разположение на Министерството на земеделието в България. А Министерството на земеделието от шест години вече е в лапите на турската етническа партия „Движение за права и свободи“, чийто лидер не се посрами да каже съвсем открито, че около неговата партия има обръч от фирми. И затова не храня абсолютно никакво съмнение, че именно този кръг ще се облагодетелства от доброволната модулация, която сега се предлага, а впоследствие той ще се отблагодари на своите благодетели чрез вноска в черната партийна каса.

Затова искам да кажа, че аз не мога да подкрепя този доклад, защото той орязва националните правомощия, но в същото време смятам, че трябва да има много по-големи контролни механизми относно общата политика на Съюза и, че вместо до развитие, липсата на такива механизми ще доведе до отчаяние, по-голяма корупция и социално разочарование.

 
  
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  Jim Allister (NI). – (EN) Signora Presidente, continuo a oppormi a questo regolamento per cinque motivi che risultano essere importanti per il mio elettorato. Innanzi tutto la modulazione volontaria, per sua stessa natura, non è altro che un furto perpetrato dai governi nazionali ai danni delle risorse degli agricoltori. Non ha niente di volontario.

In secondo luogo, essa accentua le disuguaglianze in tutta Europa e crea distorsioni di mercato, ove solo il Regno Unito – sembra – si impegna a derubare i propri agricoltori tramite la modulazione volontaria. La modulazione obbligatoria non va assolutamente bene, ma almeno è equamente distribuita.

In terzo luogo, a differenza del precedente regime, questa proposta non obbliga gli Stati membri a stanziare risorse pubbliche: di conseguenza, nel mio collegio elettorale, il governo britannico dall’orientamento antiagricolo non erogherà questi finanziamenti. Il risultato è un doppio ammanco per gli agricoltori britannici, ulteriori tagli ai pagamenti diretti alle imprese e nessun finanziamento compensativo all’economia rurale da parte del ministero del Tesoro.

Essa, inoltre, soffoca qualsiasi modifica importante a livello locale impedendo approcci regionali, cosa che il precedente regime permetteva. Le politiche legate ai pilastri uno e due rientrano nei principali temi oggetto di devoluzione nel Regno Unito, da cui la logica di permettere variazioni locali ai tassi di modulazione.

Infine, la proposta della Commissione contiene ancora una clausola di privilegio che consente ad alcuni di evadere il pagamento, costringendo altri a pagare di più. Per tali motivi, quindi, voterò ancora contro questo regolamento dozzinale, proprio come ho fatto a novembre.

 
  
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  Neil Parish (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, credo che ora il Commissario si trovi fra l’incudine e il martello.

Signora Commissario, sa molto bene che la proposta del Consiglio non vi piace, e sa anche che, in base agli accordi istituzionali, dovete comunque proporla. Ascoltiamo le sue parole ma la modulazione volontaria non ci piace per niente, quindi aspettiamo una nuova proposta. Credo che il miglior modo per affrontare la questione sia andare avanti con questa proposta e respingerla di nuovo, per poi aspettare che ce ne presentiate un’altra in tempi molto rapidi, perché tutti siamo interessati allo sviluppo rurale, ma vogliamo anche giocare ad armi pari.

Per quanto riguarda il punto sollevato dall’onorevole Allister, per tutti quegli agricoltori che perdono i pagamenti non si tratta di modulazione volontaria. Forse dovremmo veramente presentarla loro chiedendo: “Siete disposti a perdere volontariamente il 20 per cento del pagamento che vi spetta?”. Temo che sarebbero in pochi a farsi avanti e a dire di sì. Quindi si tratta, in realtà, di modulazione obbligatoria, che però viene probabilmente applicata solo a due Stati membri, il Regno Unito e il Portogallo.

Non solo non sarà volontaria, ma non sarà neppure applicata uniformemente nel Regno Unito, perché il nostro attuale governo vuole avere diversi livelli di modulazione nel paese. Nella zona che rappresento, l’Inghilterra sudoccidentale, che confina con il Galles, vi sono buone probabilità che la modulazione sia totalmente diversa al di qua e al di là del confine. Probabilmente le condizioni finanziarie degli agricoltori inglesi saranno ben peggiori di quelle dei gallesi, almeno del 20 o 25 per cento. Come lei afferma molto giustamente, abbiamo bisogno di una valutazione d’impatto: è proprio quello che vogliamo. Avrebbe dovuto essere presentata dal Consiglio, e forse avremmo considerato la cosa in maniera più favorevole. Quindi, come ho detto, siamo pronti a negoziare.

E’ bello anche vedere Brian Simpson tra noi questa sera, perché l’ultima volta che abbiamo discusso non c’era nessuno del partito laburista a difendere la posizione del Consiglio. Forse, perlomeno, ci stanno ascoltando.

Attendo con ansia le nuove proposte della Commissione.

 
  
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  Herbert Bösch (PSE). – (DE) Signora Presidente, appoggio la posizione del relatore come, credo, faccia la commissione per i bilanci del Parlamento. La Commissione dice sempre di volere essere un’istituzione efficiente con un’amministrazione efficiente. Il Commissario ha dormito negli ultimi tre mesi. Abbiamo votato questa relazione Goepel per la prima volta tre mesi fa. Il Commissario Fischer Boel sa cosa vuole il Parlamento. Conosce i diritti dell’Assemblea, e lo sta semplicemente negando. Oggi mi sarei aspettato una proposta accettabile da parte sua. Un direttore della sua Direzione generale, il signor Sivenas, ieri ha annunciato al Consiglio che a breve sarebbe stata presentata una proposta per abolire il 20 per cento. Oggi avrei voluto che ci dicesse questo, e invece non l’ha fatto. Di conseguenza, non vedo alcun motivo per cambiare minimamente la direzione che abbiamo scelto di intraprendere.

 
  
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  Jan Mulder (ALDE). – (NL) Signora Presidente, inizierò ringraziando gli onorevoli Goepel e Bösch che, come qualcuno ha già detto, hanno svolto un ottimo lavoro. In questo dibattito si parla non solo di modulazione volontaria ma, principalmente, di democrazia parlamentare, in altre parole di quali sono i diritti del Parlamento nello sviluppo rurale e in simili settori. Desidero, inoltre, ringraziare il Commissario Fischer Boel che si è sempre rivolta all’Assemblea con mentalità aperta e che, anche nei colloqui individuali, si è sempre espressa con molta franchezza.

Sono state dette moltissime cose. Perché mi oppongo al sistema della modulazione volontaria? Innanzi tutto perché colpisce alla radice la politica agricola comune, e questo è sbagliato, e poi perché gioca con i diritti del Parlamento in materia di bilancio.

La Commissione deve mediare tra Consiglio e Parlamento. A maggio abbiamo redatto le prospettive finanziarie, in cui il Parlamento ha chiaramente espresso il proprio parere sulla modulazione volontaria. Le proposte della Commissione non sono altro che un riflesso dei pareri del Consiglio, e questo è riprovevole. La volontà del Parlamento non è stata minimamente presa in considerazione. La cosa di cui non mi capacito è che, in un periodo in cui tutti in Europa dicono di volere coinvolgere maggiormente il cittadino europeo, la Commissione ignora totalmente la posizione del Parlamento!

Ho apprezzato le parole pronunciate dal Commissario quando, alla fine, ha fatto capire che è possibile trovare un compromesso. Ovviamente il Parlamento ne sarebbe felice. Anche noi siamo a favore dello sviluppo rurale, ma lo siamo anche di questi mercati comuni. Dobbiamo trovare una soluzione tenendo conto di questi due concetti chiave. E’ possibile, come lo è stato in passato, fare un’eccezione per alcuni paesi? E’ possibile, in futuro, usare la modulazione obbligatoria in maniera più intelligente adattandola ad alcune aspettative, come il Parlamento ha chiesto in passato? Lo si potrebbe fare, ad esempio, con questo controllo dello stato di salute. Se dopo la votazione di domani verrà nuovamente confermata la posizione del Parlamento, la Commissione dovrà prendere l’iniziativa onde raggiungere un compromesso realistico e accettabile per Consiglio e Parlamento. In effetti, i diritti del Parlamento e del Consiglio nel settore della politica rurale sono esattamente gli stessi, e la Commissione farebbe bene a tenere in considerazione il parere dell’Assemblea.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN). – (PL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, la modulazione volontaria proposta dalla Commissione europea, e giustamente respinta dalla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e dalla commissione per i bilanci, è il risultato del bilancio estremamente ridotto dell’Unione europea, fissato ad appena l’1 per cento del PIL. Nel redigere la prospettiva finanziaria 2007-2013, Consiglio e Commissione sapevano perfettamente che la riduzione dei fondi per le aree rurali da 88 a 69 miliardi di euro avrebbe comportato una spiacevole mancanza di risorse.

I tentativi di correggere le spese della PAC e alcune voci specifiche hanno solo originato confusione e acuito gli squilibri regionali. Cercare di rimediare a questo errore tagliando i pagamenti diretti – e impoverendo, al contempo, gli agricoltori – è la peggiore delle soluzioni possibili. La proposta nazionalizzazione della PAC mediante un’ulteriore modulazione volontaria del 20 per cento è un’ennesima prova di incoerenza nella formulazione della PAC, e un tentativo di rinazionalizzarla. Onorevoli colleghi, non abbiamo quindi altra scelta che respingere la proposta della Commissione.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE). – (EN) Signora Presidente, in questo mio primo intervento in qualità di rappresentante scozzese presso la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale sono lieto di trovarmi d’accordo con la stragrande maggioranza dell’Assemblea.

Come altri hanno detto, la modulazione volontaria dei pagamenti agricoli non è assolutamente volontaria per gli agricoltori che ci rimettono, ma solo per gli Stati membri che li derubano. La più alta modulazione obbligatoria finanziata nell’Unione europea ha una certa logica, ma solo il governo di Londra potrebbe dire che gli agricoltori scozzesi devono rimetterci il 20 per cento rispetto ai colleghi del continente, ed è giusto respingere questa proposta mediocre. Se non la bocceremo, accogliendo il documento che viene oggi sottoposto alla nostra attenzione approveremo una proposta scadente.

In questo frangente, vorrei far presente al Commissario che si deve prevedere la massima sussidiarietà possibile in qualsiasi pacchetto proposto. Il parlamento scozzese non è ancora un parlamento a pieno titolo di uno Stato membro, ma in Scozia è responsabile delle questioni agricole e alimentari ed è giusto che esso, o chiunque ne sia responsabile, continui a essere l’autorità di riferimento in materia, perché chiunque ne sia responsabile farà un lavoro migliore di quanto non possa fare il governo di Londra.

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Signora Presidente, ci risiamo. La commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale continua a respingere questa proposta, e la Commissione continua a riproporla. Se non altro, questo batti e ribatti dimostra chiaramente l’inutilità di questo Parlamento e delle sue commissioni.

L’Assemblea dovrebbe rappresentare la democrazia nell’Unione europea, quindi perché la Commissione la tratta con così tanto disprezzo? Forse perché sa che, in realtà, il Parlamento è una finta democrazia, una fabbrica di chiacchiere che viene tanto decantata, ma che in realtà è del tutto ininfluente in qualsiasi settore.

Il partito per l’indipendenza del Regno Unito si trova nell’insolita posizione di osteggiare la concessione di maggiore libertà al governo britannico, in questo caso per dirottare i fondi della PAC dalla produzione agricola a qualche vago programma di sviluppo rurale, che potrebbe spaziare dalla manutenzione di parchi pubblici alla creazione di parchi tematici o alla gestione di riserve animali. Dopo tutto dovremmo parlare di politica agricola comune, e non di politica comune per lo sviluppo rurale.

La comunità agricola britannica ha bisogno di aiuto. Discostarsi dalla produzione dei generi alimentari di sussistenza non sarebbe la scelta giusta per il mio paese. Un paese non deve dipendere dalle importazioni per nutrirsi, ma questa è la direzione che prenderà il Regno Unito se toglieremo i fondi all’agricoltura vera e propria destinandoli a progetti ambientali buonisti.

Il partito per l’indipendenza del Regno Unito non sostiene l’Unione europea e il suo regime di sovvenzioni. Tuttavia, fintanto che il mio paese continuerà a essere membro, potremmo fare in modo che i fondi ricevuti – che altro non sono che i nostri soldi che l’UE reputa giusto restituirci – siano spesi nel modo giusto.

Nutrire il popolo britannico deve essere una priorità rispetto a quelli che, in alcuni casi, si potrebbero definire “progetti ambientali puramente di facciata”.

 
  
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  Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE). – Doresc să susţin raportul colegului nostru Lutz Goepel care ne recomandă respingerea propunerii Comisiei privind modularea facultativă a plăţilor directe din agricultură din cel puţin două motive: în primul rând propunerea pune în dificultate statele care sunt în procesul de phasing-in al subvenţiilor europene. Agricultorii români, de exemplu, beneficiază în prezent doar de un sfert din plăţile pe care le primesc fermierii din vechile state membre, urmând ca în zece ani să atingă nivelul comun al Uniunii.

Modularea obligatorie, cumulată cu cea facultativă, vor face ca acest nivel comun al Uniunii să fie destul de redus în momentul în care agricultorii români vor putea beneficia de el. Această ţintă mişcătoare poate destabiliza atât piaţa românească, cât şi pe cea europeană, deoarece agricultorii nu pot planifica nici măcar pe termen scurt, necunoscându-şi veniturile viitoare.

În plus, termenul de facultativ induce în eroare. O dată adoptată de către statele membre, modularea devine obligatorie pentru fermieri, putând duce la scăderea plăţilor directe la hectar cu până la 25%. Acest proces contribuie la renaţionalizarea politicii agricole comune, adică la o modificare a acestei politici, simbol al solidarităţii europene.

În al doilea rând, propunerea Comisiei este injustă, întrucât ignoră participarea noastră la dezbaterea viitorului financiar al Uniunii. Vocea Parlamentului trebuie să se facă auzită convingător, atât înainte, cât şi în timpul controlului de sănătate planificat pentru 2008-2009. Noi nu putem porni pe acest drum cu concluzii deja luate, iar introducerea modulării facultative duce tocmai la un rezultat cunoscut dinainte al controlului de sănătate. Mai mult, din câte ştiu, Comisia nu a efectuat studiul de impact necesar prevăzut în acordul interinstituţional cu Parlamentul European. Toate aceste elemente fac din propunerea de regulament a Comisiei un compromis nedorit de nimeni ale cărui victime vor fi însă fermierii europeni.

 
  
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  Luis Manuel Capoulas Santos (PSE). – (PT) Desidero ribadire la mia totale opposizione alla seconda relazione Goepel, con la stessa veemenza con cui mi sono opposto alla prima. Non posso essere d’accordo sui motivi addotti nel documento, che portano a conclusioni completamente diverse.

E’ un peccato che non abbia il tempo di darvene una dimostrazione esaustiva, ma vi chiedo: quale miglior studio potrebbe esserci di quello le cui cifre rivelano l’attuale ingiustizia della ripartizione del primo pilastro della politica agricola comune (PAC)? Per quanto riguarda il cofinanziamento, obbligare gli Stati membri con meno risorse a contribuire con il proprio bilancio alle politiche comuni non vuol forse dire rinazionalizzare la PAC?

Mi sembra che questa relazione sia caratterizzata da un atteggiamento conservatore, che non condivido. Condanno il fatto che calpesti il principio di sussidiarietà, e che cerchi apertamente di proteggere i maggiori beneficiari della PAC. Protesto inoltre contro la proposta del Parlamento, indicata nelle relazioni Goepel, di congelare il 20 per cento dei fondi destinati allo sviluppo rurale per il 2007. Gli agricoltori non possono essere tenuti in ostaggio dalle controversie interistituzionali. Lancio quindi un appello al buonsenso e a uno spirito di compromesso per sbloccare, il prima possibile, questa inammissibile situazione di stallo.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signora Presidente, concordo pienamente con il relatore nel respingere queste proposte. Esse, in effetti, comporterebbero il trasferimento del 20 per cento dei fondi della PAC destinati ai pagamenti diretti e al sostegno di mercato allo sviluppo rurale.

Appoggio pienamente gli investimenti nello sviluppo rurale; in effetti, credo che siano cruciali se vogliamo che le zone rurali contribuiscano all’agenda di Lisbona. Questi investimenti, però, non possono provenire dalle tasche degli agricoltori.

Signora Commissario, prima ha detto di temere i rischi che potrebbe correre lo sviluppo rurale nel caso in cui respingessimo questa proposta, ma che ne è dei rischi per l’agricoltura se la proposta dovesse andare avanti? Parlando delle tasche degli agricoltori, la proposta comporterebbe una drastica riduzione per il reddito di alcuni di loro. Se prendiamo in considerazione l’intero importo iniziale dei pagamenti diretti agli agricoltori, togliamo il 5 per cento per la modulazione obbligatoria, all’incirca un ulteriore 8 per cento per l’adesione di Romania e Bulgaria – che non sono in alcun modo responsabili del fatto che non abbiamo previsto un finanziamento adeguato – e poi togliamo ancora il 20 per cento per la modulazione volontaria, gli agricoltori avranno perso pressappoco il 33 per cento, ovverosia un terzo del proprio reddito come promesso nella riforma della PAC.

Ad ogni modo, non si tratta solo di soldi. La modulazione volontaria, così come proposta, produrrebbe effetti distorsivi per la concorrenza tra gli Stati membri. Ciò equivarrebbe, in effetti, a una rinazionalizzazione della PAC e, a mio avviso, comprometterebbe la sicurezza della produzione alimentare nell’Unione europea.

Signora Commissario, so che siamo entrambi d’accordo sul fatto che l’agricoltura necessita di stabilità. Quando l’anno scorso è venuta al parlamento irlandese ha detto: “Voglio garantire la massima stabilità possibile agli agricoltori dell’Irlanda e del resto dell’Unione europea”. Questi, però, sono tempi difficili e incerti per gli agricoltori. Se solo ascoltassero i dibattiti odierni in Parlamento, con il Commissario Mandelson che prima ha parlato di un’ulteriore flessibilità nell’ambito dell’OMC e, questa sera, della possibilità di rinazionalizzare la PAC, sarebbero ancora più incerti.

L’Assemblea e gli agricoltori europei si affidano alla Commissione per ricevere un sostegno in materia. Ci ha detto di conoscere e comprendere i nostri timori. Questi timori sono stati espressi molto chiaramente in Aula questa sera, e attendiamo una risposta positiva.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (UEN). – (PL) Signora Presidente, l’ora tarda e le difficoltà tecniche non ci impediranno di criticare aspramente, per la seconda volta, la proposta della Commissione. Con questa proposta gli agricoltori europei potrebbero perdere il 30 per cento dei pagamenti diretti che ricevono. Per molte aziende agricole si tratta di una cifra molto alta. Il Commissario può aver fatto riferimento ad alcune agevolazioni, ma queste modifiche importanti devono essere annunciate con largo anticipo per consentire alle persone di fare piani per il futuro. In caso contrario, corriamo il rischio di perdere la fiducia degli agricoltori nell’Unione europea e nella PAC, fiducia che è ai minimi storici tra gli agricoltori polacchi. Il fatto che questo cambiamento non riguarderà le imprese che ricevono meno di 5 000 euro è di scarsa consolazione: se mai, l’importo dovrebbe essere di 20 000 euro.

 
  
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  James Nicholson (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, ho ascoltato il Commissario con molto interesse e, con tutto il rispetto, signora Commissario, questa sera è stata persino meno convincente di quanto non sia stata l’ultima volta che abbiamo discusso dell’argomento.

So che è molto difficile difendere una cattiva politica. So che è quasi impossibile difendere una cattiva politica, in questo ha tutta la mia solidarietà. Le cattive politiche, però, non diventano mai buone. Questa politica distrugge qualsiasi parvenza di equità nella politica agricola comune del prossimo futuro.

Posso chiederle in tutta franchezza, signora Commissario, se ha preso accordi collaterali con il Consiglio su cosa ci riserva il futuro in termini di modulazione?

Leggo con interesse nella stampa regionale locale della mia zona che il funzionario responsabile in materia di agricoltura ha affermato che, entro il mese di giugno, potrà contare su un accordo stipulato da voi e dal Consiglio.

Domanda numero uno, signora Commissario, può confermare che è stato raggiunto questo accordo? Se così fosse, quali sono i dettagli? Nell’accordo è prevista la regionalizzazione? Quale tasso percentuale sarà applicato in base all’accordo? Questi sono solo alcuni dei punti che desidero sollevare questa sera.

Posso però chiederle di dire la verità al Consiglio? Fondamentalmente si tratta di un accordo pessimo, che gli agricoltori non accetteranno mai. Sicuramente io, in veste di loro pubblico rappresentante, non l’accetterò mai.

Questa sera si è rivolta a noi per non lasciar cadere nel vuoto le sue parole. Ci chiede di essere costruttivi. Bellissime parole! Le devo chiedere, però, come possiamo essere costruttivi? Come possiamo ascoltare quando ci impone dall’alto quello che dobbiamo accettare, contro la nostra volontà?

Questo non è un problema nostro. E’ un suo problema, signora Commissario, e spetta a lei risolverlo.

 
  
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  Marc Tarabella (PSE). – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto ricordare la schiacciante votazione in plenaria dello scorso 14 novembre: 559 voti contrari, 64 a favore e 16 astensioni. Con una tale maggioranza, il Parlamento europeo ha bocciato più che nettamente la proposta di regolamento del Consiglio per la modulazione volontaria dei pagamenti diretti. Mi rammarico che la Commissione non abbia quindi scelto di rinunciarvi.

Pur comprendendo e condividendo la necessità di finanziare meglio il secondo pilastro destinato allo sviluppo rurale, non posso accettare che lo si faccia in maniera così aggressiva a spese del primo pilastro e in modo assolutamente non volontario, perché gli effetti di questa misura sarebbero indubbiamente devastanti. In effetti, approvare la proposta della Commissione vorrebbe dire compromettere la sopravvivenza di molti agricoltori e introdurre distorsioni nella concorrenza. Inoltre, la proposta potrebbe portare all’abbandono o alla rinazionalizzazione della politica agricola comune. Essa, infine, non tiene conto degli obiettivi comunitari nelle zone rurali. Questi motivi, per i quali la proposta della Commissione è stata respinta a novembre, sono ancora validi.

Alla luce di queste considerazioni, ampiamente spiegate nella relazione dell’onorevole Goepel, sostengo pienamente la sua posizione.

 
  
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  Wiesław Stefan Kuc (UEN). – (PL) Signora Presidente, sono cosciente delle aspre critiche di cui è stata oggetto la proposta di regolamento discussa, ma è impossibile che la proposta non abbia neanche un lato positivo. L’Assemblea non è mai stata così negativa su un tema da non trovare nemmeno un aspetto positivo. Per questo motivo, cercando qualcosa di positivo sulla modulazione, senza entrare nel dettaglio e decidere se il 20 per cento sia la giusta percentuale o 5 000 euro il giusto importo, ho comunque trovato qualche aspetto positivo.

In primo luogo, l’introduzione della modulazione permetterà agli Stati membri di disporre di una maggiore flessibilità nelle politiche agricole e rurali, il che è molto importante e, in secondo luogo, smonterà le critiche sull’Unione europea. Ultimamente abbiamo sentito dire che l’UE vuole regolamentare tutto, dalla forma delle banane alle dimensioni dei piselli. In questo caso, almeno, avremmo un margine di manovra del 20 per cento a riprova del fatto che non vogliamo regolamentare tutto così nel dettaglio. In terzo luogo, l’applicazione della modulazione consentirebbe di ricostruire e modernizzare le aree rurali. Se però vogliamo che queste misure siano sostenute dagli agricoltori, dovremmo innanzi tutto permettere alle autorità rurali di decidere su…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Brian Simpson (PSE). – (EN) Signora Presidente, ancora una volta, vista l’importanza di questo dossier per gli agricoltori del Regno Unito e le comunità rurali britanniche, non posso votare a favore delle raccomandazioni del relatore e bocciare la pratica della modulazione volontaria.

Inoltre, colgo l’opportunità per ricordare a tutti gli eurodeputati britannici dei vari partiti politici che votare contro avrà gravi conseguenze sui piani di spesa dello sviluppo rurale del nostro paese perché, in realtà, voterete a favore di un drastico taglio di più di 1,2 miliardi di euro destinati alle zone rurali britanniche nei prossimi sei anni.

Ricordo altresì a tutti i deputati dell’Assemblea che, viste le poche risorse stanziate per lo sviluppo rurale che il Regno Unito riceve rispetto agli altri Stati membri, il sistema di modulazione volontaria non solo è necessario, ma è anche di fondamentale importanza per attuare programmi di sviluppo rurale ambiziosi ed efficaci nel mio paese.

Credo che dobbiamo soffermarci un attimo a valutare le implicazioni di tutto questo, proprio per sottolineare l’importanza dei temi.

Innanzi tutto, la modulazione volontaria consentirà al Regno Unito di raggiungere molti più risultati in materia ambientale in linea con le politiche sviluppate dall’Unione europea.

Inoltre, pur comprendendo le delicate implicazioni politiche sul diritto del Parlamento, dobbiamo senza dubbio concentrarci sulla possibilità di garantire veri e propri vantaggi in termini di sviluppo alle zone rurali. Possiamo, ad esempio, effettuare pagamenti agli agricoltori nel quadro di programmi agro-ambientali volti a recare benefici all’ambiente e alla biodiversità; possiamo sostenere gli agricoltori nelle zone montuose e di collina; possiamo impegnarci in programmi che aiutino a ridurre gli effetti del cambiamento climatico mediante il sostegno alle colture energetiche e ad altri prodotti energetici rinnovabili; possiamo, infine, aiutare a proteggere le nostre campagne e le loro principali risorse naturali.

Tutto ciò è messo in pericolo dall’atteggiamento del Parlamento nei confronti della modulazione volontaria, motivo per cui gli eurodeputati del partito laburista voteranno contro la raccomandazione poco lungimirante della commissione. Senza la modulazione volontaria, il Regno Unito sarà solo in grado di onorare i contratti esistenti, venendo meno a quello che vorremmo fare.

Infine, desidero…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Thijs Berman (PSE). – (NL) Signora Presidente, domani il partito socialdemocratico olandese voterà contro la relazione Goepel e contro il continuo blocco della nuova politica agricola. Occorre porre fine all’impasse tra Consiglio e Parlamento. Non bisogna mettere a repentaglio i nuovi progetti per le zone rurali europee. Vi esorto a concedere agli Stati membri la possibilità di mettere a disposizione più fondi nel quadro di una strategia europea per le zone rurali, il paesaggio e l’ambiente. Il futuro della politica agricola europea si basa sulla graduale abolizione delle sovvenzioni, inizialmente per gli agricoltori più grandi, ma al tempo stesso sugli investimenti nelle aree rurali. Se il Parlamento decidesse ancora di creare ostacoli bloccando il 20 per cento del bilancio rurale si ricreerebbe una situazione già vista mentre, più di ogni altra cosa, è di una nuova politica per gli abitanti della campagna che abbiamo bisogno. Il blocco di 2,48 miliardi di euro potrebbe far saltare molti progetti validi. Nel caso dei Paesi Bassi si parlerebbe di 14 milioni di euro, un importo insignificante, ma che riveste grande importanza per i diretti interessati. Tutti questi piani a favore di una campagna produttiva non dovrebbero essere vittima dei conflitti di Bruxelles. Dobbiamo cercare armi diverse, e anche il Consiglio deve muoversi. Il compromesso potrebbe persino prevedere una modulazione obbligatoria più elevata per tutti gli Stati membri. Questo vorrebbe dire incamerare più fondi provenienti dalle sovvenzioni destinate alle imprese più grandi a vantaggio degli investimenti nelle zone rurali. Non il 5 per cento, come avviene adesso, ma il 15 per cento, qualora il 20 per cento risultasse eccessivo per il Consiglio. Più grande è l’agricoltore, maggiore è la modulazione. Anche questo sembra essere giusto. E’ un aspetto cui la Commissione dovrebbe dedicare la propria attenzione. Le aree rurali europee ora non possono fare piani, e gli agricoltori non sanno in che situazione sono. E’ una condotta irresponsabile.

 
  
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  Gábor Harangozó (PSE). – (HU) Lo scorso novembre il Parlamento europeo ha respinto la proposta della Commissione sulla modulazione volontaria dei pagamenti diretti. Ora ci troviamo nuovamente qui, di fronte a una proposta che già una volta abbiamo bocciato. Tuttavia, dobbiamo votare contro non solo perché non sono state apportate modifiche sostanziali, ma soprattutto perché molti punti della proposta sollevano seri dubbi.

Innanzi tutto perché essa porta alla cancellazione della politica agricola comune, cercando di trasferirla a livello nazionale. Inoltre, i vari Stati membri sfrutterebbero questa occasione in maniera diversa, in base alle diverse situazioni di bilancio, e questo creerebbe gravi distorsioni nella concorrenza. Non possiamo permettere che gli agricoltori, che già stanno combattendo, siano svantaggiati a causa dei bilanci più ristretti di alcuni Stati membri.

Ovviamente tutti sappiamo che il regolamento deve essere armonizzato con l’accordo raggiunto dal Consiglio nel 2005, ma dobbiamo valutare attentamente ogni possibilità per potere cambiare i regolamenti in maniera coerente e adeguata. Per tale motivo la relazione, nella sua forma attuale, è inaccettabile. Dobbiamo trovare una soluzione che possa migliorare la vita degli agricoltori, non che li metta in una situazione più difficile.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, onorevoli deputati, il gran numero di contributi a questo dibattito rivela quanto, per tutti voi, sembra essere importante la questione della modulazione volontaria. Concordo sul fatto che la proposta sulla modulazione volontaria debba essere considerata in un più ampio contesto, ovverosia l’intero finanziamento della politica agricola comune in generale e, nello specifico, della politica dello sviluppo rurale.

Indubbiamente, la modulazione volontaria non è lo strumento migliore per rafforzare il secondo pilastro. Sono d’accordo. Tuttavia, come ho evidenziato nel dibattito odierno, si sta facendo il possibile per cercare di rispondere alle preoccupazioni sollevate dal Parlamento europeo. Continueremo a farlo nei giorni e nelle settimane a venire, come ho spiegato nella mia introduzione. La Commissione è disposta a impegnarsi affinché il risultato raggiunto tenga conto del maggior numero possibile di dubbi. Spero che saremo in grado di raggiungere un compromesso.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì, alle 12.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Talvolta ho l’impressione che alla Commissione sembri non piacere la PAC e che, prima o poi, vorrebbe vederne la fine. Ricordo alla Commissione che l’accordo sulla PAC è in vigore fino al 2013. Allo stato attuale, gli importi obbligatori della modulazione stanno già causando problemi alle zone rurali della mia circoscrizione. Questa proposta implica la rinazionalizzazione della politica agricola, ma non tiene conto del fatto che i pagamenti diretti saranno poi a discrezione degli Stati membri, senza la possibilità di controllare le modalità di spesa dei fondi. La proposta, inoltre, non fornisce alternative all’agricoltura, né contiene una procedura per impedire l’eccessivo aggravamento della posizione concorrenziale di un agricoltore. In alcuni paesi la pratica di togliere fondi all’agricoltura per destinarli alle zone rurali può funzionare, ma in molte parti d’Irlanda l’agricoltura è alla base della vita rurale. Senza agricoltura, gli uomini e donne della campagna irlandese sarebbero costretti allo spopolamento o a dover tollerare industrie inquinanti per avere posti di lavoro e riuscire a rimanere in una determinata regione. In Irlanda più soldi trasferiamo dall’agricoltura allo sviluppo rurale più danneggiamo entrambi i settori. Una valutazione d’impatto avrebbe previsto tali conseguenze.

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 142, paragrafo 7, del Regolamento)

 

13. Spettro radio (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione presentata dall’on. Fiona Hall, a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, “Verso una politica europea in materia di spettro radio” [2006/2212(INI)] (A6-0467/2006)

 
  
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  Fiona Hall (ALDE) , relatore. – (EN) Signora Presidente, desidero per prima cosa ringraziare tutti coloro che, nell’elaborazione di questa relazione, mi hanno resa partecipe delle loro conoscenze e della loro esperienza. In particolare sono grata alla Commissione per il suo generoso aiuto e ai colleghi, relatori ombra degli altri gruppi, per la loro collaborazione e i loro suggerimenti, che sono stati molto costruttivi.

Il problema fondamentale sollevato dalla relazione è che l’attuale meccanismo di gestione dello spettro radio, tenuto conto delle nuove tecnologie che vengono costantemente sviluppate, è ormai inadeguato. Le nuove tecnologie devono necessariamente far uso dello spettro radio, ma la disponibilità delle frequenze sarà sempre limitata per le leggi stesse della fisica: dobbiamo quindi fare in modo che questa preziosa risorsa venga utilizzata nel modo più efficiente possibile.

La politica in materia di spettro radio può sembrare una faccenda oscura e di scarso interesse per i cittadini, ma il risultato finale di tale politica ha invece un’importanza fondamentale per ciascuno di noi perché si traduce in posti di lavoro e in opportunità di crescita economica. Se non riusciremo ad adeguare l’approccio alle frequenze radio, verremo meno ai nostri impegni nei confronti dell’industria europea, compromettendo le sue speranze di diventare leader globale nella tecnologia delle comunicazioni. Nessuna delle innovazioni identificate dall’industria potrà svilupparsi adeguatamente se non saranno disponibili frequenze radio e se l’industria non potrà operare sull’intero mercato europeo di 550 milioni di persone.

L’agenda di Lisbona costituisce la forza motrice che deve ispirare il nostro nuovo approccio allo spettro radio, ma l’Europa deve anche preoccuparsi di come intende rendere disponibili servizi di interesse pubblico generale. Tornerò su questo argomento fra breve.

Desidero innanzi tutto fare alcune osservazioni sui cambiamenti proposti. Attualmente lo spettro è gestito con un sistema amministrativo di controllo in base al quale determinate frequenze vengono assegnate a determinati usi specifici. La relazione sostiene la necessità di integrare l’attuale sistema amministrativo con un approccio più flessibile, che dovrebbe prevedere maggiori possibilità di utilizzo dello spettro senza licenza e il meccanismo dello scambio delle frequenze.

Un elemento essenziale di questo approccio più flessibile è l’esigenza che le frequenze radio siano rese disponibili senza imporre condizioni riguardanti il servizio da prestare o la tecnologia utilizzata. In altre parole l’approccio basato sul mercato della gestione dello spettro radio dovrebbe essere neutro dal punto di vista del servizio o della tecnologia.

Ovviamente questa liberalizzazione dello spettro radio solleverà alcuni problemi per gli attuali utilizzatori, quale ad esempio la questione delle potenziali interferenze. E’ quindi molto importante che i cambiamenti abbiano luogo in un quadro giuridico chiaro e che si stabiliscano a priori meccanismi di soluzione delle controversie.

In alcuni punti, segnatamente ai paragrafi 11, 13 e così via, la relazione sottolinea l’importanza di tutelare i servizi di interesse pubblico generale e di sostenere la diversità linguistica e culturale. E’ importante non creare confusioni fra questo impegno politico e le esigenze tecniche riguardanti la fornitura dei servizi.

Credo che sarebbe un grave errore proteggere le frequenze utilizzate attualmente dalle trasmissioni radiotelevisive mantenendo immutate nei loro confronti le condizioni di gestione dello spettro radio. Andrebbe infatti a detrimento della nostra capacità di sostenere una vasta gamma di servizi socialmente utili insistere affinché il meccanismo per la fornitura di questi servizi non venga in alcun modo modificato e resti congelato proprio in un momento in cui tutti gli altri usi dello spettro radio evolvono con grande rapidità.

Citerò a titolo di esempio una sfida che ci troviamo ad affrontare in questo momento nell’Unione europea: quella di impedire che si aggravi la spaccatura fra chi ha Internet e chi non ce l’ha. Un modo facile per spianare l’accesso a Internet per le regioni più svantaggiate dei nostri paesi più poveri sarebbe far ricorso alla banda larga senza fili, sfruttando alcune delle frequenze che si sono liberate grazie al passaggio dalla trasmissione analogica alla trasmissione digitale, il cosiddetto dividendo digitale.

Questo è solo un esempio della ragione per cui dobbiamo ribadire il nostro impegno nei confronti dei servizi di interesse pubblico generale, ma serve anche ad illustrare perché non dobbiamo considerare intoccabili le frequenze usate attualmente per le trasmissioni radiotelevisive. Dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per assicurare la fornitura di servizi secondo modalità innovative, con il ricorso a nuove tecnologie e a un bacino di utenza più vasto di quanto non si sia fatto finora. In Europa è vitale sostenere la crescita di un’economia basata sulla conoscenza. E’ quindi di estrema importanza prevedere un utilizzo più flessibile delle frequenze all’interno dello spettro radio nel suo complesso, senza esclusioni.

Per concludere, accolgo con favore l’emendamento proposto dal gruppo PSE, che costituisce un equilibrato compendio delle questioni in esame.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, devo complimentarmi con il Parlamento europeo, e in particolare con la relatrice, onorevole Hall, per aver capito l’importanza delle scelte politiche che l’Europa è in procinto di compiere in materia di spettro radio.

Si tratta di un settore in cui le decisioni politiche hanno conseguenze dirette sulla qualità dell’occupazione e sulla crescita dell’economia europea. I servizi che dipendono dallo spettro radio rappresentano il 2-3 per cento circa del PIL in Europa. Ricerche eseguite per conto della Banca mondiale e dell’OCSE dimostrano che vi è un indiscutibile collegamento fra lo sviluppo dei servizi di comunicazione elettronica e la crescita economica. Uno studio econometrico realizzato dalla Commissione ipotizza che una migliore distribuzione delle frequenze potrebbe comportare un incremento annuo del PIL pari allo 0,1 per cento, il che, nel tempo, si tradurrebbe in un vantaggio notevole.

L’urgenza che caratterizza il problema può essere riassunta nella parola “convergenza”. In pratica tutte le comunicazioni stanno rapidamente diventando digitali e vi è un numero crescente di infrastrutture che fanno a gara nell’offrire servizi. Le vecchie categorie stanno scomparendo e noi dobbiamo rispondere con una normativa che consenta agli utilizzatori dello spettro radio di scegliere il mix di servizi e tecnologie che preferiscono e, in molti casi, preveda la compravendita dei diritti di utilizzo.

Le ragioni a sostegno della necessità di una normativa sono ancora forti. Dobbiamo preoccuparci delle interferenze. Dobbiamo far sì che i diritti a utilizzare lo spettro siano chiaramente definiti e assicurare condizioni di equità a tutti gli operatori. La relazione in esame per molti aspetti è in linea con questa visione politica e io desidero ringraziare la relatrice per gli sforzi compiuti.

Un punto su cui divergiamo è l’inserimento delle frequenze relative alle trasmissioni terrestri nella riforma prevista. Non mettiamo in dubbio l’importanza della funzione di servizio pubblico delle emittenti radiotelevisive, né il loro contributo alla diversità linguistica e culturale. Tuttavia dobbiamo riflettere a fondo prima di privilegiare un determinato tipo di distribuzione che potrebbe comportare costi sociali in termini di opportunità.

Citerò un esempio a tale proposito: la relazione indica giustamente la banda larga senza fili come uno strumento di sviluppo per le regioni rurali e di superamento del gap digitale. Sono tuttavia indispensabili scelte che assicurino un equilibrio fra le trasmissioni radiotelevisive e gli altri servizi. E’ indispensabile adottare provvedimenti per salvaguardare le risorse e il funzionamento del servizio pubblico radiotelevisivo, ma la politica in materia di spettro radio non deve sostituire un autentico dibattito. Il testo emendato è caratterizzato da un maggiore equilibrio, in quanto sottolinea la necessità di garantire la stabilità e la sicurezza dei media e l’importanza di assicurare condizioni di parità agli operatori che facciano il loro ingresso sul mercato e alle nuove tecnologie.

Vorrei concludere con un’osservazione: sulla base di un’analisi approfondita, la scelta delle autorità nazionali è quella di assegnare porzioni di spettro alle emittenti radiotelevisive. Questi operatori dovranno avere, come qualsiasi altro utilizzatore, l’obbligo di amministrare con diligenza una risorsa pubblica e sfruttarla nel modo più efficace possibile. Riteniamo che la nostra proposta di riforma contribuirà ad applicare questo principio.

 
  
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  Etelka Barsi-Pataky, a nome del gruppo PPE-DE. – (HU) L’innovazione tecnologica offre nuove, concrete opportunità all’Europa. Il passaggio alla tecnologia digitale consente una maggiore disponibilità di frequenze, risorsa di cui finora avevamo lamentato la scarsezza. E’ quindi opportuno e necessario fare in modo che questa maggiore disponibilità venga destinata in parte alle nuove tecnologie, aprendo così una prospettiva dinamica all’industria europea dell’informazione e delle comunicazioni.

Per rispondere a questa esigenza è necessario che il futuro regolamento venga elaborato in modo che il sistema tradizionale, l’utilizzo non soggetto a licenza e lo scambio delle frequenze formino parte integrante di un’efficace gestione dello spettro radio. Sono necessarie norme precise che indichino chiaramente quando e in quale misura è consentito lo scambio delle frequenze.

Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei ritiene che sia urgente chiarire il concetto di scambio delle frequenze e relative condizioni. Al riguardo dobbiamo riservare particolare attenzione alle frequenze radiotelevisive, accertando che non possano essere cumulate e che non vengano quindi a crearsi monopoli. E’ nostro dovere promuovere la diffusione delle nuove tecnologie nelle regioni meno sviluppate e nelle zone rurali, a condizione tuttavia che quelle aree geografiche non debbano sostenerne i costi.

E’ ferma convinzione del gruppo PPE-DE che nel processo per disciplinare il settore si debba tener conto di considerazioni sociali, culturali e politiche, in modo da incoraggiare l’espressione della diversità culturale e linguistica. In sede di elaborazione della relazione, ho spesso ricordato le diverse caratteristiche dei nuovi Stati membri, di cui è necessario tener conto nel mettere a punto nuovi testi normativi. Ho quindi accolto con piacere l’iniziativa dell’onorevole Trautmann e la sostengo. In definitiva è necessario che gli Stati membri liberalizzino l’utilizzo delle frequenze nell’ottica di un’armonizzazione tecnologica a livello europeo e questo risultato deve essere ottenuto grazie a un mutuo consenso.

 
  
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  Catherine Trautmann, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, onorevole Hall, onorevoli colleghi, ci viene chiesto di esprimere un’opinione sulla riassegnazione delle frequenze radio.

Si tratta di un dossier molto importante e le ragioni che inducono la Commissione a formulare una proposta volta a ottimizzare e a massimizzare i benefici di questa risorsa attengono naturalmente all’evoluzione della tecnologia, all’esistenza del dividendo digitale e alla volontà, chiaramente affermata negli obiettivi di Lisbona, di assicurare a tutti l’accesso ai nuovi servizi: a Internet, alla telefonia mobile e a molti altri ancora.

Si è appena fatto cenno, in particolare, alla banda larga, che potrebbe contribuire a ridurre il gap digitale di cui soffre l’Unione europea e che colpisce soprattutto le aree rurali e scarsamente popolate. Dobbiamo quindi sforzarci di assicurare un utilizzo razionale delle frequenze in modo da garantire la totale copertura dei 27 paesi dell’Unione, nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile di tutte le regioni.

Le frequenze costituiscono effettivamente una risorsa, un bene pubblico, comune a tutti e strategico per l’Unione, ed è nostro dovere assicurare che lo spettro venga utilizzato in modo durevolmente efficiente. Così come parliamo di efficienza energetica, a mio parere possiamo parlare anche di efficienza dello spettro radio.

Accolgo con favore i tentativi della Commissione di conferire una nuova dimensione europea all’uso di questo dividendo digitale e di evitare il ripetersi del vero e proprio problema che si è verificato, e che è stato vissuto come tale dal settore, quando le reti UMTS sono state messe in vendita. Si propone la creazione di un mercato: dobbiamo trovare il modo di assicurare maggiore flessibilità, evitando la speculazione e i monopoli e rendendo disponibili frequenze ai nuovi servizi e ai nuovi operatori.

Ritengo che si tratti di un giusto proposito. Con questa iniziativa dobbiamo creare opportunità di innovazione, ma contemporaneamente dobbiamo essere prudenti nella commercializzazione che ne deriverà, che si tratti di licenze, aste o assegnazioni, in particolare di servizi pubblici o di libero accesso, anche se temporanee. Tutti questi aspetti devono ancora essere definiti.

In sede di commissione abbiamo discusso del ruolo delle emittenti radiotelevisive e io desidero affermare in questa occasione che da parte mia ho sempre difeso la particolare natura dei programmi informativi e culturali delle emittenti radiotelevisive, in particolare di quelle pubbliche, che non dispongono dei capitali privati necessari per assicurarsi l’accesso al mercato alle stesse condizioni delle emittenti, diciamo, normali.

In considerazione della situazione e della necessità di mostrarci equi e imparziali, il gruppo socialista ha presentato un emendamento per tener conto dell’efficienza dello spettro radio, dell’equilibrio fra rispetto delle trasmissioni pubbliche e rispetto delle trasmissioni statali sulla sicurezza, nonché del ruolo delle autorità che disciplinano il settore e delle società che vi operano.

 
  
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  Rebecca Harms, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signora Presidente, sarò breve. A giudizio del mio gruppo, che in linea di principio accoglie favorevolmente l’impostazione della Commissione, vi sono cinque punti che occorre sottolineare. Non vogliamo che la riforma proposta dalla Commissione conduca alla creazione di monopoli. La Germania ha vissuto una brutta esperienza all’epoca della vendita all’asta delle licenze UMTS. Il nostro gruppo ritiene che i servizi che assicurano la diversità debbano essere considerati sempre prioritari. Condivido l’opinione dell’onorevole Trautmann secondo cui le emittenti radiotelevisive devono godere di particolare considerazione per il servizio che forniscono al pubblico e alla società. Sosteniamo la necessità dell’interoperabilità e della neutralità tecnica. Vogliamo che sia assicurata una copertura davvero totale. Si tratta di un aspetto importante anche per la signora Commissario, il cui portafoglio comprende lo sviluppo rurale. Gli abitanti delle aree rurali non vogliono più vivere in situazioni svantaggiate, vogliono anch’essi collegarsi a Internet ad alta velocità. Inoltre, in futuro, le procedure relative alle vendite all’asta dovranno essere assolutamente trasparenti e di facile comprensione.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, presumo che ci si aspetti una risposta da parte della Commissione, ma prometto di essere breve.

Condivido la valutazione del Parlamento sul ruolo vitale che il servizio pubblico reso dalla televisione e dagli altri mezzi di comunicazione svolge a favore della democrazia, della diversità e della promozione del pubblico dibattito. E’ necessario che i futuri testi normativi continuino ad assicurare che la programmazione venga diffusa ai cittadini in conformità degli obblighi di servizio pubblico assunti dalle emittenti interessate. Tuttavia, presumendo che sia possibile soddisfare questi obbiettivi e tenendo presente la realtà della convergenza, dobbiamo tener conto dell’esigenza che la porzione di spettro richiesta venga utilizzata in modo efficiente per offrire un servizio di trasmissione radiotelevisiva pubblica. E’ pertanto necessario assicurare alle emittenti la flessibilità e gli strumenti necessari per continuare a sviluppare la loro offerta a vantaggio della società.

Abbiamo prestato la massima attenzione al dibattito e terremo conto dei vostri commenti in sede di revisione del regolamento sulle telecomunicazioni, di cui prevediamo di presentare una proposta nel secondo semestre del 2007.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì, alle 12.00

 

14. Cambiamento climatico (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

15. Nuovo accordo “PRN” – SWIFT (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

16. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale

17. Chiusura della seduta
  

(La seduta è tolta a mezzanotte)

 
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