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Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 28 marzo 2007 - Bruxelles Edizione GU

12. Conseguenze della dichiarazione di Berlino (discussione)
Processo verbale
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le conseguenze della dichiarazione di Berlino.

Vorrei esprimere alcune brevi riflessioni al riguardo. Il 17 gennaio la Presidente in carica del Consiglio, che oggi sono lieto di accogliere in quest’Aula, è venuta a presentare il suo programma dinanzi all’Assemblea.

Il 13 febbraio, signora Cancelliere federale, lei era presente quando ho esposto il mio programma; oggi è qui per riferirci in merito alla dichiarazione di Berlino del 25 marzo, e perciò posso dirmi lieto che abbia già fatto visita tre volte al Parlamento europeo, benché la sua Presidenza non sia neppure a metà del mandato. Per questo, dunque, vorrei esprimerle i miei più sinceri e sentiti ringraziamenti, a nome di tutti i deputati al Parlamento.

(Applausi)

Ora i capigruppo procederanno a illustrare le loro riflessioni sulla dichiarazione di Berlino, di cui naturalmente non desidero anticipare in alcun modo i contenuti. Vorrei soltanto rilevare la costante disponibilità che lei, signora Cancelliere federale, e il suo staff avete dimostrato nei confronti del Presidente del Parlamento europeo e dei suoi rappresentanti durante i preparativi per la dichiarazione di Berlino, dando alle nostre idee la massima attenzione che si potesse sperare da voi, con 27 governi su cui presiedere.

Io stesso mi sono attenuto rigorosamente alla risoluzione della Conferenza dei presidenti, sulla quale ho riflettuto ancor più a fondo, e ho tenuto continuamente informati e consultato costantemente i deputati responsabili della commissione per gli affari costituzionali, nonché l’Ufficio di presidenza e la Conferenza dei presidenti.

Ora procederemo con il dibattito. Il mio caloroso benvenuto va non solo alla Presidente in carica del Consiglio e Cancelliere federale Angela Merkel, ma anche a José Manuel Barroso, Presidente della Commissione.

(Applausi)

 
  
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  Angela Merkel, Presidente in carica del Consiglio.(DE) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, onorevoli deputati al Parlamento europeo, sono lieta di poter tornare a far visita all’Assemblea, questa volta a Bruxelles. Siamo giunti pressappoco a metà del mandato della Presidenza tedesca, e dopo lo scorso fine settimana credo che possiamo dire di aver compiuto un significativo passo avanti nell’assolvere i due principali compiti che tutti abbiamo di fronte per questo semestre.

Il primo è quello della politica in materia energetica e climatica, in merito al quale il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha già riferito in quest’Aula. A questo punto, vorrei soltanto ribadire che nell’ambito chiave della politica energetica e climatica il Consiglio è riuscito a formulare conclusioni importanti sulla base delle proposte della Commissione, dimostrando così la capacità di agire dell’Unione in questo campo. Il motivo per cui questo è tanto importante è che l’Europa, com’è certamente noto, potrà avere un ruolo di punta in quest’ambito solo se saprà porsi obiettivi ambiziosi. Senza dubbio sappiamo che si dovrà lavorare di più per raggiungere tali obiettivi, ma, in fin dei conti, si tratta di un fatto consueto nell’attività politica quotidiana: si fa un passo e, se questo va a buon fine, ne seguono altri. Tuttavia, lo spirito con cui siamo riusciti ad accordarci su un incremento del 20 per cento dell’efficienza energetica entro il 2020 e sugli obiettivi vincolanti di aumento al 20 per cento della quota di energie rinnovabili sul consumo totale deve permetterci sia di presentarci uniti ai futuri negoziati internazionali che di scomporre queste cifre in obiettivi per i singoli Stati membri, il che rappresenta il nostro prossimo compito. Pertanto colgo l’occasione per chiedere il supporto dell’Assemblea. Abbiamo già ottenuto un grande sostegno su questo fronte e, con il vostro incoraggiamento, sono certa che il Consiglio sarà in grado di formulare le necessarie conclusioni.

(Applausi e commenti)

Vi invito a considerare il secondo e fondamentale passo avanti che abbiamo compiuto lo scorso fine settimana. La dichiarazione di Berlino ha messo in luce, da un lato, quanto l’Unione europea sia una storia di successo, ma anche, dall’altro, quali importanti compiti tutti noi dobbiamo ancora affrontare insieme.

Innanzi tutto vorrei ringraziare di cuore il Presidente dell’Assemblea, Hans-Gert Poettering, e tutti i capigruppo, perché aver ottenuto il sostegno del Parlamento, della Commissione e dei membri del Consiglio per la dichiarazione di Berlino rappresenta un grandissimo successo. Credo che l’idea della dichiarazione di Berlino quale risultato comune sia importante di per sé, perché dimostra l’impegno a lavorare insieme per il futuro dell’Europa da parte di tutti coloro che vi partecipano. Considerando la dichiarazione di Berlino, ci rendiamo conto che ne è parte integrante la definizione dei nostri valori comuni. Vi si afferma inoltre, in termini molto ambiziosi, che condividiamo un ideale di società europea e che lavoreremo insieme per realizzarlo. Questo ideale di società europea si fonda su valori che ci stanno a cuore: i valori di libertà, solidarietà e giustizia. Ogni giorno ci viene ripetutamente chiesto come intendiamo concretizzarli, ed è per questo che sono rimasta molto commossa per come si è aperta l’odierna seduta dell’Assemblea, con una dichiarazione a chiare lettere da parte del Parlamento e dei suoi membri su quanto sta accadendo nello Zimbabwe. Nel mio discorso di domenica a Berlino ho sottolineato che il destino degli abitanti del Darfur non deve lasciarci indifferenti.

(Applausi)

Non possiamo minimizzare il problema, ma dobbiamo agire. La Presidenza del Consiglio farà tutto il possibile per far approvare risoluzioni più severe in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, quale strumento per compiere finalmente progressi su questo fronte, ma, se la cosa si rivelasse impossibile per quanto concerne il Consiglio di sicurezza, dobbiamo pensare alla possibilità di sanzioni imposte dall’Unione europea, perché dobbiamo agire e affrontare questo problema.

(Applausi)

Domenica ho altresì spiegato che siamo al corrente che il 25 marzo è l’anniversario dell’indipendenza in Bielorussia e che noi – credo tutti – volevamo dire agli amici bielorussi che anche loro hanno il diritto di vedere gli ideali europei diventare realtà, e che nel percorrere questa strada godranno del nostro deliberato sostegno.

(Applausi)

Coglierei l’occasione che mi si presenta oggi pomeriggio in quest’Aula per dire chiaramente all’Iran che l’Unione europea reputa del tutto inaccettabile l’arresto e la detenzione di 15 marinai britannici. Anche in questo caso, la nostra solidarietà con gli amici britannici è assoluta.

(Applausi)

Questo dimostra anche che siamo forti quando ci presentiamo uniti. Vi sono molti risultati che possiamo raggiungere solo insieme. D’altra parte, questo significa che, se gli Stati membri dell’Unione europea devono sentirsi l’uno responsabile dell’altro nei momenti difficili, dobbiamo collaborare nel maggior numero possibile di campi. Non ci possiamo aspettare integrazione, sostegno nelle situazioni difficili né solidarietà se ciascun paese non è pronto, in una certa misura, a tener conto degli interessi degli altri. Questo è il principio che deve guidarci in tutte le difficili decisioni politiche che ci aspettano.

Nella dichiarazione di Berlino abbiamo rivolto lo sguardo al futuro, dicendo di voler fare due cose. In primo luogo vogliamo dare all’Unione europea una “base comune rinnovata” entro il 2009 e, benché sia consapevole del parere favorevole di un’ampia maggioranza dell’Assemblea, che desidero ringraziare per il suo sostegno, vorrei ribadire ancora una volta che se alle elezioni del Parlamento europeo del 2009 non potessimo dire ai cittadini di poter allargare l’Unione, non sapessimo dir loro il numero esatto dei membri della successiva Commissione, né assicurare loro che la responsabilità della politica energetica fosse in mani europee e che, in materia di sicurezza interna e di politica giudiziaria, la nostra collaborazione si fondasse su decisioni prese a maggioranza, nel modo reso necessario dalle circostanze…

(Applausi)

… tali elezioni non farebbero altro che aumentare la distanza tra le Istituzioni e i cittadini europei. Per questo motivo è fondamentale che tutti diamo prova di saper trovare soluzioni comuni. I tedeschi hanno ricevuto il mandato di presentare una tabella di marcia al riguardo. Vorrei sottolineare subito che non troveremo una soluzione al problema, ma che questa tabella di marcia dovrà indicare la direzione da prendere. A tal fine lavoreremo con tutte le nostre forze, ma vorrei chiedere all’Assemblea di continuare a sostenerci in questo processo, perché vi assicuro che ci occorre tutto l’aiuto possibile.

(Applausi)

Ora che, con la dichiarazione di Berlino, abbiamo esposto i futuri compiti dell’Unione, abbiamo molti impegni da portare a termine prima del Consiglio di giugno. Vorrei spiegare brevemente di che cosa si tratta, ma non prima di aver detto quanto sono lieta del fatto che si possa già parlare di alcuni risultati positivi, grazie alla notevole disponibilità al compromesso da parte di tutti gli Stati membri. E’ positivo – e soprattutto, è nell’interesse dei cittadini – che ora l’Assemblea possa discutere di tariffe di roaming, che i trasferimenti di denaro tra paesi europei siano più semplici, che con il vostro aiuto si siano potuti concedere finanziamenti all’agricoltura, e che si siano fatti progressi per quanto riguarda il cosiddetto accordo “Cieli aperti”, ossia per il miglioramento del traffico aereo tra Europa e America. E’ sulla base di simili questioni pratiche che i cittadini ci giudicano, e perciò mi compiaccio dei progressi che abbiamo saputo compiere al riguardo, e mi auguro che otteniamo altri risultati concreti prima che la Presidenza esaurisca il suo mandato.

Ora ci aspettano tre importanti Vertici. Il primo è il Vertice UE-USA del 30 aprile, nel corso del quale intendiamo approfondire il tema del partenariato economico transatlantico. I progressi compiuti nell’ambito del traffico aereo sono di buon auspicio, ma sappiamo che potremmo creare una sinergia molto più cospicua tra l’Europa e gli Stati Uniti d’America. Vorrei ringraziare davvero di cuore la Commissione e i deputati al Parlamento che sostengono questa nostra impresa. La questione del partenariato economico transatlantico ha ricevuto nuovo impulso, e confidiamo di poter considerare il Vertice di fine aprile un incontro in cui si saranno ottenuti risultati davvero concreti.

Per quanto riguarda il secondo argomento che intendo affrontare, è fuor di dubbio che la questione dell’energia e del cambiamento climatico sarà all’ordine del giorno di questo Vertice. Sappiamo che l’Unione europea ha idee molto ambiziose al riguardo, e tenteremo di promuoverle e di farle accettare in tutto il mondo. Sono certa che le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo saranno con noi solo se i paesi industrializzati fisseranno insieme obiettivi ambiziosi. Per questo cercheremo di ottenere consensi a favore di queste idee. Dico deliberatamente “cercheremo” perché, come tutti sapete, si tratta di un’impresa immane. In questa fase non possiamo eccedere nelle promesse.

Inoltre – benché la questione non sia direttamente collegata – considereremo il Vertice UE-USA un’occasione per svolgere alcuni lavori preliminari al Vertice del G8 che si terrà a giugno a Heiligendamm, in Germania, e noi – cioè la Presidenza tedesca del G8 – abbiamo fatto in modo che all’inizio di maggio vi sia un incontro degli sherpa, ossia non solo degli Stati membri, ma anche dei cinque cosiddetti Stati outreach, cioè Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica, nel corso del quale si discuterà degli aspetti tecnologici del cambiamento climatico, in particolare allo scopo di scambiare nuove tecnologie e innovazioni, e in modo da preparare il Vertice del G8 specificamente sul tema del cambiamento climatico e dell’energia.

Sempre a maggio vi sarà anche un Vertice UE-Russia. Non solo il partenariato transatlantico, ma anche quello strategico con la Russia è per noi essenziale. Mi auguro che saremo in grado di superare gli ostacoli che impediscono alla Commissione di sedersi al tavolo negoziale con la Russia – ringrazio la Commissione per l’eccezionale impegno e dedizione al riguardo – perché i negoziati per un nuovo accordo di partenariato sono di certo essenziali, soprattutto in materia di sicurezza energetica e di partenariato per l’energia. Per questo il Vertice UE-Russia, che si terrà a Samara, in Russia, è della massima importanza.

Vi sarà poi un ulteriore Vertice, questa volta tra Unione europea e Giappone, che intende affrontare innanzi tutto la questione di come migliorare la cooperazione economica, perché i cittadini europei ci giudicheranno in quanto rappresentanti dell’Europa dalla nostra capacità di tutelare per i prossimi decenni ciò che ha reso forte l’Europa: una comunità di valori, una comunità di persone di cui si tutela la dignità individuale, che ha dato prosperità e coesione sociale ai cittadini.

Nel mio discorso di Berlino ho detto che abbiamo la responsabilità di portare l’Europa e i nostri ideali nel mondo e di convincere gli altri di ciò in cui crediamo. Non possiamo farlo aspettando di vedere come si evolvono le cose, isolandoci od occupandoci esclusivamente dei nostri problemi, ma possiamo riuscire solo se cerchiamo attivamente di guadagnare sostegno ai nostri valori e alle nostre idee. L’Europa può raggiungere questo risultato solo se è in grado di agire, se non si preoccupa soltanto e sempre di se stessa e se non si isola dagli altri. Per questo motivo è tanto importante che ripristiniamo al più presto la capacità di agire dell’Unione europea, in modo che l’Europa possa assicurare che i cittadini dell’UE possano aspirare a un futuro di sicurezza e libertà, perché questo è nel loro pieno diritto. Questo è lo scopo che ci unisce. Grazie dell’attenzione.

(Prolungati applausi)

 
  
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  Presidente. – Molte grazie per la sua relazione, signora Cancelliere federale e Presidente in carica del Consiglio. L’applauso dimostra che il Parlamento europeo apprezza molto il suo forte impegno per l’Europa.

 
  
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  José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei esprimere il mio favore e il mio deciso sostegno alle dichiarazioni iniziali del Presidente del Parlamento europeo su Zimbabwe e Darfur. Le violazioni dei diritti umani che vi hanno luogo sono inaccettabili. A nome della Commissione, condanno con forza tali violazioni e chiedo alle autorità dei paesi interessati di rispettare i diritti umani dei cittadini.

(Applausi)

Lo scorso fine settimana l’Europa del passato e l’Europa del futuro si sono incontrate a Berlino. Come afferma la dichiarazione, abbiamo festeggiato cinquant’anni di successi in Europa: pace, libertà e solidarietà, e più ricchezza di quanto persino il più ottimista dei padri fondatori d’Europa osasse sperare. Per una fortunata coincidenza storica, abbiamo celebrato la nostra unità a Berlino, la città che un tempo simboleggiava un’Europa divisa e che ora è emblema di questa Europa nuova, allargata e unita, con 27 Stati membri e quasi 500 milioni di cittadini. Le celebrazioni di Berlino hanno rappresentato un momento davvero entusiasmante per l’Europa. Parlo a nome di molti presenti dicendo che abbiamo sentito che lo spirito europeo era tra noi.

La dichiarazione di Berlino si è dimostrata all’altezza dell’occasione, rinnovando l’impegno delle Istituzioni europee e degli Stati membri verso i valori e gli obiettivi europei per il XXI secolo. Mi ha fatto molto piacere che la dichiarazione, proposta presentata dalla Commissione nel maggio 2006, sia diventata un elemento tanto centrale e appropriato delle celebrazioni.

Vorrei congratularmi con il Cancelliere Merkel e con la Presidenza tedesca per aver svolto un ruolo cruciale in questo grande risultato europeo. Cancelliere Merkel, credo che il suo impegno personale al riguardo, il suo background personale e la sua comprensione dell’importanza della libertà per il suo paese e per l’Europa siano stati decisivi per la creazione di quello spirito che ha regnato tra i leader a Berlino.

(Applausi)

Mi ha fatto altresì molto piacere che le tre Istituzioni europee abbiano firmato la dichiarazione. La presenza del Parlamento europeo è un segno di maturità democratica dell’Unione, che va sottolineato. Devo inoltre lodare il prezioso contributo dato dal Presidente Poettering a nome del Parlamento nel corso dei preparativi della dichiarazione di Berlino.

Oggi, dinanzi all’Assemblea, vorrei esporre due considerazioni. Innanzi tutto vorrei porre l’accento sull’esito positivo della strategia twin-track. Considerati insieme, i due Consigli europei di marzo ne rappresentano un esempio calato nella pratica. Il Consiglio europeo di primavera ha dato prova dell’impegno ad arrivare a un risultato nell’ambito dell’energia e della lotta al cambiamento climatico. La dichiarazione di Berlino ha dimostrato l’impegno a raggiungere un accordo istituzionale prima delle elezioni europee del 2009. Questo dimostra che è sbagliato ravvisare un conflitto tra l’approccio pragmatico e la visione politica. Al contrario, l’impegno verso una strategia twin-track è quello giusto. Da un lato porterà risultati e darà nuovo slancio politico alla soluzione del problema istituzionale; dall’altro, per poter ottenere risultati ancora migliori, abbiamo davvero bisogno d’Istituzioni più efficienti, più democratiche e più coerenti. Un’Europa dei risultati è una visione politica che si basa sul pragmatismo costruttivo, pensata per affrontare i problemi dei cittadini e per offrire soluzioni europee a problemi europei.

Abbiamo bisogno di un accordo sul Trattato anche per via delle grandi sfide mondiali che l’Europa affronterà negli anni a venire. Soltanto unita, e in modo più efficace, l’Unione europea potrà far fronte alle sfide del mondo globalizzato. E’ evidente che nemmeno gli Stati membri più grandi possono affrontare da soli il problema del cambiamento climatico, della sicurezza energetica o della migrazione di massa. Non possono rispondere da soli all’accresciuta competitività di questa economia globale. Dobbiamo farlo insieme con autentico spirito di solidarietà. Credo che questo sia il messaggio di Berlino e che ora questo messaggio si sia tradotto nell’impegno equivalente di trovare una soluzione alla questione istituzionale prima delle elezioni del 2009.

(Applausi)

Vi è un altro motivo per cui la Commissione sostiene con decisione una soluzione istituzionale rapida, ma ambiziosa. Certamente il fallimento del processo di ratifica getta un’indelebile ombra di dubbio sull’Unione europea. Anche laddove vi siano risultati significativi, come quelli raggiunti in seno al Consiglio europeo di primavera, resta sempre questo dubbio, questo atteggiamento negativo, questo pessimismo, questo scetticismo. Ci troviamo sempre dinanzi a una domanda cui occorre dare risposta: “Come potete convincerci”, chiedono i più scettici, “della vostra serietà nell’affrontare le questioni del mondo se non siete nemmeno in grado di trovare un accordo sulle vostre stesse norme e sulle Istituzioni in cui lavorate?” Quale credibilità hanno le Istituzioni e i leader europei se non riescono a raggiungere il consenso al riguardo?

Pertanto ritengo che in quest’ambito si debbano fare progressi. Se non si riesce a trovare un accordo istituzionale, si creeranno divisioni che potrebbero minare i nostri valori comuni. La storia europea deve ricordarci che non si possono dare per scontate le grandi conquiste di pace, democrazia, libertà e solidarietà. Nessuno le deve dare per scontate. Dobbiamo costantemente alimentare i nostri progressi per quanto riguarda la politica e i valori. Se vogliamo preservare e proteggere tali valori comuni – quelli che abbiamo menzionato nella dichiarazione, la dignità inviolabile dell’individuo, libertà, giustizia e solidarietà: tutti quei valori che ci rendono non un mero mercato, ma una Comunità politica e un’Unione – dobbiamo riformare le Istituzioni della nostra Comunità giuridica.

Preservare i valori comuni è un lavoro che non si porta mai a compimento, che io chiamo “l’infinita avventura europea”. Per avere un’Europa migliore, abbiamo bisogno di Istituzioni migliori che diano risultati migliori. Penso che la volontà politica ci sia e ora dobbiamo produrre risultati anche in quest’ambito.

Nel corso dell’incontro informale al termine delle celebrazioni, ho chiesto agli Stati membri di non perdere lo slancio nei mesi a venire. Ho chiesto la collaborazione attiva dei governi nazionali. Tutti gli Stati membri hanno firmato il Trattato, che non si è potuto ratificare in seguito a due voti popolari negativi. L’impegno preso, tuttavia, obbliga tutti gli Stati membri a dare un contributo costruttivo a una soluzione comune. In qualità di Presidente della Commissione europea, è mia responsabilità rivolgermi ai governi nazionali affinché nei prossimi mesi s’impegnino in modo speciale e sostengano la Presidenza tedesca nel suo importantissimo tentativo di trovare una soluzione.

(Applausi)

Vorrei ribadire il messaggio che ho inviato ai capi di Stato e di governo europei e a Berlino. Per il futuro dell’Unione europea è importante capire che quando si parla di Europa, non si parla solo delle Istituzioni europee: la Commissione europea o il Parlamento europeo a Bruxelles o a Strasburgo. Durante la cerimonia, cui alcuni di voi hanno partecipato, ho detto che l’Unione europea non è una potenza straniera che invade i nostri paesi, ma è il nostro progetto comune. L’Europa non è “loro”, ma è “noi”. Ai capi di Stato e di governo ho detto che per chi fa politica a livello nazionale è allettante, ma scorretto prendersi tutti i meriti e dare tutte le colpe a Bruxelles. Resistiamo a tale tentazione.

(Applausi)

Questa è l’etica della responsabilità europea che tutti dobbiamo condividere.

Dopo Berlino, vi è l’impegno politico di risolvere l’impasse istituzionale. La Commissione darà pieno sostegno alla Presidenza tedesca, collaborando con gli altri Stati membri, nel tentativo di arrivare, entro giugno, a una tabella di marcia chiara e precisa e, se possibile, a un chiaro mandato. Non dimentichiamo, come ho affermato nel corso delle celebrazioni dello scorso fine settimana, che questo è il genere di prova storica che una generazione di leader politici affronta solo una volta nella vita.

Vorrei concludere con lo stesso appello che ho pronunciato a Berlino. Fieri del nostro passato, guardiamo al futuro con fiducia. Lavoriamo insieme – Commissione europea, Parlamento europeo, Stati membri e cittadini europei – per portare la grande eredità tramandataci dai padri fondatori, per portare quei grandi valori nel XXI secolo.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Molte grazie per il suo discorso, signor Presidente della Commissione. Vorrei inoltre ringraziarla per la sua collaborazione costruttiva alla realizzazione della dichiarazione di Berlino – in fin dei conti, è stata una sua idea che le tre Istituzioni rilasciassero una dichiarazione congiunta. Ancora una volta, grazie di cuore, Presidente Barroso.

 
  
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  Joseph Daul, a nome del gruppo PPE-DE.(FR) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, abbiamo appena commemorato i cinquant’anni del Trattato di Roma, e cinquant’anni equivalgono a due generazioni – non molto in termini di storia, ma un’età notevole agli occhi dei giovani.

Negli ultimi giorni si è spesso affermato che i benefici dell’integrazione europea menzionati con maggior frequenza – pace, stabilità, relativa prosperità, modello sociale – hanno poco da dire alle nuove generazioni, perché fanno parte della loro vita quotidiana. A questa osservazione vorrei addurre due repliche. Innanzi tutto i giovani devono essere coscienti che il fatto che queste cose siano divenute realtà scontate è per loro una fortuna; in secondo luogo, questa visione delle cose va contrapposta al fatto che l’instabilità del mondo moderno – come testimoniano ad esempio le tragedie dell’11 settembre a New York, dell’11 marzo a Madrid e del 7 luglio a Londra – chiarisce a tutti noi, qualunque sia la nostra età, che la vita in pace, sicurezza e con talune risorse non è una realtà quotidiana per tutti al mondo, e nemmeno nei nostri paesi. Inoltre è per me motivo di grande apprensione il pensiero dei 15 soldati britannici che sono stati presi prigionieri.

Per la pace e la sicurezza occorre lavorare ogni giorno, come illustrerà ancora una volta il dibattito che intratterremo domattina con Javier Solana.

Tentando, a pochi giorni dal mio sessantesimo compleanno, di mettermi nei panni di un giovane europeo, i vantaggi che mi è dato di vedere nell’avventura europea possono essere, ad esempio, la maggior facilità con cui posso imparare le lingue straniere e la possibilità di partecipare a scambi scolastici, tirocini, tornei sportivi ed eventi culturali – il tutto attraversando frontiere virtuali e utilizzando una moneta unica, il che non è cosa da poco. Vivere in un paese o in una città gemellata con un’altra, usufruire di programmi patrocinati dall’Unione europea e trarre beneficio più o meno diretto dalla crescita economica generata dall’Unione dei nostri paesi non sono cose trascurabili. Essere cittadino di Stati che presentano un fronte più unito dinanzi ai partner e ai concorrenti mondiali, che sono i principali donatori di aiuti umanitari, che controllano la democraticità delle elezioni in tutto il mondo e che inviano forze di pace in numerose zone di conflitto – tutto questo non lascia indifferenti.

A titolo di esempio, vorrei citare la missione civile di gestione della crisi che l’Unione europea intraprenderà in Kosovo una volta che sarà deciso il futuro statuto di questa provincia indipendentista della Serbia. Sarà un’operazione senza precedenti per i nostri paesi.

Sono tutte attività positive, soddisfacenti e meritorie agli occhi dei giovani e, a mio avviso, di tutti. E’ vero che l’Europa non è una panacea che risolve tutti i problemi, tutt’altro, ma nessuno ha mai preteso tanto. Ciò che l’UE può fare, però, e meglio degli Stati membri separatamente, è contribuire alla soluzione dei problemi, affrontare nuove sfide e riorientare le priorità.

Che ci piaccia o meno, la globalizzazione è una realtà cui non possiamo sottrarci. Possiamo anche deplorarne spesso – a torto o a ragione – gli aspetti negativi, ma la globalizzazione presenta anche vantaggi innegabili, quali la semplificazione della comunicazione e dello scambio d’informazioni e l’apertura ad altre culture, per citarne soltanto alcuni.

In questo processo di globalizzazione, l’Europa ha un ruolo da svolgere, valori da difendere e un modello di società da promuovere. L’Europa non è destinata al silenzio, non è costretta ad accettare tutto senza manifestare la propria opinione, né condannata a farsi travolgere dagli eventi. Se vogliamo, possiamo influenzare il corso della storia, come abbiamo fatto negli ultimi cinquant’anni.

Signora Presidente in carica del Consiglio, non mi lascerei mai sfuggire l’occasione di congratularmi con lei e soprattutto ringraziarla, innanzi tutto perché la sua presenza in quest’Aula tre volte in tre mesi è prova del suo rispetto per il lavoro che noi deputati al Parlamento svolgiamo. Così facendo, dà un esempio che certamente i suoi successori vorranno seguire. In secondo luogo, vorrei ringraziarla perché, organizzando – e con successo, come sappiamo – una grande festa europea a Berlino il 25 marzo per celebrare i cinquant’anni del Trattato, ha dimostrato che l’Europa non vuol dire solo tenere discorsi e legiferare, ma può voler dire anche emozione, gioia e convivialità. Infine, vorrei ringraziarla perché la dichiarazione di Berlino, che le Istituzioni europee hanno adottato, è un documento leggibile e forte che rimette in corsa l’Europa e che ci offre una nuova prospettiva proponendo di trovare una soluzione istituzionale entro le prossime elezioni, che si terranno nel 2009.

Signora Presidente, la sua determinazione nelle azioni pubbliche, insieme alla sua personale modestia e al suo calore umano, fanno onore all’Europa e contribuiscono alla sua causa. Sotto la sua Presidenza si sono tenuti due Consigli europei, il cui successo è stato universalmente riconosciuto in entrambi i casi. Per quanto riguarda la questione cruciale dell’energia e del clima, l’Europa ha indicato la strada da seguire decidendo di dotarsi degli strumenti istituzionali per affrontare queste imponenti sfide e far sentire la propria voce. E’ così che l’Europa deve funzionare e agire; è così che i nostri concittadini, e soprattutto i giovani, faranno proprio questo progetto, che è più attuale che mai.

(Applausi)

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, benché la parola “storico” si stia svalutando per l’uso eccessivo che se ne fa, non dobbiamo temere di definire “storiche” le situazioni quando lo sono davvero. La situazione in cui ci troviamo oggi è tale, e a tutti coloro che criticano la dichiarazione di Berlino chiederei che cosa pensano accadrebbe se non fosse stata scritta.

Perciò, signora Presidente in carica del Consiglio, i miei complimenti per l’ottimo lavoro svolto. Ha tenuto le carte coperte a lungo – una mossa astuta dal punto di vista tattico – e, con la dichiarazione di Berlino, ha ottenuto quel che si doveva ottenere in questo momento. Ha fatto la mossa giusta, e l’Europa ne è risultata vincitrice, ma la fase storica inizia adesso, perché ora bisogna domandarsi che cosa accadrà.

E’ perfettamente chiaro – e personalmente lo reputo deplorevole – che il Trattato costituzionale non entri in vigore nella sua forma attuale. E’ un fatto che dovremo accettare. Questa Costituzione non ci sarà. Questo però non deve necessariamente significare che non ne abbiamo di fatto una, anche se il Trattato non porta il nome di “costituzione”; noi tedeschi da sessant’anni abbiamo una costituzione che si chiama “legge fondamentale”, e che è eccellente.

In questa fase dobbiamo rispondere alla domanda cruciale: che ne sarà di questo continente in futuro? Vi sono alcuni che vogliono un’altra Europa, che rifiutano la revisione dei Trattati nella convinzione che il Trattato di Nizza fosse già eccessivo e che stiamo comunque procedendo all’allargamento – in ogni caso e a qualsiasi costo. A queste persone, a nome del mio gruppo e credo anche della stragrande maggioranza dell’Assemblea – voglio dire che, al contrario, il processo d’integrazione europea non è finito; deve continuare, e così vogliamo che sia.

(Applausi)

Il motivo per cui vogliamo che continui è che ne abbiamo bisogno e, a tutti coloro che vogliono l’allargamento dell’Unione europea, dobbiamo dire che senza una riforma dell’Unione e un rinnovamento dei Trattati non ci possono essere ulteriori allargamenti. Ai Presidenti Kaczyński e Klaus, dico che ostacolando la riforma dell’Unione europea arrecheranno un grave danno alla Croazia.

(Applausi)

Li invito a non far pagare agli altri lo scotto delle loro politiche.

Perché quello che stiamo facendo ha portata storica? Vorrei che i sostenitori del processo d’integrazione mostrassero il suo stesso entusiasmo, signora Presidente in carica del Consiglio. Vorrei che i sostenitori dell’integrazione europea si facessero sentire quanto i suoi oppositori. Ora bisognerebbe essere un po’ più combattivi, perché, pur reputandosi grande, l’Europa in effetti è piccola.

I 27 Stati membri ospitano 500 milioni di persone, che rappresentano l’8 per cento della popolazione mondiale, percentuale che tende a diminuire. Per quanto riguarda Cina e India, sono ormai grandi nazioni. Gli Stati Uniti godono di un potere economico e militare che li rende una superpotenza. Se l’integrazione europea non andrà a buon fine e finiremo per avere un’Europa a più velocità, se l’Europa – che è già abbastanza piccola – s’indebolirà spezzettandosi nei suoi elementi costitutivi, allora fallirà. Per questo motivo ci servono tutti e 27 gli Stati membri e l’integrazione in Europa, perché quello è il nostro futuro.

(Applausi)

Se l’Europa dovesse fallire, sarebbe la fine non solo di un Trattato costituzionale, ma anche di un ideale, e di quale ideale si tratta? Bando alla reticenza sulla natura del nostro passato, su ciò che cinquant’anni d’integrazione ci hanno permesso di lasciarci alle spalle: odio e intolleranza, l’aspirazione a diventare grandi potenze e l’emarginazione delle minoranze, l’intolleranza religiosa e la persecuzione di coloro che hanno un’opinione politica diversa.

L’integrazione territoriale ci ha permesso di porre un freno alle ambizioni di potere di alcuni; il progresso economico unito alla sicurezza sociale ha eliminato l’esclusione sociale e il concetto d’integrazione ha sconfitto l’intolleranza etnica, religiosa e culturale. E tuttavia le cose che ho descritto esistono ancora, perché odio, esclusione, oppressione e persino l’aspirazione a dominare gli altri hanno fatto ritorno nell’Unione, non solo in quella orientale, ma in tutta l’Europa.

Questi elementi tornerebbero nell’Unione per nulla sminuiti se interrompessimo il processo d’integrazione. Per questo il richiamo alla battaglia va a coloro che, sotto la guida della Presidente in carica del Consiglio, Angela Merkel, lottano per la prosecuzione del processo d’integrazione e per un’Unione più profonda, a coloro che si dedicano ai valori europei, quei valori che ci hanno resi forti e un esempio per gli altri, perché non possiamo permettere che la Commissione, nel corso dei negoziati con altri Stati, dica loro: “Se vuoi aderire all’Unione europea, deve sottoporti a un processo di trasformazione, un processo che annulla tutto ciò che per te era valido finora, ma noi – quelli che te lo chiedono – non siamo in grado di riformarci”. Come possiamo essere credibili se questa è la situazione?

(Vivi applausi)

Le circostanze in cui ci troviamo oggi sono storiche, e lei, signora Presidente in carica del Consiglio – anche se devo ammettere che per me, che sono un socialdemocratico tedesco, non è cosa facile da dire – in patria troverà i socialisti al suo fianco lungo questa strada.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, onorevole Schulz. Il Presidente non è stato del tutto corretto. In futuro, le chiederei di prendere ad esempio non tanto la durata del discorso, ma soprattutto la qualità. Per motivi di obiettività, il Presidente non può spingersi oltre.

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signora Cancelliere, mi congratulo per i risultati conseguiti, cioè per il testo prodotto e il consenso ottenuto.

La sua celebrazione dei successi dell’Unione è stata tempestiva e adeguata. E’ soprattutto all’Unione europea che dobbiamo la sicurezza, la prosperità e le opportunità di cui godono i nostri cittadini.

Mentre eravamo al Historisches Museum di Berlino, domenica mattina, due cose mi hanno colpito. In primo luogo il suo gesto ispirato di ingaggiare per l’occasione l’Orchestra giovanile europea, che è ottima e merita un sostegno finanziario migliore. In secondo luogo, delle 31 persone sul palco – capi di Stato e di governo, Presidenti delle Istituzioni e altri – lei era l’unica donna, il che mi ha ricordato una strofa del poeta Robert Burns:

“Mentre l’occhio dell’Europa è fisso su cose imponenti,

Il destino degli imperi e la caduta dei re;

Mentre ciascun ciarlatano di Stato produce i propri piani,

E persino i bambini balbettano i diritti dell’uomo;

In questo gran trambusto permettetemi di dire

Che i diritti della donna sono degni d’attenzione.”

Signora Cancelliere, lei ci ha dato l’esempio: abbiamo bisogno di più donne ai massimi livelli della politica.

(Applausi)

In effetti, data la situazione attuale, solo una donna sarebbe riuscita a trovare un accordo.

Non posso però congratularmi con lei per la procedura che ha scelto: un testo elaborato negli antri più reconditi del Bundeskanzleramt e sottoscritto dai Presidenti delle tre principali Istituzioni non avrebbe dovuto avere l’ardire di esordire con “Noi cittadini dell’Unione europea”. Infatti sono proprio i cittadini dell’Unione a dover essere di nuovo coinvolti nel lavoro di costruzione dell’Europa. Il Presidente Barroso a ragione ha affermato che le Istituzioni devono rispettare la diversità, ma che gli Stati membri devono promuovere l’unità. In troppo poche capitali europee sono stati replicati i festeggiamenti solenni di Berlino. Fino a quando i suoi colleghi in seno al Consiglio non sosterranno attivamente la causa dell’Europa, ogni giorno, non esisterà alcuna base solida.

Né aiuta, signora Cancelliere, che il Partito popolare europeo, il suo partito, rivendichi tutto il merito per aver creato l’Unione. Gli estensori di questa vanagloriosa dichiarazione del PPE lodano giustamente Monnet, De Gasperi e Kohl, ma hanno quanto meno una memoria selettiva. Thatcher, Chirac, Berlusconi: anche loro erano tutti leader del Partito popolare europeo, ma lei sembra averne trascurato i contributi. L’Unione non è il progetto di un solo partito politico. Appartiene a tutti.

(Applausi)

Ci auguriamo, Cancelliere, che la dichiarazione di Berlino sia foriera di un nuovo corso. Contiamo sulla Conferenza intergovernativa, che lei ha fissato, affinché getti le basi del futuro dell’Unione. Nella nuova Europa, l’Europa che Berlino prefigura, l’Unione aiuta i cittadini a cogliere le opportunità della globalizzazione e si dimostra solidale con loro nell’affrontare le nuove sfide globali; nella nuova Europa, la democrazia ha la meglio, e i nostri valori hanno l’ultima parola.

(Applausi)

 
  
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  Cristiana Muscardini, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signora Presidente del Consiglio, Berlino è stato un momento di grande emozione, specie per chi come me siede in questo Parlamento dal 1989, l’anno che ha segnato la nuova nascita dell’Europa. La dichiarazione riconosce che l’Europa è un’Unione di Stati e non un nuovo Super-Stato e il riconoscimento dell’identità dei popoli dell’Unione, delle loro differenze nella comunione di intenti è la forza che ci permette di riprendere il percorso per raggiungere quell’unione politica che ancora ci manca.

Siamo dispiaciuti che non sia stato possibile il pieno riconoscimento delle nostre radici: proprio perché siamo fermamente convinti della laicità delle istituzioni, siamo altrettanto persuasi che, senza il riconoscimento di tutte le nostre radici, vi sia un impoverimento politico. Nella nostra società complessa, multiculturale e multietnica, con visioni diverse del concetto di democrazia per il raggiungimento della pace, che va di pari passo con il riconoscimento universale del rispetto della dignità della persona, è necessario che ogni cultura dialoghi con le altre e per il riconoscimento degli altri il presupposto è il riconoscimento di sé, dal quotidiano degli individui a quello degli Stati.

Siamo fermi nel riaffermare il pericolo di qualunque teocrazia e ugualmente di un esasperato laicismo, che lentamente distrugge nei singoli e nella politica i valori qualificanti della società. Siamo preoccupati della confusione che troppi fanno fra il concetto imprescindibile di laicità delle istituzioni e l’accettazione di un relativismo culturale e politico che porta al laicismo esasperato.

Siamo contrari ad un’Europa che sia solo mercato e a quelle pseudoculture che spingono i cittadini a cercare una vita virtuale da sostituire, per incapacità o paura, alla vita reale. Vogliamo un’Europa politica capace di ispirare la voglia di democrazia laddove nel mondo milioni di donne e uomini ancora subiscono la mancanza di libertà e di legalità.

L’Europa ha bisogno al più presto di istituzioni agili e definite, perché è oggi che il terrorismo è alle porte ed è oggi che ci serve la capacità di identificare e realizzare subito le nostre missioni – come abbiamo affermato nella Convenzione europea – missioni che l’Europa ha verso se stessa e verso il resto del mondo: dalle risorse energetiche a quelle idriche, dai cambiamenti climatici al riaffermare la dignità della persona.

Temiamo che la data del 2009 sia troppo lontana ma ad impossibilia nemo tenetur, anche se siamo così consapevoli del forte e convinto impegno della Presidenza tedesca e della grande capacità del Cancelliere Merkel di sapere a un tempo mediare e persuadere, che abbiamo qualche speranza che questi tempi si possano accorciare.

 
  
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  Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, volevo immediatamente far presente ai colleghi Watson e Daul, e agli altri, che c’è un metodo semplicissimo per avere più donne: la copresidenza. Nel gruppo Verts/ALE ci siamo riusciti – funziona benissimo – e ve la consiglio vivamente.

Ci rallegriamo molto, Signora Cancelliere, della dichiarazione di Berlino. Ci sono dei momenti nei quali la solennità, la retorica, la formalità hanno un senso e i 50 anni dalla creazione della Comunità europea sono sicuramente una di queste occasioni, anche perché per arrivarci sono morte tantissime persone ed è stata una battaglia molto dura e un lavoro alquanto lungo.

Siamo anche consapevoli del suo ruolo e di questo le siamo grati – anche se penso che tutto ciò rientri in qualche modo tra i suoi doveri – e siamo lieti di constatare che in questo caso, a differenza di altri – voglio assolutamente citare l’energia, le automobili, ecc. – la Presidenza tedesca abbia dimostrato un senso europeo sicuramente all’altezza della situazione.

Credo che il messaggio sia passato e che l’opinione pubblica abbia capito che questi 50 anni sono un traguardo positivo e che bisogna continuare nell’impresa. Certo, il popolo europeo non si è curato più di tanto del testo della dichiarazione né di quanto sia costato mettere insieme queste due belle “paginette”, in cui in realtà non c’è niente di particolarmente straordinario od originale. Piuttosto, a mio avviso, è ciò che è stato omesso dalla dichiarazione in oggetto a dimostrare l’esistenza di una situazione di profonda divisione in seno ai governi – insisto, ai governi – per quello che riguarda il futuro dell’Europa, divisione che non fa presagire nulla di buono per il lavoro che l’attende, Signora Cancelliere, nei prossimi mesi.

Noi sappiamo benissimo che il sogno di un’Unione europea ancora non è stato realizzato; che nel Darfur non possiamo ancora intervenire come Unione europea perché siamo divisi; che la politica energetica – ahinoi – per molti governi significa soprattutto prostrarsi davanti al Presidente Putin; che non sappiamo definire una politica originale rispetto agli Stati Uniti e che per tutto questo ci serve un’Unione europea forte, dotata di una costituzione.

Signora Cancelliere, se l’obiettivo del resto della Presidenza è quello di uscire dall’impasse nella quale ci troviamo, non possiamo assolutamente farci illusioni: il metodo puramente intergovernativo non funzionerà, né funzionerà il metodo della dichiarazione di Berlino, giacché non riusciremo, in una riedizione della notte di Nizza delle conferenze intergovernative, a trovare un accordo che sia in grado, come lei ha detto, di salvare la sostanza della costituzione.

Per questa ragione le rivolgiamo un appello: abbia il coraggio di rischiare la democrazia e il coraggio di autorizzare l’apertura della conferenza intergovernativa, lasciandovi entrare il Parlamento europeo attraverso una procedura di codecisione e “di navetta”, di pubblicità, di dibattito; i cittadini europei vogliono più Europa e non meno Europa ma i loro governi non sempre lo sanno dimostrare. Rifiuti pertanto l’idea che soltanto una conferenza intergovernativa possa farci arrivare a un risultato, perché non ci riuscirà, non salveremo la sostanza della costituzione ma avremo in mano soltanto un pugno di mosche.

 
  
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  Gabriele Zimmer, a nome del gruppo GUE/NGL.(DE) Signor Presidente, signora Cancelliere, onorevoli colleghi, al giorno d’oggi, quando parliamo del sogno europeo, in genere citiamo l’americano Jeremy Rifkin. In ogni caso, i capi di Stato e di governo dell’Unione e i loro sherpa non hanno sognato, e certo non insieme.

La dichiarazione di Berlino non descrive un sogno né rispecchia la realtà; al contrario, rappresenta l’ulteriore rifiuto della realtà, che impedisce ai capi di Stato e di governo di distinguere con chiarezza la crisi in cui versa l’Unione europea, il che comporta, naturalmente, che nessuna iniziativa offra una via d’uscita. Di conseguenza, il rischio di disintegrazione e di rinazionalizzazione continua ad aumentare. Non viene respinta l’area di libero scambio neoliberista, deleteria dal punto di vista sociale e ambientale, né l’ulteriore militarizzazione dell’Unione.

La dichiarazione non proferisce parola circa le condizioni dei milioni di cittadini comunitari colpiti da povertà, disoccupazione di lungo periodo, precarietà ed esclusione sociale. Non se ne fa menzione. Il messaggio della dichiarazione si rivolge solo ai governi, non ai cittadini degli Stati membri, e quindi non si può dire che contribuisca alla creazione di un’identità europea. I commentatori hanno detto che questa è una prova del nove per il processo costituzionale, come altri hanno affermato in linea di principio quest’oggi. Il che, tradotto, significa che la futura Costituzione, o Trattato fondamentale, sarà frutto di manovre diplomatiche segrete, senza alcuna partecipazione da parte della società civile. Dopodiché si tratterà solo di fare pressioni sui capi di Stato e di governo – e alcuni dei miei colleghi tedeschi minacciano di abbandonare il Parlamento se tali capi non rigano dritto. A mio avviso, si tratta di un’idea estremamente democratica – dico davvero.

Se i governi dell’Unione europea intendessero seriamente mantenere la promessa di dare all’Unione una base comune nuova e attuabile entro le elezioni del 2009, si dovrebbe fare quanto segue. Tutti i brani che insistono sulla liberalizzazione economica, la privatizzazione e la militarizzazione andrebbero eliminati dall’intero progetto di Costituzione europea. Bisognerebbe aprire un dibattito sull’Unione europea, come auspica la maggior parte dei suoi cittadini. La Parte III dell’attuale progetto di Costituzione andrebbe eliminata completamente. I dettagliati obiettivi e criteri politici andrebbero sostituiti con norme chiare su poteri, responsabilità e procedure, che danno spazio a politiche diverse. L’articolo I, paragrafo 41, punto 3 andrebbe sostituito dall’esplicito divieto delle guerre di aggressione e da una dichiarazione d’impegno per il diritto internazionale, e l’Agenzia europea per la difesa, che ha già aperto i battenti anticipando il Trattato costituzionale, andrebbe chiusa.

 
  
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  Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM.(DA) Signor Presidente, signora Cancelliere Merkel, i pubblici festeggiamenti nelle strade di Berlino sono stati meravigliosi, ma la loro nota dominante è stata un euronazionalismo formale e pomposo. Il Cancelliere Merkel ha tenuto un buon discorso. Il nostro Presidente, Hans-Gert Poettering, ha firmato un documento a nome mio e dei colleghi deputati, anche se non ce n’era ancora stata mostrata la formulazione e non avevamo avuto l’opportunità di influire su di essa. Un fatto simile non deve mai più accadere. Il Parlamento europeo non deve partecipare alla preparazione di documenti che i deputati possono vedere solo ad approvazione avvenuta.

La clausola più importante è l’ultima, con il suo impegno ad adottare una nuova Costituzione che possa entrare in vigore prima delle elezioni europee del giugno 2009. La Germania vuole che la Costituzione venga ritoccata. Vi è il desiderio di cambiarne il nome e forse di eliminare i riferimenti testuali alla bandiera e all’inno, ma non la bandiera e l’inno in sé. La Parte II verrebbe eliminata, e questo al fine di adottare i diritti comuni fondamentali con un riferimento di due righe. Alla Parte III verrebbe apportata una manciata di emendamenti, in modo da poter presentare la Costituzione come un piccolo e insignificante emendamento ai Trattati esistenti, ma i contenuti fondamentali sarebbero identici a quelli respinti dagli elettori francesi e olandesi.

Pertanto tutte le forze democratiche ora devono unirsi nel chiedere lo svolgimento di referendum sul prossimo Trattato in tutti i paesi e – perché no? – nello stesso giorno. In tal modo i nostri leader sarebbero costretti a ideare un documento che possa ottenere l’approvazione degli elettori, e il futuro Trattato darebbe maggior potere agli elettori anziché sottrarglielo, come fa la Costituzione. Il nocciolo della questione è che, naturalmente, in 59 aree si passa dal voto all’unanimità a quello a maggioranza qualificata, cioè dal voto all’unanimità, in cui gli elettori di ciascun paese hanno l’ultima parola, al voto a maggioranza qualificata, che si tiene a porte chiuse a Bruxelles, tra funzionari, ministri e lobbisti. Questo è l’ordine del giorno: troppo Machiavelli e troppo poco Montesquieu. Grazie, signor Presidente, anche se in questo caso non c’è nulla di cui ringraziarla.

 
  
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  Bruno Gollnisch, a nome del gruppo ITS.(FR) Signor Presidente, cinquant’anni fa il Trattato di Roma è stato concluso tra paesi in cui il livello di protezione sociale era comparabile e che, benché ricchi di culture diverse, condividevano anche una civiltà comune. Il principio alla base di tale Trattato era quello della preferenza comunitaria, che garantiva ai nostri produttori, e in particolare ai nostri agricoltori, prezzi più alti di quelli dei mercati mondiali.

Tale Trattato è completamente uscito dai binari; la preferenza comunitaria ha ceduto il passo a un’invasione di prodotti extraeuropei; la deindustrializzazione sta costando all’Europa centinaia di milioni di posti di lavoro, e sulla testa di agricoltura e servizi pende una grossa scure. Aprendo sconsideratamente le frontiere, l’Europa ha creato disoccupazione, insicurezza lavorativa e povertà, problemi di cui non si fa menzione nella dichiarazione di Berlino, che è un monumento al cinismo e all’autocompiacimento, completamente avulso dalla realtà e dai popoli, privo di contenuti, materiali o spirituali, da offrire all’Europa. Come ha commentato Papa Benedetto XVI in persona, riesce persino a sorvolare sulle radici cristiane dell’Europa; a questo serviva l’accordo del Presidente cristiano-democratico dell’Assemblea e del Presidente cristiano-democratico del Consiglio?

Quest’Unione non è più democratica; l’Istituzione internazionale sta diventando un superstato, uno Stato respinto dall’opinione pubblica. Quest’ultima lo ha cacciato dalla porta, ma ora tentate di farlo rientrare dalla finestra. Nulla di tutto ciò ha qualcosa da spartire con l’autentico spirito europeo, e noi non accorderemo il nostro sostegno a questi sviluppi imprevisti.

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Signor Presidente, se si elimina tutta la verbosità autocelebrativa, in realtà questa dichiarazione di Berlino in molti settori presenta ben poca sostanza. Seguendo il principio centrale del Trattato di Roma di assicurare un’Unione sempre più stretta, che la dichiarazione dovrebbe celebrare, molti euroentusiasti l’avevano considerata una pietra miliare importantissima per il rilancio della Costituzione respinta. Quando però è arrivata, dopo tanta segretezza, la dichiarazione non è stata nemmeno in grado di menzionare la Costituzione. Ha invece diffuso molte delle vecchie insulsaggini sul fatto che l’UE è il motore di pace dell’Europa. A mio avviso, la NATO, non l’Unione, può prendersi la maggior parte del merito per la difesa, il ritorno e la promozione della libertà e della democrazia in Europa.

L’idea di cooperazione europea non è in discussione. Sono il mezzo e lo scopo ultimo a dividere. Gli euroscettici credono nei benefici della cooperazione volontaria reciproca tra Stati nazionali sovrani. Quello che respingiamo è che tale cooperazione venga orchestrata da un’Unione europea avida e accentratrice allo scopo d’imporre ai cittadini di tali Stati nazionali un’integrazione politica che non vogliono. Questa dichiarazione tende a tale obiettivo, e ha pertanto un difetto di fondo.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Allister, ci congratuliamo con lei, in qualità di rappresentante del suo paese natale, per il governo dell’Irlanda del Nord.

 
  
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  Hartmut Nassauer (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora Presidente in carica del Consiglio, quello che la sua Presidenza fa per noi europei è infondere coraggio, poiché, per la prima volta in un lungo arco di tempo, abbiamo l’impressione che l’Europa possa davvero uscire dal vicolo cieco cui ci ha portato la mancata ratifica del Trattato. Non ci verrà chiesto di lavorare a una nuova Costituzione, ma il modo in cui l’Unione europea è costituita andrà adattato alla nuova situazione. Fin qui non vi è alcun dubbio. A tal fine occorreranno coraggio e la leadership di cui ha già dato prova. Lungo questo percorso, godrà del nostro ininterrotto sostegno.

Non dovrà però convincere solo i capi di Stato e di governo della bontà di quest’impresa, per quanto sia difficile. Dovrà anche riaccendere l’entusiasmo dei popoli europei per l’Unione europea, che rischia di perdere la fiducia dei cittadini – anzi, probabilmente l’ha già persa. Sorge il dubbio se l’integrazione che l’onorevole Schulz ha lodato sia la formula giusta; anche se devo dire che concordo con questo approccio di base e credo che l’integrazione sia al centro dello stile di vita europeo, una maggiore integrazione non ci darà il sostegno degli europei, e perciò la invito, signora Cancelliere federale, a farsi portavoce di coloro che, benché europei convinti e favorevoli all’approccio dell’integrazione, non sono proprio soddisfatti della percezione che si ha di questa Unione europea.

La fonte dell’inquietudine, della distanza cui lei stessa ha fatto riferimento, è l’approccio eccessivamente normativo alla legislazione, che fa sì che il cittadino comune percepisca le decisioni prese in questa sede come vessazioni da parte di Bruxelles. Se lei, Presidente della Commissione, vuole un esempio al riguardo tratto dalla sua area di responsabilità, raccomando lo studio, prima di andare a dormire la sera, della direttiva sulla protezione del suolo; le posso assicurare che le darà gli incubi. Anche se a ragione festeggiamo i successi storici dell’Unione europea, ciò che l’insoddisfazione verso di essa mette in chiaro è che all’Europa, in generale, non serve maggiore integrazione, ma frontiere – sia al suo interno che verso il mondo esterno. L’integrazione è un dato positivo, ma è diventata squilibrata, in quanto talvolta ne abbiamo troppa in patria, mentre fuori – dove i cittadini vogliono più PESC – non ve n’è abbastanza. Se ne dubita, le basti chiedersi se non è vero che un appello per il rilascio dei coraggiosi soldati britannici è molto più efficace se sostenuto dall’intera Unione europea anziché da un solo Stato membro.

L’Unione europea dev’essere liberata dalle incrostazioni con cui l’approccio integrazionista l’ha soffocata, ed è qui che il suo pensiero della discontinuità colpisce nel segno, con l’idea che un progetto di legge che non diventi legge entro la fine di un periodo legislativo venga fatto decadere. In questo modo si farà chiarezza, si spiegherà come sono distribuite le responsabilità e si creerà fiducia. Perciò, signora Cancelliere federale, l’augurio che le rivolgo è quello di riuscire a riconquistare la fiducia dei popoli d’Europa, cosa che ha l’opportunità di fare.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Nassauer, tutti dobbiamo compiere uno sforzo comune imponente, com’è nostra intenzione.

 
  
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  Edite Estrela (PSE).(PT) Signora Presidente in carica del Consiglio, parlando da socialista e da donna, vorrei anch’io congratularmi con lei, signora Merkel, per la sua Presidenza. Penso che si sia già distinta nel suo ruolo e che abbiamo bisogno di più donne in posizioni di potere decisionale.

Nei suoi cinquant’anni di esistenza, la Comunità europea ha realizzato il sogno di Jean Monnet; ha consolidato il progetto di pace, libertà e progresso e ha ampliato le proprie frontiere. Ora vi sono 27 Stati membri, mentre cinquant’anni fa – e in tempi più recenti nel caso del mio paese, il Portogallo – alcuni di questi paesi vivevano sotto il giogo della dittatura. Più pace, più democrazia, più ricchezza, la libera circolazione dei lavoratori e delle merci e una moneta unica ora adottata da 13 paesi: si tratta di un’eredità inestimabile.

L’Europa è cambiata nel corso di questi cinquant’anni, ma anche il mondo è cambiato enormemente, e con esso le esigenze degli europei. La globalizzazione, il cambiamento climatico, i problemi energetici, l’invecchiamento della popolazione, la migrazione e il terrorismo sono sfide cui bisogna trovare nuove risposte. Abbiamo la responsabilità di trovare soluzioni ai problemi del presente e soddisfare le aspettative dei cittadini. Sarà il modo migliore di promuovere la stabilità sociale e di contribuire all’equilibrio mondiale.

La pace interna e la stabilità conteranno ben poco se non si troveranno soluzioni alla guerra in Iraq, alla crisi del Medio Oriente e ai gravi problemi che hanno dinanzi i nostri vicini nell’Africa settentrionale.

La dichiarazione di Berlino rilancia giustamente la discussione sul Trattato costituzionale e impegna i 27 Stati membri a dare all’Unione europea una base comune rinnovata prima delle elezioni europee del 2009. Occorre trovare presto un consenso. Non si può negare che vi sono ostacoli, ma questa è una buona occasione affinché gli Stati membri mostrino al mondo e ai cittadini che ciò che ci unisce è più importante di ciò che ci divide. E’ l’unico modo per guadagnarci la fiducia dei cittadini.

 
  
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  Silvana Koch-Mehrin (ALDE).(DE) Signora Presidente in carica del Consiglio, innanzi tutto vorrei congratularmi con lei per due frasi contenute nella dichiarazione di Berlino, la prima delle quali dice che siamo, per nostra felicità, uniti. E’ una cosa meravigliosa da dire, in diretto contrasto con chi si lagna e dubita, con chi si lamenta sempre e solo del fatto che l’Unione europea è un qualcosa cui è obbligato a partecipare. Si tratta proprio di questo: siamo uniti per nostra felicità. Penso inoltre che questa formula piacevolmente semplice sia scritta in una chiave che arriva a tutti i cittadini.

Le porgo inoltre le mie congratulazioni per essere riuscita a fissare, nella dichiarazione di Berlino, il termine vincolante del 2009, entro cui l’Unione europea dovrà darsi una base comune rinnovata. E’ talmente preciso che nessuno dei suoi colleghi capi di governo potrà ritrattarlo senza perderci completamente la faccia.

Per quanto sia stato positivo rilasciare questa dichiarazione congiunta, devo dire che ne reputo il contenuto alquanto vago, perché non ha nulla da dirci su come dovrà essere il futuro dell’Europa né – cosa più importante – su come uomini e donne comuni vi debbano partecipare. Perciò, guardando alla seconda metà del suo mandato presidenziale, restiamo in attesa di proposte che mirino a tale scopo. Dal profondo del cuore, le porgiamo i nostri migliori auguri. Se mai avrà bisogno d’aiuto per accrescere la partecipazione dei cittadini, potrà senza dubbio contare su di noi.

 
  
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  Konrad Szymański (UEN). (PL) Signora Cancelliere, signor Presidente, i due maggiori risultati conseguiti dall’integrazione sono il mercato comune e l’allargamento. Il mercato comune ha portato prosperità agli europei, mentre l’allargamento ha offerto all’Unione una base solida in materia di relazioni internazionali. La dichiarazione di Berlino, tuttavia, anziché mettere in luce tali risultati, sembra occultarli dietro vaghe espressioni di apertura e cooperazione. Sminuire a tal punto il ruolo degli Stati membri è un grave errore. La dichiarazione è stata scritta unicamente a nome dei cittadini. Se vogliamo che l’integrazione proceda, dobbiamo attribuire maggiore importanza agli Stati membri, che sostengono l’integrazione e non le sono avversi.

Quando parla di allargamento, onorevole Schulz, la prego di non nascondersi dietro il Trattato costituzionale, il Presidente Kaczyński o il Presidente Klaus. Porre freno all’allargamento è puramente e unicamente espressione della nostra, e della sua, paura del futuro.

Questo documento è altresì offensivo in quanto non parla del cristianesimo. Si tratta di un esempio di pregiudizio che rende impossibile un’Europa di valori comuni.

 
  
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  Johannes Voggenhuber (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, oggi mi sento piuttosto insicuro di me, poiché, benché partecipi a questa Assemblea da dodici anni, non ho esperienza nel tessere le lodi delle Presidenze del Consiglio. Tuttavia il suo lavoro mi obbliga a farlo. Gli ultimi grandi europei a parlare in quest’Aula – Mitterrand e Juncker dopo la sua Presidenza del Consiglio – tendevano a collocarsi, nel loro europeismo, tra la malinconia e la disperazione. Nutro profondo rispetto per il modo in cui lei ha raccolto la sfida dell’Europa, e lo ha fatto anche se le straordinarie aspettative dei cittadini verso la sua Presidenza l’avrebbero potuta opprimere fin dall’inizio. Quel che manca alla dichiarazione di Berlino sono 26 firme, le firme dei 26 capi di Stato e di governo apposte a una dichiarazione pronunciata per un anniversario, una dichiarazione piena di ovvietà – ma la sua c’è. Lei è la prima a emergere dal meccanismo che vede i membri del Consiglio ostacolarsi, minacciarsi, mettersi i bastoni tra le ruote e tendersi trappole reciprocamente, ed è la prima ad assumersi questo impegno. Per questo merita tutto il nostro rispetto.

Avrei voluto sentire – insieme ai riferimenti ai risultati ottenuti dall’Unione europea – qualche parola in più sulla delusione delle aspettative dei cittadini e sulla crisi di fiducia nell’Unione. Mi congratulo con lei e voglio esprimerle il mio rispetto per aver scongelato il progetto costituzionale, cosa che ha dato prova di leadership: è stata una performance di prim’ordine eseguita in condizioni di estrema difficoltà.

Vi sono solo altri due aspetti che vorrei chiederle di considerare. Innanzi tutto, benché l’obiettivo che lei ha posto sia l’unico cui l’Europa possa aspirare, sorge la questione se il metodo sia quello giusto, se sia il caso che la crisi costituzionale venga superata da qualcosa in più, da un’Europa più forte e persuasiva, magari con questa o quella funzione supplementare, o democratica in modo più convincente. Il suo obiettivo è realizzabile utilizzando un metodo che si rifà ai giorni in cui i corrieri a cavallo andavano da una cancelleria di Stato all’altra, recando sempre lo stesso messaggio – le richieste e i desideri secolari dei governi nazionali?

In secondo luogo, vi è la Carta dei diritti fondamentali, e a questo proposito la scongiuro, signora Presidente in carica del Consiglio. Se la Carta dei diritti fondamentali viene separata dal Trattato costituzionale, si dividerà in due il grande movimento a favore della Costituzione, il che porterà a un risultato che per molti di noi che si sono battuti per la Costituzione sarà inaccettabile, perché i diritti fondamentali sono centrali per questo progetto europeo.

 
  
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  Presidente. – Grazie, onorevole Voggenhuber, soprattutto per il fatto che la sua cooperazione con il Presidente in seno al Parlamento ha contribuito a un risultato tanto positivo.

 
  
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  Roberto Musacchio (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Signora Merkel è sinceramente impegnata a rilanciare l’Europa ma non condivido il metodo e i contenuti con cui tenta di farlo. Si cerca di mettere fra parentesi la crisi sociale, politica, democratica e il significato del referendum francese, e si cerca di farlo puntando tutto sul metodo intergovernativo, che ha addirittura impedito ai parlamenti – a me ad esempio – la conoscenza della dichiarazione di Berlino, e sulla continuità col vecchio trattato liberista, disponibili magari ad arrivare ad una sua edizione minima.

Non si risolvono i problemi continuando sulla stessa strada che li ha creati. Occorre invece cambiare testo e contesto e puntare su democrazia e diritti, ridando la parola ai popoli e ai parlamenti, a partire dal Parlamento europeo, per riscrivere una costituzione fondata sul diritto alla cittadinanza, alla pace, al lavoro e all’ambiente e sottoporla quindi a un referendum europeo in cui ai popoli spetti l’ultima parola.

 
  
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  Vladimír Železný (IND/DEM).(CS) Signor Presidente, non molto tempo addietro ci è stato detto che né il governo ceco né il Presidente ceco sono stati informati del contenuto della dichiarazione di Berlino.

L’obiettivo di tale occultamento era forse quello di introdurre di frodo, al termine della dichiarazione, una frase che obbligava gli Stati membri ad adottare una mini-Costituzione, che non verrà denominata Costituzione in modo da evitare di dare ai cittadini l’opportunità di deciderne il destino con un referendum. La frase doveva essere apposta all’ultimo momento, dall’alto e senza consultare gli Stati membri. Tale indegno atteggiamento non si addice alla Presidenza democratica dell’Unione europea, ma è più affine a quel tipo di manipolazione politica che, come tutti ricordiamo fin troppo bene, era in uso nella parte orientale di quella che oggi è la Germania, ossia nell’ex Repubblica democratica tedesca. Alla fine, è rimasta una frase che non dice nulla e che raccomanda di dare all’Unione europea una base comune rinnovata, frase per la cui interpretazione occorreranno due anni di discussioni.

Nella Repubblica ceca abbiamo un’interpretazione chiara: “Riportiamo l’Unione ai suoi valori centrali originari, che devono ancora trovare una realizzazione. Eliminiamo il deficit democratico e assicuriamo la libera circolazione dei lavoratori e dei servizi. Riformiamo la politica agricola, che discrimina i nuovi Stati membri. Rinunciamo infine a produrre una mole infinita di regolamenti e lasciamo che le cose seguano il proprio corso naturale.” Grazie, signor Presidente.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signora Cancelliere federale, Presidente Barroso, ringrazio il Cancelliere federale e il Presidente per le loro parole.

(EN) Innanzi tutto vorrei riconoscere l’importanza storica del cinquantesimo anniversario della firma del Trattato di Roma.

Qualunque sia la nostra opinione dell’Europa che vogliamo vedere realizzata, penso che tutti dobbiamo essere lieti di alcuni risultati significativi conseguiti dall’Europa negli ultimi cinquant’anni. Abbiamo contribuito allo sviluppo di relazioni amichevoli tra Stati membri che fino a tempi storicamente recenti erano nemici. L’Europa ha offerto un forum in cui i governi eletti democraticamente possono prendere decisioni fondate sul dialogo. Abbiamo visto l’evoluzione di un mercato unico europeo, che ha offerto nuove opportunità economiche ai nostri popoli, e l’allargamento del 2004 ha sanato le restanti divisioni. Credo che tutti possiamo guardare con favore a questi e ad altri risultati.

Ciononostante, ora dobbiamo pensare al futuro. Oggi, agli occhi di molti, soprattutto nel mio paese, l’Unione europea incarna i concetti di distanza e burocrazia. Ci vedono ancora come un ente iperregolamentato che s’intromette in troppe questioni, che dovrebbero essere territorio esclusivo degli Stati nazionali. I cittadini vogliono che in Europa vi sia cooperazione, ma non capiscono perché i politici in seno al Parlamento europeo dedichino così tanto tempo alle questioni costituzionali e istituzionali. I cittadini ci chiedono che cosa intendiamo fare per contrastare il cambiamento climatico globale, per combattere la piaga della povertà nel mondo e per rendere il nostro continente più competitivo di fronte alla globalizzazione. Vogliono che otteniamo risultati concreti e che non ci soffermiamo eccessivamente sulle procedure.

Potrà anche essere necessario migliorare il funzionamento dell’Unione europea mediante le modifiche al Trattato, ma questo non implica necessariamente una Costituzione nuova e complessa.

Nel XXI secolo abbiamo bisogno di maggiore flessibilità e decentramento per permettere alle nostre economie di affermarsi nei mercati internazionali. Non ci serve più regolamentazione: ce ne serve di meno. Non necessariamente ci servono più votazioni a maggioranza per contrastare il cambiamento climatico o la povertà nel mondo; ci serve una cooperazione intergovernativa più efficace.

Costituzioni e istituzioni di per sé non generano prosperità, non rendono le nostre economie più competitive, non riducono le emissioni di CO2 e non danno da mangiare agli affamati nel mondo in via di sviluppo. Invito tutti i governi e la Presidenza a proseguire l’impresa, che hanno iniziato con il piede giusto, di giungere a risultati concreti in materia di contenuti politici.

 
  
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  Presidente. – Grazie, e auguri per il suo corso di tedesco.

 
  
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  Bernard Poignant (PSE).(FR) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, la dichiarazione mi ha riportato alla mente alcuni personaggi europei, come Robert Schuman, perché lei ha usato il suo stesso metodo, cioè quello di redigere la dichiarazione nella più totale segretezza, che può essere un approccio molto proficuo. Altro motivo per cui ho pensato a lui è che, pur avendo un padre francese, era cittadino tedesco perché nato durante la guerra; sua madre era lussemburghese, e il francese era solo la sua terza lingua, e tuttavia andò a finire che divenne Presidente in carica del Consiglio. Ripenso anche ad Alcide De Gasperi, austriaco di nascita e parlamentare austriaco ai tempi dell’Impero austro-ungarico, prima di diventare deputato italiano.

Erano uomini di frontiera, e sono questi uomini i fautori dell’Europa, perché le frontiere sono i segni delle ferite della storia, e siamo qui perché quelle ferite non debbano mai riaprirsi.

Poi mi sono ritrovato a pensare a voi tre. Ho pensato a lei, signor Presidente, lo scriba della pace, perché appartiene alla mia generazione, è figlio dell’Europa pacificata e non immersa tra le fiamme che in precedenza la consumavano, un uomo con la sua ferita personale. Quanto a lei, signora Cancelliere, per un francese come me, lei è il Cancelliere venuto dall’altra parte del muro, da quello che ora è un percorso turistico e che un tempo era una barriera, mentre lei, Presidente Barroso, è il Presidente della libertà ritrovata, che è cambiato rispetto a quando era diciottenne, periodo in cui, dal punto di vista politico, tendeva vagamente al rosso.

Pensando a voi tre – mi piace questa dichiarazione, e poi, in fin dei conti, è un anniversario – mi sono detto: “Eppure hanno qualcosa che non va: non sono socialisti”.

Allora mi sono però ricordato delle parole di Guy Mollet, socialista e Presidente del Consiglio nel 1956: “Se vuoi fare l’Europa, non aspettare che diventi socialista”.

E poi, sì, è proprio un bel lavoro!

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, onorevole Poignant, soprattutto per i suoi commenti personali.

 
  
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  Andrew Duff (ALDE).(EN) Signor Presidente, signora Cancelliere, potreste per favore confermare che ora la Presidenza è nettamente a favore di un arricchimento anziché di un depauperamento del Trattato costituzionale, al fine di assicurarne la rapida ratifica? Sceglierete con decisione una “Costituzione più” e non un Trattato mini, minuscolo o persino microscopico? Respingerete una Conferenza intergovernativa con l’unico scopo di liberare gli Stati membri dalla promessa di promuovere i referendum?

Ricordatevi delle imprese incompiute di Laeken. Non si deve permettere che la CIG smembri il pacchetto completo concordato tra Istituzioni e Stati membri. Deve invece concentrarsi sulla riforma delle politiche comuni, così da renderle più sensibili ai problemi contemporanei e alle sfide future.

Per quanto riguarda tutti coloro che vi chiedono di aprire le Parti I e II, vi prego di invitarli alla pazienza. Facciamo innanzi tutto entrare in vigore il Trattato, e collaudiamo il tutto nella pratica prima di tornare a manomettere di nuovo l’equilibrio concordato dei poteri. Prima o poi verrà di certo il momento storico della prima modifica, che però non va tentata ora.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Duff, vorrei ringraziarla per il contributo prestato nel corso del processo di consultazione e di informazione in seno al Parlamento.

 
  
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  Mario Borghezio (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signora Cancelliere, a Berlino ai leader europei è mancato un po’ il coraggio di indicare le scelte che ci impongono globalizzazione, immigrazione e il rischio della perdita di identità. Non una parola sui confini geopolitici dell’Europa, che rischia di andare a confinare – grazie all’allargamento alla Turchia – con l’Iran, l’Iraq e addirittura con la Siria.

Soltanto Papa Ratzinger, che emerge in questa situazione come una vetta, come un capo spirituale di un’Europa peraltro senza idee, senza ideali, ha indicato la via da seguire: come non capire che non è possibile costruire una casa comune dell’Europa ignorando l’identità culturale e morale dei popoli europei? Di fronte a questi moniti i leader europei sono rimasti sordi e muti. Non è certo l’Europa dei banchieri e delle lobby che può salvarci da questi guasti, dalla crisi del modello sociale europeo e dalla minaccia dell’invasione islamica.

Per noi autonomisti poi è difficile accettare un progetto di costituzione che sancisca un’Europa burocratica e centralista, tra l’altro caratterizzata, come vediamo anche in questi giorni, da gravi scandali, poca trasparenza, lontana dal sogno dei grandi pensatori degni di un’Europa delle regioni e dei popoli.

Tuttavia, Signora Cancelliere, voglio darle atto e ringraziarla della sensibilità di cui ha dato prova, quale leader animato da pietas cristiana, dell’attenzione che ha avuto, su mia segnalazione, per il problema ancora irrisolto del riconoscimento dei diritti degli internati militari italiani. La ringrazio a nome loro e delle 50 000 famiglie che attendono il riconoscimento del loro sacrificio e del loro ricordo.

 
  
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  Rebecca Harms (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, molte grazie; l’onorevole Voggenhuber le ha già donato un bouquet a nome del mio gruppo, in cui nessuno, a mio parere, dubita che se lo sia meritato. Tuttavia già ci domandiamo che cosa accadrà nell’immediato futuro, e questo, intervenendo verso la fine del dibattito, è il concetto che desidero ribadire. Non crediamo infatti che lo spirito di questa dichiarazione di Berlino sia compatibile con l’idea che quel che resta della Costituzione alla fine serva solo a facilitare un po’ il lavoro dei tecnocrati e dei burocrati di Bruxelles.

Consideriamo invece questo progetto costituzionale una causa e un progetto destinato a rendere più democratica l’Europa nel suo insieme, ed è per questo che crediamo che il catalogo dei diritti umani, di cui si è fatta menzione, debba assolutamente farne parte. Lungi dal reputare banale la questione di come perseguire questo scopo e di come promuovere la partecipazione dei cittadini, crediamo di aver imparato la lezione dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi, e che sia importante consultare tutti i cittadini, che in Europa hanno pari diritti. Consultare un cittadino e non un altro porterà a un’Europa a due velocità, il che non deve accadere. Vorremmo che si facesse maggiore chiarezza al riguardo, perché a nostro avviso sarebbe utile.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL).(PT) La Presidenza tedesca tenta di far approvare il proprio programma per l’Unione europea, che sta plasmando a misura delle sue crescenti ambizioni.

Con gran pompa e cerimonia, la dichiarazione di Berlino è solo un’ulteriore tappa di questa strategia, che tra i suoi obiettivi prevede il recupero dei contenuti fondamentali della (respinta) Costituzione europea. La verità è che, nonostante gli sforzi delle élite per dare importanza all’evento, la sensazione prevalente è stata quella di artificiosità e di totale indifferenza da parte dei cittadini all’annuncio dei cinquant’anni del Trattato di Roma.

Si tratta di un segno dei tempi, che mostra quanto l’Unione europea sia in contrasto con gli interessi e le aspirazioni dei popoli d’Europa e del mondo. Le forze dominanti dell’integrazione capitalista europea sono perfettamente consce di questa crescente contraddizione. Il contenuto della dichiarazione di Berlino è pertanto, a nostro avviso, nient’altro che una strumentalizzazione delle giuste preoccupazioni dei popoli d’Europa. La dichiarazione non ha nulla a che vedere con i veri obiettivi e con le politiche concrete dell’Unione europea, né con la dura realtà che ne deriva.

 
  
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  Antonio Tajani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signora Cancelliere, il vertice di Berlino ha fatto compiere all’Europa certamente un passo in avanti, rappresentando l’inizio di una nuova fase dopo un periodo contrassegnato da difficoltà e da qualche insuccesso.

Le celebrazioni del 50° anniversario dei trattati hanno segnato la ripresa di un’iniziativa europea, coordinata tra Consiglio, Commissione e Parlamento, per costruire il futuro dell’Europa. Ma se dobbiamo parlare di futuro, non possiamo non avere come obiettivo, da raggiungere prima del 2009, una legge fondamentale che regoli le competenze ed il ruolo di un’Unione che non sia soltanto un mercato ma che abbia anche la capacità di essere protagonista della politica internazionale, con interventi in grado di risposte concrete, anche alle domande dei cittadini.

Ecco perché ho apprezzato, Signora Cancelliere, l’iniziativa di aprire un grande dibattito su tre argomenti fondamentali: 1°) i cambiamenti climatici; 2°) la libertà energetica; 3°) la questione africana con i suoi drammi troppo spesso ignorati dall’Occidente. Ma l’Europa nella quale crediamo e nella quale credevano i padri fondatori non è fatta soltanto di politica e di economia. Mi preoccupa leggere che in Germania spariscono centinaia di chiese, come mi preoccupa constatare che in Italia nascono pochi bambini; mi indignano sentenze di giudici che assolvono uomini che picchiano selvaggiamente le loro mogli in nome della loro religione; mi spaventa la diffusione della droga fra i giovani europei. Non è questa l’Europa nella quale ci riconosciamo e per la quale siamo impegnati.

Sarebbe un errore dunque sottovalutare, o peggio dimenticare, i valori evidenziati nella dichiarazione di Berlino: democrazia, pace, libertà, giustizia e, soprattutto, centralità e dignità della persona umana. Come non condividere dunque le parole di Jacques Delors, che ci rammenta di non dimenticare le nostre origini cristiane. Afferma oggi in un’intervista: “La memoria è il nostro futuro”.

 
  
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  Stephen Hughes (PSE).(EN) Signor Presidente, guardando alla futura evoluzione dell’Europa, la dichiarazione di Berlino giustamente sottolinea l’importanza della solidarietà e della coesione sociale in un modello europeo che unisce successo economico e responsabilità sociale. Mi ha ricordato un’altra dichiarazione, dal titolo “Promuovere l’Europa sociale”, adottata da nove governi comunitari poco prima del Consiglio di primavera di quest’anno. Tale dichiarazione mira a riorientare l’insieme delle svariate politiche verso l’intervento in ambito occupazionale e sociale.

Per tutta risposta, nelle conclusioni del Vertice di primavera è stato incluso un chiaro riferimento alla dignità del lavoro, ai diritti e alla partecipazione dei lavoratori, alle pari opportunità, alla tutela della sicurezza e della salute sul lavoro e all’esigenza di un’organizzazione del lavoro attenta alla famiglia. E’ stata altresì sottolineata l’importanza della coesione sociale e si è posto l’accento sulla necessità di combattere la povertà, soprattutto tra i bambini. Pertanto si è messa in evidenza a chiare lettere l’importanza della dimensione sociale.

Le conclusioni hanno altresì ricordato le disposizioni sociali contenute nel Trattato, e in particolare la sua stretta connessione con il miglioramento delle condizioni di occupazione, di vita e di lavoro. Tutto questo fa parte dell’articolo 136 del Trattato, che è stato celebrato domenica scorsa e che fa da preambolo alla chiarissima base giuridica che la Commissione ha a disposizione per formulare proposte di miglioramento delle condizioni di occupazione, vita e lavoro.

Credo che Berlino e il Vertice di primavera siano stati tempestivi nel ricordare che la Commissione deve rilanciare un’agenda sociale che presenti dei contenuti, perché, considerando il suo programma di lavoro al momento attuale, la Commissione sembra aver completamente dimenticato di avere una base giuridica che le consente di agire.

Vogliamo che la Commissione dia con urgenza una risposta. Potrebbe innanzi tutto dare sostanza all’attuale gioco di mistificazione in materia di flessicurezza. Presentiamo nuove proposte legislative per contrastare le forme di lavoro atipico che si basano sullo sfruttamento. Facciamo in modo che la flessicurezza acquisti un significato positivo per i milioni di lavoratori che al momento la considerano un eufemismo per “sfruttamento”.

In conclusione, mi auguro che la Presidenza tedesca continui a riservare all’Europa sociale un ruolo centrale nel percorso verso il Vertice di giugno e nel periodo che seguirà. In tal modo, la dichiarazione di Berlino manterrà la propria credibilità.

 
  
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  Bronisław Geremek (ALDE). (PL) Signora Cancelliere, vorrei innanzi tutto e soprattutto ringraziarla per essere riuscita a distogliere l’Europa dal suo stato di apatia, dal suo pessimismo catastrofista. Il 25 marzo, gli europei non solo hanno intonato l’Inno alla gioia, ma l’hanno provata veramente.

La dichiarazione di Berlino è condizionata all’attuazione che se ne darà. Il suo posto nella storia dell’Unione europea dipende da quanto accadrà ora. Conferma però un dato importante, cioè che l’Europa si è davvero unita, e rende il giusto merito ai responsabili di tale unificazione.

Dobbiamo tuttavia forse aggiungere che l’Europa, per quanto riguarda est e ovest, si sta unificando soltanto ora. Due diversi passati e due diverse sensibilità devono unirsi. Occorre altresì che l’Europa sia forte e integrata.

L’unificazione dell’Europa è la nostra sfida, e l’idea straordinaria espressa nella dichiarazione di Berlino – che l’Europa deve riscoprire le proprie fondamenta – è una sfida ulteriore. Se deve ridefinire le proprie basi, senza un Trattato che le dia una dimensione politica e che le consenta di prendere decisioni efficaci, l’Europa non sarà in grado di andare avanti. Mi pare inoltre che l’affermazione della nostra unità debba significare che siamo uniti affinché l’Europa possa progredire.

 
  
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  Angela Merkel, Presidente in carica del Consiglio.(DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei riassumere molto brevemente questo dibattito, per il quale vi ringrazio di cuore.

Oggi in quest’Aula si è delineato con chiarezza – e sono certa che si tratti di un’opinione condivisa da tutti i gruppi – che è proposito e volontà comune della stragrande maggioranza dell’Assemblea portare avanti questa nostra Europa con un pizzico di ottimismo in più, come ha detto il presidente del gruppo socialista, onorevole Schulz, al quale anch’io vorrei fare i complimenti, se mi è consentito nella mia funzione di Presidente in carica del Consiglio, perché concordo interamente con tutti coloro che quest’oggi hanno detto che questo è un momento storico di grandissima importanza.

Gli scettici esitano e dubitano tuttora del fatto che ci serva un calendario, e che dobbiamo davvero presentare ai cittadini una base rinnovata nel 2009, come abbiamo promesso con la dichiarazione di Berlino. A questi scettici, vorremmo dire che noi, in qualità di Presidenza tedesca, insieme a Parlamento e Commissione, sappiamo già che in gioco c’è quello che un tempo chiamavamo “l’Europa dei progetti”, in altre parole quei passi avanti ben definiti che si devono compiere e che i cittadini devono poter effettivamente vedere.

Non si tratta solo di definire questa o quell’altra procedura di votazione e di risolvere le questioni istituzionali, ma anche, allo stesso tempo, di mostrare alle persone che stiamo ottenendo risultati, e risultati di grande importanza per la vita di ciascun individuo. Quanto più riusciamo a portare a termine in questo semestre, nel corso del quale naturalmente abbiamo altre importanti questioni da affrontare, tanto più facile sarà quindi fare progressi in quest’ambito. Ad ogni modo, nel prossimo trimestre ci dedicheremo in egual misura a entrambi i settori, e vorrei ringraziare davvero di cuore l’Assemblea per essersi occupata di molte questioni pratiche. Ieri, ad esempio, siete riusciti a sbloccare le risorse per la tutela dell’ambiente, permettendo così l’avvio dei progetti. Abbiamo parlato anche dell’agricoltura. E’ in simili settori che i cittadini domandano quali risultati stia ottenendo l’Europa, e perciò è positivo che ne abbiamo già ottenuto uno.

In quest’Aula si è inoltre chiesto come si è arrivati alla dichiarazione di Berlino. Credo sia stato Winston Churchill a dire, a proposito dei Trattati di Roma, che “mai qualcosa d’importante quanto i Trattati di Roma è stato realizzato in simili condizioni di anonimato, senza che nessuno si accorgesse di nulla”. Non abbiamo alcuna possibilità di ripetere un’impresa analoga in un’epoca come la nostra, in cui i media sono dovunque, ma credo che dobbiamo trovare, soprattutto nei prossimi mesi, il giusto rapporto tra partecipazione e la questione più ampia di portare a compimento le cose, e la pubblica piazza non sempre è il luogo migliore per farlo. Dunque il Presidente non è affatto stato costretto a intrattenere consultazioni segrete con me in merito alla dichiarazione di Berlino, ma, in un modo o nell’altro, i gruppi in seno all’Assemblea sono stati indubbiamente coinvolti, e abbiamo cercato così di riflettere sulle vostre proposte, esattamente come abbiamo fatto con la Commissione e i 27 Stati membri.

Si sa però che in democrazia non tutti vedono le proprie idee rispecchiarsi nel risultato finale; vi sono momenti in cui si può lavorare soltanto in parallelo, senza rendere conto di tutto allo stesso tempo. Cionondimeno penso che i cittadini debbano essere messi al corrente dell’attuale posta in gioco, ed è per questo motivo che ho una richiesta da rivolgere all’Assemblea. Signor Presidente, vorrei dare un suggerimento al Parlamento, perché il Consiglio, in quanto Istituzione, non è particolarmente adatto a celebrare la partecipazione pubblica. Poiché il Parlamento dispone di commissioni, forse sarebbe possibile organizzare – magari a maggio – un’audizione della società civile, cui anche il Consiglio invierebbe un proprio rappresentante, con la quale potremmo prendere in considerazione quello che si dice in seno alla società civile sulle aspettative dei cittadini rispetto a questo processo di elaborazione di una base comune rinnovata, così che in un secondo momento, mediante un dibattito che preceda il prossimo Consiglio, si possano coinvolgere in certa misura i cittadini europei nelle nostre deliberazioni.

(Applausi)

Ritengo dunque che anche nei prossimi tre mesi ci vedremo spesso. Il primo trimestre è stato divertente; perché il secondo dovrebbe essere da meno? Molte grazie.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Grazie, Cancelliere Merkel; la cosa più importante è che sia ora evidente che crediamo di nuovo nell’Europa e ci fidiamo l’uno dell’altro, e che questa fiducia tra l’Assemblea e lei in quanto rappresentante del Consiglio dell’Unione europea è cresciuta in modo straordinario nelle ultime settimane. Parlo a nome di molti in quest’Aula, ma soprattutto a titolo personale, quando dico che lavorare insieme a lei è stato un grande piacere, e che attendiamo con ansia un’ulteriore collaborazione con lei e con la Commissione. Le auguriamo di ottenere molti altri risultati e le accordiamo il nostro sostegno.

 
  
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  Mirosław Mariusz Piotrowski (UEN). (PL) La tanto attesa dichiarazione di Berlino si è rivelata una vera sorpresa per i popoli d’Europa. Non tanto per i contenuti, che la stampa ha definito “un capolavoro d’ambiguità”, ma per l’assenza di dibattito pubblico. E’ significativo che la dichiarazione sia stata sottoscritta solo da tre persone, che rappresentano le Istituzioni europee, invece che dai rappresentanti dei 27 Stati membri.

In effetti, la dichiarazione non impegna nessuno a fare alcunché, né appiana le divergenze d’opinione per quanto concerne il ruolo e il funzionamento dell’Unione. Non vi è accordo su una politica estera comune, né alcun abbozzo di politica europea di difesa.

La ferma opposizione, in alcuni paesi, a un riferimento alle radici cristiane dell’Europa mette in dubbio qualunque definizione dei valori comuni europei. In futuro, malgrado tutte le questioni irrisolte, non dobbiamo allontanarci dalla strada del dialogo e della consultazione, ricattando i paesi che danno voce a varie riserve.

 
  
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  József Szájer (PPE-DE). (HU) L’Unione europea ha raggiunto la maturità, e pare abbia anche acquisito la giusta saggezza, poiché è riuscita ad adottare un documento conciso che si concentra su valori, principi e compiti da affrontare, e che è nel contempo comprensibile al cittadino medio. L’Unione ha pertanto dimostrato di saper parlare all’unisono e di essere pronta all’azione fondata sui valori.

La dichiarazione celebra il cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma, ma vorrei ricordare un altro cinquantenario, cioè quello della rivoluzione ungherese del 1956, altrettanto importante per le radici, le origini e le tradizioni dell’Unione europea attuale. Senza l’esempio del 1956 e dei rivoluzionari ungheresi, l’Unione europea non si sarebbe potuta evolvere, come ha fatto, in quella che oggi chiamiamo “la nostra Europa comune”.

E’ mia convinzione che occorra un’Europa forte, sicura dei propri valori e della propria identità, che sia irremovibile dai propri principi e incapace di sotterfugi. Vorremmo un’Unione che intensifichi la cooperazione tra gli Stati membri, promuova la collaborazione interna e persegua una maggiore solidarietà e integrazione politica.

Perché è nostro interesse avere un’Unione europea forte? Perché con un’Unione forte anche ogni singolo Stato può rafforzarsi notevolmente. Per essere forti, senza dubbio è importante anche saper riconoscere chiaramente il nostro passato e la nostra identità.

Ho partecipato alle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario a Roma, prendendo parte a una conferenza indetta da un’organizzazione della società civile. Vorrei trasmettervi uno dei messaggi di tale conferenza, e cioè che dobbiamo davvero riconoscere la nostra identità, e riconoscere e affermare le radici dell’Europa, le sue radici cristiane. Chiunque guardi all’Europa dall’esterno vede in noi ciò che ci è comune. Perché noi non riusciamo a vederlo, e perché abbiamo paura di riconoscerlo?

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, onorevole Szájer, soprattutto per aver cooperato al coordinamento interno, cui ha dato un significativo contributo.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). (PL) La dichiarazione di Berlino è stata firmata in un momento molto importante per l’Unione europea. La firma dei Trattati di Roma, cinquant’anni fa, è stata il primo passo dell’attuazione di un’idea ambiziosa. La presenza a Berlino di 27 Stati ha rivelato le conseguenze di tale idea. Quando l’Unione è stata fondata sulle rovine dell’Europa postbellica, la dichiarazione di fondazione è stata firmata solo da sei Stati.

Ora, dopo mezzo secolo, è una gioia che in Europa regni la pace. L’UE ha quasi mezzo miliardo di abitanti. Copre una vasta porzione del continente e, in quanto potenza mondiale, è più forte che mai. I risultati dell’integrazione sono impressionanti: un mercato unificato, una moneta unica in 13 Stati e la libera circolazione di persone, merci e capitali. L’Unione europea si è assunta l’impegno di proteggere l’ambiente e di perseguire uno sviluppo sostenibile. Ha un ruolo attivo e di primo piano sulla scena internazionale, e porta stabilità e prosperità ai paesi vicini.

La dichiarazione di Berlino è un simbolo importante per l’Europa. Tuttavia qualcosa ancora manca, nonostante un chiaro senso di soddisfazione. Avremmo potuto sperare che l’Unione europea avesse una Costituzione nel cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma. Dobbiamo ancora affrontare alcune sfide: la concorrenza economica globale, le nuove sfide in materia di politica sociale, la tutela dell’ambiente, l’energia e la sicurezza. I cittadini europei desiderano un’Unione più efficiente e forte, che operi in base a norme trasparenti. Dobbiamo rimuovere gli ostacoli che i cittadini incontrano, soprattutto nei nuovi Stati membri, per quanto riguarda la libera circolazione di persone e servizi. Dobbiamo portare a termine l’allargamento dell’area di Schengen e dell’euro. Dobbiamo attuare una politica energetica comune. L’Europa ha bisogno della crescita economica, di nuovi posti di lavoro e di una migliore sicurezza sociale.

In questo contesto, il passo della dichiarazione che afferma che le basi istituzionali dell’Europa vanno concordate entro il 2009 è molto importante. Dovrebbe motivare tutti gli Stati membri a compiere le necessarie riforme istituzionali. Il Cancelliere Angela Merkel merita un encomio per aver contribuito significativamente al nostro successo comune. Oggi l’Unione europea ha un volto di donna. L’Unione è femmina.

 
  
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  Íñigo Méndez de Vigo (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, in quest’Aula si è parlato dell’importanza di una politica europea per il cambiamento climatico. E’ realizzabile con i Trattati che abbiamo ora? La risposta è no.

Inoltre si è parlato dell’integrazione sociale degli immigrati. E’ realizzabile con i Trattati che abbiamo ora? La risposta è no.

E che dire di un mercato energetico comune? Non ha una base giuridica nei Trattati attualmente in vigore. Lo dico perché contrapporre quello che alcuni hanno definito “le politiche che davvero interessano i cittadini” a strumenti e tecniche, come se questi ultimi non fossero importanti, dimostra semplicemente l’ignoranza del funzionamento dell’Unione europea.

Senza procedure, senza base giuridica, l’Unione europea non può agire, e senza una maggiore democrazia, agirà senza legittimità. Per questo motivo è tanto importante raggiungere un accordo sul Trattato costituzionale.

Credo che, visto il successo riscosso dalla Presidenza tedesca ai festeggiamenti di Berlino, ora dobbiamo dedicarci alla ricerca di questo accordo.

Spero che il Consiglio europeo di giugno operi in tal senso. Non è necessario che vi sia l’unanimità, e credo sia molto importante definire il mandato. E nel fissare il mandato della Conferenza intergovernativa – e qui parlo da docente universitario – dobbiamo tenere conto di quelli che hanno passato l’esame, in alcuni casi con lode, e dobbiamo aiutare quelli che non l’hanno superato e quelli che non l’hanno sostenuto, ma non dobbiamo prendere in considerazione solo i bocciati o chi non si è presentato.

Pertanto, chi tra noi ha firmato la ratifica ha mantenuto l’impegno e dovrà essere preso in considerazione quando si definirà il mandato.

Si è detto, e a ragione, che il Parlamento, per mezzo di lei, signor Presidente, ha dato un contributo decisivo alla dichiarazione di Berlino. Credo che si voglia fare altrettanto alla Conferenza intergovernativa: tutti vogliamo aiutare il Consiglio, perché la Commissione fa parte della CIG, perché i parlamenti nazionali intendono ratificare l’esito di tale Conferenza. Vogliamo però contribuire in modo decisivo ad assicurare che la CIG sia un successo almeno pari a quello della dichiarazione di Berlino.

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, onorevole Méndez de Vigo. Vorrei esprimere anche a lei la mia gratitudine per aver collaborato egregiamente ai lavori preliminari, per i quali ha svolto la funzione di coordinatore del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei.

 
  
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  Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, la cerimonia di Berlino appena conclusa è stata uno spettacolo fantasmagorico degli importanti risultati conseguiti negli ultimi cinquant’anni. Le luci della cerimonia si sono però spente, e ci ritroviamo di fronte al fatto che tra i cittadini europei prevalgono sentimenti d’indifferenza, rabbia e, cosa più importante, preoccupazione. I cittadini europei sono convinti che all’Europa non sarà facile progredire, data la situazione attuale.

E’ confortante che il Cancelliere Merkel abbia compreso che la priorità assoluta è creare le precondizioni per rendere operativi i meccanismi delle Istituzioni comunitarie, essendo ovvio che l’Unione europea dei 27 non può andare avanti con le stesse strutture e la stessa organizzazione che aveva quando gli Stati membri erano solo 15. L’impresa è estremamente ardua. E’ significativo che la dichiarazione di Berlino firmata dai 27 leader non faccia riferimento alla Costituzione europea, la questione che più ci preoccupa. La creazione della carica di Presidente dell’Unione e di ministro degli Esteri, la riduzione del numero di Commissari, la nuova ponderazione dei voti, l’aumento delle responsabilità del Parlamento, l’abolizione dei tre pilastri, il potenziamento dell’istituto di cooperazione rafforzata tra gli Stati membri e l’acquisizione di una personalità giuridica per l’Unione europea sono alcune delle soluzioni concordate presenti nella Costituzione europea che non è passata. Penso che dovremmo inserirle in un nuovo Trattato di “Nizza II” e metterle in pratica prima delle elezioni del 2009.

Dimentichiamoci dei progetti grandiosi. Ritorniamo alla realtà. Credo che con questa soluzione realistica l’Europa possa progredire.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LUISA MORGANTINI
Vicepresidente

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE). (FR) Signora Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, la dichiarazione di Berlino si rivolge ai popoli dell’Unione europea, perché si rendano conto degli straordinari risultati ottenuti dalla nostra opera comune; ricordandoci i valori europei, la dichiarazione dev’essere il punto di partenza per spiccare con l’immaginazione un altro balzo in avanti, che vada ben al di là dei sodalizi che hanno permesso ad alcune politiche comuni di convergere per cinquant’anni.

Dobbiamo essere realisti, senza nascondere le attuali difficoltà, e convincere gli europei che la creazione di un’Europa forte e unita nel mondo non solo è indispensabile, ma rappresenta un’opportunità per ciascuno dei nostri 27 paesi e per ciascuno dei 500 milioni di cittadini comunitari. Se vogliamo convincerli, dobbiamo non solo presentare loro risultati concreti e prove tangibili del valore aggiunto dell’Unione europea, ma anche assumere un atteggiamento più ottimista, come ha fatto il Cancelliere Merkel.

Gli europei sono divisi circa i principali orientamenti della politica europea; alcuni pensano che l’Europa abbia intrapreso un percorso troppo liberale e non riesca a proteggere i cittadini dalla globalizzazione, mentre altri pensano che non sia abbastanza protezionista. Come sempre, la verità si colloca tra i due estremi.

Il nostro continente è uno dei pochi punti di stabilità in un mondo sempre più imprevedibile. Le nostre storie sono ricche di lezioni da imparare e le nostre culture sono ricche di diversità: per molti popoli sono punti di riferimento. La nostra economia è perlopiù solida e aperta al mondo. Ci impegniamo in modo indefesso per una maggiore solidarietà con le regioni meno fortunate e stabili del pianeta.

Vorrei cogliere l’occasione per rendere omaggio al Cancelliere Merkel, non solo per i suoi risultati, ma anche per i suoi sforzi, che dimostrano quanto tenga al progresso dell’Europa e al compito di trovare un modo per superare l’impasse in cui ci troviamo da qualche mese a questa parte. Per questo vorrei ringraziarla di cuore.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE). (PL) Signora Presidente, signor Presidente della Commissione, noi, i cittadini d’Europa venuti dall’altra parte della cortina di ferro, teniamo nella massima considerazione la libertà, comprendendovi anche il libero mercato, e quello che un tempo era il nostro prodotto tipico nazionale o, se preferite, la nostra specialità regionale, ossia la solidarietà. Conosciamo anche il prezzo della difesa di questi valori. Per decenni abbiamo sognato di ritornare alla patria europea delle libere nazioni. Siamo cresciuti ascoltando programmi radiofonici vietati trasmessi da Monaco da un’emittente orgogliosamente chiamata “Radio Europa Libera”.

Oggi siamo ancora fedeli a quell’Europa, libera e unita. In qualità di membri dell’Unione europea, abbiamo il pieno diritto di contribuire alla creazione del suo futuro. Non basta più avere le parole “Europa, Europa” a fior di labbra, ma dobbiamo anche chiedere: “Europa, sì, va bene, ma che genere d’Europa?” L’Europa dev’essere un progetto che gode della piena fiducia di tutti i suoi membri. Nel dibattito europeo non ci possono essere argomenti tabù.

Il Trattato costituzionale, che i francesi e gli olandesi hanno respinto, è aperto all’analisi di ciascun paese, che ha il diritto di contestarne gli aspetti che reputa controversi.

Tuttavia non si deve creare una situazione che consenta all’onorevole Schulz, leader del gruppo socialista al Parlamento europeo, di non perdere occasione per emarginare quegli Stati membri che osano dissentire dalla sua idea della futura veste istituzionale dell’Unione europea, o che non si conformano all’idea di correttezza politica che la sinistra cerca d’imporre. Nel dibattito sul Trattato proposto dalla Presidenza tedesca deve prevalere l’apertura e la disponibilità al compromesso, anche in questioni problematiche quali la ricerca di modalità di votazione nuove ed eque per il Consiglio.

Ho altresì notato che nella dichiarazione di Berlino mancava qualsiasi riferimento alle nostre radici cristiane.

In conclusione, vorrei citare lo statista belga Paul-Henri Spaak, a cui è dedicato l’edificio in cui ci troviamo, e che nel 1957 ha detto:

(FR) Come ho detto una volta a Strasburgo, quando questo periodo sarà passato, quando ce ne saremo andati da molti anni e quando gli uomini cercheranno di raccontare l’avventura umana che abbiamo vissuto, non riusciranno – indipendentemente dalle nostre convinzioni religiose o politiche – a dire altro se non che le persone di quei tempi, di quel secolo, hanno vissuto insieme l’immensa avventura della civilizzazione cristiana.

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Presidente della Commissione, signora Presidente in carica del Consiglio e Cancelliere federale, è un grande onore poter parlare sotto la sua Presidenza. Ho alcune osservazioni che vorrei fare. Innanzi tutto, come ha illustrato la dichiarazione di Berlino, attraverso l’integrazione l’Europa è riuscita a ottenere un grado di pace, libertà e prosperità mai raggiunto finora in tutta la sua storia, probabilmente unico anche nella storia dell’umanità.

In secondo luogo, è altresì emerso con chiarezza che, in molti settori, quali il terrorismo, la globalizzazione, la PESC e la sicurezza energetica, abbiamo dinanzi sfide cui gli Stati nazionali non riescono più a far fronte da soli. Tale elenco evidenzia che l’Unione europea ha ottenuto ottimi risultati ogniqualvolta si è servita del metodo comunitario, ha lavorato con un ordinamento giuridico comune e applicato il metodo Monnet. Per questo motivo – o almeno così credo – il processo costituzionale andrebbe condotto su questa stessa base, perché siamo deboli laddove lavoriamo in forma intergovernativa.

Questo significa inoltre – se vogliamo intraprendere la nuova fase, successiva alla dichiarazione, e se vogliamo riprendere il processo costituzionale – che è importante che tali principi del metodo comunitario vengano rispettati. Il Trattato costituzionale contiene già molti degli elementi di cui abbiamo bisogno se vogliamo far fronte alle sfide che ci aspettano.

Pur non risolvendo, in sé, alcun problema, la Costituzione ci offre il quadro di legittimità e di competenza decisionale che ci permette di trovare da noi le soluzioni, e pertanto spero che sia chiaro a tutti i 27 Stati membri – e nel dire questo faccio seguito alla Commissione – che devono avere ragioni molto valide per non adeguarsi a tale processo. Perciò dobbiamo assicurare che l’Unione europea, quale Comunità di 27 Stati, affronti questa sfida, evitando di dividersi nei piccoli blocchi che si formerebbero se non riuscisse a farvi fronte come organismo unitario.

 
  
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  Presidente. – Nel dare la parola al Presidente Barroso, vorrei scusarmi per la scarsa presenza in Aula, non dei deputati perché è noto che non sono presenti, ma, soprattutto su un tema come questo che stiamo discutendo, di chi ha partecipato alla discussione. Sono però certa che leggeranno il suo discorso e magari l’ascolteranno sullo schermo.

 
  
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  José Manuel Barroso, Presidente della Commissione.(PT) Signora Presidente, onorevoli deputati, penso che il dibattito sia stato interessante. Avevo preparato un paio di repliche a domande specifiche, ma poiché gli onorevoli deputati che le hanno poste non sono presenti, rimanderò le risposte ad altra occasione.

Vorrei tuttavia esprimere un commento generale sulla questione di fondo, ossia i contenuti e il processo. Servono entrambi. Occorre risolvere i grandi problemi che l’Europa ha di fronte e i problemi della globalizzazione, ma occorre anche disporre dei processi e delle Istituzioni migliori. Non sono d’accordo con chi tenta di incentrare il dibattito su uno solo di tali aspetti. Se vogliamo risolvere i problemi ed essere in grado di affrontare le principali sfide, occorrono Istituzioni più efficienti, più democratiche e più coerenti.

Dobbiamo altresì risolvere la questione costituzionale. Che definiamo o meno “costituzionale” il Trattato, dobbiamo risolvere la questione, e questo è l’appello che vi rivolgo oggi, onorevoli deputati, anche a quelli che non condividono l’entusiasmo di altri per l’idea costituzionale. So che condividete il desiderio di risolvere i problemi in modo pragmatico. Confido che darete il vostro contributo, aiutando tutti i governi comunitari a trovare una soluzione in materia sia di processi che di Istituzioni, perché, se vogliamo ottenere risultati, ci servono le Istituzioni.

Per quanto riguarda le modalità di coinvolgimento della società civile e dei cittadini in generale nel dibattito sulla questione istituzionale, vorrei aggiungere che in seno alla Commissione siamo stati attivi. Prima dell’adozione della dichiarazione di Berlino, mi sono incontrato personalmente più volte con la Vicepresidente della Commissione, Margot Wallström, con i leader del Parlamento e con i rappresentanti della società civile. Accolgo con favore la proposta avanzata oggi dal Cancelliere Merkel, di far organizzare al Parlamento un’audizione della società civile nel mese di maggio. La Commissione darà il proprio sostegno all’iniziativa se il Parlamento porterà avanti la proposta.

Siamo pronti, insieme al Parlamento, a lanciare il dibattito al riguardo, assicurando nel contempo che vi sia spazio per le trattative tra governi, e per questo motivo vorrei sostenere la proposta del Cancelliere Merkel.

In conclusione, mi esprimerò in francese per rispondere all’importantissima osservazione dell’onorevole Poignant, che vorrei ringraziare per aver sollevato, con un pizzico di humour, una questione molto significativa e per aver dimostrato che le persone possono avere punti di vista diversi in materia di politica e ideologia, pur condividendo il medesimo spirito europeo. In questo vi è una lezione per tutti noi. Credo che questo riassuma perfettamente il nostro progetto europeo, che trascende in larga misura le nostre divergenze politiche e ideologiche. Si può propendere per la sinistra o per la destra o per il centro, ma quel che ci serve è una coalizione dello spirito europeo. E’ una lezione per tutti noi, per la quale desidero ringraziarla, onorevole Poignant, così come ringrazio anche coloro che, appartenendo a famiglie politiche diverse, condividono questo spirito – senza dubbio con varie sfumature – perché è soltanto con questo spirito, che ho percepito a Berlino, che possiamo far fronte alle grandi aspettative che l’Europa nutre nei nostri confronti.

Per quanto riguarda il tema della solidarietà, vorrei dire, soprattutto ad alcuni deputati dell’Assemblea che appartengono a gruppi politici con un’opinione ben più scettica dell’integrazione, che non va dimenticato che la solidarietà è una strada a doppio senso e che probabilmente verrà il giorno in cui il proprio paese avrà bisogno, concretamente, della solidarietà degli altri. Tutti dobbiamo dunque manifestare lo spirito di solidarietà e comprendere che solo con quello spirito potremo risolvere la questione istituzionale e, soprattutto, rispondere alle gradi sfide cui l’Europa deve far fronte.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, signor Commissario.

La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto.(FR) In qualità di rappresentante francese dei cittadini dell’Unione in seno al Parlamento europeo, innanzi tutto esprimerò il mio grande rispetto e la mia grande ammirazione per il Presidente della Repubblica francese, il mio amico Jacques Chirac che, con la sua presenza a Berlino il 25 marzo 2007, ha partecipato al suo ultimo Vertice europeo in qualità di capo di Stato, e le cui azioni in difesa di una Francia forte e indipendente in un’Unione europea forte e unita sono sempre state caratterizzate da lucidità, competenza e umanesimo.

Benché deluso dal fatto che i deputati al Parlamento europeo, che rappresentano i cittadini e i popoli d’Europa, non abbiano potuto contribuire alla dichiarazione di Berlino, accolgo tuttavia con favore la conferma della volontà di compiere progressi nell’integrazione europea, la proclamazione dei nostri valori e il fatto che ponga le elezioni europee del 2009 quale termine politico per la soluzione delle questioni istituzionali. Mi congratulo con la signora Merkel, Presidente in carica del Consiglio e Cancelliere tedesco, con il mio amico Hans-Gert Poettering, Presidente del Parlamento europeo, e con José Manuel Barroso, Presidente della Commissione, per il lavoro svolto.

 
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