Indice 
Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 28 marzo 2007 - Bruxelles Edizione GU
1. Ripresa della sessione
 2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 3. Dichiarazione della Presidenza (Zimbabwe)
 4. Missione affidata a un deputato
 5. Benvenuto
 6. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 7. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 8. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale
 9. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
 10. Seguito dato alle risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
 11. Ordine del giorno: vedasi processo verbale
 12. Conseguenze della dichiarazione di Berlino (discussione)
 13. Maggiore convergenza nelle prassi di vigilanza al livello dell’UE (discussione)
 14. Futuro del Kosovo e ruolo dell’UE (discussione)
 15. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
 16. Produzione biologica ed etichettatura dei prodotti biologici (discussione)
 17. Futuro delle risorse proprie dell’UE (discussione)
 18. Orientamenti di bilancio 2008 – Sezioni I, II, IV, V, VI, VII, VIII (A) e VIII(B)
 19. Futuro del calcio professionistico in Europa – Sicurezza in occasione delle partite di calcio (discussione)
 20. Rispetto degli obblighi degli Stati di bandiera – Responsabilità civile e garanzie finanziarie degli armatori (discussione)
 21. Integrazione dei nuovi Stati membri nella PAC (discussione)
 22. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 23. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. POETTERING
Presidente

(La seduta inizia alle 17.05)

 
1. Ripresa della sessione
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  Presidente. – Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo, interrotta giovedì 15 marzo 2007.

 

2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

3. Dichiarazione della Presidenza (Zimbabwe)
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, faccio questa dichiarazione sullo Zimbabwe su richiesta unanime dei presidenti dei gruppi. Si tratta di una questione molto grave. In queste ultime settimane si è registrata un’ulteriore escalation nella situazione politica in quel paese, con atti violenti commessi dalle forze sotto controllo del governo. L’11 marzo una riunione in un sobborgo del capitale, Harare, è stata dispersa dalla polizia armata e, nel corso di questa azione, Gift Tandare, rappresentante dell’opposizione, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco, mentre numerosi dimostranti sono rimasti feriti. Quaranta dei principali esponenti dell’opposizione, fra cui Morgan Tsvangirai e Arthur Mutambara – leader del principale partito di opposizione, il Movimento per il cambiamento democratico (MDC) – sono stati arrestati e maltrattati mentre si trovavano in stato di fermo. Il 18 marzo un rappresentante dell’opposizione del parlamento del paese, Nelson Chamisa, è stato picchiato ed è finito in ospedale per gravi ferite. Era in viaggio per recarsi alle riunioni delle commissioni dell’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE. Questo attacco è stato condannato dalla Presidenza dell’Assemblea parlamentare paritetica, sostenuta dai membri africani dell’Assemblea. La Presidenza ha esortato il governo dello Zimbabwe a mettere fine alla violenza nel paese e a rispettare i diritti umani e lo Stato di diritto.

Onorevoli colleghi, condanniamo fermamente ogni singolo atto di violenza e di oppressione commesso dal governo del Presidente Mugabe. Il Consiglio e la Commissione dovrebbero lavorare di concerto con tutte le forze internazionali, regionali e nazionali interessate per trovare una soluzione, nella forma di una transizione dal regime attuale a una reale democrazia.

(Applausi)

 
  
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  Glenys Kinnock (PSE).(EN) Signor Presidente, volevo informare l’Assemblea che un’ora fa Morgan Tsvangirai è stato nuovamente arrestato dalla polizia e dalle forze di sicurezza a Harare. Lui e i suoi collaboratori stavano per tenere una conferenza stampa per discutere gli eventi che lei ha appena descritto.

Auspico quindi che il Parlamento europeo condanni questo nuovo arresto di Morgan Tsvangirai e dichiari che occorre mettere fine alla brutalità ai danni dell’opposizione. E’ altresì necessaria una reazione da parte della Comunità per lo sviluppo dell’Africa meridionale in occasione della riunione che terrà in Tanzania questa settimana.

(Applausi)

 

4. Missione affidata a un deputato
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  Presidente. – Prima di procedere con l’ordine del giorno, devo fare un altro annuncio. Il Primo Ministro della Repubblica ceca mi ha informato della sua decisione di nominare l’onorevole Jan Zahradil suo rappresentante nelle discussioni sulla dichiarazione di Berlino, e, più in generale, nell’ambito delle questioni relative alla ripresa del processo costituzionale durante la Presidenza tedesca. La questione è stata rinviata alla commissione giuridica, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 5, del Regolamento, la quale, nel corso della sua riunione del 19-20 marzo 2007, ha concluso che tale nomina è compatibile con lo spirito e la lettera dell’Atto relativo all’elezione dei rappresentanti nel Parlamento europeo a suffragio universale diretto, che non sussiste quindi conflitto di interessi e che l’onorevole Zahradil può continuare a esercitare il suo mandato come deputato al Parlamento europeo.

 

5. Benvenuto
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  Presidente. – Desidero porgere il benvenuto a una delegazione dell’Iraq. E’ per me motivo di grande gioia poter accogliere questo pomeriggio, ospite del Parlamento, una delegazione di cinque deputati al parlamento iracheno, guidata da Hamid Mousa.

(Applausi)

La situazione in Iraq è per noi motivo di costante preoccupazione e una visita da parte dei colleghi parlamentari di quel paese, che ci offre l’opportunità di ascoltare una testimonianza diretta di come si sta evolvendo la situazione laggiù, è, al contempo, molto utile e molto gradita. Ho già avuto ieri l’opportunità di incontrarli e sono ben consapevole delle condizioni estremamente difficili in cui devono lavorare i membri del parlamento iracheno. Sono certo che i loro colloqui con la commissione per gli affari esteri e con altri deputati al Parlamento europeo siano stati utili e si dimostreranno vantaggiosi per entrambe le parti. Confido che il processo di riforma costituzionale in corso offrirà a tutti i gruppi in Iran l’opportunità di giungere a un largo consenso sulle questioni essenziali e di preparare la strada affinché il loro paese possa andare incontro al futuro.

Auguro ogni bene a voi, onorevoli ospiti, e al vostro paese, e spero che la vostra visita contribuisca a instaurare solide relazioni parlamentari tra le nostre due Assemblee: il vostro parlamento in Iraq e il Parlamento europeo. I miei migliori auguri vi accompagnino quando farete ritorno nel vostro tormentato paese.

 

6. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale

7. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

8. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale

9. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale

10. Seguito dato alle risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale

11. Ordine del giorno: vedasi processo verbale

12. Conseguenze della dichiarazione di Berlino (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le conseguenze della dichiarazione di Berlino.

Vorrei esprimere alcune brevi riflessioni al riguardo. Il 17 gennaio la Presidente in carica del Consiglio, che oggi sono lieto di accogliere in quest’Aula, è venuta a presentare il suo programma dinanzi all’Assemblea.

Il 13 febbraio, signora Cancelliere federale, lei era presente quando ho esposto il mio programma; oggi è qui per riferirci in merito alla dichiarazione di Berlino del 25 marzo, e perciò posso dirmi lieto che abbia già fatto visita tre volte al Parlamento europeo, benché la sua Presidenza non sia neppure a metà del mandato. Per questo, dunque, vorrei esprimerle i miei più sinceri e sentiti ringraziamenti, a nome di tutti i deputati al Parlamento.

(Applausi)

Ora i capigruppo procederanno a illustrare le loro riflessioni sulla dichiarazione di Berlino, di cui naturalmente non desidero anticipare in alcun modo i contenuti. Vorrei soltanto rilevare la costante disponibilità che lei, signora Cancelliere federale, e il suo staff avete dimostrato nei confronti del Presidente del Parlamento europeo e dei suoi rappresentanti durante i preparativi per la dichiarazione di Berlino, dando alle nostre idee la massima attenzione che si potesse sperare da voi, con 27 governi su cui presiedere.

Io stesso mi sono attenuto rigorosamente alla risoluzione della Conferenza dei presidenti, sulla quale ho riflettuto ancor più a fondo, e ho tenuto continuamente informati e consultato costantemente i deputati responsabili della commissione per gli affari costituzionali, nonché l’Ufficio di presidenza e la Conferenza dei presidenti.

Ora procederemo con il dibattito. Il mio caloroso benvenuto va non solo alla Presidente in carica del Consiglio e Cancelliere federale Angela Merkel, ma anche a José Manuel Barroso, Presidente della Commissione.

(Applausi)

 
  
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  Angela Merkel, Presidente in carica del Consiglio.(DE) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, onorevoli deputati al Parlamento europeo, sono lieta di poter tornare a far visita all’Assemblea, questa volta a Bruxelles. Siamo giunti pressappoco a metà del mandato della Presidenza tedesca, e dopo lo scorso fine settimana credo che possiamo dire di aver compiuto un significativo passo avanti nell’assolvere i due principali compiti che tutti abbiamo di fronte per questo semestre.

Il primo è quello della politica in materia energetica e climatica, in merito al quale il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha già riferito in quest’Aula. A questo punto, vorrei soltanto ribadire che nell’ambito chiave della politica energetica e climatica il Consiglio è riuscito a formulare conclusioni importanti sulla base delle proposte della Commissione, dimostrando così la capacità di agire dell’Unione in questo campo. Il motivo per cui questo è tanto importante è che l’Europa, com’è certamente noto, potrà avere un ruolo di punta in quest’ambito solo se saprà porsi obiettivi ambiziosi. Senza dubbio sappiamo che si dovrà lavorare di più per raggiungere tali obiettivi, ma, in fin dei conti, si tratta di un fatto consueto nell’attività politica quotidiana: si fa un passo e, se questo va a buon fine, ne seguono altri. Tuttavia, lo spirito con cui siamo riusciti ad accordarci su un incremento del 20 per cento dell’efficienza energetica entro il 2020 e sugli obiettivi vincolanti di aumento al 20 per cento della quota di energie rinnovabili sul consumo totale deve permetterci sia di presentarci uniti ai futuri negoziati internazionali che di scomporre queste cifre in obiettivi per i singoli Stati membri, il che rappresenta il nostro prossimo compito. Pertanto colgo l’occasione per chiedere il supporto dell’Assemblea. Abbiamo già ottenuto un grande sostegno su questo fronte e, con il vostro incoraggiamento, sono certa che il Consiglio sarà in grado di formulare le necessarie conclusioni.

(Applausi e commenti)

Vi invito a considerare il secondo e fondamentale passo avanti che abbiamo compiuto lo scorso fine settimana. La dichiarazione di Berlino ha messo in luce, da un lato, quanto l’Unione europea sia una storia di successo, ma anche, dall’altro, quali importanti compiti tutti noi dobbiamo ancora affrontare insieme.

Innanzi tutto vorrei ringraziare di cuore il Presidente dell’Assemblea, Hans-Gert Poettering, e tutti i capigruppo, perché aver ottenuto il sostegno del Parlamento, della Commissione e dei membri del Consiglio per la dichiarazione di Berlino rappresenta un grandissimo successo. Credo che l’idea della dichiarazione di Berlino quale risultato comune sia importante di per sé, perché dimostra l’impegno a lavorare insieme per il futuro dell’Europa da parte di tutti coloro che vi partecipano. Considerando la dichiarazione di Berlino, ci rendiamo conto che ne è parte integrante la definizione dei nostri valori comuni. Vi si afferma inoltre, in termini molto ambiziosi, che condividiamo un ideale di società europea e che lavoreremo insieme per realizzarlo. Questo ideale di società europea si fonda su valori che ci stanno a cuore: i valori di libertà, solidarietà e giustizia. Ogni giorno ci viene ripetutamente chiesto come intendiamo concretizzarli, ed è per questo che sono rimasta molto commossa per come si è aperta l’odierna seduta dell’Assemblea, con una dichiarazione a chiare lettere da parte del Parlamento e dei suoi membri su quanto sta accadendo nello Zimbabwe. Nel mio discorso di domenica a Berlino ho sottolineato che il destino degli abitanti del Darfur non deve lasciarci indifferenti.

(Applausi)

Non possiamo minimizzare il problema, ma dobbiamo agire. La Presidenza del Consiglio farà tutto il possibile per far approvare risoluzioni più severe in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, quale strumento per compiere finalmente progressi su questo fronte, ma, se la cosa si rivelasse impossibile per quanto concerne il Consiglio di sicurezza, dobbiamo pensare alla possibilità di sanzioni imposte dall’Unione europea, perché dobbiamo agire e affrontare questo problema.

(Applausi)

Domenica ho altresì spiegato che siamo al corrente che il 25 marzo è l’anniversario dell’indipendenza in Bielorussia e che noi – credo tutti – volevamo dire agli amici bielorussi che anche loro hanno il diritto di vedere gli ideali europei diventare realtà, e che nel percorrere questa strada godranno del nostro deliberato sostegno.

(Applausi)

Coglierei l’occasione che mi si presenta oggi pomeriggio in quest’Aula per dire chiaramente all’Iran che l’Unione europea reputa del tutto inaccettabile l’arresto e la detenzione di 15 marinai britannici. Anche in questo caso, la nostra solidarietà con gli amici britannici è assoluta.

(Applausi)

Questo dimostra anche che siamo forti quando ci presentiamo uniti. Vi sono molti risultati che possiamo raggiungere solo insieme. D’altra parte, questo significa che, se gli Stati membri dell’Unione europea devono sentirsi l’uno responsabile dell’altro nei momenti difficili, dobbiamo collaborare nel maggior numero possibile di campi. Non ci possiamo aspettare integrazione, sostegno nelle situazioni difficili né solidarietà se ciascun paese non è pronto, in una certa misura, a tener conto degli interessi degli altri. Questo è il principio che deve guidarci in tutte le difficili decisioni politiche che ci aspettano.

Nella dichiarazione di Berlino abbiamo rivolto lo sguardo al futuro, dicendo di voler fare due cose. In primo luogo vogliamo dare all’Unione europea una “base comune rinnovata” entro il 2009 e, benché sia consapevole del parere favorevole di un’ampia maggioranza dell’Assemblea, che desidero ringraziare per il suo sostegno, vorrei ribadire ancora una volta che se alle elezioni del Parlamento europeo del 2009 non potessimo dire ai cittadini di poter allargare l’Unione, non sapessimo dir loro il numero esatto dei membri della successiva Commissione, né assicurare loro che la responsabilità della politica energetica fosse in mani europee e che, in materia di sicurezza interna e di politica giudiziaria, la nostra collaborazione si fondasse su decisioni prese a maggioranza, nel modo reso necessario dalle circostanze…

(Applausi)

… tali elezioni non farebbero altro che aumentare la distanza tra le Istituzioni e i cittadini europei. Per questo motivo è fondamentale che tutti diamo prova di saper trovare soluzioni comuni. I tedeschi hanno ricevuto il mandato di presentare una tabella di marcia al riguardo. Vorrei sottolineare subito che non troveremo una soluzione al problema, ma che questa tabella di marcia dovrà indicare la direzione da prendere. A tal fine lavoreremo con tutte le nostre forze, ma vorrei chiedere all’Assemblea di continuare a sostenerci in questo processo, perché vi assicuro che ci occorre tutto l’aiuto possibile.

(Applausi)

Ora che, con la dichiarazione di Berlino, abbiamo esposto i futuri compiti dell’Unione, abbiamo molti impegni da portare a termine prima del Consiglio di giugno. Vorrei spiegare brevemente di che cosa si tratta, ma non prima di aver detto quanto sono lieta del fatto che si possa già parlare di alcuni risultati positivi, grazie alla notevole disponibilità al compromesso da parte di tutti gli Stati membri. E’ positivo – e soprattutto, è nell’interesse dei cittadini – che ora l’Assemblea possa discutere di tariffe di roaming, che i trasferimenti di denaro tra paesi europei siano più semplici, che con il vostro aiuto si siano potuti concedere finanziamenti all’agricoltura, e che si siano fatti progressi per quanto riguarda il cosiddetto accordo “Cieli aperti”, ossia per il miglioramento del traffico aereo tra Europa e America. E’ sulla base di simili questioni pratiche che i cittadini ci giudicano, e perciò mi compiaccio dei progressi che abbiamo saputo compiere al riguardo, e mi auguro che otteniamo altri risultati concreti prima che la Presidenza esaurisca il suo mandato.

Ora ci aspettano tre importanti Vertici. Il primo è il Vertice UE-USA del 30 aprile, nel corso del quale intendiamo approfondire il tema del partenariato economico transatlantico. I progressi compiuti nell’ambito del traffico aereo sono di buon auspicio, ma sappiamo che potremmo creare una sinergia molto più cospicua tra l’Europa e gli Stati Uniti d’America. Vorrei ringraziare davvero di cuore la Commissione e i deputati al Parlamento che sostengono questa nostra impresa. La questione del partenariato economico transatlantico ha ricevuto nuovo impulso, e confidiamo di poter considerare il Vertice di fine aprile un incontro in cui si saranno ottenuti risultati davvero concreti.

Per quanto riguarda il secondo argomento che intendo affrontare, è fuor di dubbio che la questione dell’energia e del cambiamento climatico sarà all’ordine del giorno di questo Vertice. Sappiamo che l’Unione europea ha idee molto ambiziose al riguardo, e tenteremo di promuoverle e di farle accettare in tutto il mondo. Sono certa che le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo saranno con noi solo se i paesi industrializzati fisseranno insieme obiettivi ambiziosi. Per questo cercheremo di ottenere consensi a favore di queste idee. Dico deliberatamente “cercheremo” perché, come tutti sapete, si tratta di un’impresa immane. In questa fase non possiamo eccedere nelle promesse.

Inoltre – benché la questione non sia direttamente collegata – considereremo il Vertice UE-USA un’occasione per svolgere alcuni lavori preliminari al Vertice del G8 che si terrà a giugno a Heiligendamm, in Germania, e noi – cioè la Presidenza tedesca del G8 – abbiamo fatto in modo che all’inizio di maggio vi sia un incontro degli sherpa, ossia non solo degli Stati membri, ma anche dei cinque cosiddetti Stati outreach, cioè Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica, nel corso del quale si discuterà degli aspetti tecnologici del cambiamento climatico, in particolare allo scopo di scambiare nuove tecnologie e innovazioni, e in modo da preparare il Vertice del G8 specificamente sul tema del cambiamento climatico e dell’energia.

Sempre a maggio vi sarà anche un Vertice UE-Russia. Non solo il partenariato transatlantico, ma anche quello strategico con la Russia è per noi essenziale. Mi auguro che saremo in grado di superare gli ostacoli che impediscono alla Commissione di sedersi al tavolo negoziale con la Russia – ringrazio la Commissione per l’eccezionale impegno e dedizione al riguardo – perché i negoziati per un nuovo accordo di partenariato sono di certo essenziali, soprattutto in materia di sicurezza energetica e di partenariato per l’energia. Per questo il Vertice UE-Russia, che si terrà a Samara, in Russia, è della massima importanza.

Vi sarà poi un ulteriore Vertice, questa volta tra Unione europea e Giappone, che intende affrontare innanzi tutto la questione di come migliorare la cooperazione economica, perché i cittadini europei ci giudicheranno in quanto rappresentanti dell’Europa dalla nostra capacità di tutelare per i prossimi decenni ciò che ha reso forte l’Europa: una comunità di valori, una comunità di persone di cui si tutela la dignità individuale, che ha dato prosperità e coesione sociale ai cittadini.

Nel mio discorso di Berlino ho detto che abbiamo la responsabilità di portare l’Europa e i nostri ideali nel mondo e di convincere gli altri di ciò in cui crediamo. Non possiamo farlo aspettando di vedere come si evolvono le cose, isolandoci od occupandoci esclusivamente dei nostri problemi, ma possiamo riuscire solo se cerchiamo attivamente di guadagnare sostegno ai nostri valori e alle nostre idee. L’Europa può raggiungere questo risultato solo se è in grado di agire, se non si preoccupa soltanto e sempre di se stessa e se non si isola dagli altri. Per questo motivo è tanto importante che ripristiniamo al più presto la capacità di agire dell’Unione europea, in modo che l’Europa possa assicurare che i cittadini dell’UE possano aspirare a un futuro di sicurezza e libertà, perché questo è nel loro pieno diritto. Questo è lo scopo che ci unisce. Grazie dell’attenzione.

(Prolungati applausi)

 
  
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  Presidente. – Molte grazie per la sua relazione, signora Cancelliere federale e Presidente in carica del Consiglio. L’applauso dimostra che il Parlamento europeo apprezza molto il suo forte impegno per l’Europa.

 
  
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  José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei esprimere il mio favore e il mio deciso sostegno alle dichiarazioni iniziali del Presidente del Parlamento europeo su Zimbabwe e Darfur. Le violazioni dei diritti umani che vi hanno luogo sono inaccettabili. A nome della Commissione, condanno con forza tali violazioni e chiedo alle autorità dei paesi interessati di rispettare i diritti umani dei cittadini.

(Applausi)

Lo scorso fine settimana l’Europa del passato e l’Europa del futuro si sono incontrate a Berlino. Come afferma la dichiarazione, abbiamo festeggiato cinquant’anni di successi in Europa: pace, libertà e solidarietà, e più ricchezza di quanto persino il più ottimista dei padri fondatori d’Europa osasse sperare. Per una fortunata coincidenza storica, abbiamo celebrato la nostra unità a Berlino, la città che un tempo simboleggiava un’Europa divisa e che ora è emblema di questa Europa nuova, allargata e unita, con 27 Stati membri e quasi 500 milioni di cittadini. Le celebrazioni di Berlino hanno rappresentato un momento davvero entusiasmante per l’Europa. Parlo a nome di molti presenti dicendo che abbiamo sentito che lo spirito europeo era tra noi.

La dichiarazione di Berlino si è dimostrata all’altezza dell’occasione, rinnovando l’impegno delle Istituzioni europee e degli Stati membri verso i valori e gli obiettivi europei per il XXI secolo. Mi ha fatto molto piacere che la dichiarazione, proposta presentata dalla Commissione nel maggio 2006, sia diventata un elemento tanto centrale e appropriato delle celebrazioni.

Vorrei congratularmi con il Cancelliere Merkel e con la Presidenza tedesca per aver svolto un ruolo cruciale in questo grande risultato europeo. Cancelliere Merkel, credo che il suo impegno personale al riguardo, il suo background personale e la sua comprensione dell’importanza della libertà per il suo paese e per l’Europa siano stati decisivi per la creazione di quello spirito che ha regnato tra i leader a Berlino.

(Applausi)

Mi ha fatto altresì molto piacere che le tre Istituzioni europee abbiano firmato la dichiarazione. La presenza del Parlamento europeo è un segno di maturità democratica dell’Unione, che va sottolineato. Devo inoltre lodare il prezioso contributo dato dal Presidente Poettering a nome del Parlamento nel corso dei preparativi della dichiarazione di Berlino.

Oggi, dinanzi all’Assemblea, vorrei esporre due considerazioni. Innanzi tutto vorrei porre l’accento sull’esito positivo della strategia twin-track. Considerati insieme, i due Consigli europei di marzo ne rappresentano un esempio calato nella pratica. Il Consiglio europeo di primavera ha dato prova dell’impegno ad arrivare a un risultato nell’ambito dell’energia e della lotta al cambiamento climatico. La dichiarazione di Berlino ha dimostrato l’impegno a raggiungere un accordo istituzionale prima delle elezioni europee del 2009. Questo dimostra che è sbagliato ravvisare un conflitto tra l’approccio pragmatico e la visione politica. Al contrario, l’impegno verso una strategia twin-track è quello giusto. Da un lato porterà risultati e darà nuovo slancio politico alla soluzione del problema istituzionale; dall’altro, per poter ottenere risultati ancora migliori, abbiamo davvero bisogno d’Istituzioni più efficienti, più democratiche e più coerenti. Un’Europa dei risultati è una visione politica che si basa sul pragmatismo costruttivo, pensata per affrontare i problemi dei cittadini e per offrire soluzioni europee a problemi europei.

Abbiamo bisogno di un accordo sul Trattato anche per via delle grandi sfide mondiali che l’Europa affronterà negli anni a venire. Soltanto unita, e in modo più efficace, l’Unione europea potrà far fronte alle sfide del mondo globalizzato. E’ evidente che nemmeno gli Stati membri più grandi possono affrontare da soli il problema del cambiamento climatico, della sicurezza energetica o della migrazione di massa. Non possono rispondere da soli all’accresciuta competitività di questa economia globale. Dobbiamo farlo insieme con autentico spirito di solidarietà. Credo che questo sia il messaggio di Berlino e che ora questo messaggio si sia tradotto nell’impegno equivalente di trovare una soluzione alla questione istituzionale prima delle elezioni del 2009.

(Applausi)

Vi è un altro motivo per cui la Commissione sostiene con decisione una soluzione istituzionale rapida, ma ambiziosa. Certamente il fallimento del processo di ratifica getta un’indelebile ombra di dubbio sull’Unione europea. Anche laddove vi siano risultati significativi, come quelli raggiunti in seno al Consiglio europeo di primavera, resta sempre questo dubbio, questo atteggiamento negativo, questo pessimismo, questo scetticismo. Ci troviamo sempre dinanzi a una domanda cui occorre dare risposta: “Come potete convincerci”, chiedono i più scettici, “della vostra serietà nell’affrontare le questioni del mondo se non siete nemmeno in grado di trovare un accordo sulle vostre stesse norme e sulle Istituzioni in cui lavorate?” Quale credibilità hanno le Istituzioni e i leader europei se non riescono a raggiungere il consenso al riguardo?

Pertanto ritengo che in quest’ambito si debbano fare progressi. Se non si riesce a trovare un accordo istituzionale, si creeranno divisioni che potrebbero minare i nostri valori comuni. La storia europea deve ricordarci che non si possono dare per scontate le grandi conquiste di pace, democrazia, libertà e solidarietà. Nessuno le deve dare per scontate. Dobbiamo costantemente alimentare i nostri progressi per quanto riguarda la politica e i valori. Se vogliamo preservare e proteggere tali valori comuni – quelli che abbiamo menzionato nella dichiarazione, la dignità inviolabile dell’individuo, libertà, giustizia e solidarietà: tutti quei valori che ci rendono non un mero mercato, ma una Comunità politica e un’Unione – dobbiamo riformare le Istituzioni della nostra Comunità giuridica.

Preservare i valori comuni è un lavoro che non si porta mai a compimento, che io chiamo “l’infinita avventura europea”. Per avere un’Europa migliore, abbiamo bisogno di Istituzioni migliori che diano risultati migliori. Penso che la volontà politica ci sia e ora dobbiamo produrre risultati anche in quest’ambito.

Nel corso dell’incontro informale al termine delle celebrazioni, ho chiesto agli Stati membri di non perdere lo slancio nei mesi a venire. Ho chiesto la collaborazione attiva dei governi nazionali. Tutti gli Stati membri hanno firmato il Trattato, che non si è potuto ratificare in seguito a due voti popolari negativi. L’impegno preso, tuttavia, obbliga tutti gli Stati membri a dare un contributo costruttivo a una soluzione comune. In qualità di Presidente della Commissione europea, è mia responsabilità rivolgermi ai governi nazionali affinché nei prossimi mesi s’impegnino in modo speciale e sostengano la Presidenza tedesca nel suo importantissimo tentativo di trovare una soluzione.

(Applausi)

Vorrei ribadire il messaggio che ho inviato ai capi di Stato e di governo europei e a Berlino. Per il futuro dell’Unione europea è importante capire che quando si parla di Europa, non si parla solo delle Istituzioni europee: la Commissione europea o il Parlamento europeo a Bruxelles o a Strasburgo. Durante la cerimonia, cui alcuni di voi hanno partecipato, ho detto che l’Unione europea non è una potenza straniera che invade i nostri paesi, ma è il nostro progetto comune. L’Europa non è “loro”, ma è “noi”. Ai capi di Stato e di governo ho detto che per chi fa politica a livello nazionale è allettante, ma scorretto prendersi tutti i meriti e dare tutte le colpe a Bruxelles. Resistiamo a tale tentazione.

(Applausi)

Questa è l’etica della responsabilità europea che tutti dobbiamo condividere.

Dopo Berlino, vi è l’impegno politico di risolvere l’impasse istituzionale. La Commissione darà pieno sostegno alla Presidenza tedesca, collaborando con gli altri Stati membri, nel tentativo di arrivare, entro giugno, a una tabella di marcia chiara e precisa e, se possibile, a un chiaro mandato. Non dimentichiamo, come ho affermato nel corso delle celebrazioni dello scorso fine settimana, che questo è il genere di prova storica che una generazione di leader politici affronta solo una volta nella vita.

Vorrei concludere con lo stesso appello che ho pronunciato a Berlino. Fieri del nostro passato, guardiamo al futuro con fiducia. Lavoriamo insieme – Commissione europea, Parlamento europeo, Stati membri e cittadini europei – per portare la grande eredità tramandataci dai padri fondatori, per portare quei grandi valori nel XXI secolo.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Molte grazie per il suo discorso, signor Presidente della Commissione. Vorrei inoltre ringraziarla per la sua collaborazione costruttiva alla realizzazione della dichiarazione di Berlino – in fin dei conti, è stata una sua idea che le tre Istituzioni rilasciassero una dichiarazione congiunta. Ancora una volta, grazie di cuore, Presidente Barroso.

 
  
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  Joseph Daul, a nome del gruppo PPE-DE.(FR) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, abbiamo appena commemorato i cinquant’anni del Trattato di Roma, e cinquant’anni equivalgono a due generazioni – non molto in termini di storia, ma un’età notevole agli occhi dei giovani.

Negli ultimi giorni si è spesso affermato che i benefici dell’integrazione europea menzionati con maggior frequenza – pace, stabilità, relativa prosperità, modello sociale – hanno poco da dire alle nuove generazioni, perché fanno parte della loro vita quotidiana. A questa osservazione vorrei addurre due repliche. Innanzi tutto i giovani devono essere coscienti che il fatto che queste cose siano divenute realtà scontate è per loro una fortuna; in secondo luogo, questa visione delle cose va contrapposta al fatto che l’instabilità del mondo moderno – come testimoniano ad esempio le tragedie dell’11 settembre a New York, dell’11 marzo a Madrid e del 7 luglio a Londra – chiarisce a tutti noi, qualunque sia la nostra età, che la vita in pace, sicurezza e con talune risorse non è una realtà quotidiana per tutti al mondo, e nemmeno nei nostri paesi. Inoltre è per me motivo di grande apprensione il pensiero dei 15 soldati britannici che sono stati presi prigionieri.

Per la pace e la sicurezza occorre lavorare ogni giorno, come illustrerà ancora una volta il dibattito che intratterremo domattina con Javier Solana.

Tentando, a pochi giorni dal mio sessantesimo compleanno, di mettermi nei panni di un giovane europeo, i vantaggi che mi è dato di vedere nell’avventura europea possono essere, ad esempio, la maggior facilità con cui posso imparare le lingue straniere e la possibilità di partecipare a scambi scolastici, tirocini, tornei sportivi ed eventi culturali – il tutto attraversando frontiere virtuali e utilizzando una moneta unica, il che non è cosa da poco. Vivere in un paese o in una città gemellata con un’altra, usufruire di programmi patrocinati dall’Unione europea e trarre beneficio più o meno diretto dalla crescita economica generata dall’Unione dei nostri paesi non sono cose trascurabili. Essere cittadino di Stati che presentano un fronte più unito dinanzi ai partner e ai concorrenti mondiali, che sono i principali donatori di aiuti umanitari, che controllano la democraticità delle elezioni in tutto il mondo e che inviano forze di pace in numerose zone di conflitto – tutto questo non lascia indifferenti.

A titolo di esempio, vorrei citare la missione civile di gestione della crisi che l’Unione europea intraprenderà in Kosovo una volta che sarà deciso il futuro statuto di questa provincia indipendentista della Serbia. Sarà un’operazione senza precedenti per i nostri paesi.

Sono tutte attività positive, soddisfacenti e meritorie agli occhi dei giovani e, a mio avviso, di tutti. E’ vero che l’Europa non è una panacea che risolve tutti i problemi, tutt’altro, ma nessuno ha mai preteso tanto. Ciò che l’UE può fare, però, e meglio degli Stati membri separatamente, è contribuire alla soluzione dei problemi, affrontare nuove sfide e riorientare le priorità.

Che ci piaccia o meno, la globalizzazione è una realtà cui non possiamo sottrarci. Possiamo anche deplorarne spesso – a torto o a ragione – gli aspetti negativi, ma la globalizzazione presenta anche vantaggi innegabili, quali la semplificazione della comunicazione e dello scambio d’informazioni e l’apertura ad altre culture, per citarne soltanto alcuni.

In questo processo di globalizzazione, l’Europa ha un ruolo da svolgere, valori da difendere e un modello di società da promuovere. L’Europa non è destinata al silenzio, non è costretta ad accettare tutto senza manifestare la propria opinione, né condannata a farsi travolgere dagli eventi. Se vogliamo, possiamo influenzare il corso della storia, come abbiamo fatto negli ultimi cinquant’anni.

Signora Presidente in carica del Consiglio, non mi lascerei mai sfuggire l’occasione di congratularmi con lei e soprattutto ringraziarla, innanzi tutto perché la sua presenza in quest’Aula tre volte in tre mesi è prova del suo rispetto per il lavoro che noi deputati al Parlamento svolgiamo. Così facendo, dà un esempio che certamente i suoi successori vorranno seguire. In secondo luogo, vorrei ringraziarla perché, organizzando – e con successo, come sappiamo – una grande festa europea a Berlino il 25 marzo per celebrare i cinquant’anni del Trattato, ha dimostrato che l’Europa non vuol dire solo tenere discorsi e legiferare, ma può voler dire anche emozione, gioia e convivialità. Infine, vorrei ringraziarla perché la dichiarazione di Berlino, che le Istituzioni europee hanno adottato, è un documento leggibile e forte che rimette in corsa l’Europa e che ci offre una nuova prospettiva proponendo di trovare una soluzione istituzionale entro le prossime elezioni, che si terranno nel 2009.

Signora Presidente, la sua determinazione nelle azioni pubbliche, insieme alla sua personale modestia e al suo calore umano, fanno onore all’Europa e contribuiscono alla sua causa. Sotto la sua Presidenza si sono tenuti due Consigli europei, il cui successo è stato universalmente riconosciuto in entrambi i casi. Per quanto riguarda la questione cruciale dell’energia e del clima, l’Europa ha indicato la strada da seguire decidendo di dotarsi degli strumenti istituzionali per affrontare queste imponenti sfide e far sentire la propria voce. E’ così che l’Europa deve funzionare e agire; è così che i nostri concittadini, e soprattutto i giovani, faranno proprio questo progetto, che è più attuale che mai.

(Applausi)

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, benché la parola “storico” si stia svalutando per l’uso eccessivo che se ne fa, non dobbiamo temere di definire “storiche” le situazioni quando lo sono davvero. La situazione in cui ci troviamo oggi è tale, e a tutti coloro che criticano la dichiarazione di Berlino chiederei che cosa pensano accadrebbe se non fosse stata scritta.

Perciò, signora Presidente in carica del Consiglio, i miei complimenti per l’ottimo lavoro svolto. Ha tenuto le carte coperte a lungo – una mossa astuta dal punto di vista tattico – e, con la dichiarazione di Berlino, ha ottenuto quel che si doveva ottenere in questo momento. Ha fatto la mossa giusta, e l’Europa ne è risultata vincitrice, ma la fase storica inizia adesso, perché ora bisogna domandarsi che cosa accadrà.

E’ perfettamente chiaro – e personalmente lo reputo deplorevole – che il Trattato costituzionale non entri in vigore nella sua forma attuale. E’ un fatto che dovremo accettare. Questa Costituzione non ci sarà. Questo però non deve necessariamente significare che non ne abbiamo di fatto una, anche se il Trattato non porta il nome di “costituzione”; noi tedeschi da sessant’anni abbiamo una costituzione che si chiama “legge fondamentale”, e che è eccellente.

In questa fase dobbiamo rispondere alla domanda cruciale: che ne sarà di questo continente in futuro? Vi sono alcuni che vogliono un’altra Europa, che rifiutano la revisione dei Trattati nella convinzione che il Trattato di Nizza fosse già eccessivo e che stiamo comunque procedendo all’allargamento – in ogni caso e a qualsiasi costo. A queste persone, a nome del mio gruppo e credo anche della stragrande maggioranza dell’Assemblea – voglio dire che, al contrario, il processo d’integrazione europea non è finito; deve continuare, e così vogliamo che sia.

(Applausi)

Il motivo per cui vogliamo che continui è che ne abbiamo bisogno e, a tutti coloro che vogliono l’allargamento dell’Unione europea, dobbiamo dire che senza una riforma dell’Unione e un rinnovamento dei Trattati non ci possono essere ulteriori allargamenti. Ai Presidenti Kaczyński e Klaus, dico che ostacolando la riforma dell’Unione europea arrecheranno un grave danno alla Croazia.

(Applausi)

Li invito a non far pagare agli altri lo scotto delle loro politiche.

Perché quello che stiamo facendo ha portata storica? Vorrei che i sostenitori del processo d’integrazione mostrassero il suo stesso entusiasmo, signora Presidente in carica del Consiglio. Vorrei che i sostenitori dell’integrazione europea si facessero sentire quanto i suoi oppositori. Ora bisognerebbe essere un po’ più combattivi, perché, pur reputandosi grande, l’Europa in effetti è piccola.

I 27 Stati membri ospitano 500 milioni di persone, che rappresentano l’8 per cento della popolazione mondiale, percentuale che tende a diminuire. Per quanto riguarda Cina e India, sono ormai grandi nazioni. Gli Stati Uniti godono di un potere economico e militare che li rende una superpotenza. Se l’integrazione europea non andrà a buon fine e finiremo per avere un’Europa a più velocità, se l’Europa – che è già abbastanza piccola – s’indebolirà spezzettandosi nei suoi elementi costitutivi, allora fallirà. Per questo motivo ci servono tutti e 27 gli Stati membri e l’integrazione in Europa, perché quello è il nostro futuro.

(Applausi)

Se l’Europa dovesse fallire, sarebbe la fine non solo di un Trattato costituzionale, ma anche di un ideale, e di quale ideale si tratta? Bando alla reticenza sulla natura del nostro passato, su ciò che cinquant’anni d’integrazione ci hanno permesso di lasciarci alle spalle: odio e intolleranza, l’aspirazione a diventare grandi potenze e l’emarginazione delle minoranze, l’intolleranza religiosa e la persecuzione di coloro che hanno un’opinione politica diversa.

L’integrazione territoriale ci ha permesso di porre un freno alle ambizioni di potere di alcuni; il progresso economico unito alla sicurezza sociale ha eliminato l’esclusione sociale e il concetto d’integrazione ha sconfitto l’intolleranza etnica, religiosa e culturale. E tuttavia le cose che ho descritto esistono ancora, perché odio, esclusione, oppressione e persino l’aspirazione a dominare gli altri hanno fatto ritorno nell’Unione, non solo in quella orientale, ma in tutta l’Europa.

Questi elementi tornerebbero nell’Unione per nulla sminuiti se interrompessimo il processo d’integrazione. Per questo il richiamo alla battaglia va a coloro che, sotto la guida della Presidente in carica del Consiglio, Angela Merkel, lottano per la prosecuzione del processo d’integrazione e per un’Unione più profonda, a coloro che si dedicano ai valori europei, quei valori che ci hanno resi forti e un esempio per gli altri, perché non possiamo permettere che la Commissione, nel corso dei negoziati con altri Stati, dica loro: “Se vuoi aderire all’Unione europea, deve sottoporti a un processo di trasformazione, un processo che annulla tutto ciò che per te era valido finora, ma noi – quelli che te lo chiedono – non siamo in grado di riformarci”. Come possiamo essere credibili se questa è la situazione?

(Vivi applausi)

Le circostanze in cui ci troviamo oggi sono storiche, e lei, signora Presidente in carica del Consiglio – anche se devo ammettere che per me, che sono un socialdemocratico tedesco, non è cosa facile da dire – in patria troverà i socialisti al suo fianco lungo questa strada.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, onorevole Schulz. Il Presidente non è stato del tutto corretto. In futuro, le chiederei di prendere ad esempio non tanto la durata del discorso, ma soprattutto la qualità. Per motivi di obiettività, il Presidente non può spingersi oltre.

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signora Cancelliere, mi congratulo per i risultati conseguiti, cioè per il testo prodotto e il consenso ottenuto.

La sua celebrazione dei successi dell’Unione è stata tempestiva e adeguata. E’ soprattutto all’Unione europea che dobbiamo la sicurezza, la prosperità e le opportunità di cui godono i nostri cittadini.

Mentre eravamo al Historisches Museum di Berlino, domenica mattina, due cose mi hanno colpito. In primo luogo il suo gesto ispirato di ingaggiare per l’occasione l’Orchestra giovanile europea, che è ottima e merita un sostegno finanziario migliore. In secondo luogo, delle 31 persone sul palco – capi di Stato e di governo, Presidenti delle Istituzioni e altri – lei era l’unica donna, il che mi ha ricordato una strofa del poeta Robert Burns:

“Mentre l’occhio dell’Europa è fisso su cose imponenti,

Il destino degli imperi e la caduta dei re;

Mentre ciascun ciarlatano di Stato produce i propri piani,

E persino i bambini balbettano i diritti dell’uomo;

In questo gran trambusto permettetemi di dire

Che i diritti della donna sono degni d’attenzione.”

Signora Cancelliere, lei ci ha dato l’esempio: abbiamo bisogno di più donne ai massimi livelli della politica.

(Applausi)

In effetti, data la situazione attuale, solo una donna sarebbe riuscita a trovare un accordo.

Non posso però congratularmi con lei per la procedura che ha scelto: un testo elaborato negli antri più reconditi del Bundeskanzleramt e sottoscritto dai Presidenti delle tre principali Istituzioni non avrebbe dovuto avere l’ardire di esordire con “Noi cittadini dell’Unione europea”. Infatti sono proprio i cittadini dell’Unione a dover essere di nuovo coinvolti nel lavoro di costruzione dell’Europa. Il Presidente Barroso a ragione ha affermato che le Istituzioni devono rispettare la diversità, ma che gli Stati membri devono promuovere l’unità. In troppo poche capitali europee sono stati replicati i festeggiamenti solenni di Berlino. Fino a quando i suoi colleghi in seno al Consiglio non sosterranno attivamente la causa dell’Europa, ogni giorno, non esisterà alcuna base solida.

Né aiuta, signora Cancelliere, che il Partito popolare europeo, il suo partito, rivendichi tutto il merito per aver creato l’Unione. Gli estensori di questa vanagloriosa dichiarazione del PPE lodano giustamente Monnet, De Gasperi e Kohl, ma hanno quanto meno una memoria selettiva. Thatcher, Chirac, Berlusconi: anche loro erano tutti leader del Partito popolare europeo, ma lei sembra averne trascurato i contributi. L’Unione non è il progetto di un solo partito politico. Appartiene a tutti.

(Applausi)

Ci auguriamo, Cancelliere, che la dichiarazione di Berlino sia foriera di un nuovo corso. Contiamo sulla Conferenza intergovernativa, che lei ha fissato, affinché getti le basi del futuro dell’Unione. Nella nuova Europa, l’Europa che Berlino prefigura, l’Unione aiuta i cittadini a cogliere le opportunità della globalizzazione e si dimostra solidale con loro nell’affrontare le nuove sfide globali; nella nuova Europa, la democrazia ha la meglio, e i nostri valori hanno l’ultima parola.

(Applausi)

 
  
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  Cristiana Muscardini, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signora Presidente del Consiglio, Berlino è stato un momento di grande emozione, specie per chi come me siede in questo Parlamento dal 1989, l’anno che ha segnato la nuova nascita dell’Europa. La dichiarazione riconosce che l’Europa è un’Unione di Stati e non un nuovo Super-Stato e il riconoscimento dell’identità dei popoli dell’Unione, delle loro differenze nella comunione di intenti è la forza che ci permette di riprendere il percorso per raggiungere quell’unione politica che ancora ci manca.

Siamo dispiaciuti che non sia stato possibile il pieno riconoscimento delle nostre radici: proprio perché siamo fermamente convinti della laicità delle istituzioni, siamo altrettanto persuasi che, senza il riconoscimento di tutte le nostre radici, vi sia un impoverimento politico. Nella nostra società complessa, multiculturale e multietnica, con visioni diverse del concetto di democrazia per il raggiungimento della pace, che va di pari passo con il riconoscimento universale del rispetto della dignità della persona, è necessario che ogni cultura dialoghi con le altre e per il riconoscimento degli altri il presupposto è il riconoscimento di sé, dal quotidiano degli individui a quello degli Stati.

Siamo fermi nel riaffermare il pericolo di qualunque teocrazia e ugualmente di un esasperato laicismo, che lentamente distrugge nei singoli e nella politica i valori qualificanti della società. Siamo preoccupati della confusione che troppi fanno fra il concetto imprescindibile di laicità delle istituzioni e l’accettazione di un relativismo culturale e politico che porta al laicismo esasperato.

Siamo contrari ad un’Europa che sia solo mercato e a quelle pseudoculture che spingono i cittadini a cercare una vita virtuale da sostituire, per incapacità o paura, alla vita reale. Vogliamo un’Europa politica capace di ispirare la voglia di democrazia laddove nel mondo milioni di donne e uomini ancora subiscono la mancanza di libertà e di legalità.

L’Europa ha bisogno al più presto di istituzioni agili e definite, perché è oggi che il terrorismo è alle porte ed è oggi che ci serve la capacità di identificare e realizzare subito le nostre missioni – come abbiamo affermato nella Convenzione europea – missioni che l’Europa ha verso se stessa e verso il resto del mondo: dalle risorse energetiche a quelle idriche, dai cambiamenti climatici al riaffermare la dignità della persona.

Temiamo che la data del 2009 sia troppo lontana ma ad impossibilia nemo tenetur, anche se siamo così consapevoli del forte e convinto impegno della Presidenza tedesca e della grande capacità del Cancelliere Merkel di sapere a un tempo mediare e persuadere, che abbiamo qualche speranza che questi tempi si possano accorciare.

 
  
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  Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, volevo immediatamente far presente ai colleghi Watson e Daul, e agli altri, che c’è un metodo semplicissimo per avere più donne: la copresidenza. Nel gruppo Verts/ALE ci siamo riusciti – funziona benissimo – e ve la consiglio vivamente.

Ci rallegriamo molto, Signora Cancelliere, della dichiarazione di Berlino. Ci sono dei momenti nei quali la solennità, la retorica, la formalità hanno un senso e i 50 anni dalla creazione della Comunità europea sono sicuramente una di queste occasioni, anche perché per arrivarci sono morte tantissime persone ed è stata una battaglia molto dura e un lavoro alquanto lungo.

Siamo anche consapevoli del suo ruolo e di questo le siamo grati – anche se penso che tutto ciò rientri in qualche modo tra i suoi doveri – e siamo lieti di constatare che in questo caso, a differenza di altri – voglio assolutamente citare l’energia, le automobili, ecc. – la Presidenza tedesca abbia dimostrato un senso europeo sicuramente all’altezza della situazione.

Credo che il messaggio sia passato e che l’opinione pubblica abbia capito che questi 50 anni sono un traguardo positivo e che bisogna continuare nell’impresa. Certo, il popolo europeo non si è curato più di tanto del testo della dichiarazione né di quanto sia costato mettere insieme queste due belle “paginette”, in cui in realtà non c’è niente di particolarmente straordinario od originale. Piuttosto, a mio avviso, è ciò che è stato omesso dalla dichiarazione in oggetto a dimostrare l’esistenza di una situazione di profonda divisione in seno ai governi – insisto, ai governi – per quello che riguarda il futuro dell’Europa, divisione che non fa presagire nulla di buono per il lavoro che l’attende, Signora Cancelliere, nei prossimi mesi.

Noi sappiamo benissimo che il sogno di un’Unione europea ancora non è stato realizzato; che nel Darfur non possiamo ancora intervenire come Unione europea perché siamo divisi; che la politica energetica – ahinoi – per molti governi significa soprattutto prostrarsi davanti al Presidente Putin; che non sappiamo definire una politica originale rispetto agli Stati Uniti e che per tutto questo ci serve un’Unione europea forte, dotata di una costituzione.

Signora Cancelliere, se l’obiettivo del resto della Presidenza è quello di uscire dall’impasse nella quale ci troviamo, non possiamo assolutamente farci illusioni: il metodo puramente intergovernativo non funzionerà, né funzionerà il metodo della dichiarazione di Berlino, giacché non riusciremo, in una riedizione della notte di Nizza delle conferenze intergovernative, a trovare un accordo che sia in grado, come lei ha detto, di salvare la sostanza della costituzione.

Per questa ragione le rivolgiamo un appello: abbia il coraggio di rischiare la democrazia e il coraggio di autorizzare l’apertura della conferenza intergovernativa, lasciandovi entrare il Parlamento europeo attraverso una procedura di codecisione e “di navetta”, di pubblicità, di dibattito; i cittadini europei vogliono più Europa e non meno Europa ma i loro governi non sempre lo sanno dimostrare. Rifiuti pertanto l’idea che soltanto una conferenza intergovernativa possa farci arrivare a un risultato, perché non ci riuscirà, non salveremo la sostanza della costituzione ma avremo in mano soltanto un pugno di mosche.

 
  
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  Gabriele Zimmer, a nome del gruppo GUE/NGL.(DE) Signor Presidente, signora Cancelliere, onorevoli colleghi, al giorno d’oggi, quando parliamo del sogno europeo, in genere citiamo l’americano Jeremy Rifkin. In ogni caso, i capi di Stato e di governo dell’Unione e i loro sherpa non hanno sognato, e certo non insieme.

La dichiarazione di Berlino non descrive un sogno né rispecchia la realtà; al contrario, rappresenta l’ulteriore rifiuto della realtà, che impedisce ai capi di Stato e di governo di distinguere con chiarezza la crisi in cui versa l’Unione europea, il che comporta, naturalmente, che nessuna iniziativa offra una via d’uscita. Di conseguenza, il rischio di disintegrazione e di rinazionalizzazione continua ad aumentare. Non viene respinta l’area di libero scambio neoliberista, deleteria dal punto di vista sociale e ambientale, né l’ulteriore militarizzazione dell’Unione.

La dichiarazione non proferisce parola circa le condizioni dei milioni di cittadini comunitari colpiti da povertà, disoccupazione di lungo periodo, precarietà ed esclusione sociale. Non se ne fa menzione. Il messaggio della dichiarazione si rivolge solo ai governi, non ai cittadini degli Stati membri, e quindi non si può dire che contribuisca alla creazione di un’identità europea. I commentatori hanno detto che questa è una prova del nove per il processo costituzionale, come altri hanno affermato in linea di principio quest’oggi. Il che, tradotto, significa che la futura Costituzione, o Trattato fondamentale, sarà frutto di manovre diplomatiche segrete, senza alcuna partecipazione da parte della società civile. Dopodiché si tratterà solo di fare pressioni sui capi di Stato e di governo – e alcuni dei miei colleghi tedeschi minacciano di abbandonare il Parlamento se tali capi non rigano dritto. A mio avviso, si tratta di un’idea estremamente democratica – dico davvero.

Se i governi dell’Unione europea intendessero seriamente mantenere la promessa di dare all’Unione una base comune nuova e attuabile entro le elezioni del 2009, si dovrebbe fare quanto segue. Tutti i brani che insistono sulla liberalizzazione economica, la privatizzazione e la militarizzazione andrebbero eliminati dall’intero progetto di Costituzione europea. Bisognerebbe aprire un dibattito sull’Unione europea, come auspica la maggior parte dei suoi cittadini. La Parte III dell’attuale progetto di Costituzione andrebbe eliminata completamente. I dettagliati obiettivi e criteri politici andrebbero sostituiti con norme chiare su poteri, responsabilità e procedure, che danno spazio a politiche diverse. L’articolo I, paragrafo 41, punto 3 andrebbe sostituito dall’esplicito divieto delle guerre di aggressione e da una dichiarazione d’impegno per il diritto internazionale, e l’Agenzia europea per la difesa, che ha già aperto i battenti anticipando il Trattato costituzionale, andrebbe chiusa.

 
  
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  Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM.(DA) Signor Presidente, signora Cancelliere Merkel, i pubblici festeggiamenti nelle strade di Berlino sono stati meravigliosi, ma la loro nota dominante è stata un euronazionalismo formale e pomposo. Il Cancelliere Merkel ha tenuto un buon discorso. Il nostro Presidente, Hans-Gert Poettering, ha firmato un documento a nome mio e dei colleghi deputati, anche se non ce n’era ancora stata mostrata la formulazione e non avevamo avuto l’opportunità di influire su di essa. Un fatto simile non deve mai più accadere. Il Parlamento europeo non deve partecipare alla preparazione di documenti che i deputati possono vedere solo ad approvazione avvenuta.

La clausola più importante è l’ultima, con il suo impegno ad adottare una nuova Costituzione che possa entrare in vigore prima delle elezioni europee del giugno 2009. La Germania vuole che la Costituzione venga ritoccata. Vi è il desiderio di cambiarne il nome e forse di eliminare i riferimenti testuali alla bandiera e all’inno, ma non la bandiera e l’inno in sé. La Parte II verrebbe eliminata, e questo al fine di adottare i diritti comuni fondamentali con un riferimento di due righe. Alla Parte III verrebbe apportata una manciata di emendamenti, in modo da poter presentare la Costituzione come un piccolo e insignificante emendamento ai Trattati esistenti, ma i contenuti fondamentali sarebbero identici a quelli respinti dagli elettori francesi e olandesi.

Pertanto tutte le forze democratiche ora devono unirsi nel chiedere lo svolgimento di referendum sul prossimo Trattato in tutti i paesi e – perché no? – nello stesso giorno. In tal modo i nostri leader sarebbero costretti a ideare un documento che possa ottenere l’approvazione degli elettori, e il futuro Trattato darebbe maggior potere agli elettori anziché sottrarglielo, come fa la Costituzione. Il nocciolo della questione è che, naturalmente, in 59 aree si passa dal voto all’unanimità a quello a maggioranza qualificata, cioè dal voto all’unanimità, in cui gli elettori di ciascun paese hanno l’ultima parola, al voto a maggioranza qualificata, che si tiene a porte chiuse a Bruxelles, tra funzionari, ministri e lobbisti. Questo è l’ordine del giorno: troppo Machiavelli e troppo poco Montesquieu. Grazie, signor Presidente, anche se in questo caso non c’è nulla di cui ringraziarla.

 
  
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  Bruno Gollnisch, a nome del gruppo ITS.(FR) Signor Presidente, cinquant’anni fa il Trattato di Roma è stato concluso tra paesi in cui il livello di protezione sociale era comparabile e che, benché ricchi di culture diverse, condividevano anche una civiltà comune. Il principio alla base di tale Trattato era quello della preferenza comunitaria, che garantiva ai nostri produttori, e in particolare ai nostri agricoltori, prezzi più alti di quelli dei mercati mondiali.

Tale Trattato è completamente uscito dai binari; la preferenza comunitaria ha ceduto il passo a un’invasione di prodotti extraeuropei; la deindustrializzazione sta costando all’Europa centinaia di milioni di posti di lavoro, e sulla testa di agricoltura e servizi pende una grossa scure. Aprendo sconsideratamente le frontiere, l’Europa ha creato disoccupazione, insicurezza lavorativa e povertà, problemi di cui non si fa menzione nella dichiarazione di Berlino, che è un monumento al cinismo e all’autocompiacimento, completamente avulso dalla realtà e dai popoli, privo di contenuti, materiali o spirituali, da offrire all’Europa. Come ha commentato Papa Benedetto XVI in persona, riesce persino a sorvolare sulle radici cristiane dell’Europa; a questo serviva l’accordo del Presidente cristiano-democratico dell’Assemblea e del Presidente cristiano-democratico del Consiglio?

Quest’Unione non è più democratica; l’Istituzione internazionale sta diventando un superstato, uno Stato respinto dall’opinione pubblica. Quest’ultima lo ha cacciato dalla porta, ma ora tentate di farlo rientrare dalla finestra. Nulla di tutto ciò ha qualcosa da spartire con l’autentico spirito europeo, e noi non accorderemo il nostro sostegno a questi sviluppi imprevisti.

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Signor Presidente, se si elimina tutta la verbosità autocelebrativa, in realtà questa dichiarazione di Berlino in molti settori presenta ben poca sostanza. Seguendo il principio centrale del Trattato di Roma di assicurare un’Unione sempre più stretta, che la dichiarazione dovrebbe celebrare, molti euroentusiasti l’avevano considerata una pietra miliare importantissima per il rilancio della Costituzione respinta. Quando però è arrivata, dopo tanta segretezza, la dichiarazione non è stata nemmeno in grado di menzionare la Costituzione. Ha invece diffuso molte delle vecchie insulsaggini sul fatto che l’UE è il motore di pace dell’Europa. A mio avviso, la NATO, non l’Unione, può prendersi la maggior parte del merito per la difesa, il ritorno e la promozione della libertà e della democrazia in Europa.

L’idea di cooperazione europea non è in discussione. Sono il mezzo e lo scopo ultimo a dividere. Gli euroscettici credono nei benefici della cooperazione volontaria reciproca tra Stati nazionali sovrani. Quello che respingiamo è che tale cooperazione venga orchestrata da un’Unione europea avida e accentratrice allo scopo d’imporre ai cittadini di tali Stati nazionali un’integrazione politica che non vogliono. Questa dichiarazione tende a tale obiettivo, e ha pertanto un difetto di fondo.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Allister, ci congratuliamo con lei, in qualità di rappresentante del suo paese natale, per il governo dell’Irlanda del Nord.

 
  
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  Hartmut Nassauer (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora Presidente in carica del Consiglio, quello che la sua Presidenza fa per noi europei è infondere coraggio, poiché, per la prima volta in un lungo arco di tempo, abbiamo l’impressione che l’Europa possa davvero uscire dal vicolo cieco cui ci ha portato la mancata ratifica del Trattato. Non ci verrà chiesto di lavorare a una nuova Costituzione, ma il modo in cui l’Unione europea è costituita andrà adattato alla nuova situazione. Fin qui non vi è alcun dubbio. A tal fine occorreranno coraggio e la leadership di cui ha già dato prova. Lungo questo percorso, godrà del nostro ininterrotto sostegno.

Non dovrà però convincere solo i capi di Stato e di governo della bontà di quest’impresa, per quanto sia difficile. Dovrà anche riaccendere l’entusiasmo dei popoli europei per l’Unione europea, che rischia di perdere la fiducia dei cittadini – anzi, probabilmente l’ha già persa. Sorge il dubbio se l’integrazione che l’onorevole Schulz ha lodato sia la formula giusta; anche se devo dire che concordo con questo approccio di base e credo che l’integrazione sia al centro dello stile di vita europeo, una maggiore integrazione non ci darà il sostegno degli europei, e perciò la invito, signora Cancelliere federale, a farsi portavoce di coloro che, benché europei convinti e favorevoli all’approccio dell’integrazione, non sono proprio soddisfatti della percezione che si ha di questa Unione europea.

La fonte dell’inquietudine, della distanza cui lei stessa ha fatto riferimento, è l’approccio eccessivamente normativo alla legislazione, che fa sì che il cittadino comune percepisca le decisioni prese in questa sede come vessazioni da parte di Bruxelles. Se lei, Presidente della Commissione, vuole un esempio al riguardo tratto dalla sua area di responsabilità, raccomando lo studio, prima di andare a dormire la sera, della direttiva sulla protezione del suolo; le posso assicurare che le darà gli incubi. Anche se a ragione festeggiamo i successi storici dell’Unione europea, ciò che l’insoddisfazione verso di essa mette in chiaro è che all’Europa, in generale, non serve maggiore integrazione, ma frontiere – sia al suo interno che verso il mondo esterno. L’integrazione è un dato positivo, ma è diventata squilibrata, in quanto talvolta ne abbiamo troppa in patria, mentre fuori – dove i cittadini vogliono più PESC – non ve n’è abbastanza. Se ne dubita, le basti chiedersi se non è vero che un appello per il rilascio dei coraggiosi soldati britannici è molto più efficace se sostenuto dall’intera Unione europea anziché da un solo Stato membro.

L’Unione europea dev’essere liberata dalle incrostazioni con cui l’approccio integrazionista l’ha soffocata, ed è qui che il suo pensiero della discontinuità colpisce nel segno, con l’idea che un progetto di legge che non diventi legge entro la fine di un periodo legislativo venga fatto decadere. In questo modo si farà chiarezza, si spiegherà come sono distribuite le responsabilità e si creerà fiducia. Perciò, signora Cancelliere federale, l’augurio che le rivolgo è quello di riuscire a riconquistare la fiducia dei popoli d’Europa, cosa che ha l’opportunità di fare.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Nassauer, tutti dobbiamo compiere uno sforzo comune imponente, com’è nostra intenzione.

 
  
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  Edite Estrela (PSE).(PT) Signora Presidente in carica del Consiglio, parlando da socialista e da donna, vorrei anch’io congratularmi con lei, signora Merkel, per la sua Presidenza. Penso che si sia già distinta nel suo ruolo e che abbiamo bisogno di più donne in posizioni di potere decisionale.

Nei suoi cinquant’anni di esistenza, la Comunità europea ha realizzato il sogno di Jean Monnet; ha consolidato il progetto di pace, libertà e progresso e ha ampliato le proprie frontiere. Ora vi sono 27 Stati membri, mentre cinquant’anni fa – e in tempi più recenti nel caso del mio paese, il Portogallo – alcuni di questi paesi vivevano sotto il giogo della dittatura. Più pace, più democrazia, più ricchezza, la libera circolazione dei lavoratori e delle merci e una moneta unica ora adottata da 13 paesi: si tratta di un’eredità inestimabile.

L’Europa è cambiata nel corso di questi cinquant’anni, ma anche il mondo è cambiato enormemente, e con esso le esigenze degli europei. La globalizzazione, il cambiamento climatico, i problemi energetici, l’invecchiamento della popolazione, la migrazione e il terrorismo sono sfide cui bisogna trovare nuove risposte. Abbiamo la responsabilità di trovare soluzioni ai problemi del presente e soddisfare le aspettative dei cittadini. Sarà il modo migliore di promuovere la stabilità sociale e di contribuire all’equilibrio mondiale.

La pace interna e la stabilità conteranno ben poco se non si troveranno soluzioni alla guerra in Iraq, alla crisi del Medio Oriente e ai gravi problemi che hanno dinanzi i nostri vicini nell’Africa settentrionale.

La dichiarazione di Berlino rilancia giustamente la discussione sul Trattato costituzionale e impegna i 27 Stati membri a dare all’Unione europea una base comune rinnovata prima delle elezioni europee del 2009. Occorre trovare presto un consenso. Non si può negare che vi sono ostacoli, ma questa è una buona occasione affinché gli Stati membri mostrino al mondo e ai cittadini che ciò che ci unisce è più importante di ciò che ci divide. E’ l’unico modo per guadagnarci la fiducia dei cittadini.

 
  
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  Silvana Koch-Mehrin (ALDE).(DE) Signora Presidente in carica del Consiglio, innanzi tutto vorrei congratularmi con lei per due frasi contenute nella dichiarazione di Berlino, la prima delle quali dice che siamo, per nostra felicità, uniti. E’ una cosa meravigliosa da dire, in diretto contrasto con chi si lagna e dubita, con chi si lamenta sempre e solo del fatto che l’Unione europea è un qualcosa cui è obbligato a partecipare. Si tratta proprio di questo: siamo uniti per nostra felicità. Penso inoltre che questa formula piacevolmente semplice sia scritta in una chiave che arriva a tutti i cittadini.

Le porgo inoltre le mie congratulazioni per essere riuscita a fissare, nella dichiarazione di Berlino, il termine vincolante del 2009, entro cui l’Unione europea dovrà darsi una base comune rinnovata. E’ talmente preciso che nessuno dei suoi colleghi capi di governo potrà ritrattarlo senza perderci completamente la faccia.

Per quanto sia stato positivo rilasciare questa dichiarazione congiunta, devo dire che ne reputo il contenuto alquanto vago, perché non ha nulla da dirci su come dovrà essere il futuro dell’Europa né – cosa più importante – su come uomini e donne comuni vi debbano partecipare. Perciò, guardando alla seconda metà del suo mandato presidenziale, restiamo in attesa di proposte che mirino a tale scopo. Dal profondo del cuore, le porgiamo i nostri migliori auguri. Se mai avrà bisogno d’aiuto per accrescere la partecipazione dei cittadini, potrà senza dubbio contare su di noi.

 
  
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  Konrad Szymański (UEN). (PL) Signora Cancelliere, signor Presidente, i due maggiori risultati conseguiti dall’integrazione sono il mercato comune e l’allargamento. Il mercato comune ha portato prosperità agli europei, mentre l’allargamento ha offerto all’Unione una base solida in materia di relazioni internazionali. La dichiarazione di Berlino, tuttavia, anziché mettere in luce tali risultati, sembra occultarli dietro vaghe espressioni di apertura e cooperazione. Sminuire a tal punto il ruolo degli Stati membri è un grave errore. La dichiarazione è stata scritta unicamente a nome dei cittadini. Se vogliamo che l’integrazione proceda, dobbiamo attribuire maggiore importanza agli Stati membri, che sostengono l’integrazione e non le sono avversi.

Quando parla di allargamento, onorevole Schulz, la prego di non nascondersi dietro il Trattato costituzionale, il Presidente Kaczyński o il Presidente Klaus. Porre freno all’allargamento è puramente e unicamente espressione della nostra, e della sua, paura del futuro.

Questo documento è altresì offensivo in quanto non parla del cristianesimo. Si tratta di un esempio di pregiudizio che rende impossibile un’Europa di valori comuni.

 
  
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  Johannes Voggenhuber (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, oggi mi sento piuttosto insicuro di me, poiché, benché partecipi a questa Assemblea da dodici anni, non ho esperienza nel tessere le lodi delle Presidenze del Consiglio. Tuttavia il suo lavoro mi obbliga a farlo. Gli ultimi grandi europei a parlare in quest’Aula – Mitterrand e Juncker dopo la sua Presidenza del Consiglio – tendevano a collocarsi, nel loro europeismo, tra la malinconia e la disperazione. Nutro profondo rispetto per il modo in cui lei ha raccolto la sfida dell’Europa, e lo ha fatto anche se le straordinarie aspettative dei cittadini verso la sua Presidenza l’avrebbero potuta opprimere fin dall’inizio. Quel che manca alla dichiarazione di Berlino sono 26 firme, le firme dei 26 capi di Stato e di governo apposte a una dichiarazione pronunciata per un anniversario, una dichiarazione piena di ovvietà – ma la sua c’è. Lei è la prima a emergere dal meccanismo che vede i membri del Consiglio ostacolarsi, minacciarsi, mettersi i bastoni tra le ruote e tendersi trappole reciprocamente, ed è la prima ad assumersi questo impegno. Per questo merita tutto il nostro rispetto.

Avrei voluto sentire – insieme ai riferimenti ai risultati ottenuti dall’Unione europea – qualche parola in più sulla delusione delle aspettative dei cittadini e sulla crisi di fiducia nell’Unione. Mi congratulo con lei e voglio esprimerle il mio rispetto per aver scongelato il progetto costituzionale, cosa che ha dato prova di leadership: è stata una performance di prim’ordine eseguita in condizioni di estrema difficoltà.

Vi sono solo altri due aspetti che vorrei chiederle di considerare. Innanzi tutto, benché l’obiettivo che lei ha posto sia l’unico cui l’Europa possa aspirare, sorge la questione se il metodo sia quello giusto, se sia il caso che la crisi costituzionale venga superata da qualcosa in più, da un’Europa più forte e persuasiva, magari con questa o quella funzione supplementare, o democratica in modo più convincente. Il suo obiettivo è realizzabile utilizzando un metodo che si rifà ai giorni in cui i corrieri a cavallo andavano da una cancelleria di Stato all’altra, recando sempre lo stesso messaggio – le richieste e i desideri secolari dei governi nazionali?

In secondo luogo, vi è la Carta dei diritti fondamentali, e a questo proposito la scongiuro, signora Presidente in carica del Consiglio. Se la Carta dei diritti fondamentali viene separata dal Trattato costituzionale, si dividerà in due il grande movimento a favore della Costituzione, il che porterà a un risultato che per molti di noi che si sono battuti per la Costituzione sarà inaccettabile, perché i diritti fondamentali sono centrali per questo progetto europeo.

 
  
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  Presidente. – Grazie, onorevole Voggenhuber, soprattutto per il fatto che la sua cooperazione con il Presidente in seno al Parlamento ha contribuito a un risultato tanto positivo.

 
  
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  Roberto Musacchio (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Signora Merkel è sinceramente impegnata a rilanciare l’Europa ma non condivido il metodo e i contenuti con cui tenta di farlo. Si cerca di mettere fra parentesi la crisi sociale, politica, democratica e il significato del referendum francese, e si cerca di farlo puntando tutto sul metodo intergovernativo, che ha addirittura impedito ai parlamenti – a me ad esempio – la conoscenza della dichiarazione di Berlino, e sulla continuità col vecchio trattato liberista, disponibili magari ad arrivare ad una sua edizione minima.

Non si risolvono i problemi continuando sulla stessa strada che li ha creati. Occorre invece cambiare testo e contesto e puntare su democrazia e diritti, ridando la parola ai popoli e ai parlamenti, a partire dal Parlamento europeo, per riscrivere una costituzione fondata sul diritto alla cittadinanza, alla pace, al lavoro e all’ambiente e sottoporla quindi a un referendum europeo in cui ai popoli spetti l’ultima parola.

 
  
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  Vladimír Železný (IND/DEM).(CS) Signor Presidente, non molto tempo addietro ci è stato detto che né il governo ceco né il Presidente ceco sono stati informati del contenuto della dichiarazione di Berlino.

L’obiettivo di tale occultamento era forse quello di introdurre di frodo, al termine della dichiarazione, una frase che obbligava gli Stati membri ad adottare una mini-Costituzione, che non verrà denominata Costituzione in modo da evitare di dare ai cittadini l’opportunità di deciderne il destino con un referendum. La frase doveva essere apposta all’ultimo momento, dall’alto e senza consultare gli Stati membri. Tale indegno atteggiamento non si addice alla Presidenza democratica dell’Unione europea, ma è più affine a quel tipo di manipolazione politica che, come tutti ricordiamo fin troppo bene, era in uso nella parte orientale di quella che oggi è la Germania, ossia nell’ex Repubblica democratica tedesca. Alla fine, è rimasta una frase che non dice nulla e che raccomanda di dare all’Unione europea una base comune rinnovata, frase per la cui interpretazione occorreranno due anni di discussioni.

Nella Repubblica ceca abbiamo un’interpretazione chiara: “Riportiamo l’Unione ai suoi valori centrali originari, che devono ancora trovare una realizzazione. Eliminiamo il deficit democratico e assicuriamo la libera circolazione dei lavoratori e dei servizi. Riformiamo la politica agricola, che discrimina i nuovi Stati membri. Rinunciamo infine a produrre una mole infinita di regolamenti e lasciamo che le cose seguano il proprio corso naturale.” Grazie, signor Presidente.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signora Cancelliere federale, Presidente Barroso, ringrazio il Cancelliere federale e il Presidente per le loro parole.

(EN) Innanzi tutto vorrei riconoscere l’importanza storica del cinquantesimo anniversario della firma del Trattato di Roma.

Qualunque sia la nostra opinione dell’Europa che vogliamo vedere realizzata, penso che tutti dobbiamo essere lieti di alcuni risultati significativi conseguiti dall’Europa negli ultimi cinquant’anni. Abbiamo contribuito allo sviluppo di relazioni amichevoli tra Stati membri che fino a tempi storicamente recenti erano nemici. L’Europa ha offerto un forum in cui i governi eletti democraticamente possono prendere decisioni fondate sul dialogo. Abbiamo visto l’evoluzione di un mercato unico europeo, che ha offerto nuove opportunità economiche ai nostri popoli, e l’allargamento del 2004 ha sanato le restanti divisioni. Credo che tutti possiamo guardare con favore a questi e ad altri risultati.

Ciononostante, ora dobbiamo pensare al futuro. Oggi, agli occhi di molti, soprattutto nel mio paese, l’Unione europea incarna i concetti di distanza e burocrazia. Ci vedono ancora come un ente iperregolamentato che s’intromette in troppe questioni, che dovrebbero essere territorio esclusivo degli Stati nazionali. I cittadini vogliono che in Europa vi sia cooperazione, ma non capiscono perché i politici in seno al Parlamento europeo dedichino così tanto tempo alle questioni costituzionali e istituzionali. I cittadini ci chiedono che cosa intendiamo fare per contrastare il cambiamento climatico globale, per combattere la piaga della povertà nel mondo e per rendere il nostro continente più competitivo di fronte alla globalizzazione. Vogliono che otteniamo risultati concreti e che non ci soffermiamo eccessivamente sulle procedure.

Potrà anche essere necessario migliorare il funzionamento dell’Unione europea mediante le modifiche al Trattato, ma questo non implica necessariamente una Costituzione nuova e complessa.

Nel XXI secolo abbiamo bisogno di maggiore flessibilità e decentramento per permettere alle nostre economie di affermarsi nei mercati internazionali. Non ci serve più regolamentazione: ce ne serve di meno. Non necessariamente ci servono più votazioni a maggioranza per contrastare il cambiamento climatico o la povertà nel mondo; ci serve una cooperazione intergovernativa più efficace.

Costituzioni e istituzioni di per sé non generano prosperità, non rendono le nostre economie più competitive, non riducono le emissioni di CO2 e non danno da mangiare agli affamati nel mondo in via di sviluppo. Invito tutti i governi e la Presidenza a proseguire l’impresa, che hanno iniziato con il piede giusto, di giungere a risultati concreti in materia di contenuti politici.

 
  
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  Presidente. – Grazie, e auguri per il suo corso di tedesco.

 
  
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  Bernard Poignant (PSE).(FR) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, la dichiarazione mi ha riportato alla mente alcuni personaggi europei, come Robert Schuman, perché lei ha usato il suo stesso metodo, cioè quello di redigere la dichiarazione nella più totale segretezza, che può essere un approccio molto proficuo. Altro motivo per cui ho pensato a lui è che, pur avendo un padre francese, era cittadino tedesco perché nato durante la guerra; sua madre era lussemburghese, e il francese era solo la sua terza lingua, e tuttavia andò a finire che divenne Presidente in carica del Consiglio. Ripenso anche ad Alcide De Gasperi, austriaco di nascita e parlamentare austriaco ai tempi dell’Impero austro-ungarico, prima di diventare deputato italiano.

Erano uomini di frontiera, e sono questi uomini i fautori dell’Europa, perché le frontiere sono i segni delle ferite della storia, e siamo qui perché quelle ferite non debbano mai riaprirsi.

Poi mi sono ritrovato a pensare a voi tre. Ho pensato a lei, signor Presidente, lo scriba della pace, perché appartiene alla mia generazione, è figlio dell’Europa pacificata e non immersa tra le fiamme che in precedenza la consumavano, un uomo con la sua ferita personale. Quanto a lei, signora Cancelliere, per un francese come me, lei è il Cancelliere venuto dall’altra parte del muro, da quello che ora è un percorso turistico e che un tempo era una barriera, mentre lei, Presidente Barroso, è il Presidente della libertà ritrovata, che è cambiato rispetto a quando era diciottenne, periodo in cui, dal punto di vista politico, tendeva vagamente al rosso.

Pensando a voi tre – mi piace questa dichiarazione, e poi, in fin dei conti, è un anniversario – mi sono detto: “Eppure hanno qualcosa che non va: non sono socialisti”.

Allora mi sono però ricordato delle parole di Guy Mollet, socialista e Presidente del Consiglio nel 1956: “Se vuoi fare l’Europa, non aspettare che diventi socialista”.

E poi, sì, è proprio un bel lavoro!

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, onorevole Poignant, soprattutto per i suoi commenti personali.

 
  
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  Andrew Duff (ALDE).(EN) Signor Presidente, signora Cancelliere, potreste per favore confermare che ora la Presidenza è nettamente a favore di un arricchimento anziché di un depauperamento del Trattato costituzionale, al fine di assicurarne la rapida ratifica? Sceglierete con decisione una “Costituzione più” e non un Trattato mini, minuscolo o persino microscopico? Respingerete una Conferenza intergovernativa con l’unico scopo di liberare gli Stati membri dalla promessa di promuovere i referendum?

Ricordatevi delle imprese incompiute di Laeken. Non si deve permettere che la CIG smembri il pacchetto completo concordato tra Istituzioni e Stati membri. Deve invece concentrarsi sulla riforma delle politiche comuni, così da renderle più sensibili ai problemi contemporanei e alle sfide future.

Per quanto riguarda tutti coloro che vi chiedono di aprire le Parti I e II, vi prego di invitarli alla pazienza. Facciamo innanzi tutto entrare in vigore il Trattato, e collaudiamo il tutto nella pratica prima di tornare a manomettere di nuovo l’equilibrio concordato dei poteri. Prima o poi verrà di certo il momento storico della prima modifica, che però non va tentata ora.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Duff, vorrei ringraziarla per il contributo prestato nel corso del processo di consultazione e di informazione in seno al Parlamento.

 
  
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  Mario Borghezio (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signora Cancelliere, a Berlino ai leader europei è mancato un po’ il coraggio di indicare le scelte che ci impongono globalizzazione, immigrazione e il rischio della perdita di identità. Non una parola sui confini geopolitici dell’Europa, che rischia di andare a confinare – grazie all’allargamento alla Turchia – con l’Iran, l’Iraq e addirittura con la Siria.

Soltanto Papa Ratzinger, che emerge in questa situazione come una vetta, come un capo spirituale di un’Europa peraltro senza idee, senza ideali, ha indicato la via da seguire: come non capire che non è possibile costruire una casa comune dell’Europa ignorando l’identità culturale e morale dei popoli europei? Di fronte a questi moniti i leader europei sono rimasti sordi e muti. Non è certo l’Europa dei banchieri e delle lobby che può salvarci da questi guasti, dalla crisi del modello sociale europeo e dalla minaccia dell’invasione islamica.

Per noi autonomisti poi è difficile accettare un progetto di costituzione che sancisca un’Europa burocratica e centralista, tra l’altro caratterizzata, come vediamo anche in questi giorni, da gravi scandali, poca trasparenza, lontana dal sogno dei grandi pensatori degni di un’Europa delle regioni e dei popoli.

Tuttavia, Signora Cancelliere, voglio darle atto e ringraziarla della sensibilità di cui ha dato prova, quale leader animato da pietas cristiana, dell’attenzione che ha avuto, su mia segnalazione, per il problema ancora irrisolto del riconoscimento dei diritti degli internati militari italiani. La ringrazio a nome loro e delle 50 000 famiglie che attendono il riconoscimento del loro sacrificio e del loro ricordo.

 
  
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  Rebecca Harms (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, molte grazie; l’onorevole Voggenhuber le ha già donato un bouquet a nome del mio gruppo, in cui nessuno, a mio parere, dubita che se lo sia meritato. Tuttavia già ci domandiamo che cosa accadrà nell’immediato futuro, e questo, intervenendo verso la fine del dibattito, è il concetto che desidero ribadire. Non crediamo infatti che lo spirito di questa dichiarazione di Berlino sia compatibile con l’idea che quel che resta della Costituzione alla fine serva solo a facilitare un po’ il lavoro dei tecnocrati e dei burocrati di Bruxelles.

Consideriamo invece questo progetto costituzionale una causa e un progetto destinato a rendere più democratica l’Europa nel suo insieme, ed è per questo che crediamo che il catalogo dei diritti umani, di cui si è fatta menzione, debba assolutamente farne parte. Lungi dal reputare banale la questione di come perseguire questo scopo e di come promuovere la partecipazione dei cittadini, crediamo di aver imparato la lezione dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi, e che sia importante consultare tutti i cittadini, che in Europa hanno pari diritti. Consultare un cittadino e non un altro porterà a un’Europa a due velocità, il che non deve accadere. Vorremmo che si facesse maggiore chiarezza al riguardo, perché a nostro avviso sarebbe utile.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL).(PT) La Presidenza tedesca tenta di far approvare il proprio programma per l’Unione europea, che sta plasmando a misura delle sue crescenti ambizioni.

Con gran pompa e cerimonia, la dichiarazione di Berlino è solo un’ulteriore tappa di questa strategia, che tra i suoi obiettivi prevede il recupero dei contenuti fondamentali della (respinta) Costituzione europea. La verità è che, nonostante gli sforzi delle élite per dare importanza all’evento, la sensazione prevalente è stata quella di artificiosità e di totale indifferenza da parte dei cittadini all’annuncio dei cinquant’anni del Trattato di Roma.

Si tratta di un segno dei tempi, che mostra quanto l’Unione europea sia in contrasto con gli interessi e le aspirazioni dei popoli d’Europa e del mondo. Le forze dominanti dell’integrazione capitalista europea sono perfettamente consce di questa crescente contraddizione. Il contenuto della dichiarazione di Berlino è pertanto, a nostro avviso, nient’altro che una strumentalizzazione delle giuste preoccupazioni dei popoli d’Europa. La dichiarazione non ha nulla a che vedere con i veri obiettivi e con le politiche concrete dell’Unione europea, né con la dura realtà che ne deriva.

 
  
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  Antonio Tajani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signora Cancelliere, il vertice di Berlino ha fatto compiere all’Europa certamente un passo in avanti, rappresentando l’inizio di una nuova fase dopo un periodo contrassegnato da difficoltà e da qualche insuccesso.

Le celebrazioni del 50° anniversario dei trattati hanno segnato la ripresa di un’iniziativa europea, coordinata tra Consiglio, Commissione e Parlamento, per costruire il futuro dell’Europa. Ma se dobbiamo parlare di futuro, non possiamo non avere come obiettivo, da raggiungere prima del 2009, una legge fondamentale che regoli le competenze ed il ruolo di un’Unione che non sia soltanto un mercato ma che abbia anche la capacità di essere protagonista della politica internazionale, con interventi in grado di risposte concrete, anche alle domande dei cittadini.

Ecco perché ho apprezzato, Signora Cancelliere, l’iniziativa di aprire un grande dibattito su tre argomenti fondamentali: 1°) i cambiamenti climatici; 2°) la libertà energetica; 3°) la questione africana con i suoi drammi troppo spesso ignorati dall’Occidente. Ma l’Europa nella quale crediamo e nella quale credevano i padri fondatori non è fatta soltanto di politica e di economia. Mi preoccupa leggere che in Germania spariscono centinaia di chiese, come mi preoccupa constatare che in Italia nascono pochi bambini; mi indignano sentenze di giudici che assolvono uomini che picchiano selvaggiamente le loro mogli in nome della loro religione; mi spaventa la diffusione della droga fra i giovani europei. Non è questa l’Europa nella quale ci riconosciamo e per la quale siamo impegnati.

Sarebbe un errore dunque sottovalutare, o peggio dimenticare, i valori evidenziati nella dichiarazione di Berlino: democrazia, pace, libertà, giustizia e, soprattutto, centralità e dignità della persona umana. Come non condividere dunque le parole di Jacques Delors, che ci rammenta di non dimenticare le nostre origini cristiane. Afferma oggi in un’intervista: “La memoria è il nostro futuro”.

 
  
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  Stephen Hughes (PSE).(EN) Signor Presidente, guardando alla futura evoluzione dell’Europa, la dichiarazione di Berlino giustamente sottolinea l’importanza della solidarietà e della coesione sociale in un modello europeo che unisce successo economico e responsabilità sociale. Mi ha ricordato un’altra dichiarazione, dal titolo “Promuovere l’Europa sociale”, adottata da nove governi comunitari poco prima del Consiglio di primavera di quest’anno. Tale dichiarazione mira a riorientare l’insieme delle svariate politiche verso l’intervento in ambito occupazionale e sociale.

Per tutta risposta, nelle conclusioni del Vertice di primavera è stato incluso un chiaro riferimento alla dignità del lavoro, ai diritti e alla partecipazione dei lavoratori, alle pari opportunità, alla tutela della sicurezza e della salute sul lavoro e all’esigenza di un’organizzazione del lavoro attenta alla famiglia. E’ stata altresì sottolineata l’importanza della coesione sociale e si è posto l’accento sulla necessità di combattere la povertà, soprattutto tra i bambini. Pertanto si è messa in evidenza a chiare lettere l’importanza della dimensione sociale.

Le conclusioni hanno altresì ricordato le disposizioni sociali contenute nel Trattato, e in particolare la sua stretta connessione con il miglioramento delle condizioni di occupazione, di vita e di lavoro. Tutto questo fa parte dell’articolo 136 del Trattato, che è stato celebrato domenica scorsa e che fa da preambolo alla chiarissima base giuridica che la Commissione ha a disposizione per formulare proposte di miglioramento delle condizioni di occupazione, vita e lavoro.

Credo che Berlino e il Vertice di primavera siano stati tempestivi nel ricordare che la Commissione deve rilanciare un’agenda sociale che presenti dei contenuti, perché, considerando il suo programma di lavoro al momento attuale, la Commissione sembra aver completamente dimenticato di avere una base giuridica che le consente di agire.

Vogliamo che la Commissione dia con urgenza una risposta. Potrebbe innanzi tutto dare sostanza all’attuale gioco di mistificazione in materia di flessicurezza. Presentiamo nuove proposte legislative per contrastare le forme di lavoro atipico che si basano sullo sfruttamento. Facciamo in modo che la flessicurezza acquisti un significato positivo per i milioni di lavoratori che al momento la considerano un eufemismo per “sfruttamento”.

In conclusione, mi auguro che la Presidenza tedesca continui a riservare all’Europa sociale un ruolo centrale nel percorso verso il Vertice di giugno e nel periodo che seguirà. In tal modo, la dichiarazione di Berlino manterrà la propria credibilità.

 
  
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  Bronisław Geremek (ALDE). (PL) Signora Cancelliere, vorrei innanzi tutto e soprattutto ringraziarla per essere riuscita a distogliere l’Europa dal suo stato di apatia, dal suo pessimismo catastrofista. Il 25 marzo, gli europei non solo hanno intonato l’Inno alla gioia, ma l’hanno provata veramente.

La dichiarazione di Berlino è condizionata all’attuazione che se ne darà. Il suo posto nella storia dell’Unione europea dipende da quanto accadrà ora. Conferma però un dato importante, cioè che l’Europa si è davvero unita, e rende il giusto merito ai responsabili di tale unificazione.

Dobbiamo tuttavia forse aggiungere che l’Europa, per quanto riguarda est e ovest, si sta unificando soltanto ora. Due diversi passati e due diverse sensibilità devono unirsi. Occorre altresì che l’Europa sia forte e integrata.

L’unificazione dell’Europa è la nostra sfida, e l’idea straordinaria espressa nella dichiarazione di Berlino – che l’Europa deve riscoprire le proprie fondamenta – è una sfida ulteriore. Se deve ridefinire le proprie basi, senza un Trattato che le dia una dimensione politica e che le consenta di prendere decisioni efficaci, l’Europa non sarà in grado di andare avanti. Mi pare inoltre che l’affermazione della nostra unità debba significare che siamo uniti affinché l’Europa possa progredire.

 
  
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  Angela Merkel, Presidente in carica del Consiglio.(DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei riassumere molto brevemente questo dibattito, per il quale vi ringrazio di cuore.

Oggi in quest’Aula si è delineato con chiarezza – e sono certa che si tratti di un’opinione condivisa da tutti i gruppi – che è proposito e volontà comune della stragrande maggioranza dell’Assemblea portare avanti questa nostra Europa con un pizzico di ottimismo in più, come ha detto il presidente del gruppo socialista, onorevole Schulz, al quale anch’io vorrei fare i complimenti, se mi è consentito nella mia funzione di Presidente in carica del Consiglio, perché concordo interamente con tutti coloro che quest’oggi hanno detto che questo è un momento storico di grandissima importanza.

Gli scettici esitano e dubitano tuttora del fatto che ci serva un calendario, e che dobbiamo davvero presentare ai cittadini una base rinnovata nel 2009, come abbiamo promesso con la dichiarazione di Berlino. A questi scettici, vorremmo dire che noi, in qualità di Presidenza tedesca, insieme a Parlamento e Commissione, sappiamo già che in gioco c’è quello che un tempo chiamavamo “l’Europa dei progetti”, in altre parole quei passi avanti ben definiti che si devono compiere e che i cittadini devono poter effettivamente vedere.

Non si tratta solo di definire questa o quell’altra procedura di votazione e di risolvere le questioni istituzionali, ma anche, allo stesso tempo, di mostrare alle persone che stiamo ottenendo risultati, e risultati di grande importanza per la vita di ciascun individuo. Quanto più riusciamo a portare a termine in questo semestre, nel corso del quale naturalmente abbiamo altre importanti questioni da affrontare, tanto più facile sarà quindi fare progressi in quest’ambito. Ad ogni modo, nel prossimo trimestre ci dedicheremo in egual misura a entrambi i settori, e vorrei ringraziare davvero di cuore l’Assemblea per essersi occupata di molte questioni pratiche. Ieri, ad esempio, siete riusciti a sbloccare le risorse per la tutela dell’ambiente, permettendo così l’avvio dei progetti. Abbiamo parlato anche dell’agricoltura. E’ in simili settori che i cittadini domandano quali risultati stia ottenendo l’Europa, e perciò è positivo che ne abbiamo già ottenuto uno.

In quest’Aula si è inoltre chiesto come si è arrivati alla dichiarazione di Berlino. Credo sia stato Winston Churchill a dire, a proposito dei Trattati di Roma, che “mai qualcosa d’importante quanto i Trattati di Roma è stato realizzato in simili condizioni di anonimato, senza che nessuno si accorgesse di nulla”. Non abbiamo alcuna possibilità di ripetere un’impresa analoga in un’epoca come la nostra, in cui i media sono dovunque, ma credo che dobbiamo trovare, soprattutto nei prossimi mesi, il giusto rapporto tra partecipazione e la questione più ampia di portare a compimento le cose, e la pubblica piazza non sempre è il luogo migliore per farlo. Dunque il Presidente non è affatto stato costretto a intrattenere consultazioni segrete con me in merito alla dichiarazione di Berlino, ma, in un modo o nell’altro, i gruppi in seno all’Assemblea sono stati indubbiamente coinvolti, e abbiamo cercato così di riflettere sulle vostre proposte, esattamente come abbiamo fatto con la Commissione e i 27 Stati membri.

Si sa però che in democrazia non tutti vedono le proprie idee rispecchiarsi nel risultato finale; vi sono momenti in cui si può lavorare soltanto in parallelo, senza rendere conto di tutto allo stesso tempo. Cionondimeno penso che i cittadini debbano essere messi al corrente dell’attuale posta in gioco, ed è per questo motivo che ho una richiesta da rivolgere all’Assemblea. Signor Presidente, vorrei dare un suggerimento al Parlamento, perché il Consiglio, in quanto Istituzione, non è particolarmente adatto a celebrare la partecipazione pubblica. Poiché il Parlamento dispone di commissioni, forse sarebbe possibile organizzare – magari a maggio – un’audizione della società civile, cui anche il Consiglio invierebbe un proprio rappresentante, con la quale potremmo prendere in considerazione quello che si dice in seno alla società civile sulle aspettative dei cittadini rispetto a questo processo di elaborazione di una base comune rinnovata, così che in un secondo momento, mediante un dibattito che preceda il prossimo Consiglio, si possano coinvolgere in certa misura i cittadini europei nelle nostre deliberazioni.

(Applausi)

Ritengo dunque che anche nei prossimi tre mesi ci vedremo spesso. Il primo trimestre è stato divertente; perché il secondo dovrebbe essere da meno? Molte grazie.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Grazie, Cancelliere Merkel; la cosa più importante è che sia ora evidente che crediamo di nuovo nell’Europa e ci fidiamo l’uno dell’altro, e che questa fiducia tra l’Assemblea e lei in quanto rappresentante del Consiglio dell’Unione europea è cresciuta in modo straordinario nelle ultime settimane. Parlo a nome di molti in quest’Aula, ma soprattutto a titolo personale, quando dico che lavorare insieme a lei è stato un grande piacere, e che attendiamo con ansia un’ulteriore collaborazione con lei e con la Commissione. Le auguriamo di ottenere molti altri risultati e le accordiamo il nostro sostegno.

 
  
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  Mirosław Mariusz Piotrowski (UEN). (PL) La tanto attesa dichiarazione di Berlino si è rivelata una vera sorpresa per i popoli d’Europa. Non tanto per i contenuti, che la stampa ha definito “un capolavoro d’ambiguità”, ma per l’assenza di dibattito pubblico. E’ significativo che la dichiarazione sia stata sottoscritta solo da tre persone, che rappresentano le Istituzioni europee, invece che dai rappresentanti dei 27 Stati membri.

In effetti, la dichiarazione non impegna nessuno a fare alcunché, né appiana le divergenze d’opinione per quanto concerne il ruolo e il funzionamento dell’Unione. Non vi è accordo su una politica estera comune, né alcun abbozzo di politica europea di difesa.

La ferma opposizione, in alcuni paesi, a un riferimento alle radici cristiane dell’Europa mette in dubbio qualunque definizione dei valori comuni europei. In futuro, malgrado tutte le questioni irrisolte, non dobbiamo allontanarci dalla strada del dialogo e della consultazione, ricattando i paesi che danno voce a varie riserve.

 
  
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  József Szájer (PPE-DE). (HU) L’Unione europea ha raggiunto la maturità, e pare abbia anche acquisito la giusta saggezza, poiché è riuscita ad adottare un documento conciso che si concentra su valori, principi e compiti da affrontare, e che è nel contempo comprensibile al cittadino medio. L’Unione ha pertanto dimostrato di saper parlare all’unisono e di essere pronta all’azione fondata sui valori.

La dichiarazione celebra il cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma, ma vorrei ricordare un altro cinquantenario, cioè quello della rivoluzione ungherese del 1956, altrettanto importante per le radici, le origini e le tradizioni dell’Unione europea attuale. Senza l’esempio del 1956 e dei rivoluzionari ungheresi, l’Unione europea non si sarebbe potuta evolvere, come ha fatto, in quella che oggi chiamiamo “la nostra Europa comune”.

E’ mia convinzione che occorra un’Europa forte, sicura dei propri valori e della propria identità, che sia irremovibile dai propri principi e incapace di sotterfugi. Vorremmo un’Unione che intensifichi la cooperazione tra gli Stati membri, promuova la collaborazione interna e persegua una maggiore solidarietà e integrazione politica.

Perché è nostro interesse avere un’Unione europea forte? Perché con un’Unione forte anche ogni singolo Stato può rafforzarsi notevolmente. Per essere forti, senza dubbio è importante anche saper riconoscere chiaramente il nostro passato e la nostra identità.

Ho partecipato alle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario a Roma, prendendo parte a una conferenza indetta da un’organizzazione della società civile. Vorrei trasmettervi uno dei messaggi di tale conferenza, e cioè che dobbiamo davvero riconoscere la nostra identità, e riconoscere e affermare le radici dell’Europa, le sue radici cristiane. Chiunque guardi all’Europa dall’esterno vede in noi ciò che ci è comune. Perché noi non riusciamo a vederlo, e perché abbiamo paura di riconoscerlo?

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, onorevole Szájer, soprattutto per aver cooperato al coordinamento interno, cui ha dato un significativo contributo.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). (PL) La dichiarazione di Berlino è stata firmata in un momento molto importante per l’Unione europea. La firma dei Trattati di Roma, cinquant’anni fa, è stata il primo passo dell’attuazione di un’idea ambiziosa. La presenza a Berlino di 27 Stati ha rivelato le conseguenze di tale idea. Quando l’Unione è stata fondata sulle rovine dell’Europa postbellica, la dichiarazione di fondazione è stata firmata solo da sei Stati.

Ora, dopo mezzo secolo, è una gioia che in Europa regni la pace. L’UE ha quasi mezzo miliardo di abitanti. Copre una vasta porzione del continente e, in quanto potenza mondiale, è più forte che mai. I risultati dell’integrazione sono impressionanti: un mercato unificato, una moneta unica in 13 Stati e la libera circolazione di persone, merci e capitali. L’Unione europea si è assunta l’impegno di proteggere l’ambiente e di perseguire uno sviluppo sostenibile. Ha un ruolo attivo e di primo piano sulla scena internazionale, e porta stabilità e prosperità ai paesi vicini.

La dichiarazione di Berlino è un simbolo importante per l’Europa. Tuttavia qualcosa ancora manca, nonostante un chiaro senso di soddisfazione. Avremmo potuto sperare che l’Unione europea avesse una Costituzione nel cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma. Dobbiamo ancora affrontare alcune sfide: la concorrenza economica globale, le nuove sfide in materia di politica sociale, la tutela dell’ambiente, l’energia e la sicurezza. I cittadini europei desiderano un’Unione più efficiente e forte, che operi in base a norme trasparenti. Dobbiamo rimuovere gli ostacoli che i cittadini incontrano, soprattutto nei nuovi Stati membri, per quanto riguarda la libera circolazione di persone e servizi. Dobbiamo portare a termine l’allargamento dell’area di Schengen e dell’euro. Dobbiamo attuare una politica energetica comune. L’Europa ha bisogno della crescita economica, di nuovi posti di lavoro e di una migliore sicurezza sociale.

In questo contesto, il passo della dichiarazione che afferma che le basi istituzionali dell’Europa vanno concordate entro il 2009 è molto importante. Dovrebbe motivare tutti gli Stati membri a compiere le necessarie riforme istituzionali. Il Cancelliere Angela Merkel merita un encomio per aver contribuito significativamente al nostro successo comune. Oggi l’Unione europea ha un volto di donna. L’Unione è femmina.

 
  
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  Íñigo Méndez de Vigo (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, in quest’Aula si è parlato dell’importanza di una politica europea per il cambiamento climatico. E’ realizzabile con i Trattati che abbiamo ora? La risposta è no.

Inoltre si è parlato dell’integrazione sociale degli immigrati. E’ realizzabile con i Trattati che abbiamo ora? La risposta è no.

E che dire di un mercato energetico comune? Non ha una base giuridica nei Trattati attualmente in vigore. Lo dico perché contrapporre quello che alcuni hanno definito “le politiche che davvero interessano i cittadini” a strumenti e tecniche, come se questi ultimi non fossero importanti, dimostra semplicemente l’ignoranza del funzionamento dell’Unione europea.

Senza procedure, senza base giuridica, l’Unione europea non può agire, e senza una maggiore democrazia, agirà senza legittimità. Per questo motivo è tanto importante raggiungere un accordo sul Trattato costituzionale.

Credo che, visto il successo riscosso dalla Presidenza tedesca ai festeggiamenti di Berlino, ora dobbiamo dedicarci alla ricerca di questo accordo.

Spero che il Consiglio europeo di giugno operi in tal senso. Non è necessario che vi sia l’unanimità, e credo sia molto importante definire il mandato. E nel fissare il mandato della Conferenza intergovernativa – e qui parlo da docente universitario – dobbiamo tenere conto di quelli che hanno passato l’esame, in alcuni casi con lode, e dobbiamo aiutare quelli che non l’hanno superato e quelli che non l’hanno sostenuto, ma non dobbiamo prendere in considerazione solo i bocciati o chi non si è presentato.

Pertanto, chi tra noi ha firmato la ratifica ha mantenuto l’impegno e dovrà essere preso in considerazione quando si definirà il mandato.

Si è detto, e a ragione, che il Parlamento, per mezzo di lei, signor Presidente, ha dato un contributo decisivo alla dichiarazione di Berlino. Credo che si voglia fare altrettanto alla Conferenza intergovernativa: tutti vogliamo aiutare il Consiglio, perché la Commissione fa parte della CIG, perché i parlamenti nazionali intendono ratificare l’esito di tale Conferenza. Vogliamo però contribuire in modo decisivo ad assicurare che la CIG sia un successo almeno pari a quello della dichiarazione di Berlino.

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, onorevole Méndez de Vigo. Vorrei esprimere anche a lei la mia gratitudine per aver collaborato egregiamente ai lavori preliminari, per i quali ha svolto la funzione di coordinatore del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei.

 
  
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  Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, la cerimonia di Berlino appena conclusa è stata uno spettacolo fantasmagorico degli importanti risultati conseguiti negli ultimi cinquant’anni. Le luci della cerimonia si sono però spente, e ci ritroviamo di fronte al fatto che tra i cittadini europei prevalgono sentimenti d’indifferenza, rabbia e, cosa più importante, preoccupazione. I cittadini europei sono convinti che all’Europa non sarà facile progredire, data la situazione attuale.

E’ confortante che il Cancelliere Merkel abbia compreso che la priorità assoluta è creare le precondizioni per rendere operativi i meccanismi delle Istituzioni comunitarie, essendo ovvio che l’Unione europea dei 27 non può andare avanti con le stesse strutture e la stessa organizzazione che aveva quando gli Stati membri erano solo 15. L’impresa è estremamente ardua. E’ significativo che la dichiarazione di Berlino firmata dai 27 leader non faccia riferimento alla Costituzione europea, la questione che più ci preoccupa. La creazione della carica di Presidente dell’Unione e di ministro degli Esteri, la riduzione del numero di Commissari, la nuova ponderazione dei voti, l’aumento delle responsabilità del Parlamento, l’abolizione dei tre pilastri, il potenziamento dell’istituto di cooperazione rafforzata tra gli Stati membri e l’acquisizione di una personalità giuridica per l’Unione europea sono alcune delle soluzioni concordate presenti nella Costituzione europea che non è passata. Penso che dovremmo inserirle in un nuovo Trattato di “Nizza II” e metterle in pratica prima delle elezioni del 2009.

Dimentichiamoci dei progetti grandiosi. Ritorniamo alla realtà. Credo che con questa soluzione realistica l’Europa possa progredire.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LUISA MORGANTINI
Vicepresidente

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE). (FR) Signora Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, la dichiarazione di Berlino si rivolge ai popoli dell’Unione europea, perché si rendano conto degli straordinari risultati ottenuti dalla nostra opera comune; ricordandoci i valori europei, la dichiarazione dev’essere il punto di partenza per spiccare con l’immaginazione un altro balzo in avanti, che vada ben al di là dei sodalizi che hanno permesso ad alcune politiche comuni di convergere per cinquant’anni.

Dobbiamo essere realisti, senza nascondere le attuali difficoltà, e convincere gli europei che la creazione di un’Europa forte e unita nel mondo non solo è indispensabile, ma rappresenta un’opportunità per ciascuno dei nostri 27 paesi e per ciascuno dei 500 milioni di cittadini comunitari. Se vogliamo convincerli, dobbiamo non solo presentare loro risultati concreti e prove tangibili del valore aggiunto dell’Unione europea, ma anche assumere un atteggiamento più ottimista, come ha fatto il Cancelliere Merkel.

Gli europei sono divisi circa i principali orientamenti della politica europea; alcuni pensano che l’Europa abbia intrapreso un percorso troppo liberale e non riesca a proteggere i cittadini dalla globalizzazione, mentre altri pensano che non sia abbastanza protezionista. Come sempre, la verità si colloca tra i due estremi.

Il nostro continente è uno dei pochi punti di stabilità in un mondo sempre più imprevedibile. Le nostre storie sono ricche di lezioni da imparare e le nostre culture sono ricche di diversità: per molti popoli sono punti di riferimento. La nostra economia è perlopiù solida e aperta al mondo. Ci impegniamo in modo indefesso per una maggiore solidarietà con le regioni meno fortunate e stabili del pianeta.

Vorrei cogliere l’occasione per rendere omaggio al Cancelliere Merkel, non solo per i suoi risultati, ma anche per i suoi sforzi, che dimostrano quanto tenga al progresso dell’Europa e al compito di trovare un modo per superare l’impasse in cui ci troviamo da qualche mese a questa parte. Per questo vorrei ringraziarla di cuore.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE). (PL) Signora Presidente, signor Presidente della Commissione, noi, i cittadini d’Europa venuti dall’altra parte della cortina di ferro, teniamo nella massima considerazione la libertà, comprendendovi anche il libero mercato, e quello che un tempo era il nostro prodotto tipico nazionale o, se preferite, la nostra specialità regionale, ossia la solidarietà. Conosciamo anche il prezzo della difesa di questi valori. Per decenni abbiamo sognato di ritornare alla patria europea delle libere nazioni. Siamo cresciuti ascoltando programmi radiofonici vietati trasmessi da Monaco da un’emittente orgogliosamente chiamata “Radio Europa Libera”.

Oggi siamo ancora fedeli a quell’Europa, libera e unita. In qualità di membri dell’Unione europea, abbiamo il pieno diritto di contribuire alla creazione del suo futuro. Non basta più avere le parole “Europa, Europa” a fior di labbra, ma dobbiamo anche chiedere: “Europa, sì, va bene, ma che genere d’Europa?” L’Europa dev’essere un progetto che gode della piena fiducia di tutti i suoi membri. Nel dibattito europeo non ci possono essere argomenti tabù.

Il Trattato costituzionale, che i francesi e gli olandesi hanno respinto, è aperto all’analisi di ciascun paese, che ha il diritto di contestarne gli aspetti che reputa controversi.

Tuttavia non si deve creare una situazione che consenta all’onorevole Schulz, leader del gruppo socialista al Parlamento europeo, di non perdere occasione per emarginare quegli Stati membri che osano dissentire dalla sua idea della futura veste istituzionale dell’Unione europea, o che non si conformano all’idea di correttezza politica che la sinistra cerca d’imporre. Nel dibattito sul Trattato proposto dalla Presidenza tedesca deve prevalere l’apertura e la disponibilità al compromesso, anche in questioni problematiche quali la ricerca di modalità di votazione nuove ed eque per il Consiglio.

Ho altresì notato che nella dichiarazione di Berlino mancava qualsiasi riferimento alle nostre radici cristiane.

In conclusione, vorrei citare lo statista belga Paul-Henri Spaak, a cui è dedicato l’edificio in cui ci troviamo, e che nel 1957 ha detto:

(FR) Come ho detto una volta a Strasburgo, quando questo periodo sarà passato, quando ce ne saremo andati da molti anni e quando gli uomini cercheranno di raccontare l’avventura umana che abbiamo vissuto, non riusciranno – indipendentemente dalle nostre convinzioni religiose o politiche – a dire altro se non che le persone di quei tempi, di quel secolo, hanno vissuto insieme l’immensa avventura della civilizzazione cristiana.

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Presidente della Commissione, signora Presidente in carica del Consiglio e Cancelliere federale, è un grande onore poter parlare sotto la sua Presidenza. Ho alcune osservazioni che vorrei fare. Innanzi tutto, come ha illustrato la dichiarazione di Berlino, attraverso l’integrazione l’Europa è riuscita a ottenere un grado di pace, libertà e prosperità mai raggiunto finora in tutta la sua storia, probabilmente unico anche nella storia dell’umanità.

In secondo luogo, è altresì emerso con chiarezza che, in molti settori, quali il terrorismo, la globalizzazione, la PESC e la sicurezza energetica, abbiamo dinanzi sfide cui gli Stati nazionali non riescono più a far fronte da soli. Tale elenco evidenzia che l’Unione europea ha ottenuto ottimi risultati ogniqualvolta si è servita del metodo comunitario, ha lavorato con un ordinamento giuridico comune e applicato il metodo Monnet. Per questo motivo – o almeno così credo – il processo costituzionale andrebbe condotto su questa stessa base, perché siamo deboli laddove lavoriamo in forma intergovernativa.

Questo significa inoltre – se vogliamo intraprendere la nuova fase, successiva alla dichiarazione, e se vogliamo riprendere il processo costituzionale – che è importante che tali principi del metodo comunitario vengano rispettati. Il Trattato costituzionale contiene già molti degli elementi di cui abbiamo bisogno se vogliamo far fronte alle sfide che ci aspettano.

Pur non risolvendo, in sé, alcun problema, la Costituzione ci offre il quadro di legittimità e di competenza decisionale che ci permette di trovare da noi le soluzioni, e pertanto spero che sia chiaro a tutti i 27 Stati membri – e nel dire questo faccio seguito alla Commissione – che devono avere ragioni molto valide per non adeguarsi a tale processo. Perciò dobbiamo assicurare che l’Unione europea, quale Comunità di 27 Stati, affronti questa sfida, evitando di dividersi nei piccoli blocchi che si formerebbero se non riuscisse a farvi fronte come organismo unitario.

 
  
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  Presidente. – Nel dare la parola al Presidente Barroso, vorrei scusarmi per la scarsa presenza in Aula, non dei deputati perché è noto che non sono presenti, ma, soprattutto su un tema come questo che stiamo discutendo, di chi ha partecipato alla discussione. Sono però certa che leggeranno il suo discorso e magari l’ascolteranno sullo schermo.

 
  
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  José Manuel Barroso, Presidente della Commissione.(PT) Signora Presidente, onorevoli deputati, penso che il dibattito sia stato interessante. Avevo preparato un paio di repliche a domande specifiche, ma poiché gli onorevoli deputati che le hanno poste non sono presenti, rimanderò le risposte ad altra occasione.

Vorrei tuttavia esprimere un commento generale sulla questione di fondo, ossia i contenuti e il processo. Servono entrambi. Occorre risolvere i grandi problemi che l’Europa ha di fronte e i problemi della globalizzazione, ma occorre anche disporre dei processi e delle Istituzioni migliori. Non sono d’accordo con chi tenta di incentrare il dibattito su uno solo di tali aspetti. Se vogliamo risolvere i problemi ed essere in grado di affrontare le principali sfide, occorrono Istituzioni più efficienti, più democratiche e più coerenti.

Dobbiamo altresì risolvere la questione costituzionale. Che definiamo o meno “costituzionale” il Trattato, dobbiamo risolvere la questione, e questo è l’appello che vi rivolgo oggi, onorevoli deputati, anche a quelli che non condividono l’entusiasmo di altri per l’idea costituzionale. So che condividete il desiderio di risolvere i problemi in modo pragmatico. Confido che darete il vostro contributo, aiutando tutti i governi comunitari a trovare una soluzione in materia sia di processi che di Istituzioni, perché, se vogliamo ottenere risultati, ci servono le Istituzioni.

Per quanto riguarda le modalità di coinvolgimento della società civile e dei cittadini in generale nel dibattito sulla questione istituzionale, vorrei aggiungere che in seno alla Commissione siamo stati attivi. Prima dell’adozione della dichiarazione di Berlino, mi sono incontrato personalmente più volte con la Vicepresidente della Commissione, Margot Wallström, con i leader del Parlamento e con i rappresentanti della società civile. Accolgo con favore la proposta avanzata oggi dal Cancelliere Merkel, di far organizzare al Parlamento un’audizione della società civile nel mese di maggio. La Commissione darà il proprio sostegno all’iniziativa se il Parlamento porterà avanti la proposta.

Siamo pronti, insieme al Parlamento, a lanciare il dibattito al riguardo, assicurando nel contempo che vi sia spazio per le trattative tra governi, e per questo motivo vorrei sostenere la proposta del Cancelliere Merkel.

In conclusione, mi esprimerò in francese per rispondere all’importantissima osservazione dell’onorevole Poignant, che vorrei ringraziare per aver sollevato, con un pizzico di humour, una questione molto significativa e per aver dimostrato che le persone possono avere punti di vista diversi in materia di politica e ideologia, pur condividendo il medesimo spirito europeo. In questo vi è una lezione per tutti noi. Credo che questo riassuma perfettamente il nostro progetto europeo, che trascende in larga misura le nostre divergenze politiche e ideologiche. Si può propendere per la sinistra o per la destra o per il centro, ma quel che ci serve è una coalizione dello spirito europeo. E’ una lezione per tutti noi, per la quale desidero ringraziarla, onorevole Poignant, così come ringrazio anche coloro che, appartenendo a famiglie politiche diverse, condividono questo spirito – senza dubbio con varie sfumature – perché è soltanto con questo spirito, che ho percepito a Berlino, che possiamo far fronte alle grandi aspettative che l’Europa nutre nei nostri confronti.

Per quanto riguarda il tema della solidarietà, vorrei dire, soprattutto ad alcuni deputati dell’Assemblea che appartengono a gruppi politici con un’opinione ben più scettica dell’integrazione, che non va dimenticato che la solidarietà è una strada a doppio senso e che probabilmente verrà il giorno in cui il proprio paese avrà bisogno, concretamente, della solidarietà degli altri. Tutti dobbiamo dunque manifestare lo spirito di solidarietà e comprendere che solo con quello spirito potremo risolvere la questione istituzionale e, soprattutto, rispondere alle gradi sfide cui l’Europa deve far fronte.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, signor Commissario.

La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto.(FR) In qualità di rappresentante francese dei cittadini dell’Unione in seno al Parlamento europeo, innanzi tutto esprimerò il mio grande rispetto e la mia grande ammirazione per il Presidente della Repubblica francese, il mio amico Jacques Chirac che, con la sua presenza a Berlino il 25 marzo 2007, ha partecipato al suo ultimo Vertice europeo in qualità di capo di Stato, e le cui azioni in difesa di una Francia forte e indipendente in un’Unione europea forte e unita sono sempre state caratterizzate da lucidità, competenza e umanesimo.

Benché deluso dal fatto che i deputati al Parlamento europeo, che rappresentano i cittadini e i popoli d’Europa, non abbiano potuto contribuire alla dichiarazione di Berlino, accolgo tuttavia con favore la conferma della volontà di compiere progressi nell’integrazione europea, la proclamazione dei nostri valori e il fatto che ponga le elezioni europee del 2009 quale termine politico per la soluzione delle questioni istituzionali. Mi congratulo con la signora Merkel, Presidente in carica del Consiglio e Cancelliere tedesco, con il mio amico Hans-Gert Poettering, Presidente del Parlamento europeo, e con José Manuel Barroso, Presidente della Commissione, per il lavoro svolto.

 

13. Maggiore convergenza nelle prassi di vigilanza al livello dell’UE (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione:

– sull’interrogazione orale dell’on. Pervenche Berès, a nome della commissione per i problemi economici e monetari, al Consiglio, su una maggiore convergenza nelle prassi di vigilanza al livello dell’UE (O-0125/2006 – B6-0010/2007), e

– sull’interrogazione orale dell’on. Pervenche Berès, a nome della commissione per i problemi economici e monetari, alla Commissione, su una maggiore convergenza nelle prassi di vigilanza al livello dell’UE (O-0126/2006 – B6-0449/2006).

 
  
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  Pervenche Berès (PSE), autore. – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la commissione per i problemi economici e monetari ha ritenuto necessaria una discussione tre le Istituzioni europee sulla vigilanza, e volevamo che a tale incontro potessero partecipare anche il Consiglio e la Commissione. Noi membri della commissione per i problemi economici e monetari siamo molto lieti che siano state riavviate discussioni e siano ripresi i lavori, sia in seno al Consiglio che in seno alla Commissione, riguardo alla gestione delle crisi dei mercati finanziari. Una vigilanza e una cooperazione migliori e più efficaci tra i supervisori sono diventate una necessità; tuttavia, se vogliamo che il risultato finale sia buono, pensiamo che, in questa fase di sviluppo e di profonda trasformazione dei mercati finanziari, l’avvio di una discussione su questo tema sia indubbiamente il modo migliore di progredire.

La commissione per i problemi economici e monetari ha compiuto un grande lavoro di analisi del sistema finanziario europeo e delle implicazioni del consolidamento dei servizi finanziari, tra l’altro nella relazione Muscat, nella quale abbiamo espresso il nostro sostegno all’istituzione di un comitato di saggi incaricato non solo di valutare le conseguenze del consolidamento dei mercati e delle istituzioni finanziarie, nonché le implicazioni della vigilanza finanziaria, della stabilità finanziaria e della gestione delle crisi, ma anche di dare indicazioni precise sulle strutture esistenti e di presentarle in una relazione al Parlamento.

Lo scopo di questa discussione interistituzionale è di lanciare un chiaro segnale sulla necessità di aprire – o riaprire – quell’ampio dibattito sul futuro dei sistemi di vigilanza europei che è essenziale nell’interesse non solo della competitività del mercato finanziario in quanto tale ma anche della stabilità del sistema finanziario dell’Unione europea.

A tale proposito, permettetemi di proporvi alcune osservazioni. In primo luogo, vorrei dire che il sistema finanziario europeo e mondiale ha subito profonde trasformazioni. Con cadenza quotidiana assistiamo a continui cambiamenti dei mercati e alle innovazioni che vi si producono – sviluppi che, tra le altre cose, conferiscono maggiore forza agli hedge fund o alle private equity. Il consolidamento in atto dei mercati finanziari ha consentito agli operatori chiave di insediarsi e di agire su basi totalmente transnazionali. E’ aumentato il numero delle fusioni e acquisizioni motivate da esigenze di competitività ed efficienza, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo o globale. Sono arrivate al punto di generare una spinta motrice, con la conseguenza che la struttura dei mercati, come pure il modo di agire degli operatori su tali mercati, hanno subito mutamenti radicali, in un processo di trasformazione che comporta sfide nuove con poste in gioco nuove.

La mia seconda osservazione è che il consolidamento di strutture di vigilanza in campo finanziario deve andare di pari passo con il consolidamento dei mercati, perché talvolta si ha l’impressione che essi seguano ritmi diversi, al punto che viene da chiedersi se il sistema di vigilanza attualmente applicato nell’Unione europea – un sistema nel quale i supervisori, oltre a disporre di strutture specifiche e molto differenti tra loro, delle quali sono responsabili, hanno anche competenze, poteri e responsabilità fortemente divergenti e agiscono in conformità di un mandato nazionale – sia realmente in grado di assicurare un’adeguata vigilanza dei grandi gruppi finanziari multinazionali. Viene da chiedersi, poi, se il sistema sia sostenibile e se non possa, forse, mettere a repentaglio la stabilità finanziaria dello stesso sistema europeo.

In terzo luogo vorrei ricordare le peculiarità del sistema finanziario dell’Unione europea, caratterizzato dalla diversità e dalla ricchezza degli operatori, siano essi locali – ad esempio, banche regionali – oppure operatori che agiscono a livello transnazionale, transatlantico o in altri scenari globali. Tale situazione comporta la necessità di un quadro di vigilanza che sia solido, efficiente e adeguato, capace di rispondere alle sfide dell’integrazione regionale, dell’innovazione e di una gestione centralizzata, nonché, allo stesso tempo, di garantire un elevato livello di vigilanza e la solidità e stabilità del sistema.

In quarto luogo desidero sottolineare che il miglioramento dei sistemi di vigilanza è nell’interesse di tutti gli addetti ai lavori – in prima istanza, ovviamente, nell’interesse del sistema stesso, però, in seconda istanza, anche nell’interesse di tutti coloro che operano sul mercato, i quali ci chiedono di migliorare il sistema di vigilanza per facilitare la loro attività su tutti i mercati. Sono convinta che anche l’utente finale non potrà che trarre vantaggio da un miglioramento del sistema.

Come quinta, e ultima, riflessione vorrei dire che la questione dell’eccellenza europea nel campo della vigilanza ha in effetti una dimensione transatlantica e, proprio tenendo conto di questo fattore, mi pare sia giunto il momento di compiere passi avanti.

Alla luce di queste osservazioni, posso concludere, in sintesi, che nella nostra qualità di legislatori europei ci troviamo di fronte a una sfida importante: quella di dotare l’Europa di strutture di vigilanza prudenziale solide ed efficienti, capaci di garantire una corretta supervisione di tutti gli operatori finanziari, siano essi grandi gruppi multinazionali oppure banche locali, e capaci altresì di fare in modo che la vigilanza contribuisca alla competitività del modello europeo sulla scena mondiale.

Sorge pertanto la domanda su cosa occorra fare per poter realizzare tutto ciò: dobbiamo istituire un comitato di saggi, oppure è preferibile agire su base interistituzionale per consentire alle capacità e competenze collettive dell’Europa di funzionare al meglio? Questo è, in ogni caso, il messaggio che il Parlamento vuole trasmettere con la discussione odierna. Sono molto grata al Consiglio e al Parlamento per aver permesso che essa si tenesse in Parlamento.

 
  
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  Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, nel suo intervento l’onorevole Perès ha sollevato una serie di importanti questioni, tra cui alcune riguardanti i servizi finanziari. Le posso garantire che il Consiglio considera tale questione di fondamentale importanza.

Vorrei ribadire che il sistema finanziario europeo è percepito anche come un rilevante contributo alla strategia di Lisbona e svolge un ruolo cruciale ai fini del rafforzamento del quadro di stabilità finanziaria nell’Unione europea. Altrettanto rilevante è, però, l’esigenza di rendere più efficace la vigilanza in campo finanziario senza tuttavia appesantire questo settore con eccessivi oneri di controllo e senza limitare la concorrenza. Permettetemi di approfondire tre punti chiave delle citate conclusioni del Consiglio.

Primo punto: il Consiglio ha sottolineato l’importanza di pratiche di vigilanza nazionali eque e non discriminatorie, per creare parità di condizioni all’interno dell’Unione europea. Ha altresì ribadito la necessità di trovare un corretto equilibrio tra le responsabilità del paese di origine e del paese ospite e ha sottolineato nuovamente l’importanza di una vigilanza adeguata e seria in campo finanziario, al fine di garantire la stabilità finanziaria.

Secondo punto: il Consiglio ha invitato i tre comitati di livello 3 a tener conto, nei loro sforzi mirati alla convergenza delle norme e delle prassi, degli ostacoli individuati durante il loro lavoro e nelle relazioni, nonché nella relazione del comitato per i servizi finanziari sulla convergenza delle prassi di vigilanza. Particolare rilievo assume in tale contesto l’esigenza di lavorare a formati comuni per la rendicontazione delle istituzioni finanziarie ai supervisori, allo scopo di evitare duplicazioni di costi.

Terzo punto: il Consiglio ha manifestato il suo sostegno all’intenzione della Commissione di usare le proprie competenze al fine di garantire anche la conformità alle norme sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato. Il Consiglio reputa prioritario appoggiare l’attività dei tre comitati di livello 3, i quali devono poter disporre di adeguati strumenti di vigilanza. In tale ottica, le conclusioni del Consiglio del maggio 2006 contengono, tra l’altro, un piano d’azione generale a breve e medio termine che fa riferimento a una relazione del comitato per i servizi finanziari. Le norme sulla vigilanza, profondamente riviste, concernenti le compagnie di assicurazione, le società di collocamento titoli e le banche rappresentano una pietra miliare poiché creano una nuova base di collaborazione tra i supervisori, a tutto vantaggio della stabilità finanziaria e della competitività del nostro settore finanziario.

La relazione del comitato per i servizi finanziari ha segnalato tre sfide riguardo alle quali è necessario lavorare ancora e che, a mio parere, nel futuro immediato assumeranno un’importanza particolare. La prima sfida consiste in un ulteriore rafforzamento della convergenza delle prassi di vigilanza e della collaborazione, la seconda nel potenziamento dell’efficacia del sistema di vigilanza e la terza nel miglioramento della vigilanza internazionale, in considerazione del numero crescente di gruppi finanziari transnazionali.

Alla luce di tali sfide, il piano d’azione approvato dal Consiglio nel maggio dell’anno scorso comprende una combinazione di vari elementi, che mirano a promuovere la creazione di una cultura europea della vigilanza e di un meccanismo di mediazione e delega, oltre che di dispositivi elettronici di condivisione dei dati e di formati comuni per la rendicontazione. Osservo che quest’ultimo aspetto è stato sottolineato anche in seno al Parlamento europeo, nella relazione Muscat. Mi compiaccio di questa comunanza d’intenti anche a tale riguardo.

Al comitato per i servizi finanziari è stato chiesto di vigilare sui progressi compiuti dai tre comitati di livello 3 con particolare riguardo all’attuazione di vari strumenti.

Il comitato per i servizi finanziari ha inoltre ricevuto il mandato di verificare la convergenza dei poteri di vigilanza a un livello adeguato. So che anche la Commissione sta dedicando grande attenzione a tali aspetti, e confido che il Parlamento non mancherà di sostenere questo processo nel quadro del suo dialogo con i comitati di livello 3. Ulteriori approfondimenti sono attesi dall’attività del gruppo di monitoraggio interistituzionale.

Vorrei ora passare alle prospettive di lungo termine e al tema dell’approccio alle questioni normative. Nel fissare le priorità strategiche di lungo periodo, il comitato per i servizi finanziari deve tener conto, oltre che delle sfide attuali già ricordate, anche delle questioni connesse con gli sviluppi del mercato. A tale scopo, il comitato ha istituito di recente un nuovo sottogruppo, che dovrà presentare entro l’autunno 2007 una relazione sulla vigilanza a lungo termine. Questo nuovo filone di attività si baserà sul seguente approccio di tipo bottom-up: si potranno apportare ulteriori cambiamenti fondamentali nei compiti di vigilanza soltanto se sarà provata l’esistenza di problemi.

Vorrei inoltre sottolineare il fatto che, nel suo complesso, la questione della convergenza delle prassi di vigilanza va vista nel contesto del consolidamento dei mercati e delle istituzioni finanziarie. Per tale motivo sono particolarmente lieto che il Parlamento e il Consiglio siano riusciti già in marzo a trovare un accordo, in prima istanza, sul testo della direttiva concernente la valutazione della vigilanza sulle acquisizioni nel settore finanziario. Questa è una chiara testimonianza della nostra comune determinazione a migliorare il quadro dell’Unione europea per il lavoro quotidiano delle nostre autorità di vigilanza.

In conclusione desidero sottolineare l’esigenza di tener conto di tutte le sfide di questo tipo che le Istituzioni dell’UE si trovano ad affrontare nei settori indicati, comprese la sfida del rafforzamento della stabilità finanziaria per mezzo di accordi e procedure di vigilanza e quella del potenziamento della competitività europea. Entrambe le sfide traggono beneficio da un consolidamento del nostro settore finanziario, e questo processo di consolidamento deve altresì rafforzare la tutela degli interessi dei consumatori. Il Consiglio sta collaborando con la Commissione in relazione a tutti gli aspetti qui citati e valuta positivamente il forte interesse dimostrato dal Parlamento europeo, come emerge anche dalla discussione odierna. Esprimo il mio speciale apprezzamento per l’impegno del Parlamento volto a favorire ulteriori progressi.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, negli ultimi anni il settore finanziario europeo è profondamente cambiato. I mercati dei capitali si sono ampliati e si stanno vieppiù integrando. Hanno fatto la loro comparsa nuove tecniche di investimento. Il consolidamento del settore bancario procede a ritmo sostenuto. Ora i conglomerati paneuropei svolgono un ruolo primario su tutti i mercati nazionali.

In quanto proficui per l’efficienza del nostro settore finanziario, tali cambiamenti vanno accolti con favore. Essi, però, pongono i politici di fronte a nuove sfide. Dobbiamo garantire che i nostri accordi sulla vigilanza in campo finanziario siano rispondenti alle esigenze di un settore finanziario europeo maggiormente integrato; si tratta di un requisito esiziale per la stabilità finanziaria e la competitività del comparto.

In tale contesto, accrescere la cooperazione e la convergenza tra i supervisori europei è della massima importanza. Questo è stato uno dei miei obiettivi primari sin da quando sono diventato membro della Commissione, e tale resterà fino alla scadenza del mio mandato.

Permettetemi di ricordare brevemente ciò che la Commissione ha già fatto per promuovere in Europa un sistema di vigilanza più efficace ed efficiente.

Nell’ambito del processo Lamfalussy sono stati creati comitati europei di supervisori nei settori bancario, assicurativo e dei titoli mobiliari. Questi comitati hanno già promosso una maggiore collaborazione nel campo della vigilanza e una maggiore convergenza delle pratiche di vigilanza. Mi aspetto che ora continuino e accelerino il loro lavoro in tal senso, dato che il loro compito è cruciale ai fini del coordinamento in situazioni di crisi.

La Commissione ha insistito su una vigilanza più efficace sulle grandi istituzioni finanziarie, in particolare attraverso l’inserimento del concetto di supervisore consolidato nelle direttive sui requisiti patrimoniali. Il supervisore consolidato ha la responsabilità di assicurare un adeguato scambio di informazioni tra supervisori, banche centrali e ministeri delle Finanze in caso di crisi. Essendo il suo un ruolo decisivo, è mia intenzione proporre ulteriori e più ambiziose misure per il consolidamento della vigilanza in campo assicurativo nel quadro del progetto Solvency II.

Nei servizi relativi agli investimenti vige il principio di un maggiore controllo centrale, con alcune limitate eccezioni per i vari rami.

Per poter affrontare in maniera più specifica le questioni legate alla stabilità finanziaria, i miei uffici si sono attivati in cinque aree interconnesse nelle quali occorre fare chiarezza se vogliamo aumentare la nostra capacità di risposta alle crisi finanziarie. Le aree interessate sono: norme sulla liquidità, gestione delle crisi, prestatori di ultima istanza, sistemi di garanzia dei depositi e messa in liquidazione di istituti finanziari. Di questi temi si discuterà il 26 giugno durante una riunione della Commissione europea alla quale parteciperà anche l’onorevole Berès nella sua qualità di presidente della commissione per i problemi economici e monetari.

Gli sforzi della Commissione vanno visti in collegamento con il lavoro avviato in seno al Consiglio ECOFIN. Nel 2006 si è tenuta la simulazione di una situazione di crisi; facendo seguito a quella esercitazione, il Consiglio nel 2007 esaminerà i modi migliori per gestire crisi transfrontaliere e definire accordi di suddivisione dei compiti. Inoltre, il comitato per i servizi finanziari ha iniziato ad affrontare questioni connesse con una maggiore efficienza della vigilanza.

Il gruppo di monitoraggio interistituzionale nel quadro del processo Lamfalussy completerà la propria relazione finale nel 2007. Mi auguro che essa conterrà utili raccomandazioni sui modi in cui i comitati dei supervisori possono migliorare il proprio lavoro e intensificare la collaborazione. Saranno così in grado, in futuro, di affrontare meglio eventuali questioni legate alla stabilità finanziaria.

Verso la fine di quest’anno la Commissione presenterà inoltre una propria valutazione del funzionamento del processo Lamfalussy. E’ chiaro che il funzionamento dei comitati dei supervisori sarà un elemento decisivo di tale valutazione complessiva. Ascolterò con interesse i pareri del Parlamento al riguardo.

Sono certo che, grazie a una stretta collaborazione tra Parlamento, Consiglio e Commissione, potremo portare avanti questa discussione. Sarà necessario trarre conclusioni dalle varie attività in corso. Sono aperto a suggerimenti sulle modalità di operare; ritengo tuttavia che, in questa fase, sarebbe prematuro insediare un comitato di saggi. Preferirei attendere la conclusione delle diverse iniziative, verso la fine di quest’anno, prima di pensare alla prossima mossa.

Mi accingo a concludere. I mercati finanziari dell’Unione europea sono forti. Il nostro sistema di vigilanza funziona e quindi non necessita di correzioni. Negli scorsi anni sono stati compiuti importanti progressi per quanto riguarda l’ammodernamento degli accordi europei di vigilanza, però ci sarà bisogno di ulteriori miglioramenti, che sono la conseguenza dell’integrazione. Su questi punti siamo tutti d’accordo. Dobbiamo perseverare nei nostri sforzi volti ad assicurare che la struttura Lamfalussy diventi uno strumento di regolamentazione atto a garantire la vigilanza efficace, efficiente e convergente che è richiesta in un mercato unico dei servizi finanziari. Sono stati presi provvedimenti per verificare come sia possibile migliorare ulteriormente la struttura Lamfalussy e i nostri accordi di stabilità finanziaria affinché possano soddisfare le esigenze derivanti da una più stretta integrazione europea.

Sarò lieto di discutere nei dettagli con il Parlamento, a tempo debito, delle iniziative necessarie per risolvere i problemi che sono stati individuati, al fine di dotare il settore finanziario europeo del miglior sistema di vigilanza possibile. Si tratta di un aspetto cruciale, poiché la presenza di strutture di vigilanza e regolamentazione di ottimo livello è d’importanza decisiva per gli operatori del mercato europeo dei capitali a lungo termine nell’economia globale.

 
  
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  Karsten Friedrich Hoppenstedt, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signora Presidente, è positivo che oggi in questa sede discutiamo dell’interrogazione dell’onorevole Berès, già esaminata in seno alla commissione per i problemi economici e monetari, e le diamo risposta, ricollegandoci in tal modo, senza soluzione di continuità, sia alla relazione Muscat che alla discussione di ieri in seno alla commissione parlamentare, alla quale ha partecipato anche il Commissario.

La simulazione di una situazione di crisi presentata alla riunione del Consiglio ECOFIN di Helsinki lo scorso settembre e avente lo scopo di analizzare la stabilità finanziaria nell’Unione europea ha in effetti messo in luce l’esistenza di carenze. Questo scenario – ovvero strumenti finanziari in continua evoluzione, come gli hedge fund e gli strumenti della finanza derivata – rivela l’esigenza di un più approfondito dibattito che tenga conto in misura adeguata della sicurezza dei consumatori. Abbiamo dunque bisogno nell’UE di un sistema di norme e prassi di vigilanza che sia funzionale e interconnesso.

La tutela dei consumatori, un settore finanziario efficace e mercati finanziari stabili sono l’obiettivo ultimo della vigilanza finanziaria, che deve inoltre aiutare il comparto a sfruttare appieno il proprio potenziale e la propria creatività. Di conseguenza, una buona vigilanza deve essere adeguata ai rischi esistenti e deve adottare un approccio di principio, invece di occuparsi di dettagliate analisi specifiche. Non deve imporre ulteriori oneri sulle imprese, le regole devono essere fissate in stretta intesa con il settore finanziario e i mercati transfrontalieri vanno affrontati in egual misura a livello paneuropeo e a livello globale.

La vigilanza dovrebbe limitarsi a ciò che è realmente necessario e utile. Le misure esistenti devono essere applicate in maniera più prudente e più favorevole al mercato, evitando di imporre gravami inutili. Sono decisamente contrario alla creazione, in questo momento, di un’autorità europea centralizzata di vigilanza, in aggiunta e in parallelo alle autorità di vigilanza nazionali, perché in tal modo si violerebbe il principio di sussidiarietà, che l’Unione europea applica, e non vi sarebbe legittimazione democratica. Un simile organismo non solo non sarebbe compreso da molti, soprattutto perché comporterebbe un maggiore e poco trasparente carico burocratico, ma sarebbe anche accompagnato da una grave perdita di sovranità degli Stati membri perché, in caso di crisi, non terrebbe conto dei bilanci nazionali.

Intanto è meglio attendere di vedere come gli organi di vigilanza della nuova Unione a 27 si metteranno d’accordo e svolgeranno il loro lavoro. Non c’è bisogno di una struttura di vigilanza uniforme e centralizzata; ciò che occorre è piuttosto una cultura comune della vigilanza che si ispiri agli stessi valori e persegua gli stessi obiettivi.

 
  
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  Joseph Muscat, a nome del gruppo PSE. – (MT) E’ stata citata più volte una mia relazione, approvata dal Parlamento, che affronta nel dettaglio questa tematica.

La relazione, adottata ora come posizione del Parlamento, contiene l’analisi di una situazione che si sta vieppiù aggravando. Uno degli aspetti più rilevanti è che le pratiche e i livelli di vigilanza nazionali sono diversi. In una prospettiva europea, ciò significa una diminuzione dell’efficienza del mercato nonché ulteriori costi di gestione per le istituzioni che operano in paesi diversi. La relazione solleva l’interrogativo se il sistema attuale sia in grado di assicurare un’effettiva vigilanza dei gruppi di grandi dimensioni che operano in paesi e settori differenti. Abbiamo richiesto persino un’analisi più dettagliata del modello sociale europeo per quanto attiene alla stabilità prudenziale e alle strutture di gestione delle crisi. Abbiamo concordato sulla necessità di un efficace sistema di gestione delle crisi a livello europeo. Per effetto dell’attuale tendenza di sviluppo del mercato, una crisi, anche se insorta inizialmente in un solo paese, può poi rapidamente diffondersi ad altri.

La reazione a una crisi di questo tipo sta diventando sempre più complessa a causa del gran numero di istituzioni coinvolte e della mancanza di chiarezza su quale sia il loro ruolo. A ben guardare, l’inazione in questo settore penalizza soprattutto i consumatori e gli investitori europei. In tale contesto, il Parlamento europeo ha convenuto sull’opportunità di istituire una commissione di esperti che studi queste implicazioni e relazioni in merito, formulando proprie raccomandazioni.

So bene che vi sono pareri discordanti sull’iniziativa e sulla forma che essa dovrebbe assumere. Nondimeno ritengo che sia giunto il momento di avviare una discussione esaustiva su questo tema, con la partecipazione di tutte le Istituzioni. L’atteggiamento da evitare è che le parti cerchino di escludersi a vicenda dalla discussione quando si tratta di decidere la forma da dare in futuro alla vigilanza sui mercati finanziari europei. Credo che dobbiamo concentrare maggiormente i nostri sforzi sull’urgente necessità di affrontare tale questione, ribadendo che non c’è tempo da perdere.

 
  
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  Margarita Starkevičiūtė, a nome del gruppo ALDE. – (LT) Credo che la maggior parte dei paesi abbia un modo di dire sulla necessità di cominciare d’estate a prepararsi per l’inverno. Discutendo di questo tema, vorrei ricordare alla Commissione e al Consiglio quel vecchio adagio, perché finora ci è sempre stato detto che si sarebbero costituiti gruppi di lavoro e che si sarebbe esaminato il problema. E’ indubbio che il consolidamento ha i suoi aspetti positivi; tuttavia, il consolidamento porta con sé un maggiore rischio sistematico sul mercato. I gruppi finanziari operano in tutti i paesi dell’Unione europea e non di rado la dipendenza dalla loro attività e la loro influenza sono molto elevate. Quando parliamo di riformare le procedure di vigilanza dobbiamo innanzi tutto porci una domanda che sono solita rivolgere ai responsabili degli organismi di vigilanza europei: se una società consociata opera in un determinato paese e, a causa della sua cattiva gestione, comincia a creare danni all’economia di quel paese, chi sarà chiamato a pagare? Chi dovrà assumersene la responsabilità? La legislazione di quale paese sarà applicata? Altra domanda: se nella società consociata si verifica una situazione di crisi, come sarà gestita? A livello nazionale oppure a livello di gruppo finanziario? Finora, purtroppo, non abbiamo avuto risposte a queste facili domande. Sono molto lieta delle informazioni che i rappresentanti del Consiglio e della Commissione ci hanno fornito su quanto si sta facendo; però ancora una volta vorrei sottolineare che, vista la diffusione sul mercato di nuovi prodotti a rischio, dobbiamo accelerare tutti i processi e trovare insieme una soluzione agli interrogativi fondamentali, senza perderci nei particolari, perché parlare di diversi tipi di coordinamento e cose del genere può andar bene solo fintantoché non c’è una situazione di crisi. Il punto di riferimento per le nostre decisioni di riforma delle procedure di vigilanza dev’essere ciò che faremmo in una situazione di crisi.

 
  
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  Piia-Noora Kauppi (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, desidero ringraziare la presidente della nostra commissione, onorevole Berès, per il suo tempestivo contributo. Questa settimana la commissione ha cominciato l’esame della relazione van den Burg, e una delle questioni chiave anche nell’agenda post PASF concerne le modalità di realizzazione di un valido sistema di vigilanza per l’Europa. Per noi è molto importante sentire le opinioni del Consiglio e della Commissione sul futuro di questa agenda congiunta.

Il piano d’azione per i servizi finanziari è ormai più o meno completato; ci si sta quindi concentrando sulla convergenza nella fase di attuazione e vigilanza. Pensiamo che, sebbene i responsabili nazionali della regolamentazione siano già riusciti a individuare pratiche piuttosto valide, il lavoro in tal senso debba proseguire, anche al di là dei comitati Lamfalussy. Ad esempio, è senz’altro positivo che ora vi siano collegi di supervisori che si occupano di importanti casi paneuropei che coinvolgono una pluralità di giurisdizioni; talvolta, però, tali collegi mancano di autorità, non dispongono di risorse adeguate e non adottano abbastanza spesso decisioni a maggioranza. Sarebbe pertanto opportuno valutare l’eventualità di aumentare il numero delle votazioni a maggioranza qualificata nei comitati di livello 3 e nei collegi di supervisori.

Desidero inoltre sottolineare che nella proposta di relazione dell’onorevole van den Burg abbiamo avanzato un’idea nuova, ovvero che, per gli operatori paneuropei di alto livello, sia prevista all’interno del sistema un’autorità di vigilanza europea adeguatamente dotata ed equipaggiata. Vorremmo cioè creare un’autorità europea di vigilanza, da inserire all’interno dell’attuale sfera di responsabilità della Commissione e, quindi, all’interno del sistema. Penso che tale proposta potrebbe essere presa in considerazione anche da parte della Commissione.

Infine, è importante altresì sviluppare la cooperazione a livello globale. Sappiamo che i rischi finanziari e le sfide prudenziali non hanno rilevanza solo a livello europeo ma interessano sicuramente anche i grandi operatori di mercato americani e di altri paesi. E’ pertanto molto positivo che la Commissione abbia preso sul serio questo dialogo sui servizi finanziari con i partner transatlantici; occorre però compiere ulteriori progressi.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, voglio ringraziare tutti i deputati per i loro preziosissimi contributi.

Come ho detto prima, lo sviluppo della vigilanza finanziaria è di fondamentale importanza. Un ambiente finanziario stabile è un requisito irrinunciabile per la crescita economica di cui l’Unione ha bisogno, nonché per la tutela dei consumatori. E’ quindi importante prevenire il verificarsi di crisi finanziarie. La vigilanza dev’essere quanto più efficace ed efficiente possibile. Dobbiamo promuovere la convergenza delle pratiche delle autorità di vigilanza nazionali, al fine di ridurre al minimo gli oneri per le imprese transfrontaliere. Abbiamo bisogno di una cultura comune di vigilanza: più supervisori che fanno le stesse cose allo stesso modo.

Su tali importanti questioni sarò lieto di collaborare con voi.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

 

14. Futuro del Kosovo e ruolo dell’UE (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca in discussione la relazione presentata dall’on. Joost Lagendijk, a nome della commissione per gli affari esteri, sul futuro del Kosovo e il ruolo dell’Unione europea [2006/2267(INI)] (A6-0067/2007).

 
  
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  Joost Lagendijk (Verts/ALE), relatore. – (NL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, se si esamina la posizione che quest’Assemblea ha adottato sul Kosovo dal 1999, a mio avviso si può trarre una sola conclusione. L’attuale relazione è il logico epilogo di un lungo processo di deliberazione all’interno del Parlamento europeo, che ci ha permesso di pervenire a due considerazioni principali negli ultimi due anni.

La prima considerazione è che non è possibile mantenere l’attuale status quo in Kosovo, poiché si tratterebbe di un’ipotesi tutt’altro che auspicabile. In secondo luogo, che ci piaccia o meno, il Kosovo godrà inevitabilmente di una certa indipendenza, anche se il dibattito è aperto sulla definizione precisa che questa assumerà.

Nella mia relazione ho cercato di riassumere l’effetto che questa posizione, questa considerazione avrà in generale a livello pratico. In altre parole, qual è, secondo quest’Assemblea, l’esito più auspicabile delle discussioni sullo status del Kosovo in seno al Consiglio di sicurezza?

Permettetemi di evidenziare alcuni punti chiave. Il Kosovo deve ottenere accesso a istituzioni quali la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale per riuscire finalmente ad affrontare i problemi economici che lo affliggono e fare uscire la sua economia dall’impasse.

In secondo luogo, occorre mantenere la natura multietnica del Kosovo, caratteristica attualmente garantita nel modo migliore da una presenza internazionale, sia militare che civile: in altre parole, dall’Unione europea. Questa constatazione mi induce a concludere che l’Unione europea avrà un ruolo fondamentale da svolgere in seguito alla definizione dello status. Spetta all’Unione europea – e quindi a noi – fare in modo che le autorità kosovare guidino sempre più il loro paese verso uno Stato democratico multietnico che possa alfine aderire all’Unione europea e, se riceverà informazioni sufficienti e tempestive, il Parlamento è pronto a mettere a disposizione le risorse necessarie per questo ruolo e questo compito.

Infine, il Kosovo rappresenta un caso unico a causa dell’intervento della NATO nel 1990, ma lo è soprattutto poiché quella parte della Serbia è sotto l’amministrazione dell’ONU da circa 8 anni. Questo significa anche che nella situazione attuale le soluzioni, di cui si è attualmente alla ricerca, sono uniche e non possono essere utilizzate per risolvere conflitti in altre parti del mondo.

Fin qui la maggioranza dell’Assemblea è probabilmente d’accordo con me. La settimana scorsa è accaduto, però, che la discussione su questa relazione non si è concentrata sul contenuto che vi ho appena illustrato, ma sulla definizione che dovremmo attribuire alla situazione auspicata, ovvero sul termine che vorremmo usare per descrivere questa situazione ottimale in seguito all’indipendenza. Si tratterà di indipendenza vigilata, di sovranità vigilata, o forse faremmo meglio ad astenerci del tutto dal ricorrere a una definizione?

A chi per ora preferisce tacere sulla definizione di questa situazione vorrei dire che, a mio avviso, è estremamente importante che l’Unione europea parli con una voce sola e presenti un fronte unito, non solo qui a Bruxelles, ma anche in seno al Consiglio di sicurezza a New York e, non da ultimo, in quest’Aula. Se siamo d’accordo sull’obiettivo finale, perché non dovremmo dirlo? La nostra compattezza avrà un effetto positivo sulle difficili discussioni di Bruxelles e New York e farà in modo che per la Russia – la grande osteggiatrice alla definitiva indipendenza – diventi più difficile mettere gli Stati membri dell’Unione gli uni contro gli altri.

Chi è contrario a pronunciarsi subito con chiarezza, inoltre, si chiede perché debba essere quest’Assemblea a prendere in mano la situazione, perché la nostra debba essere la prima Istituzione europea a pronunciarsi tanto apertamente sull’esito finale e, a questo proposito, vorrei dire che, da lunedì scorso, a prendere in mano la situazione è stato qualcun altro, ossia Martti Ahtisaari, l’inviato speciale del Segretario generale, il quale nella sua raccomandazione al Consiglio di sicurezza ha affermato che “lo status del Kosovo deve essere l’indipendenza vigilata dalla comunità internazionale”.

Il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon ha sostenuto senza riserve questa posizione. Quindi, sono altri a indicare la via, ed io penso che sia più che giusto che quest’Assemblea esponga chiaramente i suoi desideri. Questo significa che dobbiamo sostenere la raccomandazione di Martti Ahtisaari affermando a chiare lettere che, a nostro avviso, l’esito migliore del processo sarebbe la sovranità vigilata.

Noi, in quest’Aula, siamo parlamentari, politici, non diplomatici. Sarei lieto se domani, in plenaria, la mia relazione potesse ricevere il vostro sostegno. Non mi arrenderò finché il Parlamento non affermerà chiaramente quale deve essere, a nostro parere, l’obiettivo finale, che, a mio modo di vedere, è la sovranità vigilata dall’UE. Questa è la chiarezza cui i kosovari hanno diritto, cui i serbi hanno diritto e cui hanno diritto anche i cittadini europei.

 
  
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  Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, onorevole Lagendijk, il processo per la determinazione del futuro status del Kosovo – allo stato attuale il problema politico più urgente nei Balcani occidentali – sta entrando nella sua ultima, decisiva fase. Il 26 marzo il Segretario generale delle Nazioni Unite ha presentato al Consiglio di sicurezza dell’ONU a New York la proposta globale del suo inviato speciale, Martti Ahtisaari, per un accordo sullo status del Kosovo. L’inviato speciale spiegherà personalmente la sua proposta ai membri del Consiglio di sicurezza il 3 aprile.

I ministri degli Esteri dell’UE hanno esaminato dettagliatamente la soluzione proposta in seno al Consiglio il 12 febbraio. Esprimendo totale sostegno a Martti Ahtisaari, essi hanno rilevato che la proposta di accordo sullo status era volta a promuovere una società multietnica e democratica basata sullo Stato di diritto in Kosovo. Inoltre si sono dichiarati convinti che le proposte dell’inviato speciale creeranno le basi per uno sviluppo economico e politico sostenibile in Kosovo e contribuiranno a rafforzare la stabilità della regione.

Belgrado e Priština hanno tenuto altri cicli negoziali sulle proposte a febbraio e a marzo, prima a livello di esperti e poi, il 10 marzo, al massimo livello politico.

A seguito dei negoziati, Martii Ahtisaari ha ulteriormente esteso la già vasta portata di alcune delle disposizioni per la protezione dei serbi kosovari e della chiesa ortodossa serba.

Nel complesso, però, dai colloqui è emerso che le differenze tra le due parti sono inconciliabili. Alla fine Priština ha accettato il pacchetto sullo status, mentre Belgrado lo ha respinto. Il 10 marzo, quindi, Martti Ahtisaari ha dichiaro conclusi i negoziati e ha annunciato l’intenzione di trasmettere immediatamente la sua proposta di accordo sullo status al Consiglio di sicurezza dell’ONU – giustamente, secondo il parere della Presidenza. In ultima analisi, se anche i negoziati si protraessero nelle settimane e nei mesi a venire, Belgrado e Priština non riuscirebbero in alcun modo ad avvicinarsi a una soluzione di compromesso accettabile per entrambe le parti, come ha dimostrato un anno di negoziati diretti. Anzi, nell’ultimo ciclo negoziale, le posizioni delle due parti si sono ancora più radicate.

Lunedì scorso, con la trasmissione della proposta di accordo sullo status al Consiglio di sicurezza dell’ONU, è iniziata l’ultima, decisiva fase del processo sullo status del Kosovo.

Come ha appena segnalato l’onorevole Lagendijk, è indispensabile che l’UE affronti questa fase presentando un fronte unito all’esterno e parlando con una voce sola. Quanto più sarà visibile l’unità dell’UE, tanto minore sarà il rischio di un blocco permanente in seno al Consiglio di sicurezza. La Presidenza dell’Unione europea è certa che il Consiglio di sicurezza assolverà il proprio dovere e spera che avalli tempestivamente la proposta.

Vorrei spendere alcune parole sul futuro ruolo dell’Unione in Kosovo.

L’UE è disposta ad assumere un ruolo importante nell’attuazione dell’accordo sullo status. Il lavoro di preparazione del contributo comunitario a una presenza internazionale in Kosovo in seguito alla soluzione della questione dello status è a buon punto.

L’attività preparatoria dell’UE si concentra sui seguenti tre campi. Innanzi tutto, sul sostegno alla presenza internazionale civile proposta. Il gruppo incaricato dell’UE sta lavorando a livello locale, nonché in stretta collaborazione con la KFOR, l’UNMIK e i leader del Kosovo su preparativi mirati alla creazione e l’inaugurazione dell’Ufficio civile internazionale (UCI).

In secondo luogo, il nostro lavoro si concentra sulla preparazione della missione PESD nel settore dello Stato di diritto, riguardo alla quale abbiamo già compiuto notevoli progressi. Prevediamo che all’UE verrà conferito un mandato che le consentirà di svolgere azioni di controllo e di fornire orientamenti e consigli alle autorità locali nell’ambito generale dello Stato di diritto. Ci aspettiamo anche che nel mandato rientrino poteri esecutivi in alcuni ambiti riguardanti la polizia – compreso il mantenimento dell’ordine pubblico nel caso di disordini e raduni di persone – nonché relativi al settore giudiziario e doganale. Il nostro programma è flessibile e, se necessario, si adatterà agli sviluppi della situazione.

In terzo luogo, il lavoro preparatorio riguarda la definizione della prospettiva dell’adesione del Kosovo all’UE e il sostegno al suo sviluppo economico e locale.

In tale contesto, accogliamo con favore l’interesse dimostrato dal Parlamento per il Kosovo, che trova riscontro anche in questo progetto di relazione. Il documento dell’onorevole Lagendijk sul futuro del Kosovo e il ruolo dell’Unione europea rappresenta un prezioso contributo agli sforzi compiuti a livello internazionale per promuovere una soluzione durevole alla questione del Kosovo.

In conclusione vorrei ribadire che il processo teso a risolvere la questione dello status del Kosovo sta entrando in una fase decisiva. Questo significa che l’UE si trova dinanzi a una duplice sfida. In primo luogo, mantenere l’unità nella ricerca, insieme ai partner internazionali, di una soluzione duratura per il Kosovo, la Serbia e la regione nel suo complesso e, in secondo luogo, intensificare i preparativi a sostegno degli sforzi internazionali per l’attuazione dello status del Kosovo.

L’accordo sullo status del Kosovo rappresenta l’atto conclusivo della dissoluzione dell’ex Jugoslavia. Si tratta di un caso unico e, in quanto tale, non può costituire un precedente per altri “conflitti congelati”. L’accordo sullo status è un requisito fondamentale per la stabilizzazione del Kosovo, della Serbia e dell’intera regione. Come hanno dimostrato i conflitti degli anni ’90, la stabilità sostenibile nei Balcani occidentali è una questione centrale, se non addirittura essenziale, per la sicurezza europea. Come in altri campi, la nostra unità è fondamentale per pervenire a una soluzione duratura.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, onorevoli deputati, innanzi tutto ringrazio il relatore, onorevole Lagendijk, e i parlamentari, e mi congratulo per il notevole e costruttivo lavoro che hanno svolto su questa relazione.

Come ho detto prima, la relazione e la proposta dell’inviato speciale Ahtisaari sono state trasmesse al Consiglio di sicurezza lunedì. Mi associo al Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, e alla Presidenza UE nell’appoggiare la relazione e la proposta presentate da Martti Ahtisaari.

Ritengo che possiamo convenire tutti che, in un mondo ideale, le due parti sarebbero riuscite a giungere a un compromesso accettabile. Negli ultimi 14 mesi di negoziati si è trovato un punto d’incontro su diversi aspetti pratici dell’accordo. Purtroppo Belgrado e Priština sono rimaste su posizioni diametralmente opposte sulle questioni chiave dello status stesso.

La proposta dell’inviato speciale Ahtisaari è intesa a promuovere la costruzione di una società democratica e multietnica in Kosovo sulla base dello Stato di diritto. Contiene disposizioni di ampio respiro volte a garantire il futuro di tutte le comunità del Kosovo, nonché la protezione di siti religiosi e patrimoni culturali.

Come ha giustamente sottolineato l’onorevole Lagendijk, l’essenziale per una decisione sul Kosovo è l’unità europea, qui e a New York. Dobbiamo sostenere con determinazione costante Martti Ahtisaari e la sua proposta all’interno del Consiglio di sicurezza dell’ONU. E’ inutile rimandare la decisione. L’UE gestisce il Kosovo da otto anni e, chiaramente, non è sostenibile mantenere questa situazione. Mi aspetto dunque che il Consiglio di sicurezza tenga fede alle proprie responsabilità nello spirito del multilateralismo responsabile e conduca il processo a una rapida ed efficace conclusione.

Una volta risolta la questione dello status, inizierà la fase di attuazione, che ovviamente avrà la propria genesi. Anche in questo caso l’UE dovrà operare in maniera compatta. L’Unione europea dovrà svolgere un ruolo guida sia nella gestione delle missioni civili internazionali sia a sostegno delle prospettive europee del Kosovo. A tal fine dovremo impiegare tutti i nostri strumenti nonché notevoli risorse. Nei Balcani occidentali e nel Kosovo non abbiamo una strategia di uscita, ma solo una strategia di ingresso.

Vorrei sottolineare che la responsabilizzazione locale e il partenariato con la comunità internazionale sono la chiave per il successo dell’attuazione dello status. L’UE e i suoi partner internazionali non si possono sostituire agli sforzi del Kosovo, né in termini di volontà politica né a livello di risorse. Possiamo però dare il nostro contributo e l’accordo sullo status non si otterrà certo gratuitamente.

Non si può ancora sapere con esattezza quali saranno le esigenze finanziarie del Kosovo dopo la concessione dello status, ma dalle prime stime emerge che potrebbe essere necessaria un’assistenza finanziaria di circa 1,3-1,5 miliardi di euro nei primi tre anni successivi all’accordo.

Dovremo occuparci di quattro aree principali: la parte del Kosovo nel debito jugoslavo, il costo dell’attuazione dello status, le esigenze di sviluppo economico e il costo della presenza internazionale, compresa la prevista missione PESD, che si prevede sarà la più grande missione di gestione civile delle crisi che l’Unione europea abbia mai intrapreso. Probabilmente la presenza complessiva dell’UE nel Kosovo sarà dell’ordine di 1 500-2 000 membri di personale internazionale.

Sappiamo tutti che l’UE sta attualmente affrontando importanti sfide di politica estera in altri contesti, compreso il Medio Oriente, l’Afghanistan e il Darfur. Il Kosovo non è l’unica priorità di finanziamento, ma l’Europa ha una speciale responsabilità nel Kosovo, che è ai nostri confini e in futuro farà parte del nostro territorio nazionale. Al Vertice dei ministri degli Esteri UE che si terrà a Brema venerdì, il Vertice di Gymnich, preciserò che le risorse non possono provenire esclusivamente dal bilancio comunitario. Questa responsabilità dovrà essere condivisa anche dagli Stati membri e dai nostri partner della comunità internazionale. La Commissione elaborerà un pacchetto di finanziamento che rifletterà il nostro livello di responsabilità. A questo proposito conto sul vostro aiuto, poiché occorre un forte sostegno da parte dell’autorità di bilancio per riuscire a mettere insieme un pacchetto di finanziamento credibile.

Un’ultima parola sulla Serbia: posso assicurarvi che l’UE rimane vincolata agli impegni assunti sulle prospettive di adesione di questo paese. Siamo pronti a lavorare alla realizzazione di tale obiettivo con un nuovo governo. Spetta ora al nuovo governo della Serbia soddisfare le condizioni per la ripresa dei negoziati su un accordo di stabilizzazione e associazione con l’Unione europea.

E’ indispensabile un forte impegno con la Serbia per riuscire a concludere positivamente il processo per la definizione dello status. Una Serbia fiduciosa nel suo futuro europeo potrà superare più facilmente il retaggio del passato.

 
  
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  Erika Mann (PSE), relatore per parere della commissione per il commercio internazionale. – (DE) Signora Presidente, esaminerò solo alcuni dei punti discussi in seno alla commissione per il commercio internazionale. Avendo visitato più volte di persona entrambe le parti del Kosovo – sia Priština che Mitrovica – mi trovo in una posizione relativamente buona per valutare la situazione. La nostra particolare preoccupazione è che venga svolta un’analisi molto dettagliata delle condizioni economiche e commerciali, poiché riteniamo che la stabilità economica sia l’unico modo per realizzare la sicurezza a lungo termine nell’intera regione.

La situazione è estremamente problematica. Le infrastrutture sono molto deboli ed è necessario procedere a un totale ammodernamento e a una ristrutturazione delle industrie chiave. Alcune PMI sono molto innovative, ma occorre offrire loro un sostegno finanziario decisamente maggiore nonché integrare i giovani e creare i necessari posti di lavoro. Tutto ciò è possibile solo nel quadro dell’integrazione nell’UE – non un’integrazione intesa a chiedere immediatamente l’adesione del Kosovo all’UE, ma a sviluppare appieno il concetto di zone di libero scambio, in modo, soprattutto, che possa funzionare davvero. In ultima analisi, sono già stati firmati accordi con molti dei paesi balcanici, i quali devono però essere effettivamente funzionali.

Chiediamo inoltre con forza che l’ottimo lavoro svolto finora dall’UE, in particolare nell’ambito del quarto pilastro, venga trasferito alle nuove strutture, in modo tale da non dover rinnovare completamente i sistemi.

 
  
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  Bernd Posselt, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signora Presidente, nel 1912 il Kosovo, una regione abitata al 90 per cento da popolazione di etnia albanese, venne annesso alla Serbia senza un referendum. Ebbe un destino alterno finché, alla fine degli anni ’80, il criminale di guerra Slobodan Milošević revocò l’autonomia del Kosovo nella costituzione jugoslava. Venne instaurato un brutale regime di apartheid: agli albanesi fu proibito di frequentare gli asili, le scuole e le università e di esercitare una professione. Venne addirittura vietato loro di recarsi presso le piscine pubbliche. Il sistema era inconcepibilmente crudele, come ho potuto constatare di persona.

Seguì poi l’espulsione di massa del 1998, alla quale fu posto fine solo dall’intervento della NATO, all’epoca del quale, però, la maggior parte della popolazione era già stata cacciata dal paese. Le Nazioni Unite istituirono un’amministrazione, e ora siamo alla vigilia di una nuova era. Come potrebbe essere il futuro? Se faremo il nostro dovere, se risolveremo rapidamente la questione dello status, in maniera consensuale e unanime, e se l’UE si assumerà la responsabilità di una presenza internazionale sul posto, in un breve arco di tempo il Kosovo potrebbe diventare una democrazia multietnica con i diritti delle minoranze più estesi di qualsiasi altro paese. In ultima analisi, la relazione Ahtisaari contiene l’accordo sulle minoranze di più vasta portata al mondo, poiché presenta indubbiamente prospettive economiche ma anche la prospettiva dell’adesione all’UE.

Come l’onorevole Mann, anch’io ritengo che il paese si trovi da decenni in uno stato di abbandono. Occorrono investimenti a favore di una giovane popolazione di disoccupati, fondi che verranno erogati solo quando sarà stata risolta la questione dello status, solo quando esisterà la certezza giuridica – ragione per cui dobbiamo concentrarci sulla giustizia e gli affari interni – e dopo che il paese sarà stato pacificato e avrà instaurato buone relazioni di vicinato con la Serbia.

Posso solo rivolgere un appello ai politici serbi: il generale de Gaulle una volta parlò della paix des braves, la pace dei coraggiosi. I serbi e gli albanesi godrebbero così di un prospero futuro comune europeo come popoli europei confinanti...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, desidero congratularmi con il relatore, onorevole Lagendijk, per l’ottimo lavoro svolto. Risolvere il problema di una gestione stabile, sostenibile e praticabile del Kosovo è di vitale importanza per la stabilità della regione dei Balcani occidentali nel suo complesso. Per quanto riguarda l’eventuale modifica delle frontiere, si tratterebbe di una forma di governo senza precedenti dopo la Seconda guerra mondiale e, anzi, dopo la firma del Trattato di pace di Parigi.

L’Unione europea ha, e continuerà ad avere, una responsabilità cruciale e specifica quale presenza internazionale sul territorio del Kosovo in sostituzione delle Nazioni Unite. Questo sarà il principale banco di prova per la politica estera comune dell’Unione europea, attualmente in fase di attuazione.

Bisogna adottare una soluzione equa e ben equilibrata. La comunità internazionale non può favorire una parte, gli albanesi kosovari, a discapito dell’altra, ossia i serbi. Si deve trovare una soluzione giusta. Quando il Consiglio di sicurezza determinerà lo status finale del Kosovo, occorrerà considerare i problemi derivanti dall’influenza dello status del Kosovo sull’intera regione, sulla stabilità di tutta l’Europa centrale, sulla situazione interna della Serbia e sull’insediamento di un nuovo governo serbo.

Come socialisti sosteniamo la relazione dell’onorevole Lagendijk e approviamo il piano Ahtisaari, che è un’ottima base, ma non sarà l’Unione europea a decidere lo status finale del Kosovo, poiché questa è una questione di competenza del Consiglio di sicurezza. Il nostro gruppo ritiene che, quando il Consiglio di sicurezza avrà preso la sua decisione, lo status finale dovrà essere integrato nei documenti del Parlamento. Onorevoli colleghi, i socialisti si congratulano con l’onorevole Lagendijk e chiedono all’Assemblea di appoggiare la proposta di rimandare la definizione dello status finale.

 
  
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  Lapo Pistelli, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, sebbene l’Unione europea non disponga di quei poteri in politica estera che molti di noi vorrebbero già conferirle, la nostra discussione oggi sul Kosovo ha un valore politico più rilevante di quella che facciamo in altre circostanze, innanzitutto perché la discussione e l’adozione della relazione Lagendijk avviene in un tempo politico ancora fluido, dove gli eventi si evolvono settimana dopo settimana e in cui i singoli attori possono ancora influenzarsi a vicenda. Credo pertanto che sia molto utile che il Parlamento europeo domani – e l’Unione europea, diciamo, dopodomani l’altro – si pronuncino chiaramente, possibilmente a larga maggioranza, domani in Parlamento e, possibilmente in modo unanime, al livello di Consiglio da qui a poche settimane.

Trovo interessante il fatto che le valutazioni finora ascoltate dal collega Lagendijk, dal Consiglio e dalla Commissione siano largamente convergenti. La trovo una premessa molto importante. Mi richiamo rapidamente a cinque punti. Primo: il futuro dei Balcani e del Kosovo è un futuro in Europa. La prima parola chiara che possiamo dire di portare un po’ di tranquillità in quelle zone è assicurare un traguardo positivo per tutti, per la Serbia e per il Kosovo, ossia l’integrazione dell’Unione europea. E’ un traguardo che conviene a loro ma conviene molto anche a noi, in particolare per trasformare un’area altrimenti instabile in uno spazio di pacificazione permanente, di sviluppo economico e di democrazia multietnica.

Secondo: occorre uscire dal limbo istituzionale venutosi a creare dopo il 1999, ragion per cui va appoggiata la relazione di Martti Ahtisaari e la posizione – speriamo unanime – che gli europei adotteranno in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Terzo: l’indipendenza è il risultato finale cui l’intera popolazione del Kosovo tende e di cui accenna anche la relazione Lagendijk, anche alla luce degli emendamenti che abbiamo presentato. Forse gli storici ci diranno che è stato un errore non prevedere delle seconde opzioni. Ma questo oggi è un dato di fatto e lo sanno molto bene anche i dirigenti della Serbia, che devono essere rassicurati politicamente e non mortificati. E’ necessario sapere che, sul piano simbolico, la Serbia non ha mai rinunciato al Kosovo ma che al tempo stesso, sul piano fattuale, il Kosovo è da anni fuori dall’orbita di influenza serba.

Infine, il Parlamento europeo deve sostenere – ripeto in modo unanime – il piano Ahtisaari, augurandosi che avvenga lo stesso nelle prossime settimane in seno al Consiglio.

Presidente, un’ultima osservazione: la discussione sul bilancio del Parlamento europeo, che terremo tra poche settimane, deve garantire coerenza fra ciò che diciamo sul piano politico e gli strumenti finanziari che sosterremo per accompagnare il Kosovo verso il risultato finale.

 
  
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  Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signora Presidente, anch’io, come i miei colleghi, desidero ringraziare l’onorevole Lagendijk per il lavoro che ha svolto su questa relazione. Quando parliamo del Kosovo, tendiamo spesso a pensare alla questione in termini astratti, mentre si tratta dell’ultimo cardine della frammentatissima regione europea dei Balcani occidentali. Penso che sia compito di tutti noi adoperarci per trasmettere con la massima forza il messaggio che la volontà democratica espressa dal popolo del Kosovo va rispettata e portata a compimento, e che l’Unione europea deve indicare in maniera unanime l’orientamento che la situazione dovrà seguire in futuro.

La tabella di marcia è già stata definita dal piano Ahtisaari. Si tratta di un piano molto chiaro e conciso riguardo al genere di protezione e di meccanismi che si possono attuare affinché i diritti dei kosovari siano rappresentati e mantenuti. L’aspetto ancora più importante, però, è che in questo modo le minoranze all’interno del Kosovo saranno anche tutelate e rappresentate e non diventeranno parte di uno Stato individuale in cui non avrebbero alcuna influenza o ruolo da svolgere.

L’elemento più importante in assoluto, se abbiamo imparato qualcosa dalla storia – tramite l’esempio della creazione dell’Unione europea o della soluzione dei conflitti in altre zone del continente europeo – è che solo instaurando relazioni migliori e più strette con i nostri vicini saremo in grado di realizzare quella che potrà essere effettivamente definita una pace giusta e duratura. Per questo non dobbiamo ignorare la Serbia. Benché molti di noi abbiano criticato la Serbia per le sue azioni passate, e forse per una certa intransigenza attuale, questo paese ha timori legittimi ai quali occorre dare risposta. Analogamente, è necessario affrontare le preoccupazioni della minoranza serba in Kosovo.

Dobbiamo fungere da garanti di tali diritti. Dobbiamo indicare la strada da seguire che riteniamo essere il miglior modo possibile per raggiungere la pace e la stabilità da tutti agognata in quella regione d’Europa. Attualmente 213 soldati irlandesi fanno parte della forza KFOR di stanza in Kosovo. Essi stanno svolgendo un ruolo inestimabile nella creazione della pace e della stabilità. Come ha affermato il precedente oratore, quando in futuro voteremo sul bilancio dell’Unione europea dovremo ricordare l’aspetto della politica estera e di sicurezza comune, poiché è un settore nel quale riusciamo a ottenere ottimi risultati.

 
  
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  Gisela Kallenbach, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signora Presidente, non esiste una soluzione semplice per il futuro di quel che resta dell’ex Jugoslavia, Kosovo compreso. Tuttavia, trovare una soluzione diventa ancora più difficile se continuiamo semplicemente a rimandare il momento di affrontare i problemi; è anzi vero il contrario. Sono quindi lieta che, dopo otto anni di amministrazione internazionale, vi sia una proposta concreta sul tavolo del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Esorto l’Assemblea a votare a favore di questa proposta, poiché coincide in ampia misura con la relazione dell’onorevole Lagendijk. Occorre porre fine allo stato di incertezza in cui si trovano i kosovari di ogni origine etnica e i serbi, perché solo così sarà possibile realizzare l’urgente sviluppo economico necessario quale passo verso l’adesione all’UE. Qualsiasi ritardo nell’adozione di tale decisione e nella successiva integrazione del Kosovo nell’Unione europea costerà caro alla regione e anche all’UE.

 
  
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  Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signora Presidente, la grande maggioranza del nostro gruppo voterà contro questa relazione, sostanzialmente poiché non rispetta il diritto internazionale, lacuna peraltro riscontrabile nella stessa relazione Ahtisaari. L’inviato speciale ha proposto che l’UE crei una sorta di successore dell’UNMIK, il che significa che la missione delle Nazioni Unite per il Kosovo proseguirà con altri mezzi, tra cui l’Agenzia fiduciaria per il Kosovo (Kosovo Trust Agency), che in Kosovo si è occupata principalmente di privatizzazioni, provocando problemi a livello locale.

Dobbiamo affermare a chiare lettere che la posizione del Parlamento in materia è di parte e che potenzialmente può inasprire il conflitto. Desideriamo richiamare nuovamente l’attenzione sul paragrafo 3 della relazione adottata dalla commissione per gli affari esteri, e cito: “è del parere che qualsiasi soluzione riguardo al futuro status del Kosovo debba essere conforme al diritto internazionale”. Mi auguro che questa clausola venga mantenuta nella relazione. Ho sentito che sono già stati presentati emendamenti per cercare di eliminarla dal testo. Sappiamo tutti che una delle cause della situazione in cui versa attualmente il Kosovo è la guerra di aggressione della NATO nei confronti dell’allora Jugoslavia, e continuo a chiedere – domanda che ho già rivolto al Commissario – che cosa intende fare l’UE se la Serbia e in particolare la Russia continueranno a dire “no”. Non ho ancora ricevuto risposta a questa domanda, il che significa che si intende davvero agire contro la volontà di questi due paesi. Un’ampia maggioranza del mio gruppo non vuole avere nulla a che fare con tale intenzione e, pertanto, voteremo contro questa relazione.

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signora Presidente, l’onorevole Lagendijk ha redatto una relazione imparziale sulla complessa situazione in Kosovo, e uno degli aspetti essenziali che ha affrontato è la cittadinanza sulla base della natura multilinguistica e multietnica di questa regione. Piuttosto sorprendentemente, la relazione in esame non fa menzione dell’esplicito status del Kosovo, al quale invece accenna l’emendamento n. 13, che sosterremo.

In merito non si è pronunciato nemmeno il mediatore dell’ONU Ahtisaari, che, l’altro ieri, ha consegnato la sua relazione finale al Consiglio di sicurezza con una chiara raccomandazione: l’indipendenza del Kosovo sotto la supervisione internazionale. Il Primo Ministro Kostunica, però, la settimana scorsa ha riferito che la Serbia non potrà mai prendere in considerazione l’ipotesi dell’indipendenza del Kosovo, auspicando addirittura un veto della Russia in seno al Consiglio di sicurezza. Questo desiderio è diametralmente opposto alla richiesta all’autodeterminazione del movimento albanese, il cui leader, Albin Kurti, si accontenterà solo di un’indipendenza incondizionata. Qualsiasi cosa accada, il rischio della disintegrazione etnica e dell’instabilità regionale è concreto.

La grande sfida della comunità internazionale è quindi ovvia: si tratta di capire come combinare la stabilità regionale con una cittadinanza multietnica in un Kosovo sovrano. La settimana scorsa il Commissario Rehn ha affermato che questa è un’importante cartina di tornasole per l’UE e, a tale proposito, desidero augurare alla Commissione e al Consiglio grande saggezza, sostegno e ottimi risultati.

 
  
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  Alojz Peterle (PPE-DE). – (SL) Vorrei congratularmi con il collega, onorevole Lagendijk, per il grande impegno profuso al fine di garantire la massima unanimità politica possibile nella relazione con cui il Parlamento europeo si assume la propria parte di responsabilità in vista della decisione sullo status finale del Kosovo, che si trova sotto l’amministrazione fiduciaria dell’ONU dal 1999. Il fatto deplorevole che con i negoziati non si sia riusciti a definire una soluzione rende la responsabilità dell’Unione europea ancora maggiore.

Il Kosovo, la Serbia, l’Europa sudorientale e l’Europa intera hanno bisogno di pace e stabilità. Gli abitanti di questa regione hanno il diritto alla pace e alla stabilità a prescindere dalla loro origine etnica. Alla luce dei problemi e delle tensioni crescenti in Kosovo, occorre condurre il processo verso lo status finale in modo da impedire sviluppi caotici che potrebbero nuovamente ferire la dignità di qualsivoglia identità etnica, essere destabilizzanti o creare ulteriori ostacoli alle prospettive europee dei paesi della regione.

Il relatore e noi tutti siamo vincolati ai nostri valori e principi comuni, in particolare all’accordo di Salonicco per i paesi dell’Europa sudorientale, scaturito dal desiderio di sradicare permanentemente le origini del conflitto in questa parte d’Europa. Stiamo collaborando in vista di una soluzione che permetta la coesistenza di diverse comunità etniche in Kosovo e crei nel più breve tempo possibile condizioni in cui il Kosovo, che si trova ad affrontare difficoltà economiche e sociali molto impegnative, possa iniziare a orientarsi verso la riconciliazione, il progresso e la prosperità.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ROTHE
Vicepresidente

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE). – (DE) Signora Presidente, domani quest’Assemblea si pronuncerà a favore della relazione Lagendijk – presumo a vasta maggioranza – ma questo voto esprimerà essenzialmente il sostegno per il lavoro di Martti Ahtisaari e della sua équipe. Ritengo che la posizione proposta dall’inviato speciale Ahtisaari sia, sostanzialmente, la strada giusta da seguire.

La domanda ricorrente è: sì o no all’indipendenza? Questa decisione verrà adottata dalle Nazioni Unite e mi auguro che, dopo tutte le necessarie consultazioni, sceglieranno la soluzione giusta. Questa decisione avrà il nostro pieno sostegno. L’interrogativo davvero fondamentale, però, è cosa accadrà dopo che sarà stata risolta la questione dello status. Per quanto riguarda la Serbia, non sarà facile risolvere questo problema: a nessuno, infatti, piace perdere una parte considerevole del proprio territorio; basti immaginare una situazione simile dal punto di vista del nostro paese.

Analogamente, risolvendo la questione dello status non si risolveranno i problemi che il Kosovo stesso deve affrontare, perché le difficoltà di costruire un sistema economico e sociale indipendente sono appena iniziate. La popolazione del Kosovo si interrogherà poi sul proprio futuro lavorativo, chiedendosi come potrà guadagnarsi da vivere, permettersi un’abitazione e così via, obiettivi che avrà comunque difficoltà a realizzare anche all’interno del suo paese.

Il compito dell’Europa – sostenuto ed evidenziato anche dalla relazione su cui voteremo domani – è aiutare entrambe le parti a cooperare per sostenere questo difficile processo in maniera sensata, improntata al decoro e al rispetto reciproco. Per quanto ci riguarda, questo è l’aspetto più importante, anche a proposito della decisione di domani. Ci dichiariamo a favore di una decisione chiara sulla questione dello status, ma affermiamo anche che l’Europa – e in particolare quest’Assemblea – devono sostenere entrambe le parti, affinché sia il Kosovo che la Serbia possano guardare a un futuro luminoso.

 
  
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  Jelko Kacin (ALDE). – (SL) Questo fine settimana abbiamo commemorato solennemente a Roma e a Berlino il 50° anniversario del Trattato di Roma e festeggiato un lungo periodo di pace. Nei Balcani occidentali, tuttavia, questo periodo non è stato contrassegnato solo dalla pace, ma anche da guerre estremamente crudeli e distruttive.

Il genocidio di Srebrenica ha insegnato a tutti noi che non possiamo e non dobbiamo permettere o rischiare che si ripeta una simile catastrofe umana in Kosovo. Ecco perché, otto anni fa, abbiamo avviato una tempestiva azione preventiva intervenendo con la forza militare. Anche all’epoca incombeva la minaccia di un veto in seno alle Nazioni Unite, nonostante il quale, però, riuscimmo ugualmente ad agire. Oggi il Kosovo è ancora a metà strada, senza status, senza accesso a finanziamenti internazionali e senza uno Stato effettivamente funzionante governato dal diritto. Solo uno Stato può e deve garantire la base e il quadro della ripresa economica, per favorire gli investimenti esteri e nazionali e per creare la tanto necessaria occupazione. Solo uno Stato può diventare membro dell’Unione europea.

Eventuali ritardi in questo processo per la determinazione dello status potrebbero minacciare la fragile situazione e rallentare i processi costruttivi che stanno stabilizzando la regione, promuovendo una cooperazione economica e politica tra vicini e unendoli nell’obiettivo di sviluppare la collaborazione con altri paesi dell’Unione europea e di plasmare il loro ambiente sul modello del nostro. Tuttavia, la dinamica originata dall’impegno di Martti Ahtisaari nella determinazione dello status del Kosovo ci sta aiutando a infondere maggiore speranza nonché a portare lo spirito e i metodi dell’Unione europea nella vita di tutti gli abitanti di questa regione.

Ci stiamo occupando del futuro, della coesistenza e del benessere di queste popolazioni. Pertanto credo che i politici di paesi vicini come la Serbia, il Montenegro, l’Albania e la Macedonia, nonché quelli di Croazia e Bosnia, saranno ulteriormente motivati ad avvicinarsi all’Unione europea.

 
  
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  Hanna Foltyn-Kubicka (UEN). – (PL) Grazie, signora Presidente. Nella relazione che abbiamo discusso, il Parlamento europeo si è pronunciato sulla spinosa questione del futuro del Kosovo. Questa provincia si trova nel cuore dell’Europa e, pertanto, l’Europa deve altresì contribuire attivamente a determinarne il futuro. Tuttavia, non possiamo semplicemente andare avanti e agire, come sottolinea la relazione, senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza. Inoltre, non sarà possibile ottenere tale approvazione senza il consenso della Russia.

Nell’ambito dei loro contatti con l’Occidente, i russi vedono il Kosovo come un’utile merce di scambio che possono utilizzare nei negoziati sul programma nucleare dell’Iran.

Dobbiamo altresì ricordare che la concessione dell’indipendenza al Kosovo costituirà un precedente che probabilmente la Russia invocherà durante i negoziati su altre regioni come l’Abkhazia, la Transnistria e l’Ossezia settentrionale. Dobbiamo quindi sottolineare con forza che il Kosovo è un caso unico e un’eccezione, e che la Russia non può servirsene come di uno strumento per ristabilire la sua posizione di superpotenza.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL). – (NL) Signora Presidente, il Kosovo è stato l’elemento scissionistico dell’ex Jugoslavia. Anche prima che Slovenia e Croazia ottenessero l’indipendenza, gli abitanti del Kosovo si erano mentalmente distaccati dalla Serbia. Persino allora, i kosovari avevano istituito il proprio governo e il proprio sistema d’istruzione e boicottato tutte le istituzioni statali. Avevano chiesto il riconoscimento internazionale della loro indipendenza, ma dovettero invece rassegnarsi alla guerra e a una rinnovata occupazione.

Dal 1999 i militari e funzionari serbi sono stati sostituiti da altri colonialisti. I residenti del Kosovo vogliono una cosa sola: autodeterminazione – Vetevendosje –, come evidenziano i graffiti presenti su tutti i muri. Prolungando l’attuale situazione d’incertezza, si promuoveranno la stagnazione e la criminalità. Il ritorno forzato in Serbia sfocerà inevitabilmente in una guerra civile o produrrà due milioni di profughi. Questa prospettiva è peggiore di un’altra violazione del diritto internazionale, che, in mancanza di consenso, non autorizzi la separazione.

Per il suo stesso futuro, sarebbe meglio se la Serbia si liberasse finalmente dalla lotta nazionalistica di prestigio per il Kosovo. Tutti sanno che l’unica soluzione definitiva è l’indipendenza del Kosovo, ma nessuno ha il coraggio di essere il primo ad assumersi tale responsabilità. In questo modo, purtroppo, l’attuazione della proposta indebolita di Ahtisaari subirà un grave ritardo.

 
  
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  Doris Pack (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo con l’onorevole Lagendijk. In realtà non avrei alcun bisogno di parlare, poiché potrei limitarmi a sottoscrivere quanto è stato affermato, come hanno fatto i colleghi Swoboda e Kallenbach, ma formulerò ugualmente alcune osservazioni.

Vorrei preventivamente avvisarvi che, dopo un dibattito di questo tipo, potrebbe ben presto diffondersi nel mondo esterno, e soprattutto nella regione stessa, il sospetto che siamo schierati contro i serbi o a favore degli albanesi, accusa che respingo. Sono davvero anni che cerchiamo di aiutare la popolazione di Serbia e Kosovo ad avere un futuro pacifico e prospero. Creare i requisiti necessari a tal fine è difficile e la soluzione proposta dall’inviato speciale Ahtisaari permette alla popolazione di lasciarsi finalmente alle spalle il passato avvelenato di Milošević. Quanto al fatto che si tratti della soluzione giusta, caro collega Tabajdi, questo non lo so. Le soluzioni giuste sono molto difficili da trovare. Tuttavia, non conosco alternative a quella che è stata appena proposta.

Tra serbi e albanesi non sono ovviamente mai stati condotti negoziati adeguati. Le posizioni estreme erano talmente distanti tra loro che non sono mai state portate al tavolo negoziale. Speriamo quindi di non dover prolungare ulteriormente tale procedura. Capisco anche che nessun governo serbo potrà mai autorizzare la perdita del Kosovo. Tuttavia, se i politici serbi sono onesti – e ovviamente alcuni di essi lo sono quando si dialoga con loro – sanno anche che con il Kosovo nel loro territorio nazionale un futuro di pace non sarà possibile, ed è questo futuro di pace che la popolazione di Serbia e Kosovo, in particolare i giovani, meritano. I politici dovrebbero chiedersi chi in Serbia desidera effettivamente subire le conseguenze della permanenza del Kosovo all’interno del proprio territorio, sia le conseguenze finanziarie che tutte le conseguenze politiche. Gli albanesi devono permettere ai serbi che vogliono vivere nella loro terra d’origine in Kosovo di continuare a farlo e di ritornarvi, se lo desiderano.

Il piano Ahtisaari è, a mio parere, l’unica base per una coesistenza pacifica. Purtroppo, com’è nuovamente accaduto oggi, e come abbiamo potuto constatare, per esempio, dalle osservazioni dall’onorevole Pflüger, le discussioni spesso trascurano gli anni tra il 1989 e il 1998, caratterizzati dall’apartheid. Non credo che sia iniziato tutto con l’attacco della NATO, bensì con la revoca dell’autonomia del Kosovo. Il Consiglio di sicurezza farebbe davvero bene a tagliare finalmente e velocemente il nodo gordiano, perché così potremmo continuare a lavorare e ad aiutare sia la Serbia sia l’Albania lungo la strada di pace che porta all’Unione europea.

 
  
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  Jan Marinus Wiersma (PSE). – (NL) Signora Presidente, inutile dire che anch’io desidero congratularmi con il collega e amico, onorevole Lagendijk, per la sua relazione, benché i nostri pareri non coincidano proprio su ogni punto.

Come gruppo, accogliamo ovviamente con favore le proposte che il negoziatore, Martti Ahtisaari, ha presentato a New York lunedì scorso, come si evince con chiarezza anche dalla relazione su cui voteremo domani. A tale proposito, il nostro gruppo sostiene la relazione nella sua forma attuale. Tali proposte, così come sono state illustrate in questa piattaforma, godono altresì del sostegno del Consiglio e della Commissione.

A nostro avviso, tuttavia, ora è importante soprattutto che il Consiglio di sicurezza prenda una decisione sullo status del Kosovo e che lo faccia senza inutili ritardi, in modo che in Kosovo l’incertezza possa essere dissipata in breve tempo e che sia i kosovari che i serbi possano concentrarsi sul loro futuro in Europa.

Al momento, comunque, non spetta all’Unione europea prendere posizione al riguardo. In tale ottica riteniamo che non sia compito dell’UE prevedere l’esito finale dello status in seno al Consiglio di sicurezza. Lo status temporaneo del Kosovo si basa su una risoluzione del Consiglio di sicurezza, e il suo status finale dovrebbe essere determinato in maniera analoga. Si tratta di un requisito della massima importanza per la legittimità internazionale di questa decisione, ed è per tale motivo che abbiamo respinto gli emendamenti dell’onorevole Posselt.

Si tratta di un requisito essenziale anche per la legittimità interna della decisione sullo status. In realtà, per l’UE il lavoro vero inizierà solo dopo la decisione di New York. L’Unione europea sarà in larga misura responsabile di guidare l’attuazione di questo status e, a tal fine, dovrà essere molto preparata, ma soprattutto dovrà evitare fin dall’inizio di trovarsi in mezzo a due litiganti. Anche per questo il mio gruppo voterà contro l’emendamento che qualifica lo status senza che si sia tenuto un dibattito in materia a New York.

Al riguardo, seguiamo la linea adottata dalla Presidenza, nonché dalla Commissione, in quanto oggi pomeriggio nessuna delle due ha parlato di qualificazione.

 
  
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  Andrzej Tomasz Zapalowski (UEN). – (PL) Signora Presidente, il dibattito sul Kosovo ha sollevato una questione della massima importanza in termini di relazioni internazionali. Per la prima volta in molti anni la comunità internazionale sta violando la sovranità territoriale di un paese europeo. E’ vero che non esistono proposte volte a garantire l’indipendenza di questa nuova entità politica, ma il neo pseudostato dovrà avere il proprio inno e la propria bandiera nazionale nonché essere dotato di un miniesercito. Resterà inoltre sottoposto al controllo internazionale per un periodo di tempo indefinito.

Questo nuovo approccio all’intervento internazionale negli affari interni di uno Stato sovrano costituirà un precedente che, in futuro, potrebbe indurre la comunità internazionale a cercare di manipolare gli affari interni di altri paesi alle prese con problemi di entità decisamente minore.

L’unica soluzione sensata è lasciare formalmente il Kosovo all’interno della Repubblica serba e concedergli una maggiore autonomia, avviando altresì misure rapide per incorporare la regione nell’Unione europea. Un Kosovo indipendente, infatti, sarà pur sempre abitato da una cospicua minoranza serba che destabilizzerà il paese.

 
  
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  Adamos Adamou (GUE/NGL). – (EL) Signora Presidente, la situazione del Kosovo, a seguito e in conseguenza delle politiche interventistiche, è l’ennesimo problema che occorre risolvere nel quadro delle Nazioni Unite. Tuttavia, la proposta Ahtisaari, sostanzialmente accolta nella relazione in esame, viola i principi fondamentali del diritto internazionale, la stessa Carta delle Nazioni Unite, e prevede la ridefinizione dei confini e il travisamento della storia della regione a spese della comunità serba.

Nel complesso la proposta Ahtisaari promuove la creazione di uno Stato indipendente, per quanto possa essere indipendente con una simile presenza militare NATO e l’applicazione della politica di sicurezza europea. Temo che si tratterà più di un protettorato che di uno Stato indipendente.

Siamo e continueremo a essere a favore dell’autodeterminazione delle nazioni, ma non quando viene utilizzata indiscriminatamente con criteri di doppiopesismo. Basti ricordare che, dopo la procedura di decolonizzazione e prima della disintegrazione dell’ex Jugoslavia, l’unica secessione riconosciuta dalla comunità internazionale – peraltro per ragioni molto precise – fu quella del Bangladesh dal Pakistan e, pertanto, dobbiamo agire con cautela, poiché l’eventuale indipendenza del Kosovo scoperchierà il vaso di Pandora e rafforzerà ogni sorta di azione secessionista.

 
  
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  Francisco José Millán Mon (PPE-DE). – (ES) Signora Presidente, la questione del Kosovo è complessa e presenta diverse implicazioni a vari livelli, in quanto tocca i principi fondamentali che disciplinano il funzionamento della comunità internazionale. In tale ambito, pertanto, è necessario agire con prudenza, cercando il più ampio consenso possibile e tenendo conto del diritto internazionale.

Il Kosovo è inoltre un caso eccezionale, come hanno riconosciuto l’inviato speciale delle Nazioni Unite e la grande maggioranza della comunità internazionale. Alla luce della sua natura eccezionale, la soluzione non costituisce un precedente per altri casi analoghi in Europa, come afferma a chiare lettere il testo della risoluzione su cui voteremo domani.

Come ha dichiarato il gruppo di contatto nelle sue conclusioni del gennaio 2006, la natura specifica del problema del Kosovo è contraddistinta, tra l’altro, dalla disintegrazione della Jugoslavia e dai conseguenti conflitti, dalla pulizia etnica e dai fatti del 1999, tra cui vorrei segnalare l’intervento militare effettuato dalla NATO in quello stesso anno. Un altro fattore che rende eccezionale il caso del Kosovo è il lungo periodo sotto l’amministrazione internazionale ai sensi della risoluzione 1244.

Signora Presidente, avrei preferito che Martti Ahtisaari avesse trovato una soluzione in grado di ricevere il sostegno di entrambe le parti interessate: la Serbia e il Kosovo. In merito a questioni tanto delicate che riguardano i principi fondamentali, nonché in una regione che ha attraversato un lungo periodo di conflitti e instabilità, la proposta migliore sarebbe stata una soluzione negoziata accettabile da entrambe le parti. Purtroppo, però, i negoziati svolti durante il 2006 e all’inizio del 2007 non sono riusciti a ottenere un avvicinamento delle diverse posizioni.

Ora spetta al Consiglio di sicurezza discutere la proposta Ahtisaari e, partendo da quella base, adottare le decisioni del caso. Ovviamente né il Parlamento europeo né alcuna altra Istituzione hanno la competenza per decidere lo status finale del territorio, che deve essere stabilito dal Consiglio di sicurezza che ha adottato la risoluzione 1244. Mi auguro che il Consiglio di sicurezza possa ancora cercare, in un arco di tempo ragionevole, di pervenire a un accordo tra le parti.

In ogni caso, spero che i membri del Consiglio, e in particolare i suoi membri permanenti, svolgeranno un ruolo costruttivo in un momento decisivo come questo, come chiediamo nel testo su cui voteremo domani.

 
  
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  Adrian Severin (PSE). – (EN) Signora Presidente, ogniqualvolta individuiamo una soluzione giusta, praticabile e sostenibile per superare una crisi, vogliamo che diventi un precedente. Il semplice motivo per cui questa volta non vogliamo che la nostra soluzione per il Kosovo costituisca un precedente è la consapevolezza che si tratta di una soluzione infelice o, quanto meno, imprudente. E’ inoltre illusorio credere che nessuno la utilizzerà come un precedente. Dobbiamo quindi trovare il modo di mitigare i rischi che ne scaturiranno.

A tale proposito, si potrebbero considerare quattro ipotesi. Uno: riconoscere e dichiarare che la soluzione per il Kosovo si basa sul principio della sicurezza regionale e dev’essere coerente con esso. Due: convenire che il Kosovo possa diventare indipendente solo all’interno dell’Unione europea dopo aver soddisfatto i criteri di adesione. Tre: offrire immediatamente alla Serbia un piano d’azione chiaro per l’adesione all’Unione europea, scevro da requisiti preliminari. Quattro: organizzare una conferenza internazionale sui Balcani occidentali per integrare la soluzione per il Kosovo in un accordo pacchetto per la regione.

Senza un approccio che vada oltre i confini del Kosovo e il momento presente, gli effetti di questo piano potrebbero avere gravi conseguenze per noi.

 
  
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  Ioannis Kasoulides (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, il relatore, onorevole Lagendijk, e il relatore ombra, onorevole Posselt, hanno indubbiamente svolto un ottimo lavoro. Tuttavia, per motivi di principio non voterò a favore di questa relazione. Ritengo che questa controversia vada risolta tramite accordi negoziati reciprocamente accettati da entrambe le parti interessate, e non con azioni unilaterali o imposizioni esterne. Affinché un accordo possa essere duraturo, occorre la volontà di chi lo attuerà.

Non accetto la nozione di uno Stato indipendente con una sovranità limitata. Un paese indipendente è pienamente sovrano, altrimenti significa che nella sua acquisizione dell’indipendenza qualcosa non funziona.

Mi rendo conto che l’unica soluzione realistica per il Kosovo non può essere un ritorno alla sovranità serba, né un suo smembramento o l’unione con qualunque altro paese. Il processo negoziale avrà anche avuto una durata molto lunga, ma la relazione Ahtisaari è stata pubblicata solo qualche settimana fa. Perché concludiamo così precipitosamente che le posizioni delle parti sono inconciliabili? Dobbiamo incoraggiarli a capire che l’unica possibilità è negoziare entro un arco di tempo ragionevole sulla base di tale relazione.

Il Commissario ha dichiarato che l’impegno nei confronti della Serbia può fungere da strumento diplomatico per incoraggiare Belgrado a orientare la sua posizione verso le proposte formulate da Martti Ahtisaari. Ritengo che la virtù della pazienza sia un requisito della diplomazia internazionale.

 
  
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  Józef Pinior (PSE). – (PL) Signora Presidente, la soluzione del problema dello status del Kosovo è un buon banco di prova per la nascente politica estera dell’Unione europea.

Innanzi tutto, vorremmo esprimere il nostro apprezzamento per l’impegno di Martti Ahtisaari, inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per il processo di determinazione del futuro status del Kosovo, e per il suo piano.

In secondo luogo, il Parlamento europeo sottolinea che qualsiasi soluzione sul futuro status del Kosovo deve essere conforme alla volontà democraticamente espressa degli abitanti del Kosovo, nonché rispettare i diritti umani e il diritto internazionale.

In terzo luogo, il problema del Kosovo deve essere considerato nel più ampio contesto della situazione nei Balcani.

In un momento in cui celebriamo il cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, vorrei porre un particolare accento sulla responsabilità politica dell’Unione europea nella definizione dei termini e nell’apertura della strada alla futura adesione dell’Unione alla Serbia. L’Unione europea deve svolgere un ruolo storico contribuendo a promuovere la democrazia e la prosperità di tutti i popoli dei Balcani occidentali.

 
  
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  Peter Šťastný (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, benché a mio avviso non sia stato fatto tutto il possibile per convincere il versante serbo ad appoggiare l’accordo finale, accolgo con favore la relazione Lagendijk perché sottolinea la necessità di ottenere il consenso di entrambe le parti interessate.

So che il popolo del Kosovo non può continuare a vivere ancora a lungo in un limbo; queste persone, infatti, devono pagare un prezzo molto elevato per ogni giorno in cui si protraggono i negoziati. Dobbiamo tuttavia ricordare le lezioni della storia, ovvero ciò che accade quando l’esito finale di un conflitto tra due paesi viene deciso da terzi senza il chiaro consenso delle principali parti in causa. E’ esattamente questo l’orientamento della relazione Ahtisaari, totalmente priva del sostegno serbo.

Attualmente sembra che tutte le decisioni siano state prese e che il Kosovo avrà presto il proprio status. Tuttavia, se desideriamo davvero una pace duratura e la prosperità nei Balcani occidentali, dobbiamo continuare a incoraggiare Belgrado a sottoscrivere l’accordo. Per realizzare tale obiettivo disponiamo di risorse comunitarie e delle Istituzioni nel loro complesso. Continuo a essere ottimista e, pertanto, voterò a favore della relazione Lagendijk, pur riconoscendo che, quando sarà annunciato lo status finale del Kosovo, il lavoro di tutte le parti interessate non dovrà finire. Quanto prima convinceremo la Serbia ad accettare l’accordo, tanto meglio sarà per i Balcani e per l’Europa intera.

 
  
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  Monika Beňová (PSE). – (SK) Al pari dei miei colleghi, vorrei congratularmi anch’io per il lavoro svolto dal relatore e per gli sforzi compiuti dal relatore ombra, onorevole Tabajdi. Credo che ci siamo occupati a lungo di questo argomento in seno alla commissione per gli affari esteri e, inoltre, abbiamo incontrato i rappresentanti sia di Priština che di Belgrado. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ora deve pronunciarsi sullo status e in particolare sul futuro della popolazione che vive attualmente in Kosovo. Questa decisione riguarderà in egual misura i serbi e gli albanesi del Kosovo. Riguarderà altresì in egual misura cristiani e musulmani, e porterà a cambiamenti per quanto riguarda la qualità di vita.

Come deputata al Parlamento europeo, mi spiace molto che abbiamo messo la Serbia in una situazione in cui deve fare affidamento sulla Russia, costringendola a giocarsi quell’asso per difendere i propri interessi in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Devo dire che non credo che, se domani saranno chiamati a votare sulla relazione, i deputati sosterranno gli emendamenti che colpiscono drasticamente la legittimità dell’una o dell’altra parte. Sono convinta che questa stimata Assemblea sosterrà solo le proposte che tratteranno le due parti in causa in modo equo e giusto.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, onorevoli deputati, desidero ringraziarvi per questo dibattito molto importante e responsabile. Ritengo che la vostra relazione, e spero anche il vostro voto di domani, rafforzi ulteriormente l’unità europea affinché il processo sullo status del Kosovo possa avere esito positivo.

Con la presentazione della proposta del Presidente Ahtisaari al Consiglio di sicurezza dell’ONU, il processo entrerà ora nella sua fase decisiva. Sono certo che il Consiglio di sicurezza sarà all’altezza della propria responsabilità e mi auguro che sottoscriva tempestivamente tale proposta.

Seguirà poi la fase più difficile per noi, quella dell’attuazione dello status, che, com’è stato affermato oggi in seno a questa Assemblea, è una vera e propria cartina di tornasole per la politica estera e di sicurezza comune dell’UE. Apprezzo quindi moltissimo il sostegno accordato a questa sfida comune dal Parlamento e dal relatore per il Kosovo, onorevole Lagendijk.

In conclusione, sono lieto che tutte e tre le Istituzioni condividano l’idea che, per giungere a un accordo sostenibile da cui nasca un Kosovo democratico e multietnico e che garantisca una stabilità regionale duratura, siano tuttora necessarie l’unità europea e la leadership dell’UE. Al tempo stesso, stiamo fornendo alla Serbia una concreta prospettiva di adesione all’UE, che dovrebbe aiutare questo paese a lasciarsi alle spalle il passato nazionalista e a guardare a un futuro europeo.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Marianne Mikko (PSE), per iscritto. – (ET) In otto anni la comunità internazionale si è convinta che l’indipendenza del Kosovo è il modo migliore per garantire la stabilità della regione. L’inviato speciale dell’ONU Ahtisaari ha presentato una relazione che raccomanda di concedere al Kosovo tutti gli elementi dell’indipendenza, senza utilizzare di per sé la parola indipendenza.

La relazione del collega Joost Lagendijk ribadisce tutti i fatti noti e sostiene la raccomandazione di Martti Ahtisaari quale base per la definizione dello status del Kosovo. Vorrei tuttavia sapere se la sistematizzazione e la parafrasi sono l’unico valore aggiunto che il Parlamento è in grado di offrire.

Un emendamento, di cui uno degli autori è lo stesso onorevole Lagenijk, raccomandava di inserire nella relazione il concetto di sovranità vigilata, che è indubbiamente il fulcro della relazione. E’ questo il genere di chiarezza che ci si aspetta da noi.

L’argomentazione più comune contro tale emendamento è il timore di dispiacere i russi. Mosca avverte da mesi che l’indipendenza del Kosovo creerà un precedente che potrebbe indurre anche la Transnistria, l’Abkhazia e l’Ossezia a chiedere a loro volta l’indipendenza.

Il Cremlino, tuttavia, sa benissimo che non può sorgere alcun precedente. Il Kosovo è l’unico territorio in cui l’ONU ha un mandato sufficiente per raccomandare l’indipendenza. Come membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU, il 10 giugno 1999 la Russia ha accordato la propria approvazione all’indipendenza del Kosovo.

La Russia vuole semplicemente evitare la riduzione della sua sfera d’influenza in Europa. Dubito che la Russia vorrà assumersi la responsabilità di eventuali nuovi spargimenti di sangue in Kosovo, ai quali si potrebbe assistere qualora non venisse concessa l’indipendenza.

Il nostro obiettivo ultimo è evitare la sofferenza, nonché garantire la democrazia e lo sviluppo economico, e a questo fine talvolta ci vuole coraggio.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL). – (EL) Accettando la relazione Ahtisaari sulla creazione di un protettorato “indipendente” del Kosovo sotto l’occupazione euro-NATO, l’Unione europea e il Parlamento europeo stanno creando un chiaro stato di secessione agli occhi del mondo nonché un nuovo Stato. In questo modo pregiudicano e violano tutti gli accordi e i principi sanciti dalle Nazioni Unite e dal diritto internazionale dalla Seconda guerra mondiale in poi. La relazione, approvata dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, dai liberali e dai socialdemocratici, promuove la ridefinizione dei confini nei Balcani, perpetua la presenza delle forze di occupazione militare euro-NATO e ricatta palesemente la Serbia, accusando e condannando al contempo la comunità serba in Kosovo e la Serbia stessa di oltraggiosa impudenza. Scoperchia un vaso di Pandora da cui fuoriusciranno una crescente opposizione nazionalistica e scontri in tutti i Balcani, l’incitamento di movimenti secessionisti e l’imposizione della legalizzazione della presenza delle forze di occupazione euro-NATO nella regione.

Ora capiamo quali erano i veri obiettivi della guerra criminale condotta dalla NATO contro la Jugoslavia, alla quale avevano preso parte l’UE e i governi dei suoi Stati membri, sia di centrosinistra che di centrodestra, tra cui il governo guidato all’epoca dal PASOK in Grecia, una politica portata avanti anche oggi con la stessa coerenza dal governo di Nuova Democrazia, a conferma dell’adesione di entrambi gli schieramenti dello Stato bipartitico onde partecipare e sostenere i criminali piani imperialistici dell’UE, della NATO e degli USA nella regione e nel mondo intero.

 

15. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto conformemente all’articolo 144 del Regolamento.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE).(SK) Quasi tutte le nazioni hanno conosciuto, nella loro storia, anni difficili a causa di eventi di origine naturale o sociale. Ma la carestia che colpì l’Ucraina nel 1932 e 1933 fu un fatto eccezionale: milioni di contadini ucraini morirono a seguito di politiche deliberate, finalizzate a terrorizzare la popolazione facendola morire di fame. Quel barbaro crimine commesso dal regime totalitario dell’ex Unione Sovietica ai danni di milioni di ucraini innocenti è stato uno dei più crudeli del XX secolo.

Apprezzo l’impegno comune di tutti i leader ucraini volto a cercare di ripristinare la giustizia storica e di far luce su un passato che per troppi anni è stato tenuto segreto. Fino ad ora, qualsiasi tentativo di condannare le pratiche totalitarie dell’intoccabile Stalin sarebbe stato motivo – nel migliore dei casi – di una condanna all’ergastolo, come è successo a mio padre, che ha patito nove anni d’inferno in un gulag, oppure di una condanna a morte immediata.

Onorevoli colleghi, le sconvolgenti immagini che ora si possono vedere alla mostra sulla carestia inaugurata al Parlamento europeo alla presenza di Viktor Yanukovich ci devono spronare a condannare recisamente i terribili crimini dello stalinismo nell’ex Unione Sovietica. Riconoscendo che quella carestia fu in realtà un genocidio, il Parlamento europeo esprimerà la propria solidarietà nei confronti del popolo ucraino, e lo farà con una dichiarazione scritta, la dichiarazione n. 4/2007, che certamente la maggior parte dei deputati al Parlamento europeo firmerà entro il 15 aprile.

 
  
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  Martin Schulz (PSE).(DE) Signora Presidente, ho avuto anch’io l’impressione che gli onorevoli Evans e Gill facessero fatica a contenere l’entusiasmo per i presidenti del loro gruppo.

Desidero mettere in guardia i colleghi da un’ondata di eventi estremamente inquietanti che ci preoccupano molto. Da diversi mesi assistiamo nell’Unione europea a un numero crescente di attacchi contro i giornalisti. Per la precisione, si tratta di un fenomeno che ha interessato la Bulgaria, ma è solo un esempio di tutta una serie di vicende dello stesso tipo che ci mettono in allarme. In Bulgaria, i giornalisti che hanno espresso critiche nei confronti di un partito di estrema destra, rappresentato anche in quest’Assemblea, hanno subito minacce fisiche, psicologiche e materiali da parte di esponenti di quel partito. Come ho detto, esso ha rappresentanti anche in quest’Aula, e sarebbe pertanto opportuno – anzi è nostro dovere – attirare l’attenzione sul fatto che il crescente livello di violenza nei confronti dei giornalisti le cui opinioni risultano sgradite a determinate forze politiche si può osservare non solo al di fuori bensì anche all’interno dell’Unione europea. Vi invito pertanto a vigilare e a garantire che i giornalisti siano tutelati, conservino la loro autonomia e non subiscano aggressioni.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE).(EN) Signora Presidente, ieri ricorreva il 200o anniversario dell’abolizione della schiavitù. Quella brutale pratica era una conseguenza della colonizzazione compiuta a livello mondiale soprattutto dai paesi europei. Alla schiavitù si è posto fine, mentre la colonizzazione prosegue tuttora. Due Stati membri, Regno Unito e Francia, hanno colonie ancora oggi: il Regno Unito ne ha 14, la Francia molte di più. Le colonie britanniche, con l’eccezione dell’Antartide britannica, hanno una superficie di 50 000 chilometri quadrati e una popolazione di 250 000 abitanti. Le colonie francesi si estendono su un totale di 123 000 chilometri quadrati e la loro popolazione ammonta a 2,5 milioni di persone. Le Istituzioni europee chiudono gli occhi di fronte alle gravi violazioni dei diritti politici e umani dei cittadini di quelle colonie.

In questo, il Parlamento europeo non fa eccezione. In nessuna delle relazioni annuali sui diritti umani adottate dal Parlamento nel corso degli anni si ritrova il ben che minimo accenno alla colonizzazione, mentre tutti i tentativi di singoli deputati di affrontare l’argomento sono stati inesorabilmente respinti. Strano comportamento, mi verrebbe da dire, anzi ipocrita: condanniamo le violazioni dei diritti umani in qualsiasi paese del mondo avvengano, fuorché quando sono commesse nei nostri Stati membri. E’ così che si comporta l’Unione europea? Vergogna!

 
  
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  Hanna Foltyn-Kubicka (UEN).(PL) Signora Presidente, non bastano le dita di una mano per contare quante volte il Parlamento europeo, altre Istituzioni comunitarie o il Consiglio d’Europa hanno sollecitato la Bielorussia ad astenersi da pratiche in contrasto con i diritti fondamentali dei cittadini.

Del modo in cui il regime di Lukashenko risponde a tutti gli appelli provenienti dall’Europa abbiamo avuto una chiara dimostrazione domenica scorsa, quando una giornata di celebrazione della libertà ha fornito lo spunto per ricordare ai bielorussi lo stato di schiavitù in cui vivono: lacrimogeni, sfollagente e idranti sono le risposte dei tiranni alla domanda di pane e libertà da parte del popolo. Non possiamo permettere che un solo uomo si faccia beffe dell’intera Europa e resti impunemente alla guida del suo regime autoritario proprio sotto i nostri occhi.

In quanto rappresentanti di un’Europa unita, è nostro dovere continuare a impegnarci per una Bielorussia libera. Dobbiamo chiederci se gli strumenti che abbiamo utilizzato finora siano sufficienti, se non sia il caso di pretendere con maggiore rigore una risposta dalle autorità bielorusse, se non sia opportuno dare un supporto più efficace e più aperto all’opposizione democratica di quel paese.

 
  
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  Věra Flasarová (GUE/NGL).(CS) Un elemento importante della strategia dell’Unione europea sono le pari opportunità per uomini e donne. L’opinione pubblica non viene informata regolarmente in tutti gli Stati membri dell’importanza della parità di genere.

Grazie al partenariato pianificato avviato nell’ambito del programma EQUAL, è stata lanciata l’iniziativa di indire una Giornata delle pari opportunità, che viene già celebrata in alcuni Stati membri il 19 luglio. Lo scopo dell’iniziativa è quello di promuovere il rispetto della parità di genere, di diffondere un’immagine positiva del partenariato tra uomini e donne nonché di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di questo tema.

La Giornata delle pari opportunità si rivolge anche agli uomini, perché anche gli uomini possono subire discriminazioni e soprusi. Questa Giornata internazionale rappresenta un riconoscimento degli sforzi a lungo termine compiuti dalle attiviste per i diritti della donna e rafforza il ruolo politico, economico e sociale delle donne. Inoltre, promuove le pari opportunità per entrambi i generi.

Essendo il 19 luglio una data vicina a quella della Giornata del papà, ci offre l’opportunità di riaffermare il nostro comune interesse quanto al ruolo dei padri nell’accudire i figli e la famiglia. Penso quindi che quest’Anno europeo delle pari opportunità per tutti sia un’occasione da cogliere senza esitazioni per proclamare una Giornata delle pari opportunità nell’intera Unione europea.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MOSCOVICI
Vicepresidente

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Signor Presidente, in relazione ai commenti espressi poco fa dal Presidente sugli avvenimenti di Belfast, vorrei dire che, da questo lontano osservatorio, l’euforia per gli sviluppi politici in quella città può essere comprensibile.

Tuttavia, tengo a precisare all’Assemblea che io, come molti altri cittadini dell’Irlanda del Nord, non ritengo vi sia alcunché da festeggiare nella prematura ammissione al governo di persone che hanno personalmente approvato, praticato e incondizionatamente sostenuto una feroce campagna terroristica che ha causato la morte di migliaia di concittadini innocenti. Dico “prematura” perché ancora oggi il Sinn Féin sta facendo il prezioso per quanto riguarda l’appoggio alle forze di polizia; infatti, molti suoi esponenti di spicco condannano i legittimi arresti operati dalla polizia nei confronti di autori di crimini gravi e si rifiutano di collaborare pienamente con la polizia per assicurare alla giustizia i responsabili di atrocità quali l’attentato dinamitardo di Omagh, nel quale sono morte 29 persone innocenti.

In quale altra parte del mondo si tollererebbe che la carica di ministro sia affidata a persone indissolubilmente legate o addirittura membri a pieno titolo di un consiglio militare illegale del loro personale esercito privato clandestino? Eppure, è proprio a questo che molti in quest’Aula daranno il loro plaudente assenso per l’Irlanda del Nord.

Dal male non può nascere il bene.

 
  
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  Атанас Папаризов (PSE). – Г-н Председател, българските граждани и редица правозащитни и професионални организации, с масови публични изяви и демонстрации, отбелязаха седемте години от задържането на петте български медицински сестри и палестинския лекар, осъдени на смърт от либийския съд. Резолюцията на Европейския парламент от 18 януари и заключенията на Съвета по общи въпроси от 22 януари и 22 февруари са израз на загрижеността на европейските институции и на страните-членки за положението на българските медици. Солидарността на страните-членки и постоянната загриженост на европейските институции са основа въпросът на българските медицински сестри да се реши. Единната европейска позиция, която, надяваме се, Европейският съюз и страните-членки ще изработят до края на този месец, може да стане основа за разговори с либийската страна за приключване на случая.

Уважаеми г-н Председател, уверен съм, че Европейският парламент, Съветът на министрите и Европейската комисия ще продължат съгласувано да действат в полза на решаването на въпроса на българските медицински сестри в Либия.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, la dichiarazione di Berlino riassume i valori comuni a tutti gli europei, compresi i diritti umani e la democrazia. Non v’è alcun dubbio sul fatto che si tratti di una dichiarazione di grande rilevanza morale, che esprime in maniera sintetica i valori comuni degli Stati membri e dei cittadini dell’Unione europea. Essa ricorda altresì i principi di equità e solidarietà sui quali si fonda l’integrazione europea e i valori che l’Europa ha sempre tenuto in grande considerazione: diversità e sovranità.

Ai cittadini d’Europa la dichiarazione dimostra che l’Unione è l’unica risposta efficace alle sfide della globalizzazione e della concorrenza.

Non dice però nulla di concreto sull’allargamento futuro dell’Europa, né alcunché di più specifico su una futura politica estera e di sicurezza comune.

A mio parere, la dichiarazione di Berlino costituisce un buon punto di partenza per il lavoro da fare nell’ottica di un nuovo quadro dell’Unione europea. E’ tuttavia più una dichiarazione formale che una toccante allocuzione d’apertura. Affinché la dichiarazione di Berlino possa essere il segnale di un nuovo inizio, gli Stati membri dovranno dar prova di buona volontà. Non dobbiamo mai dimenticare che il futuro dell’Europa è nelle nostre mani.

 
  
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  Marco Cappato (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Presidente di questo Parlamento solitamente reagisce allorché i responsabili di regimi dittatoriali (Cina, Cuba e altri) attaccano il Parlamento europeo per le sue risoluzioni e per le sue decisioni.

Orbene, il rappresentante di uno Stato assolutista, che è lo Stato della Città del Vaticano, nella persona del Cardinale Angelo Scola, si è lamentato del fatto che “in ambiti come quello del matrimonio, della famiglia e della vita – cito Scola – non è opportuno che l’attuale Parlamento europeo si pronunci in continuazione, facendo di fatto pressioni condizionanti i singoli paesi”.

Il Cardinale Scola ha reso simili dichiarazioni dinanzi al Presidente del nostro Parlamento, per cui ritengo che il Presidente del Parlamento europeo e il Parlamento stesso debbano reagire, come fanno di solito con coloro che si permettono di attaccare l’autonomia e le deliberazioni di questa Assemblea.

 
  
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  Mario Borghezio (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, un giornale italiano, il Giornale di Milano, e alcune agenzie, sia italiane che ucraine, hanno dato notizia a un fatto che ha colpito profondamente le coscienze di tutti coloro che hanno ancora ricordi e, magari, ferite aperte familiari sulla sorte dei caduti della Seconda guerra mondiale.

Si tratta delle spoglie di oltre 200 militari italiani che hanno la sfortuna di essere sepolti in un terreno di un piccolo paese dell’Ucraina, dove già una volta si è tentato di edificare un enorme condominio di dieci piani, un tentativo che oggi viene nuovamente effettuato con l’intento di costruirvi un supermercato.

Credo che, in virtù dei valori su cui si fonda l’Unione europea, si debba esprimere una chiara condanna e una forte presa di posizione. Raccomando pertanto al Presidente del Parlamento di intervenire presso le autorità ucraine per impedire questo sconcio.

 
  
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  Bairbre de Brún (GUE/NGL). – A Uachtaráin, ó thaobh an méid a dúirt Uachtarán na Parlaiminte inniu faoi imeachtaí na seachtaine seo i mBéal Feirste, ba mhaith liom fosta fáilte a chur roimh ráiteas na seachtaine seo ó Ian Paisley agus ó Gerry Adams.

Léiríonn an comhaontú idir Sinn Féin agus agus an DUP – agus an gealltanas soiléir sin ó Ian Paisley faoi athbhunú na n-institiúidí polaitiúla ar an ochtú lá de mhí na Bealtaine – tús ré nua polaitiúla in Éirinn. Bhí sé d’onóir domsa freastal ar an chruinniú stairiúil idir Sinn Féin agus an DUP dhá lá ó shin. Taispeánann na cainteanna agus taispeánann an comhaontú idir ár ndá pháirtí cad is féidir a bhaint amach anois.

Ba mhaith le Sinn Féin caidreamh nua a thógáil inar féidir le gach duine a bheith páirteach i dtodhchaí rathúil, shíochánta agus chóir. Caithfear dul i ngleic ar ndóigh le cuid mhór dúshlán agus cuid mhór deacrachtaí go fóill, ach níor chóir do dhuine ar bith meas faoi luach a thabhairt ar chuntasacht fhorbairtí na seachtaine seo, agus na féidearthachtaí a chruthaíonn siad don dul chun cinn polaitíochta in Éirinn.

 
  
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  Мартин Димитров (PPE-DE). – Уважаеми г-н Председател, уважаеми колеги, оставам с впечатлението, че европейският комисар Ласло Ковач е решил да увеличи всички възможни минимални акцизи, започна с алкохола, продължи с дизела.

На 13 март Европейската комисия прие предложение за промяна на Директива 96, като предвижда увеличаване на минималните нива на акциза върху дизел от 302 евро на 380 евро за хиляда литра. Според Комисията, с увеличението на акциза се опазва околната среда. В анализа си Комисията пропуска да отбележи, че страни като България и Румъния още не са достигнали сегашните минимални нива на акцизите, а се предлага ново увеличение. Ако се приеме това предложение, България ще трябва да увеличи акциза върху дизела с 40%. Това би довело до покачване на цените на основни потребителски стоки абсолютно несъизмеримо с ръста на доходите в България. Едно такова нарастване на цените ще доведе до евроскептицизъм, особено в източната част на Европейския съюз и до проблеми с приемането на еврото. Европейският парламент трябва категорично да се противопостави на едно такова необосновано предложение.

 
  
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  John Attard-Montalto (PSE).(MT) Gli studi eseguiti a posteriori sull’edificio dell’impianto di Marsascala sono considerati una presa in giro da chiunque, compresi i funzionari dell’agenzia maltese dell’ambiente. Questo processo ha ignorato molti dei parametri della valutazione e ha violato una serie di direttive dell’Unione europea. Lo studio sulla tecnologia richiesta non è stato reso pubblico, mentre le analisi comparative di siti alternativi sono giudicate poco serie e si ritiene che vengano manipolate e addirittura invalidate.

Le ricerche socioeconomiche tra i residenti dell’area non sono state condotte in maniera accurata e conforme ai parametri di valutazione, mentre lo studio sull’impatto ambientale e sulla salute è stato completamente ignorato. Non dobbiamo dimenticare che l’impianto sarà costruito in un’area residenziale, a solo 250 metri di distanza da zone abitate.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE).(LT) Il progetto della via Baltica assume grande rilievo ai fini dell’integrazione delle reti di trasporto dei paesi baltici e dell’Europa centrosettentrionale con il resto dell’Unione europea. La Commissione europea ha adito la Corte di giustizia delle Comunità europee contro la realizzazione del viadotto Augustavas sulla via Baltica, che la Polonia aveva iniziato a costruire prima ancora dell’adesione all’UE. Il procedimento si fonda sulla presunta violazione di requisiti di tutela ambientale nella valle Rospuda, che sarà attraversata dal viadotto in costruzione. E’ previsto che fino al 4 per cento i finanziamenti del progetto saranno destinati al risarcimento di danni ambientali, alla realizzazione di attraversamenti per animali e alla riforestazione. La Commissione non ha indicato percorsi alternativi, né ha avanzato proposte chiare per i risarcimenti. Invece, nel caso del gasdotto settentrionale, che secondo il progetto attraverserà un sito di Natura 2000 e potrebbe avere effetti imprevedibili sull’ecosistema, non sono state sollevate obiezioni analoghe a tutela dell’ambiente. Inoltre, la Commissione europea non si preoccupa degli abitanti di Augustavas, né dell’inquinamento che viene loro imposto. Verrà un giorno in cui l’Unione europea la smetterà di usare due pesi e due misure quando ha a che fare con i paesi europei più forti e con la Russia, loro partner strategico?

 
  
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  Milan Gal’a (PPE-DE).(SK) La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro la Slovacchia perché alcuni armatori di navi battenti bandiera slovacca si servirebbero di società di diritto bulgaro e turco, che la Commissione non ha ancora inserito nell’elenco delle società riconosciute. Il problema riguarda venti navi che battono bandiera slovacca ma sono di proprietà di società straniere registrate in vari paesi.

Alla fin fine, però, sarà la Slovacchia a dover sborsare 480 milioni di corone a titolo di sanzione. I contratti con le società interessate sono stati stipulati prima dell’adesione all’Unione europea ed erano di lunga durata. Lo scorso novembre è entrata in vigore una nuova direttiva che obbliga gli Stati membri a far ricorso solo a società riconosciute dall’Unione europea.

La Slovacchia ha chiesto all’Unione europea di riconoscere la registrazione bulgara. Credo che la Slovacchia farà del proprio meglio per porre rimedio alla situazione quanto prima. Per questo motivo chiedo alla Commissione di non agire precipitosamente.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE).(PL) Le settimane scorse, la stampa europea si è occupata spesso del conflitto tra la polizia polacca e i gruppi ambientalisti che difendono la valle Rospuda, unica nel suo genere e, proprio per la sua unicità, sottoposta a tutela nell’ambito del programma Natura 2000.

Sappiamo già che la Commissione europea ha adito la Corte di giustizia delle Comunità europee sulla questione della strada che dovrebbe essere costruita attraverso la valle Rospuda. Pur apprezzando gli sforzi del Commissario all’ambiente Stavros Dimas, deploro profondamente che non sia stato possibile sbloccare la situazione e trovare un accordo con il governo polacco, invece di inimicarsi inutilmente la società polacca. Se venisse effettivamente rilevata una violazione delle norme europee, la Polonia o, più esattamente, i contribuenti polacchi potrebbero effettivamente vedersi costretti a pagare una sanzione milionaria, mentre i lavori di costruzione della strada rimarrebbero bloccati. La mancanza di proposte per un percorso alternativo concordato non aiuta a risolvere gli attuali problemi di trasporto degli abitanti di quell’area.

Ancora una volta si ha l’impressione che i cittadini comuni saranno chiamati a pagare per l’ostinazione e l’ignoranza della legge di chi li governa.

 
  
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  Brian Crowley (UEN).(EN) Signor Presidente, in riferimento alla dichiarazione di Berlino dello scorso fine settimana e al calendario fissato per il 2009, che dovrebbe diventare l’anno della conferma e del rinnovamento del Trattato, in coincidenza con le elezioni europee, vorrei proporre di proclamare il 2009 Anno del bambino, al fine non solo di tutelare i più vulnerabili della nostra società e di fissare criteri comuni in tutta l’Unione europea per la protezione dell’infanzia, ma anche di esprimere un voto di ottimismo sulle generazioni future, affinché possano portare avanti il progetto dell’Unione europea dopo cinquant’anni di costruzione e sviluppo. Desidero quindi avanzare questa proposta e chiedo ai colleghi il maggior sostegno possibile.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, desidero richiamare l’attenzione sull’accordo relativo ai nuovi strumenti comunitari in materia di aiuti esterni, in particolare sullo strumento europeo di prossimità e di partenariato, che riconosce al Parlamento un maggiore diritto di controllo sull’attuazione degli aiuti comunitari.

Il Parlamento è pronto a svolgere un ruolo attivo nell’applicazione degli strumenti comunitari per gli aiuti esterni, sebbene la Commissione non sia disponibile a una collaborazione aperta e tempestiva con il Parlamento.

Il Parlamento interviene soltanto nel processo di redazione dei documenti – documenti strategici, piani d’azione e programmi indicativi nazionali – subito prima della loro adozione, quando non vi è più alcuna possibilità di modificare o esprimere un parere. Pertanto, il Parlamento è un mero osservatore passivo dell’attuazione dello strumento comunitario di prossimità e partenariato.

In proposito ritengo che dovremmo invitare la Commissione a dialogare con il Parlamento e a coinvolgerlo pienamente e tempestivamente nelle fasi di redazione, applicazione e monitoraggio della politica europea di prossimità, con particolare riguardo allo strumento comunitario di prossimità e partenariato.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE).(DE) Signor Presidente, sono lieto che finalmente, al mio terzo tentativo, mi sia stata concessa la parola. E’ ovvio che, se perfino i presidenti dei gruppi ricorrono a questa possibilità per intervenire in Aula, allora i semplici deputati come me hanno ben poche probabilità di riuscire a parlare.

Desidero esprimere un giudizio estremamente negativo sull’intenzione del governo polacco di espellere dal paese le persone ammalate – compresi i cittadini dell’Unione europea. Ritengo che si tratti di un massiccio attacco alle libertà fondamentali dell’Unione europea, quali la libertà di insediamento e la libera circolazione delle persone. Invito la Commissione europea ad adottare con urgenza i provvedimenti necessari per porre fine a questa continua provocazione da parte dei due fratelli che sono a capo del governo.

Mi piacerebbe inoltre sapere perché la Commissione si attiva prontamente in così tanti ambiti, come, per esempio, sulla questione degli studenti tedeschi in Austria, mentre non fa assolutamente nulla riguardo a problemi gravissimi come questo, che ritengo sia un vero e proprio scandalo.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, Joseph Conrad disse una volta che ciò di cui tutti gli uomini sono alla ricerca è una forma, o forse soltanto una formula, di pace. Oltre che per le celebrazioni del 50o anniversario del progetto europeo, unico nel suo genere, che ha portato pace e stabilità al nostro continente, questa settimana sarà ricordata anche per gli importanti sviluppi, inediti e decisamente positivi, per la pace e il progresso nell’isola d’Irlanda. Finalmente abbiamo non più solo una forma di pace, bensì una formula per un futuro di concordia per i cittadini d’Irlanda, nel nord come nel sud.

Plaudo al governo incaricato e al suo ritorno nell’Irlanda del Nord. La decisione adottata questa settimana dai principali gruppi politici, il DUP e il Sinn Féin, di sedersi allo stesso tavolo e di concordare una divisione dei poteri entro sei settimane costituisce una pietra miliare molto promettente nonché – finalmente – il capitolo conclusivo del lunghissimo processo di pace nell’Irlanda del Nord dopo quarant’anni di violenze.

E’ importante che, in quanto Parlamento europeo, prendiamo atto degli straordinari eventi accaduti questa settimana a Stormont. Vorrei esprimere inoltre un particolare apprezzamento per il ruolo svolto dall’Ulster Unionist Party e dall’SDLP, da David Trimble e John Hume, dai leader di un tempo e da quelli attuali...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Neena Gill (PSE).(EN) Signor Presidente, desidero sottoporre alla sua attenzione quanto è accaduto di recente in Pakistan, ovvero la sospensione del presidente della Corte suprema Mohammed Chaudhry, a seguito della quale sono scoppiati disordini in tutto il paese.

Lo scorso dicembre, in occasione di una visita in Pakistan in qualità di presidente della delegazione SAARC, sollevai ai massimi livelli la questione relativa all’importanza della libertà del potere giudiziario e degli organi d’informazione. E’ quindi deludente apprendere che in entrambi questi ambiti la libertà non è garantita. Sono tuttavia grata all’ambasciatore pachistano presso l’Unione europea per avermi trasmesso le dichiarazioni d’impegno del suo governo in materia di libertà di stampa, e apprezzo in particolare le sue rassicurazioni sul rispetto dell’indipendenza della magistratura.

Nondimeno sollecito vivamente il Presidente del Parlamento, nell’interesse della trasparenza, a richiedere per iscritto una copia della nota inviata al Consiglio supremo della magistratura, nonché una spiegazione esauriente dei motivi che hanno indotto il Consiglio a sospendere il giudice Chaudhry.

Infine, chiedo inoltre al Presidente di insistere presso il governo pachistano, per quanto giustificata sia la sospensione del presidente della Corte suprema, affinché si tengano udienze pubbliche, in modo da consentire alla comunità internazionale di valutare la correttezza del processo.

 
  
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  Robert Evans (PSE).(EN) Signor Presidente, vivendo nella stessa parte del mondo, vorrei portare all’attenzione di quest’Assemblea l’aggravarsi della situazione nello Sri Lanka, dove il cessate il fuoco non è rispettato praticamente da nessuno. Nel paese è in atto, a mio giudizio, una vera e propria tragedia: a causa della ripresa delle ostilità si registrano più di 200 000 profughi e sono stati uccisi più di 3 000 civili oltre, naturalmente, a un certo numero di soldati su entrambi i fronti.

Una cosa che il Parlamento europeo può fare è incaricare osservatori indipendenti dei diritti umani di monitorare tutte le violazioni, oltre agli abusi che vengono compiuti dalle forze di sicurezza dello Sri Lanka, dall’LTTE e dagli altri gruppi armati presenti ovunque sull’isola. Credo sia dovere del Parlamento europeo intervenire a sostegno della popolazione di quella splendida isola, individuare una soluzione pacifica e porre fine al conflitto al più presto.

Grazie. 47 secondi!

(Ilarità)

 
  
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  Presidente. – I secondi che le sono avanzati li ha dati all’onorevole Gill.

 
  
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  Carlo Fatuzzo (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, partendo da Bergamo per Bruxelles con l’aeroplano, mi è venuta incontro una delegazione composta da 27 vedove, una per ciascuno dei nostri Stati dell’Unione europea, lamentando che le pensioni di reversibilità corrisposte alle vedove dei pensionati e dei lavoratori siano solamente la metà di quello che era la pensione riscossa dal coniuge.

Le vedove mi hanno chiesto di sollevare questo problema al Parlamento europeo – cosa che faccio – nella certezza che la loro richiesta verrà ascoltata da tutti i 27 governi che compongono l’Unione europea, in attesa che sia introdotta finalmente – come io stesso chiedo – una pensione europea, che garantisca uguali diritti e migliori a tutti i cittadini d’Europa.

 
  
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  Presidente. – Mi spiace, ma dobbiamo passare al prossimo punto all’ordine del giorno. Vi comunico, però, che nella sessione di aprile a Strasburgo sarà data priorità a tutti i deputati che hanno chiesto di prendere la parola oggi. Resta inteso che, per rispetto della forma, dovranno iscriversi nuovamente. La Presidenza di quella seduta ne sarà informata, e questi deputati saranno inseriti in cima alla lista degli oratori.

 
  
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  Димитър Стоянов (ITS). – В съвременното демократично общество медиите и тяхната свобода са нещо много важно. Тяхното влияние над обществото е толкова голямо, че ние често се обръщаме към тях като към четвърта власт.

Вземам думата по отношение на изказването на г-н Шулц, което ме засегна лично, относно свободата на медиите. Защото ние знаем, че в съвременната демокрация основната характеристика на всяка власт е, че тя бива контролирана по някакъв начин, за да не се позволяват злоупотреби с нея. И за да ви опиша по-добре какъв е случаят специално, който г-н Шулц имаше предвид в България ...

(г-н Стоянов и прекъснат от председателя)

 
  
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  Presidente. – Onorevole Stoyanov, sono costretto a interromperla. Vorrei sapere in base a quale norma del Regolamento del Parlamento lei ha chiesto la parola e su quale punto desidera intervenire, perché finora il suo discorso è stato di carattere alquanto generale.

 
  
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  Димитър Стоянов (ITS). – Относно чл. 145 от Правилника.

(Г-н Стоянов е прекъснат от председателя)

 
  
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  Presidente. – Le rammento che l’articolo 145 del Regolamento stabilisce che qualsiasi deputato che chieda di parlare per fatto personale “non può intervenire sull’argomento della discussione, ma deve limitarsi a respingere affermazioni fatte nel corso della discussione con riferimento alla sua persona o a opinioni che gli sono state attribuite oppure a rettificare proprie dichiarazioni precedenti”. La invito pertanto ad astenersi dal parlare di questioni di carattere generale e a venire al punto che la riguarda, poiché ha chiesto la parola per fatto personale.

 
  
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  Димитър Стоянов (ITS). – Не съм съгласен г-н Председател, защото моят отговор изисква изясняване на обстоятелствата, за да мога да отхвърля твърденията ...

(Г-н Стоянов е прекъснат от председателя)

 
  
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  Presidente. – Non si tratta di essere o non essere d’accordo, si tratta di attenersi alle norme del Regolamento.

 
  
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  Димитър Стоянов (ITS). – Значи това е диктатура, г-н Председател.

(Г-н Стоянов е прекъснат от председателя)

Няма свобода на словото в този парламент.

Няма свобода на словото в този парламент.

(Г-н Стоянов е прекъснат от председателя)

Това е свободата на словото в този парламент. Отнема се думата, без да се даде възможност....

(Председателят отнема думата на г-н Стоянов)

 
  
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  Presidente. – Questa non è una dittatura; anzi, è una democrazia. Il Parlamento ha il proprio Regolamento, che va rispettato. Nessun deputato al Parlamento europeo può fare osservazioni di carattere generale in quest’Aula su un argomento qualsiasi di propria scelta.

Onorevole Stoyanov, avevo creduto che lei intendesse intervenire per fatto personale, ma così non è e pertanto non le posso permettere di continuare.

 

16. Produzione biologica ed etichettatura dei prodotti biologici (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0061/2007), presentata dall’onorevole Marie-Hélène Aubert a nome della Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, sulla proposta di regolamento del Consiglio relative alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici [COM(2005)0671 – C6-0032/2006 – 2005/0278(CNS)].

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, sono lieta di discutere la nostra proposta sul nuovo regolamento del Consiglio relativo alla produzione biologica. Vorrei iniziare ringraziando la relatrice, onorevole Aubert, e i membri della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale per gli sforzi profusi. L’ottimo lavoro che hanno svolto è un contributo estremamente prezioso per i nostri dibattiti.

Con 160 000 aziende biologiche e oltre 6 milioni di ettari destinati all’agricoltura nell’Unione europea, il fatturato dei prodotti biologici oscilla tra i 13 e i 14 miliardi di euro. La tendenza è al rialzo; quindi si tratta, indubbiamente, di un settore molto importante. Sono assolutamente convinta che questo settore in espansione debba svolgere un ruolo fondamentale. Esso risponde a una serie di aspettative dell’opinione pubblica e dei consumatori riguardo alla qualità degli alimenti, alla tutela dell’ambiente, al benessere degli animali e alle opportunità di sviluppo per la campagna.

Si tratta anche di un settore molto ottimista e fiducioso nell’avvenire, come ho potuto chiaramente constatare durante la recente visita alla BioFach di Norimberga. Tuttavia, per svilupparsi e sfruttare appieno il proprio potenziale, esso necessita di un quadro normativo adeguato, ed è esattamente ciò che vogliamo fare con il nuovo regolamento. Questa è, pertanto, una proposta legislativa molto importante, e sono lieta dei progressi che siamo riusciti a compiere con le decisioni adottate lo scorso anno.

Il 2006 è stato caratterizzato da intensi dibattiti in Consiglio e in Parlamento sulla nostra proposta, in seguito ai quali alcuni elementi della proposta originaria, che sembravano essere molto delicati, sono totalmente scomparsi. Tra questi si segnala il divieto di avanzare maggiori richieste, il reciproco riconoscimento delle norme private da parte degli organismi di controllo e la dicitura UE per il biologico.

Il Parlamento ha altresì proposto una serie di emendamenti per meglio formulare gli obiettivi e i principi dell’agricoltura biologica sull’indicazione dell’origine dei prodotti, il diritto esplicito all’utilizzo di loghi privati e nazionali, l’integrazione del sistema di controllo nei controlli ufficiali sugli alimenti e sui mangimi e le maggiori garanzie sulle importazioni. Questi emendamenti migliorano la proposta iniziale e, per tale motivo, sono lieta di recepirli.

Siamo altresì riusciti a ottenere un regolamento che attribuisce maggiore importanza alla fertilità del suolo, al suo ciclo vitale e alle relative pratiche di gestione. La questione degli OGM e dell’agricoltura biologica ha fatto nascere un acceso dibattito. Ho visto che il Parlamento ha espresso il desiderio che gli operatori dimostrino di avere adottato tutte le misure necessarie per evitare la presenza di OGM accidentale o tecnicamente inevitabile, e sono pienamente d’accordo. Quindi, anche se questi emendamenti ripropongono una condizione già esistente, ho deciso di accettarli vista l’estrema delicatezza della questione.

Permettetemi, però, di essere completamente chiara: la soglia indicante la presenza accidentale di OGM non è, come suggerito da alcuni, una soglia de facto che indica una tolleranza nei confronti degli OGM. L’uso degli OGM e dei loro derivati rimane strettamente proibito nella produzione biologica.

Benché Commissione e Parlamento concordino sugli aspetti fondamentali del nuovo regolamento, vi sono alcuni punti su cui non la vediamo allo stesso modo, e vorrei soffermarmi brevemente su alcuni.

Il Parlamento chiede maggiori particolari, e chiaramente molte delle norme dettagliate a noi note nel regolamento attuale sono state eliminate. Non dimentichiamoci, però, che uno dei principali obiettivi della proposta è definire le norme fondamentali in maniera più chiara e più logica. Ciò non significa, tuttavia, che le regole dettagliate alla base dello straordinario tessuto delle norme sul biologico debbano scomparire del tutto. Ovviamente non è così. Credo però che possano essere meglio inserite nelle norme di attuazione e il loro contenuto sarà, come vi ho precedentemente confermato, molto simile a quello delineato nel regolamento attuale.

Per quanto riguarda il nostro desiderio di estendere l’ambito di applicazione alla ristorazione collettiva, ai cosmetici, ai prodotti tessili e alle conserve di pesce, sottolineo che non possiamo agire contemporaneamente su tutti i fronti. Fondamentalmente, ora lo stiamo estendendo al vino e all’acquacoltura. Gli altri settori sono ancora in una fase iniziale del loro sviluppo, che, credo, potrebbe essere pregiudicato dall’armonizzazione. Di fatto, il testo in essere prevede la possibilità di riesaminare la questione nel 2011.

Collegandomi a questo, ho anche visto che vorreste una doppia base giuridica per la proposta. Tutti sanno che è in corso un ampio dibattito sull’introduzione della procedura di codecisione per le questioni agricole. Si tratta di un punto importante e di un dibattito che, come ho chiaramente affermato, accolgo con favore. Tuttavia, è una questione che si dovrebbe affrontare in maniera orizzontale, a livello adeguato e nel giusto contesto. Credo non sia utile a nessuno adottare un approccio caso per caso. Per tale motivo, non posso accettare una modifica della base giuridica per il nuovo regolamento sull’agricoltura biologica come avete proposto.

Infine, proponete che gli Stati membri possano mantenere o introdurre norme più severe a livello nazionale. Lo trovo inammissibile. Lo scopo ultimo del presente regolamento è garantire un’efficace armonizzazione in maniera abbastanza rigorosa, con un meccanismo di flessibilità che garantisca le dovute eccezioni. Armonizzando le norme a livelli abbastanza elevati, con una certa flessibilità, credo raggiungeremo lo stesso fine, ma con meno rischi di trattare diversamente gli operatori che versano in condizioni analoghe. Sono convinta che sia questo il modo per promuovere un fiorente mercato interno della produzione biologica.

Mi dispiace di avere parlato così a lungo, ma si tratta di una questione molto importante che volevo analizzare attentamente.

 
  
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  Presidente. Signora Commissario, la Commissione è libera di parlare per tutto il tempo che desidera e dire tutto ciò che ritiene necessario.

 
  
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  Marie-Hélène Aubert (Verts/ALE), relatore. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, come sapete la situazione dell’agricoltura biologica attualmente è alquanto paradossale. Da una parte, genera una crescente domanda perché è un metodo di agricoltura che crea posti di lavoro, che tutela l’ambiente, la biodiversità e, in buona sostanza, la salute di tutti. Dall’altra, l’agricoltura biologica rappresenta ancora poco più dell’1 per cento della produzione agricola europea e poco più del 3 per cento delle superfici agricole utili, il che equivale a ben poco. Credo sia nostra responsabilità contribuire allo sviluppo dell’agricoltura biologica in seno all’Unione europea.

Forse si tratta di una questione pressoché irrilevante a livello quantitativo, ma sul piano politico e simbolico è un tema di grandissima importanza perché l’agricoltura biologica è anche un nuovo settore da conquistare, in quanto riorienta la politica agricola comune verso una forma di agricoltura molto più sostenibile, che è ciò di cui abbiamo bisogno.

Per tutto il 2006 abbiamo lavorato sulla base di una proposta della Commissione che ha suscitato molte preoccupazioni, molte proteste e anche una certa fretta, perché all’inizio ci era stato chiesto di pronunciarci entro due mesi su una proposta che non era stata sviluppata appieno. Tuttavia, sono pronta a riconoscere che il lavoro è stato costruttivo e che abbiamo avuto scambi periodici, sia con la Commissione sia con il Consiglio, per migliorare la proposta iniziale. Con tutti questi scambi, tutte queste discussioni e questi andirivieni, cosa sperava di fare la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento? Lei ne ha ricordato i punti essenziali.

Innanzi tutto, la commissione voleva allargare il campo d’applicazione del presente regolamento a prodotti non alimentari come i prodotti tessili e i cosmetici, ma anche e soprattutto alla ristorazione collettiva, perché essa è un formidabile impulso allo sviluppo dell’agricoltura biologica nei nostri paesi. Faremmo sicuramente male a non utilizzarla. Questo è anche il motivo per cui vogliamo una doppia base giuridica, ovvero gli articoli 37 e 95, che riguardano il mercato interno e il consumo. Del resto, sembra che non abbiate fatto altro che lodare il nostro lavoro, il nostro contributo e, quindi, il fatto che il Parlamento europeo sia molto più coinvolto – senza parlare in generale di codecisione per l’agricoltura, perché quello è un altro dibattito che dobbiamo ancora affrontare.

Mi sembra quindi che se vogliamo continuare questo lavoro, se vogliamo che i deputati europei abbiano veramente il diritto di esaminare questi famosi decreti che svolgeranno un ruolo essenziale nell’applicazione del presente regolamento, dovreste accettare questa doppia base giuridica, e continueremo questa discussione.

In secondo luogo, come avete ricordato, sulla base di un testo vago abbiamo chiesto definizioni molto più precise di cosa si intende per controllo, certificazione, prodotti autorizzati o non autorizzati nelle pratiche di agricoltura biologica, vincoli sul suolo, condizioni animali eccetera. Poi, lei ha sollevato il punto molto delicato dell’assenza di organismi geneticamente modificati nell’agricoltura biologica, che deve essere totale, proprio come l’assenza di pesticidi e di prodotti chimici sintetici.

Sulla questione degli organismi geneticamente modificati siamo assolutamente decisi a confermare ai consumatori che l’agricoltura biologica non contiene alcun tipo di OGM, dalla semina sino alla distribuzione. La soglia attuale dello 0,9 per cento, che rappresenta una soglia di deroga per l’etichettatura, genera confusione. Occorre quindi, a nostro avviso, tornare sulla questione e optare, sia per le colture convenzionali che per quelle biologiche, per la soglia di rilevazione, cosicché, qualunque cosa accada, si prendano tutte le misure necessarie per evitare qualsiasi forma di contaminazione, anche accidentale, delle colture biologiche dagli OGM.

Lei dice che non è possibile accettare eventuali misure più severe che potrebbero essere adottate dagli Stati membri. Ebbene, a nostro avviso i capitolari d’oneri delle autorità pubbliche e private, che già esistono e sono ben noti ai consumatori, dovrebbero rimanere validi. Ad ogni modo questo è ciò che vogliamo, e se c’è una certa flessibilità l’armonizzazione deve andare verso l’alto e non verso il basso, come temiamo.

Lei ci ha fornito alcune risposte. Credo che questo dibattito continuerà, sicuramente anche dopo il voto di domani.

Infine, vorrei concludere dicendo che questo regolamento non rappresenterà comunque la parola definitiva e conclusiva in materia, né risolverà tutte le questioni riguardanti l’agricoltura biologica. Nel quadro della politica agricola comune, occorre anche un sostegno molto più forte di quello attuale per l’agricoltura biologica.

 
  
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  Roberto Musacchio (GUE/NGL), relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, è stato svolto un lavoro molto accurato in seno alla mia commissione, di cui sono stato relatore, un lavoro che ha ottenuto l’unanimità dei voti in commissione.

La commissione ENVI ha ovviamente a cuore la difesa dell’ambiente ma in questo particolare caso ci siamo concentrati sul tema del modo in cui l’ambiente può essere tutelato anche attraverso la regola del mercato. Lo voglio dire perché il punto cardine della relazione che ho presentato è proprio questo: per chi produce, vende o acquista cibo biologico deve essere chiaro, con estrema certezza e senza margine di errore, il fatto che questo cibo sia effettivamente biologico e non contaminato, ad esempio, da OGM. Ritengo che questa “soglia zero” della contaminazione sia indispensabile da subito e non demandabile a ulteriori provvedimenti. Chi vende un prodotto – penso ad esempio ad un’automobile di gran classe – non può tollerare che quel prodotto contenga anche un solo bullone che non appartenga a quell’automobile.

Questo è dunque il punto cardine dell’indicazione fornita dalla mia commissione, che vorremmo fosse ripreso chiaramente nel testo finale.

 
  
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  Agnes Schierhuber, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, ringrazio vivamente l’onorevole Beer per l’impegno profuso nel suo lavoro. L’agricoltura biologica è un tema di grande interesse per l’opinione pubblica; essa assume le forme più disparate e la sua rilevanza varia molto tra i diversi Stati membri. Si tratta, quindi, di una questione sentita e controversa da discutere. In quest’ambito, gli organismi geneticamente modificati sono sempre un grave problema. Per tale motivo approvo il limite dello 0,0 per cento per l’agricoltura biologica, perché quello che riteniamo essere privo di OGM deve effettivamente esserlo. La coesistenza e la responsabilità, in tal senso, sono temi di fondamentale importanza, temi che aspettano ancora una soluzione, signora Commissario, e so che lei è dalla nostra parte su questo punto.

Il futuro dell’agricoltura biologica è, soprattutto, nelle mani dei consumatori. Sono loro a decidere se sono disposti a pagare di più per alimenti naturali e privi di OGM. L’aumento delle vendite di prodotti biologici registrato negli ultimi anni conferma chiaramente che l’opinione pubblica apprezza questa qualità. E’ proprio per questo, però, che per l’acquirente è importante sapere la provenienza dei generi alimentari. Occorre garantire che le etichette biologiche europee siano usate esclusivamente per i prodotti provenienti dagli Stati membri che soddisfano questi criteri. Il futuro utilizzo dei loghi, l’idea di etichettare i prodotti con maggiore precisione e la possibile tracciabilità sono misure che accolgo con molto favore, perché consentiranno anche di effettuare controlli più efficaci. Dobbiamo assicurare che si tenga conto degli interessi di produttori e consumatori in uguale misura. Misure coordinate e congiunte porteranno ulteriori benefici sia all’agricoltura europea sia ai consumatori tutelando, al contempo, la sussidiarietà. I 197 emendamenti che abbiamo proposto dimostrano, tuttavia, che in realtà non siamo ancora in grado di votare sulla relazione. Sostengo quindi la relatrice sugli emendamenti nn. 37 e 39.

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  María Isabel Salinas García, a nome del gruppo PSE. – (ES) Il settore della produzione biologica ci chiede – direi piuttosto esige – una regolamentazione chiara e semplice, che risponda alle necessità di un mercato in netta espansione.

Gli europei consumano sempre più prodotti biologici, e dobbiamo creare al più presto un quadro adeguato per soddisfare queste necessità, difendendo non solo gli interessi dei consumatori ma anche, al contempo, gli interessi del settore e quelli ambientali in generale.

Per raggiungere questo obiettivo, la relazione che stiamo discutendo e che ha incontrato difficoltà sin dalla fase negoziale è un buon documento di partenza. Colgo l’opportunità per congratularmi con la relatrice, onorevole Aubert, per il grande lavoro svolto. Dico che questa mi sembra essere una buona relazione perché, ad esempio, tiene conto delle caratteristiche specifiche delle diverse regioni europee, definisce meglio le competenze di ciascuna delle autorità e degli organismi coinvolti nel controllo dei prodotti biologici e stabilisce un unico logo obbligatorio, punto su cui ho insistito durante i negoziati in commissione.

Su questa stessa linea credo anche che sancisca che, per poter essere commercializzati con il nome di biologico nell’Unione europea, i prodotti provenienti dai paesi terzi debbano sottostare a norme equivalenti alla normativa europea.

In definitiva, credo che la relazione intenda promuovere il biologico come forma di produzione e di consumo, cercando di consolidare questo comparto in crescita come settore elitario della nostra agricoltura, poiché l’agricoltura biologica è destinata a essere caratterizzata da prodotti di maggiore qualità.

Detto questo, credo si stia aprendo un altro dibattito che, sino a poco tempo fa, non era stato preso in considerazione: ci propongono la possibilità che il Parlamento europeo abbia più voce in capitolo nel processo decisionale, facendo un passo avanti con la procedura di codecisione, sollecitando una doppia base giuridica per questo regolamento.

Dico molto chiaramente che, come europeisti convinti, siamo sempre favorevoli a maggiori poteri decisionali per questo Parlamento, espressione democratica per eccellenza dell’Unione europea. Domani, pertanto, voteremo di conseguenza.

Tuttavia, vorrei anche sottolineare che questo regolamento è un’istanza sociale sia del settore sia dei consumatori. Pertanto, i passi successivi che dovremo decidere a partire da domani non devono essere procrastinati ancora a lungo; al contrario, per garantire la sicurezza giuridica dei produttori e la fiducia dei consumatori, dobbiamo continuare a lavorare rapidamente allo scopo di disporre di un regolamento che il settore europeo reclama da molto tempo e che differenzia questa agricoltura chiaramente biologica, per il bene della sicurezza dei consumatori.

 
  
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  Kyösti Virrankoski, a nome del gruppo ALDE. – (FI) Signor Presidente, desidero ringraziare la relatrice, onorevole Aubert, per l’ottima relazione. La produzione biologica è un settore della produzione agricola. Probabilmente in futuro acquisirà maggiore importanza, perché i consumatori prestano più attenzione alla qualità che al prezzo dei generi alimentari. La produzione biologica è un modo per migliorare la qualità, il gusto e la conservabilità dei prodotti, creando un valore aggiunto per le imprese e accrescendo la loro redditività. La produzione biologica, tuttavia, è un settore agricolo difficile, che richiede massima dedizione all’azienda agricola. E’ difficile porre rimedio anche al minimo errore, perché non c’è possibilità di passare alla produzione convenzionale.

La politica agricola dell’UE è caratterizzata, normalmente, dalla complessità delle sue norme e procedure burocratiche. Con la produzione biologica si possono temere ulteriori aggravi in tal senso. L’agricoltore deve avere un’ottima conoscenza della normativa nazionale e comunitaria. Questa proposta di regolamento comporterà un maggior numero di leggi. Di per sé lo scopo è nobile, perché si cerca di salvaguardare la fiducia dei consumatori, ma l’esistenza di troppe leggi potrebbe comportare un rallentamento nello sviluppo dell’agricoltura biologica, cui molti agricoltori potrebbero semplicemente rinunciare. Ciò danneggerebbe il settore nel suo complesso.

Signor Presidente, l’agricoltura e l’industria alimentare rappresentano un enorme settore della produzione europea, che offre spazio a diversi metodi e tendenze. La produzione biologica può offrire possibilità molto allettanti, soprattutto nelle regioni caratterizzate da pessime condizioni naturali. Speriamo che questo regolamento rafforzi l’economia alimentare del nostro continente, incentivandola nell’ambito della concorrenza globale.

 
  
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  Roberta Angelilli, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, premetto, da italiana, che l’Italia è il quarto produttore mondiale di prodotti biologici e il primo dell’Unione europea. Per questo condividiamo le modifiche che la relazione apporta al regolamento: le modifiche relative al campo d’applicazione, alla flessibilità per gli Stati membri, ai controlli e alla libera circolazione dei prodotti biologici nell’Unione europea.

Per quanto riguarda invece l’etichettatura, riteniamo che un prodotto biologico debba essere assolutamente garantito e che quindi in nessuna fase del processo produttivo vi debbano essere contaminazioni accidentali da OGM. La regolamentazione in vigore permette una soglia di contaminazione accidentale da OGM dello 0,9 per i prodotti biologici, che purtroppo è uguale a quella prevista per i prodotti dell’agricoltura convenzionale.

In conclusione, per evitare un crollo dei consumi dovuto ad una crisi di fiducia nei confronti di alimenti scelti ed acquistati proprio in virtù delle loro caratteristiche e della loro naturalità nel metodo di produzione, bisogna definire una soglia di contaminazione accidentale da OGM per i prodotti biologici

(L’oratrice è interrotta dal Presidente)

 
  
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  Friedrich-Wilhelm Graefe zu Baringdorf, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, la relatrice ha presentato una buona relazione e il Parlamento deve insistere affinché Consiglio e Commissione ne facciano realmente uso. In altre parole, abbiamo bisogno della procedura di codecisione, soprattutto perché tutti i nuovi contenuti di questo regolamento sono inerenti al mercato interno. Le questioni agricole sono state, ovviamente, oggetto di norme precedenti e sostanzialmente hanno potuto essere importate nel nuovo regolamento. Questo è un motivo che giustifica la doppia base giuridica; l’altro, come avete giustamente deciso, è che molti dettagli devono essere chiariti nelle disposizioni di attuazione. Il Parlamento, come il Consiglio, si riserva il diritto di essere consultato su queste disposizioni di attuazione. Come sapete, ora c’è una decisione; se avessimo la Costituzione, la questione sarebbe comunque risolta. Nei prossimi mesi dovremo trovare rimedio a questa situazione.

Per quanto riguarda gli OGM, sono felice che abbiate deciso che lo 0,9 per cento non sia una soglia di contaminazione. E’ una soglia applicabile all’etichettatura, perché non esiste il diritto alla contaminazione. Il nostro gruppo, tuttavia, teme che i mezzi tecnici di cui disponiamo per impedire la contaminazione non siano pienamente sfruttati e che, di conseguenza, la soglia dello 0,9 per cento sia troppo elevata. Vorremmo fosse abbassata, perché crediamo che per i prodotti biologici si debba escludere qualsiasi forma di contaminazione. Spero che lo capiate e che adotterete le misure necessarie.

 
  
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  Vincenzo Aita, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, io credo che il provvedimento in esame possa essere ampliamente migliorato dal Parlamento durante la votazione di domani in Aula. Infatti, un provvedimento come quello attuale, che stabilisce una soglia di contaminazione dello 0,9% per i prodotti biologici, ossia uguale a quella relativa ai prodotti convenzionali, non aiuta né i produttori biologici né tanto meno i consumatori.

Anche dalle cifre forniteci dal Commissario emerge che si tratta di un provvedimento in grado di arrecare un grave danno al settore biologico. Attribuendo infatti la stessa soglia dei prodotti convenzionali anche ai prodotti biologici, si crea confusione tra i consumatori, i quali potrebbero non orientarsi più verso i prodotti biologici, con un danno anche per il sistema produttivo agricolo, che in questi anni ha conosciuto una grossa crescita in questo settore.

Ritengo quindi che il Parlamento debba ritornare alla soglia di tollerabilità “0” per valorizzare sempre di più tali prodotti, assicurandone un consumo sempre crescente e una sempre maggiore tutela dei consumatori. Un prodotto biologico in cui sia ammessa una soglia dello 0,9% non ha nessun senso e, parimenti, i consumatori non hanno alcun interesse a comprare e spendere di più per un prodotto che non dia più le garanzie necessarie e non sia esente da contaminazioni.

 
  
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  Luca Romagnoli, a nome del gruppo ITS. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, respingo il tentativo di negare la chiara indicazione del paese d’origine nell’etichettatura dei prodotti, a vantaggio di un marchio UE che servirebbe solo ad ostacolare la rintracciabilità. La Commissione tenta, more solito, di omologare più che di armonizzare. I prodotti biologici godono di posizioni di mercato vantaggiose sul piano pubblicitario, grazie alla denominazione “BIO” e di un giro d’affari consistente rispetto ad altri prodotti, nonostante i maggiori costi al dettaglio.

Fin qui le etichette utilizzate hanno dato risultati soddisfacenti per quanto riguarda la differenziazione della domanda e dell’offerta. Ciò sarebbe compromesso se un marchio comune UE minasse la consapevolezza dei consumatori. Il regolamento deve offrire una garanzia di indipendenza agli organismi di certificazione, specie per quanto concerne i rapporti con operatori di paesi terzi.

Serve un sistema di accreditamento fondato su norme severe e trasparenti, cosa che invece la Commissione non vuole. Per concludere, l’idea di imporre un logo UE biologico a prodotti provenienti da paesi terzi, senza l’indispensabile specificazione dell’origine regionale e nazionale dei prodotti, è decisamente da rifiutare.

 
  
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  Ioannis Gklavakis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, nell’Unione europea la normativa comunitaria sui prodotti biologici è applicata da oltre quindici anni, e potremmo dire, a giudicare dai risultati, con discreto successo. Ovviamente potrebbero anche essere migliori perché, se è vero che nell’Europa a 25 l’1,4 per cento delle aziende agricole sono aziende biologiche e rappresentano il 3,6 per cento dei terreni agricoli, è anche vero che esiste un considerevole margine di sviluppo.

Come convincere i consumatori a scegliere i prodotti biologici e a spendere di più per i generi alimentari, cosicché il conseguente aumento della domanda incoraggi più agricoltori a operare in questo settore? Ovviamente attraverso un costante e rigoroso controllo della qualità, garantendo prodotti privi di organismi geneticamente modificati e, cosa ancora più importante, attraverso un’etichettatura adeguata, che rafforzi la fiducia dei consumatori. In tal senso dovremmo ricordare la questione molto importante che normalmente mina la fiducia del consumatore, e cioè le importazioni di presunti prodotti biologici da paesi terzi. Dobbiamo essere severi sui prodotti biologici importati: dovrebbero avere il diritto di portare l’etichetta “biologico” solo se ottenuti con metodi di produzione analoghi a quelli comunitari, perché sappiamo tutti che il costo di produzione dei prodotti biologici nei paesi terzi è, di regola, più contenuto. Se le norme di produzione biologica fossero eluse questi prodotti importati non sarebbero biologici – in altre parole inganneremmo i consumatori – e farebbero concorrenza agli agricoltori europei che rispettano tutte le condizioni.

 
  
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  Marc Tarabella (PSE). – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto esprimere la mia soddisfazione. Questa relazione sulla produzione biologica e l’etichettatura dei prodotti biologici è finalmente giunta al dibattito in plenaria in un momento importante, poiché il voto della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale del 27 febbraio coincideva con una manifestazione di agrobiologi che, giustamente, si lamentavano dei nuovi capitolati d’oneri per l’agricoltura biologica che erano e sono volti a consentire una soglia di contaminazione dello 0,9 per cento, come per l’agricoltura convenzionale.

Questa relazione, frutto dell’incessante lavoro dell’onorevole Aubert, cui rendo omaggio, è quindi incredibilmente importante per l’intero settore e offre al Parlamento la possibilità unica di prendere le distanze da Consiglio e Commissione. E’ veramente essenziale, soprattutto ora, lanciare un forte segnale per proteggere l’agricoltura biologica.

A tal fine, a nome del gruppo socialista al Parlamento europeo, ho presentato l’emendamento n. 170 formulato come segue: “Occorre che gli Stati membri si dotino di un quadro legislativo adeguato, fondato sul principio di precauzione e sul principio “chi inquina paga”, al fine di evitare ogni rischio di contaminazione dei prodotti biologici da parte di OGM. E’ responsabilità degli operatori prendere tutte le misure di precauzione necessarie onde evitare ogni rischio di contaminazione accidentale o tecnicamente inevitabile da parte di OGM. La presenza di OGM nei prodotti biologici è limitata esclusivamente a quantità accidentali e tecnicamente inevitabili con un valore massimo dello 0,1%”.

In breve, così com’è fondamentale non snaturare l’essenza stessa della produzione biologica permettendo livelli eccessivamente elevati di contaminazione accidentale, è altrettanto importante mantenere una percentuale minima accettabile e accettata dal settore, in maniera tale da non penalizzare gli agricoltori biologici contaminati accidentalmente che, con l’applicazione di una politica a tolleranza zero, si vedrebbero svalutare completamente la produzione.

Inoltre, sosteniamo l’uso di fertilizzanti minerali azotati naturali e di qualsiasi altro fertilizzante minerale naturale e pertanto proponiamo, con gli emendamenti nn. 168 e 169, di eliminare il passaggio all’articolo 8, paragrafo 1, lettera d) che vuole proibire l’uso di fertilizzanti minerali azotati.

Infine, condivido pienamente la decisione della commissione giuridica del Parlamento europeo di applicare la doppia base giuridica – articoli 37 e 95 del Trattato – perché ci sono due vantaggi nel fare riferimento anche alla giurisdizione del mercato interno. In primo luogo questa relazione, votata in seno alla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, si estenderebbe a tutto il settore della ristorazione collettiva – ristoratori, ristorazione istituzionale, mense, ristoranti – e ad alcuni prodotti come gli integratori alimentari. In secondo luogo, grazie alla giurisdizione del mercato interno, passeremmo da una procedura di consultazione a una procedura di codecisione, che ci conferirebbe il diritto essenziale di controllare la stesura di questo regolamento, che inciderà direttamente sulla qualità dell’alimentazione degli europei.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Nonostante il diffuso interesse per l’agricoltura biologica tra i consumatori, i produttori e i media, lo sviluppo del settore continua a rilento. Quali sono i motivi, e cosa si può fare per aumentare il consumo, e quindi anche la produzione, di cibi biologici?

A mio avviso, la cosa più importante è garantire condizioni stabili di sviluppo e il relativo sostegno. Ciò include un’adeguata procedura di certificazione, etichettatura e monitoraggio, compreso il monitoraggio delle importazioni da paesi terzi. In altre parole, occorre una buona legislazione.

Le limitate dimensioni del settore biologico rendono la distribuzione di prodotti biologici eccessivamente costosa, e quindi poco attraente per i grandi rivenditori. Sarebbe quindi bene concedere sovvenzioni esterne a questa parte della catena di produzione degli alimenti biologici, e se gli agricoltori che operano in questo settore si riunissero in un’organizzazione.

Una maggiore promozione dell’agricoltura biologica nell’ambito dell’istruzione ne accrescerebbe l’importanza e contribuirebbe al lancio del settore.

 
  
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  Bernadette Bourzai (PSE). – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Aubert per l’eccellente lavoro svolto dall’inizio del mandato, prima sul piano d’azione europeo per l’agricoltura biologica e gli alimenti biologici, e poi su questa proposta di regolamento. Non era un compito facile, perché la proposta minava l’identità forte e credibile dell’agricoltura biologica.

Possiamo essere soddisfatti dei progressi ottenuti in seno alla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale su diversi punti: una definizione più rigorosa dell’utilizzo dei prodotti fitofarmaceutici, dei trattamenti veterinari e delle deroghe nazionali; un maggiore controllo in fase di certificazione, anche sui prodotti importati; un’estensione del campo di applicazione del regolamento e il consolidamento dei comitati di regolamentazione. Appoggio altresì la doppia base giuridica, che ci farà passare alla codecisione.

Tuttavia, rimango molto preoccupata per la presenza di OGM, anche se accidentale, nei prodotti biologici. In effetti, il regolamento afferma che un prodotto non può essere etichettato “prodotto di agricoltura biologica” se contiene OGM, accettando però una soglia di contaminazione accidentale dello 0,9 per cento di OGM, e ciò è inammissibile.

Questo è il motivo per cui vi chiedo di sostenere gli emendamenti nn. 170 e 171, presentati dal gruppo socialista al Parlamento europeo, che richiedono che la presenza di OGM nei prodotti biologici sia limitata esclusivamente e che il termine non venga utilizzato.

 
  
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  Gábor Harangozó (PSE). – (HU) Dobbiamo fare in modo che i consumatori sensibili ai problemi ambientali, preoccupati e desiderosi di proteggere la propria salute, possano utilizzare prodotti privi di sostanze chimiche e non contaminati da organismi geneticamente modificati. Pertanto, occorre indicare chiaramente se un prodotto è di produzione biologica. Bisogna garantire che i prodotti su cui è apposta l’etichetta biologica dell’Unione europea siano preparati al 100 per cento in conformità dei principi fondamentali della produzione biologica.

Non possiamo fare alcuna concessione in tal senso, proprio come non possiamo farla sulle informazioni al consumatore. Dobbiamo anche fare in modo che, utilizzando i servizi di pubblica informazione, le persone possano decidere se scegliere cibi biologici. La questione non riguarda solo la protezione del consumatore, ma assume grande significato anche per la strategia agraria e la tutela del mercato.

Una norma europea ben formulata e universalmente riconosciuta e la relativa certificazione, associata a un’etichettatura armonizzata a livello europeo, rafforzerà la fiducia dei consumatori, accrescerà la domanda e garantirà la sussistenza dei produttori. Tuttavia, alla luce delle diverse situazioni e tradizioni tra i vari Stati membri, dobbiamo garantire loro la possibilità di regolamentare la questione anche in maniera più rigorosa.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ho gradito il ricco dibattito che abbiamo tenuto su questo importante argomento. Inoltre, apprezzo il vostro sostegno ai principi su cui si fondano queste idee. Su alcuni dei punti più complessi, spero di essere riuscita a spiegarvi che, per certi versi, possiamo venire incontro alle vostre idee.

Vorrei fare alcuni commenti su tre temi diversi. Prima di tutto l’etichettatura. E’ importante rendersi conto che, quando si utilizza il logo dell’Unione europea, è obbligatorio indicare il luogo in cui sono state coltivate le materie prime. La stessa regola si applica ai prodotti importati, i quali, deve essere perfettamente chiaro, devono essere conformi alle norme applicate alla produzione interna.

Si è parlato di coesistenza. E’ di estrema importanza che gli Stati membri decidano a livello nazionale di legiferare sulle norme in materia di coesistenza e di responsabilità. Se in uno Stato membro sono stati introdotti prodotti geneticamente modificati, ci devono essere regole sulle distanze da tenere e sulla pulizia dei macchinari quando si spostano di campo in campo. La decisione deve essere presa nei singoli Stati membri, viste le differenze tra le produzioni dell’Europa settentrionale e meridionale. Non posso che incoraggiare gli Stati membri ad adottare questa normativa.

Per quanto riguarda la soglia a cui, a quanto sembra, tutti hanno fatto riferimento, è necessario sottolineare che la proposta della Commissione non cambia le norme attuali sulla presenza inevitabile di OGM. Essa, tuttavia, sancisce chiaramente la responsabilità dell’operatore biologico nell’evitare la presenza di OGM.

D’altra parte, la cosa importante è che l’uso degli OGM e dei loro derivati sia e sia stato rigorosamente vietato nella produzione biologica, quindi devono essere tenuti del tutto fuori dalla produzione biologica. Inoltre, rispetto ad ora, le norme sui test da effettuare su ogni singolo lotto dei prodotti biologici venduti saranno meno rigide.

In merito alla ristorazione collettiva, altro punto che avete sollevato in molti, le imprese del settore possono attualmente, e potranno anche in futuro, produrre merci su cui apporre l’etichetta “biologico” in base alla normativa nazionale. Si tratta di un aspetto di vitale importanza. Non potremmo accettare una decisione o normativa comunitaria al riguardo.

Approvo gli emendamenti nn. 20, 31, 35, 56, 71, 75, 99, 101 e 120. Inoltre, come ho precedentemente affermato, 68 emendamenti sono accettabili solo in parte o in linea di principio. Non posso accogliere gli altri emendamenti alla luce dei dibattiti che abbiamo tenuto e, nello specifico, faccio riferimento all’emendamento che propone una doppia base giuridica. Tuttavia, il fatto che 77 emendamenti sono totalmente o parzialmente approvati indica chiaramente che, su questo tema, abbiamo più punti in comune di quanto non sembri a prima vista.

Vi ringrazio per l’appassionato dibattito.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. WALLIS
Vicepresidente

 
  
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  Presidente. – Grazie, Commissario. Con questo si conclude la discussione.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM) , per iscritto. – (EN) Alcune cose sono o tutte nere o tutte bianche. Il biologico e la modificazione genetica si trovano all’esatto opposto.

Un cibo non può essere chiamato biologico se è geneticamente modificato.

Pretendere di chiamare biologica una sostanza contaminante geneticamente modificata è talmente ridicolo che bisogna chiedersi perché questa direttiva lo permetta.

Forse è perché la Commissione sa che la coesistenza non funzionerà? Se continueremo con la politica di coesistenza della Commissione, le aziende biologiche saranno inevitabilmente contaminate. Forse è perché la Commissione si rende conto che se l’agricoltura geneticamente modificata andrà avanti distruggerà quella biologica, a meno che non si ridefinisca il concetto di “biologico”? Questa sarebbe una grave ingiustizia e un inganno nei confronti degli agricoltori, dei venditori e dei consumatori del settore biologico.

Chiedo pertanto ai colleghi di votare a favore degli emendamenti nn. 166, 167, 170, 171, 175 e 194, opponendosi all’inclusione di un’eventuale soglia di contaminazione genetica; ciò significa votare contro l’emendamento n. 41 della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e tutti gli altri che tendono nella stessa direzione.

 

17. Futuro delle risorse proprie dell’UE (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0066/2007), presentata dall’onorevole Alain Lamassoure a nome della commissione per i bilanci, sul futuro delle risorse proprie dell’Unione europea [2006/2205(INI)].

Sfortunatamente, mi è stato riferito che il relatore non può essere qui con noi stasera per ragioni familiari; sarà sostituito dall’onorevole Böge.

 
  
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  Reimer Böge (PPE-DE), in sostituzione del relatore. – (DE) Signor Presidente, prima di cominciare, vorrei esprimere il nostro rammarico a nome della commissione per i bilanci – e la prego di non includere questo prologo nel mio tempo di parola – per il fatto che siamo così indietro rispetto all’orario previsto. Di conseguenza, l’onorevole Lamassoure non può più essere presente in Aula, per le ragioni dichiarate. Vi chiedo quindi di avere pazienza con me, perché sono stato informato soltanto adesso che dovrò leggere il suo discorso nella versione originale, cioè in francese. Ogni cabina dispone di una copia. Cinque minuti saranno quindi un tempo piuttosto scarso, perché purtroppo il francese è solo la mia terza lingua straniera.

(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione sul futuro delle risorse proprie è molto importante. La commissione per i bilanci ha adottato un approccio politico originale. La relazione sottoposta all’esame del Parlamento è una prima relazione d’avanzamento.

In primo luogo, l’argomento è di grande rilevanza: dietro alla crisi politica, l’Unione sta attraversando una crisi di bilancio altrettanto grave. L’accordo sulle prospettive finanziarie si è potuto ottenere solo al prezzo della stagnazione del bilancio comunitario, che garantisce il finanziamento della PAC e degli aiuti ai nuovi Stati membri, ma non consente, per esempio, il finanziamento delle reti di trasporto né di Galileo e non permette quasi niente per la politica estera e di sicurezza comune.

Abbiamo appena festeggiato il cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma. Ci siamo rallegrati dei successi dell’Unione, un’Unione sempre più unita, lanciata dal Trattato. Dobbiamo però avere il coraggio di riconoscere che in materia di bilancio, in questi cinquant’anni l’Unione è diventata sempre meno “unita”: la solidarietà in termini di bilancio non è aumentata, anzi nel complesso è diminuita. Dieci anni fa il bilancio europeo rappresentava l’1,17 per cento del PIL, mentre oggi il bilancio 2007 raggiunge appena lo 0,99 per cento.

I primi Trattati hanno stabilito il principio del finanziamento delle spese comunitarie mediante risorse comunitarie, vale a dire mediante risorse fiscali assegnate direttamente all’Unione: risorse nazionali, come i dazi doganali, o una vera e propria tassa europea, per esempio il prelievo sui fatturati delle imprese carbosiderurgiche nel quadro della CECA.

Certi colleghi molto preoccupati riguardo alla sovranità nazionale sembrano aver completamente dimenticato che i Trattati ai quali hanno aderito, talvolta dopo un referendum, comprendevano proprio una tassa europea. Tuttavia, questa tassa non esiste più, non è stata rinnovata, e oggi i dazi doganali non apportano più del 10 per cento delle risorse dell’Unione. Ormai, la maggior parte di queste risorse proviene dai contributi a carico dei bilanci nazionali, ed è questa la ragione della crisi delle finanze comunitarie. L’unico modo per porvi rimedio è ritornare alla lettera e allo spirito del Trattato di Roma, alleggerendo i bilanci nazionali e finanziando le spese comunitarie mediante nuove risorse fiscali direttamente assegnate alla copertura di tali spese.

Consapevoli del problema, i leader europei si sono dati appuntamento nel 2008-2009 per riaprire l’intero fascicolo del bilancio europeo ed esaminare sia le entrate che le spese. Questo impegno figura espressamente nell’accordo sulle prospettive finanziarie.

A questo punto si inserisce l’originale approccio politico. Visto il carattere estremamente delicato dell’argomento, la commissione per i bilanci ha proposto di coinvolgere le commissioni delle finanze dei parlamenti nazionali, sin dall’inizio dei nostri lavori. In due anni abbiamo tenuto quattro riunioni congiunte e il relatore si è recato nelle capitali di metà degli Stati membri. L’obiettivo non è di pervenire a un accordo tra tutti i parlamenti: ciò non sarebbe possibile né giuridicamente né politicamente. Inoltre, non esiste alcuna procedura che consenta ai parlamenti nazionali di pronunciarsi, ma possiamo preparare la strada per la Commissione e il Consiglio, chiarire i malintesi, prendere atto dei punti di convergenza e degli orientamenti politici comuni, e concordare le iniziative da escludere e quelle da approfondire.

La presente relazione è quindi un rapporto sullo stato di avanzamento, che intende fare il punto sugli argomenti sui quali esiste un consenso abbastanza largo con gli interlocutori nominati come delegati dai parlamenti nazionali. Tale consenso assume una triplice forma: consenso sulla diagnosi delle debolezze del sistema attuale, consenso sugli orientamenti politici di una riforma e consenso sul contenuto di una prima fase, che potrebbe cominciare in tempi abbastanza rapidi e che consisterebbe, innanzi tutto, nel semplificare il sistema attuale. Così, invece di ubbidire a regole diventate col passare degli anni infinitamente complesse, i contributi a carico dei bilanci nazionali sarebbero calcolati semplicemente sulla base del PIL.

Al contrario, tuttora non c’è consenso né sull’urgenza né sul contenuto di una seconda fase. Per quanto ci riguarda, si tratta di una fase essenziale. Consisterà nel selezionare, tra le risorse fiscali esistenti, quelle che potrebbero sostituirsi progressivamente ai contributi nazionali, senza accrescere il carico fiscale per i contribuenti. Al momento, la relazione si accontenta di redigere l’elenco delle tasse che potrebbero prestarsi a questa assegnazione, senza esprimere nessuna raccomandazione. Questa sarà l’oggetto di una seconda relazione, che presenterò alla fine dell’anno, dopo un’ultima conferenza interparlamentare dedicata a questo argomento annunciata dalla Presidenza portoghese per il 4 e 5 novembre prossimi.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – La ringrazio molto, onorevole Böge. Mi sembra che gli applausi dei colleghi siano eloquenti.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, onorevoli deputati, a nome della Commissione desidero ringraziare la commissione per i bilanci e il relatore nominato, onorevole Alain Lamassoure, per il notevole lavoro svolto con questa relazione su un tema particolarmente sensibile. Mi unisco altresì all’applauso rivolto all’onorevole Böge per la sua eccellente presentazione.

Vorrei anche sottolineare che, in linea con la posizione interistituzionale del 17 maggio 2006 e nell’ambito del processo di consultazione e di riflessione che condurrà all’avvio della revisione, la Commissione s’impegna a tenere conto dell’approfondito scambio di pareri che svolgerà con il Parlamento analizzando questa situazione. Accolgo quindi con favore la discussione odierna.

 
  
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  Elisa Ferreira (PSE), relatore per parere della commissione per i problemi economici e monetari. – (PT) Il sistema attuale è ingiusto e incomprensibile per i cittadini. Questa è stata la conclusione cui è pervenuta anche la commissione per i problemi economici e monetari. Urge una revisione, e accolgo quindi con favore questa relazione d’iniziativa e l’ottimo lavoro del relatore.

L’Europa deve essere dotata di risorse adeguate per realizzare i suoi obiettivi strategici e in particolare la strategia di Lisbona e la politica di coesione sociale e territoriale. E’ ora di abbandonare la logica del juste retour, che annulla l’essenza del bilancio comune e ignora i vantaggi del mercato interno non includendoli nel bilancio.

E’ altresì evidente che il dibattito sulle entrate richiede una revisione delle priorità di spesa. E’ troppo presto per discutere le nuove fonti specifiche di reddito e le tempistiche. Comunque, occorre garantire che il nuovo sistema sia progressivo e trasparente e che non aumenti la pressione fiscale per i cittadini.

Il Parlamento ha dimostrato oggi che vuole e può svolgere un ruolo fondamentale in questo processo. Il suo ruolo deve essere costante per il bene dell’Europa e dei suoi cittadini.

 
  
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  Gerardo Galeote (PPE-DE), relatore per parere della commissione per lo sviluppo regionale. – (ES) Innanzi tutto, mi congratulo con l’onorevole Böge per il suo eccellente francese, che gli invidio molto, nonché, ovviamente, con il relatore, onorevole Lamassoure, per il suo impegno a portare avanti un dibattito d’importanza cruciale. Vedremo se le altre Istituzioni comunitarie avranno, a loro volta, il coraggio di affrontarlo.

Credo che quasi tutti condividiamo gli obiettivi fondamentali della relazione: un sistema europeo comprensibile per i cittadini e che, ovviamente, non aumenti la pressione fiscale. Vorrei invece concentrarmi su un’esigenza prioritaria per la commissione per lo sviluppo regionale, cioè quella di mantenere la solidarietà come pilastro essenziale dell’integrazione europea, soprattutto dopo gli ultimi allargamenti.

La coesione economica, sociale e territoriale esige un sistema di finanziamento giusto ed equilibrato che tenga conto, da un lato, della prosperità relativa e, dall’altro, della capacità contributiva degli Stati membri. Da ciò consegue la necessità di eliminare gli elementi regressivi del sistema attuale, abolire i rimborsi che i paesi più prosperi ricevono dal bilancio comunitario e, come propone la relazione, di fondare in futuro le risorse proprie sui criteri di equità e di progressività.

I vantaggi apportati dalle politiche europee, signora Presidente, non si possono misurare in termini di calcolo di saldi netti che non tengono conto, per esempio, delle bilance commerciali intercomunitarie. In definitiva, a mio parere, l’elemento centrale del futuro finanziamento europeo deve essere il contributo in funzione del prodotto nazionale lordo degli Stati membri.

 
  
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  Carlos Carnero González (PSE), relatore per parere della commissione per gli affari costituzionali. – (ES) Tutti concordiamo sull’obiettivo di un’Unione europea più efficiente e più democratica, e a tal fine abbiamo bisogno di due strumenti: la Costituzione, in corso di ratifica, e le risorse materiali per realizzare i nostri obiettivi.

Le nostre risorse non sono sufficienti né trasparenti e la situazione attuale per tale motivo non è sostenibile. Sicuramente la Costituzione europea stabilisce un nuovo equilibrio nel quale il Parlamento europeo detiene maggiori poteri in quanto autorità di bilancio, ma comunque non in relazione alle risorse proprie. Benché oggi questo equilibrio possa sembrare accettabile, in futuro il Parlamento deve avere la possibilità di legiferare sulle risorse proprie, alla luce di due esigenze: in primo luogo, creare una relazione diretta tra cittadini e risorse; in secondo luogo, porre fine alle eccezioni, alle compensazioni e ai rimborsi.

Se la relazione Lamassoure va in questa direzione, come credo, in seno alla commissione per gli affari costituzionali lavoreremo per gli stessi obiettivi, in questa occasione e nel testo futuro.

 
  
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  Salvador Garriga Polledo, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) E’ un peccato che il nostro relatore, onorevole Lamassoure, non possa essere presente per la discussione su questa importante relazione d’iniziativa, ed è un vero peccato che i lavori parlamentari siano iniziati con un’ora e mezzo di ritardo, perché tutti ne paghiamo le conseguenze.

In ogni caso, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei intende appoggiare la relazione dell’onorevole Lamassoure, basandosi soprattutto su una constatazione: l’ultimo accordo sulle prospettive finanziarie ha dimostrato che il sistema è insufficiente. E’ inadeguato malgrado l’onorevole Lamassoure sottolinei al punto 10 che, se il Consiglio avesse seguito la dichiarazione di Edimburgo del 1992, applicando l’1,24 per cento del prodotto interno lordo dell’Unione europea al bilancio comunitario, avremmo avuto un aumento di 240 miliardi di euro, che sarebbero stati sufficienti per finanziare durante questi anni politiche comunitarie molto più ambiziose e molto più efficaci per ciascuno degli Stati membri.

Pertanto, la decisione di Edimburgo del 1992 conteneva le soluzioni che in seguito gli Stati membri non sono stati capaci di adottare: lo afferma lo stesso onorevole Lamassoure.

Pertanto, dobbiamo definire il massimo bilancio comunitario possibile e non soltanto stabilire nuove risorse proprie – di cui tratterà la relazione Lamassoure nella seconda fase e sulla cui necessità concordiamo pienamente – ma anche, come indica in forma molto chiara il relatore, instaurare un collegamento diretto tra le risorse proprie e le politiche da finanziare, cioè le spese, ma con un’idea fondamentale, signora Presidente: la solidarietà. Questa presuppone che i beneficiari dei Fondi strutturali o delle sovvenzioni agricole non debbano pagare per le insufficienze che gli Stati membri ci impongono.

 
  
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  Catherine Guy-Quint, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione d’iniziativa di cui discutiamo oggi riguarda un settore d’importanza cruciale per il futuro dell’Unione: quello delle sue risorse. Parlare delle risorse dell’Unione significa parlare dei suoi mezzi di sussistenza, ma soprattutto significa parlare dei suoi mezzi per intraprendere azioni e produrre politiche pubbliche. Significa parlare della continuità dell’idea europea e delle politiche innovative che solo l’Europa ci permette di realizzare.

Il gruppo socialista al Parlamento europeo vuole conseguire questi due obiettivi ambiziosi: il proseguimento del progetto europeo e l’innovazione politica ed economica. Il Parlamento ha il dovere essenziale di dimostrare agli Stati membri che l’Europa dei progetti, della condivisione e della solidarietà è possibile. Ciò significa che non possiamo insistere sui nostri vantaggi nazionali. Significa adottare una proposta parlamentare responsabile sperando che il Consiglio avanzi in direzione di un sistema trasparente, giusto ed efficace. Le risorse dell’Unione hanno, al momento, un grande bisogno di semplificazione. Questo complesso sistema è diventato incomprensibile per i cittadini e per i decisori europei. E’ un sistema ingiusto e inappropriato.

Il nostro lavoro, svolto in cooperazione con i parlamenti nazionali, ci ha convinti che l’introduzione di un nuovo bilancio per le risorse richiederà molto tempo e si dovrà fare in due tappe. Al momento i negoziati comunitari sul bilancio si riducono a uno scontro tra egoismi nazionali. Viene qui stabilito un principio erroneo: quello del “giusto ritorno”, che smonta la solidarietà europea e va contro il nostro progetto. E’ il veleno dell’Europa comunitaria. La nozione stessa di saldo netto andrebbe eliminata.

Grazie al relatore e agli emendamenti della commissione per i bilanci, il testo insiste sull’importanza dell’abolizione, una volta per tutte, di ogni forma di compensazione e di meccanismo di rimborso. E’ quindi logico abolire temporaneamente la risorsa IVA, perché quest’ultima costituisce, nella sua forma attuale, una legittimazione di tutti i casi di rimborso. Confermiamo anche le opzioni della relazione Böge sulle prospettive finanziarie. E’ essenziale legare questa riforma delle entrate alla riforma delle spese. In questo quadro, potrebbe essere preso in considerazione il cofinanziamento della PAC, ma senza rinazionalizzazione.

Dobbiamo denunciare in un primo tempo il sistema iniquo, per riuscire poi a dotare l’Europa di risorse costruite su basi sane e giuste. Soltanto in un secondo tempo l’onorevole Lamassoure propone di creare una tassa che potrebbe assumere varie forme pur preservando la sovranità fiscale degli Stati membri. Sosteniamo l’idea di una tassa unificata, per esempio la tassa sui profitti delle imprese o l’ecotassa, come proponeva già nel 1991 Jacques Delors, o una tassa sulle transazioni finanziarie, una tassa sulle transazioni in valuta.

In questa relazione non limitiamo il campo delle possibilità. Stiamo preparando la seconda fase dei lavori. Prendiamo quindi atto di un sistema assurdo per potervi porre fine. Eccetto i dazi doganali e certi prelievi agricoli, le altre entrate non sono risorse proprie.

In conclusione, dotare l’Unione di vere risorse significa accrescere l’autonomia dell’Europa in materia di risorse perché non sia più soggetta al potere di blocco di uno Stato membro. Significa anche ritrovare la coerenza del bilancio. Chi decide delle spese deve essere responsabile delle entrate dinanzi all’opinione pubblica. Infine, significa uscire della logica del profitto contabile che, da anni, mina tutti i nostri progetti europei e distrugge l’idea stessa di solidarietà, che costituisce il fondamento dell’Europa, di cui festeggiamo il cinquantesimo anniversario.

 
  
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  Jan Mulder, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signora Presidente, i miei complimenti all’onorevole Lamassoure, anche se assente, e all’onorevole Böge, che l’ha sostituito, per la loro presentazione. Tutti sappiamo cosa è accaduto durante il recente Vertice del 2005 e conosciamo gli eventi che l’hanno preceduto. Le liti, a mio parere, non danno un’immagine dignitosa dell’Europa. Dobbiamo trovare un altro modo per risolvere il problema delle risorse proprie, e certamente la relazione Lamassoure ha dato a tal fine il giusto tono.

La vasta maggioranza del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa condivide le conclusioni fondamentali della relazione Lamassoure. Noi consideriamo il reddito nazionale lordo probabilmente il miglior modo di misurare la ricchezza nazionale e di calcolare i relativi contributi. Questo, tuttavia, non dovrebbe impedirci di esaminare altri mezzi in un secondo tempo e, come molti hanno detto prima di me, non dovrebbe condurre a un aumento della tassazione; dovremo invece usare le tasse esistenti per fornire all’Europa una parte delle entrate.

Non condividiamo il parere secondo cui è uno svantaggio non aver utilizzato l’1,24 per cento stabilito a Edimburgo nel 1992. Sinora la Commissione ha già dovuto superare abbastanza difficoltà per dare attuazione al bilancio esistente. Ogni anno vengono restituiti agli Stati membri così tanti miliardi che è difficile giustificare la logica secondo cui dovremmo iscrivere a bilancio e spendere cifre ancora più consistenti.

I bilanci devono essere calcolati sulla base delle reali necessità, e finora non abbiamo raggiunto questo tetto dell’1,24 per cento. Guarda caso, la signora Commissario responsabile per l’agricoltura è qui presente questa sera e posso informarla che il gruppo ALDE ritiene che il cofinanziamento obbligatorio di certe aree della spesa agricola sia enormemente vantaggioso per l’Europa e che dovremmo assolutamente promuoverlo in futuro. Chissà, potrebbe anche raccogliere un’idea per il suo controllo sanitario dell’anno prossimo.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signora Presidente, signora Commissario, desidero aggiungere alcuni punti al dibattito sul futuro delle risorse proprie dell’Unione europea.

In primo luogo, il sistema attuale delle risorse proprie dell’Unione non è trasparente e, soprattutto, è ingiusto. E’ stato ulteriormente complicato dai “regali di Natale” distribuiti dal Consiglio europeo di Bruxelles nel dicembre 2005.

In secondo luogo, il sistema dimostra che i singoli Stati membri non sono disposti a finanziare politiche dalle quali ricavano scarsi vantaggi. L’esempio più efficace di questo è la “compensazione britannica”.

In terzo luogo, la soluzione proposta per creare un nuovo sistema di risorse proprie e in particolare la proposta di una nuova tassa europea sono inaccettabili per almeno due motivi: primo, aumenterebbero il carico fiscale per i cittadini; secondo, priverebbero in parte gli Stati membri della loro autorità in materia fiscale.

In quarto luogo, le affermazioni contenute nella relazione, secondo cui la spesa destinata alla politica agricola comune è inefficace, sono allarmanti. Il problema della sicurezza alimentare nell’Unione europea costituisce una delle pietre angolari della sua esistenza, e anche solo per questi motivi la spesa per l’agricoltura non dovrebbe essere messa in discussione. E’ altrettanto inaccettabile la proposta di rinazionalizzare la politica agricola comune.

 
  
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  Gérard Onesta, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signora Presidente, poco fa, quando si discuteva della dichiarazione di Berlino, i deputati erano presenti in gran numero qui in Aula. Ma è questa sera, in un’Aula di gran lunga più vuota, che forse daremo consistenza a quella dichiarazione, perché, se pensiamo di poter costruire l’Europa senza dotarci delle risorse necessarie, non andremo lontano. Sinora le risorse di bilancio dipendevano da strutture che funzionavano con sei paesi ma che, con 27 Stati membri, risultano del tutto inadeguate. Il grande merito della relazione dell’onorevole Lamassoure è di denunciare questo fatto in modo molto chiaro. Il finanziamento, quando è nazionalizzato a tal punto che ogni volta che si mette un euro lo si avvolge in una bandiera nazionale e si cerca di recuperare più di quanto si dà, non funziona. Detto questo, il gruppo Verde/Alleanza libera europea apprezza particolarmente nella relazione questo aspetto di denuncia.

Ci sono invece aspetti che ci piacciono molto meno. Non comprendiamo perché ci autolimitiamo visto che si tratta di una relazione d’iniziativa. E’ vero che avremmo apprezzato l’uso dell’espressione “tassa europea”. Sono sicuro che siamo la maggioranza, in questo Emiciclo, a ritenere che dobbiamo avere il coraggio di pronunciare quella parola e rinunciare alla dissimulazione: un pizzico di IVA qui, un piccolo contributo là. Avremmo dovuto osare includere tale espressione nella relazione. Inoltre, perché parlare di periodo di transizione quando si sa molto bene a cosa dovremmo puntare? A volere ad ogni costo coccolare gli uni, rassicurare gli altri, si svuota la relazione di ogni forza, mentre le basi di partenza erano eccellenti.

Vorrei sottolineare un ultimo punto, molto importante per il nostro gruppo: perché autolimitarsi prima di cominciare fissando il massimale dell’1,24 per cento? Che senso ha questa vacca sacra davanti alla quale il Parlamento, che l’ha sempre denunciata, dovrebbe prosternarsi? Sappiamo – e ne discuteremo l’anno prossimo, nel 2008 – che tale limite impedisce di sostenere le politiche europee con vere risorse. Confrontiamoci con i nostri vicini: negli Stati Uniti mettono in comune il 20 per cento del loro PNL.

Quindi è evidente che la relazione Lamassoure ha dovuto, purtroppo, prendere impegni qua e là, al punto che ha finito con il limitarsi da sé. La nostra domanda è: come incoraggiare l’onorevole Lamassoure a proseguire senza rischiare un fallimento? La migliore risposta che abbiamo dato è l’astensione.

 
  
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  Esko Seppänen, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FI) Signora Presidente, il relatore, onorevole Lamassoure, ha fatto una valutazione corretta: gli Stati membri non dovrebbero rinunciare in questo momento alla loro sovranità in materia fiscale. L’attuale sistema delle risorse proprie ha molti difetti. Non c’è giustificazione per il rimborso al Regno Unito, né per i privilegi analogamente ottenuti da altri Stati membri al Vertice del 2005. Si richiama giustamente l’attenzione sul cosiddetto “effetto Rotterdam”, il premio di sovracompensazione del 25 per cento per la raccolta delle entrate doganali. Il sistema non può essere riformato senza al tempo stesso tenere conto della ripartizione della spesa dell’Unione e in particolare dei rimborsi agli Stati membri sotto forma di sovvenzioni all’agricoltura. Nella relazione si cerca di far passare inosservato il cofinanziamento dell’agricoltura e sicuramente ce lo troveremo di fronte in occasione dell’esame intermedio delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013. Allora occorrerà prestare attenzione a questi problemi, che non dovrebbero essere risolti dando all’Unione europea il potere di imporre tasse né stabilendo per legge una tassa europea comune.

 
  
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  Hélène Goudin, a nome del gruppo IND/DEM. – (SV) Signora Presidente, la questione dell’introduzione di una tassa europea è stata sollevata perché chiaramente c’è chi ritiene che l’Unione europea disponga di risorse di gran lunga insufficienti. Si vuole risolvere tale situazione permettendo all’Unione di prelevare una tassa direttamente dalle tasche dei cittadini. Il punto 6 della relazione critica il requisito dell’unanimità tra tutti gli Stati membri per quanto riguarda tali questioni. In pratica si vorrebbe rendere possibile calpestare la volontà dei paesi riluttanti. E’ una posizione deplorevole, specialmente da un punto di vista democratico.

La Lista di giugno si oppone con forza all’appropriazione da parte dell’Unione europea di una quota delle tasse nazionali. La relazione è stata scritta allo scopo di compiere un ulteriore passo verso la creazione di uno Stato comunitario con diritto di tassazione, con un ministro degli Esteri comune, forze armate comuni e una moneta comune. E’ un pensiero terribile. Abbiamo presentato un emendamento nel quale sottolineiamo il diritto inviolabile degli Stati membri all’autodeterminazione nel settore della fiscalità. Riteniamo che sia necessaria l’unanimità di tutti gli Stati membri prima di introdurre qualsiasi forma di tassazione comunitaria, e tale posizione si pone in linea con i pareri dell’opinione pubblica in numerosi Stati membri.

Noi deputati al Parlamento europeo dovremmo seguire la volontà del nostro elettorato – vale a dire riflettere i pareri dei cittadini – e agire nel rispetto di tale volontà. Spero quindi, onorevoli colleghi, che nella votazione di domani respingeremo chiaramente e inequivocabilmente questa biasimevole relazione.

 
  
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  Petre Popeangă, în numele grupului ITS. – Raportul Lamassoure, excelent prezentat de domnul Böge, este o continuare logică a demersurilor anterioare în acest deosebit de seducător domeniu al reformării sistemului resurselor financiare proprii Uniunii Europene.

Demersul este, cel puţin în plan teoretic, deosebit de interesant, motivat de faptul că, pornind de la realitatea insuficienţelor actualului sistem de finanţare a bugetului Uniunii Europene, prezintă o foarte curajoasă propunere de reformare a acestuia. Am limitat aprecierea la planul teoriei, deoarece consider că în stadiul actual de dezvoltare economică diferită a statelor membre, adoptarea unui sistem de finanţare bazat în întregime pe surse de natură fiscală, nu mi se pare total realistă.

Fără a nega necesitatea reformei, mult mai pragmatică mi s-ar părea o abordare progresivă a acestei acţiuni, bazată pe menţinerea resursei tradiţionale, descrescătoare în timp, dublată de resurse de natură fiscală în pondere crescătoare. Menţionez, de asemenea, că propunerea privind extinderea principiului adiţionalităţii asupra unor politici a căror implementare antrenează resurse consistente de la bugetul comunitar, este puternic defavorabilă statelor membre mai puţin dezvoltate, precum România, deoarece antrenează în mod automat cofinanţări de la bugetul naţional în detrimentul finanţării propriilor programe.

În sfârşit, dintre mai multe observaţii pe care le am în legătură cu modificarea sistemului resurselor proprii, propusă de autori pentru etapa a doua a reformei, o să mă opresc doar la două: cea privind posibila alegere a TVA ca sursă proprie a bugetului Uniunii, acţiune pe care o apreciez ca fiind complicată, chiar în condiţiile înscrierii în documente a cotei-părţi destinate bugetului comunitar şi, de asemenea, cea privind impozitul pe profit, datorită faptului că în această materie nu există armonizare legislativă necesară, fiecare stat membru având în prezent reglementări proprii, fapt ce face ca această resursă să fie, cel puţin deocamdată, de neluat în considerare.

 
  
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  Hans-Peter Martin (NI).(DE) Signora Presidente, vedo qui dinanzi a me un uomo, l’onorevole Böge, che io e molti altri consideriamo estremamente intelligente, come ve ne sono anche alcuni altri qui in Aula che sicuramente sanno il fatto loro. Poi guardo questa relazione e penso: cosa vi è successo? E’ incredibilmente irrealistica. Forse come dissertazione accademica potrebbe avere un suo valore, ma per quello non avremmo bisogno di questo Parlamento.

Chi mai acquista un prodotto se non è convinto che vale il suo prezzo? Sicuramente dobbiamo innanzi tutto correggere e riepilogare ciò che sta facendo l’Unione europea – e soprattutto quello che non sta facendo – e poi garantire in tempi rapidi che queste attività siano finanziate al giusto livello: l’agricoltura, il Fondo di coesione, la continuazione di tanti fondi e programmi che di fatto dovrebbero ormai procedere in modo autonomo. Certamente è da qui che dobbiamo cominciare.

Considero ragionevole la proposta – che viene anche dal suo paese, nonché, mi pare, dal suo gruppo, onorevole Böge – di verificare se in alcune aree abbiamo davvero solo pagamenti netti, perché rende possibile un controllo. Se poi non basta ancora e abbiamo bisogno di risorse proprie, allora c’è molto di cui si può discutere, ma non su false premesse come avviene attualmente.

Tra l’altro, credo che abbiamo un urgente bisogno di meno burocrazia e più democrazia, soprattutto in questo caso.

 
  
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  Richard James Ashworth (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, in linea di principio l’obiettivo di rendere il sistema delle risorse proprie più semplice, più trasparente e più comprensibile per i cittadini va accolto con favore. Mi complimento con l’onorevole Lamassoure per il lavoro che ha compiuto per stimolare il dibattito ed evidenziare la necessità di cambiamento.

Sono d’accordo con lui che l’attuale elemento basato sull’IVA sia troppo complesso e richieda una modifica. Riguardo invece alle altre tradizionali risorse proprie, non vediamo alcuna giustificazione per un cambiamento. Noi pensiamo che un sistema di finanziamento basato sul reddito nazionale lordo sia logico ed equo, e siamo lieti di appoggiare tale sistema. Non accettiamo, tuttavia, che questa risorsa diventi una vera risorsa propria. Al contrario. Consideriamo meritevole un sano dibattito tra gli Stati membri nel loro ruolo di contributori e la Commissione nel suo ruolo dipendente. Così infatti si invia un messaggio molto chiaro ai cittadini: l’Unione europea non è un’istituzione autosufficiente, ma ha il compito di aiutare gli Stati membri a realizzare i loro reciproci obiettivi.

Accogliamo altresì con favore l’opportunità di sottoporre a revisione la politica agricola comune. Inevitabilmente, si tratta di un esercizio complesso perché una PAC riformata deve essere in grado di aiutare i nuovi Stati membri a sviluppare la loro base agricola, permettendo nel contempo ai 15 vecchi Stati membri di trasferire finanziamenti a quegli elementi ambientali che godono del sostegno popolare e riducendo il costo complessivo per la Comunità.

Concordo quindi sul principio del cofinanziamento obbligatorio. E’ l’approccio più logico alla riforma del versante della spesa e, come sottolinea la relazione, offre il potenziale di eliminare la necessità degli abbattimenti.

Ripeto, comunque, che sarà un negoziato complesso e certamente più adatto alla revisione del bilancio già programmata per il 2008-2009. Per queste ragioni, voterò contro la relazione.

 
  
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  Jutta Haug (PSE).(DE) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, oggi discutiamo ancora una volta il futuro delle risorse proprie. Al momento, però, si tratta solo di una discussione formale. Il Commissario responsabile non è qui, i banchi del Consiglio sono completamente vuoti e le uniche persone che vedo sono i deputati con i quali ho già dedicato molte ore in seno alla commissione per i bilanci a discutere la relazione intermedia dell’onorevole Lamassoure. Ancora una volta abbiamo ripetuto tutti gli argomenti che avevamo presentato nel 1990, nel 1994, nel 2001 e nel 2005 come i punti essenziali da esaminare per la riforma del sistema di risorse proprie. Vogliamo un sistema più semplice di quello attuale. Vogliamo più giustizia, più uguaglianza fra gli Stati membri, anche sul versante delle entrate – basta con le eccezioni, per favore –, e vogliamo maggiore trasparenza sulle entrate del bilancio: trasparenza per tutti i deputati al Parlamento, per i membri del Consiglio e soprattutto per tutti i cittadini. Non può essere così difficile per il Consiglio sostenere queste richieste. Non possiamo continuare a sproloquiare e non muovere un passo per avvicinarci ai cittadini. Tra l’altro, ovviamente, ciò non rende certo più semplice per i cittadini comprendere il bilancio dell’Unione europea. Anche questo significherebbe più democrazia.

Il Parlamento europeo, che rappresenta i popoli d’Europa, può contribuire a determinare soltanto la spesa dell’Unione europea, non le entrate. Questo conduce alla situazione piuttosto astrusa in cui il Consiglio ci nega la nostra parte di responsabilità, ma al tempo stesso scredita il Parlamento definendolo un parlamento spendereccio, dicendo che ovviamente siamo favorevoli all’aumento della spesa perché non siamo responsabili per le entrate e quindi non siamo nemmeno tenuti a giustificarla. Questo non è vero, diranno alcuni di voi, invece è così! Ne ho esperienza diretta. Nello spazio di mezz’ora entrambe le asserzioni sono uscite dalla stessa bocca dello stesso ministro delle Finanze.

Il Parlamento è sempre disposto a negoziare su questo punto. Non siamo mai stati propensi a fare tutto a modo nostro, ad ogni costo. L’onorevole Lamassoure lo ha dimostrato ancora una volta con molto garbo, con la sua proposta molto moderata per una riforma in due fasi del sistema di risorse proprie. Noi lo sosteniamo su quasi tutto, anche nel suo desiderio di non ledere la sovranità fiscale nazionale in questo momento chiedendo una tassa europea. Ha anche il mio personale appoggio, e sono lieta di ammetterlo, io che sin da quando siedo in Parlamento ho sempre ripetuto: nessuna rappresentanza senza tassazione. Come vedete, il Parlamento europeo ha già ceduto terreno, persino prima che iniziassero i negoziati con il Consiglio. Ora ci aspettiamo dal Consiglio che compia qualche passo nel periodo che precede la revisione comune prevista. Il Consiglio deve finalmente dimostrare un po’ di cooperazione.

 
  
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  Gérard Deprez (ALDE).(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, desidero esprimere il mio consenso, nel complesso, a favore dell’eccellente relazione dell’onorevole Lamassoure, rappresentato ottimamente dall’onorevole Böge.

Innanzi tutto sono d’accordo sul metodo utilizzato. Il relatore ha ben compreso che la riforma del finanziamento dell’Unione non si può realizzare contro la volontà degli Stati membri, vale a dire senza l’assenso dei parlamenti nazionali. Dobbiamo mantenerci in contatto con essi perché dobbiamo convincerli.

In secondo luogo, ed è essenziale, sono d’accordo sulla struttura della relazione, che propone una riforma globale ma articolata in due fasi. Una prima fase, più urgente, mira a ripulire il sistema attuale da tutte le patologie che ha accumulato col passare degli anni. Si mette fine a questi piccoli regali tra amici, alle compensazioni, alle restituzioni delle restituzioni, alle esenzioni, ai tetti massimi e ai mercanteggiamenti pietosi. Fare pulizia è la priorità. Per quanto riguarda la seconda fase, avremo l’opportunità di riparlarne più avanti.

Un’ultima osservazione, signora Presidente. La priorità per noi è il Trattato costituzionale. Se questo dibattito sul bilancio dovesse aumentare le difficoltà in proposito, dovremmo avere il coraggio di rinviarlo.

 
  
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  Pierre Jonckheer (Verts/ALE). – (FR) Signora Presidente, onorevole Böge, penso che l’esercizio svolto dall’onorevole Lamassoure e dalla commissione per i bilanci sia utile. Condividiamo le sue critiche e condividiamo, del resto da molto tempo, l’idea centrale della necessità di un nuovo sistema di risorse proprie.

Personalmente, vorrei esprimere la mia profonda delusione riguardo, in particolare, ai paragrafi 28 e successivi, che, a mio parere, mirano a rassicurare la popolazione, ma sulla base di un falso realismo. Tale falso realismo consiste nell’affermare che deve essere mantenuta la sovranità fiscale degli Stati membri, laddove, in realtà, questa sovranità fiscale non esiste a causa della concorrenza fiscale all’interno dell’Unione. E’ un falso realismo per quanto riguarda la neutralità fiscale, perché crea un ulteriore vincolo per il bilancio dell’Unione europea, mentre le politiche di bilancio degli Stati membri possono essere diverse e possono evolversi nel tempo. E, infine, è un falso realismo sull’ordine di grandezza del bilancio.

Su questo argomento, sono del tutto contrario all’argomentazione presentata dall’onorevole Mulder. No, non abbiamo denaro sufficiente. No, non abbiamo denaro sufficiente per Life+. No, non abbiamo denaro sufficiente per la politica estera. No, non abbiamo denaro sufficiente per la politica dell’istruzione e della ricerca. E no, non abbiamo denaro sufficiente per le reti transeuropee. Era una delle posizioni del Parlamento e non capisco perché, in una relazione d’iniziativa, facciamo retromarcia.

 
  
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  Jeffrey Titford (IND/DEM).(EN) Signora Presidente, un buon sottotitolo per questa relazione sarebbe: “la prima mossa d’attacco”. Sono sempre diffidente delle relazioni in ambito comunitario che asseriscono di rispettare i principi, in questo caso il pieno rispetto della sovranità fiscale degli Stati membri. Di solito si tratta di un preludio all’esatto opposto. Questa relazione, nonostante affermi tale principio chiave, passa subito a esprimersi in modo ambiguo indicando che gli Stati membri potrebbero tuttavia autorizzare l’Unione, per un periodo limitato e revocabile in qualsiasi momento, a beneficiare direttamente di una determinata quota di un’imposta.

In altre parole, la Commissione europea sta cercando di affermare il principio del prelievo fiscale diretto da parte dell’Unione europea a carico dei contribuenti negli Stati membri. Si tratterebbe di un precedente enormemente pericoloso, aggravato dalle rivelazioni di ieri sulle incursioni della polizia nelle sedi della Commissione, con irruzioni simultanee in vari paesi.

Già in passato sono stato rimproverato per aver usato il termine “frode” in quest’Aula. Tuttavia, è evidente che la polizia la ritiene una parola giustificata.

Questa relazione chiede inoltre l’abolizione graduale dello “sconto” a favore del Regno Unito, alla quale sono del tutto contrario, e lotterò quindi fino alla fine per evitarla. Quaranta milioni di sterline al giorno sono sufficienti. Non ci si può aspettare che il Regno Unito versi nulla di più in quel colabrodo che è il sistema finanziario dell’Unione europea.

 
  
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  Sergej Kozlík (NI).(SK) Non esistono risorse “proprie” e “non proprie” dell’Unione europea. Esistono il denaro dei contribuenti europei e sistemi più o meno sofisticati di ripartire tale denaro nel bilancio dell’Unione europea, cosa che non suscita alcun interesse nei cittadini dell’Unione europea.

Ciò che interessa i cittadini è il modo in cui vengono utilizzate tali risorse. Riguardo all’efficienza con cui ciò avviene emergono dubbi espressi non solo dai cittadini, ma anche da noi che sediamo in quest’Aula. A meno che non riusciamo prima a risolvere il problema di come usare le risorse di bilancio dell’Unione europea in modo efficiente e credibile, non esiste una forma per fornire le risorse necessarie a coprire le spese che sia sufficientemente trasparente agli occhi dei contribuenti europei.

La tradizionale formula contabile “conto debitore-importi pagati” sarà sostituita da “conto debitore-importi pagati di malavoglia”, come stiamo constatando ora. Il dibattito sul futuro delle nostre risorse “proprie” è senza dubbio apprezzabile; tuttavia, il problema è collegato strettamente alla riforma delle spese dell’Unione europea.

 
  
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  Valdis Dombrovskis (PPE-DE).(LV) Signora Presidente, onorevoli colleghi, il sistema di risorse proprie del bilancio dell’Unione europea è cambiato notevolmente da quando è stato introdotto nel 1970. Il ruolo delle risorse proprie tradizionali e delle risorse proprie basate sull’IVA all’interno delle entrate di bilancio comunitarie si è gradualmente ridotto, mentre il ruolo delle risorse proprie basate sul reddito nazionale lordo è aumentato significativamente. Questa risorsa, che potrebbe quasi essere descritta come una risorsa propria addizionale, ora costituisce circa il 75 per cento delle entrate del bilancio dell’Unione europea. Anche se il predominio delle risorse proprie RNL assicura che la responsabilità di pagamento degli Stati membri corrisponda ai loro livelli relativi di prosperità, nondimeno rende notevolmente più difficile il finanziamento del bilancio dell’Unione. Invece, per concentrarsi sulle questioni prioritarie che possono essere risolte nell’Unione europea, gli Stati membri spendono la maggior parte del tempo mercanteggiando sui loro livelli di contributo.

In larga misura, i risultati di questo mercanteggiamento determinano il livello di finanziamento del bilancio comunitario, spesso ignorando gli sforzi compiuti in precedenza dagli stessi Stati membri. Di conseguenza, il bilancio dell’Unione sta crescendo molto più lentamente rispetto ai bilanci degli Stati membri e molte importanti priorità per l’Unione europea nel suo insieme risentono di un finanziamento insufficiente. Nell’attuare una riforma del sistema di risorse proprie dell’Unione, è importante assicurare un sufficiente aumento annuale delle entrate del bilancio dell’UE. Questo aumento dovrebbe essere proporzionale alla crescita dell’economia dell’Unione e dovrebbe derivare automaticamente dalla struttura del sistema di risorse proprie, invece di essere il risultato di dispute tra gli Stati membri. Siffatta struttura, naturalmente, non mette in discussione il massimale esistente delle risorse proprie dell’1,24 per cento degli stanziamenti del reddito nazionale lordo dell’Unione europea. Questo è un importante principio che dovrebbe essere sottolineato, insieme agli altri principi di uguaglianza e solidarietà tra gli Stati membri, ed è un sistema semplice, comprensibile ai cittadini dell’Unione. Per quanto riguarda soluzioni specifiche atte ad aumentare le entrate del bilancio comunitario, una maggiore proporzione potrebbe derivare, per esempio, alle risorse proprie IVA se una parte specificata del gettito IVA fosse canalizzata nel bilancio comunitario. E’ importante che il carico di pagamenti sia distribuito equamente, cioè in proporzione al livello di prosperità degli Stati membri. Il consumo delle risorse energetiche o delle risorse naturali non è direttamente proporzionale ai livelli di prosperità, perciò le imposte sulle risorse ambientali ed energetiche non sono adatte al sistema di risorse proprie dell’Unione. Le automobili negli Stati membri più poveri non consumano meno carburante che nei paesi più ricchi. In realtà è estremamente probabile che consumino più carburante, essendo veicoli più vecchi. Di conseguenza, il carico di pagamento sugli Stati membri meno sviluppati sarebbe sproporzionatamente elevato. Vi ringrazio.

 
  
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  Neena Gill (PSE).(EN) Signora Presidente, ringrazio il relatore per la collaborazione. Egli ha effettuato una valutazione esauriente ed equa della situazione attuale e ha preparato la strada a discussioni sulle possibili soluzioni future.

Comunque, mi sembra che sia troppo presto per presentare i pareri del Parlamento. Sono solo un contributo iniziale al dibattito, perché il 2008 ci offrirà l’opportunità di sottoporre il bilancio a una revisione completa. Dobbiamo trovare un sistema che sia trasparente e comprensibile e basato sull’uguaglianza e sull’equità tra Stati membri. Dovrebbe riflettere le priorità e le ambizioni della nostra progressiva e riuscita Unione di domani.

Accolgo con grande favore l’accento essenziale posto nella relazione sul collegamento tra spesa e entrate e sulla necessità di affrontare entrambe le questioni simultaneamente se vogliamo compiere reali progressi nella revisione del bilancio comunitario. E’ altresì importante riconoscere che la questione delle risorse proprie non riguarda solo lo sconto a favore del Regno Unito. E’ una visione troppo semplicistica ed erronea, che non contribuisce a portare avanti le discussioni in una direzione significativa e costruttiva.

Infine, accolgo con favore il fatto che il relatore riconosca che l’idea di una nuova tassa europea non sarebbe né pratica né popolare. Questo dimostra che il Parlamento ha tenuto conto dei pareri dei parlamentari nazionali espressi nel corso delle nostre ampie consultazioni.

 
  
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  Kyösti Virrankoski (ALDE).(FI) Signora Presidente, il relatore, onorevole Lamassoure, ha elaborato una relazione davvero encomiabile sulle risorse proprie dell’Unione europea, per la quale lo ringrazio sinceramente. La relazione chiede un sistema di risorse proprie chiaro, trasparente ed equo. Vi sono buone ragioni per questa richiesta. Il sistema attuale è complesso e difficile da comprendere. Esisterebbe un chiaro massimale fissato per le risorse proprie: l’1,24 per cento del reddito nazionale lordo. Questa è la garanzia più efficace che le risorse non sfuggiranno al controllo; in tal modo, nessuna fonte di reddito destinata all’Unione potrebbe superare il massimale, che gli accordi di bilancio in generale riducono ulteriormente.

Il più grande errore nel sistema attuale è lo sconto britannico. Lo Stato membro che rappresento, per esempio, più povero di risorse naturali e con un minor reddito nazionale, deve pagare 130 milioni di euro l’anno per coprire questo rimborso. Tale somma equivale ai costi di gestione di un’università di medie dimensioni. A mio parere, ogni Stato membro dovrebbe assumersi la sua responsabilità, perché i benefici dell’Unione europea non possono essere misurati solo in termini di entrate ottenute dal bilancio, ma in termini dei molteplici effetti complessivi del mercato unico e della Comunità politica.

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, penso che il sistema attuale di finanziamento dell’Unione europea abbia fatto il suo corso. Sono profondamente convinto che, se dovessimo mantenere il sistema attuale, sarà molto difficile definire un altro quadro finanziario che entri in vigore dopo il 2013, e i cittadini si sentiranno sempre più lontani dalle Istituzioni europee. Il sistema, infatti, è basato su regole – alcune delle quali sono il risultato di circostanze politiche molto particolari e come tali erano in origine provvisorie, ma sono diventate definitive – che sono così prive di trasparenza da risultare di difficile comprensione per il cittadino medio. Se manteniamo il sistema attuale, penso che ci avvieremo verso la distruzione dei valori essenziali che hanno caratterizzato il successo dell’Unione europea in questi ultimi decenni.

In un esercizio quasi umiliante, caso per caso, discutiamo chi è e chi non è un contributore netto. Perciò accolgo con vivo favore la relazione Lamassoure, che lucidamente, con prudenza e lungimiranza indica principi, raccomandazioni e metodologie che considero adeguati. Vorrei, comunque, richiamare un’attenzione particolare sul fatto che questa riforma non è materia esclusiva del settore finanziario. La riforma in oggetto è di vasta portata ed essenzialmente politica, e il relativo dibattito non può quindi essere limitato esclusivamente al Parlamento e al Consiglio, e meno ancora all’ECOFIN.

Una delle condizioni essenziali per il successo di questa riforma riguarda la partecipazione di tutte le Istituzioni – non solo europee, ma anche nazionali – all’intero processo. Vorrei quindi esprimere un’ultima parola di encomio per la metodologia proposta, che privilegia e incoraggia la partecipazione dei parlamenti nazionali.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  
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  Göran Färm (PSE).(SV) Signor Presidente, il finanziamento del bilancio dell’Unione europea è attualmente caotico. Soltanto pochi esperti capiscono come funziona il sistema. Una cosa però la capiamo anche noi, ed è che è imprevidente e ingiusto. Vi sono quindi forti ragioni per riformarlo in direzione dell’equità, della trasparenza e della lungimiranza.

L’onorevole Lamassoure ha prodotto un’importante relazione sulla quale noi socialdemocratici svedesi siamo sostanzialmente d’accordo. In particolare, proprio come l’onorevole Lamassoure, desideriamo trovare una forma semplice, lineare e più equa di finanziamento, come un sistema basato sul reddito nazionale lordo senza sconti. Non desideriamo, tuttavia, conferire all’Unione il diritto di tassazione né compromettere la sovranità degli Stati membri sulle questioni fiscali. Per me, ciò che caratterizza specificamente l’Unione europea è la sua capacità di combinare la fondamentale sovranità nazionale con la possibilità in certe aree di unire le forze per risolvere problemi sociali transnazionali.

Creare una vera tassa europea significherebbe anticipare gli eventi. Se mai dovremo percorrere tale via, la convinzione riguardo al vantaggio del provvedimento deve venire dal basso, cioè dai cittadini e dagli Stati membri. Attualmente non siamo in quella condizione. Sono lieto che nel gruppo socialista al Parlamento europeo abbiamo compiuto notevoli progressi verso una visione più comune e molto vicina all’approccio dell’onorevole Lamassoure. Esiste quindi in Parlamento un ampio consenso, e ciò potrebbe essere molto importante per il futuro.

 
  
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  László Surján (PPE-DE). (HU) I democratico-cristiani ungheresi sostengono questa relazione. Consentitemi di rispondere a quanto è stato detto nel dibattito. La relazione all’esame non assume una decisione riguardo alle dimensioni del bilancio, né desidera introdurre una tassa europea, ma semplicemente ne esamina la possibilità e le potenziali conseguenze.

Non stiamo affatto discutendo la questione troppo presto, ma troppo tardi! L’attuazione della riforma richiede molto tempo perché rompere il delicato equilibrio di eccezioni disturba gli interessi di tutti coloro che mediante contrattazioni estemporanee sono riusciti ad affermare le proprie specifiche necessità. Dobbiamo superare tutto questo.

L’eccellente proposta dell’onorevole Lamassoure cerca di fare ordine e di stabilire una distribuzione più equa degli oneri, al posto del caos attuale. Adottandola, dimostreremo che vogliamo un’Unione europea più forte, più efficace e più trasparente per i cittadini.

 
  
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  Herbert Bösch (PSE).(DE) Signor Presidente, prima qualcuno ha menzionato il collegamento tra la nuova Costituzione e il presente dibattito. Chi paga i suonatori sceglie la musica, così dice il proverbio. In passato abbiamo potuto constatare che un’Unione che riceve ancora tra l’85 e il 90 per cento del suo finanziamento soltanto da contributi nazionali è in una situazione di imbarazzo. Lo sappiamo e per questo motivo abbiamo bisogno di più risorse proprie europee. Chiunque dica che potremmo continuare come stiamo facendo con questo sistema, migliorando le cose, aumentando l’integrazione, avviando più politiche, inganna l’elettorato. Per questa ragione credo che in futuro dovremo redigere relazioni più risolute.

Ritengo che l’onorevole Lamassoure abbia fatto un buon lavoro. Chi, tuttavia, avrà il coraggio di dire cose che potrebbero non essere gradite a tutti i giornali? Abbiamo bisogno di più risorse proprie: ciò significa anche che dobbiamo avere il coraggio di imporre tasse europee. Le idee possono divergere su questo punto; si possono sostenere vari punti di vista. La Commissione ha già presentato alcune proposte ragionevoli. Il mio appoggio per questa relazione è però privo di entusiasmo, perché abbiamo bisogno di più risorse proprie europee affinché il lavoro dell’integrazione europea abbia davvero un futuro.

 
  
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  Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE). – Domnule Preşedinte, doamnelor şi domnilor, doresc să îl felicit şi eu pe domnul Lamassoure pentru munca sa, chiar dacă nu este prezent, şi mai ales pentru dialogul său permanent cu parlamentele naţionale. Mă bucură mult faptul că acest raport a inclus ideile lor, precum şi cele exprimate în Comisia pentru bugete, de către parlamentarii europeni din noile state membre.

În primul rând, trebuie să recunoaştem deficienţele sistemului actual de resurse bugetare, ce s-a vrut iniţial a fi unul de tranziţie. Este un sistem opac, complex, dificil de explicat cetăţenilor Uniunii, unde fiecare stat are propriul său rabat britanic şi propria sa excepţie. Poate cel mai mare inconvenient este faptul că numai 15% din resursele bugetare sunt veritabil europene. Este o situaţie inacceptabilă. O perioadă de tranziţie este necesară; eliminarea, în primă fază, a resursei calculate din TVA şi înlocuirea ei cu contribuţii naţionale este un pas înainte. Acest lucru reduce complexitatea actuală şi face mai uşoară trecerea la a doua fază, a resurselor europene veritabile.

În etapa a doua, din punctul de vedere al României, este preferabilă alegerea unui impozit simplu, care să nu crească presiunea fiscală asupra cetăţenilor europeni, sau să permită unor state membre să beneficieze de compensări injuste.

 
  
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  Szabolcs Fazakas (PSE). (HU) Come si può notare dalla relazione dell’onorevole Lamassoure nonché dalle reazioni da essa suscitate, il Parlamento europeo si trova di fronte a un’opportunità storica, poiché grazie all’accordo interistituzionale può svolgere un ruolo decisivo nel processo di riforma del bilancio non solo nel determinare le spese, ma finalmente anche nella creazione delle risorse proprie.

Le argomentazioni spesso meschine e poco dignitose sull’elaborazione del periodo finanziario 2007-2013 hanno confermato che abbiamo bisogno di fonti di reddito trasparenti e quantificabili a lungo termine, in modo da poter adottare decisioni equilibrate.

Il Parlamento europeo si è avvalso di questa opportunità in maniera esemplare. Non abbiamo contato soltanto sulle nostre forze, ma abbiamo coinvolto i parlamenti nazionali in questo compito e organizzato numerose riunioni comuni e consultazioni. In un primo tempo, sulla base dei rispettivi problemi politici nazionali, i parlamenti nazionali erano interessati principalmente a soluzioni a breve termine, ma ora riconoscono che è necessario un approccio a lungo termine e che dobbiamo cooperare per trovare una soluzione mirata al futuro e utile per l’avvenire di tutta l’Europa.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la Commissione condivide il parere del Parlamento secondo cui il sistema attuale delle risorse proprie non è ottimale. La Commissione ha indicato ripetutamente la propria volontà di esplorare varie opzioni che potrebbero migliorare e semplificare il sistema attuale di finanziamento. La Commissione prende nota del fatto che la presente relazione è una prima base sulla quale il Parlamento proseguirà in futuro l’esame di possibili opzioni, in stretta cooperazione con i parlamenti nazionali, prima di adottare la sua posizione finale.

La Commissione considererà l’esito di un’eventuale conferenza interparlamentare un contributo nel contesto del processo di consultazione.

La Commissione ricorda che, come indicato esplicitamente nella dichiarazione allegata all’accordo interistituzionale del maggio 2006 sulla disciplina di bilancio e sulla sana gestione finanziaria, – come ho accennato prima – la sua proposta sarà presentata sotto la sua responsabilità.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Richard Corbett (PSE) , per iscritto. – (EN) Mentre accolgo con favore gli sforzi profusi per una riflessione teorica preliminare sulle future fonti di reddito dell’Unione europea, e mentre apprezzo il collegamento esplicito alla necessità di riformare in parallelo il versante della spesa, nutro qualche dubbio su alcuni aspetti della relazione. C’è ancora troppa attenzione focalizzata sulla questione della compensazione britannica, senza riconoscere che essa non costituisce un’anomalia, ma la correzione di un’anomalia.

La relazione indica inoltre con forza che la risorsa basata sul reddito nazionale lordo non è realmente una “risorsa propria” dell’Unione, poiché non è una tassa sugli individui ma sugli Stati membri ed è quindi meno visibile per i cittadini. Eppure, dal punto di vista giuridico, è una risorsa spettante all’Unione. Anche se è meno visibile, d’altro lato è più equa di molte altre fonti di entrate suggerite poiché è ancorata al livello di prosperità negli Stati membri. E’ altresì una fonte di reddito più stabile di alcune altre che sono state proposte. Dovrebbe essere mantenuta!

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE) , per iscritto. – (FR) Questa relazione, che esplora tutte le possibilità per una riforma in due fasi, costituisce una sintesi preziosa delle ipotesi di lavoro sulla riforma delle risorse proprie dell’Unione. Dobbiamo esaminare con attenzione le entrate e le spese, ponendo l’accento sulle politiche economiche, sociali, di ricerca e di innovazione, senza negare le opportunità di sviluppo rese possibili in questi 50 anni dalla PAC. Spero che gli accordi, fondati sull’equità e sulla solidarietà tra gli Stati membri, aboliscano la regola dell’unanimità in materia fiscale.

Di fronte alle evidenti sproporzioni del contributo degli Stati membri al bilancio dell’Unione, è indispensabile attuare immediatamente una riforma del sistema delle risorse proprie che garantisca un contributo di ogni Stato membro almeno dell’1,24 per cento dell’RNL. E’ ora di mettere fine al sistema delle compensazioni che ha resistito nel tempo, creando vantaggi ingiustificati e regali compiacenti.

L’Europa, di cui proseguiamo l’integrazione 50 anni dopo la firma del Trattato di Roma, deve ispirarsi allo spirito dei padri fondatori, affinché il finanziamento dell’Unione ritrovi agli occhi dei cittadini un’immagine più giusta, più trasparente, e incarni lo sforzo di solidarietà a vantaggio del comune destino cui apparteniamo.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE) , per iscritto. – (FI) Prima di tutto desidero congratularmi con l’onorevole Lamassoure per la sua ottima relazione. La sua è un’eccellente presentazione dei difetti del sistema attuale.

In breve, l’attuale sistema di finanziamento è antidemocratico. Per cominciare, i cittadini europei non capiscono in quale misura e in che modo l’Unione è finanziata.

In secondo luogo, nel quadro dei negoziati sul bilancio i parlamenti nazionali non fanno nulla più che apporre un timbro. Quando i governi hanno finito di discutere il quadro finanziario, nessun parlamento nazionale lo respinge.

In terzo luogo, lo status del Parlamento europeo, un organo eletto in elezioni nazionali dirette, è quanto meno peculiare nei negoziati di bilancio. Il Parlamento europeo è l’unico parlamento al mondo che decide sulle spese ma non sulle entrate.

Come sappiamo, le risorse dell’Unione europea derivano da imposte sull’agricoltura e sulla produzione di zucchero, dai dazi doganali imposti alle frontiere esterne, dall’IVA e dai contributi degli Stati membri basati sul reddito nazionale lordo.

Si stanno esaminando con particolare attenzione i contributi. Si perde il senso di proporzione in questi sciagurati colloqui sul bilancio. Ogni Stato membro calcola quanto gli costa l’Unione e quanto ottiene. L’intero bilancio dell’Unione, comunque, equivale solo all’uno per cento circa dell’RNL dell’intera regione.

In questo modo l’Unione europea sta diventando poco più di un esercizio di contabilità. Dimentichiamo che l’Unione è un progetto per la pace. Vista così, l’Unione europea è un progetto da poco. Abbiamo bisogno di un sistema di finanziamento che sostenga lo scopo dell’Unione.

Per questa ragione dovremmo sostenere la relazione dell’onorevole Lamassoure.

 

18. Orientamenti di bilancio 2008 – Sezioni I, II, IV, V, VI, VII, VIII (A) e VIII(B)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6–0069/2007), presentata dall’onorevole Itälä a nome della commissione per i bilanci, sugli orientamenti relativi alla procedura di bilancio 2008 – Sezione II, IV, V, VI, VII, VIII e IX e sul progetto preliminare di stato di previsione del Parlamento europeo (Sezione I) per la procedura di bilancio 2008.

Sezione I – Parlamento europeo,

Sezione II – Consiglio,

Sezione IV – Corte di giustizia,

Sezione V – Corte dei conti,

Sezione VI – Comitato economico e sociale europeo,

Sezione VII – Comitato delle regioni,

Sezione VIII(A) – Mediatore europeo,

Sezione IX – Garante europeo della protezione dei dati

[2007/2013(BUD)]

 
  
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  Ville Itälä (PPE-DE), relatore. – (FI) Signor Presidente, l’idea principale su cui si fonda il bilancio per il 2008 è quella di poter garantire che il 2008 sia l’anno dei contribuenti: in pratica, ciò significa mantenere la spesa più o meno ai livelli del 2007. Il livello d’inflazione deve essere elevato ai livelli del 2007. Va sottolineato, tuttavia, che questo criterio non è applicabile agli edifici. La politica relativa agli edifici deve essere tenuta separata perché attualmente i nostri impegni riguardanti gli edifici sono tali e tanti che la spesa in questo settore è destinata ad aumentare oltre questo livello; d’altra parte, nella proposta e nella relazione le questioni sono state presentate proprio in quest’ottica. E’ altresì importante, comunque, per la reputazione del Parlamento che ci occupiamo con attenzione del denaro dei contribuenti e non attuiamo necessariamente tutti i meravigliosi progetti che sono stati proposti. I cittadini non possono avere fiducia nel Parlamento se ogni anno spendiamo soldi secondo la regola del 20 per cento, benché adesso, nel 2008, non essendo previsti nuovi allargamenti né l’introduzione di nuove lingue, abbiamo una reale possibilità di aderire ai livelli del 2007 e dimostrare ai contribuenti che ci preoccupiamo veramente degli importi che si spendono qui.

Sono necessari alcuni ulteriori progetti. Per quanto attiene alla politica dell’informazione, dobbiamo inviare un messaggio chiaro alla popolazione riguardo alle attività che si svolgono qui, e il modo migliore di realizzare tale obiettivo è attraverso i gruppi di visitatori, cosa che costituisce da molti anni una priorità. E’ sicuramente la migliore politica d’informazione. Un’altra questione è quella dei mezzi di informazione locali su piccola scala, che non dispongono delle risorse necessarie per sostenere il costo dei viaggi per recarsi al Parlamento. I media locali dovrebbero poter visitare più spesso il Parlamento e dovremmo quindi trovare una soluzione per consentire a noi deputati di invitare qui un maggior numero di rappresentanti di tali mezzi d’informazione locali, perché questi sono proprio i mezzi d’informazione che la gente legge e ascolta, e, se i loro reportage su di noi sono positivi, la reputazione del Parlamento e dell’Unione europea nel suo insieme migliorerà sicuramente.

Dobbiamo anche prestare maggiore attenzione a come formuliamo la legislazione, e ciò significa che dobbiamo dotarci di attrezzature tecniche valide e sufficienti. A tale proposito vi è una proposta, per esempio, che mira a dare la possibilità a noi deputati di collegarci ai computer tramite i nostri telefoni cellulari. Una simile possibilità esiste in quasi tutti i parlamenti nazionali, ma non al Parlamento europeo: dobbiamo sistemare queste cose entro il 2008.

I servizi di traduzione sono un argomento di cui parliamo quotidianamente, in particolare riguardo all’uguaglianza con cui sono trattati tutti i deputati indipendentemente dall’area linguistica di appartenenza, e questo è un ambito che certamente necessita di grandi cambiamenti, soprattutto strutturali. Questi servizi devono sempre, comunque, essere mantenuti funzionali.

Vorrei ribadire che possiamo mantenere il livello attuale e, riguardo agli edifici, sebbene alcuni sostengano che il 2008 sarà l’ultimo anno in cui si potranno utilizzare risorse per questi ultimi, l’elenco è davvero molto lungo. Abbiamo parlato di uffici esterni a Londra, Stoccolma e Parigi. Ci stiamo imbarcando nel progetto di costruzione KAD a Lussemburgo, dove anche un’altra Istituzione, la Corte dei conti europea, sta avviando un grande progetto di edilizia. Qui a Bruxelles siamo impegnati nei lavori di completamento dei nuovi edifici, nell’acquisto di locali qui vicino nell’edificio “a banana”, nel completamento del centro sportivo... L’elenco dei progetti potrebbe proseguire, ma questo non fa che dimostrare che non è possibile avviarli o realizzarli tutti nel 2008: bisognerebbe invece redigere una lista di priorità per gli edifici e poi procedere in base ad essa.

Io credo che il lavoro preparatorio sia stato fatto nel giusto spirito e che tutti desideriamo poter dire ai contribuenti che il 2008 è stato specificamente proclamato l’anno dei contribuenti.

 
  
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  Valdis Dombrovskis, a nome del gruppo PPE-DE. – (LV) Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di tutto, a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, desidero esprimere il mio sostegno a favore dell’approccio del relatore, secondo cui il livello di spesa del Parlamento europeo dovrebbe essere basato su bisogni giustificati e accertati per mezzo di un’accurata valutazione. Ora, tuttavia, vorrei richiamare l’attenzione sulla mia proposta mirata a ridurre il consumo di carta e di risorse energetiche al Parlamento europeo. Le Istituzioni dell’Unione europea dovrebbero dare il buon esempio adottando politiche ecologiche e riducendo il consumo di energia. In vari ambiti, purtroppo, il Parlamento europeo usa le risorse in modo inopportuno, per esempio consumando quantità eccessive di carta e d’estate usando intensivamente l’aria condizionata anche quando non è necessaria. Una riduzione del consumo di carta e un uso più razionale dell’aria condizionata produrrebbero sia vantaggi dal punto di vista ambientale sia risparmi significativi nel quadro del bilancio del Parlamento europeo. In pratica, tutti i documenti del Parlamento europeo sono accessibili in forma elettronica. La mia proposta prevede di ridurre la circolazione dei documenti in versione cartacea, stabilendo che le versioni su carta di molti documenti siano disponibili su richiesta, invece di essere distribuite automaticamente a tutti i deputati e i funzionari. Ogni giorno lavorativo i deputati e i funzionari del Parlamento ricevono una quantità enorme di documenti cartacei, la maggioranza dei quali viene in seguito gettata via poiché, se dovessero servire, sono disponibili le versioni elettroniche. Sarebbe molto più razionale permettere ai deputati e ai funzionari del Parlamento di decidere quali documenti desiderano ricevere in futuro in forma cartacea e quali leggeranno in forma elettronica. Il risparmio potenziale è considerevole, considerando che l’attuale consumo di carta del Parlamento europeo è di quasi 850 tonnellate all’anno, pari a 3,4 milioni di fogli alla settimana. Riguardo all’aria condizionata, si propone di alzare di alcuni gradi in estate la temperatura all’interno del Parlamento europeo. Sino ad ora è stata sempre tenuta inutilmente e persino sgradevolmente bassa. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Vladimír Maňka, a nome del gruppo PSE. – (SK) I padri dell’idea di un’Europa unita non sapevano cosa sarebbe accaduto dopo 50 anni, ma c’è una cosa che sapevano per certo: se vogliamo costruire l’Europa, dobbiamo costruirla insieme. Abbiamo trasposto in modo efficace queste parole di Robert Schuman nel motto e nel logo dell’Unione europea: “Insieme”.

Nel bilancio 2008 poniamo l’accento sull’importanza politica degli strumenti che vorremmo usare per informare meglio i cittadini europei. Uno dei nostri obiettivi è quello di eliminare le mancanze che minano l’immagine dell’Unione europea, specialmente in vista delle elezioni del 2009. Onorevoli colleghi, sabato molti di voi, insieme a milioni di spettatori televisivi, hanno guardato il grande concerto tenutosi a Bruxelles per commemorare il cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma. L’impressione complessiva, tuttavia, era non tanto di una commemorazione, ma piuttosto di imbarazzo. L’intero evento avrebbe avuto di gran lunga un maggiore significato simbolico se fossero stati invitati artisti di tutti gli Stati membri.

Se vogliamo risolvere con successo i problemi, dobbiamo adottare una prospettiva d’insieme. Non sarà sufficiente che noi, come Parlamento europeo, compiamo progressi nelle politiche di comunicazione e d’informazione. Dobbiamo lavorare di concerto con la Commissione e con le Case dell’Europa negli Stati membri per elaborare misure efficaci di comunicazione e poi valutare regolarmente l’efficacia delle azioni intraprese. Ponendo l’accento su un approccio globale e sulla cooperazione rafforzata tra le Istituzioni otterremo una maggiore trasparenza e un uso più efficiente delle risorse.

Onorevoli colleghi, il Parlamento ha deciso di recente di adottare un importante statuto per gli assistenti dei deputati. Vi chiederei perciò di adottare un emendamento che invita il Consiglio a prendere una decisione definitiva sulla questione. Come tutti sappiamo, questo statuto contribuirà in definitiva a migliorare la qualità del nostro lavoro.

 
  
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  Anne E. Jensen, a nome del gruppo ALDE. – (DA) Signor Presidente, ringrazio l’onorevole Itälä per il suo lavoro costruttivo in merito alla relazione sul bilancio 2008 del Parlamento. Egli propone che la spesa del prossimo anno rimanga in linea di principio al livello del 2007, e il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa può certamente sostenere questo approccio in linea di principio. Dopo l’allargamento, il 2008 è, ovviamente, un anno di consolidamento, e dovranno esserci ottimi motivi per finanziare nuove iniziative tali da incidere sul bilancio. Al tempo stesso, condividiamo l’osservazione che il 2008 sarà probabilmente l’ultimo anno in cui possiamo usare l’eccedenza fino al 20 per cento della spesa amministrativa dell’Unione europea per l’acquisto di edifici. Infine, voglio sottolineare ciò che ha detto anche l’onorevole Maňka, cioè che lo statuto dei deputati che stiamo per ottenere deve essere completato da uno statuto degli assistenti dei deputati qui in Parlamento. Su questo punto non abbiamo l’appoggio del Consiglio e, senza il suo appoggio, non possiamo risolvere le questioni. Dobbiamo fare qualcosa in proposito.

 
  
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  Esko Seppänen, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FI) Signor Presidente, la spesa del Parlamento europeo è cresciuta molto rapidamente. Tale crescita può essere spiegata con l’allargamento dell’Unione e la conseguente necessità di servizi di interpretazione e di traduzione nonché di spazio. E’ stato valutato che il 60 per cento dei costi è dovuto all’esigenza di multilinguismo e alla scelta di avere diverse sedi di lavoro.

Sinora tutta la spesa è stata finanziata con il 20 per cento dei costi amministrativi dell’Unione, il cui utilizzo era convenuto ufficiosamente con l’altra autorità di bilancio, il Consiglio. Nel contesto della spesa del Parlamento, il 2008 è una sorta di anno di transizione. Il finanziamento per i nuovi locali è già definito e non sono in programma nuovi allargamenti. Di conseguenza, è corretto il parere del relatore secondo cui il Parlamento non dovrebbe inventarsi artificiosamente nuove spese e non dovrebbe necessariamente puntare al livello del 20 per cento. Se così si facesse, c’è il pericolo che i grandi gruppi del Parlamento finanzino i propri obiettivi politici attingendo alla spesa amministrativa comune e che questo diventi un onere finanziario per il Parlamento dopo il 2008.

 
  
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  Louis Grech (PSE).(EN) Signor Presidente, sono d’accordo con il relatore che le Istituzioni dovrebbero basare le loro stime su bisogni ben definiti. Questo approccio dovrebbe migliorare l’efficienza delle risorse, evitando così la duplicazione di funzioni. A tale riguardo, ci aspettiamo che la proposta finale per un accordo interistituzionale per i due comitati, il Comitato delle regioni e il Comitato economico e sociale, sia raggiunta nel 2007, garantendo un’equa gestione dei dipartimenti comuni.

A prima vista, sembra ragionevole la richiesta che il Parlamento mantenga lo stesso livello di bilancio del 2007. Tuttavia, dovremmo assicurarci che l’indipendenza finanziaria del Parlamento non sia compromessa in alcun modo, specialmente considerando che nel 2009 entrerà in vigore lo statuto dei deputati, per un importo di oltre 100 milioni di euro.

Il parametro del 20 per cento della rubrica 5 dovrebbe essere mantenuto come limite massimo del bilancio. Questa soglia dovrebbe offrirci la necessaria stabilità e disciplina nella formulazione del bilancio 2008.

Per concludere, desidero esprimere il mio apprezzamento all’onorevole Itälä per la sua relazione.

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa relazione è essenziale non solo perché evidenzia le risorse finanziarie utilizzate per la gestione delle Istituzioni europee, ma anche perché sottolinea il ruolo del Parlamento in materia di controllo e offre un’espressione concreta del funzionamento della nostra Europa. Come si evidenzia nella relazione, dobbiamo stabilizzare le nostre finanze, e la nostra strategia di bilancio per il 2008 deve essere prudente. Per conseguire tale obiettivo, occorre privilegiare il miglioramento della prestazione dei nostri servizi e il reimpiego del personale.

Farò rapidamente tre osservazioni. In primo luogo, pur apprezzando l’elevata qualità dei servizi di traduzione, vorrei rilevare i ritardi sempre più frequenti nella distribuzione delle versioni linguistiche, cosa che ha un’incidenza negativa sul nostro lavoro preliminare.

In secondo luogo, vorrei reiterare la mia richiesta di disporre di mezzi tecnici e informatici equivalenti nei diversi luoghi di lavoro, Strasburgo e Bruxelles. In questo periodo in cui ricorre l’anniversario del Trattato di Roma, vorrei anche insistere sulla possibilità per il Parlamento di approntare un ambizioso piano di comunicazione riguardante i mezzi di informazione. Ribadisco inoltre la necessità di migliorare l’informazione rivolta ai cittadini, per esempio migliorando l’accoglienza riservata ai visitatori durante le tornate. Le visite al Parlamento costituiscono spesso per i cittadini un modo efficace di scoprire l’Europa. Auspico quindi una maggiore capacità di accoglienza dei visitatori, specialmente a Strasburgo, nella sede del Parlamento europeo.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Gyula Hegyi (PSE) , per iscritto. – (EN) La settimana scorsa la Commissione ha tenuto un’importante e interessante conferenza sulla tassazione ecologica: le ecotasse. Lo sviluppo sostenibile e un’adeguata politica in materia di clima richiedono regole politiche e amministrative – normative severe, direttive, leggi e leggi suppletive. Tuttavia, vivendo in un’economia di mercato, dobbiamo capire anche l’importanza degli strumenti finanziari. Un adeguato sistema fiscale può ridurre il consumo delle risorse naturali, l’inquinamento e i danni ambientali, e può incoraggiare l’uso di energia rinnovabile e l’efficienza energetica. Il Commissario László Kovács ha affermato che durante la seconda metà del suo mandato intende concentrarsi sulla tassazione volta a promuovere gli obiettivi dell’Unione europea in campo energetico e sulla lotta al cambiamento climatico. Il Parlamento europeo dovrebbe proporre una tassazione a livello europeo solida e consapevole delle problematiche ambientali, che possa contribuire allo sviluppo sostenibile e al risparmio energetico.

 

19. Futuro del calcio professionistico in Europa – Sicurezza in occasione delle partite di calcio (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca in discussione congiunta:

– la relazione (A6–0036/2007), presentata dall’onorevole Belet a nome della commissione per la cultura e l’istruzione, sul futuro del calcio professionistico in Europa [2006/2130(INI)], e

– la relazione (A6–0052/2007), presentata dall’onorevole Catania a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sull’iniziativa della Repubblica d’Austria in vista dell’adozione della decisione del Consiglio che modifica la decisione 2002/348/GAI concernente la sicurezza in occasione di partite di calcio internazionali [10543/2006 – C6-0240/2006 – 2006/0806(CNS)].

 
  
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  Ján Figeľ, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, cari amici del calcio e dello sport, sono molto lieto di rappresentare la Commissione stasera in questa sede per la discussione sul calcio. Penso che si tratti di un’ulteriore prova dell’impegno del Parlamento nei confronti dello sport. Il sostegno da voi fornito alle nostre iniziative a favore dello sport è ovviamente gradito e necessario.

Innanzi tutto desidero congratularmi con i due relatori, l’onorevole Belet e l’onorevole Catania, per la qualità del loro lavoro. Le due relazioni trattano l’argomento del calcio da due diverse angolazioni, ma entrambe illustrano la natura di questo sport, i suoi valori e il suo potenziale per l’educazione, la società e l’economia.

Prima di trattare in maggior dettaglio le due relazioni, vorrei dire qualche parola sul Libro bianco, che rappresenterà un documento fondamentale per il futuro dello sport europeo. Il Libro bianco sullo sport, la cui adozione è prevista per luglio di quest’anno, sarà il culmine di un lungo processo e andrebbe visto alla luce di più ampie considerazioni politiche.

I piani per la preparazione di un Libro bianco derivano dalle aspettative delle parti interessate nel settore dello sport, che desiderano che i responsabili delle politiche dell’UE affrontino le loro principali problematiche, quali l’esigenza di una migliore promozione dello sport e di una maggiore certezza giuridica. Il Libro bianco riguarda tutti gli sport e non prevede un approccio specifico per il calcio. In ultima analisi, l’obiettivo dell’iniziativa è innanzi tutto quello di integrare il tema dello sport in altre politiche proattive dell’Unione, al fine di migliorarne l’utilizzo come strumento per la politica UE. In secondo luogo, intendiamo creare le condizioni per migliorare la governance nello sport europeo. I principali argomenti del Libro bianco saranno il ruolo sociale ed economico dello sport, la sua organizzazione e le questioni di governance.

Nella preparazione del Libro bianco dedicheremo molta attenzione alle relazioni del Parlamento. La Commissione ha seguito molto da vicino il lavoro delle commissioni parlamentari e ne ha già ricavato informazioni molto utili.

Per quanto concerne la relazione dell’onorevole Belet, la Commissione accoglie con favore l’iniziativa del Parlamento sul futuro del calcio professionistico e condivide molte delle preoccupazioni espresse nella relazione. Il Libro bianco affronterà molte delle questioni sollevate dall’onorevole Belet, quali la coesione sociale, la tutela dei giovani lavoratori, il dialogo sociale e la libera circolazione dei lavoratori. Nel progetto di relazione si dà atto del fatto che è estremamente difficile istituire un quadro giuridico europeo generale che riconosca la specificità dello sport, ma la giurisprudenza dell’UE in effetti riconosce la specificità dello sport e il ruolo sociale ed educativo svolto dal calcio in Europa.

Per quanto riguarda la libera circolazione dei lavoratori, ad esempio, la Corte di giustizia ha stabilito che lo sport è soggetto al diritto comunitario esclusivamente quando costituisce un’attività economica. Questo vale sia per gli atleti professionisti che per gli amatori, e la Corte ha fatto un’eccezione alla regola generale della non discriminazione per le partite di interesse puramente sportivo, come ad esempio le partite tra squadre nazionali.

Sulla questione dei giocatori formati sul territorio nazionale, la Commissione è molto attenta alle misure proposte dalla UEFA. Potremmo condividere l’idea di promuovere l’addestramento di giovani, nonché di inviare un segnale ai club affinché investano nell’addestramento di giovani e non solo nei trasferimenti di giocatori. Tuttavia, stiamo ancora valutando la questione delle quote di giocatori formati localmente, anche dalla prospettiva della proporzionalità.

La Commissione accoglie con favore l’appello del Parlamento per un’intensificazione del dialogo sociale nel settore del calcio. Si tratta di un meccanismo efficace per affrontare questioni quali la mobilità, i contratti di lavoro e le condizioni di lavoro. Abbiamo sostenuto gli sforzi delle parti sociali intesi a promuovere un dialogo più strutturato laddove il calcio ha preso l’iniziativa a livello europeo.

La Commissione intende continuare a sostenere le organizzazioni di datori di lavoro e lavoratori nell’intero settore dello sport, portando avanti un dialogo aperto con tutte le organizzazioni sportive sull’argomento.

In conclusione, la Commissione prenderà seriamente e realisticamente in considerazione le vostre raccomandazioni, in linea con le attuali aree di competenza dell’UE. La richiesta che la Commissione metta a punto un piano d’azione per definire le questioni da affrontare merita un’attenta considerazione.

Riguardo alla relazione dell’onorevole Catania, vorrei sottolineare innanzi tutto che lo sport può essere un fattore positivo per l’educazione, la cultura e l’integrazione sociale. Ma negli ultimi anni si sono purtroppo evidenziati crescenti segnali di violenza e teppismo durante gli eventi sportivi. Due settimane fa i ministri dello Sport ne hanno discusso a Stoccarda e hanno sottolineato l’esigenza di migliorare le misure di prevenzione, in particolare incoraggiando la cooperazione tra tutti gli interessati, compresi i tifosi.

La Commissione si è concentrata sulla promozione degli scambi di esperienze e buone prassi tra gli Stati membri, al fine di migliorare la cooperazione tra forze di polizia e in campo giudiziario. Abbiamo instaurato buoni contatti operativi con l’UEFA e altre autorità sportive. In termini di ordine pubblico e controllo di polizia, penso che tutti ci siamo compiaciuti degli eccellenti risultati ottenuti durante i Campionati mondiali di calcio dell’anno scorso in Germania. Questo dimostra che una buona preparazione e un valido coordinamento con gli altri Stati membri sono molto efficaci nel prevenire il crimine, e in particolare il teppismo. Dai primi dati statistici emerge che il tasso di reati non è affatto aumentato durante quel periodo.

La decisione 2002/348/CE del Consiglio obbliga gli Stati membri a istituire punti nazionali d’informazione sul calcio. Si tratta di un passo avanti positivo nel miglioramento della cooperazione tra forze di polizia e altri organismi che combattono la violenza legata al calcio. L’iniziativa austriaca a cui fa riferimento la relazione dell’onorevole Catania mira a sostituire la rete esistente di punti d’informazione con una rete specifica di punti nazionali d’informazione sul calcio che avrebbero accesso ai dati personali dei teppisti o dei “tifosi a rischio” individuati dai vari Stati membri. La Commissione accoglie con favore il sostegno della relazione a questa iniziativa e prende debitamente nota delle preoccupazioni espresse in materia di diritti umani e tutela dei dati, a cui, come ben sapete, la Commissione attribuisce grande rilevanza.

In conclusione, è positivo che ora lo sport sia effettivamente all’ordine del giorno a livello europeo. Il 50o anniversario dei Trattati di Roma, che ricorre quest’anno, ispira molti dei nostri obiettivi, ed è stata un’ottima scelta quella di celebrarlo con una partita di calcio a Manchester due settimane fa. Non ci poteva essere un modo più efficace di segnalare che lo sport e i suoi valori sono veramente apprezzati ai massimi livelli politici.

 
  
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  Ivo Belet (PPE-DE), relatore. – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ad alcuni si rizzano i capelli in testa alla sola idea che l’Europa, l’Unione europea, debba intervenire in questioni relative allo sport. La loro reazione prevedibile sarà sempre che l’UE non ha voce in capitolo sull’argomento e quindi non dovrebbe neppure tentare di fare nulla in quel campo.

Come tutti sappiamo, e come sanno fin troppo bene gli interessati, questa posizione è sbagliata. Come ha già accennato il Commissario, lo sport, e sicuramente lo sport professionistico, non ultimo l’aspetto economico del calcio professionistico, che è ciò di cui tratta la relazione, è soggetto per molti versi alla legislazione europea. Negli ultimi anni abbiamo avuto prove sufficienti delle interferenze della Commissione e della Corte di giustizia.

Inutile dire che il calcio professionistico è un grande business. Non vi è alcun dubbio. Tuttavia, è anche molto di più. Risponde a importanti esigenze sociali ed educative, e per questo motivo noi sottolineiamo nella relazione quella specificità alla quale semplicemente non possiamo sottrarci. La specificità dello sport è contenuta nella dichiarazione del Trattato di Nizza e nel protocollo del Trattato di Amsterdam. C’è poco da discutere. E’ quindi nostro compito tenerne conto nell’applicazione delle norme e delle disposizioni UE.

Nessuno ha intenzione di chiedere misure di esenzione, né cosiddette esenzioni collettive. Quello che chiediamo sono orientamenti della Commissione – non direttive, bensì orientamenti, in particolare per rimediare all’incertezza giuridica attualmente presente. Desideriamo che sia pienamente rispettata l’autonomia dello sport professionistico. L’autoregolamentazione è il concetto centrale della relazione, che tuttavia non ci nega il diritto di orientare la tendenza in una certa direzione.

Negli ultimi mesi la reputazione del calcio professionistico è stata danneggiata in molti paesi dell’UE a causa di scandali di vario tipo, qualcosa per cui esiste un’unica risposta: una buona governance. Per questo chiediamo che gli organi amministrativi dell’UEFA, le leghe calcistiche e i club operino una scelta determinata a favore della gestione trasparente.

Un gran numero di membri di questo Parlamento desidera inoltre una maggiore solidarietà e la ridistribuzione delle risorse nel calcio. Non penso che spetti a noi ridistribuire le risorse nel calcio professionistico. E’ nell’interesse dei club professionistici, delle leghe e delle federazioni prendere misure in proposito.

Il calcio richiede la parità competitiva, che ora è più che mai incerta. E’ oltremodo evidente che il divario tra i club maggiori, sempre più ricchi, e i club più piccoli si allarga costantemente. Questa tendenza minaccia il futuro di uno sport che è così vicino al nostro cuore e, devo dire, minaccia anche il ruolo sociale e di integrazione dello sport.

Per questo motivo, come ha già accennato il Commissario, e vorrei sottolineare ancora una volta questo punto, noi ribadiamo il nostro pieno impegno nei confronti della regola della quota minima di giocatori formati localmente introdotta dall’UEFA. Non noi, ma gli stessi organi calcistici dovrebbero obbligare i club professionistici a investire nella formazione dei propri giovani, in quanto elemento essenziale della componente sociale. Per tale motivo, questa norma merita il nostro sostegno incondizionato.

La vendita dei diritti televisivi è una questione delicata, poiché riguarda la prima fonte di reddito dei club professionistici, ma anche perché naturalmente si tratta di una questione nazionale. Tutto quello che chiediamo nella relazione è che le autorità e gli organi competenti nel settore calcistico si siedano attorno a un tavolo per individuare una soluzione che garantisca più solidarietà tra i club maggiori e minori. Mi pare una richiesta ragionevole e giustificata.

Signor Commissario, signor Presidente, noi contiamo sul fatto che la Commissione, nel redigere il Libro bianco, tenga in grande considerazione il contenuto di questa relazione, che mi auguro verrà approvato domani. Noi abbiamo tenuto in massimo conto le competenze dell’UE in questo campo, poiché ha poco senso non farlo, certamente non quando si tratta di un settore complesso come il calcio professionistico, al quale sono direttamente interessati milioni di giovani.

Ci attendiamo un documento ambizioso dalla Commissione e ritengo – in effetti presumo e vi garantisco – che voi, a vostra volta, potete contare sul nostro leale sostegno.

 
  
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  Giusto Catania (GUE/NGL), relatore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero ringraziare il Commissario per aver supportato queste nostre relazioni, sottolineando altresì l’importanza di questa discussione congiunta, in quanto credo che il futuro del calcio sia legato fondamentalmente anche alla sicurezza degli stadi, ragion per cui mettere insieme il futuro del calcio professionistico con la sicurezza negli stadi rappresenti un modo concreto per ragionare sul futuro dello sport e del calcio.

Ha ragione il Commissario quando afferma che negli ultimi anni abbiamo assistito a ricorrenti e costanti manifestazioni di violenza sugli spalti, che hanno trasformato anche la natura di questo sport: troppi episodi di violenza, manifestazioni di intolleranza, atti di xenofobia e di razzismo stanno caratterizzando la metamorfosi di uno sport che è uno dei più amati e seguiti dal popolo europeo. Non si tratta purtroppo di fatti isolati bensì dell’effetto di una trasformazione generale del calcio, che è ormai diventato un grande affare, con società sportive quotate in borsa e un giro astronomico di capitali. Credo che questo elemento abbia contribuito in modo rilevante ad una lenta trasformazione degli eventi sportivi.

Il calcio oggi è molto popolare e contemporaneamente rappresenta un grande evento, tanto da avere indotto aziende di telecomunicazioni a investire nell’acquisizione dei diritti televisivi. Io sostengo la proposta avanzata dal collega Belet circa la vendita collettiva dei diritti televisivi, che mi pare un modo concreto per evitare che le grandi squadre facciano il pieno di denaro a scapito delle piccole società.

C’è un altro elemento fondamentale del calcio, rappresentato non solo dalla valenza sportiva ma soprattutto dalla presenza del pubblico. Sarebbe inimmaginabile prevedere partite di calcio senza il pubblico: in alcuni casi si è ricorso a misure estreme che, a mio avviso, hanno penalizzato l’aspetto spettacolare dello sport. Dobbiamo dunque insistere, poiché la presenza del pubblico negli stadi è fondamentale, affinché le partite di calcio siano sempre disputate alla presenza di un pubblico, il che rende necessario attuare misure adeguate per garantire che le partite si svolgano nella massima tranquillità, evitando manifestazioni di violenza e di razzismo.

I recenti drammatici eventi in occasione dell’incontro della massima serie del campionato di calcio italiano fra Catania e Palermo, che sono sfociati nella morte di un poliziotto, sono a mio avviso l’esempio più grave di quello che può avvenire all’interno degli stadi e di come spesso frange di tifoserie violente si scagliano, non solo contro le tifoserie avversarie, ma anche contro le forze dell’ordine. Abbiamo anche assistito ad eventi deplorevoli negli ultimi tempi, non solo tra i tifosi ma anche tra i calciatori: spesso le risse tra gli stessi protagonisti dello sport hanno mostrato una pessima modalità di fare pedagogia e cultura negli stadi europei. Si impone pertanto un’azione preventiva per evitare il ripetersi di simili atti di violenza negli stadi, un’azione di prevenzione che va privilegiata, in occasione delle partite di calcio, rispetto alle azioni repressive e alla militarizzazione degli stadi.

Il Consiglio ha adottato questa decisione nel 2002, istituendo un punto nazionale di informazione sul calcio che funge da punto di contatto per lo scambio di informazioni di polizia, in relazione alle partite di calcio internazionale. I risultati di questa azione sono stati molto positivi, come dimostrato anche dall’esperienza negli stadi e nelle relazioni delle forze di polizia.

Negli ultimi anni il numero di tifosi che si recano all’estero per vedere le partite è costantemente aumentato e pertanto è necessario per il Consiglio che gli organismi competenti rafforzino la loro cooperazione. Credo si tratti di un passaggio importante: le antenne incaricate di monitorare la presenza dei tifosi negli stadi ed acquisire dati sulla natura delle tifoserie organizzate sono senz’altro uno strumento utile ma debbono funzionare esclusivamente in applicazione delle legislazioni nazionali e in attuazione delle direttive europee e delle convenzioni internazionali a tutela dei dati personali.

Dobbiamo evitare che la massa di dati raccolti venga utilizzata per inchieste della magistratura oppure per altre inchieste non legate al calcio, se non addirittura come un processo di criminalizzazione di tutti i tifosi. Va dunque prestata attenzione nell’acquisizione di tali dati: penso che altrimenti le antenne nazionali rischierebbero di trasformarsi da strumento di prevenzione degli atti di violenza negli stadi a strumento di controllo sociale, che rischierebbe di agire in modo indiscriminato. Sostengo pertanto la proposta formulata dal Consiglio di modificare la decisione in esame.

Ci preme assicurare che questa decisione sia attuata nel pieno rispetto delle leggi, per evitare che gli stadi siano considerati un territorio extra legem, una sorta di zona franca. Anche negli stadi debbono valere le leggi nazionali e internazionali, per evitare per l’appunto che si ripetano atti di violenza indiscriminata e fenomeni di razzismo e xenofobia.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (Verts/ALE), relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali.(FR) Signor Presidente, in ogni caso siamo in una situazione piuttosto sorprendente. Stiamo celebrando il 50o anniversario della creazione dell’Unione europea e se spiegassimo ai nostri concittadini che l’Unione europea non si occupa più nemmeno per un secondo di sport, ne sarebbero sorpresi. E’ dunque tempo che l’Unione europea si occupi di questo tema, e che lo faccia come abbiamo fatto noi, mi pare, nel Parlamento europeo. Desidero ringraziare il relatore principale, onorevole Belet, per il modo in cui si è dedicato per sei mesi a questa relazione, un lavoro congiunto di varie commissioni e vari gruppi politici democratici di questo Parlamento.

Ci siamo quindi occupati di questo tema nell’intento, che ritengo sia condiviso dal Parlamento, di rispettare sia l’“eccezione europea” riguardo allo sport, per lo meno rispetto al modo in cui viene gestito lo sport professionistico negli Stati Uniti, sia i diversi organi e le diverse organizzazioni competenti per il calcio professionistico: federazioni, leghe professionistiche, associazioni di giocatori, gruppi di agenti e così via. A mio parere, a questo livello la relazione è utile se riusciamo a ottenere sostegno per le nostre posizioni nelle varie organizzazioni, che quindi possano fare propria questa relazione, su cui voteremo domani. Ritengo che gli scambi di opinione con queste organizzazioni, che hanno dedicato un’enorme attenzione alla questione, siano stati molto interessanti e ci abbiano consentito di arrivare a una serie di proposte.

Accogliamo quindi con favore, e penso che chiunque altro farà lo stesso, le varie raccomandazioni e proposte concernenti la formazione dei giocatori, la formazione di giovani giocatori e le iniziative dell’UEFA in proposito volte ad impedire che i giovani giocatori vengano subito venduti, e a consentire loro di giocare nei club presso i quali si sono allenati. Accogliamo con favore la raccomandazione concernente quello che si potrebbe definire il “traffico di giovani giocatori”, ovvero il fenomeno per cui centinaia di giovani giocatori africani vengono utilizzati senza fare piani per il loro futuro. Ci rallegriamo del fatto che questa relazione faccia rilevare che le leggi sull’immigrazione sono state redatte per essere rispettate, anche nel mondo dello sport professionistico, anche nel mondo del calcio. Inoltre accogliamo con favore, come ha affermato il Commissario, la ripetuta richiesta di un dialogo sociale indispensabile. Come ha rilevato l’onorevole Belet, gli interessi finanziari in gioco oggi nel calcio professionistico sono enormi – di livello esponenziale – ed esiste l’esigenza a questo proposito di un dialogo sociale e ovviamente di regolamentazione e ridistribuzione.

Tuttavia, oggi è stata espressa una critica che mi stupisce. Tutti, comprese tutte le commissioni, parlano di trasparenza finanziaria. Oggi ho sentito qualcuno dei colleghi deputati lanciare l’idea che il semplice fatto di parlarne sarebbe sufficiente. No, la proposta di creare un’organizzazione indipendente – magari sotto gli auspici dell’UEFA, ma indipendente – ci consentirebbe di muoverci nella direzione del controllo finanziario e della trasparenza finanziaria. E’ l’unica soluzione. Ribadirlo non è sufficiente. E’ come dire, sul tema del doping, che bisogna combatterlo, ma senza creare un organo nazionale, europeo o internazionale che lo faccia. Non dobbiamo essere ipocriti: abbiamo bisogno di un simile organo.

Vedo che il mio tempo di parola è terminato. Avrei ancora molte cose da dire. Naturalmente, sono favorevole alla lotta contro la discriminazione e contro il razzismo, argomenti ripresi regolarmente dal Parlamento europeo e dalla Commissione, nonché dal mondo del calcio nel suo complesso.

 
  
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  Toine Manders (ALDE), relatore per parere della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. – (NL) Signor Presidente, a nome del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa sono relatore ombra della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, ma vorrei puntualizzare che nella commissione per il mercato interno avevamo aperto questo fascicolo per impedire la disintegrazione del calcio – che all’epoca era un rischio reale – con una possibile seconda causa Bosman, ossia la causa Charleroi.

Vorrei ringraziare chi ha lavorato a questa relazione, in particolare l’onorevole Belet, per la valida collaborazione, che ha dato come risultato quella che considero una proposta equilibrata, che copre tutti gli aspetti dello sport professionistico e con la quale inviamo un chiaro avvertimento a tutte le parti interessate affinché facciano qualcosa in merito alla situazione che si è venuta a creare nel corso degli anni, nella quale pare che lo sport professionistico sia al di sopra della legge fino al momento in cui un caso viene sottoposto alla Corte di giustizia, e allora si parla di un’entità economica con valori sociali e culturali. Tuttavia, le norme europee devono essere rispettate.

Desidero quindi chiedere alla Commissione se condivide il mio parere che è meglio lasciare gli sport amatoriali fuori dall’equazione, pur essendo lo sport professionistico un settore di intrattenimento che dovrebbe addirittura rientrare nella direttiva sui servizi, e che probabilmente alla fine si dovrebbe creare un mercato interno per questi servizi, per questo settore di intrattenimento.

Tutto sommato, non stiamo discutendo di quanto accade sul terreno di gioco, bensì al di fuori di esso, in particolare degli interessi finanziari che vi ruotano attorno. La competizione a livello europeo rivela molte discrepanze, perché esistono differenze nell’interpretazione. A che cosa si può attribuire questa situazione? Perché non è ancora stato istituito un mercato interno e perché a ogni club viene richiesto di operare all’interno del mercato nazionale per essere in grado di competere con gli altri a livello europeo? A mio parere, se gli organi interessati si rifiutano di autoregolamentarsi, allora devono intervenire i politici.

Noi ora inviamo un avvertimento, senza per questo auspicare una nuova legislazione – certamente non un’eccezione; ciò che vogliamo è un segnale del fatto che spetta alle parti interessate risolvere i loro problemi. In caso contrario, mi auguro che la Commissione interverrà per indicare che cosa andrebbe fatto.

 
  
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  Gary Titley (PSE), relatore per parere della commissione giuridica. – (EN) Signor Presidente, la commissione giuridica desidera ricordare ai colleghi che uno dei pilastri dell’Unione europea è la supremazia del diritto, che ha consentito di realizzare il mercato unico, con tutti i suoi vantaggi e qualche svantaggio, tenendo conto naturalmente del principio di sussidiarietà.

Riconosciamo che esistono elementi di puro interesse sportivo, che non hanno nulla a che vedere con l’interesse economico, che appartengono agli organi sportivi. Riconosciamo inoltre che è difficile tracciare una linea di demarcazione, e per questo motivo siamo favorevoli all’iniziativa della Presidenza britannica di istituire la Valutazione indipendente.

Ma vorremmo ricordare ai colleghi che i Trattati UE prevedono un’ampia gamma di strumenti che si potrebbero utilizzare per proteggere i giovani giocatori, per trattare con gli agenti, per concedere esenzioni collettive dalle norme in materia di concorrenza e per chiarire se le organizzazioni sportive forniscono servizi di interesse economico generale ai sensi dell’articolo 86 del Trattato UE. Quindi, ci sono numerose disposizioni che ci consentono di intervenire.

Chiaramente, quello che tutti noi desideriamo è che il calcio abbia successo, che le squadre prosperino – sosteniamo il successo – e vogliamo anche garantire che si provveda adeguatamente alle necessità di club come Accrington Stanley e che i loro tifosi siano in grado di sostenerli. Quindi mi auguro che da questa Valutazione indipendente possiamo elaborare una risposta sensata e coerente.

 
  
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  Thomas Mann, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, il collega del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, onorevole Belet, ha svolto un lavoro eccellente. La sua relazione trova un equilibrio tra la dimensione sociale e quella economica del calcio. Ho parlato a dirigenti di club, giocatori e tifosi e ho presentato emendamenti in seno alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, che hanno ricevuto ampio sostegno.

Occorre che i giovani giocatori siano coltivati da subito, possano frequentare centri qualificati e contare su un’offerta adeguata di pratica calcistica. Per questo motivo sostengo la proposta dell’UEFA, che prevede sempre un numero minimo di giocatori formati localmente all’interno delle squadre. Certamente dovrebbe anche essere possibile, Commissario Figel’, sancire questo principio per legge. Sono a favore del fatto che i club professionistici che cedono i propri giocatori alle squadre nazionali abbiano diritto a un risarcimento in caso di infortunio o di assenze di settimane. E’ giunto il momento che la FIFA e l’UEFA si dotino di un nuovo sistema assicurativo comune. La convocazione in nazionale è estremamente stimolante per i giocatori e positiva per i club. Solo un momento fa Karlheinz Rumenigge era presente qui al Parlamento europeo.

Sono membro di un club calcistico tedesco e anche del gruppo Friends of Football all’interno del Parlamento europeo. Il punto è il fair play nella competizione tra le squadre. Attualmente, molti club sono gravati da enormi debiti ma ottengono comunque una licenza. Altri club gestiscono responsabilmente le loro risorse finanziarie ma non riescono a raggiungere la forza necessaria a causa dei fondi limitati. Occorre cambiare qualcosa. Continuiamo a combattere insieme contro il razzismo. L’anno scorso la nostra risoluzione ha ottenuto il massimo numero di firme nella storia del Parlamento europeo. Occorre rispondere con coerenza ai reati, giocando le partite in stadi vuoti, togliendo punti e sospendendo i club che non sono disposti a prendere misure. E non si dovrebbero accettare pigri compromessi, anche quando si tratta di prevenire ed eliminare il doping.

Non abbiamo bisogno di un organismo europeo di supervisione per monitorare le attività di club calcistici sovrani. Ciò che è efficace nel lungo termine è la collaborazione. Per questo dobbiamo salvaguardare l’indipendenza dei nostri club e il principio di sussidiarietà. Ho fiducia nella legalità delle decisioni prese dai tribunali sportivi e nei poteri di autoregolamentazione di UEFA, FIFA e delle nostre associazioni nazionali.

 
  
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  Guy Bono, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto desidero ringraziare il relatore, onorevole Belet, per aver cercato di raggiungere un compromesso tra le varie commissioni e i vari gruppi politici del nostro Parlamento.

Tuttavia, vorrei subito esprimere la mia enorme delusione. Abbiamo raggiunto un compromesso tra i gruppi, non ultimo il gruppo socialista al Parlamento europeo e il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei. Questo compromesso è stato votato in commissione e oggi scopriamo in questa sede che sono stati modificati dei punti essenziali, quali l’organo di regolamentazione indipendente e lo status giuridico delle società sportive. Questa relazione non segnerà l’inizio di una nuova era per il calcio europeo, e me ne rammarico profondamente. Ciononostante, mi auguro che possa istituire una forma di cooperazione tra UEFA e Unione europea, nell’intento di risanare per quanto possibile il mondo del calcio, perché, come ha osservato il Presidente della UEFA Michel Platini, il calcio è un gioco prima che un prodotto, uno sport prima che un mercato e una forma di intrattenimento prima che un affare.

Onorevoli colleghi, la deregolamentazione che è derivata dalla sentenza Bosman oggi dev’essere controbilanciata da regole chiare, nello sforzo di ripristinare i valori veri del primo sport dell’UE. Le autorità calcistiche europee non dispongono delle garanzie necessarie per poter regolamentare in modo veramente soddisfacente. A parte il fatto che dispongono di diritti legali limitati, sono nello stesso momento giudici e giudicati. Agiscono come operatori commerciali e come enti normatori, funzioni che sono difficili da conciliare.

Su questo punto, come ho accennato all’inizio del mio intervento, mi rammarico che il PPE-DE e il gruppo ALDE non abbiano appoggiato la mia duplice proposta, vale a dire la creazione di uno statuto giuridico europeo per le società sportive e l’introduzione di un organo indipendente incaricato di monitorare i principali club, che avrebbe il compito primario di garantire la preservazione dell’equilibrio finanziario, economico e sportivo del calcio in Europa. Mi auguro tuttavia che la Commissione europea tenga in debito conto queste proposte, intese, oltre che come difesa contro gli eccessi attuali, anche come strumento di promozione di un modello sportivo europeo equo e unitario.

Nel momento in cui celebriamo il cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma, l’Europa deve mostrare ai suoi cittadini di non essere solo un veicolo di pace e democrazia, bensì soprattutto uno strumento di protezione nei confronti degli eccessi del liberalismo totale. E’ solo a questa condizione che gli europei sono orgogliosi di partecipare al grande progetto dell’integrazione europea.

 
  
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  Karin Resetarits, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, Commissario Figel’, onorevole Belet, comincio subito citando quello che ha contribuito maggiormente a modificare lo sport professionistico negli ultimi anni: il denaro. La maggior fonte di reddito di un club professionistico è la vendita dei diritti televisivi. Quanto più ampio è il mercato televisivo nazionale, tanto maggiori sono gli introiti, i bilanci e il potere d’acquisto dei club. Non è un caso che quasi tutte le squadre che giocano nella Champions League provengano dai grandi Stati membri. Come in altri settori di una sfrenata economia di mercato, questo squilibrio conduce a un divario in rapido allargamento tra ricchi e poveri. Da un lato ci sono le società che valgono miliardi, come il Real Madrid, dall’altro club in fallimento come lo Sturm Graz. Ciò è poco sportivo e ingiusto.

Che cosa possono fare i piccoli Stati membri per compensare questo squilibrio? Occorrono nuove leghe; occorre abbandonare una visione così ristretta, in termini di nazioni. Occorre essere più europei, anche nel calcio. Inoltre, penso che non dovremmo acquistare e vendere talenti locali, ma piuttosto, come si usa negli Stati Uniti, distribuire per lotti ai vari club i giocatori di talento. Le squadre più deboli avrebbero più lotti e quindi più possibilità dei club primari. Se è solo il denaro a governare il calcio, allora il bene culturale più popolare d’Europa perderà la sua caratteristica distintiva: lo spirito sportivo.

 
  
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  Dariusz Maciej Grabowski, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, da sport e divertimento il calcio si è trasformato in una macchina per fare soldi e acquisire potere. Praticamente è diventato una nuova religione. Se non vogliamo che il calcio diventi uno strumento di illegalità e violenza dobbiamo cambiare l’ambiente in cui opera – in termini di società e di mezzi di comunicazione – radicalmente e rapidamente. Vorrei esprimere la mia gratitudine all’autore della relazione, onorevole Ivo Belet, per aver sollevato questo tema importante e per aver evidenziato la maggior parte dei problemi indicando dei modi per risolverli. A mio parere, occorrono decisioni radicali per contrastare la monopolizzazione del calcio ad opera delle società più ricche.

In primo luogo, occorre piena trasparenza per quanto concerne il reddito e le spese di tutti i club, con sanzioni elevate per eventuali violazioni.

Secondo, occorre porre limiti o tetti alla crescita della spesa dei club più ricchi nei prossimi anni.

Terzo, occorre un sostegno finanziario e di altro tipo per i paesi, le organizzazioni e i club che investono nei giovani e in strutture sportive.

Quarto, occorre accordarsi con la FIFA per affrontare il problema della corruzione e del crimine nel calcio.

La Polonia intende ospitare i Campionati europei del 2012, in occasione dei quali trionferanno i principi del fair play e della sana competizione.

 
  
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  Ian Hudghton, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, l’onorevole Belet ha fatto riferimento all’autonomia dello sport. Sono d’accordo. La relazione richiama l’attenzione su aree nelle quali potrebbero essere opportune una maggiore cooperazione o anche una regolamentazione, ma secondo me la struttura e l’organizzazione del gioco del calcio non è una di queste. E’ meglio che l’organizzazione delle leghe e delle competizioni locali, nazionali e internazionali sia lasciata alle autorità calcistiche.

In questa discussione, quando utilizziamo il termine “nazionale” intendiamo “dello Stato membro”. Naturalmente gli Stati membri sono gli elementi costitutivi dell’Unione europea, ma nel calcio non è così. Io e la collega del Galles Jill Evans abbiamo presentato gli emendamenti nn. 28 e 29, che mi auguro saranno approvati domani. Una partita di calcio che sarà giocata proprio stasera illustra l’importanza di questi emendamenti. La mia nazione calcistica, la Scozia, gioca contro l’Italia, la squadra campione del mondo. I nostri emendamenti chiariscono semplicemente che nel calcio il termine “nazionale” non significa necessariamente “dello Stato membro” e nulla di quanto contenuto nella relazione e nella sua terminologia dovrebbe in alcun modo mettere in dubbio e minacciare lo status di nazioni calcistiche storiche quali Scozia, Galles e Inghilterra.

 
  
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  Věra Flasarová, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Onorevoli colleghi, il calcio è di gran lunga lo sport più popolare d’Europa e l’ambiente e l’atmosfera che circondano il calcio hanno una forte influenza sui giovani, un’influenza che è tanto più forte in quanto è spontanea e non imposta dall’alto.

E’ quindi importante che il calcio non venga visto solo come un ambiente inondato da grandi quantità di denaro, un ambiente che induce all’illegalità e alla violenza e un ambiente i cui vertici sono completamente distaccati dalle società amatoriali, che costituiscono le fondamenta del gioco. Nel contempo mi azzarderei a dire che le società amatoriali apportano maggiori benefici sociali rispetto all’ambiente esclusivo dello sport professionistico, nel quale gli affari hanno sottratto molto al piacere originario del gioco.

Mi associo al relatore, onorevole Belet, nell’invitare l’UE a garantire che gli usi e le abitudini dello sport professionistico non influenzino il calcio giovanile e studentesco, e che non si scambino ragazzi sulla base del loro talento e delle loro prestazioni, come se fossero giovani gladiatori. Questa prassi lede il diritto dei ragazzi di sviluppare la propria personalità in un’atmosfera aperta a un’ampia gamma di conoscenze, e introduce lo spietato mondo degli adulti nella loro educazione. Nel contempo, i club calcistici sono meno interessati a dedicare il tempo e lo sforzo necessari per allevare giovani giocatori. Questo a sua volta ha l’effetto di limitare il coinvolgimento dei ragazzi negli sport popolari e di rafforzare la selezione, con il risultato di trasformare in merce di scambio una piccola minoranza di talenti, lasciando ai margini la maggioranza.

Il calcio di alto livello non influenza solo i giocatori e gli spettatori, rappresenta anche un mondo nel quale i ragazzi e i giovani in particolare individuano i loro modelli. Quindi dovremmo cercare di garantire che gli stadi non siano più scenari di comportamenti aggressivi, che la xenofobia e il razzismo scompaiano dal calcio e che l’attività commerciale legata al calcio non sia più – a torto o a ragione – soggetta alla corruzione.

 
  
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  Jeffrey Titford, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, l’UE non ha alcuna competenza in materia di sport, né dovrebbe averla. La Champions League e i club del G-14 nel Regno Unito, in Spagna e in Italia si oppongono all’intervento dell’UE nei diritti di telediffusione del calcio. Il Bayern Monaco è a favore; i club inglesi sono contrari, e tuttavia un ministro dello Sport del Regno Unito, Richard Caborn, è qui a fare pressione a favore dei tedeschi. Quanta attenzione per gli interessi britannici!

L’emendamento n. 25, finché non è stato giustamente ritirato, ordinava di issare la bandiera dell’UE nelle partite di Champions League e dei Campionati europei. Non si è pensato alla Svizzera, che ospiterà anch’essa le finali degli europei nel 2008? O al fatto che la Champions League comprende Russia, Turchia e Norvegia? Nessuno di questi paesi fa parte dell’UE e non esiste una squadra dell’UE. Nello stesso emendamento si chiedeva di suonare l’inno dell’UE in occasione di queste partite. Ma l’Inno alla gioia suona improprio al 41 per cento della popolazione, e al 58 per cento della popolazione britannica. Sapete, Schiller scrisse l’Inno alla gioia nel 1785, e le sue parole “Oh amici, non questi suoni” saranno state controverse allora, dato che Beethoven purtroppo era già afflitto dalla sordità quando scrisse la Nona sinfonia, ma oggi sono perfettamente appropriate. E, quanto a “Vi prostrate in adorazione, moltitudini?”, posso dirvi con certezza che più di 200 milioni di persone rispondono “No”.

 
  
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  Patrick Gaubert (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, in qualità di relatore ombra del mio gruppo politico nella commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, desidero innanzi tutto ringraziare il relatore, onorevole Catania, con il quale abbiamo avuto una collaborazione efficace e fruttuosa durante tutta la procedura. Le strutture sportive sono intese per attirare un grande pubblico fatto anche di famiglie, che aspira legittimamente ad assistere alle partite in totale tranquillità e sicurezza. Il fatto è che, da anni e anche molto recentemente, alcuni individui utilizzano i campi di calcio allo scopo di inscenare dimostrazioni di violenza o razzismo. Simili abusi sono completamente inaccettabili.

Il calcio è lo sport più popolare del mondo. Per impedire questo tipo di incidenti, gli Stati membri hanno istituito nel 2002 un sistema organizzato ed efficace per lo scambio di informazioni sui rischi rappresentati da determinate partite e, in particolare, da certi tifosi pericolosi. In ciascuno Stato membro è stato istituito un unico punto di contatto diretto. Questi punti nazionali d’informazione sul calcio consentono una preparazione meticolosa delle partite internazionali, migliorando la collaborazione di polizia tra i servizi. Occorre quindi perfezionare ulteriormente lo scambio di informazioni e utilizzare, ad esempio, moduli standardizzati. I punti di contatto saranno così in grado di operare in modo più strutturato e professionale.

Vorrei anche congratularmi con l’onorevole Belet per aver inserito nella sua esauriente relazione numerosi paragrafi sulla lotta al razzismo. E’ un aspetto che mi sembra particolarmente importante, alla luce dell’aumento di tutte le forme di intolleranza nella nostra società. In effetti, il calcio può continuare a svolgere un ruolo sociale ed educativo soltanto se le partite si svolgono senza violenze.

Onorevoli colleghi, tra qualche ora, insieme agli onorevoli Belet, Bennahmias, Hazan e Bono, presenterò una dichiarazione scritta sulla lotta contro tutte le forme di traffico e sfruttamento dei bambini nel calcio. Vi invito a sostenerci in questa iniziativa e a firmare il testo non appena possibile.

 
  
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  Pier Antonio Panzeri (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio l’onorevole Catania per la sua relazione e l’onorevole Belet per il lavoro svolto, che trovo equilibrato anche se anch’io condivido l’idea che si poteva fare qualcosa di più.

Il calcio ha ormai assunto un ruolo esteso importante, che non è più pensabile possa essere affrontato, di fronte alle nuove sfide che si pongono, affidandosi soltanto agli organi calcistici. Da qui nasce l’esigenza, che è stata raccolta dal Parlamento europeo, di intervenire per assicurare uno sviluppo più equilibrato del settore calcistico, cercando di rispondere in chiave aggiornata ai mutamenti che sono in atto.

Del resto, come è stato detto, la funzione sempre più rilevante che ha assunto il calcio europeo comporta, come vediamo, ricadute di un certo rilievo in tutti i settori. Pensiamo alle sponsorizzazioni e al valore dei diritti televisivi, alla commercializzazione, al moltiplicarsi di competizioni internazionali, che a loro volta si ripercuotono su diversi settori, ai nuovi problemi sociali e culturali che essi generano. Anzi, direi che questa nuova dimensione sociale sempre più ampia che il calcio moderno incorpora, chiama in causa i comportamenti pubblici, il costume, il doping, la violenza e il razzismo, lo stesso sfruttamento di giovani giocatori.

Si è parlato di grandi squadre ma molte volte ci sfugge davvero la dimensione del problema, perché ci soffermiamo troppo sui grandi club e non andiamo oltre, quando invece è soprattutto nelle serie minori che occorre avere un’attenzione maggiore rispetto a quella finora avuta.

E’ giusta quindi l’indicazione di ottenere una maggiore regolamentazione del calcio europeo e di connettere tutto ciò con il diritto europeo e con le stesse dinamiche del mercato interno. E’ giusto realizzare una più moderna governance e cercare di esaltare in modo positivo il ruolo sociale e culturale del calcio. L’obiettivo che dobbiamo prefiggerci non è tanto quello di invadere, sostituendoci, il campo della UEFA bensì di attuare politiche che aiutino a governare meglio questo mondo. Ma occorre essere chiari: la richiesta di autonomia proveniente dagli organi calcistici non può diventare l’idea che ciascuno fa ciò che vuole, fuori dal diritto comunitario.

Se vogliamo, come è doveroso fare, combattere le storture e le degenerazioni che sono all’interno e accompagnano il mondo del calcio, è importante realizzare questo lavoro congiunto tra le istituzioni politico- parlamentari e quelle sportive. Occorre che ognuno ci metta del suo per raggiungere tale obiettivo.

 
  
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  Luciana Sbarbati (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi felicito anch’io per le due relazioni.

Si è detto che oggi in Europa il calcio è soprattutto un grande business ma è anche vero che dovrebbe essere anche altro. Comunque, stipendi milionari, scarsa trasparenza, violenza indotta o reattiva, razzismo, sono lo spettacolo a cui sovente assistiamo con una certa assuefazione. Tutto ciò mette a repentaglio il ruolo educativo dello sport e nella fattispecie dello sport calcistico. Su tale ruolo occorrerebbe fare invece una profonda riflessione a partire dal calcio amatoriale o dallo sport praticato anche nelle scuole, in cui i valori positivi della competizione vanno sempre associati al rispetto delle regole.

Sebbene l’UE non abbia una specifica competenza in materia, come già detto, l’interrelazione tra calcio e violenza, che sta esplodendo in tutta la sua assurdità e spesso coinvolge gli stessi giocatori protagonisti, ci chiama tutti in causa e ci sollecita a definire, come abbiamo tentato di fare, misure comuni per la prevenzione e la repressione dei reati di teppismo, in collaborazione con le associazioni calcistiche, la UEFA e le forze di polizia, per la tutela della sicurezza di tutti i cittadini.

Ma io direi che ci interpella anche per cause più profonde, o concause, che sfuggono a tutt’oggi alla loro responsabilità precisa e che vanno individuate e colpite.

 
  
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  Christopher Heaton-Harris (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare l’onorevole Belet per come ha proceduto nella preparazione della sua relazione. Fondamentalmente non sono d’accordo con lui per alcuni aspetti, e in particolare la massiccia presa di potere auspicata nei considerando, ma mi compiaccio per il modo professionale in cui si è comportato nel preparare la relazione.

Sì, nel calcio ci sono dei problemi, ma noi politici europei li possiamo solo peggiorare. Sì, esistono piccoli gruppi di persone che usano le partite di calcio come una scusa per fare atti di violenza, e queste persone andrebbero arrestate e bandite dagli stadi. Ma, come vi diranno molti tifosi dei Rangers di Glasgow in Scozia, le forze di polizia nelle manifestazioni internazionali dovrebbero mostrarsi amichevoli e sensibili, e non ostili e arroganti. Attribuire all’UE una competenza in questa materia non servirà a fermare la violenza, e non ne abbiamo bisogno per sostituire migliori prassi.

Questa relazione è un buon esempio del motivo per cui dovremmo tirarci indietro e mostrare un atteggiamento ragionevole. Lo sport è governato al meglio da coloro che lo praticano. Molte delle raccomandazioni contenute nella relazione sono sicuramente sensate, ma noi siamo politici e non possiamo resistere alla tentazione di interferire dove non abbiamo diritto. Pensate all’emendamento n. 25, che è stato ritirato; ascoltate molti dei contributi a questa discussione e capirete perché.

La mia teoria è che attribuendoci questi nuovi poteri noi cercheremo di risolvere dei problemi che non esistono realmente, e cercheremo di cambiare e armonizzare i diversi modelli calcistici che ci sono attualmente nel continente.

Avendo arbitrato per 25 anni nelle categorie minori e avendo seguito gran parte della discussione su questo tema nel tempo trascorso in questo Parlamento, penso che corriamo il grave rischio di dimenticare che i club del calcio professionistico – quelli di cui parliamo questa sera – hanno un legame particolare con i milioni di amatori che corrono sui campi da gioco di tutta Europa ogni fine settimana, e che potremmo facilmente danneggiare la solidarietà che le persone in questa sede desiderano promuovere e proteggere con il nostro appello del tutto ignorante a favore dell’interferenza.

 
  
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  Christa Prets (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, anch’io vorrei ringraziare l’onorevole Belet per la sua iniziativa e la sua collaborazione. Mi auguro che riusciremo a mantenere i compromessi sui quali abbiamo lavorato e che non introdurremo molti cambiamenti all’ultimo momento per poi doverci piegare comunque alla volontà di alcuni.

In questa relazione abbiamo preso in considerazione e affrontato adeguatamente i problemi che oggi affliggono il calcio. Non vogliamo un aumento della regolamentazione a livello UE. Desideriamo invece una maggiore chiarezza giuridica sulle norme esistenti, al fine di impedire la cancellazione di norme sensate sul calcio. L’idea che d’ora in poi sarà possibile risolvere i problemi solo di fronte alla Corte di giustizia delle Comunità europee, ad esempio, è assurda. Non intendiamo neppure combattere contro i grandi club, né attaccare i club tradizionali, ma piuttosto lottare per un giusto equilibrio tra club grandi e piccoli. Un esempio in questo senso potrebbe essere la concessione delle licenze. Inoltre, occorre prestare molta più attenzione ai giovani giocatori rispetto a quanto è stato fatto finora.

 
  
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  Sharon Bowles (ALDE).(EN) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Belet non riguarda il controllo dell’UE sul calcio e il gruppo ALDE è stato tra i primi a presentare emendamenti per chiarire meglio questo concetto. Tuttavia, non c’è nulla di male se la relazione contribuisce alla condivisione di migliori prassi.

Esistono aspetti, come il business del calcio, coperto dalla legislazione europea, che sono disciplinati nell’ambito di normative corrispondenti in materia commerciale o di altro tipo e non necessitano di norme speciali.

Il calcio presenta anche una dimensione sociale o culturale. Tuttavia, i legami più stretti sono quelli instaurati con le comunità locali. E’ a questo livello che i tifosi vanno a vedere le partite tutte le settimane e molti club, come il Reading Football Club nella mia regione, investono nel calcio in progetti locali. Questi legami locali sono il motivo per cui le società, le leghe e i club nazionali sono nella posizione migliore per prendere le decisioni giuste in un contesto di autoregolamentazione. Ritengo che questo sia quanto vuole affermare la relazione, con gli opportuni emendamenti.

 
  
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  Luis Herrero-Tejedor (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, come di consueto, anche se questa volta è un ringraziamento più che meritato, vorrei ringraziare il relatore, onorevole Belet, per la sua capacità di mantenere il dialogo con tutti i gruppi e tutti i deputati.

Lui stesso ci ha ricordato all’inizio della discussione che non dobbiamo perdere di vista il fatto che si tratta di una relazione sul calcio professionistico, un elemento che io ritengo cruciale; inoltre, vorrei sottolineare che si tratta di una relazione d’iniziativa. Vale a dire che è la prima volta che il Parlamento europeo si è concentrato sul calcio, inviando un segnale di interesse per tale fenomeno. Ciò significa che dobbiamo chiarire molto bene i nostri principali motivi di preoccupazione.

Parlando di calcio professionistico, dobbiamo discutere essenzialmente di club professionistici e di spettatori. Senza questi due elementi, il problema che vogliamo affrontare non esisterebbe. Sono completamente d’accordo con il commento finale dell’onorevole Heaton-Harris: non c’è spazio per riflessioni che non tengano conto del ruolo cruciale dei club calcistici.

Se manderemo agli spettatori il messaggio “Sentite, il Parlamento europeo vuole intromettersi nel mondo del calcio per rendere meno spettacolare lo spettacolo del calcio”, e se diremo ai grandi club, quelli che hanno clienti reali, una reale domanda sociale, “Sentite, in base al principio della solidarietà, il vostro reddito sarà ridotto, non sarete più in grado di ingaggiare grandi giocatori, né sarete più in grado di disporre di queste strutture. Renderemo il calcio meno spettacolare”, posso garantirvi, onorevoli colleghi, che i tifosi di calcio – e ce ne sono molti seduti in quest’Aula – rimarranno sbalorditi.

E ci risponderanno “Allora vi interessate al calcio e trasmettete il messaggio che intendete rovinare lo spettacolo, lavorando contro i grandi club calcistici” – il che è assurdo. Quindi vorrei chiedere, onorevoli colleghi, di tenerne conto quando si tratta di negoziare adeguatamente i diritti audiovisivi dei club calcistici.

 
  
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  Emine Bozkurt (PSE).(NL) Signor Presidente, l’Europa non dovrebbe fungere da arbitro quando si tratta del calcio professionistico, ma dovrebbe anche essere qualcosa di più di un semplice spettatore. Non dovremmo attribuirci competenze che non abbiamo, ma questioni quali le regole del mercato interno, la lotta contro il razzismo e la frode transfrontaliera rientrano effettivamente nel mandato dell’UE. Sono dunque a favore del paragrafo 8, ma contraria a un organo di supervisione indipendente. L’Europa non è l’arbitro e non dovrebbe mettere il naso in questioni che il mondo del calcio è sicuramente in grado di gestire autonomamente.

Sono in debito nei confronti dell’onorevole Belet per l’enorme sostegno fornito dalla sua relazione alla lotta contro il razzismo nel calcio. L’anno scorso promossi l’iniziativa di una dichiarazione scritta sull’argomento, alla quale si fa esplicito riferimento nella relazione. Grazie al grandissimo sostegno, è diventata una risoluzione ufficiale, e le misure proposte sono state adottate come sanzioni più rigorose da UEFA e FIFA. Questo modo eccellente di collaborare dovrebbe essere esteso anche al di là del settore del calcio.

 
  
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  Manolis Mavrommatis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto congratularmi con gli onorevoli Ivo Belet e Giusto Catania per l’importante risultato delle loro relazioni sul futuro del calcio professionistico nell’Unione europea. Tuttavia, considero importante soprattutto congratularmi con l’onorevole Belet per il suo impegno nel concentrare l’interesse di cinque commissioni e di un gran numero di enti e soggetti pubblici nello sport e nell’economia. E’ una dimostrazione dell’importanza e del dinamismo esercitato dal calcio, che catalizza l’attenzione di milioni di politici – e non solo politici – amanti dello sport in tutto il mondo.

Quando il caso Bosman apparve su tutti i giornali nel 1995, nessuno si aspettava che l’Unione europea avrebbe fatto la sua prima incursione importante nel mondo dello sport, a vantaggio dei lavoratori e soprattutto dei calciatori. Ora, 12 anni dopo, abbiamo una relazione d’iniziativa che pone nuove basi con prospettive commisurate ai valori dell’Unione europea e di uno sport popolare come il calcio.

Gli emendamenti votati da tutte le commissioni e le proposte alla commissione per la cultura, l’istruzione, i media, lo sport e il multilinguismo e al Consiglio aprono la strada a una rapida proposta per la creazione di un quadro giuridico per lo sport, a prescindere da se e quando sarà approvato il Trattato costituzionale, che prevede tale disposizione.

Per questi motivi il Parlamento europeo dovrebbe sostenere la relazione sul calcio, perché è opinione comune che in tal modo vi sarebbe un cambiamento di posizioni e dello status quo in materia di tutela dello sport dal teppismo, dal razzismo, dalla xenofobia e dall’uso di droghe, nonché di pari trattamento dei club piccoli e grandi nella gestione dei diritti comunitari e nel dare risalto ai talenti senza intraprendere traffici di minori da paesi terzi.

 
  
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  Joseph Muscat (PSE).(EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto associarmi ai colleghi nel ringraziare l’onorevole Belet per il suo eccellente lavoro. Ovviamente, tutti abbiamo le nostre riserve, più o meno rilevanti, sul testo presentato, ma l’onorevole ha garantito un ottimo coordinamento dei lavori di tutte le commissioni.

Desidero anche sottolineare un altro punto: in questo campo siamo fortunati ad avere un partner fidato come l’UEFA. Il modo in cui quella organizzazione ha operato in passato ha dimostrato che possiamo fidarci del fatto che metta in atto i buoni propositi di cui parla regolarmente. Quindi abbiamo un partner di cui ci possiamo fidare.

Voglio concentrarmi solo su un aspetto, quello dei diritti televisivi. L’era digitale dovrebbe offrire maggiori possibilità di scelta ai consumatori. Purtroppo, il pubblico televisivo in molti dei nostri Stati membri oggi ha meno possibilità di scelta e deve pagare per quello che un tempo riceveva gratuitamente. Con la nostra relazione intendiamo inviare un segnale chiaro alle autorità in merito alla necessità di trovare un equilibrio tra la TV a pagamento e quella gratuita.

 
  
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  Giuseppe Castiglione (PPE-DE). – Signor Presidente, Signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero congratularmi e ringraziare l’onorevole Catania e l’onorevole Belet, per la relazione che hanno presentato a questo Parlamento.

Lo sport, e il calcio in particolare, costituisce una parte irrinunciabile dell’identità culturale europea, svolge un’indubbia funzione sociale e può essere uno strumento valido per la lotta alla discriminazione, al razzismo, all’intolleranza e alla violenza. Tuttavia, questa funzione e questo ruolo positivo è oggigiorno sempre più compromesso da quanti vogliono fare delle partite negli stadi un ennesimo luogo di violenza e di terrore. La sicurezza degli stadi deve essere quindi la nostra priorità e la parola chiave deve essere la prevenzione.

Per questo motivo condivido pienamente l’invito della relazione dell’onorevole Belet affinché gli Stati membri introducano meccanismi di cooperazione tra club, tifoserie organizzate e forze di polizia, per combattere la violenza e i fenomeni di teppismo e gli atti delinquenziali cui assistiamo sempre più e durante le partite. Così come concordo sulla necessità di inasprire le sanzioni contro qualsiasi manifestazione di razzismo e di xenofobia negli stadi e di applicare, da parte della UEFA e delle altre leghe, opportune norme disciplinari contro chiunque si renda responsabile di tali atti.

Ma un’azione di prevenzione altrettanto fondamentale è rafforzare e professionalizzare la cooperazione e lo scambio di informazioni tra le antenne nazionali in occasione delle partite internazionali; monitorare la presenza negli stadi di tifosi che possono rappresentare una minaccia per l’ordine pubblico e acquisire dati sulla natura delle tifoserie organizzate, un elemento fondamentale per lo Stato ospite per poter effettuare un’efficace valutazione del rischio legato all’incontro sportivo e, per questa via, prevenire turbative all’opinione pubblica.

Bisogna certamente evitare gli abusi nel controllo di tutti i cittadini e rispettare la privacy e la segretezza dei dati personali: ma la tutela della privacy di alcuni non può avvenire a scapito della sicurezza di tutti. Né può diventare la copertura per garantire l’ingresso incontrollato di veri e propri delinquenti, con il pretesto di depenalizzare veri e propri reati solo perché commessi nel contesto di una manifestazione sportiva.

Bisogna creare il giusto equilibrio, contemperando le opposte esigenze: ma tale equilibrio non può che trovarsi nel rispetto della libertà individuale e nella protezione dei diritti di ognuno, primo fra tutti il diritto alla sicurezza, compreso quello di andare allo stadio e vivere lo sport in piena serenità.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARTÍNEZ MARTÍNEZ
Vicepresidente

 
  
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  Richard Corbett (PSE).(EN) Signor Presidente, desidero congratularmi con i relatori e in particolare con l’onorevole Belet, con cui ho lavorato nella Valutazione indipendente sul calcio europeo istituita dal Consiglio l’anno scorso.

Il calcio è afflitto da numerosi problemi. Uno di essi è il collegamento tra ricchezza e successo sportivo e la concentrazione di entrambi nelle mani di un numero sempre più piccolo di club in quasi tutte le leghe nell’intero territorio europeo. Tuttavia, le misure adottate dalle autorità calcistiche per contrastare questa tendenza – quali la regola dei giocatori locali o l’obbligo della vendita collettiva dei diritti televisivi, con la ridistribuzione a tutti i club – potrebbero rischiare di risultare incompatibili con il diritto europeo. Mi sono allarmato quando ho sentito il Commissario Figeľ affermare che la Commissione sta ancora riflettendo su questo tema e non ha ancora preso una decisione. Per questo abbiamo bisogno del Libro bianco che stabilisca, se non vere e proprie deroghe, almeno interpretazioni indulgenti del diritto UE, che riconoscano la specificità dello sport. Per questo i contributi degli onorevoli Titford e Heaton-Harris sono fuorvianti, perché mirano ad allarmare i tabloid britannici. Non ha senso affermare che si tratta di una presa di potere dell’Unione europea: è un allentamento di requisiti giuridici UE inizialmente formulati per altri scopi. E’ questo che occorre. Presentando le cose in modo completamente opposto alle reali intenzioni si agisce in totale malafede.

 
  
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  Jacek Protasiewicz (PPE-DE) . – (PL) Signor Presidente, desidero innanzi tutto congratularmi con entrambi i relatori, ma in particolare con l’onorevole Ivo Belet, per i risultati del loro lavoro. La relazione preparata dall’onorevole Belet copre tutte le componenti chiave del calcio europeo, spaziando dal contesto giuridico, alla gestione, alla competizione, al mercato interno e agli aspetti sociali, fino alla lotta a comportamenti criminali quali il razzismo o il doping, nonché la lotta alla corruzione nelle manifestazioni calcistiche.

All’apparenza sembra un lavoro facile, perché il calcio è uno sport che suscita grandi passioni. Il fatto che quest’Aula non sia immune da tali forti emozioni è dimostrato dal numero di emendamenti che il relatore ha dovuto considerare. Uno di essi si è dimostrato particolarmente importante poiché riguardava la vendita dei diritti televisivi delle partite di calcio. In discussioni precedenti avevo sostenuto un sistema collettivo, che garantirebbe la distribuzione equa dei proventi delle trasmissioni garantendo un miglior equilibrio competitivo e la rivalità di cui necessita lo sport. Ora dichiaro il mio sostegno per l’emendamento orale proposto dal relatore.

In quanto membro della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, vorrei anche esprimere la mia gratitudine per il fatto che la relazione comprende questioni occupazionali concernenti i contratti firmati dai giocatori professionisti con i club, la regolamentazione giuridica degli agenti e delle loro transazioni, nonché l’educazione e l’allenamento dei giovani calciatori con la garanzia che i migliori saranno accolti nelle squadre dei club.

Sono convinto che il calcio possa fornire le basi per lo sviluppo e la gratificazione personale, e per questo mi compiaccio dei punti della relazione che si riferiscono all’esigenza di sostenere i club che offrono ai giovani le giuste condizioni per l’addestramento e l’apprendimento.

Infine, desidero rilevare che lo sport, compreso il calcio, è ormai un settore in cui si sta attuando effettivamente la libera circolazione dei lavoratori in tutta l’Unione europea, e mi auguro che presto sarà così anche in altri settori del mercato del lavoro dell’Unione europea.

 
  
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  Maria Badia i Cutchet (PSE).(ES) Anch’io desidero ringraziare il relatore, soprattutto per lo spirito di collaborazione che ha dimostrato nella preparazione della sua relazione sul futuro del calcio professionistico, che non è importante solo per il calcio in quanto affronta problemi che recentemente si sono inaspriti in tutto il mondo dello sport: la violenza sui campi di gioco, gli atti di razzismo, il doping, la mancanza di trasparenza finanziaria, eccetera.

Desidero concentrarmi su due aspetti: innanzi tutto, la crescente importanza economica del calcio, che ha determinato un aumento del valore dei diritti televisivi. A mio parere, è importante che la relazione riprenda le preoccupazioni in merito al sistema di reddito derivante dalla vendita di tali diritti, che può provocare uno squilibrio competitivo tra i diversi club, benché purtroppo – e secondo me questa è una lacuna della relazione – non si sia tenuto conto del fatto che tale reddito dipende anche dall’impatto del club sul pubblico mondiale, e non solo nel mercato televisivo nazionale, né del fatto che vi sia una ridistribuzione tra i club delle risorse derivanti dalla vendita dei diritti televisivi delle leghe nazionali.

Inoltre, mi compiaccio che la relazione tenga conto delle diverse associazioni calcistiche nazionali dell’Unione europea, a prescindere dal fatto che facciano parte di strutture sportive governative o di federazioni riconosciute dagli Stati membri.

Infine, mi auguro che la Commissione terrà conto di questi suggerimenti del Parlamento europeo nella stesura del suo Libro bianco sullo sport.

 
  
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  Vasco Graça Moura (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, signor Commissario, con riferimento al diritto di ogni cittadino di accedere alla giustizia, ai sensi delle costituzioni di tutti gli Stati membri, l’articolo 47 della Carta europea dei diritti fondamentali prevede lo stesso diritto per le persone i cui diritti e libertà garantiti dalla legislazione dell’Unione siano stati violati.

Il significato di questi precetti è ovvio: non esistono né una giurisdizione né un patto giuridico che possano privare qualcuno del suo diritto fondamentale di accesso alla giustizia, benché l’esercizio di questi precetti in certe situazioni possa essere soggetto a quella che in termini forensi è nota come “eccezione d’incompetenza”. Ciononostante, tali eccezioni devono essere riconosciute da un tribunale indipendente e imparziale, precedentemente stabilito per legge, come indicato nel sopra citato articolo 47 quale condizione fondamentale per l’esercizio della sua competenza. Per questo motivo, l’accesso alla giustizia di una persona fisica o giuridica non può mai implicare forme di violazione disciplinare.

L’esercizio di un diritto riconosciuto da tutte le costituzioni e dalla Carta europea non deve risultare in un reato di qualsivoglia natura ai sensi della legge. Sulla base di questo presupposto, la relazione Belet afferma il corretto principio secondo il quale l’accesso alla giustizia, anche quando non è giustificato in termini sportivi, non dev’essere penalizzato da misure disciplinari. A questo proposito, condanno le decisioni arbitrarie della FIFA.

Il voto su questo principio contribuirà a una maggiore trasparenza nello sport e rafforzerà anche i principi fondamentali su cui si basa la supremazia del diritto.

 
  
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  Mario Mantovani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio il relatore Belet per il suo contributo alla relazione sul futuro del calcio professionistico in Europa.

L’Europa, a mio avviso, sta attraversando un periodo di particolare incertezza e vive una fase di riflessione e ciò si evidenzia anche in una dimensione umana, così importante per i cittadini europei, rappresentata proprio dallo sport in generale e in particolare dal calcio, per la loro funzione educativa, il ruolo di integrazione sociale e culturale nonché per la lotta alla discriminazione.

Un processo di integrazione dovuto in parte anche agli effetti positivi conseguenti alla sentenza Bosman, che nel 1995 ha inteso realizzare, pur nel settore calcistico, la libertà di circolazione degli sportivi. In questo contesto va però anche puntualizzato come il calcio a livello professionistico costituisca un’attività economica riconosciuta dall’articolo 2 del trattato che istituisce la Comunità europea.

Sul piano finanziario infatti l’integrazione invocata non trova completa attuazione anche a causa delle distorsioni alla concorrenza del mercato calcistico, create proprio da una fiscalità differente tra i vari paesi dell’Unione. Una fiscalità vantaggiosa dunque per alcuni paesi, che permette ai loro club di erogare emolumenti ai calciatori assai più elevati di quelli che possono essere tollerati dai bilanci di altri club.

Non possiamo infine non evidenziare, sempre in tema calcistico, come non rappresenti una vera priorità la proposta di un’omogeneizzazione comunitaria della ripartizione dei diritti televisivi, alla luce di differenze storiche, culturali, e soprattutto di mercato, tra i vari paesi dell’Unione europea, nonché in contrasto col principio di sussidiarietà che ha un valore base da rispettare.

Presidente, cinque anni fa in quest’Aula ho proposto la necessità di un’agenzia europea dello sport. Credo che oggi sia più che mai necessaria.

 
  
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  Ján Figeľ, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ringrazio entrambi i relatori e tutti i deputati che sono intervenuti, perché sono stati sollevati molti punti interessanti. Domani dovrete decidere sul contenuto preciso della relazione, ma molto di quello che è stato detto può essere utilizzato come spunto per ulteriori discussioni e anche per lavorare a favore del calcio e dello sport, e dell’Europa come comunità.

Un punto importante, citato dall’onorevole Belet, è l’idea di chiedere alle autorità competenti di sedersi attorno a un tavolo per cercare delle soluzioni. Uno dei messaggi è quello di lavorare insieme. Noi intratteniamo da molti anni un dialogo stretto e regolare con organismi come UEFA e FIFA. Si è discusso della Valutazione sullo sport europeo, e se ne discute tuttora.

Alla fine delle mie osservazioni introduttive ho citato l’evento molto interessante che si è tenuto recentemente a Manchester. Ho sentito le opinioni discordi dei colleghi britannici. Il calcio è sinonimo di Regno Unito. Noi possiamo trasmettere molti messaggi sull’importanza della cooperazione, nell’interesse del calcio e per la sua buona salute.

Nel calcio, l’Europa è una superpotenza. Non intendo parlare di geopolitica, ma ho partecipato a dibattiti internazionali dove spesso si è affermato, soprattutto da parte dei paesi africani, che questo predominio danneggia le relazioni internazionali e lo sport. Gli africani hanno criticato molto gli europei. Dovremmo rispondere con chiarezza e credibilità.

Esiste una componente amatoriale, oltre a quella professionistica: si tratta di una struttura piramidale molto importante per il calcio e lo sport, dove sono rilevanti entrambi gli elementi e la piramide nel suo complesso. Il denaro non è il fattore principale, perché se così fosse l’intera piramide ne risulterebbe capovolta, con grave danno.

Ad esempio, lo scorso anno abbiamo convenuto con la FIFA di sostenere l’impegno africano di promuovere lo sport e l’integrazione con il calcio per i bambini. Questa iniziativa rientra nei preparativi per i Campionati mondiali di calcio del 2010 in Sudafrica.

Due settimane fa abbiamo incontrato i ministri dello Sport a Stoccarda. Nella discussione abbiamo affrontato due argomenti negativi: la violenza e il doping. Questi temi sono citati anche nella relazione. I ministri hanno concordato di continuare a lavorare per la creazione di una rete europea di agenzie antidoping, quale contributo per garantire la trasparenza e la credibilità delle nostre azioni. Si è discusso anche di violenza. Intendiamo organizzare un convegno sullo sport e il teppismo a novembre, con il Consiglio d’Europa e il Parlamento europeo.

Abbiamo parlato anche di economia e sport e dell’integrazione sociale attraverso lo sport. Ad esempio, abbiamo concordato di produrre dati più specifici e affidabili sulla dimensione economica dello sport, per valutare in che termini esso contribuisce al mercato del lavoro e alla crescita nei nostri paesi. E’ un aspetto molto importante.

I restanti punti da trattare per la Commissione e nell’imminente Libro bianco sullo sport sono le seguenti parole chiave, una sorta di mosaico di temi in relazione allo sport: specificità, sussidiarietà, autonomia e, naturalmente, diversità – così visibile e importante non solo nella cultura ma anche nello sport, trasparenza, attività regolamentate e relazioni. Tutto da attuare nel quadro giuridico dell’UE, e non al di fuori, con il vostro fermo sostegno.

In conclusione, ora sono in corso le consultazioni sul Libro bianco. Come ho già detto, una volta adottate con il voto di domani, queste relazioni contribuiranno al lavoro preparatorio. Per il momento abbiamo ricevuto 670 contributi, di cui oltre 200 collettivi, ossia a nome di associazioni e federazioni. Quindi dobbiamo lavorare insieme per ottenere un risultato chiaro nell’interesse e per la credibilità dell’Europa, che ha anche una più ampia responsabilità internazionale nello sport.

L’Europa è la culla di molte discipline, compreso il calcio, e delle idee e degli ideali olimpici. Dobbiamo perciò promuovere i valori di queste tradizioni e attività in un ambito più ampio di cooperazione europea e a livello internazionale.

Ringrazio tutti i membri del Parlamento europeo.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (NI) , per iscritto. – Il calcio è profondamente radicato nell’identità e nella cultura europea. Esso rappresenta, soprattutto tra i giovani, ma non esclusivamente, uno strumento validissimo di coesione sociale, educazione non formale e sviluppo economico e territoriale. Ultimamente, tuttavia, scandali giudiziari, campionati truccati violenza, razzismo, ingaggi multimiliardari, predominanza degli interessi economici sulla sportività, non hanno fatto altro che allontanare il calcio dal suo spirito originario e i cittadini dal calcio.

E’ importante quindi che l’UE agisca per disintossicare un settore in cui siamo leader nel mondo e che può continuare ad essere, oltre che ad un’espressione culturale, anche una fonte di sviluppo economico, posti di lavoro e coesione sociale. Mi auguro quindi che il calcio, e lo sport in generale, ricevano in futuro l’assistenza necessaria per regolamentare i troppi interessi in gioco e soprattutto per sviluppare e difendere, sostenendo attività, incontri e manifestazioni a livello locale ed europeo (e soprattutto favorendo l’accesso ai giovani, anche svantaggiati), gli sport ed i club minori che, ovunque in Europa, rappresentano uno strumento importante per l’educazione civica dei nostri cittadini.

 
  
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  Iles Braghetto (PPE-DE) , per iscritto. – Esprimo il mio apprezzamento ed il mio consenso al lavoro svolto dal relatore. Il tema del calcio, e dello sport in generale, è espressione di una socialità e di una cultura del gioco tipica della civiltà occidentale. Per questo credo che il giusto approccio vada nella direzione non già di definire nuove legislazioni ma di spingere il mondo del calcio verso forme di autoregolamentazione capaci di coinvolgere tutti i diretti interessati, tutti i partecipanti, compresi i tifosi.

La certezza del diritto va ricercata attraverso linee guida che assicurino la cooperazione e la solidarietà tra tutti gli attori dello spettacolo sportivo. In particolare vorrei sottolineare la necessità di incoraggiare la formazione dei giovani, l’applicazione di misure disciplinari severe contro la violenza negli stadi e il razzismo, il coinvolgimento dei tifosi per la governance del calcio, l’individuazione di un sistema trasparente per il controllo dei costi, l’equa concorrenza tra i club, la tutela assicurativa del calciatore.

Per tutto questo si attende anche con impazienza l’adozione da parte della Commissione europea del Libro bianco sul ruolo dello sport in Europa e si ritiene di estrema utilità l’elaborazione di un piano d’azione per lo sport europeo in generale e per il calcio in particolare.

 
  
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  Gábor Harangozó (PSE) , per iscritto. – (EN) Alla luce dell’aumento di incidenti relativamente importanti durante le partite di calcio, non si può che accogliere con favore l’iniziativa austriaca di modificare la norma concernente la sicurezza in occasione delle partite di calcio. La valutazione della cooperazione della polizia internazionale successivamente ai Campionati europei del 2004 ha evidenziato chiaramente la necessità di aumentare lo scambio internazionale di informazioni sui tifosi a rischio. Tuttavia, è importante che, come sottolineato dal nostro relatore, l’onorevole Giusto Catania, lo scambio di dati personali avvenga in conformità della legislazione nazionale e internazionale applicabile in materia e che i dati non vengano utilizzati per altri scopi. A causa del numero in costante aumento di tifosi che si recano alle partite all’estero, occorre rafforzare la cooperazione tra i punti nazionali d’informazione sul calcio per un’effettiva dimensione internazionale. Con la prevenzione e il controllo delle violenze e dei disordini in occasione delle partite di calcio, grazie allo scambio internazionale di informazioni che consente a ogni Stato membro di effettuare valutazioni efficienti del rischio, l’intento dovrebbe essere quello di contribuire a riaffermare i valori morali ed educativi del calcio e dello sport in generale.

 
  
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  Lívia Járóka (PPE-DE), per iscritto. – (HU) La relazione dell’onorevole Ivo Belet sul futuro del calcio professionistico in Europa è una presa di posizione molto importante. E’ chiaro a tutti noi che il calcio svolge una varietà di ruoli in Europa e ha una notevole funzione sociale e culturale; questo gioco popolare rende possibile l’incontro tra le persone e lo scambio di idee, e promuove anche la partecipazione sociale.

Il razzismo e la xenofobia sono problemi sociali sempre più presenti non solo nella nostra vita quotidiana ma anche nel mondo del calcio. Di settimana in settimana, abbiamo assistito in diretta a gravi incidenti razzisti in occasione di partite di calcio e all’intensificazione di sentimenti antirom nell’Europa centrale e orientale. Questo sport, che gode di eccezionale popolarità, oggi è strettamente associato al teppismo e all’odio razzista.

Il razzismo e la xenofobia sono ampiamente presenti negli stadi di calcio. Nell’Europa centrale e orientale sugli spalti risuonano slogan contro i rom, a prescindere dal fatto che giochi una squadra con tifosi e sostenitori rom.

La popolarità del gioco deve rappresentare un’opportunità per combattere il razzismo, promuovere la consapevolezza e dare il buon esempio. La Commissione europea e i governi degli Stati membri devono prendere parte, con i club calcistici, alla lotta contro l’odio razziale manifestato sui campi di calcio. Occorre imporre sanzioni più severe di quelle che si sono viste finora, per qualsiasi incidente di stampo razzista; inoltre, è indispensabile che la UEFA e le leghe nazionali applichino le norme disciplinari in maniera rigorosa e sistematica.

 

20. Rispetto degli obblighi degli Stati di bandiera – Responsabilità civile e garanzie finanziarie degli armatori (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:

– la relazione (A6-0058/2007), presentata dall’onorevole Marta Vincenzi a nome della Commissione per i trasporti e il turismo, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera [COM(2005)0586 – C6-0062/2006 – 2005/0236(COD)], e

– la relazione (A6-0055/2007), presentata dall’onorevole Gilles Savary a nome della commissione per i trasporti e il turismo, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla responsabilità civile e alle garanzie finanziarie degli armatori [COM(2005)0593 – C6-0039/2006 – 2005/0242(COD)].

 
  
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  Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, esiste ormai una solida struttura normativa comunitaria nel settore della sicurezza marittima, ma rimane ancora molto da fare. La Commissione intende integrare tale struttura con un nuovo pacchetto di misure volte a rafforzare la prevenzione degli incidenti e a valutare in maniera più efficace le loro conseguenze. Inoltre, presentando sette proposte, la Commissione ha tenuto in massima considerazione le risoluzioni relative al rafforzamento della sicurezza marittima adottate dal Parlamento a seguito dell’incidente della Prestige. Sono proprio queste su cui ci concentriamo.

Le amministrazioni marittime europee, pertanto, potranno offrire un quadro esemplare. Nessuna nave potrà sfuggire al controllo all’interno dei porti europei. L’espletamento dei controlli da parte degli ispettori, vale a dire delle società di classifica, sarà molto più rigido. Un chiaro processo decisionale permetterà l’accoglienza nei depositi delle navi in pericolo. Gli operatori faranno fronte meglio alle loro responsabilità nei confronti dei passeggeri o di terzi. Infine, sarà possibile fornire informazioni sistematiche in merito agli incidenti.

Sono lieto che il Parlamento europeo condivida l’approccio ambizioso proposto dalla Commissione. I vostri relatori hanno lavorato in modo eccellente. La Commissione ribadisce l’impegno a valutare contemporaneamente le sette proposte e a salvaguardare l’approccio per “pacchetti”, al fine di assicurare l’efficacia e la coerenza delle misure presentate. Per ragioni tecniche, avete chiesto di esaminare anticipatamente due delle sette proposte.

Con la presentazione di una proposta relativa alla responsabilità degli Stati di bandiera, la Commissione intende colmare un vuoto nel sistema di sicurezza europeo. E’ compito delle amministrazioni degli Stati membri assicurarsi che le navi che battono la loro bandiera applichino le norme di sicurezza. E’ evidente che la situazione in Europa deve essere migliorata. Non è normale che alcuni Stati membri figurino nella lista grigia – se non in quella nera – del protocollo d’intesa di Parigi. E non è normale che i tassi di fermo di navi battenti bandiere europee siano così eterogenei, dallo 0,9 per cento al 24,14 per cento dei casi estremi per il periodo compreso tra il 2003 e il 2005, secondo quanto emerge dai dati del protocollo d’intesa di Parigi.

Siamo chiari. Qui non si tratta di imporre agli operatori o alle autorità nazionali un nuovo livello di requisiti burocratici, né di adottare nuove norme in materia di sicurezza, ma di fare in modo che quelle già esistenti vengano effettivamente applicate. La proposta della Commissione mira semplicemente ad ancorare nel diritto comunitario le regole dell’Organizzazione marittima internazionale, in base alle quali gli Stati di bandiera devono attuare le convenzioni internazionali, nonché a rendere obbligatoria una misura che al momento è solo facoltativa, ossia il sistema di audit dell’OMI. Il nostro obiettivo è quindi garantire alle nostre amministrazioni marittime una qualità ineccepibile e intervenire, su questa base, anche in merito alla qualità delle nostre navi. Così facendo, apporteremo il nostro contributo per evitare possibili episodi di concorrenza sleale tra le imprese europee di trasporto marittimo.

Per quanto riguarda la seconda proposta, l’obiettivo è attribuire una maggiore responsabilità ai proprietari delle navi, rafforzando il regime di responsabilità. La Commissione suggerisce di istituire un minimo di regole, comuni a tutti gli Stati membri, in materia di responsabilità civile e di garanzie finanziarie, nonché di definire norme che consentano effettivamente di prevenire gli incidenti e risarcire i danni. Alcuni obietteranno che esistono già convenzioni internazionali su questa stessa materia. Rispondo che quelle convenzioni non sono perfette, e non lo sono da due punti di vista: primo, non tutte sono entrate in vigore e impiegano persino un tempo interminabile perché ciò avvenga; secondo, anche se queste convenzioni divenissero in futuro realmente operative in tutta l’Europa, esisterebbero comunque e sempre aspetti non regolamentati.

Inoltre, soprattutto in termini di contenuto, queste convenzioni hanno un difetto. Esse consacrano un principio che deve essere aggiornato con urgenza: la limitazione di responsabilità. Più precisamente, tali convenzioni definiscono la soglia oltre la quale il proprietario della nave perde il diritto di limitare la propria responsabilità. Il problema è che questa soglia è fissata a un livello praticamente insuperabile, vale a dire la colpa non scusabile. Una soglia elevatissima è un trattamento di favore nei confronti degli armatori e a detrimento delle vittime, quando i danni subiti sono superiori ai massimali previsti da queste stesse convenzioni. E’ anche un trattamento di favore nei confronti dei cattivi armatori e a sfavore dei buoni. I proprietari di navi rei di colpa grave − che nella scala delle colpe si colloca a un gradino inferiore rispetto alla colpa non scusabile − e responsabili di elevati livelli di inquinamento non dovrebbero più beneficiare del privilegio della limitazione di responsabilità.

La nostra proposta rientra in questo contesto. E’ dunque una risposta immediata finalizzata al superamento delle difficoltà di applicazione delle convenzioni internazionali e un primo passo verso l’aggiornamento di tutti questi testi.

Signor Presidente, è un po’ tardi questa sera perché possa proseguire. Potrei eventualmente rispondere agli onorevoli Vincenzi e Savary, che ringrazio vivamente e senza indugio per l’eccellente lavoro svolto.

 
  
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  Marta Vincenzi (PSE), relatrice. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il pieno rispetto degli strumenti internazionali da parte degli Stati membri potrebbe risolvere problemi che come sappiamo sono di natura economica e sociale e relativi alla protezione ambientale. Il lavoro della Commissione e quello che abbiamo svolto in seno alla commissione trasporti ha teso, nella direttiva in esame, a sottolineare fondamentalmente tre questioni.

La prima: la possibilità per gli Stati di adempiere agli obblighi comunitari con gli strumenti convenzionali già in uso per applicare le regole internazionali. La seconda: non sono gli Stati a dover dimostrare l’applicazione delle norme bensì la Commissione a dimostrare la violazione delle disposizioni e che alcuni spazi di discrezionalità amministrativa, già previsti dalle disposizioni dell’OMI, sono di fatto necessari per adattare alle situazioni nazionali l’applicazione degli obblighi dello Stato di bandiera. Questo lavoro, che è frutto di consultazioni dirette dei rappresentanti sociali e dei referenti istituzionali, è stato apprezzato e appoggiato dalla commissione trasporti.

Io ringrazio tutti i componenti, a partire dai colleghi che hanno presentato emendamenti: al voto di fine febbraio, la proposta emendata e la risoluzione legislativa sono state approvate con consenso unanime; gli emendamenti accolti, presentati e concordati, hanno chiarito un’impostazione condivisa da tutti i gruppi politici e cioè che rafforzare la sicurezza marittima, senza appesantire l’amministrazione pubblica, è possibile e doveroso. Vanno in tal senso le modifiche al regime delle ispezioni, che da obbligatorie diventano facoltative, il sistema delle comunicazioni alla Commissione alleggerite nei contenuti e le garanzie di formazione del personale con obbligo di pratica in mare.

Per favorire il massimo consenso, non ho voluto presentare ulteriori miei emendamenti, in quanto l’obiettivo è ottenere anche in Aula l’unanimità di vedute e l’equilibrio di posizioni che già sono state raggiunte in commissione. Se il Parlamento europeo, Signor Commissario, approvasse con largo consenso di voti e di contenuti questa proposta di direttiva e quella del collega Savary, così come l’abbiamo modificata e discussa, con i gruppi politici schierati compattamente a favore del rafforzamento del pacchetto Erika, penso che potremo contare sulla rispondenza piena dell’opinione pubblica, che oggi è consapevole dei gravi problemi legati alla sicurezza marittima, e riuscire a superare le titubanze delle istituzioni comunitarie e ipotetici passi indietro dell’Unione europea, che oggi noi non auspichiamo, soprattutto a pochi giorni dall’importantissima dichiazione di Berlino.

 
  
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  Gilles Savary (PSE), relatore. − (FR) Signor Presidente, l’eccezione non conferma la regola, ma perché non approfittarne? Ci apprestiamo a legiferare su un pacchetto di sicurezza marittima senza che si sia verificato alcun incidente. Le volte precedenti, abbiamo dovuto condannare il naufragio dell’Erika, un naufragio catastrofico con conseguente inquinamento delle acque e recupero estremamente difficoltoso del relitto, e il naufragio della Prestige, che conoscete meglio di chiunque altro in quanto cittadini spagnoli, e che ha avuto un impatto enorme sulle coste.

Ritengo, pertanto, doveroso ringraziare il Commissario per averci presentato questo pacchetto di sette testi che deve costituire una proposta globale che la Commissione e il Parlamento sottopongono al Consiglio, anche se due di queste proposte sono in una fase un po’ più avanzata. Ci siamo impegnati a fondo su questo tema e desidero, a tal proposito, ringraziare tutti i miei colleghi, in particolare gli altri gruppi politici, per l’eccellente lavoro che abbiamo potuto svolgere e lo straordinario numero di voti che abbiamo ottenuto, testimonianza di una fortissima volontà del Parlamento di dimostrare oggi il proprio consenso in merito al pacchetto “sicurezza marittima”.

Com’è ovvio, spetta a me presentarvi una relazione – probabilmente molto complicata – sulla responsabilità civile dei proprietari delle navi e delle garanzie finanziarie che devono coprire essenzialmente il risarcimento di danni a terzi. Non stiamo parlando di danni tra due imbarcazioni che entrano eventualmente in collisione, o tra le parti coinvolte nel trasporto, ovvero il noleggiatore e l’armatore, bensì di danni subiti da terzi, in particolare danni ambientali.

Ciò che propone la Commissione – e ritengo che sia davvero il minimo che si dovrebbe esigere dagli Stati membri – è di ratificare le grandi convenzioni dell’Organizzazione marittima internazionale in materia di responsabilità e risarcimento danni nei confronti di terzi. Sotto questo aspetto, esiste una convenzione generale che copre tutti i tipi di danni, la LLMC, che non è stata ratificata da alcuni Stati membri, in particolare nella sua versione del 1996. La Convenzione HNS, relativa ai rischi chimici, non è stata ratificata. Oggi, non siamo assolutamente tutelati sul fronte dei rischi chimici, e ancor meno per i rischi causati dal petrolio, e sappiamo bene che ciò che viene trasportato sui mari d’Europa è spesso molto pericoloso. Esistono, inoltre, altre due convenzioni: una sulla protezione della gente di mare abbandonata − avete certamente sentito parlare di situazioni pazzesche in cui i marinai non possono lasciare la nave dopo il fallimento dell’armatore e restano ormeggiati nei porti per mesi −, e una riguardante la responsabilità dei danni causati dai carburanti delle navi, o i cosiddetti sversamenti.

Quello che la Commissione propone è quindi di ratificare queste convenzioni. Il Parlamento ha votato la relativa proposta e ha auspicato di vedere ratificate tutte le convenzioni, in particolare quella sull’inquinamento chimico, che non è stata proposta direttamente dalla Commissione, ma noi sottolineiamo la nostra volontà di ratificarla. In secondo luogo, riteniamo necessario porre in essere un sistema che preveda di escludere i limiti delle responsabilità per le navi appartenenti a Stati che hanno rifiutato di ratificare tali convenzioni, a prescindere che si tratti di paesi terzi o che si tratti di Stati membri ricalcitranti. Ritengo che l’onorevole Jarzembowski tenga molto alla maggiore severità nei confronti delle navi di Stati che non hanno ratificato le convenzioni, in quanto può essere di stimolo a farlo. In questo caso non è più la colpa non scusabile a essere perseguita, ma la colpa grave, che, in quanto tale, rende il sistema di risarcimento e di responsabilità infinitamente più severo.

Infine, abbiamo sostenuto la proposta della Commissione di creare un certificato di garanzia finanziaria e di controllarlo, istituendo, in seno all’Agenzia per la sicurezza marittima o altrove, un ufficio che fornisca informazioni sulla validità dei certificati, in particolare per le navi in transito nelle acque territoriali che non si fermano nei porti, al fine di garantire la massima sicurezza.

Sono convinto, onorevoli colleghi, che questo testo faccia onore al Parlamento europeo e metta gli Stati membri con le spalle al muro. Sono tra coloro che hanno molto sofferto, dopo il naufragio dell’Erika, sentendo un certo numero di capi di Stato e di governo – tra cui il mio – affermare che il naufragio dell’Erika era colpa dell’Europa perché non esiste una normativa, umiliando così l’Europa. Ebbene, oggi la normativa c’è ed è molto rigida e chiediamo al Consiglio e agli Stati membri di avere il coraggio di applicarla.

 
  
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  Luis de Grandes Pascual (PPE-DE) , relatore per parere della commissione giuridica.(ES) Non intervengo, ovviamente, solo a nome mio, ma anche a nome di Antonio López-Istúriz, il quale è stato relatore per parere della commissione giuridica in merito alla relazione Savary.

Come gli onorevoli colleghi sanno, le due relazioni di cui discutiamo oggi, redatte dagli onorevoli Vincenzi e Savary, fanno parte di quello che si è soliti chiamare il terzo pacchetto della sicurezza marittima. L’obiettivo fondamentale delle sette proposte che compongono il pacchetto è rafforzare la sicurezza dei nostri mari. Dato che affrontiamo due relazioni congiuntamente, non trascurerò, in quanto sarebbe una scortesia, la relazione dell’onorevole Vincenzi, che peraltro sosteniamo pienamente.

Mi si permetta, tuttavia, di concentrarmi più nello specifico sulla relazione Savary. Il testo si presenta come un documento coraggioso e prezioso cui vanno il mio elogio e il mio sostegno. Non è un’impresa facile – come non lo è alcuna delle proposte del pacchetto – e non è semplice per tutti accettarla, dal momento che parliamo di responsabilità e garanzie finanziarie degli armatori, e sembra legittimo che in questo settore si voglia attenuare tale responsabilità o rinviare decisioni vincolanti. Non si legga tra le mie parole una critica nei confronti degli armatori; è un loro diritto e le loro posizioni sono legittime.

Anch’io, a suo tempo, ho pensato di non contravvenire ai miei principi e ho sostenuto la tesi secondo cui un tema globalizzato quale la questione marittima dovesse essere di competenza dell’OMI. La mia posizione era in contrasto con l’opinione generale del Parlamento e alla fine mi sono convinto.

Ed è stato meglio così, come dimostra anche il requisito del doppio scafo, di cui si occupò l’indimenticata Loyola de Palacio. Fu l’Unione europea che per prima prese la decisione, poi seguì l’OMI. Se si fosse agito al contrario, il recente incidente avvenuto a Gibilterra avrebbe di certo provocato una nuova enorme catastrofe.

Innanzi tutto, desidero ringraziare per l’approvazione degli emendamenti con cui chiediamo la ratifica obbligatoria della Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni provocati dall’inquinamento da idrocarburi utilizzati per il carburante delle navi. In secondo luogo, mi concentrerò su una tematica che ritengo rilevante e per cui chiedo il vostro appoggio: la creazione di un fondo di solidarietà per coprire i danni causati da una nave che non abbia sottoscritto alcuna garanzia finanziaria.

E’ necessario colmare un vuoto per gli incidenti provocati da navi che, nonostante gli obblighi stabiliti in questa direttiva, circolano nei nostri mari comunitari privi del certificato di garanzia finanziaria. Il risarcimento dei danni causati da una nave priva di garanzie finanziarie non deve in alcun caso essere a carico dello Stato membro, che in fondo non è che una vittima dell’incidente, ma piuttosto, secondo noi, a carico di un organismo che faccia fronte alle responsabilità derivanti da questo tipo di situazioni, al pari di altri già previsti dal diritto comparato.

 
  
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  Georg Jarzembowski, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei sostiene essenzialmente le eccellenti relazioni presentate dagli onorevoli Vincenzi e Savary, rispettivamente, sugli obblighi dello Stato di bandiera e sulla responsabilità degli armatori. Al contempo, desideriamo ringraziare i relatori per essersi occupati di queste questioni con tale competenza.

Contrariamente a quanto temono alcuni ambiti dell’industria navale, nessuna delle due direttive impone realmente nuovi obblighi sostanziali al settore della navigazione o agli Stati membri, e pertanto non incidono negativamente sulla competitività della flotta comunitaria rispetto ai concorrenti dei paesi terzi. Le due proposte anzi contribuiscono solo a rendere finalmente vincolanti per tutti gli Stati membri alcune convenzioni internazionali relative alla sicurezza marittima esistenti da lungo tempo. Se ci soffermiamo su ogni singola proposta degli Stati di bandiera, ci rendiamo conto che è giunto il momento che tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea rispettino gli obblighi assunti nel quadro delle convenzioni internazionali in merito ai controlli sulle loro imbarcazioni. Per ottenere questo non basta semplicemente firmare e ratificare convenzioni. E’ necessario altresì che gli Stati membri mettano finalmente a disposizione strumenti e personale in modo da effettuare ispezioni efficaci sulle navi. Riguardo alla responsabilità degli incidenti in mare, quello che sta realmente accadendo qui è che tutti gli Stati membri vengono finalmente obbligati, attraverso la normativa comunitaria, ad applicare la Convenzione LLMC del 1996. Chiediamo anche l’applicazione della Convenzione HNS del 1996 e della Convenzione Bunker Oil del 2001, che di certo non è una richiesta assurda da farsi agli Stati membri o al settore navale.

Possiamo, quindi, motivare perfettamente la nostra posizione. Chiediamo qualcosa che, va da sé, è nell’interesse pubblico e dell’ambiente, e spero che il Consiglio comprenda tutto questo e sia disposto a comportarsi di conseguenza in merito a entrambi i fascicoli.

 
  
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  Willi Piecyk, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, se dicessi a mia madre che discutiamo di sicurezza marittima alle 23 dopo aver parlato di calcio, probabilmente direbbe che noi di Bruxelles siamo matti. A questo punto sarei d’accordo con lei.

Tuttavia, è positivo che la Commissione abbia presentato questa proposta, perché era necessario farlo. In sede di Commissione sul rafforzamento della sicurezza marittima (MARE), abbiamo chiesto all’Unione europea di intervenire riguardo ai requisiti per lo Stato di bandiera, alla responsabilità e al risarcimento. Ora desidero ringraziare in modo particolare i due relatori e colleghi, gli onorevoli Vincenzi e Savary, poiché entrambe le relazioni sono complesse dal punto di vista del contenuto e politicamente molto controverse. Inoltre, finora non abbiamo udito alcun applauso, tono entusiastico o esclamazioni di approvazione da parte del Consiglio. E’ il motivo per cui, a questo punto, dovremmo ancora una volta far presente al Consiglio che, siccome è evidente che vi sono stati alcuni fraintendimenti, se oggi discutiamo di queste due relazioni non significa che intendiamo tralasciare il pacchetto Erika III con i suoi sette fascicoli, bensì che evidenziamo la particolare importanza politica che rivestono le relazioni in oggetto. Il Consiglio, che su richiesta dell’onorevole Savary cerca di interpretare il concetto di “colpa grave”, sarebbe quindi gravemente colpevole se agisse in base a tale malinteso.

Sono d’accordo con l’onorevole Jarzembowski: l’atteggiamento del Consiglio nei confronti della relazione Vincenzi è difficile da comprendere. Quale problema pone effettivamente integrare nel diritto comunitario le norme vigenti dell’OMI? Analogamente, riguardo alla relazione Savary quale problema scatenerebbe inserire l’inquinamento causato da sostanze chimiche in un regime di responsabilità civile insieme all’inquinamento da idrocarburi? Non può davvero essere un problema. In ogni caso, il buon senso dovrebbe avvalorare tali proposte. Il messaggio delle due relazioni è: gli Stati membri devono assumersi maggiore responsabilità per le navi battenti la loro bandiera, e lo stesso principio deve valere per gli Stati membri e per gli armatori in caso di incidente. Tali questioni hanno accumulato notevole ritardo: pensiamo all’Erika e alla Prestige. Ringrazio la Commissione per le proposte presentate e i relatori. Adesso invitiamo il Consiglio ad agire correttamente e a non essere gravemente colpevole.

 
  
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  Paolo Costa, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, Signor Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, io sono qua soltanto per ribadire quello che è già stato detto dai miei colleghi.

La sicurezza marittima è un tema troppo serio per essere oggetto di atteggiamenti tattici: troppo serio per le esperienze che abbiamo già avuto, per gli incidenti che abbiamo già sperimentato e troppo serio perché non possiamo prevedere che l’incremento dei traffici marittimi aumenterà i rischi in futuro. La Commissione ha quindi agito saggiamente esplorando ogni possibile via per prevenire ogni difficoltà e prepararsi ad ogni eventualità.

E’ questo il motivo, certamente non tattico né banale, per il quale riteniamo che tutte e sette le proposte – tese ad armonizzare le forme di classificazione, a indurre gli Stati a controllare le navi a cui danno la bandiera, a far sì che nei porti si effettuino ispezioni sulle navi, a far sì che siano seguiti gli spostamenti delle navi, a predisporre le modalità d’intervento in caso di incidente, a verificare o a gestire le responsabilità, sia nei confronti di terzi sia nei confronti dei passeggeri – non possano non essere positivamente portate avanti assieme.

Il fatto che le due relazioni in esame siano state votate entrambe con un’ampia maggioranza, una addirittura letteralmente all’unanimità, pone in evidenza il modo in cui è stata recepita la sensibilità dei cittadini europei, che noi siamo chiamati a rappresentare, confermando altresì che questa è la strada da seguire.

L’approvazione di queste due prime relazioni questa sera è un messaggio rivolto a tutte le istituzioni europee: alla Commissione, che ce le ha messe sul tappeto, affinché continui a insistere sulla sua posizione, e al Consiglio, affinché si dimostri disponibile a far progredire veramente il capitolo della sicurezza marittima, evitando in tal modo di doverci trovare fra qualche tempo – Dio non voglia – a rimpiangere di non essere intervenuti per tempo quando potevamo farlo per evitare potenziali disastri.

 
  
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  Mary Lou McDonald, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EN) Signor Presidente, desidero iniziare ringraziando gli onorevoli Vincenzi e Savary per il loro prezioso lavoro. Non c’è dubbio che il settore marittimo sia uno degli ambiti che richiedono una regolamentazione più severa. L’autorizzazione a battere bandiera delle navi è una questione fondamentale, cui la International Transport Workers’ Federation ha attribuito priorità nella sua campagna sulle bandiere ombra. Ritengo sia essenziale, soprattutto riguardo al testo dell’onorevole Vincenzi, che la relazione venga adottata al fine di assicurare che gli Stati membri rispettino gli impegni internazionali assunti in materia.

Abbiamo assistito a controversie come quella che ha riguardato la Irish Ferries e altre ancora nel settore, in cui il cambio di bandiera è stato utilizzato quale sistema per licenziare lavoratori o per pagare retribuzioni basse per ore e condizioni di lavoro incerte, nonché per eludere la regolamentazione sul lavoro nel paese di appartenenza. I lavoratori del settore dei trasporti marittimi hanno ora bisogno di un intervento attraverso la serie di strumenti che miglioreranno la regolamentazione del loro comparto e la qualità della loro vita lavorativa.

Sono certa che il Parlamento adotterà tali relazioni. E’ dovere del Consiglio e indubbiamente dei singoli Stati membri reagire di conseguenza e adempiere alle loro responsabilità.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE). (PL) Signor Presidente, desidero congratularmi e ringraziare gli onorevoli Marta Vincenzi e Gilles Savary per le loro relazioni, che riguardano due regolamenti facenti parte del pacchetto proposto dalla Commissione. Ringrazio la Commissione per aver risposto in modo esauriente alle aspettative di quest’Assemblea.

Desidero concentrare l’attenzione sulla questione della responsabilità civile. Innanzi tutto accolgo con favore la definizione di massimali di responsabilità civile a livelli, secondo me, sufficientemente elevati, tali da consentire alle vittime, nella maggior parte dei casi, di essere adeguatamente risarcite. Non condivido le critiche secondo cui i massimali di responsabilità sarebbero troppo alti, poiché la situazione ideale è quella in cui non si deve versare alcun risarcimento.

Approvo inoltre la garanzia di responsabilità civile obbligatoria in base alla quale spetta agli armatori presentare alle autorità degli Stati membri il certificato attestante l’esistenza di garanzie per danni a terzi. E’ positivo il fatto che tale certificato verrà rilasciato dagli Stati membri, perché così sarà possibile verificare la credibilità e la solidità delle società.

E’ altresì con soddisfazione che do il mio sostegno all’obbligo di notificare la presenza di tale certificato. Ritengo sia utile ampliare il concetto di colpa grave per consentire di ritenere responsabile chi ha commesso violazioni. Suggerisco pertanto di favorire un’interpretazione della nozione di colpa grave più ampia, prendendo in considerazione il concetto di condotta professionale.

 
  
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  Josu Ortuondo Larrea (ALDE). – (ES) Signor Presidente, signor Commissario, viviamo nell’era della globalizzazione, che indubbiamente ha i suoi lati positivi e negativi, ma che fortunatamente ci permette di essere consapevoli delle enormi conseguenze che attività umane e sviluppo hanno sul pianeta. Nello specifico, l’ambiente marino, che ci offre moltissimo in termini di risorse alimentari, tempo libero e mezzi di trasporto, è costantemente inquinato da scarichi terrestri e marittimi.

Di questo inquinamento la proporzione minore è la conseguenza di incidenti inevitabili, mentre la maggior parte è provocata da armatori e vettori che si comportano ancora in modo irresponsabile, ignorando le regole internazionali e le pratiche in materia di sicurezza.

I casi specifici della Prestige e dell’Erika sono stati episodi di rilievo, tuttavia non si deve dimenticare l’inquinamento generato ogni giorno dagli scarichi incontrollati delle sentine e dalla pulizia dei serbatoi. Pertanto abbiamo il dovere di ricorrere a tutti i controlli e a tutte le risorse di cui disponiamo al fine di porre termine a questo comportamento criminale. Dobbiamo inoltre esigere che tutti gli Stati di bandiera adempiano alle loro responsabilità, che dispongano di ispettori qualificati ed esperti e che le loro autorità portuali ispezionino le condizioni degli scafi e garantiscano il rispetto delle norme sullo smaltimento dei rifiuti.

Infine, per quanto riguarda l’ultimo aspetto, desidero insistere sul fatto che la Commissione avanzi una proposta di legge che obblighi tutte le navi a trasportare dispositivi automatici per la registrazione dei livelli dei liquidi contenuti in sentine e serbatoi. Tali dispositivi avranno la funzione delle scatole nere negli aeroplani, permetteranno cioè di individuare i reati contro l’ambiente marino. Questo è il solo modo di conseguire il nostro obiettivo.

Desidero concludere congratulandomi con i relatori per l’eccellente lavoro svolto.

 
  
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  Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, innanzi tutto permettetemi di ringraziarvi e di congratularmi con voi. Ritengo che il testo, nonostante venga discusso a un’ora tarda, cosa di cui mi rammarico un po’, dimostri come ormai il Parlamento sia ampiamente il garante dell’interesse generale europeo. Sono grato a tutti i deputati che si sono impegnati a fondo riguardo alle relazioni in oggetto. Sono convinto che, in effetti, abbiamo qui un pacchetto di misure che non deve essere suddiviso. Queste sette proposte fanno parte di un insieme unico e ci consentono di rendere più sicura l’intera catena di trasporti marittimi, e perciò ritengo che occorra tutelare tali pacchetti.

Per prima cosa vorrei affrontare la relazione dell’onorevole Vincenzi. Desidero anzi tutto ricordare che tale approccio specificamente europeo non sembra incompatibile con l’approccio globale in seno all’Organizzazione marittima internazionale (OMI). Tuttavia, è vero che, grazie alla Comunità, possiamo promuovere in sede di OMI un metodo volto a far sì che le norme internazionali siano applicate in modo più efficace da tutti gli Stati di bandiera. Tale approccio non è inconciliabile con quello che consiste, a livello comunitario, nel garantire fin d’ora che ogni Stato membro disporrà di una bandiera di qualità. In futuro, sarà la qualità stessa delle bandiere che li renderà più allettanti e che ci permetterà inoltre di tutelare in maniera più adeguata un utilizzo comunitario ad alto livello nel settore marittimo. Le compagnie di navigazione beneficeranno di tale miglioramento, dal momento che le bandiere di qualità comporteranno minori controlli nei porti. Quindi ringrazio ancora una volta l’onorevole Vincenzi.

Inoltre, signor Presidente, rifacendomi essenzialmente al lavoro svolto dalla commissione, vorrei aggiungere che non condivido le reticenze del Consiglio e pertanto torno su alcuni emendamenti.

Con gli emendamenti nn. 25 e 26 modificate la presentazione dei criteri che determinano le ispezioni supplementari che devono essere eseguite dall’amministrazione dello Stato di cui la nave batte bandiera. Posso essere d’accordo, ma con una riserva: le navi che non sono state ispezionate negli ultimi 12 mesi a titolo dei controlli da parte dello Stato di approdo non devono essere dispensate da tali inchieste. Quindi gli emendamenti nn. 25 e 26 possono essere rielaborati, se non addirittura perfezionati.

Per quanto riguarda gli emendamenti nn. 43, 44 e 52, penso che indeboliscano la proposta, riducendo i requisiti relativi all’assunzione di ispettori dello Stato di bandiera. Non ritenete necessario mantenere una qualifica di alto livello? Perciò tali emendamenti mi pongono davvero un problema, e non posso accoglierli.

Se molti altri emendamenti chiariscono la situazione, alcuni, quali gli emendamenti nn. 2, 6, 13 e 17, rischiano di creare una certa confusione, poiché si riferiscono agli strumenti dell’Organizzazione internazionale del lavoro e trascendono il campo di applicazione della proposta. Non posso quindi accoglierli.

Desidero infine ricordare gli emendamenti nn. 4 e 12, che attribuiscono alle autorità degli Stati membri e agli operatori privati la possibilità di rivolgersi direttamente al Comitato per la sicurezza marittima e la prevenzione dell’inquinamento provocato dalle navi. Tuttavia, tali emendamenti trascurano il diritto di iniziativa appartenente esclusivamente alla Commissione, nell’espletamento di competenze d’esecuzione a lei conferite. La Commissione non può pertanto accoglierli.

Ora alcune osservazioni che nulla tolgono al mio sostegno al lavoro assolutamente lodevole dell’onorevole Vincenzi. Anche su questo punto, sono del tutto convinto che gli Stati membri debbano accettare di procedere in questo modo. Ciò è assolutamente essenziale e, sul lungo periodo, sarà un vantaggio competitivo avere bandiere di qualità.

Passo ora, signor Presidente, alla proposta dell’onorevole Savary e colgo l’occasione per ringraziarlo. Egli ha sottolineato che le due proposte di questa sera precorrono i tempi. Infatti, se vogliamo migliorare, è necessario compiere alcuni tentativi al fine di impegnare gli Stati membri in una politica e in una strategia molto più coraggiose e determinate per evitare altre maree nere.

La direttiva ci permetterà di rafforzare la protezione delle vittime? Senza dubbio! L’introduzione di un sistema di garanzia finanziaria obbligatoria imposto a tutte le navi che entrano in acque europee, come ha giustamente rilevato l’onorevole Savary, è un’innovazione nel mondo marittimo. Le garanzie finanziarie dovranno essere affidabili e accessibili, ed è per questo motivo che proponiamo che le autorità pubbliche verifichino a priori la solidità della copertura assicurativa e prevediamo che le vittime possano rivolgersi direttamente alle compagnie di assicurazione per far valere i loro diritti.

Sarà altresì contemplata la protezione delle vittime nella misura in cui sia garantito un risarcimento minimo. Tale minimo corrisponde ai criteri della Convenzione sulla limitazione della responsabilità per crediti marittimi (nella versione del 1996), che, d’altronde, sono sufficienti nella maggior parte dei casi. Tuttavia, è vero che talvolta la direttiva prevede di eliminare la limitazione della responsabilità civile dei proprietari delle navi affinché le vittime ottengano un risarcimento in base al pregiudizio subito.

Pertanto, signor Presidente, onorevoli deputati, si può affermare che questa proposta di direttiva imprime un impulso deciso al nostro diritto marittimo. Desidero esprimere ancora una volta la mia gratitudine per il coraggio dimostrato nell’affrontare una certa opposizione e nel promuovere una modernizzazione del diritto privato marittimo. In effetti, alcuni principi del diritto marittimo in vigore non sono più giustificabili, con conseguente deresponsabilizzazione degli operatori. Il nostro obiettivo è creare una marina mercantile di qualità, una nostra flotta e navi di paesi terzi in transito.

Passo ora alla proposta dell’onorevole Savary. Lo scopo è proprio una marina mercantile di qualità, una nostra flotta e navi di paesi terzi in transito, e che le vittime possano ottenere un risarcimento adeguato al danno subito, soluzione, questa, che gli attuali principi del diritto non permettono. Gli emendamenti chiave nn. 10 e 20 in merito a colpa grave e colpa non scusabile vanno in quella direzione e li appoggiamo.

E’ stata inoltre data prova di lucidità nel migliorare e chiarire un certo numero di elementi nella proposta: gli emendamenti nn. 9, 11, 14 e 19.

Sono state introdotte nuove disposizioni che ci sembrano molto valide, più in particolare gli emendamenti nn. 16 e 17 sull’obbligo per gli Stati membri di ratificare immediatamente le convenzioni in sospeso.

Rimangono comunque alcuni emendamenti di cui possiamo accettare il fondamento, ma che non possiamo accogliere del tutto. Si tratta degli emendamenti nn. 23, 26 e 27 che si riferiscono alla creazione di un nuovo ufficio comunitario incaricato della gestione dei certificati di garanzia. L’idea è di certo molto interessante, ma è proprio indispensabile istituire una nuova struttura quando già esiste l’Agenzia europea per la sicurezza marittima? A quali funzioni assolverebbe? Capite perfettamente che speriamo in un’ulteriore dettagliata analisi degli effetti di tali emendamenti.

Ora passo all’emendamento n. 25, che prevede la creazione di un fondo di solidarietà. Non siamo convinti della necessità di questo nuovo organismo. Sarà davvero utile, una volta che la direttiva è stata attuata, visti gli esigui casi residuali? E inoltre, a parte le difficoltà pratiche legate all’istituzione di tale fondo, in che modo possiamo impedire che i “buoni” armatori paghino anche per i “cattivi”?

Questi i miei commenti nell’essenziale. Al Segretariato del Parlamento verrà trasmesso per le due proposte in questione un elenco completo degli emendamenti e della posizione della Commissione in merito a ciascuno. Tuttavia, a prescindere dalle riserve che ho espresso riguardo a certi emendamenti, mi permetta, signor Presidente, di congratularmi per un lavoro parlamentare di indubbio valore. Desidero ringraziare ancora una volta i relatori, l’onorevole Costa e tutti i membri della sua commissione e, in generale, quest’Assemblea per l’eccellente operato, che, spero, ci permetterà di progredire nell’ambito della sicurezza marittima, di cui abbiamo più che mai bisogno, considerato lo sviluppo del trasporto marittimo e senza dimenticare che, ormai, l’Europa riunificata comprende, oltre al Mediterraneo e all’Atlantico, anche il Mar Nero e il Mar Baltico. Abbiamo perciò un dovere imperativo di compiere progressi. I miei ringraziamenti vanno al Parlamento per averlo compreso e per averci sostenuto come ha fatto.

 
  
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  Presidente. – La discussione congiunta è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

 

21. Integrazione dei nuovi Stati membri nella PAC (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0037/2007), presentata dall’onorevole Csaba Sándor Tabajdi a nome della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, sull’integrazione dei nuovi Stati membri nella politica agricola comune (PAC) [2006/2042(INI)].

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE), relatore. – (FR) Signor Presidente, l’integrazione dei dieci nuovi Stati membri è una questione molto complicata. Nella mia relazione d’iniziativa ritengo di aver tentato di analizzare gli effetti, le conseguenze dell’adesione dei dieci nuovi paesi membri, dal momento che, in generale, stiamo parlando della riuscita di tale processo. Occorre tuttavia esaminare esattamente quali sono i risultati nei vari settori.

Per quanto concerne il bilancio finale dell’adesione per l’agricoltura, malgrado tutte le contraddizioni, devo dire che esso è nettamente positivo. Questa è una situazione di reciproco vantaggio, nel senso che i 15 vecchi Stati membri ne hanno tratto beneficio perché hanno ampliato i loro mercati e sono riusciti a partecipare alla privatizzazione di questo settore nei nuovi Stati membri, con beneficio soprattutto dei produttori, dei commercianti e degli imprenditori agricoli. Ma gli effetti sono stati positivi oltre che per loro anche per i nuovi paesi membri, malgrado tutte le discriminazioni relative ai pagamenti diretti, i quali ne hanno beneficiato dal momento che, da due anni, stanno aumentando del 50 per cento le rispettive sovvenzioni agricole. E’ un grande risultato, nonostante si debba ancora parlare di stabilità dei prezzi, di garanzie e di mercato unico, per esempio.

Per quanto riguarda l’allargamento, l’enorme preoccupazione era che i nuovi Stati membri non provocassero turbative sul mercato unico. Ma questo non è il nostro caso, poiché, non essendosi verificata alcuna turbativa, non è stato necessario ricorrere alla clausola di salvaguardia. Questo è un aspetto molto importante e positivo e, riguardo ai nuovi paesi membri, i produttori hanno saputo utilizzare i fondi dei pagamenti diretti e dello sviluppo rurale, e possiamo affermare che è stata rafforzata la sicurezza alimentare.

Tuttavia, nel contempo, ci sono alcune incongruenze sul fronte dell’allargamento. Esiste una disparità di opportunità tra i produttori dei Quindici e quelli dei Dieci, posto che lo scorso anno gli agricoltori dei nuovi paesi membri hanno ricevuto solo un terzo dei pagamenti diretti del bilancio comunitario. E’ vero che hanno il diritto di integrarli con i bilanci nazionali, ma è incontestabile che non sussiste parità di trattamento. All’inizio, un finanziamento del 25 per cento costituiva davvero una mancanza di coerenza; il 50 o il 60 per cento sarebbe stato più equo e giustificato.

In questi anni non c’è stata concorrenza tra i vecchi e i nuovi Stati membri per quanto riguarda il bilancio, bensì nelle prospettive finanziarie, poiché la “torta” da dividere è la stessa: ci sono 27 paesi membri che spartiscono la medesima torta a causa del blocco proposto da Schroeder e Chirac, che hanno congelato il bilancio comunitario per l’agricoltura.

Onorevoli colleghi, per quanto attiene ai nuovi paesi membri, ritengo che esistano alcune contraddizioni sulle riforme in corso. In più occasioni ho già fatto notare, in particolare al Commissario Fischer Boel, che, in merito alla riforma del settore dei prodotti ortofrutticoli e della viticoltura, benché esistano precedenti storici in questo caso, si delinea una nuova contraddizione, un nuovo genere di discriminazione nei confronti dei nuovi Stati membri.

Infine, nella mia relazione, ho cercato di trarre lezioni per ciò che concerne il futuro della politica agricola comune e penso che la proposta del Commissario Fischer Boel, vale a dire le dotazioni finanziarie nazionali, nel quadro della riforma della viticoltura, potrebbe essere un buon esempio per un esame dell’intera prossima riforma, siccome è evidente che, nel momento in cui sono interessati i 27 Stati membri eterogenei, è necessario giocare di più la carta della sussidiarietà, la carta della flessibilità.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, prima di analizzare nel dettaglio la relazione, desidero ringraziare l’onorevole Tabajdi e i membri della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale per averla elaborata. E’ un’occasione giusta per fare il punto della situazione. Si potrebbe affermare che è una buona fase di riscaldamento per il nostro dibattito sul controllo dello stato di salute della politica agricola comune.

Sono pienamente d’accordo con il relatore quando sostiene che l’integrazione dei dieci nuovi Stati membri si è rivelata una situazione di reciproco vantaggio. Desidero richiamare l’attenzione su tre diversi aspetti. Innanzi tutto, lo sviluppo positivo del reddito del settore agricolo nei nuovi Stati membri. Ritengo che questo fattore rivesta una grande importanza, poiché un buon reddito non offre solo una vita decente ma anche la sopravvivenza a lungo termine del settore agricolo. Se esaminiamo i dati relativi al reddito all’interno dei dieci nuovi Stati membri, osserviamo un aumento effettivo del 60 per cento dal 2004 al 2006 rispetto ai dati del 2003. Se analizziamo i dati dello stesso periodo nei vecchi Stati membri, l’UE a 15 ha registrato un calo del 2 per cento. Ritengo che questo dimostri inequivocabilmente come i nuovi Stati membri abbiano beneficiato della loro adesione alla politica agricola comune. Ci auguriamo che lo stanziamento di fondi abbia significato comprendere chiaramente, nelle zone rurali, l’importanza dell’adesione.

Per quanto riguarda gli scambi, questione sollevata anche dal relatore, è evidente che tutti hanno tratto profitto dal potenziamento del mercato interno. Ancora una volta si tratta di una situazione di reciproco vantaggio e spero che le tendenze cui abbiamo assistito proseguiranno negli anni a venire.

In materia di sviluppo rurale, un tema di grande rilievo sia per i nuovi Stati membri che per l’Unione europea nel suo insieme, ritengo che le difficoltà riportate nella relazione siano legate a problemi della fase di rodaggio. Lo dimostrano i dati recenti. La totalità dei pagamenti stanziati nel 2006 nel quadro dello sviluppo rurale a favore dei nuovi Stati membri supera di poco i 2,7 miliardi di euro, con un aumento del 21 per cento rispetto ai dati del 2005. Mi auguro che i nuovi Stati membri utilizzino questi finanziamenti in modo costruttivo e sono ottimista riguardo alla loro capacità di applicare pienamente il programma del nuovo esercizio finanziario dal 2007 al 2013.

Questo mi porta a parlare dello stato di salute. Formalmente, l’attuazione della riforma della PAC da parte dei nuovi Stati membri non è soggetta alla clausola di revisione. Tuttavia, ritengo che si debba approfittare di questo controllo dello stato di salute per cercare di risolvere nel corso delle nostre discussioni nel 2008 il maggior numero di difficoltà comuni incontrate da tutti i 27 Stati membri.

Auspico una cooperazione estremamente costruttiva su questi temi con la commissione per l’agricoltura. Avere un settore agricolo molto forte all’interno dell’Unione europea è di grande interesse reciproco per tutti noi.

 
  
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  Albert Deß, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, desidero ringraziare di cuore il relatore, l’onorevole Tabajdi, per il compromesso che abbiamo raggiunto insieme e su cui si basa la sua relazione. Prima dell’adesione dei dieci nuovi Stati membri, quando giravo la Baviera e la Germania in generale in qualità di politico responsabile per dell’agricoltura, molti agricoltori in Germania hanno dichiarato di temere che l’allargamento avrebbe avuto un impatto negativo sul settore nei vecchi Stati membri dell’Unione. Ci si aspettava un crollo dei prezzi di determinati prodotti. Durante le mie visite nei paesi candidati ho riscontrato che anche lì gli agricoltori manifestavano grosse riserve e paure riguardo all’adesione all’Unione europea. Oggi possiamo affermare che sia a est che a ovest le paure erano in gran parte infondate.

L’integrazione dei nuovi Stati membri nella politica agricola comune è fondamentalmente positiva. Nell’insieme, i soggetti interessati dei nuovi Stati membri, com’è già stato indicato, hanno beneficiato di mercati e prezzi più stabili e di migliori opportunità commerciali. L’industria alimentare di trasformazione e i grossisti di prodotti alimentari dell’UE a 15 hanno tratto vantaggio dall’aumento delle esportazioni e dalle enormi possibilità di investire nei nuovi Stati membri. La relazione sottolinea che finora il processo di integrazione dei nuovi Stati membri ha sortito complessivamente ottimi risultati. Si sono riscontrate forti difficoltà nel mercato degli ortofrutticoli e a causa del blocco ingiustificato alle importazioni polacche da parte della Russia e dell’Ucraina. La Commissione e il Consiglio sono invitati a reagire più rapidamente ai problemi specifici dei nuovi Stati membri. Nella relazione si mette in risalto il fatto che la produzione di biomasse e bioenergia svolgerà un ruolo strategico nel futuro del settore agricolo comunitario. Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico-cristiano) e Democratici europei sostiene il compromesso negoziato, sebbene nutra alcune riserve sulle implicazioni finanziarie.

 
  
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  Bogdan Golik, a nome del gruppo PSE. − (PL) Signor Presidente, ritengo che l’ora a cui si tiene questa seduta la dica lunga sulle relazioni dell’Unione europea con i nuovi Stati membri: è mezzanotte meno dieci e stiamo discutendo dell’importante questione dell’adesione dei nuovi Stati membri alla politica agricola comunitaria, che è anche l’unica politica comune dell’Unione europea.

Innanzi tutto, desidero congratularmi con l’onorevole Csaba Tabajdi per l’iniziativa di redigere una relazione sulle conseguenze dell’adesione dei nuovi Stati membri alla PAC e per i diversi mesi di profondo impegno su una tematica che per noi, nuovi Stati membri, è di fondamentale importanza.

L’esperienza dei nostri primi anni di adesione ha rivelato diversi aspetti positivi dell’integrazione, tra cui una maggiore dinamicità dei cambiamenti sociali nelle regioni rurali, prodotti alimentari di migliore qualità e più sicuri, un maggiore benessere degli animali nonché l’aumento delle esportazioni. Dobbiamo tuttavia tener presente che, negli anni antecedenti l’ingresso nell’Unione, il settore agricolo dei nuovi Stati membri funzionava su presupposti ben diversi rispetto all’agricoltura dei vecchi Quindici, in assenza di sovvenzioni dirette o qualsiasi strumento a garanzia di una produzione stabile.

Tutto ciò rende ancora più ingiusta e immotivata la decisione di assegnare ai nuovi Stati membri importi di aiuti diretti inferiori a quelli stanziati a favore degli agricoltori della vecchia UE, mentre quote di produzione inadeguate incidono in modo negativo sulla competitività del settore agricolo dei nuovi Stati membri, ma non nei vecchi Quindici.

Per questa ragione è importante che, mentre valutiamo la struttura attuale e discutiamo in merito al futuro del modello agricolo europeo per la campagna 2008-2009, ci concentriamo in particolare sul tentativo di allineare maggiormente tali aiuti alle reali necessità e aspettative della società di questi paesi.

 
  
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  Tchetin Kazak, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Tabajdi per l’eccellente lavoro svolto quale relatore.

Ho letto il contenuto della sua relazione con grande interesse e l’ho trovata decisamente istruttiva per il mio paese, la Bulgaria, nonché indicativa delle difficoltà cui i dieci nuovi Stati membri hanno dovuto far fronte venendo a contatto, per la prima volta, con la PAC.

Nel corso del periodo di preadesione, la Bulgaria, al pari degli altri dieci paesi, ha compiuto sforzi notevoli al fine di recepire l’acquis e istituire il quadro istituzionale necessario all’attuazione della PAC. I programmi di partenariato finanziati dall’Unione europea sono stati di prezioso aiuto nella realizzazione di tale obiettivo.

Tuttavia, si deve ammettere che agricoltori e società rurale in Bulgaria non sono preparati alle nuove possibilità e sfide emerse. L’Unione europea ha concesso aiuti allo sviluppo del settore agricolo del mio paese. Nonostante ciò, la complessità delle disposizioni da soddisfare e il ritardo accumulato nel processo decisionale hanno fatto sì che il programma SAPARD iniziasse con un ritardo considerevole e che una parte rilevante dei finanziamenti non sarà utilizzata se non dopo l’adesione.

Grazie ai pagamenti diretti, alle misure di sviluppo rurale e ai regimi agrari degli aiuti di Stato, la Bulgaria, esattamente come i dieci nuovi Stati membri, può istituire un sistema più appropriato per lo sviluppo della propria agricoltura e della società rurale. Tuttavia, è necessario semplificare ulteriormente alcune norme.

Infine, in Bulgaria, come negli altri dieci paesi, deploriamo l’introduzione graduale dei pagamenti diretti. Non è ovviamente nostra intenzione metterli in discussione, poiché ci rendiamo conto che si tratta di un impegno irrevocabile, inscritto nel Trattato di adesione.

Pertanto, onorevoli colleghi, vi chiedo di adottare questa relazione dell’onorevole Tabajdi, in quanto ritengo che sia estremamente obiettiva, che rappresenti un approccio costruttivo riguardo alle difficoltà affrontate dai dieci nuovi Stati membri e che formuli raccomandazioni intese a contribuire a una più efficace riforma della PAC.

 
  
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  Janusz Wojciechowski, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, la relazione presentata dall’onorevole Tabajdi ha fornito un’immagine edulcorata degli effetti dell’allargamento dell’Unione europea. Nonostante sia d’accordo sul fatto che l’allargamento abbia avuto alcune conseguenze positive per l’agricoltura, per i nuovi come per i vecchi Stati membri, esiste tuttavia un rovescio della medaglia meno ottimistico.

L’Unione europea di cui siamo cittadini non è la stessa a cui abbiamo aderito. Siamo entrati in un’Unione che era una sorta di fan club dell’agricoltura, mentre ora è un’Unione che la sta eliminando poco per volta. Tutte le cosiddette riforme dei mercati dello zucchero, dei prodotti ortofrutticoli, del vino o del tabacco hanno un unico obiettivo, vale a dire esortare gli agricoltori a produrre meno o, ancora meglio, nulla. Minore produzione agricola, meno problemi per la burocrazia.

Siamo entrati nell’Unione europea con la speranza di sviluppare, insieme ai vecchi Stati membri, il nostro settore agricolo. Invece ci ritroviamo in un’Unione in cui, con i vecchi paesi membri, iniziamo ad abbandonarlo. Partecipiamo a una politica miope che pregiudica la sicurezza alimentare europea. Occorre modificare tale politica, altrimenti l’Europa diventerà affamata, e un’Europa affamata non sarà in grado di sopportare un’ulteriore integrazione.

 
  
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  Dumitru Gheorghe Mircea Coşea, în numele grupului ITS. – Domnule Preşedinte, doamnă comisar, apreciez raportul domnului Tabajdi, deşi acesta nu cuprinde niciun aspect legat de o ţară mai nouă, ca de exemplu România. Este un raport care reprezintă o lecţie pentru noile state membre şi aş vrea să subliniez un lucru care ne interesează foarte mult, şi anume că politica agricolă comună ar trebui să fie mai flexibilă în ceea ce priveşte specificul şi trăsăturile acestor două noi ţări membre, România şi Bulgaria.

România are o tradiţie în agricultură, dar şi moşteniri comuniste care o fac să aibă un mare decalaj faţă de agricultura europeană. De aceea, cred că dacă această politică agricolă comună europeană s-ar apleca mai mult asupra trăsăturilor specifice României, am putea să eliminăm mai repede aceste decalaje.

Sugerez doamnei comisar, precum şi autorului acestui raport, pe care îl felicit încă o dată, să se aplece asupra a trei propuneri pe care doresc să le fac: în primul rând, să se acorde o mai mare atenţie organizaţiilor de agricultori şi patronale din agricultură, deoarece în aceste noi ţări membre, ele sunt încă la început. În al doilea rând şi foarte important, să se acorde atenţie prevenirii riscurilor în agricultură, riscuri care sunt în ultimul timp majore din punct de vedere climatic, al catastrofelor naturale şi chiar al unor disfuncţionalităţi ale pieţei. Şi, în al treilea rând, un lucru important este sprijinirea proiectelor de dezvoltare rurală, mai ales în zonele frontaliere, pentru că avem de învăţat de la ţările care au o tradiţie mai îndelungată decât noi în cooperare.

 
  
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  Peter Baco (NI). – (SK) Apprezzo l’iniziativa e l’enorme mole di lavoro svolto dal relatore. Il suo testo evidenzia apertamente gli effetti discriminatori della politica agricola comune sull’agricoltura dei nuovi Stati membri. Tuttavia, nell’intento di garantire l’approvazione della relazione, il suo contenuto è stato tracciato al fine di suggerire qualcosa che rasenta l’utopia. L’argomentazione secondo cui nuovi e vecchi Stati membri dovrebbero essere soddisfatti dal momento che i nuovi Stati membri ricevono finanziamenti maggiori e i vecchi hanno acquisito in cambio una quota rilevante del loro mercato alimentare non sta in piedi. Il fatto che parte dell’Unione europea è costantemente in declino, mentre il resto è in espansione, va contro non soltanto alla lettera ma anche allo spirito della politica agricola comune e dei principi dell’UE. Durante il processo di adesione i settori agricoli dell’UE a 15 erano in crescita, mentre nei nuovi Stati membri la produzione agricola era diminuita di un terzo. Non è vero che tale situazione è da ricondurre all’incapacità dei contadini dei nuovi Stati membri di adeguarsi al mercato. E’ da attribuirsi a ragioni politiche. La cosa peggiore è che il collasso dell’agricoltura nei nuovi Stati membri è stato in realtà acquisito come dato permanente sotto forma dei cosiddetti punti di riferimento storici utilizzati per stabilire parametri di sostegno discriminatori per i nuovi Stati membri.

Gli effetti contraddittori della nuova politica agricola comune su nuovi e vecchi Stati membri sono proseguiti anche dopo l’adesione della Slovacchia all’UE. Gli effetti delle riforme relative ai prodotti di base adottate di recente lo confermano, e lo dimostra altresì il vertiginoso aumento delle importazione di prodotti alimentari nei nuovi Stati membri. Lo scorso anno nella sola Slovacchia si è registrata una crescita del 60 per cento delle importazioni di prodotti alimentari rispetto all’anno precedente. Inoltre, secondo lo scenario previsto per il 2020, i nuovi Stati membri rimarranno una fonte di materie prime per la produzione di alimenti per animali e di biomassa nel settore energetico. In base a questo scenario, il valore aggiunto sarà creato nell’UE a 15.

Il messaggio che vuole trasmettere questa relazione è pertanto inequivocabile. Signor Commissario, mi piacerebbe che valutasse la situazione sotto questa luce e non nel modo in cui emerge dalla sua dichiarazione. Occorre riformare la concorrenza interna fra vecchi e nuovi Stati membri all’interno dell’Unione al fine di elaborare effettivamente procedure comuni e uniformi per tutti gli Stati dell’UE e rafforzare la competitività globale del settore agricolo europeo. Dobbiamo concentrarci principalmente su costi inferiori, qualità più elevata e una commercializzazione più efficace.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, sono trascorsi tre anni dal grande allargamento dell’Unione europea che ha interessato dieci nuovi Stati, i quali si basano su modelli molto diversi di agricoltura, motivo per cui si è resa necessaria una ristrutturazione estremamente onerosa.

L’Unione non ha proposto buone condizioni per l’integrazione dei nuovi Stati membri nell’agricoltura. Le quote di produzione concesse sono troppo basse, e gli aiuti diretti sono partiti da una base pari al 25 per cento dell’importo destinato ai vecchi Quindici.

Modifiche sfavorevoli della politica agricola comune sono state apportate nel giugno 2003 a Lussemburgo, in occasione di una riunione dei ministri dell’Agricoltura dei vecchi Quindici, quando noi non avevamo ancora il diritto di votare. Ne è conseguito un rallentamento del processo di riorganizzazione dell’agricoltura nei nuovi paesi, anche se, è d’uopo sottolinearlo, vi sono visibili risultati positivi.

La relazione presentata è eccessivamente ottimista e si occupa troppo poco dei problemi e delle difficoltà e troppo dei successi. Occorre impegnarsi ulteriormente nell’ambito della revisione della PAC del prossimo anno.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN). – (PL) Signor Presidente, per i nuovi Stati membri il processo di adeguamento alle norme della PAC si è tradotto in elevati costi sociali ed economici. Tali costi sono emersi in conseguenza di condizioni storiche, ma anche di aiuti diretti inferiori a quelli ricevuti dai vecchi Stati membri e dell’evidente riluttanza di Commissione e Consiglio a concedere un qualsiasi sostegno ai nuovi Stati membri. I casi in questione riguardano i frutti di bosco, il divieto imposto da Russia e Ucraina sulle esportazioni polacche e le importazioni di miele da paesi terzi.

Questa situazione dà adito a una serie di domande. Esiste di fatto una politica agricola comune? Se esiste, perché i nuovi Stati membri non ricevono gli aiuti dovuti non solo sui mercati esteri ma anche sul mercato interno? Perché si è aperto il mercato ai prodotti geneticamente modificati, che tolgono spazio ai prodotti sani e biologici dei nuovi Stati membri dell’UE? E infine, cosa ne sarà delle aziende agricole a conduzione familiare che costituiscono le fondamenta del sistema agricolo in molte regioni dell’UE e che oggi sono sull’orlo del fallimento?

 
  
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  Димитър Стоянов (ITS). – Не съм мислил, че ще го кажа, но съм напълно съгласен с изказването на г-н Казак, с малкото допълнение, че в продължение на шест години Министерството на земеделието в България се държи от министър от неговата партия. Защо не направихте така, г-н Казак, че българските производители да знаят как да си поискат парите, които им се полагат от Европейския съюз. Десет години българите бяха подлъгвани с благините, които ги чакат в Евросъюза, а вместо това накрая получиха жестоки квоти и ужасна бюрокрация, която заплашва напълно да унищожи дребните производители в България. Докато общата земеделска политика не бъде направена така, че да може да достига до всички обикновени хора, без излишни административни пречки, аз в никакъв случай не мога да нарека тази политика обща.

 
  
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  Andreas Mölzer (ITS). – (DE) Signor Presidente, mi consenta infine, giunti a mezzanotte, qualche breve commento. A mio avviso, oggi dobbiamo essere più attenti che mai a mantenere intatte e le nostre strutture agricole e a preservare la nostra autosufficienza. Dobbiamo anche riconoscere che ci troviamo ad affrontare una nuova grande sfida, dal momento che gli agricoltori più anziani stanno scomparendo e che su intere zone della nostra campagna incombe la minaccia dello spopolamento a causa dell’emigrazione. Inoltre, dobbiamo garantire il rispetto delle volontà di quel 70 per cento della popolazione europea che si oppone ai prodotti alimentari geneticamente modificati. Infine, per quanto riguarda i nuovi Stati membri, dobbiamo procedere con sensibilità e ricordarci che, grazie all’adesione all’UE, i prodotti agricoli di quei paesi spesso si rivelano merci d’esportazione di successo, ma causano strozzature negli approvvigionamenti nei paesi d’origine e disastrose guerre dei prezzi in quelli di destinazione.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. – (EN) Innanzi tutto, per quanto riguarda se l’orario previsto per la discussione rifletta o meno l’importanza dell’integrazione dei nuovi Stati membri, posso soltanto affermare che quest’Assemblea è responsabile della propria programmazione. Potrei dire che avrei preferito che la discussione si fosse svolta a un’ora meno tarda, ma devo rimettermi alla programmazione del Parlamento.

L’introduzione graduale dei pagamenti diretti è stato un problema sollevato da quasi tutti voi. Figura altresì in molti paragrafi della relazione. Desidero chiarire che l’introduzione graduale non è stata prevista esclusivamente per ragioni di bilancio. Nel periodo precedente l’adesione, la Commissione ha svolto un’analisi approfondita di tutti i fattori pertinenti. Date queste premesse, la strategia di adesione per la politica agricola comune si è basata su fattori economici, sociali ed ecologici. E’ stato anche necessario promuovere la ristrutturazione essenziale all’interno dei nuovi Stati membri. Tale decisione non è stata presa in occasione del Consiglio dei 15 Stati membri, bensì è stata adottata nel 2002 a Copenaghen, con la presenza quindi di tutti i nuovi Stati membri, che hanno partecipato alla discussione sull’introduzione graduale dei pagamenti diretti. Pertanto eravamo tutti presenti.

Di conseguenza, per quanto attiene alla dichiarazione secondo cui le riforme mirerebbero a sopprimere l’agricoltura, mi sento in dovere di spiegare chiaramente che, in realtà, sono volte invece ad assicurarle un futuro. Inoltre, sono sicura che se Parlamento, Consiglio e Commissione collaborano, possiamo creare un futuro per l’agricoltura europea, sfruttando la competenza che il nostro settore ha per garantire la produzione di prodotti di qualità elevata necessari per il futuro. Ritengo che l’esempio dell’importazione di fragole surgelate dalla Cina dimostri come la collaborazione ci aiuti a trovare soluzioni adeguate.

Si è parlato di discriminazione nella politica agricola comune anche per quanto riguarda i settori vitivinicolo e alimentare. Suvvia! Ritengo si sia cercata una soluzione che permetta ai nuovi Stati membri di integrarsi nelle organizzazioni di produttori del settore ortofrutticolo, assegnando ai nuovi Stati membri una percentuale maggiore di cofinanziamenti, stimolando i loro settori, i loro produttori di ortofrutta ad aderire a queste organizzazioni di produttori in modo da acquisire una posizione più forte nella concorrenza con i grandi settori di vendita al dettaglio.

Pertanto, anziché litigare, uniamo le forze e cerchiamo soluzioni adeguate per la politica agricola comune dell’Unione europea.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Joseph Muscat (PSE), per iscritto. – (MT) A Malta agricoltori e abitanti delle campagne sono vittima anche dei metodi disonesti del governo nazionalista.

Prima dell’adesione di Malta all’Unione europea, il governo del paese ha dato a queste categorie di persone l’impressione che, qualora fosse sorto un problema dovuto all’importazione di prodotti stranieri nell’arco dei primi cinque anni di adesione, il governo avrebbe avuto il diritto di vietare l’ingresso di tali prodotti sulla base della cosiddetta clausola di salvaguardia.

Il partito laburista ha immediatamente dichiarato che non ricorrevano le condizioni per applicare quella clausola. Abbiamo spiegato che essa è applicabile solo in circostanze eccezionali ed estremamente limitate.

Soprattutto, il governo maltese non può decidere di propria iniziativa di ricorrere alla clausola di salvaguardia. Al contrario, dovrebbe dapprima rivolgersi alla Commissione europea, la quale poi adotterebbe tale decisione.

Ora il governo maltese ha cambiato tono.

Malgrado le ripetute denunce da parte di agricoltori e abitanti delle campagne, il governo maltese sostiene che per potersi avvalere della clausola di salvaguardia deve chiedere l’autorizzazione alla Commissione europea e che non si è verificato un caso abbastanza valido per poterlo fare. La Commissione afferma la stessa cosa.

Il tempo ha dimostrato che il partito laburista era nel giusto.

 
  
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  Witold Tomczak (IND/DEM), per iscritto. – (PL) Nel 2004 l’Unione europea ha realizzato l’allargamento più grande e più importante nella sua storia. Perciò è essenziale procedere a una valutazione iniziale di questo avvenimento. L’interrogativo è se la valutazione sarà il più possibile veritiera o distorta, poiché è un aspetto importante per il futuro dell’agricoltura nell’UE.

Se, per un verso, riconosco l’enorme sfida con cui si è confrontato il relatore, non mi trovo tuttavia d’accordo con la formulazione di tutti gli emendamenti di compromesso. Con le cifre non si discute. Ed esse mostrano chiaramente che i nuovi Stati sono stati ingannati. Lo comprovano le statistiche ufficiali dell’UE. Desidero citare i dati relativi alla spesa per lo sviluppo rurale e dell’agricoltura per ettaro di superficie coltivabile negli anni 2007 e 2013.

2007: UE-10: 147,8 euro/ha, UE-15: 365,7 euro/ha

2013: UE-10: 251,5 euro/ha, UE-15: 327,6 euro/ha

Fonte: “Prospettive finanziarie 2007-2013: documento di lavoro del PE n. 9 del 2.12.2004” e “Una PAC alla portata di tutti”. CE Direzione generale dell’Agricoltura, ottobre 2004.

I paesi più poveri, per avvicinare i loro livelli di sviluppo economico a quelli degli Stati più ricchi dell’UE, hanno ricevuto, ricevono e riceveranno dal bilancio comunitario meno sostegno finanziario! La PAC, nella sua forma attuale, contraddice i suoi stessi obiettivi e principi.

Alla luce delle valutazioni generali di cui sopra, vi invito a votare, per il futuro dell’agricoltura europea, secondo coscienza e in base al vostro senso di responsabilità.

 

22. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale

23. Chiusura della seduta
  

(La seduta termina alle 00.05)

 
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