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Giovedì 26 aprile 2007 - Strasburgo Edizione GU

Rapimento del giornalista Alan Johnston a Gaza
MPphoto
 
 

  Richard Howitt (PSE), autore. – (EN) Signora Presidente, con il suo permesso inizierò dicendo che la settimana scorsa più di mille persone tra dipendenti della BBC, amici e colleghi di Alan Johnston si sono raccolte in veglia davanti alle sedi della BBC di tutto il mondo. Do il benvenuto ai collaboratori della sede della BBC di Strasburgo, che, in segno di omaggio per il loro collega rapito, presenziano ai nostri lavori dalla tribuna del pubblico.

(Applausi)

Quando, in qualsiasi parte del mondo, una persona viene rapita, i suoi amici e i suoi familiari si affidano sempre ai media perché mantengano viva agli occhi del mondo e di noi politici la sorte del loro caro. E quando la persona rapita è essa stessa giornalista, spetta a noi tener desta l’attenzione sulla sua vicenda, così come i giornalisti lo fanno per altre persone.

Ciò vale anche nel caso di Alan Johnston, il giornalista della BBC rapito a Gaza 46 giorni fa. Con la sua carriera, Alan è il simbolo vivente dell’ottima reputazione della BBC quanto a integrità e obiettività. Dopo aver lavorato in Uzbekistan e Afghanistan, Alan scriveva ora appassionati reportage sul popolo palestinese, al quale è strettamente legato e per il quale nutre un profondo rispetto. E il suo pubblico lo ha capito, tanto che 50 000 persone hanno firmato questa settimana la petizione on line per chiedere il suo rilascio.

I nostri pensieri vanno, naturalmente, innanzi tutto a Graham e Margaret Johnston e agli altri componenti della sua famiglia, che possono contare sulla nostra partecipazione e sul nostro sostegno.

Desidero rendere omaggio all’impegno di tutti i dirigenti e collaboratori della BBC nonché ai giornalisti e ai sindacati britannici e di tutto il mondo che hanno condotto la campagna per la liberazione di Alan.

Uno dei colleghi presenti qui oggi mi ha detto che Alan è conosciuto molto semplicemente come una persona che dà vita a storie. La nostra storia di oggi è la sua vita. Grazie alla sua coraggiosa presenza a Gaza, dove è l’unico giornalista occidentale residente stabilmente, Alan Johnston ha avuto modo di raccontare le sofferenze del popolo palestinese ed è ora diventato il caso emblematico di un giornalista intrappolato nella sua stessa storia – vittima delle stesse sofferenze che raccontava.

Ci è stato detto che Alan è vivo e in salute, ma non chi lo tiene prigioniero. Sugli scopi del suo rapimento – motivi politici, richieste di danaro o di riconoscimento – possiamo solo fare ipotesi, perché in realtà non li conosciamo, ammesso che esistano. E’ nondimeno evidente che, per impedire che altri siano vittime di quanto è accaduto ad Alan, occorre comprendere il problema palestinese in termini politici, così come politica deve essere la soluzione.

Oggi, però, la nostra risposta non è politica, è una risposta umanitaria. A chiunque voglia ascoltare chiediamo di rilasciare Alan Johnston senza fargli del male e senza frapporre ostacoli. Il Parlamento europeo dovrebbe accogliere con favore le garanzie di aiuto giunte questa settimana dai ministri europei degli Affari esteri e il “contatto permanente” promesso dall’Alto rappresentante, che, ne siamo certi, manterrà le sue promesse. Apprendo inoltre che il Commissario Almunia, nella sua replica alla discussione odierna, si impegnerà affinché il suo collega Commissario Michel insista sul caso di Alan Johnston nei colloqui che avrà il prossimo fine settimana con il Presidente Abbas e i rappresentanti dell’Autorità palestinese. La ringraziamo.

Il Parlamento europeo apprezza il sostegno e la collaborazione dell’Autorità palestinese ed è orgoglioso degli aiuti che l’Unione vi mette a disposizione per pagare il vostro personale e garantire i servizi essenziali che esso fornisce. Ma sono stati i vostri servizi di intelligence a mettersi in contatto con i rapitori di Alan, ed è quindi in voi che riponiamo le nostre speranze di una soluzione positiva.

Negli ambienti della radio si dice che la cosa peggiore sia “fare buco”, cioè avere il microfono acceso e non dire nulla. Il rapimento di Alan Johnston è il silenzio di fronte a un microfono aperto, un silenzio che deve cessare.

(Applausi)

 
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