Presidente. – Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo, interrotta giovedì 26 aprile 2007.
2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, in realtà era previsto che nella seduta odierna si tenesse un dibattito sulla relazione relativa al roaming, poiché quest’Aula, in occasione del trilogo del 2 maggio, aveva presentato al Consiglio un pacchetto di compromessi, peraltro con il consenso di tutti i gruppi parlamentari e di tutti i paesi rappresentati in seno al trilogo. E’ un peccato che finora il Consiglio non abbia fornito il proprio consenso, ed è per questo motivo che non possiamo tenere la discussione oggi né votare sulla relazione domani.
Brian Crowley (UEN). – A Uachtaráin, ba mhaith liom comhghairdeas a dhéanamh le Rialtas na hÉireann, le Rialtas na Breataine, agus leis an Rialtas nua i mBéal Feirste.
(EN) Signor Presidente, ieri in Irlanda del Nord si è insediato un nuovo governo ed è stata ripristinata l’assemblea devoluta, nella quale sono rappresentati quelli che un tempo sarebbero stati definiti l’unionismo estremo e il nazionalismo estremo, riunitisi per formare un nuovo governo per l’Irlanda del Nord. Come hanno affermato i Premi Nobel, per noi questa è una grande occasione non solo per congratularci con gli interessati e incoraggiarli a trovare una nuova strada per risolvere i conflitti e le difficoltà che sorgono tra comunità diverse, ma anche per complimentarci con l’Unione europea per il costante impegno e aiuto forniti alla popolazione dell’Irlanda del Nord negli ultimi vent’anni.
Ieri è stato possibile celebrare questo grande evento perché dietro alle persone coinvolte c’erano non solo giganti come John Hume e Lord Trimble, qui presenti oggi, ma anche Jacques Delors, che fu il primo a presentare il piano e l’idea di un programma di pace per l’Irlanda del Nord, nonché Helmut Kohl e altri.
Oggi dobbiamo riflettere su questo punto, garantendo che proseguiremo il nostro impegno. Come presidente del gruppo UEN e rappresentante di un partito di governo, estendo i miei ringraziamenti a tutti i colleghi del Parlamento europeo e a tutti i colleghi irlandesi che hanno collaborato a questa causa comune e a questo obiettivo comune.
Dobbiamo anche ricordare i morti, le sofferenze, il dolore e i danni che molti hanno subito e riflettere su tutto ciò, ma, anziché permettere che queste perdite continuino a esasperare e avvelenare il nostro dialogo, dobbiamo capire che quella era un’epoca, e questa è un’altra. Ora abbiamo il compito e il dovere di fare in modo che i nostri nipoti abbiano prospettive migliori per il futuro in Irlanda del Nord.
Non dimentichiamo inoltre le parole dell’antico poeta che disse: “Le mie ossa possono spezzarsi e il mio corpo sanguinare, ma nel mio cuore continuerà a pulsare la speranza che l’uomo individui e soddisfi tutte le sue necessità”.
(Applausi)
Presidente. – Grazie per questa dichiarazione, onorevole Crowley. Vorrei informarla che ho inviato una lettera al Primo Ministro e al vice Primo Ministro per rivolgere loro le mie congratulazioni. Speriamo in un futuro rosero per l’Irlanda del Nord, l’Irlanda, il Regno Unito e l’Unione europea.
3. Composizione della commissione temporanea sul cambiamento climatico (termine per la presentazione di emendamenti): vedasi processo verbale
4. Ordine del giorno
Presidente. – Con il consenso di tutti i gruppi, è stato distribuito un corrigendum all’ordine dei lavori di oggi e domani, adottato nella seduta di lunedì 23 aprile. Ho ricevuto diverse richieste di modifica, che mi accingo a illustrarvi.
Per quanto riguarda mercoledì
Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei ha chiesto di rinviare la relazione dell’onorevole Brok sulla relazione annuale 2005 sulla PESC (A6-0130/2007) alla tornata di maggio di Strasburgo.
Joseph Daul, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Il nostro collega, onorevole Brok, ha subito un’operazione. Pensava di poter essere presente questa settimana, ma non è così. Tuttavia, posso garantirvi che sta bene – come sappiamo, tiene molto alla sua salute – e sarà con noi per la tornata di Strasburgo. Pertanto vi chiedo, onorevoli colleghi, di rinviare il dibattito su questa relazione.
(Il Parlamento accoglie la richiesta)
Presidente. – Il gruppo socialista al Parlamento europeo ha chiesto di rinviare la relazione dell’onorevole Lulling relativa al ravvicinamento delle aliquote di accisa sull’alcole e sulle bevande alcoliche (A6-0148/2007) alla tornata di maggio di Strasburgo.
Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, innanzi tutto, a nome del nostro gruppo, vorrei augurare all’onorevole Brok ogni bene e una pronta guarigione.
Quanto alla relazione Lulling, oggi ho parlato con la relatrice. Esistono diversi problemi – in particolare in Bulgaria, su questo voglio essere franco – riguardo ai cambiamenti che scaturirebbero dalla relazione Lulling e, poiché vorremmo discutere più approfonditamente con l’onorevole Lulling e anche con i rappresentanti degli altri gruppi sulla possibilità di trovare un consenso su questa spinosa questione, chiediamo di rinviare il dibattito alla prossima tornata di Strasburgo. Non si tratta di una questione di politica di partito, poiché in Bulgaria riguarda tutti i raggruppamenti politici. Sarebbe avventato da parte nostra inviare un segnale negativo ora se, dopo tutto, fra una o due settimane avremo la possibilità di pervenire a una soluzione consensuale.
Astrid Lulling (PPE-DE), relatore. – (FR) Signor Presidente, non vi è alcuna ragione oggettiva per cui non dovremmo discutere della mia relazione oggi e metterla ai voti domani. Questa relazione è stata adottata in seno alla commissione per i problemi economici e monetari dopo diversi mesi di discussione, da quando, come si può leggere, il 28 settembre 2006 ci è stata deferita la proposta della Commissione. Abbiamo discusso la proposta almeno cinque volte in seno alla commissione per i problemi economici e monetari. Tutti hanno potuto esprimere la loro opinione. Gli emendamenti sono stati presentati per tempo e sono stati tradotti.
Stando così le cose, ovviamente comprendo le ragioni che spingono il gruppo socialista al Parlamento europeo a proporre questo rinvio: i socialisti sono favorevoli ad aumentare le aliquote minime di accisa, mentre in Bulgaria sono contrari. I socialisti hanno dunque il timore di prendere posizione prima delle elezioni europee. Ecco perché questa richiesta di rinvio è una palese menzogna: in realtà, è determinata da una ragione politica, non da una ragione obiettiva. Invito quindi i colleghi a votare contro.
Nils Lundgren (IND/DEM). – (SV) Signor Presidente, non dobbiamo mostrare sprezzo per la democrazia rinviando il dibattito su questa relazione fin dopo le elezioni bulgare. E’ un principio democratico estremamente importante che i cittadini, in questo caso i bulgari, abbiano quante più informazioni possibile quando si recano alle urne. Il rinvio proposto ha esattamente l’obiettivo contrario, ossia discutere la questione solo dopo il voto bulgaro. Sono assolutamente contrario a questa proposta e tutti i fautori della democrazia dovrebbero opporvisi per lo stesso motivo.
(Il Parlamento accoglie la richiesta)
(L’ordine del giorno è così approvato)
5. Dichiarazione di interessi finanziari: vedasi processo verbale
6. Dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
7. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale
8. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale
9. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
10. Rafforzare la legislazione europea nel settore dell’informazione e della consultazione dei lavoratori (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
11. Dichiarazione della Presidenza (Estonia)
Presidente. – Mi è stato chiesto di formulare una breve dichiarazione sull’Estonia, e sono stato informato che i presidenti dei vari gruppi desiderano fare altrettanto dopo di me. Sembra effettivamente così. La dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 conferì all’Europa le basi che avrebbero permesso di costruire un partenariato in pace e prosperità tra nazioni che prima erano nemiche le une delle altre e, quando il nostro continente, un tempo diviso, è stato riunificato, l’Unione europea divenne il garante della pace, della libertà e della prosperità in tutta Europa. Siamo orgogliosi di potere essere qui, oggi, a celebrare la Giornata Schuman assieme ai 27 Stati membri dell’Unione europea, ma il 9 maggio è, per altri motivi, una data controversa, come abbiamo constatato di recente in occasione della disputa sul monumento ai soldati sovietici a Tallinn, la capitale dell’Estonia. Pertanto ricordiamo la nostra risoluzione del 12 maggio 2005, in cui quest’Assemblea aveva sottolineato che per alcune nazioni la fine della Seconda guerra mondiale era stata l’alba di una nuova tirannia, quella dell’Unione Sovietica. Dobbiamo ricordare che le controversie su questioni storiche non devono mai essere un pretesto per atti di violenza e condanniamo fermamente risse e saccheggi.
L’attuale Presidente della Repubblica dell’Estonia, Toomas Hendrik Ilves, che è un ex deputato di quest’Assemblea, ha detto la cosa giusta commentando i fatti accaduti all’esterno dell’ambasciata estone a Mosca. La sua risposta è stata questa: “In Europa, non è usuale chiedere le dimissioni del governo democraticamente eletto di un paese vicino; in Europa, è inconcepibile violare la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche”.
Ricordiamo la nostra risoluzione dell’8 giugno 2005 sulla protezione delle minoranze e le politiche contro la loro discriminazione, in cui abbiamo dichiarato, inter alia, che le minoranze nazionali arricchiscono l’Europa. L’Unione europea si fonda su valori che abbiamo il dovere comune di proteggere. Le pressioni esercitate su uno Stato membro dell’Unione europea costituiscono una sfida per tutti noi, e l’Estonia può contare sulla nostra solidarietà.
(Applausi)
Tunne Kelam, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziarla per il suo appoggio e la sua solidarietà.
Vorrei inoltre esprimere la mia gratitudine a tutti i colleghi per la straordinaria dimostrazione di sostegno e solidarietà nei confronti dell’Estonia, perché ciò che sta accadendo tra uno Stato membro dell’UE, l’Estonia, e la Federazione russa non è una questione bilaterale, ma un problema che riguarda l’intera Unione europea: è la cartina di tornasole che permetterà di capire se l’UE è una vera unione politica basata sulla solidarietà e l’unità. Oggi la chiarezza, la tempestività e l’unità dell’Unione europea vengono messe alla prova. Ci aspettiamo che l’Unione europea dimostri un’assoluta solidarietà.
Innanzi tutto, dobbiamo smettere di illuderci. E’ evidente che il trattamento riservato dalla Federazione russa a uno Stato membro dell’Unione europea non è un’anomalia. Nel discorso pronunciato a Monaco, il Presidente Putin ha presentato un programma per una nuova politica estera russa molto più assertiva. Tale approccio potrebbe essere definito neoimperialista o revanscista. L’obiettivo è recuperare, almeno parzialmente, la passata influenza sulle ex colonie baltiche e, successivamente, sui paesi europei dell’ex Patto di Varsavia, sia avvalendosi dell’attuale boom energetico che ha incrementato il potere della Russia, sia sfruttando parte della popolazione russa che vive al di fuori della Federazione.
Vorrei chiarire che il Presidente Putin definisce questi russi suoi compatrioti, affermazione che desidero contestare fermamente. I russi che vivono in Estonia sono miei compatrioti e sono orgoglioso di loro perché il 99 per cento di loro è rimasto fedele non al Presidente Putin, ma allo Stato estone.
(Applausi)
Pertanto, non si tratta solo di un problema di solidarietà; la parola chiave è la “sovranità” dei nuovi Stati membri della famiglia europea, che potremo realizzare solo quando parleremo con una voce sola e ci dimostreremo uniti nell’azione. Quando uno Stato membro che decide di parlare con maggiore chiarezza del proprio passato, in maniera aperta e dignitosa, diventa improvvisamente oggetto di una forte pressione da parte del suo enorme vicino, quando la sua ambasciata a Mosca viene praticamente tenuta in ostaggio per un’intera settimana, quando, per destabilizzare l’ordine pubblico, vengono organizzate sommosse chiaramente fomentate e appoggiate da uno Stato estero, quando funzionari russi invitano un governo democraticamente eletto a dimettersi, quando viene attuato un blocco economico, quando i siti Internet delle istituzioni statali estoni continuano a essere oggetto di massicci attacchi cibernetici – una forma innovativa di guerra propagandistica –, allora ci si deve davvero preoccupare per la sovranità dello Stato in questione.
In conclusione, dobbiamo difendere anche un’altra forma di sovranità: il nostro diritto di prendere decisioni sul nostro passato e di valutarlo. Lei ha citato la risoluzione del Parlamento europeo di due anni fa, riguardante i molti paesi europei rimasti vittime della rinnovata tirannia inflitta dall’Unione Sovietica di Stalin. Esiste ancora una linea di divisione in Europa, tra tutte le democrazie occidentali, che non hanno mai riconosciuto l’annessione e l’occupazione illegali degli Stati baltici all’Unione sovietica nel 1940 a seguito del patto Hitler-Stalin, e la Federazione russa, che continua a negare questo patto cercando altresì di rifiutare alle sue ex vittime il diritto di valutare il proprio passato. Pertanto abbiamo bisogno della vostra solidarietà e sono molto riconoscente a tutti voi per averla dimostrata.
(Applausi)
Presidente. – Grazie molte, onorevole Kelam. Come cittadino e onorevole parlamentare dell’Estonia, le ho concesso di parlare il doppio del previsto, ma gli altri non devono seguire il suo esempio.
Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, spero di essere onorevole, anche se non vengo dall’Estonia. Ho invitato a intervenire il leader della nostra delegazione estone, onorevole Tarand. Poiché parlerà più avanti, mi ha chiesto di affermare con chiarezza che, nel complesso, noi deputati del gruppo socialista al Parlamento europeo accordiamo il nostro pieno sostegno all’Estonia, ai colleghi e ai cittadini estoni, e che respingiamo ogni intervento esterno e ogni intervento da parte della Russia.
Affermiamo non solo il principio che occorre trattare con rispetto le ambasciate e le sedi diplomatiche, ma anche che si devono rispettare la sovranità di un paese e il suo popolo.
Se posso aggiungere un’osservazione personale, sono nato pochi mesi dopo la fine della guerra nella zona dell’Austria orientale che allora era occupata dall’Unione Sovietica. Ricordo genitori, parenti e amici raccontare la loro felicità per l’arrivo dei soldati russi che erano venuti a liberarci dal regime nazista, e so anche per esperienza personale che queste stesse persone temevano che i militari sovietici sarebbero rimasti in veste di occupatori. Per fortuna per l’Austria – una fortuna che ci ha conferito la storia – il nostro paese è stato liberato. Molti altri, come le persone che vivevano solo 20 chilometri a est da casa mia, hanno vissuto l’occupazione anziché la liberazione.
Pertanto riteniamo che la Russia dovrebbe finalmente riconoscere che, se da un lato molti soldati russi sono venuti per liberarci, dall’altro hanno portato con sé un regime nel quale gli stessi liberatori sono rimasti come potenza occupante e che molti cittadini – non solo nell’Unione Sovietica ma anche in numerosi paesi limitrofi – hanno subito la loro oppressione. Se questa realtà venisse riconosciuta, il dialogo sarebbe molto più semplice. Mi auguro che tutti i cittadini da entrambe le parti dell’ex frontiera con il blocco orientale riconoscano che un tempo esisteva questa duplice verità.
Al nostro gruppo è dispiaciuto molto perdere un deputato come Toomas Hendrik Ilves, ma oggi siamo ben lieti che un uomo tanto giudizioso sia il Presidente dell’Estonia. Vorrei leggere due sue brevi citazioni. Il nostro ex collega ha segnalato il sito Internet di una giovane russa, che vi aveva scritto: “Siamo russi, ma la nostra patria è l’Estonia”. A tale affermazione Ilves ha aggiunto: “Grazie, Maria”. L’ultima frase del suo discorso, che è davvero degna di nota, suona così:
“Solitamente, in Europa, le divergenze che sorgono di tanto in tanto tra gli Stati vengono risolte per via diplomatica e politica, non per strada o con attacchi informatici. Questi sono i metodi utilizzati da altri paesi oppure, aggiungerei, in altre epoche, in altre parti del mondo, non in Europa”.
In Europa abbiamo bisogno di dialogo e comunicazione anziché di attentati alle ambasciate o dimostrazioni al loro esterno, perché questo stesso dialogo è connaturato all’Europa.
Siiri Oviir, a nome del gruppo ALDE. – (ET) Signor Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi innanzi tutto di rispondere, nella speranza che, intervenendo a nome del mio gruppo, non mi sia concesso un tempo di parola decisamente inferiore a quello dell’oratore che mi ha preceduto.
Oggi discutiamo delle relazioni tra Estonia e Russia e, affrontando questo argomento, dobbiamo sicuramente parlare dei fatti avvenuti alla fine di aprile nel mio paese, senza peraltro potere ignorare la causa di tali eventi: il Soldato di bronzo. Questa statua venne eretta dalle autorità sovietiche in onore dei liberatori di Tallinn. In realtà la liberazione di Tallinn è consistita nel bombardamento della città il 9 marzo 1944, data in cui venne distrutto il 40 per cento delle aree residenziali di Tallinn e morirono centinaia di persone.
Questo evento venne definito liberazione, ma gli estoni furono deportati in Siberia, con un’ondata di deportazioni dopo l’altra e una repressione che non lasciò indenne alcuna famiglia. Mio padre fu deportato in Siberia nel 1941 e tornò a casa solo 21 anni dopo. Dopo la morte di Stalin, mia nonna, che era stata a sua volta deportata in Siberia, si mise in cammino da sola per raggiungere a piedi la sua patria natale, l’Estonia. Un giorno, rientrando dal lavoro, la mia famiglia la trovò seduta sui gradini di casa nostra, ma purtroppo mia nonna era già morta. Ricordo ancora quel momento.
Come monumento eretto in onore di un liberatore, il Soldato di bronzo era il simbolo di esperienze alquanto dolorose per molti estoni. Tuttavia, è rimasto nella piazza centrale della nostra capitale per altri 15 anni, ossia per i 15 anni successivi alla riacquistata indipendenza dell’Estonia.
Cos’è accaduto il 26 aprile? Cos’è accaduto quella notte? La crisi del monumento in realtà è iniziata circa un anno fa, quando un gruppo di estremisti, sventolando la bandiera sovietica, ha trasformato questa statua da un monumento ai caduti a un simbolo della vittoria dell’occupazione sovietica, che, in quanto tale, è divenuto una costante fonte di tensione. Fino ad allora, i veterani si erano radunati attorno ad essa ogni anno e, benché talvolta si fossero consumati alcolici sulla lapide e i presenti avessero di tanto in tanto ballato su di essa, la polizia non era mai intervenuta.
La notte del 26 aprile, però, sono scoppiati tumulti in centro e poi si sono diffusi in alcune città limitrofe, dove, tuttavia, si sono manifestati con minore gravità. I facinorosi hanno distrutto tutto ciò che hanno incontrato sul loro cammino, comprese auto e banchine degli autobus, ma soprattutto vetrine. Bande di giovani si sono introdotte nei negozi e hanno rubato tutto. Sono stati prese di mira soprattutto le rivendite di alcolici, ma anche altri esercizi commerciali. Ad esempio sono stati saccheggiati i negozi di Armani e Hugo Boss, nonché alcune gioiellerie.
Poiché viviamo in un’era mediatica, tutte queste immagini sono state registrate e trasmesse in diretta in televisione. Oggi questi eventi sono documentati da una grande quantità di materiale video. La polizia è intervenuta solo quando i gruppi di giovani sono diventati troppo aggressivi. Sono stati utilizzati manganelli e idranti, ma non armi da fuoco. Quella notte il Soldato di bronzo è stato trasportato da Tõnismäe al cimitero militare, dove da ieri è di nuovo accessibile al pubblico. Dopo questo episodio, sono iniziati gli attacchi della Russia, l’offensiva propagandistica menzionata dai precedenti oratori e culminata nella richiesta della Duma russa di un cambio di governo in Estonia. Ora concludo. La prego di accettare le mie scuse, signor Presidente.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Infine, desidero ringraziare tutti coloro che hanno sostenuto e che continueranno a sostenere l’Estonia. Questo per noi è un grande onore e un grande aiuto. La ringrazio, signor Presidente, e la prego di accettare le mie scuse.
Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, vorrei unirmi ai colleghi esprimendo innanzi tutto la nostra solidarietà e il nostro sostegno al governo e al popolo estone e, in secondo luogo, denunciando i metodi teppistici del governo russo, volti a creare incertezza e instabilità, non solo all’interno dell’Estonia, ma in tutti gli Stati baltici.
Per molti versi, con l’uso di dimostranti incaricati di attaccare un’ambasciata a Mosca, con il ricorso alla forza o al potere dell’energia per cercare di piegare la popolazione all’influenza del governo russo e, soprattutto, con il costante desiderio di continuare a imporre simboli di dominio e soggiogazione in aree che hanno acquistato l’indipendenza da regimi totalitari, stiamo assistendo a una nuova forma di totalitarismo e autoritarismo.
Oggi abbiamo il compito e il dovere di ascoltare i colleghi estoni, nonché le loro grida e i loro appelli di aiuto e solidarietà. Soprattutto, però, giacché consideriamo la Russia come partner per futuri sviluppi, dobbiamo chiedere a questo paese di adottare le misure atte a garantire che i diritti di tutti gli Stati membri dell’Unione europea siano rispettati in ugual misura, siano essi grandi o piccoli, paesi confinanti o meno, ex domini o meno.
Infine, vi invito a rivolgere un ardente appello ai cittadini dell’Estonia per dimostrare loro che, ora che fanno parte dell’Unione europea, non saranno abbandonati come è invece accaduto in passato.
Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo già tenuto molte volte questo genere di discussione sulla storia europea; l’ultima volta abbiamo affrontato il problema in occasione di un dibattito sul trattamento da riservare al problema dei Sudeti nella Repubblica ceca. In quella circostanza avevo affermato, e lo ripeto, che occorreva un’interpretazione europea della storia e che si dovevano accantonare le interpretazioni nazionali. In questo caso, l’interpretazione europea è semplice: l’Armata Rossa ha contribuito alla liberazione dell’Europa dal fascismo nazionalsocialista. Questo è stato il suo contributo, che ha richiesto grandi sacrifici. Tralasciamo la discussione sulla responsabilità avuta da Stalin nella salita al potere di Hitler, perché questo è un altro discorso.
Successivamente, però, l’Armata Rossa è diventata un esercito di occupazione, un esercito che ha reso impossibile la libertà. Anche questo fa parte della storia europea. La rimozione di orrende statue in bronzo, lungi dal costituire un problema per il paesaggio culturale di una città, tende a rendere il luogo più ameno, ma da questo dibattito deve emergere con estrema chiarezza – e mi auguro di sentire tale affermazione nella discussione sulla Russia – che, di fatto, ciò che la leadership russa – Putin – sta cercando di fare in questo caso è fomentare la divisione con tutte le sue forze. Dobbiamo affermare tutti la nostra solidarietà nei confronti dei governi di Lettonia ed Estonia.
Al tempo stesso, però, a prescindere dalla nostra solidarietà, dobbiamo riconoscere che nei paesi baltici i diritti della minoranza russa costituiscono effettivamente un problema. La storia insegna a tutti noi che s’innesca un conflitto sociale quando una minoranza – ovvero il 30 per cento della popolazione – vuole essere integrata, ma si sente privata dei suoi diritti.
So che tutte le maggioranze negano sempre questo problema: i turchi ci hanno sempre detto che in Turchia non esiste alcuna questione curda, eppure la questione curda è proprio uno dei problemi che affliggono la Turchia; in questo caso il problema è dato dalla minoranza russa e dai suoi diritti. Con questo non intendo elogiare la minoranza russa, ma dire che, come minoranza, deve godere di determinati diritti, e che è difficile costruire un consenso all’interno della società se tali diritti non vengono riconosciuti.
Gabriele Zimmer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, è innegabile che il 9 maggio di 62 anni fa i rappresentanti della Germania nazista firmarono lo strumento della resa incondizionata, mettendo così fine a uno dei capitoli più bui della storia europea. I popoli dell’allora Unione Sovietica svolsero un ruolo decisivo nel raggiungimento di questo traguardo, per la cui realizzazione dovettero altresì pagare un prezzo molto elevato; è opportuno riconoscere tutti questi fatti e, ovviamente, riflettere su di essi. Pertanto sottoscrivo appieno le parole pronunciate dal direttore del Centro Simon Wiesenthal di Gerusalemme a proposito di quanto accaduto a Tallinn, affermazioni che trovo molto toccanti:
“Il Centro condanna inequivocabilmente i crimini commessi sotto il regime sovietico contro gli estoni di ogni credo e nazionalità. Tuttavia, non dobbiamo mai dimenticare che fu l’Armata Rossa a porre effettivamente fine alle uccisioni di massa perpetrate dai nazisti e dai loro collaboratori locali sul suolo estone fino all’ultimo giorno della sua occupazione da parte della Germania nazista. Pertanto, la rimozione del monumento dal centro di Tallinn da parte del governo denota una deplorevole mancanza di sensibilità nei confronti della gravità dei crimini nazisti ed è un insulto per le sue vittime”.
Il mio gruppo è estremamente dispiaciuto che a Tallinn le divergenze su questioni di politica interna ed estera abbiano raggiunto questo punto critico, ed esortiamo tutte le parti interessate a dare prova di moderazione e ad avviare il dialogo. E’ allarmante che nella capitale estone una manifestazione pacifica sia degenerata in una sommossa e che la polizia abbia reagito in modo tale da uccidere una persona e ferirne molte altre; l’accaduto è già di per sé la dimostrazione della mancanza di dialogo tra la maggioranza estone e la minoranza russa. Vorrei pertanto sottolineare che anche quest’Assemblea è responsabile dell’accaduto, poiché si è opposta troppo blandamente alla discriminazione contro la minoranza russa negli Stati baltici.
Le reazioni sproporzionate da parte della Russia non sono meno allarmanti. Il mio gruppo sostiene con forza la richiesta avanzata alla Russia, che è stata esortata ad assolvere i propri obblighi internazionali conformemente alle convenzioni vigenti e a proteggere non solo la sede, ma anche il personale dell’ambasciata estone e a permettere di accedervi liberamente. Chiediamo inoltre alla Presidenza tedesca del Consiglio di contribuire di smorzare la situazione favorendo il dialogo tra l’Estonia e la Russia. Con l’approssimarsi del Vertice UE-Russia, questo è il momento di costruire ponti anziché barriere.
Nils Lundgren, a nome del gruppo IND/DEM. – (SV) Signor Presidente, la prima e più importante cosa da dichiarare è che l’Estonia è una nazione indipendente, non uno State satellite russo. Questo significa che non possiamo iniziare a parlare in toni sommessi della necessità di capire la Russia e la sua storia. Dovremmo invece capire che la Russia sta esercitando pressioni sull’Estonia, chiedendo le dimissioni del governo di un altro paese, e così via. Ovviamente, non si tratta di questioni per le quali dovremmo mostrare comprensione. Il governo russo e la minoranza russofona in Estonia, come chiunque altro, hanno naturalmente il diritto di criticare attività quali la rimozione di una statua di bronzo. Ciononostante, l’Estonia non è uno Stato satellite russo che rientra nella sfera d’interesse della Russia, ma una nazione libera e indipendente.
Gli esempi elencati dall’onorevole Cohn-Bendit quando ha iniziato a parlare in quest’Aula di questioni alquanto diverse tra loro, ossia la situazione delle minoranze nelle tre repubbliche baltiche, sono inutili. Logicamente si tratta di una discussione diversa, per quanto degna di essere affrontata. Ora, però, stiamo parlando del diritto della Russia – o, per meglio dire, del fatto che non avesse assolutamente alcun diritto – di fare ciò che in effetti ha fatto. L’evento – in sé straordinario – della sconfitta di Hitler da parte dell’Armata Rossa è irrilevante. Di quella vittoria ci possiamo rallegrare, ma in seguito l’Armata Rossa si è insediata in Estonia e ha vessato a lungo tale paese.
Nel 1939 la Finlandia si estendeva a nord del Golfo di Finlandia e l’Estonia a sud. I due paesi avevano all’incirca lo stesso tenore di vita e per molti versi erano alquanto simili. Al termine dell’occupazione russa, la Finlandia era uno dei paesi più ricchi e affermati del mondo, mentre l’Estonia, che ora si sta facendo brillantemente strada, si trovava in una situazione di stallo. Non dobbiamo dimenticare il prezzo che ha dovuto pagare questo paese. Ora non siamo tenuti a capire la Russia. Ciò che dobbiamo ricordare ora in questo momento è che stiamo parlando della nazione indipendente dell’Estonia, non di uno Stato satellite della Russia.
Bruno Gollnisch, a nome del gruppo ITS. – (FR) Signor Presidente, la storia non è mai stata scritta al solo fine di avvicinarsi alla verità. Finora è stata scritta in maniera ideologica. Di conseguenza, omette costantemente il fatto essenziale, ossia che l’alleanza tra Molotov e Ribbentrop, tra Stalin e Hitler, ossia tra il comunismo e il nazionalsocialismo, è sfociata nella violenta invasione dell’Estonia, in cui la presenza dell’Armata Rossa si è tradotta in arresti, deportazioni, esecuzioni arbitrarie e decenni di negazione di tutti i diritti civili.
Oggi tutti sono favorevoli alla libertà dei paesi baltici, ma quando, nell’ottobre 1987, in seno al Parlamento francese, Jean-Marie Le Pen e i deputati del gruppo da lui presieduto volevano escludere dal campo d’applicazione dei trattati conclusi con la Russia i paesi Baltici, la cui annessione, a nostro avviso, era illegale perché raggiunta con mezzi violenti, tutti gli altri partiti politici si erano opposti. In realtà, onorevoli colleghi, gli estoni e i russi erano vittime del comunismo. Certo, alla luce degli enormi sacrifici successivamente compiuti dall’esercito russo, l’umiliazione subita dalla minoranza russa e, soprattutto, dagli ex combattenti, è comprensibile. Il grande poeta francese Baudelaire una volta disse: “I morti, i poveri morti, hanno grandi dolori”.
Lasciamo che l’Estonia possa trovare i propri metodi per onorare coloro il cui sacrificio, in ultima analisi, è legittimamente valso a difendere le rispettive nazioni: l’indipendenza, la sovranità e l’identità di ciascuna di quelle nazioni.
Presidente. – La discussione è chiusa.
12. Vertice UE/Russia (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sul Vertice UE-Russia.
Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, onorevoli deputati, prima di affrontare il nostro argomento vero e proprio, vorrei soffermarmi brevemente sul dibattito appena concluso. La Presidenza del Consiglio, e quindi anche l’Unione europea, ha reagito di fronte al conflitto soprattutto perché riguardava la sovranità di uno Stato membro dell’Unione, dando nel contempo prova di solidarietà e – come ha affermato l’onorevole Zimmer – contribuendo ad allentare la tensione, il tutto al momento giusto. Naturalmente dovremo continuare a intervenire in questo modo.
Oggi, 9 maggio, è la Festa dell’Europa, data simbolica dell’integrazione europea. Da quando Robert Schuman propose la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio, l’Europa ha percorso una strada lunga e difficile – ottenendo, a mio parere, ottimi risultati – affinché potesse venire alla luce l’attuale Unione europea di 27 Stati membri, un’Unione che ha ormai raggiunto un livello di stabilità e prosperità che il mondo le invidia. Tale conquista storica non sarebbe stata possibile senza lungimiranza politica e pazienza strategica.
Queste doti sono entrambe necessarie quando si tratta di portare avanti le relazioni tra Unione europea e Russia, che l’UE a ragione considera un partner e un vicino cui è legata da un rapporto di cooperazione strategica. Quasi con nessun altro paese l’Unione europea intrattiene rapporti estesi e approfonditi quanto quelli con la Russia. Una delle lezioni fondamentali della storia europea è che l’Europa dipende dalla Russia per la stabilità e la prosperità a lungo termine; né, in ultima analisi, possiamo rispondere alle grandi sfide globali se non insieme: sfide quali la guerra al terrorismo internazionale, nonché la prevenzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa o dei pericoli del cambiamento climatico mondiale. Una stretta cooperazione tra l’Unione europea e la Russia è inoltre indispensabile se vogliamo ottenere risultati in conflitti quali quelli in Kosovo, in Iran o in Medio Oriente.
Nell’era della globalizzazione, i nostri interessi comuni e la reciproca interdipendenza sono ben più importanti di ciò che ci separa, nell’ambito dell’energia, ad esempio, in cui spesso si dimentica che la Russia dipende da noi, che consumiamo l’80 per cento delle sue esportazioni di gas, e necessita della cooperazione con l’UE se vuole che la sua economia raggiunga la modernizzazione di cui necessita con tanta urgenza. La stessa Unione europea ha un interesse primario a promuovere legami più stretti con la Russia. A sua volta, il Presidente Putin giustamente indica sempre l’Unione europea quale partner ideale della Russia, e con il termine “Unione europea” intende naturalmente tutti i 27 Stati membri.
Poiché la nostra cooperazione con la Russia è caratterizzata dall’interconnessione e si fonda sulla politica dei quattro spazi che abbiamo concordato insieme, la Presidenza tedesca dell’Unione europea vuole sfruttare il Vertice UE-Russia che si terrà a Samara il 18 maggio per cementare ed estendere ulteriormente il partenariato con la Russia. Così facendo, non intendiamo limitarci a un mero scambio di opinioni, bensì desideriamo che il Vertice lanci segnali positivi a favore di un partenariato e di una cooperazione più ampi con la Russia. Su questo, dunque, continuiamo a insistere. Sappiamo che il Vertice rappresenta l’ultima occasione per avviare, com’è nostro dovere, i negoziati per il documento che sostituirà l’attuale accordo di partenariato e di cooperazione.
Insieme alla Commissione, la Presidenza tedesca del Consiglio sta tuttora lavorando con tutte le proprie forze alla soluzione della questione ancora aperta del divieto russo alle importazioni di prodotti agricoli polacchi. In seguito alle numerose discussioni intrattenute tra Commissione, Polonia e Russia, è giunto il momento che quest’ultima fissi una data in cui porre fine al divieto di importazione. L’avvio dei negoziati per un nuovo accordo strategico sarebbe un segnale politico importante dell’impegno continuo da ambo le parti a favore di un ulteriore sviluppo del partenariato, che, in ultima analisi, non può fallire per una questione tecnica.
E’ nell’interesse di tutti fornire nuove basi alle relazioni tra Unione europea e Russia e definire nuove prospettive comuni; penso a questioni quali lo sviluppo di un partenariato energetico tra Unione europea e Russia in base a norme e condizioni d’insieme attendibili. A Lahti, lo scorso ottobre, il Presidente Putin ha promesso che tali principi sarebbero stati incorporati nel nuovo Trattato, e il Vertice UE-Russia ci offre una gradita e tempestiva opportunità di discutere con il governo russo di come evitare, nelle reciproche relazioni, futuri attriti in materia di energia e di come riuscire a scongiurare eventuali interruzioni dell’approvvigionamento energetico, e al riguardo sembrerebbe importante l’istituzione di un sistema di preallarme.
Poiché la politica energetica e quella climatica sono strettamente correlate, il cambiamento del clima e la sicurezza sono nel novero delle questioni da discutere nel corso del Vertice. Come probabilmente sapete, l’Unione europea è disposta a ridurre le emissioni di gas serra del 30 per cento entro il 2020, a patto che altri Stati industrializzati si assumano impegni analoghi. Perciò convincere la Russia ad aderire a questa causa rappresenterebbe un risultato strepitoso.
Va detto, però, che il partenariato tra Unione europea e Russia non riguarda solo energia e questioni economiche. Esiste un grande potenziale di relazioni più profonde tra UE e Russia in materia di istruzione, ricerca e cultura, potenziale che è ben lungi dall’essere sfruttato appieno; in ambiti che come questi guardano al futuro, entrambe le parti possono trarre vantaggio da una maggiore partecipazione e da una maggiore interdipendenza. Poiché si tratta di un’occasione particolare, per l’Unione europea, di guidare la trasformazione della Russia aiutandola ad adottare valori europei, vorremmo avvalerci del Vertice per promuovere una cooperazione più stretta in tali ambiti, ad esempio incrementando gli scambi accademici e la cooperazione alla ricerca.
Per rendere l’Europa più sicura occorre una cooperazione tra UE e Russia che sia valida e fondata sulla fiducia. Sappiamo che negli ultimi tempi non è sempre stato semplice interloquire con la Russia al riguardo, e abbiamo accolto con preoccupazione le dichiarazioni russe in merito a una moratoria del Trattato della CSCE; come nella discussione sul sistema antimissile, è in quest’area che occorre fare tutto il possibile onde evitare una nuova spirale di sfiducia, poiché solo con la fiducia reciproca e la cooperazione concreta riusciremo a dare all’Europa una sicurezza duratura.
Dunque persevereremo nel tentativo di convincere la Russia a sostenere una soluzione per il futuro stato giuridico del Kosovo sulla base del piano Ahtisaari; così facendo, la Russia darebbe un contributo essenziale alla sicurezza europea, come lo darebbe anche cooperando in modo costruttivo ad affrontare i cosiddetti “conflitti congelati” della Moldova e del Caucaso meridionale.
Un vero partenariato prevede il dialogo sulle questioni controverse, motivo per cui intendo sottolineare che una delle questioni di cui discuteremo a Samara sarà lo sviluppo interno della Russia, che, soprattutto di recente, è stato oggetto di analisi critica e di preoccupazione in seno all’Unione europea, specialmente per quanto riguarda la situazione dei media e della società civile. L’approccio energico adottato dalle autorità russe nei confronti delle manifestazioni di Mosca, San Pietroburgo e Nizhni Novgorod è solo un esempio di una tendenza che molti considerano problematica e che così non può essere accettata.
In seno alla quinta consultazione sui diritti umani tra UE e Russia, che si è svolta il 3 maggio a Berlino, l’Unione europea ha espresso i suoi particolari timori nell’ambito specifico del diritto alla libertà di espressione e di opinione e alla libertà di associazione, soprattutto in vista delle imminenti elezioni parlamentari e presidenziali in Russia, dichiarando altresì la propria inequivocabile apprensione per la situazione delle organizzazioni non governative e della società civile in Russia in seguito all’entrata in vigore della legge sulle attività delle ONG e della legge sull’estremismo. Le questioni sollevate facevano naturalmente riferimento a casi specifici di violazioni dei diritti umani e alla situazione in Cecenia, nonché alla lotta alla tortura e ai maltrattamenti. Anche al riguardo, si dà il caso che il nostro atteggiamento critico non sia fine a se stesso, ma dettato dalla nostra profonda preoccupazione per come stanno andando le cose in Russia e dal nostro desiderio di veder prosperare il paese.
L’Unione europea ha un fortissimo interesse a che la Russia sia stabile, forte e orientata a sviluppare valori europei senza rinnegare le proprie tradizioni, il che implica un rapporto fiorente con i paesi vicini, caratterizzato da un sincero dialogo e da una buona cooperazione, e non dalle pressioni, e con questo pensiero in mente la Presidenza del Consiglio ha tentato di allentare efficacemente la tensione, a vantaggio non solo nostro, ma anche dei partner russi. E’ stata la nostra mediazione a porre fine alla condizione intollerabile in cui versava l’Ambasciata estone a Mosca. Intendiamo mantenere questo dialogo con la Russia, un dialogo non sempre facile per quanto riguarda i paesi baltici.
In conclusione, la modernizzazione della Russia andrà a buon fine solo se verranno consolidati i valori e i principi associati alla democrazia e allo Stato di diritto – quei valori e principi per cui sia l’Unione che la Russia si sono impegnate in seno alle Nazioni Unite, al Consiglio d’Europa e all’OSCE. Poiché l’esperienza europea insegna che il buon governo dipende dallo Stato di diritto e dalla presenza di una società civile critica e vivace, il futuro sviluppo dell’Europa dipende in modo decisivo dalla riuscita di un ampio partenariato strategico tra UE e Russia.
Si tratta di un progetto di portata storica, che richiederà pazienza strategica e realismo su entrambi i fronti, e questo realismo implicherà l’intuizione di ciò che è realizzabile e lo sforzo di conseguire i risultati un passo alla volta. In quest’ambito, come in molti altri, questo processo non sarà privo di difficoltà, e tuttavia né l’Unione europea né la Russia hanno alcuna alternativa realistica alla via della cooperazione e del partenariato, che è dunque nostra responsabilità comune di europei percorrere.
(Applausi)
Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli deputati, visto lo stato alquanto insoddisfacente delle relazioni tra Russia e Unione europea, la Commissione reputa necessario esprimere in questo dibattito alcuni commenti sui principi di base.
Innanzi tutto, la Russia è il nostro principale partner strategico in Europa. In secondo luogo, è del tutto a nostro vantaggio che la Russia sia un partner stabile e affidabile, e noi non vogliamo essere da meno nei suoi confronti. In terzo luogo, siamo convinti che il nostro partenariato possa meglio crescere se sostenuto da ambo le parti nell’inequivocabile impegno per la democrazia, lo Stato di diritto e i diritti umani e nel tentativo costante di realizzarli. Quarto: le nostre relazioni con i paesi vicini e con altri popoli al di fuori dell’Europa non sono prive di valore; al contrario, si fondano su valori che abbiamo accettato di comune accordo e che abbiamo sistematizzato. Per questo motivo l’Europa è divenuta un continente di speranza per tante persone al di fuori dei nostri confini, e vogliamo che continui a esserlo.
Il Vertice si tiene in un momento critico, in cui Mosca, il cui pensiero è rivolto alle imminenti elezioni della Duma di Stato e del Presidente, si concentra su un tranquillo passaggio del potere, e per questo motivo le relazioni con l’Occidente in generale e l’Unione europea in particolare attraversano una fase difficile.
Abbiamo orientamenti alquanto diversi riguardo a molti punti dell’attuale agenda – ad esempio, il futuro del Kosovo, lo scudo antimissile e le forze armate convenzionali dell’Europa e in questo momento tutti questi punti sono quasi in cima all’agenda, insieme, naturalmente, come spesso accade, alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico per tutti gli Stati membri dell’Unione europea.
Una simile situazione impone che non si perda di vista l’interesse a lungo termine dell’Unione per le relazioni con la Russia, perché non siamo solo paesi vicini con una lunga storia comune alle spalle, ma dipendiamo anche l’uno dall’altro sotto molti aspetti, in quanto noi siamo di gran lunga il maggiore mercato d’esportazione della Russia, che rappresenta il nostro principale fornitore di energia; in Europa, nessuna questione significativa in materia di politica estera si può risolvere senza il nostro comune consenso, e per questo abbiamo bisogno di un dialogo costante e costruttivo all’interno del quale poter sostenere con determinazione i nostri interessi e valori, dovendo nel contempo sforzarci di costruire il consenso.
In occasione del Vertice, continueremo ad adoperarci per l’avvio dei negoziati per un nuovo accordo tra l’Unione europea e la Russia, in sostituzione dell’attuale accordo di partenariato e cooperazione. Entrambe le parti dovrebbero nutrire un forte interesse comune verso tale accordo, che può e deve portare le nostre relazioni a un livello nuovo e più elevato, permettendo loro un pieno sviluppo.
La Commissione si è impegnata molto per indurre la Russia a revocare il divieto d’importazione sulla carne e sui prodotti agricoli polacchi, e vorrei aggiungere che la Commissione reputa tale divieto d’importazione sproporzionato e ingiustificato. Perciò ora attendiamo dalla Russia un segnale inequivocabile e costruttivo, ossia un chiaro calendario per la completa cessazione di tali misure, benché questo preveda con ogni probabilità diverse tappe.
Il Vertice non chiuderà definitivamente la questione, ma farà parte di un lungo processo, e noi continueremo a lavorare affinché proceda la realizzazione dei quattro spazi comuni che abbiamo concordato così tanti anni fa. Il Vertice sarà anche un’opportunità per esprimere la nostra preoccupazione per la situazione dei diritti umani e dello Stato di diritto in Russia. La scorsa settimana, nel corso delle consultazioni sui diritti umani tra Unione europea e Russia, si è detto molto sulle restrizioni della libertà dei media e sugli attacchi ai giornalisti, sui limiti posti all’attività delle organizzazioni non governative e dei politici di opposizione, nonché sulla situazione in Cecenia e nel Caucaso settentrionale; è particolarmente significativo che la Russia inviti gli osservatori dell’OSCE alle elezioni.
La libertà di espressione e di opinione, la libertà di associazione e di riunione sono colonne portanti della democrazia, termine con cui intendo “democrazia”, senza ulteriori attributi descrittivi, e ci aspettiamo che la Russia, in quanto membro della famiglia delle nazioni democratiche, garantisca tali libertà.
A questo punto vorrei dire due parole sullo scambio intercorso poc’anzi, in quest’Aula, circa la crisi delle relazioni tra Russia ed Estonia; poiché molti oratori hanno descritto l’accaduto, non occorre che io lo ripeta, ma l’Estonia, in qualunque conflitto o disputa con la Russia, può contare sulla solidarietà dei suoi partner dell’Unione europea e su quella delle Istituzioni comunitarie, di cui credo si sia data prova. Tale solidarietà va mantenuta in caso di eventuali altre interferenze con gli affari interni estoni, vuoi attraverso attacchi informatici, vuoi attraverso le richieste di dimissioni del Primo Ministro estone da parte di delegazioni della Duma.
Mai più ammetteremo che si tenti di avvelenare i rapporti tra Unione europea e uno dei suoi Stati membri. Ciò che risulta evidente da questa crisi è il modo in cui l’ombra delle guerre del passato europeo continua a opprimerci. Ciascun popolo d’Europa ha la propria esperienza della storia e un proprio modo di affrontarla, e si può sempre e solo sperare che lo faccia nel rispetto delle esperienze degli altri, perché, laddove le opinioni divergono, l’unica cosa che aiuta davvero è il dialogo – nient’altro funziona.
Il Vertice offre l’occasione di infondere nuova vita al processo di adesione della Russia all’OMC, obiettivo che senza dubbio va nell’interesse di ambo le parti, e di cui l’Unione europea è uno dei principali sostenitori. Per quanto concerne l’energia, cercheremo di raggiungere un accordo sull’istituzione di un meccanismo di preallarme e consultazione, che assicurerà uno scambio d’informazioni sul rischio di potenziali interruzioni delle forniture energetiche tanto tempestivo da evitare una crisi di approvvigionamento, coinvolgendo i paesi di transito ogniqualvolta sia necessario.
Nel corso del Vertice si dovrebbe inoltre raggiungere un accordo su quali siano le priorità d’azione per affrontare il cambiamento climatico; è importante che la Russia approvi e avvii progetti di esecuzione congiunta con investitori dell’Unione europea ai sensi del Protocollo di Kyoto. Vogliamo altresì spianare la strada alla nostra cooperazione in seno alla Conferenza di Bali di dicembre per far partire i negoziati internazionali su un accordo esteso in materia di clima per il periodo successivo al 2012. E’ nostro interesse comune che i paesi che inquinano molto – Stati Uniti, Cina e India, ad esempio – vengano coinvolti in questo importante processo negoziale, in modo che si possa far fronte alla sfida globale.
La Russia è un partner importante per la soluzione di questioni problematiche in materia di politica estera, ed è probabile che la discussione di questioni internazionali in seno al Vertice si concentri su Kosovo, Iran e Medio Oriente, problemi la cui soluzione a lungo termine dipende dai contributi costruttivi di ambo le parti in seno alle sedi multilaterali competenti.
Nelle nostre relazioni con la Russia in quanto nostro vicino, vogliamo mettere in chiaro che la Repubblica di Moldova e la Georgia sono paesi vicini dell’Unione europea, e il nostro interesse a trovare soluzioni a tali conflitti – definiti “congelati” – è più grande che mai; occorrerà la cooperazione entro quadri internazionali da parte di Russia, Unione europea e molti dei suoi Stati membri, ed è nostra speranza particolare che si compiano progressi in merito alla Transnistria e al Nagorno-Karabach.
Vorrei ribadire ancora una volta che la Commissione conferma il proprio impegno verso una politica di cooperazione costruttiva con la Russia quale partner strategico e paese vicino, politica che va fondata su interessi e valori comuni. Crediamo che sia nel logico interesse della Russia cooperare in modo costruttivo su tale base non solo con l’Unione europea, ma anche con i suoi Stati membri.
Joseph Daul, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Signor Presidente, Presidente Gloser, signor Vicepresidente della Commissione Verheugen, onorevoli colleghi, si può essere ad un tempo fermi nei propri valori e principi e lavorare in stretta collaborazione in ambiti tanto delicati quali l’energia, il cambiamento climatico, l’adesione all’OMC, la politica in materia di visti e la cooperazione nei paesi vicini che abbiamo in comune? La risposta a tale domanda non deve variare a seconda del partner di cui si parla quando si tratta delle relazioni che l’Unione europea v’intrattiene. Sì, nelle sue relazioni con la Russia, l’Europa deve assumere un atteggiamento aperto e orientato al dialogo, ma deve anche condividerne le preoccupazioni – spesso gravi – in materia di diritti umani e, in particolare, di libertà di espressione e di trattamento delle minoranze.
Oggi, 9 maggio, commemoriamo l’anniversario della Dichiarazione di Schuman. Quale significato hanno tali celebrazioni se l’Europa riunificata non è in grado di far valere i suoi diritti umani? Per le nostre relazioni con un partner strategico quale la Russia, gli ultimi sviluppi nel paese sono fonte di grave preoccupazione. Perciò il mio gruppo pensa che il comportamento di Mosca in seguito allo spostamento di un monumento sovietico da parte delle autorità estoni sia del tutto inaccettabile. Tale gesto, da parte della Russia, è un’autentica violazione della sovranità di uno Stato membro dell’Unione, che c’impone di reagire con grande serietà. Questo è quanto abbiamo fatto oggi. La Russia non deve pensare che, assumendo un simile atteggiamento, riuscirà a dividerci: oggi siamo tutti estoni.
Il mio gruppo ha inoltre condannato senza riserve le misure repressive contro le manifestazioni di Mosca. Ha denunciato l’assassinio, alla fine del 2006, della giornalista Anna Politkovskaya, l’avvelenamento di Alexander Litvinenko e i ripetuti attacchi alla libertà d’espressione nonché alla libertà di stampa. Infine, le gravi violazioni dei diritti umani nella Repubblica cecena, gli assassini, le sparizioni forzate, la tortura, la cattura di ostaggi e gli arresti arbitrari restano realtà che l’Unione europea non deve accettare.
Onorevoli colleghi, su tutti questi argomenti l’Unione europea ha il dovere di parlare apertamente e di ottenere spiegazioni e, soprattutto, un cambiamento di atteggiamento e di politica. E’ nostro dovere reciproco creare le condizioni per relazioni equilibrate e lavorare per la costruzione di un ambiente geopolitico stabile e il più armonioso possibile. Il mondo è cambiato. Non siamo più in tempo di guerra fredda, ma di cooperazione, di formulazione di politiche concrete. Tali politiche non possono che favorire la crescita, l’occupazione e la stabilità a lungo termine del continente.
Mi rivolgo alla Commissione e al Consiglio affinché elaborino iniziative comuni con la Russia nel tentativo di accrescere la sicurezza nei paesi vicini: la gestione congiunta delle crisi in Ucraina e Bielorussia e gli sforzi comuni per la soluzione dei conflitti in Nagorno-Karabach, Moldova e Georgia, pur garantendo l’assoluta integrità territoriale degli Stati. Vorrei altresì che si riaprissero al più presto i negoziati per un nuovo accordo quadro tra UE e Russia, purché quest’ultima accetti di comportarsi da vero e proprio partner. Mi congratulo con la Presidenza tedesca per gli sforzi indefessi che sta compiendo in tal senso e chiedo ai partner russi di smettere di esercitare pressioni economiche sugli Stati membri.
Vorrei porre l’accento sull’importanza di una prossima adesione russa all’OMC. Tale adesione invierà un importante messaggio di fiducia agli investitori, stimolerà la crescita in Russia rafforzando anche i nostri scambi commerciali e costringerà la Russia a rispettare le regole. L’Unione, tuttavia, potrà sostenere tale sviluppo solo se vedrà compiere più di un passo avanti e constaterà una certa calma nelle relazioni. Non lasciamoci sfuggire quest’opportunità!
Vorrei altresì sottolineare la notevole importanza della questione strategica del dialogo con la Russia sull’energia. Mi congratulo con il Commissario Piebalgs e con il ministro russo per l’Energia per l’accordo recentemente raggiunto sulla riorganizzazione di tale dialogo. E’ nostro dovere, nonché interesse comune, garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e della domanda di energia in un contesto di accresciuta interdipendenza. Tale cooperazione – su questo punto insistiamo – deve fondarsi sui principi stabiliti dalla Carta dell’energia e, soprattutto, dal Protocollo sul transito ad essa allegato.
Intraprendendo tali azioni concrete per aiutare i popoli di Russia ed Europa, supereremo le nostre divergenze. Attraverso un autentico dialogo, saremo all’altezza delle sfide della globalizzazione, i cui aspetti chiave emergeranno rafforzati. Mi auguro li rafforzeremo reciprocamente.
Jan Marinus Wiersma, a nome del gruppo PSE. – (NL) Signor Presidente, non ha in qualche modo un valore simbolico che il giorno in cui discutiamo delle relazioni tra l’Unione europea e la Russia sia il 9 maggio? Si tratta di un giorno di riflessione storica e, nell’Unione europea, della data in cui si celebra la festa dell’Europa. Quest’anno possiamo più specificamente ripensare ai 50 anni di cooperazione europea, e il 9 maggio è il giorno in cui la Russia festeggia la fine della Seconda guerra mondiale, una guerra che ha diviso l’Europa, ma che è stata anche motivo dell’unificazione europea. Di fatto, il 9 maggio dovrebbe essere un giorno in cui si riflette sulle esperienze comuni che ci uniscono e che, per di più, possono fungere da base per un futuro condiviso.
La situazione non è altrettanto rosea, purtroppo. Se pensiamo al Vertice semestrale UE-Russia che si terrà a Samara venerdì prossimo, dobbiamo concludere che le speranze di intrattenere un dialogo costruttivo – come tutti vogliamo – non sono molte. Senza dubbio vi sono sufficienti argomenti di conversazione, e siamo tuttora convinti – come hanno sottolineato i precedenti oratori – che una stretta collaborazione tra Unione europea e Russia sia davvero l’unica opzione praticabile per il futuro, dati gli interessi comuni su ambo i fronti del continente.
Vi sono anche aree in cui, negli ultimi anni, abbiamo unito le forze e che a nostro avviso occorre assolutamente menzionare, come ad esempio l’importanza del Tribunale penale internazionale dell’Aia, le aspirazioni nucleari di Iran e Corea del Nord e il modo di contrastarle o la cooperazione in merito al Protocollo di Kyoto.
Per quanto riguarda le relazioni commerciali ed economiche tra Russia e Unione europea, spesso mi viene riferito che procedono secondo i piani. Tuttavia restano in qualche misura incerte le modalità di ulteriore sviluppo delle nostre relazioni di partenariato.
Vi sono settori importanti in cui non siamo ancora riusciti a compiere alcun progresso. Ad esempio, come possiamo garantire, in materia di energia, i rapporti chiari e trasparenti che auspichiamo? Come si conciliano i nostri valori comuni di democrazia e rispetto dei diritti umani con il partenariato strategico UE-Russia? Si tratta di questioni d’importanza fondamentale per noi e per il mio gruppo, che non possono essere oggetto di concessioni nel corso del dialogo. A mio parere, sta all’Unione europea mettere in chiaro, a Samara, la propria posizione, in particolare nei preparativi per i nuovi negoziati su un futuro accordo di partenariato. Non siamo i soli a temere che questo Vertice produca meno di quanto ci saremmo aspettati tempo addietro.
Potrei elencare una serie di ulteriori elementi che sono stati altresì inclusi nella risoluzione comune. Una questione che vorrei sottolineare, soprattutto a nome del mio gruppo, è che la crescente polarizzazione nella corsa alle elezioni della Duma che si terranno quest’anno è per noi motivo di timore e angoscia. E’ fondamentale che l’Unione europea ponga l’accento sul fatto che le elezioni devono svolgersi in un contesto di libertà e democrazia e che è inaccettabile che i partiti di opposizione vengano ostacolati come ora avviene.
Non intendo ripetere ciò che si è detto circa la questione dell’Estonia e, in effetti, sostengo tutte le affermazioni dei precedenti oratori al riguardo. Speriamo che l’atteggiamento e il comportamento della Russia in questo frangente non sia sintomatico; dobbiamo inoltre mettere in chiaro che non potremmo accettare il ripetersi di un simile episodio.
Fino al 1991, Samara era una città chiusa, perché situata in parte in una zona strategica dell’Unione Sovietica. Speriamo che questo non sia un segno di quanto possiamo aspettarci dall’incontro della prossima settimana. A mio parere sarebbe proficuo per entrambi i partner riesaminare gli interessi comuni, soprattutto pensando all’Unione europea, senza trascurare i valori su cui il partenariato deve fondarsi, cioè democrazia, diritti umani e rispetto per gli altri paesi.
Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, in questo giorno, nel 1945, l’Europa celebrava il День Победы – la festa della vittoria – della Russia, e la vittoria della libertà, del diritto e della dignità umana sulle forze dell’odio nazista. Allora eravamo uniti nella causa comune. Ora un simbolo di quella stessa guerra che ci ha avvicinati ci ha stretti in una disputa destabilizzante.
So che la Commissione raccomanda il dialogo per porre fine alla situazione di stallo tra Tallinn e Mosca in merito al monumento bellico russo. Tuttavia, come ebbe a dire l’ex Ambasciatore degli Stati Uniti alla CSCE, Max Kampelman, “un dialogo è qualcosa di più di due monologhi”.
Quando l’intimidazione prevale sulla negoziazione, non può più essere tutto come prima tra Unione europea e Russia. Per questo motivo il mio gruppo stamani ha deciso di revocare il proprio sostegno alla proposta di risoluzione sul Vertice UE-Russia. Il problema non è quello che dice, ma quello che non dice. Ai russi si deve dare il chiaro segnale che la misura è colma.
(DE) Presidente Gloser, Commissario Verheugen, quel che ci avete dato sono belle parole, nient’altro che miti parole, ma non ci avete dato azione.
(Applausi)
(EN) Vorrei pertanto farvi una proposta diretta: rinviate il Vertice finché la Russia non sarà disposta a cementare un rapporto costruttivo con l’Unione e a condannare ogni violenza ai danni del personale e della proprietà comunitaria.
(Applausi)
Dobbiamo restare compatti al fianco dell’Estonia, al fianco della Polonia. La solidarietà democratica è più importante degli accordi bilaterali sul petrolio e sul gas.
(Applausi)
E non dobbiamo cedere per primi se vogliamo seriamente mantenere una cooperazione concreta con il governo Putin e nel raccogliere consensi sullo status definitivo del Kosovo.
Per il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, i trascorsi russi in materia di diritti umani sono motivo di particolare preoccupazione. Solo quando un sistema giudiziario indipendente, la libertà di espressione e la democrazia smetteranno di essere meri slogan e quando i giornalisti, i partiti di opposizione e le ONG potranno operare senza timore di ripercussioni, la Russia avrà dimostrato il proprio impegno per l’istituzione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, come implica la sua partecipazione al Consiglio d’Europa e come si è impegnata a fare in seno al Vertice di San Pietroburgo.
L’arresto e la detenzione degli oppositori, che si tratti di Kasparov o Khodorkovsky, non indicano certo che i tempi sono cambiati. Le elezioni della Duma di dicembre, per non parlare di quelle presidenziali dell’anno prossimo, saranno la prova del nove al riguardo, come pure le azioni della Russia in Cecenia, dove tortura e detenzioni segrete continuano a dare motivo di preoccupazione.
Il dialogo richiede progressi nell’ambito della sicurezza energetica, in cui, con Gazprom più orientata alla politica che ai profitti, permane la prospettiva di ulteriori tattiche intimidatorie. A Stati membri come Lettonia e Lituania, vittime della politica energetica, dobbiamo una risposta che non sia solo fumo, il che significa insistere sul fatto che i futuri accordi tra Unione europea e Russia siano associati ai principi della Carta dell’energia e del Protocollo di Kyoto, al fine di garantire un futuro più sicuro e sostenibile.
Sì, vi sono segni di progresso in materia di giustizia e affari interni, ambiti in cui stiamo negoziando accordi frontalieri con gli Stati baltici, l’abolizione dell’obbligo del visto per gli spostamenti e la riammissione degli immigrati illegali in linea con la nostra strategia comune.
I frutti del dialogo costruttivo sono però troppo scarsi e sporadici. L’odierno “giorno della vittoria” dovrebbe ricordarci che, solo 60 anni fa, la dipendenza reciproca ci ha aiutati ad affrontare le sfide comuni. Può accadere di nuovo, purché abbiamo il coraggio di agire!
(Applausi)
Hanna Foltyn-Kubicka, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, in quanto Stato sovrano, l’Estonia ha tutto il diritto di decidere da sé come giudicare la propria storia. Ha altresì il diritto di spostare il monumento e le ceneri dei soldati sovietici in un cimitero – luogo adatto a ospitarli – dimostrando tutto il dovuto rispetto verso i defunti. La reazione isterica della Russia alla decisione sovrana del governo estone è uno stratagemma ben congegnato. Da una parte, il Cremlino vuole vedere fino a che punto può esercitare pressioni sull’Europa, provocando, dall’altra parte, conflitti quali quelli con Polonia, Georgia e Ucraina. Lo scopo è dare l’impressione di una fortezza sotto assedio e di riunire quindi i russi intorno a Putin. L’imminente Vertice di Samara sarà pertanto una prova di quanto sia unita l’Europa. L’ho già detto diverse volte da questo seggio, e lo ripeto: l’Unione europea dev’essere unita, deve esprimersi all’unisono, deve difendere ad ogni costo i propri Stati membri e rispondere a qualunque sfida Putin le ponga.
Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche se credo che l’onorevole Daul stesse tentando di fare la cosa giusta, va detto che, molto semplicemente, ha mancato il bersaglio. La questione è intrattenere i rapporti con una potenza politica come la Russia, che, in sostanza, vede in ogni relazione un mero strumento per raggiungere i propri scopi. Può ben darsi che la Russia non sia più l’Unione Sovietica, ma in molti settori intende adottarne le stesse politiche; persegue una politica di potere, ma non militare, bensì economico, e uno degli strumenti che utilizza a tale scopo è l’approvvigionamento energetico.
Questo non significa che non dobbiamo stringere relazioni politiche con la Russia; significa solamente che non dobbiamo prendere le cose per qualcosa di diverso da ciò che sono in realtà. Le relazioni politiche di Commissione e Consiglio con la Russia non sono un dialogo. Il dialogo si ha quando le persone possono parlarsi l’una con l’altra, quando possono viaggiare, quando c’è scambio tra le società civili. Le strutture politiche non intrattengono un dialogo, ma conducono trattative politiche, e le due cose non vanno confuse. L’onorevole Watson, a mio avviso, ha scelto di adottare l’approccio adeguato. Esiste la possibilità che in seno all’Unione europea, vista la presente politica di potere della Russia, motivata soltanto dai suoi interessi – e intendo non gli interessi del paese in sé, ma della struttura di potere, del regime di Putin e del sistema economico – si riesca a inviare il messaggio che non è questo il genere di politica che vogliamo?
E’ difficile. Non pretendo di avere soluzioni a portata di mano, ma è chiaro che, se un ex Cancelliere tedesco può asserire che la Russia è una democrazia assolutamente impeccabile, si tratta di un esempio dell’irresolutezza che tanto indebolisce la nostra politica, poiché non siamo nella posizione di capire quale sistema governi la Russia. Dobbiamo intrattenere relazioni politiche con la Russia o con l’Arabia Saudita. Nessun politico sano di mente affermerebbe che l’Arabia Saudita è una democrazia impeccabile, in cui a chi commette taluni reati si taglia solo una mano, anziché entrambe come avviene in altri Stati fondamentalisti islamici.
Questo significa che potremo ottenere relazioni adeguate con la Russia solo se, in quest’Aula, riusciremo a comprendere adeguatamente la Russia, la sua politica di potere e le strategie autoritarie di Putin. Solo allora potremo fare la cosa giusta, il che non significa che non dobbiamo negoziare, bensì che noi e i russi non abbiamo rapporti amichevoli.
Non desidero amicizia politica con una leadership autoritaria e dittatoriale quale quella di Putin. Possiamo e dobbiamo mantenere le relazioni politiche con la Russia, ma non si può trattare di una relazione d’amicizia, con noi che diciamo “Va bene, Putin, puoi continuare a comportarti allo stesso modo con i tuoi cittadini”. E’ qui che dobbiamo dire “no”!
(Applausi)
Esko Seppänen, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FI) Signor Presidente, in un certo senso si tratta di far quadrare il cerchio, poiché alcuni Stati membri dell’Unione vogliono intrattenere ad un tempo relazioni buone e cattive con la Russia. Le buone relazioni servono per avere gas e petrolio a buon mercato, quelle cattive per la politica interna.
Il nostro gruppo vuole che l’Unione europea negozi un nuovo accordo di partenariato con la Russia. Poiché vi sono 27 Stati membri, vi saranno interessi diversi cui badare nel corso dei colloqui. E’ tuttavia arduo comprendere il nazionalismo che impedisce alla nostra Comunità di mezzo miliardo di persone di gestire in modo ordinato le relazioni con questo vicino prossimo dell’Unione.
Certi Stati membri non devono infuriarsi con la Russia, confidando nella solidarietà degli altri Stati membri, se nel contempo impediscono agli altri paesi di promuovere interessi comuni in relazione alla Russia. L’Europa non deve dividersi in due, benché questa tendenza sia percepibile in quest’Aula. Per il nostro gruppo la risoluzione comune è accettabile.
Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, vorrei parlare della recente iniziativa della Commissione di istituire un piano per il Mar Nero, che svolge un ruolo molto importante nelle relazioni con la Russia, e al centro del quale vi sono rischi più e meno gravi per la sicurezza, in quanto l’iniziativa della Commissione per una sinergia nel Mar Nero riguarda i conflitti congelati in Transnistria, Ossezia meridionale, Abkhazia e Nagorno-Karabach, nonché temi quali il contrabbando di armi e droga, il traffico di esseri umani e la migrazione, che sono tutti importanti. Questo testimonia la bontà dell’iniziativa da parte di Commissione e Consiglio, che sarà oggetto di ulteriori discussioni durante il mandato della Presidenza tedesca.
L’iniziativa della Commissione, tuttavia, si può anche vedere alla luce dei tentativi europei di diversificare le risorse energetiche nonché gli oleodotti e gasdotti. Si dice che il governo russo non sia proprio entusiasta dell’attuale piano per il Mar Nero presentato dalla Commissione. Tra l’altro, il documento della Presidenza tedesca dimostra – e proprio a questo argomento il Frankfurter Allgemeine Zeitung ha dedicato un interessante articolo – che la cooperazione di Mosca è indispensabile per la riuscita dei progetti europei. In breve, Mosca non è proprio entusiasta, ma la sua cooperazione è indispensabile. Come intendono Consiglio e Commissione affrontare questo dilemma geopolitico a Samara?
Jean-Marie Le Pen, a nome del gruppo ITS. – (FR) Signor Presidente, è ovvio che i diritti dell’Estonia vanno rispettati. Detto questo, i critici più feroci della Russia di oggi sono spesso quelli un tempo più compiacenti verso l’Unione Sovietica.
Per decenni hanno negato, da un lato, il rischio che l’imperialismo sovietico rappresentava per la pace e per l’indipendenza delle nostre nazioni e, dall’altro, la natura totalitaria del comunismo. I comunisti, naturalmente, ma anche molti leader dell’Europa occidentale, salutavano come un benefattore dell’umanità il fondatore di tale orrendo sistema: Lenin. Valéry Giscard d’Estaing e il Presidente Chirac sono arrivati al punto di portare fiori al suo mausoleo. Per contro, gli oppositori del comunismo che dimostravano la propria solidarietà verso i popoli d’Europa e dell’est sono stati demonizzati. Questo servilismo, mi duole dirlo, non è scomparso con l’URSS. Numerosi nostri colleghi, quali l’onorevole Cohn-Bendit, vorrebbero perciò impedire ai cittadini della Polonia di “decomunistizzare” il paese.
Oggi la Russia è un paese libero e non meno democratico dell’Europa di Bruxelles, che tenta d’imporre un testo costituzionale respinto nel 2005 dai Paesi Bassi e dalla Francia, dagli elettori. D’altra parte, diversamente dai cittadini della Turchia che la stessa Europa di Bruxelles vuole integrare nell’Unione, i russi sono una grande nazione europea esposta ai pericoli che incombono su tutte le nazioni d’Europa: immigrazione e calo delle nascite, islamismo e globalizzazione. Possiamo affrontare tali sfide, purché creiamo un’Europa diversa, la grande Europa delle nazioni, fondata sul principio della sovranità nazionale, che si estenda da Brest a Vladivostok.
Quasi 18 anni fa, la caduta della cortina di ferro ha rappresentato il primo passo della riunificazione del continente. Occorre colmare un’altra lacuna: quella che, da ben più di mille anni, da ambo le parti della linea di Teodosio, separa gli eredi di San Benedetto in Occidente da quelli di San Cirillo in Oriente.
Gunnar Hökmark (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, non vi è modo migliore per festeggiare il 9 maggio di affermare con grande chiarezza che l’Unione europea difende ciascuno dei suoi Stati membri qualora sia oggetto di minacce e vessazioni.
Questo dev’essere un tema dominante delle discussioni sull’imminente Vertice. Non vi è altra possibilità, perché l’Estonia ha avuto un ruolo di primo piano nella trasformazione della vecchia Europa nella nuova Europa, pacifica e democratica. Tutti dobbiamo esserle grati per questo. Ma non si tratta solo di questo, perché la sua libertà e indipendenza è oggi parte integrante della nostra libertà e indipendenza. Se l’Estonia non è indipendente, non lo siamo neppure noi. Questo dev’essere un argomento fondamentale nel dibattito sulle relazioni UE-Russia.
L’imminente Vertice è importante, ma vi sono quattro cose che l’Unione europea deve assicurare. Innanzi tutto il principio che se non si rispetta l’Estonia, non si rispetta l’Unione europea, il che compromette qualunque accordo si possa raggiungere. Dev’esservi comprensione reciproca in qualsiasi discussione. In caso contrario, gli obiettivi che possiamo raggiungere non varranno la carta su cui sono scritti.
In secondo luogo, non si può minacciare e attaccare uno degli Stati membri, sviluppando nel contempo relazioni con gli altri. Non si possono stringere accordi su energia, commercio e in altri ambiti, se non si riferiscono a tutti gli Stati membri con pari diritti e pari opportunità. Dobbiamo assicurare che la Russia non creda affatto, né abbia modo di credere, di poterci dividere in questo senso, fornendo energia a un paese e attaccandone un altro.
In terzo luogo, la discussione su Russia ed Estonia non riguarda l’Estonia, bensì gli sviluppi politici in Russia. Dobbiamo fare in modo che in Russia si compiano progressi, al fine di assicurare i progressi nelle relazioni tra Unione europea e Russia. Se non difenderemo la nostra indipendenza, ne perderemo tutti una parte.
Reino Paasilinna (PSE). – (FI) Signor Presidente, mi pare di capire che la discussione sull’Estonia si terrà a Strasburgo nel corso della prossima tornata. Vorrei pertanto concentrarmi sulle questioni economiche incluse nel programma di Samara.
Innanzi tutto, l’obiettivo della Russia è trasformarsi da fornitore di materie prime ad acquirente di prodotti finiti. Per prima cosa, occorre investire nella modernizzazione del settore energetico, e la Russia non può farlo da sola: ha bisogno del nostro aiuto. In secondo luogo, il settore delle esportazioni dev’essere promosso su un piano internazionale e, anche per questo, la Russia avrà di nuovo bisogno di noi. Inoltre occorre ammodernare le infrastrutture, altra area in cui noi siamo i partner naturali.
Questi, dunque, sono gli obiettivi della Russia, che però, senza l’Unione europea, non li raggiungerà con sufficiente rapidità, ma resterà invece ancor più indietro sul piano dello sviluppo internazionale. Vogliamo altresì che la Russia abbracci i nostri valori comuni, lo Stato di diritto e la democrazia. Queste sono le nostre richieste, e la Russia ha bisogno di un cliente ricco, che siamo noi. Noi abbiamo bisogno di energia. La dipendenza reciproca è aumentata, non diminuita.
Non credo che la modernizzazione della Russia riuscirà senza la società civile e l’evoluzione della democrazia. Perché no? Perché la moderna tecnologia e una società che si basa sulla tecnologia informatica necessitano di notevole creatività, e la creatività non si esprime al meglio in un clima politico problematico o sotto una dittatura.
Creatività, democrazia e libertà dei media sono essenziali per lo sviluppo di una società moderna, il che è esattamente ciò che vuole la Russia. Pertanto suggerisco che questa serie di obiettivi venga messa in chiaro nelle nostre relazioni, nonché a Samara, dove si recherà anche il Commissario Verheugen, si spera con il messaggio che lo sviluppo auspicato dalla Russia è coerente con i nostri obiettivi e che la buona riuscita di tale sviluppo è essenziale.
Toomas Savi (ALDE). – (ET) Vorrei richiamare la vostra attenzione sul comportamento della Russia nei confronti dell’Unione europea negli ultimi anni. Quel che è successo in Estonia, cioè lo spostamento del soldato di bronzo nonché l’esumazione e la nuova sepoltura dei resti di 12 caduti, si è svolto nel rispetto della Convenzione di Ginevra ed è una questione interna dell’Estonia.
La Federazione russa ha reagito con una guerra propagandistica, servendosi di attacchi informatici e di restrizioni al commercio. Le dichiarazioni dei politici russi hanno istigato alla violenza sia a Tallinn che nei pressi dell’Ambasciata estone a Mosca, violenza culminata con l’aggressione fisica al nostro ambasciatore.
La richiesta presentata dalla delegazione della Duma russa in visita in Estonia, ossia la richiesta di dimissioni del governo estone, è particolarmente inquietante. Un simile comportamento è un ulteriore segno della politica estera eurofoba della Russia, espressa dall’idea di Putin che il crollo dell’Unione Sovietica nel XX secolo sia stata la massima catastrofe geopolitica della storia.
Nel discorso di Monaco, il Presidente Putin ha parlato del tentativo da parte della Russia di porsi quale superpotenza a dispetto dell’Unione europea, soprattutto nell’ambito delle relazioni con i nuovi Stati membri.
Signor Presidente, se davvero il 18 maggio si terrà un Vertice UE-Russia a Samara, l’Unione europea deve rappresentare in tale occasione gli interessi di tutti gli Stati membri, ossia esprimersi con una sola voce.
Inese Vaidere (UEN). – (LV) Onorevoli colleghi, 62 anni or sono, in questo periodo l’Europa gioiva della liberazione dall’occupazione nazista, ma nel contempo, per i tre Stati baltici, iniziava un ulteriore cinquantennio di occupazione sovietica, i cui effetti si vedono ancora oggi.
In Russia, che ha raccolto l’eredità di diritti e doveri dell’Unione Sovietica, la democrazia viene ora costantemente messa da parte. Le violazioni dei diritti civili e la soppressione della libertà di parola stanno diventando fatti quotidiani. La politica interna russa diventa sempre più aggressiva. Lo stesso accade alla politica estera russa, soprattutto per quanto riguarda gli Stati che da lungo tempo vuole considerare parte del suo impero. Ne è conferma la visita in Estonia di una delegazione della Duma russa, che ha chiesto le dimissioni del governo estone, e delle forze di sicurezza russe, con il benestare delle quali l’Ambasciata estone è stata circondata e attaccata. E’ un dato di fatto che in Estonia vi sono persone coinvolte nelle attività e nelle azioni del cosiddetto partito paneuropeo russo, che si oppongono attivamente all’indipendenza degli Stati baltici. Si tratta di sciovinisti che si definiscono minoranze e antifascisti, sminuendo così il significato di questa parola. Questo insospettisce circa i veri obiettivi del partito e il suo ruolo nella creazione di disordini.
La situazione che la Russia ha suscitato in Estonia è un test: l’Unione europea è in grado di proteggere gli Stati membri? Se le Istituzioni europee, la Presidenza dell’Unione e i governi degli Stati membri non reagiscono con sufficiente rapidità e decisione, ricordando tra l’altro alla Russia l’esigenza di riconoscere l’innegabile occupazione degli Stati baltici, e se non sono in grado di esprimersi all’unisono, possiamo presumere che simili episodi si ripetano anche in altri Stati. Grazie.
Bart Staes (Verts/ALE). – (NL) Signor Presidente, in qualità di deputato ed ex presidente della delegazione per le relazioni con la Russia, deploro l’atteggiamento debole, fiacco e talvolta privo di spina dorsale di cui l’Unione europea ha dato prova nei confronti dei leader russi. Benché a favore dei diritti umani o internazionali, di una maggiore libertà di stampa, della libertà di associazione e di riunione, spesso distogliamo lo sguardo o ci tiriamo indietro di fronte a misure severe. E’ davvero timida la critica rivolta da Consiglio e Commissione alle violenze contro le proteste del movimento “Un’altra Russia” a Mosca e San Pietroburgo. E’ lecito dubitare che tale atteggiamento possa cambiare nel corso del Vertice.
Si consideri ad esempio la Cecenia. La situazione precaria della regione è ovviamente oggetto di discussione nella risoluzione che voteremo domani, ma non riusciamo a esprimerci a favore e ad assumerci l’impegno di un autentico processo di pace e di un dialogo serio con tutte le componenti della società cecena, compresi dunque anche i cosiddetti ribelli.
E’ escluso che i delinquenti che attorniano un prestanome disonesto e corrotto come Kadirov vengano riconosciuti quali rappresentanti legittimi del popolo ceceno. Uno dei compiti del Presidente in carica del Consiglio e del Commissario in seno al Vertice di Samara è sollevare simili questioni.
PRESIDENZA DELL’ON. MANUEL ANTÓNIO DOS SANTOS Vicepresidente
Vladimír Remek (GUE/NGL). – (CS) Onorevoli colleghi, è assolutamente indubbio che le relazioni tra Unione europea e Russia debbano progredire, a beneficio di entrambe le parti. Sarebbe quindi opportuno coltivare ulteriormente tali relazioni, compiendo passi ben ponderati, senza cedere all’emozione e all’avventatezza.
Se reagiremo frettolosamente a messaggi provenienti dalla Russia indirizzati principalmente alla scena politica nazionale, non daremo prova né di buon senso né di forza, ma semmai d’insicurezza e debolezza.
Negoziare con un partner significa non solo sedersi al tavolo negoziale, ma anche intrattenere un dialogo significativo. Tali negoziati difficilmente vengono agevolati ponendo richieste all’altro partner prima di tentare una soluzione ragionevole ai problemi veri e propri.
Per esempio, nel caso della soluzione – o meglio della mancata soluzione – al problema di quelli che in alcuni Stati membri dell’Unione vengono definiti “non cittadini”, non adottiamo un approccio intransigente quanto quello usato per fare pressioni sulla Russia. A mio parere, dovremmo una buona volta costruire le nostre relazioni con la Russia su fondamenta solide, affrancandoci dal pregiudizio e dal passato.
Georgios Karatzaferis (IND/DEM). – (EL) Signor Presidente, ho ascoltato con grande attenzione tutti gli oratori. Ciò che accade in Estonia è decisamente sbagliato ed è positivo che ci schieriamo dalla sua parte.
Perché non dimostriamo la medesima sensibilità verso ciò che accade a Cipro? Anche lì uno Stato autocratico ha messo in atto un’invasione cui nessuno obietta. Alcuni giorni fa i socialisti hanno persino chiesto di riqualificare lo status degli invasori. La stessa cosa avviene tra Cina e Taiwan. Quest’ultimo non può aderire all’OMS per ottenere i medicinali di cui necessita. Anche in questo caso non abbiamo reagito. Gli Stati Uniti d’America hanno fatto altrettanto quando hanno attaccato l’Iraq senza chiedercelo, ponendoci poi di fonte al grave dilemma “chi non è con noi è contro di noi”. Ancora una volta non abbiamo detto nulla in merito a questo approccio fascista da parte del Presidente Bush, e quando alcuni leader d’Europa hanno preso le distanze dall’invasione, vorrei ricordarvi la reazione che hanno ottenuto una volta che il Presidente Bush aveva già esercitato la sua influenza. Devo forse richiamarvi alla memoria il Presidente Chirac o parlarvi del Cancelliere tedesco? Perché assumiamo un punto di vista tanto unilaterale riguardo agli eventi?
Come potrà essere contenta la Russia quando autorizzeremo gli americani a collocare razzi lungo i suoi confini? Non sarà sospettosa? Come diciamo in Grecia, vai d’accordo con il tuo vicino così che lui vada d’accordo con te. Ci comportiamo nel modo giusto o – almeno in questo momento – esaudiamo semplicemente i desideri americani? L’America vuole la Russia come nemica e vuole costringerci a considerarla tale. No, noi dobbiamo avviare un dialogo, rispettare lo Stato, il governo, i cittadini del paese. Penso che qualunque altra cosa non sia democrazia.
Dumitru Gheorghe Mircea Coşea (ITS). – Fără îndoială, relaţia cu Federaţia Rusă nu poate să nu aibă în vedere faptul că 60% din exporturile ruse de petrol şi 50% din exporturile ruse de gaze ajung în Uniunea Europeană. În pofida acestei situaţii, ţin să subliniez necesitatea eliminării din politica Uniunii şi mai ales din politica unor state membre a concepţiei conform căreia Europa este condamnată să fie dependentă de Rusia şi obligată, ca, în schimbul aprovizionării cu energie, să accepte unele compromisuri sau cedări în faţa unor tendinţe hegemonice ale Rusiei, în exterior, sau a încălcării unor drepturi democratice în interior.
Am convingerea că Uniunea Europeană are capacitatea tehnică şi de inovaţie pentru a micşora din ce în ce mai mult nivelul aprovizionării din Rusia. De aceea, relaţia de energie nu trebuie să depăşească limitele cadrului relaţiilor comerciale şi de cooperare tehnică În niciun caz ea nu trebuie să fie privită ca un argument politic în acceptarea de către Uniune a încălcării de către Rusia a unor principii şi valori europene dedicate libertăţii, democraţiei şi toleranţei.
În relaţia cu Rusia, nu trebuie uitat că Europa nu are petrol, dar are principii iar principiile nu se schimbă niciodată pe petrol.
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, le relazioni UE-Russia alla vigilia del Vertice si trovano a un punto critico: siamo dinanzi a una grave crisi per via dello spostamento del monumento sovietico di Tallinn.
Poiché provengo dal Regno Unito, paese che per fortuna non ha mai dovuto subire direttamente l’egemonia sovietica, è facile per me mettere in dubbio l’opportunità della decisione politica di spostare la statua, e con essa i soldati russi caduti, in un cimitero militare. E’ chiaro tuttavia che si tratta di un diritto sovrano del governo estone, esercitato legalmente nell’ambito del diritto internazionale. Non è accettabile né che la Russia chieda le dimissioni del governo estone né che fomenti – attraverso il gruppo estremista nazionalista Nashi – agitazioni ai danni della missione estone a Mosca. Alcune settimane fa, durante la mia visita a Mosca, ho protestato personalmente con il viceministro degli Esteri, perché lo stesso trattamento è stato impartito all’Ambasciatore britannico, Anthony Brenton, che ha subito vessazioni per aver partecipato alla manifestazione di Kasparov.
La Russia deve rendersi conto della nuova realtà geopolitica, in cui non esiste più il cosiddetto “estero vicino” in cui è lei a comandare. Ora deve rispettare la sovranità dei nuovi paesi, quali l’Estonia, l’Ucraina, la Moldova, la Georgia e così via.
Mi reputo un amico della Russia e, in particolare, della sua ricchissima cultura, e credo che l’Unione europea abbia bisogno di una Russia forte e unita, così come la Russia ha bisogno di noi; tuttavia abbiamo bisogno anche di una Russia che ribadisca il proprio impegno internazionale, come membro dell’OSCE e del Consiglio d’Europa, a rispettare la democrazia e i diritti umani, soprattutto per quanto riguarda la Cecenia e la libertà di stampa. Intimidire i paesi vicini non aiuta, in particolare ora che possono richiedere il sostegno di un’Unione europea e di una NATO fermamente decise a dar prova di forte solidarietà in ambiti quali il divieto d’importazione di carni polacche e la questione della statua estone, di cui discutiamo oggi.
La Russia ci serve non solo come partner commerciale affidabile per petrolio e gas, ma anche per il suo sostegno nel contrastare la proliferazione nucleare dell’Iran e della Corea del Nord in seno al Consiglio di sicurezza, per riavviare il processo di pace arabo-israeliano, per trovare soluzioni accettabili ai conflitti congelati dalla Transnistria alla Georgia al Nagorno-Karabach e per arginare il regime dispotico della Bielorussia. Ci serve altresì che la Russia sottoscriva una strategia di riduzione delle emissioni, in quanto firmataria di Kyoto, poiché tutti siamo esposti ai pericoli del riscaldamento terrestre, e la Russia, naturalmente, presenta estese regioni artiche che sarebbero gravemente colpite dal riscaldamento globale.
Sosteniamo il desiderio della Russia di aderire all’OMC, poiché crediamo che inserirla in un sistema basato sulle regole del commercio internazionale permetterà di presentare reclami nel caso in cui tenti di nuovo di imporre arbitrariamente divieti di natura commerciale, come ha fatto con il vino ai danni della Moldova e con l’acqua minerale ai danni della Georgia.
Sono sensibile ai timori russi; di fatto, i russi sono i più ossessionati dalla futura crisi demografica – perdono circa 700 000 cittadini l’anno – e anche molti Stati membri dell’Unione condividono la stessa sfida futura. Tuttavia credo altresì fermamente che permettere alla Russia di sondare le nostre debolezze spaccando in due i singoli Stati membri dell’Unione non faccia parte di alcuno dei nostri interessi a lungo termine.
Andres Tarand (PSE). – (ET) Vorrei parlare brevemente dell’articolo 4 della risoluzione. Alcuni deputati hanno ravvisato nello spostamento della statua di Tallinn un gesto di provocazione ai danni della Russia. Devo dire che si è trattato, in effetti, di un gesto di provocazione, ma da parte della Russia. Ne illustrerò in breve le prove.
Innanzi tutto, i preparativi della Russia sono iniziati cinque anni fa, benché un anno fa la celebrazione della vittoria russa nella Seconda guerra mondiale del 9 maggio presso la statua di Tallinn si sia trasformata in un evento in cui si beve vodka e si sventola la bandiera della Russia, il tutto al fine di provocare tafferugli, come in effetti in qualche misura è avvenuto. Fino ad allora, in tanti anni la statua non aveva mai dato alcun problema, e se il nostro paese limitrofo non avesse dato inizio alle provocazioni nei pressi del monumento, quest’ultimo probabilmente si troverebbe ancora nello stesso posto.
In secondo luogo, le manifestazioni del 26 e 27 aprile sono state organizzate dai dipendenti dell’Ambasciata russa a Tallinn. Negli ultimi mesi sono stati documentati numerosi incontri in cui gli organizzatori delle recenti manifestazioni si sono incontrati con i dipendenti dell’Ambasciata russa, evidentemente al fine di ottenere istruzioni da professionisti del settore per seminare discordia.
In terzo luogo, le manifestazioni dei giovani di fronte all’Ambasciata estone a Mosca sono state organizzate e preparate direttamente dal Cremlino. La Russia ha deliberatamente ignorato la Convenzione di Vienna e dimostrato di non nutrire alcun desiderio di proteggere i diplomatici estoni a Mosca.
Quarta considerazione, le tracce di numerosi attacchi via computer ai danni dei sistemi informatici estoni portano direttamente al Cremlino e alle istituzioni governative russe.
Quinto punto: contro l’Estonia sono state avviate sanzioni economiche. Se finora la Russia ha esportato il 25 per cento del petrolio per mezzo delle ferrovie e dei porti estoni, la settimana scorsa è trapelato che la linea ferroviaria tra Russia ed Estonia necessiterebbe di lavori di manutenzione non previsti. Tale palese scusa naturalmente nasconde il desiderio d’influenzare economicamente l’Estonia. Una simile sanzione potrebbe anche influenzare direttamente l’approvvigionamento energetico dell’Unione europea. Chiediamoci inoltre chi aveva interesse a sopprimere il treno San Pietroburgo-Tallinn.
In conclusione, vorrei ringraziare tutti i numerosi sostenitori dell’Estonia.
Alexander Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signor Presidente, il Commissario Verheugen ha poc’anzi descritto la Russia come il nostro principale partner strategico in Europa, ma qualunque partenariato strategico dipende dalla presenza di interessi, obiettivi e valori comuni, che a mio avviso, in questo caso, si fanno notare per la propria assenza. Ad ogni modo, che cosa vuol dire “partenariato strategico” per i russi, se prevede simili condizioni? I russi hanno la minima idea di che cosa sia in effetti un partenariato strategico costruttivo con l’Unione europea, visto il loro attuale comportamento verso l’Estonia, e quello assunto in passato verso Kosovo e Moldova? Qual è il loro programma costruttivo in materia di politica estera?
Signor Commissario, lei continua a chiedere a un partner strategico dell’Unione europea un impegno inequivocabile per la democrazia e i diritti umani e lo sforzo costante di realizzarli. Non ha visto le immagini dei manifestanti a Mosca e San Pietroburgo? Sta anche intrattenendo colloqui con i russi in merito al dialogo sui diritti umani, ora scisso dal Vertice principale con la motivazione che sarebbe troppo complesso e troppo gravoso per il normale svolgimento del Vertice se si dovesse parlare di diritti umani con i russi in quella sede.
Signor Commissario, lei afferma che vogliamo che la Russia sia un partner forte. Ebbene, non sono meno amico della Russia di quanto lo sia l’onorevole Tannock, e voglio che la Russia sia forte, ma forte nel vero senso della parola, una Russia che rispetta i diritti umani, i diritti delle minoranze, il diritto di riunione, la libertà di stampa, non una Russia degli inganni la cui forza si fonda su petrolio e autoritarismo. Se intendiamo seriamente far poggiare la politica estera europea su determinati valori, il minimo che possiamo fare è riunire i due Vertici – cioè il vero Vertice UE-Russia e il dialogo sui diritti umani tra i due paesi, che finora si è sempre svolto, deplorevolmente nell’ombra, due settimane prima del Vertice vero e proprio.
Vorrei che ci fosse dialogo, come lo vorrebbe l’opposizione russa, che era presente in Aula la settimana scorsa; anche loro vorrebbero il dialogo tra UE e Russia, e mi auguro che tale dialogo sia proficuo, ma l’esperienza passata tende a rendermi scettico. In conclusione, sono molto lieto che il dibattito si svolga a Bruxelles e non a Strasburgo.
Gintaras Didžiokas (UEN). – (LT) Quando l’Unione europea comprenderà o riconoscerà una buona volta che la questione delle esportazioni di carne polacca in Russia non è una questione veterinaria o commerciale, bensì puramente politica? Analogamente, il conflitto suscitato in Estonia non riguarda la collocazione dei monumenti. Sono tutti espedienti politici utilizzati per tentare di infrangere la solidarietà comunitaria. Ad alcuni paesi si promette un contentino sotto forma di qualche beneficio economico, dipingendo altri paesi come mostri, accusandoli di ostacolare lo sviluppo dei partenariati, allo scopo d’indebolire l’Unione europea.
Quando i politici comunitari capiranno ciò che la Russia sta davvero facendo? Un modo di contrastare simili strategie intrusive è esprimersi inequivocabilmente all’unisono. Dobbiamo dare prova di solidarietà comunitaria concreta, non sostenerla solo a parole. Dobbiamo dire a chiare lettere alla Russia che l’Unione europea non le permetterà di manipolare la sua unità, che l’Unione europea non tradirà i propri ideali e che la Russia commette un grave errore tentando di indirizzarla in tal senso. Perseguiamo un partenariato civile e fondato su rispetto reciproco, democrazia e Stato di diritto.
Angelika Beer (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, riferendomi a tre questioni, vorrei spiegare i motivi per cui il mio gruppo non sosterrà la proposta di risoluzione comune che voteremo domani. Presenteremo i relativi emendamenti. In qualità di portavoce sulla politica di sicurezza per il mio gruppo, il gruppo Verde/Alleanza libera europea, vorrei suggerire che è tempo di parlare chiaro. Dopo tutto non si tratta di un partenariato strategico, ma tutt’al più di concordare e approfondire un partenariato pragmatico.
Il blocco che la Russia, senza un valido motivo e in questo momento difficile, ha posto a una soluzione pacifica nel Kosovo minacciando il veto in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è inaccettabile quanto la minaccia di ritiro dal Trattato della CSCE, importante elemento per il controllo delle armi e per il disarmo in Europa.
Vorrei sollevare una questione che mi preoccupa molto, e che mi aspetto che il Consiglio e la Commissione tentino di chiarire. Se si deve dar credito alle testimonianze oculari, alle relazioni scritte di Amnesty International e ai racconti di altre persone che lavorano nella regione, cioè nel Darfur, solo nel 2005 la Russia ha fornito al Sudan armi da guerra per il valore di 15,4 miliardi di euro. Secondo le testimonianze dirette, parte di queste armi viene impiegata nel Darfur.
Possiamo non sapere come fermare il genocidio nel Darfur, ma dobbiamo fare tutto il possibile per intensificare il dialogo e i negoziati, per rafforzare i diritti umani e porre fine al genocidio, e per assicurare che i singoli Stati membri non possano più affermare i propri interessi petroliferi. Mi appello a tutti affinché non si lasci correre, e si fermi la Russia al riguardo. La situazione è inaccettabile.
Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, poc’anzi ho sentito dire che la Russia è un partner strategico importante, ma in realtà dovrebbe esserlo? La Russia è uno Stato malavitoso che va verso la dittatura totale. La Russia non ha grandi pregi sul piano internazionale se non le proprie risorse energetiche, che sta abilmente sfruttando per architettare la propria rinascita quale potenza mondiale. La Russia si sta servendo delle risorse energetiche per promuovere le proprie aspirazioni geopolitiche internazionali vincolando l’Occidente a tali risorse e istituendo alleanze tra fornitori internazionali con paesi ostili all’Occidente.
L’Occidente democratico e affamato di energia avanza ignaro verso la trappola russa, attirato dalle risorse energetiche. Pensate a ciò che il Presidente Putin ha detto a Novaya Gazeta nel 2003: “La Commissione europea farebbe meglio a scordarsi le proprie illusioni. Per quanto riguarda il gas, dovrà trattare con lo Stato russo”. La natura di tale Stato deve darci parecchio da pensare. Si tratta di uno Stato in cui i servizi segreti si sono trasformati in una classe di malfattori che domina senza restrizioni, uno Stato in cui sono stati uccisi più di 300 giornalisti al fine di dissuadere quelli rimasti dal raccontare la verità. Si tratta di uno Stato in cui i cittadini russi possono assassinare un cittadino britannico che si è espresso criticamente su suolo britannico e restarsene al sicuro in Russia senza temere la giustizia.
La mosca europea non deve cadere nella ragnatela russa. Il Regno Unito deve assicurarsi l’indipendenza nell’approvvigionamento energetico compiendo senza indugio ulteriori investimenti nell’energia nucleare.
Jacek Saryusz-Wolski (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, vi è davvero bisogno di un impegno costruttivo nei confronti della Russia, ma non a qualunque costo, né al prezzo della sovranità dell’Unione o di uno Stato membro. Dobbiamo andare oltre gli ampi schemi di cooperazione e la mera retorica. Dobbiamo soprattutto evitare la compiacenza e le false apparenze. Dobbiamo dire la verità, e la verità è che l’Unione europea e gli Stati membri non possono concentrarsi esclusivamente sugli interessi economici, ignorando il peggioramento della situazione in Russia per quanto concerne democrazia e diritti umani, nonché le politiche discriminatorie della Russia ai danni dei paesi vicini, tra cui diversi Stati membri.
Tutti vogliamo che la Russia diventi democratica. La Russia è un nostro autentico partner. Dobbiamo costruire la fiducia, ma una fiducia fondata sul rispetto dei valori e degli obblighi che abbiamo sottoscritto. La Russia deve soprattutto comprendere che i tentativi di porre gli Stati membri gli uni contro gli altri sono del tutto controproducenti. La politica di dividere l’Unione europea non funzionerà. L’Unione si fonda sul principio di solidarietà, che significa “tutti per uno e uno per tutti”. Oggi quell’“uno” è l’Estonia. Il comportamento russo nei suoi confronti fa parte di una serie di pratiche inaccettabili da parte della Russia, di cui forse vedremo altri esempi. L’Unione sostiene l’Estonia e resta al suo fianco. Consiglio e Commissione dovrebbero essere più chiari, farsi sentire di più e agire di più.
Statene certi: se uno Stato membro viene trattato in modo contrario a tutte le norme della comunità internazionale in un ambito qualsiasi – che si tratti di commercio, energia o discriminazione politica – l’Unione nel suo insieme interverrà a suo favore. Il Parlamento è il custode di questa solidarietà. Si tratta di una prova non solo per l’Unione in quanto progetto politico, ma anche per la PESC, prova che intendiamo superare.
Se la Russia vuol essere trattata come un attore importante e una grande nazione che affonda le radici in Europa, deve imparare ad adempiere a tutti gli obblighi internazionali che derivano dall’appartenenza al Consiglio d’Europa, dall’aver firmato la Carta dell’energia, dall’aver stretto accordi di disarmo o dagli eventuali – e qui c’è un punto di domanda – doveri di membro dell’OMC. Se, com’è vero, vogliamo sviluppare una cooperazione fruttuosa e significativa con la Russia, dobbiamo inaugurare una nuova era con una nuova Russia e non tornare ai tempi della guerra fredda e dell’Unione Sovietica.
Justas Vincas Paleckis (PSE). – (LT) Anche nel XXI secolo, la carta è ancora l’elemento fondamentale nella costruzione di ponti tra le nazioni. La mancanza di questo elemento e le difficoltà nell’elaborare un nuovo documento per il partenariato e la cooperazione UE-Russia rispecchiano purtroppo questa triste realtà. Da Mosca sentiamo dichiarare che un simile accordo è sostanzialmente superfluo. La crisi costruita nelle relazioni tra Estonia e Russia, e quindi tra Unione europea e Russia, denota la grave mancanza di consapevolezza del fatto che tutti gli Stati membri dell’Unione sono uguali e ugualmente sovrani. Cionondimeno, il dialogo è ora tanto più necessario, perché l’alternativa è il ritorno alle trincee non ancora colmate della guerra fredda. Una simile opzione non gioverebbe a nessuno nel già instabile mondo di oggi. I difficili colloqui di Samara devono rappresentare un passo avanti verso una dichiarazione d’intenti più chiara e sincera e la formulazione di regole del gioco politico che corrispondano alle nuove realtà.
Il documento in discussione pone giustamente l’accento sul fatto che un nuovo accordo sarebbe molto importante per approfondire la cooperazione economica e rafforzare la sicurezza e la stabilità in Europa. Il partenariato strategico con la Russia resta un obiettivo dell’Unione europea, come si sottolinea nel progetto di risoluzione. Tuttavia entrambe le parti devono perseguire tale obiettivo, promuovendo i diritti umani, la democrazia e la libertà di parola, e rinunciando alle ambizioni di potenza e d’imperialismo.
Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE). – (NL) Signor Presidente, “Mosca fa ostruzionismo perché se lo può permettere” era il titolo di un recente articolo apparso su un noto quotidiano tedesco, ed è vero: ci stanno prendendo in giro! Nella nostra recente visita a Mosca, mi è stato ricordato che se l’Europa ha la sua verità, i russi raccontano la loro, sostenuta, tra l’altro, dall’incapacità dell’Unione di esprimersi in modo chiaro e unanime, a causa della quale diamo l’impressione di essere insicuri e persino divisi.
Pare che a poco a poco stiamo mettendo da parte il ruolo di modello che l’Unione europea potrebbe avere. Non sono gli altri: stiamo facendo tutto da soli. Il Presidente Putin, sostenuto dall’economia in rapida crescita del paese, ne approfitta. Trasforma l’Unione in una caricatura quando gli fa comodo. La Russia è ancora una volta una forza con cui fare i conti, e l’Unione dovrebbe saperlo. La Russia lancia provocazioni.
La lista delle questioni controverse, che sono state tutte menzionate, cresce e comprende i progetti americani di costruzione di uno scudo antimissile in Polonia e nella Repubblica ceca, l’annuncio di Putin di voler sospendere il Trattato sul disarmo, nonché questioni internazionali importanti quali il Kosovo, ma anche il Medio Oriente e il Sudan, la politica energetica come strumento geopolitico, il deficit democratico, la violazione dei diritti umani, la Cecenia, e naturalmente non vanno dimenticati la crisi in Estonia e il divieto d’importazione delle carni polacche. Infine vi è la sovranità dei paesi terzi. La lista cresce, come pure il tasso di sfiducia.
Se vari sono i desideri e le aspettative, la crescente dipendenza reciproca e la vicinanza della Russia fanno dell’identificazione delle priorità un atto necessario. Al riguardo è di fondamentale importanza – e questo è allo stesso tempo un appello esplicito al Presidente in carica del Consiglio – che l’UE mantenga la propria unanimità interna. Non dobbiamo permettere alla Russia di fare dell’Unione una caricatura. Dobbiamo fare ordine al nostro interno. Solo allora l’Unione europea potrà adottare una politica efficace e decisa nei confronti della Russia.
Mirosław Mariusz Piotrowski (UEN). – (PL) Signor Presidente, oggi è chiaro a tutti che lo scalpore suscitato dalla Russia in merito all’embargo sulle esportazioni di carne polacca ha carattere puramente politico. Senza dubbio da parte polacca sono stati soddisfatti tutti i requisiti sanitari.
Il governo russo non ha alcuna intenzione di scendere a compromessi, ma fomenta sistematicamente le divisioni interne all’Unione europea. Si è inoltre preso la libertà di interferire con gli affari interni dell’Estonia, Stato sovrano che fa parte dell’Unione europea. La Russia adotta metodi simili verso altri paesi vicini che un tempo erano satelliti sovietici.
Il dialogo e il negoziato sono valori importanti. Nelle attuali circostanze, però, un mandato negoziale in seno al Vertice UE-Russia non solo equivarrebbe a un ritorno alle pratiche politiche della guerra fredda, ma stabilirebbe un pericoloso precedente per il futuro.
Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, è assolutamente indispensabile che l’Unione europea porti avanti e approfondisca le relazioni con la Russia. Un buon partenariato, tuttavia, comporta anche che i problemi e le divergenze possano essere discussi apertamente e che i partner siano disposti a trarre insegnamento da tali discussioni al fine di mantenere vitale la propria relazione. In una relazione, i canali comunicativi vanno sempre tenuti aperti. Per il nostro bene, mi auguro che possano iniziare presto i negoziati per un nuovo accordo di partenariato: un accordo inedito che, pur dovendosi fondare sull’esperienza dell’ultimo decennio, deve altresì spianare la strada a un nuovo dialogo per gli anni a venire.
Dobbiamo smettere di parlare per dichiarazioni, e intrattenere invece colloqui entro un dialogo strutturato, senza evitare – qualunque cosa facciamo – i problemi che si presentano. La Russia in realtà non ne è priva; la libertà dei media, il funzionamento della democrazia, le modalità con cui si stabiliscono le norme per le elezioni e per essere eletti, la posizione delle ONG e la situazione dei diritti umani – e rimanderei l’Aula alla relazione del Consiglio d’Europa sulla Cecenia – sono tutte questioni che dovrebbero far parte del programma.
Anche sul piano internazionale l’Europa e la Russia hanno bisogno l’una dell’altra; il Kosovo è un caso pertinente. La Russia non può limitarsi a porre il veto; non è nell’interesse della regione. Abbiamo però bisogno l’una dell’altra anche quando occorre trattare con l’Iran e la Corea del Nord.
In conclusione, vorrei parlare delle tensioni tra Estonia e Russia, perché la tensione non solo è alta nei due paesi, ma ora, soprattutto grazie alla reazione russa, è anche divenuta un problema europeo. L’elenco dei problemi tra Stati baltici e Russia si sta tuttora allungando. I problemi esistono per essere risolti, ma quel che manca del tutto è un minimo di prudenza e di tatto nei reciproci rapporti.
Sono del tutto favorevole a una politica attiva per l’Europa orientale, ma tale politica non può essere accolta se in seno all’Unione non siamo tutti d’accordo al riguardo. Questo significa dunque che anche gli Stati baltici devono sostenerla, e perciò è inaccettabile che noi, in quanto Unione europea, accettiamo interventi quali sanzioni penali contro un membro della nostra famiglia. Di certo non è nel nostro interesse, né in quello della Russia, far salire la tensione.
Ora tocca all’Unione europea compiere finalmente la propria mossa. Consiglio e Commissione devono unirsi al Parlamento per affermare in modo unanime che, pur ripudiando le minacce agli Stati membri, l’Unione europea è disposta, ove possibile, a impegnarsi per migliorare il dialogo e avviare una cooperazione costruttiva. La Presidenza tedesca ha toccato il tasto giusto al riguardo, e credo che il Vertice offra una buona occasione per proseguire su questa strada.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signor Presidente, l’odierna seduta plenaria si svolge nell’anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. In quanto polacco, vorrei ricordare tutti i soldati sovietici caduti durante la guerra mentre combattevano contro il fascismo. Tutti ricordiamo il loro altruismo, tutti ricordiamo quei soldati semplici, quei grigi soldati di fanteria, come Bulat Okudzhava li ha magnificamente descritti nella sua canzone.
Nell’Unione europea ci unisce un desiderio di buone relazioni con la Russia, relazioni che si fondano sulla necessità economica, strategica e geopolitica. Nel contempo, la Russia non è un partner facile per l’Unione europea. Com’è ovvio, non possiamo tollerare e non tollereremo alcuna manifestazione di politica neoimperialista russa simile a quella rivolta negli ultimi giorni all’Estonia. Per questo motivo, nei prossimi giorni dovremo accordare pieno sostegno e dimostrare piena solidarietà al governo estone e ai cittadini dell’Estonia.
Signor Commissario, signor Ministro, vorrei ricordarvi la lettera che Amnesty International ha scritto ai leader dell’Unione europea prima che il Vertice di Samara attirasse la loro attenzione sull’esigenza di sollevare con il Presidente Putin l’argomento delle violazioni dei diritti umani, quali le restrizioni della libertà di assemblea, di parola e in particolare di stampa, nonché il numero crescente di giornalisti uccisi in Russia. Si tratta di problemi che i nostri leader devono porre direttamente al governo russo in seno al Vertice di Samara.
Guntars Krasts (UEN). – (LV) L’Unione europea considera la Russia un buon partner a lungo termine, ma esercita la propria influenza per incoraggiarla a diventare un vicino democratico e prevedibile? Da quando la Russia è assurta alla condizione di protagonista sul piano energetico, la sua politica interna ed estera assume forme sempre più sgradevoli. L’Unione europea, tuttavia, di fronte alle nuove politiche russe non si comporta da forza unitaria, ma come un insieme di singoli Stati membri, e nelle situazioni di conflitto con la Russia gli Stati membri dell’Unione sono orientati a risolvere i conflitti su scala bilaterale. L’esempio più recente di tale atteggiamento è la palese interferenza della Russia negli affari interni dell’Estonia, Stato membro dell’Unione europea: un’ingerenza giunta persino alla richiesta delle dimissioni del parlamento e del governo democraticamente eletti dell’Estonia. L’Unione europea non si è lasciata sfuggire l’occasione di rimanere in silenzio, al contrario, ad esempio, del Presidente e del Senato degli Stati Uniti, che hanno espresso forte sostegno all’Estonia. La Presidenza dell’Unione tenta di fare del conflitto una questione da risolvere bilateralmente tra Estonia e Russia. La Russia potrebbe così sentirsi autorizzata a dividere l’UE in Stati grandi e piccoli, nuovi e vecchi, partner e ingrati di là dal confine. Il prossimo Vertice UE-Russia sarà sotto molti aspetti una prova importante dell’abilità comunitaria di funzionare come Unione. Grazie.
József Szájer (PPE-DE). – (HU) La Russia è un paese europeo, con cui condividiamo una cultura comune e radici sociali, culturali e intellettuali che risalgono a più di 1 000 anni fa. L’Unione europea ha bisogno di una Russia democratica. Ciò di cui ha bisogno l’Unione europea è una Russia democratica. Le principali condizioni per un partenariato, tuttavia, devono essere democrazia, Stato di diritto e il rispetto senza riserve per i principi della parità di diritti.
Questo è incompatibile con ciò che la Russia sta facendo ai nostri fratelli estoni. E’ incompatibile con questa interferenza negli affari dell’Estonia, che viola le norme e il diritto internazionali. L’Estonia è l’Unione e l’Unione è l’Estonia. Non si tratta soltanto del problema di un paese, ma dell’intera Unione. Non è semplicemente una questione di solidarietà, ma di sovranità.
Onorevoli colleghi, non è assurdo che l’Unione si stia preparando a un Vertice con i leader di tale paese e che stia parlando di una relazione di partenariato equilibrato, che cerchi di mitigare i requisiti per ottenere i visti e che sostenga l’adesione all’OMC di un paese che si comporta in tal modo con uno degli Stati membri dell’Unione, come se potesse interferire impunemente nei suoi affari interni. E’ inaccettabile e, devo dire, una questione di principio, una questione di principio in merito alla quale non possiamo scendere a compromessi.
Pertanto mi rivolgo alla Commissione europea e al Consiglio e li invito a interrompere i preparativi del Vertice UE-Russia finché la Russia non avrà smesso di esercitare pressioni sull’Estonia. L’Unione deve inviare un messaggio chiaro. Questo e nient’altro.
Monika Beňová (PSE). – (SK) Nel 1945 siamo stati liberati dall’armata rossa. Credo che in cambio le dobbiamo un certo rispetto e una certa gratitudine.
I problemi, tuttavia, sono iniziati quando parti di tale armata si sono fermate nei nostri paesi, compreso il mio, dietro ogni genere di nobile pretesto, come ad esempio l’aiuto economico o la protezione, pretesti che alla fine hanno portato i nostri paesi a essere recintati con il filo spinato e le nostre economie a una tale arretratezza che all’inizio degli anni ’90 abbiamo dovuto ricostruirle da zero.
Il motivo per cui faccio questa breve introduzione storica è che oggi, quando si parla del Vertice UE-Russia, tendiamo a utilizzare molte nobili espressioni; dobbiamo tuttavia ricordare che i guadagni dell’Unione europea negli ultimi dieci anni sono stati perdite per la Russia nel medesimo arco di tempo. La Russia lo sa perfettamente e non ne è per nulla contenta. Se vogliamo parlare di un partenariato equo con la Russia, faremmo bene ad assicurarci che il partenariato sia davvero equo e a non farci sviare dalle belle parole come è avvenuto 62 anni fa alle generazioni che ci hanno preceduti.
Wojciech Roszkowski (UEN). – (PL) Signor Presidente, le relazioni tra Unione europea e Russia sono diventate più difficili da quando la Russia è ritornata alla sua vecchia politica imperialista, illustrata al meglio dai recenti accadimenti in Estonia. Il governo sovrano estone ha il diritto, e di fatto il dovere, di eliminare le tracce dell’oppressione sovietica, e la reazione della Russia pone il paese in cattiva luce.
Il Cremlino ha altresì fomentato una campagna diffamatoria ai danni della Polonia, cui purtroppo a Strasburgo alcuni deputati dell’Assemblea hanno ceduto. Benché la Polonia abbia fatto i salti mortali per dar prova della sua buona volontà, la Russia non ha eliminato il divieto d’importazione di carne polacca, ma sta di fatto estendendo l’embargo.
Il Presidente Putin intende persino emanare un decreto a protezione dei siti dei monumenti al di fuori della Russia. Significa che il diritto russo si estenderà al territorio dell’Unione europea? Il dibattito ha dimostrato che al Vertice di Samara l’Unione europea dovrà essere molto più risoluta, soprattutto quando si tratterà di difendere gli interessi di tutti gli Stati membri, e non solo di alcuni.
Christopher Beazley (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, ho due domande da porre al Ministro Gloser per la sua replica al presente dibattito.
E’ ben chiaro che, al Vertice di Samara, presumendo che si svolga come previsto, il Consiglio, la Presidenza – i suoi colleghi – e il Cancelliere federale dovranno anche rispecchiare le opinioni espresse in seno a questo Parlamento. Non si può chiaramente fingere che sia tutto come prima con la Russia del Presidente Putin. Potrebbe spiegare, nella sua replica, in che modo il Vertice rispecchierà le nostre preoccupazioni e il nostro rifiuto di ammettere che l’Estonia sia la causa della crisi?
Ci è stato detto che non dobbiamo acuire la crisi, bensì mitigarla. Tuttavia, noi, l’Unione europea, non l’abbiamo provocata. Se si guarda il filmato dei cosiddetti “tumulti” di Tallinn, si vedono immagini di gruppi disordinati di giovani che frantumano finestre e rubano beni di lusso. Che cosa mai ha a che fare questo con il rispetto per i milioni di russi caduti durante la Seconda guerra mondiale? Semplicemente, non possiamo accettare la versione del Presidente Putin, in contrapposizione con i suoi predecessori, Eltsin e Gorbaciov, che hanno dato inizio al movimento di riforma in Russia.
Perciò, Ministro Gloser, nella sua replica potrebbe dirmi quali saranno le mosse specifiche della Presidenza nel corso del Vertice, per sottolineare il fatto che, senza comprensione reciproca, i negoziati non possono andare a buon fine? Non si tratta dell’Estonia, come si è detto in precedenza: la Lettonia è stata attaccata dal Presidente Putin, come pure la Repubblica ceca, la Polonia e di fatto anche l’Ambasciatore del mio paese. Potremmo quindi avere informazioni specifiche su cosa avrà di diverso il Vertice, visto il modo in cui il governo russo ha presentato il problema?
Marianne Mikko (PSE). – (ET) L’attacco degli hacker in Russia alle infrastrutture informatiche dell’Estonia, Stato membro dell’Unione europea, vanno avanti da quasi due settimane. Tali attacchi informatici implicano che l’accesso alle pagine web dei media estoni è stato completamente impedito o gravemente ostacolato. Gli hacker hanno altresì tentato di bloccare le pagine web dei ministeri estoni. Il 3 maggio il server dell’ufficio del Primo Ministro ha ricevuto 90 000 interrogazioni in un’ora. L’Estonia è riuscita a respingere l’attacco, ma l’indulgenza russa verso l’episodio è un atto di aggressione che esige una risposta.
I servizi segreti russi utilizzano l’oscuramento dell’informazione quale strumento per la manipolazione delle masse fin dalla guerra fredda. Nel XXI secolo, una situazione in cui sia impossibile comunicare con un paese via Internet è più grave rispetto a rompere una finestra nell’Ambasciata di quel paese a Mosca. Accolgo con favore il fatto che alla nostra risoluzione sia stato aggiunto un articolo dal linguaggio deciso a sostegno dell’Estonia.
Il tema della sicurezza del ciberspazio va decisamente discussa con la Russia in seno al Vertice di Samara. La nostra strategia dev’essere quella di evitare una guerra informatica con il nostro partner strategico, la Russia. L’Unione europea deve trattare un attacco informatico contro uno Stato membro come un attacco contro l’intera Unione europea. Questo va messo bene in chiaro con i russi.
Jan Tadeusz Masiel (UEN). – (PL) Signor Presidente, facciamo in modo che il Vertice UE-Russia sia un’occasione per migliorare le nostre relazioni, nonché un’occasione per un’integrazione più profonda in seno dell’Unione dimostrando solidarietà all’Estonia e alla Polonia. Dobbiamo riconoscere i meriti della Russia laddove vi sono e lodarla per i suoi successi, ma criticarla per le ingiustizie compiute. Non dobbiamo aver timore di opporci alla Russia quando la verità è dalla nostra parte. Siamo fortemente critici nei confronti del governo bielorusso, quando in realtà quello russo non è poi tanto diverso. La Russia deve riconoscere l’occupazione dell’Estonia, della Lettonia e della Lituania e, a un livello diverso, di tutti i paesi del blocco sovietico. Mi rivolgo a chi ha ricevuto l’incarico dei negoziati nel corso del Vertice affinché faccia sapere finalmente alla Russia che la Polonia è uno Stato membro dell’Unione quanto la Germania o il Regno Unito.
In conclusione, signor Commissario, vorrei ringraziarla per i suoi sforzi, ma occorre maggiore decisione. La Russia deve eliminare l’embargo sulla carne polacca immediatamente e non gradualmente nel tempo. La prego d’informare il Presidente Putin circa la volontà dell’Assemblea.
Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento(1).
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La discussione circa gli eventi verificatisi in Estonia il 9 maggio, giorno della vittoria antifascista, non solo è irrispettosa della memoria delle decine di milioni di persone che hanno sacrificato la vita per sconfiggere il fascismo. Non è solo un tentativo di falsificare e stravolgere la storia. Non è ciò che ora è noto come invettiva anticomunista dei servi della barbarie capitalista.
Si tratta di una politica di deliberato sostegno alla rinascita del fascismo negli Stati baltici e in altri Stati d’Europa, con il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, il gruppo socialista al Parlamento europeo, i neoliberali e il gruppo Verde tutti al passo con il gruppo dell’estrema destra.
Con un’omogenea tirata, la destra, i socialdemocratici, i verdi e Le Pen hanno lanciato un caustico attacco anticomunista contro l’Unione Sovietica e l’eroica armata rossa. Insieme hanno espresso solidarietà al governo estone, che da anni ormai riabilita i fascisti condannando comunisti e antifascisti.
Insieme hanno dimostrato che cos’è il passato storico e politico: che il fascismo è una mera creatura del capitalismo. In questo dibattito si è anche espresso formalmente, rivelando così la natura dell’UE come Unione d’interessi capitalistici.
Il fascismo rappresenta inoltre lo stesso potere del capitale, senza una copertura parlamentare.
Vorremmo affermare che più le persone dubitano, condannano, resistono e combattono contro la barbarie imperialista, più l’anticomunismo aumenterà.
La storia ha dimostrato che chi appare temporaneamente fortissimo viene distrutto dalla lotta della base.
Il 9 maggio 1945 sarà sempre una data simbolica proprio in tal senso.
Alexander Stubb (PPE-DE), per iscritto. – (FI) La disputa per la statua non può essere ignorata.
Oggi era la festa dell’Europa, in cui celebriamo l’Unione europea e il processo di pace che l’integrazione europea ha portato con sé.
Questo giorno ha tuttavia due volti. Per i russi è la festa della vittoria nella Seconda guerra mondiale, di cui la statua che è stata spostata è un simbolo. Per molti degli attuali Stati membri dell’Unione, però, la celebrazione della vittoria e la statua di Tallinn simboleggiano l’inizio di un lungo periodo di oppressione nell’Unione Sovietica.
Non stupisce dunque che si volesse spostare la statua di Tallinn. Non occorre essere fascista per voler spostare un simbolo di un’oppressione il cui ricordo è ancora vivido.
Non è più una questione interna all’Estonia. La Russia e la posizione che ha assunto con la sua politica nei confronti dei “vicini di casa” hanno trasformato la disputa riguardante il monumento in una questione comunitaria.
Si parla tanto di solidarietà. Sarebbe deplorevole se ci appellassimo all’ordine del giorno e posticipassimo la questione alla tornata di Strasburgo. Le regole sono state create per noi, non noi per le regole. Se non possiamo affrontare subito questo argomento a causa delle regole, a mio parere queste devono essere cambiate.
Possiamo parlare molto di solidarietà, ma ora è tempo d’azione: “Estlands sak är vår sak!”
13. Riforme nel mondo arabo: quale strategia per l’Unione europea (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0127/2007), presentata dall’onorevole Rocard a nome della commissione per gli affari esteri, sulle riforme nel mondo arabo: quale strategia per l’Unione europea? [2006/2172(INI)].
Michel Rocard (PSE), relatore. – (FR) Signor Presidente, mi complimento con il Ministro e il Commissario per la loro forza di volontà: so cosa vuol dire assistere alle discussioni senza poter lasciare l’Aula e spero che non si annoino troppo. Il tema che affronto con questa discussione è piuttosto nuovo per noi.
Il titolo della relazione non è appropriato. Non si tratta tanto delle relazioni dell’Unione europea con le riforme nel mondo arabo quanto di un processo relazionale dell’Unione europea con il mondo arabo inteso a facilitare le riforme.
Per cercare di essere il più breve possibile, formulerò le mie osservazioni in una serie di punti. Primo punto: come tutti sapete, nei vari Stati arabi sussiste una situazione problematica. Riceviamo tutti innumerevoli notizie e ascoltiamo denunce riguardanti il mancato rispetto dei diritti umani, governi spesso dittatoriali, disuguaglianze finanziarie enormi e scandalose nei vari paesi, il mancato decollo economico, anche dove c’è il petrolio. Senza dubbio esiste un malessere nel mondo arabo. Uno scrittore arabo libanese ha persino parlato di malessere arabo. Dietro a questo malessere c’è una lunga storia di umiliazione: il colonialismo, l’indipendenza, il mancato controllo delle risorse, in particolare del petrolio, il declino intellettuale e, di conseguenza, la corrispondente ascesa dell’integralismo religioso.
Secondo punto: è in tale contesto che l’appartenenza al mondo arabo è percepita nella maggior parte di questi paesi come una coscienza d’identità, una ricerca di potere collettivo. Tale evoluzione si è avuta nella seconda metà del XX secolo, specialmente verso la fine. Oggi è la Lega degli Stati arabi che, a livello internazionale, prende posizione per conto dei vari Stati ed è rispettata. Sono le risoluzioni della Lega che hanno segnato qualche progresso nel cosiddetto processo di pace in Medio Oriente, che non è ancora un processo di pace, ma da cui si spera di ottenere qualche risultato attraverso il Vertice della Lega araba. Si registra anche, grazie ai media, l’emergere di un’opinione pubblica araba molto più omogenea delle posizioni diplomatiche dei vari Stati. Anche molti intellettuali, particolarmente egiziani, ma anche libanesi e persino algerini, collocano il loro messaggio a livello panarabo, anziché nel rispettivo contesto nazionale. Infine, occorre rilevare che la Lega araba non ha mai trattato problemi religiosi. Questi sono rinviati all’Organizzazione della conferenza islamica, che è un mondo a parte. L’identità araba è un concetto secolare, cosa che può facilitare le nostre relazioni.
Terzo: in che modo noi, l’Unione europea, trattiamo questa identità araba? Ignorandola. Abbiamo una relazione forte e intensa con l’Iraq, di cui parliamo molto. Ci occupiamo del conflitto israelo-palestinese, facendo scarsi riferimenti a quello precedente. Parliamo dell’Algeria. Abbiamo forti relazioni bilaterali con l’Algeria, il Marocco, la Tunisia e anche con l’Egitto. In breve, abbiamo con tutti questi paesi relazioni di tipo pubblico, statale, bilaterale, ma ignoriamo il fatto della loro identità araba.
La domanda che questa relazione d’iniziativa pone alla Commissione e al Consiglio è la seguente: non è il caso di andare oltre e di fare di più, alla luce delle osservazioni che vi ho esposto al mio secondo punto? Esiste ora una vita intellettuale, una vita politica e una vita diplomatica del mondo arabo a livello della sua comunità. L’Unione europea non ha interesse a stabilire relazioni anche a questo livello? I numerosi freni che troviamo nel mondo arabo, che sono ovviamente economici, finanziari, politici, istituzionali e religiosi, sono altresì in larga misura intellettuali e culturali.
E’ attraverso relazioni intellettuali e culturali che si svilupperanno altre relazioni e l’obiettivo di questa relazione è far sì che ne prendiamo atto. Innanzi tutto riconoscendo che l’identità araba è compatibile con la democrazia e con la modernità, anche se i fatti non lo dimostrano. Esiste una possibilità concreta, in termini intellettuali e politici, nonché nei discorsi della Lega. Inoltre è la Lega araba che, forzando leggermente la mano di molti dei suoi Stati membri, ha prodotto una Carta araba dei diritti dell’uomo. Sappiamo tutti che non costituisce un grande progresso, che è di gran lunga indietro rispetto alla nostra Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Tuttavia, rappresenta un reale progresso rispetto alla situazione che avevamo poco tempo fa. E poi, dinanzi al grande problema contemporaneo della lotta contro il terrorismo, penso che tutti auspichiamo instaurare una relazione di complicità e di alleanza con i popoli arabi contro gli estremisti e gli assassini, piuttosto che condannarli tutti e rendere impossibile questa lotta.
In tale contesto la relazione propone che l’Unione europea rafforzi le sue relazioni con tutti gli organismi aventi un carattere collettivo in questo ambito: certamente la Lega degli Stati arabi, ma anche, perché no, il Consiglio di cooperazione del Golfo e persino l’Unione del Maghreb arabo, qualora venisse riattivata. Attraverso questi organismi, è possibile sviluppare una rete di relazioni culturali e intellettuali e organizzare seminari di discussione che rafforzeranno il nostro sostegno alle riforme.
Questa relazione, signor Presidente, è sottile, in un certo senso. Tenderemo la mano a paesi ai quali si dovrebbero rivolgere molte critiche. Il nostro dibattito sugli emendamenti sarà tra l’estremismo delle condanne e la moderazione della mano tesa che, pur riconoscendo la necessità di esprimere critiche severe, preferisce tacere finché tale atteggiamento può contribuire a un processo di riforma di cui tutti abbiamo bisogno.
Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, onorevole Rocard, onorevoli deputati, la presente discussione sulla posizione del mondo arabo nella politica internazionale giunge al momento opportuno. A nostro giudizio, una delle questioni riguarda come migliorare ulteriormente la cooperazione tra l’Occidente e gli Stati arabi, in modo che entrambe le parti possano beneficiarne. Desidero ringraziare vivamente l’onorevole Rocard, con la relazione del quale anche il Parlamento europeo sottolinea l’importanza della cooperazione UE-araba.
Da alcuni anni ormai è emerso un maggiore dinamismo nel coinvolgimento regionale della Lega araba – l’Iniziativa di pace di Beirut del marzo 2002 ne è solo un esempio. In queste ultime settimane, in particolare, abbiamo assistito a un forte interesse da parte del mondo arabo a superare i confini della regione ai fini di un maggiore coordinamento e una più stretta cooperazione – anche di sua propria iniziativa.
Da un lato, questa evoluzione mi colpisce perché è il risultato, in una certa misura, di un ritorno del mondo arabo alla Lega araba come strumento di cooperazione, da tempo trascurato. D’altro lato, mi sembra che rappresenti una risposta alla ricerca da parte di Stati e organizzazioni non arabi di un partner regionale affidabile in una regione instabile.
L’attuale coinvolgimento della Lega araba in Libano, iniziato subito dopo la guerra dell’estate scorsa, è molto importante, e incoraggiamo quindi la Lega araba a proseguire i suoi attuali sforzi.
Comunque, credo che la dimostrazione più evidente della nuova qualità del coinvolgimento internazionale della Lega araba, sotto la potente guida dell’Arabia Saudita, sia stata la conferma dell’Iniziativa di pace araba al Vertice di Riad alla fine di marzo. Questa Iniziativa indica le prospettive di un ritorno alla normalità per le relazioni tra Israele e gli Stati arabi. Il dibattito che continua all’interno della Lega araba dimostra che il mondo arabo ha la volontà di compiere reali progressi.
Anche l’Unione europea ha aumentato il suo coinvolgimento nel Medio Oriente negli ultimi mesi e anni; il Quartetto rimane il suo attore chiave.
Di recente, entrambe le parti – il mondo arabo e l’Europa – hanno incrementato le discussioni sulle rispettive idee volte a intensificare la cooperazione politica. A tale riguardo, vorrei soltanto menzionare la riunione della troika dell’Unione europea con una delegazione della Lega araba a Sharm el Sheikh, e anche sottolineare che Frank-Walter Steinmeier, nella sua veste di Presidente del Consiglio “Affari generali e Relazioni esterne”, ha invitato una delegazione ministeriale della Lega araba a una riunione con tutti i ministri per gli Affari esteri dell’UE che si terrà a Bruxelles il 14 maggio.
Tutto questo ovviamente non è sufficiente a ridurre le sfide interne che il mondo arabo deve affrontare a livello politico, sociale e culturale, ma vorrei sottolineare chiaramente che l’Europa offre alle società e ai paesi arabi la sua cooperazione in tutti i campi. Mi auguro che tale cooperazione possa contribuire a una maggiore comprensione e tolleranza tra l’Europa e il mondo arabo. Questi due valori, comprensione e tolleranza – caratteristiche che la Presidente del Consiglio Angela Merkel ha indicato a Strasburgo, all’inizio della Presidenza tedesca, come costitutive dell’anima dell’Europa – sono gli ingredienti vitali per un dialogo riuscito.
Per questa ragione, sono lieto che l’onorevole Rocard abbia incluso anche gli aspetti culturali nella sua relazione, poiché svolgono un ruolo fondamentale nel determinare le opportunità dell’Unione di sostenere i processi di riforma nel mondo arabo. L’ignoranza, gli stereotipi e l’ostilità da entrambe le parti impediscono un partenariato produttivo, con prospettive per il futuro. Il dialogo e la comprensione della cultura della sua controparte sono requisiti indispensabili perché l’Unione europea adotti il giusto approccio nel promuovere i processi di riforma.
L’anno scorso, nel contesto del “conflitto delle caricature”, si era parlato molto della necessità di più “dialogo tra le culture”. Tuttavia, dobbiamo usare con cautela questa espressione, poiché l’idea di un dialogo tra le culture potrebbe promuovere accidentalmente un atteggiamento di relativismo culturale. L’idea che standard e valori siano in linea di principio attribuibili alla cultura di un individuo va contro il nostro concetto di diritti umani universali. Mi trovo pienamente d’accordo con la relazione a tale riguardo, poiché sottolinea l’importanza del dialogo interculturale, esprimendosi comunque in chiari termini a favore dell’universalità dei diritti umani.
Dobbiamo evitare di cadere nella “trappola del culturalismo” in tutti i campi, non solo riguardo ai diritti umani. Gli esseri umani hanno identità multiformi. Non siamo solo musulmani o cristiani o atei, ma anche professionisti, studenti, padri, membri di un’associazione e molto di più. Il problema del fondamentalismo islamico, come di qualsiasi altro genere di fondamentalismo, è che un elemento d’identità personale – l’elemento religioso – viene messo al di sopra di tutti gli altri e la complessità del mondo è ridotta in ultima analisi all’idea di una contrapposizione tra islam e Occidente. Le nostre politiche devono evitare tutto quello che promuove tale riduzione. Dobbiamo sottolineare ciò che ci unisce piuttosto che quello che ci divide. Dobbiamo selezionare forum comuni UE-arabi, in particolare la Fondazione Anna Lindh, per le nostre discussioni e i nostri progetti.
L’islamismo politico è un’espressione della crisi della modernizzazione delle società arabe, come indica anche la relazione dell’onorevole Rocard. Affrontarla è compito soprattutto delle stesse società arabe. Anche al loro interno sono presenti forze laiche e liberali. Ciò che spesso manca nell’ambito di queste società, tuttavia, è il dialogo sulla forma che dovrebbe assumere in termini politici la relazione tra Stato, religione e società.
Il dialogo all’interno della società renderà chiaro che la neutralità religiosa dello Stato e il rispetto dei diritti umani non costituiscono un’agenda di riforme imposta al mondo arabo dal cosiddetto “Occidente”, ma piuttosto vanno nell’interesse delle stesse società arabe. Noi possiamo sostenere questo processo di dialogo all’interno della società offrendo forum per il dialogo. E’ un importante compito, per esempio, delle varie fondazioni politiche che si trovano in paesi come la Germania.
Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli deputati, la Commissione accoglie con favore la relazione dell’onorevole Rocard, che essenzialmente discute quale rilevanza hanno per noi gli sviluppi nel mondo arabo e che cosa possiamo fare per influire su tali sviluppi.
In un momento in cui stiamo riscoprendo la nostra comune eredità culturale e storica, la volontà del Parlamento europeo di riprendere un ruolo chiave nella promozione di relazioni più strette con i nostri vicini arabi è importante. La risoluzione del Parlamento europeo sulle riforme nel mondo arabo sottolinea con grande chiarezza che noi, popoli e paesi che circondano il Mediterraneo, dipendiamo gli uni dagli altri. Siamo reciprocamente dipendenti in termini politici, come partner impegnati nello sforzo di pacificare il Medio Oriente e nel lavoro di promozione del pluralismo e della democrazia; in termini culturali, riguardo alla promozione del dialogo approfondito e urgentemente necessario tra le culture e le religioni; in termini ambientali perché, con una costa del Mediterraneo condivisa lunga oltre 46 000 chilometri, problemi come il cambiamento climatico, l’inquinamento marino e le sfide connesse al miglioramento dell’ambiente sono gli stessi per tutti, e in termini di politica energetica, considerate le forniture di petrolio e gas naturale che originano o transitano dall’area del Mediterraneo. Infine, in particolare, vi è una dipendenza in termini demografici, poiché è necessario un dialogo con i paesi nordafricani mirato a risolvere le questioni riguardanti la migrazione sia legale che illegale.
Come risposta alla nostra interdipendenza, abbiamo lanciato congiuntamente il processo di Barcellona, che ora è completato dalla politica europea di vicinato. Inoltre, l’accordo di cooperazione con il Consiglio di cooperazione del Golfo, l’accordo con lo Yemen e l’accordo di Cotonou con gli Stati arabi subsahariani hanno ulteriormente sviluppato le relazioni.
Di recente sono stati compiuti progressi grazie al processo di Barcellona e alla politica di vicinato. Per dare due esempi, sono stati conclusi accordi di associazione con quasi tutti i paesi nella regione e sono stati avviati piani d’azione per il vicinato. Sta gradualmente prendendo forma una zona euromediterranea di libero scambio, che dovrebbe fungere da interfaccia fra un mondo sempre più globalizzato e il regionalismo aperto e integrato praticato dall’Europa.
Il 2007 potrebbe certamente dare particolare rilievo alle nostre relazioni con una regione in radicale mutamento; una regione che ha grandi aspettative da un partenariato di vasta portata con l’Unione europea. Il lavoro con i nostri partner è basato sulla convinzione che i cambiamenti sono duraturi soltanto se hanno origine all’interno di una società, e che l’introduzione graduale di riforme politiche ed economiche nel quadro della politica di vicinato prepara la via a un ulteriore riavvicinamento tra l’Europa e i paesi del Mediterraneo.
Al centro delle relazioni con i partner arabi c’è il nostro desiderio di promuovere la sicurezza, la crescita e la stabilità nella regione. Inoltre, crediamo fermamente che queste relazioni abbiano uno scopo di gran lunga più vasto, vale a dire la creazione congiunta di un’area di cooperazione e stabilità e la difesa dei nostri obiettivi e valori comuni.
PRESIDENZA DELL’ON. LUIGI COCILOVO Vicepresidente
Antonio Tajani, a nome del gruppo PPE-DE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, i rapporti tra l’Europa e il mondo arabo rappresentano la chiave per costruire la pace nell’area del Mediterraneo e in Medio Oriente. Il dialogo interculturale e interreligioso dovrà vederci tutti impegnati nei prossimi anni, nella convinzione che i rapporti di amicizia si basano sulla sincerità, sulla lealtà e sul tentativo di comprendere gli altri, senza tuttavia rinunciare alla propria identità. Nel ribadire la fondamentale importanza di dare una strategia all’Unione europea di fronte alla riforma del mondo arabo, la relazione Rocard fissa alcuni principi irrinunciabili che dovranno caratterizzare i rapporti futuri.
Sarà impegno del Parlamento europeo incoraggiare tutte le scelte che rafforzeranno la democrazia, il rispetto dei diritti umani e del ruolo della donna, la creazione di una zona di libero scambio, la presenza di un’informazione libera, gli aiuti finanziari e il rispetto della libertà religiosa.
La relazione Rocard – e annuncio il voto favorevole del gruppo del Partito popolare europeo e dei Democratici europei – fissa un principio fondamentale che è quello della reciprocità: così come è diritto di ogni persona in Europa professare la propria religione lo stesso deve essere in ogni paese arabo. E su tale aspetto la relazione Rocard chiama a testimoniare proprio gli arabi che vivono nell’Unione europea. Su questo tema però, come su altri, si è ancora lontani dal raggiungere gli obiettivi che si pone l’Unione europea.
Sostenendo tali principi e aiutando i paesi arabi nelle riforme, sia pure nel rispetto della loro autonomia, daremo un contributo per impedire che il fondamentalismo raccolga nuovi consensi. La minaccia del fanatismo non riguarda infatti solo l’Europa ma tutto il mondo arabo. Il terrorismo è figlio del fondamentalismo, ragion per cui è indispensabile che Europa e Paesi arabi lavorino insieme per sconfiggere questa piaga del XX secolo. I recenti attentati dimostrano che l’attuale priorità di Al-Qaeda è quella di colpire i Paesi arabi moderati, che cercano il dialogo e agevolano le riforme. L’Europa non può rimanere in silenzio, non può restare ferma.
Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, il mio collega e amico onorevole Rocard mi perdonerà se affronto subito un tema molto importante, su cui l’onorevole De Keyser ha lavorato molto intensamente in questi ultimi mesi e anni: quello dei territori palestinesi. Non credo che possiamo compiere progressi senza un cambiamento nella politica dell’Unione europea sulla questione palestinese o riguardo a molte delle giustificate richieste dell’onorevole Rocard.
Oggi il mio gruppo ha deciso unanimemente di chiedere alla Commissione e al Consiglio di operare cambiamenti radicali alla loro politica riguardante i territori palestinesi. La politica dell’Unione europea – sostenuta dal Consiglio e dalla Commissione – è indifendibile, cinica e inaccettabile per la popolazione araba. Alcuni governi forse la considerano accettabile, ma la popolazione dei paesi arabi non può approvare la nostra attuale politica nei confronti del governo palestinese.
Abbiamo chiesto elezioni libere; e si sono svolte elezioni libere ed eque – di cui l’onorevole De Keyser è la principale testimone – ma poi abbiamo detto che non potevamo accettarne il risultato. Questo è molto antidemocratico. Poi abbiamo affermato che i palestinesi avrebbero almeno dovuto formare un governo di unità; e tale governo di unità è stato formato. Abbiamo altresì imposto loro di assumere un impegno chiaro nei confronti del processo di pace e dei confini del 1967. L’attuale governo palestinese ha dichiarato il proprio impegno a rispettare tali confini. Israele non l’ha fatto, ma a quanto pare per noi questo non è un problema.
Molti dei nostri funzionari si rifiutano tuttora di ricevere il ministro degli Esteri palestinese, come ha fatto di recente, per esempio, la Presidente del Consiglio. E’ inaccettabile che la Presidente del Consiglio Angela Merkel intenda ricevere il ministro degli Esteri israeliano, affermando invece di non poter accogliere il ministro degli Esteri palestinese, che non ha niente a che fare con Hamas.
In considerazione della specifica situazione nei territori palestinesi, esigiamo quindi un drastico cambiamento nella posizione del Consiglio e della Commissione. Forse i singoli membri del Consiglio e della Commissione non sono d’accordo sulla politica perseguita dalle rispettive Istituzioni, ma di fatto tale politica è sbagliata e cinica. Gli onorevoli colleghi conoscono la situazione nei territori palestinesi? Sanno che la nostra politica porta il caos nei territori, dove gruppi mafiosi stanno prendendo il potere? Sanno che proseguire con questa politica è il modo migliore di contribuire all’insicurezza d’Israele?
Dobbiamo quindi pervenire a una posizione diversa – in particolare in rapporto a questa relazione, ma anche in rapporto alla sicurezza d’Israele, che è strettamente collegata alla sicurezza dei paesi arabi e dell’Europa. A tal fine dovremmo tentare di instaurare un’autentica cooperazione con il governo palestinese – un governo scelto mediante le elezioni che noi stessi abbiamo invocato – se quel governo è disposto almeno quanto Israele a sostenere il processo di pace. Volevo dire questo all’inizio della discussione su quella che è un’ottima relazione, ma che rischia di essere irrealizzabile se non cambiamo la nostra politica sui territori palestinesi e nei confronti del governo palestinese.
Marco Cappato, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero congratularmi con il collega Rocard, la cui relazione, com’egli stesso ha detto, è intesa a tendere una mano, per aprire un dialogo e un confronto. Credo tuttavia che, nel fare una simile affermazione, si debba chiarire innanzitutto – perché è qualcosa che riguarda noi e le nostre politiche in seno all’Unione europea – che si tratta di un dialogo e di un confronto che intendiamo avviare, prima ancora che con gli Stati, con la gente, con i singoli individui.
Ciò è tanto più vero se si parla di un tentativo innanzitutto culturale – e quindi anche politico e istituzionale – giacché in questo caso l’interlocuzione deve avvenire prima con l’individuo che con la Lega araba e i singoli Stati, anche perché credo che due dei grandi problemi del mondo arabo, il nazionalismo e il fondamentalismo, riguardino ormai anche le nostre città europee, che sono anch’esse, dal punto di vista demografico, sempre di più anche città del mondo arabo. E’ per questo che tali problemi vanno affrontati per la nostra stessa Unione europea. Ciò interessa anche i nostri sistemi istituzionali e il modo in cui viene vissuta la religione all’interno dell’Unione europea.
E’ innegabile che esista un fondamentalismo islamico. Ci siamo permessi al riguardo di presentare due emendamenti sulla questione della non discriminazione in base all’orientamento sessuale e della separazione netta tra autorità politiche e autorità religiose. Non credo che si tratti di una provocazione. Ho soltanto il tempo per ricordare, per esempio, che allorché con altri colleghi siamo stati a Gerusalemme per il Gay Pride, abbiamo notato che si univano, nelle manifestazioni a volte violente intese ad impedire lo svolgimento della manifestazione, i fondamentalisti ebrei-ortodossi, i fondamentalisti islamici e i fondamentalisti cattolici. Si tratta dunque di un tema che riguarda anche noi ed è questo il senso degli emendamenti, che mi auguro saranno accolti.
Mario Borghezio, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, le buone intenzioni espresse in questa relazione preparano una via che, temo, possa portare verso direzioni sbagliate. Per esempio, le concessioni e se non addirittura l’occhieggiare alla prospettiva del panarabismo possono condurre a quello che l’oratore precedente ha giustamente indicato come un pericolo: il nazionalismo arabo. Io non lo considererei con tanta simpatia e tranquillità.
Non mi entusiasma il fatto che dietro a questa offerta di dialogo si possa intravedere il progetto di ciò che un’autorevole intellettuale araba definiva con timore il “progetto di Eurabia”, espressione poi ripresa molto efficacemente dalla scrittrice italiana Oriana Fallaci. Ma, soprattutto, ciò che mi preoccupa nella relazione è il modo in cui sono espresse le perplessità sulla Carta araba dei diritti umani, laddove si afferma che alcune delle disposizioni in essa contenute sono formulate in modo tale da consentire interpretazioni diverse. Ma qui c’è poco da interpretare diversamente! La Carta dei diritti umani dell’Islam è molto chiara: afferma che i diritti umani per gli islamici sono sottoposti alla sharia. Lo si dichiara nel preambolo e in tutti gli articoli che seguono, con estrema chiarezza.
Per i Paesi arabi che hanno firmato questa Carta, quella dei diritti dell’uomo del ’48, a cui noi facciamo riferimento, la carta stessa vale solo nella misura in cui sia conforme ai dettami di Allah. Occorre invece dire chiaramente, al contrario di quanto afferma la relazione, ai popoli ma anche ai regimi arabi con i quali colloquiamo – anche se non è chiaro con quale entusiasmo affrontino e sostengano il processo di Barcellona, di cui si parla molto ottimisticamente, dato che poi non partecipano alle riunioni – che una cosa è il precetto religioso, un’altra sono le leggi e un’altra ancora il principio della libertà di coscienza. La Carta dei diritti dell’uomo si fonda infatti sul principio filosofico della separazione delle leggi dai precetti di natura spirituale e religiosa.
Si tratta di un concetto che va ribadito con molta chiarezza, altrimenti l’Europa continuerà a fingere di non vedere pericoli gravissimi, tra cui ad esempio le trasmissioni di Hamas, in cui Topolino insegna ai bimbi arabi la lotta al terrorismo, la lotta contro Israele e il sacrificio dei kamikaze. Questo è ciò che vedono i popoli arabi.
Caroline Lucas, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, anch’io devo scusarmi con l’onorevole Rocard perché vorrei concentrare l’attenzione su un’unica questione: la Palestina. Credo inoltre che, finché l’Unione non cambierà la sua posizione attuale e non riconoscerà il governo di unità nazionale in Palestina, pregiudicherà proprio le opportunità di costruire buone relazioni con il mondo arabo, aggraverà la povertà e la sofferenza nei territori occupati e rischierà di distruggere la stessa Autorità palestinese; sicuramente, sta già distruggendo le speranze del popolo palestinese.
Siamo inoltre del tutto incoerenti e ipocriti, perché i palestinesi che ho incontrato hanno giustamente obiettato: l’Unione europea non afferma forse che la democrazia è meglio della violenza? Sì, è così. Gli osservatori dell’Unione europea non hanno dichiarato che le elezioni palestinesi si sono svolte in modo libero e corretto? Sì, è così. Nonostante ciò, quando gli è stato chiesto di farlo, il governo di Hamas legittimamente eletto non si è trasformato in un autentico governo di unità nazionale? Sì, lo ha fatto. Tale governo non ha forse accettato le tre richieste del Quartetto di rinunciare alla violenza, di rispettare gli accordi precedenti e di riconoscere lo Stato di Israele? Sì. Ora mi chiedono e io, a mia volta, chiedo al Consiglio qui stasera, cos’altro sta aspettando l’Unione europea?
Sono appena tornata da una visita della delegazione parlamentare in Palestina, dove abbiamo incontrato il Primo Ministro Haniyeh e molti dei suoi ministri, e il messaggio di tutti loro è stato lo stesso: hanno soddisfatto le richieste del Quartetto, accettano una soluzione a due Stati basata sui confini del 1967 e sono pronti e desiderosi di avviare i negoziati di pace. Non capiscono perché l’Unione europea non risponde e perché insistiamo, per esempio, a canalizzare gli aiuti attraverso il meccanismo temporaneo internazionale, che, mentre aiuta alcuni dei più poveri, non è in grado di evitare la crescente crisi umanitaria e politica: questo strumento mina alla base l’apparato e l’autorità dello Stato palestinese e, soprattutto, sottrae all’Unione europea il potere che potremmo – e dovremmo – esercitare nei confronti delle autorità israeliane per imporre loro di restituire le entrate fiscali palestinesi che ancora trattengono illegalmente. Abbiamo incontrato Mustafa Barghouti, ministro dell’Informazione, che ci ha lasciati perplessi quando ha detto: “Se l’Unione europea vuole provocare il crollo dell’Autorità palestinese, dovrebbe dirlo”. Diciamocelo molto chiaramente: è a questo che le nostre politiche stanno conducendo. Sono sicura che né noi né il Consiglio vogliamo che l’Autorità palestinese crolli, perciò ancora una volta chiedo al Consiglio: cos’altro sta aspettando?
Kyriacos Triantaphyllides, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, se fossi un cittadino palestinese e guardassi con entusiasmo all’Unione europea, contando sul suo aiuto per uscire dal vicolo cieco in cui mi trovo, converrei con l’onorevole Swoboda e con l’onorevole Caroline Lucas e sarei molto preoccupato su certi aspetti della relazione Rocard.
Il primo problema riguardo alla relazione è che promuove la strategia del Consiglio europeo e della Commissione europea in Medio Oriente, una strategia che invita tutti noi a parlare soltanto con metà dei membri del governo della Palestina e a ignorare il fatto che questo governo è il prodotto di elezioni democratiche, che è un governo di unità nazionale ed è sostenuto dal 96 per cento del popolo palestinese.
Abbiamo visto tutti il risultato di questa politica catastrofica. C’è un governo legittimo in terra palestinese che il Consiglio europeo e la Commissione europea hanno messo in quarantena, distruggendo così ogni opportunità che questo governo ci sta dando di impegnarci in legittimi colloqui. Se l’Unione perde queste opportunità cruciali, la strada che ci attende sarà molto difficile.
In un altro paragrafo, la relazione afferma che qualsiasi approfondimento delle relazioni euro-arabe dipende dall’energia e dal talento con cui l’Europa riuscirà a conciliare il proprio dovere e la propria responsabilità storica nei confronti dello Stato d’Israele e del popolo ebreo; ma che fine hanno fatto i suoi doveri e la sua responsabilità storica nei confronti dei palestinesi? Dobbiamo guardare in faccia la realtà. C’è un governo eletto e legittimo in terra palestinese che non dobbiamo isolare e con cui l’Unione europea deve immediatamente impegnarsi in un dialogo diretto.
Philip Claeys, a nome del gruppo ITS. – (NL) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Rocard contiene molti punti positivi. In questi tempi di correttezza politica, parlare apertamente di un male arabo, per esempio, dimostra un certo grado di coraggio. La relazione individua giustamente un certo numero di aree problematiche. C’è bisogno di più democrazia, più economia di mercato libero, rispetto per i diritti umani e parità di trattamento per le donne, mentre i non musulmani devono poter praticare liberamente la loro religione.
Il concetto di reciprocità è assolutamente applicabile in questo campo ed è utile menzionarlo in special modo nella relazione. L’Unione europea può e deve svolgere il suo ruolo nel promuovere questi principi all’interno del mondo arabo. Se questo porterà frutto è una questione diversa, ma comunque è nostro dovere almeno tentare.
La relazione afferma – cito – che l’occidentalizzazione delle società arabe non è l’unico modo di realizzare le necessarie riforme. Posso concordare su questo, ma vorrei sottolineare che nemmeno l’arabizzazione o l’islamizzazione dell’Europa dovrebbe essere un’opzione. Una conseguenza dei tumulti seguiti alla pubblicazione delle vignette danesi è che abbiamo dovuto concludere che una serie di libertà fondamentali, come il diritto alla libera espressione di opinione, sono ormai sotto pressione anche in Europa. La reazione dell’Unione europea a questi fatti è stata piuttosto – per non dire molto – debole. Vorrei quindi dire in tutta tranquillità e serenità che le nostre libertà e il diritto di rimanere noi stessi in Europa e in tutti gli Stati membri europei dovrebbero rimanere intatti.
Francisco José Millán Mon (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, non è compito facile elaborare una relazione relativa alle riforme nel mondo arabo, poiché quest’ultimo è un insieme abbastanza eterogeneo di paesi.
Sussiste, comunque un largo consenso sulla necessità di riforme nei paesi arabi, un concetto che è riflesso proprio nel titolo della relazione. Anche i leader arabi l’hanno riconosciuto al Vertice di Tunisi, nel 2004. E anche il recente Vertice di Riad ha insistito sulla modernizzazione, benché nel suo testo io ravvisi un minore accento sull’idea delle riforme.
I paesi arabi hanno davanti a sé una serie di sfide che devono affrontare mediante sostanziali miglioramenti sul piano politico, economico e sociale. Ciò significa riforme volte alla democratizzazione e a un maggiore rispetto dei diritti umani, che non sono patrimonio esclusivo dell’Occidente, bensì sono universali.
La democratizzazione implicherà in molti casi la sfida di incorporare nella vita politica opzioni islamiche moderate, contrarie all’uso della violenza.
Sono altresì necessarie riforme economiche e sociali. Dal punto di vista economico c’è un’eccessiva presenza dello Stato, una scarsa partecipazione al commercio internazionale e una mancanza di diversificazione delle economie. In generale, nella maggioranza di questi paesi si registrano un basso livello di sviluppo economico e bassi tassi di crescita, che non sono in grado di generare occupazione per una popolazione in rapida crescita. L’elevata disoccupazione e la mancanza di prospettive sono motivi di scontento sociale, che alimenta forze politiche radicali.
La stabilità e la prosperità dei paesi arabi sono molto importanti per l’Unione europea. Dobbiamo mantenere buone relazioni con questi paesi, a reciproco vantaggio; pensiamo all’importanza del loro petrolio e del loro gas per l’Unione europea, che importa da paesi terzi gran parte delle risorse energetiche. Inoltre, vari Stati membri hanno come vicini paesi arabi, e molti cittadini arabi vivono nelle nostre città.
In questi anni è emersa inoltre la grave minaccia dal terrorismo jihadista, che attacca i nostri paesi e anche gli stessi Stati musulmani.
Sono molti, insomma, gli ambiti nei quali dobbiamo cooperare. Dobbiamo anche stimolare e aiutare questi paesi nell’attuazione delle riforme politiche, economiche e sociali. L’immobilismo – come indica anche la relazione – non è alla lunga una garanzia di stabilità: al contrario.
Véronique De Keyser (PSE). – (FR) Signor Presidente, qualcuno leggendo questa relazione l’ha trovata strana. Strana perché non fa menzione o quasi della politica regionale e internazionale in questa parte del mondo, i conflitti che devastano il Medio Oriente, il terrorismo, l’islamismo radicale, l’immigrazione illegale. Tace anche sul passato coloniale di certe grandi potenze e sulla persistente influenza che vogliono continuare a esercitare. A cosa serve allora questa benevola relazione, che, tra l’altro, è un vero antidoto alle vignette su Maometto?
Innanzi tutto, non è una relazione benevola, ma una presa di posizione coraggiosa e un formidabile messaggio di fiducia nel potenziale democratico del mondo arabo, nella varietà dei suoi attori non governativi, nella forza della sua società civile e nella sua cultura. Inoltre, indica chiaramente il ruolo che l’Europa deve svolgere: sostenere e appoggiare i processi democratici locali, endogeni, e ricordare l’importanza dei diritti dell’uomo, ma senza mai imporsi come potenza egemonica.
Questo messaggio può sembrare banale. Tuttavia è essenziale per una vera alleanza tra civiltà, poiché finalmente fa del mondo arabo un partner di pace, un partner di sviluppo e di cultura. Molte delle relazioni prodotte dal Parlamento europeo descrivono le minacce che ci giungono dall’Oriente. L’onorevole Rocard ha scelto di mettere in evidenza le ragioni di speranza e di questo lo ringrazio.
Tuttavia, è un tema che l’onorevole Rocard non ha approfondito. La relazione menziona giustamente la responsabilità dell’Europa nei confronti di Israele e della sua sicurezza. Accettiamo questa responsabilità e continueremo ad accettarla, ma essa è inseparabile dalla nostra responsabilità nei confronti della Palestina, che sta attraversando oggi una crisi senza precedenti. Non potremo mai sacrificare l’una all’altra. La dichiarazione di Balfour, nel 1917, già affermava che “la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico […] non recherebbe alcun pregiudizio ai diritti delle comunità non ebraiche in Palestina”. A che punto siamo arrivati un secolo dopo questa dichiarazione?
Per queste ragioni sostengo e ribadisco con forza la richiesta non solo del gruppo socialista al Parlamento europeo, ma anche di tutti coloro che si sono espressi questa sera per dirci: occorre revocare le sanzioni contro la Palestina, dobbiamo trattare con il suo governo di unità nazionale, che accetta l’iniziativa di pace araba, che è inoltre una formidabile garanzia per la sicurezza d’Israele nei confronti del mondo arabo. Si tratta di un salto in avanti; è una speranza che sorge per tutti coloro che, da entrambe le parti della frontiera del 1967, credono ancora nella giustizia internazionale e vogliono coltivare la speranza.
Dunque, in nome di questi valori, in nome di questi uomini giusti da entrambe le parti della frontiera, che cosa intendiamo fare in Europa? Aspettare? Lo dico a voi, onorevoli colleghi, e al Consiglio e alla Commissione: non aspettiamo oltre! Domani sarà troppo tardi e ne porteremo una responsabilità schiacciante.
Luisa Morgantini (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, non parlerò della Palestina perché condivido completamente il pensiero dei colleghi Swoboda, Triantaphyllides, Lucas e De Keyser; quindi vi risparmierò questa volta le mie osservazioni sulla Palestina.
Ringrazio invece l’onorevole Rocard per aver elaborato una relazione contenente molti elementi importanti – come diceva l’onorevole De Keyser “speranza” – tra cui l’affermazione che molti intellettuali arabi hanno fatto un’analisi lucida dei mali del mondo arabo. Io credo che nella relazione Rocard manchi invece un’analisi lucida dei mali della società europea, rispetto alla necessità delle riforme del mondo arabo democratico ma anche rispetto alle nostre politiche.
Negli emendamenti presentati dallo stesso collega Rocard vi sono alcune correzioni che condivido perfettamente, sebbene creda che non possiamo parlare delle riforme del mondo arabo senza prendere in considerazione le tragedie causate dalle politiche non europee ma, per esempio, dalla guerra in Iraq e dalla mancanza di una soluzione del conflitto israelo-palestinese. Ritengo pertanto che dobbiamo partire anche da una critica su quanto devastanti e frenanti siano state le nostre politiche in Iraq, per esempio nell’impedire un processo di riforma indispensabile nel mondo arabo ma indispensabile anche per un nostro cambiamento di politica.
Simon Busuttil (PPE-DE). – (MT) Grazie, signor Presidente. Il tema delle riforme nel mondo arabo è estremamente complesso. Basta leggere la relazione dell’onorevole Rocard per comprendere questa complessità. Il relatore, infatti, chiede se esiste di fatto una comunità araba come tale e sottolinea che c’è una ragione per cui parliamo di mondo arabo ma non di nazione araba o di unione araba. Questo chiaramente significa che, prima di cominciare a discutere del mondo arabo e a offrire soluzioni, dobbiamo comprenderlo meglio. Ecco perché è essenziale evitare di assumere atteggiamenti di condiscendenza quando parliamo di riforme nel mondo arabo e di dettare soluzioni come se fossimo informati meglio di chiunque altro. Senza dubbio le riforme sono necessarie per consentire ai paesi arabi di beneficiare maggiormente del processo di modernizzazione e di globalizzazione. Il nostro compito è offrire l’esperienza che abbiamo maturato nella nostra Unione e prestare il nostro appoggio in uno spirito di partenariato tra pari. Non dobbiamo creare un contesto nel quale diciamo agli altri cosa devono fare.
Il processo di Barcellona era mirato a istituire un partenariato, ma, come tutti sappiamo, siamo finiti in una situazione nella quale l’Unione europea dettava cosa si doveva fare, quando e come. Dobbiamo anche avvantaggiarci maggiormente delle opportunità offerte dai nostri interlocutori nel mondo arabo, come la Lega araba, che, nonostante i suoi problemi, ha guadagnato abbastanza credibilità da diventare portavoce del mondo arabo. Malta ha preso l’iniziativa di proporre un dialogo strutturato tra l’Unione europea e la Lega araba; un dialogo mirato ad affrontare il tema delle riforme che devono essere attuate su entrambe le sponde del Mediterraneo. E’ una buona iniziativa, che è stata accolta positivamente dalla Lega araba, e spero che sia il Consiglio dei ministri che il Commissario possano sostenerla. Vi ringrazio.
Libor Rouček (PSE). – (CS) Mi congratulo con l’onorevole Rocard per la sua straordinaria relazione, di cui, a mio parere, c’era grande bisogno, sia per il mondo arabo che per l’Europa. Ritengo che la necessità di questa relazione si possa desumere dal fatto che in questi ultimi anni, non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa, è emersa una certa tendenza a una visione ristretta che considera il mondo arabo e islamico semplicemente in funzione della lotta contro il terrorismo.
Benché le relazioni euro-arabe debbano tenere conto della lotta contro il terrorismo, devono anche prendere in considerazione questioni come lo sviluppo economico e sociale, l’occupazione, la corretta gestione degli affari pubblici, il rafforzamento della società civile, il concetto dei diritti umani e lo scambio e il dialogo interculturali e interreligiosi. Le relazioni euro-arabe dovrebbero fondarsi su un dialogo autentico su un piano di parità, senza sentimenti di superiorità né di inferiorità.
Il dialogo e il partenariato con l’Unione europea potrebbero, a mio parere, essere più mirati alla cooperazione col mondo arabo nel suo insieme. In altre parole, oltre alle relazioni bilaterali, dovremmo concentrare l’attenzione anche su organizzazioni specifiche, alcune delle quali sono già state menzionate, come la Lega degli Stati arabi, il Consiglio di cooperazione del Golfo Persico e l’Unione del Maghreb arabo.
Infine, poiché ci troviamo qui al Parlamento europeo, vorrei altresì sottolineare il ruolo svolto dall’Assemblea parlamentare euromediterranea come organismo democratico che riunisce parlamentari di entrambe le sponde del Mediterraneo. L’Assemblea parlamentare euromediterranea dovrebbe svolgere, a mio parere, un ruolo molto più incisivo, anche nel tentativo di risolvere il conflitto arabo-israeliano.
Pierre Schapira (PSE). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzi tutto desidero ringraziare l’onorevole Rocard per questa relazione, che apporta grande obiettività riguardo alle relazioni esclusivamente bilaterali dell’Unione europea con il mondo arabo. In particolare, chiede un dialogo rinnovato, che deve includere i problemi dello sviluppo e del buon governo. Vorrei proprio riprendere questo tema.
Nella sua politica di sviluppo, l’Unione europea ha suddiviso il mondo arabo in due parti: la zona mediterranea e il Caucaso, detta zona di vicinato, e il Medio Oriente soggetto alla politica di sviluppo. Questa distinzione artificiosa impedisce un approccio globale più equilibrato, che renderebbe possibili riforme fondamentali.
Per quanto riguarda la questione della governance, l’onorevole Rocard insiste sull’approccio del partenariato e sul ruolo della società civile. E’ una visione innovativa che deve tenere conto – ed è per questa ragione che ne parlo – del ruolo delle autorità locali. Di fatto, nel mondo arabo si è sviluppata una rete molto stretta di cooperazione da città a città, con l’organizzazione delle città arabe che, inoltre, appartengono a un’organizzazione più vasta, l’organizzazione mondiale delle città, comprendente città palestinesi e città israeliane che lavorano insieme. Vi sono progetti di cooperazione per la pace, per gli scambi culturali e religiosi, per i diritti umani e la lotta contro ogni forma di discriminazione.
Queste azioni sopranazionali sono l’espressione di un legame tra l’Europa e il mondo arabo su scala interstatale, a livello delle società civili emergenti. Offrono anche un quadro di analisi più vasto rispetto a quello della lotta contro il terrorismo imposta dopo l’11 settembre.
Richard Howitt (PSE). – (EN) Signor Presidente, desidero congratularmi col mio stimato collega, Michel Rocard, per la sua relazione. Come questa sottolinea, l’unica risposta valida nel quadro della nostra volontà di riforma nel mondo arabo deve essere basata sull’apertura e sui valori comuni – un fatto troppo spesso perso di vista quando si parla della guerra al terrorismo.
Come hanno affermato molti colleghi socialisti, dobbiamo compiere reali progressi nel trovare una soluzione pacifica e a lungo termine ai problemi di conflitto, non ultimo quello tra i popoli israeliano e palestinese. Vorrei tuttavia porre in evidenza l’assoluta necessità di limitare l’impatto di qualsiasi appoggio diretto o indiretto da parte dell’Unione europea o dei nostri Stati membri all’autoritarismo nella regione. E’ necessario rivedere il rapporto tra i servizi di sicurezza europei e i loro omologhi, assicurandosi che queste agenzie continuino a cooperare nell’affrontare le minacce comuni, compreso il terrorismo, ma anche che qualsiasi azione sia inequivocabilmente coerente con il diritto internazionale in materia di diritti umani, comprese le disposizioni sulla tortura. Occorrono controlli più severi sulle armi o sui trasferimenti militari nella regione per garantire che non siano usati a fini di repressione interna o aggressione esterna. In tutti i programmi di assistenza esterna dell’Unione europea occorre un ulteriore riesame della fornitura di assistenza ai paesi della regione al fine di promuovere lo sviluppo e la giustizia economica e di sostenere i riformatori stessi nel processo di riforma.
Michel Rocard (PSE), relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signor Commissario, in soli due minuti non riuscirò a rispondere a tutti.
Vorrei sottolineare innanzi tutto l’importanza che ha spinto quattro degli oratori intervenuti a non trattare direttamente del tema in discussione ma a ricordarci che, a monte di questo argomento, il dramma non risolto del conflitto israelo-palestinese, il mancato riconoscimento del nuovo governo palestinese e i vari ostacoli che poniamo impediscono l’instaurarsi di buone relazioni tra l’Europa e il mondo arabo. Hanno ragione. Non ho trattato questo argomento, ma intendo sostenere questo punto di vista con grande forza. L’ho sostenuto spesso in altre occasioni. Richiamo la vostra attenzione sul fatto che quella è la chiave di tutto.
Apprezzo anche la grande comprensione per l’approccio della relazione, che ha ricevuto rilevanza sia nel discorso del Ministro Gloser sia in quello del Commissario Verheugen, e non credo che il suo successore lo contraddirà: esiste una convergenza di pensiero tra un approccio parlamentare, che qui rappresento, e la percezione del Consiglio dei ministri, nonché della Commissione. Per me, è assolutamente essenziale.
Ai colleghi dei diversi gruppi dirò semplicemente che mi sembra importante il contributo dell’onorevole Busuttil, che sostiene l’idea di partenariato. Direi che l’onorevole Cappato ha ragione a sottolineare che, attraverso tutti questi sforzi, desideriamo impegnarci con le società civili, e in definitiva con gli individui, ovviamente, ma non possiamo impegnarci soltanto con gli individui, dobbiamo farlo attraverso le istituzioni, i media e così via, e questo è proprio l’approccio della relazione.
L’onorevole Tajani ha insistito sulla reciprocità, questione che sta a cuore anche a me. Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che l’intelligenza del nostro approccio dipenderà dalla nostra capacità di regolare la reciprocità in base alla disuguaglianza dei livelli di sviluppo economico e culturale. Il punto è sostenere un processo che deve avvicinare i paesi arabi ai valori delle nostre democrazie, senza fingere e senza accusarli di non condividere questi valori fin dall’inizio del processo. E’ questo che mi spinge, come ben sa l’onorevole Cappato, a rinviare taluni emendamenti, non perché sia in disaccordo con certe critiche, ma perché non concordo sull’opportunità di esprimerle adesso, in un momento in cui ci impegniamo a tendere la mano per aiutare persone che sono molto indietro rispetto a noi per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani.
Un processo di sostegno non presuppone che il problema sia risolto in anticipo. Non moltiplicheremo quindi le nostre richieste. Sarei persino tentato, in questo spirito, di invitarvi a votare contro un emendamento presentato dal mio stesso gruppo. Ne abbiamo discusso a fondo. Il mio gruppo è inflessibile su un certo numero di principi intoccabili per i quali mi batto da cinquant’anni. In questo ambito dobbiamo procedere con maggiore moderazione. Propongo di usare sottigliezza nelle nostre relazioni diplomatiche. In politica la sottigliezza è una qualità rara, ma permettetemi di raccomandarla comunque.
(Si ride)
Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei soltanto discutere alcuni punti. Che alternativa abbiamo al dialogo con i nostri vicini?
In questi anni l’Unione europea ha creato una vasta gamma di misure – non unilateralmente, ma in cooperazione con molti paesi arabi. Le misure chiave sono già state menzionate: il processo di Barcellona, per esempio, e anche l’ulteriore sviluppo della politica di vicinato in corso di attuazione. Tuttavia, notiamo sviluppi diversi nei singoli paesi.
Chi avrebbe pensato, per esempio, che il re del Marocco avrebbe istituito una commissione d’inchiesta intesa a esaminare quali crimini sono stati commessi in passato? Chiaramente, questa commissione d’inchiesta non soddisfa nemmeno in parte i criteri che gli Stati membri stabiliscono per analoghe commissioni. Chi avrebbe pensato, inoltre, che certi remoti paesi avrebbero esteso il diritto di voto?
Gli sviluppi sono stati numerosi, ma è evidente che, su certi punti, avremmo potuto ottenere maggiori risultati. Le persone nei paesi arabi avrebbero sperato anche in una maggiore partecipazione allo sviluppo economico rispetto a quanto è avvenuto. Non esiste alcuna alternativa al dialogo, comunque.
L’onorevole Rocard ha detto che dobbiamo sviluppare una strategia: questo può funzionare soltanto in cooperazione con i paesi arabi. E’ possibile che la strategia rivolta a un certo paese differisca da quella rivolta a uno Stato del Golfo. E’ altresì importante notare, comunque, che la Lega araba ha riguadagnato forza. La Lega guarda spesso all’Unione europea, l’associazione degli Stati europei, ma non ha una simile funzione di unità; anzi, spesso i suoi membri hanno una visione molto nazionale e preferiscono disciplinare ognuno le proprie questioni. Tuttavia ora ci si è resi conto che, quando si tratta di soluzione dei conflitti, in particolare, è meglio lavorare in associazione, che di conseguenza è un mezzo migliore per affermare gli interessi propri di un paese.
Vorrei anche discutere i vari commenti che sono stati espressi nel dibattito riguardo al conflitto israelo-palestinese. Sono consapevole, naturalmente, che il conflitto irrisolto tra Israele e i territori palestinesi interferisce spesso con molti dei colloqui e dei forum di dialogo. Vorrei anche affermare esplicitamente, però, che molti problemi nei paesi arabi si sarebbero potuti risolvere anche senza una previa risoluzione di questo conflitto.
Comunque – anche in considerazione delle osservazioni fatte dall’onorevole Swoboda e altri – dovremmo tenere presente come sono andati i fatti in tutto questo dibattito. Non abbiamo mai affermato che le elezioni nei territori palestinesi non si siano svolte in modo equo e corretto. Al contrario, abbiamo rilevato che sono state condotte più correttamente che in molti altri paesi. Comunque, un altro aspetto importante è che il governo recentemente eletto non ha dichiarato la sua intenzione di rispettare gli impegni assunti dal governo precedente – almeno non inizialmente, onorevole Swoboda; solo gradualmente – e adesso soltanto come risultato dell’iniziativa dell’Arabia Saudita.
Molti Stati arabi sono riusciti a formare un governo di unità nazionale.
Vorrei dire chiaramente – perché talvolta questo fatto è trascurato, così non mi rimproverate al termine dell’intero processo – che, all’epoca del blocco, l’Unione europea ha fornito un notevole sostegno finanziario ai palestinesi: un fatto che il Commissario per le relazioni esterne Ferrero-Waldner ha sempre indicato chiaramente. Le somme pagate erano spesso più ingenti che nel periodo precedente al “blocco”.
Ora dobbiamo preoccuparci, insieme alla Lega araba e, ovviamente, a Israele e alla Palestina, di compiere progressi per rilanciare il processo di pace – un risultato al quale hanno contribuito l’Unione europea e il Quartetto – e di soddisfare le richieste che abbiamo sentito oggi.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, voglio soltanto ringraziare il Parlamento e naturalmente il relatore, onorevole Rocard, per il lavoro compiuto su un argomento importante per tutti noi. Riferirò al Commissario Verheugen, che ha presentato la posizione della Commissione, sullo svolgimento dei dibattimenti ai quali ho potuto partecipare in sua vece. Ritengo, di fatto, che il Parlamento possa essere orgoglioso di sviluppare una riflessione su importanti argomenti. Rendo omaggio, naturalmente, alla Presidenza tedesca, sperando che la relazione in esame permetta di elaborare questa strategia di pace di cui abbiamo tanto bisogno.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani alle 11.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. – (FI) Signor Presidente, considero la relazione dell’onorevole Rocard alquanto encomiabile: sottolinea il fatto che l’Unione ha il ruolo di incoraggiare e prendere parte ai tentativi di riforma nei paesi arabi. Questo ruolo richiede un attivo dialogo interculturale.
Dobbiamo prestare attenzione alla base su cui fondare questo dialogo. La relazione afferma che “il rilancio del dialogo interculturale passa attraverso l’affermazione di un denominatore umanistico comune e universale che trascende dai dogmi e dai comunitarismi”. Tale asserzione non dovrebbe essere intesa come una base puramente laicista, che potrebbe di fatto aumentare le tensioni culturali.
Una società liberalizzata esibisce una miscela di due modi di pensare: il pluralismo etico e il relativismo culturale, che si potrebbe definire relativismo laicista.
Mentre il relativismo è basato sul presupposto che non esiste una verità religiosa, l’approccio pluralistico equivale soltanto alla possibilità di giungere a un consenso su questo attraverso mezzi ragionevoli. Il relativismo significa quindi che i sistemi di valori e credenze non sono lasciati completamente fuori dalle decisioni politiche.
Il pluralismo, d’altra parte, mira al dialogo sui valori e significa che occorre comprendere i vari sistemi di valori e credenze quando si assumono le decisioni, per la semplice ragione che sono un’importante parte della vita dei cittadini. Dobbiamo renderci conto che il dialogo lungo queste linee rende possibile non solo la comprensione e l’interazione, ma anche la critica.
Il relativismo, di fatto, conduce a un aumento nella tensione perché elude e ignora le questioni difficili. Il pluralismo può contribuire a ridurre la tensione poiché fondamentalmente tiene conto dei valori umani e delle loro differenze.
La religione non è necessariamente la causa della tensione, ossia un problema. Può anche essere parte della soluzione.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Sosterrò questa relazione sulla strategia dell’Unione europea nei confronti del mondo arabo. Benché vi siano colpe da ravvisare in entrambe le parti del conflitto arabo-israeliano, sono lieto che l’Unione europea abbia una posizione molto più equilibrata riguardo a questo conflitto dell’amministrazione Bush negli Stati Uniti.
Ciò che possiamo fare potenzialmente è stato dimostrato di recente nel contesto non completamente diverso del conflitto nella provincia di Aceh in Indonesia – il quarto paese più grande del mondo e il più grande Stato musulmano. Qui gli sforzi profusi dall’Unione europea hanno ottenuto una soluzione pacifica e un processo di pace che ha messo fine a una guerra civile trentennale a un costo inferiore alla spesa di qualche ora in Iraq. Questo esempio dovrebbe servire come paradigma per le azioni future dell’Unione europea nel quadro della nostra emergente politica estera e di sicurezza comune.
14. Montaggio a posteriori di retrovisori sui veicoli pesanti (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca in discussione la relazione presentata dall’on. Paolo Costa, a nome della commissione per i trasporti e il turismo, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l’installazione a posteriori di specchi sui veicoli commerciali pesanti immatricolati nella Comunità [COM(2006)0570 – C6-0332/2006 –2006/0183(COD)] (A6-0124/2007).
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati al Parlamento europeo, il 5 ottobre 2006 la Commissione ha adottato una proposta di direttiva concernente l’installazione a posteriori di specchi sui veicoli commerciali pesanti.
Ogni anno 400 persone muoiono in Europa per non essere stati visti da conducenti di veicoli pesanti. Le vittime sono in generale utenti stradali vulnerabili: bambini in bicicletta, pedoni e motociclisti. Già nel 2003 il Parlamento europeo e il Consiglio avevano adottato la direttiva 2003/97/CE che prescrive l’installazione di specchietti retrovisori di migliore qualità al fine di ridurre considerevolmente gli angoli ciechi dei veicoli pesanti di nuova immatricolazione. Tutti i nuovi automezzi pesanti immatricolati dal gennaio 2007 sono muniti di questi specchi. Si tratta di un ottimo provvedimento, ma che fare riguardo ai milioni di camion esistenti che non dispongono di questi specchietti e che continueranno a circolare ancora per molti anni sulle nostre strade, creando un pericolo non trascurabile per la sicurezza stradale?
La Commissione ha ritenuto che non si potessero aspettare 15 o 20 anni per rinnovare interamente il parco veicoli pesanti. Abbiamo quindi proposto che tutti gli automezzi di oltre 3,5 tonnellate immatricolati dopo il 1998 siano attrezzati a posteriori con gli stessi specchi installati sui nuovi camion. Ove ciò non sia possibile, per ragioni tecniche o economiche, potrebbero essere considerate soluzioni alternative. Gli Stati membri che abbiano già adottato disposizioni per l’installazione di specchi di migliore qualità sui camion esistenti sono esonerati, ai sensi della nostra proposta, dagli obblighi stabiliti dalla direttiva. La Commissione ha proposto, infine, termini relativamente stretti per l’attuazione e l’entrata in vigore della direttiva al fine di aumentare l’efficacia della misura.
Signor Presidente, onorevoli deputati, è evidente che disponiamo di uno strumento per salvare vite umane assolutamente alla nostra portata e commetteremmo un errore se non facessimo tutto il possibile per favorire la rapida applicazione di queste misure. Ringrazio il Parlamento per tutti gli sforzi profusi in questo senso.
Engelbert Lütke Daldrup, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente della Commissione Barrot, onorevoli deputati, siamo davvero soddisfatti che sia stato possibile raggiungere un consenso su un importante fascicolo nel campo della sicurezza stradale – la proposta di direttiva concernente l’installazione a posteriori di specchi laterali perfezionati sui veicoli pesanti – nella fase preliminare. Ringraziamo vivamente l’onorevole Costa, il relatore, per questo fascicolo, e i suoi colleghi per la loro costruttiva cooperazione.
La Comunità si è prefissata l’obiettivo di dimezzare il numero degli incidenti stradali entro il 2010 se possibile. Per avvicinarci al conseguimento di questo obiettivo devono essere prese al più presto tutte le misure appropriate.
L’installazione sugli automezzi pesanti di specchi migliori per risolvere il problema dei cosiddetti “angoli ciechi” costituisce un’importante pietra miliare sulla via che conduce a una maggiore sicurezza stradale.
Il termine del 31 marzo 2009 per il montaggio a posteriori di retrovisori sui veicoli pesanti rappresenta il migliore compromesso possibile tra le richieste di una rapida attuazione della direttiva negli interessi della sicurezza stradale, da un lato, e la preoccupazione di alcuni Stati membri che i tempi per l’adeguamento possano essere troppo stretti, dall’altro.
Contando sul vostro appoggio nella votazione di domani, intendiamo adottare il più rapidamente possibile la direttiva in una delle prossime riunioni del Consiglio.
Paolo Costa (ALDE), relatore. – Signor Presidente, signor Commissario, signor rappresentante del Consiglio, onorevoli colleghi, siamo di fronte a uno di quei provvedimenti che, pur sembrando modesti, costituiscono uno dei tanti contributi positivi che l’Unione europea apporta ogni giorno e che forse dovremmo pubblicizzare meglio presso i cittadini.
La discussione si è svolta, credo, in maniera molto rapida. Il Commissario Barrot ricordava che la proposta in esame è stata trasmessa al Parlamento e al Consiglio nel settembre 2006 e saremo certamente in grado di concludere la procedura in prima lettura già domani, ossia in tempi molto rapidi. Infatti il tempo a nostra disposizione incalzava, ricordandoci che una rapida applicazione ci avrebbe dato la possibilità di salvare almeno 400 vite all’anno. Ed è su questo che si è concentrata l’attenzione del Parlamento, nel tentativo di sollecitare un’applicazione e una trasposizione della direttiva nel più breve tempo possibile.
Mi pare che il risultato raggiunto sia positivo: si trattava, di fatto, di circoscrivere il numero dei camion che dovranno finalmente adottare gli specchietti grandangolari, che consentiranno loro di vedere pedoni e ciclisti, evitando quindi di travolgerli. Questa procedura si applicherà a tutti i camion immatricolati in Europa a decorrere dal 2000, ed entro il 31 marzo 2009 il problema sarà risolto. Ricordo che si tratta dell’ammodernamento dei camion esistenti, poiché dal 26 gennaio di quest’anno la normativa si applica già a tutte le nuove immatricolazioni.
Si tratta dunque di un risultato utile, un passo lungo la strada della sicurezza che deve essere garantita a livello europeo. E’ uno di quei casi in cui penso si possa affermare che la sussidiarietà si applica in senso inverso a quello normalmente considerato: ossia, è molto meglio disporre di una normativa comune stabilita a livello europeo, piuttosto che perdere tempo, e quindi perdere vite umane, con 27 regolamentazioni indipendenti nei diversi paesi.
Georg Jarzembowski, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei accoglie con favore l’accordo raggiunto con il Consiglio in prima lettura. Questo è un buon esempio di eccellente cooperazione. Naturalmente ringraziamo anche il relatore, onorevole Costa, per il suo lavoro estremamente impegnato.
Il fatto che stiamo compiendo un concreto passo avanti verso la riduzione del numero di incidenti è importante, poiché evidentemente non è sufficiente montare i nuovi specchi laterali per gli angoli ciechi soltanto sugli automezzi nuovi; è della massima importanza provvedere al montaggio anche sui molti automezzi già in servizio, come ha detto giustamente il Vicepresidente.
Comunque, è deplorevole, signor Sottosegretario di Stato, che il Consiglio si sia opposto alla soluzione con scadenze più ravvicinate chiesta dal Parlamento. Noi chiedevamo il 30 giugno 2008, peraltro assolutamente a ragione. Come sa, io e lei rappresentiamo lo stesso paese, e dobbiamo pensare a come abbreviare le tempistiche all’interno di una struttura federale. E’ inaccettabile che l’esistenza di un sistema bicamerale in Germania renda impossibile un’azione rapida. Non ho intenzione di parlare ora del catalogo di sanzioni per violazioni dei periodi di riposo e dei tempi di guida, ma dobbiamo pensare a modalità atte a consentire una risposta rapida. Le misure sono indiscusse. Naturalmente avrei di gran lunga preferito un accordo sul termine del 30 giugno 2008. Tuttavia, per ragioni pratiche, abbiamo deciso di scendere a compromessi sul termine del 31 marzo 2009, poiché, se non si fosse raggiunto un accordo in prima lettura e la questione fosse stata rinviata in seconda lettura, si sarebbe perso più tempo. Così, il compromesso è una soluzione molto pratica.
Infine, vorrei invitare le imprese private a non aspettare la data di scadenza. Le imprese private possono provvedere al montaggio dei nuovi specchi sui loro automezzi prima, in tempo utile e tempestivamente, poiché anch’esse dovrebbero avere un grande interesse a prevenire gli incidenti – soprattutto gli incidenti che causano vittime. Di conseguenza, speriamo che domani si possa raggiungere velocemente un consenso, che questo provvedimento entri presto in vigore e che le imprese private agiscano più rapidamente di quanto non abbiamo fatto noi.
Silvia-Adriana Ţicău, în numele grupului PSE. – Postechiparea cu oglinzi retrovizoare la vehiculele grele pentru transportul de mărfuri înregistrate pe teritoriul comunităţii va contribui la creşterea siguranţei rutiere. Anual, în Uniunea Europeană, 40 000 de persoane mor în accidente de circulaţie şi această cifră reprezintă populaţia unui oraş european de mici dimensiuni. Asta înseamnă că un mic oraş european moare anual datorită accidentelor de circulaţie. Nu ne mai putem permite acest lucru. De asemenea, anual la nivel european, există 400 de victime ale accidentelor rutiere provocate de camioane de dimensiuni mari. Uniunea Europeană şi-a propus ca, până în 2010, numărul accidentelor de circulaţie să fie redus cu 50%, adică cu aproape 25 000 de victime.
Directiva 97/2003 a impus ca, începând cu 1 ianuarie 2007, toate camioanele de peste 3,5 tone să fie înmatriculate doar dacă sunt echipate cu dispozitive de vizualizare indirectă, ce reduc aşa-numitul „unghi mort” care este cauza multor accidente. Această directivă însă nu rezolvă şi problema celor aproximativ 5 milioane de camioane grele care erau deja înmatriculate în Uniunea Europeană.
Noul proiect de directivă obligă ca, până în 2009, toate camioanele grele înmatriculate după anul 2000, să fie echipate cu astfel de echipamente ce măresc câmpul vizual pe care şoferii îl au datorită oglinzilor retrovizoare. Evident, aceste dotări înseamnă investiţii, dar consider că o investiţie de aproximativ 150 de euro pentru un camion merită atunci când vorbim de salvarea de vieţi omeneşti. Nu trebuie să uităm însă că multor accidente de camion le-au căzut victimă copiii. De altfel, un studiu arată că dacă aşezăm 20 de copii în jurul unui camion care nu este dotat cu oglinzi retrovizoare corespunzătoare, în imediata vecinătate a acestuia, aceştia nu intră în câmpul vizual al şoferului şi pot fi victime ale accidentelor. Alte victime sunt bicicliştii sau pietonii aflaţi la mică înălţime întrucât aceştia intră în unghiul mort al oglinzii retrovizoare.
Consider că acest document la contribui la salvarea de vieţi omeneşti, dar nu trebuie să uităm că siguranţa circulaţiei rutiere presupune şi o infrastructură mai sigură a drumurilor, un comportament preventiv al şoferilor şi mai ales un sistem de semnalizare corespunzător.
Felicit autorul raportului şi Comisia Europeană pentru importanţa acordată subiectului. Atunci când vorbim de victime omeneşti, niciun cost nu este prea mare şi nu avem timp de pierdut.
Marian Harkin, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, prima di tutto voglio congratularmi con il relatore, Paolo Costa, per il suo lavoro eccellente e opportuno sul pacchetto di compromesso che è riuscito a realizzare. Il suo lavoro assicurerà un’adozione molto rapida di questa proposta e ciò è importante, perché quanto prima entrerà in vigore, tante più vite riuscirà a salvare.
Questo è un esempio di come possiamo migliorare la legislazione già in vigore. Su tutti i nuovi veicoli pesanti devono essere installati specchi per gli angoli ciechi dal 1° gennaio di quest’anno, ma questa proposta va oltre e imporrà l’adeguamento di tutti i veicoli pesanti immatricolati prima del 1° gennaio 2000 alla stessa normativa entro e non oltre il 31 marzo 2009. Evidentemente, avrei preferito se tale normativa si applicasse a tutti i veicoli commerciali pesanti circolanti sulle strade europee, ma, quando entrerà in vigore, coprirà tutti i veicoli pesanti immatricolati da nove anni o più. Ciò rappresenta una grande percentuale degli automezzi pesanti circolanti sulle strade e aumenterà ogni anno che passa.
Analogamente, avrei preferito che venissero inclusi gli specchi di categoria VI, ma credo che il Commissario Barrot si sia impegnato a studiare ulteriormente l’opportunità di installare a posteriori specchi di categoria VI – questo, almeno, è quanto mi è stato riferito dalla rappresentanza permanente irlandese. Chiaramente dipende da ogni singolo paese imporre norme più elevate e ogni singolo conducente o impresa di trasporti può montare volontariamente questi specchi sui propri automezzi sin da subito. Come singoli deputati, penso che possiamo cercare di influenzare quanto prima le associazioni di autotrasporti nei nostri rispettivi paesi a installare a posteriori tali retrovisori sui veicoli delle loro flotte. In ultima analisi, nessun conducente di automezzi pesanti vuole essere coinvolto in un incidente, specialmente se è evitabile.
Infine, per quanto mi riguarda, sono particolarmente soddisfatta di questa relazione poiché due anni fa ho presentato un emendamento alla relazione Vatanen sulla sicurezza stradale per chiedere il montaggio a posteriori di questi specchi e ho costantemente fatto pressioni sui ministri dei Trasporti, sulle associazioni di trasporto su strada e sulla Commissione per la presentazione di questa proposta. Come ho detto prima, si tratta di una buona legislazione perché ridurrà significativamente i danni a ciclisti e pedoni causati da veicoli pesanti e salverà centinaia di vite ogni anno.
PRESIDENZA DELL’ON. MIGUEL ANGEL MARTÍNEZ MARTÍNEZ Vicepresidente
Michael Cramer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente della Commissione Barrot, signor Sottosegretario di Stato Daldrup, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto ringraziare vivamente l’onorevole Costa per il suo impegno esemplare e per la sua eccellente relazione. L’installazione di questo tipo di specchio sui veicoli pesanti potrebbe salvare 400 vite ogni anno. L’angolo cieco esistente fino ad ora – che potrebbe nascondere un’intera classe di bambini in età scolare – è d’importanza vitale in particolare per pedoni e ciclisti.
Il Parlamento – in particolare i gruppi maggiori – si è comportato in modo indegno riguardo a questo regolamento rifiutando l’anno scorso il nostro emendamento mirato a introdurre il montaggio a posteriori di questi specchi. Il Consiglio – che di solito fa da freno in Europa – ha invece dato seguito al nostro emendamento e ha reso possibile l’adozione, domani, dell’obbligo di installare questi specchi sui vecchi automezzi. Desidero esprimere la mia profonda gratitudine per questo al Consiglio. Naturalmente il gruppo Verde avrebbe preferito una data più ravvicinata, ma accettiamo il compromesso raggiunto.
Erik Meijer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Signor Presidente, nel 2001 e di nuovo nel 2005, ho presentato interrogazioni alla Commissione per richiamarne l’attenzione sull’inadeguata protezione di pedoni e ciclisti dagli automezzi pesanti, in particolare quando questi compiono una svolta a destra all’interno di centri abitati.
Sinora, le misure di sicurezza si sono concentrate sugli automezzi nuovi; ai vecchi automezzi, tuttavia, è permesso continuare a circolare senza specchi fino al 2023, né devono essere applicate le tecniche più avanzate nel campo degli specchi e dei dispositivi sonori.
Soltanto i Paesi Bassi, il Belgio e la Danimarca hanno adottato misure più avanzate rispetto alle soluzioni europee, mentre la Germania – un paese molto più grande – ha deciso di adottare un atteggiamento temporeggiatore. A causa del numero in aumento di automezzi pesanti sulle nostre strade, ogni ritardo rappresenta un rischio sempre maggiore per la sicurezza stradale.
Oggi finalmente stiamo compiendo un passo in avanti, benché più tardi di quanto ritenesse possibile il mio gruppo. A causa di questo ritardo evitabile, il mio gruppo ha rifiutato di sottoscrivere gli emendamenti di compromesso, anche se siamo lieti che tale compromesso permetta di evitare una seconda lettura, che avrebbe dato luogo a ulteriori ritardi. Se le misure proposte si dimostreranno ancora inadeguate, dovranno essere emendate prontamente in futuro.
Dieter-Lebrecht Koch (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, appena qualche settimana fa ho partecipato ancora una volta a una delle periodiche tavole rotonde in Germania per conducenti di automezzi pesanti su lunghe distanze. Ho così appreso che questi conducenti nutrono grandi aspettative riguardo innanzi tutto a un mercato interno funzionante e, in secondo luogo, a un miglioramento della sicurezza stradale.
La mia impressione è stata che i nostri conducenti di camion su lunghe distanze hanno più fiducia nell’Europa del cittadino medio dell’Unione europea. I conducenti di autobus e camion prestano costantemente grande attenzione a guidare senza incidenti – motivo per cui colgo l’occasione per ringraziarli. Per poter ottenere tale risultato, comunque, devono – tra l’altro – avere l’opportunità di conoscere i progressi tecnici riguardanti i loro veicoli. Ciò significa che dobbiamo dotarli – per legge, se del caso – delle capacità tecniche che rendono possibile una guida scrupolosa. E’ proprio questo il risultato che vogliamo raggiungere con la direttiva in discussione.
E’ positivo che dal gennaio 2007 tutti i nuovi veicoli commerciali pesanti debbano essere obbligatoriamente per dotati di specchi laterali per gli angoli ciechi. Tuttavia, sarebbe un’illusione credere che gli angoli ciechi possano essere completamente eliminati solo con gli specchi; perciò vorrei mettere in guardia contro un nuovo esagerato senso di sicurezza, particolarmente in pedoni, ciclisti e utenti di sedie a rotelle.
I conducenti di veicoli vecchi e nuovi dovrebbero avere il diritto e l’opportunità di usare questi specchi retrovisori. A tale riguardo, l’obbligo di montaggio a posteriori è atteso da molto tempo. Entrerà in vigore, si spera, il 31 marzo 2009, il che significa che all’incirca altre 800 persone perderanno la vita nel frattempo, per il fatto che abbiamo autorizzato un periodo di transizione così lungo. Forse, tuttavia, anche i trasportatori prenderanno l’iniziativa e, invece di aspettare fino al termine ultimo, doteranno i loro veicoli di tali specchi in linea con la Carta europea per la sicurezza stradale in anticipo rispetto all’entrata in vigore della direttiva. Desidero ringraziarli tutti in anticipo per questo atto di responsabilità sociale.
Zita Gurmai (PSE). – (HU) Rendere obbligatorio l’installazione sui veicoli commerciali pesanti di specchi per gli angoli ciechi fa parte della strategia comunitaria sui trasporti mirata ad aumentare la sicurezza stradale per i cittadini europei e soprattutto a proteggere le nostre vite.
La protezione della vita umana e la sicurezza stradale sono considerazioni fondamentali. A causa di specchietti retrovisori inadeguati si perdono oltre 400 vite umane nell’Unione ogni anno – come ha affermato il collega – senza contare il numero dei feriti. Come risultato di questa misura potrebbero essere salvate centinaia di persone ogni anno, e per questa ragione dobbiamo agire. Si devono risolvere due problemi fondamentali. Il primo è conseguire il 100 per cento di visibilità. L’altro è montare a posteriori gli specchi appropriati sui vecchi e antiquati automezzi pesanti, o in alternativa sostituirli con veicoli nuovi. Questo è di fondamentale importanza per i 12 paesi in cui è necessario un periodo di transizione, perché l’introduzione immediata delle misure richieste dalla direttiva imporrebbe un pesante onere finanziario ai nostri trasportatori.
Considero importante estendere alla maggior parte degli automezzi l’applicazione delle misure volte a prevenire gli incidenti causati dagli angoli ciechi sul lato del passeggero dei veicoli pesanti. Nell’interesse del successo e dell’efficacia, dobbiamo attuare le misure con moderata flessibilità entro tempi realistici, tenendo presente le possibilità tecniche e le circostanze. Dobbiamo altresì evitare i potenziali effetti di distorsione del mercato.
Grazie al nostro presidente di commissione e relatore per il suo lavoro; sono lieta che anche i nostri emendamenti siano stati accettati.
Engelbert Lütke Daldrup, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, la discussione ha dimostrato che tutti gli oratori condividono la preoccupazione per la sicurezza stradale. Sono grato al Parlamento per il suo appoggio e anche per la decisione comune di mettere in moto la procedura legislativa rapidamente, in prima lettura. E’ nell’interesse di tutti noi che le nuove misure per la sicurezza stradale relative agli specchi per i veicoli pesanti diventino legge al più presto possibile.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, desidero ringraziare vivamente l’onorevole Costa, che ha svolto un ruolo determinante per giungere a questa adozione in prima lettura. Come ha affermato il relatore, perdere tempo avrebbe significato perdere vite umane. Grazie, onorevole Costa, e grazie anche al Parlamento, che ha permesso di abbreviare i termini di attuazione della misura. Aggiungo che niente impedisce ai trasportatori, come ha detto l’onorevole Jarzembowski, di prendere l’iniziativa e installare questi retrovisori. Credo che ne valga la pena per evitare altre vittime.
Vorrei dire all’onorevole Harkin che, senza dubbio, la Commissione terrà conto degli studi attualmente in corso sui retrovisori di categoria VI. Dobbiamo verificare l’effettiva efficacia dell’utilizzo di questi retrovisori di categoria VI.
Mi rivolgo anche alla Presidenza tedesca ringraziandola di avere fortemente voluto, da parte sua, questa conciliazione, che è di fatto molto importante, poiché ci consentirà di attuare in tempi rapidi queste nuove disposizioni.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani.
15. Servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura (A6-0131/2007), della commissione per i trasporti e il turismo, relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell’adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti (CEE) n. 1191/69 e 1107/70 del Consiglio [13736/1/2006 – C6-0042/2007 – 2000/0212(COD)]. (Relatore: onorevole Erik Meijer).
Erik Meijer (GUE/NGL), relatore. – (NL) Signor Presidente, il trasporto pubblico è un elemento indispensabile al fine di ridurre lo spazio occupato dai veicoli, di proteggere l’ambiente dalle automobili e di permettere a chiunque di raggiungere i posti di lavoro e di svago, che oggigiorno sono spesso distanti da casa.
Questo scenario non potrebbe essere più diverso da quello di una volta, quando inventori e speculatori cercavano di allettare i consumatori con maggior potere d’acquisto a comprare i nuovi mezzi di trasporto. In seguito all’avvento dell’automobile, i trasporti pubblici sono diventati un settore largamente in perdita, sicché molti operatori privati ne sono nel frattempo usciti. Invece di un’attività commerciale, il trasporto pubblico è diventato ora uno dei compiti fondamentali dei governi. In molti casi le società di trasporto sono di proprietà dello Stato, della regione o del comune; in altri, vi sono imprese esterne che per i loro servizi ricevono una compensazione pagata con i soldi dei contribuenti.
Sette anni fa la Commissione decise di definire norme nuove per l’assegnazione delle zone di trasporto e per i contratti. La novità della nuova regolamentazione stava nel fatto che l’Unione non avrebbe imposto le proprie regole, cosa che peraltro già faceva da oltre trent’anni, bensì che avrebbe adottato effettivamente una misura radicale, annunciata da anni, ovvero l’apertura del mercato. Dopo l’entrata in vigore delle nuove norme, tutti i servizi pubblici di trasporto che godono di finanziamenti governativi avrebbero dovuto essere assegnati mediante gare d’appalto e per una durata quinquennale. Le imprese interessate avrebbero dovuto concorrere per assicurarsi tali contratti temporanei e il relativo pagamento delle compensazioni governative.
Al riguardo, tre considerazioni ebbero un ruolo rilevante. Primo, il previsto calo dei costi, ad esempio per effetto di una diminuzione dei salari, dato che i dipendenti non avrebbero più avuto la sicurezza del posto di lavoro. Secondo, il fatto che nuove, grandi imprese internazionali emergenti si sarebbero offerte di accollarsi l’organizzazione dei trasporti pubblici a spese del governo. Terzo, la possibilità di evitare nepotismi e cause legali.
Relatore inesperto qual ero, nel 2000 mi fu detto che la situazione allora esistente era da molto tempo in contrasto con i Trattati europei, che tutte le conseguenze erano state studiate attentamente e che era assolutamente urgente attuare quella riforma. Invece, dai miei colloqui con consigli comunali di grandi città, associazioni nazionali delle municipalità, sindacati, organizzazioni di tutela dei consumatori e dell’ambiente emerse un quadro completamente diverso: piccole imprese, comprese tutte le aziende municipalizzate, correvano il rischio di chiudere dopo essersi aggiudicate un certo numero di contratti. Di conseguenza, i monopoli pubblici su piccola scala avrebbero dovuto fare spazio a monopoli privati di più ampie dimensioni, cosicché, con il passar del tempo, i governi e i consumatori avrebbero finito per dover pagare di più per avere di meno, mentre i provvedimenti volti a introdurre trasporti pubblici gratuiti e a ricostruire le reti tranviarie urbane sarebbero stati sottoposti a un fuoco di fila di critiche.
Dopo un anno di colloqui con tutte le parti interessate, il 14 novembre 2001 proposi all’Assemblea che, parallelamente all’assegnazione di contratti di pubblico servizio, da regolamentare a livello europeo, i governi conservassero la facoltà di organizzare autonomamente i rispettivi sistemi di trasporti pubblici. Questa libertà di scelta è la garanzia migliore affinché il trasporto pubblico possa vincere la sua battaglia contro le automobili. In prima lettura il Parlamento approvò la mia proposta con 317 voti favorevoli e 224 contrari.
Dopo oltre cinque anni di discussioni interne, l’11 dicembre 2006 il Consiglio “Trasporti” ha definito una posizione comune che è in linea con il testo approvato in prima lettura. Viste le modifiche apportate dalla Commissione alla sua proposta originaria, le tre Istituzioni hanno trovato un accordo che, oltre a prevedere i contratti di servizio pubblico, lascia spazio anche a imprese pubbliche e alla partecipazione di terze parti senza dover indire gare d’appalto.
Va da sé che il testo proposto oggi incontra qualche opposizione in quest’Aula, che pure, nel 2001, appoggiò l’idea di massimizzare le forze del mercato e minimizzare i servizi governativi. Per tale motivo sono state avanzate proposte di emendamento che mirano a trasformare in mere eccezioni, autorizzate solo in casi limitati, le alternative alla “produzione in-house” e all’“assegnazione diretta”. Ho notato che queste limitazioni non fanno parte del compromesso informale di seconda lettura, negoziato con la partecipazione della Presidenza tedesca durante il Consiglio di aprile.
I termini di quel compromesso si ritrovano nei 17 emendamenti presentati in gran parte in comune da sei gruppi, in sostituzione dei 42 emendamenti precedentemente adottati dalla commissione per i trasporti e il turismo. Questo ampio consenso rende superfluo il ricorso a una terza lettura. Sono in debito con i relatori ombra, la Commissione e il Consiglio, non da ultimo con la Presidenza tedesca, per il loro contributo al raggiungimento di tale accordo, che è molto diverso dalla proposta del 2000.
Vorrei infine sottolineare che questo pacchetto di compromesso non obbliga gli Stati membri, qualora i contratti siano trasferiti ad altre società, a tutelare i dipendenti dal licenziamento o da riduzioni salariali. Nel compromesso mancano inoltre il divieto di pagamenti eccessivamente bassi a società governative per i servizi resi, nonché adeguate clausole di salvaguardia in caso di servizi scadenti da parte delle società appaltatrici. So che quanto meno il mio gruppo appoggerà proposte in tal senso.
Non mi aspetto che il Consiglio imponga il veto su questi punti; dubito però che lo stesso si possa dire del requisito della maggioranza equa per limitare i subappalti alla metà del valore del contratto. Staremo a vedere cosa succederà domani.
Engelbert Lütke Daldrup, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, Vicepresidente della Commissione Barrot, onorevoli deputati, questa tornata è molto importante per quanto riguarda il trasporto pubblico locale di passeggeri. Dopo sette anni di discussioni, stiamo per portare a termine in seconda lettura una procedura legislativa molto importante. Il consenso che siamo in procinto di raggiungere è innanzi tutto nell’interesse dei cittadini, perché garantiamo loro che anche in futuro potranno godere di servizi di trasporto pubblico locale comodi ed efficienti. Una gamma integrata di servizi con un biglietto unico e un orario coordinato è lo standard che ci siamo imposti di raggiungere e che la gente giustamente si aspetta.
Questo accordo, però, è anche nell’interesse di tutte le imprese di trasporto pubbliche e private, le quali potranno ora finalmente contare su un nuovo quadro giuridico, tale da garantire maggiore certezza giuridica e, quindi, una base sicura per la loro programmazione futura. Infine, l’accordo è nell’interesse delle autorità responsabili del trasporto pubblico locale di passeggeri, poiché il nuovo regolamento rafforza i poteri di autodeterminazione delle amministrazioni locali.
C’è, poi, un altro beneficiario: l’ambiente. Un trasporto pubblico locale di passeggeri comodo ed efficiente può migliorare in misura considerevole la situazione del trasporto nelle nostre città, come pure l’impatto climatico sugli agglomerati urbani.
Se nella votazione di domani il Parlamento riuscirà ad approvare il pacchetto di compromesso con la maggioranza richiesta, sarà un grande successo per noi tutti.
Se siamo vicini a raggiungere un accordo, il merito va innanzi tutto al relatore onorevole Meijer. Il presidente della commissione per i trasporti e il turismo onorevole Costa e anche i relatori ombra onorevoli Grosch, Piecyk e Cramer hanno fornito un importante contributo al difficile processo che ci ha portati a questo compromesso generale.
Obiettivamente, non sussiste più alcun ostacolo al raggiungimento dell’accordo. Ciò è indubbiamente dovuto al fatto che, nella posizione comune adottata nel dicembre 2006, il Consiglio aveva già tenuto conto di alcuni emendamenti proposti dal Parlamento e riguardanti in particolare i tre punti seguenti: primo, l’aumento della possibilità di agire a livello locale. Le autorità competenti per il trasporto di passeggeri hanno adesso la possibilità di scegliere tra una procedura d’appalto, l’utilizzo della loro società di servizi di trasporto e l’assegnazione diretta di un contratto. Questo principio fondamentale non è stato messo in dubbio. Secondo punto: la valutazione di standard sociali e di qualità; anche in questo caso, si è concordato che l’autorità competente debba assumersi le proprie responsabilità. Terzo: la protezione delle piccole e medie imprese. Vogliamo garantire che le PMI anche in futuro potranno fornire i propri servizi a stretto contatto con i cittadini, invece di essere assorbite da grandi imprese internazionali.
Particolarmente proficuo ai fini del consenso è il fatto che noi – Parlamento, Commissione e Consiglio – abbiamo sviluppato una concezione politica comune di base del trasporto pubblico locale di passeggeri. Questo tipo di trasporto non può essere affidato esclusivamente al mercato, posto che rientra nei servizi di interesse generale. Per questo motivo abbiamo bisogno di un’organizzazione di mercato che rafforzi la responsabilità decisionale a livello locale e garantisca una concorrenza controllata. Adeguati servizi di interesse generale, anche nel settore del trasporto pubblico locale di passeggeri, sono una condizione indispensabile per il funzionamento del modello sociale europeo, senza dimenticare la coesione sociale e territoriale in Europa, che non può essere garantita in assenza di un efficiente sistema di trasporto locale di passeggeri.
In merito all’urgente necessità di garantire la certezza del diritto esiste quindi un terreno comune. Numerose decisioni contestate di affidamento di servizi hanno rivelato che le norme vigenti non sono sufficientemente chiare, ma tutto questo ora cambierà grazie al nuovo regolamento.
Infine, il nuovo regolamento precisa il rapporto finanziario tra l’ente appaltante e l’appaltatore. La parte che commissiona un servizio dev’essere anche quella che lo paga. Questo non deve portare né a sovracompensazioni né a sottocompensazioni.
In proposito è emerso il quesito, che riguarda noi tutti, su come sia possibile, nonostante il breve tempo di discussione che ci è concesso, raggiungere un accordo in seconda lettura ed evitare così la procedura di conciliazione. I risultati del trilogo informale tra Parlamento, Commissione e Consiglio sono ora a nostra disposizione e ci offrono la grande opportunità di trovare realmente un consenso in seconda lettura.
Proprio alla fine della procedura eravamo ancora alle prese con tre criteri politici: riduzione dei periodi di transizione, ulteriore rafforzamento delle piccole e medie imprese e introduzione di una quota di fornitura diretta in caso di subappalto a terzi.
Riguardo al primo criterio, le nostre posizioni si sono avvicinate. Il periodo di transizione è stato ridotto da 12 a 10 anni e la scadenza per l’entrata in vigore del regolamento è stata ridotta da 3 anni a 24 mesi.
Abbiamo raggiunto un accordo anche sul secondo criterio. L’importo limite per le PMI è stato alzato leggermente. In merito, il Consiglio è venuto un po’ incontro alle richieste del Parlamento.
Il terzo criterio – la cosiddetta “quota di fornitura diretta” – è rimasto controverso fino all’ultimo. Mi auguro che sarà possibile coniugare questa frase al passato. Le posizioni del Parlamento e del Consiglio su questo importante punto, il cui scopo è la prevenzione del dumping sociale, si sono allineate all’ultimo momento. Il compromesso raggiunto prevede che, in caso di subappalti, una gran parte dei servizi debbano essere forniti dall’appaltatore principale. Di questo punto si occupano gli emendamenti n. 66 all’articolo 4 e n. 67 all’articolo 5.
Credo che quella trovata sia una buona soluzione e sono perciò profondamente grato a tutti coloro che vi hanno contribuito.
Sono state quindi create le condizioni per l’adozione di questa normativa in seconda lettura. Se l’Assemblea domani voterà a favore del pacchetto di compromesso, anche il Consiglio darà il proprio consenso.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevole Meijer, onorevoli deputati, se siamo pronti a trovare un accordo in seconda lettura su una proposta così delicata come questa, lo si deve in gran parte alla tenacia e all’atteggiamento costruttivo del vostro relatore, l’onorevole Meijer, al quale va la mia particolare gratitudine.
Mi limiterò a citare due punti sostanziali di questo dossier. Il testo riconosce per la prima volta che le autorità locali sono libere di decidere come organizzare il trasporto pubblico. Possiamo quindi concedere agli enti locali un più ampio spazio di manovra, aspetto, questo, che merita di essere sottolineato, trattandosi di un testo comunitario. Tale importante passo avanti è una risposta all’esplicita richiesta formulata dal Parlamento europeo in prima lettura.
In secondo luogo, il regolamento vigente ha più di 35 anni ed è diventato del tutto obsoleto. Per questo motivo, il trasporto pubblico nel suo complesso soffre di una grave mancanza di certezza del diritto, la quale è motivo di dispute e penalizza lo sviluppo del settore poiché nega alle autorità municipali e agli operatori visibilità e sicurezza quando devono compiere investimenti industriali e finanziari spesso di considerevole entità.
Oggi, dopo una procedura durata sette anni e alla fine di tre triloghi informali, un buon accordo è alla nostra portata. Il compromesso raggiunto tra il Consiglio e il relatore è in linea con l’equilibrio e gli obiettivi della proposta rivista della Commissione e dà risposta alle richieste principali del Parlamento europeo. Ciò vale in particolare per la limitazione dei periodi di entrata in vigore e dei periodi di transizione. Dall’altro canto, il testo prevede un regime speciale per le piccole imprese e le imprese familiari laddove stabilisce le condizioni per i subappalti.
Per quanto attiene ai subappalti, ho testé appreso che sono stati presentati due emendamenti orali che propongono, signor Presidente, una formulazione di compromesso volta a sostituire le parole “la maggior parte” con “la parte sostanziale”. Mi pare che lo scopo degli emendamenti sia quello di rendere possibile, signor Ministro, un accordo con il Consiglio in seconda lettura – un obiettivo che la Commissione non può che condividere. Sulla formulazione degli emendamenti, la Commissione ha naturalmente una posizione flessibile e può accogliere questo compromesso dell’ultima ora se esso consente di giungere a un accordo.
Ringrazio di nuovo il Parlamento per il suo lavoro, come pure la Presidenza del Consiglio, e mi auguro vivamente che riusciremo infine a portare a compimento questa relazione, che è di importanza essenziale. Poiché sto preparando un Libro verde sulla mobilità urbana, mi fa molto piacere poter constatare i progressi in atto in tale settore.
Mathieu Grosch, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, il trasporto pubblico di passeggeri è usato da milioni di cittadini, e speriamo che domani gli utenti saranno ancora più numerosi. Il Parlamento europeo, incluso il nostro gruppo, non ha preso questo tema alla leggera. Eravamo consapevoli del conflitto tra le diverse tradizioni e strutture esistenti in molti paesi, da un lato, e le nuove sfide della mobilità, dall’altro.
C’è un aspetto su cui invito l’Assemblea a riflettere: prima lettura nel 2001, adozione della posizione comune nel 2006. Mi auguro che in futuro, quando si parlerà di discontinuità, il Consiglio tenga a mente questa esperienza, perché altrimenti il Parlamento impiegherà generazioni, non legislature, per completare determinati dossier.
Nondimeno c’è un motivo di consolazione. A mio modo di vedere, si sono tenuti in considerazione molti aspetti segnalati e molte proposte avanzate dal Parlamento in prima lettura ed è stata garantita la facoltà delle autorità locali di inviare ammonimenti. E’ importante aver dato rilievo a questi punti e averli inseriti nel testo, come pure aver tenuto conto del controllo da parte degli operatori interni e anche, finalmente, del principio di reciprocità.
In seconda lettura il Parlamento voleva evidenziare altre questioni importanti. Innanzi tutto voglio dire una cosa: ciò che va bene per noi, dovrebbe andar bene anche per il Consiglio. Non dobbiamo permettere che il buon compromesso ora raggiunto fallisca per entrambe le parti a causa di una parola. A prescindere dall’esito della votazione di domani, sono convinto che prevarrà il buon senso e che questo sia un compromesso valido, con o senza emendamenti. Abbiamo ridotti i periodi di transizione, e sapete perché: ci è già costato parecchio tempo.
Abbiamo migliorato la tutela legale, abbiamo cercato di migliorare la protezione delle piccole e medie imprese. Perché lo abbiamo fatto? Perché esse forniscono servizi e contribuiscono allo sviluppo delle strutture economiche di determinate regioni, e perché, semplicemente, non sono in grado di far fronte alla concorrenza generale. Riguardo ai subappalti, vogliamo garantire che essi non siano causa di dumping sociale e non siano usati per aggirare le norme sulla concorrenza.
Quelli erano i nostri obiettivi. Credo che, con la sua proposta, il Parlamento abbia creato certezza del diritto e indicato una strada molto valida e ragionevole tra i monopoli, da un canto, e il liberalismo incontrollato, dall’altro. Spero che i tre partner domani esprimeranno il loro consenso – e sembra proprio che sarà così.
Brian Simpson, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, ringrazio il relatore non solo per il lavoro che ha svolto riguardo a questo dossier ma anche per la sua perseveranza, che gli ha permesso di portare la relazione alla seconda lettura. E’ evidente che questa procedura è necessaria per creare condizioni eque e uguali per tutti nel settore dei contratti per il trasporto pubblico locale. Tuttavia, il gruppo del PSE nutre ancora qualche perplessità, soprattutto in merito alla qualità dei servizi offerti dalle imprese di trasporto e, più in particolare, ai servizi di autobus in alcuni degli Stati membri.
In proposito riteniamo che il Parlamento europeo, nel suo tentativo di liberalizzare il settore, abbia forse dimenticato quanto sia importante la qualità dei servizi. Mi auguro che nelle successive revisioni della normativa il tema della qualità e del suo miglioramento sia preso in seria considerazione. Sono lieto di constatare che la relazione odierna rappresenta un primo passo, e so che la strada che ha portato alla seconda lettura è stata lunga; dobbiamo però riconoscere i progressi compiuti e augurarci che Consiglio e Parlamento possano trovare presto un accordo. Il mio gruppo farà tutto quanto in suo potere perché si votino soltanto gli emendamenti che rientrano nell’accordo di compromesso concluso con il Consiglio, nonostante le nostre riserve. Secondo noi, un’alternativa potrebbe essere la procedura di conciliazione.
Ciò che la gente vuole è un sistema di trasporto pubblico che sia efficiente, affidabile, economico e sicuro, un sistema che affidi a organismi pubblici la responsabilità di garantire il rispetto di questi criteri e attribuisca agli operatori dei trasporti la responsabilità di fornire i servizi richiesti – e, a ben guardare, sarà proprio questa la sfida. Se da un canto è giusto creare il contesto necessario per l’assegnazione di contratti per il trasporto pubblico, dall’altro non possiamo tollerare un abbassamento degli standard e dobbiamo assicurare che le procedure siano eque e trasparenti. Speriamo che tale contesto sarà presto disponibile. Ora diamoci da fare per garantire la qualità dei servizi che dovranno essere offerti.
Paolo Costa, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, signor Commissario, signor rappresentante del Consiglio, onorevoli colleghi, sono quasi sette gli anni dedicati alla stesura della relazione in esame. Sette anni impiegati bene? Sette anni che esigono ancora che il collega Brian Simpson dica “speriamo che in una prossima revisione possiamo fare qualcosa di meglio”. Sette anni trascorsi per aver bisogno di un emendamento all’ultimo momento per tentare di trovare un compromesso. Sette anni o sette anni e due mesi per risolvere la questione. Non credo che si tratti di un problema di vita o di morte: naturalmente il Parlamento dirà la sua e io mi auguro che alcune delle cose che – spero – il Parlamento dirà domani possano essere accolte dal Consiglio, evitando in tal modo di dover andare in conciliazione.
Devo dire in effetti che non mi sento di rispondere che abbiamo lavorato bene fino in fondo. Possiamo dire che abbiamo lavorato bene di fronte a una riserva di aggiudicazione diretta così estesa che, di fatto, elimina o riduce enormemente gli appalti che vengono sottoposti a vere ipotesi competitive? Siamo davvero di fronte alla possibilità di aggiudicazione in house anche per servizi che sono gestiti in monopolio su scala nazionale? Siamo di fronte a una possibilità che l’appaltatore o il gestore in house subappalti “substantially” o “significantly”, cioè concetti che non sono giuridicamente definiti? E di fronte all’ipotesi che tale subappaltatore, anche senza gara, possa continuare magari anche oltre il 50% del tempo solo perché promette degli investimenti? Insomma, siamo di fronte a sottocompensazioni nei confronti dei servizi ferroviari in paesi terzi, che rendono difficile la produzione del servizio? Possibile che non si sia potuto discutere anche di questi termini? Che non si possano trovare delle soluzioni anche per questo? Perché mai dobbiamo evitare di trovare soluzioni adeguate anche su questi aspetti?
Desidero allora rivolgere un ultimo accorato appello a tutti i miei colleghi, ma anche al Consiglio e alla Commissione: perché non possiamo cercare di compiere quest’ultimo sforzo, per dare una risposta vera, seria e utile fino in fondo e non soltanto capace di fermarsi ai termini vaghi di significant e substancial, a mio avviso una discussione che onestamente non è comparabile con il fondamento giuridico della stessa. Non rispettiamo il quarto criterio stabilito nella sentenza Altmark in nessuna possibilità. Intravedo veramente in tutto ciò una fretta che, dopo sette anni persi, mi sembra oggettivamente immotivata.
Noi abbiamo presentato degli emendamenti che servirebbero per correggere queste strutture: non riteniamo che debbano essere accolti tutti ma se alcuni di questi lo fossero, riusciremmo a ottenere, dopo sette anni e due mesi, un risultato sicuramente superiore a quello che altrimenti avremmo con i testi che abbiamo di fronte.
Leopold Józef Rutowicz, a nome del gruppo UEN. – (PL) Il nuovo regolamento del Parlamento europeo sui servizi di trasporto pubblico di passeggeri su strada e per ferrovia sarà molto importante, specialmente per le comunità locali. Ringrazio l’onorevole Erik Meijer per il suo contributo a questa relazione.
Armonizzare i regolamenti sull’assegnazione di contratti pubblici ha lo scopo di garantire la trasparenza, la concorrenza, un’equa distribuzione dei costi e dei finanziamenti. Si tratta di norme che riguardano principalmente i trasporti pubblici e i servizi forniti da piccole e medie imprese alle comunità locali, che necessitano di sovvenzioni. L’estensione della durata dei contratti – a 8 anni per i servizi di autobus e a 15 anni per i servizi ferroviari – è una buona idea, perché, in caso contrario, gli investimenti effettuati per questi servizi sarebbero troppo rischiosi e non redditizi per le aziende di piccole e medie dimensioni.
E’ necessario anche definire meglio il concetto di “operatore interno” o “fornitore di servizi interno”. Il meccanismo di compensazione proposto è alquanto complesso e ci sarà bisogno di un grande impegno per assicurarne una corretta attuazione. Credo che il regolamento approvato andrà a beneficio di noi tutti.
Michael Cramer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, secondo il sindaco di Monaco Christian Ude, quando l’Unione europea domani prenderà la sua decisione renderà omaggio a strutture decrepite. I servizi di trasporto su ferrovia pesante attualmente forniti dalle compagnie ferrovie regionali e suburbane vengono esclusi dal regolamento, e lo stesso vale per i servizi municipali di trasporto su vasta scala nelle principali città. Il limite fissato per le piccole e medie imprese è molto più alto di quello previsto dalla normativa europea per l’assegnazione di contratti di servizio pubblico. In Germania, ad esempio, ciò significherà che oltre l’80 per cento dei servizi di trasporto resterà fuori dal campo di applicazione del nuovo regolamento. E’ stato respinto l’emendamento da noi presentato secondo cui gli standard sociali, ambientali e di qualità dovrebbero essere fattori determinanti nelle procedure di aggiudicazione, e questo non è nell’interesse né dei passeggeri né, Presidente Daldrup, dell’ambiente.
Che senso ha approvare un regolamento europeo valido solo per una minoranza di servizi? Avremmo potuto ottenere lo stesso risultato facendo ricorso alla sussidiarietà. Chiunque sia favorevole a un periodo di transizione di 30 anni – come recitava la proposta originaria – chiaramente non vede alcuna necessità di agire. Sebbene il Parlamento abbia dimezzato la durata di questo periodo, noi Verdi abbiamo votato contro il regolamento in seno alla commissione per i trasporti e il turismo. Il testo che ci è stato proposto non è un compromesso e non cambierà granché: per questa ragione ci siamo opposti.
Johannes Blokland, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, la procedura che stiamo per portare a termine è durata oltre 6 anni. Accolgo con favore l’accordo raggiunto con il Consiglio; sebbene alcuni punti lascino un po’ a desiderare, il compromesso messo a punto è accettabile.
Sono particolarmente lieto che agli Stati membri e alle regioni sia riconosciuta, entro certi limiti, la facoltà di decidere autonomamente come organizzare i propri trasporti pubblici, cosicché le autorità competenti in materia potranno adeguare questo compromesso in modo tale che esso soddisfi al meglio le loro esigenze, con possibili effetti positivi sull’utilizzo dei trasporti pubblici.
Per poter dare attuazione alla proposta dovremo limitarci agli elementi su cui abbiamo trovato l’accordo con il Consiglio. Desidero quindi invitare tutti a sostenere specificamente soltanto quegli emendamenti, rinviando la decisione sugli altri punti a un’altra circostanza.
Concludo ringraziando l’onorevole Meijer per l’impegno e la dedizione di cui ha dato prova in questa circostanza. La sua relazione sintetizza ottimamente la nostra venticinquennale collaborazione nel settore dei trasporti.
Georg Jarzembowski (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, Presidente Daldrup, permettetemi innanzi tutto di ringraziare, a nome mio personale e dell’onorevole Jeggle, tutti coloro – Consiglio, Commissione e Parlamento – che hanno contribuito a trovare questo buon compromesso dopo sette anni. Sono particolarmente grato all’onorevole Piecyk, che oggi non può essere presente, ma che ha avuto un ruolo determinante nei negoziati.
Personalmente ritengo che con questa proposta creiamo certezza del diritto e realizziamo un compromesso equilibrato tra gli interessi dei servizi di trasporto pubblici e quelli privati. Le città e le regioni hanno la facoltà di affidare contratti ai loro operatori senza indire gare d’appalto; dall’altro canto, però, abbiamo stabilito che, in quanto monopoli – e magari con redditi da monopolio in altri settori –, essi non possano concorrere con appaltatori privati per i contratti in questione. Per questo motivo ritengo che il compromesso sia equilibrato.
Presidente Daldrup, non si tratta solo di garantire servizi di trasporto di passeggeri di alta qualità; si tratta anche di garantire servizi di trasporto di alta qualità a prezzi sostenibili per i passeggeri. In anni recenti, questo aspetto è stato forse un po’ trascurato nelle città e nei comuni; la nuova normativa ci permetterà di tenerlo in maggiore considerazione.
Fra i diversi punti sui quali siamo riusciti a trovare un accordo citerò soltanto due. Poc’anzi lei ha detto che, a suo parere, “la parte sostanziale” che deve essere fornita dall’appaltatore principale in caso di subappalto era un’esigenza legata al problema del dumping sociale. Se si mira effettivamente a contrastare il dumping sociale, allora bisogna insistere affinché gli operatori interni forniscano in prima persona il 100 per cento dei servizi, senza rivolgersi a subappaltatori più a buon mercato. Comunque sia, il mio gruppo appoggia il compromesso negoziato, compreso il punto riguardante la “parte sostanziale”. Vedremo cosa deciderà il Parlamento domani. Ad ogni modo, manterremo la parola data, perché altrimenti sarebbe impossibile concludere un compromesso. Personalmente ritengo anche che sia particolarmente importante aver migliorato il livello di tutela legale, consentendo così alle imprese che si sentono penalizzate di accedere in tempi rapidi e in modo efficace alla tutela legale.
Desidero concludere con un commento personale rivolto al Presidente Daldrup nella sua qualità di rappresentante della Presidenza tedesca. Mi auguro che non mancherete, nell’ambito del processo legislativo in Germania, di adottare le misure necessarie per recepire pienamente nella legge sul trasporto di persone, la Personenbeförderungsgesetz, le norme che approveremo domani, e che non cercherete di sottrarvi a questo dovere su pressione di determinate società pubbliche. I provvedimenti che abbiamo concordato sono validi e ora dobbiamo recepirli nelle normative nazionali così come stanno.
Gilles Savary (PSE). – (FR) Signor Presidente, non mi assumerò la responsabilità di oppormi al compromesso raggiunto, perché la prima lettura è durata ben sette anni e ora, dopo una procedura alquanto caotica, non è il caso di rischiare una seconda lettura altrettanto lunga.
Vorrei dire prima di tutto che, nel complesso, sono soddisfatto di questo testo. Avevamo bisogno di certezza del diritto e di non lasciare sempre la decisione ai giudici. Abbiamo anche ottenuto, per la prima volta, il riconoscimento della libera determinazione delle autorità locali.
Per il resto, si tratta nondimeno di un testo alquanto complicato, che parte da un compromesso sulla protezione del trasporto ferroviario per alcuni e del trasporto urbano locale e regionale congiunto per altri. Non sono certo che una simile impostazione sia di facile interpretazione, né che si tratti semplicemente di una soluzione vantaggiosa per tutte le parti in causa. Non sono nemmeno sicuro che non sarà necessario riprendere in mano la normativa molto presto per precisare, ad esempio, che cosa s’intenda per accantonamento, partenariato pubblico-privato o subappalto senza gara, tutte scappatoie per eludere le regole del gioco comuni e valide per tutti.
Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE). – (NL) Signor Presidente, per anni ci sono state interferenze nella definizione dei requisiti europei per una maggiore presenza delle forze del mercato nel settore del trasporto pubblico locale di passeggeri. L’Europa è stata sul punto di rendere obbligatorio il ricorso agli appalti pubblici, ma non l’ha fatto. Come già osservato da molti colleghi, su questa materia per sette lunghi anni abbiamo discusso e litigato, e – ancora peggio – talvolta abbiamo persino ignorato del tutto il problema. Pochi Stati membri hanno ritenuto che si trattasse di un tema su cui valeva la pena di impegnarsi. La crescente incertezza giuridica nel settore non sembrava essere motivo di preoccupazione.
Per porre fine alla situazione di stallo, la Commissione ha lanciato una nuova proposta, e ha avuto ragione di farlo. Negli ultimi anni, le caratteristiche del mercato europeo del trasporto pubblico di passeggeri sono cambiate molto e le sentenze della Corte di giustizia hanno rivelato l’assoluta necessità e urgenza di predisporre un nuovo quadro giuridico.
Dal punto di vista liberale, l’accordo in discussione non soddisferà tutti. La battaglia per una maggiore efficienza, che può essere vinta, per l’appunto, grazie alle forze del mercato, resta in secondo piano, e per quanto attiene alla certezza giuridica permangono sicuramente alcuni punti interrogativi.
Ringrazio, naturalmente, il relatore per l’impegno profuso; voglio tuttavia precisare che non condivido affatto le sue osservazioni sulle forze del mercato. E’ proprio laddove le forze del mercato hanno modo di esprimersi che si possono offrire maggiori e migliori servizi di trasporto a prezzi più bassi. Le cifre parlano da sole. Ad ogni modo, ora è troppo tardi.
L’aspetto positivo di questa proposta è che la fornitura di servizi di trasporto pubblico e anche l’assegnazione sottobanco di contratti sono sottoposti a norme e criteri severi, per evitare distorsioni della concorrenza. In breve, o si è un operatore del mercato e si concorre, o si è un monopolista e ci si limita al proprio mercato protetto. A mio parere, nelle circostanze attuali questa è una base chiara da cui partire.
Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, come recita il proverbio, presto e bene raro avviene. Resta però da vedere se questo detto si possa applicare al caso in questione. Certo è che c’è voluto molto tempo: come hanno ricordato diversi oratori, tra sei e sette anni, senza dimenticare che, come se non bastasse, sono previsti lunghi periodi di transizione. Quindi, dobbiamo essere consapevoli del fatto che questo procedimento legislativo difficilmente potrà godere di buona stampa, forse anche perché ne stiamo discutendo in seduta notturna – ma questa ormai è diventata la prassi per le proposte legislative. Comunque sia, possiamo ottenere un buon risultato, per lo meno su alcuni punti fondamentali.
Il nostro scopo principale è stato quello di semplificare le disposizioni esistenti, renderle più flessibili e tenere in maggiore considerazione il principio di sussidiarietà e la trasparenza delle procedure. A mio parere, è importante anche valutare come tutto questo si inserirà nel terzo pacchetto ferroviario dal punto di vista dei tempi e dei contenuti. Un altro punto importante è aver stabilito il principio che i servizi di trasporto pubblico locale di passeggeri devono essere trattati alla stessa stregua dei normali servizi ferroviari. Fondamentali al riguardo sono, in particolare, le disposizioni sulla concessione di compensazioni finanziarie per lo svolgimento di compiti di pubblico servizio, da un lato, e, dall’altro, la facoltà attribuita alle autorità locali di decidere autonomamente come organizzare i propri servizi di trasporto pubblico di passeggeri: o esternalizzandoli o fornendoli in proprio.
E’ positivo inoltre che abbiamo concesso un’opportunità speciale – com’è nelle migliori tradizioni del Parlamento – a quelle che sono effettivamente piccole e medie imprese operanti in questo settore. Pertanto, posso solo sperare che domani troveremo l’accordo anche su una soluzione ragionevole alla questione dei subappalti. Se ci riusciremo, non sussisterà più alcun ostacolo alla felice conclusione di questo processo legislativo europeo. Dopo di che, spetterà ai legislatori nazionali fare la loro parte, e speriamo che la facciano senza indugi.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE). – Regulamentul privind serviciile publice de transport va avea implicaţii asupra tuturor celor 490 de milioane de cetăţeni ai Uniunii Europene. Importanţa subiectului a generat dezbateri timp de şapte ani şi îmbunătăţiri succesive ale propunerii din anul 2000. Având în vedere că doar aplicarea principiilor de piaţă ar putea duce la reducerea numărului de rute şi a frecvenţei acestora, competiţia reglementată introdusă de regulament în domeniul serviciilor publice feroviare şi rutiere va permite atât sectorului public, cât şi celui privat, să îmbunătăţească calitatea şi securitatea serviciilor în transportul public de călători.
Referitor la regulile de compensare financiară pentru obligaţiile privind serviciul public de transport de călători, este important ca autorităţile competente să finanţeze în mod corespunzător obligaţiile privind serviciul universal de transport public de călători şi costul utilizării infrastructurii de transport aferente. În acest domeniu, este nevoie de investiţii şi, de aceea, se impune o durată minimă a contractelor. În acest context, este important să se asigure condiţii egale de competiţie între companiile private şi autorităţile publice şi operatorii interni ai acestora prin definiţii riguroase şi condiţii clare privind calitatea şi frecvenţa serviciilor publice de transport de călători.
Autorităţile publice responsabile trebuie, însă, să introducă şi garanţii suplimentare pentru subcontractori, pentru a evita discriminarea în favoarea principalului contractor, în special în cazurile în care contractorul principal a primit un contract direct, fără organizarea unei licitaţii. Închei prin a sublinia importanţa competiţiei şi, mai ales, a calităţii serviciilor de transport public de călători. Felicit autorul raportului şi Comisia Europeană pentru importanţa acordată acestui subiect.
Gabriele Albertini (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il regolamento sui servizi pubblici di trasporto su strada e per ferrovia, che ci accingiamo a votare, interessa l’80% del trasporto ferroviario dei passeggeri e riveste un’estrema importanza per lo sviluppo del trasporto ferroviario europeo, caratterizzato da situazioni nazionali molto diversificate.
Dopo essere rimasto bloccato in Consiglio per quasi sette anni, capisco la volontà di molti colleghi di chiudere in seconda lettura, evitando la procedura di conciliazione e i negoziati informali con il Consiglio sviluppati con determinazione in questo senso.
Mi congratulo con il collega on. Grosch e con il nostro coordinatore on. Jarzembowski per i notevoli risultati ottenuti. Tuttavia, mi rammarico del fatto che il principio di reciprocità, che già il nostro gruppo aveva sostenuto con fermezza in occasione del terzo pacchetto ferroviario, non sia stato inserito tra i compromessi. Infatti, nel mio paese, in Italia, i servizi pubblici di trasporto per ferrovia sono liberalizzati e aggiudicati con procedura di gara d’appalto. In diversi paesi europei il trasporto nazionale e regionale opera invece in regime di monopolio legale, una situazione che potrà proseguire anche dopo l’approvazione dell’attuale regolamento.
Vi saranno pertanto asimmetrie di mercato e vantaggi indebiti per le imprese che operano in mercati chiusi alla concorrenza ma che potranno competere in quelli aperti. A tale riguardo ho presentato, con il collega de Grandes Pascual e altri colleghi spagnoli e italiani del nostro gruppo, due emendamenti, il 43 e il 45, che inseriscono clausole sulla reciprocità nei confronti delle imprese che operano in regime di monopolio nazionale. Vi sarà quindi impossibile non sostenere gli emendamenti che modificano la proposta in questo senso. Tuttavia, a prescindere dall’esito dei voti sui singoli emendamenti, non mancherò di garantire il mio sostegno a favore della relazione nella votazione finale.
Christine De Veyrac (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, Vicepresidente Barrot, Presidente Lütke Daldrup, onorevoli colleghi, come già rilevato da molti colleghi, sono ormai quasi sette anni che le Istituzioni europee discutono di questo testo, e sette anni sono troppi. Dobbiamo giungere a un’intesa oggi, perché ciò è essenziale per l’organizzazione del trasporto pubblico locale nell’Unione europea.
Desidero complimentarmi vivamente con il relatore onorevole Meijer e con i relatori ombra onorevoli Grosch e Piecyk, che stasera non è presente. Mi congratulo con loro perché negli ultimi mesi hanno negoziato con gli Stati membri e sono riusciti a trovare un accordo con il Consiglio su questo testo. Penso che il compromesso ottenuto garantisca un buon equilibrio tra un’apertura controllata e graduale alla concorrenza e il soddisfacimento dei requisiti di pubblico servizio. Per tale motivo ritengo che dobbiamo sostenere l’accordo e non prolungare inutilmente le discussioni – cosa che sarebbe inevitabile se optassimo per la procedura di conciliazione.
L’accordo non è, ovviamente, perfetto; nondimeno è un buon compromesso che dovrebbe consentirci di assicurare effettivamente certezza giuridica a tutti gli operatori del settore dei trasporti e di creare un contesto moderno favorevole allo sviluppo del trasporto pubblico in Europa. Mi auguro davvero che domani potremo approvarlo a grande maggioranza e che predisporremo in tal modo un quadro armonizzato ed equilibrato per i servizi di trasporto pubblico di passeggeri su strada e ferrovia.
Engelbert Lütke Daldrup, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, Commissario Barrot, onorevoli deputati, la discussione è stata incoraggiante e ci dà motivo di sperare che, dopo lunghi dibattiti e lunghe trattative, sarà infine possibile concludere domani un accordo. Ci è stato proposto un buon compromesso. Certo, chiunque di noi avrebbe preferito che alcune parti del testo fossero state diverse oppure non è del tutto soddisfatto di alcune altre. Succede sempre così con i compromessi, quando entrambe le parti devono farsi reciproche concessioni. Non dobbiamo dimenticare che le società e le amministrazioni comunali e cittadine, ma soprattutto i nostri concittadini chiedono certezza giuridica e una base sicura a partire dalla quale avviare i loro progetti, perché devono sapere quali sono i nostri orientamenti futuri in merito ai servizi di trasporto pubblico locale di passeggeri nelle nostre città e regioni.
Desidero esprimere la mia gratitudine al relatore onorevole Meijer, ai relatori ombra onorevoli Grosch e Piecyk e a tutti coloro – e sono molti – che hanno contribuito a questa impresa. Il dibattito è stato lungo e a tratti arduo. Credo che abbiamo ottenuto un buon risultato, un risultato che possiamo anche giustificare nei confronti del mondo esterno. Spero che domani saranno adottate entrambe le decisioni e che sia quindi possibile trovare l’accordo su una soluzione congiunta in seconda lettura.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, anch’io desidero ringraziare il Parlamento, per il suo lavoro, e la Presidenza del Consiglio. Penso che ci stiamo avvicinando a una soluzione che ci permetterà di disporre di norme più chiare e più equilibrate per il settore del trasporto pubblico. Certo, qualsiasi compromesso è solo un passo avanti, ma è un passo importante perché rende possibile un’apertura graduale e allo stesso tempo fornisce una base di riferimento per il concetto di servizio pubblico nell’ottica di porre fine a una deleteria situazione di incertezza giuridica. Infine, come ho sottolineato nel mio intervento iniziale, con queste nuove norme diventa possibile concedere alle autorità locali maggiore spazio di manovra, dando così applicazione al principio di sussidiarietà.
Vorrei aggiungere che, nel nome della sussidiarietà, la Commissione non ha ritenuto necessario prevedere, nella sua proposta iniziale, criteri di qualità. In ogni caso, le autorità responsabili delle aggiudicazioni saranno libere di stabilire autonomamente i requisiti che i potenziali operatori dovranno soddisfare.
Credo che ora dobbiamo profittare di questa politica di mobilità urbana per garantire la qualità dei servizi di trasporto nelle nostre città e nei nostri agglomerati urbani. Pertanto, anch’io mi auguro che domani l’accordo sarà approvato e che potremo compiere questo prossimo passo avanti. Concludo ringraziando nuovamente l’onorevole Meijer e i relatori ombra onorevoli Piecyk e Grosch.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Gábor Harangozó (PSE), per iscritto. – (EN) I regolamenti comunitari ora vigenti risalgono al 1969 e furono concepiti per un settore dei trasporti pubblici che all’epoca non doveva ancora affrontare le sfide e le opportunità di un mercato unico europeo. Sono dunque diventati obsoleti. Nonostante la mancata riforma del 2000, questa nuova proposta va interpretata come un vero e proprio passo avanti per il settore dei trasporti pubblici, la cui recente apertura alla concorrenza deve essere affrontata una volta per tutte a livello di Unione europea. E’ infatti ora di stabilire norme comuni chiare per garantire una concorrenza leale e trasparente in un settore del trasporto su strada e ferrovia che si è modernizzato. Grazie all’armonizzazione di aspetti decisivi e alla tutela degli interessi sia degli operatori che dei passeggeri, potremo mettere questo settore in condizione di diventare più competitivo. Ma, oltre a rendere il settore più competitivo, con l’aggiornamento del quadro normativo dobbiamo mirare anche a migliorare la qualità e l’attrattiva dei trasporti pubblici nell’Unione nel suo complesso, introducendo una concorrenza controllata. Su questo punto appoggio con convinzione la proposta della Commissione e i miglioramenti proposti negli emendamenti della commissione per i trasporti e il turismo.
16. Interventi di un minuto (articolo 144 del Regolamento del Parlamento)
Presidente. – L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto.
György Schöpflin (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, la crescente crisi nelle relazioni tra Estonia e Russia ci riguarda tutti. Siamo di fronte a un chiaro caso di indebita pressione di un grande paese nei confronti di uno più piccolo. E’ il genere di comportamento dal quale l’Unione europea protegge i piccoli Stati. La Russia insiste nell’accusare l’Estonia di alimentare qualcosa che definisce “fascismo”, senza produrre uno straccio di prova. La campagna getta discredito sul vero concetto di antifascismo, innanzi tutto perché è la Russia stessa a comportarsi come uno Stato fascista. La campagna disonora la memoria di coloro che hanno realmente combattuto contro il fascismo e in particolare di chi ha perso la vita in quella lotta, compresi milioni di russi. Antifascismo significa democrazia e uguale rispetto per tutti. La Russia, contraddicendo questi principi, sta facendo rivivere il fascismo, creando una minaccia per l’intera Europa.
PRESIDENZA DELL’ON. DIANA WALLIS Vicepresidente
Proinsias De Rossa (PSE). – (EN) Signora Presidente, vorrei sollevare una grave questione concernente l’uso illecito di finanziamenti UE, a mio parere, per la distruzione del patrimonio archeologico in Irlanda. Rivolgo un appello al Commissario Dimas, affinché intervenga direttamente presso il Ministro Roche in Irlanda per accertare che le sovvenzioni fornite per la costruzione dell’autostrada N3 nella contea di Meath non stiano agevolando la distruzione di un sito neolitico scoperto recentemente, una woodhenge. Si tratta di un sito di estrema importanza, molto vicino alla storica Tara Hill. Il Direttore del Museo Nazionale d’Irlanda ha richiesto uno scavo archeologico completo, ma poiché il Ministro Roche finora è stato sordo a tutti i pareri degli esperti, esiste un rischio reale che questo straordinario sito neolitico vada perduto. Alla luce dell’investimento europeo nel progetto di questa autostrada, è essenziale che la Commissione intervenga per garantire che una parte significativa del patrimonio culturale non solo irlandese, ma per definizione anche europeo, sia oggetto di opportuni lavori di scavo, e che, se necessario, il tracciato dell’autostrada N3 venga modificato per realizzare tale obiettivo.
Marco Pannella (ALDE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, io penso che noi stiamo per assistere ad un episodio ignobile – ripeto: ignobile – dell’Unione europea, per responsabilità soprattutto del Consiglio e inerzia della Commissione, in violazione di mandati imperativi che abbiamo dato loro. Nel dicembre 1994 abbiamo ottenuto una sconfitta per soli otto voti mentre si stava per stabilire la moratoria universale della pena di morte. Da allora, per 13 anni, la stragrande maggioranza dell’ONU era pronta a votare questo grande principio di civiltà. Da allora l’Unione europea ha impedito che si votasse.
Il Parlamento ha detto in questa sessione che il Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne (CAG-RE) che si tiene lunedì 14 si appresta probabilmente, ancora una volta, a tradire il mandato affidatogli e a rinviare ancora per un anno quella vittoria sicura.
Signora Presidente, la prego di esortare il Presidente del Parlamento ad occuparsi tempestivamente della questione.
Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN). – (PL) Signora Presidente, i frutticoltori polacchi hanno subito l’ennesima battuta d’arresto. Alla scarsa protezione del mercato interno contro le eccessive importazioni e il dumping si è aggiunto il gelo, che ha distrutto circa il 90 per cento del raccolto di quest’anno. Le perdite, stimate all’incirca in 1,5 miliardi di euro, superano i mezzi del governo polacco e delle compagnie di assicurazione. Lo scarso rendimento della coltivazione di frutta, in particolare i frutti a polpa tenera, specialmente dopo l’adesione della Polonia all’UE, ha determinato una certa riluttanza ad assicurare i raccolti, sia da parte delle compagnie di assicurazione che degli stessi agricoltori, che semplicemente non possono permetterselo. Questa situazione impone un intervento immediato dell’Unione europea, con aiuti di emergenza e a lungo termine per i prossimi anni. In caso contrario, gli agricoltori polacchi saranno condannati alla bancarotta e l’UE ad importare la frutta da paesi terzi.
Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Signora Presidente, la Commissione europea ha saggiamente abbandonato i piani per la completa introduzione del sistema metrico decimale nel Regno Unito. Ha capito che niente avrebbe potuto fomentare la ribellione contro l’Unione europea nell’intera popolazione più del fatto di perdere la libbra, la pinta e il miglio. E’ una vittoria per la Gran Bretagna, ma si tratta solo di una scaramuccia. L’Unione europea si è ritirata tatticamente per combattere battaglie più strategiche in seguito. La lotta per l’indipendenza britannica è ancora in corso e la vittoria finale, con l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, è ancora lontana. Il prossimo grande confronto sarà sul testo rivisto della Costituzione europea. A questo punto vorrei associarmi a coloro che invocano la concessione del perdono reale postumo al martire del sistema metrico, Steve Thoburn, condannato nel 2000 per l’atroce delitto di aver venduto banane a libbre e once.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signora Presidente, desidero informare il pubblico e chi di competenza in merito ad un caso scandaloso di impedimento del lavoro di un membro indipendente del Parlamento europeo. In Austria, il principale candidato del Forum liberale alle ultime elezioni studentesche, Martin Ehrenhauser, il 20 aprile 2007 ha ricevuto una lettera dove si leggeva: “Le offriamo un posto come agente a contratto a partire dal 15 maggio 2007 per il gruppo politico dei Non iscritti al Parlamento europeo.” Il Signor Ehrenhauser è venuto qui, ma improvvisamente la lettera non ha più valore. Il motivo: una direttiva politica dall’alto, dal nuovo Segretario generale Harald Rømer.
E’ inaccettabile. E’ stata una decisione improvvisa, che in questo caso mi riguarda da vicino. Come saprete, ogni deputato ha il diritto di lavorare nel proprio gruppo con almeno un membro del personale parlamentare nella propria lingua madre. Io sono l’unico al quale è negato questo privilegio, a causa della volontà di rendere più difficile il lavoro di un critico sgradito. Nel contempo, sono proprio i grandi gruppi che si concedono schiere di collaboratori fedeli al loro partito. Nel complesso, il Parlamento impiega migliaia di collaboratori.
Invito l’Ufficio di presidenza e chi di competenza ad indagare su questo caso. Questo genere di comportamenti danneggia il Parlamento e anche la nostra idea di democrazia.
Jaroslav Zvěřina (PPE-DE). – (CS) Signora Presidente, onorevoli parlamentari, in questi tempi post-moderni il matrimonio sta diventando sempre meno popolare, soprattutto tra i giovani, e tuttavia rimane il fondamento della famiglia. E’ quindi nell’interesse degli Stati membri e dell’UE nel suo complesso sostenere l’istituto del matrimonio. Da quando siamo entrati nell’UE, sento spesso lamentele per le complicazioni a lungo termine dei matrimoni tra cittadini di diversi Stati membri.
Per i cittadini dell’UE è difficile accettare il fatto che non esistono accordi tra gli Stati membri dell’UE sul reciproco riconoscimento di documenti ufficiali. Uomini e donne che intendono sposarsi sono costretti a dedicare tempo e fatica a girare per numerosi uffici per completare una serie di formalità burocratiche al fine di rendere possibile il matrimonio. Anche per me, in qualità di deputato del Parlamento europeo, è difficile capire perché gli uffici di uno Stato membro si rifiutino di riconoscere certificati di matrimonio o di cittadinanza quali normali documenti. I giovani trovano particolarmente ardua la procedura che prevede l’ottenimento di documenti aggiornati e la loro superlegalizzazione. Non nutro illusioni in merito alla nostra capacità di armonizzare i codici. Ciononostante, i nostri cittadini meritano certamente qualche semplice misura mirata a semplificare la legislazione.
Eugenijus Gentvilas (ALDE). – (LT) La Russia si sta comportando in modo vergognoso in Estonia e non cerca neppure di nascondere il suo comportamento. I russi hanno varato un blocco economico contro uno Stato membro dell’Unione europea. In passato, la Russia si è comportata con maggiore accortezza in Lettonia e Lituania o in altri paesi, e forse per questo motivo l’Unione europea non si è curata della maggior parte delle iniziative della Russia. Dopo gli avvenimenti in Estonia vi invito a riconsiderare le relazioni dell’Unione europea con la Russia. Il partenariato strategico dovrebbe essere sostituito con una cooperazione basata su principi, onesta e pragmatica.
A mio parere, è essenziale posticipare l’incontro del 18 maggio a Samara. Dobbiamo esporre alla Russia l’opinione dell’Unione europea in merito alle condizioni fondamentali affinché simili incontri si possano ancora tenere in futuro. Javier Solana deve andare a Mosca e sostenere con chiarezza la posizione dell’Unione europea. L’Europa dispone di argomenti sufficienti. Il mio timore è che alcuni leader dell’Unione europea vorranno cogliere un’altra occasione per farsi fotografare con l’antidemocratico Putin, piuttosto che difendere i valori democratici dell’Unione europea.
Malcolm Harbour (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, innanzi tutto vorrei esprimere il mio apprezzamento – e spero che lo trasmetta al Presidente – per aver preso l’iniziativa di invitare qui questo pomeriggio alcuni vincitori del Premio Nobel e, in particolare, per averci offerto l’occasione di ascoltare le parole di eminenti scienziati in quest’Aula. Onorevoli colleghi, ci sono molte questioni da affrontare in materia di scienza e tecnologia e non dialoghiamo a sufficienza con la comunità scientifica e tecnologica. Con l’intervento di stasera vorrei richiamare l’attenzione di tutti i colleghi parlamentari sul fatto che l’unità di valutazione scientifica e tecnologica del Parlamento, di cui ho il privilegio di essere vicepresidente, con il collega, onorevole Busquin, come presidente, ha organizzato un’importante manifestazione per la settimana di giugno a Strasburgo, intitolata Esperienza STOA. Sono previste mostre di lavori recenti e molti eminenti scienziati si incontreranno e parleranno ai deputati dei progetti in corso. Mi auguro che molti colleghi colgano questa reale opportunità per rafforzare il dialogo tra i membri di questa Assemblea e i maggiori esponenti della comunità scientifica e tecnologica dell’Unione europea.
Presidente. – La ringrazio per averci informato, onorevole Harbour.
John Attard-Montalto (PSE). – (EN) Signora Presidente, vorrei sottolineare un punto che non è noto a tutti nell’Unione europea. Si tratta del fatto che – con l’eccezione della Danimarca – il mio paese, il più piccolo dell’UE, è quello dove le automobili costano di più. Questo è dovuto principalmente all’applicazione di un’imposta straordinaria chiamata tassa di registrazione, che talvolta è più elevata del valore della stessa automobile. Ciò significa che, in un paese dove i salari sono al massimo al livello del reddito medio europeo, il costo dei veicoli, nuovi o di seconda mano, è esorbitante, creando un indebito stress alle famiglie di reddito medio-basso quando devono cambiare l’automobile. Inoltre, questo incide sul problema del cambiamento climatico nel mondo. Benché Malta sia un piccolo paese, gli automobilisti trovano estremamente difficile passare a veicoli più efficienti in termini di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni di gas di scarico.
Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signora Presidente, in quanto deputato irlandese sono lieta di avere un minuto a disposizione per unire la mia voce alle molte altre che celebrano e plaudono a quanto è accaduto ieri a Belfast. In effetti, proprio oggi ci siamo congratulati con Betty Williams, Mairead Corrigan, David Trimble e John Hume, tutti vincitori di Premi Nobel, per il loro contributo al processo di pacificazione nell’Irlanda del Nord. Betty Williams e Mairead Corrigan hanno lavorato all’interno delle loro comunità, ed è proprio così che si costruisce veramente la pace, tra famiglie, tra vicini e tra comunità. Ma occorre anche una leadership politica per portare avanti il processo e oggi abbiamo reso onore a due di questi uomini politici, David Trimble e John Hume. Molti altri politici a diversi livelli hanno corso rischi per la pace e anch’essi meritano i nostri applausi.
Poiché celebriamo i 50 anni dalla fondazione, è opportuno riconoscere che l’UE ha anche svolto un ruolo importante nel processo di pace nell’Irlanda del Nord, fornendo un sostegno morale ed economico. Per questo penso di poter dire grazie all’UE, a nome mio e del popolo irlandese, per aver creduto in noi e averci sostenuto nel cammino verso la pace.
Antonio De Blasio (PPE-DE). – (HU) Negli ultimi sei anni, varie industrie nel territorio austriaco hanno continuato ad inquinare le acque del fiume Rába, che attraversa il confine ungherese già colmo di acqua schiumosa e inquinata. Il ministro ungherese per la Protezione ambientale, che ieri si è dimesso, aveva dato tempo alle imprese austriache fino al 1° maggio per fermare l’inquinamento, ma finora non si sono registrati progressi. Il 1° aprile, insieme al mio collega, ho inviato personalmente alle autorità austriache una petizione della delegazione ungherese del partito popolare esortando il governo provinciale e federale a prendere le misure necessarie. A tutt’oggi non abbiamo ricevuto risposta alla nostra petizione.
E’ in corso l’assemblea annuale del comitato austro-ungherese per le acque frontaliere, che anni fa concesse alle industrie la licenza di operare. Questa commissione è formata da delegati dei governi dei due Stati e la revoca delle licenze per i diritti di utilizzo delle acque rientra nelle sue competenze. Occorre fare il possibile per fermare questo pericoloso inquinamento ambientale transfrontaliero: esorto quindi il comitato austro-ungherese per le acque frontaliere, e quindi indirettamente i governi dei due Stati membri in questione – sollecitando al contempo l’intervento del Parlamento europeo – a revocare con effetto immediato le licenze per i diritti di utilizzo delle acque concesse alle industrie che inquinano il fiume.
Marios Matsakis (ALDE). – (EN) Signora Presidente, mentre celebriamo i cinquant’anni dei valori e dei principi fondamentali dell’Europa, in un paese candidato all’adesione la democrazia sta lottando per sopravvivere. Il governo eletto della Turchia è evidentemente minacciato dal maggior nemico del paese, i generali dell’esercito. L’esercito turco, invece di proteggere la democrazia, cerca di distruggerla. Indipendentemente dalla nostra posizione personale in merito all’adesione della Turchia all’UE, è nel nostro interesse e nell’interesse del popolo turco che la Turchia continui il suo processo di riforma. E’ nostro compito sostenere i poteri politici della Turchia, rappresentati oggi dal governo di Erdogan, nella lotta contro le forze armate anacronistiche, rappresentate dal capo di Stato maggiore generale Buyukanit. Invito il Presidente di quest’Assemblea a fare una dichiarazione al più presto per esprimere il nostro fermo sostegno al governo della Turchia e il nostro sgomento per l’interferenza dell’esercito nella vita politica del paese.
Il messaggio del Parlamento europeo all’esercito turco dovrebbe essere forte e chiaro: “Rientrate nelle vostre caserme e cessate la guerra alla democrazia”.
Milan Gaľa (PPE-DE). – (SK) Ho seguito per parecchio tempo la situazione dei prigionieri politici a Cuba e ho accolto con piacere la notizia che numerosi gruppi dell’opposizione recentemente avevano redatto una dichiarazione congiunta impegnandosi a tenere una posizione unitaria nella lotta per un passaggio pacifico alla democrazia sull’isola.
I firmatari della dichiarazione comprendono noti dissidenti come Oswaldo Payá del movimento cristianodemocratico per la liberazione, Elizardo Sanchez della commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale, Martha Beatriz Roque e René Gómez Manzano dell’assemblea per la promozione della società civile. Il documento era firmato anche dai membri dell’organizzazione istituita dalle mogli dei prigionieri politici, note come Damas de Blanco.
Un’opposizione unita e pacifica è essenziale per promuovere i cambiamenti di cui ha bisogno la popolazione. Non bisogna trascurare il fatto che, nonostante alcune differenze politiche e filosofiche, i gruppi condividono gli stessi obiettivi, tra cui il rispetto per i diritti umani, la riconciliazione, la liberazione dei prigionieri politici, la non violenza e la cooperazione.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Il mio intervento ha lo scopo di avvertire i consumatori europei che indossano prodotti tessili cinesi. Purtroppo, molti di questi prodotti vengono tinti utilizzando azocoloranti che non rispettano le norme stabilite nella direttiva 2002/61/CE in materia di azocoloranti.
Indossando tali prodotti tessili, gli azocoloranti penetrano nel corpo come assassini silenziosi e provocano il cancro. Ultimamente, nel maggio 2006, i laboratori di un ente autorizzato operante nella città di Svit, in Slovacchia, hanno analizzato un campione di 90 prodotti tessili per bambini raccolti a caso sul mercato slovacco e importati per la maggior parte dalla Cina, e hanno riscontrato che un prodotto su quindici era pericoloso.
Si può ragionevolmente presumere che grandi quantità di articoli tessili sostanzialmente identici si possano trovare sui mercati di altri Stati membri dell’UE. Poiché si tratta di prodotti estremamente pericolosi, esorto la Commissione a prendere misure efficaci per ridurre il più possibile i tempi tra la raccolta di campioni e la pubblicazione di un allarme nel sistema RAPEX. I tre mesi e mezzo, o anche più, richiesti attualmente sono sufficienti per consentire che i prodotti pericolosi vengano venduti e scompaiano dal mercato. Trovo questi fatti sconcertanti e sono fermamente convinta che non dobbiamo restare inattivi.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, si dice che i veri amici si riconoscono nei momenti di crisi. Attualmente, i produttori polacchi di frutti a polpa tenera sono in crisi a causa del gelo che ha colpito la Polonia nelle ultime settimane. Presto questi agricoltori e le loro famiglie finiranno in povertà. Gli agricoltori polacchi sperano in un sostegno dell’UE e che qualcuno dia loro una mano. E’ ciò che dovrebbe accadere, perché solidarietà significa proprio questo, ossia stare insieme e aiutarsi vicendevolmente nei momenti di difficoltà. Lech Wałęsa, che oggi è presente in quest’Aula, potrebbe dirvi molto di più sull’argomento. L’aiuto dell’Unione europea creerebbe un clima positivo e aumenterebbe la considerazione dei nostri cittadini per l’Unione europea. In questo Parlamento, nelle Istituzioni UE, bisognerebbe mettere a punto strumenti comunitari intesi ad aiutare i paesi, le regioni e le industrie colpiti da disastri naturali.
Presidente. – Con questo si concludono gli interventi di un minuto.
17. Disposizioni sulle quantità nominali dei prodotti preconfezionati (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura (A6-0144/2007), della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che reca disposizioni sulle quantità nominali dei prodotti preconfezionati, abroga le direttiva 75/106/EEC e 80/232/EEC del Consiglio e modifica la direttiva 76/211/EEC [13484/1/2006 – C6-0039/2007 – 2004/0248(COD)] (Relatore: onorevole Jacques Toubon).
Jacques Toubon (PPE-DE), relatore. – (FR) Signora Presidente, Vicepresidente Verheugen, onorevoli colleghi, la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori raccomanda l’adozione della posizione comune del Consiglio, modificata da alcuni emendamenti: un emendamento che prevede una clausola di salvaguardia al termine dei periodi transitori, una disposizione che incoraggia l’estensione del sistema del prezzo per unità di misura, un dispositivo per garantire che il pane britannico possa continuare ad essere commercializzato nel suo formato attuale e, infine, una dichiarazione della Commissione che spieghi e garantisca con esattezza la graduale eliminazione di scorte di bottiglie fuori norma. Tuttavia, il cuore di questa direttiva è rappresentato, da un lato, dalla libertà di formato e, dall’altro, dal mantenimento di formati obbligatori per latte, pasta, burro e caffè per cinque anni e per lo zucchero bianco per sei anni. Questo è il contenuto della proposta.
Come si è arrivati a questo punto? In prima lettura, sulla base di un proprio studio, il Parlamento europeo aveva mantenuto i formati obbligatori per una serie di prodotti, in deroga permanente alla generale liberalizzazione dei formati proposta dalla Commissione. Quest’ultima, per principio, aveva preparato una proposta modificata totalmente opposta al testo del Parlamento. E’ stato allora che ho potuto riprendere i colloqui con la Commissione e la Presidenza finlandese del Consiglio. Quest’ultima è riuscita ad ottenere l’approvazione di una posizione comune che riprendeva alcune delle deroghe richieste dal Parlamento europeo, ma solo per un periodo limitato, transitorio.
Ho proposto di accettare i punti principali di questa posizione, purché fosse accompagnata da due garanzie aggiuntive. Innanzi tutto, che la Commissione possa proporre di mantenere determinati formati obbligatori per certi prodotti di grande consumo ove si riscontri una perturbazione del mercato al termine del periodo transitorio, e in secondo luogo, che gli Stati membri siano incoraggiati a estendere il prezzo per unità di misura anche ai negozi locali. Questo è quanto ha deciso la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori sulla base della mia proposta, e così è stato concordato anche con il Consiglio e la Commissione alla fine dei due triloghi tenutisi nelle ultime settimane.
Inoltre, onorevoli parlamentari, trarrò tre lezioni da questa procedura legislativa. Innanzi tutto, in questa occasione abbiamo effettuato per la prima volta una valutazione d’impatto, commissionandola ad un organismo indipendente; è stata la prima volta che il Parlamento si è avvalso di questa procedura, che ritengo abbia un grande futuro. In secondo luogo, quello che stiamo facendo significa che per legiferare meglio non occorre necessariamente eliminare tutta la legislazione perché – e questa è la terza lezione che ho tratto – nel corso della discussione abbiamo rigorosamente tenuto conto delle esigenze dei consumatori e, in particolare, di quelli più vulnerabili.
Per questo motivo, onorevoli colleghi, propongo che domani il Parlamento voti a favore dei tre emendamenti adottati dalla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori.
Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Signora Presidente, onorevoli parlamentari, innanzi tutto desidero ringraziare l’onorevole Toubon per l’opera costruttiva svolta su questa proposta legislativa molto difficile e concordo con tutto quanto ha appena detto, in particolare riguardo alle lezioni da trarre, ossia quello che possiamo imparare da questo dossier. Vorrei aggiungere un punto: mi auguro che il Consiglio riterrà opportuno seguire l’esempio del Parlamento e che in futuro, presentando emendamenti alle proposte legislative, effettui anche una valutazione d’impatto. Sicuramente, questo ci aiuterebbe molto nell’attuale intento di legiferare meglio.
Effettivamente, questa è soltanto una parte di un importante progetto che la Commissione e tutte le altre Istituzioni stanno mettendo in atto: il miglioramento della legislazione. Abbiamo cominciato con il chiaro obiettivo politico di migliorare e semplificare le normative vigenti nell’Unione europea. L’onorevole Toubon ha perfettamente ragione: migliorare la legislazione non significa abrogarla. Migliorarla significa renderla più semplice, più trasparente e più gestibile. Tuttavia, è ovvio che i livelli di tutela vigenti dovrebbero restare immutati. In linea di principio, tutte le Istituzioni e certamente anche i consumatori e le imprese sono d’accordo. Tuttavia, nonostante questo accordo di principio, emergono sempre riserve specifiche quando viene elaborata a presentata una proposta concreta. A quel punto, risulta evidente la necessità di un compromesso politico e sono lieto che in questo caso siamo arrivati insieme a una soluzione valida.
Di che cosa si tratta effettivamente? Ci occupiamo in questo ambito di regolamenti degli anni ’70 e ’80. A quell’epoca si erano stabiliti formati obbligatori per un gran numero di prodotti preconfezionati, che comprendevano varie tipologie di merci, quali dentifrici, detergenti, bastoncini di pesce, passate di pomodoro, solventi e anche alimenti per cani e gatti, secchi e umidi.
Al momento dell’adozione, circa trent’anni fa, era il modo migliore per realizzare due obiettivi: innanzi tutto, aprire ulteriormente il mercato interno delle merci, come previsto dai Trattati di Roma, e in secondo luogo garantire il necessario livello di tutela dei consumatori nel commercio transfrontaliero di queste merci.
Da allora, comunque, il mercato interno e la tutela dei consumatori nell’Unione europea si sono sviluppati in misura significativa.
Ora si tratta di procedere in questa direzione, semplificando e armonizzando le normative sui formati delle confezioni. In questo caso, una minore regolamentazione europea significa più innovazione e maggiore competitività.
Sono convinto che questa proposta avrà un impatto positivo, in particolare per i consumatori, che acquisiranno una maggiore libertà di scelta. Inoltre, grazie alla direttiva vigente sul prezzo per unità di misura (prezzo per chilogrammo o litro), essi continueranno anche in futuro ad essere in grado di confrontare agevolmente i prezzi dei diversi formati di confezioni.
Sono grato al relatore per il suo impegno. Inoltre, penso che siamo d’accordo sulle norme transitorie. Come richiesto dal Parlamento, la Commissione riesaminerà la situazione tra qualche anno. Dunque non c’è nulla che impedisca un accordo in seconda lettura.
Malcolm Harbour, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signora Presidente, avendo un po’ più di tempo a disposizione vorrei congratularmi con lei per la sua carica di Vicepresidente. Conoscendola come valida collega alla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, è un piacere ritrovarla in veste di Presidente di seduta questa sera.
Vorrei anche ringraziare l’onorevole Jacques Toubon, che penso abbia condotto una revisione ineccepibile di questo processo, come ha rilevato il Commissario. Inoltre, mi associo alle parole del Commissario sull’impostazione che abbiamo adottato. Ritengo che siamo stati una delle prime commissioni parlamentari a richiedere una valutazione d’impatto sui nostri emendamenti. Alcuni dei problemi rilevati vengono ora affrontati negli emendamenti che intendiamo sostenere domani, in particolare per quanto concerne quelle che chiamerei le clausole di salvaguardia, che la Commissione osserverà per monitorare da vicino il comportamento del mercato.
Nel complesso, Commissario Verheugen, siamo molto favorevoli al suo obiettivo di eliminare la legislazione inutile, in molti casi risalente a venti o trent’anni fa, come lei stesso ha rilevato. Ora che i consumatori sono meglio informati, desideriamo che ne traggano vantaggio e che siano informati in merito alla definizione dei prezzi.
Vogliamo garantire ai produttori la necessaria flessibilità per realizzare i prodotti in diversi formati, rispondenti alle esigenze di nuclei famigliari di dimensioni diverse. Sono costretto a dire che nel mio paese, e sospetto anche in altri, è una sorpresa trovarsi di fronte a una misura di deregolamentazione prodotta dalla Commissione. Come vedrete in alcuni coloriti articoli di quotidiani nel mio paese, a questa direttiva è stata liberamente data un’interpretazione sbagliata, come se in molti casi impedisse ai consumatori britannici di avere accesso ai prodotti nei loro formati preferiti. Penso che la Commissione debba lavorare sul fatto che un’interpretazione sbagliata è giustificata perché al momento questa è una proposta veramente insolita. In un simile contesto sono molto grato alla Commissione e al Consiglio per aver fornito rassicurazioni ai consumatori di pane preconfezionato nel Regno Unito – vale a dire oltre l’80 per cento dei regolari consumatori di pane – che i formati tradizionali del filone (loaf), che si ritenevano minacciati da questa proposta, resteranno garantiti e che nessuno li priverà del piacere di consumare ogni mattina i toast con la marmellata d’arance nel tradizionale formato di pane preconfezionato.
Evelyne Gebhardt, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica, onorevoli colleghi, credo che la legge di cui discutiamo oggi sia molto importante, perché il motivo per cui questa direttiva è stata adottata in passato era proprio quello di aprire il mercato delle merci.
L’apertura del mercato e la produzione di quantità nominali ora sono state sostituite dalla protezione dei consumatori. La nostra reazione a questa proposta è dunque estremamente importante ed è per questo che il Parlamento ha dichiarato chiaramente che la semplice abolizione di tutte le disposizioni in questo settore avrebbe creato delle difficoltà, in particolare per le persone disabili, soprattutto gli ipovedenti. Se ci guardiamo attorno nei grandi supermercati, ad esempio, notiamo che i prezzi non sono sempre esposti con la dovuta chiarezza.
E’ molto importante per il Parlamento fare appello agli Stati membri affermando che non è sufficiente esporre i prezzi per unità di litro o chilogrammo nei grandi supermercati, ma sarebbe invece opportuno introdurre questo metodo di indicazione dei prezzi anche in altri punti vendita. Occorre individuare dei modi per farlo, poiché interessa in particolare i consumatori più vulnerabili. Questo problema ci stava molto a cuore, ed è un bene che il nostro appello sia stato ascoltato.
Il secondo punto che ci preme particolarmente in quanto socialdemocratici è appena stato citato dal collega, onorevole Harbour, e riguarda i formati dei filoni di pane nel Regno Unito. La Commissione, il Consiglio o il Parlamento europeo non hanno mai voluto mettere in discussione i formati di queste confezioni, ma il dibattito nel Regno Unito ha preso vita da sé. Per chiarirlo ai cittadini del Regno Unito era essenziale includere in questa legislazione un opportuno considerando per garantire veramente – e i deputati britannici, in particolare del partito laburista, mi hanno chiesto di sottolinearlo nuovamente – che il pane nel Regno Unito non dovrà cambiare forma, né dimensioni, e continuerà ad essere venduto nei formati ai quali è abituato il pubblico britannico.
Un terzo aspetto in questo contesto riguardava il fatto di garantire che le varie quantità nominali non vengano abolite automaticamente dopo un certo periodo di tempo, ma che la Commissione europea ne valuti prima le conseguenze e le possibilità e consideri, mediante una valutazione d’impatto, se si tratta di una decisione opportuna, quali conseguenze ne potrebbero derivare e in che modo si potrebbe reagire a eventuali perturbazioni del mercato. Il mercato dei detergenti ci offre un esempio di quello che accade in assenza di quantità nominali e potremmo valutare su quel caso quali misure prendere.
Janelly Fourtou, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signora Presidente, Commissario Verheugen, Presidente Lütke Daldrup, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei congratularmi con il relatore e ringraziarlo, perché l’onorevole Toubon ha lavorato in uno spirito di totale collaborazione con tutti i colleghi. In tal senso, siamo sempre stati informati in merito alle sue posizioni e ai progressi compiuti dopo ogni discussione con la Commissione e la Presidenza del Consiglio. L’onorevole Toubon ha sollecitato il nostro parere, fornendoci in tempo utile note chiare e precise che ci hanno consentito di prendere decisioni con piena cognizione di causa.
Al momento della votazione in prima lettura, il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa ha preso posizione contro il mantenimento dei formati di imballaggio, nella misura in cui tali categorie obbligatorie non esistevano nei 27 Stati membri e questi obblighi rischiavano di frenare l’innovazione e la concorrenza limitando la scelta dei consumatori. Il gruppo ALDE si è tuttavia allineato alla posizione comune del Consiglio e sostiene l’idea di periodi transitori per determinate categorie di prodotti.
D’altro canto, il gruppo ALDE non voleva necessariamente che si introducesse una clausola di revisione nel corpo della direttiva, ritenendo sufficiente il riferimento a una clausola di revisione in un considerando. Tuttavia, consapevole del potere di persuasione del relatore, il gruppo ALDE intende sostenerlo su questo punto, così come sosterrà gli emendamenti nel complesso.
Comunque, in margine a questa votazione, vorrei esprimere il mio rammarico per il fatto che nessuna delle Istituzioni ha ripreso l’idea delle tabelle di concordanza, che compariva all’articolo 8 della proposta di base. Conformemente all’accordo interistituzionale “Legiferare meglio”, gli Stati membri, di fatto, sono incoraggiati a definire, per se stessi e nell’interesse della Comunità, le proprie tabelle di concordanza tra le direttive e le misure transitorie e, soprattutto, a renderle pubbliche. Questo punto è particolarmente importante per il gruppo ALDE, che è molto impegnato a migliorare l’informazione ai consumatori e, inoltre, si batte per una migliore informazione dei cittadini europei.
Charlotte Cederschiöld (PPE-DE). – (SV) Signora Presidente, i membri svedesi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei si oppongono a una direttiva sugli imballaggi. Idealmente, vorremmo eliminare l’intera direttiva. Ho fatto del mio meglio per salvare le confezioni di latte svedesi, ridurre la burocrazia e impedire una discussione sullo scippo del latte.
Il relatore, onorevole Toubon, ha negoziato e raggiunto un compromesso con i membri del Parlamento europeo e con il Consiglio. Il compromesso ora appare completamente diverso.
Oggi è il 9 maggio, giornata della pace per l’Europa. Il motto è negoziare, non fare la guerra, e in questo spirito cercherò di fare la mia parte. I negoziati presuppongono un compromesso. Chiunque sia in grado di trovare un compromesso contribuisce allo sviluppo dell’Europa. E’ più difficile dire “sì” al momento giusto che dire “no”. Personalmente, sono a favore del compromesso dell’onorevole Toubon, a prescindere dal fatto che lo siano i miei colleghi svedesi. Questo è il mio modo di celebrare il 9 maggio, mostrando un’ulteriore volontà di trovare un compromesso sulla questione di una direttiva sugli imballaggi, poiché è in questo modo che si costruisce l’Europa moderna, pietra su pietra, compromesso dopo compromesso. Inoltre, vorrei cercare di rendermi utile, quindi intendo approvare la proposta e concluderei dicendo:
(FR) I miei rispetti, onorevole Toubon.
Presidente. – In realtà, onorevole Cederschiöld, l’onorevole Toubon è dietro di lei, sull’altro lato. In ogni caso, la discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani.
18. Industria automobilistica: omologazione di veicoli, rimorchi e sistemi (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura (A6-0145/2007), della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli (direttiva quadro) [09911/3/2006 – C6-0040/2007 – 2003/0153(COD)] (Relatore: onorevole Malcolm Harbour).
Malcolm Harbour (PPE-DE), relatore. – (EN) Signora Presidente, è per me un piacere, questa sera, presentare questa relazione a nome della commissione competente. Rendo omaggio al collega, onorevole Gargani, che si è occupato della relazione in prima lettura, fase in cui il Parlamento ha svolto una considerevole mole di lavoro. Desidero inoltre ringraziare la Commissione e il Consiglio perché, insieme, ci siamo impegnati a fondo su una proposta tecnica estremamente complicata. Nel complesso il documento consta di quasi 400 pagine, e credo sia una delle relazioni più voluminose mai presentata all’Assemblea. In particolare, signor Commissario, ringrazio i suoi collaboratori – il signor Schulte-Braucks e il signor Delneufcourt – cui, a mio avviso, vanno attribuite molte di quelle 400 pagine. Penso che meriti un ringraziamento particolare questa sera.
Questa è una relazione molto importante per il completamento del mercato interno dei veicoli a motore. Nel mercato unico europeo, i principi di regolamentazione tecnica dei veicoli a motore sono stati uno dei primi settori oggetto di armonizzazione, ma abbiamo dovuto aspettare sino a questo momento per disporre di un quadro veramente completo sull’omologazione di tutte le categorie di veicoli a motore, dei rimorchi, della componentistica e dei principali componenti. Pertanto, nel giorno della festa dell’Europa, credo che questo sia un ragguardevole risultato. Ciò, ovviamente, significa che potremo usufruire di migliori standard ambientali e di sicurezza per i veicoli, di un’omologazione delle prestazioni coerente e indipendente e di effettive condizioni di equità, di cui parlano spesso le imprese. In questo caso, siamo riusciti a raggiungere tale equità. In particolare, il fatto che piccoli e grandi costruttori riescano a ottenere l’omologazione dei propri veicoli in base a un regolamento europeo da un’autorità di omologazione nazionale e possano venderli su tutti i mercati dell’Unione europea costituisce, a mio avviso, un grande passo avanti.
In seconda lettura è stato presentato un numero straordinariamente elevato di emendamenti su cui voteremo domani, che riflettono il grande lavoro e gli ulteriori miglioramenti da noi apportati. Questa sera desidero solo soffermarmi su alcuni punti. Inoltre, sono particolarmente grato al Consiglio e sono lieto che interverrà anche il Presidente Daldrup: è la dimostrazione, a mio avviso, dell’importanza che il Consiglio attribuisce a questo fascicolo di grande interesse.
Innanzi tutto, abbiamo discusso per definire alcuni punti riguardanti l’omologazione degli autobus e le relative tempistiche. Il settore degli autobus è importante, perché questa direttiva rimanda alla direttiva relativa agli autobus cui molti di noi hanno contribuito. In tal modo si introducono considerevoli miglioramenti in materia di sicurezza, risolvendo importanti problemi come l’accesso dei disabili a tutti i tipi di autobus. In pratica questo, sarà considerato l’unico quadro di omologazione per gli autobus in tutta l’Unione europea.
Il secondo aspetto, un nuovo elemento della direttiva aggiunto tra la prima e la seconda lettura, riguarda la prescrizione di applicare un nuovo programma di omologazione per i ricambi, che incide sui sistemi ambientali e di sicurezza dei veicoli. E’ importante essere dotati di un processo di omologazione per questi tipi di componenti onde garantire un’efficace tutela del consumatore che al tempo stesso, però, richiede il coinvolgimento di molte piccole e medie imprese. Per tale motivo, in collaborazione con le altre Istituzioni, ho fatto il possibile per dotarci di una procedura molto efficace, sia per individuare queste componenti che per garantire il coinvolgimento dei produttori, oltre che per mettere a punto le nuove norme per i test richiesti in sede di omologazione. In virtù di tutto questo i produttori di tali componenti, in particolare chi si occupa di messa a punto e altre aziende, possono ovviamente avere accesso al mercato unico con un’unica omologazione. Penso sia un grande vantaggio che saranno lieti di avere.
Un altro aspetto che abbiamo esaminato è stata la procedura di omologazione per i veicoli in piccole serie. L’onorevole Gargani ha chiesto un innalzamento del limite per i veicoli con volume ridotto e si è raggiunto un compromesso per prevedere l’omologazione semplificata fino a mille veicoli: un grande vantaggio i produttori seri minori. Inoltre, abbiamo rilevato l’esistenza di un’importante categoria di veicoli per gli utenti disabili – “i veicoli con accesso per sedie a rotelle” –, ovverosia veicoli cui è stato modificato il volume di serie per consentire l’accesso a passeggeri con sedia a rotelle. Con il sostegno di Commissione e Consiglio, propongo la creazione di una nuova categoria per questo tipo di veicoli. I loro produttori, che crescono per importanza, sono molto felici di essere riconosciuti come tali e sono convinti che ciò farà crescere l’attenzione verso le esigenze degli utenti disabili, la robustezza e le finiture delle sedie a rotelle e così via. Domani avremo uno di questi veicoli qui, a Bruxelles, per mostrarvi cosa abbiamo fatto.
Per concludere, si tratta di un importantissimo passo avanti per il mercato unico. E’ stato un privilegio occuparmene a nome del Parlamento e mi affido all’Assemblea, domani, affinché voti a favore.
Engelbert Lütke Daldrup, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, onorevoli deputati, domani voterete su una nuova e importante direttiva relativa all’omologazione delle automobili, degli autocarri, degli autobus e dei loro rimorchi. La Presidenza tedesca è lieta di essere riuscita a giungere a un accordo di primaria importanza con il Parlamento europeo sulle questioni ancora irrisolte.
La ringraziamo di cuore, onorevole Harbour, insieme ai suoi colleghi, per l’utile e costruttiva collaborazione. Questo è un passo importante verso una migliore sicurezza stradale e dei veicoli all’interno della Comunità, e verso la creazione del mercato interno dei veicoli a motore. La nuova direttiva estende l’omologazione europea, sinora prevista solo per le autovetture, agli autocarri, agli autobus e ai loro rimorchi. I costruttori di questi veicoli, in futuro, potranno quindi usufruire dei vantaggi dell’omologazione europea. Al tempo stesso la direttiva dispone che, prossimamente, tutti i nuovi veicoli dell’Unione europea dovranno ottemperare alle stesse norme severe in materia di sicurezza. La nuova direttiva, pertanto, andrà a vantaggio non solo dell’industria automobilistica europea, ma anche dei cittadini di tutta la Comunità.
Contiamo sul vostro sostegno nel voto di domani, dopo il quale adotteremo la direttiva durante uno dei prossimi incontri del Consiglio per farla entrare in vigore al più presto possibile.
Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, porgo le più sincere congratulazioni all’onorevole Harbour per la sua relazione e lo ringrazio del lavoro svolto, che ha portato a un risultato veramente eccellente.
Questa proposta di direttiva consta di un intero pacchetto di misure volte a velocizzare il collocamento dei veicoli sul mercato degli Stati membri. Come il rappresentante della Presidenza tedesca ha appena sottolineato, ciò indubbiamente porterà grandissimi vantaggi a costruttori, spedizionieri e utenti.
Trasformare il mercato interno in una realtà è, indubbiamente, uno dei più grandi successi della politica europea. Tuttavia, se parliamo di veicoli commerciali, sinora i costruttori hanno atteso invano la piena apertura dei confini.
Dal 1996 in poi, la direttiva sull’omologazione dei veicoli a motore è stata lo strumento giuridico più importante della Comunità europea per la creazione del mercato interno nel settore automobilistico. In quel momento si è garantito l’accesso al mercato interno a tutte le classi di veicoli. Uniche eccezioni erano i veicoli commerciali, cioè autobus, autocarri e i loro rimorchi, pur trattandosi di un settore di enorme importanza economica. Nel solo 2006, nella Comunità è stata concessa la licenza a due milioni di nuovi furgoni e a oltre duecentocinquantamila nuovi autocarri di peso superiore alle 16 tonnellate, la grande maggioranza dei quali costruiti nell’Unione europea. Nel 2007, attenendosi ai dati disponibili per il primo trimestre, queste cifre verranno superate.
La nuova direttiva quadro cerca, innanzi tutto, di estendere a tutti i veicoli il principio di una procedura di omologazione comunitaria standard. Inoltre, i costruttori del settore automobilistico non dovranno più costruire veicoli conformi alle norme dei singoli Stati membri per avere il permesso di venderli. Saranno applicate, invece, specifiche tecniche comuni, che porteranno alla nascita di economie di scala ed eviteranno procedure amministrative ormai superate. Anche le imprese di autotrasporti ne beneficeranno così come, in definitiva, i consumatori.
Altro punto essenziale della direttiva è che i nuovi veicoli dovranno conformarsi a tutta una serie di direttive sull’armonizzazione tecnica in materia di sicurezza dei veicoli. Proprio in un periodo in cui i veicoli commerciali non godono di buona reputazione tra l’opinione pubblica, questo sarà un contributo decisivo per il miglioramento della sicurezza stradale in tutta l’Unione europea.
Ovviamente non sono state dimenticate le piccole e medie imprese: anche loro avranno accesso più facile al mercato interno. I costruttori di veicoli per uso speciale o di veicoli in piccole serie e i carrozzieri, che solitamente lavorano per conto di società di trasporto, si avvarranno di procedure semplificate che non richiedono un’eccessiva burocrazia.
Sono pienamente d’accordo con l’osservazione dell’onorevole Harbour riguardo alle società che modificano i veicoli per soddisfare le esigenze degli utenti disabili. E’ stato molto importante trovare, insieme, un modo per risolvere il problema. Sono lieto che le raccomandazioni avanzate dal gruppo ad alto livello CARS 21, istituto su mia iniziativa, siano state integrate tali e quali in questa proposta di direttiva. CARS 21 ci ha permesso di definire il quadro legislativo su cui ci baseremo nel mettere a punto i futuri regolamenti tecnici.
Occorre sollevare un altro punto determinante al riguardo. I regolamenti internazionali assumono sempre più importanza: mi riferisco ai regolamenti in corso di stesura presso la commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite. Un altro fattore è che, per molti versi, stiamo abolendo il vecchio diritto comunitario, consentendo ai costruttori stessi di presentare i risultati sulle prove effettuate per ottenere l’omologazione.
Riguardo al problema esistente tra il regime linguistico comunitario e il riferimento diretto a norme e regolamenti internazionali, comunico che la Commissione approva l’emendamento n. 25 poiché è convinta che, in questo specifico settore industriale, il riferimento corretto e aggiornato a tali norme possa aumentare la competitività in maniera considerevole, sia a livello globale che nel territorio dell’UE. Il settore automobilistico è un’attività economica globale che pertanto, più di altri settori, necessita urgentemente di norme internazionali.
La Commissione sostiene gli emendamenti in vista di un accordo in seconda lettura ed è convinta che questa proposta rappresenti una risposta equilibrata agli interessi dell’industria, delle società di autotrasporti e dei consumatori, nonché alle esigenze degli Stati membri.
Anja Weisgerber, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signora Presidente, anch’io desidero innanzi tutto ringraziare il relatore, onorevole Harbour, per il serio ed eccellente lavoro svolto su questo dossier. Appoggio pienamente il compromesso negoziato con la Presidenza.
Vorrei commentare brevemente solo un punto, da noi già preso in considerazione nel dibattito sull’Euro 5 e che per me è particolarmente importante, ovverosia l’accesso alle informazioni sulle riparazioni dei veicoli per le autofficine indipendenti. L’accesso a tali informazioni è di cruciale importanza per i cittadini europei. Chiunque vada in vacanza, viaggiando in Europa con la propria automobile, può avere un guasto all’estero. Spesso, però, la più vicina autofficina autorizzata è lontana centinaia di miglia. Per questo occorre garantire che anche le autorimesse libere e indipendenti siano in grado di riparare un veicolo a motore. Inoltre tutti gli automobilisti dovrebbero potere scegliere, nel proprio paese, l’autofficina in cui far riparare il proprio veicolo. Questa concorrenza, indubbiamente, andrà a vantaggio del consumatore, e la renderemo possibile con le nuove norme.
A tal fine abbiamo incluso una disposizione esplicita nella nuova direttiva quadro di omologazione, in base alla quale i produttori di veicoli devono rendere tutte le informazioni necessarie facilmente accessibili agli operatori indipendenti, al fine di garantire la riparazione e la manutenzione di un autoveicolo. La disposizione è coerente con i contenuti del regolamento Euro 5, da noi adottato lo scorso anno in prima lettura. Il nostro obiettivo è garantire l’accesso alle informazioni sulle riparazioni alle autorimesse indipendenti: ciò deve essere garantito da Euro 5 per un periodo transitorio ma, alla fine, dovrà essere previsto nella direttiva quadro sull’omologazione.
Infine, vorrei nuovamente rivolgere un appello al Commissario Verheugen per garantire, nei negoziati sulle misure di attuazione tecnica, il rispetto della volontà politica di Parlamento e Consiglio, perché le disposizioni sull’accesso alle informazioni sulle riparazioni devono anche funzionare nella pratica.
Evelyne Gebhardt, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, Commissario Verheugen, anch’io sono lieta di avere raggiunto un accordo tra le tre Istituzioni dell’Unione europea in seconda lettura, così domani potremo votare e poi applicare queste disposizioni molto rapidamente.
Per il gruppo socialista al Parlamento europeo tre punti rivestivano particolare importanza. Il primo è che siamo riusciti a concordare, nell’articolo 31, il mantenimento di una forte tutela del consumatore nelle procedure di omologazione per i componenti o le apparecchiature che comportano un rischio significativo per il corretto funzionamento dei sistemi.
In secondo luogo, il testo adottato nella commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori chiarisce nell’insieme le disposizioni tecniche amministrative sull’omologazione estendendole, a livello comunitario, a tutti gli autoveicoli, compresi gli autobus e i veicoli commerciali. Con l’attuazione di queste disposizioni riusciremo a contribuire in maniera significativa al miglioramento della sicurezza stradale.
Infine, sottolineo in particolare che le disposizioni sull’adeguamento dei veicoli alle specifiche esigenze delle persone disabili sono state oggetto – per molti versi grazie al relatore – di notevoli miglioramenti. In tal senso, mi riferisco soprattutto alle persone in sedia a rotelle. Abbiamo fatto grandi progressi in materia, dando in tal modo all’opinione pubblica un’immagine positiva di un’Europa che pone i problemi dei cittadini e l’opinione pubblica al centro del proprio operato.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani.
19. Corno d’Africa: partenariato politico regionale dell’UE per la pace, la sicurezza e lo sviluppo (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0146/2007), presentata dall’onorevole Filip Kaczmarek a nome della commissione per lo sviluppo, sul Corno d’Africa: un partenariato politico regionale dell’UE per la pace, la sicurezza e lo sviluppo [2006/2291(INI)].
Filip Kaczmarek (PPE-DE), relatore. – (PL) Signora Presidente, la presente relazione sulla strategia dell’Unione europea in Africa e sul partenariato politico dell’UE nel Corno d’Africa costituiranno la risposta del Parlamento europeo alla comunicazione della Commissione dello scorso novembre. Lo scopo di detta comunicazione era la creazione di un partenariato politico regionale nella penisola somala, fondato su un approccio a vasto raggio finalizzato ad evitare un conflitto nella regione. Tale approccio si basa sul presupposto che senza una pace duratura non può esserci sviluppo e senza sviluppo non può esserci pace duratura.
Due ragioni ci hanno spinto a scegliere questa regione come area di prova per la strategia comunitaria regionale in Africa. La prima è dovuta all’importanza strategica di questa regione per l’UE e la seconda alla complessità politica dei tre conflitti principali in atto nella regione, che sono interconnessi. Si pensi ad esempio alle ostilità in Sudan, Etiopia, Eritrea e Somalia, aree in cui un approccio regionale costituisce forse l’unico modo per risolvere i conflitti. In altre parole, non si può risolvere nulla senza che prima si siano risolte tutte le situazioni nel complesso.
La strategia proposta dalla Commissione si basa su un approccio ad ampio raggio, teso ad evitare conflitti nel Corno d’Africa e a combattere le cause più insite nell’instabilità a breve e medio termine, a livello nazionale e regionale, instaurando così una più stretta collaborazione regionale. Viene da domandarsi, tuttavia, se sia possibile realizzare tutto questo in una regione che vede cinque stati su sette in conflitto con i loro vicini e dove ogni conflitto ne genera un altro, in una regione che presenta un unico paese che è stato in grado di funzionare normalmente negli ultimi 15 anni e in cui una percentuale estremamente alta di popolazione vive in condizioni di povertà. Mi chiedo pertanto: la collaborazione attraverso il partenariato regionale è la cura a tutti i mali derivanti da simili problemi complessi e fra loro interconnessi? Ritengo fermamente che valga la pena provare e che, nonostante certe lacune nella comunicazione della Commissione, alcune difficili da evitare e sulle quali si sofferma la relazione (un esempio è dato dal crescente impegno degli europarlamentari e degli africani stessi nella stesura di una strategia comune), dovremmo concordare sui quattro pilastri fondamentali di questa strategia, che mostrano quanto lo sviluppo sostenibile sia strettamente legato ad una situazione di pace, e viceversa che senza un’effettiva partecipazione da parte delle istituzioni regionali africane non vi sarà una pace duratura, che la prospettiva regionale – o meglio, l’intesa regionale – è necessaria per la risoluzione di conflitti locali specifici, e che le iniziative di integrazione regionale avranno successo se incentrate sulle sfide comuni da affrontare piuttosto che sull’elenco dei conflitti esistenti attualmente sul territorio. L’integrazione regionale dovrà dedicarsi a questioni come le risorse idriche, la desertificazione, la sicurezza alimentare, e non soltanto alle divisioni etniche e alle ostilità. L’Unione europea svolge inoltre un ruolo chiave, giacché importa il proprio modello di integrazione, vagliato e verificato, che ha condotto efficacemente alla pace duratura e che ritengo sia particolarmente importante nell’ambito dell’attuale cinquantesimo anniversario dell’UE.
Sono chiaramente consapevole del fatto che la comunicazione della Commissione e la presente relazione del Parlamento europeo rappresentano soltanto l’inizio del processo e che lo scopo ultimo è lo sviluppo di una strategia regionale a favore della regione. Occorre ricordare che alcuni specifici Stati membri stanno portando avanti le proprie attività nel Corno d’Africa; la relazione è pertanto diretta non soltanto alla Commissione europea, ma anche agli Stati membri.
Lo scopo del documento è arricchire le idee contenute nella comunicazione della Commissione, e a questo proposito vorrei spendere alcune parole per sottolineare quanto sia importante evitare idee utopistiche ed istituzioni raffazzonate. Ritengo che dovremmo basarci su iniziative esistenti e su idee sperimentate. Occorre nominare un rappresentante speciale dell’Unione europea per il Corno d’Africa, al fine di affrontare le maggiori questioni che emergono dalla relazione. Questo contribuirà ad evitare una duplicazione, permetterà di eseguire un’analisi più approfondita e di raggiungere gli obiettivi politici fissati nei singoli paesi. Dobbiamo avvalerci totalmente del dialogo, basandoci sull’articolo 8 contenuto nel Memorandum dell’accordo di Cotonou, sulla cooperazione tra il Parlamento e la Commissione per la creazione di una strategia comune, con la partecipazione dell’Africa, e sulla ricerca di soluzioni per l’Africa e per il rafforzamento delle organizzazioni africane.
Vorrei inoltre ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a questa relazione: i deputati della commissione per lo sviluppo, il Segretariato della commissione per lo sviluppo, il relatore ombra, la Presidenza tedesca, gli esperti e le organizzazioni non governative con le quali siamo stati costantemente in contatto.
Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, l’onorevole Kaczmarek, nella sua relazione, condivide ampiamente l’analisi della Commissione sulla necessità di un approccio regionale globale. Le idee proposte dall’onorevole Kaczmarek circa la strada da seguire coincidono con la maggior parte delle priorità proposte dalla Commissione, specialmente in materia di cooperazione funzionale e regionale.
Dal nostro punto di vista, non è possibile risolvere né prevenire i conflitti nel Corno d’Africa se non attraverso un’azione condotta su due livelli. Il primo livello si fonda sulla classica via della mediazione e dell’azione diplomatica. L’attuale situazione del Corno esige abbastanza chiaramente un intervento molto più vigoroso e, aggiungerei, di gran lunga più unanime, da parte di tutta la comunità internazionale. Il secondo livello prevede un’azione strutturante di prevenzione dei conflitti a medio termine. Lo scopo consiste nel risolvere alla radice le problematiche che colpiscono i paesi della regione, rivolgendo l’attenzione ai problemi comuni di sviluppo, che hanno anche un impatto in termini di sicurezza e stabilità.
Questa seconda via, proposta nella strategia regionale per il Corno d’Africa, è stata presentata dalla Commissione nella sua comunicazione dell’ottobre 2006. Vorrei chiarire che lo scopo principale di questo documento è fornire un quadro politico che riconosca la natura delle sfide che la regione del Corno presenta, rilevando le principali strade percorribili per un intervento comunitario.
La comunicazione identifica tre priorità d’intervento: in primo luogo, l’azione relativa alle problematiche nazionali aventi ramificazioni a livello regionale; in secondo luogo, quella relativa ai problemi regionali e trasversali, che costituiscono la fonte di conflitti e di instabilità; infine, l’azione mirata a favorire l’integrazione regionale. Come già evidenziato dal relatore, è importante che esista una vera e propria ownership, che i paesi del Corno si approprino politicamente di questa strategia, ma che questo non si limiti ad una parte della regione, bensì investa anche il contesto europeo. Per questo motivo, occorre dare il giusto valore all’impegno del Parlamento europeo in questo senso, come anche alla relazione presentata dall’onorevole Kaczmarek.
Dopo la presentazione della comunicazione da parte della Commissione lo scorso mese di ottobre, ho seguito con particolare interesse i dibattiti parlamentari sulla strategia regionale del Corno, partecipando inoltre personalmente, lo scorso febbraio, al dibattito in seno alla commissione per lo sviluppo. Da ottobre si sono inoltre susseguite discussioni positive anche nell’ambito dei gruppi di lavoro del Consiglio.
In realtà, intendiamo creare un processo progressivo, e non imporlo. L’importante è che lo si avvii ora, con il sostegno dei capi di Stato o di governo della regione. Il 23 aprile, la Commissione aveva già organizzato una conferenza con i rappresentanti personali dei capi di Stato e di governo e questo incontro si è rivelato molto positivo e promettente.
Il risoluto processo di concertazione di vasta portata di cui stiamo parlando ci permette di entrare nella fase di attuazione con un atteggiamento di fiducia ed in bell’ordine. Siamo dunque sulla buona strada. La relazione che approverete domani costituirà un sostegno molto importante e, naturalmente, una fonte di ispirazione ed orientamento nel dialogo che sarà condotto nel corso dei prossimi mesi.
Vorrei precisare che la programmazione regionale del decimo Fondo europeo di sviluppo del Corno sarà naturalmente determinata, in gran parte, dai risultati di questo processo, teso ad identificare le azioni prioritarie. Ricordo inoltre che la strategia per il Corno proposta dalla Commissione non mira a soppiantare le strategie sviluppate nel quadro del decimo Fondo europeo di sviluppo, ma intende in un certo modo completarle. Analogamente, come ho già sottolineato all’inizio del mio intervento, la strategia non sostituirà l’azione parallela necessaria alla risoluzione delle crisi e dei conflitti, da proseguirsi a livello politico e diplomatico.
Sottoscrivo dunque pienamente le raccomandazioni sulla gestione e il rafforzamento del dialogo politico, contenute nella relazione. Vi sono due punti del documento che mi sembrano ugualmente molto importanti, ma che trascendono dal quadro regionale del Corno e dalla strategia proposta: la strategia comune UE-Africa e l’architettura di pace e sicurezza in Africa.
Potrei esprimermi anche su questi due punti e dedicarmi altresì ad altri soggetti relativi al Corno d’Africa e alle azioni che potremmo intraprendervi, ma il tempo di parola non me lo consente. Avrò tuttavia l’occasione di tornare presto sull’argomento, quando risponderò alle vostre osservazioni.
Glenys Kinnock, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signora Presidente, ringrazio l’onorevole Kaczmarek e il Commissario per quanto ha detto sulla relazione.
Non si sa da dove iniziare quando si parla del Corno d’Africa, poiché di fronte ai nostri occhi si presenta un cocktail letale di conflitti e povertà, dove a stento esiste il principio di legalità, dove non vi è democrazia e non si rispettano i diritti umani e dove cinque Stati della regione su sette si trovano in conflitto con i loro vicini. Per questo, come ha affermato il relatore, non può esserci alcuna sicurezza reale, né può nascere alcuno sviluppo se non vi è pace. Costruzione della pace, prevenzione e risoluzione dei conflitti rappresentano le questioni chiave. Questi sono gli elementi centrali della relazione.
E’ molto importante rilevare che, come il Commissario ben sa, in altre regioni dell’Africa, per esempio in Africa occidentale – sono stata di recente in Costa d’Avorio – e nella regione dei Grandi Laghi, la pace sta iniziando a diffondersi. Tuttavia, il Corno d’Africa spicca come l’unica regione nella quale non siamo stati in grado di gestire e prevenire i conflitti. Certamente l’idea di un inviato o altri suggerimenti sarebbero davvero molto graditi.
Abbiamo di fronte a noi i peggiori esempi di conflitto. Nel Darfur, stando alle informazioni riportate dalle Nazioni Unite, sono morte circa 200 000 persone e due milioni sono espatriate, dall’inizio del conflitto nel 2003. Il governo sudanese continua ad ignorare gli sforzi di mediazione, compresi quelli del Segretario generale delle Nazioni Unite. Le controversie frontaliere tra Eritrea ed Etiopia restano irrisolte. Il governo etiope continua ad infrangere il diritto internazionale in materia. I leader eritrei ed etiopi rifiutano di concedere alla popolazione il diritto di scegliere il proprio governo, contravvenendo inoltre al rispetto delle elezioni, come avvenuto in Etiopia. Stiamo attualmente assistendo a forti lotte in Somalia, dove circa un migliaio di persone sono morte e dove le truppe etiopi si sono mostrate molto attive nella lotta, in nome del governo di transizione somalo, ma naturalmente – come tutti dobbiamo riconoscere – con la velata assistenza degli Stati Uniti. Gli eritrei, intanto, appoggiano le milizie islamiche.
Ho scritto a tale proposito al Commissario. Vorrei chiedergli ancora una volta come sia stato possibile fornire un simile supporto al governo di transizione somalo e per quale ragione non stiamo seriamente indagando sul sanguinoso processo che apparentemente continuiamo in molti modi ad appoggiare. In Somalia si sta profilando una catastrofe umanitaria e noi ancora persistiamo a non ritenere responsabili delle proprie azioni coloro che si trovano al governo di transizione. Per quale motivo, signor Commissario, non facciamo domande al riguardo? E’ forse opportunismo a livello politico? Perché gli etiopi non abbandonano il paese? Per quale motivo non può essere stabilita la sicurezza? Per quale ragione in questi luoghi non esiste una condivisione autentica del potere e l’Unione europea insiste che i moderati nei tribunali islamici debbano essere coinvolti in qualsiasi soluzione possibile per la Somalia?
Infine, vorrei chiedere se l’UE fa sul serio riguardo alla creazione di uno Stato nel Corno d’Africa o se stiamo concentrando la nostra attenzione su altre priorità. Posso suggerire che tra le altre priorità nel Corno d’Africa vi è la cosiddetta guerra al terrorismo?
Danutė Budreikaitė, a nome del gruppo ALDE. – (LT) Nella comunicazione “Strategia per l’Africa: partenariato politico regionale per la pace, la sicurezza e lo sviluppo nel Corno d’Africa”, adottata nel 2006, la Commissione dimostra di non essere in grado di trovare soluzioni per i problemi del Corno d’Africa, laddove afferma che senza una pace a lungo termine non ci sarà sviluppo e senza sviluppo non ci sarà pace duratura. Si tratta di un circolo vizioso, di due condizioni che dovrebbero verificarsi immediatamente. Come possiamo constatare, in realtà, non è plausibile. Nel Corno d’Africa, la strategia africana e gli articoli 8 e 11 dell’accordo di Cotonou non stanno dando i risultati sperati. L’instabilità regionale e i conflitti militari, che coinvolgono più di un paese, in particolare la situazione drammatica nel Darfur, mostrano la necessità di uno speciale modello di gestione della crisi per il Corno d’Africa, che preveda l’eliminazione dei punti a maggior rischio di conflitto militare e la creazione di una vita pacifica a livello economico, sociale e politico.
L’UE fornisce più del 55 per cento degli aiuti umanitari di cooperazione allo sviluppo nel mondo. Considerando le attività militari presenti nel Corno d’Africa, non è propriamente possibile verificare il tipo di aiuti umanitari necessari, né il momento appropriato per iniziare ad inviarli o sospenderli, né quando sarà possibile procedere con il conseguimento dei veri obiettivi della politica di cooperazione allo sviluppo, più precisamente gli Obiettivi di sviluppo del Millennio e la riduzione della povertà nei paesi del Corno d’Africa. Vorrei sottolineare che l’UE è chiamata a coordinare il proprio sostegno e le azioni intraprese nel Corno d’Africa insieme ad altri paesi, quali per esempio la Cina, l’India e gli Stati Uniti, che hanno interessi economici negli Stati del Corno d’Africa. Se ciò non avvenisse, non si verificherebbe alcun progresso reale nella creazione delle condizioni di pace e sicurezza in questa regione. Questi paesi, come gli Stati Uniti e altre organizzazioni, insieme all’UE, devono costituire un modello speciale di gestione della crisi per il Corno d’Africa.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signora Presidente, prima di tutto vorrei congratularmi con l’onorevole Kaczmarek per l’elaborazione di questa relazione. Si tratta di un documento abbastanza difficile ed importante, relativo ad un’area in cui l’Unione europea non si è ancora fatta conoscere molto. Sto parlando della penisola somala, i cui Stati sono in costante conflitto e nel cui territorio risulta difficile parlare di Stato di diritto, istituzioni democratiche o diritti umani. E’ una delle regioni meno sviluppate di tutto il mondo.
Al momento presente, l’aspetto più importante è che l’Unione europea costruisca istituzioni che garantiscano la fine dei conflitti armati nella penisola, tutelando un minimo di rispetto dei diritti umani e governando sulla base dello Stato di diritto.
Signora Presidente, vorrei richiamare l’attenzione di tutti i presenti sulle grandi tradizioni politiche, quelle imponenti tradizioni del modello di sviluppo successivo alla Seconda guerra mondiale, che hanno accompagnato la lotta al colonialismo portata avanti dai paesi dell’Europa e dagli Stati Uniti, per stabilire nuovi Stati e democrazie nelle zone che avevano precedentemente subito la colonizzazione. Forse argomenti come la costituzione di una nazione, la creazione di istituzioni nazionali e governi forti, capaci di garantire lo Stato di diritto, costituiscono la risposta implicita che l’Unione europea dovrebbe dare.
Concordo pienamente sul contenuto delle proposte avanzate dall’onorevole Kaczmarek, particolarmente sulla nomina di un rappresentante speciale dell’Unione europea per la penisola somala e per l’assistenza ai paesi africani, al fine di contribuire alla creazione di istituzioni regionali di cooperazione.
Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signora Presidente, onorevoli parlamentari, risponderò brevemente, anche se alla questione andrebbe senza dubbio dedicato un ampio dibattito.
Pur condividendo, naturalmente, le analisi e i giudizi che ho potuto ascoltare rispetto alle credenziali democratiche di un certo numero di paesi del Corno d’Africa, sono un po’ più cauto per quanto riguarda il coinvolgimento della Commissione e dell’Unione europea.
Oggi, se c’è una regione per la quale la Commissione si sta impegnando al massimo, è proprio il Corno d’Africa, ed è senza dubbio a tale area che io dedico la maggior parte del tempo. L’onorevole Kinnock parlava certamente dell’Etiopia, e lo faceva a buon diritto, poiché con questo paese abbiamo un problema di diritto internazionale. Un problema che non manco di esporre al Primo Ministro del paese ogni volta che, nel corso del mio lavoro, mi trovo ad avere contatti con lui, e sul quale, in verità, sto lavorando praticamente ogni giorno. Trasmetto i messaggi che occorre trasmettere, in particolare per quanto riguarda i prigionieri politici. Sono inoltre a conoscenza dei grandi sforzi compiuti per portare avanti la questione.
Tornando alla Somalia, resto senza parole di fronte al fatto che si dirà che non abbiamo reagito in alcun modo di fronte al governo di transizione. A tale proposito, vorrei ricordare che sono stato letteralmente obbligato a mettere a disposizione 15 milioni di euro per la forza di stabilizzazione ugandese in Somalia, praticamente senza condizioni, nonostante mi fossi dichiarato del tutto contrario, qualora non fosse stato inserito il principio di inclusività fin dall’inizio. Dopo aver reso chiara la nostra posizione, il Presidente Youssouf ci ha promesso che avrebbe organizzato un congresso nazionale di riconciliazione. Lo stiamo ancora aspettando. Dunque, considerato che un simile dibattito è una sede adeguata a questo scopo, devo dirvi che se in Somalia le cose non stanno andando bene o non stanno procedendo a un ritmo regolare, questo dipende da due motivi essenziali.
Il primo è che il conflitto somalo e la questione della Somalia non vengono considerati nel contesto di tutto il Corno d’Africa e che la Somalia, in diversi casi, è divenuta il campo di battaglia di conflitti tra popoli al di fuori di essa. Questa è la verità. La differenza tra Etiopia ed Eritrea tocca la questione somala.
L’impossibilità di procedere e di trovare soluzioni dipende anche da una seconda ragione, in merito alla quale, del resto, l’onorevole Kinnock ha portato alcuni esempi. Nella comunità internazionale ci sono due punti di vista. Nonostante si cerchi di far sembrare che ce ne sia uno solo, di fatto ne esistono due. Il primo è proprio più che altro dell’Unione europea, e il secondo è il punto di vista degli Stati Uniti. Ogni volta che uno dei grandi attori della comunità internazionale sceglie, sulla base di una preferenza, quella che potremmo definire una strategia di partenariato privilegiato con un altro attore, e quando siamo invitati dai nostri stessi Stati membri a stabilire una concordanza esatta con gli altri partner internazionali – come qualcuno ha già fatto –, ci troviamo, in parecchi casi, a seguire qualcuno e, pertanto, direi, non siamo nella posizione di agire in modo veramente autonomo sulla base della nostra visione delle cose né affidandoci al nostro giudizio. Questa è la verità. Non tollererò ancora questa situazione, perché è davvero troppo facile affermare: “Non state facendo abbastanza, occorre assicurare il coordinamento con il nostro partner, vale a dire con gli Stati Uniti”. Io non critico gli Stati Uniti – che hanno il diritto di avere una propria strategia –, ma ritengo fermamente che se l’Unione europea fosse in grado di procedere, ogni tanto, secondo una strategia autonoma e sulla base di una maggiore indipendenza per quanto concerne simili questioni, il nostro lavoro sarebbe senza alcun dubbio più efficace.
Questo è ciò che volevo dirvi. Potrei ancora aggiungere, forse, che tutto il lavoro che ho svolto negli ultimi mesi, più specificamente per quanto riguarda il dialogo politico, è stato essenzialmente dedicato al Corno d’Africa. Se mi trovo a presentare questa strategia – per mezzo di una relazione che la applica e che trovo in ogni caso eccellente –, è proprio perché ritengo che l’Unione europea non possa astenersi dal prendere l’iniziativa in questo caso e perché credo che, trattandosi di una situazione così complessa e difficile, occorre innanzitutto provare a riunire tutti gli interessati attorno al tavolo dei negoziati, al fine di risolvere i problemi che hanno in comune e di trovare soluzioni comuni; tutto questo allo scopo di porli in una prospettiva di dialogo, che vada ben al di là della discussione senza fine sui conflitti di ciascuno. In altre parole, dobbiamo aprire una prospettiva sulla questione delle infrastrutture, della sicurezza alimentare, della siccità, del pastoralismo, dell’acqua e su tutti quei problemi di interesse comune. In questo modo, forse, avremo una possibilità di ottenere qualcosa sulle questioni politiche.
Questo è il mio punto di vista, signora Presidente. E’ vero che occorre coordinare le nostre azioni con gli altri principali attori chiamati a decidere. Lo credo sinceramente, ma penso anche che occorra, qualche volta, avere una posizione propria per questioni come quella della Somalia. Ritengo che se avessimo potuto portare le nostre idee fino in fondo, alla loro logica conseguenza, e avessimo potuto dire: “Non daremo più un soldo per questa stabilizzazione finché il congresso di riconciliazione nazionale non sarà pronto ed avviato “, ci saremmo trovati in una posizione molto più forte.
Vorrei inoltre segnalare – e con questo concludo – che ho inviato anche una lettera, dai termini forti e precisi, al Presidente Youssouf per ricordargli gli impegni presi per quanto riguarda l’inclusività nella risoluzione di questo conflitto.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, giovedì.
20. Valutazione dell’Euratom - 50 anni di politica nucleare europea (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0129/2007), presentata dall’onorevole Eugenijus Maldeikis a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, sulla valutazione dell’Euratom – 50 anni di politica nucleare europea [2006/2230(INI)].
C’è un significato simbolico nel fatto che discutiamo di questo tema proprio oggi, nella festa dell’Europa.
Eugenijus Maldeikis (UEN), relatore. – (LT) Di fatto oggi celebriamo il cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma – la festa dell’Europa – con grande rispetto e solennità. Il mio unico rammarico è che il cinquantesimo anniversario di uno dei principali Trattati europei – EURATOM – passi quasi inosservato, benché tale Trattato abbia apportato un importante contributo allo sviluppo delle risorse energetiche europee.
L’Unione europea è divenuta il leader mondiale nel campo dell’industria nucleare e uno dei principali attori della ricerca nucleare nel settore della fissione e della fusione termonucleari controllate. Alla fine del 2006, secondo i dati a nostra disposizione, nell’Unione europea erano attivi 152 reattori nucleari e il settore dell’industria nucleare produceva il 32 per cento della nostra energia elettrica. L’energia nucleare è una delle forme più competitive di energia.
Vorrei spendere alcune parole sui principali traguardi raggiunti da EURATOM. Innanzi tutto, vorrei dire che il primo programma di ricerca scientifica a essere stato creato sulla base del Trattato EURATOM si è successivamente evoluto in una serie di programmi di ricerca scientifica e ha gettato le basi della creazione del Centro comune di ricerca. Sulla base del Capitolo III del Trattato EURATOM sulla protezione sanitaria, l’Unione europea ha elaborato una legislazione volta a garantire che le norme fondamentali in materia di protezione dei lavoratori e del pubblico vengano applicate e ampliate fino a comprendere l’ambiente. Un altro capitolo al quale si deve un’importante conquista nell’attuazione del Trattato EURATOM è il Capitolo VII, sui controlli di sicurezza. Questo è stato uno dei maggiori successi del Trattato, che ha permesso alla Commissione e ai cittadini di venire a conoscenza degli stock e dei flussi di materiale nucleare e all’Unione europea di controllare questo delicato segmento del mercato. Si sono ottenuti diversi risultati nel campo delle relazioni esterne da quando EURATOM ha aderito a molte convenzioni internazionali, tra cui la Convenzione sulla sicurezza nucleare. Vorrei precisare che EURATOM partecipa attivamente a progetti congiunti nell’ambito di programmi internazionali di ricerca scientifica e con singoli paesi che sono all’avanguardia mondiale nel settore.
E’ inoltre necessario rilevare che, in questo periodo, i paesi fondatori di EURATOM hanno cercato di controllare e disciplinare molto rigorosamente lo sviluppo dell’energia atomica nell’Unione europea, integrando il Trattato con una nuova legislazione. A mio avviso è molto importante ricordare che, durante le discussioni in seno alla commissione e durante il Tempo delle interrogazioni, nonché con vari rappresentanti del settore a livello comunitario, molti deputati al Parlamento europeo hanno convenuto sulla necessità di riesaminare a fondo il ruolo del Parlamento. Il problema della natura antidemocratica del Trattato EURATOM sta diventando sempre più pressante, e credo che molti colleghi siano d’accordo con me. Il Parlamento europeo deve essere coinvolto in un processo decisionale generale di più ampio respiro riguardo alla legislazione EURATOM. Riteniamo e, dopo averne discusso a lungo, suggeriamo che sarebbe meglio utilizzare l’articolo 203 del Trattato EURATOM per fornire una risposta completa, costruttiva e graduale a questioni concrete riguardanti il rafforzamento delle competenze del Parlamento e la sua partecipazione al controllo dell’attività EURATOM.
Vorrei aggiungere alcune altre osservazioni importanti. Si afferma spesso che sarebbe opportuno sbarazzarsi del Trattato EURATOM, poiché è superato e non è in grado di assolvere le proprie funzioni nelle attuali questioni energetiche. In realtà, la sua eliminazione genererebbe una pericolosa incertezza giuridica in tutto il territorio dell’Unione europea; questo Trattato, infatti, disciplina moltissime questioni tecniche e la sua soppressione comporterebbe davvero una minaccia nonché il rischio della nazionalizzazione delle risorse energetiche nucleari. L’ipotesi di sopprimere alcuni capitoli o di distruggere l’intera struttura è altrettanto rischiosa. Sostanzialmente, in questo modo si indebolirebbe il controllo dell’uso dell’energia nucleare nell’Unione europea. Vorrei ringraziare tutti i colleghi che hanno partecipato attivamente alle discussioni e invitarli a sostenere questa relazione.
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, la Commissione accoglie con grande favore la relazione elaborata dall’onorevole Maldeikis.
Ritengo che, dopo un’analisi approfondita, questa relazione offra una valutazione completa e molto equilibrata di EURATOM, che tiene conto dei traguardi raggiunti da questo Trattato senza però nasconderne le imperfezioni. La relazione raggiunge conclusioni che sono in linea con quelle formulate nella comunicazione della Commissione sui 50 anni del Trattato EURATOM, adottata il 20 marzo.
Sono convinto che il Trattato EURATOM si sia dimostrato uno strumento utile sia per quegli Stati membri che utilizzano l’energia nucleare per produrre elettricità sia per quelli che invece non lo fanno.
L’attuazione delle disposizioni del Trattato EURATOM ha permesso di adottare un approccio europeo coerente allo sviluppo e all’utilizzo dell’energia nucleare, che è visibile soprattutto nell’attuazione della politica di ricerca, nel regime del controllo di sicurezza, nella politica di approvvigionamento e nelle relazioni internazionali.
Nel restante periodo del suo mandato, per la Commissione resterà senza dubbio una priorità creare un quadro comune per la sicurezza nucleare. Ora, dopo l’accordo raggiunto dal Consiglio europeo a marzo sulla proposta della Commissione, stiamo lavorando all’istituzione di un gruppo ad alto livello di rappresentanti degli Stati membri, incaricato di affrontare questioni inerenti alla sicurezza e ai rifiuti nucleari. So che possiamo contare sul costante sostegno del Parlamento per garantire l’attuazione di misure pratiche volte a rafforzare la sicurezza nucleare.
Le direttive sulla sicurezza e sui rifiuti nucleari sono ancora ferme al Consiglio ed è ormai ora di farle procedere.
Senza dubbio, il ruolo del Parlamento europeo non è riflesso in maniera soddisfacente nel Trattato EURATOM. La Commissione capisce perfettamente che il Parlamento sia preoccupato di non avere alcuna responsabilità decisionale sull’uso della codecisione, questione che può essere affrontata solo attraverso una conferenza intergovernativa.
Vorrei ricordare che la Commissione aveva presentato una proposta sul futuro del Trattato EURATOM nel contesto del progetto di Costituzione europea. In tale proposta la Commissione aveva suggerito l’utilizzo della procedura di codecisione. Come sapete, la proposta non è stata accolta ed EURATOM è rimasto un protocollo annesso al progetto di Trattato costituzionale.
Al tempo stesso, mi preme sottolineare che la Commissione continuerà ad adoperarsi affinché dinanzi al Consiglio si tenga conto dei pareri espressi dal Parlamento europeo.
Vorrei inoltre soffermarmi sull’ultimo punto citato dal relatore. Il Trattato EURATOM è importante: definisce misure per l’uso dell’energia nucleare da parte di determinati soggetti e, benché imperfetto, assegna ruoli. E’ quindi importante mantenerlo in futuro.
Johannes Voggenhuber (Verts/ALE), relatore per parere della commissione per gli affari costituzionali. – (DE) Signora Presidente, il relatore si è stupito che il 50° anniversario del Trattato EURATOM non sia stato celebrato né menzionato nei discorsi commemorativi. I motivi di questa omissione sono stati esaminati a fondo dalla commissione per gli affari costituzionali.
Forse dobbiamo ricordare che in realtà oggi il Trattato EURATOM ha più la parvenza di un’ode futuristica, corredata di aspettative di salvezza tecnologica che nessuno più condivide, che metà degli Stati membri non è più interessata a utilizzare l’energia nucleare o vuole smettere di usarla, che esistono enormi movimenti popolari che si battono per l’abbandono dell’energia nucleare, che il consenso europeo sull’energia nucleare – così com’era stato dichiarato nel 1957 – non esiste più, poiché la politica energetica moderna si concentra su forme alternative di energia, e che il Trattato EURATOM è antidemocratico in misura inaccettabile. Alla luce di tutte queste considerazioni, la Convenzione ha proposto di separare il Trattato EURATOM in modo tale che non faccia più parte di una Costituzione per l’Unione europea.
Quest’Aula – e mi ha sorpreso che il relatore e la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia non abbiano affrontato tale argomento – ha chiesto espressamente di indire una conferenza di revisione allo scopo di rivedere l’intero Trattato. Quest’Aula ha espressamente sostenuto l’idea di incorporare il Trattato EURATOM in un capitolo dedicato all’energia e non riesco proprio a capire perché la commissione per l’industria, contrapponendosi al volere della maggioranza del Parlamento europeo, continui a restare aggrappata a quest’ode futuristica e a queste dichiarazioni ideologiche.
Romana Jordan Cizelj, a nome del gruppo PPE-DE. – (SL) Dopo i cinquant’anni trascorsi dalla firma del Trattato EURATOM, è ormai tempo, e in realtà oggi è il momento ideale, di interrogarci sui risultati della cooperazione europea in campo nucleare. Il Trattato EURATOM ha soddisfatto le nostre aspettative? Ha aumentato la sicurezza dell’approvvigionamento energetico? Ha promosso la ricerca? Ha contribuito a diffondere la conoscenza e le informazioni sull’utilizzo dell’energia nucleare?
Sono fermamente convinta di potere rispondere in maniera affermativa. Il Trattato EURATOM, inoltre, ha svolto un ruolo straordinariamente importante, poiché ha consentito di fornire un’opportuna protezione dalle radiazioni ai cittadini, di tutelare l’ambiente prevenendo l’uso improprio del materiale nucleare e di promuovere la ricerca e l’innovazione.
I traguardi raggiunti dal Trattato dimostrano che, tramite una cooperazione stretta e trasparente, si possono raggiungere molti risultati a livello europeo. Ne è un esempio il reattore a fusione ITER, attualmente il maggiore progetto di ricerca scientifica al mondo, in cui l’Europa è all’avanguardia. Nessuno Stato membro, da solo, sarebbe riuscito a ottenere questo risultato.
In occasione del cinquantesimo anniversario del Trattato EURATOM dobbiamo anche guardare al futuro e considerare le circostanze politiche ed economiche odierne. Per questo motivo richiamiamo l’attenzione sul cosiddetto deficit democratico, che deriva dai poteri limitati del Parlamento europeo nel processo decisionale.
Vorrei altresì segnalare la necessità di definire norme comuni europee nell’area della sicurezza nucleare, tra cui anche linee guida per lo smantellamento delle strutture nucleari e la gestione appropriata dei rifiuti radioattivi. Penso anche che dovremmo prestare maggiore attenzione a una cooperazione coordinata ed efficace con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
In sintesi, finora il Trattato EURATOM ha svolto egregiamente il proprio ruolo, ma occorre svilupparlo, ovviamente senza introdurre modifiche rivoluzionarie né arrivare addirittura a eliminarlo. Infine, vorrei anche ringraziare il relatore Maldeikis per la straordinaria collaborazione di cui ha dato prova nella stesura di questo documento.
Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, l’onorevole Thomsen, la relatrice ombra, mi ha chiesto di intervenire a suo nome, poiché purtroppo questa sera non potrà essere presente in Aula. Ovviamente anche all’interno del nostro gruppo – come in seno all’intera Assemblea – non mancano divergenze di opinione sull’importanza dell’energia nucleare: sostenitori e oppositori, fortemente contrari, nettamente favorevoli, posizioni più moderate. Questa eterogeneità di vedute resterà invariata.
Tuttavia, su alcuni punti regna il consenso. Innanzi tutto, la sicurezza è la massima priorità, per quanto riguarda sia la sicurezza a livello di singoli impianti che la sicurezza in termini di misure volte a contrastare la propagazione dei materiali nucleari. Nell’Europa in sé forse questo potrebbe non essere un problema tanto grave, ma come regola generale spetta a noi dare l’esempio migliore. Poiché si è fatto riferimento alla cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, vorrei sottolineare che in questo caso dobbiamo sicuramente adottare un approccio più multilaterale.
La seconda questione che desidero sollevare è l’obbligo d’informazione. Non sono del tutto convinto che il dovere dell’informazione sia espletato correttamente. E’ sorta una serie di problemi in questo caso, anche laddove diversi paesi agiscono in cooperazione, proprio perché l’obbligo d’informazione non funziona in maniera abbastanza rapida o efficace. Il terzo punto riguarda il diritto di codecisione del Parlamento.
Desidero ringraziare il Commissario per la chiarezza delle sue affermazioni. Vorrei che il relatore – di cui riconosco la diligenza e l’impegno – non giungesse a una conclusione troppo affrettata parlando di scenario avverso. E’ indispensabile una revisione fondamentale del Trattato. Senza dubbio va da sé che la revisione entrerà in vigore dopo essere stata negoziata e che fino ad allora si applicherà il Trattato attualmente in vigore. Quindi non dobbiamo preoccuparci di eventuali lacune o dell’ipotesi di una rinazionalizzazione.
Dobbiamo tuttavia adeguarci allo spirito dei tempi e impegnarci semplicemente di più sul fronte della sicurezza di quanto stabilisca il Trattato in vigore. Mi auguro che quest’Aula domani si pronunci con chiarezza sul diritto di codecisione del Parlamento, poiché riteniamo inammissibile che il Parlamento, che rappresenta i cittadini d’Europa, non possa esprimere il proprio parere su una questione importante come la decisione di schierarsi pro o contro. Spero che un’ampia maggioranza del Parlamento sarà favorevole.
Anne Laperrouze, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la relazione che verrà messa ai voti domani è un testo equilibrato, che è riuscito a evitare le insidie da cui sono tradizionalmente minacciati i dibattiti sull’energia nucleare. Facendo il bilancio della situazione attuale, il documento illustra la collocazione del nucleare nel ventaglio di opzioni disponibili e assume una posizione neutrale sul futuro di questa energia in Europa.
Il Trattato EURATOM è uno strumento che permette di inquadrare giuridicamente l’uso dell’energia nucleare in Europa senza però fungerne da mezzo di promozione. Nella loro quasi totalità, i capitoli del Trattato sono attuali e utili, e per questo motivo occorre evitarne la soppressione; l’altra ragione è che EURATOM costituisce un quadro coerente per controllare lo sfruttamento dell’energia nucleare nell’Unione europea e garantire che ne beneficino tutti gli Stati membri. Permette ai nuovi Stati membri di assorbire un acquis comunitario solido, che copre tutti gli aspetti dell’energia nucleare: ricerca, condivisione della conoscenza, sicurezza, gestione dei rifiuti, protezione dalle radiazioni, progetti comuni, controllo dei materiali, Agenzia di approvvigionamento, relazioni con organismi esterni. Inoltre, benché spetti a ogni singolo Stato membro scegliere o meno il nucleare, il Trattato comprende molte utili disposizioni per i paesi che hanno deciso di non usare questo tipo di energia, come la protezione dei lavoratori e il rigoroso controllo dei materiali nucleari nell’Unione europea.
Per quanto riguarda l’orientamento futuro, la relazione chiede una legislazione europea in materia di sicurezza nucleare e gestione dei rifiuti, evidenziando altresì il deficit democratico del Trattato e proponendo suggerimenti per colmare questa lacuna. Pertanto, pur riconoscendo l’utilità di un quadro giuridico applicabile all’uso dell’energia nucleare in Europa, la relazione si presta a determinati adeguamenti, senza pregiudicare i mezzi. Desidero tuttavia precisare che alcuni membri del mio gruppo vorrebbero che la relazione affermasse che la conferenza intergovernativa è l’alternativa migliore per ridurre il deficit democratico e, in particolare, per dare a quest’Assemblea il potere di codecisione su taluni capitoli.
In conclusione appoggio questa relazione e mi congratulo con l’onorevole Maldeikis per l’ottima capacità di ascolto e per la grande qualità del suo lavoro.
Rebecca Harms, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, in tutta onestà sono scandalizzata dalle affermazioni di chi sostiene che questa discussione sul Trattato EURATOM è stata equilibrata. Se teniamo presente che a soli sei mesi di distanza dalla firma del Trattato EURATOM si verificò un incidente nucleare a Windscale, in conseguenza del quale fu necessario distruggere enormi quantità di cibo a causa delle catastrofiche conseguenze di tale incendio, trovo incredibile che oggi – dopo 50 anni – qualcuno possa sostenere che va tutto bene.
L’incidente di Chernobyl non si sarebbe mai verificato se si fosse appresa la lezione dieci anni prima, quando si fuse il reattore di Three Mile Island, negli Stati Uniti.
Diamo uno sguardo all’Europa: sono avvenuti incidenti a Brunsbüttel, nella Germania settentrionale, a Tithange, in Belgio, a Civaux, in Francia, a Kosloduj e Pacs, due centrali nucleari dell’Europa dell’est, a Barsebeck e più di recente a Forsmark. Questi sono solo singoli esempi delle centinaia di migliaia di incidenti che si verificano ogni anno. In ciascuno di questi singoli casi, tuttavia, abbiamo sfiorato un disastro delle dimensioni di Chernobyl.
Se oggi qualcuno sostiene – a cinquant’anni dalla firma del Trattato EURATOM – che va tutto bene, che non occorre rivedere il Trattato, che la trasparenza non è necessaria e che non serve la codecisione per il Parlamento, allora trovo scandalose queste affermazioni.
La richiesta di indire una conferenza per la revisione del Trattato EURATOM è sostenuta sia dalla Convenzione che dal Parlamento, ed è stata formulata più volte. Prima di utilizzare i fondi EURATOM per costruire altri cosiddetti nuovi reattori di progettazione sovietica nell’Europa orientale, dobbiamo convocare urgentemente una conferenza sul Trattato EURATOM.
Vladimír Remek, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto congratularmi con il relatore per un documento che potrebbe rivelarsi molto più importante di quel che pensiamo per il futuro dell’Unione europea.
La situazione energetica nell’Unione europea è una questione fondamentale per il futuro dell’UE. Su un problema delicato come l’utilizzo dell’energia nucleare, che divide gli Stati membri, il Parlamento europeo e persino il mio gruppo politico, è difficile ma molto importante trovare una via percorribile e una voce comune nell’interesse di tutti gli Stati membri dell’Unione.
Il Trattato EURATOM ha indubbiamente dimostrato la necessità di tale quadro e le nostre prossime azioni, qualunque esse siano, non devono in alcun modo pregiudicarne la struttura attuale. Non penso che il Trattato fosse così antidemocratico; ogni Stato membro può formulare il proprio parere sulla strada che dovremmo seguire riguardo all’energia nucleare. Desidero esprimere il mio sostegno all’idea di un Forum nucleare europeo come piattaforma per un concreto scambio di idee, perché nell’UE dev’essere chiaro quanto potrebbe essere utile l’energia nucleare per risolvere complesse questioni in materia di energia e di cambiamento climatico.
Jana Bobošíková (NI). – (CS) Onorevoli colleghi, sono lieta che la relazione evidenzi l’effetto positivo dell’energia nucleare nella riduzione delle emissioni di CO2. Il fatto allarmante, tuttavia, è che l’accordo sull’energia nucleare sancito nel Trattato di Roma cinquant’anni fa è scomparso.
La discrepanza è diventata talmente ampia che alcuni Stati membri non rispettano nemmeno la norma chiaramente stabilita secondo cui ogni Stato membro ha il diritto di decidere se usare o meno l’energia nucleare. Venerdì gli oppositori austriaci dell’impianto nucleare ceco di Temelín bloccheranno l’attraversamento delle frontiere tra i due paesi. Ancora una volta metteranno in discussione la sicurezza di Temelín, benché l’impianto soddisfi tutti i requisiti definiti dalla Commissione e dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Pertanto interferiranno nuovamente nella politica nucleare della Repubblica ceca violando il Trattato EURATOM e creando al contempo inconvenienti.
Vorrei fare presente che gli attivisti austriaci stanno violando un accordo europeo, senza alcun motivo fondato per farlo. Ritengo pericoloso e controproducente che l’energia nucleare sia oggetto di battaglie politiche all’interno dell’UE.
Alejo Vidal-Quadras (PPE-DE). – (ES) Signora Presidente, sono lieto che, nell’anno in cui celebriamo il cinquantesimo anniversario della firma del Trattato di Roma, non abbiamo dimenticato il Trattato EURATOM.
L’Unione europea che conosciamo era nata a suo tempo dalla decisione dei paesi di rafforzare la cooperazione energetica. Già allora i capi di Stato e di governo si erano resi conto che l’interdipendenza economica ed energetica avrebbe offerto loro la possibilità di gettare le basi della conciliazione e della prosperità nel nostro continente. A mezzo secolo di distanza nessuno può negare che il nostro bilancio del processo di integrazione è molto positivo.
L’energia nucleare – con i suoi 145 reattori, 5 200 anni-reattore di funzionamento, corredati da un eccellente riscontro in termini di produzione e sicurezza – impiega circa 400 000 lavoratori nell’Unione e produce il 31 per cento della nostra elettricità. Questa fonte energetica non genera gas a effetto serra ed evita l’emissione di una media di 720 milioni di tonnellate equivalenti di biossido di carbonio l’anno, una quantità pari all’intero parco automobilistico europeo. Vedo che l’onorevole Harms mi sta ascoltando con molta attenzione.
Senza l’energia nucleare, le emissioni dell’Unione derivate dalla generazione di elettricità aumenterebbero del 50 per cento. Illustro questi dati per un motivo molto semplice: perché dimostrano perfettamente che l’energia nucleare è la fonte del nostro mix energetico che soddisfa i tre requisiti della politica energetica comunitaria: sicurezza dell’approvvigionamento, competitività e lotta al cambiamento climatico.
Chi è favorevole al totale smantellamento dei nostri impianti nucleari per ragioni esclusivamente ideologiche ci sta semplicemente portando verso il suicidio economico e ambientale.
Negli ultimi cinquant’anni, il Trattato ha continuato a costituire un quadro fondamentale per la stabilità e la prosperità dell’Unione.
Non voglio concludere senza congratularmi con l’onorevole Maldeikis per l’ottima relazione, che ovviamente riceverà il sostegno della maggioranza del nostro gruppo, come ha annunciato l’onorevole Jordan Cizelj.
Reino Paasilinna (PSE). – (FI) Signora Presidente, onorevoli colleghi, i vantaggi e gli svantaggi dell’energia nucleare sono universalmente noti, eppure le opinioni sull’argomento sono ugualmente contrastanti, così come discordi sono i pareri tra i responsabili decisionali a livello nazionale.
Forse il principale traguardo di EURATOM è l’espansione della cooperazione. All’epoca della firma del Trattato, le persone lavoravano separatamente. I pareri sull’argomento sono molto disomogenei all’interno del mio gruppo, come ha dichiarato il collega, onorevole Swoboda, ma cerchiamo di evitare contrasti altamente ideologici a questo riguardo. Evidenziamo l’importanza della sicurezza, della ricerca, della salute e della protezione dei lavoratori, nonché della gestione dei rifiuti, ma ovviamente dobbiamo utilizzare la procedura di codecisione riguardo al Trattato, come ha appena affermato il signor Commissario, e sarebbe opportuno tenere una conferenza EURATOM di questo tipo.
Due giorni fa, con alcuni membri della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia qui presenti, mi sono recato in visita presso una centrale a fusione nucleare in Germania, i cui ricercatori hanno affermato che, nel giro di 14-15 anni circa, riusciranno a costruire una centrale elettrica in grado di produrre energia da fusione, a partire dalla quale potranno realizzare una centrale a fusione nucleare su scala industriale. Per quanto mi riguarda, sono rimasto stupito dalla rapidità dei progressi compiuti dalla ricerca al giorno d’oggi, se il programma verrà realizzato secondo la descrizione dei ricercatori.
L’ultima parola sull’energia nucleare non è ancora detta. Oggi vi saranno ulteriori sviluppi in materia, proprio qui a fianco.
Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, solo poco tempo fa la stampa ha riportato la notizia del centesimo incidente avvenuto presso la centrale nucleare di Temelín. Ho scritto al Commissario Piebalgs sull’argomento, chiedendogli informazioni sul parere degli esperti in merito agli incidenti di Temelín. Nella sua riposta – della quale lo ringrazio – mi ha detto che avrebbe chiesto all’autorità normativa ceca come valuta questi incidenti.
Arriviamo così esattamente al punto cruciale. In futuro dovremo – e desidero ringraziare la Commissione – pensare alla sicurezza, allo stoccaggio finale e allo smantellamento, ma anche alla sicurezza delle centrali nucleari a livello europeo e considerare come concorderemo norme tecniche uniformi e regolamenti tecnici allo stato dell’arte. Se le norme di sicurezza non verranno rispettate, dovrà essere possibile, tramite sentenze di tribunali, chiudere centrali nucleari pericolose. A tal fine dobbiamo disporre di esperti indipendenti che sappiano valutare in maniera oggettiva gli incidenti a livello europeo. Quando si verifica un incidente simile, occorre chiudere immediatamente la centrale nucleare interessata.
Viviamo in un’epoca di liberalizzazione in cui è prioritario ridurre i costi. Mi auguro che alcune centrali nucleari non taglino i costi della sicurezza, della protezione, dello stoccaggio finale e dello smantellamento per riuscire a fronteggiare meglio la concorrenza.
Da parte nostra è inoltre importante compiere rinnovati sforzi per migliorare la sicurezza attraverso la ricerca, l’istruzione e la formazione, in modo tale che la protezione della salute dei cittadini diventi la nostra principale preoccupazione.
In particolare desidero ringraziare la Commissione e i colleghi che su questo argomento sono favorevoli alla codecisione per il Parlamento europeo.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE). – De la intrarea sa în vigoare la 1 ianuarie 1958, Tratatul Euratom nu s-a modificat substanţial. Uniunea Europeană a investit continuu în cercetarea privind energia nucleară iar Programele cadru 7 şi 6 totalizează 3,7 miliarde de euro pentru perioada 2002-2011. În prezent, energia nucleară asigură 32% din electricitatea europeană, iar cele 152 de reactoare europene reprezintă practic o treime din capacitatea de producţie mondială. În România, de exemplu, energia electrică nucleară reprezintă 9,3% din producţia de energie electrică naţională şi de aceea siguranţa acestui tip de energie ne interesează.
Se consideră că energia nucleară este cea mai puţin poluantă după energia eoliană şi centralele hidraulice de mică capacitate. De aceea, în contextul schimbărilor climatice, se estimează că utilizarea energiei nucleare va permite reducerea, până în 2010, cu 7% a emisiilor europene de gaze cu efect de seră. Cu toate acestea, Tratatul european nu poate da răspunsuri satisfăcătoare unor întrebări actuale cum ar fi gestionarea deşeurilor nucleare sau retragerea din activitate a instalaţiilor nucleare. De asemenea, având în vedere importanţa energiei nucleare pentru politica energetică a Uniunii Europene, pentru strategia europeană pentru o energie sigură, competitivă şi durabilă, pentru siguranţa aprovizionării energetice, afirmăm cu tărie că există un deficit de democraţie prin faptul că, pentru Euratom, Parlamentul European nu are putere de colegislator. Considerăm că un Tratat Euratom adus la zi ar permite fixarea unor standarde armonizate pentru siguranţa energiei nucleare, a deşeurilor nucleare şi a demontării instalaţiilor de energie.
Ján Hudacký (PPE-DE). – (SK) Innanzi tutto, desidero ringraziare il relatore per l’ottimo testo presentato. Non penso sia necessario ripetere quanto è stato detto sull’importanza e i benefici che ha avuto il Trattato EURATOM per lo sviluppo e la sicurezza del settore dell’energia nucleare nei suoi cinquant’anni di esistenza.
Il fatto che il settore dell’energia nucleare produca circa il 32 per cento dell’elettricità generata nei 15 Stati membri dell’UE, nel rispetto di elevati standard di sicurezza, eliminando così 320 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 l’anno, non fa che evidenziare la praticabilità di questa tecnologia, che permette di fornire risposte immediate a cambiamenti ed esigenze nel settore energetico, oltre a rivelarsi utile per la tutela della salute e l’ambiente.
Il Trattato costituisce un quadro giuridico completo, coerente e tuttora valido per l’uso sicuro dell’energia nucleare da parte di tutti gli Stati membri e, pertanto, ritengo sia inutile sottoporlo a una revisione approfondita. Ovviamente, questo non dovrebbe impedirci di emanare una nuova legislazione volta a rafforzare ulteriormente la sicurezza degli impianti nucleari, la gestione dei rifiuti nucleari e lo smantellamento dei reattori nucleari, nonché la ricerca e lo sviluppo.
A tale proposito vorrei citare l’articolo 203 del Trattato e ricordare l’iniziativa proposta dalla Commissione europea e da una serie di Stati membri riguardo al cosiddetto forum nucleare. La creazione di tale forum potrebbe avere diversi benefici per un’obiettiva revisione delle strutture nucleari, della loro sicurezza, del loro sviluppo e della cooperazione degli organismi interessati. Potrebbe costituire un’ottima piattaforma per lo scambio di informazioni e migliori pratiche, coinvolgendo tutti i gruppi interessati, compresi i cittadini.
Non è un segreto che diversi paesi dell’Europa centrale nutrono l’ambizione di ospitare tale forum, a prescindere dalla struttura o dalla forma che assumerà. La Slovacchia è dotata di impianti nucleari che si trovano in fasi diverse del loro ciclo di vita: un’unità è stata disattivata, due sono in fase di smantellamento, altre due unità sono in fase di costruzione e molte altre sono operative. Il paese ha quindi una vasta esperienza nonché la grande e giustificata ambizione di essere all’avanguardia in questa iniziativa.
Atanas Paparizov (PSE). – (EN) Signora Presidente, questa discussione sarà inevitabilmente influenzata da opinioni sulla produzione di energia nucleare. A tale proposito vorrei tuttavia evidenziare la mia grande soddisfazione per il documento emerso dalla commissione ITRE e, ovviamente, per il lavoro del relatore, che ha costituito la base di questo documento equilibrato.
Naturalmente sono favorevole all’uso della codecisione e sono certo che sarà possibile ricorrervi grazie all’articolo 203 del Trattato. In particolare, vorrei richiamare l’attenzione sulla parte della relazione che sottolinea la necessità di elaborare norme comunitarie sulla sicurezza, data l’attuale necessità di creare uno scenario rispettoso dell’ambiente per lo sviluppo energetico nell’Unione europea, in modo che sia possibile ridurre le emissioni di biossido di carbonio e rendere più indipendente la Comunità. Sono molto soddisfatto di quanto ha affermato il Commissario Piebalgs a questo riguardo e spero davvero che sia possibile reintrodurre e discutere seriamente le proposte che la Commissione ha presentato al Consiglio dal 2002, poiché si tratta di una misura essenziale nel contesto delle decisioni dell’8 e 9 marzo.
Teresa Riera Madurell (PSE). – (ES) Signora Presidente, non dobbiamo demonizzare l’energia da fissione nucleare ma non dobbiamo nemmeno esaltarla come se fosse la soluzione di tutti i nostri mali. Ha i suoi benefici e i suoi svantaggi. Il problema principale è il trattamento delle scorie, benché nessuno neghi che, incoraggiando le attuali linee di ricerca, in futuro si potrebbe trovare una soluzione tecnologica praticabile alla questione, così come, nel campo dei combustibili fossili, si stanno compiendo progressi nella realizzazione di forme pulite di combustione nonché nelle tecnologie per la cattura di CO2.
Oggi, però, stiamo valutando il Trattato EURATOM a cinquant’anni dalla sua creazione nonché la sua futura praticabilità. A tale proposito vorrei precisare che figuro tra coloro che, nell’insieme, valutano positivamente i cinquant’anni di esistenza del Trattato EURATOM. Tuttavia, credo sia anche giunto il momento di sottoporlo a revisione, di correggere alcuni suoi aspetti, come le procedure del processo decisionale, per renderle più fattibili e democratiche.
L’unanimità in seno al Consiglio non è fattibile in un’Europa a 27 Stati membri e inoltre sono d’accordo con chi sostiene la necessità di sottoporre il Trattato alla procedura di codecisione per correggere il deficit democratico che lo contraddistingue.
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, la questione dell’energia nucleare è forse il tema che crea il maggior numero di divisioni tra i cittadini europei e gli Stati membri, e il dibattito odierno si è ampiamente soffermato sulla questione.
Tuttavia, se esaminiamo oggettivamente il Trattato EURATOM, come fa la relazione, ci rendiamo conto che ha permesso di conseguire molti obiettivi importanti. In primo luogo, cinquant’anni fa tutti credevano che il nucleare fornisse energia a un costo così basso che sarebbe stato superfluo persino misurarla. Il Trattato EURATOM ha fornito il quadro e il sostegno per la ricerca che ha indubbiamente sviluppato tutele, sicurezza e il trattamento delle scorie nucleari. Dal Trattato EURATOM è inoltre scaturita la non proliferazione. In nessuna parte del mondo il sistema delle tutele è forte come nell’Unione europea, e questo grazie al Trattato EURATOM.
Se guardiamo al futuro, sappiamo che saranno costruite centrali nucleari, anche nell’Unione europea. I problemi che abbiamo avuto a Temelín non rimarranno un caso isolato, e dobbiamo davvero adoperarci per ottenere un maggiore consenso sugli obiettivi che vorremmo raggiungere con l’energia nucleare nell’Unione europea. A tale proposito, l’onorevole Hudacký ha citato il forum nucleare. Si tratta di un elemento importante per cercare di giungere a un consenso in questo importantissimo settore, soprattutto in termini di sfide globali.
Incontro diversi rappresentanti, non solo di Stati membri, ma anche di paesi terzi, che sono impazienti di iniziare a utilizzare l’energia nucleare, non solo di utilizzare la loro energia per la fase finale, ma per i cicli interi. A mio avviso, se l’Unione europea non assumerà una posizione forte per affrontare tutte le questioni correlate al ciclo nucleare, il mondo sarà un posto molto più pericoloso. Credo quindi che la relazione costituisca davvero un buon punto di partenza per riflettere sulle sfide che ci attendono e dare loro risposta.
Ringrazio il relatore per avere adottato un approccio molto equilibrato e per i numerosi suggerimenti avanzati riguardo alla strada da seguire, ma non sarà un’impresa facile.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, giovedì.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
András Gyürk (PPE-DE), per iscritto. – (HU) Sono ben pochi i rami dell’economia su cui le divergenze di opinione tra l’opinione pubblica sono così marcate come sul settore dell’energia nucleare. Gli impianti nucleari sono stati considerati sia come fiori all’occhiello dello sviluppo tecnologico che come principali esempi di rischi per la sicurezza della vita umana. Anche per questo motivo è importante che ci impegniamo a elaborare politiche di valutazione che soppesino i pro e i contro di vari metodi di produzione energetica. Ora, in un momento in cui s’intensifica il dibattito sulla necessità di intervenire contro il cambiamento climatico globale, le emissioni di biossido di carbonio straordinariamente basse prodotte dall’energia nucleare assumono raramente un ruolo centrale nelle argomentazioni.
Sono convinto che, con la crescita di un mercato energetico europeo unificato e libero, con l’internalizzazione dei costi della produzione energetica, fino a questo momento rimasti esterni, e con l’eliminazione degli ostacoli all’effettivo funzionamento del mercato, sarà inoltre possibile considerare decisioni razionali in materia di investimenti per quanto riguarda la produzione energetica nucleare. Quanto ai rischi per l’ambiente e la salute umana, individueremo inevitabilmente un metodo sicuro per il trattamento e lo stoccaggio a lungo termine delle scorie dell’attività nucleare su vasta scala, e daremo risposta ai problemi attualmente irrisolti del funzionamento sicuro delle centrali nucleari. Dobbiamo quindi avviare iniziative per fare in modo che le attività di ricerca e sviluppo per l’uso sicuro dell’energia nucleare ricevano quanta più attenzione e sostegno possibile.
Alessandro Battilocchio (NI), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la ricorrenza dei 50 anni dal Trattato Euratom è giunta al momento giusto. Nata fondamentalmente per questioni energetiche, l’UE ha poi trascurato, nel corso dei decenni, questa importante politica per focalizzare la sua attenzione su altri temi, anche se altrettanto importanti.
Il periodo di riflessione sul futuro dell’Unione coincide quindi con una profonda presa di coscienza dell’importanza di una politica energetica comune ed ambiziosa. I due aspetti sono strettamente correlati: l’UE che vogliamo, potenza economica, casa sicura per i nostri cittadini, regina sullo scacchiere internazionale, indipendente da pressioni esterne, non sarà infatti possibile senza una strategia che ci assicuri un approvvigionamento energetico interno sicuro e durevole. E’ necessario che l’Europa impari a camminare sulle proprie gambe.
La revisione di Euratom rappresenta un passo importante in questo senso, in quanto fornirebbe il necessario quadro giuridico ad un settore già ampiamente collaudato e produttivo, alla luce delle nuove tecnologie e dei successi ottenuti in merito alla sicurezza e all’efficienza. E’ importante, tuttavia, non chiudere la porta ad altri componenti dell’“energy mix”, quali il carbone pulito e altre fonti rinnovabili che, se ad oggi non sono ancora in grado di sostituire in toto le fonti in uso, in futuro possono rivelarsi l’alternativa vincente.
21. Protezione dell’ambiente dalle radiazioni a seguito dello schianto di un aereo militare in Groenlandia (petizione n. 720/2002) (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0156/2007), presentata dall’onorevole Diana Wallis a nome della commissione per le petizioni, sulle conseguenze per la salute pubblica dell’incidente di Thule del 1968 (Petizione 720/2002) [2006/2012(INI)].
Diana Wallis (ALDE), relatore. – (EN) Signora Presidente, signor Commissario, la presente relazione fa seguito all’ultimo dibattito tenuto sulla natura del Trattato EURATOM passato, presente e futuro. Questo è un caso concreto, singolo e specifico, che ben evidenzia il motivo per cui occorre analizzare il Trattato allo scopo di garantire la futura sicurezza dei cittadini europei in caso di incidenti nucleari.
L’incidente nucleare in questione e le sue tristi conseguenze per alcuni soggetti hanno ampie implicazioni sulla salute e sulla sicurezza di tutti i nostri cittadini. E’, ovviamente, grazie al potere del nostro sistema di petizione che le singole persone possono portare simili eventi alla nostra attenzione, laddove le Istituzioni europee o il quadro giuridico non sono stati d’aiuto come avrebbero voluto o dovuto. I nostri cittadini ci dicono che il Trattato EURATOM non funziona, e noi dovremmo ascoltare.
Permettetemi di ricordare la notte artica del gennaio 1968, ancora all’epoca della guerra fredda – in effetti, i fatti di questa storia sembrano un thriller internazionale. Un bombardiere B-52 americano finisce nei guai, l’equipaggio si mette frettolosamente in salvo e l’aereo precipita in Groenlandia con a bordo un’enorme quantità di plutonio per uso militare. I residenti locali in servizio alla base americana di Thule immediatamente si avventurano tra i ghiacci con mute di cani da slitta per recuperare l’aereo caduto, gli americani ansiosi di giungere a destinazione prima di chiunque altro. Nelle settimane seguenti, molti dipendenti della base di Thule sono stati coinvolti nelle operazioni di sgombero. Non lavoravano in condizioni di laboratorio. Non indossavano indumenti protettivi, tranne quelli contro il freddo – in realtà, l’abbigliamento che molti indossavano era così contaminato dalle radiazioni che ha dovuto essere distrutto. Nei mesi e negli anni successivi, i dipendenti di Thule hanno iniziato a risentire di gravi disturbi di salute nelle forme più svariate. Il signor Carswell, firmatario in questo caso, era uno di loro.
E’ una lunga storia, che ha fatto il giro di tutti i tribunali danesi ed è stata oggetto di molte relazioni, dibattiti e discussioni. Qui analizziamo un aspetto molto specifico della saga, cioè i diritti dei dipendenti di Thule in conformità della direttiva 96/29/EURATOM del Consiglio, del 13 maggio 1996, che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti. Contro i firmatari sono state sollevate tutte le possibili argomentazioni giuridiche, e qui non voglio entrare nel dettaglio; mi limiterò a dire che sono esposte e spiegate con serietà nella relazione – la questione dell’applicazione geografica e temporale del Trattato alla Groenlandia e il punto riguardante l’applicazione agli incidenti militari. Per quanto riguarda lo Stato membro coinvolto, non si è trattato di un incidente militare. L’elemento militare proviene da un paese terzo, quindi noi, seguendo le orme della Corte di giustizia, riteniamo che la direttiva possa applicarsi al caso.
Questa, però, non è solo un’argomentazione giuridica; è soprattutto un’argomentazione politica – un’argomentazione che si potrebbe persino difendere con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, citando l’obbligo di uno Stato ad adottare le misure adeguate per proteggere le vite dei cittadini che vivono sotto la sua giurisdizione. Ad ogni modo, il punto su cui vogliamo assolutamente essere chiari è che la direttiva prevede il diritto dei sopravvissuti a controlli medici e a misure di sorveglianza e intervento – non meri esercizi statistici come si è fatto finora, ma controlli medici e clinici adeguati, a vantaggio non solo dei sopravvissuti, ma anche della salute e della sicurezza di tutti i cittadini europei in caso di incidenti analoghi in futuro. Se ciò non è possibile vuol dire che il Trattato non funziona, motivo per cui merita attenzione e necessita di una revisione.
Purtroppo devo anche esortare i colleghi a respingere gli emendamenti. Sono confusi, si riferiscono a eventi imprecisati non citati nella petizione e cercano di indebolire le argomentazioni addotte nella relazione. Per tale motivo, a nome dei sopravvissuti di Thule e nella speranza di una futura revisione del Trattato, raccomando la relazione all’Assemblea, senza emendamenti.
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, innanzi tutto desidero ringraziare la relatrice per il lavoro svolto su questa importante petizione. La Commissione è pienamente solidale con i firmatari, che hanno attraversato un periodo molto difficile dopo avere partecipato alle operazioni di salvataggio seguite al disastro aereo del 1968. Aggiungo che negli ultimi cinque anni la Commissione ha seguito il caso da molto vicino. Lo ha studiato in modo approfondito dal punto di vista giuridico e ha collaborato con la commissione per le petizioni e con la sua relatrice.
La Commissione è giunta alla conclusione che le richieste avanzate dai firmatari non si possono basare sul diritto comunitario, ma solo sulla legislazione nazionale danese dinanzi all’amministrazione e ai tribunali danesi. Considerando tali elementi, il caso non richiede una soluzione giuridica, bensì politica. Credo che la risoluzione proposta dal Parlamento europeo possa rappresentare un elemento valido nel favorire una soluzione politica.
Per far sì che, in futuro, situazioni analoghe a quelle citate nella petizione rientrino nella legislazione EURATOM, la Commissione valuterà la possibilità di prevedere una disposizione specifica sull’applicazione dei requisiti di protezione dalle radiazioni in situazioni derivanti da attività militari. Tale disposizione potrebbe essere inclusa nel quadro della prossima revisione e modifica della direttiva 96/29/EURATOM, che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti. Occorre, tuttavia, esaminare in dettaglio se una simile clausola è compatibile con la giurisprudenza.
Michael Cashman, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signora Presidente, non leggerò dai miei appunti. Dirò quello che penso, non quello che dovrei dire.
Il Commissario offre la sua solidarietà, ma noi non abbiamo bisogno di solidarietà. Ciò di cui abbiamo bisogno è l’applicazione dei diritti fondamentali, che in questo caso sono di vitale importanza: il diritto di accesso alle informazioni affinché possiamo essere assolutamente certi che quanto ci è successo non mette in pericolo la nostra vita.
La cosa più facile, ora, sarebbe attaccare il governo di uno Stato membro. Non è quello che intendo fare; voglio invece cercare di giungere a una soluzione a nome dei firmatari.
Signor Commissario, lei parla di una soluzione politica. Bene, la informo che questa è un’Istituzione politica, motivo per cui ci rivolgiamo alla Commissione europea perché ci aiuti a pervenire a questa soluzione.
La soluzione non risiede nella solidarietà, bensì nella determinazione nel chiedere al governo danese, in nome di una giusta e leale collaborazione, come sancita nei Trattati di Maastricht e di Amsterdam, di acconsentire alla richiesta di informazioni avanzata dai firmatari e dai dipendenti che hanno costituito un’associazione e bonificato la zona dopo la tragedia. Pertanto, non date loro solidarietà, ma offrite il sostegno e il potere politico della Commissione, e chiedete allo Stato membro se fornirà le informazioni fondamentali per queste persone, cosicché possano essere sicure di non essere a rischio e che la loro vita è salva e in buone mani. E’ tutto quello che chiediamo.
Non tratterrò oltre l’Assemblea. Sono stanco della risposta della Commissione quando replica “questo non ha nulla a che vedere con noi”. E’ il modo più semplice per rafforzare l’euroscetticismo che sta crescendo in tutta l’UE e che, tristemente, è assai diffuso in Danimarca.
Marios Matsakis, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, questa è una relazione straordinaria per una petizione straordinaria, e l’onorevole Wallis vi si è dedicata in maniera eccellente. A parte le questioni giuridiche, la petizione su cui si basa la relazione solleva alcuni punti importanti. Ne citerò brevemente tre.
Punto uno. Anche con le massime precauzioni possibili in materia di sicurezza, un incidente causato da armi nucleari è sempre possibile. Per certi versi, l’incidente del B-52 americano, in Groenlandia, è stato una grande fortuna. Immaginate gli effetti che avrebbe avuto se fosse successo in una zona densamente popolata, ad esempio vicino a una base americana in Europa centrale. Pertanto, chiunque sostiene che le armi nucleari sono assolutamente sicure in tempo di pace non dice esattamente la verità.
Punto due. Dopo un incidente nucleare, si dovrebbero immediatamente mettere in atto piani ben congegnati per ridurre al minimo gli effetti a breve e lungo termine sulla salute umana e l’ambiente. Sembra che le autorità del caso, ovverosia le forze aeree statunitensi e il governo danese, fossero impreparate e non abbiano saputo affrontare il problema in maniera adeguata, soprattutto nel proteggere il personale civile fornendogli controlli e sorveglianza sanitaria a lungo termine. Tale mancanza ha portato a molti decessi prematuri per tumore in casi in cui la diagnosi precoce avrebbe potuto garantire molte più possibilità di sopravvivenza. Pertanto, anche chi sostiene che le autorità interessate sanno affrontare le conseguenze di un incidente causato da armi nucleari nel modo più adeguato non dice esattamente la verità.
Punto tre. Dopo un incidente dovuto ad armi nucleari, ci si aspetterebbe dal governo interessato uno spirito di trasparenza e collaborazione con la popolazione coinvolta. Non è stato così per l’incidente in Groenlandia, poiché il governo danese ha negato l’accesso alla documentazione di carattere ambientale necessaria per valutare il dosaggio di radiazioni cui sono stati esposti i lavoratori colpiti. Inoltre, le informazioni date dalle autorità danesi erano pericolosamente fuorvianti. Pertanto, anche le relazioni scientifiche pubblicate dai governi dopo un incidente causato da armi nucleari non sono affidabili.
Il messaggio complessivo, quindi, è chiaro. Le armi nucleari possono causare morte e sofferenza anche in tempo di pace, quindi la cosa migliore è non averle affatto. Dopo avere ascoltato il Commissario, il mio ultimo commento è che i firmatari che hanno sopportato anni di lotta e sofferenza sembrano ricevere molta solidarietà dall’UE ma nessuna assistenza concreta.
Marcin Libicki, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signora Presidente, vorrei iniziare ringraziando l’onorevole Wallis per la sua – come di consueto – eccellente relazione, e dire con piacere e soddisfazione che, in Assemblea, abbiamo una relatrice che presenta sempre documenti molto accurati, soprattutto dal punto di vista giuridico, cosa che, in questa sede, è estremamente importante.
Nel 1968, un aereo americano è precipitato con armi nucleari a bordo. L’autore di una petizione indirizzata alla nostra commissione ha avuto problemi di salute e ritiene di non essere stato adeguatamente risarcito.
Ancora una volta, la commissione parlamentare è stata l’ultima spiaggia per molte persone che non potevano cercare giustizia altrove, sollevando un interessante aspetto giuridico che l’onorevole Wallis ha saputo affrontare in maniera eccellente. L’incidente è avvenuto nel 1968; la Danimarca, insieme alla Groenlandia, ha aderito all’Unione europea nel 1973, e nel 1985 la Groenlandia è uscita dall’UE, mentre la direttiva che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza nell’eventualità di simili incidenti (cioè la direttiva 96/29/EURATOM del Consiglio) è del 13 maggio 1996. Anche se dalle stesse date sembra che l’autore della petizione non abbia possibilità di ottenere giustizia in questa sede, Diana Wallis ha dimostrato che, visti i precedenti della Corte di giustizia, le nuove disposizioni del diritto comunitario sono fondamentalmente applicabili al futuro risultato di eventi occorsi prima dell’entrata in vigore di precedenti atti legislativi, come il ritiro della Groenlandia dall’Unione europea.
Se gli Stati applicassero realmente le direttive pertinenti, la commissione per le petizioni avrebbe meno problemi di cui occuparsi. Vorrei ricordare solo tre casi: il caso Lloyds, il caso Equitable Life e quello riguardante gli abusi nella pianificazione locale in Spagna, che sono stati portati in tribunale solo perché le direttive inerenti non avevano ricevuto adeguata applicazione nei paesi in questione. Le parti lese hanno diritto a un indennizzo per i danni subiti, e noi tutti abbiamo diritto alla sicurezza in futuro.
Margrete Auken, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DA) Signora Presidente, la situazione è sgradevole. E’ assurdo e del tutto imperdonabile che, durante la guerra fredda, armi nucleari siano state trasportate in giro in maniera così negligente. Questo è l’aspetto veramente scandaloso dell’incidente di Thule. Per quanto sia inaccettabile maneggiare armi nucleari con tale noncuranza, ciò non è motivo sufficiente per affermare qualcosa che si è dimostrato falso. Non abbiamo documentazione comprovante che uno qualsiasi dei dipendenti di Thule sia morto a causa delle radiazioni. Né possiamo dire che i relativi controlli sanitari non siano stati effettuati: in realtà ci sono stati, e i risultati dimostrano il contrario di quello che il firmatario, e ora anche la relazione, asseriscono. E’ un aspetto di cui dobbiamo tenere conto.
Gli emendamenti sottoposti dal gruppo Verde/Alleanza libera europea sono volti a eliminare gli errori e le affermazioni infondate. Detto questo, sono d’accordo con l’onorevole Wallis: la Danimarca non può evitare che l’UE eserciti i suoi poteri in materia. Ciò che è accaduto con il bombardiere B-52 non è l’unica attività nucleare che ha inquinato la zona di Thule. Ogni aspetto deve essere esaminato, e l’UE deve garantire lo svolgimento delle relative indagini. Tuttavia, se la relazione vuole assumere un certo significato, non deve contenere errori sui fatti. Se adottiamo una relazione con errori, non faremo altro che compromettere la nostra stessa credibilità. Non ho alcun interesse a difendere il governo danese su questa questione, al contrario. Ha trattato in malo modo l’onorevole Wallis, ed è stato troppo lento nell’inviare al Parlamento i risultati delle varie indagini. Tuttavia, ci auguriamo ardentemente che la relazione venga giustamente adottata cosicché possa, in seguito, influenzare gli eventi in maniera pratica ed efficace, e non che venga semplicemente messa da parte per non avere rispettato quanto veramente successo.
Søren Bo Søndergaard, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DA) Signora Presidente, il disastro aereo del 21 gennaio 1968 nella Groenlandia nordoccidentale non solo ha scatenato fiamme alte 850 metri, ma anche causato un inquinamento radioattivo su vasta scala. Le autorità danesi volevano tenere nascosta la faccenda. Sapevano che il loro tacito consenso su un velivolo americano dotato di armi nucleari nello spazio aereo della Groenlandia sarebbe stato impopolare tra le popolazioni di Danimarca e Groenlandia. Ecco perché sono passati diciotto anni prima che le autorità iniziassero a interessarsi alla salute dei groenlandesi colpiti e dei lavoratori civili coinvolti nelle operazioni di bonifica. Neppure oggi le persone interessate hanno a disposizione un quadro completo di quanto loro successo. Ciò, in parte, è dovuto al fatto che i successivi governi danesi si sono rifiutati di ottemperare alle disposizioni del Trattato EURATOM, pur avendolo firmato.
Secondo il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, questo è il punto cruciale della proposta dell’onorevole Wallis. Noi appoggiamo i primi quattro dei cinque emendamenti del gruppo Verde/Alleanza libera europea, ma voteremo comunque a favore della proposta nel voto finale.
Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (DA) Signora Presidente, per la prima volta in 28 anni domani voterò a favore delle critiche rivolte contro il mio governo in Danimarca. Provo vergogna per il modo in cui ci siamo comportati nei confronti delle poche centinaia di sopravvissuti all’incidente nucleare americano in Groenlandia nel 1968. Per nascondere il fatto che si trattava di un incidente nucleare, le autorità non hanno fornito loro alcuna protezione personale, quando li hanno inviati a bonificare la zona. Da allora molti sono morti di tumore, mentre gli animali sono nati con difetti che, presumibilmente, sono attribuibili all’incidente. Il signor Carswell ha sollevato il problema alla commissione per le petizioni. Lui stesso è stato ricoverato 50 volte per gli effetti dell’incidente. Negli ultimi tre anni l’onorevole Wallis ha svolto un lavoro minuzioso per la commissione, con audizioni e visite, e ora l’onorevole Auken si presenta alla tornata in cui siamo chiamati a votare e pretende che si ricominci il lavoro da zero. La questione è molto semplice e non riguarda la presenza di radiazioni o quant’altro. Il punto è che, in base al Trattato Euratom, i sopravvissuti hanno diritto a controlli sanitari annuali, a prescindere da quanto la loro salute sia stata o meno compromessa, e hanno diritto ad avere accesso ai loro referti medici. La Danimarca, ora, dovrebbe attenersi a queste due condizioni.
Desidero ringraziare l’onorevole Wallis e la commissione per il lavoro molto coscienzioso svolto al riguardo. Io stesso ho partecipato a tutti gli incontri, e se l’onorevole Auken si fosse mostrata interessata quando è stato discusso il problema non avrebbe presentato emendamenti all’ultimo minuto. Immaginatevi se si dovessero ridiscutere tutte le altre relazioni del Parlamento perché l’onorevole Auken non era presente alla lettura in commissione. Vi esorto, domani, a votare a favore della relazione senza gli emendamenti dell’ultimo minuto.
La Commissione ora afferma che occorre una soluzione politica. Alcuni di noi hanno cercato di giungere a una simile soluzione. Io stesso ho personalmente inviato lettere al Primo Ministro per risolvere politicamente la questione. Questi ha espresso solidarietà, ma senza giungere a una soluzione perché la burocrazia non vuole arrendersi su questo punto. E’ un’ottima cosa, pertanto, che le persone abbiano accesso alla commissione per le petizioni, a cui si possono rivolgere quando i funzionari non sono disposti ad ascoltarle.
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, onorevoli deputati, l’applicazione dei diritti si può garantire con una legislazione. La Commissione ha esaminato a fondo il problema. Purtroppo non posso aggiungere nient’altro, neppure dopo questo dibattito molto tecnico.
Al tempo stesso, aggiungo che la relazione sarà un documento di riferimento per i futuri interventi comunitari in questo settore.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, giovedì.
22. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale