Presidente. – Il Processo verbale della seduta di ieri è stato distribuito.
Vi sono osservazioni?
(Il Parlamento approva il Processo verbale)
L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla situazione in Palestina.
Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, negli ultimi giorni si è registrato un inquietante aumento della violenza in Medio Oriente, dove le lotte tra fazioni palestinesi nella striscia di Gaza sono costate la vita a più di 50 persone.
Sempre dalla striscia di Gaza, nell’ultima settimana sono stati lanciati contro città israeliane più di 150 razzi Qassam, che ieri sera hanno ucciso una donna israeliana. L’azione militare d’Israele è già costata la vita a più di 30 palestinesi, e la situazione minaccia di aggravarsi ulteriormente. Nella striscia di Gaza la tregua, concordata da palestinesi e israeliani a novembre, s’indebolisce vistosamente, e la riconciliazione interpalestinese raggiunta alla Mecca con l’aiuto saudita è a rischio.
L’intesa della Mecca ha contribuito a porre fine al dominio esclusivo di Hamas. Dal 18 marzo la Palestina ha un nuovo governo di unità nazionale, che gode del sostegno e della fiducia di 83 membri del parlamento su 86, maggioranza preponderante che comprende tutti gli appartenenti ad Hamas e Fatah. Tuttavia, in seno alla comunità internazionale, è tuttora ampiamente riconosciuto che il governo palestinese non ha ancora superato il suo test decisivo, in quanto anch’esso non soddisfa appieno i tre criteri del Quartetto.
Cionondimeno, l’Unione europea ha mantenuto i propri aiuti umanitari a favore dei palestinesi. Vorrei porre l’accento sul fatto che i 300 milioni di euro dati dall’Unione europea sono più di quanto sia stato dato in tutti gli anni precedenti.
I criteri del Quartetto, tuttavia, restano la base sulla quale si deciderà l’eventuale completa normalizzazione delle nostre relazioni con la Palestina. A tal fine è necessario il riconoscimento del diritto all’esistenza dello Stato israeliano e degli accordi in vigore tra Israele e OLP, nonché un generale abbandono della violenza, di cui finora si sono avuti scarsi segni. Soprattutto in questo momento ci aspettiamo che il governo palestinese intervenga in modo efficace per porre fine ai bombardamenti e per far rilasciare il soldato israeliano prigioniero, Gilad Shalit.
L’Unione europea ha altresì colto l’occasione della fine del dominio esclusivo di Hamas per dare nuovo slancio alla politica per il Medio Oriente, e i ministri degli Esteri hanno ripreso i contatti con i membri dell’esecutivo che accettano i criteri del Quartetto. Ne consegue che il Presidente Abbas merita il nostro pieno sostegno. L’Unione è a stretto contatto con il ministro delle Finanze Salam Fayad, e lo sta aiutando a creare istituzioni e meccanismi trasparenti nella sfera finanziaria, perché tutti vogliamo che la posizione finanziaria ed economica del paese migliori, e la restituzione, da parte d’Israele, dei rimborsi doganali e fiscali che ha trattenuto, come ripetutamente richiesto dall’Unione europea, contribuirebbe al conseguimento di questo obiettivo.
Ormai da qualche mese la Presidenza preme per il rilancio del Quartetto per il Medio Oriente e per una maggiore partecipazione dei partner arabi che adottano un orientamento costruttivo. Dopo un inizio positivo, la nostra preoccupazione particolare è ora quella di mantenere lo slancio acquisito, il che per noi significa che dobbiamo adoperarci con impegno ancor maggiore per assistere tutte le parti interessate nel dare un deciso contributo al processo di pace in Medio Oriente.
Gli incontri bilaterali tra il Presidente Abbas e il Primo Ministro Olmert finora non hanno dato alcun risultato tangibile, e a tale situazione bisogna porre rimedio. Devono esserci notevoli miglioramenti nell’accesso e nella mobilità dei palestinesi e gli israeliani devono portare infine a compimento ciò che hanno intrapreso. Noto che da parte palestinese non vi è stata un’effettiva rinuncia alla violenza e che l’impegno a favore del rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit è stato carente.
La Lega araba ha rafforzato l’iniziativa di pace del marzo 2002, soprattutto grazie all’impegno saudita. Nel corso dell’ultima riunione del Consiglio del 14 maggio si è svolto un iniziale e positivo scambio di opinioni tra la Lega araba e l’Unione europea, che si è tenuto su nostro invito; la Lega ha altresì intrattenuto ulteriori colloqui con il Quartetto e con Israele e, benché tale partecipazione non possa sostituire i negoziati bilaterali tra palestinesi e israeliani, l’iniziativa di pace può creare un contesto ad essi favorevole, anche se questo richiederà ulteriore sostegno soprattutto da parte dell’Unione europea. La Presidenza sta cercando di organizzare un’altra riunione del Quartetto nei prossimi giorni.
Per quanto possiamo essere scettici, non dobbiamo, nonostante la lentezza dei progressi compiuti, cedere alla rassegnazione. Negli ultimi mesi l’Unione europea è diventata più consapevole del ruolo che ha acquisito, ed è disposta a far fronte alla maggiore responsabilità che le viene di conseguenza affidata.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, purtroppo il dibattito odierno giunge in un momento di grande tensione, in cui si assiste al deteriorarsi della situazione della regione sia in Libano che nel territorio palestinese occupato, nonché in Israele. Gli eventi degli ultimi tre giorni in Libano, con significative perdite di vite umane in un lasso di tempo tanto breve – le vittime sono quasi 100 – ci ricordano in modo allarmante che è necessario lavorare a una soluzione regionale del conflitto. Come sapete, oggi, in questo momento di estrema difficoltà, Javier Solana si trova a Beirut, dove speriamo che la situazione possa migliorare.
Invito gli amici del Libano, di qualunque parte e fazione politica, a comportarsi come hanno fatto finora, richiamando alla calma e astenendosi da azioni che potrebbero provocare un grave conflitto interno. Ancora una volta è in gioco l’unità nazionale.
La Commissione ha preso nota del fatto che tutte le fazioni, la maggioranza e l’opposizione, nonché le organizzazioni palestinesi, hanno condannato Fatah al-Islam, e mi auguro che tutti i leader politici continuino a dar prova di maturità, di capacità d’immaginare un futuro migliore, e che impediscano che il conflitto evolva nuovamente in una lotta intestina in Libano. Quel che più conta adesso è trovare una soluzione per placare la situazione a Tripoli e per evitare che si formino altri focolai di violenza nel resto del paese. Occorre inoltre aiutare la popolazione nei campi, cui devono ottenere accesso le ambulanze e i convogli umanitari. Alla fin fine sappiamo tutti che occorre una soluzione regionale. Data la situazione nel suo complesso, possiamo solo rivolgerci a tutte le parti – in Libano e nel territorio palestinese – affinché si astengano dalla violenza e scongiurino un ulteriore intensificarsi delle tensioni.
Ora vorrei parlare in particolare del territorio palestinese occupato. Come il Presidente in carica del Consiglio, anch’io sono profondamente turbata dagli scontri tra fazioni che si sono avuti a Gaza la settimana scorsa, a causa dei quali 55 persone sono morte e 280 sono rimaste ferite. Purtroppo pare che Gaza rischi di scivolare nella guerra civile. Le fazioni devono interrompere immediatamente le ostilità e conciliare le proprie divergenze nell’ambito del governo di unità nazionale.
Deploro altresì la ripresa degli attacchi con razzi Qassam da Gaza alla città israeliana di Sderot, attacchi che ieri hanno causato la morte di una donna israeliana. Gli attacchi arerei condotti da Israele per rappresaglia sono poi costati la vita a 35 palestinesi, e così il circolo vizioso è ricominciato. Perciò è importante che la tregua tra Israele e Palestina venga ripristinata ed estesa alla Cisgiordania.
Nel corso del mio recente incontro con il ministro degli Esteri palestinese, Ziad Abu Amr, abbiamo discusso della delicata situazione del governo di unità nazionale, soprattutto per quanto concerne la sicurezza, ma anche il bilancio. Le prime decisioni prese dal governo sembrano andare nella giusta direzione. Il Ministro Abu Amr ha affermato che il suo governo si considera l’esecutivo del Presidente Abbas. Tale governo ha un programma diverso da quello precedente e l’incontro mi è parso incoraggiante. Credo che meriti il nostro pieno sostegno. Il Presidente Abbas ha chiesto tutto il nostro appoggio, in quanto la sua sopravvivenza politica potrebbe dipendere dalla bontà dei risultati del governo. Mi auguro che le forti difficoltà e la violenza di questa situazione possano essere arginate.
Nel contempo, il ministro delle Finanze, Salam Fayad, che ho incontrato dopo la formazione del governo, affronta l’imponente impresa di riassestare le finanze pubbliche palestinesi dopo un anno di decadenza istituzionale e un netto calo delle entrate. Contro ogni pronostico ha compiuto notevoli progressi e si sono quasi create le condizioni tecniche per ricevere finanziamenti diretti.
Come sapete, l’Autorità palestinese ha tre principali fonti di finanziamento: le tasse interne, le entrate fiscali e doganali sulle importazioni e gli aiuti dall’estero. Le tasse interne sono diminuite in seguito al rallentamento economico. Dalle elezioni dell’anno scorso, Israele ha altresì trattenuto le entrate fiscali e doganali sui prodotti importati. Questa è la principale causa delle difficoltà finanziarie dell’Autorità palestinese. Gli aiuti dall’estero, inoltre, non arrivano facilmente per via delle restrizioni imposte dagli Stati Uniti sulle transazioni finanziarie con il governo dell’Autorità palestinese.
Stiamo contribuendo alla soluzione di tali problemi finanziari in tre modi. Innanzi tutto, il nostro meccanismo temporaneo internazionale è diventato una fonte fondamentale di fondi per sussidi, costi del carburante e generi di prima necessità. Dalla formazione del governo di unità nazionale abbiamo gestito questo MTI in stretta cooperazione con il ministero delle Finanze di Salam Fayad.
Da quando lo scorso giugno è stato istituito l’MTI, per il suo tramite abbiamo già trasferito più di 300 milioni di euro. Vorrei ringraziare il Parlamento per aver contribuito a rendere disponibili maggiori risorse finanziarie, così che l’MTI possa continuare a mantenere i propri impegni.
La nostra seconda modalità di assistenza è la collaborazione con i partner statunitensi per favorire il trasferimento di aiuti esterni ai palestinesi, e in particolare i finanziamenti arabi offerti a Riyadh nel corso del recente vertice dei paesi arabi.
Ultima cosa, benché non meno importante, in molteplici occasioni abbiamo spronato Israele a riprendere il trasferimento delle entrate fiscali e doganali palestinesi. Stiamo utilizzando tutti gli strumenti di cui siamo in possesso, economici e politici, ma la sopravvivenza di questo governo non dipende soltanto da noi. Solo la ripresa di tutti i flussi finanziari all’Autorità palestinese può portare a una soluzione duratura della crisi finanziaria, e i palestinesi devono fare la loro parte e decidere una volta per tutte di porre fine agli scontri per concentrarsi sulla pace.
Crediamo tuttora che, nonostante la sofferenza cui assistiamo nel territorio palestinese occupato e in Libano, dobbiamo approfittare di un’importante finestra di opportunità nel processo di pace, che potrebbe chiudersi di nuovo; perciò è molto importante che l’iniziativa tedesca vada a buon fine. E’ essenziale che la Lega araba rilanci la sua iniziativa di pace. Com’è noto, vi è stata una decisa risposta diplomatica ai più alti livelli in seno a Consiglio, Commissione e Parlamento europeo. Io stessa ho partecipato più volte agli incontri con la commissione di verifica a Sharm-el-Sheik e a Riyadh, nonché, più di recente, a Bruxelles nel corso della riunione del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”.
Il Segretario generale Amr Moussa, insieme ad altri, ha sottolineato l’urgenza della situazione, oggi più evidente che mai, e ha chiesto il nostro aiuto per condurre le parti al tavolo negoziale. Da parte israeliana, mi rincuora il fatto che il ministro degli Esteri Livni sia stata al Cairo e che ora attenda un’analoga visita dei suoi omologhi giordano ed egiziano nelle prossime settimane. Il Ministro Livni si è inoltre dimostrata disponibile a impegnarsi maggiormente rispetto al passato e verrà invitata dalla Presidenza tedesca alla prossima riunione del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”.
Nel contempo, sostengo altresì gli sforzi compiuti dal Segretario di Stato Condoleezza Rice per avvicinare le parti e iniziare a discutere dell’orizzonte politico dei palestinesi. Mi auguro sia possibile, benché le cose non vadano bene in questo momento. Vanno altresì riconosciuti le energie e l’impegno profusi da Giordania, Egitto, Arabia Saudita e altri.
La prossima settimana si riunirà il Quartetto, che mi auguro risponda all’impegno della Lega araba, che potrebbe imprimere nuovo slancio ai progressi in tutti i settori del processo di pace, ma sono anche realista e comprendo le parole della Presidenza tedesca, secondo cui dobbiamo almeno mantenere l’attuale situazione.
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signora Presidente, ci troviamo dinanzi a una situazione estremamente difficile. Come hanno sottolineato il Presidente in carica del Consiglio e il Commissario Ferrero-Waldner, si tratta di una grave crisi politica, con scontri interni e lotte tra le due fazioni che costituiscono il governo di unità nazionale, in cui si erano riposte tante speranze; si tratta di una gravissima crisi economica, sociale e umanitaria, e le cifre sono devastanti: più del 66 per cento della popolazione palestinese è al di sotto della soglia della povertà; più del 50 per cento non ha sicurezza alimentare; nell’ultimo anno più di un milione di persone non ha potuto ricevere un reddito stabile; in Libano cento persone sono morte negli ultimi tre giorni; nella striscia di Gaza il numero delle vittime è altissimo.
Credo che, di fronte a tale situazione, l’Unione europea debba scuotersi dal suo letargo e compiere un passo nella giusta direzione.
Se qualcosa di buono viene fatto, il merito è della Commissione europea, che tra innumerevoli difficoltà presta il proprio contributo per rimediare al disastro umanitario e sociale della regione, ma credo che si debba fare di più.
Il Commissario Ferrero-Waldner ci ha ricordato che l’Alto rappresentante, Javier Solana, attualmente si trova nella regione. Dobbiamo avere il coraggio e la forza di tentare di andare al di là delle belle parole, signor Presidente in carica del Consiglio, e l’Unione europea deve cercare di apportare un minimo di buon senso nella barbara condizione della regione.
C’è un circolo vizioso di violenza; si lanciano razzi Qassam, vi sono rappresaglie israeliane e si annunciano attentati da parte di kamikaze… Siamo di fronte a una spirale di violenza del tutto suicida.
Dobbiamo tentare d’imporre un po’ di ordine, confidare negli sforzi dell’Alto rappresentante, mobilitare il più possibile le forze diplomatiche dell’UE, e la Commissione deve appoggiare tutta l’assistenza economica e umanitaria che viene concessa.
Vorrei richiamare l’attenzione della Presidenza in carica del Consiglio su una questione che reputo cruciale: per ripristinare gli aiuti diretti all’Autorità nazionale palestinese, il Quartetto ha affermato che sono decisive non solo la composizione del governo, ma anche le azioni che esso compie.
La Presidenza in carica del Consiglio potrebbe illustrare la sua opinione al riguardo e spiegare come possiamo uscire da questo circolo vizioso di odio, violenza e distruzione?
Pasqualina Napoletano, a nome del gruppo PSE. – Signora Presidente, signor Presidente del Consiglio, signora Commissaria, onorevoli colleghi, la morte e la violenza sono tornati a Gaza, in Libano e in Israele. Come gruppo socialista, sottolineiamo la necessità e l’urgenza di un mutamento sostanziale della politica dell’Unione europea in Medio Oriente, con il ristabilimento pieno del sostegno finanziario alle istituzioni e al popolo palestinese.
Gli scontri di questi giorni sono il frutto dell’esasperazione e dello stallo della situazione politica, dimostrano e confermano anche il fatto che Israele non costruirà la propria sicurezza sulla morte della Palestina e dei palestinesi. Il doppio standard della democrazia europea nei confronti del governo di unità nazionale deve cessare, la tenuta politica di quel governo è l’unica speranza di poter riprendere il controllo della situazione.
Ma la decisione di sospendere il sostegno finanziario alle istituzioni appare ancora più insensata dopo la formazione del governo di unità nazionale. Il fatto che il Consiglio e la Commissione abbiano deciso di non incontrare gli esponenti ministeriali di Hamas e gli indipendenti non aiuta la stabilizzazione di quell’esecutivo, in questo momento l’unica via per poter dare espressione politica al popolo palestinese.
L’intesa della Mecca, seppure non rispecchia la ripetizione acritica dei 4 punti del Quartetto, va ovviamente in una giusta direzione, nel senso del reciproco riconoscimento e della cessazione della violenza. Su questo dato dobbiamo lavorare per rendere la situazione evolutiva in senso positivo. Anche perché, come ricordava la Commissaria, il ministro degli Esteri Abu Amr, il quale la scorsa settimana è stato qui da noi a Bruxelles, da questo punto di vista ci ha molto, molto rassicurati.
Ci uniamo al dolore e alla condanna per il lancio dei missili su Sderot e anche al fatto che lì ci sono state vittime e feriti, ma nello stesso tempo vogliamo fare appello alle autorità palestinesi e israeliane perché cessino le ritorsioni sproporzionate, spropositate, illegali verso esponenti politici e civili palestinesi. Si è rimessa in moto una dinamica perversa e noi europei dobbiamo cercare di contribuire a interromperla.
Vorrei ricordare che i 78 morti in pochi giorni in Libano ci parlano di un altro frutto avvelenato del conflitto arabo-israeliano non risolto, e cioè del fatto che in Libano può riaprirsi uno scontro aperto con i 400 000 profughi palestinesi presenti in quel territorio. Abbiamo già vissuto questo incubo, cerchiamo di evitarlo, così come abbiamo fermato nel luglio scorso, la guerra e l’aggressione di Israele al Libano.
Chris Davies, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, il Presidente in carica del Consiglio ha affermato che il nuovo governo di unità nazionale in Palestina non ha affatto superato la prova decisiva. Ebbene, gli Israeliani non hanno affatto smesso di costruire il muro di difesa, rubando terra e acqua palestinesi. Gli israeliani non hanno affatto rilasciato i loro 10 000 prigionieri, molti dei quali detenuti senza capi d’imputazione né processo. Gli israeliani non hanno affatto smesso di tenere posti di controllo – 589 secondo gli ultimi dati della Commissione – che impongono un embargo economico ai palestinesi. Gli israeliani non hanno affatto restituito il denaro – che ormai potrebbe ammontare a circa un miliardo di euro – che da un anno trattengono dalle entrate palestinesi. Non hanno affatto posto fine alla divisione e alla separazione attuate tramite le carte d’identità, che il leader del mio partito, Paddy Ashdown, nostro ex rappresentante in Bosnia-Erzegovina, solo sabato scorso ha descritto come razzismo travestito da amministrazione.
Dico queste cose al Presidente in carica del Consiglio perché siamo considerati un’Unione europea che adotta due pesi e due misure: si ritiene che ignoriamo ogni illecito israeliano, ma ci aspettiamo che i palestinesi si comportino come santi. Quando il Commissario Ferrero-Waldner dice che stiamo utilizzando tutti gli strumenti a disposizione per far sì che Israele rispetti gli accordi internazionali e la legge, non credo assolutamente che sia la verità. Vi sono molti strumenti a nostra disposizione che neppure tentiamo di usare.
Perciò che cosa deve fare adesso il governo di unità nazionale palestinese? Appena due settimane fa il Primo Ministro Haniyeh ha convinto la nostra delegazione in un modo che ha soddisfatto tutti non solo che il governo di unità era deciso a rispettare i tre criteri del Quartetto e credeva di farlo, ma anche che avrebbe incontrato i membri del Quartetto senza riserve né precondizioni e in qualunque momento nel tentativo di appianare le divergenze. Invito il Presidente in carica del Consiglio ad accettare tale offerta.
Si notino inoltre i commenti del ministro degli Esteri norvegese, che proprio ieri ha chiesto che cosa sarebbe successo in caso di mancato sostegno a questo governo da parte nostra. Ci sarebbe soltanto caos e crisi se non gli dessimo il nostro appoggio.
Pertanto, signor Presidente in carica del Consiglio, la buona notizia contenuta nel suo intervento è che sta tentando di organizzare con urgenza un incontro per rivedere ancora una volta la situazione. Si tratta di un netto passo avanti. Tutto quello che posso dire è che spesso abbiamo accusato i palestinesi di essersi lasciati sfuggire le occasioni, e che spesso abbiamo rivolto la medesima accusa agli Israeliani. Questa è un’occasione che noi per primi non dobbiamo lasciarci sfuggire.
Ryszard Czarnecki, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signora Presidente, signora Commissario, Presidente Gloser, onorevoli colleghi, la situazione in Medio Oriente pone una sfida importante e continua non solo ai paesi della regione, ma anche al resto del mondo. Vogliamo mettere in guardia da un approccio emotivo e parziale a questo conflitto decennale. A dispetto di tutte le banalizzazioni e della tentazione di dare valutazioni semplicistiche sulla base degli ultimi filmati televisivi, non è una situazione in cui le cose sono bianche o nere. Sarà in voga in alcuni ambienti bollare Israele come l’aggressore e l’oppressore, ma quest’idea è falsa e sbagliata.
La diffusione di atteggiamenti radicali e i voti espressi a favore di gruppi estremisti sulla scorta di Hamas sono indice della quasi totale impossibilità di dialogo in questa regione. Altra importante difficoltà che spesso non viene citata è data dalle profonde divisioni e dalle aspre lotte intestine che portano al conflitto armato all’interno della classe politica e della società palestinesi.
Alcuni esperti hanno richiamato l’attenzione sul sistema d’istruzione dell’Autorità palestinese. Come hanno affermato coloro che hanno partecipato alla conferenza organizzata la scorsa settimana dall’onorevole Van Orden in seno al Parlamento europeo, tale sistema rafforza gli stereotipi negativi e conflittuali relativi alla guerra santa della jihad, l’opposizione strutturale a Israele e il vero e proprio odio per il paese. Per ragioni di obiettività, va altresì detto che da quando Hamas ha vinto le elezioni svoltesi in seno all’Autorità palestinese, Israele ha attuato un piano alquanto controverso, per cui si rifiuta di trasferire le entrate fiscali palestinesi all’Autorità, il che deve avere gravi conseguenze per le relazioni tra Israele e Autorità palestinese. L’Unione europea deve reagire in modo realistico e razionale. Non deve comportarsi come uno zio miope e benevolo che distribuisce grosse somme di denaro senza verificare l’uso che ne viene fatto. L’Unione non deve nemmeno divenire ostaggio di alcuna delle parti implicate nel conflitto.
Caroline Lucas, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, devo dire di essere ancora un po’ sconcertata dalle parole del Presidente in carica del Consiglio. Non capisco come possa dire che il nuovo governo di unità nazionale non soddisfa i criteri del Quartetto. La nostra delegazione è appena tornata dalla regione e tutti abbiamo concordato all’unanimità che rispetta tali criteri.
E’ vero che vengono ancora lanciati razzi Qassam e che questo va senza dubbio condannato, ma pensa davvero che, rifiutando di accettare appieno il governo, l’Unione europea contribuisca a riportare la situazione sotto controllo? Pensa davvero che tale situazione non abbia nulla a che vedere con la morsa economica e politica in cui Israele stringe Gaza?
Parla della detenzione del soldato Shalit, che senza dubbio andrebbe rilasciato, ma non ha neppure menzionato i 41 membri del Consiglio legislativo palestinese ancora detenuti da Israele né i 10 000 prigionieri politici palestinesi detenuti da Israele, molti dei quali senza processo. Stabiliamo quindi un po’ di equilibrio in questo dibattito.
Rifiutando di riconoscere appieno il nuovo governo di unità e inviando gli aiuti attraverso un meccanismo temporaneo internazionale anziché attraverso l’Autorità palestinese, l’Unione europea mina deliberatamente l’autorevolezza e l’apparato delle istituzioni democratiche palestinesi. Quel che è peggio, la nostra posizione di fatto incoraggia quegli elementi, sia interni che esterni alla Palestina, che vogliono il fallimento di questo governo. Ogni giorno in cui rifiutiamo di accettare appieno questo governo è un altro giorno in cui gli estremisti possono affermare: “Vedete, la democrazia non funziona. Abbiamo fatto tutto ciò che la comunità internazionale ci ha chiesto: indetto elezioni democratiche, nominato un nuovo governo di unità nazionale, soddisfatto le richieste del Quartetto, e siamo tuttora soggetti a un boicottaggio politico ed economico. Perché mai dunque aiutiamo a realizzare un governo eletto democraticamente che fa del suo meglio per mantenere la pace?”.
E’ davvero questo che vogliamo? Non si pensi che l’alternativa sarà un governo leggermente diverso i cui colori ci piaceranno leggermente di più. L’alternativa saranno caos e violenza di portata inimmaginabile, l’intera regione si destabilizzerà e l’estremismo in Medio Oriente crescerà ancor più rapidamente.
Infatti, mentre il Consiglio adotta una politica attendista per valutare il comportamento del nuovo governo, ogni giorno d’attesa pone sempre più a repentaglio proprio l’esito che vorrebbe vedere. Il rischio reale è che tra qualche anno, ripensando a questo momento, si dica: “Perché mai non abbiamo sostenuto la democrazia in Palestina quando ne abbiamo avuto la possibilità?”.
Perciò prego il Consiglio di spiegarci di nuovo che cosa deve fare il governo palestinese, e alla Commissione chiedo quando sospenderà l’accordo di associazione UE-Israele.
Kyriacos Triantaphyllides, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signora Presidente, Ministro Gloser, signora Commissario, l’Unione europea non è priva di responsabilità per gli eventi indicibili che di cui oggi è teatro la Palestina. Questo perché non ha agito con decisione al momento opportuno e nella giusta direzione.
Venti giorni fa la delegazione parlamentare per le relazioni con il Consiglio legislativo palestinese si è recata in Palestina in visita ufficiale. La nostra visita cadeva in un momento storico per il paese, successivo all’insediamento di un nuovo governo, frutto di elezioni libere e democratiche, che quando è stato messo alla prova dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, pur godendo del sostegno del 60 per cento dell’elettorato, non ha esitato a condividere il potere con altre forze politiche per formare un governo di unità nazionale sotto la guida dell’indiscusso leader dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, obbedendo fedelmente agli inviti del Consiglio della Lega araba.
Pertanto è a questo governo, che rappresenta l’intero popolo palestinese, che la delegazione parlamentare ha chiaramente presentato i temi fondamentali relativi alla questione della pace in Medio Oriente e, come hanno affermato i miei onorevoli colleghi, abbiamo ricevuto risposte chiare.
Essi riconoscono il diritto di esistenza dello Stato d’Israele entro i confini del 1967. Tutto quello che Israele deve fare è riconoscere il loro diritto di creare il proprio Stato accanto a quello israeliano.
Rifiutano la violenza. Riconoscono tutti gli accordi conclusi tra Israele e l’OLP. Le loro priorità immediate comprendono il rilascio di Alan Johnston. Stanno lavorando per la liberazione di Gilad Shalit nel quadro di uno scambio di prigionieri.
Ci hanno però detto che, per poter raggiungere i propri obiettivi, hanno bisogno del nostro aiuto. L’embargo politico ed economico dev’essere revocato immediatamente.
Per questo motivo concludo rivolgendo un invito a Israele e un invito alla Palestina:
– Israele deve smettere di lanciare missili contro i nemici e liberare tutti i rappresentanti eletti dei palestinesi;
– i palestinesi devono porre fine al lancio di razzi contro il territorio israeliano.
Mi rivolgo altresì a Consiglio e Commissione affinché riconoscano immediatamente il nuovo governo di unità nazionale democraticamente eletto del Presidente Abbas e pongano immediatamente fine alla politica di approccio selettivo ad alcuni membri di tale governo. Togliete immediatamente l’embargo politico ed economico. Partecipate in modo dinamico a un dialogo creativo con l’intero governo di unità nazionale. Sostenete questo governo in modo che possa intrattenere negoziati di pace. In caso contrario, la conseguenza sarà il caos, e l’Unione europea ne sarà in parte responsabile.
Paul Marie Coûteaux, a nome del gruppo IND/DEM. – (FR) Signora Presidente, purtroppo la situazione in Palestina conferma ciò che i fautori della sovranità dello Stato dicono ormai da molto tempo circa il conflitto in Medio Oriente, e cioè che sarebbe sbagliato credere che tale conflitto si possa leggere come un semplice scontro tra palestinesi e israeliani, e ancor meno tra mussulmani ed ebrei.
La vera divisione, che diventa sempre più profonda, vede da una parte i sostenitori della conciliazione, come si sono dimostrati non solo diversi statisti israeliani – e non posso fare a meno di citare il nome preclaro di Yitzhak Rabin – ma anche uomini di Stato palestinesi, quali Yasser Arafat e Mahmoud Abbas, e dall’altra parte i fanatici, sia quelli mussulmani che i sostenitori del grande Israele, le cui connivenze sono per di più del tutto evidenti, poiché sappiamo che i movimenti estremisti palestinesi sono stati sostenuti e persino finanziati da taluni radicali israeliani.
Esistono dunque due schieramenti: da un lato, quello che desidera perseguire una soluzione politica e, in definitiva, la pace e, dall’altro lato, lo schieramento che cerca lo scontro, l’odio e la guerra infinita. Purtroppo, nonostante le belle parole, gli Stati Uniti stanno dalla parte degli avvoltoi, cioè degli estremisti israeliani e dei fondamentalisti islamici, mentre l’Europa, termine con cui intendo i principali Stati europei, è rimasta in silenzio tutto il tempo. L’unica voce europea che ha dato prova di una qualche unità è stata quella della dichiarazione di Venezia, nel giugno 1980, in cui gli europei hanno proclamato di essere a favore della creazione di uno Stato palestinese. Le nostre divisioni si sono tuttavia acuite, e oramai l’Europa, ancora una volta, può esprimersi all’unisono solo quando non ha niente da dire.
E’ giunto il momento di ripristinare la sovranità degli Stati europei, in modo che possano di nuovo svolgere liberamente il proprio ruolo in quella regione, dov’è in gioco tanta parte del loro futuro.
Philip Claeys, a nome del gruppo ITS. – (NL) Signora Presidente, chiunque abbia seguito gli eventi in Medio Oriente negli ultimi giorni non può che sentirsi scoraggiato. Mercoledì scorso, in seno alla Conferenza dei presidenti del nostro Parlamento, ho avuto l’onore di partecipare a un incontro con Amr Moussa, Segretario generale della Lega araba, e con il ministro degli Esteri dell’Autorità palestinese, e ciò che mi è risultato evidente è stato il loro autentico desiderio di lavorare a un piano di pace per la regione, ma molte cose – problemi strutturali, per così dire – restano in sospeso.
Hamas, il principale partito di governo palestinese, resta inflessibile nel suo esplicito rifiuto di riconoscere Israele e si rifiuta tuttora di ricusare e condannare il terrorismo e la violenza. E’ difficile immaginare come, in simili circostanze, i colloqui di pace possano andare a buon fine.
Infatti negli ultimi giorni è scoppiata anche la violenza tra i diversi partiti palestinesi, e si è persino sventato un attacco dinamitardo al Presidente Mahmoud Abbas. Personalmente non metto in dubbio il fatto che Israele abbia il diritto di difendersi dalla violenza e dal terrorismo, anche con mezzi militari, se necessario. Si deve però mettere in guardia Israele da azioni contro i membri del parlamento palestinese, e a maggior ragione contro il Primo Ministro della Palestina, anche se alcuni hanno espresso interesse verso la scelta di questa via, perché, se così facesse, oltrepasserebbe una linea pericolosa, rendendo inevitabile un’ulteriore escalation di violenza ancor più grande.
Jim Allister (NI). – (EN) Signora Presidente, il dolore e la sofferenza in Palestina sono davvero terribili, e il fatto che siano inflitti perlopiù da chi li subisce, pur non attenuandone gli effetti, smentisce coloro che vogliono sempre incolpare Israele per qualunque tragedia avvenga nella regione. Oggi, naturalmente, i soliti noti di questa discussione, tra cui, ad esempio, gli onorevoli Davies e Lucas, battendo sul solito chiodo, hanno fatto del loro meglio per distorcere i fatti e dare irragionevolmente tutta la colpa a Israele. In Palestina assistiamo a una vera e propria guerra civile tra Fatah e Hamas, e le azioni particolarmente aggressive di Hamas ci dimostrano che perseguire la democrazia e un mandato democratico non ha per nulla mitigato né placato la sua adesione al terrorismo. E’ questo puro attaccamento al terrore che rende Hamas tanto inadatto a governare. Analogamente, la sua continua aggressione a Israele, con il prolungato lancio di razzi, giustifica completamente la risposta difensiva di Tel Aviv.
Temo che, fintanto che Fatah e Hamas potranno andare in cerca sia di armi che di voti, la democrazia e la pace che essa può portare non prevarranno in questa entità giuridica travagliata e fallita che è Gaza. Qualunque iniziativa internazionale che manchi di affrontare l’abolizione delle armi su entrambi i fronti in Palestina è destinata al fallimento.
Edward McMillan-Scott (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, ancora una volta discutiamo della tragica situazione in Palestina. Innanzi tutto vorrei dire che tutti condanniamo il terrorismo dovunque si manifesti. Vorrei dire che gli attentatori kamikaze che hanno attaccato Londra un paio di anni fa provenivano tutti dalla mia circoscrizione elettorale. Erano però motivati dagli eventi in Medio Oriente – in Iraq e in Palestina – ed è pertanto opportuno che di ciò che accade in Medio Oriente non si considerino solo gli effetti sugli abitanti di quella regione, ma anche su quelli dei nostri territori.
Una volta dicevo che Israele era l’unica democrazia in Medio Oriente. Due anni fa, tuttavia, sono stato a capo della delegazione per le elezioni del Presidente Abbas, che sono state accolte con grande favore dalla comunità internazionale. Quando però, alcuni mesi or sono, è venuto in quest’Aula, il Presidente Abbas ha detto che se noi, la comunità internazionale, non lo avessimo sostenuto, nel suo paese si sarebbero avuti caos e guerra civile.
L’anno scorso ho presieduto la missione di osservazione elettorale per le elezioni del parlamento in Palestina, e in quell’occasione, di fronte ai risultati, l’Unione europea ha voltato le spalle al paese. Sembriamo paralizzati dalla roadmap. A mio avviso, però, la situazione è ora giunta al punto in cui l’Unione deve semplicemente cambiare il proprio orientamento. La Palestina sta crollando sul piano economico, politico e sociale. Rischiamo un’altra Algeria, dove, quando l’Occidente ha voltato le spalle agli esiti delle elezioni del 1992, si sono avute 200 000 vittime.
Credo sia giunto il momento che l’Unione europea, se non può riconoscere il governo di unità nazionale, perlomeno nei termini di un progetto di risoluzione di cui alcuni di noi hanno discusso la scorsa settimana, debba cooperare ampiamente con tale governo. In secondo luogo, è senza dubbio ora che la commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo istituisca un gruppo di lavoro – non solo sulle Nazioni Unite o i Balcani o i cinque strumenti di finanziamento esterno: istituiamo un gruppo di lavoro sul Medio Oriente.
Véronique De Keyser (PSE). – (FR) Signora Presidente, immaginiamo una città che sia regolarmente immersa nell’oscurità. Immaginiamo una città senza polizia. Immaginiamo una situazione in cui gli impiegati statali non vengano pagati da un anno e mezzo. Immaginiamo ospedali privi di medicine e scuole prive di materiali didattici. Immaginiamo una città isolata, abbandonata a se stessa, in cui non sia attiva alcuna amministrazione. Immaginiamo il denaro che vi circola, e le armi. Ricordiamoci che una sola notte d’interruzione della corrente a New York ha portato a saccheggi e crimini, nella più grande democrazia mondiale. Che cosa ci possiamo aspettare quindi oggi in Palestina?
La nostra politica irresponsabile ha portato al crollo dell’amministrazione che avevamo istituito, all’indebolimento del potere in vigore, all’aumento della povertà, alla ricomparsa di malattie che erano state debellate – punto su cui anche la Banca mondiale concorda – e questo nonostante i lodevoli sforzi della Commissione. Ora abbiamo solo compiuto un ulteriore passo verso il male: i palestinesi si uccidono tra loro! La situazione era però prevedibile, onorevoli colleghi. Anziché cercare l’unità tra i due grandi partiti palestinesi, la cui legittimità si fondava su elezioni corrette, anziché sostenere la loro unità fin dall’inizio, abbiamo deciso di fare il gioco delle sanzioni, in modo da dividerli.
Mentre il Presidente Abbas rischiava la vita e puntava tutto sulla creazione di un governo di unità nazionale, fondato su una piattaforma politica ispirata ai principi del Quartetto e rispettosa degli impegni di pace assunti in precedenza, siamo stati a guardare. Non siamo riusciti ad approfittare di questo barlume di luce e delle speranze alimentate alla Mecca.
Oggi Javier Solana, in visita nella regione, ha giustamente asserito: “Dobbiamo sostenere l’unità palestinese”. Tuttavia non sosterremo l’unità inviando denaro e armi a una delle parti in causa! Vi è un solo modo per farlo, come tutti sapete: la politica. Per questo motivo, insieme ad alcuni colleghi, vi dirò che dobbiamo riconoscere con urgenza il governo di unità nazionale. Bisogna imporre la sua autorità, e noi dobbiamo contribuire ad imporla e ad assicurare la sussistenza della popolazione.
Chi semina vento miete tempesta: non sono la prima ad affermarlo. Se rifiutiamo di trattare con gli islamici moderati, tuttavia, ci ritroveremo tra i piedi i radicali e gli estremisti, che non faranno sentire la propria voce solo in Palestina!
Alexander Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signora Presidente, in effetti la situazione è drammatica. Gruppi di estremisti di Hamas bombardano quotidianamente Sderot con razzi Qassam, e questi attacchi, tutt’altro che casuali, finora rappresentano la quinta violazione del cessate il fuoco.
E’ evidente che si tenta di nuovo di sviare l’attenzione dalle lotte intestine tra gli stessi palestinesi, cioè tra Hamas e Fatah, lotte in cui hanno perso la vita 55 palestinesi, uccisi per mano palestinese. E’ parso loro che i tempi fossero maturi per richiamare l’attenzione sul nemico comune, Israele; e Israele come ha reagito? Con il pugno di ferro. Il governo israeliano, il cui tasso di consenso si attesta intorno al 3 per cento, fa un favore ad Hamas tentando di eliminare militarmente la fonte degli attacchi, aumentando il numero di vittime palestinesi, di cui lamentiamo la morte. Hamas ha di nuovo guadagnato tempo e può rimandare a un altro momento le concessioni politiche da fare. Ancora una volta sembriamo paralizzati. Dopo tutto, alla Mecca si sono fatte concessioni, che senza dubbio possono non essere sufficienti, ma che, nonostante le mancanze della Mecca, rappresentavano un importante passo avanti sulla strada della pace. Tale intesa ora è stata colpita al cuore dal ritorno alla violenza.
Penso quindi che per il momento sia assolutamente opportuno che l’Unione europea insista sul rispetto di tutte le condizioni poste dal Quartetto e di quanto concordato alla Mecca prima di riprendere i pagamenti al governo di unità. Questo non è in contrasto con l’invito dell’onorevole McMillan-Scott a perseguire una cooperazione pragmatica e a tutto campo laddove sia veramente a beneficio dei cittadini.
Non dobbiamo però abbandonare questo strumento essenziale prima del tempo. Vorrei invitare il Consiglio, la Commissione e la Lega araba a fare lo sforzo di andare avanti, sperando che conseguano risultati positivi quanto prima.
Jan Tadeusz Masiel (UEN). – (PL) Signora Presidente, Presidente Gloser, signora Commissario, l’Unione europea è riuscita a mantenere la propria credibilità al recente Vertice di Samara. José Barroso, Presidente della Commissione, e Angela Merkel, Presidente in carica del Consiglio, non hanno esitato a esprimere commenti pertinenti ed espliciti circa il trattamento scorretto riservato alla Polonia, Stato membro dell’Unione europea, in merito alla questione della carne. Il Presidente Barroso e il Cancelliere Merkel si sono altresì espressi in modo analogo circa i diritti umani in Russia.
Viene da chiedersi perché l’Unione non si spinge oltre, mettendo in luce il destino dei palestinesi in Israele, o quello di Cipro, che dal 1974 subisce l’occupazione turca. Nel XXI secolo, alle porte dell’Unione, vengono ancora perpetrate gravi ingiustizie, che noi tuttora contribuiamo troppo poco a sconfiggere.
Forse che non si moriva in Palestina prima della creazione dello Stato d’Israele? Per quanto ancora l’esercito di occupazione israeliano resterà nei territori palestinesi? I palestinesi non hanno diritto a un proprio Stato? Agli ebrei è stato negato un loro Stato per così tanto tempo: come possono privare altri di tale diritto? La risposta palestinese alla continua occupazione è sferrare attacchi a Israele. In confronto alle azioni delle forze israeliane, quelle perpetrate dai palestinesi sono tentativi dilettanteschi.
Starebbe a Israele compiere la prima mossa per facilitare la creazione di uno Stato palestinese. Sarebbe il primo passo verso la riduzione della violenza nella regione e la promozione della convivenza.
E’ compito dell’Unione europea essere custode della libertà nel mondo, soprattutto ora che gli Stati Uniti hanno abbandonato tale ruolo per schierarsi al fianco d’Israele. Forse gli eventi dell’11 settembre non avrebbero avuto luogo se gli Stati Uniti avessero perseverato nel precedente ruolo di custodi imparziali del diritto e della giustizia in tutto il mondo.
Johannes Voggenhuber (Verts/ALE). – (DE) Signora Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, avendo detto, nel corso dell’ultimo dibattito, che si è svolto in seguito alla vittoria di Hamas, che l’Europa non deve mai più permettere che l’esistenza d’Israele venga messa in discussione, ritorno dal viaggio in Palestina tanto più angustiato e triste. Con ciò intendo che, benché volessi visitare la Palestina, non l’ho trovata in nessun luogo; al suo posto ho trovato una landa militaresca, smembrata, divisa, una terra in cui i membri delle famiglie vengono separati l’uno dall’altro e dai loro posti di lavoro, in cui le città vengono private dell’acqua e gli insediamenti della terra fertile.
Quello che vi posso dire, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, è che nessuno può vivere in simili condizioni. Il regime di occupazione del governo israeliano non rende più sicuro il paese, bensì lo mette in pericolo, trasformando la Palestina in un focolaio di disperazione, odio e violenza. Signora Commissario, le posso dire che la situazione è peggiorata, e di fatto peggiorerà ulteriormente, e nessuno può né deve stupirsene.
I politici trovano sempre ardua l’analisi delle misure militari, ma dal mio viaggio ho tratto la convinzione fondamentale, che vorrei condividere con voi, che questo regime di occupazione serve anche ad altri scopi: evidentemente, e innegabilmente, alla protezione degli insediamenti illegali e dei collegamenti tra questi. Serve altresì a mantenere le risorse idriche del paese in mano israeliana, per realizzare un sistema di acquisizione della terra grazie al quale i confini israeliani possano essere persino ampliati. Questo non può essere uno strumento di pace.
Come ho affermato poc’anzi, nessuno deve più mettere in discussione il diritto all’esistenza di Israele, e perciò, per quanto si possa essere critici verso quest’idea, e qualunque richiesta si possa avanzare a favore della pace in Israele, quel che voglio dire oggi è che dobbiamo chiedere che questo regime di occupazione venga abbandonato e che si aiuti a istituire uno Stato palestinese autosufficiente.
Luisa Morgantini (GUE/NGL). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, continuano a morire i palestinesi e tanti ne sono già morti in passato, di nuovo sono puniti collettivamente. La risposta dell’esercito contro un gruppo di terroristi, che vanno combattuti, ma di nuovo paga il popolo palestinese.
Sarebbe doveroso e responsabile riconoscere il nostro fallimento: comunità internazionali, partiti politici, movimenti, dopo quaranta anni l’occupazione militare israeliana continua e il muro sottrae acqua e terra al futuro Stato palestinese. La tragedia che si sta consumando è stata molte volte annunciata!
Dal 1980 parliamo di due popoli e due Stati: uno Stato esiste, l’altro, non c’è. La popolazione palestinese è senza libertà, umiliata, espropriata, ostaggio di gruppi estremisti che tengono in ostaggio la popolazione e anche la leadership. Non basta! Non basta davvero promettere che diamo più aiuti economici! La soluzione è politica: fermare l’occupazione militare, l’espansione degli insediamenti, riconoscere il governo di unità nazionale palestinese, lavorare per l’unità dei palestinesi e non per la loro divisione!
Mostrare che l’Unione europea crede alla legalità internazionale e lo dice ad Israele, che invece la viola continuamente. Un paese che giorno dopo giorno perde in realtà, come dice David Grossman, anche la sua moralità. Fare presto! Fare presto, perché palestinesi e israeliani e libanesi pagano il prezzo della nostra incapacità e dei nostri due pesi e due misure. Riconoscere il governo e anche forse porre una forza internazionale delle Nazioni Unite a Gaza e nella Cisgiordania. A mio parere è indispensabile!
Georgios Karatzaferis (IND/DEM). – (EL) Signora Presidente, subiamo tuttora le conseguenze di un errore commesso nel 1947. Se non si fosse avuto un riconoscimento unilaterale d’Israele e si fosse riconosciuto allora lo Stato palestinese, si sarebbe evitato un cospicuo spargimento di sangue. Un istituto di ricerche statistiche ha concluso che, se usato per le trasfusioni, tutto il sangue versato nella regione avrebbe potuto salvare un milione di bambini.
Tutte le tragedie che hanno avuto luogo sulle torri gemelle, a Londra, Madrid e altrove sono la conseguenza di questa politica del 1947, in cui perseveriamo ancora oggi. Perché entrare nei minimi dettagli? Domani avremo la forza di riconoscere lo Stato della Palestina? Così si farebbe un qualche passo avanti.
Fischiamo la fine dell’incontro quando il punteggio è 90 a 10. Quando l’arbitro fischia la fine con un punteggio di 50 a 50, abbandona il campo a testa alta. Quando fischia la fine e il punteggio è di 60 a 40, la partita è chiusa, ma quando l’incontro finisce con punteggio di 90 a 10, si scatena l’inferno sia sugli spalti che in campo.
Siamo perciò responsabili di questo inferno, perché abbiamo fischiato la fine dell’incontro quando il punteggio era di 90 a 10. Il mondo sta andando in rovina e ogni giorno in seno all’Assemblea si fa riferimento alle armi nucleari dell’Iran. Nessuno ha mai parlato delle armi nucleari d’Israele, il che è sbagliato. Se vogliamo essere giusti, se vogliamo credere ai nostri cittadini e godere della loro fiducia, dobbiamo amministrare la giustizia, e ci sarà giustizia solo con il riconoscimento dello Stato della Palestina.
Jean-Claude Martinez (ITS). – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, il muro di Berlino sarà caduto, l’impero sovietico apparterrà al passato, il mondo si sarà globalizzato, ma vi è almeno una cosa che non cambia mai, un luogo in cui la storia si è fermata, cioè la Palestina, la Palestina che sta diventando il buco nero dell’umanità: Gaza, i campi, i razzi, le intifade, gli attentati, una terra per due popoli, una lunga guerra che ormai va avanti da 60 anni. E’ anche un’immensa giungla di miti, con spianate, tombe, patriarchi, templi, moschee, monoteismo e cinismo, un cinismo condiviso, per di più, dai duri di ambo le parti. Da parte israeliana, vi è la tecnologia, la forza, l’eliminazione di Arafat, di Fatah, lo strangolamento economico, i prigionieri, in breve, tutto, ma decisamente nessun negoziato, meglio l’Iran che l’Iraq, meglio lo sciismo che il baatismo, mentre, da parte palestinese, i duri hanno chiaramente i dati demografici dalla loro parte nel lungo periodo.
Nel frattempo, tre generazioni sono già state sacrificate, e noi che cosa facciamo? Be’, facciamo dichiarazioni, visite, missioni umanitarie – non è vero, Segretario Solana? Questo è tutto! La verità è che la guerra discende dai conflitti europei del 1914-1918 e del 1939-1945, e che noi non facciamo quello che dovremmo, ma ci crogioliamo nell’ipocrisia. Sappiamo però che dovremmo andare oltre gli incontri indetti d’urgenza, che dovremmo porre fine all’embargo, che dovremmo investire, che abbiamo bisogno di un Camp David europeo, con tutte le parti interessate – non solo Israele, Palestina e il suo governo di unità, ma anche Siria, Iran e Libano – e sappiamo di dover affermare i due diritti, il diritto dello Stato d’Israele all’esistenza perenne, naturalmente, ma anche il diritto dello Stato palestinese a esistere ed essere riconosciuto.
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, la recente spirale di violenza fratricida tra la forza armata laica di Fatah e la milizia islamica di Hamas a Gaza è fonte di grave inquietudine, poiché ora vediamo le conseguenze dell’indebolimento della leadership israeliana in seguito alla guerra in Libano e di quello del Presidente palestinese Abbas, che deve trattare con i fondamentalisti religiosi appartenenti ad Hamas, che ha vinto le elezioni dello scorso anno. Gli esponenti di Hamas del governo di unità nazionale non sono evidentemente in grado di abbandonare le posizioni intransigenti fondate sulle idee teocratiche e oscurantiste che lo Stato d’Israele non possa mai essere riconosciuto esplicitamente, che la violenza dei terroristi sia giustificata e di non essere vincolati dagli accordi sottoscritti in precedenza dal compianto Presidente Arafat.
Perciò è evidente che questo governo di unità dell’Autorità palestinese non soddisfa i criteri del Quartetto e che l’Unione europea non può revocare la messa al bando di Hamas in quanto organizzazione terroristica né finanziare direttamente l’Autorità palestinese in questo momento, ma che deve invece affidarsi all’MTI per prestare i propri aiuti umanitari, che ora ammontano a più di 500 milioni di euro l’anno e che di fatto sono aumentati negli ultimi tre anni. Come dimostrano le recenti proposte della Lega araba, tra gli arabi cresce il consenso circa l’auspicabilità di una soluzione negoziata. Tutti gli israeliani riconoscono il danno arrecato alla loro economia e società dalle continue violenze in seguito alla pioggia di oltre 100 razzi Qassam lanciati da Hamas su aree civili. La settimana scorsa vi è stata un’uccisione che a mio avviso rappresenta un crimine di guerra ai sensi del diritto internazionale.
Solo gli estremisti, a quanto pare, temono la pace. Quali che siano le origini del conflitto in Medio Oriente, negli Stati arabi si riconosce in misura sempre maggiore che Israele continuerà a esistere, mentre gli ebrei del mondo intero possono comprendere che alla sicurezza a lungo termine di Israele si rende un miglior servizio riconoscendo le legittime aspirazioni del popolo palestinese ad avere a sua volta un proprio Stato sicuro.
L’Autorità palestinese, tuttavia, deve innanzi tutto essere in grado di garantire la legge e l’ordine sul proprio territorio, cosa in cui al momento fallisce clamorosamente. Assicurare il rilascio del reporter della BBC Alan Johnston e del soldato rapito, il caporale Shalit, sarebbe un primo passo eccellente, che creerebbe un clima propizio alla ripresa della vitale roadmap per i colloqui di pace.
Hannes Swoboda (PSE). – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, chiedo scusa per il fatto che dovrò lasciare l’Aula al termine del mio intervento, in quanto devo presiedere un altro incontro. So che non è educato, ma vi prego di capire e di scusarmi.
Naturalmente è indubbio che Israele abbia il diritto di difendersi dai razzi Qassam, il cui lancio contro i civili e le loro strutture rappresenta un crimine. E’ una provocazione contro Israele, ma anche contro il governo attualmente al potere in Palestina. Si potrebbe persino dire che è quest’ultimo l’obiettivo principale. Che cosa fa l’Unione europea al riguardo?
Mi rincresce dover dire al Presidente Gloser che la risposta che ha fornito – a nome della Presidenza del Consiglio, naturalmente – è del tutto insoddisfacente, non meno di quella data nel corso dell’ultimo dibattito.
Non facciamo nulla per potenziare le uniche forze capaci di prendere provvedimenti contro i terroristi. Non cambieranno nulla né le nostre dichiarazioni né, purtroppo, le azioni militari compiute da Israele per rappresaglia, per quanto giustificate possano essere in singoli casi, se l’Unione europea non darà una chance a questo governo. Dico “governo”, perché è cinico decidere quali singoli ministri incontrare e quali evitare; l’ultima volta ho affermato che il Presidente del Consiglio stava intrattenendo incontri con il ministro degli Esteri israeliano, che però, quando si è trattato di incontrare il suo omologo palestinese, ha detto di non avere la consuetudine di incontrare ministri degli Esteri. Un simile modo di procedere non produrrà certo alcun risultato.
Non nutro alcun desiderio di rendere la vita difficile al Commissario per le relazioni esterne, che però, in effetti, ha parlato di sostegno al governo e non ai singoli ministri, e se da entrambe le parti si dice che si deve sostenere il Presidente Abbas, di fatto non lo si fa negando il proprio sostegno al suo governo e non permettendogli di intervenire contro il terrorismo e coloro che lo praticano.
Questo è il problema; se l’Europa non s’impegna in questo senso, tutti questi discorsi non ci porteranno a nulla, perché la pace si può creare solo dall’interno, e ci sarà pace solo se, in Palestina, vi saranno grandi forze che possano mettere in pratica la loro volontà grazie al sostegno – politico, morale o finanziario – dell’Unione europea nella lotta contro i terroristi. Così si aiuterà sia Palestina che Israele. Vorrei ribadire nuovamente che, se si vuole aiutare Israele, si deve dare una chance a questo governo. Non vale la pena di prendere in seria considerazione nient’altro.
Vittorio Prodi (ALDE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, grazie alla Presidenza e alla Commissione per la loro presenza. Chiaramente il tempo disponibile mi permette solo di formulare alcune riflessioni.
La Palestina è una questione grave e urgente, si trova in una condizione di avvitamento che dobbiamo cercare di correggere. Il governo di unità nazionale è il solo interlocutore, dobbiamo prenderne atto in modo realistico e cercare di guadagnare tempo con un’azione di speranza verso la Palestina. E’ possibile arrivare anche ad una forza di interposizione e avere il coraggio, come Unione europea, di essere il garante comune della sicurezza di Israele e della Palestina, sullo sfondo di una politica che deve essere di apertura al mondo arabo, a cominciare dall’intero Mediterraneo, pertanto senza isolare questo conflitto dal problema generale del rapporto tra Islam e Occidente.
Credo in un sogno: avere un’Organizzazione delle Nazioni Unite riformata con sede a Gerusalemme, in modo tale che effettivamente si possa dare questo tipo di speranza. Ci si può lavorare; credo che potremmo farlo!
Paul van Buitenen (Verts/ALE). – (EN) Signora Presidente, la Carta di Hamas è un testo sacro con tre sigilli islamici. Diversamente dalla laica OLP, Hamas non riconosce il concetto di pace. Può darsi che l’OLP voglia una soluzione a due Stati, ma Hamas vuole eliminare Israele.
Che cosa dice la Carta di Hamas? All’articolo 7 parla di un ordine mondiale islamico e dell’eliminazione di tutti gli ebrei. Gli articoli 22 e 28 dicono che gli ebrei sono all’origine della rivoluzione francese e russa, della Prima e della Seconda guerra mondiale, nonché delle Nazioni Unite, dell’abuso di droghe e alcol, e del controllo dei mezzi di comunicazione di massa. Fermare il conflitto con Israele è alto tradimento e i responsabili verranno scomunicati ai sensi dell’articolo 32.
La cooperazione con Hamas renderebbe l’Unione europea moralmente responsabile di un processo di pace che porterebbe all’eliminazione d’Israele. Dobbiamo aiutare i palestinesi, ma non favorendo il programma di Hamas.
Bastiaan Belder (IND/DEM). – (NL) Signora Presidente, all’inizio di febbraio sul quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung è apparso un articolo a tinte decisamente fosche sulla missione di polizia dell’Unione europea nelle regioni palestinesi. Il leader uscente, cittadino britannico di nome MacGyver, non ha usato mezzi termini nell’affermare: “Qui si lavora in un ginepraio di disonestà e corruzione”.
A distanza di alcuni mesi, l’escalation nella rivalità tra Fatah e Hamas ha solo peggiorato le cose. E’ dunque necessario chiedersi quanto sia significativo per Commissione e Consiglio proseguire la missione comunitaria volta a istituire una forza di polizia civile in Cisgiordania e a Gaza. Difficilmente ci si vorrà fare carico di parte delle responsabilità della dilagante illegalità nella regione.
Nel frattempo, ieri l’agenzia di stampa Reuters ha annunciato che l’Unione europea prorogherà di un anno la missione di frontiera a Rafah, con il motto eloquente e immutato “I palestinesi sono responsabili della frontiera”. La loro polizia è certa di riuscire a ostacolare i trafficanti di armi, droga, denaro ed esseri umani, secondo i palestinesi ben informati, come quello con cui ho parlato io. Vorrei rivolgere la stessa domanda a Consiglio e Commissione: siete disposti a far fronte alla vostra responsabilità al riguardo, e a farlo con spirito di umiltà?
Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, chiedo la vostra comprensione per il fatto che, al momento, posso fare solo qualche breve commento, in quanto alle 18.00 ho un incontro con la vostra commissione per gli affari esteri, in cui esaminerò e valuterò l’ultima riunione del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”.
Pur comprendendo le vostre parole, e soprattutto ciò che avete detto sulla scorta dei vostri viaggi e colloqui, vorrei chiedervi di prendere nota anche del fatto che è stata l’Unione europea, e in particolare le Presidenze precedenti e quella attuale, ad aver effettivamente fatto qualcosa per rilanciare il Quartetto per il Medio Oriente e per riavviare un qualche processo, senza il quale l’iniziativa saudita non si sarebbe avuta. Perciò vi chiederei di cogliere le sfumature e di ricordare che alcune cose non si possono attribuire all’immobilità di certi fondi. Dopo tutto si tratta di un conflitto interno alla Palestina. Senza dubbio, come ho spiegato nella dichiarazione a nome della Presidenza, nei nostri colloqui con Israele abbiamo detto esplicitamente che i fondi giustamente dovuti ai palestinesi, sotto forma di diritti doganali e tributi fiscali, vanno loro restituiti se si vogliono garantire diverse misure infrastrutturali. Il Commissario Ferrero-Waldner ha parlato in diverse occasioni, e soprattutto con il Consiglio, del sostegno dato dall’Unione europea negli ultimi mesi. I cittadini possono di tanto in tanto aver avuto l’impressione che paghiamo troppo poco o che non paghiamo nulla, ma di fatto è vero il contrario, in quanto l’Unione europea ha trasferito, in un periodo molto critico, più fondi di quanti ne avesse concessi in precedenza in circostanze diverse.
All’onorevole Davies vorrei dire che non vogliamo che i palestinesi debbano essere considerati quasi dei santi perché si aspettano tutto, ma una cosa che è emersa con chiarezza dalla Conferenza della Mecca durante i tentativi di comporre un governo di unità nazionale è che occorre soddisfare le condizioni su cui il Quartetto per il Medio Oriente ha sempre insistito, ossia il diritto all’esistenza d’Israele, la rinuncia alla violenza, nonché l’adempimento degli obblighi assunti dal precedente governo. Qualcosa si muove, ma finora non vi è chiarezza circa l’impegno del governo in tal senso. Non abbiamo assolutamente motivo di erigere una sorta di muro; è probabile che il governo di unità nazionale compia questo passo e che vengano raggiunte le condizioni richieste. In fin dei conti, non la trattiamo come una questione marginale; a ogni riunione, il Consiglio valuta come si possano compiere progressi. Come ho già detto, la Presidenza sta cercando di organizzare, nell’immediato futuro, una riunione del Quartetto per il Medio Oriente, proprio perché ne comprende l’importanza. L’Alto rappresentante, che attualmente si trova a Beirut, molti chilometri più a nord, sa che non si tratta soltanto di Palestina e Israele, ma anche della questione della sicurezza del Libano e del suo diritto all’autodeterminazione.
Invito pertanto ad andare al di là delle mere parole e a tentare di far decollare alcune iniziative, non solo perché vi possa essere dialogo tra Israele e Palestina, ma anche affinché si possano concedere aiuti finanziari e si possa – come ho appena tentato nuovamente di fare – chiedere a Israele di favorire la libertà di circolazione dei palestinesi, in modo che non siano più chiusi in gabbia come adesso, in una situazione che non può soddisfare nessuno. Mi scuso con l’Assemblea, ma ora devo proprio lasciare il dibattito.
Jana Hybášková (PPE-DE). – (CS) Signora Presidente, signora Commissario, grazie per la vostra presenza in Aula quest’oggi. Diversamente da molti deputati al Parlamento europeo, sono stata in Palestina più di una volta. In accordo con gli auspici di tutti i presenti, Israele ha lasciato Gaza e l’ha consegnata a un governo libero ed eletto democraticamente. Pertanto Gaza non è un avamposto militare, ma un paese devastato dall’estremismo, dal fondamentalismo, dal terrorismo, dalla corruzione e dal cinismo degli stessi signori della guerra palestinesi.
Onorevoli colleghi, siamo tanto ingenui da credere che elargire altre centinaia di milioni di euro senza orientamenti chiari farà astenere Jund Al-Islam o Mohamed Dahlan da ulteriori atti di violenza? Pensiamo in tutta onestà che legittimare signori della guerra e terroristi come Khaled Mashal o Dahlan porterà la pace nella regione? Per fortuna Consiglio e Commissione hanno assunto una posizione ferma e chiara, e per questo vorrei ringraziarli. Sono grata che, su questa questione spinosa, abbiano adottato la posizione giusta. Dobbiamo respingere la violenza e rendere omaggio alle vittime di Gaza e della Cisgiordania. Dobbiamo affermare esplicitamente la nostra opposizione al fatto che Hamas sfrutti il proprio potere in seno al governo palestinese per attaccare Israele, al fine di promuovere i propri interessi spaventosamente estremisti. Vorrei mettere in guardia dalla collaborazione con Hamas, e anche con i suoi membri che fanno parte del governo, in quanto è chiaramente proibito, o con nuove organizzazioni legate ad Al-Qaeda quali Fatah Al-Islam e Jund Al-Islam.
Chiediamo al governo palestinese non solo di riconoscere lo scambio di lettere tra Rabin e Arafat, ma anche di smettere di mentire circa l’adempimento delle condizioni fondamentali per il riconoscimento d’Israele. Chiediamo al governo palestinese e a tutti gli uomini politici arabi, soprattutto sauditi ed egiziani, di ammettere tutte le proprie responsabilità politiche e umane e di entrare subito in trattative di pace che implichino il pieno riconoscimento dello Stato d’Israele entro confini internazionali debitamente riconosciuti. Chiediamo a Fatah di avviare senza indugio i negoziati con Hamas per la distribuzione del potere in seno all’ufficio del Presidente. Solo assumendo la posizione giusta ed esplicitando il nostro punto di vista potremo davvero prestare aiuto umanitario e, soprattutto, sostenere la nascita di uno Stato palestinese indipendente e democratico.
Jamila Madeira (PSE). – (PT) Signora Presidente, signora Commissario, come hanno affermato i precedenti oratori, il Parlamento si trovava in Palestina all’inizio del mese. E’ stato un momento di grande tensione, ma ora, a due settimane di distanza, tale tensione è cresciuta, e purtroppo i cittadini della regione si aspettano sempre meno dall’Unione europea. Nonostante le diverse fonti di tensione, il Parlamento ha cercato di essere presente sul campo. In effetti così è stato, e oggi, nonostante la tensione sia aumentata, anche Javier Solana si trova nella regione.
Abbiamo assistito alla tragedia umana che il Commissario Ferrero-Waldner ha descritto, e che senza dubbio riconoscete. Abbiamo altresì visto un muro lungo 852 km che, allo scopo di combattere la violenza e mettere al sicuro Israele dagli attacchi arabi, ha invaso il 25 per cento del territorio della Cisgiordania e ha annesso territori centrali a qualunque accordo di pace che si fondi sul piano del 1967. Si tratta di un muro che confina le persone in casa, che impedisce ai bambini di andare a scuola e ai contadini di coltivare la terra. Si tratta di un muro che ha fatto di Gaza la più nota prigione a cielo aperto del mondo, prigione in cui, secondo una decisione presa dalla polizia israeliana all’inizio del 2006, nessuno – o meglio niente – deve entrare o uscire.
In questo contesto, tutti stiamo a guardare perplessi, negando qualunque coinvolgimento. Oggi speriamo che gli occhi e il cuore di Javier Solana possano trasmettere in nostra vece un po’ di speranza a queste persone. Quando ci trovavamo nella regione, abbiamo trasmesso il messaggio e riconosciuto il governo richiesto dal Quartetto, e oggi chiediamo sostanzialmente che continui a essere così. Speriamo che Consiglio e Commissione onorino questo impegno, adempiano ai propri obblighi e siano disposti a lavorare con tutti.
Occorre esprimere con la maggior chiarezza possibile che cosa è davvero disposta a fare l’Unione europea. Dimostriamo ancora una volta al mondo che la pace si può raggiungere solo tendendo la mano a chi ne ha bisogno e cancellandone la disperazione.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signora Presidente, innanzi tutto vorrei dire che, ascoltando il dibattito, il quadro complessivo mi è parso alquanto limitato. Seguendolo, qualunque cittadino istruito potrebbe pensare che numerosi deputati al Parlamento europeo abbiano una conoscenza molto limitata della storia della regione palestinese e israeliana. Com’è nato lo Stato d’Israele? Che cos’è la Dichiarazione di Balfour? Qual era la risoluzione delle Nazioni Unite all’epoca? Qual era la base della divisione? E così via dicendo. E’ deplorevole che noi parlamentari non compiamo per primi il nostro dovere, ma veniamo a parlare con grande partecipazione emotiva di cose che non necessariamente conosciamo. Per questo motivo è opportuno fermarsi a pensare qual è il vero problema della regione, acquisendo una visione d’insieme al riguardo, anziché limitarsi a qualche accenno momentaneo.
Noi europei dobbiamo sostenere la democrazia e non il terrorismo. I nostri valori sono i diritti umani, la libertà di pensiero e lo Stato di diritto. Dobbiamo attenerci ad essi. Se questi sono i nostri valori, inoltre, non possiamo riconoscere il “governo di unità nazionale”, che è un’organizzazione terroristica guidata da Hamas. Non possiamo riconoscerlo: in quanto europei, dobbiamo rispettare i nostri valori democratici.
Frieda Brepoels (PPE-DE). – (NL) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, in seguito alla nostra visita di inizio maggio in Cisgiordania e a Gaza, non posso fare altro che concludere che siamo più lontani che mai da una soluzione strutturale, nonostante l’accordo raggiunto 40 anni or sono.
In Cisgiordania si stanno costruendo numerosissimi insediamenti illegali. Possiamo solo stare a guardare mentre il numero di posti di controllo aumenta, anziché diminuire. A Gaza, l’87 per cento dei cittadini vive al di sotto della soglia di povertà. Vi sono ancora 41 deputati al parlamento palestinese dietro le sbarre e il tema del ritorno dei rifugiati non si sfiora nemmeno. Il muro, in effetti, sta diventando il più grande del mondo, cosa di cui Israele può di certo andar fiero.
Cionondimeno, anche i palestinesi hanno diritto all’autodeterminazione e a un’esistenza dignitosa, e sono disposti a fare sacrifici e compromessi. Hanno dimostrato in modo esplicito e in numerose occasioni di volere pace e prosperità per il loro popolo.
Ma è ancora questo ciò che la comunità internazionale e l’Unione europea vogliono davvero? Talvolta me lo domando, soprattutto oggi, quando ho sentito il Commissario Ferrero-Waldner dire che, in seguito ai colloqui con il Ministro, ha sentito il governo di unità nazionale chiedere di dare il proprio sostegno, e che il Presidente Abbas ha espresso la medesima richiesta. Perché dunque non riconoscete il governo? Che cosa aspettate veramente? Quando darete finalmente sostegno diretto all’Autorità palestinese?
Ho udito la Presidenza parlare delle richieste del Quartetto, ma non dobbiamo attendere una nuova riunione del Quartetto. L’Unione europea potrebbe assumersi un ruolo di guida al riguardo. Dobbiamo parlare con il governo nel suo insieme.
In conclusione, signora Commissario, lei afferma che si stanno sfruttando tutti gli strumenti a disposizione per costringere Israele a restituire le entrate fiscali ai palestinesi. Non riesco a immaginare a quali strumenti si riferisca e vorrei saperne di più, perché credo che ora non vi sia tempo da perdere.
PRESIDENZA DELL’ON. DOS SANTOS Vicepresidente
Béatrice Patrie (PSE). – (FR) Signor Presidente, oggi dobbiamo affrontare nuovamente la terribile situazione in Medio Oriente. Dal 6 maggio, 36 palestinesi, tra cui 11 civili, sono morti in seguito ai raid israeliani su Gaza. Sull’altro fronte, 146 razzi sono stati lanciati contro la città israeliana di Sderot, ferendo 6 persone. I palestinesi combattono tra loro. In Libano i 3 000 rifugiati del campo di Nahr Al-Bared pagano il prezzo della lotta tra l’esercito libanese e gli estremisti di Fatah Al-Islam. A tale proposito, dichiariamo esplicitamente che non vi è mai alcuna giustificazione per l’uccisione delle popolazioni civili.
Più in generale, dobbiamo chiedere un cambiamento radicale della politica europea per il Medio Oriente. Non è più accettabile rifiutarsi di sostenere politicamente e finanziariamente, e senza eccezioni, un governo di unità nazionale palestinese che abbiamo fortemente invocato e che, se dobbiamo credere al ministro degli Esteri palestinese, che abbiamo ricevuto di recente, innanzi tutto rispetta il pluralismo politico, in secondo luogo non mette in discussione l’esistenza dello Stato israeliano, in terzo luogo chiede il riconoscimento di uno Stato palestinese entro i confini del 1967 e, in quarto luogo, rinnova il proprio impegno nei confronti delle risoluzioni dell’ONU e di quelle arabe, in particolare per quanto concerne la questione dei rifugiati.
Siamo lucidi: l’iniziativa di pace elaborata nell’ambito del Vertice di Riyadh non ha alcuna possibilità di riuscita se noi europei non ci adoperiamo per togliere l’assedio politico ed economico di cui è vittima il governo palestinese. Quindici mesi di ostruzionismo, il 70 per cento della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà e la disoccupazione al 50 per cento offrono l’humus ideale per il fondamentalismo e il terrorismo, ma non mettono il governo nelle condizioni migliori per ripristinare l’ordine. Dal momento che invitiamo il governo palestinese ad assumersi le proprie responsabilità, dobbiamo assumerci le nostre.
Marios Matsakis (ALDE). – (EN) Signor Presidente, da bambino ero felice di credere che tutti fossero uguali. Da giovane sono rimasto sconvolto quando ho capito quanto mi sbagliavo, e che in realtà vi erano due categorie di persone: quelle le cui vite contano e quelle le cui vite non contano. In seguito sono entrato in politica e mi hanno insegnato che ciò che conta davvero non è quello che è giusto, ma quello che fa guadagnare voti.
Oggi, in qualità di deputato al Parlamento europeo, mi sono finalmente fatto l’opinione – che ad alcuni sembrerà semplicistica e cinica – che davvero esistono due categorie di persone: quelle che piacciono al governo americano e quelle che non gli piacciono. Su questa base, i palestinesi possono essere umiliati, ridotti alla fame, imprigionati senza processo, torturati, giustiziati e così via, e non importa un granché, perché l’amministrazione Bush e i suoi servi fedeli, ossia i “blairini” di questo mondo, non considerano i palestinesi esseri umani.
Perciò perché perdere tempo a discutere della Palestina quando sappiamo che non ne verrà nulla di significativo? Se davvero la questione ci sta a cuore, dobbiamo indirizzare i nostri sforzi verso il capo supremo del pianeta, George Bush, per cercare di convincerlo che i palestinesi in realtà sono esseri umani. Se ci riusciamo, cosa di cui dubito fortemente, forse potremo dare un contributo costruttivo alla risoluzione della questione palestinese.
Filip Kaczmarek (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, tutti desideriamo la pace in Medio Oriente. Cionondimeno, l’idea che l’Unione europea debba ripristinare l’intero pacchetto di aiuti finanziari diretti a favore del governo dell’Autorità palestinese è decisamente prematura.
Svolgere elezioni democratiche in un paese non basta per giustificare la concessione di aiuti europei. L’Unione europea senza dubbio rifiuta di spendere il denaro dei contribuenti in numerosi paesi democratici.
Credo vi siano fondamentalmente due casi in cui si respinge tale spesa. In primo luogo, se il paese in questione semplicemente non necessita del nostro aiuto. In secondo luogo, se il paese interessato non riconosce o non attua principi fondamentali che l’Unione europea reputa essenziali.
Questo secondo caso è quello della Palestina. Sostanzialmente, il disaccordo in materia di finanziamenti non s’incentra su Israele o Palestina, bensì sui nostri stessi principi. Il potenziale beneficiario si rifiuta di riconoscere il diritto del donatore di attuare alcuni principi fondamentali.
Non dobbiamo passare il tempo a parlare di quando usare il termine “terrorismo” o “lotta per la libertà”. Dovremmo invece chiederci se è possibile sostenere un’organizzazione il cui programma si fonda sulla promozione dell’uso della forza ai danni del prossimo. Possiamo sostenere coloro che non vogliono veramente la pace? La risposta al quesito se si debbano finanziare autorità che non aspirano alla pace è scontata, o così sembrerebbe. Non si deve. Le ragioni per cui non dobbiamo concedere il sostegno non hanno nulla a che vedere con il caos nell’Autorità palestinese, né con l’incertezza su quanto potrà durare il governo di unità nazionale. Non hanno nulla a che fare con la durata dell’effettivo esercizio del potere da parte di tale governo. Non hanno nulla a che vedere nemmeno con il fatto che la scorsa settimana 50 palestinesi sono stati uccisi negli scontri tra Hamas e Fatah, né hanno a che vedere con il fatto che le trasmissioni televisive per bambini dell’emittente Al-Aksa invitano i piccoli palestinesi a contribuire alla distruzione di Israele e a partecipare alla guerra. La principale ragione per cui non dobbiamo concedere aiuti è che dobbiamo essere fedeli ai nostri principi, ai nostri valori e al nostro passato.
Va detto con chiarezza che la scelta tra vittoria e martirio offerta dal Primo Ministro Hanieh presenta un vizio di fondo e nuoce agli interessi nazionali del popolo palestinese.
David Martin (PSE). – (EN) Signor Presidente, le parole del Commissario Ferrero-Waldner mi hanno lievemente rincuorato, mentre quelle del Consiglio, francamente, mi hanno del tutto scoraggiato. Sembra incredibile che il Consiglio non riconosca che la creazione di un governo di unità nazionale in Palestina ha rappresentato un grande rischio politico sia per Fatah che per Hamas. La piattaforma del governo di unità è una piattaforma negoziale che persegue la pace, cosa che il Consiglio non ha riconosciuto.
Penso sia ora – e credo che ormai lo pensi la maggioranza dell’Assemblea – di porre fine a ogni restrizione nei nostri rapporti con l’Autorità palestinese. Il Commissario Ferrero-Waldner oggi ha detto che manca poco per soddisfare le condizioni per il rinnovo degli aiuti diretti. Signora Commissario, non restiamo in attesa di protezioni. La prego di andare alla prossima riunione del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” chiedendo il riconoscimento del governo di unità nazionale dell’Autorità palestinese. Se il governo palestinese non manterrà le promesse, allora potremo naturalmente interrompere le trattative e i rapporti che intratteniamo con tale governo, ma diamogli una possibilità.
Non cooperare con il governo palestinese non contribuisce a porre fine alla spirale di violenza né a risolvere la grave crisi umanitaria che tanti miei colleghi hanno profusamente descritto questo pomeriggio. Non cooperare con il governo palestinese non contribuisce nemmeno a spronare Israele a porre fine ai suoi attacchi finanziari e militari alla Palestina. Anche oggi il viceministro della Difesa d’Israele ha avvertito che il suo paese potrebbe decidere di procedere all’esecuzione extragiudiziale del leader di Hamas, l’attuale Primo Ministro palestinese. Qualcuno crede davvero che simili azioni contribuirebbero al processo di pace?
Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Signor Presidente, dopo il tragico fallimento, negli ultimi 5 anni, della ricerca da parte dell’amministrazione Bush di un accordo di pace tra Israele e Palestina, l’iniziativa araba per la pace è un raro raggio di sole. Il rilascio del caporale Shalit, di Alan Johnston e dei 40 legislatori palestinesi creerebbe il tanto necessario clima di collaborazione. Il fatto che l’Unione europea e gli Stati Uniti mantengano i contatti con i ministri degli Esteri e delle Finanze palestinesi dimostra che non vi è alcun boicottaggio né alcuna carenza d’impegno, e le centinaia di milioni di euro di aiuti umanitari significano che non siamo indifferenti alle condizioni in cui versa la popolazione.
E’ tuttavia molto difficile pensare di ripristinare il sostegno finanziario all’Autorità palestinese, visto che il governo di unità nazionale non ha soddisfatto, benché alcuni affermino il contrario, le richieste del Quartetto. Anche se non attribuiamo al Primo Ministro Haniyeh le continue dichiarazioni dei portavoce di Hamas, che giurano di voler distruggere Israele, non possiamo ignorare che proprio ieri sera egli ha invocato Dio o il martirio per richiamare a sé i palestinesi. I colleghi che desiderano sostenere pragmaticamente che il governo di unità nazionale è quanto di meglio ci sia sul mercato devono attenersi a tale giustificazione per aver cenato con i suoi esponenti, senza cercare di convincerci di qualcosa che non si è verificato.
John Bowis (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, il nostro messaggio a ciascun israeliano, a ciascun palestinese, a ciascun membro di Hamas o di Fatah dev’essere: nel nome del tuo Dio e per il bene dei tuoi figli, fatti da parte!
Oggi il portavoce israeliano minaccia di uccidere il Primo Ministro eletto della Palestina, Hamas minaccia vendetta, Fatah e Hamas combattono a fasi alterne l’uno contro l’altro, e l’uccisione di una famiglia palestinese su una spiaggia di Gaza ha portato alla cattura del soldato Shalit, il che ha condotto all’attacco e al contrattacco, in un’infinita spirale di ritorsioni. Fermatevi, pensate, parlate. Rilasciate il soldato Shalit, liberate Alan Johnston, rilasciate il Presidente e i 40 membri del parlamento palestinese eletto. E all’Unione europea dico: trattate sia con il parlamento palestinese che con quello israeliano.
In secondo luogo, si dice di voler trovare il modo di eliminare le cause della violenza, e la causa maggiore è la povertà. La povertà in Palestina è salita alle stelle, e la povertà nasce dalle entrate fiscali trattenute, dalla mancata retribuzione degli impiegati, dagli embargo commerciali e bancari. E’ tempo che tutto questo finisca, prima che si trasformi in ulteriore violenza. E’ tempo di bloccare ed eliminare gli insediamenti illegali. E’ tempo di fermare ed eliminare quel muro spaventoso, crudele, immorale, ed è tempo, signora Commissario, di pubblicare il documento compilato dai capi delle missioni a Gerusalemme e a Ramallah, che hanno riportato le proprie osservazioni su Gerusalemme est e che in sintesi dicono che le attività d’Israele a Gerusalemme violano sia gli obblighi della roadmap che il diritto internazionale.
Portiamo tutto alla luce del sole; parliamone, e poi convinciamo tutti a riflettere sul futuro dei propri figli, a porre fine alla violenza e a impegnarsi per la pace.
(Applausi)
Libor Rouček (PSE). – (CS) La violenza e i tumulti proseguono nei territori palestinesi. Le agenzie di stampa mondiali quotidianamente danno notizia del numero di feriti e di morti. Nonostante le ripetute dichiarazioni di tregua tra Fatah e Hamas, il conflitto armato tra le due fazioni continua. Anche il bombardamento della città di Sderot dalla striscia di Gaza e le ritorsioni da parte israeliana proseguono. Gli operatori sanitari e gli insegnanti palestinesi hanno indetto uno sciopero, e i poliziotti, insieme ad altri dipendenti pubblici, non sono stati pagati. Come si è detto in numerose occasioni, la povertà cresce rapidamente. Più dell’80 per cento dei palestinesi nella striscia di Gaza vive con meno di due dollari al giorno.
In conclusione, Palestina e Israele hanno bisogno del nostro aiuto, perché da soli non riusciranno a sfuggire alla spirale di violenza. Mi considero tra quei deputati al Parlamento europeo che invocano un sostegno comunitario più ampio e intenso. Pertanto vorrei invitare nuovamente la Commissione a fare tutto il possibile per mobilitare l’assistenza internazionale con la massima rapidità ed efficienza. Penso che se così non sarà, aumenteranno le probabilità che l’autogoverno palestinese collassi completamente e che si scateni una guerra civile a tutto campo, con conseguenze incalcolabili non solo per la Palestina, ma anche per l’intero Medio Oriente. Lo stesso si può dire anche del Libano.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, è stata una discussione molto appassionata, e ne comprendo appieno il motivo, in quanto, come ho detto in precedenza, tutti proviamo una grande frustrazione. Si deve però comprendere che, negli ultimi 10 anni, l’Unione europea ha davvero tentato di svolgere un ruolo importante nel processo di pace – non per inasprire il conflitto, ma per stabilire la pace, o contribuire a farlo. In fin dei conti sono pur sempre le due parti in causa a doversi rendere disponibili, ma noi facciamo pressioni in questo senso. Dunque siamo stati ben lieti di svolgere un ruolo importante e influente in seno al Quartetto.
Possiamo però solo agire da promotori di tale pace, il che significa che dobbiamo guardare a entrambe le parti. Non possiamo rivolgerci solo a una di esse, e per questo pensiamo di aver abbracciato i tre principi del Quartetto quali importanti principi fondamentali. In realtà è il Consiglio, non la Commissione, che può riconoscere il governo: vi sono 27 Stati membri. Comprendo che mi rivolgiate questa richiesta, ma non sono io a poter prendere tale decisione.
So che vi è uno strumento che indirettamente avete menzionato: la cancellazione o sospensione dell’accordo di associazione con Israele; pensate davvero che farebbe una qualche differenza? Io non lo credo. Non saremmo più promotori del processo, e quindi sarebbe uno strumento inopportuno in questo momento.
Lo strumento di cui disponiamo è un continuo dialogo politico in cui tutte le parti lavorano con tutte le altre, ma è vero che nel Quartetto vi sono anche altri membri, per esempio gli Stati Uniti d’America, come si è detto. E’ molto importante che sentiamo provenire una spinta anche da quella parte. Negli ultimi mesi abbiamo visto un impegno molto più consistente da parte degli Stati Uniti, in particolare di Condoleezza Rice. Tutti ne siamo stati lieti e abbiamo tentato di compiere passi avanti. La Presidenza tedesca, e soprattutto Angela Merkel, ma anche il ministro degli Esteri Steinmeier, si sono davvero adoperati per conseguire progressi.
A una soluzione politica non si potrà mai arrivare con la violenza, quella violenza cui purtroppo ora assistiamo di nuovo. Posso promettere – il che rientra nelle competenze della Commissione – che stabiliremo ulteriori contatti con il governo di unità nazionale, come abbiamo iniziato a fare. Come abbiamo detto, però, la nostra politica prevede un impegno graduale, e non possiamo fare tutto. Anche Salam Fayad mi ha detto, durante il nostro primo incontro dopo la formazione del governo, che avrei avuto bisogno di un po’ di tempo per rimettere ordine nel caos del ministero delle Finanze – attività ancora non del tutto conclusa. Perciò ci siamo quasi, le condizioni tecniche ci sarebbero, ma sapete anche che il Consiglio deve darci sostegno politico. Vorrei che lo capiste.
Penso che la situazione sia molto drammatica, e mi auguro che il Consiglio comprenda che dobbiamo impegnarci per aiutare questo governo di unità nazionale a ottenere la piattaforma adeguata per proseguire il processo di pace e i colloqui sull’orizzonte politico. Sappiamo che la situazione è complicata, e per questo motivo ho detto che vedo almeno un po’ di autentica speranza nel fatto che il ministro degli Esteri Livni parteciperà alla prossima riunione del Consiglio dopo l’incontro molto positivo con la Lega araba, ma in pratica concordo sull’estrema difficoltà della situazione e, per di più, sono anche le fazioni e i diversi gruppi radicali al di fuori del governo a voler mettere a rischio l’intero processo. Concordo che si tratta di un circolo vizioso che dobbiamo tentare di spezzare.
Un onorevole deputato ha detto che abbiamo prorogato la missione di sorveglianza del valico di frontiera di Rafah. Lo abbiamo fatto perché riteniamo importantissimo che vi sia la libertà di circolazione delle merci e delle persone. Vi ho lavorato io stessa con il Primo Ministro Olmert. Ricordo la mia ultima visita, che ho compiuto per condurre un’analisi davvero dettagliata. Vi sono però problemi di sicurezza. Purtroppo alle frontiere giungono gli attentatori kamikaze, ingenti fondi sono oggetto di frode, e così vi sono sempre i due fronti del conflitto, ma reputiamo importante aver prorogato la missione al valico di frontiera di Rafah, perché solo con l’Unione europea esiste la possibilità di un’apertura.
Ci stiamo impegnando. Stiamo altresì lavorando con il ministro delle Finanze, non solo per quanto riguarda il meccanismo temporaneo internazionale (MTI), ma anche il rafforzamento delle istituzioni e l’assistenza tecnica, prestando aiuto soprattutto in merito alla dogana, all’esazione fiscale e alla revisione contabile. Salam Fayad lo ha richiesto, e perciò collaboriamo. Ho detto che valuteremo altresì l’eventualità di finanziare, attraverso l’MTI, alcune richieste particolari, e quindi non solo ciò che abbiamo finanziato finora per aiutare la popolazione a sopravvivere, ma qualcosa con cui andare oltre.
Questo è quanto posso offrirvi ora, in questa situazione delicata e difficile. Dobbiamo continuare a insistere e ad avvicinare le diverse parti. Mi auguro che la finestra di opportunità sia ancora aperta.