Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, benché io appoggi la relazione dell’onorevole Mauro, deploro che sia in essa sia nel progetto della Commissione manchi qualsiasi accenno a sovvenzioni comunitarie legate alle misure per la tutela dall’inquinamento acustico prodotto dal traffico ferroviario e stradale. Per quanto grande sia il lavoro da fare, occorre tenere conto anche di chi risiede nelle vicinanze, e non solo della sua salute ma anche del suo grado di accettazione del lavoro.
Chiedo perciò che le norme per la tutela dall’inquinamento acustico prodotto dai veicoli su rotaia vengano modificate il più presto possibile, così da prevedere valori massimi più bassi e promuovere misure di abbattimento del rumore contestualmente alla promozione dell’ampliamento delle reti transeuropee.
Andreas Mölzer (ITS). – (DE) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Mauro perché il volume del traffico in Europa sta crescendo enormemente e le strade intasate e le continue code fanno presagire un collasso imminente del sistema dei trasporti. Anche se abbiamo stabilito già tanti anni fa quali progetti avrebbero costituito le reti di comunicazione transeuropee, siamo ancora ben lontani dal metterli in pratica, cosicché quello che dovrebbe essere il capolavoro europeo somiglia sempre di più a un patchwork.
Inoltre dobbiamo fare qualcosa per rendere i viaggi ferroviari più piacevoli e ritengo che ciò sia necessario non solo per il traffico transnazionale ma anche, e in misura maggiore, per quello locale.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Sebbene la proposta di regolamento sulla concessione di un contributo finanziario della Comunità nel settore delle reti transeuropee di trasporto e dell’energia determini un incremento del livello attuale di cofinanziamento comunitario, il documento rimane al di sotto di quanto prevedeva la proposta originaria, sia per le reti di trasporto che per quelle dell’energia, a causa del cattivo accordo sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013.
Qui è in gioco un’altra questione fondamentale. Le “reti transeuropee” vengono realizzate con finanziamenti della Comunità e degli Stati membri – ovvero con finanziamenti pubblici – allo scopo di completare il mercato interno, come afferma il primo punto della posizione comune del Consiglio: “le reti dell’energia e dei trasporti potenti e integrate costituiscono la spina dorsale del mercato interno europeo e una migliore utilizzazione delle reti esistenti e il completamento dei collegamenti mancanti aumenteranno l’efficienza e la concorrenza”. In altre parole, è nel completamento del mercato interno il nocciolo di questi progetti, con l’apertura dei mercati e l’asservimento a interessi privati di settori chiave per l’economia di un paese, una volta che, ovviamente, l’investimento pubblico sia stato realizzato.
Considerata l’importanza di questi settori per lo sviluppo di qualsiasi paese, sosteniamo che essi debbano essere lasciati nel settore pubblico e siamo pertanto contrari alla loro privatizzazione.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Il mio gruppo avrebbe voluto vedere i nostri emendamenti incorporati nella relazione, in modo da accrescere i poteri del Parlamento sui prossimi bilanci delle reti transeuropee di trasporto e dell’energia, anche se si sono rivelati infruttuosi. Tuttavia, è sempre bene che questo settore di investimenti resti sotto il minuzioso esame del Parlamento perché rappresenta un chiaro esempio di “valore comunitario aggiunto”. L’Unione abbatte già da molti anni le barriere in tutta l’Europa, ma in campo energetico restano ancora molti ostacoli infrastrutturali da superare. La Scozia, in particolar modo, può contribuire molto a soddisfare le esigenze europee in materia di energia, ma ci occorrono le connessioni necessarie per farlo, e io esplorerò tutte le possibilità per convogliare i finanziamenti dell’Unione nelle connessioni per ottimizzare il potenziale dell’energia verde scozzese.
Gyula Hegyi (PSE). – (HU) Ritengo che questa, almeno dal punto di vista dei cittadini, sia stata una delle votazioni più importanti. Il cittadino comune sa poco delle leggi comunitarie, è più interessato a scoprire cosa significhi essere membro dell’Unione nella sua vita quotidiana.
Quando le frontiere si sfaldano, quando si può andare da un paese all’altro senza un passaporto, sorge una domanda: perché dobbiamo pagare tariffe punitive extra per comunicare telefonicamente oltre frontiera? Credo che sarebbe stato meglio se il Parlamento avesse deciso di abolire completamente tutti i costi del roaming e dichiarato che tutte le tariffe dei cellulari nell’Unione devono essere uguali.
Tuttavia, ammetto che sarebbe stato difficile da attuare come primo passo e, pertanto, approvo il fatto che siamo riusciti almeno a ridurre gradualmente le tariffe del roaming. In Ungheria vivono dieci milioni di persone e nove milioni e mezzo di esse usano il cellulare. A mio avviso, approvare questo punto era estremamente importante.
Ivo Strejček (PPE-DE). – (CS) Ho votato contro le proposte sulle chiamate in roaming per le seguenti ragioni. In primo luogo, queste misure non sono di natura economica, ma piuttosto di natura politica. Sono un’espressione del protezionismo e del nuovo tipo di affarismo europeo. In secondo luogo, sono in contrasto col principio della domanda e dell’offerta. In terzo luogo, benché io non presuma che gli operatori di reti mobili recuperino i mancati introiti aumentando i prezzi nel mercato interno, prevedibilmente essi taglieranno gli investimenti per lo sviluppo e, quasi certamente, interromperanno la discesa dei prezzi interni.
L’aspetto più preoccupante per l’Unione è il fatto che gli investitori perderanno fiducia, perché vedranno che l’organo normativo sta cambiando le regole a gioco in corso.
Jim Allister (NI), per iscritto. – (EN) Costituisce una piacevole novità rallegrarsi per una legge comunitaria. La riduzione imposta alle tariffe del roaming sulle reti mobili è una cosa positiva per i consumatori di tutta Europa. Benché i 35 pence al minuto per fare una telefonata e i 17 per riceverla costituiscano ancora un prezzo alto, si prevede che queste tariffe decadano nel giro dei prossimi tre anni. Ora bisogna ridurre quelle relative agli SMS e alle connessioni e-mail.
Derek Roland Clark (IND/DEM), per iscritto. – (EN) I deputati al Parlamento dell’UKIP, come tutti gli altri parlamentari, hanno interessi in gioco nella riduzione delle tariffe del roaming sulle reti mobili. Pertanto i deputati dell’UKIP non voteranno la relazione Rübig. L’UKIP ritiene che per i parlamentari sia moralmente sbagliato votare su una questione che potrebbe comportare un arricchimento personale. Inoltre non approviamo mai la regolamentazione comunitaria.
Richard Corbett (PSE), per iscritto. – (EN) Esprimo la mia viva approvazione per il nuovo accordo in merito alle tariffe del roaming sulle reti di telefonia mobile. Sono due anni che deputati laburisti al Parlamento promuovono campagne a favore dell’introduzione di queste misure, che costituiscono un vero e proprio trionfo per i consumatori europei e non si sarebbero potute attuare senza l’Unione. Per troppo tempo le compagnie di telefonia mobile hanno fatto pagare tariffe scandalose alla gente che usa il telefono in un paese dell’Unione diverso dal proprio.
E’ vergognoso che i parlamentari conservatori schierati dalla parte dell’industria della telefonia mobile si oppongano alla tutela dei consumatori, adducendo argomentazioni per imporre tariffe più alte.
Brigitte Douay (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Rübig riguardante il roaming sulle reti pubbliche all’interno della Comunità perché le posizioni sostenute nel testo permetteranno di migliorare considerevolmente la situazione dei consumatori europei. Molti cittadini europei, soprattutto quelli che abitano alla frontiera del Nord-Pas-de-Calais, si recano di frequente all’estero per ragioni professionali e personali, e le tariffe attualmente in vigore quando fanno o ricevono telefonate sui loro cellulari sono eccessive e ingiustificate.
La relazione Rübig pone rimedio a una situazione che penalizza la mobilità. Sono quindi favorevole alle tariffe fissate nella relazione: i costi al minuto approvati sono del tutto soddisfacenti e assai inferiori a quelli applicati attualmente. Tuttavia, avremmo preferito tariffe ancora più basse che avrebbero potuto costituire per la gente un migliore incentivo alla mobilità in Europa.
Oltre alla considerevole riduzione delle tariffe, un altro principio importante è il requisito della trasparenza. Il Gruppo socialista al Parlamento ha inoltre auspicato maggiore trasparenza sui costi delle chiamate e ottenuto che, d’ora in poi, i cittadini europei possano sapere quanto costerà loro una telefonata ricevuta o fatta dall’estero.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione Rübig (A6-0155/2007) riguardante il roaming sulle reti mobili pubbliche all’interno della Comunità. Ritengo che l’accordo preliminare tra il Parlamento e la Presidenza del Consiglio sul testo del regolamento, nella formulazione del quale i deputati del gruppo del Partito socialista europeo hanno svolto un ruolo chiave, rappresenti una vittoria significativa per i consumatori.
Ritengo che queste misure si riveleranno di vitale importanza per il futuro della società dell’informazione. Ci consentiranno di risparmiare miliardi di euro e di servire meglio gli interessi dei consumatori. La riduzione delle tariffe del roaming permetterà di abbattere le frontiere che ancora sussistono nel mercato interno, potenziando così la competitività europea.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questo regolamento dichiara di avere come obiettivo finale “la creazione di un mercato interno europeo delle telecomunicazioni ben funzionante”. Questo, come afferma la relazione, a causa dell’”inefficacia dell’autoregolamentazione”.
E’ interessante notare, in questo caso, l’ammissione che il mercato non funziona. Da qui la necessità di regolamentare i prezzi. Pertanto, si propone di farlo all’ingrosso e al dettaglio, comprendendo la creazione della tariffa al dettaglio regolamentata – l’eurotariffa – che dev’essere obbligatoriamente proposta da tutti gli operatori per conseguire una riduzione significativa del prezzo del roaming. Anche così, permane la possibilità di enormi margini di profitto per i grandi operatori del settore. Ciò detto, ci sono vantaggi per i consumatori: chiamate internazionali più convenienti, senza che tali costi vengano ribaltati sui mercati nazionali, e la facoltà di scegliere l’operatore e la tariffa più favorevoli.
Questo è un altro esempio che dimostra chiaramente che il “mercato” non tutela gli utenti né i consumatori, ed è per questo che occorre un regolamento. Sarebbe ora che la Commissione e gli Stati membri riconoscessero quanto sopra per molti altri ambiti a vantaggio dei consumatori.
Bruno Gollnisch (ITS), per iscritto. – (FR) Ci sono momenti – estremamente rari in quest’aula – in cui i deputati sono chiamati a votare un testo davvero utile per i cittadini europei e in cui, per una volta, l’Europa apporta un vero e proprio valore aggiunto.
E’ stato il caso, alcuni anni fa, dei bonifici bancari transfrontalieri nella zona euro: una normativa europea ha stabilito che il loro costo fosse identico a quello di un trasferimento bancario nazionale. Si trattava solo di una cosa logicissima e normalissima, poiché era stata appena introdotta la moneta unica.
Oggi è il caso del regolamento sui costi del roaming nella telefonia mobile. Benché imperfetto, come tutti i compromessi, questo testo permetterà tuttavia di controllare più efficacemente le tariffe proibitive praticate dagli operatori nelle comunicazioni internazionali comunitarie. Inoltre la clausola di revisione, prevista fra 18 mesi, rappresenterà – lo speriamo – un’occasione per ulteriori progressi per quanto riguarda la tutela dei consumatori.
Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La relazione contiene molte proposte concrete per migliorare la situazione dei consumatori. La Lista di giugno approva queste proposte che, per quanto riguarda l’informazione ai consumatori e un’informazione facilmente accessibile sulle tariffe, vanno a vantaggio della gente.
Indubbiamente le attuali tariffe del roaming sembrano assurdamente elevate. Prima di prendere una decisione su misure di ordine politico, è però necessario chiarire quale fallimento di mercato si nasconda dietro questo cattivo stato di cose. E’ una questione di competitività insufficiente dovuta alla cosiddetta collusione implicita? In questo caso, sarebbe totalmente sbagliato introdurre la regolamentazione dei prezzi, perché ciò non contribuirebbe in alcuna misura alla soluzione del problema. Sarebbe assurdo proporre una cura senza aver prima fatto una diagnosi. Gli esperti del settore dovrebbero fare ricerche per scoprire quale sia il fallimento di mercato con cui siamo alle prese, prima di adottare misure populiste.
A lungo termine, i consumatori saranno più avvantaggiati dalla libera concorrenza che dalla regolamentazione dei prezzi. Consentire ai politici invece che al mercato di fissare i prezzi non è quasi mai una soluzione costruttiva nel lungo periodo.
A mio avviso, la proposta finirà anche per danneggiare quella parte della popolazione che, per ragioni economiche o altri motivi, si reca raramente all’estero.
Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. – (PL) Voterò a favore della relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio relativo al roaming sulle reti mobili pubbliche all’interno della Comunità e che modifica la direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica [COM(2006)0382 – C6-0244/2006 – 2006/0133(COD)].
L’onorevole Rübig ha giustamente sottolineato la necessità di trovare soluzioni che consentano ai cittadini comunitari di usare i cellulari per chiamare casa quando si trovano all’estero. Attualmente non c’è un mercato unico per i servizi di telefonia mobile e ciò costituisce una barriera all’uso quotidiano dei cellulari quando si è all’estero.
Concordo con la formula che stabilisce massimali per i prezzi all’ingrosso e al dettaglio. E’ molto importante ridurre le tariffe ingiustificatamente elevate del roaming, spiegare agli utenti le modalità di attivazione delle nuove tariffe e informarli sulla data di entrata in vigore della legislazione suddetta.
Un’altra buona iniziativa è quella per cui l’utente che non sceglie nessuna tariffa particolare entro tre mesi dall’entrata in vigore del regolamento godrà automaticamente della tariffa comunitaria regolamentata e il fatto che gli operatori di telefonia mobile dovranno informare i propri utenti in merito ai prezzi del roaming per chiamate in entrata e in uscita relativi al loro specifico piano tariffario.
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a malincuore a favore della relazione riguardante il roaming sulle reti mobili pubbliche perché essa è contraria alle mie convinzioni politiche più importanti. Infatti ritengo che qualsiasi tariffazione da parte del legislatore costituisca un’intromissione indebita nell’economia di mercato e una reliquia di un’altra epoca che non si dovrebbe resuscitare.
L’applicazione dell’eurotariffa così fissata sarà causa di grossi problemi per gli operatori dei piccoli Stati membri, che avranno difficoltà a finanziare gli investimenti necessari per applicare le nuove condizioni del roaming. Gli effetti a lungo termine di questo regolamento potrebbero persino determinare un aumento delle tariffe delle comunicazioni nazionali, cosa che sarebbe controproducente e disastrosa per il buon funzionamento delle economie nazionali.
Appoggio una tariffazione trasparente e una riduzione dei costi delle comunicazioni in roaming in uno spirito di libera concorrenza, ma questa riduzione non deve essere ottenuta fissando i prezzi al dettaglio e a spese delle tariffe delle comunicazioni nazionali.
Mi rallegro inoltre che il principio dell’opt-in sia stato salvaguardato in questo compromesso, anche se un opt-in incondizionato o senza limiti di tempo sarebbe stato preferibile.
Questo regolamento durerà solo tre anni: che consolazione!
Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La relazione contiene molte proposte concrete per migliorare la situazione dei consumatori. La Lista di giugno approva queste proposte che, per quanto riguarda l’informazione ai consumatori e un’informazione facilmente accessibile sulle tariffe, vanno a vantaggio della gente.
Indubbiamente le attuali tariffe del roaming sembrano assurdamente elevate. Prima di prendere una decisione su misure di ordine politico, è però necessario chiarire quale fallimento di mercato si nasconda dietro questo cattivo stato di cose. E’ una questione di competitività insufficiente dovuta alla cosiddetta collusione implicita? In questo caso, sarebbe totalmente sbagliato introdurre la regolamentazione dei prezzi, perché ciò non contribuirebbe in alcuna misura alla soluzione del problema. Sarebbe assurdo proporre una cura senza aver prima fatto una diagnosi. Gli esperti del settore dovrebbero fare ricerche per scoprire quale sia il fallimento di mercato con cui siamo alle prese, prima di adottare misure populiste.
A lungo termine, i consumatori saranno più avvantaggiati dalla libera concorrenza che dalla regolamentazione dei prezzi. Consentire ai politici invece che al mercato di fissare i prezzi non è quasi mai una soluzione costruttiva nel lungo periodo.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho appoggiato quest’accordo di compromesso in sede di prima lettura. Questa è una vittoria importante che andrà a vantaggio dei consumatori, i quali potranno godere di prezzi di roaming più convenienti entro quest’estate.
Claude Moraes (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato per la relazione sulla proposta di regolamento relativo al roaming sulle reti mobili pubbliche, cosa che comporterà una riduzione dei prezzi per milioni di clienti dei servizi di roaming. L’iniziativa aiuterà un enorme numero di consumatori alle prese con tariffe di roaming ingiustificatamente alte.
Il regolamento garantirà che, viaggiando all’interno dell’Unione, i costi sostenuti per il roaming internazionale non saranno ingiustificatamente più alti delle tariffe praticate per chiamate effettuate dall’utente all’interno del suo paese. I consumatori beneficeranno di tariffe più basse per effettuare telefonate nel paese visitato, verso il proprio paese o qualsiasi altro Stato membro dell’Unione, e inoltre risparmieranno in misura considerevole quando le riceveranno.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica ha votato a favore della relazione Rübig sul roaming perché, a seguito della pressione esercitata dal Parlamento, è stato raggiunto un compromesso soddisfacente a vantaggio dei consumatori europei.
Per ottenere tariffe trasparenti, è ovviamente necessario compiere ancora moltissimi passi, estendendone l’area di applicazione e riducendo ulteriormente i costi incontrollati imposti dalle compagnie di telefonia mobile.
Il procedimento va inoltre accelerato prima del Consiglio “Telecomunicazioni”, in modo che si possa adottare il regolamento il più rapidamente possibile e i consumatori possano beneficiare dai regolamenti già introdotti quest’estate.
Questo regolamento deve costituire un modello. Occorre creare quadri per regolamentare altri settori in cui le norme del libero mercato si sono dimostrate inadeguate e i cartelli regnano sovrani.
José Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Le tariffe del roaming praticate attualmente penalizzano gli utenti che si spostano nei diversi Stati membri e costituiscono un ostacolo a un vero mercato unico.
Considerata la natura transfrontaliera delle relazioni contrattuali che questi servizi implicano, gli Stati membri hanno dimostrato scarsa capacità nell’affrontare tale questione. Benché fosse auspicabile una soluzione basata sull’autoregolamentazione del settore, ciò si è di nuovo dimostrato impossibile.
I consumatori europei meritano un trattamento più equo e trasparente. Si richiedeva, pertanto, un emendamento regolamentare su scala europea che mettesse fine agli abusi, creasse trasparenza, assicurasse equilibrio nel mercato, permettesse un maggior agio negli spostamenti e nelle comunicazioni e promuovesse un incremento del dinamismo economico.
Benché i limiti imposti ai prezzi delle chiamate siano ancora ben lontani dal valore inizialmente richiesto dal Parlamento, ritengo che questo sia un primo passo nella giusta direzione. Per di più, introduce quel tanto di chiarezza e di prevedibilità che il mercato ha smarrito.
Spero che gli operatori non reagiscano alla perdita di entrate con l’aumento ingiustificato dei prezzi delle chiamate nazionali, ma colgano invece l’occasione per aumentare il proprio fatturato mediante l’incremento del numero di clienti e il miglioramento dei servizi prestati a livello nazionale e internazionale.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Avendo approvato oggi all’ora di pranzo il regolamento sulle tariffe di telefonia mobile in roaming, il Parlamento ha appena adottato una normativa attesa da milioni di consumatori, lavoratori e turisti, esasperati dai costi esorbitanti delle chiamate transfrontaliere fatte o ricevute sul GSM. Le nuove disposizioni hanno ricevuto il sostegno della Commissione, autrice di questa proposta legislativa.
Inoltre, nonostante la mia filosofia liberale mal si accordi con l’interventismo sui prezzi del mercato, sono contraria prima di tutto al lassismo, al permissivismo e ai cartelli costituiti in un dato settore economico.
Questa normativa europea rappresenta un progresso ragguardevole per la tutela dei consumatori, che vedranno ridursi la loro bolletta fino al 70 per cento. Altro progresso è costituito dalla libertà di scelta lasciata agli operatori nell’offrire ai clienti un’opzione tra la tariffa regolamentata e una tariffa forfettaria che coprirà anche gli SMS e gli MMS. Tuttavia ho un rimpianto: questa riduzione dei costi del roaming non sarà operativa per l’estate.
I cittadini si consoleranno con questa volontà, chiaramente espressa dalle tre Istituzioni europee, di tentare di riconquistarli e adempiere il primo dei loro compiti, ovvero fare leggi che cambino in meglio la loro vita di tutti i giorni.
Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. – (SV) Mi sono astenuto dal voto odierno sulla questione del roaming. Chiunque sia stato all’estero sa quanto sia costoso fare chiamate e riceverne, ma l’impostazione di tetti tariffari da parte della Comunità europea comporta alcuni rischi. Avrei potuto accettare un regolamento a livello di prezzi all’ingrosso che disciplinasse, per esempio, il rapporto tra Telia e una compagnia spagnola, ma non approvo che si fissi un tetto tariffario per il consumatore. Non sarebbe un tetto, bensì un pavimento. Se si fissa il tetto al 49 per cento, è ovvio che le compagnie detrarranno tale percentuale. I loro profitti calerebbero, poiché in precedenza avrebbero percepito introiti impiegabili a fini competitivi in campo nazionale. Se i profitti sparissero, ciò potrebbe spingere le compagnie a dovere aumentare le proprie tariffe nazionali. Dunque l’Unione avrebbe invece indebolito i consumatori vulnerabili che aveva sempre sostenuto di volere tutelare. Il mercato mobile è un mercato relativamente nuovo. In Svezia il mercato si è gradualmente assestato e i prezzi sono significativamente calati. Se si fosse solo reso il sistema più trasparente, si fossero cercate soluzioni tecniche migliori e introdotti i sistemi d’informazione di cui si parla nella proposta, queste misure sarebbero presumibilmente bastate a forzare i prezzi al ribasso. Le tariffe del roaming sono sostanzialmente diminuite e, anche se questo non è avvenuto in modo uniforme in tutta Europa, è comunque segno che il mercato si regola da solo.
Peter Skinner (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa misura in considerazione del numero di cittadini europei alle prese con tariffe di roaming più elevate del necessario. La riduzione dei costi per tante persone e imprese rappresenta un contributo molto utile per le tasche dei privati e per i costi aziendali. La funzione del mercato della telefonia mobile è consentire la massima efficienza del settore trovando al contempo il giusto equilibrio con gli interessi dei consumatori.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. – (PL) Voterò a favore della proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio relativo al roaming sulle reti mobili pubbliche all’interno della Comunità e che modifica la direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica.
Quando abbiamo adottato l’agenda di Lisbona, ci siamo prefissi l’obiettivo di fare dell’Unione l’economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo. Per questo dobbiamo garantire che il mercato della tecnologia telefonica mobile nell’ambito dell’Unione sia un mercato dinamico senza barriere interne.
Attualmente circa l’80 per cento dei cittadini dell’Unione possiede un cellulare, ma i prezzi dei servizi di comunicazioni mobili in roaming sono talmente alti da limitare la domanda per questo servizio. Comunque, la telefonia mobile non comprende soltanto la comunicazione vocale, ma include anche altri tipi di comunicazione di nuova generazione come il GPS, il Wi-Fi e l’accesso remoto a Internet. Si tratta di tecnologie molto avanzate che costituiscono un elemento particolarmente importante nel contribuire alla promozione di un’economia basata sulla conoscenza.
Per questo motivo non possiamo permetterci che il loro impiego e la loro evoluzione siano soffocati da tariffe esorbitanti.
Jeffrey Titford (IND/DEM), per iscritto. – (EN) I deputati al Parlamento dell’UKIP, come tutti gli altri parlamentari, hanno interessi in gioco nella riduzione delle tariffe di roaming sulle reti mobili. Pertanto i deputati dell’UKIP non voteranno la relazione Rübig. L’UKIP ritiene che per i parlamentari sia moralmente sbagliato votare su una questione che potrebbe comportare un arricchimento personale. Inoltre non approviamo mai la regolamentazione comunitaria.
Danutė Budreikaitė (ALDE). – (LT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’introduzione di accise sull’alcool e sulle bevande alcoliche nel 1992 è stato il primo dei tentativi di coordinare le imposte nella creazione di un mercato comune. E’ stato ed è tuttora un processo complicato.
Finora il coordinamento delle imposte indirette è parzialmente riuscito, con aliquote minime stabilite per l’alcool, le bevande alcoliche, i tabacchi e i carburanti. Tuttavia, in realtà, la politica fiscale è rimasta sotto la giurisdizione degli Stati membri.
L’aumento dell’accisa basata sugli indici d’inflazione comunitaria per gli anni 1993-2006 non è logico. Perché questo tasso d’inflazione dev’essere applicato a paesi che hanno aderito all’Unione dopo il 2004?
Anche la completa abolizione di accise basata sul fatto che queste sono entrate di piccola entità per gli Stati membri è ingiustificata. Considerato lo scopo per cui sono state introdotte le accise, si dovrebbero analogamente abolire le accise sui tabacchi e sui carburanti.
Appoggio il mantenimento dello status quo, senza modificare le accise e consentendo agli Stati membri, in base al principio della sussidiarietà, di continuare a fissare le proprie aliquote. Tanto più che, tra gli stessi Stati membri, non c’è comune accordo sull’abolizione delle accise.
Andreas Mölzer (ITS). – (DE) Signor Presidente, ho fatto come la relatrice, l’onorevole Lulling, voleva che effettivamente si facesse e ho votato contro la sua relazione perché chiede un ulteriore aumento di tasse, tirando fuori stavolta la solita vecchia storia, ovvero che questo è necessario per prevenire distorsioni della concorrenza, anche se adesso è risultato che – come gli esperti avevano previsto – le aliquote minime introdotte nel 1992 non hanno fatto altro che ampliare il baratro tra le aliquote degli Stati membri, alcuni dei quali le hanno aumentate più volte e adesso vogliono che gli altri siano obbligati a fare altrettanto.
L’attuazione di questa proposta, a mio avviso, verrebbe considerata dai cittadini un’ulteriore soperchieria di Bruxelles.
Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) A noi Socialdemocratici svedesi avrebbe fatto maggiormente piacere vedere il Parlamento in grado di sostenere la proposta originaria della Commissione di un aumento delle aliquote minime che tenesse conto dell’inflazione dal 1993 in poi.
Poiché si prevedeva una votazione dall’esito molto incerto, abbiamo deciso di appoggiare gli emendamenti finalizzati a incrementare le aliquote minime, per tenere conto dell’inflazione a partire dall’allargamento del 2004.
Ci rallegriamo che ora la relazione sia stata rinviata alla commissione competente e speriamo che stavolta quest’ultima giunga alla conclusione che occorrono imposte sull’alcool per ridurre i danni che esso causa nell’Unione.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il fatto che la maggioranza del Parlamento abbia bocciato la relazione è una cosa positiva. Abbiamo votato contro l’imposizione di accise a livello sopranazionale perché ciò avrebbe ridotto la sovranità fiscale e la sovranità di prendere decisioni politiche per mezzo delle imposte e del bilancio.
L’obiettivo principale delle accise, che oggi rappresentano una quota importante delle entrate tributarie di molti Stati membri, è quello di moderare il consumo, come nel caso delle accise sull’alcool e sulle bevande alcoliche, anche allo scopo di tutelare la salute.
Oltre alle conseguenze dirette di quest’imposta sulle attività del settore agricolo e di una parte importante del settore industriale, dev’essere una decisione soprattutto nazionale, basata sulla preferenza del consumatore per i prodotti tradizionali, sulle mutevoli scelte sociali riguardo al consumo di bevande alcoliche e su come i diversi paesi usano gli strumenti fiscali, come nel caso del vino in Portogallo, dove è importante mantenere l’aliquota minima attuale a zero euro – un’istanza che è stata recepita in plenaria.
Tuttavia, siamo contrari alla proposta della Commissione di aumentare le aliquote minime e alle idee della relatrice sull’istituzione di un’aliquota massima.
Bruno Gollnisch (ITS), per iscritto. – (FR) Come osserva la relazione stessa, la direttiva del 1992 sulle accise non ha condotto a nessun ravvicinamento di tali aliquote tra gli Stati membri né ha regolamentato i pretesi problemi di distorsione della concorrenza. Se la Commissione fosse coerente dovrebbe chiedere essa stessa, conformemente al suo programma “legiferare meglio”, l’abolizione di questo testo.
La verità è che spetta agli Stati membri, e a essi soltanto, fissare le imposte, dirette o indirette, nell’ambito del loro territorio conformemente alle loro esigenze sociali, economiche e di bilancio, e che l’armonizzazione fiscale richiesta dalla Commissione ha in realtà soltanto un fine ideologico.
Concluderò osservando che non è un paradosso da poco, per quelli che si battono a favore dell’abolizione dei controlli alle frontiere, della libera circolazione delle persone, delle merci e dei servizi, nonché per la libera concorrenza, il fatto di essere i primi a lamentarsi quando quest’abolizione e questa libertà di circolazione incitano gli europei ad avvalersi della concorrenza a loro vantaggio.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Abbiamo votato contro la relazione perché non risolve il conflitto di obiettivi che sta alla radice del problema trattato. Ciò di cui siamo davvero preoccupati in questo caso è, ovviamente, il fatto che il diritto degli Stati membri di decidere su una questione così importante come la politica in materia d’alcool si scontri sia con la richiesta di un libero mercato interno che col diritto degli Stati membri di decidere in merito ai propri regimi fiscali. L’alcool non è un prodotto qualsiasi. Il mercato interno è di fondamentale importanza per l’Unione e il diritto di imporre tributi è uno dei punti di forza più importanti di uno Stato sovrano.
La relatrice non ha tentato affatto di analizzare e risolvere questo conflitto di obiettivi. Il tema va pertanto affrontato seriamente da esperti e rappresentanti politici con una padronanza adeguata della questione, prima che al Parlamento vengano presentate nuove proposte.
Miroslav Mikolášik (PPE-DE). – (SK) Ho votato a favore della strategia realista presentata nella relazione Vergnaud perché è ovvio che le decisioni della Corte di giustizia delle Comunità europee che difendono il diritto dei pazienti di essere curati in un paese diverso dal proprio, nel caso in cui la loro salute sia gravemente a rischio o la loro vita in gioco, interferiscono con i poteri dei governi nazionali.
Come sappiamo, la direttiva sui servizi nel mercato interno ha escluso i servizi sanitari dalla competenza dell’Unione, attribuendoli esclusivamente agli Stati membri. E’ ovvio che la mobilità dei pazienti in Europa è destinata ad aumentare. I pazienti chiederanno naturalmente di avere accesso a cure che si avvalgano delle terapie più avanzate. Questo non varrà solo per i lavoratori che prestano la loro opera in un paese diverso dal proprio, ma anche per i pazienti che sono alla ricerca di terapie di alta qualità all’estero che, per ragioni oggettive, non sono disponibili nel loro paese, e conseguentemente vanno all’estero per usufruire di tali terapie.
Jim Allister (NI), per iscritto. – (EN) Poiché ritengo che la fornitura di servizi sanitari di qualità e accessibili a tutti sia di competenza esclusiva degli Stati membri, ho votato contro la relazione Vergnaud e contro il tentativo di reintrodurre l’assistenza sanitaria nella direttiva sui servizi.
Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) Abbiamo deciso di votare contro la relazione, in parte perché riteniamo che debbano essere gli Stati membri a decidere da soli per quali servizi sanitari si possa richiedere una notifica preventiva. A nostro avviso, sarebbe vantaggioso per i pazienti un sistema comprendente servizi sanitari pianificati in cui, dopo visita medica, si possa ottenere rapidamente una notifica preventiva. Sarebbe un sistema tale da fornire accesso paritario a servizi sanitari transfrontalieri per chiunque e non solo per chi può permettersi di pagare di tasca propria e poi aspettare d’essere rimborsato. Abbiamo votato a favore di emendamenti che raccomandano decisioni politiche anziché provvedimenti d’ufficio basati sulla giurisprudenza, anche se nutriamo riserve su tutte le iniziative politiche soggette alla codecisione del Parlamento. Abbiamo inoltre votato a favore della formulazione che contiene riferimenti alla libertà di stabilimento; teniamo tuttavia a sottolineare che non riteniamo che questo significhi necessariamente avere accesso alle risorse pubbliche.
Françoise Castex (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Vergnaud.
Il voto in plenaria sulla relazione ha confermato la specificità dei servizi sanitari e conseguentemente la loro esclusione dalla direttiva sui servizi. L’intento di questo voto era evitare che l’accesso paritario alle cure e la sostenibilità finanziaria del sistema di sicurezza sociale venissero rimessi in discussione.
A mio avviso, la riflessione avviata a livello comunitario sui servizi sanitari deve d’ora in poi concentrarsi sull’incertezza giuridica determinata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e sui settori per cui l’Unione è suscettibile di creare valore aggiunto.
Per quanto mi riguarda, una direttiva sui servizi sanitari che si conformi all’obiettivo di una direttiva quadro sui servizi d’interesse economico generale rimane il solo strumento che permetterà all’Unione di addurre il suo valore aggiunto e riacquistare la fiducia dei cittadini europei in un campo che è l’essenza stessa della loro vita.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La relazione d’iniziativa, analogamente ad altre comunicazioni della Commissione sull’assistenza sanitaria, ha, in una certa misura, l’obiettivo di applicare ai servizi sanitari lo stesso approccio valevole per il mercato interno dei servizi, mediante la presentazione di una nuova proposta di direttiva separata sui servizi sanitari. Perciò abbiamo votato contro la relazione. Tuttavia, è per noi positivo che sia stata respinta la proposta di includere i servizi sanitari nella direttiva sulla liberalizzazione dei servizi.
L’accesso generalizzato a servizi sanitari di qualità per tutti è un diritto fondamentale di tutti i cittadini che dev’essere previsto dai sistemi nazionali di protezione sociale esistenti nell’Unione. I servizi sanitari sono un bene pubblico e spetta alle autorità pubbliche di ciascuno Stato membro il compito fondamentale di garantire un accesso paritario a tutti i servizi sanitari di qualità e di dotarli di un finanziamento pubblico adeguato. Pertanto siamo contrari alla creazione di un mercato interno dei servizi sanitari liberalizzato e alla tendenza attuale di ridurre o privatizzare i servizi sanitari, o ancora di renderli sempre più dipendenti dalla regolamentazione del mercato interno o dalle regole della concorrenza.
Bruno Gollnisch (ITS), per iscritto. – (FR) I servizi sanitari non sono servizi come tutti gli altri. Perciò non devono essere in nessun caso assoggettati alle regole europee sulla concorrenza, sugli aiuti di Stato, sui contratti pubblici o sul mercato interno. Soprattutto, la loro organizzazione e il loro finanziamento devono essere di competenza esclusiva degli Stati membri.
Malgrado la prevedibile bocciatura del paragrafo che chiedeva di inquadrare questi servizi nell’ambito della direttiva Bolkestein, siamo ancora dell’idea che il testo della relazione sia pericoloso. Esso propone d’incoraggiare la mobilità del personale sanitario col rischio di creare carenza proprio di questo personale e conseguentemente di cure per tutti i cittadini in alcuni paesi; o ancora di incoraggiare, senza alcun controllo, la mobilità dei pazienti, cosa che può pregiudicare la qualità delle cure, condurre alla saturazione delle infrastrutture e compromettere l’equilibrio dei sistemi di sicurezza sociale.
L’obiettivo dell’accesso, per tutti i cittadini europei, a prestazioni sanitarie di qualità e nell’ambito della propria comunità non può essere conseguito in nessun caso da una direttiva europea basata sulla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, che giudica in merito a qualche controversia transfrontaliera. In realtà, tale obiettivo si può raggiungere solo garantendo che Bruxelles non potrà mai legiferare in questo campo.
Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro la relazione quale emendata perché ritengo che essa esponga il nostro servizio sanitario nazionale al rischio di una liberalizzazione strisciante e di incertezza giuridica. Apprezzo che il Parlamento abbia mantenuto la sua posizione di escludere i servizi sanitari dall’ambito della direttiva sui servizi. Tuttavia, ora stiamo apparentemente rifiutando di fissare limiti al ruolo del mercato relativamente al diritto degli Stati membri di decidere il metodo, il finanziamento e la portata dei servizi sanitari che forniscono. Se non adottiamo un quadro legislativo chiaro, sostenuto preferibilmente da una modifica del Trattato, diamo un attivo incoraggiamento alla Corte di giustizia a decidere cosa sia o meno un trattamento medico e se debba essere rimborsato o meno o richieda un’autorizzazione preventiva. Come relatrice sul regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, vorrei chiarire ad alcuni deputati di quest’aula che quello del rimborso non costituisce un sistema nuovo: è in vigore da più di 30 anni e si è dimostrato insostituibile per migliaia di cittadini, ma la sua portata e il suo funzionamento devono essere determinati dal Parlamento e dal governo, non dalla Corte di giustizia, per cui deploro l’adozione dell’emendamento n. 24 da parte dei Liberali.
Carl Lang (ITS), per iscritto. – (FR) La relazione dimostra la volontà di aggirare il contenuto della direttiva sui servizi, che aveva legittimamente escluso quelli sanitari dal proprio campo di applicazione. Quelli sanitari non sono servizi commerciali, sono bensì servizi di cruciale importanza per i nostri popoli che invecchiano. La salute deve sfuggire sia alle brame degli avvoltoi ultraliberisti che all’ideologia federalista europea che si accinge ad armonizzare tutto verso il basso. L’esclusione dei servizi sanitari è e deve rimanere di competenza degli Stati membri.
E’ poi inquietante constatare che si fa sempre riferimento a questa fumosa strategia di Lisbona come a una conditio sine qua non, quando sappiamo da tempo che essa è un simbolo d’inefficienza ultraeuropeista. Inoltre, considerando le differenze esistenti fra i nostri paesi, si potrebbe affermare che l’universalità di un cosiddetto modello sociale europeo è un’utopia. Infine, creare un quadro giuridico in questo campo equivale a mettere in atto uno pseudomercato interno dei servizi sanitari, o almeno a gettarne le basi.
E’ nostro dovere impedire che si comprometta la qualità dei servizi sanitari, preservare l’etica medica e garantire controlli rigorosi in materia di autorizzazione e di rimborso delle prestazioni sanitarie a livello nazionale e ministeriale.
Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione sull’impatto dell’esclusione dei servizi sanitari dalla direttiva Bolkestein, col pretesto di tutelare i pazienti e i professionisti della sanità, promuove la mercificazione e l’ulteriore privatizzazione di un settore di prima qualità per il capitale affinché possa generare profitti a suo favore.
Noi deputati al Parlamento del Partito comunista greco esprimiamo nettamente la nostra opposizione alla direttiva Bolkestein e ci battiamo con i lavoratori per abrogarla.
La relazione dà per scontato che i sistemi sanitari nazionali siano inadeguati e che i servizi sanitari non siano gratuiti. Ecco perché promuove la riduzione dei servizi sanitari coperti da fondi assicurativi al minimo comune denominatore, avvalendosi della tessera sanitaria quale strumento per farlo. Si propone l’occupazione nomade per i lavoratori e si sottovaluta la necessità di una conoscenza scientifica completa basata sulla formazione e sull’acquisizione di competenze. Inoltre i professionisti sono obbligati a stipulare un’assicurazione per la responsabilità, riducendo in tal modo l’obbligo per lo Stato di fornire servizi di cura e assistenza a una responsabilità individuale. Anche la scelta della terapia per il paziente è ridotta a una responsabilità individuale mediante le reti d’informazione che sostituiscono l’obbligo dello Stato.
Ecco perché noi deputati al Parlamento del Partito comunista greco abbiamo votato contro la relazione. La salute è un bene sociale e i lavoratori devono estendere la loro lotta alla sua mercificazione chiedendo servizi sanitari moderni, gratuiti, nazionali e gestiti esclusivamente dallo Stato che soddisfino le esigenze attuali della classe lavoratrice.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato per la relazione sulle conseguenze dell’esclusione dei servizi sanitari dalla direttiva sui servizi. In particolare mi compiaccio che la relazione abbia chiesto alla Commissione di proporre “uno strumento adeguato” per codificare la giurisprudenza della Corte di giustizia.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Nonostante la controversia sorta sulla relazione e composta a tempo debito, credo che questo documento, nella sua forma attuale, confermi i diritti esistenti e stimoli la mobilità dei pazienti. Proprio ciò che si voleva.
Considerata la particolare rilevanza di questa materia, il dibattito deve comprendere la vasta gamma dei differenti sistemi in vigore nei vari Stati membri. Ad ogni modo, la cosa più importante è assicurare che le opportunità procurate dalla mobilità dei pazienti siano chiare e praticabili.
La salute è uno dei temi che stanno più a cuore ai cittadini e sarebbe sbagliato imporre agli Stati membri, mediante la legislazione comunitaria, soluzioni che scalzino le norme su cui i cittadini e i responsabili politici concordavano. Tuttavia, questo non impedisce che in uno spazio libero come l’Unione, dove c’è una tradizione di mobilità in diversi ambiti, si introducano norme per agevolare il ricorso a questa facoltà.
Credo pertanto che il risultato sia positivo e favorevole agli interessi e ai diritti dei cittadini.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) La politica europea nel settore dell’assistenza sanitaria non deve limitarsi a regolamentare la mobilità dei pazienti o a creare un mercato unificato. Dobbiamo evitare una politica a due velocità in base alla quale chiunque disponga di risorse finanziarie adeguate possa scegliere di viaggiare alla ricerca dell’assistenza migliore.
Ciò pregiudica la coesione sociale e territoriale nonché la solidarietà, e pertanto è inadeguato. L’assistenza sanitaria – esattamente come gli altri servizi sociali d’interesse generale – costituisce spesso parte di una struttura nazionale di protezione sociale che garantisce la salvaguardia dei diritti fondamentali dei cittadini.
Per tali motivi questo Parlamento, l’anno scorso, ha deciso di escludere i servizi sociali dalla direttiva sui servizi. Oggi non dobbiamo tornare sui nostri passi!
Il testo che è stato approvato un momento fa e che esamina l’impatto e le conseguenze di quest’esclusione, invita la Commissione a ideare uno strumento adeguato per codificare la giurisprudenza nel rispetto dei diritti e dei doveri dei pazienti che si spostano e dei fornitori di servizi sanitari. Non credo che questo possa bastare.
Se si adotta la giurisdizione quale unica base per la politica, non si rende giustizia all’importanza di questo settore in un’Europa sociale. La salute è un diritto fondamentale. Tutti hanno diritto di recarsi in un paese diverso dal proprio per ricevere l’assistenza medica migliore. E’ dovere di ogni fornitore di servizi sanitari, nonché degli Stati membri interessati, mettere tutti i pazienti sullo stesso piano.
Marc Tarabella (PSE), per iscritto. – (FR) Durante il voto sul progetto di relazione Vergnaud in sede di Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, i deputati di destra hanno appoggiato un emendamento finalizzato a reintrodurre i servizi sanitari nell’ambito della direttiva “Servizi”. A causa di questo voto, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei è venuto meno a un compromesso precedente col gruppo socialista al Parlamento europeo, compromesso che tutelava i servizi sanitari mantenendoli fuori dall’ambito di applicazione della direttiva “Servizi”.
Fortunatamente, i deputati del gruppo PPE-DE hanno deciso in occasione del voto in plenaria di onorare questo compromesso e rispettare le cure sanitarie, rifiutando di fare della salute una merce. Al termine di questa votazione ha trionfato la volontà dei socialisti di salvaguardare servizi sanitari accessibili, di alta qualità e a prezzi abbordabili per i cittadini dell’Unione.
Richard Corbett (PSE), per iscritto. – (EN) Mi fa molto piacere che, a partire dall’anno prossimo, l’agricoltura non costituirà più il capitolo di spesa più importante del bilancio comunitario, ma lo saranno i vari Fondi strutturali. Questa è una positiva ridistribuzione di risorse – a patto, naturalmente, che i soldi ridistribuiti siano spesi bene! E anche qui vorrei dare un cauto benvenuto allo spostamento graduale all’interno degli stessi Fondi strutturali verso lo sviluppo dell’innovazione e delle imprese nelle nostre regioni meno prospere.
I Fondi strutturali devono rappresentare qualcosa più di un semplice trasferimento di risorse dagli Stati membri più ricchi a quelli che lo sono di meno: se si trattasse solo di questo, basterebbe rettificare semplicemente i contributi e i rimborsi di bilancio. I Fondi strutturali devono portare valore aggiunto e costituire una vera e propria politica europea a tutti gli effetti, aiutando le regioni più povere anziché gli Stati membri, sviluppando i collegamenti transnazionali e contribuendo a garantire che tutti possano trarre beneficio dal mercato unico europeo.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ricordando che la relazione intende contribuire al dibattito sul futuro della politica comunitaria di coesione, dobbiamo rimarcare il nostro disaccordo su alcuni aspetti significativi in essa contenuti quali:
– l’idea che la concessione di fondi in quanto parte della politica di coesione sia condizionata al soddisfacimento di criteri di risultati economici stabiliti a livello comunitario, quale strumento supplementare di pressione sul modo in cui gli Stati membri definiscono le loro politiche socioeconomiche;
– l’istituzione di tetti obbligatori per quanto riguarda le modalità di impiego dei Fondi strutturali, a livello comunitario o di Stati membri, come per esempio “destinare almeno il 20 per cento dei Fondi strutturali allo sviluppo della R+S+I”;
– l’incoraggiamento a usare i Fondi strutturali per finanziare l’investimento privato mediante i cosiddetti partenariati pubblico-privati;
– l’utilizzo di nuovi indicatori di coesione, vale a dire l’occupazione, il livello di disparità del PIL tra regioni vicine, l’indice di decentramento e accessibilità, le infrastrutture e i trasporti, il livello della ricerca e dell’innovazione, l’istruzione e la formazione, nonché la varietà delle produzioni, senza che si garantisca che il PIL pro capite debba continuare a essere utilizzato come indicatore fondamentale di idoneità per quanto riguarda la politica comunitaria di coesione.
Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. – (PL) La relazione sottolinea giustamente il ruolo decisivo della politica di coesione per appoggiare il mercato interno grazie ai flussi commerciali e all’occupazione generati attraverso l’ideazione e l’avvio di progetti cofinanziati dall’Unione. Dobbiamo inoltre ricordare il ruolo svolto dalla politica di coesione nel rafforzare l’immagine della Comunità europea agli occhi dei suoi cittadini e nell’aumentare il sostegno all’Unione nelle regioni che hanno beneficiato in modo significativo di tale politica.
L’invito, rivolto alla Commissione e al Consiglio, a esaminare se sia sostenibile destinare almeno il 20 per cento dei Fondi strutturali a favore della ricerca, dello sviluppo e dell’innovazione è meritevole di appoggio. Degna di considerazione è anche la proposta di demandare a livello locale e regionale la funzione di animatori tecnologici, che mediante l’accesso agli aiuti e ai programmi europei faciliteranno il successo dell’innovazione delle imprese.
Chiedendo una maggiore visibilità e pubblicità per i progetti finanziati attraverso i Fondi strutturali, l’onorevole Francisca Pleguezuelos Aguilar vuol rendere i nostri cittadini più consapevoli dei benefici della politica di coesione.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’idea della coesione, che ci accompagna fin dal Trattato di Roma, è una delle pietre angolari dell’Unione. In sintesi, lo sviluppo di alcuni è lo sviluppo di tutti.
La storia ci ha dimostrato che la coesione, concetto sperimentato e affidabile, è caratterizzata da generosità e realismo, tanto per gli Stati membri che hanno aderito all’Unione recentemente quanto per quelli che ne fanno parte da più tempo. Inoltre ritengo, come la relatrice e la maggior parte dei politici europei, che la coesione vada promossa e difesa come un valore. Tuttavia, penso anche che sia necessario aggiornarla. Obiettivi che dieci o quindici anni fa erano esclusi dalla coesione a causa di carenze o divergenze più significative, oggi sono tematiche che devono sicuramente essere incluse, nel contesto di un’economia in crescita e più competitiva. Stando così le cose, è necessario che la coesione promuova, da un lato, il rafforzamento delle competenze in materia di ricerca e sviluppo e, dall’altro, il sostegno alle parti più competitive di ogni settore.
Coesione non vuol dire soluzione a tutti i problemi; significa, più che altro, investire per trarre il massimo beneficio dalle nostre diversità e assicurare la sostenibilità di quest’investimento per un periodo di tempo, al fine di garantire uno sviluppo armonioso.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Sono contento di avere appoggiato la relazione d’iniziativa sull’importanza dei Fondi strutturali per la coesione comunitaria, perché in Scozia abbiamo una grande esperienza in materia di impiego dei fondi per sviluppare le aree periferiche e riqualificare i centri urbani. Dal momento che ora i nuovi fondi sono disponibili, possiamo mettere a disposizione di tutta l’Europa la competenza di cui disponiamo, in modo da assistere i nostri nuovi colleghi nell’impostazione dei loro programmi. Ovviamente nutriamo un interesse cruciale per questa materia, ragion per cui sono lieto di constatare che la relazione oggi ha ottenuto la maggioranza.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Mi congratulo con l’onorevole David Martin per la sua relazione assolutamente puntuale, che intendo sostenere. L’Unione europea ha la responsabilità di garantire che i paesi in via di sviluppo siano in grado di prendere parte e di beneficiare dell’economia globale. La questione non riguarda semplicemente un sistema di scambio più equo e aperto. Nonostante gli straordinari sviluppi nell’accesso al mercato, tra cui l’iniziativa della Commissione “Tutto fuorché le armi”, la percentuale degli scambi mondiali dei paesi meno sviluppati si è dimezzata negli ultimi 40 anni, scendendo dall’1,9 all’1 per cento.
Gli aiuti al commercio sono necessari per creare le condizioni e le infrastrutture atte ad avviare la crescita, tuttavia tali aiuti devono essere posti sotto il controllo dei destinatari stessi al fine di inserirsi nel contesto dei loro piani nazionali di sviluppo.
Sono lieto che il Regno Unito si sia assunto il compito di assegnare la sua quota di 2 miliardi di euro del bilancio annuo per gli aiuti mondiali promesso dagli Stati membri dell’UE a Gleneagles entro il 2010. Noi possiamo sconfiggere la povertà del terzo mondo unicamente sviluppando le aziende, in particolare quelle impegnate nel commercio equo e solidale, per offrire condizioni di lavoro dignitose assolutamente indispensabili.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Per quanto ci riguarda, gli “aiuti” dell’UE non possono, e non devono, essere considerati quali parte della “liberalizzazione degli scambi”, cosa di cui il relatore si renderà conto. Inoltre, non devono essere utilizzati come “uno dei motori più efficaci della crescita economica” dei paesi più poveri. Questo per due ragioni: in primo luogo, gli aiuti dipendono dall’adeguatezza delle “politiche interne” di quei paesi e da “un’effettiva crescita della capacità di buon governo”, negli interessi delle potenti multinazionali dell’UE e degli Stati Uniti. In altre parole, le condizioni sono poste sullo sviluppo basato sugli “aiuti” di quei paesi, il che equivale a sfruttare la loro intrinseca fragilità strutturale conseguente al colonialismo, a beneficio del capitale dell’Unione europea. Essi sono obbligati a produrre per esportare, in particolare prodotti a basso valore aggiunto con un tasso di redditività ancora più basso, il cui prezzo non copre i costi di produzione. Ciò vale per numerosi prodotti agricoli, riguardo ai quali quei paesi sono obbligati a innalzare barriere doganali per impedire l’ingresso di prodotti dall’esterno.
In secondo luogo, tale orientamento stabilisce una gerarchia tra i paesi, aumentando ulteriormente le differenze tra i cosiddetti paesi ricchi e poveri, con conseguenze a livello nazionale per gli Stati membri dell’EU, e in quelli conosciuti come paesi terzi…
(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) In qualità di relatore ho sostenuto con convinzione la mia relazione. Solo pochi emendamenti sono stati presentati al voto della plenaria, alcuni dei quali hanno apportato un contributo alla relazione o ne hanno cambiato il linguaggio in forma positiva; altri, invece, ne hanno cambiato drasticamente il tono, impedendomi così di sostenerli.
Jean-Claude Martinez (ITS), per iscritto. – (FR) Siamo tutti d’accordo sull’obiettivo di allontanare finalmente i paesi del sud dalla povertà, benché non siano ancora state prese misure concrete a favore dell’Africa nera, e con questo intendo la messa in comune di acqua, cibo, farmaci di base e istruzione.
Quale strumento per combattere la povertà, il commercio internazionale è necessario, tuttavia insufficiente. Può rivelarsi sufficiente nel lungo termine ma, per dirla con Keynes, “nel lungo termine saremo tutti morti”.
Pertanto è necessario accelerare e innovare, non da ultimo mediante l’invenzione di una nuova tecnologia doganale di diritti doganali deducibili sotto forma di crediti doganali offerti dagli importatori agli esportatori, da detrarre dall’acquisto proveniente dall’economia del paese importatore ed equivalente alla somma del diritto doganale su cui grava il credito. Per i paesi del sud, tale credito doganale sarebbe sovvenzionato, in linea con i matching credits e gli sparing credits, che figurano già nel sistema di tassazione internazionale.
In questo modo, i paesi poveri non perderebbero più le rendite preziose provenienti dai loro diritti doganali.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Come sostiene correttamente il relatore, “l’apertura del commercio è uno dei motori più efficaci della crescita economica, che è indispensabile per ridurre la povertà e per promuovere la crescita economica e l’occupazione a vantaggio dei poveri, e che rappresenta altresì un importante catalizzatore dello sviluppo sostenibile a livello mondiale”. Certamente, non ne consegue – e non è una mia opinione – che basti aprire il commercio affinché solide democrazie possano prosperare in società libere e pluralistiche. Ciò non accadrebbe, come dimostrato in era moderna, in Cina, per citare un solo esempio. Tuttavia, la questione è che non esiste società libera, pluralistica e democratica che non sia, in sostanza, aperta agli scambi commerciali.
E’ questo il principio – e non una sua versione moderata o totalmente illiberale – che dovrebbe essere al centro degli orientamenti dell’Unione europea quando si tratta di aiuti al commercio internazionale.
La nostra impresa a livello mondiale dovrebbe essere finalizzata ad aprire il mondo sempre più al commercio, senza che questo comporti economie vulnerabili e mercati senza protezione.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Nonostante il suo linguaggio “politicamente corretto”, la relazione non nasconde le reali intenzioni dell’UE alla base degli attuali accordi di partenariato economico (APE) con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP).
Ciò che l’UE sta cercando di fare con gli APE è ottenere quanto più possibile dagli attuali negoziati OMC per i temi sui quali finora non è riuscita a ottenere risultati; in altre parole, prova ad entrare dalla finestra non essendo riuscita ad entrare dalla porta.
Essa pertanto chiede che “il ritmo, il calendario e la portata della liberalizzazione siano graduali e flessibili”. Essa “sottolinea i vantaggi, in termini di sviluppo, che le questioni di Singapore possono comportare”. E’ “del parere” che “accordi in materia di investimenti, concorrenza e appalti pubblici… possano contribuire a raggiungere gli obiettivi comuni di buon governo e trasparenza, creando un contesto che dovrebbe permettere il rafforzamento del partenariato pubblico-privato”. Essa “ricorda” che “quadri regolamentari solidi costituiscono un elemento essenziale di qualsiasi processo di liberalizzazione” per quanto riguarda i servizi e i servizi pubblici. In altre parole, non è altro che una versione edulcorata dell’agenda neoliberale.
E’ necessaria un’agenda totalmente diversa, volta a promuovere una cooperazione effettiva, solidarietà, sviluppo indipendente e giustizia sociale.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Gli accordi di partenariato economico hanno creato una forte divisione e appaiono controversi. Talvolta si è avuta l’impressione che considerazioni in materia di sviluppo non occupassero un ruolo principale nei ragionamenti della Commissione sugli APE. Questa relazione del Parlamento rappresenta un contributo decisamente opportuno ed equilibrato al dibattito e mi congratulo con il relatore, onorevole Robert Sturdy, per il suo approccio alla relazione.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Nell’ambito del quadro limitato delle norme dell’OMC, gli accordi di partenariato economico possono ancora essere – e devono essere – uno strumento efficace per la promozione del commercio e, cosa più importante, per sostenere la creazione di infrastrutture favorevoli al commercio. In tale situazione, questa è una relazione apprezzabile che espone i suoi principi in maniera chiara e che è sostenuta da valori rispettabili.
Per quanto riguarda questioni simili discusse in questa sessione plenaria, desidero ribadire la mia convinzione che la promozione del commercio equo, aperto e libero sostiene la democratizzazione delle società e incoraggia la pluralità delle forze sociali. Questa è un’ulteriore motivazione a sostegno dell’importanza degli accordi di partenariato.
Tokia Saïfi (PPE-DE), per iscritto. – (FR) I negoziati sugli accordi di partenariato economico entreranno in una fase cruciale il 1o gennaio 2008, segnando la fine degli accordi attuali.
In ragione del carattere essenziale di tali accordi, ho votato a favore della relazione, considerando che tali accordi consentiranno di stabilire un nuovo quadro economico e commerciale favorevole allo sviluppo sostenibile delle economie dei paesi ACP. Intendo sottolineare questa dimensione di sviluppo: tali accordi non possono essere ridotti a semplici accordi di libero scambio ai sensi dell’OMC e devono essere strumenti a servizio dello sviluppo umano ed economico. Pertanto, gli APE saranno altresì quanto più asimmetrici e progressivi possibile.
Ho votato a favore degli emendamenti nn. 20 e 28 sulla necessità che i negoziati tengano conto delle particolari circostanze dei dipartimenti d’oltremare e dei territori ai sensi dell’articolo 299, paragrafo 2, del Trattato CE. Dovremmo in effetti valutare i particolari interessi di tali territori, considerare le differenziazioni in materia di accesso al mercato e rendere le attuali modalità di aiuto più coerenti con quelle dei paesi ACP. Desidero altresì ricordare, riguardo al paragrafo 13 della relazione, le conclusioni adottate dal Consiglio che prevedono periodi transitori nell’offerta di accesso al mercato dell’UE per alcuni prodotti particolarmente sensibili dal punto di vista dell’UE.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Ad oggi, il sistema generalizzato di preferenze (SGP) ha garantito ai paesi ACP un accesso preferenziale al mercato comunitario, con tariffe di importazione più basse alle frontiere dell’EU e migliore accesso al mercato. Ciò ha consentito ai paesi in via di sviluppo di esportare i loro prodotti nei paesi europei più ricchi con maggiore facilità.
Tale accordo nell’ambito dell’OMC costituisce un’eccezione formale alla regola della non discriminazione del principio della nazione più favorita. Secondo l’accordo di Cotonou del 2000, tale eccezione dovrà essere sospesa non più tardi della fine del 2007, e sostituita da accordi di partenariato economico (APE) negoziati individualmente. Se così non fosse, ogni membro dell’OMC potrebbe denunciare la discriminazione.
La relazione esprime giustamente una nota critica. E’ essenziale che la Commissione negozi gli APE con la dovuta considerazione per il livello di sviluppo dei paesi ACP. Il principio della totale liberalizzazione del mercato non dovrebbe essere applicato poiché costituisce una minaccia concreta per loro, sia dal punto di vista sociale che economico.
Tale relazione, tuttavia, non tiene nella giusta considerazione le circostanze del luogo. Resta da vedere se gli APE avranno un impatto negativo o positivo. Pertanto, non è affatto sorprendente che i paesi in questione non si affrettino a firmare tali accordi prima della fine del 2007.
Se il Parlamento non annulla le scadenze e non è preparato a perseverare con il sistema SGP+, mi vedrò costretto a votare contro la relazione.
Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. – (FR) In linea con l’accordo di Cotonou, gli APE non sono semplici accordi di libero scambio ai sensi dell’OMC, ma un autentico partenariato capace di creare un nuovo quadro economico e commerciale a favore dei paesi ACP.
A causa della loro posizione geografica, in prossimità di molti paesi ACP, i dipartimenti d’oltremare sono al centro di tali accordi reciproci e preferenziali con i paesi ACP.
Occorre urgentemente tenere in considerazione le circostanze specifiche delle regioni ultraperiferiche nel contesto di tali negoziati, ai sensi dell’articolo 299 del Trattato.
E’ necessario prestare una particolare attenzione anche nei confronti dei PTOM che si trovano nelle vicinanze dei paesi ACP, in linea con gli accordi di associazione che li uniscono già all’Unione, ai sensi dell’articolo 299, paragrafo 3, del Trattato.
Dovremmo prendere in esame gli interessi specifici delle regioni ultraperiferiche e dei PTOM senza tralasciare di coinvolgerli il più a monte possibile nei negoziati, al fine di prendere in considerazione le differenziazioni di accesso al mercato e coordinare i loro rispettivi regimi di aiuto, in vista di una maggiore integrazione nei loro contesti regionali.
Accolgo con favore l’adozione del mio emendamento, destinato a trovare un equilibrio intelligente tra l’integrazione regionale di quei territori d’oltremare e i legami che li vincolano all’Europa.
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, ho votato a favore di questa relazione in quanto i passi che vi sono sottolineati devono essere intrapresi come una questione di assoluta necessità se vogliamo fare della nostra Unione europea un’unione politica capace di parlare con una voce unica al mondo esterno e di diventare quindi protagonista sulla scena mondiale, invece di restarsene passiva e inerte.
Per questa ragione, l’Unione europea deve in particolare sviluppare ulteriormente la propria politica di sicurezza e difesa, con ricerca comune, un ufficio per gli appalti comune, forze di difesa comuni in grado di agire autonomamente e operazioni comuni finanziate dal bilancio dell’UE. Ciò dipende, tuttavia, dall’acquisizione di un nuovo quadro normativo nella forma di un nuovo Trattato, e confido nel fatto che la presenza del Cancelliere Angela Merkel quale Presidente in carica del Consiglio, insieme al pragmatismo di Sarkozy, ci permetterà di compiere un passo decisivo nella giusta direzione.
Jan Andersson, Göran Färm, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) Noi socialdemocratici svedesi non crediamo che la relazione dell’onorevole Brok costituisca il luogo ideale dove discutere del Trattato e degli elementi che esso debba o non debba contenere. Riteniamo che sia necessario aumentare la cooperazione in materia di politica estera, ma non troviamo giusto in questa situazione impegnarci irrevocabilmente ad avere un ministro europeo degli Esteri comune. Pertanto, ci asteniamo dal votare questi punti.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Tra le altre questioni, la relazione difende il respinto (!!!) “Trattato costituzionale”. Essa chiede con forza la “piena ratifica” (?) e “entrata in vigore” (?) del Trattato “onde assicurare che l’Unione sia pronta a far fronte alle responsabilità, alle minacce e alle sfide globali del mondo d’oggi”, mediante la politica estera e di sicurezza comune e la politica europea in materia di sicurezza e di difesa, questo è quanto dichiarato…
Tale posizione adottata dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei e dal gruppo socialista al Parlamento europeo (che annovera i socialdemocratici, i conservatori e i socialisti portoghesi) è particolarmente significativa considerato che proprio queste forze politiche stanno negoziando la versione di un Trattato “semplificato”, che dichiarano diverso nei contenuti rispetto alla “Costituzione europea”. Chiariamo. A ben guardare, come può qualcosa presentarsi come totalmente diverso quando ribadisce esattamente ciò che si pretende sia diverso? E’ qui che sta la discrepanza…
L’intenzione reale delle forze politiche e degli interessi finanziari ed economici alla base dell’integrazione capitalista europea è quella di accelerare la militarizzazione dell’UE in un quadro istituzionale e legale – nell’ambito della Nato, ricordate – e questo sarebbe stabilito dalla cosiddetta “Costituzione europea”. Donde la politica estera dell’interventismo “comune” con il suo approccio aggressivo, asservita agli interessi e alle ambizioni dei grandi gruppi finanziari ed economici delle principali potenze, con a capo la Germania.
Anna Hedh (PSE), per iscritto. – (SV) Ho votato contro la relazione dell’onorevole Brok (A6-0130/2007) non soltanto perché il relatore ha scelto di includere la questione della Costituzione, ma anche perché ha sollevato la questione dell’opportunità di avere un ministro europeo degli Esteri. Attualmente, non abbiamo funzioni ministeriali nell’ambito dell’EU, e non dovremmo neanche averne. Tutti gli Stati membri dispongono di un proprio ministro degli Esteri. Cosa possiamo aspettarci in seguito: un ministro dell’Ambiente comune e forse, alla fine, un Primo Ministro comune?
Richard Howitt (PSE), per iscritto. – (EN) La delegazione del partito laburista al Parlamento europeo sostiene gran parte di questa risoluzione, in particolare la priorità riservata al consolidamento della democrazia, alla promozione dei diritti umani e della non proliferazione e all’importante ruolo dell’UE nella prevenzione dei conflitti e nella costruzione di un efficace multilateralismo.
Tuttavia, la risoluzione si concentra eccessivamente su modifiche procedurali interne, trascurando le priorità della politica estera. L’EPLP ha votato contro i paragrafi 1, 5 e 11, e si è astenuto dal votare i paragrafi 2, 3, 4 e 5, dal momento che i riferimenti al Trattato costituzionale e i relativi provvedimenti dettagliati sono inadeguati mentre il suo futuro è ancora in discussione. In particolare, l’adozione del Trattato costituzionale non dovrebbe essere considerata quale requisito essenziale per allargamenti futuri. L’EPLP si è inoltre astenuto dal votare il paragrafo 8, lettera g, poiché non è ancora stato dimostrato che un’accademia diplomatica dell’UE costituisca un valore aggiunto, e il paragrafo 8, lettera h – pur condividendo senz’altro l’esigenza di rafforzare le delegazioni esterne, riteniamo infatti che esse non saranno le “ambasciate” dell’UE. L’EPLP sostiene pienamente la riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e sostiene altresì miglioramenti nella comunicazione dell’UE all’ONU; tuttavia appare inadeguato parlare di un seggio unico europeo, come recita il paragrafo 10.
Jaromír Kohlíček (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) La relazione dell’onorevole Brok rivela la natura trita e ritrita della politica estera e di sicurezza comune dell’UE. Da un canto, chiede che l’UE sia coinvolta più da vicino nei conflitti nel Caucaso e nella Transnistria, e quindi si oppone alla nascita di nuovi Stati in quelle aree e al loro riconoscimento internazionale. Dall’altro canto, cerca di violare la risoluzione incompleta 1244 e dichiarare “l’indipendenza controllata del Kosovo”. L’autore, insieme all’onorevole Beer del gruppo Verde/Alleanza libera europea, ha di conseguenza scelto di riaprire il vaso di Pandora delle modifiche territoriali in Europa.
Sono curioso di sapere quando arriverà la richiesta della separazione dalla Spagna della Catalogna, dei Paesi baschi o anche della Galizia, e quando saranno ascoltate le voci dei separatisti in Slovacchia, Romania e Serbia. Cosa faremo effettivamente circa la richiesta di separazione della Macedonia (o deve ancora ritenersi ex Repubblica jugoslava di Macedonia)? Abbiamo creato un precedente per le comunità musulmane relativamente compatte in alcune zone del sud della Francia, o forse per gli emigranti concentrati nelle grandi città dell’Europa occidentale?
Altrettanto controproducente è la preoccupazione espressa nell’articolo 25 in merito alle prime prove di un meccanismo di difesa antisatellitare in Cina. Non abbiamo la stessa preoccupazione per quanto riguarda gli Stati Uniti. Malauguratamente, nella relazione ci sono talmente tante parti inaccettabili che né io né il mio gruppo parlamentare la sosterremo nel voto finale.
Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. – (PL) Signor Presidente ho votato a favore della relazione dell’onorevole Brok sulla relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo sugli aspetti principali e le scelte di base della PESC, comprese le implicazioni finanziarie per il bilancio generale delle Comunità europee del 2005 (paragrafo 40, lettera h, dell’accordo interistituzionale del 6 maggio 1999).
La relazione dell’onorevole Brok sottolinea giustamente che, in assenza di un Trattato costituzionale, l’Unione europea non sarà nella posizione di affrontare le sfide principali che la politica estera e di sicurezza comune pone attualmente. La nomina di un ministro degli Esteri che è anche membro della Commissione e che guida altresì il Consiglio dei ministri degli Affari esteri consentirà all’UE di agire in maniera più efficace ed energica nella sfera internazionale. La somma di 1 740 milioni di euro stanziati per la politica estera e di sicurezza comune per il 2007-2013 è insufficiente a soddisfare le ambizioni dell’UE di svolgere un ruolo internazionale.
La relazione rileva correttamente la necessità di sostenere il ruolo del Parlamento europeo nella politica estera e di sicurezza comune, e il Consiglio non dovrebbe limitarsi semplicemente a informare il Parlamento, ma dovrebbe soprattutto coinvolgerlo pienamente nelle scelte principali e nelle attività della politica estera e di sicurezza comune.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa relazione e in particolare mi compiaccio che essa ponga l’accento sulla necessità di priorità esterne per lo scenario interno, ad esempio la lotta contro la povertà, al fine di avere una voce europea comune negli affari internazionali.
Marek Siwiec (PSE), per iscritto. – (PL) La relazione dell’onorevole Brok sugli aspetti principali e le scelte fondamentali della PESC sottolinea bene le caratteristiche del caso. Senza un Trattato costituzionale, sarà impossibile parlare di una politica estera e di sicurezza comune capace di affrontare le sfide poste dalla Comunità europea.
Inoltre, la relazione definisce correttamente i settori di interesse dell’UE sui quali è necessario concentrarsi, tra cui la lotta contro il terrorismo, l’immigrazione, la sicurezza energetica e la non proliferazione di armi di distruzione di massa. La relazione è equilibrata e pone gli accenti sui punti giusti, ed è per questa ragione che io ne sostengo pienamente l’adozione.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione annuale propone di rafforzare il settore politico e militare della PESC per la cifra di 1,8 milioni di euro, che equivale al triplo della spesa per il periodo 2007-2013, onde intensificare la politica aggressiva dell’UE per permetterle di reclamare una quota maggiore del bottino per i monopoli eurounificanti degli interventi imperialisti in corso contro le persone.
La relazione ristabilisce l’adozione della Costituzione europea, “morta” in seguito ai referendum in Francia e nei Paesi Bassi, quale strumento necessario per promuovere la PESC. Al fine di mettere in atto le visioni imperialiste e rimuovere i possibili ostacoli, essa propone di abolire l’unanimità e l’applicazione del voto a maggioranza qualificata, così che le potenze imperialiste dominanti possano proseguire con i loro piani.
Al fine di preparare ed attuare nuovi interventi nel nome della lotta al terrorismo, della “restaurazione della democrazia” e altri pretesti, la relazione promuove un’ulteriore militarizzazione, il completamente della formazione di gruppi da battaglia e la preparazione di forze militari occupanti nel Kosovo per sostituire le forze della NATO.
Non ci sono riferimenti alla difesa contro missili balistici, il che dimostra indirettamente ma chiaramente che essa è accettata dalla NATO e dalla stessa UE.
La relazione propone maggiori finanziamenti essenzialmente chiedendo ai lavoratori europei di pagare per la politica aggressiva dell’UE.
Noi abbiamo votato contro la relazione sulla PESC.
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, sostengo le richieste presentate in questa relazione, in particolare per quanto riguarda l’introduzione di un salario minimo in tutti gli Stati membri, che costituirà una rete di sicurezza ed è previsto in particolare per proteggere chi lavora dallo sfruttamento e dalla povertà, salvaguardando, nel contempo, anche la concorrenza e prevenendo la perdita di lavoro in paesi quali l’Austria, che vanta livelli più alti di protezione sociale.
Sono altresì favorevole all’introduzione di un marchio di qualità per prodotti provenienti da paesi terzi, realizzati in condizioni adeguate e senza l’utilizzo del lavoro minorile; sarebbe un invito per i consumatori a garantire, acquistando tali prodotti, che nei paesi terzi prevalgano condizioni di lavoro eque e umane e che da noi i posti di lavoro non siano eliminati dall’importazione di merci a basso costo.
John Attard-Montalto (PSE). – (MT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei ricordare che, quando si tratta di lavoro, di lavoro dignitoso in particolare, la nostra Costituzione è interamente basata sul lavoro. Voglio inoltre chiarire che, nel corso degli anni, i governi laburisti hanno sempre cercato di migliorare le condizioni del luogo di impiego per la forza lavoro del nostro paese. E’ importante notare che, quando si sono verificati casi in cui un lavoratore ha migliorato la qualità delle proprie condizioni lavorative, ciò è avvenuto per iniziativa dei governi laburisti. Vorrei inoltre encomiare le forze sindacali di Malta, in particolare l’Unione generale dei lavoratori, per il loro intenso lavoro e gli sforzi compiuti nell’interesse dei lavoratori maltesi. Grazie.
Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) Noi socialdemocratici svedesi al Parlamento europeo abbiamo votato a favore della relazione. La relazione è valida, e noi sosteniamo senza riserve l’impegno dell’UE a favore del lavoro dignitoso. E’ importante per noi poter garantire alla gente un lavoro produttivo, realizzato in condizioni libere, eque e sicure, sia in ambito UE che internazionale.
Tuttavia, intendiamo chiarire degli aspetti. E’ importante sottolineare che un’imposta sulle transazioni valutarie e finanziarie deve avere carattere internazionale in quanto una tassazione a livello europeo porrebbe i paesi che si trovano al di fuori dell’area dell’euro in una posizione di svantaggio.
Ci siamo opposti alle definizioni standard comuni dei concetti di lavoro forzato e di abuso della vulnerabilità. Le definizioni di base dovrebbero essere quelle dell’Organizzazione mondiale del commercio, e ulteriori definizioni dovrebbero essere lasciate agli Stati membri.
La relazione chiede agli Stati membri di considerare salari minimi. In Svezia esistono già, e abbiamo scelto efficacemente una soluzione in cui la questione è lasciata ai partner sociali.
Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) Questa relazione del Parlamento europeo costituisce un passo nella giusta direzione.
Rende il lavoro dignitoso uno strumento della politica di sviluppo europea, innanzitutto cofinanziando, insieme all’OIL, un programma di sviluppo del lavoro dignitoso, secondariamente creando un marchio europeo e una lista nera di aziende che violano le norme fondamentali di lavoro e infine attuando sanzioni commerciali nei confronti dei paesi che violano gravemente i diritti sociali fondamentali.
Determina progresso per il lavoro dignitoso in Europa, dove rimane ancora molto da fare: occorre esortare gli Stati membri a ratificare le convenzioni dell’OIL sulla sanità e la sicurezza dei lavoratori, la tutela della maternità e diritti dei lavoratori migranti; chiedere l’introduzione di un livello minimo di salario quale rete di sicurezza per evitare ogni tipo di sfruttamento dei lavoratori; migliorare l’accesso alla formazione continua e chiedere una maggiore armonizzazione dei regimi pensionistici.
Queste sono le fondamenta dell’Europa sociale che il gruppo socialista al Parlamento europeo intende costruire. Pertanto, voterò a favore della relazione.
Françoise Castex (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione sulla promozione del lavoro dignitoso per tutti.
La nozione di “lavoro dignitoso” sembra essere un riferimento ai termini delle dichiarazioni e degli accordi multilaterali, ma le politiche, per parte loro, sono ancora troppo lontane dal concetto.
Le presentazioni e le dichiarazioni sono una cosa; le azioni e le decisioni politiche quotidiane sono altra cosa. In effetti, il mondo è segnato da un “deficit” nel lavoro dignitoso: in molti lavori improduttivi e di bassa qualità, lavori pericolosi con redditi precari, i diritti sono calpestati e prevalgono le disuguaglianze di genere.
Di fronte a questa situazione, l’OMC e l’OIL hanno adottato norme di lavoro internazionali. Tuttavia, il FMI e la Banca mondiale non sostengono tutte le iniziative destinate ad assicurare che i diritti fondamentali dei lavoratori siano rispettati.
Se il lavoro dignitoso deve diventare una realtà mondiale, è necessario che tutte le istituzioni internazionali gli diano la priorità, che lavorino insieme per far sì che ciò accada.
Il lavoro dignitoso deve essere un obiettivo universale per tutte le istituzioni internazionali. E’ indispensabile che tali fondamenti – occupazione di qualità, diritti dei lavoratori, protezione e dialogo sociale – determinino tutte le politiche sociali ed economiche a livello internazionale.
(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou (A6-0068/2007) sulla promozione del lavoro dignitoso per tutti, in quanto il lavoro produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità dovrebbe occupare un posto centrale nelle relazioni commerciali dell’UE.
Credo che dovremmo chiedere ai nostri alleati di rispettare le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro sui diritti dei lavoratori, con riferimento a salari equi e adeguata protezione sociale. Desidero inoltre sottolineare la necessità che le aziende multinazionali si assumano la loro responsabilità sociale, sia in Europa che in qualsiasi altro posto nel mondo.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Quanto accaduto nel voto su questa relazione è scandaloso. La maggioranza del Parlamento ha bloccato l’adozione di alcuni dei paragrafi migliori approvati dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali sul tema “Promuovere la possibilità di un lavoro dignitoso per tutti – Contributo dell’Unione alla realizzazione dell’agenda per il lavoro dignitoso nel mondo”. Tale posizione necessita di essere sottolineata dato che appare evidente che è intrinsecamente collegata con l’enfasi crescente sulla cosiddetta flessicurezza.
Come sappiamo, tra il 2000 e il 2005 la disoccupazione è aumentata di un milione nell’UE, parallelamente a un massiccio incremento del lavoro precario: più di 4,7 milioni di lavoratori hanno avuto contratti a tempo determinato e almeno 1,1 milioni si sono ritrovati con un lavoro a tempo parziale. L’elevato numero di lavoratori che, pur avendo uno stipendio, vivono al di sotto della soglia di povertà, è inoltre inaccettabile.
La promozione del lavoro dignitoso per tutti comporta il rispetto di norme progressiste in materia di lavoro, garantendo la dignità di chi lavora, garantendo condizioni di vita e di lavoro dignitose, senza discriminazione e disuguaglianza. Questo dovrebbe andare oltre le semplici buone intenzioni, diventando un’azione concreta.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Voterò a favore di questa relazione malgrado i conservatori e i liberali l’abbiano defraudata dei suoi elementi fondamentali, ad esempio cancellando “iniziative vincolanti in materia di responsabilità sociale delle imprese”, la necessità di introdurre una “politica fiscale equa e innovativa” e di esaminare/elencare le imprese che violano le norme fondamentali del lavoro. Sono sgomento di fronte ai loro atteggiamenti da movimento contro il lavoro.
Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I conservatori britannici sostengono pienamente il principio dell’OIL del lavoro dignitoso.
Concordiamo sull’importanza di fornire opportunità di formazione continua, sulla necessità di essere proattivi nell’aumentare la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e sulla necessità di attivarsi maggiormente per risolvere la sfide poste dal conciliare il lavoro con la vita familiare.
Tuttavia, non condividiamo l’idea che il Parlamento europeo debba impiegare il suo tempo rilasciando dichiarazioni su questo argomento, per quanto nobili e ben intenzionate. Il Parlamento non ha competenza per dare istruzioni agli Stati membri su come agire in questo settore. Spetta ai governi degli Stati membri decidere, e a giusto titolo.
Quindi, sebbene abbiano preso parte al dibattito e anche al voto per limitare gli eccessi interventisti della sinistra, i deputati conservatori si astengono dal voto finale.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato per questa relazione e contro gli emendamenti dei liberali e del PPE che hanno cercato di cancellare i riferimenti alle iniziative vincolanti sulla responsabilità sociale delle aziende. Tale responsabilità dovrebbe al centro delle attività aziendali europee sia internamente nell’ambito dell’UE che esternamente, e sono oltremodo deluso che i due gruppi non abbiano sostenuto i provvedimenti sottolineati nella relazione.
Esko Seppänen (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Non accetto che le politiche comunitarie vengano imposte alle politiche nazionali del mercato del lavoro.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La proposta dell’UE e la relazione discusse nella riunione plenaria del Parlamento europeo dal titolo fuorviante di “lavoro dignitoso” (COM – 2006 – 0249) rappresentano il nuovo quadro reazionario e antipopolare dell’UE volto a raggiungere gli obiettivi della “strategia di Lisbona”, riducendo al minimo il costo del lavoro e colpendo i diritti fondamentali dei lavoratori, al fine di aumentare i profitti dei gruppi imprenditoriali del monopolio eurounificante.
La base della ristrutturazione capitalista trattata e formulata nell’UE e nelle organizzazioni imperialiste internazionali e la plutocrazia e i suoi portavoce politici sul tema del cosiddetto “lavoro dignitoso” sono in fase di integrazione con la politica antipopolare dell’UE che comprende:
– formazione continua, estensione di forme di impiego flessibili, attacchi ai contratti collettivi di lavoro, aggravamento dei tempi di assicurazione e pensionamento e ulteriore privatizzazione dell’istruzione, dei servizi pubblici e sanitari di interesse comune in generale;
– creazione di un salario minimo per i lavoratori, una rete di sicurezza a livello di povertà, per prevenire reazioni da parte dei lavoratori e del popolo, mentre la plutocrazia ottiene profitti enormi dallo sfruttamento delle classi operaie.
Questa è la ragione per la quale il gruppo parlamentare del partito comunista greco ha votato contro questa proposta dell’UE.