Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sul Medio Oriente e le dichiarazioni dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e della Commissione.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EN) Signor Presidente, in qualità di deputati al Parlamento europeo, abbiamo deciso di esprimere la nostra solidarietà ai nostri colleghi palestinesi imprigionati da Israele. 45 eurodeputati hanno simbolicamente manifestato tale supporto sostenendo collettivamente i 45 deputati al parlamento palestinese. In qualità di rappresentanti eletti, non possiamo esimerci dal condannare l’incarcerazione del Presidente e di un terzo dei membri del Consiglio legislativo palestinese, di cui chiediamo il rilascio immediato e incondizionato. Ribadiamo l’appello affinché si invii una delegazione del Parlamento europeo e si intraprendano tutte le azioni necessarie a tale scopo.
(Applausi)
Presidente. – Devo informare l’onorevole deputato che lo scorso mercoledì, ovvero esattamente una settimana fa, ho avanzato una richiesta analoga alla Knesset. Prima di presentare una simile richiesta alla Knesset occorre riflettere a lungo. Ci auguriamo di raggiungere una soluzione in merito a tutte le questioni, compreso il rilascio dei tre soldati israeliani prigionieri e del giornalista della BBC Alan Johnston. Tutte le parti interessate devono muoversi.
Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. – (ES) Signor Presidente, onorevoli deputati, innanzi tutto vorrei dire che esattamente una settimana fa il Quartetto si è riunito a Berlino. Poiché avrete certamente letto il documento reso pubblico la sera stessa, sarete al corrente della nostra solidarietà verso i membri del parlamento dell’Autorità palestinese che si trovano in prigione e, come il Presidente dell’Assemblea ha giustamente affermato, verso le altre persone detenute contro la loro volontà in Israele o nei territori palestinesi.
Signor Presidente, vorrei rilasciare una breve dichiarazione. Mi è stato chiesto di parlare per non più di 10 o 15 minuti, come tenterò di fare, e vorrei dirvi che sono appena tornato da un lungo viaggio nella regione, dove ho avuto occasione d’incontrare i principali leader regionali e di condurre un’analisi della situazione, in modo da poter riferire anche al Quartetto, riunitosi mercoledì scorso.
Mi ha fatto piacere intraprendere tale viaggio pressoché in contemporanea con quello del Presidente del Parlamento, con cui ho parlato al telefono, e di un insigne gruppo di deputati al Parlamento europeo, che mi hanno scritto una lettera cui non ho ancora dato risposta. Vorrei incontrarli di persona, perché, credetemi, da allora non ho più trascorso nemmeno un giorno a Bruxelles.
Vedrò se vi potrò incontrare, per parlare con calma delle questioni da voi sollevate, che reputo estremamente significative.
Signor Presidente, credo che la presente seduta abbia un’importanza particolare. Essa si tiene peraltro in un giorno molto significativo per la Palestina, per Israele e per i cittadini del mondo in generale e del mondo arabo in particolare.
Oggi ricorre il 40° anniversario dello scoppio della guerra del 1967, di cui tuttora patiamo le tante e tragiche conseguenze. Guardando agli ultimi 40 anni, senza dubbio siamo scossi da un brivido.
Sono stati 40 anni di occupazione, di sofferenza da ambo le parti, di violenza, in cui i cittadini – sia palestinesi che israeliani – hanno sofferto molto, nonché 40 anni in cui sono proliferati gli insediamenti israeliani nei territori occupati.
Dati i 40 anni precedenti, abbiamo due opportunità o modi di considerare la situazione: guardare indietro per tentare di imparare quali errori non bisogna ripetere o guardare avanti tentando di capire se possiamo imparare la lezione più importante di tutte, cioè che l’unica soluzione a questo conflitto che dura ormai da 40 anni è la pace, un rapido processo pacificatore che porti con rapidità alla pace.
Vi sono stati molti processi, e molte opportunità di pace non sono state colte. Credo che ora tutti dobbiamo avere volontà – la volontà di agire, non solo quella di pensare e parlare, bensì di agire – così da poter davvero fare della pace una realtà in quei paesi tanto cari a molti di noi e agli europei in generale.
Vorrei pertanto guardare avanti, ma devo esprimere un breve commento su questo viaggio, poiché tutte le aree che ho visitato, purtroppo, in questo momento non stanno vivendo i loro momenti migliori.
Nei territori occupati, in Palestina, ci troviamo dinanzi a una difficile situazione di violenza tra palestinesi, nonché di rinnovata violenza tra Israele e Palestina. Gli appelli al coprifuoco pronunciati da ambo le parti non hanno trovato ascolto, né in Palestina né tra quest’ultima e Israele.
Oggi vorrei rivolgere un appello a chiunque ricopra un ruolo di responsabilità in questa regione affinché le ostilità cessino quanto prima, in modo che si possa creare un clima favorevole per progredire in direzione della pace.
Ho avuto occasione di visitare Gaza, come ha fatto anche il Presidente del Parlamento. Una visita in questo momento è un’esperienza davvero significativa. Non è stata la mia prima visita a Gaza, ma credo che andarci in questo momento particolare e incontrare il Presidente dell’Autorità palestinese fosse un obbligo morale per non dare l’impressione che il mondo abbia dimenticato completamente ciò che vi accade. Gaza si trova in una situazione difficile, di violenza tra palestinesi, violenza che, se andrà avanti, non condurrà da nessuna parte.
La prima cosa da fare, pertanto, è tentare di porre fine a tale violenza, di arrivare a una tregua, in modo che i palestinesi possano finalmente iniziare a collaborare per una causa comune, che naturalmente è la pace: la pace con i vicini e la pace al loro interno. Stiamo facendo tutto il possibile per favorire una simile politica, sia dalla mia posizione che da quella della Commissione, che sta aiutando con generosità.
Vorrei dirvi che la situazione in Palestina, sul piano economico e sociale, è drammatica. Pertanto credo che, non appena questo periodo sarà finito e potremo nuovamente incontrarci con i leader politici con maggiore chiarezza e trasparenza, dovremo pensare a elaborare un piano speciale di aiuti per Gaza. In caso contrario, potremmo trovarci di fronte a una situazione davvero difficile a Gaza, cui sarà difficile porre rimedio per realizzare un autentico processo di pace.
Vorrei altresì affermare che, a mio avviso, l’appello solenne pronunciato dal Presidente Abbas ieri, nell’anniversario dell’inizio della guerra del 1967, merita di essere letto e analizzato da parte di tutti, perché dimostra un coraggio morale degno di nota.
Vorrei parlare anche del mio viaggio in Israele. Ho incontrato il Primo Ministro e il ministro degli Esteri e mi sono recato a Sderot, l’area che subisce il maggior numero di attacchi dei razzi Qassam. Ho altresì ritenuto opportuno esprimere la nostra solidarietà – la solidarietà europea – a tutti coloro che subiscono qualunque tipo di violenza, tra cui anche gli attacchi dei razzi Qassam.
Trovarsi in quella città è stato difficile e duro, ma, ad ogni modo, fare quest’esperienza diretta ci dà un quadro più nitido degli avvenimenti.
Nella nostra dichiarazione di mercoledì scorso, i membri del Quartetto si sono rivolti a Israele affinché desse prova di moderazione.
Anche Israele attraversa una situazione politica difficile. Le elezioni primarie nel partito laburista non si sono ancora concluse, benché manchi poco, e vedremo come sarà il prossimo governo, se vi saranno cambiamenti dopo le elezioni in seno al partito laburista israeliano.
Vorrei inoltre dire che la dichiarazione del Quartetto contiene un appello chiaro – e vigoroso – a Israele affinché trasferisca risorse all’Autorità palestinese.
La comunità internazionale può fare molto, e infatti stiamo facendo molto. Noi europei stiamo probabilmente facendo più di chiunque altro.
Inoltre, i paesi arabi hanno iniziato a devolvere denaro al ministro delle Finanze Salam Fallad, e oggi possiamo dire che incomincia a profilarsi la possibilità di creare un bilancio per l’Autorità nazionale palestinese.
Senza il trasferimento di risorse da Israele alla Palestina, tuttavia, vi è poco altro che la comunità internazionale possa fare. Il miglioramento delle condizioni economiche è legato essenzialmente a un trasferimento di risorse da Israele ai palestinesi.
Vorrei fare qualche breve commento in merito al Quartetto e al Libano.
Credo che, secondo la mia esperienza, e sono molti anni che facciamo parte del Quartetto, avendo io contribuito alla sua istituzione, l’incontro del Quartetto tenutosi a Berlino mercoledì scorso sia stato senza dubbio uno dei più importanti svoltisi finora. E’ stato un Quartetto in cui siamo riusciti a riflettere seriamente su come si possa attuare il processo di pace. Leggendo l’ultimo paragrafo della dichiarazione, si vedrà che essa guarda davvero al futuro e impegna i membri del Quartetto a iniziare un lavoro intenso, in cooperazione con le parti interessate – Israele, Palestina e paesi arabi – al fine di avviare un processo di pace, un processo che abbia un orizzonte politico.
Vorrei informarvi che, per la prima volta nella sua storia, il Quartetto sta per compiere una visita congiunta nella regione per incontrarsi, nelle prossime settimane, con i palestinesi e gli israeliani nonché con i paesi arabi, che a mio avviso, con l’iniziativa di pace araba, stanno collaborando ai preliminari per la normalizzazione della vita – o all’inizio della possibilità di normalizzarla – nei territori tra Israele e Palestina.
Pertanto credo che, in questo momento di sconforto per molti, di sconforto tra i palestinesi nonché in un certo settore della società israeliana, la comunità internazionale, per il tramite del Quartetto, reagisca in modo opposto: con speranza, con l’idea che, dopo 40 anni, abbiamo l’obbligo morale di compiere ogni sforzo possibile per andare avanti verso la formalizzazione della pace, verso un processo di pace.
Vorrei dirvi che le prossime settimane saranno assolutamente cruciali al fine di avviare un moto che possa portarci dalla situazione attuale a un processo di pace che porti davvero ad essa.
Non è così difficile individuare gli elementi capaci di avviare questo processo finalizzato alla pace. Quasi tutti abbiamo un’idea dei parametri necessari per ottenerla. Quel che dobbiamo fare ora è metterci al lavoro in cooperazione con tutti i membri del Quartetto. Vorrei sottolineare che il Segretario generale delle Nazioni Unite, il Segretario di Stato americano e il ministro degli Esteri russo si sono dimostrati molto collaborativi in merito alla nostra proposta, esprimendo un chiaro sostegno alle idee che ho avuto l’onore di presentare al Quartetto a nome dell’Europa.
Ci troviamo perciò a un bivio estremamente significativo, onorevoli deputati, per quanto riguarda la situazione effettiva, ma anche a un bivio positivo per quanto riguarda l’avvicinamento a un processo di pace, che iniziamo a intravedere all’orizzonte.
Onorevoli parlamentari, non posso esaurire il tempo che la Presidenza mi ha concesso senza spendere qualche parola in merito al Libano, che ancora una volta versa in una condizione di crisi profonda. Gli onorevoli deputati ne sono ben consapevoli. Questi sono i momenti di estrema importanza, alcuni dei quali vanno avanti da un po’ di tempo. Dall’assassinio dell’ex Primo Ministro Hariri, l’intera situazione che hanno affrontato durante l’estate, l’attuale condizione di paralisi politica, divenuta ancor più grave per via dei movimenti che sono emersi, con atti di terrorismo, nei campi profughi, in due campi profughi in particolare: uno nel nord e l’altro nel sud.
Come sapete, l’esercito libanese ha reagito in un modo che definirei patriottico, e anche il sostegno all’esercito da parte di tutti i partiti politici libanesi è stato patriottico, il che è davvero straordinario, viste le divergenze che si sono avute negli ultimi mesi, settimane e giorni.
Speriamo e ci auguriamo che anche la pace arrida al Libano, e che le circostanze particolari verificatesi negli ultimi giorni – unite altresì al fatto che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato che il Tribunale penale internazionale giudichi i crimini commessi in Libano – permettano di raggiungere un accordo tra tutte le forze politiche al fine di sbloccare il processo politico in Libano. Questo è ciò che vogliamo, e stiamo collaborando nel miglior modo possibile per realizzarlo.
Signor Presidente, mi atterrò al tempo di parola concessomi e, in conclusione, vorrei ribadire ciò che ho affermato in apertura: abbiamo un momento di speranza, un momento che dobbiamo essere in grado di sfruttare, che in un modo o nell’altro deve chiudere il cerchio apertosi 40 anni fa e che ci auguriamo di veder completare con la pace, con la convivenza di due Stati – Israele e Palestina. Tale pace deve comprendere gli altri paesi – Siria, Libano – in modo che possiamo veder risorgere un Medio Oriente in grado di offrire maggiore speranza a tutti, che sia prospero e dia un contributo costruttivo alla pace in tutta la regione.
Noi europei non possiamo chiudere gli occhi di fronte a questo compito, e potete star certi che almeno i miei saranno sempre aperti.
(Applausi)
Presidente. – Grazie, dottor Javier Solana, per la sua dichiarazione, ma anche per il suo lavoro indefesso e per il suo profondo impegno. Vorrei dire che le mie esperienze sono le stesse che ha avuto lei. Non dobbiamo desistere dal percorrere la strada della pace.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, come tutti sappiamo e come Javier Solana ha detto poc’anzi, l’atmosfera nella regione è estremamente tesa. Oserei dire che aleggia persino un senso di disperazione. Il mio direttore è ancora là e mi ha appena chiamata. Purtroppo le condizioni della sicurezza sono peggiorate e assistiamo a un circolo vizioso di violenza, soprattutto nel Territorio palestinese occupato, in Israele e in Libano, come Javier Solana ha affermato poc’anzi.
Se non affrontiamo le cause di tale disperazione, molto presto potremmo assistere al consolidamento di gruppi più radicali in tutta la regione. A mio avviso questo è il pericolo più grave in quelle aree. In Libano, come ha appena detto Javier Solana, i combattimenti si sono ora allargati ad altri campi palestinesi. Nutriamo pertanto profonda preoccupazione per gli scontri tra le forze armate libanesi e i ribelli islamisti. Questo si è rivelato il più grave conflitto interno dalla fine della guerra civile ed è già costato la vita a 100 000 persone.
Vorrei riaffermare ancora una volta il nostro pieno sostegno al legittimo governo del Libano. Vorrei tuttavia ribadire la nostra posizione secondo la quale occorre fare tutto il possibile per evitare ulteriori vittime tra la popolazione civile. Le agenzie di soccorso devono essere in grado di svolgere il proprio lavoro.
D’altra parte, vorrei anche esprimere la mia soddisfazione per l’adozione della risoluzione n. 1757 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che assicura l’istituzione di un tribunale speciale per l’assassinio dell’ex Primo Ministro libanese Rafiq Hariri. A mio parere, questo permetterà ai cittadini del Libano di affermare il rispetto della legge e dello Stato di diritto nel loro paese e di voltare pagina per quanto concerne uno degli eventi più tragici della recente storia libanese.
Purtroppo l’incontro in programma per domani a Gaza tra il Presidente Abbas e il Primo Ministro Olmert è stato annullato, ma almeno domani i leader del G8 affronteranno la questione del conflitto israelo-palestinese, come abbiamo fatto in seno al meeting dei ministri degli Esteri del G8. Si è manifestata la massima preoccupazione per gli sviluppi sul piano politico e della sicurezza sia a Gaza che in Israele, ma si è anche riconosciuto che non vi è alternativa al proseguimento di questo supporto umanitario né, dall’altro lato, a valutare come sostenere questa iniziativa di pace araba.
Anche in questo momento tanto delicato e difficile crediamo vi sia ancora motivo di speranza, perché l’iniziativa israeliana è un’opportunità unica per una soluzione estesa. Sappiamo che anche gli egiziani stanno tentando di negoziare una tregua con tutte le fazioni palestinesi. La partecipazione americana, e in particolare di Condoleezza Rice, è molto preziosa in questo momento di difficoltà. Anche la nostra Presidenza dell’Unione è molto impegnata. Il Quartetto ha agito esattamente come ha illustrato Javier Solana; penso sia stato un ottimo incontro, in cui è emersa l’idea sia di un percorso bilaterale che di un percorso regionale. Speriamo che possa tenersi in Egitto l’incontro con gli interlocutori della Lega araba e con le due parti interessate.
Due giorni fa ho parlato con il ministro degli Esteri giordano Abdel Ilah Al-Khatib, che sta organizzando, con il suo omologo egiziano, una visita in Israele prima che la Lega araba incontri il Quartetto a fine giugno. Speriamo che questo contribuisca a coinvolgere ulteriormente Israele e a incoraggiarlo a rispondere positivamente all’iniziativa di pace araba.
La settimana scorsa, a Vienna, ho altresì preso parte a una conferenza sul ruolo delle donne leader nel contribuire alla pace e alla sicurezza in Medio Oriente. Donne di spicco, quali Tzipi Livni, Hanan Ashrawi, Condoleezza Rice e altre, hanno discusso del potenziale contributo della società civile, delle donne nella società, alla pace. Benché si tratti di un contributo modesto, è stata la prima volta che Tzipi Livni e Hanan Ashrawi hanno partecipato a un dibattito sedute allo stesso tavolo. Devo dire che vi è stata molta comprensione reciproca e persino un’atmosfera amichevole. L’iniziativa si è dimostrata un’ulteriore e utile parte di questo difficile processo. Ho in programma di organizzare una sorta di incontro di follow-up a Bruxelles, magari l’anno prossimo.
Apprezziamo molto la partecipazione del Parlamento europeo: alla visita della delegazione parlamentare per le relazioni con il Consiglio legislativo palestinese hanno fatto seguito la sua visita, signor Presidente, e il suo discorso molto equilibrato in seno alla Knesset il 30 maggio. E’ incoraggiante che il discorso, come lei ha affermato, abbia ricevuto un’accoglienza piuttosto buona da parte della Knesset. Si tratta di un’opportunità non facile.
Il popolo palestinese necessita disperatamente di una prospettiva politica. Noi, membri del Quartetto, abbiamo tutti le idee chiare al riguardo. Per questo motivo dobbiamo insistere affinché si negozi la questione dello status definitivo, cooperando con le strutture istituite dalla Lega araba. Quest’ultima ha chiesto a Israele di revocare alcune misure legate anche all’occupazione, come ad esempio gli insediamenti e la barriera divisoria. Ho trovato molto incoraggiante l’invito del Presidente Abbas a porre immediatamente fine alle violenze interne, perché i razzi Qassam da Gaza devono essere fermati una volta per tutte. Il cessate il fuoco va di fatto esteso alla Cisgiordania. Deploro fortemente che l’incontro di domani tra il Primo Ministro Olmert e il Presidente Abbas si sia dovuto annullare, ma evidentemente dobbiamo desumere che le due parti non sono riuscite a raggiungere un accordo sul piano di Abbas per una tregua, e soprattutto sul collegamento tra la tregua a Gaza e la cessazione delle operazioni militari in Cisgiordania. Non è stato possibile alcun accordo nemmeno sullo scongelamento delle entrate fiscali palestinesi trattenute da Israele prima della liberazione del soldato rapito Gilad Shalit. Avevamo sperato in qualche sviluppo al riguardo. I palestinesi hanno deciso di non poter rischiare l’incontro, ma naturalmente tutti avevamo sperato che questo consentisse qualche progresso in più per il dialogo sul cessate il fuoco, per il trasferimento delle entrate fiscali e per lo spostamento dei punti di accesso.
Per quanto riguarda il governo di unità nazionale, a mio avviso non è certo questo il momento di cedere al riguardo. Riconosco che non ha ancora portato a compimento tutto ciò che speravamo, ma non vi sono alternative allettanti. Se permettiamo che questo governo si sfasci, le conseguenze per le istituzioni dell’Autorità palestinese saranno molto gravi e le fazioni radicali potrebbero uscirne rafforzate, e penso che questa sia l’ultima cosa che vorremmo.
Come sapete, entro i limiti posti dal Consiglio dei ministri, la Commissione ha dato una rapida risposta al governo di unità nazionale e alle crescenti esigenze dei palestinesi. Solo nella prima metà del 2007 abbiamo stanziato 320 milioni di euro di finanziamenti comunitari, il che eguaglia quasi l’ammontare totale dei finanziamenti stanziati l’anno scorso. L’eccezionalità dello sforzo dimostra che, dalla formazione del governo di unità nazionale, abbiamo intensificato la nostra assistenza d’emergenza ai palestinesi. La situazione finanziaria dell’Autorità palestinese, tuttavia, è estremamente grave, come Salam Fayad ha detto ieri al mio collega. Necessitano ancora del nostro aiuto, anche attraverso questo meccanismo. Israele deve restituire all’Autorità palestinese le entrate fiscali trattenute. Pertanto penso si debba continuare a invitarli a farlo per il tramite del meccanismo temporaneo internazionale o attraverso il conto dell’OLP. Abbiamo ribadito la richiesta nel corso dell’ultimo comitato di associazione con Israele, tenutosi a Gerusalemme il 4 giugno. Il Quartetto ha altresì rimarcato l’importanza dei trasferimenti per migliorare le condizioni economiche e umanitarie in Cisgiordania e a Gaza. Come ho già detto, la circolazione è senza dubbio fondamentale in ogni caso.
Fin dalla formazione del governo di unità nazionale abbiamo lavorato a stretto contatto con il ministro delle Finanze. Vista la spaventosa situazione socioeconomica, prorogheremo il MTI fino al 30 settembre e dovremo cercare nuovi fondi per questo periodo di proroga. Presto chiederò al Parlamento europeo e al Consiglio di compiere un ulteriore sforzo per trovare risorse supplementari nel bilancio. Vi ringrazio per tutto ciò che avete dato in passato a titolo di sostegno e spero che tale sostegno venga esteso anche a noi in futuro, perché il nostro compito prioritario dev’essere quello di aiutare a ripristinare le istituzioni dell’Autorità palestinese, in modo che possa in seguito fornire servizi ai cittadini palestinesi. Stiamo tentando di avvicinarci per gradi alla ripresa dell’attività istituzionale e dei progetti di sviluppo e di diminuire, per quanto possibile, l’attuale concentrazione sugli aiuti d’emergenza e umanitari. Naturalmente, questa condizione è ancora valida.
Attendiamo con ansia nuove proposte da parte palestinese. Ci hanno detto che avrebbero presentato idee per un supporto internazionale specifico. L’Autorità palestinese sta preparando un piano operativo che potrebbe poi rappresentare un utile strumento d’identificazione delle attività di sviluppo, soprattutto a Gaza, cui potremmo accordare il nostro sostegno.
Vorrei inoltre dire che il deficit finanziario dell’Autorità palestinese è talmente vasto che sarebbe impossibile per la Comunità farsene carico da sola. Anche gli Stati arabi devono rispettare l’impegno di aiutare il governo di unità nazionale. Ho trovato incoraggiante vedere che il conto dell’OLP istituito ora viene utilizzato almeno dall’Arabia Saudita, dal Qatar e dagli Emirati arabi uniti. Questo contribuirà, ma non è sufficiente.
(Applausi)
Presidente. – Grazie, signora Commissario. Vorrei ringraziarla davvero di cuore, Commissario Ferrero-Waldner, anche per il suo impegno a favore di questo difficile processo di pace – se di processo di pace ancora si può parlare.
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare l’Alto rappresentante per gli sforzi indefessi profusi nella ricerca della pace e lei, signor Presidente, per la sua visita nella regione, per ciò che essa simboleggia e per la solidarietà che ha dimostrato; e vorrei ringraziare anche il Commissario Ferrero-Waldner per il lavoro immane che la Commissione sta svolgendo nel pieno di una grave crisi politica, in cui i partiti che costituiscono il governo di unità nazionale sono ora l’uno contro l’altro, e nel pieno di una gravissima crisi sociale, economica e umanitaria.
Che cosa si può fare in tale situazione? A mio parere, poco più di quello che ci hanno detto il Commissario Ferrero-Waldner e Javier Solana: raddoppiare gli sforzi diplomatici dell’Unione europea e agire sulla base di due premesse.
In primo luogo, la fine delle lotte intestine tra i due partiti che formano il governo di unità nazionale, che fomentano una feroce battaglia per il potere, con conseguenze drammatiche per la popolazione civile.
In secondo luogo, signor Presidente – dobbiamo affermarlo con estrema chiarezza – un impegno costante ed esplicito per la democrazia e la rinuncia alla violenza da parte del governo di unità nazionale.
Che cosa possiamo fare nel frattempo, signor Presidente? Il Commissario Ferrero-Waldner lo ha illustrato molto chiaramente: tentare di applicare il meccanismo per gli aiuti umanitari con la maggiore flessibilità possibile, per aumentare le somme ad esso destinate e per ridistribuirlo tra le altre priorità.
Signor Presidente, la massima pena che può essere comminata secondo il codice penale del mio paese è di 30 anni e un giorno. Oggi Javier Solana ci ha ricordato che sono passati 40 anni dalla guerra dei sei giorni, che ha portato all’occupazione di Gaza, della Cisgiordania e delle alture del Golan. E la situazione resta stagnante e impaludata. 40 anni di sofferenza e morte sono al di là delle capacità di sopportazione di una società – o due società, come ha sottolineato Javier Solana.
Credo che il Parlamento debba rispondere in modo unitario a sostegno dei rappresentanti del Consiglio e della Commissione, cosicché l’Unione europea, all’interno della comunità internazionale in generale e del Quartetto in particolare, possa fare tutto il possibile per creare – come Javier Solana e il Commissario Ferrero-Waldner hanno affermato – una nuova opportunità di pace per una società e una regione che hanno già sofferto troppo.
Pasqualina Napoletano, a nome del gruppo PSE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario e Alto rappresentante, come è stato ricordato, questo dibattito si svolge nel 40° anniversario dell’occupazione della Cisgiordania e di Gaza. Quella che doveva essere una guerra lampo si è trasformata in un incubo senza fine: quarant’anni sono un tempo talmente lungo che intere generazioni di palestinesi non hanno conosciuto altro che l’occupazione, l’umiliazione, i check point e poi il muro e la quasi totale prigionia: ormai la mobilità è pressoché impedita nei territori occupati!
Anche Israele in questi quarant’anni non ha certamente ottenuto le garanzie di sicurezza che cercava e ha conosciuto regressioni preoccupanti sul terreno della democrazia e dello Stato di diritto. Siamo di fronte a due popoli stremati da una guerra e da una violenza senza fine. Da parte nostra, vogliamo ribadire, come il Gruppo socialista ha fatto da tempo e con chiarezza, che l’unica possibilità di inserire elementi di costruttività in una situazione che non conosce fine al degrado è sostenere apertamente il Governo di unità nazionale palestinese.
A questo va aggiunto l’impegno che la Comunità internazionale dovrebbe considerare per l’invio di una forza di interposizione per evitare che le violenze di queste settimane a Gaza degenerino ancor di più, per ripristinare un minimo di condizioni civili per le popolazioni e di rispetto del diritto internazionale e soprattutto per spezzare quel cerchio di violenza infinita.
Da Israele attendiamo segni diversi da quelli degli omicidi e degli arresti indiscriminati come risposta al lancio dei razzi Qassam su Sderot. L’occupazione, le colonie, il muro e la situazione di Gerusalemme rendono ogni giorno più inverosimile la prospettiva dei due Stati, lo dicono oggi anche fonti delle Nazioni Unite: la responsabilità dell’ONU, degli Stati Uniti, della Russia, dell’Europa e di tutta la comunità internazionale è proprio quella di agire prima che ogni possibilità di convivenza sia definitivamente stravolta.
Ricordo, infine, che esiste un piano arabo che offre ad Israele una prospettiva di pace, non solo con i palestinesi, ma con l’insieme dei paesi arabi. Su questo si deve lavorare con maggiore convinzione! Lo stesso Primo ministro Olmert ha dichiarato nei giorni scorsi che detto piano può costituire una base negoziale. Mi auguro che non lo abbia fatto soltanto perché il suo governo è particolarmente debole.
La situazione in Libano è altrettanto grave, lo avete ricordato voi, e credo che le forze UNIFIL operanti vadano sostenute e rafforzate e infine vogliamo chiedere al nostro Presidente on. Poettering di agire per convocare una riunione straordinaria dell’Assemblea parlamentare euromediterranea.
Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, Alto rappresentante, signora Commissario, onorevoli colleghi, in questo periodo commemoriamo la guerra dei sei giorni che, da un lato, ha determinato la supremazia militare israeliana ma, dall’altro, ha anche siglato l’inizio dell’occupazione, degli scontri, delle violenze e degli infiniti spargimenti di sangue che durano da 40 anni. Chiunque sia nato nei territori occupati d’Israele dopo il giugno del 1967, in altre parole chiunque abbia non più di 40 anni, non ha conosciuto altro che incertezza e angoscia per il futuro del paese, delle persone care e della propria vita. Dopo 40 anni, è davvero ora di dire basta. Ora occorre negoziare la pace con urgenza: una pace sostenibile, fondata sul riconoscimento reciproco, da parte di due paesi, del diritto all’esistenza dell’altro e dell’esigenza di essere lasciati in pace dai paesi vicini.
Tutti gli oratori precedenti si sono dati pena di spiegare quanto tutto ciò sia complicato, difficile e complesso; ma, onorevoli colleghi, vi è una componente senza la quale non funzionerà mai, e cioè la volontà politica e il coraggio politico. Senza una volontà politica e un coraggio politico simili a quelli che si sono manifestati simultaneamente in Sudafrica, per esempio, su entrambi i fronti, per porre fine al brutale regime dell’apartheid, non funzionerà. Sfortunatamente nessuno può avere volontà politica e coraggio politico al posto dei diretti interessati. Sono loro i primi a dover chiamare a raccolta volontà politica e coraggio politico. Domani si formerà una catena umana di ebrei e palestinesi intorno a palazzo Berlaymont, e tutti insieme diranno: “Dopo 40 anni, ne abbiamo davvero abbastanza. Dopo 40 anni, dobbiamo dedicarci alla pace”.
Purtroppo, però, il conflitto tra Israele e Palestina non è l’unica causa di disordine nella regione. Nuove violenze sono scoppiate in Libano, dove alcuni vedono la mano della Siria, che vuole evitare a tutti i costi un tribunale internazionale per il caso Hariri. A nome del mio gruppo, vorrei accogliere con favore la decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha avuto il coraggio di annunciare l’istituzione di tale tribunale. Come sapete, si tratterà di un tribunale misto, cui parteciperanno giudici sia internazionali che libanesi e una pubblica accusa mista, che opererà secondo i principi del diritto libanese. Anche in Libano, però, occorrerà coraggio politico su tutti i fronti per dare finalmente ai libanesi ciò che è anche loro diritto avere: pace e sicurezza.
Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare l’Alto rappresentante e la signora Commissario per gli interventi pronunciati oggi in questa sede. Anziché parlare di tutti i paesi interessati in un tempo tanto limitato, intendo concentrarmi sulla Palestina, perché tutto ciò che accade in qualunque altra parte del Medio Oriente si ricollega alla situazione in Israele e in Palestina.
Analizzando i dibattiti che si sono svolti in seno alla sessione speciale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 40 anni fa, nel 1967, dopo l’inizio della guerra dei sei giorni, è interessante notare che la soluzione potenziale o il piano considerati prevedevano che fosse garantita la sicurezza d’Israele, che i suoi confini fossero determinati in base al ritiro delle forze israeliane dai territori occupati e che vi fosse una soluzione a due Stati. 40 anni dopo, il Quartetto non è riuscito a portare a compimento quello che dovrebbe essere l’obiettivo più facile di tutti: convincere le persone della bontà di queste idee.
Con la nostra reazione negativa all’elezione del governo di Hamas in Palestina, abbiamo commesso un errore a livello europeo, inviando un messaggio sbagliato e permettendo ai gruppi radicali di assumere il controllo sul campo e di portare i cittadini a dire: “Non ha alcun senso votare queste persone o farle intervenire, perché gli europei ridurranno drasticamente l’invio di denaro”. Per questo motivo era tanto importante, come ha giustamente affermato il Commissario Ferrero-Waldner, ripristinare i finanziamenti attraverso il meccanismo di emergenza.
Tale attività deve proseguire, perché solo costruendo relazioni e dialogo tra i popoli possiamo assicurare che vi sarà una risoluzione, la quale deve fondarsi sui medesimi principi di 40 anni fa: una soluzione a due Stati, la garanzia di sicurezza dei confini nonché di giustizia ed equità per tutti i popoli d’Israele e Palestina.
David Hammerstein, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Israele ha vinto la guerra dei sei giorni, ma ha perso la pace con 40 anni di occupazione. Ora assistiamo alla pericolosa tendenza all’“irachizzazione” e tribalizzazione della violenza in Medio Oriente.
L’affermazione di Fatah Al-Islam nei campi palestinesi in Libano e la crescente frammentazione dei conflitti civili a Gaza non sono di buon auspicio per il futuro della regione.
Assistiamo alle conseguenze del diffondersi del problema palestinese a tutto il Medio Oriente e del suo intrecciarsi con gli interessi delle diverse parti in causa.
Corriamo il rischio di toccare il fondo molto presto. Intendiamo stare ad aspettare con le mani in mano che l’Autorità palestinese collassi? Come ho già detto, non possiamo permettere che questo accada. E come possiamo assicurare che non accada? Il caos e la violenza della guerra di tutti contro tutti sono una “morte annunciata”?
Gaza non può più aspettare. L’Unione europea non può continuare a voltare le spalle a un governo di unità nazionale eletto democraticamente. Questa politica europea ha contribuito a screditare presso i cittadini qualunque invito alla moderazione da parte di Hamas o Fatah, perché dimostra che accettare l’accordo della Mecca non modifica in alcun modo l’embargo né migliora le terribili condizioni di vita nell’immensa prigione nota con il nome di Gaza.
Innanzi tutto, l’Unione europea deve avviare un dialogo con tutte le parti, tra cui Hamas, al fine di favorire la stabilità del governo di unità.
In secondo luogo, dobbiamo ripristinare gli aiuti finanziari diretti all’Autorità palestinese e assicurare che Israele restituisca le entrate fiscali palestinesi che sta trattenendo.
In conclusione, dobbiamo adoperarci per allargare il cessate il fuoco di Gaza alla Cisgiordania, con la creazione di garanzie nazionali, inviando truppe europee e arabe sotto il mandato delle Nazioni Unite a Gaza e, se necessario, in Cisgiordania.
Nel contempo, chiediamo che i 45 deputati al parlamento e l’israeliano Gilad Shalit vengano rilasciati e che si ponga fine al lancio di razzi Qassam e alle devastanti rappresaglie d’Israele.
(Applausi a sinistra)
Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, Alto rappresentante Solana, signora Commissario, il mio gruppo teneva molto a questo dibattito, soprattutto oggi, a 40 anni dall’inizio di una guerra rispetto alla quale la comunità internazionale, tra cui l’Unione europea, finora si è dimostrata incapace d’imporre l’unica soluzione equa e duratura, ossia la fine dell’occupazione, della colonizzazione, dell’oppressione da parte d’Israele dei territori palestinesi conquistati nel 1967.
Signor Presidente, ho accolto con favore, per forma e sostanza, le parole decise che lei ha pronunciato al riguardo il 30 maggio alla Knesset. In particolare, mi ricordo tre frasi chiave del suo discorso. Lei ha affermato che il diritto internazionale è vincolante per tutti noi. Ha ragione. A Israele non chiediamo altro se non che rispetti le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, le Convenzioni di Ginevra, il parere della Corte internazionale di giustizia e il diritto umanitario, come l’ONU ha poc’anzi sottolineato. Le violazioni del diritto sono palesi, costanti e cospicue. Riguardano gli insediamenti, i profughi, i prigionieri, il muro e, soprattutto, naturalmente, l’occupazione dei territori e l’annessione di Gerusalemme est.
Signor Presidente, lei ha altresì sottolineato che – cito – “una soluzione a due Stati sulla base dei confini del 1967 è e rimane l’unica strada verso una soluzione soddisfacente”. Si tratta di una verità fondamentale. La moltiplicazione degli insediamenti, la costruzione del muro, l’isolamento delle aree palestinesi di Gerusalemme, tuttavia, servono proprio a rendere impossibile tale soluzione. Il disprezzo per il piano di pace della Lega araba da parte delle autorità israeliane conferma questa strategia del peggiorare le cose.
Signor Presidente, lei ci ha giustamente ricordato un fatto ovvio: non vi è pace senza giustizia. Il famoso storico israeliano Tom Segev ha recentemente ripreso le idee dei suoi compatrioti che da 40 anni sostengono che – e cito – “nel 1967 Israele ha gettato le fondamenta del futuro terrorismo”. Grandi statisti, come Yitzhak Rabin, lo hanno compreso, ma le forze di pace israeliane, che fanno onore a quel paese, vengono messe ai margini dall’attuale governo.
Secondo l’avviso del mio gruppo, dalla tragica esperienza di 40 anni di cecità si deve trarre la seguente conclusione: il laissez faire equivale a renderci colpevoli. Abbiamo l’ardire di sostenere la verità. Cito un’ultima volta le sue parole, signor Presidente: “Abbiamo il coraggio di ripartire insieme”.
(Applausi a sinistra)
Presidente. – Grazie, onorevole Wurtz, per aver fatto riferimento a quanto ho detto dinanzi alla Knesset.
Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. – (EN) Signor Presidente, vorrei replicare molto brevemente ai contributi degli onorevoli deputati che rappresentano i diversi gruppi politici in seno all’Assemblea.
A mio avviso, la maggior parte degli interventi ha seguito un principio che in un certo senso è identico a quello che sosteniamo da lungo tempo, ossia che è giunto il momento di passare oltre la politica di gestione della crisi, la quale è molto importante ma insufficiente. Insieme alla gestione della crisi abbiamo bisogno di politiche per risolvere il conflitto. Dobbiamo adoperarci per creare un orizzonte politico che consenta di iniziare davvero l’opera di risoluzione del conflitto scoppiato 40 anni fa. Questa è sostanzialmente l’opinione espressa da tutti, ed è ciò che tenteremo di fare nei giorni a venire.
Vi ho detto che mercoledì scorso il Quartetto si è riunito a Berlino e che per la prima volta si è impegnato ad avviare un dibattito con le parti in causa al fine di iniziare a delineare un orizzonte politico. Questo significa che, prima della fine del mese, il Quartetto incontrerà palestinesi e israeliani per portare avanti il dialogo – ancora alle fasi preliminari – avviato tra il Presidente Abbas e il Primo Ministro Olmert, i due personaggi che devono trovare la strada verso la pace. E’ nostro dovere fare pressioni e agire da catalizzatore in questo processo. Ecco quello che intendiamo fare. E’ scritto molto chiaramente nella dichiarazione prodotta dal Quartetto mercoledì scorso. Penso si tratti di un cambiamento profondo, che vorrei sottolineare, dal momento che qualcuno ha chiesto se intendiamo attendere supinamente il sopraggiungere di una catastrofe. La risposta è no: non vogliamo agire in tal modo; voi non volete agire in tal modo; i cittadini della regione non lo vogliono. Pertanto, sotto la guida del Quartetto, stiamo tentando di promuovere questo meccanismo per muoverci in direzione della pace.
Gli onorevoli deputati che sono intervenuti a nome dei gruppi politici hanno proposto qualche altra idea, tra cui il suggerimento di creare una forza internazionale. Vorrei dire che, per la prima volta in molti anni, l’idea di una forza internazionale non è fuori discussione. Come sapete, l’idea è stata sollevata in seno alla Knesset da due membri dei gruppi parlamentari, che hanno affermato che questo potrebbe essere il momento di richiedere una forza internazionale che, almeno all’inizio, abbia un ruolo pacificatore o di controllo dei confini meridionali – il cosiddetto “corridoio Philadelphi” – dove si trova il punto di passaggio di Rafah. Ci stiamo lavorando, come probabilmente sapete, visto che sono già state rese note informazioni al riguardo. Anche gli israeliani, come pure i palestinesi, stanno valutando tale possibilità. E anche gli egiziani la stanno considerando, sia pure con diversa intensità. Per gli egiziani, probabilmente, la presenza in quei luoghi di una forza internazionale sarebbe molto problematica perché potrebbe dare ad intendere che non sono in grado di controllare quella parte del confine. A mio avviso, tuttavia, possiamo ancora avviare le discussioni al riguardo e forse giungere infine a una soluzione.
Questo si ricollega altresì con le parole dell’onorevole Napoletano circa il buon esito di UNIFIL. Il fatto che la forza internazionale sia responsabile di UNIFIL – ossia dell’applicazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sul Libano – e il modo in cui essa è stata percepita – ossia l’efficienza della forza, la cui colonna portante è europea – hanno inoltre indotto taluni in seno al governo israeliano, alla Knesset e in Israele nel suo complesso a ritenere possibile che una forza simile venga applicata anche altrove.
In un certo senso, dobbiamo collegare tutti questi elementi. Forse è possibile sfruttare altrove ciò che abbiamo imparato dalla nostra presenza in Libano, il che apre la strada a una presenza di controllo che sarà assolutamente necessaria se vogliamo che il processo di pace sia portato a compimento.
Vorrei sottolineare nuovamente che, per quanto concerne il Libano, la risoluzione che istituisce il tribunale è molto importante. Il tribunale non si pone contro nessuno. In Siria si è avuta una reazione molto negativa, ma devo sottolineare che un tribunale internazionale non si pone contro nessuno, contro nessun paese. Si tratta di un tribunale che ha il compito di identificare i responsabili dell’assassinio di un uomo onesto – per molti di noi un amico, Rafiq Hariri – ucciso in circostanze che vanno chiarite se vogliamo la pace e la riconciliazione in Libano. In seno all’Unione europea, pertanto, abbiamo lavorato a tal fine, e lo scorso mercoledì il Consiglio di sicurezza è giunto a un’altra importante decisione in merito all’istituzione di un tribunale internazionale.
Vorrei ribadire ancora una volta che ciò per cui ci siamo impegnati portando il Quartetto nella direzione in cui ora ci muoviamo ha molti padri – o molte madri –, come sempre, ma potete star certi che gli europei hanno profuso molte energie fin dall’inizio affinché si arrivasse a questo punto. Speriamo di poter continuare a lavorare in tale direzione. Sarà arduo, ma per il futuro mi auguro di godere, come sempre, del sostegno, dell’aiuto e della comprensione del Parlamento europeo.
(Applausi)
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, ieri ho incontrato una delegazione di cittadini israeliani di Sderot, che mi hanno raccontato in prima persona il terrore disseminato tra la popolazione civile dai 300 razzi Qassam lanciati a caso contro di essa dai siti di Gaza controllati da Hamas – il che costituisce evidentemente un crimine di guerra secondo il diritto internazionale. Tali attacchi hanno finora provocato due vittime e numerosi feriti. La settimana scorsa 33 persone erano prigioniere dell’esercito israeliano in Cisgiordania, tra cui il ministro dell’Istruzione palestinese Nasser Al-Shaer, presumibilmente per il loro aperto sostegno a tali attacchi. La detenzione di un ministro dell’Istruzione è interessante, in quanto tende ad avvalorare le accuse più volte pronunciate in quest’Aula secondo le quali i libri di testo e i programmi scolastici palestinesi, che da anni godono dei finanziamenti comunitari, mirerebbero tuttora a fomentare un clima di odio e sfiducia verso Israele e l’esaltazione della violenza terroristica.
Molti dei ministri di Hamas appartenenti al governo di unità credono tuttora fermamente – come sostiene la Carta di Hamas del 1988, ispirata dalla Confraternita musulmana egiziana – che lo Stato d’Israele non abbia diritto a esistere, che qualunque violenza terroristica si giustifichi attraverso la cosiddetta lotta armata e di non essere vincolati dai precedenti accordi internazionali sottoscritti dall’OLP. A mio avviso, pertanto, in questo momento il governo di unità dell’Autorità palestinese evidentemente non soddisfa i criteri del Quartetto, e l’Unione europea non deve ancora togliere il bando su Hamas quale organizzazione terroristica riconosciuta, né finanziare direttamente il governo dell’Autorità palestinese. Né va abbandonato il MTI per la distribuzione di aiuti umanitari, che ora conta più di 500 milioni di euro annui, cifra che di fatto è aumentata negli ultimi tre anni, a dispetto dell’opinione popolare.
Anch’io sostengo le nuove proposte della Lega araba per una soluzione negoziata, benché il diritto di ritorno sia del tutto irrealistico. Tuttavia Hamas respinge di nuovo, e stranamente, le loro proposte di riconoscimento d’Israele. Su tutti i fronti alcuni irriducibili rifiutano la pace o una soluzione a due Stati, ma nel quarantesimo anniversario della guerra dei sei giorni è chiaro che si tratta dell’unica soluzione praticabile a lungo termine per una pace durevole nella regione. Innanzi tutto, però, l’Autorità palestinese deve assicurare l’ordine sul proprio territorio e porre fine alle discordie della vera e propria guerra civile tra Hamas e Fatah a Gaza, che si sta estendendo anche al Libano.
Ancora una volta vorrei rivolgermi all’Assemblea e alla comunità internazionale affinché esercitino pressioni su tutti i responsabili per il rilascio del reporter britannico della BBC Alan Johnston, che ora sappiamo essere vivo e in salute, e del soldato rapito, il caporale Shalit. In questo modo si creerà un clima favorevole alla ripresa dell’indispensabile roadmap per i colloqui di pace.
Véronique De Keyser (PSE). – (FR) Signor Presidente, all’epoca delle elezioni legislative del 2006, ho domandato a un palestinese: “Pensa che queste elezioni porteranno la pace?” Mi ha risposto: “No, non la pace, bensì la democrazia. E intendiamo dimostrare al mondo che, anche nei territori occupati, siamo in grado di tenere libere elezioni”.
La nostra risposta è stata penosa. Il nostro disprezzo per le aspirazioni di un popolo, tra cui il suo diritto a commettere errori, ha introdotto giusto un altro po’ di caos in una regione ora in fermento. L’istituzione di un governo di unità nazionale e l’accordo della Mecca non hanno mitigato a sufficienza l’inflessibilità o le sanzioni dell’Unione europea. Nonostante i suoi sforzi, Commissario Ferrero-Waldner, sforzi che io apprezzo, e nonostante quello che ci ha detto, che è incoraggiante, Alto rappresentante Solana, penso che non abbiamo ancora cambiato radicalmente la nostra politica verso il Medio Oriente e che non abbiamo un’adeguata comprensione del fatto che stiamo danneggiando l’idea stessa di democrazia con la nostra reazione a queste elezioni.
Si tratta di un atteggiamento che persiste da 40 anni. A mio parere, siamo in parte responsabili per aver permesso che da 40 anni in Palestina si verifichi una situazione di assoluta illegalità, con esecuzioni stragiudiziali, furti di terra, il rapimento, oggi, di rappresentanti legittimamente eletti e ministri, l’esistenza di un muro considerato illegale dal Tribunale dell’Aia e lo scherno alle Convenzioni di Ginevra di cui ha parlato l’onorevole Francis Wurtz: più di 400 bambini sono tuttora detenuti nelle carceri israeliane, più di 400 giovani palestinesi. Le risoluzioni dell’ONU hanno ignorato il fatto che alcuni territori sono stati isolati e che sono state imposte restrizioni alla circolazione. Che altro?
Senza dubbio, onorevole Tannock, condanniamo la violenza, condanniamo il lancio di razzi, condanniamo il rapimento del soldato Shalit, ma in questo momento vi è uno squilibrio. Esaminate i dati. Sono ahimè tragicamente a sfavore dei palestinesi e, lo ripeto, non vi è equidistanza. Il diritto internazionale non è equidistanza.
Oggi nulla giustifica il nostro silenzio, e vorrei salutare, in questa sede, questi nuovi giusti, questi ebrei che, in Israele e altrove, a gran voce dicono: “Tutto questo deve finire”. Lo dicono tra le risatine, il sarcasmo e talora le minacce dei concittadini. Mi considero una sostenitrice di tutte queste persone, come mi considero sostenitrice dei nostri colleghi palestinesi che, nonostante l’immunità parlamentare, sono stati fatti prigionieri.
Vorrei dirvi che tutti i leader dei partiti politici belgi si riuniranno domani alle 13 davanti a palazzo Berlaymont per formare una catena per la pace e chiedere all’Unione europea di assumersi le proprie responsabilità, non solo umanitarie ma responsabilità politiche concrete, che fanno onore all’Unione europea.
Angelika Beer (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nessuno di noi mette in dubbio il diritto all’esistenza d’Israele; siamo consapevoli della nostra responsabilità politica. Nel contempo, vorrei ricordare all’Assemblea il messaggio giunto da una conferenza di pace svoltasi in Palestina negli ultimi giorni. Donne che sono, in fin dei conti, parte della società civile, donne palestinesi e israeliane, ci hanno trasmesso un messaggio chiaro: voi parlate, hanno detto, della coesistenza di due Stati, il che va benissimo, ma tenete conto, per favore, che la nostra esistenza è in pericolo in Palestina e a Gaza.
Penso che in questo momento il nocciolo della questione sia il problema dell’esistenza. Per tale motivo sono lieta che Javier Solana abbia affermato la necessità di valutare se non si debba riesaminare quanto prima l’esperienza libanese ed eventualmente impegnarsi a Gaza. Dobbiamo agire prima che la situazione sfugga del tutto al nostro controllo, perché non vi saranno molte altre occasioni. In quella regione, ciò che lei ha definito coraggio, Alto rappresentante Solana, cioè la speranza che dobbiamo avere se vogliamo confermare il nostro impegno e manifestarlo ai cittadini sul campo, si è ridotto a un’ombra.
Vorrei ringraziare a nome del mio gruppo il Presidente Poettering per la sua visita nella regione. Ha detto che la situazione a Gaza è intollerabile. E’ nostro dovere impegnarci a fondo più che mai per il diritto delle persone di quella regione a vivere in pace, il che naturalmente implica una critica ad Hamas per la sua doppiezza. A nostro avviso la dichiarazione rilasciata da Hamas nel quarantesimo anniversario della guerra dei sei giorni è inaccettabile. Nel contempo, però, dobbiamo cooperare attivamente con il governo di unità nazionale. Non avremo una seconda chance. Concordo con le critiche espresse dall’onorevole De Keyser solo pochi istanti fa. Come Unione europea abbiamo infatti commesso errori nella regione, abbiamo deluso fortemente le speranze dei cittadini e non siamo riusciti ad approfittare della loro disponibilità a guardare al futuro.
Mi auguro che il Quartetto per il Medio Oriente si sia finalmente svegliato, mi auguro che sia attivo e che si rechi in quella regione. Potrebbe essere l’ultima occasione prima di non poter più parlare in modo realistico di una speranza di pace.
Jana Hybášková (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei citare alcune dichiarazioni. Il 2 aprile il Primo Ministro Haniyeh ha detto su Al-Jazeera: “Per quanto ci riguarda, la questione del riconoscimento d’Israele è stata risolta una volta per tutte. E’ stata risolta nella nostra letteratura politica, nel nostro pensiero islamico e nella nostra cultura jihadista, su cui basiamo le nostre mosse. Annunceremo una tregua, ma mai il riconoscimento d’Israele”. Il 27 aprile ha dichiarato, sempre ad Al-Jazeera: “Se l’assedio continuerà oltre un certo periodo, saremo costretti a prendere una decisione, e non vi è dubbio che agiremo”. Il 5 maggio, in una preghiera, ha proclamato: “Ribadisco, a nome del governo palestinese, che il piano per la sicurezza non nuocerà alla resistenza. Daremo ad Allah l’occasione di concederci uno dei due doni, la vittoria o il martirio”.
Poiché parlo bene l’arabo, vi posso assicurare che la traduzione è giusta. La situazione è grave. Siamo di fronte non solo all’“irachizzazione” di Gaza, ma all’“iranizzazione” dell’intero Medio Oriente. Non si tratta solo di una minaccia al Medio Oriente; questa è una grave minaccia alla nostra sicurezza. L’Europa deve partecipare e dev’essere assolutamente unita. Pertanto, il Parlamento deve restare unito e sostenere Consiglio, Commissione e Quartetto. Il meccanismo temporaneo internazionale deve continuare. Dobbiamo mantenere gli aiuti umanitari. Possiamo persino utilizzare il conto dell’OLP.
Il problema fondamentale, tuttavia, è portare il governo di unità nazionale al ripudio della violenza, al riconoscimento d’Israele e al rispetto degli accordi internazionali. Solo allora potremo tornare alla risoluzione n. 242 delle Nazioni Unite, che chiede esplicitamente a Israele di ritirarsi dai territori, cosicché non vi siano “deterritori” né territori occupati. Chiedo dunque al Consiglio e alla Commissione se ritengano che le condizioni preliminari per il riconoscimento e il finanziamento diretto del governo di unità nazionale palestinese siano state soddisfatte.
Béatrice Patrie (PSE). – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, Alto rappresentante Solana, se sono trascorsi 40 anni dalla guerra dei sei giorni e le nazioni del Medio Oriente ne subiscono ancora le tragiche conseguenze; se ora i rapporti di Amnesty International e dell’ONU mettono seriamente in dubbio la realizzabilità di uno Strato palestinese per via delle persistenti politiche di occupazione e colonizzazione da parte d’Israele; se a Gaza e in Cisgiordania imperversa un’insopportabile miseria che alimenta gli scontri tra fazioni palestinesi rivali, e il governo di unità nazionale, ultimo baluardo contro la guerra civile, è appeso a un filo; se l’intera regione è in fermento, dall’Iraq al Libano, possiamo dire che i discorsi compassionevoli non bastano più e che urge realizzare un cambiamento, un sovvertimento, una rivoluzione, oserei dire, della nostra politica per il Medio Oriente, nonché assumerci le nostre responsabilità in tutta la loro portata.
Innanzi tutto, riconoscendo il governo di unità nazionale palestinese, in cui abbiamo riposto le nostre speranze e che si è dichiarato disponibile a rispettare tutte le risoluzioni dell’ONU e dell’OLP, tutte le risoluzioni precedenti, nonché le richieste del Quartetto di ridare credibilità alla soluzione a due Stati. In secondo luogo, ripristinando gli aiuti diretti a tale governo, perché non è realistico contare sul fatto che gli israeliani restituiscano le entrate fiscali che hanno incassato legalmente e restano confiscate, e poi perché il meccanismo temporaneo è finito in una bolla di sapone. Inoltre, schierando una forza di interposizione internazionale al confine tra Gaza e Israele, che è l’unica misura ad avere buone probabilità di portare a una tregua e la cui efficacia e resistenza sono state dimostrate in Libano. Infine, e soprattutto, dando prova di notevole ambizione, forse, prendendo l’iniziativa di una Camp David europea, divenuta ormai necessaria visto che la roadmap decantata dal Quartetto si è ridotta a una pia speranza.
Dal 1967 ci siamo persi in sbagli e ingiustizie. Dovremo attendere altri 40 anni…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
PRESIDENZA DELL’ON. SIWIEC Vicepresidente
Margrete Auken (Verts/ALE). – (DA) Grazie, signor Presidente, e grazie anche al Commissario Ferrero-Waldner e all’Alto rappresentante. Detto in parole povere, però, ho i miei dubbi. In seno al gruppo Verde/Alleanza libera europea abbiamo tentato di discutere tra noi di quel che abbiamo appreso in quest’Aula. A nostro parere la priorità assoluta è riconoscere il governo palestinese e riprendere gli interventi. Solo non sono in grado di dire se è questo ciò che ci è stato preannunciato. Non è quello che ci ha detto Javier Solana; ma è forse quello che ci ha detto il Commissario Ferrero-Waldner? In altre parole, il Commissario non ha detto che avremmo concesso il riconoscimento e che saremmo partiti da lì? Mi pare che occorra una risposta chiara a questa domanda, perché l’intero sistema è vanificato dal fatto che otteniamo solo chiacchiere senza fine, ma non azione. L’impiego di due pesi e due misure e la totale mancanza d’azione sono sul punto di mandare in rovina non solo il Medio Oriente ma anche l’Unione europea.
Un’altra questione sulla quale abbiamo bisogno di chiarezza è ciò che s’intende con l’affermazione che vogliamo sostenere l’iniziativa araba. Dall’intervento di Javier Solana non sono stata in grado di desumere che è davvero questo ciò che intendiamo fare. Tutto quello che sono riuscita a capire è che si è detto che ora dobbiamo riprendere i negoziati. Tuttavia sappiamo bene dove dobbiamo andare. E’ un processo difficile da realizzare, ma sappiamo che cosa dobbiamo ottenere, e non possiamo permettere di farci la fama di quelli che nominano l’iniziativa araba più e più volte per poi far scemare tutto l’entusiasmo dicendo “adesso vediamo cosa accade”. Dobbiamo dire che questo è il punto in cui prendiamo il via. Abbiamo, delineato di fronte a noi, il risultato finale che tutti riconosciamo come l’unico esito possibile se si vuole andare avanti e che, per di più, è ciò che sia l’Occidente che Israele invocano da molto tempo. Improvvisamente, questo risultato è stato messo in discussione. Non possiamo avere risposte chiare? Sarebbe apprezzabile.
Elmar Brok (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, Alto rappresentante, il fatto che il Quartetto ora intenda agire congiuntamente nella regione è una buona notizia. Si tratta di un messaggio importante, perché, come abbiamo detto spesse volte in seno all’Assemblea, solo concordando le proprie azioni il Quartetto acquista la credibilità di cui necessita per poter offrire a tutte le parti le indispensabili garanzie di sicurezza. Agli occhi della regione, nessun membro del Quartetto può riuscirvi da solo. Vorrei congratularmi con voi per questi sviluppi e per il fatto che si possano associare all’iniziativa araba.
Se vogliamo compiere progressi – cosa di cui abbiamo discusso molto spesso – evitando di cedere alla disperazione e allo sconforto, dobbiamo essere chiari su un punto: i moderati da ambo le parti devono poter creare nei propri territori le condizioni in cui si possano gettare le basi di un processo di pace che non verrà demolito dalle provocazioni delle minoranze estremiste sull’altro fronte. Questo, pertanto, dev’essere il punto di partenza. Naturalmente è vero che Israele deve restituire il denaro; è altresì vero che si deve porre fine alla frammentazione in Cisgiordania che, con controlli e insediamenti ovunque, stronca sul nascere la minima parvenza di sviluppo economico, ed è vero che si devono creare le condizioni in cui lo sviluppo economico sia di nuovo possibile. Possiamo devolvere alla Cisgiordania tutto il denaro che vogliamo, ma quello che occorre veramente è crearvi le giuste condizioni.
Va altresì detto, però, che quella di Gaza è una guerra civile tra palestinesi. La risposta non è schierare una forza internazionale tra Israele e Gaza, ma far incontrare le fazioni in guerra per giungere a una conclusione soddisfacente del conflitto. E’ evidente che tali questioni sono tra loro correlate, ma vi prego di ricordare che ciascuno è responsabile del proprio campo. Noi non possiamo assumerci questa responsabilità. Analogamente, dobbiamo chiedere la fine della guerra civile. Chiunque tenti di risolvere militarmente i conflitti tra i gruppi rivali distrugge le prospettive future del proprio popolo. Per questo motivo dobbiamo preoccuparci di cercare in questa sede i nostri punti di partenza, creando così una piattaforma su cui il Quartetto possa operare efficacemente, offrendoci un’autentica opportunità di progresso.
Proinsias De Rossa (PSE). – (EN) Signor Presidente, talvolta mi scoraggia molto ascoltare le discussioni dell’Assemblea su questo tema, soprattutto se a parlare sono gli onorevoli Tannock e Hybášková, che sembrano intenti a stabilire in quest’Aula le condizioni di una soluzione in Medio Oriente. Non sta a noi fissare per israeliani e palestinesi le condizioni preliminari della loro interazione reciproca in seno ai negoziati di pace. Le uniche condizioni necessarie per il buon esito dei negoziati di pace sono un impegno tangibile per la pace su entrambi i fronti, un mandato negoziale da ambo le parti e la capacità di rispettare gli impegni presi nel corso delle trattative. Tutte le altre condizioni che i deputati dell’Assemblea tentano di applicare a israeliani e palestinesi sono del tutto prive di sostanza. Non hanno effetto e non vi è alcuna probabilità che vengano soddisfatte in una situazione in cui soprattutto l’Autorità palestinese è sul punto di crollare. Se l’Autorità, se il governo di unità si sfasciano, nulla di ciò che diremo e di ciò che l’Unione europea farà potrà evitare lo spaventoso bagno di sangue che ne seguirà, per gli israeliani e per i palestinesi.
Il ruolo della comunità internazionale è assicurare che i patroni di ciascuna parte in conflitto – il Quartetto e gli Stati arabi – mettano da parte i propri interessi immediati e a breve termine, ponendo in primo piano quelli dei palestinesi e degli israeliani. Dobbiamo tentare di fare in modo che si siedano al tavolo negoziale e prendano in considerazione i punti che già esistono, ed esistono da qualche tempo, per quanto riguarda le possibilità e le condizioni di pace. E’ tempo di smettere di parlare e di iniziare ad agire nell’interesse…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Monika Beňová (PSE). – (SK) Come ci hanno detto Javier Solana e il Commissario Ferrero-Waldner, la situazione in Medio Oriente è davvero critica. La situazione è critica in Libano e continua a esserlo nelle relazioni israelo-palestinesi.
Il concetto stesso di “critico”, tuttavia, è drammatico, poiché denota una situazione di declino finanziario, economico e sociale, accompagnata da attività e attentati terroristici, da sequestri e dalla morte di civili. La crescente resistenza e gli attacchi sempre più numerosi allo Stato d’Israele e ai suoi cittadini fomentano paura e angoscia, sfociando in misure che reputiamo incomprensibili. La regione è nel caos, il conflitto s’intensifica e il cessate il fuoco non viene rispettato. L’incontro del Quartetto della settimana scorsa ha messo in luce che la nostra partecipazione attiva al processo di pace è indispensabile. Tuttavia il livello di frustrazione su entrambi i fronti, palestinese e israeliano, è grande quanto i nostri sforzi per la promozione del processo di pace.
E’ pertanto indispensabile intensificare gli sforzi diplomatici, per renderli più dinamici e soprattutto equilibrati. Le nostre attività non devono dare l’impressione che parteggiamo per uno dei due schieramenti. E’ nostro dovere chiedere che Israele restituisca i fondi; analogamente, è nostro dovere assicurare che tali fondi siano davvero investiti nello sviluppo economico e sociale. E’ altresì nostro dovere garantire ai cittadini israeliani l’essenziale protezione della loro vita e l’essenziale difesa dello Stato.
Jamila Madeira (PSE). – (PT) La questione mediorientale e in particolare la tragica situazione in Palestina si è ripresentata più volte nelle recenti sedute plenarie. Questo non deve sorprendere. Tutti abbiamo visto in concreto che cosa accade nella regione. Tutti abbiamo visto la stessa cosa, siamo venuti in Aula e abbiamo descritto una situazione umanitaria terribile ed esplosiva. Tutti abbiamo visto che Israele trattiene illegalmente circa 700 milioni di euro di tasse – denaro che non gli appartiene e che frutta interessi ogni giorno che passa. Tutti abbiamo letto negli occhi di quelle persone – esseri umani che hanno diritto alla giustizia e alla dignità proprio come noi – la speranza di un futuro in cui possano vivere in pace. Si tratta di una speranza che resta accesa nonostante le restrizioni, una speranza messa a dura prova ogni giorno dalla mancanza di mobilità e dal muro. E’ un muro che mette fuori discussione qualunque tipo di economia locale, sia nel significato più puro di sussistenza grazie all’agricoltura che per quanto riguarda maggiori ambizioni quali produrre abbastanza da avere un piccolo negozio.
A fronte della continua erosione di tale speranza, prende piede la disperazione e, in qualità di membri di questo circolo privilegiato di paesi che hanno ottenuto la pace dopo aver bevuto l’amaro calice della guerra, non dobbiamo pensare di poter risolvere i problemi con il denaro. Aiutare i palestinesi è importantissimo, di fatto cruciale. E’ però molto più importante aiutarli a capire che la loro voce è determinante nel loro paese e che il modo credibile in cui hanno condotto le elezioni e cercato una soluzione da presentare al mondo conta qualcosa. Occorre conferire di nuovo autorità ai territori palestinesi.
Speriamo che il ministro delle Finanze Salam Fayad possa diventare uno dei principali portavoce in materia di aiuto finanziario alla popolazione. E’ perciò essenziale normalizzare le relazioni istituzionali. Dobbiamo dimostrare di essere davvero disposti a risolvere il conflitto. Noi europei abbiamo un ruolo cruciale da svolgere nel portare la pace in quella regione e nel mondo.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, dobbiamo dare un’opportunità alla pace in Medio Oriente. Sappiamo quanto tale compito sia difficile e siamo consapevoli di quali sfide esso implichi, ma siamo tutti al corrente delle rinnovate speranze e abbiamo illustrato con chiarezza la situazione.
Occorre da un lato raggiungere un certo grado di sicurezza, e una maggiore sicurezza innanzi tutto per i palestinesi di Gaza ma anche in Cisgiordania. E’ verissimo. Sia noi che gli americani stiamo collaborando con i palestinesi per giungere a tale soluzione, che però purtroppo non abbiamo ancora raggiunto in via definitiva.
Dall’altro lato, occorre maggiore libertà economica al fine di migliorare la vita quotidiana dei palestinesi. Ci stiamo adoperando anche in questo senso. Abbiamo altresì affermato con grande chiarezza che vogliamo collaborare con il governo di unità nazionale in accordo con le azioni e il programma. Salam Fayad è perciò il nostro interlocutore privilegiato per quanto concerne la valutazione degli ulteriori interventi possibili. Ho detto molto chiaramente che cosa si potrebbe fare.
Vorrei ribadire che, oltre all’ininterrotto lavoro con il meccanismo temporaneo internazionale – che avrei voluto eliminare gradualmente quanto prima, senza però poterlo fare, perché l’assistenza umanitaria è ancora necessaria –, abbiamo offerto a Salam Fayad assistenza tecnica in materia di revisione contabile, esazione delle imposte e dogane. Stiamo lavorando con il ministero per definire le modalità di assistenza, ma stiamo anche ripristinando l’attività istituzionale laddove essa risulta importante.
Puntiamo all’assistenza allo sviluppo, al fine di dare maggiore speranza alla popolazione, ma è vero che occorrono molto coraggio politico e molta volontà politica, innanzi tutto e soprattutto da parte dei due avversi fronti. Noi membri del Quartetto possiamo solo sostenerli, incitarli, incoraggiarli, ed è quello che tentiamo di fare, ma purtroppo non possiamo prendere la decisione al posto loro. Questo è il limite della nostra azione. Mi auguro che il prossimo incontro nella regione sia positivo e che stimoli la visione politica e l’orizzonte politico che tutti abbiamo tanto a cuore.
Ci auguriamo e invochiamo il rilascio di tutti i prigionieri politici, tra cui il soldato israeliano rapito e il giornalista della BBC Alan Johnston, ma anche tutti i membri del governo palestinese e tutti gli altri che ancora si trovano in prigione. Credo che questo darebbe un ottimo slancio alla ricerca dei passi successivi verso la soluzione a due Stati che tutti evidentemente auspichiamo.
Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. – (EN) Signor Presidente, non intendo ripetere ciò che io e altri partecipanti al dibattito abbiamo già detto.
Innanzi tutto vorrei ringraziare tutti i deputati al Parlamento che hanno dato il loro contributo, quelli che sono ancora in Aula e quelli che se ne sono andati. Penso sia stato un dibattito molto interessante, sul quale vorrei esprimere un commento. Quando mi presento dinanzi al Parlamento europeo per discutere del Medio Oriente, ho la sensazione che l’emozione cresca, a partire dalla mia. Credo tuttavia che le nostre discussioni debbano riguardare gli eventi salienti in un dato momento.
Oggi ci troviamo in una situazione molto difficile, ma nel contempo, come si è detto, è un momento di speranza come non se ne vedevano da molto tempo. Sono parecchi anni che mi occupo del Medio Oriente; ero presente alla Conferenza di Madrid e all’ultima Conferenza di Camp David. Dopo Camp David non ho mai avuto la sensazione che fossimo così vicini come, credo, lo siamo oggi all’avvio di un dialogo e di uno scambio autentici e significativi, e quindi all’inizio di un orizzonte politico, di un dibattito e di negoziati al riguardo. Tre sono i motivi di tale sensazione.
Il primo è che l’iniziativa della Lega araba mancava all’epoca di Camp David. Oggi ce l’abbiamo, e abbiamo l’impegno degli arabi ad accogliere il negoziatore palestinese, chiunque egli sia, per sostenerlo e per offrirgli l’appoggio che, come sapete, non c’era all’epoca di Camp David.
In secondo luogo, sono passati 40 anni. Penso che chiunque sia esausto: psicologicamente, fisicamente e politicamente. Da tale sfinimento, a mio parere, dobbiamo trarre nuova energia psicologica e politica per andare avanti.
In terzo luogo, abbiamo un meccanismo – il Quartetto – e talvolta non comprendiamo quanto impegno esso richieda. Per la prima volta abbiamo gli Stati Uniti e l’Unione europea allo stesso tavolo per negoziare con le parti in causa, il che non si è mai verificato prima. Dobbiamo riconoscerlo. E’ la prima volta che l’Unione europea siede al tavolo negoziale. La Federazione russa si è presentata a Madrid e poi è scomparsa. Vi era anche il Segretario generale delle Nazioni Unite – immaginate per un attimo che cosa significa: le Nazioni Unite hanno partecipato ai negoziati di questo conflitto. Era impossibile immaginarlo allora.
Credo che in certa misura tutti questi elementi alterino l’orizzonte di ciò che si può fare adesso. Ora dobbiamo tentare di andare avanti, di non vacillare e di continuare a lavorare in quella direzione. Le condizioni sono mutate e perciò siamo più fiduciosi di poter raggiungere dei risultati. Vi riusciremo in 24 ore? No. Se pensate che troveremo la soluzione a tutti i problemi per la fine del mese, vi sbagliate: dovremo aspettare un po’ di più. Vediamo però se si presenta l’occasione di portare avanti il processo.
In conclusione, vorrei porre l’accento sul fatto che siamo europei. Chiunque in quest’Aula è cittadino dell’Unione europea. Qualche volta dobbiamo andare un po’ fieri del nostro operato. Se vi recate in Palestina, come fate, sarete criticati. Probabilmente, però, se discuterete a fondo con i palestinesi e gli israeliani, incontrerete una crescente solidarietà e comprensione – credo che nessuno lo possa negare – per il modo in cui agiscono gli europei. Penso che noi europei dobbiamo riconoscerlo ogni tanto, altrimenti non andremo mai avanti insieme, come dobbiamo.
Portare avanti questo processo non è un impegno per una persona o due: è un impegno per tutti. Abbiamo un’opportunità. Vediamo se al prossimo incontro si noteranno dei progressi. Non avremo trovato la soluzione, ma vediamo se avremo fatto progressi.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà durante la prossima tornata, a Strasburgo.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa settimana segna il quarantesimo anniversario dell’occupazione illegale da parte d’Israele dei territori palestinesi della Cisgiordania, della striscia di Gaza (che ora subisce un violento assedio) e di Gerusalemme est, dei territori siriani delle alture del Golan e dei territori egiziani della penisola del Sinai, che da allora l’Egitto ha recuperato.
40 anni di…
- violazioni del diritto internazionale e di mancata osservanza di innumerevoli risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite da parte delle autorità israeliane;
- occupazione criminosa e brutale, colonizzazione e repressione, e negazione dei diritti legittimi del popolo palestinese da parte delle autorità israeliane;
- oppressione, saccheggio, sfruttamento, disoccupazione e povertà, imposizione delle umiliazioni più degradanti e di condizioni di vita disumane al popolo palestinese da parte delle autorità israeliane;
- effettivo sostegno e collaborazionismo, o almeno connivenza e tacita approvazione, da parte degli USA e dei suoi alleati in Europa, a dispetto delle notevoli responsabilità delle autorità israeliane.
Giugno 2007 è il momento di ribadire l’invito a porre fine all’occupazione dei territori che Israele ha preso nel 1967, a rispettare il diritto internazionale e ad attuare le risoluzioni dell’ONU pertinenti, come quella che sancisce il diritto inalienabile del popolo palestinese a uno Stato autonomo, sovrano e indipendente.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. – (FI) La guerra dei sei giorni si è svolta nel 1967 e ha avuto un vincitore. Negli ultimi 40 anni a perdere è stata la dignità umana. La crisi umanitaria in Medio Oriente è una delle più tragiche della storia recente. La regione versa in un circolo vizioso di violenza che nessuno è ancora riuscito a spezzare. Generazioni di israeliani e palestinesi hanno subito instabilità, violenza e guerra.
La gestione della crisi è stato lo strumento utilizzato nella pratica per cercare una soluzione al conflitto mediorientale. Passo dopo passo lo scopo è stato avvicinarsi a una pace duratura. Si è raggiunta una tregua che presto collasserà per far posto a nuovi scontri.
E’ arduo credere in un percorso che vada a buon fine fintanto che le parti in causa non capiscono che ciascun atto di violenza distrugge il futuro di una sezione del proprio popolo. La comprensione manca anche tra i gruppi palestinesi. A Gaza si combatte una guerra civile. Decine di palestinesi sono morti negli scontri tra Fatah e Hamas.
Le operazioni militari e le violazioni dei diritti umani da parte d’Israele vanno condannati. Ciascun paese deve osservare gli obblighi internazionali e il diritto internazionale e rispettare la dignità umana, cosa che non deve mai venir meno. Non potremo però chiedere l’immediato ritiro d’Israele dai territori palestinesi finché l’Autorità palestinese non riconoscerà lo Stato d’Israele.
Il Quartetto, gli Stati Uniti d’America, le Nazioni Unite, l’Unione europea e la Russia devono ovviamente proseguire gli sforzi volti a conseguire una pace duratura. Il compito del Parlamento è dimostrare la coerenza europea e sostenere Commissione e Consiglio.
Vi è una cosa che di certo non possiamo fare: non possiamo costringere le parti in causa ad accettare il nostro desiderio di ottenere una pace duratura. Possiamo incoraggiarle, far loro pressioni, ma non possiamo imporre loro la nostra volontà.