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Resoconto integrale delle discussioni
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Martedì 19 giugno 2007 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 3. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 4. Situazione in Palestina (discussione)
 5. Crisi della compagnia d’assicurazioni “Equitable Life” – Risultati della commissione d’inchiesta (discussione)
 6. Quadro regolamentare per misure di conciliazione della vita familiare e degli studi per le giovani donne nell’Unione europea (discussione)
 7. Termine per la presentazione di emendamenti: vedasi processo verbale
 8. Turno di votazioni
  8.1. Protezione dei lavoratori dipendenti in caso di insolvenza del datore di lavoro (versione codificata) (votazione)
  8.2. Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (versione codificata) (votazione)
  8.3. Identificazione di comandi, spie e indicatori dei veicoli a motore a due o tre ruote (versione codificata) (votazione)
  8.4. Protezione degli interessi dei consumatori: provvedimenti inibitori (versione codificata) (votazione)
  8.5. Dispositivo di sterzo dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) (votazione)
  8.6. Velocità massima e piattaforme di carico dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) (votazione)
  8.7. Trattori agricoli o forestali (versione codificata) (votazione)
  8.8. Campo di visione e tergicristalli dei trattori agricoli o forestali (versione codificata) (votazione)
  8.9. Prescrizioni minime di sicurezza e salute per l’uso di attrezzature di lavoro (versione codificata) (votazione)
  8.10. Ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi (versione codificata) (votazione)
  8.11. Protezione dei lavoratori contro l’amianto (versione codificata) (votazione)
  8.12. Garanzia della Comunità alla BEI a favore di progetti realizzati all’esterno della Comunità (versione codificata) (votazione)
  8.13. Norme minime per la protezione dei suini (versione codificata) (votazione)
  8.14. Animali riproduttori della specie bovina di razza pura (versione codificata) (votazione)
  8.15. Marchio comunitario (versione codificata) (votazione)
  8.16. Produzione e commercializzazione di uova da cova e pulcini di volatili da cortile (versione codificata) (votazione)
  8.17. Controllo delle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di garanzia (versione codificata) (votazione)
  8.18. Assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti (versione codificata) (votazione)
  8.19. Accordo di partenariato São Tomé e Príncipe/CE nel settore della pesca (votazione)
  8.20. Accordo di partenariato CE/Repubblica di Kiribati nel settore della pesca (votazione)
  8.21. Richiesta di difesa dell’immunità e dei privilegi di Mario Borghezio (votazione)
  8.22. Definizione, designazione, presentazione ed etichettatura delle bevande spiritose (votazione)
  8.23. Pellicce di gatto e di cane (votazione)
  8.24. Elaborare una politica europea in materia di banda larga (votazione)
  8.25. Relazioni economiche e commerciali UE/Russia (votazione)
  8.26. Politica di concorrenza 2005 (votazione)
  8.27. Risultati della commissione d’inchiesta (votazione)
  8.28. Quadro regolamentare per misure di conciliazione della vita familiare e degli studi per le giovani donne nell’Unione europea (votazione)
 9. Dichiarazioni di voto
 10. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 11. Composizione del Parlamento
 12. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 13. Conclusioni della riunione del G8 – A metà percorso verso gli obiettivi di sviluppo del Millennio (discussione)
 14. Lavori dell’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE nel 2006 (discussione)
 15. Missione d’informazione nelle regioni di Andalusia, Valencia e Madrid (discussione)
 16. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
 17. Problemi specifici relativi al recepimento e all’applicazione della legislazione sugli appalti pubblici e al suo rapporto con l’agenda di Lisbona (discussione)
 18. Deroghe alle norme del mercato interno per gli appalti pubblici della difesa in base all’articolo 296 del trattato CE (discussione)
 19. Divieto di esportazione e allo stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico (discussione)
 20. Aiuti agli agricoltori le cui colture sono state colpite dal gelo (discussione)
 21. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 22. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. POETTERING
Presidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta inizia alle 9.05)

 

2. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

3. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

4. Situazione in Palestina (discussione)
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  Presidente. – Signor Commissario, onorevoli colleghi, siamo tutti profondamente scossi e turbati dai terribili fatti e dai tragici accadimenti degli ultimi giorni nella striscia di Gaza. Come sapete, ho scelto il Medio Oriente quale destinazione del mio primo viaggio ufficiale al di fuori dell’Unione europea e ho visitato la regione. Il mio incontro con Mahmud Abbas, Presidente dell’Autorità palestinese, in origine si sarebbe dovuto svolgere a Ramallah, ma a causa delle crescenti ostilità tra Fatah e Hamas il Presidente mi ha chiesto d’incontrarlo nella sua residenza ufficiale di Gaza, da cui stava tentando di mediare tra le opposte fazioni, e così ho fatto. Esattamente tre settimane fa ho parlato con il Presidente Abbas a Gaza, e sono rimasto colpito dalla calma determinazione con cui mi ha illustrato le sue convinzioni. Fuori dai suoi appartamenti ufficiali, tuttavia, sentivo la tensione nell’aria.

Il consiglio che rivolgo ai deputati dell’Assemblea è quello di condannare nel modo più assoluto i violenti attacchi sferrati dalla milizia di Hamas alle legittime forze di sicurezza e istituzioni dell’Autorità palestinese. E’ con profonda convinzione che vi suggerisco di esprimere il nostro sostegno al Presidente Abbas e la nostra solidarietà nei suoi confronti.

Sosteniamo la decisione del Presidente palestinese di annunciare lo stato di emergenza e nominare un governo d’emergenza per poter risolvere quanto prima la crisi politica nei territori palestinesi. Il nuovo Primo Ministro, Salam Fayad, recentemente mi ha fatto visita a Bruxelles: riponiamo grande fiducia in lui e nelle sue qualità di leader, cosa che gli comunicherò oggi stesso, se questo sarà il vostro mandato.

Il nuovo governo ha un compito arduo e dovrà essere attivamente sostenuto dall’Unione europea e dalla comunità internazionale. A seguito delle conclusioni adottate dal Consiglio dei ministri degli Esteri tenutosi ieri a Lussemburgo, vorrei affermare che in seno a questa Assemblea dobbiamo agire seguendo le nostre più profonde convinzioni, sostenendo con le nostre parole e con il nostro operato coloro che perseguono la pace in Medio Oriente e che per la pace continuano a lavorare.

Ieri, in apertura della seduta plenaria, l’Assemblea ha deciso di rinviare alla plenaria di luglio il voto su una risoluzione in merito alla politica comunitaria per il Medio Oriente. Vista la continua instabilità e la situazione in costante mutamento nella regione, credo si sia trattato di una giusta decisione.

Questo tuttavia non significa che abbiamo intenzione di essere passivi osservatori di quanto accade. L’Unione europea – il che vuol dire anche quest’Assemblea – dev’essere in prima fila tra coloro che lavorano a un rapporto rinnovato con il popolo palestinese e che hanno la responsabilità di rappresentarlo.

Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e agire di conseguenza, facendo tutto il possibile per riportare sull’intero territorio palestinese condizioni degne di un essere umano; dobbiamo aiutare gli abitanti della regione a soddisfare i bisogni umanitari più pressanti, ma anche contribuire a dar loro una vera prospettiva politica a lungo termine.

Il Consiglio dei ministri degli Esteri di ieri ha deciso di ripristinare relazioni normali con l’Autorità palestinese, fatto che dobbiamo accogliere con favore, insieme alla decisione collegata di creare le condizioni necessarie al fine di favorire la ripresa di un’assistenza finanziaria diretta efficace e trasparente e di contribuire allo sviluppo d’istituzioni efficienti. La missione nell’ambito della PESC e la missione di cooperazione di polizia restano in vigore e, poiché partecipa alle decisioni dell’autorità di bilancio dell’Unione europea, l’Assemblea deve sostenere con fermezza tale decisione.

Oltre a intraprendere queste azioni, tuttavia, il Parlamento europeo deve invitare i palestinesi a ritornare sulla strada del dialogo, al fine di raggiungere la riconciliazione necessaria prima che vi possa essere uno Stato palestinese che copra i territori palestinesi nel loro insieme. Non può andare a vantaggio di nessuno che la guerra civile si estenda ulteriormente o prosegua nel tempo.

Va detto, però, che non vi può essere pace senza Israele, che ha una grande responsabilità. Quando mi sono recato nel paese – e in particolare quando mi sono rivolto alla Knesset – ho espresso chiaramente l’invito del Parlamento europeo a chi occupa posizioni di potere politico in Israele a esprimere il proprio deciso sostegno al Presidente Abbas.

A tale proposito, vorrei ora ribadire il mio appello affinché Israele restituisca al Presidente Abbas le entrate doganali e fiscali palestinesi – pari a circa 800 milioni di dollari americani – che ormai trattiene da parecchi mesi. Il governo israeliano si è dichiarato disponibile in tal senso, e ora dovrebbe effettivamente concretizzare questo proposito senza indugio. L’Unione europea deve fungere da onesto mediatore, e a mio avviso al Parlamento europeo spetta il compito di dare un contributo responsabile.

I popoli di Israele e Palestina hanno pari dignità: hanno diritto a vivere entro confini sicuri. Possa venire il giorno in cui i palestinesi vivranno in pace con i palestinesi e con gli israeliani; una simile politica di riconciliazione e comprensione reciproca oggi può apparire molto distante, ma noi deputati al Parlamento europeo, come rappresentanti dei popoli d’Europa, dobbiamo sostenerla con convinzione e con senso di responsabilità.

(Applausi)

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE-DE.(ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, credo che il Parlamento abbia fatto bene a modificare l’ordine del giorno per parlare della situazione in Medio Oriente. Purtroppo dubito fortemente che il nostro dibattito contribuirà a trovare una soluzione al conflitto, ma in ogni caso è chiaro che dovevamo tenerlo.

Solo pochi giorni fa, a Bruxelles, abbiamo tenuto un dibattito sulla situazione in Medio Oriente con l’Alto rappresentante e con il Commissario Ferrero-Waldner, in cui abbiamo celebrato il quarantesimo anniversario della guerra dei sei giorni, durante la quale Israele ha invaso Gaza, la Cisgiordania e le alture del Golan.

Oggi, 40 anni dopo, dobbiamo riconoscere che permane una situazione di stallo – come ci ha ricordato ieri la stampa francese – che non è stato possibile creare uno Stato palestinese e che purtroppo vi sono di fatto due governi in reciproco conflitto. Vi è inoltre una grave crisi politica, economica, sociale e umanitaria.

Signor Presidente, lei ha chiesto che cosa possono fare la comunità internazionale in generale e l’Unione europea in particolare, e quello che senza dubbio dobbiamo fare è innanzi tutto sostenere Mahmud Abbas e il governo moderato di Salam Fayad, destinato non solo a governare la Cisgiordania, ma anche Gaza.

Come ha affermato anche lei, signor Presidente, dobbiamo altresì togliere il blocco internazionale imposto alla Palestina da quando Hamas ha vinto le elezioni. Dobbiamo perciò accogliere con favore la decisione presa ieri dal Consiglio “Affari generali” di ripristinare gli aiuti diretti all’Autorità nazionale palestinese, e ci auguriamo che l’incontro che si terrà oggi a Washington tra il Presidente degli Stati Uniti e il Primo Ministro israeliano ci conduca nella medesima direzione. E’ inoltre giunto il momento, signor Presidente, che Israele trasferisca le somme dovute alla Palestina in diritti doganali.

Benché queste siano tutte condizioni necessarie, signor Presidente, evidentemente non sono sufficienti, perché tutti sappiamo che la situazione a Gaza è ancora segnata dalla violenza e che in realtà, nella difficile equazione di guerra e pace, in Medio Oriente si potranno fare progressi solo rinunciando alla violenza come strumento di azione politica, riconoscendo lo Stato d’Israele e compiendo azioni, come ad esempio il rilascio del giornalista britannico Alan Johnston, che possano contribuire a raggiungere l’obiettivo della pace.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, in quest’Aula siamo tutti uomini e donne politici, perfettamente consapevoli che il valore politico più alto è l’unità e che, senza di essa, non sarà possibile realizzare il sogno di uno Stato palestinese indipendente in pace con i suoi vicini.

Signor Presidente, come ha giustamente affermato, è ora che le armi tacciano, in modo che il dialogo possa prevalere e che si possa consolidare la pace, e spetta all’Unione europea, insieme ad attori quali le Nazioni Unite, la Lega araba o altri membri del Quartetto, mobilitare tutti i suoi sforzi per contribuire con intelligenza, generosità e coerenza rispetto alla sua tradizione e ai suoi valori nonché, naturalmente, a livello di aiuti umanitari, a una pace equa e duratura in Medio Oriente.

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, benché i fatti degli ultimi giorni vadano considerati come uno dei momenti più drammatici nello sviluppo della regione, credo che indichino anche che il ruolo dell’Unione europea – il nostro – ha toccato il punto più basso nei suoi rapporti con il Medio Oriente. Ieri il Consiglio dei ministri degli Esteri ha deciso di riprendere l’invio di aiuti. Ma perché per farlo ha aspettato il crollo dell’ordine pubblico?

(Applausi)

Lei, signor Presidente, ha poc’anzi chiesto il pagamento di aiuti diretti a Mahmud Abbas. Mi domando se forse non sia troppo tardi per questo. Non è forse vero che la disintegrazione dell’ordine pubblico nella striscia di Gaza – il che è quel che sta accadendo in questo momento – si sarebbe potuta evitare se si fossero mandati prima gli aiuti e se non ci fossimo imposti quale mossa strategica la regola di non interloquire con Hamas?

(Applausi)

Neanch’io conosco la risposta a questa domanda, e di certo non siamo nella posizione per dire che le cose sarebbero andate meglio se avessimo agito diversamente, ma si tratta di una domanda che dobbiamo almeno avere la possibilità di porre.

Non si dà anche il caso che noi – vale a dire l’Unione europea e la comunità degli Stati occidentali – vediamo ancora una volta in funzione un processo per cui un popolo elegge un governo che non ci piace, siamo soddisfatti delle elezioni – condotte in modo impeccabile, come hanno confermato i nostri osservatori elettorali – ma non dei risultati che ne sono emersi, e quindi giungiamo alla conclusione che serve un blocco, e un blocco totale? Perché non abbiamo nemmeno parlato con i membri del governo di unità nazionale che non facevano parte di Hamas? Vi erano molti membri del governo che non appartenevano né ad Hamas né a Fatah. Le forze con cui ci troviamo a parlare possono, per il momento, non essere di nostro gradimento, ma il dialogo è l’unico modo di raggiungere soluzioni pacifiche.

Mi ricordo – come voi tutti – che quand’ero giovane Yasser Arafat era considerato il primo terrorista al mondo; in seguito gli è stato conferito il Premio Nobel per la pace. Ero favorevole a intraprendere un dialogo con lui. La storia ha dimostrato che è stato il dialogo a tracciare il percorso per uscire dalla violenza. Oggi si pensa a Fatah come a uno dei nostri partner, ma una volta era considerata l’organizzazione terroristica per eccellenza. Per questo dobbiamo imparare dai nostri stessi errori.

Se consideriamo la realtà dei fatti, esiste solo una strada da percorrere – è quello in cui ancora credo, in cui il mio gruppo ancora crede e in cui la famiglia dei partiti socialdemocratici ancora crede – e questa strada consiste nel tentare di portare tutte le forze in gioco e tutte le parti interessate a sedersi intorno a un tavolo. Chiunque si rivolga alla Siria è trattato come un emarginato, ma noi per primi sappiamo che tra non molto verrà il giorno in cui vi saranno negoziati tra questo paese e Israele. I preparativi sono già in corso. Sappiamo che il governo israeliano, negli anni passati, ha tentato di stabilire un contatto con la Siria. Cerchiamo di dare prova di maggiore onestà e ammettiamo che alla Siria spetta ovviamente un posto al tavolo negoziale, soprattutto se si vuole avere una qualche influenza su Hamas.

Senza dubbio è inutile guardare solo al passato. Dobbiamo dare tutto l’aiuto diretto che possiamo. Non so se sia possibile influire sulla striscia di Gaza, ma qualora esista questa opportunità tale aiuto dev’essere usato innanzi tutto per la creazione di un’infrastruttura statale, con il sostegno delle forze di sicurezza che stanno effettivamente compiendo il proprio dovere, e non generando insicurezza. Soprattutto, però, e questo è un aspetto che non è stato illustrato abbastanza nei dibattiti degli ultimi giorni, in seno all’Unione dobbiamo assicurare che vengano prestati aiuti umanitari, poiché ci rendiamo conto che a un popolo già bisognoso vengono inflitte – e non per la prima volta – ancora più sofferenze da forze armate radicali che occupano posizioni estremiste in questa società. A soffrire davvero sono le persone comuni che non hanno acqua, elettricità, assistenza medica e che non possono mandare a scuola i loro figli, e solo se e quando saremo in grado di affrontare tali fatti porteremo i cittadini a desiderare che Israele abbia la sicurezza di cui ha bisogno per poter vivere in pace. E’ infatti evidente che non potrà vivere in maggior sicurezza se i cittadini assumono posizioni ancor più radicali e se scoppia la guerra civile. Questo produrrà solo ulteriore instabilità. La condizione fondamentale per la sicurezza sociale è sempre quella di poterla estendere e di creare così una maggiore volontà di pace in una data regione. Questo dev’essere il principale compito dell’Unione europea, non l’invio di truppe europee, che ho sentito invocare da non pochi rappresentanti di questa nostra Unione negli ultimi giorni. E’ inconcepibile che, per motivi politici, non vi sia denaro a disposizione per l’invio di aiuti umanitari, ma che i fondi vi siano quando si tratta di inviare soldati. In ogni caso non è questo il nostro modo di operare. Mi auguro si rivelerà possibile riprendere il dialogo in Medio Oriente.

(Applausi a sinistra)

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, come ha detto l’onorevole Schulz, non vi può essere giustificazione per le azioni dei militanti di Hamas, per quante vessazioni abbiano subito i palestinesi.

Eppure, se un anno fa la comunità internazionale avesse rispettato il proprio impegno per la democrazia in Palestina, se non avessimo rifiutato il dialogo con i moderati di Hamas e non avessimo sospeso il pagamento degli aiuti diretti a un governo liberamente eletto, la situazione non sarebbe grave quant’è oggi.

Le sanzioni finanziarie che miravano a imporre il riconoscimento d’Israele o a estromettere completamente Hamas dal potere hanno semplicemente reso i palestinesi più disperati e le prospettive di pace più incerte.

Si sta delineando una Palestina a due Stati, attanagliata dalla violenza, dal settarismo e dalla paura, mentre una soluzione a due Stati del conflitto appare sempre più lontana.

Il gruppo ALDE è deluso, benché non sorpreso, da quanto è successo. Un anno fa avevamo fatto presente che la sofferenza dei palestinesi avrebbe portato a maggiori estremismi, in particolare nelle condizioni di prigionia in cui versa Gaza, dove 1,4 milioni di cittadini sono stati sistematicamente isolati e privati dei servizi di prima necessità.

La violenta occupazione di Gaza della settimana scorsa ha rivelato una mancanza di rispetto per lo Stato di diritto, che rappresenta un requisito minimo per qualunque governo legittimo.

Se Hamas non farà attenzione, tradirà la sua causa e, per citare il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, “pianterà l’ultimo chiodo nella bara” del sogno di uno Stato palestinese.

Se non vogliamo che la guerra civile prevalga sull’unità, tutte le parti devono affrontare la realtà: rifiutare il dialogo non ha portato ad alcun risultato.

Adesso occorre una forte dose di pragmatismo, non di condanna, né di sanzioni, né certamente il rifiuto dei negoziati, opzione da codardi che si rivelerà controproducente. A tal fine, il mio gruppo accoglie con favore la determinazione del Primo Ministro Salam Fayyad a ripristinare la sicurezza nonché l’impegno per il dialogo del Presidente Abbas. Siamo favorevoli alla ripresa degli aiuti diretti all’Autorità palestinese e all’eventuale restituzione di una somma di quasi 800 milioni di dollari di entrate fiscali palestinesi da parte dell’amministrazione israeliana.

Mettiamo tuttavia in guardia dal sostenere l’amministrazione della Cisgiordania a scapito di Gaza. Se si considera la striscia “un’entità terroristica” – come l’hanno definita i funzionari israeliani – non si avvicinerà minimamente la regione alla pace, ma si creerà solo maggiore insicurezza, in quanto un popolo disperato, privato del cibo e di altri beni di prima necessità, penserà di non avere nulla da perdere.

Il controllo di Hamas su Gaza era l’incubo divenuto realtà. L’Unione europea, tuttavia, non dev’essere disposta a restarsene a guardare in disparte mentre l’Iran diventa un attore in questo conflitto.

Se non altro, quest’anno ci ha insegnato che la politica e solo la politica può creare prospettive di pace in Medio Oriente.

Mentre almeno il Parlamento proseguiva il dialogo, il Consiglio e gli Stati membri si sono fatti da parte. Ora spetta al Consiglio e agli Stati membri riportare la democrazia, la dignità umana e lo Stato di diritto al centro dei processi e dei lavori volti a promuovere la pace nella regione.

(Applausi)

 
  
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  Brian Crowley, a nome del gruppo UEN.(EN) Signor Presidente, la cosa più importante da ricordare oggi in quest’Aula sono le vite umane colpite dalla nuova ondata di violenza nei territori palestinesi. Il nostro pensiero deve andare soprattutto alle donne e ai bambini, la cui sofferenza non deriva solo dall’occupazione di Gaza da parte di Hamas, o dalla mancanza di trattative tra le autorità palestinesi e israeliane, o dalla sospensione degli aiuti di Unione europea e Stati Uniti; la loro sofferenza risale a 30 anni fa.

Chiunque venga interpellato nell’area palestinese dirà che sono sempre stati donne e bambini a soffrire di più, ma che sono anche stati i più solerti nel tentare di trovare una strada per ovviare alla mancanza di negoziati, di rispetto e di soluzioni, nonché, in effetti, al fatto che sia Israele che la Palestina non hanno onorato i propri impegni, gli accordi sottoscritti volontariamente, al fatto che Stati Uniti d’America e Unione europea non hanno rispettato l’impegno di tenere negoziati chiari e aperti, che altri Stati che confinano con Israele e Palestina non hanno assunto un ruolo più attivo e positivo nel perseguire, da ultimo, una soluzione a due Stati, che deve fondarsi su indipendenza e uguaglianza.

I colleghi ricorderanno che alcune settimane fa, nella sede di Bruxelles del Parlamento europeo, il Presidente dell’Assemblea ha invitato alcuni vincitori del Premio Nobel a parlare del futuro dell’Europa e dei settori e delle questioni di cui si occupano. E’ paradossale che, leggendo i discorsi di coloro che erano in Aula quel giorno, che hanno vinto il Premio Nobel, tutti abbiano detto che gli sforzi per la pace cui hanno partecipato si sono realizzati solo attraverso il dialogo, il rispetto della diversità, la tolleranza e l’uguaglianza. Quel che vediamo in Palestina da 30 anni a questa parte è la mancata applicazione di questi quattro criteri.

Quando Yasser Arafat era il capo del popolo palestinese, Israele ha dichiarato di non poter trattare, di non poter negoziare con lui. Quando è subentrato un nuovo Presidente, Israele ha detto di non potervi trattare, di non potervi negoziare, sempre godendo del sostegno degli americani e di taluni Stati membri dell’Unione europea. Pensare che quel che è accaduto a Gaza con Hamas sia stato un incidente equivale a non capire, anche col senno di poi, che l’Unione europea e gli Stati Uniti non sono riusciti a gestire in modo adeguato le soluzioni che possono essere necessarie.

Ora ci è stata data un’altra opportunità per intervenire. Ci è stata data una nuova occasione per dar prova di coraggio di fronte alla morte e alla catastrofe, di dar prova di umanità di fronte all’oppressione e all’ingiustizia, e di sostenere quel che è inequivocabilmente giusto, ossia che dobbiamo prestare aiuto al popolo palestinese, che dobbiamo insistere affinché Israele tratti con i rappresentanti democraticamente eletti del popolo palestinese e che dobbiamo appoggiare l’Autorità palestinese nel far rispettare lo Stato di diritto in tutto il territorio palestinese.

(Applausi)

 
  
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  Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a mio avviso tutti possiamo concordare sul fatto che ciò che abbiamo udito oggi è un’analisi. Senza dubbio le parti interessate hanno commesso errori su ciascun fronte, e se dico che ora noi li stiamo pagando a caro prezzo, con “noi” intendo soprattutto i palestinesi, ma anche – almeno credo – gli Israeliani e tutti coloro che hanno interesse a che la regione abbia, per una volta, un futuro cui guardare – non solo un futuro di pace, ma un futuro di qualsiasi genere.

Che cosa si può fare? E’ la questione su cui mi vorrei concentrare. Innanzi tutto l’Unione europea deve svegliarsi una buona volta e porre rimedio agli errori commessi in quest’ambito. Il motivo per cui è l’Unione europea a dover agire è che è l’unico organismo politico nella posizione di agire da mediatore; non possono farlo né gli americani – la guerra in Iraq lo rende impossibile – né i russi né gli altri.

Qualcuno deve prendere l’iniziativa di dire “sì”: “sì” al pagamento di aiuti diretti, naturalmente “sì” al sostegno, “sì” ai contatti con Gaza e con Hamas al fine di affrontare i problemi umanitari nella striscia di Gaza. Questo non significa attendere una dichiarazione, bensì prendere l’iniziativa per poi ottenere una dichiarazione: ecco quel che serve; significa andare dritti al cuore della nazione a nome dell’Unione europea e proseguire subito con un Quintetto europeo – il che, in sostanza, è quel che si tenta di fare, anche se non gli si dà questo nome – con una grande conferenza nella regione.

L’onorevole Schulz giustamente afferma che dobbiamo dialogare con la Siria e con chiunque vogliamo – e in ogni caso dobbiamo – negoziare sulle alture del Golan e i confini del Libano, il che va fatto subito. Perché? Perché si tratta dell’unica occasione di nuova speranza per la regione. E’ una nuova speranza a rendere possibile il dialogo politico, non il contrario.

Veniamo sempre esortati a guardarci dal concedere a una delle parti un trattamento di favore, che nessuno in questa regione riceverà. E’ questo che dobbiamo imparare dall’intera vicenda. Questo significa senza dubbio che gli aiuti umanitari per Gaza devono essere immediati: non giova a nessuno che gli unici aiuti umanitari che riceve provengano dall’Iran, e se così sarà, verseremo altre lacrime e diremo che non volevamo che accadesse questo. Ebbene, se non è questo che vogliamo, evitiamo che accada, e se vogliamo evitare che accada, dobbiamo intervenire; questo è ciò che dobbiamo fare, e dobbiamo farlo subito.

Israele deve comprendere che una politica di occupazione fondata su un muro che viene percepito come un’ingiustizia non porterà la pace, e nemmeno la speranza; devono capirlo una buona volta. Per loro uscire dallo scenario peggiore possibile deve significare fare ciò che non hanno fatto prima, vale a dire negoziare con il nuovo governo della Palestina la demolizione del muro e l’istituzione di un confine sicuro al di là di esso. Questo significa che occorrono assistenza finanziaria, aiuti umanitari e intraprendenza politica, e se non arriveranno presto, ogni mese ci saranno pianti e lamenti quando ci riuniremo in quest’Aula.

 
  
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  Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL.(FR) Signor Presidente, di fronte alla tragedia in atto nei territori palestinesi, gli appelli affinché si ponga fine alla violenza saranno del tutto inefficaci se ci rifiuteremo di comprendere la genesi di questo disastro annunciato.

Tale esplosione di violenza senza precedenti è innanzi tutto e soprattutto il prodotto di altri atti di violenza, scaturiti da 40 anni di occupazione militare. E’ il frutto dell’impunità concessa dall’intera comunità internazionale ai leader israeliani, chiunque siano e qualunque cosa facciano, con spregio assoluto del diritto internazionale. Tale violenza è il prezzo da pagare per la perdita di ogni speranza di uno Stato palestinese degno di questo nome. Quale immane responsabilità, dunque, per i leader europei!

Si dice che l’Europa è il primo donatore. Benissimo, ma che senso ha concedere aiuti se permettiamo che si diffonda il veleno mortale della costante umiliazione, di cui la situazione a Gaza è la grottesca dimostrazione, e che il continuo isolamento di Gaza non potrà che esasperare? Quale responsabilità aver sprecato opportunità storiche come il piano di pace della Lega araba del 2002, l’esito positivo del primo processo democratico in Palestina nel 2006 o, più di recente, l’istituzione di un governo di unità nazionale, che rappresentava un’ultima occasione, il tutto per allinearsi alla nefasta strategia della Casa Bianca!

Alcuni europarlamentari hanno levato più volte un grido d’allarme. L’ultimo è stato un appello da parte di oltre 100 deputati al Parlamento europeo per porre fine a una politica che, mediante i boicottaggi al governo e il ritiro degli aiuti diretti, fomenta la disperazione di una nazione sul punto di collassare. Ci hanno risposto con parole rassicuranti sulle intenzioni del Quartetto, inganno orchestrato dall’amministrazione Bush per dissimulare il proprio mancato intervento.

Ma ecco che abbiamo l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Medio Oriente che pronuncia personalmente una chiara requisitoria contro tutti coloro, europei compresi, che praticano quello che definisce “autocensura” a proposito dell’occupatore e le cui recenti decisioni di boicottare e congelare gli aiuti hanno avuto, come egli stesso sottolinea, conseguenze devastanti. Tale fallimento storico e tale sconfessione da parte del principale rappresentante dell’ONU nella regione impongono un dibattito straordinario ai massimi livelli. D’ora in poi, se non desideriamo più renderci complici di un nuovo Iraq, dobbiamo esigere con la massima urgenza revisioni strategiche sostanziali nel rispetto del diritto internazionale, che si sarebbero dovute imporre a tutti da 40 anni a questa parte. La storia sarà il nostro giudice.

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM.(NL) Signor Presidente, la settimana scorsa il cosiddetto governo di unità palestinese di Fatah e Hamas è giunto a un violento epilogo. Di conseguenza, ci troviamo dinanzi due consigli dei ministri palestinesi che negano il diritto all’esistenza l’uno dell’altro.

Nel frattempo, Consiglio e Commissione hanno evidentemente optato a favore del consiglio di crisi di Salam Fayyad in Cisgiordania. Vorrei accordare il mio pieno sostegno a tale posizione perché, diversamente dal movimento di Fatah sotto l’egida di Mahmud Abbas, i leader di Hamas persistono nel negare il diritto all’esistenza di Israele dentro e fuori la striscia di Gaza. Per motivi meramente religiosi, Hamas si è opposta a una soluzione a due Stati al conflitto israelo-palestinese. Si tratta di una questione, quella dei principi religiosi di Hamas, su cui l’onorevole Schulz prima o poi dovrebbe documentarsi.

Vista la perenne politica di destabilizzazione regionale perseguita da Damasco e Teheran, comprendo come questa posizione distruttiva adottata da Hamas venga attivamente sostenuta dalla repubblica islamica e dalla Siria. Tuttavia, il fatto che taluni deputati al Parlamento europeo e persino alcuni gruppi in seno all’Assemblea desiderino dare fiducia e sostegno ad Hamas come interlocutore paritario, benché in fin dei conti sia l’acerrimo nemico d’Israele, mi lascia del tutto perplesso. Anche oggi.

Significa che la soluzione politica a due Stati non è divenuta altro che un’assurda ipocrisia in quest’Aula? Nel contempo, auguro vivamente al popolo palestinese una leadership altruista che in politica interna si dimostri un governo forte e che in politica estera cerchi davvero il modus vivendi con Israele. Il consiglio d’emergenza Fayyad di recente nomina offre questa opportunità. Per la realizzazione pratica, conto sull’aiuto, sull’incoraggiamento e sul controllo di tutte le Istituzioni europee.

 
  
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  Andreas Mölzer, a nome del gruppo ITS.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la striscia di Gaza non è un nuovo Stato palestinese; lungi dall’esserlo, rappresenta una prigione, una prigione in cui i cittadini – i palestinesi, il popolo palestinese, e soprattutto le donne, i bambini e gli anziani – sono costretti a vivere in caserme, isolati dal resto del mondo.

L’ultima esplosione di violenza, con cui la milizia di Hamas ha preso il potere nella striscia di Gaza, senza dubbio è stata resa possibile dalle mancanze dei decisori europei, americani, israeliani, nonché da Fatah. Sono stati infatti i politici israeliani a negare al governo palestinese le sue entrate fiscali e a erigere un muro contro i palestinesi; gli americani lo hanno permesso e si sono dimostrati incapaci di portare tutte le fazioni in conflitto intorno a uno stesso tavolo; infine, sono stati gli europei, compresa l’Assemblea, a non saper sostenere un governo democraticamente eletto, alcuni elementi del quale ci erano sgraditi o poco congeniali; e così ci siamo ritrovati a negare il sostegno ai moderati e a non incoraggiare la crescita, in seno ad Hamas e altrove, di quelle forze che si sarebbero potute condurre alla ragione. Ecco i responsabili di tale situazione.

Sappiamo che Hamas, ora che ha preso il potere, rappresenta uno dei quattro elementi radicali in Medio Oriente, insieme a Iran, Siria e agli Hezbollah. Sappiamo altresì che l’islamismo radicale del tipo predicato da Hamas è molto pericoloso, che gli elementi ad esso associati sono le forze che sostengono il terrorismo islamico globale e che da questo, naturalmente, noi europei dobbiamo difenderci.

D’altra parte, però, dobbiamo sostenere il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi, il che significa che devono eleggere come loro governanti le persone che vogliono, e non quelle che vogliamo noi, perché non siamo nella posizione di sceglierle. Ne consegue perciò che non dobbiamo commettere di nuovo gli stessi errori: dobbiamo dialogare con le forze palestinesi che godono del sostegno della maggioranza della popolazione e aiutarle.

Per quanto sia importante la sicurezza d’Israele per l’Europa, altrettanta importanza rivestono le prospettive future del popolo palestinese e, se riusciremo a dargli una speranza per il futuro, avremo una possibilità di portare la pace a lungo termine in Medio Oriente.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE), per iscritto. – (SK) L’attuale situazione nei territori palestinesi è per me motivo di grave preoccupazione. L’Autorità palestinese è divisa in due. Nonostante l’esito delle elezioni, il governo congiunto dei movimenti di Fatah e Hamas era destinato alla lotta, e si trattava solo di aspettare che la tensione sfociasse in un sanguinoso conflitto. Per Hamas è motivo di vanto il fatto che, nei suoi documenti fondanti, il movimento si prefigga l’obiettivo di distruggere Israele. A giudicare dall’attuale condotta di Hamas, possiamo concludere che non abbiano mai rinunciato alle azioni e alla mentalità terroristiche. Come possiamo prestare aiuto ai cittadini palestinesi che vivono nei campi profughi, senza lavoro e in condizioni miserande, se i palestinesi stessi eleggono un movimento che approva il terrorismo e mira a distruggere il proprio vicino, Israele? Come possiamo lavorare all’attuazione degli accordi di Oslo e all’istituzione di due Stati in condizione di parità, Palestina e Israele, se una delle due parti sogna di cancellare con la guerra e il terrorismo l’esistenza stessa del vicino con cui dovrebbe convivere in pace?

In qualità di membro della sezione politica di Euromed, mi rivolgo al Parlamento affinché condanni ogni forma di terrorismo in Palestina e qualunque associazione con i terroristi di Hezbollah. L’Unione europea deve sostenere il processo di pace sia in Palestina che in Israele. Ultima considerazione, benché non per scarsa importanza: l’assistenza umanitaria dell’Unione europea nella regione non deve finire, attraverso strumenti non trasparenti, nelle mani delle organizzazioni terroristiche.

 

5. Crisi della compagnia d’assicurazioni “Equitable Life” – Risultati della commissione d’inchiesta (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:

– la relazione (A6-0203/2007), presentata dall’onorevole Wallis a nome della commissione d’inchiesta sulla crisi finanziaria della Equitable Life Assurance Society, sulla crisi finanziaria della Equitable Life Assurance Society [2006/2199(INI)], e

– il progetto di raccomandazione (B6-0199/2007), presentato dall’onorevole Wallis a nome della commissione d’inchiesta sulla crisi finanziaria della Equitable Life Assurance Society.

 
  
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  Diana Wallis (ALDE), relatore. – (EN) Signor Presidente, per noi e per i miei colleghi di questa commissione d’inchiesta si conclude oggi un viaggio durato 18 mesi. Ora questo documento può lasciare la mia scrivania per approdare alla sua, signor Commissario.

La settimana scorsa, in vista della presentazione di oggi, un giornalista mi ha chiesto se acquisterei un prodotto di servizi finanziari transfrontalieri. La domanda mi ha fatto pensare, e infatti ho esitato nel rispondere. Ho detto: “Beh, forse ora so troppo”. So troppo in seguito a questa indagine e sono piuttosto preoccupata – anzi, molto. Dopo questa vicenda, non so nemmeno se acquisterei un prodotto di servizi finanziari nel mio paese, il Regno Unito, dove è avvenuto tutto questo. E si tratta di un centro finanziario che dovrebbe essere fra i migliori dell’Unione europea.

L’intera questione della triste crisi della Equitable Life va al nocciolo del problema della fiducia dei consumatori nel mercato interno. La questione è se come cittadini europei avremo fiducia per risparmiare per il futuro, per le nostre pensioni e altri investimenti. Se come legislatori non riusciremo a stabilire un regime normativo adeguato per il mercato interno, siamo destinati ad avere problemi enormi in futuro.

Insomma, cosa è accaduto con Equitable Life? Un milione e mezzo di assicurati di 15 Stati membri sono stati vittime della crisi di questa compagnia d’assicurazioni. Si tratta veramente di una crisi su scala europea, che deve quindi essere affrontata a livello europeo. Penso che tutti comprendiamo l’importanza che le società di servizi finanziari – nonché altre imprese – siano in grado di commerciare e operare in tutta l’Unione europea sulla base di quello che è talvolta chiamato paese di vigilanza home/host o controllo del paese d’origine. Ma se realizzeremo tale obiettivo – ed è chiaro che ci muoviamo in questa direzione – dobbiamo stabilire in modo assolutamente chiaro chi è responsabile per cosa. Certamente non era chiaro in questo caso particolare.

Alcune settimane fa, signor Commissario, ho partecipato a una conciliazione in cui abbiamo dedicato parecchie ore a un altro atto legislativo noto come Roma II, cercando di stabilire in modo corretto la relazione tra il paese di origine e altri strumenti comunitari. Ma per noi questo non è solo un esercizio semantico o di formulazione. Qualcuno alla fine del processo mi ha detto: “Ognuno può leggere quello che vuole in questo testo”. Non dovrebbe essere così. Dobbiamo essere chiari nello stabilire di chi è la responsabilità, nell’interesse delle persone che ne sono colpite direttamente.

Ciò che io e i miei colleghi abbiamo constatato nel caso di Equitable Life è che le vittime, ad esempio in Germania o in Irlanda, andavano dalle autorità nei rispettivi paesi e queste rispondevano: “Ci dispiace, ma la responsabilità non è nostra”. Poi si rivolgevano alle autorità del Regno Unito, che rispondevano: “Ci dispiace, ma il suo problema non riguarda noi”. Questo fatto rivela una lacuna nella nostra legislazione primaria oppure nel modo in cui è stata attuata nel Regno Unito o in altri Stati membri. E’ un problema che dobbiamo risolvere. Deve essere chiaro in futuro chi è responsabile per i cittadini, che alla fine sono quelli che ne soffrono.

Abbiamo quindi rilevato una lacuna nel regime normativo del Regno Unito, unita forse a una mancanza di chiarezza riguardo ai problemi home/host; riguardo all’eccessiva deferenza nei confronti di un’istituzione finanziaria che esisteva da centinaia di anni; riguardo a un regime normativo che usava troppo, forse, nel linguaggio generale, la “mano leggera” (light touch). Sappiamo che non possiamo eliminare ogni rischio, ma certamente possiamo fare meglio.

Abbiamo aperto il mercato, ma dobbiamo essere chiari: niente mobilità senza responsabilità. E’ indispensabile questo equilibrio. L’aspetto della tutela è essenziale. E cosa abbiamo messo sul versante della tutela? Abbiamo un gruppo europeo di rappresentanti delle autorità di vigilanza, il CEIOPS, che si riunisce. Sta migliorando, ma è una sorta di riunione volontaria o sistema di allerta precoce. Non è la legge nero su bianco che permette l’ingresso nel mercato. Quindi, sappiamo che la cooperazione transfrontaliera sta migliorando, ma crediamo che si possa fare ancora di più e che, considerando questo aspetto nell’ambito del rinnovamento del protocollo di Siena, si possa fare meglio.

Poi, chiaramente, dovremmo avere sistemi di risoluzione alternativa delle controversie per aiutare i cittadini quando sorgono problemi. Io sono una grande sostenitrice della risoluzione alternativa delle controversie, ma, francamente, ciò che abbiamo creato, a fronte di un mercato aperto, è patetico. I sistemi di Irlanda e Regno Unito dovrebbero essere i migliori! Non dubito che lo siano, ma mi preoccupa ciò che accade in altri Stati membri. Facciamo in modo che FIN-NET, la rete di risoluzione alternativa delle controversie nei servizi finanziari, funzioni correttamente in tutti gli Stati membri, in modo che i cittadini possano star sicuri che esistono gli strumenti per aiutarli quando si trovano in difficoltà.

Dov’è il sistema coerente di accesso transfrontaliero alla giustizia nell’UE? Forse potrebbe permettere a chi ha grandi disponibilità finanziarie di capire le complessità di ciò che accade, ma ci sembra che per rispondere in questo modo occorra permettere ai cittadini di agire collettivamente, a livello transfrontaliero, e che a tal fine abbiamo bisogno di un meccanismo. So che molti si spaventano a questo riguardo, ma ci è risultato del tutto chiaro che al momento vi è disparità di risultati e mancanza di accesso alla giustizia transfrontaliera. Dobbiamo fare meglio.

In questo caso i ricorrenti che si sono rivolti a noi in origine erano tenaci, pazienti, caparbi. Non si sono arresi, anche se sapevano che stavano affrontando lo Stato del Regno Unito. Inizialmente la Commissione ci disse che non si poteva fare nulla. Ma abbiamo imparato molto in questo viaggio riguardo al processo di attuazione. In futuro, deve essere molto più proattivo e non limitarsi a liste di controllo e caselle da spuntare. Sappiamo che sta migliorando. La qualità della nostra legislazione deve essere più trasparente. Dobbiamo redigere sintesi dei testi legislativi destinate ai cittadini, in modo che possano capire di cosa si tratta, ed elaborare tavole di concordanza in modo che sia chiaro come è stata recepita la legislazione comunitaria negli Stati membri. Migliore attuazione significa una Commissione proattiva unita a un Parlamento vigile.

Desidero ringraziare tutti i colleghi e il Segretariato che hanno lavorato insieme a noi su questa relazione. Come parlamentari abbiamo avuto un’opportunità unica. Io credo che questa relazione aiuterà le vittime in stretta collaborazione con l’Ombudsman parlamentare del Regno Unito, forse per dare finalmente un risarcimento. Soprattutto, spero che dia una enorme scossa alle nostre Istituzioni sui nostri processi legislativi e sul sistema europeo di giustizia.

Signor Commissario, ora tocca a lei – ma non solo a lei, spero. Tocca anche al Commissario per la giustizia e al Commissario per gli affari dei consumatori. Attendiamo le vostre risposte.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. EDWARD McMILLAN-SCOTT
Vicepresidente

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la crisi e il vero e proprio crollo della compagnia d’assicurazioni Equitable Life nel 2000 sono stati una tragedia per centinaia di migliaia di assicurati, pensionati e titolari di rendite vitalizie, non solo nel Regno Unito ma anche in altri Stati membri dell’Unione europea dove era attiva Equitable Life. Molti hanno subito gravi perdite finanziarie, oltre a vivere una grande angoscia.

Equitable Life era nota per essere la compagnia di mutua assicurazione sulla vita più antica del mondo, essendo stata fondata nel 1762. Godeva di un’ottima reputazione. Come ha potuto una compagnia di assicurazione così illustre incorrere in così gravi difficoltà? Quali conclusioni si devono trarre per il mercato unico delle assicurazioni nell’UE e per il mercato interno nel suo insieme?

La relazione della commissione d’inchiesta del Parlamento, che oggi vi viene presentata, è un aiuto molto prezioso per rispondere a queste domande. Desidero rendere omaggio al lavoro esemplare della commissione d’inchiesta. La presidente della commissione, onorevole McGuinness, e la relatrice, onorevole Wallis, meritano la massima lode. La commissione ha lavorato intensamente per trovare la verità e dare a tutti gli interessati, le vittime, gli organi di regolamentazione, gli esperti e la Commissione, un’opportunità per rendere noti i loro pareri.

La relazione riguarda la supervisione della Equitable Life. Evidenzia altresì che il modo in cui si svolgevano i controlli sul recepimento e sull’attuazione a metà degli anni ’90 era, in retrospettiva, insufficiente. La commissione parlamentare ritiene che la Commissione europea avrebbe potuto fare di più per verificare che le regole comunitarie in materia di assicurazioni fossero attuate e applicate in modo corretto, e io non contesto tale considerazione.

Tuttavia, la relazione riconosce giustamente che all’epoca si procedeva in quel modo. A quel tempo la Commissione faceva del suo meglio con i mezzi che aveva a disposizione. Noto anche con soddisfazione che la relazione ammette che la Commissione non è e non può diventare il controllore delle autorità di regolamentazione.

A mio parere, è davvero notevole e positivo che la principale preoccupazione della relazione sia guardare al futuro piuttosto che al passato. Quindi, come possiamo migliorare la situazione e impedire il ripetersi di un caso Equitable Life in futuro?

La relazione fa 47 raccomandazioni. Alcune sono rivolte al governo del Regno Unito, alcune alla Commissione e altre a tutte le Istituzioni comunitarie. Riguardano il recepimento e il sistema regolamentare, i rimedi, il ruolo della Commissione e il ruolo delle commissioni d’inchiesta.

Si tratta di raccomandazioni attentamente ponderate che meritano un esame molto serio. Posso assicurare al Parlamento che la Commissione esaminerà con la massima attenzione tutte le raccomandazioni ad essa rivolte. In ottemperanza alle normali procedure, daremo una risposta per iscritto al Parlamento.

Consentitemi soltanto di aggiungere qualche parola riguardo al settore delle assicurazioni, che è al centro del caso Equitable Life. A luglio intendo presentare al Collegio dei Commissari la nostra proposta Solvency II, che riformerà globalmente e aggiornerà la supervisione e la regolamentazione in campo assicurativo nell’Unione europea. Un elemento chiave di questo progetto è l’obiettivo di collegare più strettamente i requisiti di capitale per le imprese di assicurazione al loro preciso profilo di rischio. Non sarà un regime a “fallimento zero”, ma, credo, renderà molto più improbabile in futuro un crollo come quello della Equitable Life.

La relazione affronta anche la questione più ampia di come garantire la corretta applicazione del diritto comunitario e di come è controllato il recepimento. La Commissione presenterà a breve idee su come migliorare l’applicazione del diritto comunitario. Le vostre raccomandazioni offrono idee molto preziose a tale riguardo.

Ancora una volta desidero ringraziare il Parlamento e la commissione d’inchiesta per il suo lavoro su questa dolorosa vicenda e ribadire l’impegno della Commissione affinché si imparino le necessarie lezioni a livello dell’Unione europea.

 
  
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  Robert Atkins, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, nel 2004 la commissione per le petizioni ricevette due petizioni a nome di assicurati della Equitable Life in tutta l’Unione europea. Su mio invito e con l’appoggio di molti colleghi di tutti i gruppi politici, il Parlamento avviò un’inchiesta sulla Equitable Life sotto la distinta presidenza dell’onorevole McGuiness. Abbiamo sentito alcune delle migliaia di persone che hanno subito uno stress finanziario ed emotivo nel Regno Unito, in Irlanda, in Germania e in molti altri paesi. Abbiamo interrogato funzionari, consulenti, giornalisti e persino – senza risultati soddisfacenti – l’amministratore delegato, ma i rappresentanti degli organi di regolamentazione britannici e del governo britannico hanno brillato per la loro assenza.

Abbiamo riscontrato l’attuazione scorretta del diritto comunitario da parte del governo del Regno Unito, debolezze strutturali e scarsa comunicazione tra i sistemi di regolamentazione in campo finanziario del Regno Unito e quelli di altri Stati membri, l’assenza di un controllo adeguato da parte della Commissione europea sull’attuazione del diritto comunitario nei singoli Stati membri, azioni equivoche del personale e della dirigenza della Equitable Life, nonché l’inefficacia del sistema di compensazione finanziaria disponibile per le vittime, negligenza e mancato rispetto delle ragionevoli aspettative degli assicurati da parte degli organi di regolamentazione.

Abbiamo formulato una serie di raccomandazioni che, come ha detto il Commissario, sono ben 47. La più importante di queste è la convinzione che il recepimento della Terza direttiva Vita sia stato inadeguato e che, quindi, occorra prendere provvedimenti al riguardo. Dobbiamo far sì che i cittadini dell’Unione europea ottengano una compensazione per i danni subiti in tutta l’UE, non soltanto nel paese in cui ha sede l’impresa.

Ma soprattutto chiedo, insieme ai colleghi del partito conservatore, che il governo britannico dia un risarcimento agli assicurati che hanno sofferto a causa del fallimento del sistema di regolamentazione e dei ministri coinvolti.

 
  
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  Proinsias De Rossa, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto sono lieto che il Commissario abbia espresso il suo appoggio a questa relazione. Ritengo che sia un importante passo sul lungo cammino percorso dagli assicurati per cercare una soluzione alle loro difficoltà.

Desidero ringraziare la relatrice e la presidente per il loro lavoro e il personale e i membri della commissione, che hanno lavorato con attenzione per analizzare il caso Equitable Life, trarre conclusioni e stilare raccomandazioni. Forse ancor più importante è il fatto che hanno studiato come proteggere meglio i cittadini europei nell’ambiente del mercato unico.

Questa importante e ragionata relazione riguarda la difficile situazione di 1,5 milioni di cittadini europei che avevano investito per le loro pensioni nella Equitable Life, una delle più longeve, rispettate e fidate compagnie di mutua assicurazione sulla vita in Europa. Centinaia di migliaia di persone hanno sofferto reali difficoltà a causa delle mancanze della regolamentazione nazionale nel Regno Unito e in altri paesi dove operava la Equitable Life.

Il gruppo socialista sostiene questa relazione, ma non tutti sono ugualmente soddisfatti dei risultati della nostra commissione, come emergerà da alcuni dei contributi che ascolteremo stamani.

Alcuni sostengono che le critiche mosse al governo del Regno Unito siano esagerate e che venga dato scarso credito ai progressi compiuti da quando è emersa questa crisi. Sia come sia, l’enorme valore di questa relazione sta nel fatto che i cittadini europei sanno che possono rivolgersi al Parlamento e ricevere attenzione e ascolto per il loro caso, e che abbiamo imparato dopo averli ascoltati come possiamo difendere meglio i loro diritti alla correttezza nel mercato unico.

Senza dubbio il cosiddetto approccio normativo della “mano leggera” adottato nel Regno Unito ha incoraggiato la società a vendere troppo per un periodo prolungato, minando così la propria solvibilità, comportamento da cui è in ampia misura scaturito questo disastro. Nessuna specifica difesa o cavillosità può nascondere questo fatto nudo e crudo. E’ altrettanto chiaro che la direzione dell’impresa sostiene un onere enorme per le sue azioni irresponsabili.

Tenendo presente tutto questo, è legittimo che il Parlamento chieda alle autorità del Regno Unito di esaminare la possibilità di offrire un compenso a coloro che in alcuni casi hanno perso i risparmi di tutta la vita.

E’ altrettanto chiaro che la Commissione non ha né la volontà né le risorse per garantire il corretto recepimento del diritto comunitario, né per seguirne l’applicazione nel mondo reale delle imprese. Oltre a questo, abbiamo rilevato che la stessa Terza direttiva Vita presenta gravi lacune che devono essere colmate.

Vorrei fare riferimento alla situazione dei circa 8 000 assicurati irlandesi, molti dei quali hanno perso somme ingenti. Si sono trovati dinanzi a una duplice difficoltà nella richiesta di un indennizzo. Erano stati indotti a credere che stavano investendo in un cosiddetto fondo irlandese che, come hanno poi scoperto, non esisteva. Hanno anche scoperto che l’organo di regolamentazione irlandese non si era minimamente interessato alla gestione della Equitable Life prima della crisi e aveva trascurato di valersi dell’opzione contenuta nella Terza direttiva Vita per attuare regole di gestione. Ciò ha lasciato gli assicurati alla mercé di un organo di regolamentazione britannico che ha negato qualsiasi responsabilità per gli assicurati al di fuori del Regno Unito.

Voglio richiamare l’attenzione anche sui contenuti di questa relazione: circa 70 conclusioni, raccomandazioni e rimedi, che sono la sintesi di quanto abbiamo riscontrato. Mentre la normativa nazionale è migliorata, rimangono grandi lacune sul modo in cui assicuriamo che i servizi finanziari siano idonei a operare fuori del loro paese di origine.

Per questa ragione, voglio concludere richiamando l’attenzione sulla proposta di azione collettiva da parte dei consumatori dinanzi ai tribunali nazionali, che permetterebbe alle persone che non hanno conti bancari milionari di chiedere giustizia nei tribunali. La possibilità di procedere collettivamente dinanzi ai tribunali nazionali contro imprese transnazionali o organi di regolamentazione nazionali è essenziale se vogliamo tradurre in pratica il principio “niente mobilità senza responsabilità”.

 
  
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  Sharon Bowles, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, seguo la questione da molti anni a causa del mio rapporto di lunga data con Aylesbury, la città ove sorge la sede centrale di Equitable Life, che è stata colpita dalle perdite di posti di lavoro, oltre a contare tra i suoi abitanti molti assicurati. Sono quindi molto lieta che il Parlamento abbia esaminato le circostanze della cessione della Equitable Life e spero che le nostre conclusioni diano qualche conforto agli assicurati, in quanto molti dei loro sospetti e delle loro asserzioni appaiono ben fondati.

Sono grata per la franchezza di alcuni dei nostri testimoni – purtroppo non tutti. Alcune delle prove che abbiamo raccolto sono stupefacenti e davvero illuminanti per il futuro. Forse l’avevamo sospettato, ma è sufficiente che il controllo della Commissione sull’attuazione delle direttive consista in null’altro che mettere qualche segno di spunta alle apposite caselline? Sono lieta che ora si sia riconosciuto che non è sufficiente.

Spesso ci è stato detto – e per molti aspetti posso essere d’accordo – che l’ambiente di supervisione è già molto cambiato e cambierà ancor di più con la direttiva Solvency II. Tuttavia, abbiamo anche sentito che non è sicuro che tutti i supervisori siano immuni alle pressioni esercitate per intimorirli, un aspetto che ha costituito un problema in questo caso. Come ha detto il Commissario, la direttiva Solvency II non è un regime a fallimento zero, né è nelle intenzioni che lo sia.

Comunque, da questa indagine emerge chiaramente che consumatori e assicurati si aspettano che i loro investimenti siano sicuri e che vi siano chiare responsabilità quando qualcosa va male. Diversamente, una crescita delle adesioni ai piani pensionistici personali è un pio desiderio.

Quindi, qualunque sia il rischio di fallimento, questo significa che non possiamo eludere la questione della compensazione, e se da un lato forse non è giusto trasformare la direttiva Solvency II in un albero di Natale carico di innumerevoli fronzoli, è certamente necessario svolgere un lavoro parallelo sui meccanismi di compensazione.

Inoltre abbiamo il vergognoso occultamento di fatti a causa dei cambiamenti del regime di vigilanza del Regno Unito, passato dal DTI (Department for Trade and Industry) al Tesoro, alla FSA (Financial Services Authority), mentre ora abbiamo una cosiddetta FSA indipendente esente da responsabilità per negligenza. Guardando avanti, ciò ha implicazioni per le imprese supervisionate, nonché per gli assicurati, e richiede attenzione. Forse ancor di più per il fatto che i cambiamenti spingono altre strutture di vigilanza in altri paesi verso il modello FSA, e questo ci riporta a questioni più ampie relative alla compensazione.

Quindi, guardando al futuro, dobbiamo prendere molto sul serio, nella sua interpretazione più ampia, il punto 14 dei rimedi che afferma: “Dovrebbe sempre esistere una completa catena di responsabilità per la regolamentazione. La catena di responsabilità non dovrebbe essere mai interrotta, neanche in caso di riforma degli organi o delle procedure regolamentari”.

 
  
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  Seán Ó Neachtain, thar ceann an Ghrúpa UEN. – A Uachtaráin, ba mhaith liom ar dtús buíochas a ghabháil leis an tuairisceoir Diana Wallis as ucht an tuairisc seo a chur os ár gcomhair. Ar ndóigh, táimid ar fad anois ar an eolas faoi an 1.5 milliún duine as Ballstáit an Aontais Eorpaigh, 8 000 Éireannach ina measc, a chaill go leor airgid nuair a thit luach na bpinsean agus na gcláracha infheistíochta a bhí á reachtáil ag an gComhlacht Árachais, Equitable Life.

Maíonn an tuairisc go leor laigíochtaí rialaithe sa chomhlacht, laigíochtaí a thabharfadh le fios ag pointe i bhfad níos luaithe ná mar a tuigeadh go raibh fadhbanna airgeadais ollmhóra ag Equitable Life. Tagaimse leis an teoiric sin.

Maíonn an coiste go mba chóir go n-iompródh Rialtas na Breataine an caillteanas mór airgid a d’fhulaing go leor den phobal. Aontaím go láidir leis an moladh atá sa tuairisc, gur chóir do Rialtas na Breataine scéim chúitimh a chur i bhfeidhm dóibh siúd a chaill airgead mór tré chliseadh Equitable Life. Ba chóir go gcinnteofaí go bhfaigheadh Breatanaigh chomh maith le daoine ó thíortha taobh amuigh den Bhreatain, cúiteamh as a gcaillteanas.

Ba chóir go gcuirfeadh Ballstáit an AE agus an Coimisiún Eorpach córas rabhaidh i bhfeidhm, a thabharfadh fadhbanna maidir le rialú comhlachtaí airgeadais le fios go luath.

Mar fhocal scoir, ba chóir go nglacfadh agus go gcuirfeadh Rialtas na Breataine le aon mholtaí a dhéanfadh Ombudsman Pharlaiminteach an Ríocht Aontaithe, maidir leis na polasuithe a dhíol, a urraigh agus a riaraigh Comhlacht Árachais Equitable Life.

 
  
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  Heide Rühle, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, anch’io desidero esprimere un particolare ringraziamento alla relatrice, senza la quale il Parlamento non avrebbe una esauriente e precisa relazione sull’inchiesta relativa al caso Equitable Life di cui tenere conto e da cui trarre chiare e inequivocabili conclusioni. Questo documento dà una nuova speranza al milione e mezzo di assicurati nel Regno Unito e in altri Stati europei di ottenere una compensazione finanziaria per le perdite che hanno subito. La conclusione è senza possibilità di dubbio che il Regno Unito è stato negligente nel recepimento della direttiva comunitaria sulle assicurazioni, che si applica in casi come questo, ma la relazione prosegue criticando non solo le deficienze strutturali del sistema europeo di vigilanza e di regolamentazione, ma anche le insufficienti misure intraprese dalle autorità di supervisione tedesche per proteggere gli interessi dei loro cittadini che avevano stipulato polizze di assicurazione con la Equitable Life.

Gli investitori al di fuori del Regno Unito, in particolare, si sono trovati, nella ricerca di rimedi legali e nelle loro richieste di compensazione, presi in mezzo a un vero e proprio ping-pong tra le autorità dei rispettivi paesi, nessuna delle quali si considerava responsabile per la questione. Vi sono stati considerevoli problemi – e non solo nel Regno Unito – per quanto riguarda la vigilanza finanziaria e il quadro regolamentare, e ciò che è ancor più grave è che vi erano difetti indubbi nel sistema di supervisione e controllo finanziario, per non parlare di scandalosi problemi di comunicazione tra le autorità di vigilanza nazionali. Questo avrà ripercussioni in tutta Europa, poiché Equitable Life proponeva i suoi servizi anche in altri Stati membri dell’Unione ai sensi della Terza direttiva Vita, fondata sul principio del paese di origine, su cui noi Verdi abbiamo adottato una posizione critica. Tale principio prevede che la salute finanziaria di un’impresa e l’adeguatezza delle sue riserve dovrebbero essere controllate soltanto dalle autorità del paese in cui è situata la sede legale di quell’impresa.

Il caso Equitable Life costituisce un esempio da manuale di come, se si stipula una polizza con una compagnia di assicurazioni la cui sede legale è in un altro Stato membro europeo, possono emergere scappatoie in relazione alle salvaguardie legali e alla supervisione finanziaria. Non è accettabile che i consumatori debbano subire un’incertezza giuridica di questo tipo in un’area sensibile come il mercato transfrontaliero dei servizi finanziari, che è in continua crescita, perciò sono lieta che la commissione d’inchiesta chieda in modo specifico che dal lavoro attualmente in corso emerga una legge, nell’ambito del progetto Solvency II, sui futuri requisiti in termini di capitale proprio per gli assicuratori.

La commissione d’inchiesta chiede altresì alla Commissione di presentare entro la fine dell’anno la proposta legislativa pianificata sull’introduzione di fondi di garanzia assicurativa al fine di imporre requisiti vincolanti a livello europeo riguardo ai servizi finanziari, la creazione di riserve per le responsabilità e schemi di garanzia per clienti nazionali e stranieri.

 
  
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  Godfrey Bloom, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, nessuno esce da questa vicenda con onore, vero? Ma ovviamente abbiamo a che fare ancora una volta con l’abbandono del concetto del caveat emptor. Come economista finanziario, sapevo che Equitable Life era instabile a metà degli anni ’90, ma la compagnia introdusse sul mercato i suoi piani diretti al pubblico con lo slogan “non ci sono intermediari”. Ebbene, gli intermediari erano i professionisti, ma è venuta ancora una volta alla ribalta la cultura di ottenere senza offrire nulla in cambio.

Che dire dell’argomento tabù, la National Provident Institution? Stesso genere di problema, ma non avevano lo stesso numero di avvocati e di politici a compensare la loro banca cliente. Quindi stiamo parlando di una politica di regolamentazione comune come la politica agricola comune o la politica comune della pesca? Perché non adottano i nostri sistemi di revisione e di contabilità? Dio ci aiuti! Il denaro dei contribuenti per gli investimenti falliti? Ci stiamo mettendo su una brutta china, onorevoli colleghi. Le azioni della Marconi? Fondi pensione istituzionali? Dove andrà a finire? Qualche volta gli investimenti vanno male, è la vita. E’ triste, ma dobbiamo accettarlo.

 
  
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  Ashley Mote, a nome del gruppo ITS. – (EN) Signor Presidente, questa relazione afferma che il governo britannico dovrebbe istituire un fondo di compensazione a favore delle vittime. Secondo un articolo pubblicato su Scotland on Sunday, questa asserzione significa che vi sarà una piena compensazione: magari!

Durante tutte le indagini condotte dalla commissione, non abbiamo visto praticamente alcun indizio di politica di partito. E’ stata una ricerca mirata ai fatti, nonostante il rifiuto dei testimoni chiave di affrontare le nostre domande. Ma poi, verso la fine, la politica di partito si è inevitabilmente fatta strada e questa relazione è una pallida ombra di ciò che avrebbe potuto essere. Manca di incisività e non è abbastanza efficace. L’Ombudsman parlamentare britannico ha rimandato intenzionalmente la sua relazione sull’argomento in modo da porsi in vantaggio rispetto alla nostra relazione, come la commissione era stata avvertita che sarebbe avvenuto. Invece di aiutare direttamente le vittime, la presente relazione sarà screditata e minata da una manovra ingannevole del governo britannico che ha paura di affrontare i suoi obblighi. Questa relazione avrebbe dovuto insistere categoricamente sulla piena compensazione per tutte le vittime, indipendentemente dal loro status. Avrebbe dovuto chiedere al governo britannico di rimborsarle per le difficoltà e i danni che hanno subito. Soprattutto, avrebbe dovuto chiedere che il governo britannico attuasse tale schema senza ambiguità e senza indugio. Tragicamente, non fa nulla di tutto questo.

Non molto è emerso dall’Unione europea a diretto beneficio dei comuni cittadini del Regno Unito, ma per una volta era un’opportunità per dimostrare che l’UE potrebbe essere di concreto aiuto alle persone. E’ noto che non sono affatto un sostenitore dell’appartenenza britannica a questa Istituzione, ma persino io ho pensato che questa fosse un’opportunità eccezionale per i federalisti per dimostrare il loro valore. Era un gol a porta vuota e l’hanno sbagliato.

Più di 30 anni fa, quando per vivere scrivevo sceneggiature, una grande compagnia di assicurazioni sulla vita – non questa – mi chiese di compilare il suo intero programma di formazione. Dopo ero così sconvolto che vendetti tutte le mie polizze di assicurazione sulla vita. Trent’anni dopo, sembra che non sia cambiato nulla.

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Signor Presidente, questa relazione e questa discussione sono più attinenti alle reali preoccupazioni di molti dei nostri elettori di tante discussioni che si tengono in questo Parlamento. Per molti le perdite subite in seguito al crollo di Equitable Life sono state assolutamente devastanti. I rendimenti promessi e i comodi pensionamenti anticipati svaniti da un giorno all’altro; a tutt’oggi restano gli assicurati i veri perdenti.

La relazione formula una serie di osservazioni pertinenti, ma in sé può fare ben poco per alleviare la situazione di chi ha perso i propri soldi. Forse ciò non sorprende, perché la commissione d’inchiesta non poteva obbligare i testimoni a comparire e non poteva fare altro che evidenziare le questioni e, nel migliore dei casi, forse aiutare altri in futuro. Soltanto il governo del Regno Unito, attraverso uno schema di compensazione, può recare un sollievo significativo agli assicurati, tra i quali vi sono molti cittadini del mio collegio elettorale.

Io non credo che la soluzione sia un maggiore controllo dell’Unione europea sui servizi finanziari né un’intromissione nel diritto nazionale. Sono necessari controlli massicci e la supervisione del settore con la massima protezione per gli investitori, e questo deve venire dalla legislazione nazionale e da una stretta vigilanza normativa.

Infine, confido che l’imminente relazione dell’Ombudsman parlamentare del Regno Unito affronterà le questioni e resisterà alle pressioni mirate a insabbiare lo scandalo Equitable Life.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LUIGI COCILOVO
Vicepresidente

 
  
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  Presidente. – Colgo l’occasione per rivolgere un saluto a una vasta delegazione di elettori di Salerno, che assistono ai nostri lavori su invito dell’onorevole Andria.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare la relatrice, onorevole Wallis, per il suo accurato lavoro su Equitable Life, tutti i membri della commissione, che hanno lavorato davvero bene insieme lasciando la politica fuori della porta – forse non sempre, ma per la maggior parte del tempo – e in particolare il Segretariato, qui presente con noi oggi, per la sua diligenza.

Ho assunto la presidenza di questa commissione 18 mesi fa. E’ stato un grande onore svolgere questo lavoro e penso che ascoltando si impari molto. Sono lieta che il Commissario questa mattina abbia detto che stiamo imparando dai nostri errori. Apprezzo anche che abbia affermato di non contestare i risultati di questa relazione, e accolgo con favore i suoi piani per il futuro in termini di migliore regolamentazione e applicazione del diritto comunitario.

Tuttavia, saranno oltre un milione le persone che verranno a conoscenza di questa discussione e che ne saranno direttamente interessate. L’unica cosa da dire è che questa discussione e il nostro lavoro hanno avvicinato ai cittadini il lavoro dell’Unione europea, perché abbiamo qui tra noi due dei primi ricorrenti – Paul Braithwaite e Tom Lake – che si sono rivolti alla commissione d’inchiesta. Benvenuti. Sono stati molto perseveranti. Mi chiedo a che punto saremmo se non avessero agito in tal senso. Ritengo che saremmo ancora alle prese con timbri e caselle da spuntare e nulla sarebbe cambiato. Perciò, se anche non avremo successo con la compensazione – sebbene, ribadisco, faremo tutto il possibile – essi hanno reso un grande servizio non solo per il loro caso, ma anche per quanto riguarda la normativa generale dei servizi finanziari.

Quali sono le nostre conclusioni dopo 18 mesi di lavoro? Ebbene, che il Regno Unito ha attuato in modo scorretto la Terza direttiva Vita. Sì, spuntava le caselline, ma l’applicazione nel quotidiano era manchevole e inadeguata. Ha fallito su tutta una serie di punti, tra cui la mancata contestazione del duplice ruolo dell’attuario incaricato, concentrandosi in modo troppo ristretto sui margini di solvibilità e altri problemi molto importanti. L’intera politica di regolamentazione “della mano leggera”, la sproporzionata deferenza nei confronti della dirigenza della Equitable Life – tutto questo indicava una mancanza di controllo e di regolamentazione.

Troppo spesso abbiamo scoperto che le autorità degli Stati home e host sono riuscite a scaricarsi reciprocamente la responsabilità, lasciando in un vuoto gli assicurati al di fuori del Regno Unito. Per esempio, l’inchiesta ha concluso che gli organi di regolamentazione sia irlandesi che tedeschi hanno perseguito un ingiustificabile approccio passivo rispetto a Equitable Life. Come deputata irlandese trovo particolarmente deplorevole che nessuna autorità irlandese si assuma la responsabilità per le azioni inadeguate intraprese dall’organo di regolamentazione irlandese in relazione alla Equitable Life prima del 2003.

Riguardo poi ai meccanismi di compensazione, quando le cose andarono male, abbiamo scoperto un sistema improntato alla confusione e a una grande disparità di trattamento, come già osservato dai miei colleghi.

Passo quindi alle nostre raccomandazioni. Non abbiamo mai illuso i ricorrenti e coloro che si sono rivolti alla commissione e hanno seguito il nostro lavoro. Non abbiamo mai promesso una compensazione, ma siamo fortemente convinti che il governo del Regno Unito abbia l’obbligo di assumersi la responsabilità per questo caso e raccomandiamo che offra un compenso agli assicurati di Equitable Life all’interno del Regno Unito, in Irlanda, in Germania e altrove. Inoltre, il Regno Unito deve accettare e attuare le raccomandazioni eventualmente inserite dall’Ombudsman parlamentare britannico nella sua seconda relazione su Equitable Life, che è attesa con grande interesse.

Dobbiamo essere più rigorosi su molte questioni riguardanti la regolamentazione. Tuttavia, c’è una domanda che dobbiamo porci in seguito a questa sconfitta: se la dimensione transfrontaliera di protezione del consumatore non è presa adeguatamente in considerazione, possiamo biasimare i consumatori europei per il fatto di non avvalersi in maggiore misura della possibilità di fare acquisti in altri Stati membri? Riguardo alla domanda posta alla relatrice da un giornalista, se compreremmo questi prodotti transfrontalieri, la risposta non è ancora particolarmente chiara.

Abbiamo le raccomandazioni, e abbiamo questa notevole relazione di circa 400 pagine; il Commissario deve tenerne conto e apprezzarlo. Vorrei chiedere all’Assemblea di dare pieno sostegno a questa relazione e alle raccomandazioni e vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  Peter Skinner (PSE).(EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare la relatrice e i colleghi della commissione che hanno lavorato così assiduamente su questo caso, nonché i ricorrenti qui intervenuti.

Io sono il relatore nominato per il Parlamento sulla direttiva Solvency II. Alcuni di questi punti, in particolare sulla supervisione home/host, non andranno perduti dopo questa discussione. Di fatto, come sicuramente sanno in molti, questo è uno degli aspetti che stiamo portando avanti. Sono anche stati apportati cambiamenti considerevoli alle leggi e all’apparato di supervisione finanziaria durante il periodo della crisi di Equitable Life. L’impresa oggi esiste ancora. Non è stato un fallimento come è stato detto in primo luogo nella relazione, ma soltanto una crisi – certo una crisi davvero grave, che ha colpito un milione di persone.

Ma, come tutti sanno, il processo è ancora in corso, il che naturalmente significa che i ricorrenti inglesi, irlandesi e tedeschi potranno avvalersi della relazione dell’Ombudsman – come ha già detto qualcuno – nei prossimi mesi di quest’anno. Spero che la questione della compensazione e altri punti saranno risolti in tale sede, come dev’essere.

Purtroppo questa relazione contiene alcuni errori e non è certo con piacere che devo metterli in evidenza. In primo luogo, il governo britannico non ha accolto, se non raramente, le motivazioni relative all’opportunità di comparire dinanzi alla commissione. I ministri hanno presenziato alle riunioni quando hanno detto di poterlo fare e non, come lascia intendere la relazione, forse evitandole. Io ero presente. Ho incontrato i ministri britannici come tutti gli altri. Essi hanno persino prodotto la corrispondenza mancante che non era stata fornita dagli altri governi, cosa di cui francamente, a mio parere, si sarebbe dovuto tenere conto. In terzo luogo, non sono affatto d’accordo che l’attuazione di questa particolare direttiva sia stata fallimentare, come si può constatare esaminando l’intero processo. Se davvero lo fosse stata, magari l’onorevole Atkins potrebbe spiegarci come è avvenuto di fatto tale fallimento, che ha avuto luogo quando lui era al governo.

Temo che questa relazione sia debole dove dovrebbe essere forte e potrebbe conseguire risultati, mentre è forte dove non può conseguire risultati. Per esempio nell’area della supervisione, dove potrebbe fare qualcosa e dove farà qualcosa. Come relatore su Solvency II, prometto che ci attiveremo riguardo al coordinamento della vigilanza home/host in tutti gli Stati membri, in modo che le vittime non siano mai più mandate da Erode a Pilato dagli organi di regolamentazione. Conto sull’aiuto del Commissario in relazione a questo aspetto.

 
  
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  Marcin Libicki (UEN).(PL) Signor Presidente, certamente plaudo al lavoro della commissione d’inchiesta e dell’onorevole Diane Wallis. Come sempre, porgo il benvenuto ai ricorrenti qui presenti oggi, oltre che ai signori Braithwaite e Lake. E’ un piacere avervi qui.

Vorrei dire che il lavoro di oggi è merito degli sforzi riusciti sia della commissione d’inchiesta sia, in misura significativa, della commissione per le petizioni, dove questo lavoro è cominciato. La commissione d’inchiesta è stata istituita come risultato di una relazione elaborata dalla commissione per le petizioni. Scopo di quest’ultima è proprio assistere i cittadini comuni. Vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che c’è stata tutta una serie di casi che hanno coinvolto centinaia di migliaia, o persino milioni di vittime. C’è stato il caso dell’accisa sugli autoveicoli in Polonia e il caso dei Lloyds, che era simile a quello oggi in discussione. Ricordo anche il caso del riferimento a Dio nel preambolo del Trattato costituzionale. C’è stata la questione dell’emittente radiofonica COPE, casi riguardanti irregolarità nelle leggi catastali a Valencia e il caso di oggi che coinvolge Equitable Life.

Milioni di persone si rivolgono alla commissione per le petizioni. I loro casi sono risolti con successo in questa sede o almeno ottengono una visibilità pubblica.

 
  
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  Jean-Paul Gauzès (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto desidero esprimere il mio appoggio all’eccellente relazione elaborata dall’onorevole Diana Wallis, sotto la ferma autorità dell’onorevole McGuinness.

Le indagini della commissione d’inchiesta sulla crisi della compagnia d’assicurazioni Equitable Life hanno messo in luce le conseguenze dannose di un’attuazione lacunosa della legislazione europea, essa stessa insufficientemente precisa. Gli assicurati devono quindi essere compensati per i danni subiti e gli ostacoli procedurali al loro indennizzo devono essere rimossi.

Approvo quindi le conclusioni della relazione, secondo cui il governo britannico è tenuto ad assumersi le sue responsabilità e a creare un sistema adeguato per indennizzare gli assicurati di Equitable Life nel Regno Unito e all’estero.

Questa triste vicenda deve indurci a migliorare la legislazione in materia di assicurazioni affinché il consumatore continui ad avere fiducia nei prodotti assicurativi e, più in generale, nei servizi finanziari. Il nostro Parlamento potrà svolgere il suo ruolo nella protezione degli investitori durante le discussioni su Solvency II. Questa direttiva, che tratterà le regole prudenziali applicabili al settore delle assicurazioni, deve, a questo scopo, prevedere sistemi di allerta precoce per le autorità di regolamentazione nazionali e per l’organo europeo di regolamentazione in materia di assicurazioni.

In questo tipo di direttiva, il Parlamento, il Consiglio e la Commissione devono, come raccomanda la relazione, utilizzare il meno possibile o, se possibile, astenersi dall’utilizzare le opzioni di eccezione o di deroga. Da parte loro, gli Stati membri devono evitare di imporre requisiti nazionali supplementari al momento del recepimento del diritto comunitario ed evitare così un’eccessiva regolamentazione.

Il recepimento delle direttive, nel settore delle assicurazioni come negli altri settori, deve essere meglio controllato. A tal fine è necessario che la Commissione sia proattiva in materia di controllo della qualità e dell’efficacia della legislazione recepita. Inoltre, una più stretta collaborazione tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sarebbe, a questo riguardo, un reale fattore di progresso.

 
  
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  Harald Ettl (PSE).(DE) Signor Presidente, si può anche discutere molto più a lungo dell’utilità di questo genere di relazione o di questo genere di commissione d’inchiesta, ma qualunque cosa emerga da simili discussioni non aiuterà a risarcire le perdite subite dai consumatori, e inoltre tenderà troppo a dare l’impressione che, come conseguenza della relazione, si possa chiedere alla Commissione e al governo responsabile di pagare il conto. Possiamo imparare una serie di lezioni da tutto questo su come si potrebbe operare meglio se esistessero una migliore regolamentazione e un maggiore controllo.

La stessa compagnia di assicurazioni – che di fatto è l’unica causa del danno e le cui pratiche commerciali erano caratterizzate in modo predominante da confusione e scarsa trasparenza – è un soggetto di cui si tratta quasi solo marginalmente. Il Commissario McCreevy è arrivato ciononostante a dire alla commissione che qui si parla di economia di libero mercato e se la conseguenza di tale approccio è che i cittadini pensano di poter affidare le risorse per la vecchiaia a un mercato incontrollabile come quello, allora il nostro senso di responsabilità politica comune è davvero ridotto male e lo dico riferendomi in egual misura al legislatore, alla mancata attuazione di controlli da parte della Commissione e al recepimento inadeguato dei regolamenti da parte del governo in oggetto. Se questa relazione ha una qualche utilità, è che, insieme a Consiglio e Commissione, dobbiamo varare leggi di accompagnamento e di vigilanza – e lo dico come responsabile per Solvency I – che consentano ai consumatori di pianificare gli ultimi anni della loro vita con maggiore fiducia e sicurezza.

E’ soprattutto per questa ragione che voto a favore di una relazione che invierà un segnale, convinto come sono che renderà anche i cosiddetti liberoscambisti più disposti a imparare dall’Europa nel suo insieme e che dobbiamo quindi intraprendere le azioni necessarie.

 
  
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  Tadeusz Zwiefka (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, la relazione e le raccomandazioni che stiamo discutendo oggi riguardano il problema molto specifico della crisi affrontata da Equitable Life. E in questa specifica questione non c’è alcun dubbio che il governo britannico non ha adempiuto i requisiti della terza direttiva relativa all’assicurazione sulla vita, né ha garantito gli adeguati mezzi di ricorso giudiziali. Di conseguenza, la commissione d’inchiesta giudica colpevole in questo caso il governo britannico.

Tuttavia, dobbiamo ricordare che la crisi di Equitable Life ha colpito un’impresa forte, estremamente rispettata. Questa crisi poteva, quindi, colpire qualsiasi altra impresa, non necessariamente nel settore assicurativo, praticamente in qualsiasi Stato membro. L’attuale valutazione della Commissione europea della capacità degli Stati membri di attuare e applicare la legislazione dell’Unione europea è quindi, a mio parere, insufficiente.

Sono pienamente d’accordo con le conclusioni della commissione d’inchiesta, vale a dire che la Commissione europea dovrebbe prestare maggiore attenzione alla qualità delle disposizioni giuridiche a livello dell’Unione europea e degli Stati membri. Un approccio formalista e statistico al controllo del recepimento del diritto comunitario è già seriamente inadeguato. Le raccomandazioni della Commissione europea agli Stati membri sono basate sul presupposto che la legislazione dell’Unione europea sarà attuata efficacemente quando sarà disponibile personale numericamente sufficiente e adeguatamente qualificato e quando saranno state assegnate le risorse appropriate per questo scopo.

Non condivido completamente questo punto di vista. Il numero dei membri del personale e la quantità di risorse a nostra disposizione non costituiscono un parametro esauriente. Dobbiamo essere determinati e impegnarci attivamente nell’attuazione della legislazione dell’Unione europea. Queste azioni saranno credibili soltanto se i paesi delegheranno l’attuazione della legislazione dell’Unione a istituzioni autorizzate, competenti e responsabili la cui efficacia sarà sottoposta a valutazione. Per la corretta gestione delle sfide che si trovano a dover affrontare gli Stati membri occorrono tre fattori: conoscenza, competenza e prontezza.

Il primo fattore, la conoscenza, non costituisce un problema oggi. Il secondo fattore, la capacità di attuare l’acquis comunitario, è basato sullo stanziamento di risorse appropriate allo scopo e sull’assunzione di personale adeguato. Questo è l’aspetto che attualmente sottolinea in particolare la Commissione. Tuttavia, il terzo fattore, la sollecitudine, è il più importante.

 
  
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  Joel Hasse Ferreira (PSE).(PT) La relazione Wallis sulla crisi della compagnia d’assicurazioni Equitable Life rappresenta un’opportunità per chiarire l’argomento, per imprimere nuovo slancio al processo di adozione della legislazione e della raccomandazione e per introdurre maggiore chiarezza nel settore assicurativo nell’Unione europea. Abbiamo quindi una serie di raccomandazioni molto interessanti che meritano un’attenta analisi da parte delle altre Istituzioni politiche europee e dei governi degli Stati membri. A tale proposito cito dal testo originale:

(EN) “La commissione richiede che la normativa sui servizi finanziari preveda dei sistemi di allerta precoce in grado di segnalare efficacemente eventuali problemi derivanti dalla vigilanza o regolamentazione di società di servizi finanziari, in particolare nel caso di operazioni finanziarie transfrontaliere”.

(PT) Il testo così prosegue:

(EN) “La commissione raccomanda vivamente di proseguire nella messa a punto di meccanismi più sofisticati in grado di garantire una cooperazione esemplare tra le autorità nazionali di regolamentazione”.

(PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questa relazione e nel dibattito emerge una serie di difficoltà. Ai cittadini, ai consumatori e agli assicurati occorre dare speranze realistiche piuttosto che eccessive o infondate, e non mi sembra che la posizione nei confronti del governo britannico sia stata sufficientemente ponderata. Di fatto, la trovo estremamente pericolosa. Nutro quindi una serie di riserve riguardo a questa relazione quando, per esempio, afferma:

(EN) “La commissione considera che sia un obbligo per l’amministrazione britannica assumersi la responsabilità delle sue carenze e risarcire i cittadini danneggiati”.

(PT) Onorevoli colleghi, questo non mi impedisce di riconoscere l’enorme mole di lavoro svolto durante l’intero dibattito su questo tema né di pensare che dobbiamo, da un lato, perseguire l’obiettivo di una normativa europea più chiara e approfondita nel campo delle assicurazioni e, dall’altro, codificare alcune regole sull’intervento del Parlamento europeo attraverso commissioni d’inchiesta.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sono state portate alla luce omissioni, è stata documentata la negligenza dei dirigenti dell’impresa, sono state scoperte molte scappatoie, sono state tratte ed espresse 70 conclusioni e raccomandazioni, tutto ad opera di un’unica commissione d’inchiesta, attraverso la quale il Parlamento europeo ha assolto il proprio compito. Malgrado ciò, la relazione non risolve lo scandalo né vi pone fine; piuttosto, è sulla sua base che occorre adottare misure a tutti i livelli politici ed economici toccati da questo caso.

Il Regno Unito non ha recepito in modo adeguato la terza direttiva relativa all’assicurazione sulla vita, e la Commissione non ha controllato adeguatamente il recepimento. In molti Stati membri le autorità di vigilanza non hanno svolto la loro funzione come avrebbero dovuto, la dirigenza dell’impresa ha abusato della fiducia delle persone che avevano stipulato polizze con la compagnia, ha mentito e agito con negligenza; inoltre non sono stati eseguiti controlli. Abbiamo scoperto abbastanza. Dovremmo comunque chiarire che il diritto europeo non è la causa del problema. La causa è la sua attuazione insufficiente e l’assenza di controllo politico.

Benché io sia del tutto favorevole all’economia di mercato, signor Commissario, non si deve utilizzare il mercato libero come pretesto. Nella nuova Costituzione abbiamo volutamente sostituito il mercato libero con l’economia sociale di mercato. Abbiamo la responsabilità di creare le necessarie condizioni quadro e di esercitare un controllo, con più mercato possibile, ma con tutto il controllo statale necessario, e questa sorta di tensione significa che questa relazione deve essere considerata un mezzo per trarre le necessarie conclusioni politiche ed economiche per quanto riguarda l’erogazione di pensioni professionali, pensioni, garanzie e quindi anche la questione di cosa viene realizzato con la fiducia dei cittadini nelle misure politiche ed economiche.

 
  
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  Pervenche Berès (PSE).(FR) Signor Presidente, tutti qui ci preoccupiamo di elaborare una legislazione di qualità e di garantirne un adeguato recepimento. A tale riguardo, questo è un caso da manuale. Ovviamente, il recepimento non era all’altezza della qualità della legislazione. Dobbiamo migliorare questa situazione.

In secondo luogo, constato che nel Regno Unito sono già state tratte le conclusioni di tale situazione, poiché alcuni organi di supervisione sono stati modificati in seguito a questa vicenda. Senza dubbio dobbiamo andare ancora più lontano.

In terzo luogo, occorre compiere progressi in Europa riguardo alle attività transfrontaliere. Non faremo passi avanti in questo campo senza una riflessione su cosa intendiamo esattamente con il controllo di quanti propongono prodotti finanziari in diversi Stati membri dell’Unione europea.

In quarto luogo, dobbiamo migliorare la strategia di collocamento dei prodotti. Non si può vendere un qualsiasi prodotto finanziario a qualsiasi condizione. E non vi sarà un mercato integrato dei servizi finanziari senza un miglioramento del modo in cui i prodotti finanziari sono proposti ai clienti, altrimenti i casi di vendite scorrette o misselling si moltiplicheranno.

In quinto luogo, la commissione d’inchiesta chiede alla commissione per i problemi economici e monetari di dar seguito alle sue conclusioni. Senza neanche aspettare le conclusioni di questa commissione d’inchiesta, è indubbio che la questione dell’attuazione delle direttive, del miglioramento della solvibilità delle imprese finanziarie e della qualità della supervisione dei mercati finanziari è al centro delle nostre preoccupazioni quotidiane. Ciò detto, va da sé che questo caso da manuale non farà che aumentare la nostra determinazione in tal senso.

Infine, il mio ultimo punto è la questione del diritto di ricorso delle vittime. Naturalmente qui non si tratta di autorizzare l’avvio di un’azione collettiva. Perciò, se vogliamo essere seri, dobbiamo anche, nel quadro di una legislazione mirata alla protezione degli investitori e dei risparmiatori, migliorare la legislazione europea definendo i rimedi a disposizione delle vittime.

 
  
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  Marco Pannella (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei solo ricordare alla presidenza del Parlamento la necessità di elevare una voce per rivendicare i meriti di questo Parlamento unanime per quanto riguarda un evento che ieri è finalmente accaduto, in sintonia con l’Europa che amiamo tutti, quella di Spinelli e di altri.

Noi sappiamo che il Parlamento unanime ha lottato per l’abolizione della pena di morte. Ieri, grazie a questo Parlamento unanime, oltre che al parlamento italiano, i 27 Stati membri hanno stabilito all’unanimità che siamo contrari alla pena di morte.

 
  
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  Presidente. – L’intervento non ha riguardato esattamente un richiamo al regolamento. Tuttavia, non mancheremo di segnalare la questione all’Ufficio di presidenza.

 
  
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  Neil Parish (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, desidero in primo luogo ringraziare l’onorevole McGuinness per la grande competenza con cui ha presieduto la commissione e per come è riuscita in larga misura a tenere la politica fuori del dibattito. Ringrazio anche l’onorevole Wallis per tutto il lavoro che ha dedicato come relatrice a un caso molto complesso. Naturalmente, qui si tratta di persone reali che hanno perso soldi reali. Molti avevano accantonato questo denaro per il pensionamento, per le famiglie, e hanno attraversato situazioni davvero difficili a causa di questa crisi. Rendo loro omaggio per avere portato la vicenda di cui sono stati vittime in questa sede.

Va anche ricordato, ovviamente, che la Equitable Life era un’impresa che esisteva da molto tempo, per cui la gente aveva grande fiducia in questo istituto finanziario. Persino la Camera dei Comuni a Westminster aveva sistemi pensionistici legati a Equitable Life, perciò come biasimare qualcuno per aver affidato il proprio denaro alle loro polizze? Dalle prove presentate alla commissione incaricata è indubbiamente emerso che le polizze with-profits erano offerte a un tasso troppo alto e l’impresa non poteva continuare a pagare tali somme. Alcuni attuari ci avevano riferito che di fatto l’impresa sarebbe diventata insolvente se avesse continuato a pagare ai clienti un tasso simile. Ma ovviamente si operavano avvicendamenti generali al momento giusto cosicché, quando subentravano, la nuova impresa e la nuova gestione non erano responsabili per quanto avvenuto prima.

In un mercato unico la gente si aspetta un risarcimento quando acquista polizze in Irlanda, in Germania o nel Regno Unito; è davvero importante se ad essere responsabile è l’Unione europea o lo Stato membro? Ciò che importa è che le persone che avevano quelle polizze siano indennizzate. Su questo mi unisco all’onorevole Robert Atkins e altri nel chiedere che il governo britannico consideri molto seriamente di risarcire gli assicurati che hanno realmente perso i loro soldi. Come ho detto, abbiamo rilevato senza alcun dubbio che la regolamentazione non è stata attuata correttamente.

Raccomando questa relazione al Parlamento.

 
  
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  Michael Cashman (PSE).(EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei correggere il mio collega, onorevole Robert Atkins, il quale ha affermato che la commissione d’inchiesta è stata istituita dietro suo invito. Quanti hanno lavorato nella commissione per le petizioni ricorderanno che è stato su mio invito, ma posso condividere con lui tale merito.

Il collega ha affermato, e devo correggerlo, che il governo britannico ha brillato per la sua assenza e così l’organo di regolamentazione. Ma lui dov’era quando ci siamo incontrati con il Segretario al Tesoro e l’organo di regolamentazione? Purtroppo, brillava per la sua assenza. Non abbiamo bisogno di lezioni dai governi conservatori precedenti, che di fatto si sono girati i pollici mentre le polizze pensionistiche dei cittadini andavano in fumo.

Accolgo con favore questa relazione, ma purtroppo non posso sostenerla pienamente. Ritengo che si spinga in aree dove non dovrebbe andare. Non riconosce correttamente le misure e le disposizioni che il governo laburista ha attuato dal 1997. La relazione si spinge in aree come il ruolo del relatore post-Parlamento, il ruolo del relatore a livello di Stati membri dell’UE, e non lo considero opportuno. Interviene nei parlamenti degli Stati membri sovrani e nei loro obblighi giuridici ai sensi del Trattato. Sì, dà utili suggerimenti in merito al mercato unico e alla responsabilità dello Stato host riguardo ai servizi finanziari, ma cambia la situazione delle vittime, due delle quali sono qui presenti oggi nella tribuna degli ospiti? Purtroppo, no. Sono vittime del misselling, ed è a causa della loro situazione che abbiamo istituito questa commissione temporanea d’inchiesta. Elogio anche il lavoro della presidente di tale commissione. Purtroppo, però, non sarà di alcun aiuto per le vittime. Contiene molte promesse e non offre alcuna garanzia.

Per questa ragione ho costantemente insistito affinché chiediamo che le parti coinvolte, compreso il governo del Regno Unito, aderiscano alle raccomandazioni che potranno venire dall’Ombudsman parlamentare britannico. Se vi sarà compensazione, siamo chiari: sarà il contribuente britannico a pagare il conto.

Il gruppo laburista non voterà contro questa relazione, ma si asterrà, per le ragioni che ho già delineato. Purtroppo, devo convenire con un precedente oratore sul fatto che la politica di partito si è introdotta comunque in questo caso e non sarà d’aiuto per le vittime della crisi di Equitable Life.

 
  
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  Rainer Wieland (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, gli italiani, come nazione, hanno prodotto molti artisti di talento, ma non considero opportuno che stimati deputati di questa Assemblea come l’onorevole Pannella vengano qui e trasformino il Parlamento in un circo sistemandosi nell’ultima fila, sollevando una mozione d’ordine e uscendosene poi con qualcosa di assolutamente non attinente alla questione in discussione. Tale comportamento dimostra una mancanza di rispetto per i colleghi e anche per le persone che stanno seguendo il dibattito. Potrei aggiungere, signor Presidente, che secondo me ha sbagliato a non intervenire prima.

Passando alla questione in oggetto, questo punto è sotto molti aspetti un esercizio di apprendimento. Noi parlamentari siamo entrati in una nuova dimensione. Abbiamo ricevuto petizioni e ora stiamo per pubblicare i risultati di una commissione d’inchiesta. Vorrei rivolgere una sentita richiesta all’onorevole Wallis e all’onorevole McGuinness, in particolare poiché stiamo già ricevendo le prime lettere in cui si afferma che, se non accadrà nulla in seguito a questa relazione parlamentare, perderemo la speranza nell’Europa e in questo Parlamento. Vorrei chiedere all’onorevole Wallis e all’onorevole McGuinness di considerare la possibilità di apporre una prefazione a questa relazione, che sarà pubblicata, con una breve sintesi di ciò che il Parlamento può e non può fare. Come sapete, non siamo la più potente delle istituzioni, e questo deve essere spiegato in un linguaggio semplice, con l’aiuto di diagrammi.

Non è vero che il Regno Unito è privo di misure di compensazione o di uno schema di compensazione. Più rilevante è il fatto che il Regno Unito ha una norma diversa riguardo alla responsabilità. Nel Regno Unito si è ritenuti responsabili per le intenzioni, ma non per negligenza, cattiva amministrazione o altre manchevolezze per le quali si è certamente responsabili in altri Stati membri. Questo è il nodo della questione. Nell’Unione europea dovremo trovare una via d’uscita dalle vecchie posizioni trincerate del principio del paese di origine e del paese di destinazione, perché nessun estremo è appropriato e non siamo ancora riusciti a identificare un sistema che sia una via di mezzo tra i due. Ecco perché si verificano tutte queste irregolarità. Dobbiamo cercare di definire un nuovo sistema, in particolare per aree complesse come i servizi finanziari, altrimenti continueremo a fallire.

Mi auguro che, quando il governo britannico troverà un modo per compensare le vittime, saranno risarcite tutte le vittime di ogni parte d’Europa, perché il contribuente britannico ha beneficiato in passato del successo della Equitable Life, successo dovuto anche alla sua presenza sul mercato interno. E’ stata questa presenza sul mercato interno che ha determinato le perdite subite dai cittadini in altri Stati membri.

 
  
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  John Purvis (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, molti investitori, tra cui pensionati, hanno subito perdite nel mercato al ribasso tra il 2000 e il 2003. La differenza nel caso della Equitable Life è stata la negligenza. La funzione attuariale è stata neutralizzata e il modello seguito nella condotta imprenditoriale era simile a una bicicletta barcollante: finché continuavano a vendere si tenevano in piedi. Ma quando la musica è finita, che è successo? Era una macchina di vendita che incassava grazie a secoli di rispettabilità, ma di fatto era un castello di carte costruito su sabbie mobili, e la direzione di Equitable Life e l’organo di regolamentazione lo sapevano.

Quindi come ha fatto la Equitable Life a farla franca? Operava ai sensi di una direttiva dell’Unione europea che si pensava fosse controllata dall’organo di regolamentazione responsabile del Regno Unito. L’organo di regolamentazione sapeva che le fondamenta della Equitable Life erano malferme, ma sperava contro ogni speranza che tutto si sarebbe sistemato col tempo, oppure che un cavaliere senza macchia e senza paura in una splendente armatura avrebbe acquisito la società. Perciò l’autorizzazione delle vendite è proseguita ben oltre il momento in cui avrebbe dovuto essere fermata.

Perché hanno autorizzato una struttura di gestione in cui l’attuario incaricato era anche l’amministratore delegato? Perché l’organo di regolamentazione nazionale responsabile ha permesso alla Equitable Life di continuare a vendere nel Regno Unito e in altri Stati membri quando era del tutto consapevole delle condizioni in cui versava l’impresa?

Questa non è solo una triste storia; è una storia di negligenza. E’ inammissibile che gli Stati membri esonerino i loro organi di regolamentazione dalla negligenza se il sistema di regolamentazione del paese di origine e dei paesi home/host deve funzionare nel mercato unico europeo per i servizi finanziari.

Signor Commissario, lei deve insistere in futuro, in particolare in Solvency II, affinché gli Stati membri e i loro organi di regolamentazione siano pienamente responsabili per negligenza. Non si può permettere agli Stati membri di esonerarli da questa responsabilità.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, credo che la discussione di questa mattina abbia mostrato che il corretto recepimento e il controllo efficace dell’attuazione del diritto comunitario sono essenziali per il corretto funzionamento del mercato interno. Personalmente sono soddisfatto che la commissione d’inchiesta sia andata oltre lo specifico del caso Equitable Life e abbia esaminato in senso più ampio come sono effettuati più in generale i controlli sul recepimento e sull’attuazione. Le raccomandazioni, basate sull’esperienza della vita reale, sono importanti per assicurarsi che nell’Unione europea a 27 manteniamo una visione di ciò che sta accadendo in realtà, sul terreno.

Il vostro lavoro è vitale per la nostra costante opera relativa all’applicazione del diritto comunitario e i suggerimenti che presentate dovrebbero essere ripresi nella nostra imminente comunicazione. Il vostro lavoro è anche cruciale per le numerose vittime che hanno visto volatilizzarsi i loro risparmi. Chiaramente, la compensazione diretta è una questione che riguarda le autorità e i giudici del Regno Unito. La relazione dell’Ombudsman parlamentare del Regno Unito, attesa prossimamente quest’anno, affronterà questo problema.

La Commissione non può decidere su questo aspetto, ma ciò che è vitale per noi e per il mercato interno e la fiducia dei consumatori, è che gli assicurati siano trattati in maniera paritaria, indipendentemente dallo Stato membro di residenza. La Commissione prende nota anche delle raccomandazioni più ampie sulla compensazione; si stanno studiando quelle che chiedono una risposta a livello europeo. Un buon recepimento comincia con una buona legislazione, ma discutibili compromessi con testi in cui ognuno può leggere ciò che vuole sono terreno fertile per un’attuazione difettosa. Si tratta di una responsabilità congiunta: tutte le Istituzioni ne sono responsabili.

In conclusione, mi congratulo con la commissione d’inchiesta e con la relatrice, onorevole Wallis, per l’ottimo lavoro. Tutte le parti sono state ascoltate equamente. Abbiamo imparato importanti lezioni e ne faremo tesoro per il futuro.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi.

 

6. Quadro regolamentare per misure di conciliazione della vita familiare e degli studi per le giovani donne nell’Unione europea (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione di Marie Panayotopoulos-Cassiotou, a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, su un quadro regolamentare per misure di conciliazione della vita familiare e degli studi per le giovani donne nell’Unione europea [2007/2276(INI)] (A6-0209/2007).

 
  
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  Μarie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE), relatore. – (EL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il futuro dell’economia europea e lo sviluppo della competitività e della facilità di lavorare nell’Unione europea dipenderà in larga misura dal livello di istruzione e di formazione dei cittadini, specialmente dei giovani, in modo che possano contribuire allo sviluppo economico e alla coesione sociale in Europa.

Gli sforzi compiuti a livello sia europeo che nazionale sono stati fruttuosi. Nell’Europa a 25, nel 2004, la maggioranza dei giovani di età compresa tra i 20 e i 24 anni seguiva corsi di istruzione superiore. Tuttavia, il prolungamento della durata degli studi e le possibilità di formazione, riqualificazione, formazione permanente, apprendimento lungo l’intero arco della vita e così via fanno sì che i giovani posticipino la loro vita personale e privata, la costituzione di una famiglia o il perseguimento dei loro desideri perché, come conclude il Libro Verde sul cambiamento demografico, i desideri dei cittadini europei di creare una famiglia e avere figli non sono compatibili con la realtà quotidiana. Avere figli a un’età avanzata comporta anche problemi di salute, implicando costi per la sanità pubblica e ostacolando lo sviluppo demografico dell’Europa. Perciò, per creare una società favorevole alla famiglia – come stabilito anche nel Patto europeo per la gioventù – occorre conciliare la vita privata e familiare con il lavoro e col periodo degli studi, che, come possiamo vedere, è molto lungo.

La relazione presentata oggi per la votazione cerca di evidenziare l’approccio necessario per la formulazione di politiche a sostegno dei giovani. Faciliterà loro, da un lato, la programmazione dei piani d’istruzione e, dall’altro, l’adempimento degli impegni di famiglia per allevare i figli o sostenere persone anziane nel loro ambiente familiare, perché, come sappiamo, tra qualche decennio due terzi degli europei saranno costituiti da persone anziane.

Molti studenti stanno già vivendo questo tipo di vita che combina studi e famiglia. Tuttavia, la percentuale differisce da uno Stato a un altro, dal 41 per cento in Svezia, al 12 per cento in Grecia, al 10 per cento in Austria e in Lettonia. Vi sono quindi differenze enormi tra gli Stati membri e questo ostacola la mobilità e l’accesso all’istruzione.

Scopo della nostra relazione, tutt’altro che mirata a sottrarre alcunché alla sussidiarietà, è quindi riconoscere e soddisfare le necessità familiari e sociali dei giovani uomini e delle giovani donne che assumono le responsabilità della famiglia in parallelo ai loro studi e alla loro formazione. Gli Stati membri hanno la responsabilità di concedere una speciale assistenza sociale ai giovani che vogliono creare una famiglia a prescindere che esercitino o meno un’attività professionale o dal reddito dei loro genitori.

Gli aiuti alle famiglie possono anche assumere la forma di prestiti, soluzioni abitative a basso costo, servizi adeguati di asili nido nelle università, copertura sociale e sanitaria, maggiore flessibilità durante gli studi, una consapevolezza da parte del corpo insegnante delle particolari necessità dei genitori-studenti o degli studenti con impegni familiari e l’uso di nuove tecnologie per rendere la loro vita più facile. Occorrono anche politiche più forti in materia di parità, al fine di comprendere che l’impegno non deve ricadere interamente sulle donne durante il loro periodo di studi.

Sono particolarmente soddisfatta che la comunicazione della Commissione riconosca la necessità di combinare studi, formazione e vita familiare. Spero che la mia relazione ispirerà future proposte per l’adozione di misure a favore della famiglia e dei giovani e una soluzione lungimirante al problema demografico.

Desidero ringraziare i colleghi per gli emendamenti che hanno migliorato la relazione; tuttavia, non sostengo gli emendamenti che ne limitano il contenuto o aggiungono elementi non correlati all’argomento. Spero quindi che la mia relazione riceverà il vostro sostegno.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, per questa relazione sostituisco il collega Commissario Špidla, che è in ritardo a causa di difficoltà di viaggio.

Innanzi tutto mi congratulo con l’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou per la qualità della sua relazione e per i suggerimenti molto pertinenti in essa contenuti. La Commissione accoglie in larga misura con favore la proposta di risoluzione del Parlamento europeo per misure di conciliazione della vita familiare e degli studi per le giovani donne nell’Unione europea.

Benché l’istruzione e le politiche della famiglia siano questioni afferenti alle autorità nazionali, è importante, in ogni contesto, incoraggiare la conciliazione della vita familiare e dei periodi di studio. Ai Consigli europei di Stoccolma e di Barcellona, i capi di Stato e di governo hanno riconosciuto che il futuro dell’economia e della società europea dipenderà dai suoi cittadini e, in particolare, dalle generazioni più giovani e dai loro livelli di formazione. Istruzione e formazione sono quindi state collocate al centro del processo di Lisbona.

Queste politiche sono decisive per realizzare una vera società europea basata sulla conoscenza. Per ragioni economiche e per motivi di equità e parità di opportunità, è quindi importante assicurare che i giovani e le giovani con responsabilità familiari abbiano l’opportunità di intraprendere e completare gli studi.

La Commissione è lieta che la proposta di risoluzione si concentri non solo sugli studenti con responsabilità nei confronti dei figli, ma anche su quelli con responsabilità nei confronti di adulti dipendenti o persone disabili. Del pari, accoglie altresì con soddisfazione le raccomandazioni riguardanti strutture di custodia dei bambini, i ruoli dei padri e una migliore divisione dei lavori domestici e delle responsabilità familiari come fattore significativo in termini di pari opportunità tra uomini e donne. Questo approccio è in linea con la politica della Commissione nel campo della conciliazione tra vita privata e vita lavorativa.

La Commissione trae anche incoraggiamento dall’accento posto sulla parità tra uomini e donne. Conciliare la vita privata e la vita lavorativa è una delle sei priorità della tabella di marcia per la parità tra uomini e donne adottata dalla Commissione nel marzo 2006. Come affermato nella proposta di risoluzione, siamo ben consapevoli che di fatto sono le donne a farsi maggiormente carico delle responsabilità familiari e dei lavori domestici, anche nei periodi di studio. In assenza di un sostegno adeguato, le giovani donne sono quindi più soggette degli uomini all’impossibilità di proseguire gli studi, all’abbandono degli studi in corso e alla rinuncia a riprenderli nel corso della vita, il che crea inevitabilmente disuguaglianze tra uomini e donne a livello di vita professionale e una perdita del loro potenziale.

Asili nido e altre strutture per l’infanzia sono quindi essenziali per l’uguaglianza di genere. Nella tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010, la Commissione sottolinea che i servizi di custodia dei bambini si stanno adattando troppo lentamente agli sviluppi sociali, e s’impegna a sostenere il conseguimento degli obiettivi di Barcellona e lo sviluppo di altre strutture di custodia attraverso i Fondi strutturali e lo scambio di buone prassi.

Nel 2008 la Commissione intende anche presentare una comunicazione sul conseguimento dei criteri di Barcellona, che farà il punto sui progressi compiuti e sugli sforzi che rimangono da fare.

Tutti questi elementi contribuiscono anche alla risposta che dobbiamo dare alla sfida demografica. I servizi di custodia dei bambini sostengono la libertà di scelta degli individui, permettendo loro di avere il numero di figli desiderato.

Probabilmente sapete che la Commissione ha avviato una consultazione formale di parti sociali europee sulla conciliazione tra vita lavorativa e vita privata sulla base dell’articolo 138 del Trattato. La prima fase è cominciata nell’ottobre 2006 e la seconda nel maggio 2007.

La Commissione ritiene che siano indispensabili diverse componenti legislative e non legislative per conciliare meglio vita professionale, privata e familiare. Per questa ragione, nel documento di consultazione, la Commissione invitava le parti sociali a dare i loro pareri su un insieme di scelte legislative e non legislative. Sono lieto di constatare che la proposta di risoluzione rispecchia in ampia misura le preoccupazioni e le argomentazioni difese dalla Commissione nei suoi due documenti di consultazione con le parti sociali europee.

Infine, vi ricordo l’adozione avvenuta nel novembre 2006 del programma d’azione nel campo dell’apprendimento lungo l’intero arco della vita per il periodo 2007-2013. Questo programma, che simboleggia la nuova priorità data all’istruzione, può offrire un sostegno a progetti che rispondono alle vostre preoccupazioni.

 
  
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  Anna Záborská, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ringrazio l’onorevole Panayotopoulos per la sua grande cooperazione. Ha permesso a tutti i gruppi politici di ritrovarsi nella sua relazione senza che il messaggio essenziale ne fosse falsato. Ha l’abitudine al compromesso perché è madre di nove figli.

Vorrei insistere su due punti. Innanzi tutto, bisogna creare le condizioni per far comprendere che la responsabilità parentale dei giovani non è soltanto un pesante fardello che si aggiunge alle esigenze della formazione. Ciò vale tanto per i giovani uomini quanto per le giovani donne. A tale scopo, occorre diffondere campagne di informazione adeguate.

Il secondo punto riguarda le politiche nazionali e comunitarie. Le statistiche mostrano che i paesi scandinavi raggiungono una percentuale compresa tra il 30 e il 40 per cento di giovani che durante gli studi non si negano la felicità e la responsabilità di essere genitori. L’Unione europea potrebbe mettere utilmente al servizio di tutti gli Stati membri l’esperienza di tali paesi nella promozione del dialogo e nello scambio delle migliori prassi. Anche gli istituti di insegnamento superiore e professionale hanno la responsabilità di creare servizi di custodia dei bambini al loro interno. Sarebbe interessante creare, a questo livello, una concorrenza tra le università, che non si limiterebbe più alla qualità dell’insegnamento, ma si estenderebbe ai servizi di supporto ai genitori-studenti.

Per concludere, desidero sottolineare l’importanza dei nonni e il loro ruolo cruciale nel processo di educazione dei bambini e nell’aiuto ai giovani genitori che studiano o lavorano. Alla luce dei numerosi cambiamenti di percorso che caratterizzano la vita dei lavoratori in quest’epoca di globalizzazione, ciò rappresenta un’opportunità per i pensionati in età ancora giovanile di rendersi utili in altri modi.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. EDWARD McMILLAN-SCOTT
Vicepresidente

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg, a nome del gruppo PSE. – (PL) Signor Presidente, secondo le conclusioni tratte al Vertice del Consiglio europeo a Stoccolma nel 2001 e a Barcellona l’anno seguente, il futuro dell’economia e della società europea dipenderà in particolare dai giovani e dal loro livello di istruzione.

In questa sede dovremmo prestare particolare attenzione al potenziale dei giovani istruiti in termini di rinnovamento demografico in Europa. Tale obiettivo può essere raggiunto creando condizioni sociali, economiche e di istruzione favorevoli che consentano ai giovani europei di creare una famiglia in una fase più precoce della loro vita, senza che tale decisione influisca negativamente sul percorso formativo o professionale. Secondo le conclusioni contenute nel Libro Verde sui cambiamenti demografici, il deficit demografico europeo è dovuto al fatto che attualmente si impiega più tempo per arrivare a certe fasi della vita, in termini di istruzione, lavoro e figli.

In molti paesi, gli studenti assumono simultaneamente responsabilità familiari e di studio o si creano una famiglia prima di terminare gli studi. In Svezia, per esempio, le donne che diventano mamme prima della fine degli studi sono il 41 per cento e in Finlandia il 31 per cento. Seguendo questo esempio, gli altri Stati membri dovrebbero prendere in maggiore considerazione la situazione dei giovani genitori che studiano o stanno completando la formazione professionale. Le misure per raggiungere questo obiettivo potrebbero comprendere l’offerta di assicurazioni per studenti a prezzi accessibili e una copertura sociale e medica, che potrebbero essere estese alle persone a carico dello studente.

Dovremmo altresì considerare l’opportunità di ridurre l’imposizione fiscale per i giovani che, studiando e lavorando, hanno responsabilità familiari, e fare in modo che per questi soggetti sia più semplice ottenere prestiti a condizioni vantaggiose da parte degli istituti di credito. Gli istituti di istruzione dovrebbero tener conto della situazione finanziaria di questo gruppo sociale al momento della determinazione delle tasse scolastiche e fornire un’assistenza sociale adeguata, anche dopo la laurea. Un esempio di questo approccio potrebbe essere un aiuto per un periodo di sei mesi per facilitare l’ingresso nel mercato di lavoro. Vorrei quindi chiedervi di sostenere il paragrafo 25 della relazione.

E’ altresì importante che gli Stati membri, insieme agli istituti di insegnamento superiore e professionale, offrano ai giovani un’organizzazione più flessibile degli studi, per esempio con un aumento delle opportunità di insegnamento a distanza, programmi di formazione permanente e corsi di studio a orario ridotto.

Inoltre, per conciliare la vita familiare degli studenti con lo studio, è essenziale garantire che gli studenti con figli abbiano accesso, a un prezzo sostenibile, a scuole materne pubbliche e a doposcuola di buona qualità. Per questo motivo vi invito a votare a favore dei paragrafi 14 e 15 della relazione.

E’ ora che gli Stati membri e le Istituzioni comunitarie si scambino il loro codice delle migliori prassi, per fornire sostegno agli studenti che hanno una famiglia prendendo altresì in considerazione le disposizioni pionieristiche adottate in questo campo in alcuni Stati membri.

Infine, ringrazio vivamente la relatrice, onorevole Panayotopoulos, per la sua ottima relazione.

 
  
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  Alfonso Andria, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, il problema posto dalla collega Marie Panayotopoulos-Cassiotou nella relazione che stiamo esaminando è di straordinaria rilevanza sociale. Mi congratulo con la relatrice per l’approccio molto completo che ne evidenzia le innumerevoli implicazioni: la famiglia e i progetti educativi, la denatalità, la politica alloggiativa rivolta alle giovani coppie, gli obiettivi della strategia di Lisbona e l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, a partire dall’affermazione della formazione come diritto umano e dalla necessità di investimento sulle risorse umane, quale strumento per rafforzare l’inclusione sociale.

E’ sintomatico che il Parlamento si confronti su questa relazione nell’Anno europeo delle pari opportunità. La necessità di conciliare vita familiare e professionale, pur riconosciuta dalle Istituzioni europee e dalla Commissione, che l’ha anche assunta come principio base della sua recente riforma amministrativa, non ha fin qui prodotto azioni efficaci e concrete, come sarebbe stato legittimo attendersi. Queste avrebbero potuto – e ci auguriamo potranno – provocare una più adeguata presa di coscienza da parte degli Stati membri e dunque politiche attente e rispondenti alle esigenze delle giovani e delle giovani madri, verso il conseguimento di una parità non solo declamata ma sostanzialmente favorita.

Tra gli strumenti proposti dalla relatrice, come utili spunti per i decisori nazionali, reputo particolarmente efficaci i programmi di studio flessibili, ad esempio a orario ridotto, il maggior uso delle tecniche di apprendimento derivanti dalle nuove tecnologie, le agevolazioni fiscali per i giovani studenti lavoratori, le borse di studio per studenti con familiari a carico, nonché le agevolazioni per l’accesso a scuole materne e a servizi di doposcuola. Infine, sostengo la proposta di favorire lo scambio di buone pratiche in materia di sostegno agli studenti, guardando alle esperienze adottate con successo in alcuni paesi nordici.

 
  
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  Sebastiano (Nello) Musumeci, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’Europa – soprattutto l’Europa meridionale – soffre da anni di un basso tasso di crescita della natalità, se non addirittura, come nel caso dell’Italia, di un tasso negativo.

Se le culle delle nostre città restano per troppo tempo vuote, le ragioni sono varie e diverse: il costo della vita sempre più elevato, mentre gli stipendi non aumentano in eguale misura, e il tardivo ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, dovuto anche al desiderio e alla necessità di studiare più a lungo per diventare maggiormente competitivi in una società sempre più esigente.

L’obiettivo ambizioso e non semplice da realizzare è pertanto non solo quello di conciliare il diritto allo studio superiore e alla formazione dei giovani con la loro aspirazione a creare una famiglia e ad avere dei figli in una fase più precoce della loro vita, ma anche, di riflesso, quello di rendere compatibili gli obiettivi di Lisbona con il rinnovamento demografico della nostra società.

Gli Stati membri hanno il dovere di creare un adeguato quadro sociale, economico ed educativo, tenendo sempre presente l’obiettivo finale di favorire le pari opportunità. Ad esempio, il riconoscimento del congedo di paternità, sempre più diffuso nel Nord Europa, è un modo valido per andare incontro alle giuste aspirazioni delle giovani donne.

Signor Presidente, sappiamo tutti che i settori dell’istruzione e della famiglia sono di competenza esclusiva degli Stati membri, ma è proprio per questa ragione che, al fine di trovare un minimo comune denominatore fra gli Stati dell’Unione europea, ritengo sia del tutto condivisibile la proposta della relatrice di prevedere gli scambi delle migliori pratiche nell’ambito delle riunioni dei Ministri. Per questo motivo, il mio gruppo parlamentare esprime un parere favorevole.

 
  
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  Hiltrud Breyer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, molti parlano della compatibilità di famiglia, lavoro e assistenza ai bambini, ma di fatto che succede? Noi ci lamentiamo, ma la Commissione e il Consiglio non hanno neppure iscritto questo tema all’ordine del giorno dell’ultimo Vertice di primavera, e ciò dimostra la scarsa importanza che gli attribuiscono.

La mia aspettativa, signor Commissario, è che, quando si tratta di legiferare, dovremmo andare avanti piuttosto che rimanere fermi; perché la Commissione non sta facendo di più per ravvicinare i tassi di occupazione di uomini e donne? Sappiamo che la ragione per la quale lavoro e famiglia sono più prontamente compatibili nei paesi scandinavi è non solo che in quegli Stati sono disponibili più strutture di custodia dei bambini, ma anche che più donne sono occupate. Nel contempo, in tutti i paesi europei, la percentuale di donne occupate con figli è diminuita del 15 per cento, mentre quella riferita ai padri occupati è aumentata del 6 per cento. Quasi un terzo di tutte le donne fa un lavoro a tempo parziale; esiste ancora una differenza salariale percettibile nell’Unione europea, e la Germania è il fanalino di coda con il 26 per cento.

Quello che mi aspetto dall’Unione europea, quindi, è che presenti proposte invece di limitarsi a dar voce a nobili sentimenti. Mi aspetto anche che la Commissione rilasci una dichiarazione per spiegare come mai, in Stati membri come la Germania, esiste un’agevolazione come la cosiddetta “tariffa splitting” per i coniugi, che è una sorta di ricompensa per chi rimane a casa e che non è affatto utile alla custodia dei bambini, oltre a costituire una violazione della direttiva relativa alla “pari retribuzione per pari lavoro”. Perché i bambini non sono messi maggiormente al centro della politica dell’Unione europea?

 
  
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  Věra Flasarová, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Onorevoli colleghi, accolgo con favore la relazione dell’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou, che dimostra una considerevole conoscenza nell’affrontare il problema delle giovani donne che uniscono studi e vita familiare e offre anche una serie di soluzioni.

In ultima analisi, la principale difficoltà è trovare una soluzione malgrado i vecchi stereotipi. Secondo la relazione, più alto è il livello di istruzione raggiunto dalle donne, maggiore sarà il loro successo nel mercato del lavoro. Sottolinea anche, d’altro lato, che per le donne che creano una famiglia la strada dell’istruzione è preclusa. Questo conduce spesso le donne che vogliono avere sia un’istruzione che una famiglia a ritardare il momento di avere figli o ad avere un solo figlio.

Sembrerebbe che la famiglia sia un ostacolo sia per una carriera professionale sia per l’apprendimento lungo l’intero arco della vita, e che lavoro e istruzione, da un lato, e la famiglia, dall’altro, siano inconciliabili. Chiunque voglia studiare e costruirsi una carriera di successo, donna o uomo che sia, spesso deve rinunciare all’idea di creare una famiglia. Ma non c’è un’alternativa? Questa è proprio la domanda che poniamo.

A livello individuale – e, va detto, non sistematico – questo è per le giovani donne un dilemma pressoché impossibile da risolvere. Consapevole di quanto sia complicato questo compito, la Comunità può offrire progresso e agire di conseguenza. Si stanno incorporando i requisiti necessari nel sistema allo scopo di rendere più facile alle donne avere una famiglia e contemporaneamente studiare e allargare la mente attraverso l’istruzione. Di conseguenza, sarà rafforzata la posizione delle giovani donne nel mercato del lavoro, il che, a sua volta, condurrà a una maggiore uguaglianza economica tra i sessi.

Una società avanzata ha bisogno di uomini e donne istruiti, nonché di una famiglia funzionante, che, creando un ambiente di sicurezza e solidarietà per tutti i suoi membri, è vitale per la crescita dei figli. Una società non può smettere di svilupparsi, ma non deve per questo sacrificare la famiglia. Non deve impedire alle donne di accedere all’istruzione, né deve limitare il diritto di avere figli. Questi sono imperativi critici che tendono a produrre risultati contraddittori. Per questo motivo stiamo parlando di conciliazione come soluzione del problema.

E’ nell’interesse della Comunità – e in particolare dei suoi organi legislativi, dei suoi istituti di istruzione e dei datori di lavoro – essere consapevoli del fatto che le temporanee perdite economiche che potrebbero prodursi porteranno a un guadagno a lungo termine. Nei casi in cui i datori di lavoro non siano consapevoli di questa filosofia, la Comunità può offrire qualche forma di compensazione per le eventuali perdite.

Le soluzioni tradizionali al conflitto tra la famiglia e lo studio o la professione sono ben note. Le donne che non possono o non vogliono affidare i figli a qualcun altro, devono rinunciare all’istruzione superiore e alla carriera, e viceversa. Le poche donne che conciliano studio e lavoro sono quelle che possono avvalersi di strutture di custodia dei bambini o che hanno nonni in grado di occuparsi dei loro figli. Quando nessuna di queste due soluzioni è possibile, le donne si trovano di fronte a una scelta: o la famiglia o lo studio e il lavoro. Questo è un dilemma che dovrebbe essere consegnato al passato e sono lieta che la relatrice abbia proposto alcune soluzioni valide mirate a lasciarci il passato alle spalle.

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signor Presidente, questo documento, che riconosce che le giovani donne nell’Unione europea hanno bisogno di un equilibrio tra istruzione e vita familiare, è la prova di un certo ritorno alla normalità in una Unione europea che ha vissuto una svolta demografica drammatica, negativa, e la cui popolazione sta invecchiando. Tra le ragioni all’origine di questi cambiamenti negativi figurano politiche sfavorevoli alla famiglia e a favore dell’aborto, insieme al fatto che le donne sono usate nei manifesti pubblicitari per cerotti contraccettivi.

A parte le richieste contenute nel documento, un importante modo per aiutare le giovani studentesse a crescere i loro figli sarebbe ricostruire una struttura familiare multigenerazionale nella quale è naturale per i genitori aiutare i figli. Questo tipo di assistenza non solo approfondirebbe i legami emotivi, ma il dono inestimabile dell’amore dei nonni avrebbe anche un impatto positivo sullo sviluppo personale dei bambini. Ricostruire la famiglia estesa migliorerebbe anche la salute mentale dei nostri cittadini. Questo faciliterebbe, a sua volta, l’attuazione di numerose strategie.

In numerose occasioni sono stati presentati emendamenti per annoverare il congedo di maternità tra le esperienze lavorative, con una retribuzione equivalente per l’estensione del congedo di maternità. Questa misura migliorerebbe ulteriormente la posizione delle giovani famiglie, in termini di crescita dei figli e di raggiungimento di qualifiche più alte.

 
  
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  Lydia Schenardi, a nome del gruppo ITS. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, se vi sono campi che devono restare interamente di competenza e responsabilità nazionale, sono senza dubbio quelli dell’istruzione e della famiglia.

Questa relazione ci ricorda, al suo primo considerando, che gli Stati membri hanno competenza esclusiva per tali settori. Il problema, tuttavia, è che fin dai paragrafi immediatamente successivi si sforza di dimostrare che tocca all’Europa agire per promuovere politiche attive che facilitino, per esempio, la conciliazione tra gli studi, la formazione, la vita privata e la vita familiare. Anche se possiamo essere d’accordo con alcune delle proposte di fondo di questa relazione, resta il fatto che non tocca a Bruxelles, né tanto meno alla Commissione, dettare agli Stati membri quali devono essere le loro politiche in campo demografico, familiare, in materia d’istruzione o ancora professionale. Spetta a ciascuno Stato membro definire e perseguire la propria politica in questi campi. Non dobbiamo permettere che qualche testo europeo c’imponga misure connesse alla morale, alla religione o ancora ai principi o ai valori fondamentali.

Tuttavia, a poco a poco, mediante raccomandazioni, regolamenti o direttive, Bruxelles interferisce nelle politiche nazionali senza essere autorizzata e senza essere stata invitata a farlo dai popoli. Questa propaganda sistematica, particolarmente in materia familiare ed educativa, mira a distruggere il concetto tradizionale della cellula familiare composta da madre, padre e figli biologici e questo in nome di una libertà senza limiti e senza regole morali.

 
  
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  Christopher Heaton-Harris (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, sono convinto che la maggior parte delle donne che in Europa scelgono di avere una famiglia non lo fanno perché sono costrette. E’ una scelta che in genere compiono insieme al loro partner e invariabilmente conoscono e hanno discusso le conseguenze che la nascita di un figlio comporta a livello sociale, finanziario e di istruzione. Tuttavia, scelgono di avere un figlio perché è un’esperienza davvero meravigliosa.

Molti Stati membri, compreso il mio, cercano con molti mezzi di permettere alle donne, dopo aver creato la loro famiglia, di scegliere di ritornare all’istruzione o al lavoro. In questa prospettiva la relazione, o almeno il titolo, è degno di discussione politica. La relazione sottolinea giustamente nel primo considerando che l’istruzione e la famiglia rientrano fra le competenze e le responsabilità nazionali. E meno male, perché leggendo la relazione si capisce perché i cittadini europei fanno fatica a prendere sul serio questo Parlamento e perché, grazie al cielo, gli Stati membri non intendono concedere tale competenza all’Europa.

Citerò due paragrafi. Il paragrafo 30 raccomanda agli Stati membri di “agevolare la concessione o l’estensione degli aiuti sociali agli studenti originari di altri Stati membri dell’UE con figli a carico”. Nel Regno Unito, come sapete, il dibattito sull’immigrazione è molto acceso e questo sarebbe semplicemente inaccettabile persino per gli oppositori socialisti nel mio paese. Il paragrafo 10 invita gli Stati membri a “ridurre o sopprimere l’imposizione fiscale dei giovani, uomini e donne, che, studiando e lavorando, assumono responsabilità familiari o nei confronti di persone dipendenti”. Cioè tutti! Ogni singolo cittadino – così più nessuno pagherà le tasse e il governo si bloccherà completamente.

Possiamo imparare molto su come migliorare la vita delle donne che desiderano conciliare la vita familiare con un periodo di studio esaminando le migliori pratiche che esistono in Europa, specialmente negli Stati membri del nord. A mio parere, tuttavia, la commissione per i diritti della donna si è dimostrata quasi in assoluto il luogo peggiore per svolgere questa discussione.

 
  
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  Lissy Gröner (PSE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa relazione segna un’ulteriore pietra miliare nell’Anno europeo delle pari opportunità per tutti. Dal Libro verde sulla demografia apprendiamo che le diverse fasi della vita dei giovani – studenti di entrambi i sessi – subentrano in un’età più avanzata quando si tratta di lavoro e famiglia, e le donne hanno visto in questo processo l’opportunità di avere, grazie a una “seconda opportunità” in termini di istruzione, una vita migliore, una vita di loro scelta, e hanno colto tale occasione.

Le donne rappresentano il 59 per cento di quanti completano l’istruzione superiore e, pertanto, superano in questo gli uomini, ma la loro presenza è di gran lunga ridotta quando si tratta di decisioni prese in fasi successive, dove entrano di nuovo in gioco le barriere al loro avanzamento: le donne rappresentano soltanto il 43 per cento dei dottorandi, cifra che per i docenti di ruolo si abbassa a un mero 15 per cento, e che in Germania è pari addirittura all’8 per cento. Chi si stupisce quindi del fatto che è più probabile che le donne, in particolare in ambiente accademico, decidano di non avere figli?

Dobbiamo lavorare per superare gli stereotipi legati al sesso e le divisioni sociali tra i mondi delle donne e degli uomini, e dobbiamo adottare misure per migliorare la compatibilità tra famiglia e vita lavorativa, per esempio mediante strutture a costi contenuti. Questo è stato detto, e sono lieta che il Commissario abbia espresso l’intenzione di fare qualcosa al riguardo, ma, con la migliore volontà del mondo, non è possibile. Ciò che è necessario è esercitare pressione. Le persone decideranno da sole quanti figli avere o, anzi, se non averne affatto. Non so se i giovani impegnati in carriere universitarie saranno a conoscenza del nostro dibattito di oggi, ma dobbiamo rispettare il loro diritto di giungere alle loro decisioni, e facilitare la loro scelta.

Dobbiamo rispettare anche il desiderio di un numero sempre più elevato di persone oggi di adottare stili di vita alternativi e di abbandonare il tradizionale modello di famiglia; potrei aggiungere che questo soprattutto deve essere preso in considerazione dai nostri governi, e anche dal governo in Polonia, e trovo veramente irritante che i polacchi prendano ancora una volta le distanze da questa realtà. Molti miei amici in Polonia mi hanno chiesto di affrontare la questione oggi, e intervengo quindi per i cittadini polacchi, che hanno lo stesso diritto di tutti gli altri alla libera scelta personale.

 
  
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  Karin Resetarits (ALDE).(DE) Signor Presidente, in questa relazione la relatrice espone in modo esauriente tutte le misure che potrebbero e dovrebbero essere adottate per conciliare meglio la vita familiare e gli studi nell’Unione europea.

L’evoluzione demografica mostra chiaramente che sempre meno donne con una buona istruzione sono disposte a combinare la vita professionale con la creazione di una famiglia – ed è comprensibile: le giovani donne impegnate in carriere universitarie chiedono a se stesse il massimo, e lo stesso fanno con la famiglia. Il proverbio tedesco “A chi Dio dà figli, Egli dà anche i mezzi per mantenerli” forse aveva qualche presa sulle donne in passato, ma erano altri tempi.

Ora tocca a noi politici provvedere a soddisfare le esigenze dei giovani. Questo significa che dobbiamo ricostruire la società favorevole alla famiglia che ora è a pezzi. Chiunque oggi abbia figli da crescere deve essere molto ricco o vivere molto modestamente, poiché, fino ad ora, la nostra società promuove tutto tranne i bambini. Basta guardarsi intorno: dove sono oggi gli spazi aperti dove i bambini possono giocare senza problemi? Dove sono davvero benvoluti i bambini? Persino i parchi sono pieni di cartelli che vietano di giocare. La settimana scorsa, nella mia città, Vienna, un uomo ha sparato ad alcuni bambini che stavano giocando, perché a suo dire erano troppo rumorosi. La maggior parte degli Stati membri sta investendo decisamente troppo poco denaro dei contribuenti nell’istruzione e nella cura dei figli, onorevole Heaton-Harris. Le nostre classi sono sovraffollate, gli insegnanti sono stressati. Stiamo cercando di produrre individualisti sicuri di sé in scuole che funzionano ancora come caserme.

Stiamo promuovendo un modo di vivere favorevole alla famiglia? No: il mercato immobiliare è guidato unicamente dal motivo del profitto. I giovani in città ora sono felici se possono permettersi una stanza in una casa condivisa. Forse in passato questo non avrebbe scoraggiato dall’avere figli, ma ciò che vogliono in particolare i giovani oggi è la qualità della vita, ed è questo che i politici devono garantire.

 
  
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  Wojciech Roszkowski (UEN).(PL) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Panayotopolous-Cassiotou affronta una questione chiave per l’Unione europea, vale a dire il suo futuro sviluppo demografico. Per questo motivo dovremmo ringraziare la relatrice per aver descritto il problema e suggerito soluzioni specifiche in quello che attualmente è un clima molto sfavorevole per le famiglie.

La relazione contiene molte misure eccellenti volte ad aiutare i giovani europei nella crescita dei figli. Tuttavia, queste misure non avranno successo se continueremo a vivere in un ambiente dove si dicono sciocchezze sul modello di famiglia a quanto pare indesiderabile costituito da un uomo e una donna.

E’ necessario ricordare che soltanto nelle famiglie di questo tipo possono nascere figli? In Polonia ne siamo consapevoli.

Le società europee non sono mai state così ricche e non hanno mai fatto così pochi bambini. Vi sono ostacoli oggettivi e soggettivi per coloro che vogliono diventare genitori.

La famiglia ha perso rilevanza tra le priorità della vita. L’importante è avere un lavoro e divertirsi. La massima priorità oggi è il divertimento senza alcuna responsabilità. Non sappiamo quale sia lo scopo della vita e quindi non sappiamo a che scopo avere figli. Per l’Europa vi sono infausti segni premonitori: mane, tekel, fares.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE).(ES) Signor Presidente, l’istruzione e la formazione sono di fatto un diritto fondamentale e sono anche un elemento essenziale affinché tutti gli altri diritti sociali, economici, culturali e politici siano rispettati.

La chiave per compiere progressi nella conciliazione della vita familiare, lavorativa e studentesca, l’argomento di cui ci occupiamo oggi, è affrontare la complessa questione della ripartizione e della gestione del tempo, non solo delle donne bensì della società nel suo insieme. A tal fine, dobbiamo pianificare riforme sociali ed economiche che garantiscano, tra l’altro, una modifica della situazione attuale in cui, nella maggioranza dei casi, è la donna, per definizione, che assume la maggior parte, se non la totalità, delle responsabilità familiari e di assistenza.

Dobbiamo rispondere a questa sfida promuovendo politiche riguardanti la vita quotidiana, con una visione globale delle necessità, nonché stabilendo politiche trasversali di servizi pubblici, garantendo la prestazione di servizi come scuole materne e mobilità pubblica, prevedendo orari di lavoro flessibili che rispondano alle diverse realtà specifiche, senza che ciò rechi pregiudizio alla qualità del servizio, e infine garantendo aiuti economici e fiscali affinché, in definitiva, formare una famiglia possa essere una decisione personale, anche tra persone dello stesso sesso.

 
  
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  Eva-Britt Svensson (GUE/NGL).(SV) Ringrazio la relatrice per l’importante relazione, perché l’istruzione è un fattore essenziale per quanto riguarda il diritto della donna a un lavoro retribuito.

I concetti di vita familiare e famiglia sono centrali per questa relazione, così come per altre relazioni riguardanti genitori e figli. Non viene fornita alcuna definizione del concetto di “famiglia”, ma presumo che questo termine sia usato per indicare una varietà di configurazioni familiari alternative, e non solo l’idea tradizionale di una famiglia nucleare costituita da madre, padre e i loro figli biologici. Il concetto di famiglia deve invece includere anche, per esempio, genitori soli, genitori dello stesso sesso e altre soluzioni che le persone ora scelgono per condurre la propria vita. Al fine di chiarire questo punto, spero che il Parlamento voterà a favore dell’emendamento n. 8.

La relazione propone una vasta serie di misure per dare alle giovani donne le stesse opportunità di istruzione che hanno gli uomini. Sostengo la maggior parte delle proposte, con l’eccezione del testo che sottolinea l’importanza dei membri più anziani della famiglia, vale a dire i nonni, e ciò che possono fare per aiutare i propri figli studenti o lavoratori con bambini. L’attuale generazione di nonni spesso ha a sua volta un’occupazione. Anche se sono pensionati, hanno il diritto di vivere la propria vita, ovviamente anche godendo della compagnia dei nipoti. Comunque, non sono loro a doversi assumere la responsabilità della custodia dei bambini.

La società ha la responsabilità di sviluppare l’assistenza ai bambini e ad altri soggetti in modo che tutti i genitori che ne hanno bisogno, che siano studenti o lavoratori, abbiano accesso a servizi di alta qualità e sicuri dal punto di vista educativo per i loro figli.

Donne e uomini hanno il diritto di studiare, lavorare e procreare. Hanno diritto a tutte queste possibilità, senza dover scegliere tra l’una e l’altra.

 
  
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  Georgios Karatzaferis (IND/DEM).(EL) Signor Presidente, oggi discutiamo di due importanti benedizioni, forse la più importante benedizione per tutti, che è quella di avere figli, e, in parallelo, quella dello studio, della cultura e della conoscenza. Questi due aspetti, tuttavia, forse di recente sono entrati in contrasto, perché l’età riproduttiva della donna, secondo gli esperti, si aggira approssimativamente intorno ai 35 anni. Quando metà di questi anni sono “sprecati” per studiare fino all’età di 30 o 32 anni per i diplomi di specializzazione e i dottorati, si perde tempo prezioso per avere figli. Così, la massima benedizione è riservata ai benestanti, che possono pagare gli studi dei figli dando alle ragazze la possibilità di studiare e diventare mamme. Coloro che invece non dispongono di sufficienti risorse “posticipano” la procreazione e questa, per dirla in un certo modo, è una violenza. E’ una differenza di classe che non dovremmo permettere. Dobbiamo trovare modi e mezzi per dare ai giovani l’opportunità, nella forma di un sostegno finanziario, di studiare e avere una famiglia, avere figli. Abbiamo bisogno di bambini. Nel mio paese abbiamo un tasso di natalità molto basso e questo è un problema enorme. Dovremmo prestare particolare attenzione alla questione dei bambini.

 
  
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  Pál Schmitt (PPE-DE). (HU) Dobbiamo senz’altro sostenere la cultura, specialmente se un giovane vuole avere responsabilità in più ambiti. Essere madre è un ruolo difficile e impegnativo, ma la società basata sulla conoscenza di cui tanto si parla non può essere fatta solo di uomini. A causa della mancanza di un sostegno appropriato, le giovani donne sono inclini a non continuare gli studi, a rinunciarvi e non riprenderli mai, il che inevitabilmente conduce all’ineguaglianza tra uomini e donne in termini di vita professionale e più tardi di capacità produttiva.

Dobbiamo offrire tutta l’assistenza alle donne, e alle giovani coppie in generale, in un’Europa con un basso tasso di natalità e una popolazione sempre più anziana. In altre parole, a tutti coloro che vogliono creare una famiglia e avere figli. Se questo si combina con la necessaria ambizione di migliorarsi e con il desiderio di imparare, la società deve ricompensare e sostenere tali aspirazioni.

La commissione per la cultura e l’istruzione sta inoltre cercando di rimuovere ogni ostacolo all’apprendimento lungo l’intero arco della vita e di garantire che anche gli studenti con responsabilità familiari, prendendo in considerazione la loro particolare situazione, per esempio la scarsa mobilità, abbiano accesso alle opportunità di apprendimento. Per realizzare tutto questo occorre creare una rete sociale negli Stati membri che dimostrano solidarietà nei confronti delle famiglie, le quali svolgono il ruolo più importante a sostegno della società. E’ necessaria una rete di asili nido e scuole materne, che offra un’assistenza adeguata per i più piccoli membri della società, nonché di scuole che garantiscano attività pomeridiane per tenere i bambini occupati sotto la supervisione di esperti.

Non si tratta esclusivamente di una questione materiale, si tratta anche di mentalità. Di fatto, le politiche dei nostri governi in materia di famiglia, istruzione, assistenza sociale, occupazione e gioventù dipendono in larga misura dall’approccio adottato. Ci stiamo gradualmente rendendo conto del fatto che ogni bambino che nasce vale tanto oro quanto pesa e anche di più, poiché significa che il nostro futuro è salvaguardato e che i nostri popoli sopravvivranno e avranno uno sviluppo vitale.

Desidero congratularmi con la relatrice poiché, anche se l’istruzione, la cultura e i vari sistemi di sostegno alla famiglia rientrano tra le competenze degli Stati membri, questa relazione richiama l’attenzione su soluzioni e pratiche a livello locale, cosa molto utile per tutti gli Stati membri in cui questo problema è stato trascurato fino ad ora.

 
  
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  Edite Estrela (PSE).(PT) Signor Presidente, desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou per la sua relazione. I cambiamenti demografici sono la sfida principale che si trova ad affrontare pone l’Europa. E’ un problema molto serio che richiede misure urgenti. La situazione varia da paese a paese, ma una cosa è certa: è necessario creare condizioni a livello sociale ed economico, e in termini di istruzione, affinché i giovani europei abbiano i figli che desiderano, senza che questo influisca negativamente sulla loro vita professionale e senza che li costringa a interrompere gli studi.

Le donne continuano a essere le più colpite, e subiscono una vera e propria discriminazione per quanto riguarda l’accesso agli studi, il loro proseguimento e la formazione lungo tutto l’arco della vita. D’altro lato, le giovani famiglie tendono ad abitare nelle periferie delle grandi città. Ciò comporta maggiori tempi di spostamento tra casa, lavoro e scuola e anche una maggiore fatica fisica e mentale. Significa anche che i genitori trascorrono meno tempo con i figli, con costi sociali incalcolabili.

Alla base di una politica di uguaglianza di genere vi sono due grandi sfide: in primo luogo, eliminare il divario salariale tra uomini e donne e, in secondo luogo, garantire la conciliazione della vita familiare con la vita professionale o accademica. L’accesso all’istruzione e la realizzazione professionale sono diritti sia per gli uomini che per le donne.

Per realizzare gli obiettivi della strategia di Lisbona, la Commissione europea e gli Stati membri devono promuovere politiche che tengano conto delle caratteristiche di famiglie diverse, per esempio di genitori studenti, ragazze madri e così via, in relazione a sistemi di sicurezza sociale, abitazioni dignitose, strutture di custodia dei bambini e flessibilità a livello curricolare, di orari e di scelta dell’istituto di istruzione. Così, i nostri giovani possono contribuire a una società basata sulla conoscenza, alla competitività dell’economia, alla coesione sociale e al rinnovamento della società europea.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (UEN).(PL) Signor Presidente, tutti comprendiamo e condividiamo la preoccupazione della relatrice per le donne, la vita familiare e la tradizione. Noi la ringraziamo per questa relazione che, oltre a chiedere per le giovani donne un equilibrio tra gli studi e la vita familiare, tocca anche una questione ancor più importante, vale a dire quella della politica demografica e di immigrazione dell’Unione.

Le donne vogliono studiare e vogliono avere figli. Purtroppo, considerato l’attuale ritmo concitato della vita nel mondo, spesso soltanto uno di questi obiettivi può essere realizzato. Per tale motivo dovremmo aiutare i giovani, donne e uomini, introducendo una politica più estesa a favore della famiglia nell’Unione europea e negli Stati membri. La mancanza di un sostegno adeguato costituisce un vero pericolo per la nostra società cristiana ed europea. Anche in un paese come la Polonia, che sostiene la vita familiare e la tradizione, il tasso di natalità non è sufficientemente alto. In molte città dell’Unione europea, gli immigrati hanno più figli degli abitanti nativi.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM).(SV) Signor Presidente, la relazione solleva un problema serio che esiste in molti Stati membri, vale a dire la difficoltà di studiare se si hanno figli. Si propone una serie di misure. Comunque, il fatto è che tali questioni non rientrano tra le competenze dell’Unione europea. La commissione sta interferendo in questioni strettamente nazionali come la fiscalità, i sistemi di assicurazione sociale e l’assicurazione per i genitori – una situazione del tutto inaccettabile.

La relatrice ha anche perfettamente ragione a sottolineare che i paesi nordici, compresa la Svezia, hanno sistemi che favoriscono gli studenti che sono genitori. Sono fermamente convinta che questi sistemi sono i più soddisfacenti, ma l’UE non deve imporre alcun sistema a nessuno in relazione a tali questioni. I paesi che hanno problemi si renderanno conto presto che la situazione è insostenibile e guarderanno quindi ai paesi in cui esistono sistemi efficaci.

Non smetto di stupirmi per le proposte presentate in questo Parlamento. Si dà briglia sciolta all’immaginazione, per non dire altro.

 
  
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  Roberta Alma Anastase (PPE-DE). – Pentru început, trebuie să mărturisesc că mă bucur că particip la o asemenea discuţie în Parlamentul European. Cred că e important să vorbim despre provocările lumii moderne, despre familie şi educaţie, despre noi şi viaţa noastră; iar documentul pe marginea căruia vorbim este unul serios şi consistent, şi pentru acest lucru daţi-mi voie să mulţumesc raportorului, doamna Marie Panayotopoulos Cassiotou.

Datele statistice arată că nivelul de instruire este invers proporţional cu nivelul sărăciei. Adică, cu cât un om are un nivel al studiilor mai ridicat, cu atât scade riscul sărăciei şi creşte şansa de a avea un loc de muncă bine plătit, o locuinţă, o maşină, în final o viaţă mai bună. Tot statisticile arată că nivelul de dezvoltare al unei societăţi este direct proporţional cu nivelul de instruire al membrilor ei. Pe de altă parte, cei cu un nivel ridicat de instruire nu au numărul de copii pe care şi-l doresc. De asemenea, o mare parte din ţările europene înregistrează o rată negativă a sporului natural şi se confruntă cu probleme serioase în ceea ce priveşte relaţiile dintre generaţii, înregistrându-se o creştere a numărului persoanelor aflate în întreţinere. Deci se impune o soluţie de mijloc, care să nu însemne nici renunţarea la copii şi familie, şi nici abandonarea şcolii. În găsirea acestui echilibru statul joacă un rol foarte important. El este cel în măsură să preia de pe umerii familiilor, de pe umerii părinţilor, o parte din responsabilităţile legate de educaţia şi îngrijirea copiilor; să adopte măsurile necesare pentru ca studenţii părinţi să poată beneficia de locuinţe adaptate nevoilor lor; să propună în asociere cu instituţiile de învăţământ o organizare mai flexibilă a studiilor; să faciliteze împreună cu instituţiile de credit acordarea de împrumuturi pentru cei care-şi întemeiază familii şi urmează o formă de instruire; să acorde burse; să scutească părinţii studenţi de la plata unor taxe şi impozite - adică într-o ţară statul poate crea un mediu care să încurajeze tinerii să nu aleagă între o opţiune sau alta. Cred, însă, că la toate acestea mai trebuie adăugată o responsabilitate a statului în ceea ce priveşte educaţia: introducerea educaţiei pentru parteneriat în cadrul familiei. Numai când cei doi soţi vor considera că în familie fiecare îl poate suplini pe celălalt, îi poate juca rolul şi chiar o vor face, atunci concilierea dintre viaţa de familie şi cea profesională este posibilă cu adevărat.

 
  
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  Teresa Riera Madurell (PSE).(ES) Signor Presidente, gli studenti che hanno responsabilità familiari devono far fronte a situazioni e necessità specifiche in fatto di alloggi, servizi di custodia dei bambini e flessibilità degli orari di studio, aspetti di cui non sempre tengono conto i sistemi educativi e sociali. Per questo motivo, le politiche pubbliche di conciliazione della vita privata e professionale non devono trascurare le necessità dei giovani durante il periodo in cui frequentano gli studi.

In tale contesto, anche le donne studenti sono in una situazione particolarmente fragile, poiché anche studiando sono loro ad assumere maggiormente le responsabilità familiari, non solo nel caso di maternità, ma anche quando si tratta di accudire anziani dipendenti o persone disabili a carico.

Senza un sostegno adeguato, le giovani donne hanno più probabilità degli uomini di interrompere gli studi e non riprenderli, il che porta inevitabilmente a una disparità di opportunità tra uomini e donne nella futura vita professionale e, di conseguenza, a una perdita di potenziale umano importante per il mercato del lavoro e per l’insieme della società.

Il livello di qualifiche ha un impatto indiscutibile sull’occupazione, come hanno detto gli oratori che mi hanno preceduta. Le statistiche mostrano che i tassi di disoccupazione sono più bassi quando i livelli di studi sono più elevati. Per questa ragione, se l’Unione europea vuole realizzare l’obiettivo di aumentare il tasso di occupazione femminile fino al 60 per cento entro il 2010, si devono adottare misure chiare affinché le politiche di conciliazione della vita personale e professionale incomincino ad applicarsi dalla gioventù durante il periodo di formazione. Perciò, le raccomandazioni di questa relazione sono molto importanti, e voglio quindi congratularmi con l’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou per il suo lavoro.

 
  
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  Mieczysław Edmund Janowski (UEN).(PL) Signor Presidente, vorrei congratularmi con l’onorevole Panayotopolous-Cassiotou per la sua perseveranza nel trattare questioni importanti non solo a livello sociale, specialmente in considerazione del fatto che lei stessa è madre di nove figli. Una delle sfide del nostro tempo, anche in termini di situazione demografica, è trovare soluzioni che consentano alle persone di conciliare la crescita dei figli con lo studio e l’avvio di una carriera professionale. Non stiamo solo parlando delle giovani donne, ma dei giovani genitori in generale, vale a dire madri e padri.

Andrebbe sottolineato che l’attuale necessità di completare un corso di istruzione superiore, seguito da un dottorato o da vari corsi di formazione e poi avviare una carriera e diventare indipendenti, richiede notevoli sforzi e per questo processo occorrono di solito più di quattro anni. D’altro lato non si possono negare le leggi della biologia. I giovani hanno quindi bisogno di condizioni che consentano loro di creare una famiglia, oltre che di realizzare i loro obiettivi professionali. Abbiamo anche bisogno di un ambiente favorevole alla famiglia e non discriminatorio, che includa sostegno sociale, studi flessibili e tirocini accademici. A questo riguardo, Internet potrebbe dimostrarsi uno strumento molto utile.

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, i decisori politici si concentrano da decenni sulla questione dell’occupazione femminile e su come eliminare le discriminazioni e le promozioni fondate sul sesso nei posti di lavoro. L’istruzione è sempre stata considerata uno strumento a tal fine.

In questa risoluzione, tuttavia, penso che non siamo riusciti ad analizzare le difficoltà che le donne affrontano per conciliare il resto della loro vita, su cui si è sorvolato. Le donne erano quasi costrette a rinunciare ai figli, e se li avevano, erano costrette a rinunciare a seguirli. Se sceglievano di crescere i propri figli, dovevano essere dotate di superpoteri per farlo. Per fortuna ora le donne ci stanno costringendo a cambiare questa realtà e a rendere la situazione più flessibile in modo da conciliare famiglia, lavoro e istruzione. Dobbiamo essere flessibili. Dobbiamo aiutare le donne a combinare questi aspetti. O dobbiamo magari dare alle donne l’opportunità di prendersi del tempo, se lo desiderano, per avere figli e per allevarli, nella sicurezza di sapere che avranno le stesse opportunità quando sceglieranno di riprendere il loro posto nel mondo del lavoro.

 
  
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  Jerzy Buzek (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, l’Unione europea si trova di fronte a due sfide: risolvere la crisi demografica e migliorare il livello di istruzione, specialmente per i giovani. Lo scopo è impedire che i giovani siano costretti a scegliere tra istruzione e famiglia. La relazione dell’onorevole Panayotopolous-Cassiotou contiene proposte valide mirate a conciliare queste due necessità europee. Io sostengo quindi le proposte e i pareri espressi durante questo dibattito.

Tuttavia, un problema ancora più grande sorge dopo l’università. In Europa, più donne che uomini ottengono una laurea, ma le donne che optano per carriere a lungo termine nell’ambito della scienza o della ricerca sono tre volte meno numerose. Appena un docente su sei in Europa è donna. Intanto, vi sono 700 000 posti vacanti nella ricerca. C’è particolare bisogno di più giovani scienziati. Non risolveremo il problema della crescita, né permetteremo la riuscita della strategia di Lisbona, se non cambieremo questa situazione.

Dobbiamo quindi applicare con urgenza le soluzioni proposte nella relazione dell’onorevole Panayotopolous-Cassiotou anche al periodo successivo alla conclusione degli studi. Queste soluzioni dovrebbero anche applicarsi al lavoro svolto in ambito accademico, negli istituti scientifici, nei laboratori e nei centri di ricerca di grandi imprese.

E’ quasi impossibile per le donne ritornare a una carriera scientifica dopo aver partorito e aver cresciuto, anche per un breve periodo, due o tre figli. Vorrei quindi esprimere la mia grande ammirazione per l’UNESCO e L’Oréal per aver organizzato una campagna mondiale a sostegno delle donne impegnate in carriere scientifiche e vi invito a visitare l’esposizione che il Parlamento europeo sta organizzando per ottobre, insieme all’UNESCO e a L’Oréal.

 
  
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  Christa Prets (PSE).(DE) Signor Presidente, sono lieta che oggi tanti uomini stiano partecipando a questa discussione. Presumo che molti di loro siano padri che si oppongono al fatto che le loro figlie continuino a essere svantaggiate in futuro. Forse questo ci aiuterà a conseguire una maggiore uguaglianza.

Come è stato detto molte volte oggi, l’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata sta assumendo una crescente importanza politica, in particolare poiché abbiamo anche riconosciuto che, da un lato, il vantaggio del grande potenziale della forza lavoro femminile e, dall’altro, la mancanza di bambini, non possono e non devono più essere trascurati.

Per quanto riguarda le strutture di custodia dei bambini, l’attuazione degli obiettivi di Barcellona è purtroppo molto deludente. Notiamo che paesi diversi presentano dati statistici diversi per gli studenti che sono anche genitori. In Austria, per esempio, la quota è del 10,8 per cento, mentre in Svezia è del 41 per cento. Questo dimostra che è possibile cambiare le situazioni modificando le condizioni quadro. E’ ovvio; dobbiamo soltanto affrontare il problema.

Avere figli mentre si studia non deve essere una ragione per ritardare troppo gli studi, per abbandonarli del tutto o per non iniziarli. Abbiamo bisogno di maggiore sostegno, abbiamo bisogno di più strutture di custodia dei bambini presso le università e gli istituti d’istruzione superiore, e abbiamo bisogno che questi siano disponibili a prezzi socialmente giusti.

 
  
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  Anna Hedh (PSE).(SV) Oggi in Europa nascono sempre meno bambini. Ciò è dovuto non solo all’attuale situazione del lavoro e al modo in cui si è evoluta la società, ma anche al fatto che molte donne aspettano di aver completato la loro istruzione prima di avere figli. Ma più avanza l’età della donna più si riduce la sua fertilità.

L’opportunità per gli studenti di creare una famiglia è molto importante dal punto di vista della parità. La mancanza di un sostegno adeguato da parte della società induce molte giovani donne ad abbandonare gli studi dopo aver avuto figli oppure a non iniziarli neppure. Questo, naturalmente, conduce a un mercato del lavoro non equo e comporta anche una perdita per l’economia nel suo insieme perché il pieno potenziale di queste donne va perduto.

Osserviamo questo modello in particolare in Svezia. Oltre il 60 per cento di quanti iniziano corsi di istruzione superiore in Svezia è costituito da donne, ma la quota diminuisce man mano che si sale nella gerarchia. Una proporzione particolarmente massiccia di donne abbandona gli studi post-laurea quando arriva all’età in cui desidera avere figli, perché è difficile per i dottorandi ottenere un permesso parentale.

Il livello d’istruzione delle donne è cruciale non solo per il loro sviluppo personale, ma anche per la crescita e l’innovazione dell’UE. Gli Stati membri devono quindi rendere più agevole per gli studenti che hanno figli conciliare lo studio e la vita familiare. Questo dovrebbe avvenire attraverso riforme sociali ed economiche, come un sostegno finanziario statale e strutture di custodia dei bambini ben sviluppate e poco costose.

 
  
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  Gabriela Creţu (PSE). – Educaţia şi speranţa de viaţă sunt indicatori ai dezvoltării umane. Europa înregistrează performanţe în acest sens, ceea ce este bine, nu pericol social sau economic. Dificultăţile demografice provin din false priorităţi şi dintr-o repartizare a resurselor insensibilă la viaţă, în care omul pare mijloc pentru creşterea economică, nu invers. Un om nu este doar o valoare utilă, forţă de muncă şi contribuitor la asigurările sociale. Nici reproducerea forţei de muncă nu poate fi necesitate socială, ci răspundere individuală. Precum tribul indian dispărut, politicienii ar trebui să se întrebe la orice decizie: e bun şi pentru copii?

În cele referitoare la studenţii părinţi, trebuie să ţinem cont de specificul lor, de suprasolicitarea cauzată de o multiplă obligaţie: studiu; muncă pentru a întreţine şi creşte un copil; lipsa de locuinţe adecvate; părinţi care nu pot ajuta pentru ca sunt la vârsta activă şi sunt ei înşişi sub exigenţa reconcilierii; instituţii de învăţământ conservatoare – o liceană însărcinată poate fi încă motiv de scandal şi exmatriculare –; anumite alocaţii nu sunt drept al copilului, ci drept derivat al celor care muncesc, excluzând studenţii; la vârsta studiilor numai un bărbat la patru femei doreşte un copil şi e devreme pentru reproducere artificială; feminizarea şi segregarea educaţională pe genuri face dificilă întemeierea unei familii în universitate.

Atingerea obiectivului „Barcelona” privind serviciile de îngrijire ale copilului este urgent necesară. Fără un avans rapid pentru o egalitate reală între femei şi bărbaţi... nu este şi suficientă, acolo unde familia poartă numele bărbatului, dar răspunde încă răspunderea femeii.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE).(EN) Signor Presidente, qual è il momento migliore per avere un figlio? Non c’è una risposta semplice a questa domanda, e le donne devono trovare un equilibrio tra la maternità e le esigenze di lavoro e di istruzione.

L’agenda di Lisbona è nota per il suo obiettivo di trasformare entro il 2010 l’Europa nell’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Si stima che in questo modo il tasso di occupazione complessiva nell’UE arriverebbe al 70 per cento e il tasso di occupazione femminile a oltre il 60 per cento entro il 2010.

Questo ha evidenti implicazioni per le donne e le decisioni su famiglia, lavoro e istruzione. Istruzione e formazione hanno evidenti benefici per gli individui e per la società nel suo insieme. Al tempo stesso, spesso le donne rimandano il momento di avere figli a causa delle esigenze di lavoro e di studio. Sono lieta che, nella sua recente comunicazione sulla conciliazione della vita professionale, privata e familiare, la Commissione abbia riconosciuto che la politica pubblica dovrebbe rivolgersi anche ai giovani, donne e uomini, che sono ancora impegnati nell’istruzione superiore.

Dobbiamo facilitare la conciliazione tra vita familiare e studio. Purtroppo, pochi paesi dell’Unione europea hanno una serie di misure sociali ed economiche per aiutare gli studenti che sono genitori. Gli studenti con responsabilità familiari affrontano considerevoli difficoltà nei corsi universitari e nella vita quotidiana. Hanno necessità specifiche, in particolare riguardo agli alloggi, ai servizi di custodia dei bambini e alla flessibilità dei corsi. Tale situazione colpisce particolarmente le donne, poiché è più probabile che rinuncino agli studi per gli impegni connessi alla cura dei figli. Questo crea svantaggi per le donne che dobbiamo affrontare.

Esorto i colleghi a sostenere la relazione.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE). – Potenţialul şi talentul femeilor nu trebuie irosit. Anul 2007 este anul egalităţii de şanse şi de aceea este imperios necesar să reconciliem viaţa de familie cu activitatea profesională prin flexicuritate, prin introducerea unei metode precum teleactivitatea şi, mai ales, să îmbunătăţim învăţarea continuă. În acelaşi timp, trebuie să fie dezvoltate facilităţi pentru îngrijirea copilului sub 3 ani, pentru cel puţin 90% din copiii cu această vârstă. Acestea trebuie să fie priorităţile noastre, dar mai ales ale miniştrilor însărcinaţi cu afaceri sociale şi protecţia familiei, în condiţiile în care, deşi 80,7% dintre tinerele cu vârste între 20 şi 24 de ani au absolvit liceul, femeile reprezintă doar 15% din persoanele ce deţin grade academice, şi doar 33% din cercetătorii europeni. Doar 28% din femeile cercetători ce lucrează în industrie au copii.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, sono lieto di constatare che la Commissione e il Parlamento condividono lo stesso parere sull’importanza di conciliare vita lavorativa e vita familiare, particolarmente nel contesto della promozione della parità tra uomini e donne. Questo è vero, come sottolinea l’iniziativa del Parlamento, prima e dopo l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.

E’ troppo presto per pensare al seguito da dare alla consultazione sulla conciliazione della vita professionale e familiare. Ora è il momento di ascoltare; il momento per giungere a una decisione deve ancora venire. La Commissione esaminerà il risultato della seconda fase della consultazione, i negoziati tra le parti sociali e una vasta valutazione dell’impatto. Deciderà poi se sarà necessario presentare proposte a completamento della legislazione esistente relativa alla conciliazione.

 
  
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  Presidente. – Grazie, signor Commissario.

La discussione è chiusa, la votazione si svolgerà a breve.

(La seduta, sospesa alle 12.00, riprende alle 12.05)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. GÉRARD ONESTA
Vicepresidente

 

7. Termine per la presentazione di emendamenti: vedasi processo verbale

8. Turno di votazioni
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati e ulteriori dettagli sulle votazioni: cfr. Processo verbale)

 

8.1. Protezione dei lavoratori dipendenti in caso di insolvenza del datore di lavoro (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Wallis (A6-0042/2007)

 

8.2. Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Wallis (A6-0043/2007)

 

8.3. Identificazione di comandi, spie e indicatori dei veicoli a motore a due o tre ruote (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Wallis (A6-0045/2007)

 

8.4. Protezione degli interessi dei consumatori: provvedimenti inibitori (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Wallis (A6-0046/2007)

 

8.5. Dispositivo di sterzo dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Wallis (A6-0047/2007)

 

8.6. Velocità massima e piattaforme di carico dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Wallis (A6-0048/2007)

 

8.7. Trattori agricoli o forestali (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Wallis (A6-0049/2007)

 

8.8. Campo di visione e tergicristalli dei trattori agricoli o forestali (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Wallis (A6-0050/2007)

 

8.9. Prescrizioni minime di sicurezza e salute per l’uso di attrezzature di lavoro (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Mayer (A6-0132/2007)

Prima della votazione

 
  
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  Hans-Peter Mayer (PPE-DE), relatore.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, in qualità di successore dell’onorevole Wallis nel ruolo di relatore per la codificazione, vorrei richiamare l’attenzione su un problema incontrato anche dalla collega. La procedura di codificazione è semplice e rapida. Si basa sull’accordo tra Consiglio, Parlamento e Commissione e permette di consolidare in un’unica legge atti giuridici che sono stati modificati più volte. I cambiamenti sostanziali sono espressamente esclusi dalla codificazione, ed è per questo che accolgo nella sostanza l’accordo in merito a una procedura rapida.

L’attento esame viene condotto dai servizi giuridici di Consiglio, Parlamento e Commissione, che confrontano con cura gli atti sottoposti a revisione. L’esito viene poi presentato alla commissione giuridica e al relatore.

Sono un sostenitore della semplificazione e del miglioramento della legislazione, ma con una riserva. In qualità di relatore, ricevo gli atti codificati insieme al risultato dell’esame dei servizi giuridici con un anticipo compreso tra una e tre settimane prima della votazione in seno alla commissione giuridica. E’ impossibile esaminare con attenzione un tal numero di atti in un lasso di tempo tanto breve. Dovrebbe però esistere la possibilità di condurre un esame attento, se poi si deve esprimere un voto a proprio nome al riguardo.

Pertanto vorrei chiedere che in futuro la versione codificata venga inviata contemporaneamente ai servizi giuridici e al relatore del Parlamento europeo. La semplicità della procedura non ne risentirebbe e la posizione del relatore ne risulterebbe decisamente rafforzata. Penso che sarebbe un vantaggio per l’intero Parlamento nonché per il relatore per la codificazione.

(Applausi)

 

8.10. Ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Mayer (A6-0167/2007)

 

8.11. Protezione dei lavoratori contro l’amianto (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Mayer (A6-0201/2007)

 

8.12. Garanzia della Comunità alla BEI a favore di progetti realizzati all’esterno della Comunità (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Wallis (A6-0040/2007)

 

8.13. Norme minime per la protezione dei suini (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Wallis (A6-0041/2007)

 

8.14. Animali riproduttori della specie bovina di razza pura (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Mayer (A6-0164/2007)

 

8.15. Marchio comunitario (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Mayer (A6-0165/2007)

 

8.16. Produzione e commercializzazione di uova da cova e pulcini di volatili da cortile (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Mayer (A6-0166/2007)

 

8.17. Controllo delle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di garanzia (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Mayer (A6-0168/2007)

 

8.18. Assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti (versione codificata) (votazione)
  

– Relazione Mayer (A6-0200/2007)

 

8.19. Accordo di partenariato São Tomé e Príncipe/CE nel settore della pesca (votazione)
  

– Relazione Capoulas Santos (A6-0231/2007)

 

8.20. Accordo di partenariato CE/Repubblica di Kiribati nel settore della pesca (votazione)
  

– Relazione Morillon (A6-0228/2007)

 

8.21. Richiesta di difesa dell’immunità e dei privilegi di Mario Borghezio (votazione)
  

– Relazione Gargani (A6-0233/2007)

 

8.22. Definizione, designazione, presentazione ed etichettatura delle bevande spiritose (votazione)
  

– Relazione Schnellhardt (A6-0035/2007)

 

8.23. Pellicce di gatto e di cane (votazione)
  

– Relazione Svensson (A6-0157/2007)

 

8.24. Elaborare una politica europea in materia di banda larga (votazione)
  

– Relazione Hökmark (A6-0193/2007)

 

8.25. Relazioni economiche e commerciali UE/Russia (votazione)
  

– Relazione Quisthoudt-Rowohl (A6-0206/2007)

Prima della votazione sull’emendamento n. 4

 
  
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  Gianluca Susta, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, a nome del nostro gruppo propongo che, accogliendo l’idea che vi siano anche “standard elevati di democrazia”, venga mantenuta la frase “e principi di libero mercato”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

Prima della votazione sull’emendamento n. 26

 
  
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  Godelieve Quisthoudt-Rowohl (PPE-DE), relatore.(DE) Signor Presidente, nell’emendamento n. 26, seconda parte, seconda frase, vorrei sostituire il termine “potrebbe” con “dovrebbe”. Tale modifica è stata concordata con il gruppo socialista al Parlamento europeo.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

 

8.26. Politica di concorrenza 2005 (votazione)
  

– Relazione Ferreira (A6-0176/2007)

Prima della votazione

 
  
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  Elisa Ferreira (PSE), relatore.(PT) Onorevoli colleghi, poiché problemi di trasporto imprevisti hanno impedito a me e ad altri deputati di partecipare al dibattito di ieri, vorrei cogliere l’occasione per ringraziare i relatori ombra per il clima di cooperazione e compromesso che ci ha permesso di raggiungere un ampio consenso.

Vorrei altresì ringraziare i servizi della Commissione, e in particolare il Commissario Kroes per l’apertura, l’interesse personale che ha dimostrato per l’argomento e la disponibilità al dialogo. Oggi è particolarmente importante che vi sia cooperazione tra le Istituzioni europee e che la partecipazione del Parlamento sia forte, in un momento in cui la politica di concorrenza europea incide su settori strategici quali l’energia e i servizi d’interesse economico generale, in cui abbraccia nuove aree quali l’ambiente e in cui gran parte della concorrenza è assurta a una dimensione mondiale.

Dobbiamo pertanto continuare a rinnovare la politica di concorrenza e mantenere alto lo spirito di cooperazione che si è manifestato durante il processo di elaborazione della relazione, nell’interesse dei cittadini europei.

 

8.27. Risultati della commissione d’inchiesta (votazione)
  

– Progetto di raccomandazione del Parlamento europeo (B6-0199/2007), autore: onorevole Wallis.

Prima della votazione

 
  
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  Diana Wallis (ALDE), relatore. (EN) Signor Presidente, questa volta si tratta di una vera e propria relazione, di una relazione che riassume 18 mesi di lavoro di una commissione d’inchiesta dell’Assemblea. Stamani, durante il dibattito, deputati di diversi gruppi si sono rivolti a me per dirmi che vorrebbero una votazione per appello nominale. Avremmo dovuto presentare ieri questa richiesta, ma, visto il numero di colleghi che mi hanno pregato di procedere in tal senso, mi domando se possiamo farlo ora.

 
  
  

(La richiesta è accolta)

 

8.28. Quadro regolamentare per misure di conciliazione della vita familiare e degli studi per le giovani donne nell’Unione europea (votazione)
  

– Relazione Panayotopoulos-Cassiotou (A6-0209/2007)

Prima della votazione sul paragrafo 24

 
  
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  Anna Hedh (PSE). (SV) Ho un emendamento orale alla seconda proposizione del paragrafo 24. Lo leggo in svedese: il Parlamento “invita inoltre gli Stati membri a includere il congedo di maternità e il congedo parentale durante un periodo di studi nel calcolo del tempo di lavoro complessivo delle donne/degli uomini e nel calcolo della loro pensione di anzianità, al fine di conseguire pienamente l’obiettivo di una reale uguaglianza tra uomini e donne”. Si dovrebbe dunque aggiungere l’espressione “degli uomini”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

Presidente. – Con questo si conclude il Turno di votazioni.

 

9. Dichiarazioni di voto
  

– Relazione Wallis (A6-0042/2007)

 
  
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  Véronique Mathieu (PPE-DE), per iscritto. – (FR) L’evoluzione del mondo del lavoro, la fragilità di settori come quello industriale, l’esplosione del settore dei servizi e la crescente mobilità della forza lavoro sono tutti fenomeni che obbligano il Parlamento europeo a operare a favore di una maggiore protezione dei lavoratori.

Già nel mese di dicembre, la relazione dell’onorevole Bachelot si proponeva di istituire un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione ed è dalla stessa volontà di tenere conto dei diritti dei lavoratori che nasce la direttiva sulla tutela dei lavoratori dipendenti in caso di insolvenza del datore di lavoro.

Ogni anno, migliaia di salariati sono privati del loro reddito, talvolta anche per mesi, a causa del fallimento dell’azienda per la quale lavorano, con una conseguente situazione di disagio.

Questa direttiva permetterà di codificare tutte le regole relative alla tutela dei lavoratori dipendenti in caso d’insolvenza del datore di lavoro e si applicherà a tutti i rapporti di lavoro, qualunque sia il tipo di contratto.

Il completamento del mercato interno, talvolta accusato a torto di rafforzare l’insicurezza sul mercato del lavoro, al contrario può sollecitare la definizione di una legislazione efficace e la creazione di un sistema di tutela dei lavoratori dipendenti. E questa relazione, che sostengo, ne è la prova.

 
  
  

– Relazione Mayer (A6-0132/2007)

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Sono molto lieto che abbiamo adottato la direttiva del Parlamento europeo relativa ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’uso delle attrezzature di lavoro.

La versione codificata è stata redatta con un sistema di elaborazione dati a partire dal testo consolidato della direttiva 89/655/CEE.

E’ molto importante che i datori di lavoro debbano prendere sempre le misure necessarie per garantire la sicurezza e la tutela della salute dei dipendenti, grazie ad attrezzature e a condizioni di lavoro adeguate.

In particolare i nuovi datori di lavoro talvolta sono propensi a concentrarsi maggiormente sull’utile netto, piuttosto che investire in attrezzature per la sicurezza o creare condizioni di lavoro adeguate; di conseguenza, la salute e talvolta anche la vita dei dipendenti possono essere a rischio. Ora i datori di lavoro hanno un chiaro quadro normativo da rispettare; per questo mi compiaccio dell’adozione di questo testo, che rafforza inequivocabilmente la tutela della salute e della sicurezza nel luogo di lavoro.

 
  
  

– Relazione Mayer (A6-0201/2007)

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Abbiamo adottato una proposta codificata basata sul testo consolidato preliminare della direttiva 83/477/CEE e successive modifiche.

Sono consapevole del fatto che il miglioramento della sicurezza, dell’igiene e della protezione della salute dei lavoratori prevede l’eliminazione dell’amianto e di tutti i materiali contenenti amianto dall’ambiente lavorativo, poiché questi materiali sono estremamente pericolosi per la salute umana, in quanto associati a effetti cancerogeni.

Dal consolidamento di questa direttiva emerge un testo vincolante che vieta l’utilizzo di amianto e materiali da esso derivati per lavori di costruzione, demolizione e riparazione e in generale migliorerà la situazione dei lavoratori esposti ad amianto. Mi compiaccio inoltre delle misure preventive studiate per proteggere la salute nel luogo di lavoro.

 
  
  

– Relazione Luis Manuel Capoulas Santos (A6-0231/2007)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La relazione in esame riguarda l’accordo nel settore della pesca con la Repubblica democratica di São Tomé e Príncipe in merito alle opportunità di pesca della Comunità per quattro anni, a partire dal giugno 2006. Ai sensi di questo accordo, il Portogallo detiene cinque licenze per la pesca del tonno con palangari di superficie.

Il nuovo accordo in esame prevede una riduzione complessiva del 32 per cento delle opportunità di pesca. Nel contempo, l’onere finanziario per gli armatori è aumentato – da 25 euro a 35 euro per tonnellata di pesce catturato – mentre l’onere finanziario per la Comunità si è ridotto dello stesso importo. Si tratta di misure che ci preoccupano seriamente, in vista del loro impatto sul settore.

A livello comunitario, queste condizioni significano accordi con opportunità di pesca sempre più limitate e oneri e responsabilità sempre maggiori per gli armatori. La questione dunque è in che modo tali accordi possano effettivamente contribuire al miglioramento della situazione economica nel settore della pesca nei vari Stati membri dell’UE.

Infine, abbiamo grosse riserve in merito all’emendamento n. 2 alla relazione, adottato dal Parlamento, che conferisce potere discrezionale alla Commissione per il ritiro di licenze in caso di mancata conformità ai requisiti. A nostro parere, deve restare in essere la procedura già in vigore per questo tipo di situazioni.

 
  
  

– Relazione Morillon (A6-0228/2007)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’accordo in esame definisce le opportunità di pesca della Comunità per i prossimi sei anni nelle acque di Kiribati, mantenendo sostanzialmente le stesse condizioni dell’accordo di pesca del maggio 2003. L’accordo, che si riferisce esclusivamente al tonno, mantiene lo stesso numero di licenze disponibili per la flotta portoghese, vale a dire sei licenze per palangari di superficie, così come la distribuzione dei finanziamenti, con un contributo del 35 per cento da parte degli armatori.

Tuttavia, è importante citare il cambiamento dell’ambito di riferimento: i vecchi accordi di pesca con paesi terzi, di natura commerciale, sono stati sostituiti dai nuovi accordi di partenariato, con protocolli sulla pesca, che effettivamente funzioneranno sempre di più come aiuti allo sviluppo.

Desidero rilevare, a questo proposito, che le opportunità di pesca sono in costante diminuzione, mentre gli oneri finanziari per le imbarcazioni aumentano e le norme sulla pesca diventano sempre più severe, per cui la maggior parte delle flotte non sarà in grado di trarre pieno vantaggio da queste opportunità. Inoltre, le aziende dei paesi dell’UE in questo settore talvolta trasferiscono la produzione. Si tratta di una serie di questioni che sollevano in noi riserve e preoccupazioni, e che dovrebbero essere studiate e valutate più attentamente quando gli accordi in esame saranno attuati.

 
  
  

– Relazione Schnellhardt (A6-0035/2007)

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, innanzi tutto desidero ringraziare nuovamente il relatore, l’onorevole Horst Schnellhardt, per aver negoziato un eccellente compromesso che oggi, grazie al cielo, ha ottenuto la necessaria maggioranza anche in Assemblea plenaria. A noi austriaci interessava in particolare la questione del Jagatee. Siamo riusciti, con i Ministri Pröll e Seehofer, a trovare in seno al Consiglio un compromesso che per noi è perfettamente praticabile. Anche gli amici tedeschi ora hanno una bevanda che possono produrre esclusivamente con il nome di Hüttentee. Credo che così la questione sia stata risolta nel miglior modo possibile e nella concordia generale.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE).(CS) Onorevoli colleghi, vorrei ringraziarvi per il fatto che qui in Parlamento cerchiamo di salvaguardare il patrimonio culturale dell’Europa. Nonostante le divisioni politiche, condividiamo l’obiettivo di garantire che le denominazioni tradizionali, tecniche o geografiche dei liquori siano accurate e che nessun altro prodotto possa utilizzare la stessa denominazione. Non stiamo solo salvaguardando la diversità culturale, ma tuteliamo anche i diritti dei consumatori. Ho votato affinché tutti i consumatori, ogniqualvolta ordinano un bicchiere di vodka, whisky, rum o slivovice ceco, possano essere certi di ricevere esattamente quello che vogliono bere.

Quindi ho votato a favore della possibilità di capire dalla formulazione sull’etichetta se si tratta o meno di un liquore tradizionale. Una bevanda prodotta dalle banane, ad esempio, piuttosto che da patate, cereali o melassa, non dovrebbe essere chiamata vodka alla banana, bensì bevanda alla banana o liquore alla banana. Forse non sarebbe così difficile difendere la vodka europea nell’OMC. I consumatori europei devono essere certi che quello che stanno acquistando è quello che hanno richiesto e non un’imitazione.

Allo stesso modo, per la Repubblica ceca è importante che l’etichettatura dello slivovice ceco, che tradizionalmente è distillato dalle prugne, non si possa utilizzare anche, ad esempio, per liquori distillati europei aromatizzati alla prugna grazie all’aggiunta di succo di prugna. Fidatevi, non si possono paragonare alle prugne distillate nello slivovice, e se qualcuno ha dei dubbi lo invito a venire nel mio paese ad assaggiarlo.

Chiedo che sia registrato il mio voto favorevole nell’ultima votazione nominale, perché la mia apparecchiatura purtroppo non funzionava.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, purtroppo la maggioranza dei deputati ha sostenuto una definizione più ampia di vodka. E’ la sconfitta di una tradizione secolare.

Il relatore e i deputati favorevoli alla definizione più ampia hanno sostenuto principi che porteranno alla produzione di vodka di qualità inferiore e gusto peggiore. A sua volta, questo potrebbe avere come conseguenza una vodka fabbricata con vari prodotti agricoli, compresi quelli di origine animale e i rifiuti post-produzione, pericolosi per la salute dei consumatori.

I prodotti come la vodka sono associati a determinate regioni del mondo, che spesso vantano una lunga tradizione nella loro fabbricazione. Si tratta di prodotti nazionali e non possiamo cercare di aggiustare le cose alla meglio introducendo definizioni ambigue, che è esattamente quello che abbiamo fatto oggi. Questa decisione è sbagliata.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Quando la Slovacchia ha aderito all’UE, ai produttori locali è stato chiesto di modificare la denominazione di bevande alcoliche e liquori. Pur non essendone eccessivamente entusiasti, i produttori si sono dimostrati disciplinati nel conformarsi alla richiesta di modifica. Il rum di loro produzione è diventato um; per mantenere la denominazione “rum” avrebbe dovuto essere prodotto con alcol distillato dalla canna da zucchero. Per motivi economici i produttori hanno preferito continuare ad utilizzare alcol distillato da cereali o melassa di barbabietola da zucchero. Questo è uno dei motivi per cui in Slovacchia invece del rum abbiamo l’um, un liquore aromatizzato al rum che la gente consuma per il suo sapore, che si è evoluto nell’arco di generazioni e non è cambiato dall’adesione all’UE.

Per questo capisco i colleghi di Polonia, Svezia, Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania; per questo ho firmato e votato a favore dell’emendamento che richiede una definizione rigorosa della vodka, che preveda cereali, patate e, potenzialmente, melassa di barbabietola da zucchero come le uniche materie prime accettabili. Non considero accettabile il compromesso dell’onorevole Schnellhardt perché, pur senza modificare l’etichettatura della vodka prodotta da cereali, patate o melassa, prevede per i prodotti derivati da altre materie prime la dicitura con la denominazione “vodka a base di…” seguita dal nome dell’ingrediente originale.

Si tratta di una questione semplice e le definizioni UE dovrebbero essere altrettanto semplici. Poiché l’emendamento non è stato adottato, mi sono astenuta dalla votazione sulla relazione dell’onorevole Schnellhardt.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE). (LT) Signor Presidente, vorrei parlare della relazione Schnellhardt. Non sono un’estimatrice della vodka, né desidero pubblicizzare il prodotto; tuttavia, credo che la soluzione di compromesso che abbiamo adottato oggi, come quella relativa alla definizione di vodka, sia un passo avanti. Ho votato a favore, benché il paese che rappresento, la Lituania, volesse una definizione molto più specifica.

A mio parere, le soluzioni che abbiamo adottato oggi non soddisfano pienamente le speranze dei consumatori e dei produttori di vodka della Comunità europea, in particolare della nostra regione. Tuttavia, ho votato a favore della proposta a patto che si trattasse di una soluzione di compromesso.

 
  
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  Andreas Mölzer (ITS).(DE) Signor Presidente, anch’io ho votato a favore della relazione dell’onorevole Schnellhardt, perché tutti i paesi – compreso il mio, l’Austria – hanno sviluppato le proprie specialità e bevande alcoliche, spesso regionali.

La questione del Jagatee è già stata citata. Per noi era molto importante perché a mio parere simili tradizioni, anche nel campo delle bevande alcoliche, appartengono all’identità nazionale di un paese.

La protezione dei metodi di produzione è anche una garanzia di elevata qualità e, naturalmente, una garanzia di protezione dei produttori e dei metodi di produzione consolidati. Il fatto che si sia posto fine alla cosiddetta “guerra della vodka” è stato per me un ulteriore motivo per votare a favore della relazione in esame.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il nuovo regolamento sulle bevande spiritose porterà maggiore chiarezza in merito alla definizione di questo genere di bevande e ai metodi utilizzati per produrle.

La relazione dell’onorevole Schnellhardt migliora la proposta della Commissione rendendola più chiara e includendo alcune bevande spiritose difficili da definire e altre che erano state omesse dalla proposta originale.

La relazione ha il nostro sostegno perché si tratta di un documento completo che comprende due bevande portoghesi inizialmente trascurate dalla Commissione, e precisamente rum da Madeira e poncha da Madeira.

Per quanto concerne la vodka, è stato deciso di votare per un emendamento che prevede un riferimento chiaro alle materie prime dalle quali viene prodotta quando non si utilizzano le materie prime tradizionali quali patate, cereali e melassa.

A nostro parere è una posizione corretta, perché promuove i valori della produzione originale tradizionale della vodka e perché è nell’interesse dei consumatori avere dei chiarimenti sui prodotti che consumano.

D’altro canto, si tratta anche di una posizione cautelativa, intesa a impedire che in futuro si presenti una situazione in cui vengano insidiate la produzione e la collocazione sul mercato, ad esempio, di una bevanda tradizionale portoghese.

Anche se questo emendamento non è stato adottato, noi appoggiamo la relazione. Si fa comunque riferimento, anche se meno chiaramente, alla materia prima utilizzata nella produzione di vodka.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Schnellhardt sulla proposta di un regolamento relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione e all’etichettatura delle bevande spiritose perché ritengo fondamentale che i consumatori non vengano ingannati. A mio parere è importante che i produttori trasmettano informazioni chiare sulla natura del prodotto al fine di garantire una maggiore trasparenza nel mercato.

Lo scopo di adottare un regolamento unico che riunisca i due regolamenti esistenti è quello di perseguire una politica ben definita per le bevande spiritose, adeguando la legislazione attuale ai nuovi requisiti tecnici definiti anche dall’Organizzazione mondiale del commercio.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La Commissione ha adottato questa proposta di un regolamento inteso ad aggiornare la legislazione comunitaria applicata alle bevande spiritose che comprende la definizione di criteri per riconoscere nuove indicazioni geografiche. La proposta ha inoltre lo scopo di fornire informazioni chiare ai consumatori sulla natura del prodotto e obbliga i produttori a trasmettere tutte le informazioni necessarie per garantire che il consumatore non venga tratto in inganno.

Questo è stato uno dei testi che hanno richiesto una serie di compromessi all’ultimo minuto tra i vari gruppi politici per arrivare a una proposta accettabile di regolamento relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione e all’etichettatura delle bevande spiritose.

Al centro della disputa c’era il significato del termine “vodka”. Alcuni affermavano che dovrebbe essere prodotta esclusivamente da cereali, patate e/o melassa di barbabietola da zucchero, mentre altri sostenevano che l’etichettatura avrebbe dovuto consentire ai consumatori di distinguere le materie prime utilizzate per la produzione.

Per quanto concerne il Portogallo, mi pare che non ci siano problemi in merito alle proposte contenute nel regolamento per quanto riguarda le indicazioni geografiche, che comprendono le varie forme di vino, acquaviti di vinaccia o pere, rum da Madeira, liquori di frutta di Algarve e Buçaco, ginjinha portoghese, liquore di Singeverga, anice portoghese e poncha da Madeira.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Voterò a favore della relazione in esame. Capisco la necessità di una maggiore armonizzazione delle norme relative alla vodka e al whisky. Tuttavia, nel contempo mi auguro che continueremo a prestare attenzione ai disagi dei piccoli produttori di “liquore di mele e di pere” del Regno Unito, che in passato hanno subito ingiuste discriminazioni.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di questa relazione intesa a promuovere l’applicabilità, la leggibilità e la chiarezza dell’etichettatura delle bevande spiritose.

Le bevande spiritose saranno dunque conformi ai nuovi requisiti tecnici, in particolare le regole e le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio.

L’obiettivo è quello di permettere ai produttori europei di bevande alcoliche di preservare l’indicazione d’origine geografica nel mercato mondiale.

Nel corso dei negoziati è stato possibile conservare la definizione di “rum agricolo”. Produttori e consumatori hanno approvato il compromesso, concernente in particolare i criteri di qualità. Nei dipartimenti d’oltremare francesi, la definizione di “rum agricolo” permette ai produttori di distinguersi dai concorrenti di paesi terzi. La denominazione “rum agricolo”, prodotto esclusivamente utilizzando succo di canna da zucchero, è una garanzia di qualità riconosciuta dai consumatori.

La soluzione individuata per la questione della vodka permette anche di preservare la denominazione “vodka tradizionale”, prodotta da cereali, patate o melassa, senza vietare la produzione effettuata utilizzando altri prodotti agricoli. In quest’ultimo caso, l’etichetta deve recare la dicitura “vodka a base di …”.

 
  
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  Jens Holm (GUE/NGL), per iscritto. (SV) Oggi ho votato contro la relazione dell’onorevole Schnellhardt nella votazione finale. Il punto di partenza è la situazione sociale in Europa, dove il consumo di alcol dev’essere ridotto. Occorre dare la massima priorità al miglioramento della salute pubblica. In questa situazione, è assurdo che il Parlamento europeo definisca la vodka e promuova quindi l’uso di una bevanda alcolica che è pericolosa per le persone se consumata in quantità consistenti.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) La battaglia della vodka si è combattuta a mezzogiorno in quest’Aula, durante il voto sulla revisione della legislazione sulle bevande spiritose, un voto nel quale il Parlamento europeo ha certamente dato prova di equità ma non di fermezza nella difesa del patrimonio enogastronomico.

Equità, perché il Parlamento europeo ha giustamente ritenuto che la vodka, bevanda alcolica tradizionalmente prodotta in Polonia, in Svezia, in Finlandia e negli Stati baltici, meriti la stessa tutela giuridica di altre bevande alcoliche a denominazione d’origine protetta, quali gin, whisky o cognac.

Confusione, perché i produttori che distillano la vodka in altro modo, senza utilizzare patate o cereali (pare che esistano dei fabbricanti in Italia, nel Regno Unito e addirittura in Belgio), potranno conservare la denominazione “vodka” per le loro bevande spiritose inserendo una semplice precisazione nell’etichetta.

In definitiva non sono i consumatori a risultare danneggiati in questa situazione, ma piuttosto una certa concezione del patrimonio culturale e delle tradizioni enogastronomiche fortemente radicate nelle nostre regioni e nei nostri territori. L’Europa deve pertanto stimolare vocazioni in queste filiere tradizionali e non far perdere le ultime illusioni ai produttori locali.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE), per iscritto.(SV) Oggi il Parlamento europeo ha votato sulla definizione di vodka. Il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, me compreso, aveva scelto all’inizio di votare a favore di una definizione ristretta di vodka, che dalla prospettiva dei paesi produttori dovrebbe contenere solo cereali e patate. Purtroppo, questo approccio rigoroso non è passato. In futuro sarà possibile utilizzare altre materie prime, come la vinaccia, per la produzione di vodka. E’ una formulazione che alla fine ho accettato, anche se non era la mia prima intenzione.

 
  
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  Marek Siwiec (PSE), per iscritto. – (PL) Il 19 giugno 2007 il Parlamento europeo ha votato sulla relazione dell’onorevole Horst Schnellhardt (PPE) che comprende, tra l’altro, la proposta di aggiornare la definizione piuttosto vaga di vodka in vigore dal 1989.

La definizione più recente di vodka, che compare nella relazione in esame ed è stata formulata dal Parlamento europeo in collaborazione con il Consiglio (sulla base di una proposta presentata dalla Presidenza tedesca) non è favorevole dal punto di vista dei paesi europei che sono considerati tradizionali produttori di vodka, in particolare la Polonia. Questa proposta permette infatti che la vodka venga prodotta da qualsiasi materia prima agricola, contrariamente alla tradizione e alla storia della produzione della vodka e alle richieste presentate dalla Polonia e dai paesi scandinavi.

Per questo motivo ho votato contro il compromesso elaborato dal Consiglio e dal Parlamento. Nel contempo, vorrei esprimere il mio sostegno per la riduzione dell’elenco delle materie prime per la produzione di questa bevanda, limitandolo esclusivamente a cereali, patate e barbabietola da zucchero.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) Mi hanno assicurato che il compromesso raggiunto non andrà a svantaggio del whisky scozzese. Quindi appoggio la relazione in esame.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto.(PL) Intendo votare contro la relazione dell’onorevole Schnellhardt sulla definizione, designazione, presentazione ed etichettatura delle bevande spiritose.

Una definizione ampia della vodka indubbiamente ne danneggia la reputazione, in quanto pone un rischio reale per la sua qualità. Inoltre, l’introduzione sul mercato di vodka non prodotta con gli ingredienti tradizionali, ma che beneficia della reputazione della vodka prodotta da cereali e patate, è fuorviante per i consumatori. Per quanto li riguarda, l’uso dell’etichetta “vodka” implica che si tratta di un prodotto affidabile e di alta qualità, realizzato utilizzando cereali e patate.

La delegazione polacca in seno al PSE ha fatto il possibile per garantire che la definizione della vodka rispettasse gli interessi polacchi e abbiamo sollecitato il rispetto delle ricette tradizionali e dei metodi regionali nella produzione di bevande spiritose. Tuttavia, la nostra posizione non ha ottenuto il sostegno della maggioranza parlamentare.

 
  
  

– Relazione Svensson (A6-0157/2007)

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Occorre creare uno strumento per standardizzare le norme applicabili al commercio sul mercato comunitario di pellicce di cane e di gatto e di prodotti che le contengono, e vietarne completamente l’utilizzo, l’importazione e l’esportazione nell’area comunitaria.

Questa esigenza non è dettata solo dalla considerazione etica che tali animali possono essere animali da compagnia, ma anche dalla necessità di garantire un livello adeguato di tutela e di rispetto per il benessere degli animali, ignorato dai metodi crudeli di allevamento e macellazione utilizzati.

Occorre ripristinare la fiducia dei consumatori e dei commercianti di pellicce europei, un obiettivo che si può raggiungere solo mediante una legislazione comune che vieti questo commercio, chiarendo gli obblighi di legge in tutti gli Stati membri per quanto concerne il divieto della vendita e distribuzione di pellicce di cane e gatto ed eliminando le barriere al regolare funzionamento del mercato interno nel settore delle pellicce nel suo complesso.

Tenendo presente il fatto che i cittadini europei si preoccupano per questo commercio illecito e immorale, ritengo che l’adozione da parte dell’Unione di una serie di misure pratiche in questo campo contribuirebbe ad avvicinare maggiormente i cittadini alle istituzioni europee.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Svensson perché ritengo che con la definizione di una serie di misure che vietano l’uso di pellicce di cane e gatto contribuiremo a mettere fine a questo commercio profondamente crudele.

Inoltre, credo che sia fondamentale stabilire metodi di analisi a livello comunitario per monitorare con efficacia l’origine delle pellicce di cane e gatto e vietarne l’importazione e l’esportazione da e verso il mercato europeo. Quindi non ha senso prevedere qualsivoglia genere di deroga intesa a creare esenzioni quando si tratta di collocare sul mercato queste pellicce.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Facendo seguito a un gran numero di petizioni e a diverse espressioni di preoccupazione da più parti, il presente regolamento propone di vietare la commercializzazione, l’importazione e l’esportazione da e verso la Comunità di pellicce di cane e gatto e dei prodotti che le contengono. Il divieto si sostituirebbe alle diverse misure attualmente in vigore in molti Stati membri al fine di proibire la produzione e/o la commercializzazione di pellicce di cane e di gatto. La proposta si prefigge altresì di garantire che le informazioni relative a nuovi metodi per identificare le pellicce di cane e gatto rispetto ad altri tipi di pelliccia siano messe a disposizione della Commissione e siano oggetto di scambio fra gli Stati membri.

La relatrice è decisamente favorevole alla proposta, pur sottolineando l’esigenza di eliminare in modo netto qualsiasi scappatoia giuridica che indebolisca il divieto di commercializzazione e importazione nella sua forma attuale, di rafforzare i controlli alle frontiere e di inasprire le sanzioni amministrative – e laddove possibile anche penali – da parte degli Stati membri al fine di creare un contesto realmente dissuasivo in grado di contrastare in modo certo questo commercio vergognoso e illegale.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore del divieto all’importazione nell’UE e all’esportazione dall’UE di pellicce di cane e di gatto (e di prodotti che le contengono) a partire dal 31 dicembre 2008. In questo caso è particolarmente importante che non si concedano deroghe e che il regolamento non contribuisca alla promozione del commercio di pellicce.

Respingo l’idea dell’obbligo di etichettatura, in quanto insufficiente e troppo costosa.

Inoltre, ho votato a favore di sanzioni penali concrete, quali confische e revoche di licenze, e mi auguro che gli Stati membri stabiliscano queste sanzioni e ne garantiscano l’applicazione. Occorre un regolare scambio di idee in merito all’attuazione del regolamento.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) Occorre un divieto totale alle importazioni di pellicce di gatto e cane nell’UE. Per questo motivo non posso approvare le deroghe suggerite dalla Commissione, mentre do il mio pieno sostegno alla relazione.

 
  
  

– Relazione Hökmark (A6-0193/2007)

 
  
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  Liam Aylward, Brian Crowley, Seán Ó Neachtain e Eoin Ryan (UEN), per iscritto. – (EN) Accogliamo con favore la relazione dell’onorevole Hökmark sulla “banda larga”. Abbiamo sostenuto gli emendamenti che richiamano l’attenzione sulla necessità che le autorità pubbliche facciano il possibile per garantire ai cittadini l’accesso alla banda larga. I vantaggi della banda larga devono essere estesi a tutti i settori della popolazione europea, ivi compresa l’Irlanda. Siamo convinti che le autorità pubbliche svolgano un ruolo cruciale nel garantire e nell’accelerare l’utilizzo della banda larga e l’accesso alla stessa nelle regioni economicamente meno sviluppate, dove sarebbe più difficile creare infrastrutture TIC disponibili a un costo abbordabile e di livello sufficiente a fornire i servizi necessari, in particolare nei distretti rurali. L’accesso generalizzato alla banda larga è un requisito essenziale per lo sviluppo sociale ed economico e la coesione, nonché per il miglioramento dei servizi pubblici. I vantaggi della banda larga non dovrebbero essere riservati a pochi, e l’“esclusione informatica” andrebbe evitata a ogni costo.

 
  
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  Bernadette Bourzai (PSE), per iscritto. – (FR) Mi dispiace che la relazione dell’onorevole Hökmark non abbia tenuto conto dei numerosi suggerimenti della commissione per lo sviluppo regionale, di cui sono relatrice.

In questo modo, passa in secondo piano la preoccupazione della Commissione europea che “nonostante l’aumento generale delle connessioni a banda larga, l’accesso nelle regioni remote e rurali è limitato a causa del costo elevato in rapporto alla scarsa densità della popolazione e alla distanza”, e dunque la ricerca di soluzioni.

Dobbiamo riconoscere che in determinati territori dell’UE – zone isolate e rurali e nuovi Stati membri – esistono difficoltà nel mercato che giustificano l’intervento dei poteri pubblici e in particolare delle autorità locali e regionali grazie ai Fondi strutturali. Ne ho avuto esperienza nella regione del Limousin, con il progetto DORSAL. Dunque, sono soddisfatta per l’adozione dei due emendamenti socialisti che ristabiliscono la realtà dei fatti, perché in effetti è in queste zone remote che le TIC sono più necessarie e utili, in quanto permettono di garantire che le distanze non rappresentino più un ostacolo, agevolando le relazioni tra utenti e servizi, clienti e fornitori, cittadini e istituzioni pubbliche, come pure di ridurre i costi e i tempi previsti nelle prestazioni dei servizi.

 
  
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  Brigitte Douay (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Hörkmark sulla messa a punto di una politica europea in materia di banda larga, perché è molto importante incoraggiare le iniziative che favoriscono l’accesso di tutti a Internet e, in generale, alla conoscenza.

Conformemente agli obiettivi di Lisbona, è essenziale sviluppare le tecnologie dell’informazione e tra queste la banda larga. Anche se l’accesso alle nuove tecnologie nelle regioni più isolate è un obiettivo al quale l’Unione europea deve dedicarsi, occorre comunque tenere conto anche delle persistenti disparità all’interno di una stessa regione in materia di nuove tecnologie. Esistono ancora numerosi villaggi che, troppo lontani dai centri urbani, non dispongono sempre dell’accesso a Internet, oppure hanno ma un accesso troppo lento che non permette connessioni soddisfacenti, benché la regione cui appartengono sia globalmente ben servita.

Nello spirito di coesione, si dovrebbe tenere conto maggiormente di queste disparità infraregionali al fine di combattere il divario digitale.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto.(SV) Nella sua dichiarazione esplicativa sulla relazione, il relatore presenta due argomenti contraddittori. Da un lato, afferma che non è compito dell’UE finanziare lo sviluppo della banda larga. Dall’altro, sostiene che le politiche dell’UE devono favorire un ritmo d’innovazione più rapido in questo settore, per fare dell’Europa il mercato più dinamico del mondo.

L’idea di condurre una politica per la banda larga a livello UE con le risorse generali è di per sé insostenibile. Che cosa accadrebbe se questa politica dovesse fallire, com’è capitato con la strategia di Lisbona?

Innanzi tutto, la Lista di giugno ritiene che lo sviluppo della banda larga sia compito del mercato. Sono gli attori sul mercato che attraverso lo sviluppo tecnologico nel quadro della libera concorrenza devono garantire che si crei una domanda per i loro servizi. In secondo luogo, la Lista di giugno ritiene che gli obiettivi politici in quest’area debbano essere formulati e attuati a livello nazionale, nel quadro della concorrenza istituzionale, al fine di elaborare soluzioni costruttive per incoraggiare lo sviluppo della banda larga.

Quindi, la Lista di giugno vota contro la relazione nel suo complesso.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Accogliamo con favore l’adozione del nostro emendamento inteso a considerare che “l’accesso generalizzato alla banda larga è un presupposto essenziale per lo sviluppo sociale e il miglioramento dei servizi pubblici e che le autorità pubbliche dovrebbero fare il possibile per garantire che tutti i cittadini abbiano accesso alla banda larga, consentendo così di estenderne i vantaggi a tutte le fasce della popolazione, in particolare nelle aree meno sviluppate dell’Unione.” Tuttavia, siamo delusi perché sono stati respinti altri emendamenti da noi presentati, tra cui:

– “considerando che alcune zone di regioni ultraperiferiche e fortemente frammentate dal punto di vista geografico non hanno ancora accesso a infrastrutture TIC fondamentali quali l’accesso a Internet a banda larga; questo vale, ad esempio, per il gruppo delle Azzorre occidentali (Flores e Corvo), che deve subire maggiori limitazioni a causa della sua lontananza e pertanto è penalizzato due volte”,

– e “ritiene necessario tenere conto delle differenze tra singole regioni ultraperiferiche, come ad esempio le limitazioni imposte dalla frammentazione geografica del genere esistente nelle Azzorre e nelle Isole Canarie, che implica la necessità di garantire il diritto di accedere a infrastrutture TIC essenziali quali l’accesso a Internet a banda larga in tutte le zone delle regioni ultraperiferiche e a tutti i loro abitanti.”

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. (PL) Voto a favore della relazione dell’onorevole Gunnar Hökmark sulla messa a punto di una politica europea in materia di banda larga [2006/2273(INI)].

Il relatore sottolinea giustamente che lo sviluppo di connessioni Internet a banda larga contribuirà alla creazione di sistemi sanitari avanzati e globali, nonché a un migliore accesso alla formazione professionale e ai servizi amministrativi statali. Fornendo a 500 milioni di cittadini europei il collegamento a banda larga, l’Europa avrà l’opportunità di diventare la principale economia basata sulla conoscenza a livello mondiale. Appoggio pienamente l’appello rivolto agli Stati membri di promuovere la banda larga in tutte le scuole, le università e le istituzioni scolastiche.

Ritengo che il miglioramento delle infrastrutture della banda larga dovrebbe essere una priorità e che occorra stanziare un ammontare consistente di risorse a questo fine. Inoltre, sono convinto che i fondi dell’Unione europea dovrebbero essere utilizzati per ammodernare o sostituire reti a banda larga che non forniscono accesso per un sufficiente volume di traffico.

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Il dinamismo delle economie regionali dipende fortemente dal livello di sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, tra cui l’accesso a Internet mediante la connessione a banda larga ad alta velocità.

L’Unione europea deve svolgere indiscutibilmente un ruolo rilevante nella promozione, presso i suoi Stati membri e le sue regioni, della lotta contro il “divario digitale”, per ridurre il divario che separa i singoli, le imprese e i territori in termini di accesso alla società della conoscenza. Gli aiuti pubblici, erogati nel quadro di partenariati pubblico-privati, devono raggiungere in via prioritaria le zone mal servite.

Le connessioni senza fili e le comunicazioni cellulari e satellitari possono portare la banda larga in zone tradizionalmente escluse dalle reti fisse, offrendo altresì soluzioni interessanti e a buon mercato per le popolazioni che vivono in territori isolati o difficilmente accessibili, quali le regioni insulari, di montagna e, naturalmente, ultraperiferiche.

Nelle regioni ultraperiferiche queste tecnologie sono ancora più utili che altrove, in quanto permettono di garantire che le distanze non rappresentino più un ostacolo e di ridurre i costi e i ritardi, facilitando le relazioni tra utenti e prestatori di servizi, clienti e fornitori o ancora tra cittadini e autorità pubbliche.

 
  
  

– Relazione Quisthoudt-Rowohl (A6-0206/2007)

 
  
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  Andreas Mölzer (ITS).(DE) Signor Presidente, ci siamo astenuti dalla votazione sulla relazione dell’onorevole Quisthoudt-Rowohl, benché naturalmente vediamo con favore il fatto che gli scambi commerciali tra Russia e Unione europea lo scorso anno siano aumentati del 20 per cento e singoli Stati membri collaborino più strettamente con la Russia, ad esempio nel settore del petrolio e del gas. Si dovrebbe perseguire un miglioramento della collaborazione in generale, anche se l’attenzione di entrambe le parti dovrebbe rivolgersi in particolare alla soluzione della questione dell’embargo sulla carne. Innanzi tutto, è indispensabile confutare immediatamente le accuse russe di scarsa qualità e contrabbando di carne, per creare i presupposti per i negoziati in vista dell’accordo sul partenariato strategico in scadenza a fine anno.

Le forniture di energia vengono certamente utilizzate come arma strategica e politica, come ci dovrebbe risultare evidente dal conflitto tra Russia e Ucraina, se non era già sufficientemente chiaro. A questo proposito, noi europei dovremmo cominciare a riflettere su una linea unitaria e su una strategia politica per tenere testa alla Russia con una posizione chiara, nel caso prevedibile che simili situazioni si ripetano. Comunque, non dovremmo dimenticare che la nostra dipendenza è reciproca e che il nostro obiettivo dev’essere quello di costruire un asse sostenibile tra Europa e Russia, che a mio parere non dovrebbe valere solo per le relazioni commerciali.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) A mio parere, agli operatori di servizi con tecnologia a banda larga dovrebbe essere imposto l’obbligo di fornire un servizio pubblico. Poiché vivo in un villaggio nel Gloucestershire e ho avuto accesso alla banda larga solo negli ultimi dodici mesi, conosco le conseguenze economiche dell’esclusione. Capisco che l’installazione della banda larga debba partire dalle regioni più popolose e accessibili, ma non dovrebbe interrompersi finché non arriva a coprire oltre il 99 per cento della popolazione. Non si può consentire ai fornitori di servizi di scegliersi le zone dove operare senza che questo comporti conseguenze negative per le regioni periferiche e le loro economie. Voterò a favore della relazione perché va molto avanti nella direzione giusta, fin quasi a raggiungere la mia destinazione finale.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa relazione rispecchia l’attuale clima di contraddizioni intercapitalistiche tra le maggiori potenze dell’UE e la Russia. La relazione propone la linea dell’intervento in Russia – dimostrando di non essere nient’altro che una guida alla politica neoliberale – al fine di indurre la Russia ad assecondare gli interessi e le ambizioni dei maggiori gruppi economici e finanziari nell’UE.

Prendiamo, ad esempio, la critica significativa della “proposta di legge introdotta di recente nella Federazione russa, che autorizza il governo a respingere le offerte straniere di acquisto di partecipazioni di maggioranza di società russe, vietando in tal modo le partecipazioni estere superiori al 49 per cento in società attive in 39 settori strategici”. La maggioranza nel Parlamento “si interroga su tale scelta e sul numero crescente di settori classificati come strategici ed essenziali per la sicurezza nazionale” in Russia.

Inoltre, forse perché risultavano troppo evidenti le reali intenzioni della relazione, è stato eliminato il seguente paragrafo: “ritiene che tale proposta non rappresenti un’azione volta a migliorare il clima per gli investimenti e sollevi questioni fondamentali concernenti il ruolo dello Stato nell’economia di mercato e la concorrenza in settori chiave dell’economia; ritiene che, in Russia come in altri paesi, sia il mercato a poter meglio determinare la questione dell’assetto della proprietà societaria”.

Occorre forse dire qualcos’altro?

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’importanza della Russia per l’UE si basa su una combinazione di fattori quali la sua geografia, le sue dimensioni, la sua posizione strategica, la sua importanza in termini di approvvigionamento energetico, nello specifico in quanto alternativa alle fonti di energia ubicate in Medio Oriente, i ricordi particolarmente freschi nella maggior parte degli Stati membri che hanno aderito all’UE negli ultimi due round di allargamento, il commercio, e naturalmente, il suo ruolo nelle relazioni internazionali. Riguardo a tutti questi fattori occorre essere realistici. Ma il realismo non dev’essere confuso con il fatto di ignorare le difficoltà né con l’assenza di un quadro di valori. Benché si siano registrati dei miglioramenti in alcune aree, la Russia di oggi è ben lontana dall’essere una democrazia libera e aperta che rispetta pienamente i diritti umani.

Plaudo dunque al modo in cui l’UE è riuscita a parlare con una sola voce al recente Vertice UE-Russia, sollevando una serie di preoccupazioni e di interessi degli Stati membri. Benché i risultati ottenuti non siano ideali, è preferibile un approccio come questo, un approccio che riconosca la molteplicità degli interessi europei, che li rappresenti e che rimanga fedele al suo quadro di valori.

 
  
  

– Relazione Ferreira (A6-0176/2007)

 
  
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  Eoin Ryan (UEN).(EN) Signor Presidente, il voto di oggi sulla relazione dell’onorevole Ferreira è un’ulteriore dimostrazione dell’incessante attacco ai paesi europei che applicano regimi agevolati di tassazione delle persone giuridiche. L’introduzione di una base imponibile consolidata comune per le società avrà come conseguenza una maggiore distribuzione di introiti derivanti dalla tassazione delle imprese ai ministeri delle Finanze degli Stati membri più grandi, a spese di altri. Anche se otto o più paesi concordassero una base imponibile consolidata comune per le società, questa a sua volta avrebbe l’effetto di invalidare i trattati fiscali bilaterali vigenti con gli Stati membri che scelgono di partecipare ad un accordo di questo tipo.

Alcuni Stati membri stanno già prendendo provvedimenti affinché le società siano soggette a imposizione nel paese dove vendono i loro prodotti. Questa sarebbe una notizia molto brutta da una prospettiva irlandese, perché molte delle grandi aziende in Irlanda producono esclusivamente beni e servizi nuovi che vengono venduti negli Stati membri più grandi dell’UE. Non devono esserci dubbi – in particolare dopo i recenti commenti molto ostili e negativi del ministro delle Finanze tedesco – sul fatto che l’Irlanda e altri paesi che applicano regimi fiscali agevolati alle imprese devono combattere una vera battaglia per mantenere in essere questa struttura fiscale favorevole alle imprese, che ha consentito di mantenere elevato il tasso di occupazione e basso quello di disoccupazione, ed è stata uno dei pilastri di un’economia di successo.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Ho votato contro la relazione dell’onorevole Ferreira perché al punto 13 la relatrice propone l’introduzione di una base imponibile consolidata per tutta l’UE. A mio parere, una base imponibile consolidata è il primo passo verso il consolidamento delle aliquote dell’imposta sui redditi societari, con implicazioni negative dovute alla diminuzione delle pressioni competitive cui sono esposti gli Stati membri.

A mio parere, la concorrenza è necessaria poiché induce gli Stati a introdurre le opportune riforme. Il mio paese, la Slovacchia, sta vivendo un boom economico grazie alle numerose riforme attuate dal precedente Primo Ministro Mikuláš Dzurinda. La Slovacchia è un esempio di come norme semplici, trasparenti, neutrali generino maggiori introiti per il governo. Il gettito fiscale non dipende semplicemente dalle aliquote fiscali, ma innanzi tutto da un’ampia base imponibile e dal numero di esenzioni, agevolazioni, regimi speciali, eccetera. Per questo motivo mi oppongo fermamente a qualsiasi armonizzazione dell’imposta sui redditi societari.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il Parlamento tende ad utilizzare le relazioni settoriali annuali, in questo caso la relazione sulla politica di concorrenza 2005, per presentare le sue posizioni massimaliste. Questa volta lo fa in relazione all’idea di attuare la liberalizzazione dell’intero settore energetico entro il 1o luglio 2007, in relazione all’armonizzazione della tassazione delle imprese (con una base imponibile consolidata comune per le società) e in relazione alla riduzione e al controllo degli aiuti di Stato, una caratteristica distintiva della politica di concorrenza dell’UE. Inoltre, si propone di modificare le norme sulla concorrenza quando bloccano la concentrazione e l’accentramento del capitale. Tutto questo nel nome della neoliberale agenda di Lisbona. Pertanto, noi votiamo contro.

Vale la pena di mettere in evidenza due punti in particolare. Primo, desideriamo ribadire la nostra opposizione a cambiamenti di strategia in relazione alle fusioni e all’impatto della concorrenza. Questi cambiamenti sono intesi a incoraggiare multinazionali europee ancora più grandi a competere a livello mondiale, invece di valutare l’impatto della concentrazione di imprese nei mercati nazionali, mentre si continuano a criticare i “monopoli” e le autorità pubbliche. Il valore di fusioni e acquisizioni è triplicato dal 2003. Secondo, c’è stato un tentativo dissimulato di applicare le norme sulla concorrenza ai servizi di interesse generale.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro il paragrafo 13 e contro la relazione sulla politica di concorrenza 2005 nel suo complesso. Mi oppongo all’introduzione di una base imponibile consolidata comune per le società, in quanto ritengo che sarebbe un primo passo verso l’armonizzazione fiscale.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La politica di concorrenza dell’Unione riveste un’importanza cruciale in un’economia di mercato aperta.

Le misure in materia di equo commercio di beni e servizi, quali le riduzioni dei prezzi, la maggiore qualità, la scelta per i consumatori e l’importante sviluppo dell’innovazione tecnologica, sono presupposti fondamentali per trarre il massimo vantaggio dall’apertura dei mercati.

Oggi abbiamo votato per una maggiore chiarezza delle regole di concorrenza e una maggiore certezza legale, affinché si possa trarre il massimo vantaggio da tutte le misure prese per migliorare l’efficacia, la trasparenza e la coerenza di questa politica. L’impostazione attuale tende ad andare al di là di una prospettiva puramente formale per quanto concerne le norme sulla concorrenza, affinché possiamo valutare meglio gli effetti reali o potenziali di determinate prassi o di cambiamenti strutturali nelle società. Il decentramento è un’ulteriore tendenza positiva a questo proposito. Quindi ho votato a favore della relazione dell’onorevole Ferreira.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. – (EN) L’EPLP ritiene che l’impostazione generale della relatrice sia giusta. Tuttavia, sulla questione della base imponibile consolidata comune per le società, l’EPLP è da tempo dell’opinione che si tratti di un caso di sovranità nazionale. Quindi abbiamo votato contro la seconda parte del paragrafo 13.

 
  
  

– Relazione Wallis (A6-0203/2007)

 
  
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  Godfrey Bloom (IND/DEM), per iscritto. – (EN) L’UKIP si rifiuta di sostenere la raccomandazione dell’inchiesta sulla Equitable Life per una serie di motivi. In primo luogo, le raccomandazioni comprendono una politica di regolamentazione comune di concezione analoga alla politica agricola comune e alla politica comune della pesca, che si sono dimostrate disastrose.

Inoltre, una raccomandazione prevede che i contribuenti dovrebbero risarcire i titolari di polizze Equitable Life ma non i titolari di polizze dell’Istituto di previdenza nazionale né gli aderenti a piani pensionistici istituzionali falliti, i cui argomenti non sono meno convincenti.

 
  
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  Michael Cashman e Peter Skinner (PSE), per iscritto. – (EN) La delegazione del partito laburista al Parlamento europeo ha appoggiato l’istituzione di questa commissione perché riteneva che il Parlamento potesse cogliere l’opportunità di fornire chiarimenti e trarre insegnamenti dalla crisi di Equitable Life e dare una voce alle vittime. La relazione omette diversi fatti relativi alla crisi e alle sue conseguenze, per cui il risultato finale non è equilibrato. Inoltre, la relazione è stata utilizzata dai partiti di opposizione per attaccare il governo laburista e ingannare i titolari di polizze creando false aspettative.

Questo voto è sulla raccomandazione di adottare le conclusioni della relazione e non sulla relazione stessa; dopo il voto della commissione non ci sono state ulteriori opportunità di modificare né di migliorare il testo. Quindi l’EPLP si astiene.

 
  
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  Derek Roland Clark (IND/DEM), per iscritto. – (EN) L’UKIP si rifiuta di sostenere la raccomandazione dell’inchiesta sulla Equitable Life per una serie di motivi. In primo luogo, le raccomandazioni comprendono una politica di regolamentazione comune di concezione analoga alla politica agricola comune e alla politica comune della pesca, che si sono dimostrate disastrose.

Inoltre, una raccomandazione prevede che i contribuenti dovrebbero risarcire i titolari di polizze Equitable Life ma non i titolari di polizze dell’Istituto di previdenza nazionale né gli aderenti a piani pensionistici istituzionali falliti, i cui argomenti non sono meno convincenti.

 
  
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  Bert Doorn (PPE-DE), per iscritto. – (NL) In quanto membro della commissione d’inchiesta, ho considerato gli aspetti qualitativi della legislazione.

La commissione d’inchiesta ha concluso che, pur monitorando la trasposizione formale, la Commissione non controlla a sufficienza l’applicazione. La legislazione viene recepita correttamente e in modo tale da garantire che la sua applicazione sia conforme agli obiettivi della legislazione europea?

Anche noi, in quanto membri del Parlamento europeo, dovremmo controllare in misura molto maggiore come viene applicata la legislazione negli Stati membri, una volta che l’abbiamo approvata. A mio parere, il relatore responsabile dovrebbe monitorare che cosa accade successivamente negli Stati membri e suonare un campanello d’allarme quando le cose non vanno bene e, se necessario, invitare la Commissione a prendere provvedimenti. Consiglierei anche di includere i parlamenti nazionali.

La cooperazione strutturata tra gli Stati membri relativamente agli organi di supervisione nazionali lascia molto a desiderare. Non si tratta solo della supervisione nel campo dei mercati finanziari, ma anche in tutti gli altri campi. Negli Stati membri, il numero di supervisori indipendenti è in crescita. Ma il problema è: chi sorveglia questi supervisori? E chi supervisiona la qualità della cooperazione transfrontaliera tra supervisori? Non è su questo punto che la Commissione europea potrebbe svolgere un ruolo sostanziale?

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Mi asterrò dal voto su questa relazione. Quando è stata istituita la commissione d’inchiesta, pensavo che sarebbe stata un’occasione importante per trarre validi insegnamenti dal “quasi crollo” della Equitable Life e fornire qualche spiegazione a coloro che ne sono state le vittime. Il problema è che la relazione delude, con peccati di omissione e commissione. Crea false aspettative e speranze nei titolari delle polizze ed è stata utilizzata in un modo manifestamente politico per attaccare il governo. Trattandosi di una relazione di una commissione d’inchiesta, dove il nostro Regolamento non prevede la possibilità di presentare emendamenti, in tutta coscienza non posso votare a favore della relazione.

 
  
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  Jeffrey Titford (IND/DEM), per iscritto. – (EN) L’UKIP si rifiuta di sostenere la raccomandazione dell’inchiesta sulla Equitable Life per una serie di motivi. In primo luogo, le raccomandazioni comprendono una politica di regolamentazione comune di concezione analoga alla politica agricola comune e alla politica comune della pesca, che si sono dimostrate disastrose.

Inoltre, una raccomandazione prevede che i contribuenti dovrebbero risarcire i titolari di polizze Equitable Life ma non i titolari di polizze dell’Istituto di previdenza nazionale né gli aderenti a piani pensionistici istituzionali falliti, i cui argomenti non sono meno convincenti.

 
  
  

– Relazione Panayotopoulos-Cassiotou (A6-0209/2007)

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE), relatore. (EL) Signor Presidente, vorrei sottolineare la mia opposizione agli emendamenti 7 e 8. Il voto non è stato controllato e desidero esprimere la mia opposizione, perché il loro contenuto non è pertinente in quanto riguarda il principio di sussidiarietà. Personalmente ritengo che il riferimento a eccezioni indebolisca il principio della parità di trattamento.

Mi auguro che la relazione dia buoni risultati e sia di aiuto a tutti, senza eccezioni.

 
  
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  Alexander Lambsdorff (ALDE).(DE) Signor Presidente, per i deputati del partito liberal-democratico tedesco la relazione dell’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou tratta un tema molto importante, ossia le misure che consentono di conciliare la vita familiare con gli studi. Abbiamo partecipato alla votazione per esprimere la nostra solidarietà ai colleghi che vi hanno lavorato.

Ciononostante, vorrei sottolineare a nome dei miei colleghi che a nostro parere si tratta di un tema che si può affrontare esclusivamente a livello nazionale, non di una materia di cui dovrebbe occuparsi l’Unione europea. Di conseguenza, il Parlamento europeo dovrebbe cogliere l’opportunità presentata da questa relazione per verificare con maggior rigore quali tematiche sono di nostra competenza e quali invece dovrebbero essere lasciate alla competenza degli Stati nazionali.

 
  
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  Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto.(SV) Il livello di istruzione delle persone è cruciale per il loro sviluppo personale e per la crescita e l’innovazione in Europa. Anche l’opportunità per gli studenti di avere una famiglia è molto significativa da una prospettiva di uguaglianza. E’ dunque importante che gli Stati membri dell’UE investano maggiormente nella creazione di condizioni favorevoli per consentire alle persone di studiare e nel contempo di avere una famiglia. Alla luce di questa considerazione, abbiamo scelto di votare a favore della relazione, sebbene la maggior parte dei temi affrontati siano di competenza nazionale, regionale e locale, piuttosto che europea.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La relazione in esame sottolinea l’importanza per tutti i giovani, uomini e donne, di un’istruzione e di una formazione di alta qualità, adeguata alle nuove esigenze del mercato, nonché di un costante aggiornamento delle conoscenze per essere in grado di entrare nel mercato del lavoro e fare progressi durevoli.

Il livello di istruzione è un fattore essenziale per la capacità di crescita e di innovazione di una società. Secondo l’OCSE, l’aggiunta di un anno al periodo medio dedicato all’istruzione aumenta il tasso di crescita del 5 per cento circa con effetto immediato e del 2,5 per cento circa nel lungo termine. Nei paesi con un livello superiore di studi, la disuguaglianza sociale è inferiore: una sfida importante per il Portogallo, il paese con il tasso più elevato di disuguaglianza e il più basso livello di istruzione e formazione nell’UE.

In generale, a un più alto livello di istruzione corrisponde un livello di occupazione superiore. Considerando la popolazione complessiva nell’arco di età dai 25 ai 64 anni, il tasso di occupazione delle persone con diplomi di istruzione superiore era dell’84 per cento nel 2001, vale a dire all’incirca 15 punti percentuali in più rispetto alla media delle persone di tutti i livelli di istruzione e quasi 30 punti percentuali in più rispetto a coloro che non erano andati oltre il diploma di scuola secondaria inferiore.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. (PL) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou su un quadro regolamentare per misure di conciliazione della vita familiare e degli studi per le giovani donne nell’Unione europea [2006/2276(INI)].

Gli Stati membri dovrebbero dedicare maggiore attenzione alla situazione famigliare dei giovani, donne e uomini. La relazione sottolinea l’esigenza di un quadro di politiche che forniscano maggiore sostegno ai giovani affinché possano studiare e mantenere una famiglia senza dover dare la priorità a uno di questi obiettivi.

La relatrice suggerisce che le aspettative dei giovani che studiano e hanno una famiglia dovrebbero essere maggiormente considerate in termini di sistemi educativi e strutture sociali. Si potrebbero offrire assicurazioni agevolate per studenti, nonché un’assistenza sociale e sanitaria che potrebbe essere estesa alle persone a carico degli studenti. Altre misure potrebbero comprendere la riduzione dell’onere fiscale o l’esenzione per gli studenti con famiglie a carico.

In qualità di docente universitario, penso che l’appello della relazione agli Stati membri per una collaborazione con gli istituti di istruzione superiore e di formazione professionale al fine di creare un contesto più flessibile per lo studio, che tragga vantaggio dalle nuove tecnologie nel campo dell’istruzione, meriti tutto il nostro sostegno.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) L’equilibrio tra vita lavorativa e familiare e tra vita professionale, studi e vita familiare è essenziale per una forza lavoro sana e felice. In tutta l’UE occorre fornire maggiore sostegno alle giovani donne che studiano e hanno la responsabilità di accudire dei figli.

 

10. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 12.55, riprende alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. POETTERING
Presidente

 

11. Composizione del Parlamento
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, le autorità irlandesi competenti mi hanno comunicato che, con effetto da oggi, 19 giugno 2007, l’onorevole Colm Burke è stato nominato deputato al Parlamento europeo in sostituzione dell’onorevole Simon Coveney. Vorrei dare all’onorevole Burke un caloroso benvenuto in seno al Parlamento europeo. Le auguriamo che il suo lavoro le dia grandi soddisfazioni.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, vorrei unirmi a lei nel dare il benvenuto in Aula all’onorevole Colm, che sostituisce il collega Simon Coveney, eletto al parlamento irlandese. Colgo l’occasione per porgere a Simon i miei migliori auguri per il suo futuro nella politica nazionale. Abbiamo un ottimo sostituto in Colm Burke, che proviene dal collegio elettorale di Simon di Cork South.

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, onorevole Doyle. Con i suoi auguri sarà un successo!

 
  
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  Presidente. – Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, del Regolamento, fino a quando i suoi titoli non saranno stati verificati o non ci sia stato un pronunciamento in merito a eventuali contestazioni, e a patto che abbia reso una dichiarazione scritta in cui afferma che non detiene incarichi incompatibili con quello di deputato al Parlamento europeo, l’onorevole Burke può prendere posto in seno all’Assemblea e ai suoi organismi e godere di tutti i relativi diritti.

 

12. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
  

(Il processo verbale della seduta di ieri è approvato)

 

13. Conclusioni della riunione del G8 – A metà percorso verso gli obiettivi di sviluppo del Millennio (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca in discussione congiunta:

– le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla conclusione della riunione del G8;

– la relazione (A6-0220/2007), presentata dall’onorevole Kinnock a nome della commissione per lo sviluppo, sugli obiettivi di sviluppo del Millennio – bilancio intermedio [2007/2103(INI)].

Il Consiglio non è presente.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei in primo luogo fare alcune riflessioni, come mi è stato chiesto, circa l’esito del Vertice di Heiligendamm sulle questioni relative allo sviluppo e sulle problematiche concernenti l’Africa.

Il semplice fatto che tali questioni abbiano nuovamente ricevuto un’attenzione particolare è già di per sé una buona notizia. La riaffermazione dell’Africa quale soggetto importante nel processo del G8 è ovviamente uno sviluppo confortante, ma evidentemente non è nulla di speciale se si considerano i risultati concreti. Capisco perfettamente le critiche mosse da coloro che sono rimasti delusi dai riferimenti agli aiuti allo sviluppo. Il compromesso adottato si limita semplicemente a ribadire l’impegno di Gleneagles, e penso che avremmo potuto puntare più in alto.

Sappiamo che l’Unione europea dei 27 finanzierà di tasca propria tra l’80 e il 100 per cento dell’impegno del G8 per l’Africa. Non dovremmo permettere ai membri del G8 di trascurare il loro impegno che, se non ricordo male, consisteva nel raddoppiare gli aiuti per l’Africa. Alcuni membri del G8 non sono ancora sulla buona strada per onorare tale impegno. Gli aiuti americani complessivi, ad esempio, sono scesi del 20 per cento e quelli giapponesi del 10 per cento, e tali Stati dovrebbero sicuramente fare di più.

Per quanto riguarda le questioni di governance e i principi fondamentali della politica dello sviluppo, sono discretamente soddisfatto che nella dichiarazione finale sull’Africa siano stati mantenuti il nostro approccio al buon governo – multidimensionale e olistico – e la formulazione da noi suggerita. La nostra strategia di governance si basa sui risultati e sull’offerta di incentivi alla riforma destinati ai paesi impegnati in riforme della governance appropriate e credibili, basate su una volontà politica solida.

Sono lieto di constatare che il lavoro del G8 di quest’anno sia stato incentrato principalmente sull’istruzione, indubbiamente uno dei nostri contributi più preziosi. La dichiarazione esprime con chiarezza l’esigenza di finanziare le esigenze non ancora coperte e che si stima abbiano un valore monetario di 500 milioni di dollari USA per il 2007 in tutti i paesi che rientrano nell’iniziativa accelerata “Istruzione per tutti”.

Sono altresì soddisfatto del testo finale sulle risorse finanziarie per le questioni sanitarie, del Fondo globale e dei programmi per la prevenzione della trasmissione da madre a figlio. I 60 miliardi di dollari americani che sono stati promessi negli anni a venire per combattere l’HIV/AIDS, la malaria e la tubercolosi rappresentano un impegno chiaro e rigoroso rispetto al linguaggio prudente inizialmente utilizzato, che escludeva qualsiasi indicazione concreta delle risorse finanziarie richieste.

Voglio concludere le mie riflessioni sul G8 con un’osservazione di ordine più generale. Il “concorso di bellezza” di cifre e dichiarazioni in cui pare essersi tramutato il G8 in materia di sviluppo non conquista la fiducia dei partner africani. Al contrario, essi ci contestano la carenza di risultati sul campo e, soprattutto, il mancato rispetto dei nostri impegni. Inoltre, ce lo fanno notare in maniera ancor più insistente dopo aver individuato nella Cina un modello alternativo. La Cina non solo sta acquistando grandi quantità di materie prime in Africa, ma ha anche iniziato a costruire strade, ministeri e ospedali nei mesi successivi alla richiesta ricevuta e alla promessa fatta. Si tratta di una mossa brillante, considerato che le nostre procedure, stabilite essenzialmente dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ci impongono di fatto attese di diversi anni tra il raggiungimento dell’accordo e la sua effettiva attuazione.

Dobbiamo anche trarre una lezione a livello di G8: mentre l’Africa sta intrecciando rapporti sempre più stretti con i paesi emergenti, il “concorso di bellezza” del G8 diventerà uno spettacolo marginale sempre meno convincente, se non riusciremo a coinvolgere la Cina e gli altri paesi emergenti in iniziative internazionali sull’Africa e lo sviluppo. E’ quindi per tale ragione che mi recherò in Cina all’inizio di luglio: per parlare dell’Africa con i colleghi cinesi.

Signor Presidente, onorevoli deputati, prima di concludere vorrei dire qualche parola sulla relazione dell’onorevole Kinnock e dunque sugli obiettivi di sviluppo del Millennio a metà percorso, la rilevanza attuale dei quali mi sembra decisamente indiscutibile. Rimango convinto che tali obiettivi siano alla nostra portata, naturalmente a condizione che tutti gli operatori dello sviluppo – non solo gli erogatori di fondi, ma anche i paesi partner – onorino i loro impegni. Vorrei anche sottolineare l’impegno risoluto e totale dell’Unione europea, in questo periodo cruciale, ad attuare tali obiettivi.

Su questo punto vorrei fare qualche osservazione – ed esprimere, in verità, qualche riserva – circa i dettagli del messaggio contenuto nella relazione. Se da una parte sono ovviamente d’accordo, in linea di massima, con il contenuto della relazione, dall’altra sono leggermente sorpreso del messaggio non proprio univoco che la relazione trasmette al mondo circa le prestazioni dell’Unione europea in qualità di donatore. Vorrei precisare che l’Unione, non dimentichiamolo, è l’erogatore principale di aiuti per lo sviluppo, in termini sia di volume sia di percentuale di reddito interno lordo: devolviamo 100 euro per abitante a tale causa, a fronte dei 69 euro soltanto erogati dal Giappone e dei 53 euro donati dagli Stati Uniti. Non è certo una buona ragione per abbandonarsi all’autocompiacimento, ovviamente, perché altri progressi sono possibili e necessari su questo fronte. E i progressi sono anche previsti, in quanto l’Unione europea si è impegnata in tal senso attraverso il consenso europeo per lo sviluppo.

La relazione lamenta il fatto che l’aumento degli aiuti provenienti da determinati Stati membri sia in parte il risultato della cancellazione del debito. Sono evidentemente d’accordo con lo spirito di tale osservazione o riserva. Detto ciò, anche escludendo l’annullamento del debito, gli aiuti dell’Unione europea sono aumentati, il che non si può dire nel caso degli altri grandi donatori. Siamo naturalmente sensibili a tale argomentazione, ed è per questo che la Commissione ha invitato gli Stati membri a fissare entro la fine dell’anno un calendario nazionale che mostri gli incrementi di bilancio che consentiranno ai paesi membri di raggiungere i propri obiettivi di aiuto allo sviluppo entro il 2010.

Non dobbiamo poi sottovalutare l’efficacia né l’effetto moltiplicatore della divisione del lavoro tra la Commissione e gli Stati membri. Né va sottostimato il valore della nostra adesione alle strategie e procedure dei paesi partner, e ancor meno il crescente ricorso al sostegno di bilancio, che è considerevole. Anche in tali aree l’Unione europea occupa una posizione indiscussa di leadership. Rilevo tuttavia un certo disagio per quanto riguarda il sostegno di bilancio, che pure rappresenta lo strumento privilegiato del partenariato e della fiducia tra partner dotati di eguali diritti e doveri. Appoggiando le politiche nazionali e partecipando al processo di bilancio, mettiamo in campo gli strumenti più adeguati all’appropriazione da parte dei paesi partner, una soluzione che offre anche grande prevedibilità e una straordinaria flessibilità. Tale meccanismo è ovviamente ancora passibile di miglioramento, che è il fine del contratto stipulato per gli obiettivi del Millennio su cui sta attualmente lavorando la Commissione – una questione da me brevemente citata ieri quando ho risposto in sede di commissione al collega van den Berg. Nelle settimane a venire, riusciremo a discutere con voi i criteri e le condizioni di tale contratto per gli obiettivi del Millennio.

Al di là di queste osservazioni, ritengo essenziale unire le forze per realizzare tali obiettivi. Grazie al nostro approccio, i paesi in via di sviluppo riceveranno un messaggio chiaro di solidarietà dall’Unione europea, che non potrà che confortarli nella loro propria determinazione.

In conclusione, ringrazio e mi congratulo con l’onorevole Kinnock per questa relazione ricca di significato, che inserisce le questioni nel contesto cui appartengono. Si tratta di un contributo estremamente utile e di una fonte costante di ispirazione per il lavoro della Commissione.

 
  
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  Glenys Kinnock (PSE), relatore. – (EN) Signor Presidente, grazie per essere qui, considerata l’attenzione che tali questioni meritano in seno alla nostra Assemblea. Vorrei anche ringraziare il signor Commissario per le cortesi osservazioni. Ritengo che molti di noi deplorino profondamente il fatto che il Consiglio abbia scelto di non essere rappresentato qui oggi nelle discussioni sul G8 e sugli obiettivi di sviluppo del Millennio. Ci dispiace che abbiano prevalso altre priorità.

Giunti a metà del percorso, la mia relazione è un’occasione per valutare i progressi compiuti o meno nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio. La realtà è ovviamente che molti paesi subsahariani non sembrano essere in grado di soddisfare nemmeno uno di tali obiettivi. In pratica nessun paese africano ha imboccato la strada giusta per il raggiungimento degli obiettivi relativi alla salute materno-infantile. Per tale ragione la nostra commissione ha convenuto che l’Unione europea debba continuare a guidare gli sforzi volti a sostenere i diritti alla salute sessuale e riproduttiva mediante finanziamenti e altri metodi di sostegno. Nel 2005 i leader dei paesi ricchi si sono riuniti in occasione del Vertice del G8 di Gleneagles e si sono impegnati a raddoppiare gli aiuti annuali ai paesi poveri fino a 50 miliardi di dollari americani, nonché a cancellare totalmente il debito.

Nel maggio del 2005 il Consiglio dell’UE aveva già stabilito l’agenda del Vertice di Gleneagles svoltosi nel luglio dello stesso anno. Era stato concordato – un punto importante – un impegno vincolato nei tempi a conseguire l’obiettivo dello 0,7 per cento del RNL e del 100 per cento della cancellazione del debito. Al momento della stesura della mia relazione sono emerse con chiarezza questioni gravi di credibilità in relazione a determinati Stati membri dell’Unione europea. E’ su questo punto che mi trovo fondamentalmente in disaccordo con il Commissario. Se si esclude la cancellazione del debito, molti Stati membri sono in ritardo. Gli accordi sul debito iracheno e nigeriano sono stati conteggiati in modo tale da distorcere la realtà degli aiuti effettivi. Si stima che siano ammontati a circa 13 miliardi di dollari USA nel 2006. Nel 2010, quando gli aiuti all’Africa dovrebbero teoricamente raggiungere i 50 miliardi di dollari USA l’anno, la cancellazione del debito sarà stata già ampiamente conteggiata e non si andrà pertanto più ad aggiungere agli aiuti erogati da un paese. Oxfam stima che l’ammanco raggiungerà una cifra assolutamente scioccante, pari a 30 miliardi di dollari USA.

Al G8 alcuni paesi membri dell’Unione europea si sono impegnati al fine di far rispettare le promesse fatte. Ma come ha ricordato lei, signor Commissario, c’è stata solamente una reiterazione e una conferma delle promesse del 2005 di aumentare gli aiuti. Continuano a mancare un calendario chiaro e impegni concreti vincolanti. Occorrono dettagli più specifici e impegni finanziari chiari che, a titolo di esempio, colmino le lacune di finanziamento per i paesi che rientrano nell’iniziativa accelerata “Istruzione per tutti”.

Occorre inoltre chiarezza in merito all’impegno di aumentare l’accesso universale all’HIV/Aids. Si parla di 5 milioni di persone nel 2010. Vogliamo sapere se si tratta di un dato mondiale perché, se lo fosse, dovrebbe in realtà ammontare a 10 milioni. Se si riferisce soltanto all’Africa, allora il comunicato presenta uno scenario leggermente diverso. Anche in questo caso manca una data finale specifica. La realtà è che i paesi in via di sviluppo non vogliono una specie di assegno inviato per posta o una sorta di vaglia. Vogliono poter attuare piani credibili e prestabiliti, come fanno i nostri governi.

Sul tema del cambiamento climatico, tutti i paesi del G8 tranne USA e Russia hanno accettato di dimezzare le emissioni entro il 2050. L’impegno statunitense di unirsi agli sforzi dell’ONU è stato accolto con favore. Tuttavia, devo constatare ancora una volta l’assenza di vincoli chiari, e persino per l’obiettivo del 50 per cento entro il 2050 non è stato convenuto alcun anno di riferimento nel G8 in Germania. Non è stata inoltre ribadita alcuna intenzione di limitare il cambiamento climatico a 2°C. Nel contesto dell’importanza attribuita alla cancellazione del debito e agli impegni sugli aiuti, sappiamo che l’intera questione della giustizia commerciale continua a sfuggirci. Lo scorso anno in occasione del G8 di San Pietroburgo è stato lanciato un fervido appello a concludere con successo i negoziati di Doha, ma la realtà è in effetti ben diversa da quella che si immaginavano i paesi in via di sviluppo al momento della sottoscrizione di quei negoziati. Il G8 in Germania non ha fatto altro che ripetere le dichiarazioni di San Pietroburgo di un anno fa.

Per quanto riguarda gli accordi di partenariato economico, raccomando in particolare l’emendamento dell’onorevole van den Berg, che purtroppo è stato escluso dal testo che vi è stato distribuito a causa di un errore di compilazione. A mio avviso, offre un contributo molto prezioso al dibattito su tali accordi.

Vorrei infine ricordare che a questo punto ci serve un cambio di marcia radicale. Nel 2005 migliaia di cittadini di tutto il mondo hanno marciato sotto lo striscione che esortava a fare della povertà un capitolo del passato. Gli aiuti funzionano veramente, come possiamo constatare. Si registrano miglioramenti effettivi nella riduzione della povertà, nell’accesso dei bambini all’istruzione, nel miglioramento della salute e nella salvezza di vite umane. Occorre tuttavia un vero e proprio cambiamento sociale e politico, oltre a una maggiore consapevolezza del fatto che quello che serve ai paesi in via di sviluppo non è la beneficenza bensì la giustizia.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Grazie dell’eccellente lavoro, onorevole Kinnock, e congratulazioni per la relazione.

 
  
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  Maria Martens, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, gli obiettivi di sviluppo del Millennio stabiliti nel 2000 sono piani ambiziosi volti a ridurre drasticamente la povertà entro il 2015. Alla fine di questo mese saremo a metà di tale percorso, ma non in termini di raggiungimento degli obiettivi, purtroppo, che sono ancora lontanissimi. L’agenda dello sviluppo è notevolmente in ritardo. Ci sono ancora troppe persone che muoiono di fame, troppi bambini che non hanno accesso all’istruzione, troppe donne in una posizione di svantaggio, mentre l’AIDS, la malaria e la TBC stanno tuttora mietendo troppe vittime, e purtroppo la lista potrebbe essere ancora più lunga.

E’ essenziale migliorare la qualità e la quantità degli aiuti, e molto dipende dalla volontà politica dei paesi. Va da sé che tutti i paesi devono rispettare la promessa di accantonare lo 0,7 per cento del prodotto nazionale lordo per gli aiuti allo sviluppo. Ma non è soltanto una questione di soldi, bensì di aiuti migliori e più efficaci e di un coordinamento più puntuale degli stessi. Vanno ridotti gli aiuti fantasma, in base ai quali le risorse vengono investite principalmente in consulenza, relazioni e studi di valutazione.

Vorrei citare una serie di punti a nome del mio gruppo. Innanzi tutto, desidero richiamare la vostra attenzione sull’importanza della trasparenza dei flussi finanziari. La destinazione dei fondi dev’essere chiara. In secondo luogo, sul tema della riduzione del debito, benché il debito rappresenti un problema ingente per molti paesi, la sua riduzione non può e non deve essere una ricompensa per la cattiva gestione dei governi. Perciò tale misura è ammissibile solo nel rispetto di condizioni rigorose, tra cui il buon governo e la trasparenza. Occorre garantire che le risorse sbloccate vengano effettivamente spese per combattere la povertà. In terzo luogo, vorrei sottolineare l’importanza del commercio. Gli scambi e l’apertura dei mercati possono rappresentare una forza motrice enorme per la crescita economica, a determinate condizioni. I paesi devono poter contare sul nostro appoggio in tal senso.

Per quanto riguarda i diritti di proprietà intellettuale, vorrei far nuovamente presente il rischio di buttare via il bambino con l’acqua sporca. La ricerca per la lotta contro le malattie correlate alla povertà deve continuare a rappresentare un’attrattiva per l’industria. Occorre un certo grado di protezione dei diritti di proprietà intellettuale per i brevetti.

Infine, per quel che concerne la salute sessuale e riproduttiva, molte donne dei paesi in via di sviluppo sono ad alto rischio, persino di vita, durante e dopo la gravidanza. La morte di molte donne potrebbe essere evitata. Gli aiuti in quest’area sono estremamente urgenti; siamo quindi a favore di stanziamenti più cospicui per quelle donne.

 
  
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  Margrietus van den Berg, a nome del gruppo PSE. – (NL) Signor Presidente, purtroppo il Consiglio è assente, con grande delusione del gruppo socialista al Parlamento europeo. Nel 2000, 191 leader mondiali si sono impegnati nella dichiarazione del Millennio a sradicare la povertà estrema nel mondo entro il 2015 e a migliorare la salute e il benessere dei più poveri. Attualmente, un quinto della popolazione mondiale non è in grado di soddisfare le esigenze sociali di base, tra cui istruzione e acqua potabile pulita. Tra due settimane e mezzo esatte saremo a metà della scadenza degli obiettivi di sviluppo del Millennio. La relazione eccellente dell’onorevole Kinnock, che appoggiamo pienamente, fa il punto dei risultati conseguiti fino ad oggi.

Nell’arco degli ultimi sette anni e mezzo si è lavorato molto per realizzare tali obiettivi e si sono ottenuti molti successi importanti, in particolare in Asia, dove la riduzione della povertà è stata notevole. Il numero di persone costrette a sopravvivere con meno di 1 dollaro al giorno è diminuito di oltre un quarto di miliardo dal 1990. Anche in America centrale le cose stanno visibilmente migliorando. In entrambe le regioni il numero di bambini denutriti è diminuito sensibilmente. La mortalità infantile è stata ridotta di parecchi punti percentuali. Centinaia di migliaia di abitanti dell’America centrale e dell’Asia sono stati liberati dalle catene della povertà, un risultato di cui tali regioni e il mondo intero dovrebbero andare fieri.

Il problema ancora presente in Asia e America centrale è il divario crescente tra ricchi e poveri. Dobbiamo aiutare tali regioni ad attuare strategie per una distribuzione più equa delle risorse naturali e del territorio, per imposte più giuste, meno corruzione e un governo migliore. Malgrado la crescita e i progressi, troppe persone sono ancora prive dei servizi sociali di base, e qui dovrebbero concentrarsi i programmi europei di aiuto tramite la società civile.

Negli ultimi anni, in un continente gli obiettivi del Millennio si sono allontanati ulteriormente invece che avvicinarsi. L’Africa, malgrado alcuni coraggiosi risultati, malgrado gli sforzi di molti, sta andando allo sbaraglio. E’ improbabile che in Africa si riesca a realizzare in tempo tali obiettivi. Nell’Africa subsahariana tre quarti della popolazione hanno contratto il virus dell’AIDS/HIV.

In tale regione il numero di persone che soffrono la fame è salito di molte decine di milioni. Come cambiare la mentalità dei gruppi che hanno avuto successo? Come possiamo aiutare gli uomini d’affari africani, le cooperative femminili e le banche per il microcredito a invertire la rotta? Innanzi tutto, puntando i riflettori non solo sulle vittime ma anche sui risultati raggiunti, tra cui ad esempio la fine dei conflitti, tra l’altro proprio in Mozambico, senza dimenticare i diplomatici africani di rilievo quali Kofi Annan, le case di moda di Abuja, i viticoltori sudafricani, i piloti del Ghana, gli abilissimi calciatori di tutta l’Africa e le imprenditrici delle TIC. Sono loro che cambieranno l’Africa. Sono quelli con cui voglio creare partenariati. Sono quelli su cui dovremmo concentrare gli aiuti europei. Devono ricevere agevolazioni commerciali invece che essere sommersi dalle nostre merci di scarto.

E’ tempo di un nuovo inizio. Una svolta, seppure in salita. Dopo tutto, se coniugheremo qualità e risorse nazionali con la nostra cooperazione sincera nelle aree degli aiuti e degli scambi, l’Africa risorgerà dalle ceneri. Cooperazione genuina significa concentrare maggiormente il Fondo europeo di sviluppo e i bilanci degli aiuti sugli obiettivi del Millennio, sull’istruzione e l’assistenza sanitaria.

Ha ragione, signor Commissario, quando dice che i contratti degli obiettivi di sviluppo del Millennio sono un ottimo sistema in tal senso. Anche il G8 rientra in tale categoria, in quanto stabilisce scadenze concrete per compiti importanti. Cooperazione genuina significa accordi generosi di partenariato economico. La comunità imprenditoriale africana deve poter smerciare i propri prodotti nei nostri mercati con un valore aggiunto. Se il GSP+ potesse essere d’aiuto in questo, andrebbe utilizzato. Formiamo una squadra africana composta da giocatori validi, da vincitori, e diamole la possibilità di vincere questo incontro di calcio nel secondo tempo della partita del 2015 per gli obiettivi del Millennio – un risultato che andrà a vantaggio oltre che dell’Africa anche del resto del mondo.

 
  
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  Johan Van Hecke, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, forse non è una coincidenza che si parli molto olandese in un dibattito sulla cooperazione allo sviluppo, una cosa che mi fa enormemente piacere.

A giudicare dai risultati del G8, è corretto dire che il processo di realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio sta compiendo un passo avanti e due indietro. Di fatto, il tema dell’Africa è stato citato brevemente a Heiligendamm, anche se solo allo scopo di non esasperare Bono e Bob Geldof. Sono stati reiterati gli impegni del 2005, ma non ne sono stati presi di nuovi, e non si è fissato nemmeno un calendario. Condivido il timore dell’onorevole Kinnock che di questo passo non si riesca a raggiungere l’obiettivo entro il 2015. La relazione Kinnock è inoltre divenuta un documento molto equilibrato, che ha tenuto conto anche delle preoccupazioni del nostro gruppo. Ve le elenco brevemente.

In primo luogo, lo 0,7 per cento non dovrebbe essere un’ossessione. La qualità e l’efficacia degli aiuti garantiti sono importanti almeno tanto quanto la quantità. La cosiddetta spesa per lo sviluppo di certi governi lascia aperte molte questioni, e il coordinamento spesso lascia a desiderare. In secondo luogo, aiuti di bilancio più diretti sono inevitabili se vogliamo realizzare gli obiettivi del Millennio, i quali però dovrebbero essere vincolati principalmente al buon governo e in secondo luogo al controllo parlamentare, che dovrebbe essere una questione di vitale importanza. In terzo luogo, siamo a favore di un’ulteriore riduzione del debito. Non lineare, bensì condizionale. Le risorse che si libererebbero in tal modo potrebbero essere versate in un fondo destinato anzitutto all’istruzione e all’assistenza sanitaria.

Vorrei concludere ricordando che il dibattito se considerare prioritario il raggiungimento degli obiettivi o gli aiuti al commercio è un falso dilemma in cui non vogliamo essere coinvolti. Per quanto ci riguarda, non è una questione di alternative, bensì di pari priorità.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, soltanto uno sforzo globale e congiunto può aiutare l’Africa oggi. Il continuo finanziamento da parte dell’Europa dei cosiddetti diritti riproduttivi, compreso l’aborto, costituisce un ostacolo fondamentale per tale unità d’intenti.

Da un punto di vista sia morale sia medico, l’aborto non rappresenta la risposta al problema della mortalità legata al parto in Africa. Se vogliamo aiutare le donne africane in tal senso, dobbiamo inviare aiuti medici, fornire acqua potabile, istruzione e strutture mediche. Utilizzare le risorse dell’Unione per finanziare l’aborto in Africa è contrario ai principi di erogazione degli aiuti.

Tutti i cittadini europei sono costretti a essere indirettamente coinvolti nella questione. E’ anche una forma di imperialismo morale nei confronti dell’Africa, un atteggiamento che non può essere perdonato dalla nostra Assemblea. Per tale ragione vi chiedo di votare contro i punti 40 e 41 della relazione. Rivolgo tale appello soprattutto ai deputati democratici cristiani. Se il mio appello non sarà raccolto, non potremo appoggiare la relazione.

 
  
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  Frithjof Schmidt, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, stiamo conducendo una revisione intermedia dei notevoli sforzi compiuti per realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio, e il bilancio è sconfortante – è questo che emerge dalla relazione dell’onorevole Kinnock, che il mio gruppo appoggia appieno.

Se la situazione politica non cambierà, molti paesi in via di sviluppo, soprattutto africani, non conseguiranno tali obiettivi, e la maggior parte dei paesi industrializzati non manterrà le promesse di aiuti finanziari. Purtroppo, il Vertice del G8 di Heiligendamm in Germania ne è stato un ulteriore esempio.

Dal 1999, a intervalli di due anni, sono state fatte e tradite più e più volte le medesime promesse, il che mette in dubbio la credibilità dell’Unione europea agli occhi di molti paesi in via di sviluppo. Le promesse fatte a Heiligendamm vengono ora decurtate da quelle di Gleneagles. Sessanta miliardi di dollari americani per il Fondo globale, ma a quanto pare tali risorse saranno compensate dalle promesse non mantenute di Gleneagles: un esempio di contabilità in partita doppia. Si tratta di un tentativo di creare confusione con i numeri senza imporre nulla ai singoli paesi.

Ho apprezzato molto che il Commissario si sia espresso con grande chiarezza al riguardo: è esattamente quello che occorre. E’ responsabilità del Parlamento dire le cose chiaramente ed esercitare la pressione necessaria ad assicurare che per lo meno l’Unione europea si attenga al proprio piano progressivo per il raggiungimento dell’obiettivo esatto dello 0,7 per cento per gli aiuti ufficiali allo sviluppo entro il 2015, senza trucchetti contabili.

 
  
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  Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, stiamo facendo il punto del Vertice del G8. In tale occasione è stata rilasciata una dichiarazione sul cambiamento climatico che è evidentemente priva di valore. Appoggio le dichiarazioni delle organizzazioni ambientaliste; Greenpeace l’ha definita assolutamente insufficiente, mentre Friends of the Earth Germany ha definito “fumose” le promesse formulate. Non ne sono scaturiti impegni vincolanti.

Mi associo a quanto affermato dal Commissario Michel sul fatto che non ci siano stati dibattiti sufficienti sull’Africa. La cancellazione del debito dei paesi più poveri si sarebbe dovuta fare da tempo. Poiché il dibattito riguarda il Vertice del G8 nel suo complesso, vorrei tuttavia ricordare ancora una volta all’Assemblea che i paesi del G8 non hanno nessun tipo di legittimazione. Si sono autoproclamati leader mondiali. L’evento è costato 100 milioni di euro, di cui 12,5 milioni per la sola recinzione attorno a Heiligendamm. E’ stata organizzata una dimostrazione molto efficace contro il Vertice, con 80 000 partecipanti, e i disordini che si sono verificati – sbagliati e deplorevoli – sono stati sfruttati dalla polizia per violare le norme dello Stato di diritto. Ad esempio, ora sappiamo che tra i manifestanti c’erano poliziotti in borghese che probabilmente hanno anche incitato i dimostranti alla violenza. I legali non sono praticamente riusciti a fare il loro lavoro, e i giudici sono diventati il braccio lungo della polizia. Gli avvocati hanno dovuto lottare non poco per poter addirittura avvicinare i prigionieri. Sono state utilizzate gabbie per i prigionieri, criticate in maniera univoca e descritte come sbagliate da Amnesty International. Il Vertice è stato contraddistinto da una repressione degna di uno Stato di polizia. Non occorre guardare lontano per assistere alla repressione dei cittadini: i diritti umani vengono calpestati nel bel mezzo dell’Unione europea, nel contesto di questo Vertice del G8.

 
  
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  Georgios Karatzaferis, a nome del gruppo IND/DEM. (EL) Signor Presidente, in primo luogo penso che nessun cittadino al mondo nutra fiducia nei vertici del G8. Sembrano una riunione dei feudatari di 400 anni fa, che prendevano determinate decisioni senza consultare il popolo. Si tratta di feudalesimo moderno. Il G8 si riunirà e si terrà una lotteria per permettere a otto delegati dei paesi poveri di partecipare. Stiamo parlando dell’Africa. Ditemi il nome di un grande ospedale in tutto il continente. Signor Presidente, lei andrebbe in Tanzania se avesse un problema di salute grave? Andrebbe in Germania o in Inghilterra. Fatemi il nome di una grande banca che abbia la sede centrale in Africa. Tutte le grandi banche cui affidiamo i nostri risparmi si trovano nell’emisfero settentrionale. E’ una tipologia speciale di razzismo che dovremmo finalmente ammettere. O per lo meno viene tollerata una specie di razzismo nei confronti di quei paesi, cui offriamo le mance che diamo di solito ai lavavetri.

Ci serve una decisione, un’ideologia in base alla quale tutti i cittadini del mondo abbiano gli stessi diritti alla democrazia, alla salute e alla partecipazione alle decisioni che li riguardano. Non credo che quello che sta accadendo oggi sia democrazia. Abbiamo in comune il benessere, creiamo il cancro in tutto il mondo, mentre la superpotenza – l’America – non vuole appoggiare Kyoto, con il risultato che la morte e il riscaldamento terrestre colpiscono tutti, e i cittadini non hanno voce in capitolo. Pertanto occorrono più democrazia, migliori possibilità di accesso e più rispetto per i cittadini, soprattutto nei paesi in cui la democrazia non è ancora un risultato consolidato. Dobbiamo essere prudenti, altrimenti dall’Africa arriverà un nuovo AIDS che sarà più catastrofico dell’AIDS che conosciamo, che spedisce all’altro mondo molti cittadini dell’emisfero settentrionale.

 
  
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  Koenraad Dillen , a nome del gruppo ITS. – (NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi fa piacere vedere che il Commissario per lo sviluppo e gli aiuti umanitari è di nuovo tra noi. Sappiamo quanto è fitta d’impegni la sua agenda. Il periodo di aspettativa da Commissario concessole per svolgere un ruolo attivo nelle elezioni parlamentari belghe potrebbe essere giunto al termine – e tale assenza da Commissario europeo sicuramente non è stata vana per il suo partito, pertanto mi congratulo con lui. Ciononostante, constatiamo con ammirazione e con una certa sorpresa che è rimasto attivo su entrambi i fronti, persino durante l’aspettativa: qui in Aula come Commissario per lo sviluppo ma anche a Bruxelles, dove fervono le attività per la formazione del nuovo governo belga e dove oggi il Commissario sta esortando il partito dei Verdi di lingua francese del mio paese a entrare nel governo. Di fatto, non è facile coniugare l’attività di Commissario europeo con quella di vice “informatore” del Belgio che indaga per conto della Corona se una determinata formazione di gabinetto avrà o meno successo. Probabilmente è pertinente anche chiedersi se questa commistione non possa causare una certa parzialità e se di conseguenza non sia in pericolo la neutralità della Commissione.

A parte questa osservazione, sarebbe meglio – e mi riferisco ora alla relazione Kinnock – rivolgere la nostra attenzione a capire quanto scientifico sia il nostro approccio agli obiettivi di sviluppo del Millennio. Tale interrogativo provocatorio è stato posto da Amir Attaran, un’autorità nella cooperazione allo sviluppo presso l’Università di Ottawa in Canada. Di fatto, Attaran mette in discussione la base scientifica che sottende a tali obiettivi e soprattutto il modo in cui si misura il loro conseguimento. A titolo di esempio, cita l’obiettivo concernente la malaria e afferma che persino istituzioni come l’Organizzazione mondiale della sanità ammettono di non essere certe dei dati rilevanti forniti. Accettando statistiche incerte come se fossero veritiere, l’ONU sta costruendo una serie di obiettivi del Millennio sulle sabbie mobili, secondo Attaran. L’affidabilità scientifica dovrebbe essere la prima preoccupazione anche nella cooperazione allo sviluppo. Sarebbe tempo di organizzare un dibattito sull’argomento.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio innanzitutto la relatrice e i colleghi per l’ottimo lavoro svolto e per il sostegno apportato ai miei emendamenti in sede di commissione per lo sviluppo.

Intendo soffermarmi su pochi punti. La lotta contro l’AIDS, soprattutto alla luce degli ultimi rapporti dell’ONU e degli scarsi risultati ottenuti finora nell’ambito degli obiettivi di sviluppo del Millennio, deve continuare a essere una priorità per la comunità internazionale, un impegno inderogabile e una responsabilità gravante sulle spalle dei paesi industrializzati, perché è impossibile continuare a parlare di sviluppo economico, di educazione e di infrastrutture sanitarie, se alla base la popolazione attiva atta a realizzare tali riforme viene decimata giorno per giorno, nonostante l’apporto evidentemente ancora non sufficiente o non abbastanza efficiente di terapie e medicinali.

Secondo il rapporto UNAIDS, vi sono stati dai 4 ai 6 milioni di nuovi casi nel 2006, con 3 milioni di decessi nello stesso anno, di cui 2/3 nell’Africa subsahariana, la regione maggiormente interessata dagli obiettivi di sviluppo del Millennio. Si tratta di oltre 8 000 decessi al giorno, una cifra davvero insostenibile.

Per quanto riguarda questa lotta e la lotta alla povertà in genere siamo lontanissimi dalla nostra tabella di marcia e non si possono più accettare le scuse di quei paesi, tra cui purtroppo il mio, che non hanno ancora rispettato gli impegni già minimi – occorre ricordarlo – promessi in ambito internazionale. Ai governi dei paesi donatori dobbiamo chiedere inoltre non solo una maggiore efficienza negli aiuti allo sviluppo, ma anche massima coerenza con le proprie politiche commerciali, perché sostenere lo sviluppo vuol dire soprattutto dare ai paesi in difficoltà la possibilità di risollevarsi con le proprie risorse.

All’orizzonte vi sono dunque nuove sfide, scommesse, prove e impegni. L’auspicio è che questa volta l’Europa sia davvero in grado di giocare il ruolo che le spetta.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, alla fine della Seconda guerra mondiale, al momento della liberazione dei campi di concentramento, abbiamo detto “mai più”: non ci sarebbe mai più stato un simile esempio di disumanità nei confronti dell’uomo. Noi eurodeputati e i partecipanti al G8 della scorsa settimana sappiamo che vi sono milioni di bambini sotto i cinque anni che muoiono ogni anno per carenza di quei vaccini di cui noi del cosiddetto Occidente disponiamo da 30 anni. Si tratta di un insulto ancora maggiore di quello dei campi di concentramento, perché ne siamo a conoscenza. Sta accadendo dinanzi ai nostri occhi. E noi che cos’abbiamo fatto? Abbiamo abdicato alla leadership. Abbiamo abdicato alla leadership a favore delle rock star – e grazie al Cielo ci sono, altrimenti se non ci fossero loro a fare pressione, chi lo farebbe? C’è una carenza di leadership devastante in Europa.

Quando parliamo di comunicare l’Europa, pensiamo di poter parlare alla gente di trattati costituzionali e cose del genere. Sciocchezze. Come ho già detto, nei pub di Dublino o nei ristoranti tedeschi la gente non parla di trattati costituzionali. E guardate invece quelli che sono andati a Gleneagles, che hanno rinunciato ad andare al lavoro per dimostrare a Gleneagles, che sono andati a tutti quei concerti rock sul terzo mondo. Perché non diamo a loro la leadership? Dove sono gli statisti e le statiste europee? Qui abbiamo soltanto politici – e neanche tanto validi. Nessun Delors, nessun Kohl.

In questo campo c’è bisogno di leadership, e il G8 ci ha delusi, non ha dato prova della leadership necessaria, e l’Assemblea deve insistere affinché questo standard non diventi la regola. Dobbiamo far sì che i politici occidentali, in seno all’Unione europea e al G8, assumano una vera leadership su tale questione. Nient’altro è accettabile e lei, signor Presidente, ha un ruolo da svolgere in tal senso. Potrebbe conferirci la leadership in quest’Assemblea, potrebbe influenzare coloro che hanno la possibilità di cambiare le cose. Noi abbiamo il potere di cambiare le cose. Non dobbiamo accettare simili standard. Il G8 è stato una grande delusione per la gente. Ha dimostrato che quello che ci manca sono statisti, statiste e leader, e spero che le cose cambino.

 
  
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  Presidente. – Grazie, onorevole Mitchell. Apprezzo il fatto che abbia attribuito una certa importanza al Presidente del Parlamento europeo, che però non è stato invitato a Heiligendamm.

 
  
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  Ana Maria Gomes (PSE).(PT) Il genocidio in Darfur, le situazioni di crisi in Zimbabwe, Somalia, Etiopia e Nigeria, la corruzione, le pandemie, la desertificazione, il traffico di armi e la corsa al petrolio e ad altre risorse naturali sono tutti fattori che alimentano ulteriori conflitti in Africa e fanno aumentare il numero delle persone talmente disperate da rischiare la vita per arrivare in Europa o in un altro luogo che possa loro garantire condizioni migliori. E’ pertanto deprimente vedere come il G8 si limiti a ripetere le promesse di Gleneagles che non sono state mantenute. A metà del percorso, come dice giustamente la relazione Kinnock, i governi europei e la Commissione non hanno ancora attribuito agli obiettivi del Millennio la priorità dovuta.

In Africa, in particolare, gli obiettivi del Millennio devono potenziare eventuali strategie di sicurezza e sviluppo, e a propria volta la strategia di cooperazione congiunta che verrà adottata al Vertice UE-Africa di dicembre non dev’essere un’altra opportunità per una foto di gruppo. Dopo il Vertice, le autorità europee e africane dovranno assumere impegni graduali per realizzare gli obiettivi del Millennio e dovranno proporre strategie che vadano al di là dei governi e di una competizione sfrenata, miope e sconveniente con la Cina.

Impegnarsi a rafforzare le istituzioni della società civile e democratica nei paesi africani significa investire in coloro che combattono per i diritti umani, per i diritti delle donne e per le libertà civili in Africa. Implica anche che l’UE e i partner africani siano reciprocamente severi quando si tratta di conformità agli accordi già vincolanti, quali Cotonou. Senza giustizia e senza Stato di diritto non ci sarà alcun buon governo e, soprattutto, nessuno sviluppo sostenibile.

 
  
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  Toomas Savi (ALDE).(EN) Signor Presidente, vorrei sollevare due aspetti di questa valutazione di medio periodo degli obiettivi di sviluppo del Millennio.

In primo luogo, è evidente che la sconfitta della povertà nel mondo rappresenta una delle scommesse più importanti del XXI secolo per tutta l’umanità. Per me che sono un medico è perfettamente chiaro che povertà e malattie quali HIV/AIDS, malaria e tubercolosi vanno di pari passo e creano uno “tsunami” che cancella milioni di vite ogni anno. Purtroppo questa terribile tragedia è diventata ora una statistica piatta e quotidiana. Sradicare la povertà presuppone l’eliminazione di tali malattie e il rafforzamento del sistema sanitario africano mediante l’erogazione di almeno i 60 miliardi di dollari americani previsti negli anni a venire dai paesi del G8. Il mondo di oggi ha la possibilità di consegnare alla storia tali patologie, e dobbiamo riuscirci.

Accolgo inoltre con favore la decisione del G8 di cancellare il 100 per cento degli obblighi ancora in sospeso dei paesi poveri altamente indebitati nei confronti del FMI, della Banca mondiale e della Banca africana per lo sviluppo.

Gli obiettivi del Millennio possono essere raggiunti solamente in condizioni pacifiche, il che significa che molti conflitti militari locali africani devono cessare, soprattutto la crisi di lunga data del Darfur, che ha calpestato i diritti umani elementari.

In secondo luogo, vorrei sottolineare che i nuovi paesi membri, che fino a poco tempo fa erano i beneficiari degli aiuti ufficiali allo sviluppo e che per molti anni hanno registrato una crescita rapida del PIL, dovrebbero aumentare il loro contributo e non limitarsi agli obiettivi prefissati. Ovviamente appoggio la relazione Kinnock.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN).(PL) Signor Presidente, vorrei attirare la sua attenzione su tre questioni. Purtroppo, il livello di aiuti forniti da un’Unione di quindici Stati membri, calcolati come percentuale del PIL e stanziati per gli obiettivi del Millennio, sta diminuendo. La maggior parte dei paesi non ha ancora raggiunto nemmeno l’obiettivo intermedio dello 0,33 per cento. Nel frattempo, i finanziamenti per l’istruzione di base ammontano a solamente il 23 per cento e quelli per la sanità sono fermi al 36 per cento.

Solo 18 dei 60 paesi bisognosi hanno goduto della cancellazione del loro debito estero. Si tratta di decisioni importanti non solo perché riducono l’onere finanziario spesso insopportabile a carico di tali paesi, ma anche perché, come ha dichiarato la Banca mondiale, i paesi i cui debiti sono stati ridotti hanno raddoppiato la spesa per la lotta contro la povertà.

In terzo luogo, il metodo più efficace per aiutare i paesi poveri è garantire loro l’accesso ai mercati dei paesi più sviluppati del mondo, oltre che promuovere lo sviluppo di piccole imprese e microsocietà nei paesi indigenti.

Infine, è importante anche sostenere lo sviluppo di governi locali e ONG, nonché stabilire un sistema di gestione centrale degli aiuti provenienti dal bilancio dell’Unione, in quanto questo è l’unico modo per migliorare l’efficacia e limitare la burocrazia e la corruzione.

 
  
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  Margrete Auken (Verts/ALE).(DA) Signor Presidente, vorrei ringraziare l’onorevole Kinnock per l’eccellente relazione sulla revisione intermedia degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Sono particolarmente lieta che sia stata decisa una nuova valutazione degli aiuti al commercio, allo sviluppo e all’agricoltura. La nostra abitudine deplorevole di regalare con una mano e di sottrarre con l’altra – e spesso più che dare togliamo – deve cessare. Al contempo, la relazione fa riferimento a tutta una serie di aree di aiuti estremamente rilevanti. Detto ciò, l’approvazione in sede di commissione per lo sviluppo è stata difficoltosa. Molti emendamenti del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei non sono passati per pochi voti, e se fossero stati adottati avremmo avuto una relazione molto più attenuata.

Per il resto, la relazione non contiene null’altro che quello che molto tempo fa gli Stati membri avevano promesso ai paesi poveri solennemente e con molta attenzione, oltre a una critica severa alle promesse non mantenute. La relazione precisa che la prassi di utilizzare la remissione dei debiti quale metodo brillante per adempiere i propri obblighi è riprovevole. Il debito viene spesso e giustamente ridotto o cancellato nei paesi donatori, e di conseguenza i paesi che in tal modo incassano denaro sotto forma di aiuti sono i paesi donatori ricchi. Non possiamo consentire indecorosamente che ciò accada e l’intero Parlamento dovrebbe unirsi nel rifiutare questo tipo di trucchetto.

Dovremmo insistere con le critiche e con l’autocritica. La nostra credibilità è danneggiata, perché le promesse andrebbero mantenute. Gli obiettivi di sviluppo del Millennio e quelli stabiliti nei discorsi pomposi del G8 della scorsa settimana sui problemi dell’Africa sono importanti, e il fatto che il Consiglio non si sia nemmeno preso la briga di essere presente qui oggi la dice ovviamente lunga sulla serietà con cui prende le promesse fatte. In realtà, è difficile capire come possiamo prendere il Consiglio sul serio quando è esso stesso a non prendersi seriamente.

Tuttavia, non dovremmo concentrarci soltanto sul modo in cui gli Stati membri possono sfuggire agli obblighi loro imposti o evitare per quanto possibile di adempiere i requisiti. Dovremmo invece trovare tutti un accordo su come realizzare il nostro obiettivo di dimezzare la povertà entro il 2015. Se poi vogliamo mantenere la nostra credibilità agli occhi dei paesi in via di sviluppo, dobbiamo anche verificare con attenzione se stiamo effettivamente mantenendo le nostre promesse. Dovremmo sforzarci di trovare un modo per effettuare tale monitoraggio. In futuro nessuno di noi dovrebbe poter ignorare i propri obblighi e passare inosservato.

 
  
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  Vittorio Agnoletto (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il G8 è stato un fallimento clamoroso nella lotta alla povertà e al riscaldamento globale. La ritualità stanca di un vertice che, oltre che legittimo, è ormai antistorico, considerata la resistenza all’inclusione dei nuovi paesi emergenti, quali Brasile, Sudafrica, Cina e India, si è riflessa nell’inconsistenza delle sue dichiarazioni finali.

Nel 2005, in Scozia, i paesi ricchi si erano solennemente impegnati ad aumentare gli aiuti pubblici allo sviluppo a 50 miliardi di dollari all’anno entro il 2010, metà dei quali avrebbero dovuto essere destinati all’Africa, in modo da garantire il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio fissati dalle Nazioni Unite per il 2015.

A due anni di distanza, come ha evidenziato l’Africa Progress Panel presieduto da Kofi Annan, gli stanziamenti effettivi rappresentano soltanto il 10 per cento di quanto promesso. Come se niente fosse, a Rostock i paesi del G8 hanno rilanciato un nuovo impegno di accordare finanziamenti per 60 miliardi di dollari per la lotta all’AIDS, il tutto in modo molto fumoso e volutamente fuorviante. Non si è fissato un obiettivo temporale e per la metà dell’importo si sono di fatto riciclati gli impegni già assunti dall’Amministrazione statunitense fino al 2013. L’aumento di 3 miliardi all’anno rispetto agli impegni già presi da parte degli altri governi, tra cui quegli europei, è addirittura insufficiente per far fronte all’emergenza umanitaria dell’AIDS e delle altre pandemie.

Sul fronte del riscaldamento globale si è salutato come un successo una non decisione. Il risultato di tre giorni di riunioni, costate 120 milioni di euro, è stato il rinvio all’ONU di un eventuale accordo sulla limitazione dei quantitativi di anidride carbonica da emettere nell’atmosfera. Nessuna promessa sarà realizzabile senza la messa in discussione dei modelli economici e sociali dominanti.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM).(SV) Signor Presidente, è gratificante vedere come i servizi legali del Parlamento europeo abbiano stabilito che è sbagliato utilizzare la Costituzione europea non ratificata come riferimento nella relazione in oggetto.

La Lista di giugno, che rappresento, ha sempre sottolineato che è scorretto fare riferimento alla Costituzione europea, considerato che i cittadini di due Stati membri dell’UE l’hanno respinta in maniera chiara e univoca in occasione del referendum. Per poter utilizzare la Costituzione come base giuridica o riferimento, è necessario che essa venga ratificata all’unanimità. Faccio appello all’Assemblea affinché in futuro tenga conto di questo stato di cose.

I paesi ricchi del mondo hanno l’obbligo morale di distribuire parte delle loro ricchezze ai paesi in via di sviluppo. Sostengo pertanto appieno le finalità urgenti stabilite dagli obiettivi di sviluppo del Millennio. La Lista di giugno ritiene tuttavia che le questioni relative agli aiuti andrebbero gestite esclusivamente dai singoli Stati membri in cooperazione con organizzazioni dotate di un’ampia legittimità a livello internazionale e di una lunga esperienza.

Il ruolo dell’UE in tale contesto dovrebbe essere essenzialmente quello di abolire gradualmente gli accordi distruttivi nel campo della pesca che l’UE stipula con i paesi poveri in via di sviluppo e quello di riformare drasticamente la propria politica agricola e commerciale protezionista, che ostacola la vendita di prodotti dei paesi poveri in via di sviluppo nei mercati europei.

 
  
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  Anna Ibrisagic (PPE-DE).(SV) Signor Presidente, in quest’Aula parliamo molto del costo degli aiuti attuali e di quelli futuri. Ripetiamo costantemente che vengono erogati fondi insufficienti per gli aiuti e che gli obiettivi di sviluppo del Millennio non saranno realizzati. Questa previsione si avvererà se i paesi in via di sviluppo non riceveranno aiuti tali da consentire loro di sviluppare le loro economie e di autoaiutarsi.

Chi mi conosce in Parlamento sa che rappresento la Svezia ma che sono giunta in quel paese quasi 14 anni fa come profuga dalla Bosnia. Pertanto, so bene che quando le persone sono deboli e hanno bisogno di aiuto desiderano quel genere di assistenza che possa consentire loro di darsi da fare nel breve periodo e di diventare indipendenti e autonomi il prima possibile, senza più aver bisogno di alcun aiuto. Di sicuro non vogliono che la gente provi compassione e conceda loro quel genere di aiuti che creano dipendenza anche in futuro. E’ anche alla luce di ciò che dobbiamo esaminare le critiche da me mosse alla relazione, con le quali chiedo maggiore enfasi sul commercio e sul suo significato positivo per lo sviluppo.

Un’altra questione non sufficientemente evidenziata nella relazione è la liberalizzazione. L’idea che gli aiuti vadano aumentati senza chiedere ai paesi in via di sviluppo, ad esempio, di ridurre il proprio debito significa concedere aiuti senza esigere nulla in termini di liberalizzazione o di ristrutturazione del debito. Senza liberalizzazione il debito è destinato tuttavia ad aumentare, portando alla situazione da me descritta all’inizio dell’intervento in cui gli aiuti portano alla dipendenza dagli aiuti stessi – una situazione che andrebbe sempre evitata.

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, onorevole Ibrisagic. Visto il suo nome non ci si aspetterebbe uno svedese così eccellente: il suo è un grande esempio.

 
  
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  Anne Van Lancker (PSE).(NL) Signor Presidente, vorrei congratularmi sentitamente con l’onorevole Kinnock per una relazione critica ma particolarmente pertinente, a mio avviso. Vorrei inoltre ringraziare il Commissario per le osservazioni sul Vertice del G8 tenutosi a Heiligendamm. Le posso dire che condivido pienamente il suo scetticismo sul risultato, signor Commissario.

Nel 2005 tutti erano convinti che gli obiettivi del Millennio potessero essere realizzati a condizione che vi fossero l’impegno e i fondi necessari. Meno di due anni dopo, questa stessa idea pare suscitare molto meno entusiasmo, in quanto i capi di Stato e di governo del G8 si limitano a reiterare le promesse del 2005. Come hanno sottolineato alcuni onorevoli colleghi, i paesi del G8 non sono riusciti a redigere un programma – urgentemente necessario – che consenta di mantenere tali promesse. Non esiste un piano di finanziamento concreto che renda i paesi responsabili dei loro impegni e di eventuali inadempienze, ed è già evidente che i paesi del G8 non riusciranno a prendere i provvedimenti necessari a raddoppiare gli aiuti entro il 2010.

Solo per la lotta contro l’HIV/AIDS si registra un’enorme carenza di finanziamenti. Nel 2007 l’ammanco raggiunge addirittura i 9 miliardi. Le promesse fatte in occasione del Vertice di Gleneagles, segnatamente di garantire l’accesso universale alla prevenzione, alla cura e all’assistenza per l’HIV entro il 2010, non sono state mantenute, e non di poco. Solo uno su sei pazienti ammalati di AIDS riceve i medicinali. Ogni dodici secondi l’AIDS miete una vittima e il 70 per cento dei nuovi contagi di HIV si verifica nell’Africa subsahariana. E’ semplicemente inaccettabile. Signor Commissario, 50 miliardi di dollari americani per HIV, AIDS, TBC e malaria non sono affatto sufficienti per consentire al G8 di mantenere puntualmente le promesse nell’area della salute pubblica.

Vorrei sollevare un ultimo punto. Raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio non è solamente una questione di soldi ma anche di diritti. Ad esempio, senza accesso per tutti all’assistenza per la salute sessuale e riproduttiva, la povertà non potrà essere sconfitta. Signor Commissario, spero che l’Europa continui a ricoprire il proprio ruolo di pioniera in tal senso.

 
  
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  Ignasi Guardans Cambó (ALDE).(ES) Signor Presidente, nel 2005 a Gleneagles i leader del G8 hanno trasmesso un messaggio esaltante con la loro promessa di assegnare all’Africa 42 000 milioni di aiuti per la salute, in particolare per la lotta contro AIDS, malaria e tubercolosi.

Nel 2007 abbiamo una nuova promessa di 44 000 milioni di euro. Questo impegno è veramente nuovo? Non lo sappiamo. O forse è soltanto un nuovo modo di mascherare le mancate promesse, come sostengono le grandi ONG che osservano con attenzione tali calcoli? Non c’è un calendario concreto e non è chiaro come questa nuova promessa si relazioni alle precedenti.

Dobbiamo dire ai cittadini che i nostri governi non si stanno comportando in linea con le loro affermazioni. Gli stessi leader che vedono le persone fuggire spaventate dall’Africa e arrivare nei loro paesi, pronte a rischiare la vita solo per morire nel Mediterraneo, esprimono un enorme dolore alla vista di quelle immagini drammatiche, ma non rispettano le promesse quando si tratta di tramutarle in decisioni politiche.

Ci dev’essere un impegno per maggiori aiuti – soprattutto per la salute e l’istruzione, senza dubbio. Tuttavia, tale impegno deve essere anche portato al tavolo dei negoziati. Nel suo comunicato, il G8 descrive il successo dei negoziati di Doha come vitale per la crescita economica del continente africano. Vitale, ha affermato il G8.

Ebbene, quando parliamo di Africa, sarebbe ipocrita da parte nostra fare una distinzione tra le cose che diciamo sulle questioni umanitarie e sugli aiuti e il nostro comportamento al tavolo dei negoziati al ciclo di Doha, e non mi riferisco soltanto all’Unione europea, bensì a tutto il primo mondo, quello che si è riunito all’interno del G8.

Non possiamo separare il libero commercio, la realtà degli scambi commerciali e quello che Doha significa per questi paesi dai nostri discorsi umanitari e sugli aiuti. Al tavolo dei negoziati le nostre promesse devono tradursi in qualcosa di più del semplice denaro che stiamo offrendo.

Infine, gli aiuti devono essere razionali. Dobbiamo accogliere con favore il sostegno del G8 per il Consorzio delle infrastrutture per l’Africa, l’ICA. Si tratta di una misura concreta che vorrei fosse messa particolarmente in luce.

 
  
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  Eoin Ryan (UEN).(EN) Signor Presidente, anch’io vorrei porgere le mie congratulazioni all’onorevole Kinnock per la sua ottima relazione. E’ difficile affrontare tale questione in un solo minuto, ma ci proverò. A mio avviso, i problemi non hanno solo a che vedere con la quantità – o la carenza – di denaro donato all’Africa dall’UE o dal mondo occidentale. La difficoltà consiste anche nell’amministrazione e nel coordinamento degli aiuti. Conosciamo tutti i vincoli rappresentati dalla debolezza dei governi dei paesi africani. In molti casi gli aiuti funzionano, ma se essi non sono accompagnati dal buon governo, la povertà non diventerà mai un capitolo del passato.

Un’idea che si potrebbe prendere in considerazione è far assumere ai singoli paesi europei, o a gruppi di Stati membri, un ruolo di coordinamento nell’amministrazione degli aiuti nei vari paesi africani. Si tratterebbe di un passo fondamentale verso l’attribuzione ai paesi donatori della responsabilità degli aiuti da essi erogati. Sarebbe inoltre un esempio di migliori prassi in termini di attuazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio.

Lo dico sulla base della mia esperienza in veste di ministro del governo irlandese nella gestione delle comunità povere di Dublino e di altre città europee, in cui un’unica agenzia governativa era responsabile del coordinamento di tutto ciò che veniva donato a tali comunità – una soluzione molto efficace. Secondo me si potrebbe fare la stessa cosa a livello europeo o mondiale nei confronti dell’Africa.

L’altra questione rilevante è il commercio, anche se non ho tempo a sufficienza per trattarla. Senza commercio, l’Africa non potrà districarsi dalla povertà: è un’altra questione che va affrontata. In ogni caso, ritengo che ci serva un coordinamento maggiore quando si tratta di investire e spendere i nostri fondi in Africa. Con un coordinamento adeguato potremmo mettere a segno miglioramenti in quest’area. Come sappiamo tutti, non è un compito semplice e non esistono soluzioni facili, ma dobbiamo cambiare il modo in cui distribuiamo aiuti ai cittadini più poveri dell’Africa.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. GÉRARD ONESTA
Vicepresidente

 
  
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  Kathalijne Maria Buitenweg (Verts/ALE).(NL) Signor Presidente, benché sia positivo che oggi sia stata richiamata l’attenzione sui progressi realizzati in alcune regioni, la situazione nell’Africa nera è ancora tragica, come precisato da alcuni oratori che mi hanno preceduta, tra cui l’onorevole Van den Berg. Andrebbe fatta una distinzione geografica, ma anche di genere. Il Presidente Bush è ora convinto che dovremmo incrementare gli aiuti per combattere l’AIDS, in quanto colpisce donne e uomini. Non riesco a non pensare che questa sia una condizione importante per mettere a disposizione le risorse.

Solo le donne sono vittima della cosiddetta mortalità materna, come dice lo stesso termine. Non si ravvisano segnali di miglioramento nell’area dei diritti sessuali e riproduttivi. Sembra che molti non considerino poi così preziosa la vita di una donna. Nella regione subsahariana, 1 donna su 16 muore in seguito a complicazioni della gravidanza, per esempio durante il parto o per un aborto praticato in assenza di sicurezza. Lo Sri Lanka dimostra che gli investimenti salvano veramente la vita alle donne. Onorevole Szymánski, acqua e farmaci da soli non bastano. Le donne devono poter decidere autonomamente se vogliono un figlio. Le decisioni difficili sull’aborto, ad esempio, andrebbero prese individualmente invece di far parte di una dichiarazione ampia e generale rilasciata dalla comodità delle nostre poltrone.

Signor Commissario, ha ragione quando afferma che l’UE è un importante erogatore di fondi e riveste un ruolo rilevante in tal senso, però i paesi dell’UE non hanno mantenuto nemmeno le promesse del Cairo. Che meccanismi intende mettere in moto su questo fronte?

 
  
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  Luisa Morgantini (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio la relatrice Glenys Kinnock per la sua relazione che, se fosse stata votata in tempo, avrebbe inviato un chiaro messaggio ai capi di Stato riuniti nel G8 e a tutta la comunità internazionale sull’indispensabilità di azioni decisive per un’inversione di rotta.

Lo chiedono milioni di persone che muoiono ancora di fame, di sete e di malattie o a causa delle guerre. Sarebbe davvero molto, anche se non sufficiente, se i paesi del G8 e la comunità internazionale tenessero fede agli impegni assunti. Tuttavia, se non si agisce sulle cause strutturali della povertà e del sottosviluppo, si continuerà a morire.

Ha ragione il Commissario Michel sulla necessità di strategie concertate e coerenti su più fronti, quali la quantità e la qualità dell’aiuto pubblico allo sviluppo, la cancellazione del debito e la revisione delle regole del commercio internazionale e, senza dubbio, anche l’assunzione di responsabilità, la trasparenza e il buon governo da parte dei paesi in via di sviluppo.

Vorrei sottolineare alcuni punti. Per quanto riguarda la qualità dell’aiuto, è necessario in particolare porre fine alla dannosissima pratica degli aiuti legati a interessi economici e geopolitici, nonché all’incoerenza tra le politiche di sviluppo, commerciali e agricole dell’Unione europea. E’ inoltre necessario ripensare gli EPA e cercare vie alternative compatibili con il raggiungimento degli OSM, superando lo stallo nei negoziati del round di Doha.

I tre obiettivi di sviluppo del Millennio sui temi sanitari non saranno mai raggiunti se non vi sarà un accesso universale alle cure e ai medicinali. Troppo spesso la legislazione internazionale sui diritti di proprietà intellettuale viola la priorità del diritto alla salute e alla vita di milioni di persone rispetto ai profitti delle multinazionali farmaceutiche. Gli accordi deludenti raggiunti al G8 mettono anche in evidenza le contraddizioni dei grandi del mondo, che destinano allo sviluppo il 5 per cento di quanto spendono in armi di distruzione e di morte.

 
  
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  Manolis Mavrommatis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, anch’io mi associo alle congratulazioni rivolte all’onorevole Kinnock per la sua relazione d’iniziativa su un argomento così importante.

A metà del percorso di realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio, è interessante per il Parlamento europeo constatare i progressi compiuti in tal senso e, per estensione, rivedere alcuni dei metodi adottati per conseguirli.

E’ un vero peccato che tanti paesi dell’area più povera del mondo, l’Africa subsahariana, siano così lontani dal raggiungimento dei suddetti obiettivi, che chiaramente non verranno conseguiti se i paesi più poveri e in via di sviluppo non riceveranno aiuti più cospicui e migliori a integrazione delle loro risorse nazionali.

Le Nazioni Unite, l’Unione africana, il G8 e l’Unione europea devono tener conto delle ultime stime sull’esigenza di incrementare gli aiuti all’Africa di circa 3,7 miliardi di euro l’anno.

In aggiunta a ciò, quale maggiore donatore di aiuti umanitari, l’Unione europea deve proseguire gli sforzi volti a cancellare i debiti dei paesi in via di sviluppo.

Devo comunque ammettere che la mia perplessità maggiore riguarda l’incapacità di conseguire l’obiettivo sull’istruzione. 121 milioni di bambini, 65 milioni dei quali femmine, non sono mai andati a scuola. Oltre all’obiettivo 2 sull’istruzione primaria obbligatoria gratuita per tutti, le conclusioni del Vertice mondiale per l’infanzia del 1990 comprendevano anche un obiettivo di accesso universale all’istruzione entro il 2000, con il completamento dell’istruzione di base per almeno l’80 per cento dei bambini. I paesi in via di sviluppo devono rendersi conto che, se non investiranno nella qualità delle loro risorse umane, resteranno incatenati in eterno nella medesima situazione di sviluppo.

 
  
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  Linda McAvan (PSE).(EN) Signor Presidente, vorrei soffermarmi sul Vertice del G8 e sollevare due punti. Il primo riguarda il cambiamento climatico. La buona notizia è che gli USA hanno accettato di conformarsi al processo dell’ONU, quella cattiva è che non abbiamo concordato obiettivi vincolanti e quella ancora peggiore è che non abbiamo compiuto alcun progresso nel coinvolgimento delle economie emergenti – quali India, Brasile e Cina – nel processo stesso.

Signor Commissario, c’è molto lavoro da fare di qui a Bali. So che il cambiamento climatico non è di sua competenza, ma in qualità di Commissario per lo sviluppo le spetta un ruolo chiave nel mantenere vivo l’interesse per il cambiamento climatico, in quanto, come lei sa, i poveri del mondo in via di sviluppo ne stanno già pagando il prezzo. Spero pertanto che porrà questa tematica in cima al suo ordine del giorno.

Mentre i poveri pagano il prezzo, se esaminiamo l’altro aspetto chiave del G8, gli aiuti esteri, constatiamo che i ricchi non fanno seguire alle parole i fatti. Dati alla mano, il G8 è molto in ritardo quando si tratta di aiuti al mondo in via di sviluppo e i paesi dell’UE sono quelli meno attivi in tal senso.

Signor Commissario, la mia teoria è che tra un paio d’anni ci ritroveremo nuovamente qui a lamentarci dei mancati progressi compiuti nel campo degli aiuti esteri. Al Vertice dell’UE è stato preso l’impegno di raddoppiare gli aiuti. Ne stiamo seguendo gli sviluppi o dobbiamo fare affidamento sulle ONG per avere il punto della situazione? Di fatto, dovremmo monitorare i progressi sul cambiamento climatico e sugli aiuti, perché quello che ha dichiarato l’onorevole Mitchell sulla credibilità e l’UE è giusto. I cittadini giudicheranno il nostro operato sulla base dei risultati ottenuti su tali questioni che suscitano il loro interesse: il cambiamento climatico e la povertà. Il tema della Costituzione è importante per noi, ma non per il pubblico. Di conseguenza, se non porteremo a casa dei risultati su tali questioni, non avremo molta credibilità agli occhi del mondo esterno.

 
  
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  Feleknas Uca (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, Commissario Michel, onorevoli colleghi, vorrei iniziare ringraziando l’onorevole Kinnock per la relazione. Per motivi di tempo, mi limiterò a sollevare soltanto un punto in quest’occasione, un aspetto che – purtroppo – non viene quasi citato nella relazione. A mio avviso, l’importanza vitale di un lavoro decoroso quale mezzo per eliminare la povertà è un fattore estremamente significativo per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio. A che punto siamo per quanto riguarda tali obiettivi?

Per come la vedo io, i risultati della revisione intermedia sono disastrosi. La maggior parte degli obiettivi di sviluppo del Millennio non sono ancora nella fase iniziale di attuazione e non verranno raggiunti nemmeno nel 2015. Questo è un atto d’accusa nei confronti dei paesi donatori. Gli articoli di stampa concernenti i presunti successi del Vertice del G8 non cambiano questo dato di fatto.

 
  
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  Nirj Deva (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, come sempre l’onorevole Kinnock ha prodotto una buona relazione, ma stilare un buon documento, come facciamo tutti qui in Parlamento, non è sufficiente.

Mi preoccupa molto il fatto che al paragrafo 40 e in particolare al paragrafo 41 della sua relazione l’onorevole Kinnock citi il piano Maputo. Per quanto ne so, quel piano è a favore dell’aborto e si spinge molto oltre la dichiarazione del Cairo. La dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia afferma che il bambino, per la sua immaturità fisica o mentale, necessita di tutela e assistenza specifiche, compresa la protezione legale prima e dopo la nascita.

Stando all’ONU, 8,5 milioni di persone nel mondo ogni anno muoiono di fame. A ciò si contrappongono i 46 milioni di bambini vittime di aborti ogni anno, secondo i dati dell’OMS. Si tratta di una cifra pari o superiore agli abitanti della Spagna. In altre parole, dal momento del concepimento il rischio di morire di aborto è cinque volte maggiore di quello di morire di fame. Raffrontate i 46 milioni di aborti con i 56 milioni di persone che muoiono ogni anno a livello mondiale.

I 46 milioni di aborti sono inoltre in contrasto con le 70 000 donne che purtroppo decidono di abortire illegalmente e perdono la vita. Pertanto, per ogni donna che resta incinta e muore per un aborto illegale, ci sono 650 bambini sani che vengono abortiti in utero – che dovrebbe essere il posto più sicuro del mondo dove crescere un bambino, stando alla natura.

Esorto vivamente i miei colleghi a votare contro i paragrafi 40 e 41, che non hanno nulla a che vedere con la mortalità materna, che dovrebbe essere il tema dell’obiettivo 5 del Millennio. Tali paragrafi non riguardano nemmeno i diritti sessuali o riproduttivi, visto che l’aborto non ha alcuna connessione con la sessualità: non è una pratica salutare e ovviamente non riguarda nemmeno la riproduzione – al contrario – e a mio avviso non è certo un diritto.

 
  
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  Åsa Westlund (PSE).(SV) Signor Presidente, l’intervento dell’oratrice che mi ha preceduta mi ha decisamente scioccato. Ho pertanto qualche difficoltà a parlare, ma tenterò di attenermi a quello che avevo intenzione di dire.

A scuola mi avevano insegnato che la gente in Africa moriva di fame perché aveva abbattuto gli alberi nei luoghi in cui viveva e pertanto non vi poteva più crescere alcuna pianta. In un certo senso gli africani venivano considerati essi stessi responsabili della loro situazione. Oggi vi sono sempre maggiori indicazioni del fatto che in realtà siamo stati noi ricchi, col nostro stile di vita e le nostre emissioni ingenti di anidride carbonica e di altri gas nocivi per il clima, a causare il cambiamento climatico nell’Africa subsahariana, a causa del quale gli abitanti di quella regione non sono in grado di procacciarsi acqua e cibo a sufficienza. Questo fatto ci costringe innegabilmente a vedere la povertà da una prospettiva diversa. La nostra responsabilità nella lotta contro la povertà è ancora maggiore se siamo stati proprio noi a causarla.

Nella sua relazione l’onorevole Kinnock dedica una sezione speciale al cambiamento climatico, sottolineando la nostra responsabilità nel garantire che le nostre emissioni di anidride carbonica non colpiscano i più poveri del mondo. Se vogliamo riuscirci, dobbiamo ridurre drasticamente le nostre emissioni di gas nocivi per il clima e sostenere i paesi in via di sviluppo per consentire loro di affrontare con successo l’enorme cambiamento che il mondo deve attuare.

Le questioni in gioco vanno dalla gestione dell’innalzamento del livello delle acque, per esempio, alle azioni per garantire che i paesi in via di sviluppo in grado di produrre energia rinnovabile abbiano l’opportunità di farlo e di risollevarsi pertanto dalla povertà.

Se il mondo vuole realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio, ci dobbiamo concentrare di più su tali considerazioni e attribuire loro la massima priorità. Inoltre, se vogliamo veramente ridurre la mortalità legata, per esempio, all’HIV, all’AIDS e alle gravidanze poco sicure, non dobbiamo permettere alle confessioni religiose di ostacolare la libertà di scelta delle persone e la loro capacità di proteggersi da malattie pericolose per la vita e da gravidanze non desiderate. I diritti riproduttivi, le informazioni sull’aborto legale e sull’accesso alla contraccezione sono e rimangono aspetti necessari del nostro lavoro volto a realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio. Tutte le altre considerazioni sono semplici pregiudizi, e mi sconcerta sentirli esprimere in quest’Aula. Dovremmo essere di più larghe vedute.

 
  
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  Tokia Saïfi (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, il dibattito odierno ci obbliga a guardare con chiarezza ai progressi ancora da compiere entro il 2015 per realizzare gli obiettivi del Millennio. In quest’Aula andrebbe precisato che tali obiettivi sono vitali nel contesto della cooperazione allo sviluppo e che devono incoraggiare aiuti efficaci e coerenti. Con l’avvicinarsi della data di scadenza, gli scarsi risultati ottenuti, in particolare nell’Africa subsahariana, ci costringono a essere più esigenti e a raddoppiare gli sforzi per mantenere le nostre promesse. Visto quello che c’è in gioco, l’Unione europea deve svolgere appieno il proprio ruolo politico per rafforzare i mezzi destinati allo sviluppo e l’efficacia della propria azione nel continente africano.

Il 2015 non è lontano: non è pertanto il momento di decelerare o di gettare la spugna. Quale principale donatore mondiale di aiuti ufficiali allo sviluppo, l’Unione europea dispone dei mezzi per aiutare i paesi del sud del mondo a conseguire la stabilità e ad avvantaggiarsi dello sviluppo economico, sociale e umano. Pertanto, visto che abbiamo i mezzi, dobbiamo pensare agli strumenti più efficaci, per far sì che agli aiuti corrispondano risultati tangibili e duraturi.

Il suddetto requisito implica la mobilitazione di tutti gli interessati. Non è una questione di beneficenza, bensì di aiuti allo sviluppo. Le promesse fatte sulla realizzazione di tali obiettivi fondamentali sono numerose. Si possono pertanto richiamare alla mente gli impegni presi nel corso del deludentissimo Vertice del G8, in cui si è deciso di stanziare 44 miliardi di euro di aiuti per la lotta contro le pandemie in Africa, il che non fa che ripetere l’impegno del 2005.

Speriamo e preghiamo che tali promesse vadano al di là delle belle parole. Perché ciò accada, tali iniziative devono essere ora convertite in azioni pratiche e misurabili. E’ urgente intervenire. Intensifichiamo i nostri sforzi in uno spirito di partenariato, per non mancare l’appuntamento del 2015.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, un minuto è molto poco per affrontare un tema così enorme. Alcuni degli stati d’animo di questo dibattito mi hanno leggermente angosciata, e mi chiedo se le donne africane avrebbero fornito alcune delle risposte che abbiamo dato noi oggi, se interrogate su quello che desiderano. Le donne con cui ho parlato in Malawi hanno sicuramente citato l’esigenza di istruzione, cibo, posti di lavoro e speranza, e io credevo che gli obiettivi di sviluppo del Millennio avrebbero soddisfatto proprio queste necessità, ma è chiaro che non raggiungeremo tali obiettivi in tempo.

Nei 30 secondi che mi rimangono vorrei soffermarmi in particolare sull’aspetto commerciale dell’intera vicenda: i paragrafi 83 e 89 sono particolarmente interessanti. Un suggerimento indica che i negoziati dell’OMC potrebbero essere una risposta ad alcuni dei problemi dell’Africa, eppure il paragrafo 89 afferma molto chiaramente che i paesi meno sviluppati trarranno ben pochi vantaggi da una liberalizzazione estesa dei commerci, e secondo me gli africani devono abolire le barriere al commercio nel loro continente e studiare da vicino tale questione mentre noi in Europa li aiutiamo a sviluppare gli scambi col resto del mondo. Vorremmo fare di più, e speriamo che il dibattito odierno possa essere utile in tal senso.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, non serve che vi dica quanto sia frustrante dover rispondere in così poco tempo a una valanga di osservazioni, molte delle quali decisamente appropriate. In linea di massima sono sicuramente d’accordo con le osservazioni, le valutazioni e le idee che sono state espresse.

Vorrei iniziare dal G8. Devo confessare che anch’io sono rimasto molto deluso quando ho constatato che i vertici del G8 si stanno trasformando sempre più in un esercizio estremamente ritualistico, e deploro che quanto più ciò accade, tanto meno simili eventi diventano credibili, al punto che un giorno la gente inizierà a chiedersi se abbiano una qualche utilità.

Ho sentito qualcuno – credo che fosse nell’ala sinistra dell’Aula – che si interrogava sulla natura rappresentativa o sulla legittimità del G8. Credo che sia necessario porre tale domanda. E’ innegabile che parti consistenti del mondo reale, in termini geopolitici e demografici, continuano a non essere rappresentate, ed è un vero peccato. Il G8 assomiglia sempre più a un concorso di bellezza, ed è ovviamente molto triste assistere al suo screditamento a causa del mancato rispetto, da parte dei partecipanti, delle promesse ripetute anno dopo anno. E’ sempre possibile intravedere qualche motivo di soddisfazione in questo tipo di eventi, anche se non è sufficiente a convincerci che si tratti di un esercizio molto utile e sincero.

Devo necessariamente adottare un approccio impressionistico nelle mie risposte ad alcune delle osservazioni più incisive che sono state fatte. Innanzi tutto, sulla questione dell’HIV/AIDS vorrei ricordare che due canali fondamentali per la fornitura di assistenza sanitaria dalla Comunità europea per la lotta contro tale malattia sono il sostegno erogato ai paesi per migliorare la loro assistenza sanitaria, soprattutto in Africa, e lo stanziamento di fondi in capitoli tematici di bilancio. Siate certi che sfrutteremo tutte le risorse a nostra disposizione. I programmi sanitari condotti in 21 paesi africani ammontano a 396 milioni di euro, con una somma aggiuntiva di 62 milioni di euro stanziata per i prossimi mesi. Non vi nascondo che è grazie a tali linee tematiche di bilancio e ai fondi assegnati ai paesi ACP a titolo dell’ottavo e del nono Fondo europeo di sviluppo che la Comunità sta contribuendo al fondo globale per la lotta contro l’Aids, la tubercolosi e la malaria, in cui deteniamo la carica di vicepresidente del consiglio direttivo. Dopo la creazione del fondo nel 2002, la Comunità europea ha versato un totale di 522,5 milioni di euro per il periodo dal 2002 al 2006. Se si considerano i contributi dei paesi membri, l’Unione europea rappresenta il donatore più generoso di tale fondo.

Qualche parola sul cambiamento climatico, in risposta a un onorevole deputato: condivido pienamente la sua preoccupazione per la minaccia rappresentata dal cambiamento climatico per i paesi in via di sviluppo e gli sforzi volti a conseguire gli obiettivi del Millennio. Ritengo che le questioni correlate al cambiamento climatico dovrebbero rientrare nella cooperazione allo sviluppo. Nel 2003 abbiamo adottato un piano d’azione comunitario sul cambiamento climatico e sullo sviluppo che stiamo attuando congiuntamente con gli Stati membri. I progressi conseguiti nell’attuazione di tale piano d’azione sono attualmente in fase di studio, e le conclusioni sembrano indicare che, benché il piano sia stato una buona piattaforma per un’azione congiunta da parte dell’Unione europea, le sue modalità di attuazione non sono effettivamente commisurate alle dimensioni e all’importanza della sfida.

Intendo pertanto lanciare una strategia per intensificare la nostra cooperazione con i paesi in via di sviluppo più duramente colpiti dal cambiamento climatico. Il fine è procedere alla stipulazione di un’alleanza globale sul cambiamento climatico che sottenda al dialogo e alla cooperazione tra l’Unione europea e i paesi in via di sviluppo sulla riduzione delle emissioni e sull’adeguamento ai cambiamenti del clima. E’ anche mia intenzione condividere al più presto con voi i dettagli di tale proposta, che è concreta.

Per quanto riguarda gli accordi di partenariato economico, non mi soffermerò a lungo su tale tema. Basti dire che sono tra coloro che ritengono che non si possa mettere a segno uno sviluppo effettivo – nel senso di creare quel tipo di ricchezza in grado di finanziare i servizi sociali e tutti i principali canali di accesso ai servizi pubblici – senza accesso al commercio e alle dinamiche economiche. Di conseguenza, tali accordi, per come li prevediamo, li percepiamo e li attuiamo, sono effettivamente accordi in materia di politica dello sviluppo. La priorità non è la dimensione commerciale, bensì lo sviluppo.

Siete tutti a conoscenza delle divergenze di opinione che sussistono a questo proposito tra me e alcune persone. La loro esistenza è scontata. La decisione di concludere gli accordi di partenariato economico prima della fine del 2007 è stata presa congiuntamente dall’Unione europea e dai paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico. Il dibattito e la controversia suscitati da tale decisione sono stati molto opportuni, soprattutto perché hanno portato all’accettazione di periodi di transizione più lunghi, al riconoscimento della natura specifica di determinati prodotti sensibili e anche all’accettazione del principio del finanziamento di fondi regionali destinati a compensare i mancati profitti causati dall’eliminazione delle barriere tariffarie. E’ una questione su cui torneremo, ma è indubbiamente grazie al dibattito avviato in quest’Aula, soprattutto dall’onorevole Kinnock e da altri, che la Commissione, i suoi partner e le altre parti interessate hanno presentato proposte più flessibili che tengono maggiormente conto della realtà.

Sono convinto che la cancellazione dei debiti sia utile per finanziare lo sviluppo. Questa posizione non ha niente di straordinario. Si basa semplicemente sul nostro quadro comune di riferimento nel campo della politica di sviluppo e sul consenso europeo approvato neanche un anno e mezzo fa dal Parlamento europeo e dalla Commissione. Il consenso europeo si riferisce alla definizione dell’OCSE di aiuti pubblici per lo sviluppo e comprende la cancellazione del debito. L’Unione europea si sta anche impegnando a trovare soluzioni durature al problema degli oneri di debito insostenibili.

Detto ciò, onorevole Kinnock, lei ha indubbiamente ragione. Tutti sperano che tale misura si diffonda, io per primo. Ha anche ragione a sostenere che in effetti si tratta semplicemente di una misura una tantum e che, se i governi vogliono onorare i loro impegni, devono aumentare in termini reali e assoluti il valore degli importi che devolvono alle loro politiche di aiuto allo sviluppo nell’arco dei prossimi anni. Questo è, tra l’altro, il messaggio trasmesso dalla Commissione agli Stati membri nella sua comunicazione di aprile.

Per quanto riguarda la modifica delle norme dell’OCSE, tema citato di recente, non la considero necessaria. Aggiungerei che, secondo me, contestando tali norme si rischia di scatenare una discussione sull’idoneità di altri contributi finanziari che, per quanto mi concerne, non hanno nulla a che vedere con le politiche per lo sviluppo. Non intendo aggiungere altro sul tema. Tutti sanno benissimo a cosa sto pensando.

Sulla questione importante dello sviluppo sociale e umano, devo dire – e lo dico tanto più volentieri perché l’onorevole Deva, che ha sollevato la questione, è una persona che stimo moltissimo – che non condivido il vostro punto di vista. La Commissione sostiene politiche e iniziative che consentono a donne e uomini di fare scelte libere e informate sul numero di figli che vogliono avere e sugli intervalli tra le nascite, e che danno loro accesso a una pianificazione familiare di alta qualità, a servizi per la salute riproduttiva e a un’assistenza qualificata durante il travaglio.

Temo di non condividere la vostra posizione, che mi sembra eccessivamente radicale e che non mi pare tenga debitamente conto del concetto di libertà individuale. Siamo di fronte a una divergenza filosofica di cui dobbiamo prendere atto. Le persone sono diverse, onorevole Deva. Non siamo necessariamente tutti uguali, e ritengo che non si debba utilizzare a senso unico l’argomentazione dell’autorità e della sottomissione. Pur comprendendola quando sostiene che è sbagliato ricorrere all’aborto in pratica o in linea di principio, non credo nemmeno che sia corretto sottomettersi a un dettame religioso. Per lo meno, io la vedo così.

Vorrei fare riferimento a un altro elemento che mi sembra importante, vale a dire l’efficacia degli aiuti. A mio avviso, gli aiuti – che siano internazionali, europei o altro – diventeranno molto più efficaci quando ci lasceremo meno ossessionare – e non sto cercando di colpevolizzare nessuno – dall’esigenza di sventolare la nostra bandiera. Una volta che ci concentreremo debitamente sull’obiettivo di alleviare la miseria e di aiutare gli abitanti più poveri del pianeta invece che preoccuparci di chi fa cosa e di come elevare individualmente il profilo delle nostre attività, diventeremo molto più efficienti. E’ la ragione alla base del nostro operato, e stiamo portando avanti un codice di condotta nel tentativo di indurre gli Stati membri ad accettare un maggiore coordinamento, più convergenza, e una divisione più razionale del lavoro, perché tali aspetti non possono che aumentare la nostra efficienza.

Vi devo tuttavia dire in tutta onestà – perché vi ho ascoltati con attenzione e so che quasi tutti condividete questo punto di vista e che, quando ascoltiamo le dichiarazioni di governi, ministri, Primi Ministri, questo messaggio è uno dei fili conduttori di tutti – che tali obiettivi sono ben lungi dall’essere realizzati nella prassi. Abbiamo condotto analisi congiunte in connessione con la preparazione dei nostri documenti strategici nazionali e abbiamo proposto una programmazione comune. Oggi vi posso dire che, per quanto riguarda la programmazione operativa del decimo Fondo europeo di sviluppo, il numero degli Stati membri che hanno deciso di partecipare a tale iniziativa ammonta più o meno a dieci, e persino questi ultimi non prenderanno parte a tutte le iniziative di programmazione. Posso citare pochissimi casi di programmazione comune. Chiaramente è proprio questo l’obiettivo. Lo scopo non è sapere chi fa cosa, ma chi fa cosa meglio.

Come ho già avuto occasione di affermare, la Commissione non vuole assumere la direzione di tutto. La Commissione è disposta a delegare responsabilità e a finanziare parzialmente coloro che le assumeranno, in altre parole i paesi che fungeranno da pilota in aree specifiche di attività o progetti, a condizione che la delega dei poteri produca maggiori risultati dell’azione individuale della Commissione. E’ la direzione in cui dobbiamo provare a muoverci. Resto ottimista, in quanto ritengo che lungo il percorso dimostreremo che l’efficienza scaturisce da un maggior coordinamento, convergenza e armonizzazione: sono queste le chiavi dell’efficienza.

 
  
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  Presidente. – La discussione congiunta è chiusa.

La votazione sulla relazione dell’onorevole Glenys Kinnock si svolgerà domani.

 

14. Lavori dell’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE nel 2006 (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0208/2007), presentata dall’onorevole Thierry Cornillet a nome della commissione per lo sviluppo, sui lavori dell’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE nel 2006 [2007/2021(INI)].

 
  
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  Thierry Cornillet (ALDE), relatore. – (FR) Signor Presidente, vi illustrerò brevemente il lavoro svolto dall’Assemblea parlamentare paritetica nel 2006 alla luce di alcune cifre. L’Assemblea si è regolarmente riunita due volte, a Vienna e a Bridgetown. A proposito di Bridgetown, va detto che, trattandosi di una località delle isole Barbados, che al pari di tutti i Caraibi sono considerate una meta turistica, la stampa non si è ovviamente lasciata sfuggire l’occasione per commentare che i deputati al Parlamento europeo se n’erano andati in gita di piacere ai Caraibi. E’ già abbastanza complicato far funzionare un’assemblea paritetica senza recarsi nei paesi che ne fanno parte; se poi aggiungiamo che, tra i paesi membri dei Caraibi e del Pacifico, e anche tra quelli dell’Africa, ve ne sono alcuni per i quali il turismo è un’attività economica importante, cosa dovremmo fare? Non recarci in quei paesi? Evitare di andarci sarebbe scortese e darebbe un’immagine distorta dell’attività dei paesi ACP.

Tornando alle cifre, l’Assemblea ha adottato nove risoluzioni. Non le elencherò tutte, ma mi limiterò a ricordare soltanto che in alcune di esse sono stati delineati i problemi futuri che potrebbero sorgere nei paesi ACP in relazione, per esempio, al turismo e allo sviluppo, all’influenza aviaria e all’approvvigionamento energetico. Un’altra cifra: vi sono state sette delegazioni congiunte, una delle quali – la missione a Malta e Tenerife – ha richiamato l’attenzione sulla problematica della migrazione.

Vorrei ora sottolineare alcuni aspetti dei lavori dell’Assemblea nel corso dell’anno considerato. Da rilevare sono l’entrata in scena e anche il maggiore coinvolgimento nell’attività dell’Assemblea da parte di soggetti non governativi. Questa è una novità assolutamente positiva, sebbene l’impegno di tali soggetti si sia espresso di frequente sotto forma di eventi paralleli. Comunque sia, la loro partecipazione è senza dubbio un utile completamento del lavoro della nostra Assemblea. Ho l’onore di ricoprire la funzione di vicepresidente responsabile di queste materie; il mio mandato scadrà in occasione della prossima riunione dell’Ufficio di presidenza e ritengo importante che esso non resti scoperto.

Un altro aspetto riguarda gli accordi di partenariato economico. Ho preso atto dell’appassionato sostegno del Commissario Michel a favore di tali accordi. Anche in questo caso, l’Assemblea parlamentare paritetica ha svolto un ruolo guida monitorando i negoziati e creando un flusso di informazioni in entrambe le direzioni, che permette ai membri del Parlamento europeo di ottenere dati più completi sullo stato delle cose nei paesi ACP e ai nostri partner ACP di andare oltre le fantasie partorite da qualche folle che presenta erroneamente gli accordi di partenariato economico come se fossero una specie di cavallo di Troia del liberalismo. Sono grato al Commissario Michel per averci ricordato che gli accordi sono invece strumenti della politica per lo sviluppo e che le loro condizioni non sono immutabili, contrariamente alle voci che circolano nei corridoi dell’Assemblea parlamentare paritetica.

Infine, ci sono state audizioni con i principali negoziatori e con i Commissari competenti in materia, durante le quali abbiamo potuto acquisire maggiori conoscenze sugli accordi di partenariato economico.

Riguardo alla situazione in Darfur, non intendo entrare nuovamente nel merito della questione, che – mi spiace doverlo dire – è ancora ben lontana da una conclusione. Desidero semplicemente evidenziare un’aberrazione, ovvero il ricorso a votazioni per collegi separati; infatti, durante la prima sessione, a Vienna, abbiamo adottato una risoluzione comune sul Darfur, mentre a Bridgetown è stata chiesta una votazione separata, con il risultato che la risoluzione è stata respinta perché i nostri omologhi ACP non l’hanno approvata, cedendo alle pressioni di alcuni paesi. Nella mia relazione propongo di abbandonare tale pratica, di modo che l’Assemblea possa funzionare come una vera e propria assemblea paritetica nella quale a prevalere è solamente il principio democratico.

Per quanto attiene alla dimensione parlamentare, sulla quale ritornerò nelle mie conclusioni, signor Commissario, vorrei semplicemente rammentarvi l’impegno che avete assunto di trasmettere i documenti strategici ai paesi ACP, naturalmente, e al Parlamento europeo. Penso sia importante coinvolgere i nostri colleghi dei paesi ACP.

Infine, in merito alla nascita del parlamento panafricano ritengo sia molto importante che creiamo un rapporto di partenariato con quel parlamento e un partenariato parallelo con l’Unione africana. Credo che una delegazione vi si sia recata e che ci siamo assunti l’impegno di ospitare una visita del suo presidente.

Un altro punto concerne il rafforzamento delle sottoregioni all’interno dell’area ACP. Ci sono quattro regioni in Africa, più quelle dei Caraibi e del Pacifico, e sarebbe opportuno rafforzare le sottoregioni, poiché solo un approccio di tipo regionale consentirà una corretta applicazione degli accordi di partenariato economico, nell’interesse di tutti.

Concluderò riprendendo la questione della dimensione parlamentare. E’ decisamente essenziale che noi, e intendo dire i deputati al Parlamento europeo, ma più specificamente i nostri omologhi dei paesi ACP, valutiamo il potenziale dell’Assemblea parlamentare paritetica in quanto fonte di informazione. Perché l’Assemblea possa svolgere tale funzione, è necessario migliorare il lavoro del segretariato ACP, ad esempio attraverso una formazione propedeutica, un maggiore interesse da parte dei nostri omologhi nel Fondo di sviluppo europeo e l’applicazione di quest’ultimo, come pure un loro maggiore coinvolgimento nella definizione dei piani integrati nazionali e regionali, dei documenti strategici nazionali e degli accordi di partenariato economico. Siamo lieti che una parte dei finanziamenti del FSE sia stata destinata a programmi di formazione per parlamentari, allo scopo di garantire che l’Assemblea parlamentare paritetica possa fare affidamento su persone competenti, informate e coinvolte nelle deliberazioni, e capaci quindi di trasformare l’Assemblea in un’istituzione realmente utile.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, l’Assemblea parlamentare paritetica sta diventando un pilastro sempre più robusto della cooperazione tra l’Unione europea e i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico. Da quando rivesto l’incarico di Commissario responsabile per lo sviluppo e gli aiuti umanitari, ho partecipato a tutte le sessioni dell’Assemblea e conosco quindi molto bene i grandi progressi che essa ha compiuto. L’Assemblea sta assumendo sempre più i caratteri di un organismo parlamentare quanto a statura e comportamento, grazie alle discussioni più aperte e al minor numero di tensioni regionali. L’Assemblea si è inoltre dimostrata capace di affrontare un’ampia gamma di argomenti e di trovare l’accordo su questioni delicate quali la ricostruzione postbellica, una gestione sostenibile delle risorse e gli accordi di partenariato economico.

L’eccellente relazione dell’onorevole Cornillet e della commissione per lo sviluppo ci propone un ritratto fedele della crescita dell’Assemblea. Avete evidenziato i progressi fatti senza tuttavia ignorare i problemi che restano ancora da risolvere. La relazione individua altresì le sfide che si affacciano all’orizzonte. Vi ringrazio per gli apprezzamenti che avete espresso al punto 2 riguardo all’intenzione della Commissione di sottoporre i documenti strategici al vaglio parlamentare. Naturalmente deplorate che ciò non sia stato possibile, però sapete senz’altro che, dopo l’adozione della nostra posizione in materia, gli Stati membri sono riusciti ad accordarsi sull’inserimento di una nuova disposizione nel regolamento di attuazione del decimo ciclo del Fondo europeo di sviluppo, la quale prevede la trasmissione, a fini informativi, dei documenti strategici dei paesi ACP all’Assemblea parlamentare paritetica in contemporanea con il loro invio agli Stati membri rappresentati nel comitato del Fondo europeo di sviluppo.

Sono favorevole a tale soluzione, che tiene sicuramente conto della natura specifica del FES, dato che l’Assemblea parlamentare paritetica è un’istituzione esplicitamente riconosciuta dall’accordo di Cotonou ed è pertanto in una posizione ottimale per monitorare il corretto funzionamento del processo di programmazione nell’ambito del decimo FES, considerato che tale Fondo non fa parte del bilancio comunitario. Anche questo fatto offre all’Assemblea un’occasione per dar prova della sua capacità di svolgere un vero ruolo politico nella nostra collaborazione.

Desidero infine cogliere quest’occasione per associarmi agli apprezzamenti rivolti al governo e al parlamento delle Barbados e alla Presidenza austriaca per aver organizzato in modo eccellente le sessioni dell’Assemblea dell’anno scorso. Avrò modo di incontrare nuovamente alcuni di voi la settimana prossima a Wiesbaden, in Germania, durante la prossima sessione dell’Assemblea parlamentare paritetica.

 
  
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  Maria Martens, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, mi congratulo con l’onorevole Cornillet per la sua relazione sui lavori dell’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE nel corso del 2006. Ancora una volta, è stato un anno proficuo: sono stati discussi temi importanti, tra cui i problemi correlati con l’energia, il turismo e l’acqua nei paesi ACP, la promozione della pace e della sicurezza, i problemi nel settore della pesca nei diversi paesi e, naturalmente, i nuovi accordi di partenariato economico.

La struttura di questa delegazione parlamentare rimane peculiare e unica nel suo genere. E’ un fatto importante che 77 deputati al Parlamento europeo e 77 parlamentari dei paesi ACP – uno per ciascun paese – si incontrino alcune volte l’anno per discutere della politica per lo sviluppo, senza dimenticare le riunioni preparatorie, che sono il risultato degli sforzi congiunti dei paesi europei e dei paesi ACP. Queste riunioni sono altresì di grandissima rilevanza per il nostro lavoro parlamentare, perché noi non solo parliamo di loro, ma anche con loro dell’attuazione dell’accordo di Cotonou e, in generale, della politica per lo sviluppo. Ovviamente avremmo dovuto fare così sin dall’inizio della strategia euroafricana, ma essa è stata concepita troppo unilateralmente da un punto di vista europeo. Per fortuna, d’ora in avanti ci sarà una strategia comune dell’Unione europea e dell’Unione africana per lo sviluppo dell’Africa. Questa è, giustamente, una priorità. I livelli di povertà in Africa sono i più alti e i più allarmanti al mondo.

E’ positivo che l’Assemblea parlamentare paritetica continui a crescere e che il dialogo tra i paesi ACP e l’Unione europea stia acquisendo nuovo slancio. Ed è positivo anche che si possa discutere sempre di più di argomenti delicati quali la corruzione e situazioni preoccupanti, comprese quelle nel Corno d’Africa e nel Sudan. Lo Zimbabwe rimane una questione spinosa. Poiché lo stato di cose in quel paese è inaccettabile, dobbiamo fare tutto quanto in nostro potere per tutelare la popolazione e porre fine alle violazioni dei diritti umani. La settimana prossima ci riuniremo nuovamente a Wiesbaden, in Germania; attendo con ansia tale incontro e mi auguro che anche in quella occasione avremo modo ancora una volta di intrattenere un dialogo utile e affrontare tematiche complesse.

 
  
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  Glenys Kinnock, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, sono veramente molto lieta che il Commissario abbia affermato che l’Assemblea parlamentare paritetica è diventata un’organizzazione solida; è senz’altro così. Lo ringrazio per la sua fedele partecipazione a tutte le riunioni dell’Assemblea svoltesi finora. Faccio notare altresì che il Presidente del Parlamento parteciperà alla sessione di Wiesbaden della settimana prossima, come ha fatto il suo predecessore Borrell, che ora è membro dell’Assemblea parlamentare paritetica.

L’impegno e la partecipazione sono molto importanti e conferiscono prestigio e importanza all’Assemblea parlamentare paritetica, la quale – come già osservato, tra gli altri, dall’onorevole Cornillet nella sua eccellente relazione e nella presentazione – continua a crescere e prosperare, e questo grazie all’attivo impegno e apporto di così tanti parlamentari sia dei paesi ACP sia del Parlamento europeo. Siamo molto soddisfatti di questa collaborazione molto attiva all’interno dell’Assemblea parlamentare paritetica. Per citare nuovamente l’onorevole Cornillet, ricorderò ancora che la natura parlamentare del nostro lavoro si è notevolmente rafforzata.

Abbiamo un programma ad ampio raggio e, comunque lo si voglia considerare, tutto il nostro lavoro è ispirato dall’accordo di partenariato di Cotonou, che è un patto contrattuale vincolante tra l’Europa e gli Stati ACP. La natura di tale partenariato tra tutti i paesi aderenti è assolutamente unica, e lo è in forza della sua dimensione parlamentare, prevista come requisito obbligatorio dall’accordo stesso. Dobbiamo essere molto orgogliosi di tale peculiarità.

Un altro punto importante è che abbiamo lavorato sodo per migliorare la capacità dei parlamentari ACP di esaminare e vagliare l’operato dell’esecutivo e del governo nei rispettivi paesi; inoltre, essi hanno il dovere di chiamare i governi a render conto delle proprie azioni, perché è questo che ci si aspetta da un parlamentare. Devo dire però in tutta franchezza che, nella maggior parte dei paesi ACP dove abbiamo parlato e lavorato con i parlamentari locali, questi ultimi solo di rado vengono coinvolti nell’ambito dell’attività svolta dai governi.

In un certo qual modo, anche la Commissione è responsabile di tale situazione, perché l’esigenza di negoziati e consultazioni con la società civile era stata stabilita e sancita negli accordi già durante le consultazioni, ad esempio sui documenti strategici nazionali. Sono favorevole a questa disposizione, mi sembra ottima. Dall’altro canto, vorrei vedere da parte dei parlamentari, in quanto rappresentanti eletti, un impegno molto maggiore per quanto riguarda la programmazione, l’attuazione, il monitoraggio e la valutazione. Dobbiamo inoltre sollecitare i parlamenti nazionali europei a vigilare sul Fondo europeo di sviluppo; sarebbe un modo per sostenerci nel nostro impegno.

Penso che il lavoro dell’Assemblea parlamentare paritetica sia cambiato nel corso dei 13 anni nei quali ne ho fatto parte, e sia cambiato in meglio: una volta, era completamente dominato dai parlamentari europei; oggi, credo che possiamo tutti riconoscere onestamente che non è più così.

 
  
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  Johan Van Hecke, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, l’onorevole Cornillet ha stilato un’eccellente sintesi dei lavori dell’Assemblea parlamentare paritetica nel 2006. L’Assemblea sta crescendo in termini di credibilità e potere, non si sottrae più a discussioni difficili, anche sul tema della migrazione, e ha persino il coraggio di fare scelte, nonostante lo scopo rimanga quello di trovare sempre un accordo. Un caso esemplare in tal senso – e, per me, anche uno dei momenti più alti – sono state la discussione e la risoluzione riguardanti lo stato di avanzamento dei negoziati sugli accordi di partenariato economico; quella risoluzione ha funto sostanzialmente da base di riferimento per la relazione dell’onorevole Sturdy che abbiamo approvato in quest’Aula e di cui possiamo pertanto dire che è stata appoggiata in parte anche dai nostri colleghi dei parlamenti ACP.

Vorrei però fare anche due osservazioni di tono meno positivo. In primo luogo, come già ricordato dall’onorevole Cornillet, a Bridgetown è stata respinta una risoluzione imparziale sull’Africa orientale perché era stata preceduta da una votazione per collegi separati, nonostante la grandissima maggioranza dell’Assemblea fosse favorevole. Ciò è in contrasto con lo spirito di solidarietà e coesione all’interno dell’Assemblea e solleva l’interrogativo se non sia giunto il momento di rivedere il regolamento per evitare che gruppi di minoranza da entrambe le parti possano bloccare i lavori.

In secondo luogo, non possiamo nasconderci il fatto che il segretariato ACP esercita tuttora pressioni per influenzare i comportamenti di voto dei parlamentari dei paesi ACP. Anche questo è un fatto intollerabile, al pari dei sistematici tentativi di ingerenza da parte degli ambasciatori. E’ promettente che i paesi ACP abbiano deciso di eseguire uno studio per valutare le attività del segretariato, però quella valutazione dovrà poi, naturalmente, produrre qualche risultato.

In sintesi, posso quindi concludere che il 2006 è stato un anno positivo per l’Assemblea parlamentare paritetica. Speriamo di poter compiere un ulteriore passo avanti verso il rafforzamento della sua dimensione parlamentare e politica.

 
  
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  Marie Anne Isler Béguin, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, anch’io desidero, a nome del mio gruppo, esprimere apprezzamento per la relazione. Credo però che qualsiasi analisi dei lavori dell’Assemblea parlamentare paritetica debba avere un taglio precipuamente politico.

Al riguardo, possiamo dirci soddisfatti della situazione nei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico dopo anni di una politica per lo sviluppo di cui l’Unione europea è stata il principale finanziatore? Questa è la domanda che dobbiamo porci. E quali progressi sono stati compiuti sulla strada verso la democrazia?

Durante le nostre periodiche visite in quei paesi, non abbiamo potuto fare a meno di osservare che la miseria umana sta crescendo e che la democrazia non ha ancora superato lo stadio iniziale. Anche se la nostra attività all’interno dell’Assemblea parlamentare paritetica sta procedendo bene, come sostiene l’onorevole Cornillet, dovremmo comunque cercare di avere una visione complessiva della situazione, dato che disponiamo dei mezzi necessari per andare avanti, per fare progressi dal punto di vista del reciproco rispetto dei nostri interessi europei e, ovviamente, del soddisfacimento delle aspettative dei paesi ACP.

Ci sono motivi di speranza, come dimostra, ad esempio, il processo di transizione alla democrazia iniziato in Mauritania. Ciò che l’Unione deve ancora fare – e qui mi rivolgo alla Commissione – è onorare i suoi impegni aiutando i mauritani a portare a buon fine quel processo e a ristabilire condizioni di vita decenti. Un utile contributo in tal senso potrebbe essere il sostegno dell’Assemblea parlamentare paritetica all’Assemblea nazionale della Mauritania.

Comunque sia, signor Commissario, vorrei ora concentrarmi sulla lotta contro la povertà, di cui abbiamo discusso ampiamente. Va precisato che la lotta contro la povertà comprende anche la risoluzione di questioni ambientali, alle quali siamo soliti riservare troppo poca attenzione – e qui mi rivolgo all’onorevole Cornillet.

Vorrei inoltre citare la relazione sullo sviluppo sostenibile che è stata stilata come parte del nostro lavoro sui piani di azione attualmente in corso di attuazione nei paesi ACP. Cosa facciamo per frenare la desertificazione, che costringe centinaia di africani a rifugiarsi in squallide baraccopoli o a emigrare, anche a rischio della loro stessa vita, per raggiungere un immaginario El Dorado europeo? Questa è la domanda che dobbiamo porci; il mondo è in attesa di una risposta.

 
  
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  Paul Marie Coûteaux, a nome del gruppo IND/DEM. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti degli Stati membri e funzionari della Commissione, concordiamo tutti sull’impostazione generale della relazione Cornillet, che si caratterizza per buon senso, buona volontà e nobili intenzioni, sebbene molte di esse siano – temo – soltanto velleità.

Vale nondimeno la pena sottolineare un aspetto, ovvero il contrasto eccessivo tra l’importanza e persino la gravitas attribuite oggi alla questione dei nostri rapporti con i paesi africani e l’indifferenza palesata dalle oligarchie europee, in specie dal Parlamento europeo, verso i paesi del sud.

Sì, onorevoli colleghi, siamo colpevoli di indifferenza. Non c’è paragone tra il significato, talvolta minimo, delle questioni che assorbono nove decimi se non più delle nostre discussioni e votazioni e la gravità del crescente squilibrio tra il continente europeo e quello africano. Mi riferisco all’Africa perché reputo inopportuno distribuire troppo ampiamente l’impegno in ambito ACP, il cui impatto dovrebbe essere ristretto al fulcro originario delle convenzioni di Lomé, che è e deve rimanere l’Africa subsahariana.

E’ fuor di dubbio che la questione è di natura troppo autenticamente politica, troppo crudelmente politica per poter essere affrontata da istituzioni sovranazionali, la cui intrinseca debolezza impedisce loro di occuparsi di questioni che non siano tecniche. Pertanto, è del tutto normale che ci rivolgiamo agli Stati membri e chiediamo, come la relazione Cornillet fa fin troppo bene, un maggiore coinvolgimento dei parlamenti nazionali, perché cercare di affrontare su scala europea i problemi principali ci porterebbe a non affrontarli affatto e, nel contempo, a sollevare gli Stati membri dalle loro responsabilità.

Sì, onorevole Cornillet, la soluzione, in questo come in altri ambiti, è avere fiducia negli Stati membri e nelle istituzioni realmente democratiche, ossia nei parlamenti nazionali.

 
  
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  Koenraad Dillen, a nome del gruppo ITS. (NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, non è una novità, però è senz’altro positivo che l’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE riconosca nella sua relazione che la questione dell’immigrazione dominerà i rapporti futuri tra l’Unione europea e il mondo in via di sviluppo, in particolare l’Africa.

I lavori e le raccomandazioni dell’Assemblea – perché è di questo che, dopo tutto, tratta la relazione, in certa misura – danno adito tuttavia ad alcuni rilievi critici. Per quanto le missioni conoscitive a Malta, in Spagna e in Senegal possano essere utili, questa volta hanno prodotto, sfortunatamente, pochi dati nuovi: cosa c’è da imparare da una relazione concernente gli effetti sullo sviluppo nazionale della migrazione di lavoratori istruiti? La migrazione di lavoratori istruiti significa, per i paesi di origine, una fuga dei cervelli ed è senz’altro deleteria per i paesi stessi.

Ma, ovviamente, è proprio questo il grande paradosso: coloro che sono favorevoli a un aumento del flusso migratorio verso l’Europa per coprire i posti di lavoro liberi nelle cosiddette professioni “bloccate”, troppo spesso dimenticano che tale migrazione comporta l’impoverimento dei paesi di origine, con il risultato che i più deboli rischiano di essere abbandonati a se stessi. Dovremmo avere il coraggio di dirlo a chiare lettere. Tuttavia, nell’analisi finale la posizione e la risposta dell’Assemblea parlamentare paritetica sul tema della migrazione sono, naturalmente, prevedibili. In quanto collegamento tra le Istituzioni europee, l’Assemblea si limita a riproporre la politica dell’Europa ufficiale sulla migrazione. Ma questo è tutt’altra cosa che una politica forte ed efficace in materia di immigrazione, una politica capace di inviare messaggi chiari ai paesi di origine e di imporre condizioni coerenti con le esigenze proprie dell’Assemblea parlamentare paritetica.

Sul punto del rispetto dei diritti umani, della democrazia e del buon governo, questo forum è una fedele riproduzione della politica ufficiale dell’Unione ed è totalmente incapace di lanciare un messaggio forte, un segnale che faccia comprendere ai paesi interessati che il rifiuto di rispettare i diritti umani e di applicare i principi democratici si tradurrà in una riduzione, ove non in una cancellazione, di qualsiasi forma di aiuti allo sviluppo.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, innanzi tutto voglio dire che sono favorevole alla relazione. Penso che essa sia arrivata al momento giusto, ovvero alla vigilia della riunione di Wiesbaden. Tuttavia – non so se il Commissario stia effettivamente seguendo la discussione – ho talvolta l’impressione che il nostro ruolo si limiti a quello di disturbatori esterni, nel senso che solleviamo questioni che non ottengono molta attenzione da nessuno tranne che da noi stessi, quando ci mettiamo a scrivere belle e dotte relazioni come questa.

Ma penso che esista la possibilità di innovare e cambiare la situazione attuale. Vengo da un paese che, ancora nella sua storia recente, ha letteralmente patito fame e carestia: ho avuto modo di parlare con qualcuno che a sua volta aveva parlato con qualcuno che aveva vissuto di persona l’ultima grande carestia che ha colpito l’Irlanda – quindi, non tantissimo tempo fa. Un elemento che ha determinato un grande cambiamento nel mio paese, come del resto negli Stati Uniti, è stata la concessione del diritto di proprietà sulla terra. Vorrei esprimere il mio apprezzamento per Nirj Deva e Jürgen Schröder, che non si stancano mai di richiamare l’attenzione su tale questione. Penso che si tratti di un tema che dobbiamo sollevare, e dobbiamo anche cercare di tirar fuori nuove idee, come questa.

Se guardate alla storia dell’Irlanda e a come si è giunti alla sua spartizione, noterete che nel nord dell’isola si erano insediate molte persone cui erano stati concessi piccoli appezzamenti di terreno insieme con i relativi diritti di proprietà. Dopo di allora, quelle persone hanno coltivato il lino, hanno accumulato capitali e prosperato. Nel sud dell’Irlanda, invece, i proprietari terrieri erano assenti, mentre i fittavoli non erano in grado di pagare il dovuto e non detenevano la proprietà della terra.

Lo stesso è successo negli Stati Uniti, un paese che agli inizi della sua storia aveva incontrato enormi difficoltà; ma quando alla gente venne concessa la proprietà della terra, vi fu un grande cambiamento. Soprattutto in Africa e, più in generale, nel Terzo mondo dobbiamo ora cominciare a pensare a come concedere alle persone il diritto di proprietà del capitale. Pur approvando e sostenendo l’impianto generale della relazione, credo che occorra iniziare a cercare vie nuove per poter conferire – in quanto Parlamento, Commissione e Consiglio – un valore aggiunto alla tematica del Terzo mondo. Ritengo che il riconoscimento dei diritti di proprietà terriera sia una strada che valga la pena percorrere.

 
  
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  Marie-Arlette Carlotti (PSE).(FR) Signor Presidente, devo ringraziare il collega, onorevole Thierry Cornillet, per la sua eccellente relazione. Egli esprime con forza e chiarezza l’importanza del lavoro compiuto nel 2006 dall’Assemblea parlamentare paritetica. Credo che, grazie alla qualità dei risultati che ha raggiunto, l’Assemblea si sia affermata come un protagonista del dialogo sulla cooperazione nord-sud.

L’Assemblea ha lasciato la propria impronta prendendo una posizione forte sul Darfur a Vienna, individuando le responsabilità e proponendo una roadmap allo scopo di porre fine alla crisi. Ha lasciato la propria impronta anche esprimendo a Bridgetown il proprio parere sulla questione cruciale degli accordi di partenariato economico. Inoltre, ha lanciato il messaggio, con una dichiarazione unanime, che tali accordi devono rimanere uno strumento dello sviluppo, come ha ribadito il Commissario Michel poco fa nel corso della discussione.

Il peso politico dell’Assemblea continuerà ad aumentare nei prossimi mesi, considerato che adesso la Commissione si è impegnata a concederle il diritto di prender visione di tutti i documenti strategici nazionali e regionali per le aree dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico e che l’Assemblea può convocare conferenze regionali per dare risposte specifiche alle questioni più importanti, come la migrazione.

In vista di queste nuove competenze – che non saranno veri e propri poteri – dobbiamo preoccuparci di garantire che l’Assemblea disponga degli strumenti necessari per svolgere i suoi compiti. Vorrei dire alla Commissione e al Commissario che dovremo agire di concerto se vogliamo individuare modi flessibili ed efficaci per collaborare alla definizione delle procedure per regolamentare l’esercizio del nuovo diritto di prendere visione dei documenti strategici. Sarà un lavoro complicato e difficile, però dobbiamo essere all’altezza di questa nuova sfida.

Desidero altresì lanciare un appello al gruppo di lavoro sulla riforma parlamentare affinché tenga conto delle caratteristiche specifiche dell’Assemblea parlamentare paritetica e dei limiti che le sono imposti, perché il calendario dei lavori del Parlamento predisposto in questi giorni prevede alcuni impegni che mal si conciliano con l’attività dell’Assemblea.

Concludo esprimendo apprezzamento all’onorevole Kinnock per il modo in cui ha svolto la funzione di copresidente dell’Assemblea.

 
  
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  Fiona Hall (ALDE).(EN) Signor Presidente, accolgo con favore questa relazione dell’onorevole Cornillet, che sintetizza in maniera concisa ed esaustiva il lavoro svolto l’anno scorso dall’Assemblea parlamentare paritetica.

La relazione annuale ci offre una buona occasione per fare il punto della situazione nell’Assemblea e valutare ciò che funziona bene e ciò che invece potrebbe funzionare meglio. Dobbiamo render conto ai nostri elettori dell’efficienza degli organi non legislativi, come l’Assemblea parlamentare paritetica. Citerò tre indicatori positivi del fatto che l’Assemblea, come già detto, è un’istituzione solida, che sta dimostrando la propria validità e autonomia e acquisendo sempre più importanza. Come ha osservato il relatore, il coinvolgimento di attori non statali è una novità positiva, come lo è l’aumento delle riunioni a margine, alle quali partecipano deputati che hanno interessi in comune, ad esempio delegati ACP che rappresentano regioni remote e aride e deputati al Parlamento europeo che si occupano dei cambiamenti climatici. E’ proprio in queste discussioni informali che spesso gli eurodeputati e i parlamentari dei paesi ACP collaborano al meglio.

In secondo luogo, credo che tutte le parti nutrano il desiderio di migliorare la capacità dell’Assemblea parlamentare paritetica di dare risposte e di reagire agli eventi in atto; il relatore ne parla al paragrafo 17. E’ evidente che la discussione deve avere una sua struttura, però la procedura formale fatta di discussioni e relazioni è troppo farraginosa; dobbiamo trovare nuove vie per consentire all’Assemblea di impegnarsi e attivarsi con maggiore prontezza.

Questo mi porta al terzo indicatore: il livello di partecipazione dei membri di entrambe le camere è stato talvolta deludente. Certo, il primo dovere che i parlamentari di entrambe le parti hanno è nei confronti dell’assemblea nella quale sono stati eletti, cosicché diventa inevitabile che sorgano incompatibilità di agenda. Per tale motivo mi fa molto piacere che il Parlamento europeo stia valutando cambiamenti del calendario dei suoi lavori per riservare alcune settimane – le nuove “settimane turchesi” – a riunioni esterne. Mi auguro che potremo così evitare conflitti di doveri da parte europea e migliorare notevolmente la partecipazione attiva dei 78 europarlamentari. Dovremo continuare a vigilare sugli sviluppi della situazione a mano a mano che vengono messi in pratica gli aggiustamenti del calendario dei lavori del Parlamento europeo.

 
  
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  Liam Aylward (UEN).(EN) Signor Presidente, uno dei temi che saranno discussi la settimana prossima durante la riunione del Consiglio ACP-UE in Germania sarà il riesame della politica dell’Unione europea nei confronti del Sudan. Nessuno può negare che la situazione in Darfur stia diventando sempre più insicura. In assenza di condizioni certe e sicure, non possiamo raggiungere le persone più bisognose. Gli oltre quattro milioni di persone che vivono attualmente in Darfur si trovano a fronteggiare una vera e propria crisi umanitaria. Più di mezzo milione di persone sono state costrette ad abbandonare il Sudan nel solo 2006.

La comunità internazionale non è stata abbastanza decisa nell’affrontare il problema del Darfur con il governo sudanese, il quale ha giocato con la comunità internazionale come il gatto col topo allo scopo di indebolire quanto più possibile il ruolo dell’Unione europea e delle Nazioni Unite in Sudan.

Accolgo con favore i passi compiuti di recente per rafforzare la presenza in Sudan delle forze armate dell’Unione africana nell’ambito di quella che è nota in loco come la Missione dell’Unione africana; c’è però il problema che quelle truppe non sono né ben addestrate né in numero sufficiente. Inoltre, l’Unione europea deve inasprire le sanzioni contro il governo sudanese imponendo anche un embargo sui viaggi nell’Unione europea da parte dei principali esponenti del governo e di militari sudanesi, nonché vietando a rappresentanti governativi del Sudan di compiere investimenti finanziari in Europa.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, l’Assemblea parlamentare paritetica si occupa di questioni di più vasta portata che non della sola Africa; nondimeno è l’Africa a polarizzare la nostra attenzione. Due settimane fa l’arcivescovo Desmond Tutu ha parlato di fronte al Parlamento specificamente del Darfur e, più in generale, dell’Africa. Ci ha ringraziati per la nostra indomita perseveranza nel concedere aiuti e nel resistere all’afro-pessimismo, e ci ha ringraziati perché non permettiamo ai governi di far finta di non vedere.

Però ha condiviso le nostre preoccupazioni per il regime al potere nello Zimbabwe, che ha distrutto un’economia fino ad allora vivace, ha oppresso il suo popolo e rovinato i rapporti tra l’Africa e l’Unione europea.

La Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SADC) ha finalmente riconosciuto che nello Zimbabwe esiste un problema e ha dato incarico al Presidente sudafricano Mbeki di favorire i colloqui tra il regime di Mugabe e l’opposizione di quel paese. Sono già stati compiuti alcuni progressi: lo scorso fine settimana c’è stato un primo incontro in Sudafrica tra Zanu PF e l’MDC; resta però ancora tantissimo da fare. Non dimentichiamo che solo pochi giorni fa due attivisti dell’MDC del distretto di Matobo sono stati rapiti e assassinati.

Proprio mentre la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe comincia a rendersi conto del fatto che il regime di Mugabe è un problema, anche l’ACP si sta dando da fare. In marzo l’Ufficio ACP-UE ha invitato il governo dello Zimbabwe a ripristinare il rispetto dei diritti umani e lo Stato di diritto in conformità dell’accordo di Cotonou. La settimana prossima la situazione nello Zimbabwe sarà discussa durante la riunione dell’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE. E’ urgente e necessario che i due collegi presenti all’interno dell’Assemblea si esprimano con una sola voce sulla palese aberrazione che è lo Zimbabwe. Dopo questa riunione dell’Assemblea, si terrà in Ghana il vertice dell’Unione africana. Dobbiamo fare del nostro meglio per incoraggiare le nazioni africane a parteciparvi determinate a sostenere l’opera di Mbeki e a fare tutto il possibile affinché la situazione politica nello Zimbabwe cambi rapidamente in meglio per il bene di tutti i cittadini di quel paese, anzi per il bene di tutti gli africani.

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, nel settore della politica per lo sviluppo diciamo spesso che è necessario tener conto delle condizioni locali. Uno dei modi canonici per scoprire ciò che vogliono i rappresentanti dei nostri partner nel mondo in via di sviluppo è l’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE.

La relazione è un documento molto interessante e importante che ci propone una sintesi dell’attività svolta lo scorso anno dall’Assemblea. Ringrazio l’onorevole Cornillet per il lavoro che ha compiuto. L’Assemblea si è occupata di una serie di questioni rilevanti per i paesi in via di sviluppo, tra cui l’energia, l’acqua, l’influenza aviaria, il ruolo dell’integrazione regionale nel promuovere la pace e la sicurezza, gli aspetti sociali e ambientali della pesca, la dipendenza reciproca tra turismo e sviluppo, nonché i progressi nei negoziati sugli accordi di partenariato economico.

Vorrei sottoporre alla vostra attenzione un problema specifico. Credo che non abbia alcun senso tenere in piedi un dialogo superficiale con rappresentanti di paesi che violano costantemente i diritti umani. E’ un vero e proprio mito che la possibilità di osservare o di partecipare ai lavori dell’Assemblea possa di per sé produrre un effetto positivo sulle politiche di quei paesi. Per taluni, la loro presenza in questo forum è semplicemente un modo per farsi propaganda, non per promuovere il dialogo, e la propaganda non può fornirci soluzioni reali. Questa è un’esperienza che ho vissuto di persona durante il regime comunista in Polonia. All’epoca, si voleva sostituire la politica con la propaganda. I paesi che si comportano in questo modo non fanno altro che sprecare il loro tempo, il loro danaro e il loro potenziale, oltre a danneggiare l’immagine dei paesi ACP. Hanno obiettivi a brevissimo termine, cioè prevenire qualsiasi critica alla loro situazione interna. Non vogliono che nessuno li aiuti perché ritengono che le loro azioni siano giuste e appropriate.

Affinché l’Assemblea parlamentare paritetica possa diventare un forum effettivo e comune dove decidere le posizioni politiche, è necessario che paesi come Cuba, Zimbabwe o Sudan cambino atteggiamento.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, in qualità di membro della delegazione ACP-UE ho preso parte a entrambe le sessioni dell’Assemblea parlamentare paritetica nel 2006. L’Assemblea è di fondamentale importanza per l’avvio del dialogo politico così come stabilito dall’articolo 8 dell’accordo di Cotonou. Le riunioni di Vienna e Bridgetown sono state complessivamente un successo e in entrambe il clima della discussione è stato vivace. Sono molto soddisfatta di come è stata enfatizzata la loro dimensione parlamentare.

Alla riunione nelle isole Barbados sono stata tra gli autori della risoluzione, poi adottata, sul ruolo dell’acqua nelle economie in via di sviluppo. La procedura che prevede che un parlamentare dell’Unione europea e uno dei paesi ACP redigano insieme una risoluzione da sottoporre all’Assemblea parlamentare paritetica è proficua e conferisce maggiore legittimità al processo decisionale. Desidero sottolineare l’importanza di dare seguito alle risoluzioni importanti, nelle quali il ruolo delle commissioni permanenti è centrale. Bisogna lasciare tutto il tempo necessario affinché questo dialogo possa essere approfondito.

Per i paesi terzi è d’importanza cruciale che la società sia profondamente radicata nel buon governo, nello Stato di diritto e nelle strutture democratiche, che stanno peraltro anche al centro delle aspettative dei paesi ACP riguardo allo sviluppo. Sono perciò assolutamente favorevole alla richiesta avanzata dall’Assemblea parlamentare paritetica di destinare una quota degli stanziamenti del Fondo europeo di sviluppo a progetti concreti di sostegno alla riforma amministrativa. I programmi di formazione organizzati per i parlamentari sono un esempio in tal senso. Un altro problema è che molti parlamentari dei paesi ACP hanno a disposizione risorse molto scarse: ci sono poche opportunità per rispondere alle ambizioni dei governi forti.

La relazione omette di citare una questione essenziale: è essenziale reagire all’intollerabile situazione nello Zimbabwe. La situazione dei diritti umani in quel paese è tra le peggiori di tutta l’Africa e il governo di Mugabe sta facendo precipitare il paese in una disperazione sempre più profonda. Alla riunione dell’Assemblea ACP-UE che si terrà la settimana prossima a Wiesbaden i rappresentanti di quel governo cercheranno sicuramente di bloccare la discussione sulla situazione nel paese. Ciò va tuttavia assolutamente evitato perché è necessario che si svolga una discussione vera e propria.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, vorrei dire anzi tutto che non posso, naturalmente, replicare a tutti i commenti che sono stati fatti, però, in risposta all’onorevole Kinnock, voglio dire che la Commissione condivide il parere secondo cui nei nostri paesi partner i parlamenti nazionali devono svolgere un ruolo chiave nella definizione delle politiche nazionali e delle strategie per lo sviluppo.

E’ superfluo dire che su questo punto concordo con lei. Dobbiamo però trovare il modo per raggiungere tale obiettivo. Non credo che rientri nelle mie competenze chiedere ai parlamenti nazionali dei nostri paesi partner di rispondere ai documenti strategici nazionali. Il principio della non ingerenza nell’ambito di competenza di un’altra istituzione rimane valido, e non so con precisione come si possa organizzare questo processo. Facevo molto affidamento sull’Assemblea parlamentare paritetica in quanto possibile interfaccia con i parlamenti nazionali, ma vi posso garantire che sono disposto a vagliare qualsiasi soluzione mi venga sottoposta per cercare di migliorare questo aspetto.

Desidero altresì comunicarvi che la troika ha creato le condizioni per portare avanti la preparazione della strategia congiunta UE-Africa. In tale attività il Parlamento europeo è stato ovviamente coinvolto da vicino. Sulla base dell’accordo raggiunto dalla troika, il 27 giugno la Commissione adotterà una comunicazione sugli obiettivi della strategia e sulla roadmap per la sua approvazione al Vertice UE-Africa di Lisbona, previsto per il 7 e 8 dicembre di quest’anno. I miei servizi sono in contatto permanente con il Parlamento per quanto attiene sia al contenuto di questi documenti sia all’aspetto organizzativo. Attribuisco grande importanza alla partecipazione delle tre principali Istituzioni dell’Unione europea alla formulazione di tali strategie.

In proposito devo sottolineare che uno degli aspetti innovativi di questa strategia sarebbe la creazione di un vero partenariato dei popoli. Vorrei quindi coinvolgere su base permanente i parlamenti – il Parlamento europeo, il parlamento panafricano e i parlamenti nazionali dei paesi africani – nell’attuazione di questa strategia. Sono aperto a tutti i vostri suggerimenti. Tra le ipotesi possibili potrebbero rientrare, per esempio, un’audizione comune del Parlamento europeo e del parlamento panafricano, oppure una riunione congiunta della Commissione europea e della commissione dell’Unione africana, o ancora la concessione di aiuto logistico e politico al parlamento panafricano – e, di fatto, si è già provveduto in tal senso – e di assistenza ai parlamenti nazionali africani. Va rilevato, incidentalmente, che i parlamenti di alcuni Stati membri dell’UE lo stanno già facendo. Siamo appena agli inizi e quindi possiamo unire le nostre forze per far fronte a questa grande sfida.

Vorrei ora rispondere a un paio di osservazioni che ho scelto a caso. Onorevole Van Orden, lei ha citato il caso dello Zimbabwe in relazione al Vertice UE-Africa. Pur condividendo, quanto meno in termini generici, le valutazioni da lei espresse sul conto del Presidente Mugabe, ritengo che oggi sia importante che l’Unione europea e l’Africa riescano a organizzare tale Vertice. Devo ricordare che dopo quello del Cairo non si è più tenuto un vertice di questo genere, mentre nel frattempo c’è stato un vertice Africa-Cina. Quindi, quello che conta per me è che il nostro Vertice abbia effettivamente luogo.

Alcuni hanno anche parlato di sanzioni contro il Sudan. Devo dirvi che non avrei alcuna difficoltà ad approvare un simile provvedimento se qualcuno riuscisse a dimostrarmi che le sanzioni sono efficaci e non penalizzano i cittadini comuni. In linea generale, sono piuttosto scettico al riguardo; sono un sostenitore più della carota che del bastone e nutro molta più fiducia nel ricorso a pressioni. Inoltre, dato che il Presidente al-Bashir ha accettato la presenza della forza di pace ibrida, soprattutto nel Darfur, non credo affatto che questo sia il momento adatto per prospettare l’eventualità di nuove sanzioni. Sappiamo che è possibile in ogni momento imporre sanzioni e non sono certo che quelle cui taluni stanno pensando sarebbero realmente utili.

L’onorevole Mitchell ha parlato di concessione di diritti di proprietà. Questa idea è stata ampiamente elaborata dall’onorevole De Soto, e anch’io me ne sono occupato attentamente nell’ambito di un gruppo di lavoro informale di cui faccio parte e nel quale, insieme con Madeleine Albright, abbiamo valutato tale possibilità, che voi indubbiamente conoscete molto bene. Devo dire che la trovo molto interessante e sono impegnato a trovare un modo per fornire un contributo in tal senso nell’ambito del Fondo europeo di sviluppo. Sono in corso esperimenti; personalmente ritengo che questo approccio sia molto interessante e importante al fine di trovare una soluzione efficace.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani.

 

15. Missione d’informazione nelle regioni di Andalusia, Valencia e Madrid (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca:

– l’interrogazione orale (B6-0127/2007) degli onorevoli Marcin Libicki e Michael Cashman, a nome della commissione per le petizioni, al Consiglio, sulla missione d’informazione nelle regioni di Andalusia, Valencia e Madrid (O-0030/2007), e

– l’interrogazione orale (B6-0128/2007) degli onorevoli Marcin Libicki e Michael Cashman, a nome della commissione per le petizioni, alla Commissione, sulla missione d’informazione nelle regioni di Andalusia, Valencia e Madrid (O-0031/2007).

Come tutti i miei onorevoli colleghi, credo di non poter fare a meno di deplorare l’assenza del Consiglio, che non sarà in Aula per rispondere alle interrogazioni dei deputati.

 
  
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  Marcin Libicki (UEN), autore. – (PL) Signor Presidente, vorrei solo ricevere un chiarimento. Se ho ben capito, ho due minuti e mezzo a disposizione; a quanto pare, infatti, anche l’onorevole Cashman intende intervenire sull’argomento. Sono nel giusto credendo di avere due minuti e mezzo per parlare? Volevo verificarlo perché prima non lo ha chiarito.

Signor Presidente, per i turisti e i nordeuropei che vogliono trasferirsi, la costa del Mediterraneo è la meta più allettante. La costa spagnola è stata particolarmente esposta a un’urbanizzazione massiccia, e questo fenomeno ha dato origine a una serie di conflitti.

Sembra che le parti coinvolte in questo conflitto siano tre: i promotori immobiliari, le autorità e i residenti. Inoltre, e questo è un aspetto che va evidenziato, il conflitto interessa sia gli spagnoli sia i cittadini di altri Stati membri che vogliono stabilirsi in queste regioni, o che vi si sono già trasferiti.

A seguito delle numerosissime petizioni su questo problema ricevute dalla commissione competente, abbiamo organizzato una missione speciale di accertamento dei fatti e, già nel dicembre 2005, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione, sulla base di queste petizioni, in merito alla mancata applicazione delle direttive sugli appalti pubblici, l’approvvigionamento idrico e la violazione dei diritti di proprietà.

Quest’anno è stata condotta un’altra missione di accertamento e l’11 aprile 2007 la commissione per le petizioni ha elaborato il proprio parere in materia, in riferimento alla precedente risoluzione approvata dal Parlamento europeo.

In tale contesto, vorrei rivolgere una domanda sia alla Commissione che al Consiglio. Quali attività sono state avviate dalla Commissione e dal Consiglio per fare in modo che la legislazione comunitaria sia applicata correttamente e che i fondamentali diritti di proprietà dei cittadini siano rispettati, conformemente alle disposizioni di cui all’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea?

 
  
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  Michael Cashman (PSE), autore. – (EN) Signor Presidente, mi rattrista dover intervenire nuovamente sulla questione. Sono passati più di 18 mesi da quando, nel dicembre 2005, la relazione Fourtou è stata adottata da una stragrande maggioranza di questa Assemblea, eppure stiamo ancora discutendo delle stesse questioni, senza che nulla sia cambiato. Il Consiglio è assente, e questo è scandaloso!

I cittadini di molti Stati membri, non solo del mio, ma anche di Spagna, Germania, Paesi Bassi e Belgio, vengono usurpati dalle autorità locali, senza un giusto processo, delle proprietà che hanno acquisito legalmente, secondo una pratica che a mio avviso costituisce una violazione del diritto comunitario. Inoltre sono obbligati a pagare ingenti somme di denaro – decine di migliaia di euro – per lo sviluppo di nuove infrastrutture non richieste e che si trovano sulle loro proprietà.

La situazione che sto descrivendo sembra inimmaginabile nell’UE del XXI secolo, ma è una triste realtà per migliaia di cittadini in Spagna, i quali hanno comprato terreni o immobili in buona fede per poi vederseli sottrarre da quella che, nella migliore delle ipotesi, può essere descritta solo come incompetenza amministrativa o, nel peggiore dei casi, negligenza criminale e corruzione.

Il problema è stato sottoposto all’attenzione della commissione per le petizioni nel 2003. Già allora avevano chiesto il nostro aiuto 15 000 cittadini. Che cosa abbiamo fatto? Dunque, abbiamo adottato la relazione Fourtou, che ha presentato una serie di raccomandazioni al governo di Valencia, il quale ha apportato lievi modifiche alla legge in materia di attività urbanistica (Ley Urbanística Valenciana – LUV), che non risolvono i problemi fondamentali della sottrazione delle proprietà. Vale la pena di ricordare che a Valencia è stato approvato in tutta fretta un gran numero di progetti prima dell’entrata in vigore della nuova legge. Questa è la chiara dimostrazione che costruttori e agenti immobiliari intendevano continuare a sfruttare le scappatoie della precedente normativa.

Ora abbiamo inviato tre missioni di accertamento, l’ultima delle quali è stata oggetto di attacchi vergognosi da parte del partito popolare, attacchi rivolti all’integrità di quest’Assemblea. Constato con rammarico che il Presidente di quest’Assemblea, l’onorevole Poettering, resta indifferente agli attacchi rivolti all’integrità del Parlamento europeo.

I politici del partito popolare affermano che le petizioni di Valencia sono frutto dell’immaginazione. Il dolore è reale, il dolore è disperato, ed è per questo che i cittadini si sono rivolti a noi.

La Commissione è insoddisfatta, poiché teme che si stiano commettendo possibili violazioni del diritto comunitario. Vorrei pertanto dire che l’immobilismo non è un’alternativa; abbiamo fatto tutto ciò che potevamo fare in quest’Aula e risolveremo la questione in sede di Corte di giustizia o dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, per il disonore del partito popolare spagnolo.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare gli onorevoli Libicki e Cashman per il duro lavoro svolto nell’elaborare la relazione a nome della commissione per le petizioni sulla terza missione di accertamento a Valencia. Questa missione ha dato ai membri della commissione l’opportunità di incontrare rappresentanti delle amministrazioni e denuncianti, nonché di valutare direttamente la situazione sul campo.

Gli aspetti principali dei progetti di urbanizzazione nelle regioni spagnole interessate sono tre: appalti pubblici, diritti fondamentali e norme ambientali. Permettetemi di fornirvi alcune indicazioni sulle nostre azioni in queste aree.

In primo luogo, per quanto riguarda gli appalti pubblici, la Commissione reputa che l’approvazione di programmi d’azione integrati ai sensi della legge in materia di attività urbanistica di Valencia implichi l’aggiudicazione di appalti pubblici di lavori e servizi. Riteniamo che alcune attività siano state svolte secondo pratiche che violano le normative comunitarie sugli appalti pubblici. Ho fornito al Parlamento informazioni in merito nel dicembre 2005.

La Commissione ha pertanto deciso di avviare una procedura d’infrazione contro la Spagna sulla questione, contestando la legge sulla proprietà fondiaria e la pianificazione urbanistica in vigore all’epoca. Il 30 dicembre 2005 le autorità regionali hanno approvato una nuova legge sulla proprietà fondiaria che ha abrogato e sostituito la precedente. Tuttavia, la nuova normativa non corregge alcune delle violazioni, riguardanti i bandi di gara, le informazioni da essi richieste e l’imprecisa definizione dell’oggetto dell’appalto. Inoltre contiene altre disposizioni che sono a loro volta incompatibili con la direttiva sugli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi. Abbiamo seguito le procedure legali nel 2006, ma le risposte che abbiamo ricevuto dalle autorità competenti non sono state convincenti. Intendo pertanto proporre che la Commissione deferisca il caso alla Corte di giustizia.

In secondo luogo, per quanto riguarda i diritti fondamentali, la Commissione non ha facoltà di intervenire in quest’area. A nostro avviso, le presunte violazioni di diritti di proprietà non sono coperte da alcuna disposizione del diritto comunitario che permetta alla Commissione di intervenire in questi ambiti.

In terzo luogo, per quanto riguarda la legislazione ambientale, anche in questo caso la Commissione può intraprendere azioni giuridiche solo in caso di violazione del diritto comunitario. Tuttavia, quanto all’ambiente, la politica di sviluppo territoriale in quanto tale non figura tra le competenze dell’Unione. I servizi sotto la responsabilità del collega Dimas, tuttavia, si occupano di casi inerenti lo sviluppo territoriale laddove sussistano presunte violazioni del diritto ambientale comunitario. Posso garantirvi che la Commissione continuerà ad adoperarsi affinché le competenti autorità spagnole rispettino le normative comunitarie sull’ambiente nell’attuazione di piani di sviluppo urbanistico.

La Commissione è già intervenuta in altri casi di sua competenza, ad esempio quando i progetti di urbanizzazione hanno violato direttive ambientali come quelle sull’acqua o sulla valutazione di impatto ambientale.

 
  
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  Carlos José Iturgaiz Angulo, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, si è parlato in lungo e in largo di questo argomento e non intendo entrare nel merito della questione, poiché è stata affrontata più volte dalla commissione per le petizioni.

Vorrei, però, soffermarmi su un aspetto che ritengo importante: presentando questa risoluzione alla plenaria, siamo alle prese con un problema di competenze, poiché a mio avviso, onorevoli colleghi, questa risoluzione costituisce un’ingerenza nelle competenze nazionali. Volete sostituire le decisioni adottate dai parlamenti regionali, volete sostituire le decisioni adottate dai parlamenti nazionali, volete sostituire la Corte costituzionale, volete sostituire l’organo giurisdizionale spagnolo: in altre parole, questa risoluzione è un’invasione di competenze senza precedenti.

Pertanto, credo che il servizio giuridico di quest’Assemblea dovrebbe dirci se si può votare assolutamente su tutto, quando, come in questo caso si calpestano competenze nazionali e regionali.

In realtà, la risposta della Commissione mi ha tranquillizzato. Infatti, sapere che non è stato né sarà possibile intervenire è rassicurante per il mio gruppo politico, in quanto, logicamente, il parlamento e il governo di Valencia hanno sempre agito nel rispetto della legge, conformemente all’approccio giurisdizionale da sempre adottato da tale amministrazione.

Vorrei semplicemente concludere con una questione che è stata sollevata spesso anche in seno alla commissione per le petizioni: ci era stato detto che i cittadini se ne sarebbero ricordati, che al momento di esercitare il loro diritto di voto i cittadini si sarebbero espressi e avrebbero fatto pagare al governo di Valencia o a quello di Madrid ciò che stava accadendo.

Ebbene, i cittadini hanno parlato e si sono espressi chiaramente a favore di un programma, di un progetto noto, di ciò che è stato fatto nella Comunità di Valencia, di ciò che è stato fatto nella Comunità di Madrid, e si sono pronunciati a maggioranza, non a maggioranza relativa, bensì a maggioranza assoluta, a favore dei governi del partito popolare spagnolo, sia a Madrid che a Valencia.

 
  
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  Carlos Carnero González, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, non credo che l’obiettivo principale dell’ottimo lavoro svolto dalla commissione per le petizioni fosse far cadere un determinato governo regionale in Spagna, per quanto deprecabile possa essere stato il suo comportamento. La commissione per le petizioni si è limitata ad agire nel rispetto di un principio che è politicamente indiscutibile.

Quando si tratta di difendere i diritti dei cittadini, le sovranità e le frontiere nazionali non contano. Il fatto è che in alcune comunità autonome della Spagna, non in tutto il paese, alcuni governi regionali autonomi stanno danneggiando l’ambiente, danneggiando la sostenibilità della vita dei cittadini e, pertanto, violando i diritti individuali e collettivi. E’ il caso di Valencia ed è il caso di Madrid, che è la comunità autonoma cui appartengo.

La Presidente della Comunità di Madrid non solo lo ha fatto in passato, ma ha intenzione di continuare sulla stessa linea: anche oggi i suoi progetti vanno in questa direzione. Non si tratta di case, bensì, per esempio, del suo impegno a proseguire il progetto di una strada – denominata in precedenza M-50 e ora da lei definita M-61 – che vuole distruggere, né più né meno, il Monte de El Pardo, un luogo di fondamentale importanza ecologica.

Desidero congratularmi con la commissione per le petizioni e dire che ha accolto – come peraltro fa questa risoluzione – le richieste degli autori delle petizioni e dei cittadini; vorrei inoltre esprimere il mio apprezzamento per il serio lavoro svolto, e dire che gli insulti all’integrità di questa Assemblea e ai membri della delegazione sono stati inaccettabili al pari di alcuni contenuti che si vogliono continuare a mantenere. Fare ciò che è giusto è più importante di qualsiasi altra cosa.

 
  
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  David Hammerstein, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signor Presidente, onorevole Iturgaiz, la vittoria elettorale non dà a nessuno il diritto di mostrare sprezzo per la legislazione europea. L’interesse pubblico non può essere un pretesto per giustificare una grande malversazione solo in virtù di un voto espresso da una maggioranza di consiglieri municipali.

Una maggioranza politica non può fungere da scusa per eliminare la democrazia locale mediante la creazione di consigli comunali paralleli i cui protagonisti sono gli insaziabili agenti immobiliari e le onnipotenti imprese edili.

La semplice approvazione di un progetto urbanistico non dà a nessuno il diritto di pregiudicare la conservazione delle risorse idriche e dei preziosi terreni tramandati da una generazione all’altra ricoprendo tutto con una colata di cemento.

Sono mancati una maggiore trasparenza, un minimo di rispetto nei confronti dei piccoli proprietari e la partecipazione pubblica a tutti i processi. Sì, lo scandalo urbanistico di Valencia, dell’Andalusia e di Madrid è uno scandalo europeo che richiede una risposta europea.

Esortiamo la Commissione ad agire in maniera energica e rapida dinanzi alle flagranti violazioni della direttiva in materia di appalti pubblici, della direttiva quadro sull’acqua e della direttiva habitat da parte delle autorità di Valencia e di altri governi regionali.

La costruzione di molte delle 750 000 abitazioni edificate in Spagna l’anno scorso, più numerose di quelle di Francia e Germania messe assieme, non è avvenuta nel rispetto del diritto comunitario. Perché la Commissione non si affretta ad agire?

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE). – (EN) Signor Presidente, è ovvio che le questioni affrontate in relazione alla Spagna non riguardano solo questo paese, e lo dico per consolare i colleghi spagnoli del PPE-DE al Parlamento europeo. In Irlanda, a seguito di importanti sviluppi infrastrutturali, sorgono problemi analoghi, non tanto a livello di proprietà immobiliari, quanto di impatto sull’ambiente, sul patrimonio e, indubbiamente, sulla qualità di vita delle persone. Sembra che a livello europeo non siamo stati in grado di affrontare il problema perché la legislazione europea non è abbastanza severa o, piuttosto, perché la Commissione non è in grado di agire abbastanza rapidamente in risposta a eventuali denunce.

Quando sono stato nella capitale spagnola, ad esempio, ho preso atto della situazione locale, in cui l’autorità regionale aveva progettato di costruire un anello intorno a Madrid come se si trattasse di un’arteria cittadina, ha deciso di svilupparlo come un’autostrada, lo ha suddiviso in circa dieci parti diverse e pertanto ha sostenuto che non occorreva realizzare una valutazione d’impatto ambientale su quest’opera. La Commissione ha finalmente deciso che questo modo di procedere era sbagliato, ma, quando lo ha fatto, erano già stati costruiti tre quarti dell’autostrada.

 
  
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  Joan Calabuig Rull (PSE). – (ES) Signor Presidente, il Parlamento europeo ha condotto missioni di accertamento nella regione di Valencia a seguito dei casi di abusi urbanistici denunciati, di cui hanno ovviamente dato notizia i mezzi di comunicazione e che hanno preoccupato molti cittadini.

Non sono le visite dei deputati al Parlamento europeo a mettere in fuga i potenziali acquirenti di immobili. Obiettivo di queste missioni è proprio fare in modo che le decine di migliaia di cittadini europei che desiderano risiedere nel nostro territorio lo facciano nella certezza che i loro investimenti vengono effettuati in un luogo in cui vigono regole chiare e in un contesto rispettoso dell’ambiente. I futuri clienti sono sempre più esigenti e questi due fattori sono un vantaggio competitivo che non possiamo permettere venga distrutto da un’urbanizzazione sfrenata.

Negli ultimi anni sono aumentate le denunce relative a questo tipo di abusi da parte di cittadini che si ritengono vittime di atti che hanno danneggiato le loro proprietà o che hanno gravemente deteriorato il luogo in cui vivono. Ciononostante, vorrei anche dire che non credo si tratti di pratiche generalizzate e, inoltre, non sono un fenomeno all’ordine del giorno.

Tuttavia, le promesse fatte dalle autorità regionali prima di queste missioni non sono state mantenute, così come non sono stati risolti i problemi, né sono state riformate le leggi, né si sono risarcite le persone colpite o applicate le raccomandazioni approvate dal Parlamento europeo nel 2005.

Effettivamente, lo scorso 27 maggio si sono tenute elezioni nella Comunità valenciana ed è indubbio che si tratta di un buon momento per iniziare una nuova fase e, soprattutto, per porre rimedio a questo problema e per riconoscerne, tanto per cominciare, l’esistenza, cosa che il governo regionale non ha ancora fatto, e per ammettere che finora non è stato in grado di risolverlo. E’ anche il momento giusto per abbandonare l’arroganza e il disprezzo dimostrato nei confronti dei deputati europei recatisi in visita nella regione.

Per concludere, vorrei dire che il mio partito, il partito socialista, è nuovamente disposto a collaborare, come ha già fatto in altre occasioni, per contribuire alla soluzione del problema; pertanto ribadisce, nel caso della regione di Valencia, la necessità di giungere a un ampio accordo politico e sociale che includa tutte le parti interessate, partendo ovviamente dalla riforma della legge valenciana in materia di attività urbanistica, al fine di allineare questa normativa ai Trattati e incrementare la certezza giuridica di tutte le parti; tale accordo deve contemplare anche l’istituzione di meccanismi di assistenza e di composizione delle controversie per i cittadini che si ritengono vittime di abusi edilizi.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, molte delle petizioni presentate su questo problema dimostrano che acquistare un immobile può essere una vera e propria impresa. I casi citati sollevano una serie di complesse questioni giuridiche in materia di diritto immobiliare. Si tratta di un settore di esclusiva competenza degli Stati membri, su cui la Commissione non può interferire. A questo proposito, ogni eventuale ricorso deve essere presentato alle autorità nazionali e non possiamo creare false aspettative nei firmatari delle petizioni.

Tuttavia, qualora vi siano casi che sollevano questioni di diritto comunitario, la Commissione, che prende sul serio il suo ruolo di custode dei Trattati, stabilirà la presenza di eventuali violazioni delle normative europee, di cui, a nostro parere, la legislazione in materia di appalti pubblici costituisce un esempio. Abbiamo già avviato procedure di infrazione al riguardo e intendiamo portarle avanti per ottenere il pieno rispetto del diritto comunitario.

 
  
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  Presidente. – A conclusione della discussione, comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì.

(La seduta, sospesa alle 17.35, riprende alle 18.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MANUEL ANTÓNIO DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  

(1) Cfr. Processo verbale.


16. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca Il Tempo delle interrogazioni (B6-0125/2007).

Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte alla Commissione.

Prima parte

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 35 dell’onorevole Manolis Mavrommatis (H-0355/07):

Oggetto: Società di assicurazione nell’Unione europea

In base a talune informazioni, vi sono società di assicurazione che propongono contratti di assicurazione solo per autoveicoli registrati e immatricolati nello Stato in cui esse hanno sede, sebbene la legislazione dell’Unione europea dia la possibilità di assicurare anche autovetture immatricolate in un altro Stato membro. Considerate la terza direttiva sull’assicurazione diretta 92/49/CEE(1) e la quarta direttiva concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli 2000/26/CE(2), intende la Commissione proporre una revisione delle direttive, cosicché il consumatore europeo abbia la possibilità di scegliere egli stesso la società di assicurazione e lo Stato in cui ha interesse a sottoscrivere un’assicurazione per il proprio autoveicolo? Inoltre, ritiene la Commissione che tale libertà possa giovare alla concorrenza, con il risultato di far diminuire sensibilmente i prezzi delle assicurazioni?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, i principali obiettivi del quadro legislativo comunitario sono un’elevata protezione delle vittime degli incidenti stradali, la promozione della libera circolazione dei veicoli e l’incoraggiamento delle attività transfrontaliere delle imprese di assicurazione.

Il quadro giuridico comunitario per l’assicurazione obbligatoria degli autoveicoli è un importante successo dell’Unione europea. Messo a punto dall’inizio degli anni ’70, ha contribuito in maniera determinante a rendere la libera circolazione degli automobilisti e dei loro veicoli nell’Unione una realtà. Le direttive relative all’assicurazione degli autoveicoli hanno permesso l’abolizione dei controlli sulle assicurazioni alle frontiere, cosicché è possibile guidare da uno Stato membro all’altro con la stessa facilità con cui si circola all’interno di un determinato paese. Tali direttive permettono altresì di ottenere facilmente risarcimenti per le migliaia di incidenti in cui sono coinvolti veicoli di più di uno Stato membro.

Le direttive relative all’assicurazione degli autoveicoli prevedono la presenza locale degli assicuratori per la liquidazione dei sinistri e li obbligano a diventare membri del fondo di garanzia locale e dell’ufficio locale che rilascia la carta verde. Queste misure sono volte a proteggere le vittime, in particolare evitando loro di dover avviare trattative transfrontaliere con una compagnia di assicurazione situata in un altro Stato membro.

L’adesione all’ufficio locale che rilascia la carta verde garantisce il regolare funzionamento del sistema senza la necessità di controllare i certificati d’assicurazione. Tutti gli Stati membri dell’UE, la Svizzera, la Norvegia, l’Islanda, la Croazia e Andorra aderiscono a questo sistema sulla base della “Convenzione multilaterale”.

La correlazione tra il paese in cui è immatricolato il veicolo e l’adesione dell’assicuratore di quel paese al fondo di garanzia è a sua volta un’espressione della solidarietà della popolazione automobilistica locale.

I consumatori europei hanno la possibilità di richiedere una copertura assicurativa per gli autoveicoli a livello di UE laddove siano soddisfatte le suddette condizioni specifiche per gli assicuratori. La disponibilità delle compagnie di assicurazione di redigere polizze assicurative per le automobili immatricolate in un altro paese dipende in ampia misura dalla loro politica commerciale e dalla loro disponibilità a coprire rischi che possono parzialmente o integralmente verificarsi in un altro Stato, in cui le strutture dei rischi possono essere sostanzialmente diverse da quelle cui sono abituate nel loro paese d’origine.

Alla luce di questa situazione, forse non è una sorpresa che il volume di attività transfrontaliere in questo ramo sia molto limitato. Tuttavia, alcuni sostengono che vi sia una mancanza di concorrenza e che un maggior volume di attività transfrontaliere potrebbe abbassare il livello dei premi assicurativi per gli autoveicoli. Stiamo esaminando la questione nell’ambito della consultazione pubblica in corso sui servizi finanziari al dettaglio.

 
  
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  Manolis Mavrommatis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, signor Commissario, grazie per la risposta; tuttavia, dopo il dibattito di questa mattina e l’enorme scandalo della Equitable Life, a seguito del quale milioni di vittime chiedono un equo risarcimento a causa della cattiva amministrazione della compagnia assicurativa, vorrei insistere sulla mia domanda.

Forse questo solo esempio è sufficiente a convincere la Commissione a liberalizzare il mercato dell’assicurazione automobilistica e il modo in cui i cittadini stessi scelgono l’opzione più consona ai loro interessi; in tal modo sarebbero interamente e personalmente responsabili delle loro scelte.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Stamani, quando abbiamo discusso la relazione della Commissione d’inchiesta sulla Equitable Life, abbiamo esaminato le norme che disciplinano le compagnie di assicurazione e le carenze riscontrate dalla Commissione d’inchiesta in materia di regolamentazione, recepimento delle direttive comunitarie e altre questioni.

Tuttavia, credo che in questo caso l’onorevole deputato si riferisca alla possibilità, per il cittadino, di sottoscrivere una polizza di assicurazione automobilistica a livello transfrontaliero. Questa, però, è una transazione bilaterale. Il cittadino in questione deve trovare una compagnia di assicurazione in grado di fornire questo particolare servizio, ma finora l’esperienza dimostra che molte imprese assicurative sono prive di una politica commerciale per le attività transfrontaliere, e questo per un’ampia serie di motivi: a mio parere, non sono a conoscenza della politica in materia di sinistri di un dato paese, del suo sistema giuridico o della somma da versare a titolo di risarcimento, tutti elementi che variano molto da uno Stato all’altro.

Pertanto, come ho indicato nella mia risposta, un singolo cittadino potrebbe, nell’ambito delle direttive di cui disponiamo, procedere in questo modo nel rispetto delle varie regole. Tuttavia, deve ovviamente trovare un’impresa di assicurazione disposta ad assecondare le sue richieste e a farsi carico di tali aspetti dell’attività transfrontaliera.

Come ho affermato nella mia risposta, convengo che sarebbe magnifico se tale ipotesi potesse tradursi in realtà e proprio per questo la stiamo valutando nel contesto del Libro verde sui servizi finanziari al dettaglio. Se potremo intraprendere misure per agevolare tali attività, non esiteremo a farlo. Tuttavia, per ora la situazione è che, se da una parte vogliamo abbattere le frontiere e fare in modo che il mercato sia liberalizzato, dall’altra dobbiamo trovare una compagnia che, dal canto suo, sia favorevole a intraprendere una simile iniziativa, ma finora non è stato così. Si sono verificate alcune rare eccezioni, ma in questo campo tali opportunità non sono state colte.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 36 dell’onorevole Brian Crowley (H-0411/07):

Oggetto: Campagne d’informazione sull’acquisto di immobili in diversi Stati membri dell’UE

Può la Commissione far sapere se intende elaborare e diffondere un opuscolo informativo che metta in evidenza le specificità fiscali, contabili e giuridiche alle quali i potenziali acquirenti europei dovrebbero prestare attenzione al momento di acquistare un immobile residenziale in uno Stato membro dell’UE diverso dal proprio?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Per i consumatori, l’acquisto di un immobile residenziale è un compito difficile e dispendioso in termini di tempo. Dovere affrontare questioni giuridiche e fiscali è molto impegnativo, anche all’interno del proprio Stato membro, e il problema diventa ancora più arduo quando i consumatori acquistano un immobile residenziale al di fuori del loro paese: spesso le procedure sono completamente diverse da quelle in vigore a livello nazionale.

Benché la Commissione sia pienamente consapevole della situazione, la risposta non è facile. Il diritto fiscale e immobiliare all’origine di questa complessità esula ampiamente dalla sfera di competenza comunitaria.

Tuttavia, la Commissione sostiene iniziative che promuovono la trasparenza nei mercati europei degli immobili e dei crediti ipotecari. La trasparenza è particolarmente importante per i consumatori, soprattutto quando le norme variano da un paese all’altro. I consumatori devono disporre di informazioni complete e precise per poter compiere una scelta informata quando si trovano ad acquistare un immobile in un altro Stato membro.

La richiesta di mettere a disposizione dei consumatori un opuscolo informativo sull’acquisto di immobili è stata formulata anche nell’ambito del riesame in corso dei mercati europei del credito ipotecario, nel cui ambito le parti interessate hanno proposto che la Commissione crei e gestisca una guida on line sulle principali questioni giuridiche e di altra natura in materia di attività creditizia transfrontaliera. Sono favorevole a tali iniziative, in quanto l’acquisto transfrontaliero di immobili è una conseguenza naturale delle libertà che sono l’essenza del mercato unico. Laddove i consumatori si trovano dinanzi a problemi pratici o sono privi di informazioni, dobbiamo cercare di aiutarli, ad esempio evidenziando gli eventuali problemi che possono incontrare e indirizzandoli verso gli organismi e le autorità competenti che possono aiutarli.

La Commissione esaminerà questi problemi e vedrà che cosa è possibile fare. Tuttavia, vorrei essere franco: non si tratta di un compito facile. La Commissione non ha sempre accesso a tutte le informazioni che sarebbero necessarie, né abbiamo sempre i mezzi per verificare che tali informazioni siano precise e aggiornate. Prima di procedere, dobbiamo essere certi di poter superare questa sfida. Un’alternativa potrebbe anche essere quella di lavorare con terzi.

 
  
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  Brian Crowley (UEN). – (EN) Desidero ringraziare il Commissario per la risposta. Penso che in questo, come in tutti gli altri settori, debba innanzi tutto sempre valere la regola del caveat emptor. Tuttavia, come lei ha giustamente affermato, la situazione è complessa, e sono lieto che abbiate esaminato le proposte dei fornitori europei di crediti ipotecari.

Occorre tuttavia considerare un altro aspetto: la necessità di redigere un secondo testamento. Se si possiede un immobile al di fuori del proprio paese di residenza, occorre stilare un secondo testamento che contempli l’esecuzione patrimoniale in tale contesto. Pertanto, nonostante le differenze esistenti tra i 27 Stati membri, e le ulteriori complessità al loro interno, esistono valori fondamentali che, come lei ha giustamente affermato, potrebbero essere messi sul sito web della Commissione.

La esorto a impegnarsi ulteriormente verso la realizzazione di questo obiettivo, evidenziando al contempo che in primo luogo deve sempre valere il principio del caveat emptor.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Sono indubbiamente d’accordo con l’onorevole deputato. Come dicevo, potrebbe essere molto difficile intraprendere questo lavoro. Come diceva l’onorevole Crowley, deve sempre valere la regola del caveat emptor. In tutte queste aree, che si acquistino immobili o prodotti finanziari, si tratta di un aspetto da tenere sempre presente. Come ho già affermato oggi, quando qualcuno vi fa un’offerta che sembra troppo bella per essere vera, solitamente è proprio così: non è vera. Ce ne dobbiamo ricordare.

L’onorevole Crowley ha parlato della necessità di redigere un secondo testamento. Solo lo scorso fine settimana ho letto un articolo su una rivista specializzata che informava chi possiede un immobile in Spagna, ad esempio, della necessità di redigere un testamento in tale nazione riguardo a quel preciso bene immobiliare, fornendo altresì indicazioni in tal senso. A proposito, al momento non possiedo immobili in Spagna, ma so che molti irlandesi, pur avendo proprietà immobiliari in quel paese, non sono a conoscenza di tale requisito. L’articolo è stato pubblicato su una rivista che viene letta solo da chi si occupa di contabilità. Il punto sollevato dall’onorevole Crowley è molto importante. Probabilmente, questa informazione è nota solo a una percentuale minima di irlandesi che possiedono una casa in quel bellissimo paese che è la Spagna.

Una delle 48 raccomandazioni formulate dal gruppo di esperti prevedeva l’elaborazione di un opuscolo informativo. Non sarà facile stabilire quali argomenti dovremo trattare nell’opuscolo, ma sicuramente ci proveremo. Il guaio è che non potremo affrontare ogni questione e, pertanto, potremmo correre il rischio morale di non fornire tutte le informazioni necessarie, ma vedremo cosa riusciremo a fare. Se vogliamo avere un mercato unico per tutti i settori, dobbiamo logicamente fornire le informazioni trasversali a questi fronti.

Inoltre, se i cittadini comuni potessero considerare il nostro contributo come una valida iniziativa comunitaria, l’immagine dell’Unione europea ne risulterebbe migliorata. Faremo un tentativo in tal senso, della cui riuscita, però, non posso essere certo.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE). – (LT) Signor Presidente, signor Commissario, convengo sulla complessità della questione. Io stessa ho scritto un libro su come avviare un’attività commerciale nei 15 vecchi Stati membri dell’Unione europea, nel quale ho affrontato il tema degli acquisti immobiliari, gli aspetti finanziari e altri argomenti. Lei ha accennato all’esistenza di opuscoli informativi. Potrebbe specificare quali sono? Se non sono completi devono essere aggiornati, in modo tale che le persone che circolano liberamente all’interno dell’Unione europea possano disporre di tutte le informazioni necessarie su tali condizioni, comprese quelle relative all’acquisto di immobili.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Temo che vi sia stato un errore: non esistono ancora. Nella sua interrogazione l’onorevole Crowley chiedeva se era nostra intenzione elaborare un opuscolo informativo, azione che è stata raccomandata anche dal gruppo di esperti sul credito ipotecario. Stiamo esaminando la questione e cercheremo di valutare ciò che possiamo fare per preparare un adeguato opuscolo informativo, sulla scorta dei vari ammonimenti che io stesso ho formulato riguardo al modo in cui tale opuscolo verrà elaborato.

Mi congratulo con l’onorevole parlamentare per avere intrapreso l’iniziativa di affrontare la questione a titolo professionale; immagino si sia trattato di una notevole mole di lavoro. Tuttavia, come ho affermato nella mia precedente risposta, dobbiamo cercare di combinare l’esperienza di cui dispongono le organizzazioni private che potrebbero essere favorevoli all’adozione di una sorta di approccio comune, utilizzando gli elementi già esistenti, anziché partire a nostra volta da zero. Pertanto, forse l’onorevole Budreikaitė sarebbe disposta a fornire alcune delle informazioni che possiede ai miei servizi, in modo tale che possiamo avvalerci della sua evidente competenza in quest’ambito.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 37 dell’onorevole Manuel Medina Ortega (H-0362/07):

Oggetto: Servizio esterno dell’Unione europea e politiche d’immigrazione

Alla luce dell’estensione delle competenze dell’Unione sull’immigrazione e dello sviluppo delle conseguenti attività della Commissione, dispone il servizio esterno dell’Unione di risorse adeguate per assistere gli Stati membri nelle nuove modalità di collaborazione attivate in materia di assunzione di immigrati legali, ritorno degli immigranti ai propri paesi di origine e loro adattamento alle società di provenienza?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) La dimensione esterna della politica migratoria dell’UE e dell’azione della Commissione in quest’area ha conosciuto un grande sviluppo negli ultimi anni, a causa delle esigenze emerse in materia di migrazione, in particolare per la definizione ma anche per l’attuazione di un approccio globale a questo fenomeno. Riteniamo che questo sia importante per il futuro e stiamo cercando di fare il possibile per giungere a un approccio globale.

Nell’ambito di questo approccio globale, stiamo sviluppando diverse iniziative riguardo a tutti gli aspetti della migrazione, tra i quali figurano la migrazione legale, ma in particolare la lotta all’immigrazione clandestina, la riammissione e gli accordi di riammissione, il rimpatrio, la reintegrazione, l’asilo, la migrazione e lo sviluppo, e la migrazione e l’integrazione.

Fin dall’inizio mi sono personalmente impegnata a realizzare l’obiettivo del 3 per cento nell’ambito dello strumento della politica di vicinato. Sto già iniziando a dare una forma definita all’impegno riguardo ai paesi che si trovano sotto la mia responsabilità. Insieme ai Commissari Frattini e Michel, ho appena sottoposto all’approvazione della Commissione la strategia tematica 2007-2010 per il programma tematico di cooperazione con i paesi terzi nei settori della migrazione e dell’asilo. Il programma prevede un importo indicativo di oltre 380 milioni di euro nel periodo 2007-2013 per la cooperazione con i paesi terzi nei settori della migrazione e dell’asilo, tra cui la migrazione di manodopera e la reintegrazione dei rimpatriati.

Le delegazioni della Commissione svolgono un ruolo fondamentale nell’attuazione di quest’agenda ambiziosa, a livello sia politico sia operativo, e i servizi della Commissione di Bruxelles informano sistematicamente le delegazioni della Commissione e le rendono partecipi dei nuovi sviluppi in materia di migrazione. Il dialogo politico con i paesi terzi viene condotto congiuntamente dalle delegazioni e dai servizi della Commissione di Bruxelles.

A livello operativo, le delegazioni sono anche responsabili, ad esempio, di individuare limiti e necessità, al fine di garantire che le azioni finanziate con strumenti comunitari di assistenza esterna siano attuate correttamente. Inoltre, nei paesi in cui la migrazione è diventata un nuovo importante argomento nel contesto dell’assistenza comunitaria esterna, le delegazioni sono altresì coadiuvate dai servizi di Bruxelles attraverso misure di formazione, reti tematiche a livello operativo e missioni di sostegno.

Tramite queste misure, la Commissione garantisce che le delegazioni siano in grado di interagire con gli Stati membri ma anche con i paesi terzi, nonché di attuare l’assistenza comunitaria in materia di migrazione.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Signor Presidente, signora Commissario, negli ultimi mesi ho seguito tanto le sue dichiarazioni quanto quelle dei Commissari Michel e Frattini, e ritengo che gli impegni che avete assunto siano molto incoraggianti.

La mia preoccupazione è che spesso nell’Unione europea si registra un eccesso di volontarismo, si formulano dichiarazioni, alle quali, però, per mancanza di risorse non fanno seguito i fatti. Il dispositivo FRONTEX, ad esempio, ha dovuto affrontare enormi difficoltà per controllare l’immigrazione illegale.

Gli impegni assunti dai tre Commissari richiederanno di sviluppare un servizio esterno dell’Unione europea dotato di nuove caratteristiche, non economico o politico, bensì di carattere sociale e lavorativo, per certi versi simile alle organizzazioni sociali e del lavoro presenti oggigiorno in tutti gli Stati membri.

La signora Commissario pensa che si possa sviluppare questo tipo di servizio esterno? Disponete di risorse sufficienti? Che cosa può fare il Parlamento per aiutare il Commissario Ferrero-Waldner a sviluppare questa nuova funzione?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, onorevole Medina Ortega, come lei sa, attualmente alcune delegazioni della Commissione europea non dispongono di esperti in ogni settore, ma, come ho detto, cerchiamo di provvedere alla formazione. In futuro, tuttavia, sarebbe ovviamente opportuno poter fare affidamento su un maggior numero di esperti.

Di fatto, accolgo sempre con favore l’idea che gli Stati membri inviino funzionari presso le delegazioni della Commissione. Lo abbiamo fatto, ad esempio, in Mauritania, rispondendo a un’istanza della vicepresidente del governo spagnolo, che mi ha fatto visita proprio per rivolgermi questa richiesta, alla quale ho risposto aprendo subito le delegazioni.

Quanto a FRONTEX, come lei sa si tratta di un’agenzia degli Stati membri, e pertanto la situazione è più complicata; il Commissario Frattini, tuttavia, dando prova di grande volontà, con il nostro sostegno, compreso il mio, è già riuscito a ottenere risultati notevoli, anche se, naturalmente, in futuro occorrerà impegnarsi ancora di più.

Inoltre, lei sa anche che abbiamo lavorato in Mauritania e in Marocco, con grandi fondi e con il programma di formazione, nonché con la gestione delle frontiere, per aiutare sia questi paesi sia gli Stati membri dell’Unione europea a far fronte alla grande sfida rappresentata oggi dall’immigrazione, specialmente quella illegale.

 
  
  

Seconda parte

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 38 dell’onorevole Dimitrios Papadimoulis (H-0371/07):

Oggetto: Andamento del deficit e del debito pubblico

Nella sua risposta ad una precedente interrogazione dell’autore sull’argomento (E-0574/07), la Commissione precisava che “la relazione di valutazione sarà presentata alla commissione RNL nel luglio o nell’ottobre del 2007. Solo dopo che saranno stati compiuti tutti i passi esposti in risposta alla parte precedente dell’interrogazione la Commissione potrà calcolare il contributo supplementare”.

Può dire la Commissione quando verrà esaminata la proposta del governo greco in vista di una revisione del PNL greco? Può dire inoltre qual è l’evoluzione del deficit e del debito pubblico nel 2007 e quali sono le previsioni della Commissione per il 2008? Può dire infine quali misure ritiene che vadano prese al fine di mantenere la tendenza ad una diminuzione del deficit e del debito pubblico?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, onorevole Papadimoulis, la Commissione sta concludendo l’analisi dei dati rivisti del PIL e del PNL greci, e in tale valutazione ha seguito la stessa procedura utilizzata per tutti gli altri Stati membri.

La procedura e il calendario cui ci siamo attenuti sono quelli di seguito specificati.

Il 22 settembre scorso la Grecia ha presentato alla Commissione i dati rivisti del suo prodotto interno lordo e del suo prodotto nazionale lordo. Questi dati rappresentavano una revisione verso l’alto di circa il 26 per cento. Alla fine di ottobre dell’anno scorso, dunque, un mese dopo aver ricevuto tale documentazione, Eurostat ha trasmesso questi dati al comitato RNL degli Stati membri per una prima valutazione.

Il comitato ha quindi rilasciato una dichiarazione in cui segnalava di non disporre di informazioni sufficienti sui dati rivisti e i cambiamenti metodologici comunicati dalla Grecia. Il comitato, inoltre, indicava l’urgente necessità che la Grecia cooperasse appieno con Eurostat e fornisse un inventario totalmente rivisto del suo PIL e del suo PNL, spiegando accuratamente le nuove fonti e i nuovi metodi utilizzati nella contabilità nazionale greca, al fine di permettere a Eurostat di procedere a una verifica completa dei nuovi dati e informare il comitato dei risultati di questa verifica.

La Grecia ha presentato l’inventario a Eurostat il 6 febbraio di quest’anno, in un documento di 460 pagine redatto in greco. Eurostat, dopo la relativa traduzione, sta concludendo l’analisi di questa documentazione ed entro la fine del mese invierà una missione in Grecia. A questa missione, come a quelle condotte in altri paesi, partecipano esperti di altri Stati membri, al fine di garantire il necessario livello di trasparenza.

I risultati della missione verranno analizzati innanzi tutto con la Grecia e delle eventuali osservazioni formulate a tale proposito si terrà conto nella redazione finale della relazione di valutazione sui dati rivisti del PNL e del PIL greci. Questa relazione sarà presentata da Eurostat al comitato per un’approfondita discussione. Ci auguriamo che tale documento possa essere presentato al più tardi entro il mese di ottobre di quest’anno.

Riguardo alla seconda parte della sua interrogazione, secondo le nostre previsioni di primavera, realizzate in base ai dati non rivisti del PIL greco, si stima che il disavanzo pubblico di quest’anno diminuirà fino al 2,4 per cento rispetto al 2,6 per cento dell’anno scorso. Per il 2008, qualora le politiche attuali restino invariate, la Commissione prevede un lieve aumento del disavanzo pubblico, che passerebbe dal 2,4 al 2,7 per cento. Tutto questo sulla base dei dati del PIL antecedenti alla revisione.

Quanto al livello di indebitamento, si calcola che continuerà a diminuire e che passerà dal 104,5 per cento del PIL nel 2006 a circa il 100,7 per cento nel 2007 e al 97,5 per cento nel 2008. Alla luce di tali dati, il 16 maggio di quest’anno la Commissione ha raccomandato al Consiglio di porre termine alla procedura per i disavanzi eccessivi, che era stata avviata due anni prima, e il 5 giugno di quest’anno, accogliendo la proposta della Commissione, il Consiglio ECOFIN ha dato seguito a tale richiesta.

Inoltre, su raccomandazione della Commissione, il 27 febbraio 2007 il Consiglio ECOFIN ha approvato il suo parere sul programma di stabilità aggiornato della Grecia per gli anni 2006-2009, e in tale parere raccomanda alla Grecia di approfittare delle congiunture economiche favorevoli per progredire verso l’obiettivo a medio termine – ovvero l’equilibrio di bilancio – al fine di continuare a migliorare il processo di bilancio, aumentandone la trasparenza e definendo una strategia finanziaria in una prospettiva a più lungo termine che applichi efficacemente i meccanismi destinati alla supervisione e al controllo della spesa primaria.

Inoltre, e alla luce del forte indebitamento e dell’aumento previsto in conseguenza dell’invecchiamento, si raccomanda alle autorità greche di elaborare quanto prima le previsioni future delle spese legate all’invecchiamento e di migliorare la sostenibilità a lungo termine dei conti pubblici, erogando le risorse necessarie al raggiungimento dell’obiettivo a medio termine.

Il 20 aprile, il ministro greco dell’Economia e delle finanze, dopo la riunione dell’Eurogruppo a Berlino, ha annunciato ufficialmente e pubblicamente che il governo aveva deciso di anticipare dal 2012 al 2010 l’anno limite per il raggiungimento di quest’obiettivo di bilancio a medio termine.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, signor Commissario, grazie per questa risposta dettagliata.

In una dichiarazione pronunciata dopo il 5 giugno, lei ha espresso la preoccupazione della Commissione per il forte deficit nella bilancia dei pagamenti dell’economia greca e ha raccomandato misure severe per ottenere una riduzione sostenibile e costante del disavanzo e del debito. La mia domanda è quindi la seguente: ha discusso con il governo greco le misure proposte dalla Commissione? Ha ricevuto risposte e assunzioni di impegni da parte del governo greco sulle misure ritenute necessarie dalla Commissione?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, sul piano formale, finora la Commissione non va oltre quanto ha proposto al Consiglio, e l’ECOFIN ha approvato l’ultimo aggiornamento del programma di stabilità; in altre parole, occorre migliorare la sostenibilità a lungo termine dei conti pubblici in Grecia.

La Grecia è uno dei sei paesi dell’Unione che, stando alla relazione da noi elaborata l’anno scorso, si trova in una posizione di alto rischio riguardo alla mancanza di sostenibilità dei suoi conti pubblici, in gran parte a causa del fatto che, con le attuali previsioni demografiche, si stima un forte aumento della spesa per le pensioni e la sanità. Non è l’unico elemento, ma è un elemento chiaro, cui va ad aggiungersi l’elevatissimo livello del debito pubblico in Grecia, che è superiore, come ho appena affermato nel mio primo intervento, al 100 per cento del PIL greco.

Pertanto, ne consegue la necessità che le autorità greche formulino, e che il Parlamento greco discuta e approvi, riforme volte a migliorare la sostenibilità, obiettivo per il quale – aspetto che risulta evidente a chiunque analizzi la situazione in cui versano l’economia e i conti pubblici in Grecia – occorre intraprendere una riforma del sistema pensionistico e del sistema di previdenza sociale che, migliorandone la sostenibilità e di conseguenza la fattibilità a medio e lungo termine, vada contemporaneamente oltre la correzione del disavanzo eccessivo registrato.

Uno degli obiettivi strutturali delle strategie di bilancio della Grecia deve continuare a essere la riduzione dei livelli di indebitamento pubblico poiché, pur continuando a scendere, restano straordinariamente alti.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 39 dell’onorevole Danutė Budreikaitė (H-0393/07):

Oggetto: Applicazione del trattato di adesione del Regno di Svezia all’Unione europea

L’articolo 2 della prima parte del trattato di adesione del Regno di Norvegia, della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia all’Unione europea stabilisce che dal momento dell’adesione le disposizioni dei trattati originari e gli atti adottati dalle Istituzioni prima dell’adesione vincolano i nuovi Stati membri e si applicano in tali Stati alle condizioni previste da detti trattati e dal presente atto.

Di conseguenza, conformemente al trattato di adesione approvato nel 1995 successivamente a un referendum, alla Svezia è fatto obbligo di adottare l’euro per soddisfare i parametri di Maastricht. Tuttavia, nonostante l’impegno assunto con il trattato di adesione, la Svezia ha respinto con referendum l’introduzione dell’euro.

Qual è la posizione della Commissione, alla quale spetta il controllo sull’applicazione del diritto comunitario negli Stati membri, sul caso della Svezia? Dispongono anche altri Stati membri del diritto di avvalersi di un’analoga procedura per garantire, ad esempio, la propria sicurezza energetica?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, signora Commissario, per quanto riguarda le disposizioni della politica monetaria unica per la zona dell’euro, la Svezia è attualmente uno degli Stati membri con deroga. In questo momento gli Stati membri con deroga sono 13 e, inoltre, esiste il caso del Regno Unito, che si avvale della nota clausola dell’opt-out e che, pertanto, non figura tra gli Stati membri con deroga.

Eccetto la Danimarca, tutti gli altri Stati membri con deroga, ossia 12 Stati membri, devono adottare l’euro come moneta, obiettivo per il quale devono cercare di soddisfare i criteri di convergenza stabiliti nel Trattato. Tuttavia, il Trattato non fissa un termine preciso per l’adempimento di questo obbligo da parte degli Stati membri.

La nostra ultima relazione di convergenza, riguardante gli Stati membri con deroga, è stata pubblicata nel dicembre del 2006 e in essa la Commissione ha concluso che la Svezia soddisfaceva il criterio relativo alla stabilità dei prezzi, il criterio relativo alla situazione del bilancio pubblico e il criterio relativo alla convergenza dei tassi di interesse a lungo termine.

Tuttavia, secondo la stessa relazione di convergenza, la Svezia non soddisfaceva il criterio del tasso di cambio, che prevede che lo Stato membro in questione abbia rispettato, senza gravi tensioni per almeno due anni prima dell’esame, i normali margini di fluttuazione stabiliti dal meccanismo di cambio (ERM II).

Inoltre, nella relazione di convergenza dello scorso dicembre, la Commissione ha dichiarato che la legislazione svedese non era pienamente compatibile con gli articoli 108 e 109 del Trattato per quanto riguarda lo statuto della banca centrale e la sua integrazione nel sistema europeo di banche centrali.

Alla luce di questa valutazione, la Commissione ha concluso che, a tale proposito, la posizione della Svezia non doveva cambiare e che questo paese doveva rimanere uno Stato membro con deroga. In conformità del Trattato, la Commissione e la Banca centrale europea pubblicheranno la prossima relazione di convergenza nel 2008, in linea di principio nel maggio 2008.

Riguardo all’ultima parte della sua domanda, che si riferisce, come termine di paragone, alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, le disposizioni dei Trattati in vigore hanno già fatto sì che il Parlamento europeo e il Consiglio adottino direttive riguardanti, da un lato, la sicurezza delle forniture di gas naturale e, dall’altro, la salvaguardia della sicurezza dell’approvvigionamento di elettricità negli investimenti infrastrutturali. Queste direttive devono essere recepite negli ordinamenti giuridici nazionali e, nel caso dell’ultima direttiva, il recepimento deve avvenire entro il 1o dicembre di quest’anno.

Pertanto, dal punto di vista giuridico, non ci troviamo in due situazioni esattamente identiche. Riguardo all’obbligo dell’adesione all’euro, il Trattato non precisa né un limite di tempo massimo né le norme di attuazione, rimettendoli invece alla valutazione della convergenza che si effettua ogni due anni; invece, nel caso della sicurezza energetica, che lei cita come esempio, esistono direttive che devono essere applicate dagli Stati membri e, in caso di inottemperanza, si attuano le pertinenti procedure d’infrazione.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE). – (LT) Signor Commissario, non sono soddisfatta della sua risposta perché nel trattato di adesione della Svezia si afferma chiaramente che la Svezia deve attuare tutti gli accordi in vigore al momento dell’adesione. In altre parole, per quanto riguarda il principio di una maggiore collaborazione, non sono ammesse deroghe. Ora gli svedesi hanno deciso, quattro anni dopo un referendum in materia, di votare di nuovo sull’introduzione dell’euro. Questo significa che i paesi possono scegliere quali parti del trattato di adesione rispettare e quali no? Penso alla centrale nucleare lituana per la generazione di elettricità di Ignalina, che è sicura e che i miei connazionali non vogliono chiudere. Possiamo forse astenerci dal chiudere la centrale senza prenderci la briga di consultare nessuno?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, certo che la Svezia deve applicare i Trattati. Il fatto che si sia tenuto un referendum non esenta la Svezia dall’obbligo di applicare i Trattati. Anche la Commissione deve applicare il Trattato e, come ha fatto e come continuerà a fare, verificherà ogni due anni, conformemente a quanto richiesto dal Trattato, se lo Stato membro in questione – in questo caso la Svezia – soddisfa o meno i criteri stabiliti per l’adesione all’euro. Per ora non li soddisfa.

La Svezia ha un problema perché la sua moneta non è compresa nel meccanismo del tasso di cambio e, pertanto, non soddisfa il criterio della stabilità del tasso di cambio, non adempie il criterio dell’adeguamento della sua legislazione alle norme previste negli articoli del Trattato cui mi riferivo prima, e lo affermiamo chiaramente. Ciò che invece deve fare ogni Stato membro è prepararsi per questo momento.

Inoltre, come l’onorevole Budreikaitė sa, e come sapete tutti voi, i risultati del referendum svoltosi in Svezia nel 2003 non rimarranno in vigore per sempre. Possiamo elencare casi ben noti di referendum che, all’epoca in cui si erano svolti, erano stati espressione di una determinata posizione in un dato paese, posizione che con il tempo è cambiata perché la volontà dei cittadini, manifestata attraverso elezioni o nuovi referendum, è cambiata a sua volta.

Ribadisco che la situazione, dal punto di vista del tipo di obblighi giuridici derivanti dal Trattato, non è paragonabile quando analizziamo, da un lato, la necessità di procedere verso l’Unione economica e monetaria e, dall’altro, la necessità di rispettare le norme di sicurezza energetica stabilite dai Trattati fondamentali.

 
  
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  Presidente. – Passiamo ora alle domande complementari. Ne ho ricevute più di quante ne possa accettare e, pertanto, posso concedere la parola a due soli oratori. Devo osservare le disposizioni di cui all’articolo 109 e all’allegato II del Regolamento, che disciplinano lo svolgimento del Tempo delle interrogazioni alla Commissione. Ho scelto l’onorevole Lundgren e l’onorevole Kauppi.

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM). – (SV) Signor Presidente, a prescindere dal Regolamento, vi sono buone ragioni per valutare la gestione dell’intera questione dell’adesione svedese all’Unione monetaria. Quando, nel 1994, è stato organizzato il referendum sull’adesione della Svezia all’Unione europea, è stato affermato chiaramente che, se avessimo votato a favore dell’adesione all’UE, non saremmo stati tenuti ad aderire all’Unione monetaria. Si trattava di una questione su cui avevamo negoziato e su cui avremmo potuto decidere in seguito. Gli antefatti politici del problema sono questi.

Come il Commissario, sono anch’io del parere che non si possa costringere la Svezia ad applicare il nuovo meccanismo di cambio finché questo paese non soddisferà i requisiti per aderirvi. La questione che vorrei sollevare, tuttavia, è la seguente: è davvero concepibile – e questa è la domanda che rivolgo al Commissario – che un paese che ha aderito al nuovo meccanismo di cambio possa...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, non sono sicuro che quella formulata dall’onorevole parlamentare sia effettivamente una domanda; tuttavia, conveniamo entrambi sull’esistenza del problema cui accennava nel suo intervento, onorevole Lundgren, nonché sulle incompatibilità giuridiche che, in questo momento, non consentono di affermare che la Svezia soddisfa i criteri di adesione all’euro.

Vorrei ribadire che in nessun punto il Trattato fissa termini massimi o minimi. Stabilisce l’obbligo generale di prepararsi, di cercare di soddisfare i requisiti, ma non definisce un calendario preciso e, di conseguenza, occorre interpretare il Trattato con la stessa flessibilità con cui è stato redatto dai suoi autori, non con criteri che si discostano dalla lettera e dallo spirito del Trattato. In ogni caso, vorrei dire che, come spesso accade in politica, occorre applicare il buon senso; se, ancora quattro anni fa, i cittadini svedesi hanno detto no, occorrerà chiedere loro quando intendono cambiare opinione, sempre che decidano di cambiarla. Credo che non si possa obbligare alcun paese ad aderire a una moneta contro la sua volontà.

 
  
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  Piia-Noora Kauppi (PPE-DE). – (EN) Vorrei formulare tre domande dirette. La prima riguarda una questione puramente tecnica: la clausola del trattato di adesione svedese è assolutamente identica a quella dei 12 Stati membri che hanno aderito dopo il 2004?

In secondo luogo, mi pare di capire che l’onorevole Budreikaitė non abbia per l’euro lo stesso interesse che ha per le precedenti interpretazioni dei trattati di adesione. Se la legislazione primaria non prevede scadenze per l’attuazione di una determinata misura, è possibile posticiparne l’applicazione per sempre?

Terzo, crede che il referendum sia pertinente al dibattito?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Onorevole Kauppi, cercherò di risponderle con la stessa precisione con cui lei ha formulato le domande.

Innanzi tutto, la Svezia ha esattamente lo stesso regolamento dei 12 nuovi Stati membri; gli unici Stati membri che non appartengono alla zona dell’euro e che hanno un regolamento diverso sono la Danimarca e il Regno Unito, con due clausole di opt-out, peraltro diverse tra loro. La seconda questione è quella temporale: le direttive hanno una scadenza, mentre, secondo il Trattato, l’obbligo di cercare di prepararsi per l’adesione all’euro non scade. In terzo luogo, per quanto riguarda la domanda relativa al referendum, si tratta di un aspetto che dipende dall’ordinamento giuridico di ogni paese.

Se le informazioni di cui dispongo sono corrette, il referendum svedese non è vincolante a tal fine. Difficilmente i cittadini svedesi o il parlamento svedese potrebbero modificare il Trattato solo in base alla loro volontà.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 40 dell’onorevole Ryszard Czarnecki (H-0435/07):

Oggetto: Entrata della Polonia nella zona euro

Quando ritiene la Commissione che la Polonia soddisferà ai criteri che le permetteranno di entrare nella zona euro? Considera essa che ciò sia prevedibile per il 2012, eventualmente prima o, al contrario, più tardi e, se del caso, può essa precisare una data?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Onorevole Czarnecki, essere uno Stato membro dell’Unione europea, come abbiamo appena finito di dire nel corso della risposta precedente, comporta l’obbligo di adottare l’euro, eccetto i casi di Danimarca e Regno Unito, che hanno negoziato una clausola di “opt-out”. Gli Stati membri che non fanno ancora parte della zona dell’euro hanno l’obbligo di adottare la moneta unica una volta soddisfatte le condizioni necessarie per questo e dopo aver cercato di prepararsi per soddisfarle.

Quando la Commissione confermerà, sulla base di una propria valutazione (la relazione sulla convergenza), e la Banca centrale europea farà lo stesso, che la Polonia soddisfa tutti i criteri stabiliti all’articolo 121, paragrafo 1, del Trattato, si potrà, in conformità dell’articolo 122, paragrafo 2, eliminare l’eccezione della Polonia e introdurre lo złoty nell’euro.

Attualmente la Polonia non soddisfa pienamente i criteri di convergenza relativi alla situazione delle finanze pubbliche – in quanto il deficit pubblico polacco è superiore al 3 per cento – nonché il criterio di stabilità dei tassi di cambio poiché lo złoty non appartiene al meccanismo di cambio. Inoltre, secondo la valutazione inclusa nell’ultima relazione sulla convergenza del dicembre 2006, la normativa che disciplina la banca centrale polacca continua a non attenersi alle prescrizioni del Trattato.

La Commissione non fa previsioni relative al momento in cui gli Stati membri soddisferanno o potranno soddisfare i criteri richiesti, tuttavia senza dubbio sollecita tutti affinché orientino le proprie politiche in direzione del conseguimento della stabilità macroeconomica e affinché incoraggino la crescita della produttività. Tali politiche favoriscono una convergenza economica sostenibile, che costituisce la base migliore al fine di preparare i paesi che intendono entrare nell’euro e usufruire di tutti i vantaggi derivanti dall’appartenenza alla moneta unica, una volta all’interno della zona dell’euro.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (UEN).(PL) Signor Commissario, la ringrazio per il suo discorso. Tuttavia desideravo dire che ovviamente conosciamo i criteri da soddisfare al fine di entrare nella zona dell’euro. Il mio paese ha dichiarato esplicitamente che questo non è ancora il momento giusto in termini economici, e che questa decisione verrà presa sicuramente tra qualche anno. So perfettamente che la Commissione europea non può pronunciarsi in merito alle date, ma si può affermare in linea di massima che il 2012 potrebbe essere indicativamente l’anno giusto per entrambe le parti?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, ripeto, non è compito della Commissione rispondere a questa domanda. Ritengo, invece, che sia un quesito da sottoporre, e io a volte lo faccio, alle autorità polacche. Quando ho occasione di discutere con esse, domando loro: sono già stati delineati intenzioni, calendario e obiettivi di adesione all’euro? Non lo faccio semplicemente per curiosità, ma perché sono convinto che, per un’economia come quella polacca – e per molte altre economie degli Stati membri dell’Unione europea che ancora non fanno parte della moneta unica – sia davvero opportuno fissare una data obiettivo al fine di fornire orientamenti, in modo concreto e coerente, per le politiche macroeconomiche e le riforme strutturali intese al soddisfacimento dei criteri, per preparare un’economia che possa trarre i massimi vantaggi dall’appartenenza all’euro.

Dal momento dell’allargamento, stiamo vivendo momenti molto positivi dal punto di vista dell’atteggiamento dei mercati valutari e dei mercati finanziari, ma non sarà sempre così e i mercati finanziari, le agenzie di rating, gli investitori faranno anch’essi le stesse domande alle autorità polacche. Non solo voi, deputati europei, o noi Commissari, porremo gli stessi quesiti, ma se li pongono e se li porranno con sempre maggiore insistenza gli operatori economici, gli osservatori e gli investitori.

Pertanto, ritengo sia positivo per tutti che i paesi che aderiranno all’euro, non solo perché sono obbligati a farlo, ma soprattutto per convinzione, e che si trovano in una fase di convergenza, di crescita, di modernizzazione, attraverso un grande sforzo finalizzato alle riforme, chiariscano questo punto della propria strategia, soprattutto perché è positivo per loro stessi e per i loro interessi.

 
  
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  Richard Corbett (PSE).(EN) Signor Commissario, potrebbe rispondere nuovamente alla stessa domanda ma relativamente al Regno Unito? Come ha sottolineato precedentemente, questo paese non ha l’obbligo di aderire all’euro, ma ha il diritto di farlo, una volta soddisfatti determinati requisiti. Quanto è vicino dunque il Regno Unito all’effettivo adempimento di tali condizioni?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, è vero che la situazione del Regno Unito, come ho già detto e come lei stesso ha ripetuto, non è la stessa. Tale paese ha aderito a una clausola di “opt-out” e, pertanto, le considerazioni che ho fatto precedentemente in merito ai 12 paesi per i quali non viene applicata la stessa clausola non lo riguardano.

Tuttavia, pur con questa differenza, arriverà il momento, e mi auguro che sia io che lei lo vedremo presto, in cui le autorità britanniche, distaccandosi dalla clausola, decideranno di predisporsi ad aderire all’euro in virtù della considerazione che ciò sia positivo per l’economia del proprio paese. Quando accadrà tutto questo? Se lei mi domanda se ritengo accadrà entro l’anno, le rispondo di no, non credo.

La mia opinione è che nell’attuale fase del ciclo economico dell’area britannica e di quella della zona dell’euro, gli argomenti a favore non aumenteranno nei prossimi mesi né nel prossimo futuro. Ciò nonostante, rispondo sempre a tale domanda con una particolare considerazione. Ritengo che le circostanze che gli inglesi valutano, da buoni pragmatici, mese dopo mese al fine di individuare i pro e i contro dell’adesione all’euro, prima o poi cambieranno e dimostreranno ai cittadini e ai politici britannici e alla City londinese, per fare un esempio di tre importanti interlocutori nella questione, che l’ingresso nell’euro a un certo punto converrà all’economia britannica. Sono sicuro che questo momento arriverà, anche se, per dirle la verità, ritengo che non sarà prima della prossima crisi.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (PSE).(LT) Signor Commissario, desidero unire le ultime due questioni e farle una specifica domanda. Personalmente, non metto in dubbio i vantaggi dell’euro; tuttavia, in alcuni paesi, che ancora non hanno la moneta unica, l’opinione pubblica è di un altro parere. In quale modo influirà sulla situazione, per esempio, il referendum in Polonia, in Lituania, in Ungheria o nella Repubblica Ceca, dove la popolazione ha votato contro l’introduzione dell’euro? Il modo in cui influirà sul contesto morale è evidente, ma cosa dire in merito alla situazione giuridica e pratica?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, oltre ai problemi politici derivanti dagli esiti negativi dei referendum, evidenti in questo settore e in altri, ritengo che per i paesi da lei citati, le conseguenze di un referendum negativo sarebbero molto diverse da quelle che ci sono nell’economia svedese o dalle conseguenze delle clausole di “opt-out” per il Regno Unito o per la Danimarca.

Nel caso del Regno Unito, della Danimarca e della Svezia, si tratta di economie altamente industrializzate, potremmo persino definirle in fase postindustriale, che non devono realizzare un processo di convergenza nominale e reale, che hanno attuato molte delle riforme strutturali necessarie al fine di trarre il massimo beneficio dall’appartenenza a una moneta unica, e alle quali i mercati finanziari, gli investitori, le agenzie di rating accordano una grande fiducia. Purtroppo, nessuna di queste caratteristiche è da attribuirsi, per il momento, alla Polonia, all’Ungheria e alla Repubblica Ceca, che sono paesi con un livello di crescita alto, ma con lunghi processi di convergenza nominale e reale davanti a loro, che richiedono ai cittadini e alle autorità riforme importanti e un lavoro molto complesso. Hanno bisogno, infatti, di ricorrere al risparmio estero al fine di finanziare i propri investimenti e processi di crescita e devono guadagnarsi la fiducia dei mercati e degli investitori. Pertanto, ritengo che una mancanza di promozione dell’euro, quale strategia a medio termine delle proprie politiche macroeconomiche e in generale delle proprie politiche, creerebbe grandi difficoltà per i paesi in questione.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 42 dell’onorevole Sarah Ludford (H-0365/07):

Oggetto: Progetti concernenti una terza pista all’aeroporto Londra – Heathrow

Quali misure sta adottando la Commissione per garantire che i progetti di realizzazione di una terza pista all’aeroporto Londra – Heathrow non violino le normative UE in materia di inquinamento atmosferico e acustico?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, onorevole Ludford, in base alla normativa dell’Unione europea, valutare l’impatto dei progetti per le infrastrutture e garantire che vengano rispettate tutte le norme ambientali previste in questo ambito, prima, durante e dopo l’esecuzione dei progetti, è compito che spetta alle autorità del Regno Unito. Tuttavia, la Commissione segue da vicino l’applicazione delle disposizioni pertinenti del diritto comunitario da parte di questo paese.

Il progetto per lo sviluppo sostenibile dell’aeroporto di Heathrow implica l’impegno del governo del Regno Unito di non costruire una terza pista in mancanza di previa consultazione pubblica e unicamente se vengono osservate severe condizioni in materia di rumore e qualità dell’aria. Ha quindi avuto inizio una valutazione completa dell’impatto ambientale, la quale dovrà conformarsi alle disposizioni della direttiva del 1985, applicabile a queste valutazioni, e a quelle della direttiva del 2001 relativa alla valutazione ambientale strategica.

La direttiva del 1996 in materia di gestione e di qualità dell’aria ambiente e le direttive da essa derivanti prevedono, qualora necessario, l’attuazione di piani di qualità dell’aria per garantire il rispetto dei valori limite stabiliti. L’impatto dell’aeroporto di Heathrow è disciplinato dal piano di qualità dell’aria dell’area metropolitana di Londra, tuttavia nel 2005 i livelli di qualità dell’aria della zona hanno superato in più occasioni i valori limite stabiliti per le particelle PM10.

Inoltre, in conformità della direttiva del 2002 in materia di rumore ambientale, entro la fine di quest’anno, Heathrow deve redigere una mappa acustica strategica che includa un’analisi delle possibili situazioni future. A distanza di un anno dalla mappa, si deve realizzare, a seguito di un processo di consultazione pubblica, un piano d’azione adeguato.

In sintesi, la Commissione segue con interesse lo sviluppo del più grande aeroporto dell’Unione europea e verifica l’applicazione delle pertinenti disposizioni della normativa comunitaria. Tuttavia, le disposizioni specifiche riguardanti l’ampliamento dell’aeroporto, come per esempio, quella relativa alla costruzione di una terza pista, in questo caso particolare sono di competenza delle autorità britanniche.

 
  
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  Sarah Ludford (ALDE).(EN) Desidero ringraziare il Commissario per la risposta fornita. Questo rassicurerà i londinesi sul fatto che la Commissione sta realmente controllando la situazione sebbene, come lei ha affermato, la principale responsabilità sia del governo britannico.

Tuttavia, una nuova pista a Heathrow consentirebbe il passaggio su Londra di altri 500 voli al giorno. La dichiarazione ottimistica del governo britannico in merito al fatto che l’inquinamento dell’aria può essere mantenuto entro i limiti legali stabiliti dall’Unione europea, sembra dipendere dalla speranza di aerei più puliti e di controlli sul traffico automobilistico nelle vicinanze dell’aeroporto. Il settore dell’aviazione rappresenta già un terzo di tutte le emissioni di carbonio a Londra. Pertanto, desideriamo chiedere alla Commissione di mantenere uno stretto controllo su ciò che sta per accadere. Attendiamo la consultazione a breve, ma è necessario che la Commissione vigili sulla situazione molto da vicino al fine di garantire protezione ai londinesi.

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Dato che è semplice criticare i progetti di nuove piste aeroportuali, la Commissione è consapevole, per fornire un’indicazione di quanto sia importante una terza pista a Heathrow, che la scorsa settimana l’amministratore delegato della British Airways ha dichiarato che in mancanza di essa non ci sarà possibilità di ripristinare i voli della compagnia che collegano la mia circoscrizione di Belfast alla capitale del mio paese, ovvero Londra? Pertanto, coloro che intendono opporsi al progresso non dovrebbero soffermarsi a riflettere riguardo al pregiudizio e al disagio che arrecherebbero ai cittadini del Regno Unito e di qualsiasi altro paese che abbia bisogno di collegamenti aerei moderni ed efficienti, che progetti come questo potrebbero offrire?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, onorevole Allister, non posso che ripetere quanto già affermato in risposta all’onorevole Ludford.

La Commissione deve controllare il rispetto della normativa comunitaria. Come ho già detto, ci sono una serie di direttive applicabili, e il controllo della loro effettiva attuazione è nostra responsabilità.

Tuttavia, nel caso specifico oggetto dell’interrogazione dell’onorevole Ludford ossia la terza pista a Heathrow, ripeto, la competenza è delle autorità britanniche e, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la Commissione non può intervenire in merito a questioni la cui responsabilità incombe a uno specifico Stato membro.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 43 dell’onorevole Georgios Papastamkos (H-0366/07):

Oggetto: “Governance ecologica” europea

Intende la Commissione elaborare un piano d’azione globale e coerente in materia di “governance ecologica”, che codifichi, semplifichi e renda visibile per gli interessati il quadro normativo esistente, che includa le nuove iniziative legislative relative all’ambiente, che rifletta gli impegni esterni dell’Unione europea in fatto di ambiente e che garantisca la coerenza fra le politiche ambientale, commerciale e industriale dell’Unione?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, onorevole Papastamkos, da quando ha pubblicato il Libro Bianco nel 2001, la Commissione non ha mai smesso di sottolineare l’importanza da essa attribuita alla qualità della governance nelle proprie azioni, al fine di garantire che le Istituzioni europee funzionino efficacemente e in modo democratico attraverso una proficua collaborazione con la società civile.

La governance è una materia che ha legami con tutte le politiche, quindi non riguarda esclusivamente l’ambiente. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che i cittadini e le organizzazioni non governative (ONG) riservano particolare attenzione alla qualità del proprio ambiente e che la società civile desidera essere informata ed essere coinvolta nelle questioni ambientali.

In questo senso, la Convenzione di Aarhus del 1998 assume particolare importanza, in quanto prevede l’accesso alle informazioni, la partecipazione pubblica ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. Tale Convenzione, di cui la Comunità e gli Stati membri sono parti aderenti, rafforza gli impegni citati nel Libro bianco sulla governance europea. La Commissione ha interamente applicato i principi della governance nelle proprie iniziative.

Per quanto riguarda le questioni sollevate dall’onorevole Papastamkos nella sua interrogazione, desidero precisarle che tutte le misure importanti che la Commissione intende presentare ad altre Istituzioni sono incluse nel proprio programma di lavoro annuale. Tale programma viene sottoposto alle altre Istituzioni, tra cui, ovviamente, il Parlamento europeo, che lo discute ogni anno, ed è inoltre accessibile al pubblico. La maggior parte delle misure riguardanti l’ambiente si basano sul sesto programma d’azione per l’ambiente.

Inoltre, tutte le proposte della Commissione riflettono pienamente gli impegni assunti dalla Comunità negli accordi internazionali, compresi quelli relativi alla politica commerciale e all’ambiente.

Infine, la Commissione partecipa attivamente al dibattito riguardo al miglioramento della governance ambientale internazionale. L’Unione europea ha presentato una proposta concreta al fine di creare un’organizzazione ambientale delle Nazioni unite sulla base di un programma dell’ONU per l’ambiente.

Tale organismo avrebbe autorità e chiare funzioni giuridiche in materia di rilevamento precoce, supervisione e recupero di dati e opererebbe su una base scientifica consolidata, migliorando quindi il processo decisionale e l’adozione di politiche basate su prove scientifiche.

 
  
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  Georgios Papastamkos (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, signor Commissario, l’acquis in materia di ambiente contiene circa 400 testi di diritto derivato e convenzioni internazionali che sono, di certo, utilizzati e applicati da governi, autorità locali, imprese e società civile. Quali vantaggi sono stati tratti finora dalla famosa strategia per il “miglioramento della regolamentazione”?

Due anni fa, io stesso ho fatto presente a quest’Assemblea la necessità di istituire un’organizzazione ambientale internazionale. Qual è la posizione della Commissione? L’ambiente, come tutti noi sappiamo, è un bene pubblico e, come tale, non ha confini. Cosa pensa la Commissione riguardo alla creazione di un tribunale internazionale dell’ambiente?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Come le ho detto nella mia prima risposta, onorevole, la Commissione sta collaborando e presentando proposte affinché si crei, sotto l’egida dell’ONU, un’organizzazione ambientale, multilaterale, con autorità e funzioni giuridiche chiare. Riteniamo che ciò condurrà al miglioramento del processo decisionale e all’adozione di politiche basate su prove scientifiche.

Per quanto riguarda la sua proposta di istituire un tribunale, la Commissione non ha ancora una posizione precisa in materia.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 44 dell’onorevole David Martin (H-0373/07):

Oggetto: Obiettivi dell’UE relativi alla concentrazione di emissioni di gas a effetto serra

L’Unione europea si è imposta il più rigoroso obiettivo al mondo in materia di limitazione della concentrazione di gas a effetto serra nell’atmosfera. Secondo la Commissione, il suo obiettivo di 550 parti per milione (ppm) equivalenti di biossido di carbonio, limiterà il riscaldamento globale a non oltre 2 gradi al di sopra dei livelli preindustriali.

Nel suo recente studio, tuttavia, il climatologo Malte Meinshausen sostiene che esiste soltanto il 12 per cento di possibilità che questo obiettivo possa limitare il riscaldamento globale a 2°C. Una bozza della relazione dell’IPCC suggerisce che tale probabilità potrebbe essere addirittura inferiore. La ricerca realizzata dalla Commissione europea nel 2005 ha riscontrato che “per avere una possibilità ragionevole di limitare il riscaldamento globale a non oltre 2°C, potrebbe essere necessaria una stabilizzazione delle concentrazioni ben al di sotto di 550 ppm di CO2”.

Può la Commissione chiarire come possa stabilire degli obiettivi pur sapendo che questi non possono raggiungere il risultato atteso? Quali misure intende adottare per ridurre l’obiettivo relativo alla concentrazione di gas a effetto serra a 400 ppm, il dato consigliato da Malte Meinshausen, allo scopo di ottimizzare le probabilità di ridurre il riscaldamento globale a 2°C?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, onorevole Martin, la Commissione basa la politica dell’Unione europea in materia di clima e l’analisi scientifica dei cambiamenti climatici sulle più rigorose e aggiornate informazioni disponibili. La Commissione è consapevole che, secondo i risultati di studi recenti, mediante una stabilizzazione dei gas a effetto serra a un livello di 550 parti per milione (ppm) equivalenti di CO2, ci sono scarse possibilità di raggiungere l’obiettivo di un surriscaldamento massimo di due gradi.

Di conseguenza, nella comunicazione intitolata “Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius”, adottata quest’anno, la Commissione dichiara che, per poter contare su un 50 per cento di possibilità di non superare il limite dei 2°C, sarà necessario mantenere le concentrazioni di gas a effetto serra sostanzialmente al di sotto del livello di 550 ppm equivalenti di CO2, nei prossimi decenni, e che si dovrà proseguire riducendo le emissioni per raggiungere una stabilizzazione a circa 450 ppm.

Ciò significa che, a partire da questo momento fino al 2050, le emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale dovranno essere ridotte almeno del 50 per cento rispetto ai livelli del 1990.

L’analisi della Commissione ha dimostrato che tale obiettivo è tecnicamente fattibile ed economicamente realizzabile a patto che i principali responsabili delle emissioni agiscano rapidamente. Tale fattibilità tecnica è stata confermata recentemente dalla relazione del gruppo di lavoro III del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici.

Gli studi scientifici condotti dal dottor Meinhausen menzionati nell’interrogazione dell’onorevole Martin, sostengono anch’essi questo ambizioso obiettivo. Al fine di limitare i cambiamenti climatici a un aumento di 2°C, i paesi sviluppati devono prendere l’iniziativa di ridurre collettivamente entro il 2020 le proprie emissioni di gas a effetto serra del 30 per cento rispetto ai livelli del 1990, che è l’obiettivo fissato nelle proposte da noi adottate nel gennaio di quest’anno in seno alla Commissione, e che hanno poi ricevuto l’appoggio del Consiglio.

Al contempo, le emissioni dei paesi in via di sviluppo dovranno raggiungere i loro obiettivi massimi tra il 2020 e il 2025. Ci troviamo di fronte a una sfida globale nei confronti della quale l’Unione europea, responsabile del 14 per cento delle emissioni totali dei gas a effetto serra del pianeta, è pronta ad assumere un ruolo di primo piano a livello internazionale.

L’Unione europea è fiduciosa che la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà quest’anno a Bali, consentirà di favorire i negoziati per una futura cooperazione internazionale in materia di cambiamenti climatici dopo il 2012, la qual cosa condurrà, o dovrebbe condurre, a un accordo sulle azioni necessarie al fine di raggiungere una riduzione globale delle emissioni.

Desidero aggiungere che, in base alle conclusioni dell’ultimo vertice del G8, considerando i progressi e i limiti di tali conclusioni, riteniamo che siano stati fatti notevoli passi avanti su tale accordo pochi giorni fa a Heiligendamm.

 
  
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  David Martin (PSE).(EN) Innanzi tutto, desidero ringraziare il Commissario per la sua risposta molto dettagliata e, in qualche modo, incoraggiante. Tuttavia, nella stessa risposta, ha anche riconosciuto che il limite di 550 ppm probabilmente non raggiungerà gli obiettivi. Nel periodo che precede la Conferenza di Bali, la Commissione europea intende promuovere l’idea che l’Europa deve assumere un ruolo di guida e mirare a un obiettivo di 400 ppm per dare il buon esempio al resto del mondo? Condivido anche la sua opinione sul fatto che non basti l’iniziativa della sola Europa.

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, come ho affermato nella mia prima risposta all’onorevole Martin, come europei siamo convinti che debbano essere compiuti considerevoli progressi e che debba essere l’Unione europea ad assumere la leadership globale.

Procedere congiuntamente ci consentirebbe di portare avanti obiettivi molto più ambiziosi anche nel caso in cui altri importanti responsabili delle emissioni di gas a effetto serra non siano disposti ad assumere impegni analoghi, nell’ambito della Conferenza di fine anno sull’era successiva a Kyoto, e l’Europa si ritrovasse da sola a far fronte a tali impegni.

Come abbiamo affermato nelle nostre proposte di gennaio, l’Europa, anche da sola, deve continuare a portare avanti obiettivi ambiziosi, ma è ovvio che non sarà possibile assumere il tipo di impegni che auspichiamo, se gli altri partecipanti alla Conferenza non faranno altrettanto.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 45 dell’onorevole Bernd Posselt (H-0381/07):

Oggetto: “Turismo dei rifiuti”

Può la Commissione far sapere come giudica lo sviluppo del “turismo dei rifiuti” tra la Baviera e la Repubblica ceca e quali misure prevede di adottare per ridurre questo fenomeno all’interno dell’UE e nelle regioni limitrofe?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, onorevole Posselt, l’Unione europea applica una normativa severa in materia di spedizione di rifiuti tra gli Stati membri e verso paesi terzi.

La normativa comunitaria sulla spedizione di rifiuti ha come obiettivo la prevenzione del trasporto illegale dei rifiuti, compresi i casi in cui tale trasporto avviene illegalmente da uno Stato membro all’altro in quello che viene definito, come lei fa nella sua interrogazione, “turismo dei rifiuti”.

Il trasporto di rifiuti viene autorizzato unicamente nel caso in cui le successive operazioni di riciclaggio o smaltimento soddisfino i criteri di salvaguardia dell’ambiente stabiliti dalla normativa comunitaria e degli Stati membri.

La normativa comunitaria definisce criteri di massima severità per quanto riguarda il trasporto di rifiuti pericolosi e destinati allo smaltimento. In base a tale normativa, è illegale trasportare questo tipo di rifiuti in un altro Stato membro se non si è precedentemente proceduto a un’opportuna notifica scritta all’autorità competente del paese di origine. Inoltre, per poter portare a termine la spedizione, è necessario aver ricevuto l’autorizzazione delle autorità competenti dei paesi di origine, di destinazione e di transito.

Tra le principali priorità della Commissione europea figurano il controllo della corretta applicazione della normativa comunitaria relativa alla spedizione di rifiuti da parte degli Stati membri, nonché la prevenzione e la riduzione delle spedizioni illegali. La Commissione ha inoltre adottato una serie di misure intese a raggiungere tali obiettivi.

Quest’anno sono stati organizzati con gli Stati membri eventi e incontri di sensibilizzazione, al fine di migliorare l’attuazione e la messa in pratica delle norme in materia di spedizione di rifiuti negli Stati membri.

Un altro passo importante sarà costituito dall’adozione da parte della Commissione di una proposta di direttiva relativa alla protezione dell’ambiente attraverso norme penali.

Non possiamo accettare il trasporto illegale di rifiuti dalla Germania alla Repubblica ceca, né lo smaltimento illegale di tali rifiuti nel luogo di destinazione finale. Siamo consapevoli che possono esistere situazioni analoghe in altri Stati membri, oltre a quelli già citati nella sua interrogazione. La Commissione osserverà da vicino la situazione al fine di garantire la corretta applicazione della normativa comunitaria in materia di ambiente.

La Commissione e gli Stati membri hanno entrambi la responsabilità di garantire l’effettiva applicazione di tale normativa. Gli Stati membri devono inoltre disporre la realizzazione nella pratica di ispezioni e controlli delle spedizioni di rifiuti e devono stabilire sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive intese a punire le infrazioni.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) Ringrazio il Commissario per l’ottima ed esaustiva risposta. Adesso vorrei rivolgere due domande complementari. Primo, secondo lei, signor Commissario, si fa abbastanza per combattere il turismo illegale dei rifiuti? Secondo, è vero che il fenomeno si sta soltanto spostando verso i nuovi confini esterni dell’Unione europea, per esempio verso l’Ucraina e l’Europa sudorientale?

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, non sono un esperto in materia, ma posso affermare che in questo tipo di azioni, e nel momento in cui, come lei ha fatto nella sua interrogazione e io nella mia risposta, si constata che esiste un trasporto illegale, tutto ciò che si può fare oltre a quello che già si fa, sarà accolto con favore, e questo vale sia per le nostre stesse funzioni di controllo dell’attuazione delle norme comunitarie sia, come ho affermato nella mia prima risposta, per la condotta degli Stati membri, che sono coloro che dispongono degli strumenti di controllo e ispezione sul territorio.

Per quanto riguarda le zone dove si realizzano questo tipo di attività illegali, secondo le informazioni a nostra disposizione, come le ho precisato nella mia risposta, spedizioni di questo tipo non avvengono solo tra la Germania e la Repubblica Ceca, ma anche tra la Germania e alcuni altri nuovi Stati membri, e probabilmente questo passaggio esiste anche al di là delle frontiere dell’Unione europea.

In ogni caso, relativamente alle spedizioni e al trasporto tra gli Stati membri, è di particolare utilità che questa discussione confermi l’intenzione e l’impegno delle Istituzioni comunitarie di esercitare, con la massima energia, le nostre funzioni e di chiedere ai politici degli Stati membri di fare lo stesso.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 54 dell’onorevole Claude Moraes (H-0357/07):

Oggetto: Screening dei tumori

Nell’Unione europea i tumori colpiscono 2 milioni di persone, di cui 276 678 nel Regno Unito. Alla luce delle recenti raccomandazioni del Consiglio in materia di screening dei tumori, dispone la Commissione d’informazioni in merito a come gli Stati membri percepiscono realmente tale raccomandazione?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare l’onorevole deputato per l’interrogazione, anche se, in tutta onestà, devo dire che avrei voluto che la presentasse fra sei mesi, in quanto proprio su questo argomento, ossia l’attuazione delle raccomandazioni del Consiglio, siamo attualmente impegnati nella stesura di una relazione, che prevediamo possa essere adottata entro la fine di quest’anno. Su tale relazione si dovrebbe quindi tenere una discussione, principalmente sotto la Presidenza slovena, nella prima metà del prossimo anno.

La relazione fornirà informazioni sull’attuazione e i possibili effetti delle raccomandazioni negli Stati membri, nello spazio economico europeo e nei paesi candidati. In tutti i casi in cui sarà possibile, riferiremo anche in merito al livello di attuazione nazionale in relazione ai parametri di riferimento europei esistenti per lo screening del tumore al seno e di quello del collo dell’utero. Prevediamo di trarre i dati da due fonti principali: gli Stati membri, che saranno direttamente contattati dalla Commissione, e la Rete europea sul cancro, che ha il compito di ottenere da esperti indipendenti in questo campo prove relative a effetti e livello di attuazione.

Vorrei inoltre cogliere l’opportunità per informarvi che stiamo anche raccogliendo dati epidemiologici sul cancro attraverso la Rete dell’Unione europea per l’informazione sul cancro, che è stata istituita nel 2005, è cofinanziata dalla Commissione e gestita dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. Lo scopo è raccogliere informazioni relative alla verifica dell’impatto dei tumori sulle popolazioni europee. Il completamento del progetto è previsto per la fine di agosto 2007, ossia fra due mesi. Tutti i dati saranno pertanto in linea di massima disponibili da tale data.

 
  
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  Claude Moraes (PSE).(EN) Ho rivolto al Commissario questa interrogazione in quanto so che in prospettiva è previsto lo svolgimento di alcune attività molto utili, per le quali vorrei ringraziarlo. Ho rivolto questa interrogazione perché ho parlato con medici, consulenti e oncologi a Londra, la mia città, e nel Regno Unito il numero di casi di tumore è sproporzionato per quello che è uno Stato membro prospero.

La domanda che vorrei porle è la seguente: quando tornerò da quegli oncologi, cosa dirò loro? Dirò che da parte vostra compirete ogni possibile sforzo per garantire che le raccomandazioni del Consiglio vengano attuate, che la Commissione prenderà sul serio i dati sproporzionati che si registrano nei vari Stati membri, e che verrà effettuato un confronto tra gli Stati membri in modo da poter fare qualcosa riguardo ai tassi di incidenza, che in alcuni casi sono decisamente troppo alti?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Posso assicurarle che farò tutto quanto in mio potere per garantire per quanto possibile il rispetto e l’attuazione delle raccomandazioni in materia di screening. Si tratta tuttavia di raccomandazioni, e dobbiamo riconoscere che questo è un punto debole del sistema europeo. In definitiva, spetta pertanto agli Stati membri applicarle e attuarle nella maniera più efficace possibile. Forse la relazione servirà a esercitare qualche pressione sugli Stati membri. Il fatto è tuttavia che, stando alle informazioni di cui già disponiamo, esiste ancora una considerevole diversità tra gli Stati membri riguardo all’attuazione degli orientamenti in materia di screening, e purtroppo la situazione peggiore è in molti dei nuovi Stati membri.

Sulla base della relazione, sotto la Presidenza slovena si terrà una discussione, che sarà presto annunciata in Parlamento. Il cancro sarà il principale tema sanitario che verrà affrontato durante la Presidenza. Sono sicuro che avremo pertanto altre opportunità per discuterne. Da parte mia, farò tutto il possibile per garantire che gli orientamenti e le raccomandazioni in materia vengano applicati nel modo più efficace e rigoroso possibile.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Lo screening è importante, ma la prevenzione è meglio. Negli ultimi mesi è stato sviluppato un vaccino contro il tumore del collo dell’utero, che è una forma di tumore sempre particolarmente problematica nelle giovani donne. Gli Stati membri hanno adottato prassi completamente diverse: in alcuni il vaccino è disponibile attraverso il servizio sanitario nazionale, mentre in altri è disponibile soltanto privatamente, e in questo caso è molto costoso e diventa un problema sociale. La Commissione prevede in prospettiva di esercitare pressioni sugli Stati membri affinché garantiscano accesso al vaccino al maggior numero possibile di bambine e giovani donne?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Sì, ne sono informato, e in effetti abbiamo avuto l’opportunità di discuterne in occasione della riunione informale del Consiglio dei ministri della Sanità degli Stati membri svoltasi ad Aquisgrana in aprile. Ora abbiamo chiesto al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), che si sta occupando della questione, di formulare orientamenti e di fornire un parere in materia. E’ ovvio che, come sapete, ciò che rientra o non rientra nel sistema sanitario è di competenza degli Stati membri, ma ritengo che, sulla base della consulenza dell’ECDC, possiamo approfondire la discussione della questione con gli Stati membri e offrire pareri scientifici. La decisione finale per quanto riguarda gli aspetti finanziari sarà tuttavia lasciata agli Stati membri.

 
  
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  David Martin (PSE).(EN) Uno dei grandi punti di forza dell’Unione europea nel campo sanitario è la capacità di diffondere le migliori prassi. A parte l’esame dell’esito delle raccomandazioni in materia di screening, la Commissione intende altresì prendere ad esempio il paese che risulta essere il migliore in termini di screening, trattamento e bassi tassi di mortalità, e analizzare non soltanto come è riuscito a giungere a questo risultato, ma anche in quale modo si possa applicare il suo esempio ad altri Stati membri? Non ha senso limitarsi a raccogliere dati statistici e dire “questi paesi sono i migliori” o “questi paesi sono i peggiori”. Dobbiamo anche sapere per quale motivo i paesi migliori stanno riuscendo nell’intento e in quale modo possiamo trasferire il loro esempio in altri sistemi sanitari nella Comunità.

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Sì, tenuto conto delle limitazioni che ho menzionato in precedenza riguardo alla competenza in materia sanitaria, lo scambio delle migliori prassi è uno dei modi migliori per l’Unione europea di offrire valore aggiunto in questo campo.

Lo scambio delle migliori prassi, le reti, i centri di riferimento, sono tutti elementi che possono consentire di imparare gli uni dagli altri e a uno Stato membro di avvalersi della competenza e delle conoscenze acquisite da un altro. Come sapete, alcune settimane fa abbiamo avuto un dibattito sull’iniziativa in materia di servizi sanitari, di cui costituiranno una parte importante, in maniera strutturata, la cooperazione transfrontaliera, le reti, lo scambio delle migliori prassi e i centri di riferimento. Esistono purtroppo ancora alcuni ostacoli giuridici a tali forme di cooperazione, che si auspica possano essere superati anche grazie a tale iniziativa. Questa sarà una delle priorità fondamentali dell’iniziativa, che prevediamo di presentare prima della fine dell’anno, ossia in autunno. Avremo pertanto l’opportunità di discuterne anche in Parlamento.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 55 dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0359/07):

Oggetto: Nuova strategia in materia di salute

Quali sono le azioni concrete della Commissione nel quadro della nuova strategia in materia di salute, in particolare quelle che riguardano i bambini e che hanno come obiettivo di prevenire e combattere comportamenti che sono pericolosi per la loro salute (ad esempio, fumo, alcol, obesità)?

Ritiene la Commissione che i bambini abbiano un diritto autonomo alla prestazione di cure ospedaliere e medico-farmaceutiche, indipendentemente dal reddito e dal lavoro dei genitori?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EL) Signor Presidente, la Commissione europea intende approvare una nuova strategia in materia di salute per il 2007, e tale strategia costituirà un quadro generale con obiettivi quantificabili e un approccio integrato a tutte le iniziative in campo sanitario a livello europeo. Condivido quella che definirei l’idea di fondo che si può trarre dall’interrogazione dell’onorevole parlamentare, secondo cui la Commissione europea deve attribuire una priorità particolare a bambini e giovani.

La strategia farà riferimento a questioni quali l’importanza di un sano stile di vita e la necessità di combattere l’obesità, il fumo e l’alcolismo, ma si occuperà anche di settori che riguardano i bambini e i giovani.

E’ ovvio, come ho detto in relazione alla precedente interrogazione, che entro breve sarà approvata l’iniziativa in materia di servizi sanitari e di sicurezza di alta qualità e che, in questo contesto, si terrà conto di tutti i valori fondamentali comuni adottati dai ministri della Sanità un anno fa e che sono alla base dei sistemi di assistenza sanitaria dell’Unione europea. Tra i valori cui si fa riferimento nella decisione dei ministri figurano l’uguaglianza, l’universalità e la parità di accesso ai servizi sanitari per tutti a prescindere dalla condizione finanziaria, ed è ovvio che questo vale anche per i bambini, e di questi valori si terrà conto in tutte le pertinenti iniziative intraprese dalla Commissione europea. E’ ovvio che la prestazione di servizi sanitari rientra nella sfera di competenza degli Stati membri, tuttavia la Commissione sosterrà questi ultimi nei loro sforzi e di questi valori si terrà anche conto nelle nostre iniziative in tutti i casi in cui siano legate al settore sanitario.

Riteniamo che tutto questo costituirà un utile punto di riferimento per tutte le azioni comunitarie nel campo della salute.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, soprattutto per quanto riguarda i bambini, tenuto conto che la strategia sui diritti dei minori è in fase di discussione e che la commissione competente non ha espresso un parere nel settore sanitario, vorrei chiedere se è stato previsto di introdurre alcuni esami periodici in tutta Europa, per salvaguardare lo stato di salute e favorire la diagnosi precoce delle malattie.

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EL) Signor Presidente, inutile dire che questo rientra nella sfera di competenza degli Stati membri, tuttavia, nell’ambito delle varie strategie che saranno adottate e nel quadro dello scambio delle migliori prassi in vari settori, è ovvio che sarà anche discussa la questione del metodo di prevenzione migliore, ed è chiaro che un esame tempestivo costituisce un importante metodo di prevenzione. Presumiamo tuttavia che questo verrà affrontato in ciascun settore separatamente. Non prevedo che vi sia una disposizione orizzontale specifica per i bambini; riguardo a ogni settore sanitario e ogni problema sanitario che può essere evitato, la strategia e l’iniziativa faranno tuttavia specifico riferimento ai bambini e alla prevenzione.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE).(DE) Signor Presidente, il Commissario ha sollevato la questione dell’alcolismo. In Austria è emerso tra i giovani un fenomeno insolito, o forse non così insolito, ossia quello di un consumo di alcolici in quantità smodata, il cui obiettivo sembra essere quello di bere fino a perdere conoscenza nel più breve tempo possibile. In base all’esperienza del Commissario, si tratta di un fenomeno esclusivamente austriaco o esiste una tendenza in tal senso in tutta Europa? Se si tratta di una tendenza europea, ha già in mente alcune misure da adottare per contrastare questa forma estrema di consumo di alcolici e prevenirla nel lungo periodo?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EL) Signor Presidente, può anche darsi che in effetti il problema del consumo eccessivo di alcolici abbia avuto inizio negli Stati membri settentrionali e nordoccidentali dell’Unione europea, tuttavia attualmente si sta estendendo ai paesi più meridionali. Sappiamo già che la Spagna si trova a dover affrontare questo problema e ho avuto spesso l’opportunità di discuterne con il ministro della Sanità.

La questione viene affrontata nella strategia per combattere gli effetti nefasti del consumo eccessivo di alcolici adottata lo scorso anno e sostenuta dagli Stati membri. Siamo in attesa che il Parlamento europeo renda nota la sua posizione in materia, tuttavia la questione dei giovani e della lotta contro questa forma di consumo eccessivo di alcolici in generale è tra i principali obiettivi della strategia. Tuttavia, in misura molto ampia, e devo ripetere ancora una volta ciò che ho detto in precedenza, la competenza spetta agli Stati membri. Riteniamo tuttavia che, attraverso lo scambio delle migliori prassi e il trasferimento di esperienze da uno Stato membro a un altro e la cooperazione con tutti gli organi coinvolti, riusciremo a ottenere risultati positivi. Proprio per questo motivo la scorsa settimana si è svolta la prima riunione del Forum europeo su alcol e salute, nel corso della quale uno degli argomenti affrontati è stato, com’è ovvio, il problema sollevato dall’onorevole parlamentare.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Lo scopo è vivere una vita lunga e sana. La Commissione ha idea del modo in cui i programmi comunitari esistenti, come il settimo programma quadro di ricerca o il programma per la competitività e l’innovazione, possano essere utilizzati per conseguire questi obiettivi, e quali sono i programmi della Commissione per il periodo fino al 2013?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EL) Signor Presidente, è ovvio che, nel settore sanitario in generale, la strategia di base della Commissione europea per il periodo in questione è la prevenzione. Proprio per tale motivo ci stiamo concentrando su numerose iniziative che riguardano problemi che hanno ripercussioni negative sul settore sanitario, come ho detto poc’anzi, come, per esempio, alcolici, fumo, obesità, salute mentale e così via. Anche questo tuttavia farà parte della strategia; l’impostazione adottata in questo contesto sarà applicata a tutte le politiche europee in tutti i settori, in particolare al settore della ricerca cui lei ha fatto riferimento, e ad altri settori dell’Unione europea, come quelli dell’agricoltura, dei trasporti e della politica regionale.

Nel settore della ricerca in particolare, lavoro in stretta collaborazione con il mio collega, dedicando gran parte di tale lavoro alla ricerca nel campo della salute, ad esempio in relazione al cancro e all’influenza aviaria e ad altri settori sanitari, in quanto riteniamo che si tratti di una delle priorità fondamentali, come viene anche riconosciuto nel settimo protocollo finanziario.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 56 dell’onorevole Marc Tarabella (H-0360/07):

Oggetto: Servizi sanitari

Il 20 aprile 2007 la Commissione ha presentato i risultati della consultazione avviata lo scorso settembre 2006 relativamente ai servizi sanitari.

Poiché la maggioranza delle risposte si è mostrata “favorevole a un’azione comunitaria in materia di sanità”, può la Commissione fornire delle prime indicazioni su come intende procedere, in particolare, per una migliore informazione ai pazienti, atta a metterli in condizione di scegliere con cognizione di causa, per una maggiore chiarezza circa le procedure e i tempi imposti ai pazienti che desiderano ricevere cure mediche in un altro Stato membro e relativamente al diritto di ricorso che intende proporre in caso di rifiuto delle autorità nazionali di concedere un’autorizzazione preventiva?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) In merito ai servizi sanitari, come ho detto in precedenza, abbiamo avuto l’opportunità di discuterne in maggio durante il dibattito sulla relazione dell’onorevole Vergnaud, che per noi è stata molto utile. Posso informare il Parlamento che attualmente siamo impegnati a formulare una proposta. Dopo alcune discussioni a livello ministeriale, è stato manifestato un sostegno in tal senso dai ministri della Sanità nel corso dell’ultima riunione del Consiglio, che ha espresso l’auspicio che la Commissione presenti una proposta allo stesso modo del Parlamento. Prevediamo quindi di farlo il più presto possibile, e certamente prima della fine dell’anno.

In precedenza si è svolta un’ampia consultazione pubblica, del cui contributo si terrà anche conto, tuttavia il risultato fondamentale è la conferma dell’esistenza del valore aggiunto di un intervento a livello europeo. Una parte importante in questo contesto rivestirà, naturalmente, la questione dell’informazione, a proposito della quale vorremmo che si procedesse nel modo più preciso e obiettivo possibile. La nostra intenzione è trovare soluzioni che aggiungano valore effettivo per i pazienti, i professionisti sanitari e i prestatori di assistenza sanitaria, senza creare nuove barriere burocratiche e rispettando il principio di sussidiarietà. Garantiremo la coerenza tra le proposte sui servizi sanitari e le iniziative parallele della Commissione in corso in materia di servizi sociali di interesse generale, la questione più ampia dei servizi di interesse generale e la modernizzazione e semplificazione in corso della normativa relativa al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.

Come ho detto in precedenza, l’informazione dei cittadini costituisce una parte importante, per cui si compirà ogni possibile sforzo per favorire l’accesso all’informazione; sono già state intraprese alcune iniziative che si sono concretizzate in un sito web, inaugurato di recente, in merito ai costi che devono essere sostenuti per l’assistenza sanitaria all’estero. Il sito web, già disponibile in francese, inglese e tedesco, molto presto lo sarà in tutte le lingue ufficiali.

E’ ovvio che informeremo il Parlamento delle prossime proposte non appena ne verrà completata la formulazione in seno alla Commissione, tuttavia posso descrivere a grandi linee le principali questioni che saranno affrontate: migliore informazione dei pazienti, in particolare riguardo all’assistenza sanitaria transfrontaliera, qualità e sicurezza in generale dei servizi sanitari, diritti di ricorso dei pazienti qualora subiscano un danno, rispetto della vita privata, garanzie procedurali per i pazienti in relazione all’assistenza sanitaria transfrontaliera, raccolta di dati sui servizi sanitari transfrontalieri, sostegno per la cooperazione europea su materie quali le reti di riferimento europee, la definizione di orientamenti in materia di qualità e di sicurezza o lo sviluppo di dati e indicatori comparabili.

 
  
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  Marc Tarabella (PSE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei sapere se la Commissione dispone di dati statistici annuali che indicano il numero di cittadini di ciascuno Stato membro che vogliono avvalersi dell’assistenza sanitaria in un altro Stato membro e, in tal caso, quali ne sono i motivi principali. In mancanza di tali dati statistici, la Commissione sa quante sono le denunce che possono essere state presentate da cittadini di uno Stato membro cui è stata negata l’autorizzazione a ricevere assistenza sanitaria in un altro Stato membro?

 
  
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  Markos Kyprianou, Membro della Commissione. – (EN) Uno dei problemi è che non abbiamo sufficienti dati statistici al riguardo. Stando agli elementi di cui disponiamo, sappiamo tuttavia che si tratta almeno dell’1 per cento di coloro che necessitano di assistenza sanitaria, per cui si può prevedere che questo dato aumenti. Il problema principale finora è la mancanza di informazione. Le persone non sono consapevoli di avere questo diritto, e più se ne renderanno conto, più cercheranno di farsi curare all’estero. Abbiamo quindi l’opportunità di regolamentare la questione prima che assuma una portata troppo ampia, prima che sia troppo tardi.

Mi spiace, ma non dispongo di alcuna indicazione riguardo alle denunce di persone cui non è stata concessa l’autorizzazione. Come sapete, alla Corte di giustizia delle Comunità europee sono stati sottoposti casi di cittadini che non hanno accettato una decisione negativa, tuttavia, allo stesso tempo, il fatto che i pazienti non sappiano che possono presentare ricorso a livello europeo non ci consente di avere un quadro chiaro e preciso. Per questo motivo, nel mio precedente intervento sull’interrogazione, ho potuto soltanto accennare al fatto che una delle priorità delle prossime iniziative sarà la raccolta di dati sui servizi sanitari transfrontalieri.

 
  
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  Presidente. – Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).

Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.

(La seduta, sospesa alle 19.40, riprende alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARIO MAURO
Vicepresidente

 
  

(1) GU L 228 dell’11.8.1992, pag. 1.
(2) GU L 181 del 20.7.2000, pag. 65.


17. Problemi specifici relativi al recepimento e all’applicazione della legislazione sugli appalti pubblici e al suo rapporto con l’agenda di Lisbona (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione di Arlene McCarthy, a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sui problemi specifici relativi al recepimento e all’applicazione della legislazione sugli appalti pubblici e al suo rapporto con l’agenda di Lisbona (2006/2084(INI) (A6-0226/2007).

 
  
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  Arlene McCarthy (PSE), relatore. – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare i coordinatori della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori per avere sostenuto il lavoro che ho svolto come presidente presentando la prima relazione dettagliata della commissione sul recepimento e l’applicazione della legislazione sul mercato interno, in questo caso al fine di esaminare l’efficacia del diritto in materia di appalti pubblici.

Alla stesura della relazione, che è il frutto di mesi di intense attività di ricerca e consultazioni informali tra Stati membri, specialisti in materia di appalti pubblici e personale della Commissione, ha inoltre ampiamente contribuito il personale di segreteria della commissione per il mercato interno, cui vanno altresì i miei ringraziamenti.

Abbiamo tenuto un workshop volto a esaminare le migliori pratiche, puntando i riflettori sugli appalti pubblici e dimostrando l’impegno del Parlamento a legiferare meglio, nonché migliorando al contempo l’esperienza delle imprese in materia di diritto comunitario e illustrando i benefici esistenti per i cittadini.

Perché abbiamo deciso di esaminare la legislazione sugli appalti pubblici? Una serie di articoli negativi pubblicati dalla stampa tra il 2003 e il 2006 sembrava suggerire che il malfunzionamento del mercato interno dipendesse dal mancato rispetto delle norme UE in materia di appalti pubblici, in particolare quelle che prevedono il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità. E’ stato anche espresso il timore che il numero di aggiudicazioni dirette illegali fosse in aumento. Il mercato degli appalti pubblici, che secondo le stime si aggira intorno al 16 per cento del PIL comunitario e ha un valore di circa 1,7 trilioni di euro, riveste ovviamente un’enorme importanza economica per la crescita e la creazione di posti di lavoro in tutta l’UE. Un numero sempre maggiore di appalti pubblici viene assegnato alle autorità locali, fenomeno che permette così di aumentare il potenziale occupazionale a livello locale, soprattutto per le PMI.

Dalla nostra analisi siamo giunti alla conclusione che effettivamente esistono diversi problemi in merito alla corretta applicazione del diritto comunitario sugli appalti pubblici, tra cui casi di discriminazione transfrontaliera. Un ampio numero di casi di violazione trattati dalla Commissione riguarda questioni inerenti agli appalti pubblici e avremmo potuto elaborare una relazione per denunciare apertamente le cattive pratiche o individuare e sanzionare gli Stati membri, cinque dei quali, nel 2007, non hanno ancora attuato le direttive sugli appalti pubblici. Se l’avessimo fatto, ci saremmo guadagnati i titoli delle prime pagine.

Ciononostante, siamo del parere che, nel complesso, l’apertura del mercato degli appalti pubblici nell’Unione europea contribuisca positivamente alla salute del mercato interno e permetta all’UE di realizzare gli obiettivi di Lisbona. Pertanto, abbiamo invece scelto di concentrarci costruttivamente su azioni che consentano agli Stati membri di affrontare meglio i persistenti – nonché emergenti – problemi in materia di recepimento e applicazione.

La relazione raccomanda dunque alla Commissione di proporre un piano d’azione che incoraggi vivamente gli Stati membri ad affrontare i problemi. Chiediamo l’introduzione di pratiche collaborative tra gli Stati membri e la Commissione, che prevedano altresì gli scambi informali di informazioni sin dalla fase iniziale. Sottolineiamo l’importanza di ricorrere a meccanismi informali di composizione delle controversie contestualmente a misure formali. Chiediamo alla Commissione che, una volta terminato lo studio, vengano pubblicati orientamenti sull’applicazione dei criteri sociali e vogliamo assistere a un maggiore scambio delle migliori pratiche in materia di appalti pubblici che preveda, tra l’altro, la formazione sistematica dei professionisti in materia di appalti e il coordinamento dei lavori delle reti europee per lo scambio delle migliori prassi. Raccomandiamo l’adozione di tutte le disposizioni facoltative della nuova direttiva, quali le aste elettroniche e chiediamo l’istituzione di agenzie consultive nazionali incaricate di assistere le amministrazioni aggiudicatrici e gli offerenti.

Riconosciamo che, per affrontare i problemi, la Commissione deve disporre di sufficienti risorse umane in quest’area e, inoltre, chiediamo di migliorare le capacità di raccolta dei dati sugli appalti pubblici, che come sappiamo è un’area molto problematica a causa della mole di materiale e dei diversi sistemi contabili nazionali. Vogliamo l’impegno politico degli Stati membri, in particolare, ad accelerare la corretta trasposizione e applicazione di questa legislazione.

Attualmente una questione scottante è l’erogazione di servizi in-house e l’applicabilità delle norme in materia di appalti pubblici ai partenariati pubblico-pubblico. La commissione ha stabilito che, dopo il caso Teckal, l’attuale giurisprudenza della Corte di giustizia non è sufficiente a fornire chiarezza giuridica sul comportamento che devono tenere le autorità pubbliche. Esortiamo tuttavia la Commissione a proseguire il suo lavoro in quest’ambito per risolvere i problemi esistenti e ottenere chiarezza giuridica. Ricordo ai colleghi che abbiamo recentemente adottato la relazione dell’onorevole Weiler, che formula ottime raccomandazioni sui partenariati pubblico-pubblico.

Infine, esiste una relazione chiara tra il testo da me elaborato e il futuro del mercato unico e, di fatto, attendiamo che la Commissione si pronunci sulla politica futura in autunno.

Desidero ringraziare tutti i colleghi per il loro contributo a questo dibattito e tutti coloro che hanno partecipato al workshop e hanno collaborato in molte altre maniere. Conto sul forte sostegno della Commissione per quella che a mio avviso è una relazione positiva e pratica per il miglioramento di questo importante settore del mercato interno.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, come sapete, attualmente la Commissione sta riflettendo sul futuro del mercato unico. Quest’autunno speriamo di riuscire a presentare le nostre idee sugli obiettivi della politica del mercato unico per i prossimi anni.

Uno dei principali elementi su cui verte la nostra analisi è come meglio garantire una corretta applicazione pratica del diritto comunitario. Sono lieto che dedichiate una relazione a questo argomento, concentrandovi nello specifico sugli appalti pubblici, e mi congratulo con la relatrice, onorevole McCarthy, per l’iniziativa.

Come raccomandazione fondamentale, la relazione suggerisce di istituire agenzie consultive nazionali incaricate di assistere le amministrazioni aggiudicatrici e gli offerenti. Questi punti di contatto nazionali potrebbero svolgere un ruolo importante nel garantire la corretta applicazione delle norme sugli appalti pubblici. E’ una buona idea avvicinare gli organi consultivi in materia di appalti pubblici alle varie amministrazioni aggiudicatrici e ai singoli offerenti attraverso agenzie nazionali. La Commissione è pronta a collaborare con questi punti di contatto nazionali e a rispondere a loro eventuali richieste.

Sarebbe opportuno che gli Stati membri accogliessero i suggerimenti contenuti nella relazione e, ad esempio, istituissero tali agenzie consultive nazionali. Alcuni Stati membri sono attualmente in procinto di istituire punti di contatto nazionali o centri per il mercato interno che potrebbero aiutare imprese e cittadini nell’ambito di SOLVIT, della libera circolazione delle merci o della direttiva sui servizi. Accolgo con favore tali iniziative e mi auguro che questi organismi nazionali estendano le loro attività a tutti i settori del mercato interno, compreso quello degli appalti pubblici.

Desideriamo altresì assicurarvi che la Commissione sta utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione affinché le direttive sugli appalti pubblici del 2004 vengano attuate il più presto possibile in quegli Stati membri che registrano ancora ritardi. Mi spiace che, nonostante il nostro impegno a fornire tutta la consulenza e l’assistenza possibile, siamo stati comunque costretti a intraprendere azioni legali nei confronti di alcuni Stati membri che non avevano portato a termine il processo di recepimento. Tuttavia, non possiamo permetterci di perdere tempo nella creazione di condizioni di parità tra tutti gli offerenti d’Europa.

In conclusione, vorrei sottolineare che, se vogliamo realizzare progressi in materia di corretta trasposizione e applicazione, è necessario che gli Stati membri si impegnino nella causa degli appalti pubblici. Tra i procedimenti di infrazione avviati nei confronti degli Stati membri, un numero eccessivo continua a essere rappresentato dai casi che riguardano gli appalti pubblici, situazione che pregiudica la concorrenza leale tra gli offerenti e va anche a discapito delle finanze pubbliche e, di conseguenza, dei contribuenti. La vostra relazione evidenzia la necessità di apportare miglioramenti e ringrazio l’Assemblea per il sostegno.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto esprimere un caloroso ringraziamento alla relatrice, onorevole McCarthy, per l’ottima relazione.

Ultimamente ho riscontrato in questo Parlamento una tendenza che, come europea, trovo preoccupante: un minore rispetto per le sentenze della Corte di giustizia. Nelle sue sentenze, la Corte di giustizia delle Comunità europee non tiene conto di considerazioni nazionali, bensì degli interessi dell’Unione e dei suoi cittadini. Inoltre, la possibilità di applicare la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in ogni Stato membro è una delle basi del Trattato. Il nostro ruolo in seno al Parlamento europeo è essenzialmente legislativo. Nell’adempimento del nostro compito, è indispensabile che utilizziamo l’approccio europeo della Corte di giustizia come punto di riferimento, anziché considerare la CGCE come un nemico, atteggiamento che, purtroppo, al giorno d’oggi non è così raro.

La legislazione sugli appalti pubblici è ancora alle prese con alcuni problemi iniziali, molti dei quali sono causati dalla sua mancata applicazione o da difficoltà di attuazione a livello nazionale. Dobbiamo sempre cercare, e questo deve essere anche l’obiettivo degli Stati membri, di fare in modo che la legislazione sia quanto più comprensibile e adattabile possibile alle esigenze concrete. Le PMI devono poter partecipare al mercato transfrontaliero nella pratica, non solo nella teoria.

Dobbiamo far funzionare il quadro per i partenariati pubblico-privato e creare certezza giuridica sia per le imprese sia per le autorità pubbliche, controllando che agiscano tutte in conformità della legislazione comunitaria senza gravarle di inutili ostacoli burocratici. Abbiamo il dovere di accertarci che gli interessi locali e nazionali non prevalgano sul nostro obiettivo europeo, che è, e deve essere, il miglior risultato per tutti i cittadini e gli imprenditori europei.

Concludo esprimendo la mia fiducia nella Commissione e in una nostra positiva collaborazione futura.

 
  
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  Manuel Medina Ortega, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto congratularmi con la collega, onorevole McCarthy, per l’ottima relazione, ma credo che questa sia anche una buona occasione per parlare chiaramente, in modo che le persone che si trovano al di fuori dell’Emiciclo, i cittadini comuni, possano comprendere la situazione.

Per quanto mi riguarda, ho una certa esperienza di pratica professionale proprio in quest’ambito, e devo segnalare che gli appalti pubblici sono il metro di valutazione della lotta alla corruzione. La trasparenza e il livello di buon governo delle amministrazioni pubbliche si misurano in base al funzionamento delle norme giuridiche e alla loro applicazione da parte delle Istituzioni.

Desidero congratularmi con la Commissione per il lavoro svolto nell’applicazione di queste norme giuridiche ed esprimere la mia gratitudine alla Corte di giustizia per la loro corretta applicazione. Come osserva la relatrice, non possiamo essere soddisfatti della situazione attuale, poiché molte normative dell’Unione europea non sono ancora state recepite negli ordinamenti nazionali e, purtroppo, sono tuttora molte le amministrazioni pubbliche dell’Unione europea che non applicano correttamente la legislazione comunitaria.

Credo che in questo momento, come raccomanda la relatrice, la Commissione debba elaborare un importante piano d’azione finalizzato, da una parte, al rispetto della normativa comunitaria e al suo perfezionamento e, dall’altra, tramite la collaborazione con gli Stati membri, che sono i responsabili dell’applicazione di questa normativa, al conseguimento dell’effettiva attuazione a tutti i livelli amministrativi; infatti, benché forse in alcuni paesi non si verifichino episodi di corruzione, ritengo che questo fenomeno costituisca il pericolo maggiore tanto per il funzionamento delle amministrazioni quanto per il funzionamento della nostra democrazia.

Ringrazio nuovamente l’onorevole McCarthy. Credo che domani potremo adottare questa relazione ad ampia maggioranza.

 
  
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  Heide Rühle, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, desidero ringraziare a mia volta l’onorevole McCarthy per l’ottima relazione. Anch’io sono convinta che da parte nostra sia urgentemente necessario garantire la trasposizione delle direttive nella pratica. Se la legislazione è lacunosa, ne possono scaturire incertezza giuridica e distorsioni della concorrenza, situazione che dobbiamo evitare.

Purtroppo da questa relazione emerge che finora solo 20 Stati membri su 27 hanno recepito le nuove direttive, benché il termine ultimo per la loro trasposizione fosse il 31 gennaio 2006. I motivi più spesso indicati come ostacoli a un recepimento soddisfacente sono la mancanza di competenza giuridica, di risorse umane e di volontà politica negli Stati membri. Di conseguenza, sono questi i problemi che dobbiamo affrontare, e penso che le proposte avanzate in tal senso dall’onorevole McCarthy siano eccellenti. La commissione suggerisce all’Esecutivo di proporre un piano d’azione per incoraggiare gli Stati membri ad affrontare i problemi persistenti ed emergenti di recepimento e applicazione nel campo degli appalti pubblici.

A mio parere, tuttavia, è anche importante che la commissione abbia ribadito la necessità di uno scambio delle migliori pratiche esistenti in taluni ambiti. Gli Stati membri dovrebbero scambiarsi attivamente conoscenza e migliori pratiche sul recepimento della legislazione in materia di appalti pubblici e migliorare la cooperazione con la Commissione in tale ambito. La commissione incoraggia vivamente gli Stati membri a coordinare e semplificare le tecniche di acquisto elettronico per facilitare l’accesso a tali gare d’appalto. Accoglie con favore il manuale della Commissione sull’applicazione di criteri ambientali e chiede che vengano pubblicati orientamenti sull’applicazione dei criteri sociali. Anche queste misure potrebbero contribuire a evitare l’incertezza giuridica.

In materia di incertezza giuridica, occorre citare un altro aspetto, ossia il problema irrisolto della cooperazione pubblica, noto in Germania con l’espressione “cooperazione intercomunale”. In quest’ambito, le autorità locali – e sono effettivamente solo le autorità locali a farsi carico di tali incombenze – forniscono congiuntamente servizi come asili d’infanzia, approvvigionamento idrico, smaltimento di acque reflue e rifiuti. Attuano questa cooperazione congiunta per controllare il declino della popolazione nelle aree rurali.

Ora sono del parere che questo genere di cooperazione intercomunale non sia contemplata dagli appalti pubblici e desidero che la Commissione fornisca un chiarimento in proposito una volta per tutte. Pertanto, il gruppo Verde/Alleanza libera europea ritirerà l’emendamento n. 12 e non lo sottoporrà al voto di domani.

 
  
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  Nils Lundgren, a nome del gruppo IND/DEM. – (SV) Una volta tanto, questa è una relazione che può riscuotere una significativa approvazione da parte dei membri del partito degli euroscettici, la Lista di giugno. Questo è proprio il problema di cui deve opportunamente occuparsi l’Unione europea, facendo in altre parole in modo – con un comportamento che peraltro dobbiamo adottare in ogni caso – di ottenere soluzioni economiche liberali nei settori in cui abbiamo scelto il mercato. L’orientamento della relazione è quindi assolutamente corretto.

E’ incredibilmente importante, a livello sia di UE sia di Commissione, garantire che i sistemi normativi siano seguiti e che sia assolutamente proibito cercare di favorire i fornitori nazionali a spese di quelli stranieri, questo negli interessi delle persone sia come consumatori che come cittadini.

Tuttavia, che euroscettico sarei se non avessi qualche obiezione? Ne ho due.

Innanzi tutto, credo che ora sia sbagliato iniziare a chiedere di nominare un maggior numero di funzionari con responsabilità di controllo alla Commissione. In seno alla commissione per il controllo dei bilanci, di cui sono il primo vicepresidente, adottiamo invece l’approccio contrario, poiché ciò che conta è chiedere agli Stati membri e ai leader politici, ministri delle Finanze e Primi Ministri compresi, di poter garantire che stanno effettivamente rispettando le norme che i paesi sono tenuti a osservare quando appartengono all’Unione europea.

In secondo luogo, dobbiamo altresì ricordare che i paesi hanno il diritto di optare per altre soluzioni. Se un paese non vuole deregolamentare e desidera che i servizi postali siano di proprietà dello Stato o che qualche altra istituzione sia sotto il controllo del governo, ha tutto il diritto di adottare tale posizione senza dover ricorrere ad appalti alle condizioni in esame.

 
  
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  Andreas Schwab (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io desidero ringraziare tutti i coordinatori e la loro rappresentante, la relatrice, per l’ottimo lavoro svolto su questo documento. L’intero spettro politico conviene che l’orientamento e il contenuto della relazione sono corretti, come dimostra anche il fatto che la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori ha votato chiaramente a favore di questo documento.

Occorre rilevare che, di norma, nell’UE si riscontrano incongruenze nella trasposizione delle normative sugli appalti pubblici da parte dei singoli Stati membri e che quindi la costante affermazione della Commissione, secondo cui in taluni Stati membri esistono problemi in relazione al diritto in materia di appalti pubblici, è insostenibile come tale sulla base di criteri macroeconomici fondamentali. E’ tuttavia indispensabile migliorare la raccolta di dati sui problemi riguardanti la legislazione sugli appalti pubblici negli Stati membri. Di conseguenza, sono lieto che la relazione affronti questo punto e chieda alla Commissione di ampliare la risorsa di dati sulla cui base vengono valutati i sistemi legislativi nazionali in materia di appalti pubblici.

Vorrei ora discutere alcuni emendamenti. Respingiamo la maggior parte degli emendamenti presentati. Sono lieto che l’onorevole Rühle abbia annunciato che ritirerà l’emendamento n. 12. Non disapproviamo tutti gli emendamenti presentati dall’onorevole Lipietz e dalla commissione giuridica, ma riteniamo che indebolirebbero la relazione, che è molto omogenea.

La tempestiva e corretta trasposizione e attuazione della legislazione in materia di appalti pubblici contribuirebbe in misura significativa a soddisfare gli obiettivi del programma comunitario “legiferare meglio” e a migliorare l’applicazione della direttiva nel mercato interno attraverso un recepimento migliore e più coerente.

Vorremmo chiedere alla Commissione, e in particolare al Consiglio, di esercitare pressioni sugli Stati membri affinché destinino maggiori risorse all’innalzamento del livello di professionalità in materia di appalti e alla condivisione delle migliori pratiche, onde assicurare un’applicazione uniforme di queste norme in tutte le aree dell’Unione europea.

Per quanto riguarda l’emendamento presentato dal gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, vorrei aggiungere che, se le autorità locali accolgono presumibilmente con favore il fatto che godranno di cooperazione senza intralci burocratici, in ultima analisi la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee non fornisce alcun orientamento davvero chiaro sulle opportunità di cooperazione intercomunale o sulla possibilità di instaurare partenariati pubblico-pubblico in Spagna o altrove. Di conseguenza, la Commissione è invitata a esaminare le ulteriori azioni da intraprendere in quest’ambito.

 
  
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  Barbara Weiler (PSE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei unirmi ai ringraziamenti rivolti alla presidente della commissione per l’ottima relazione, che è coerente con i precedenti documenti e inoltre integra tutti i nostri suggerimenti. Sono particolarmente riconoscente perché ritengo che questo documento segua l’orientamento della relazione sui partenariati pubblico-privato, un approccio molto opportuno e anche utile.

Penso che la relatrice avanzi proposte eccellenti, che, in linea di principio, ci avvicinano alla realizzazione del mercato interno. Tuttavia, le critiche formulate dalla collega meritano l’attenzione di tutti, cittadini compresi.

Il fatto che i motivi principali siano “la mancanza di competenza giuridica o di risorse umane a livello nazionale e la mancanza di volontà politica negli Stati membri” è una vera e propria denuncia. Pretendiamo che i paesi nostri vicini, dall’Asia all’Africa, si comportino correttamente, eppure noi non realizziamo i nostri obiettivi. Non voglio limitare questo mio intervento alle accuse, ma tutte le procedure giudiziarie che si avviano a questo proposito sono irritanti, inutili e costose. E’ quindi importante intervenire in quest’ambito e anche sostenere le attività della Commissione.

Vorrei ribadire quanto sia opportuno pubblicizzare maggiormente i criteri ambientali e sociali. E’ alquanto sorprendente che, negli Stati membri, siano soprattutto le PMI – le fautrici della nostra capacità economica innovativa – a essere perlopiù all’oscuro delle possibilità esistenti, e che la maggior parte dei cittadini dei nostri Stati membri pensi di doversi preoccupare solo degli appalti più economici senza farsi orientare da altri criteri.

Vorrei concludere esprimendo i miei ringraziamenti per la costruttiva cooperazione che ho ricevuto. E’ stata talmente soddisfacente che raccomando a tutti coloro che hanno presentato emendamenti di ritirarli.

 
  
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  Graham Booth (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, chiedo scusa agli interpreti perché l’intervento che sto per pronunciare funziona bene solo in inglese.

Vi confesso che, nei 60 secondi di tempo oggi a mia disposizione,

di pronunciare un discorso di Gettysburg non sono in condizione,

e quindi, per utilizzare al meglio questo prezioso tempo,

elenco i punti importanti e in rima ve li presento.

Il Commissario Verheugen sostiene che le normative dell’Unione

a tutti i paesi dell’UE presentano un conto da un trilione.

Beneficio ne traggono le grandi aziende e le PMI ne sono svantaggiate.

E’ proprio da direttive come queste che saranno danneggiate.

L’obiettivo finale dell’onorevole McCarthy, da questi risultati non appagata,

era rendere quella sugli appalti pubblici una politica centralizzata.

Le agenzie consultive nazionali e l’obiettivo della condivisione dei dati cui mirava

l’hanno convinta a continuare a scavare quando già in una buca si trovava.

Se il paradiso del socialismo richiede di talune norme l’applicazione e il recepimento,

mi mangio il cappello, e anche il cappotto, con o senza condimento.

(Applausi dal gruppo IND/DEM)

 
  
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  Presidente. – Grazie onorevole Booth, lei ha aumentato il tasso poetico di questo Parlamento.

 
  
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  Malcolm Harbour (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, mi spiace non poter rispondere in maniera altrettanto poetica. Posso soltanto affermare che, quando dirò all’onorevole Booth che questo sistema di appalti pubblici apporterà i maggiori vantaggi possibili alle piccole imprese europee, riusciremo sicuramente a trovare un cappellaio capace di confezionargli un cappello che potrà mangiarsi a tempo debito!

Desidero ringraziare l’onorevole McCarthy non solo per questa relazione, ma anche per aver tracciato un percorso chiaro per la nostra commissione avviando l’analisi di queste direttive sugli appalti pubblici e dotandole di importanza politica. Dopo tutto, l’intero sistema di appalti pubblici è stato effettivamente il primo atto legislativo sul mercato interno davvero riuscito, risalente agli anni ’50, eppure in molti casi mi chiedo se venga considerato un’opportunità concreta da un numero sufficiente di imprese.

Il primo suggerimento fornito nella relazione è che gli Stati membri devono davvero unire le forze per innalzare il loro livello di professionalità nella gestione degli appalti e dischiudere opportunità che non solo incoraggeranno la crescita economica in Europa, ma forniranno anche servizi di maggiore qualità ai loro cittadini riducendo i costi e migliorando la qualità. Sappiamo che, laddove si è proceduto in tal senso, ne sono scaturiti chiari benefici e in questo processo occorre tenere conto proprio delle piccole imprese.

In conclusione, ringraziando l’onorevole McCarthy per avere accettato uno dei miei emendamenti, vorrei dire che, alla luce degli ingenti acquisti che stanno effettuando, le autorità pubbliche hanno anche la concreta responsabilità di incoraggiare l’innovazione a livello di prodotti e servizi. Nell’ambito delle direttive in vigore, possono prevedere disposizioni per la fase di preappalto o mettere in atto misure precompetitive per introdurre sul mercato soluzioni innovative che apportino benefici concreti ai cittadini. Questo è il prossimo passo che dobbiamo affrontare e sono certo che l’onorevole McCarthy e la commissione – e parlo come coordinatore del mio gruppo – si impegneranno a tal fine, per continuare a garantire vantaggi concreti all’economia europea e a tutti i nostri cittadini.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE). – Licitaţiile publice reprezintă peste 16% din produsul intern brut comunitar. Sistemele de achiziţii dinamice şi licitaţiile electronice asigură transparenţa, accesul egal la piaţă şi realizarea de importante economii. În acelaşi timp, armonizarea procedurilor de achiziţii publice duce la creşterea competiţiei între întreprinderile mici şi mijlocii şi, implicit, a competitivităţii acestora. Programul comunitar IDA, destinat schimbului de date între administraţiile publice, a permis din 2003 cunoaşterea implementărilor de succes ale sistemelor de licitaţie electronice. Cu un an înainte, România a introdus sistemul electronic de achiziţii publice, în martie 2002. Cu un număr de peste 7200 de autorităţi publice contractante şi peste 7500 de ofertanţi înregistraţi în sistem, au fost astfel realizate economii faţă de bugetul planificat de 24%. Consider că utilizarea mijloacelor electronice pentru realizarea achiziţiilor publice va ajuta în mod real Uniunea Europeană să realizeze obiectivele propuse prin strategia de la Lisabona. Felicit raportorul pentru munca depusă.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Accolgo con favore la relazione dell’onorevole McCarthy, che ha evidenziato problemi relativi al recepimento e all’applicazione della legislazione sugli appalti pubblici, questione che riveste sempre maggiore importanza per la crescita economica e il mercato interno dell’UE. I mercati degli appalti pubblici negli Stati membri devono aprirsi alla concorrenza transfrontaliera così da creare parità di condizioni in tutta la Comunità, specialmente per fornitori come le piccole e medie imprese.

La nuova direttiva chiarisce la necessità di rispettare requisiti ambientali e sociali. Tuttavia, occorre garantire che gli enti appaltanti non applichino questi criteri in maniera discriminatoria nei confronti delle imprese di altri Stati membri. Come la relatrice, credo anch’io che l’istituzione di agenzie consultive nazionali permetterà di aiutare le amministrazioni aggiudicatrici nella corretta applicazione delle norme sugli appalti pubblici e di assistere gli offerenti, in particolare le piccole e medie imprese, nella partecipazione alle gare d’appalto pubbliche.

Un’amministrazione altamente professionale e depoliticizzata è fondamentale per la riuscita applicazione della legislazione europea. Solo funzionari professionali con un’ampia esperienza lavorativa nell’ambito dell’amministrazione pubblica o del governo locale, nonché in possesso di una regolare formazione, saranno in grado di reagire in maniera adeguata alle nuove sfide poste dalla legislazione europea. I nuovi Stati membri post comunisti in particolare sembrano aver inventato uno sport nazionale, nel quale, subito dopo essere entrato in carica, un nuovo governo cerca praticamente di sostituire tutti i funzionari che rivestono incarichi che dovrebbero essere assegnati per meriti professionali.

Sulla base delle mansioni che ho svolto per molti anni nell’amministrazione pubblica e municipale e dell’esperienza che ho maturato in materia di appalti pubblici, sono convinta che solo un’amministrazione professionale e credibile saprà trasporre la legislazione comunitaria nel diritto nazionale in maniera responsabile. E’ importante che gli Stati membri non impongano a singoli e ad enti giuridici responsabilità che esulano dalle norme recepite e, in particolare, non facciano gravare sulle piccole e medie imprese un inutile onere amministrativo. Credo che un attivo scambio di conoscenze e migliori pratiche in merito al recepimento della legislazione sugli appalti pubblici tra gli Stati membri, nonché la modernizzazione e la semplificazione delle norme in materia di appalti pubblici aumenteranno notevolmente l’efficacia degli appalti pubblici dell’Unione europea.

 
  
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  Małgorzata Handzlik (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, credo che l’introduzione di una legislazione comunitaria volta a creare un sistema di appalti pubblici equo e non discriminatorio sia l’azione giusta da intraprendere, poiché promuove lo sviluppo del mercato comune.

L’attuale legislazione comunitaria stabilisce norme minime che devono essere rispettate per questo genere di appalto. Tali norme, tuttavia, sono spesso insufficienti, principalmente a causa dei problemi di trasposizione negli ordinamenti nazionali e della mancanza di un sistema efficace che permetta di controllare se le procedure di appalto soddisfano i requisiti stabiliti nella direttiva. La relatrice fornisce una definizione molto appropriata di questi problemi e richiama la nostra attenzione sul modo in cui possono essere risolti.

I problemi sono essenzialmente associati alla preferenza dimostrata nei confronti di forti entità imprenditoriali nazionali, al mancato rispetto dei principi di una libera e leale concorrenza, e ovviamente alla corruzione, che impedisce a entità commerciali come le piccole e medie imprese di partecipare alle procedure di aggiudicazione degli appalti. Dobbiamo pertanto introdurre un sistema di controllo per gli appalti pubblici che ci permetta di impedire l’assegnazione illecita e indipendente di appalti. Per questo convengo che gli Stati membri dovrebbero utilizzare meglio il sostegno offerto dalla Commissione europea per migliorare la trasposizione e l’applicazione della direttiva.

Sarebbe altresì una buona idea istituire agenzie consultive nazionali in materia di appalti pubblici. Oltre a fornire assistenza alle imprese coinvolte nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, potrebbero anche controllare la situazione negli Stati membri e inviare dati statistici alla Commissione. Dobbiamo inoltre facilitare l’accesso a questo genere di appalti semplificando le procedure elettroniche di aggiudicazione degli appalti.

Non dimentichiamo che gli appalti pubblici costituiscono un importante indicatore della crescita economica nell’Unione, attualmente pari al 16 per cento del PIL. Obiettivo della direttiva è eliminare la discriminazione negli Stati membri e dotare il sistema della necessaria flessibilità affinché le imprese straniere abbiano parità di accesso ai mercati degli altri paesi.

Infine, vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che, per risolvere il problema delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici dobbiamo concentrarci non solo su soluzioni formali, ma anche su soluzioni informali. Tra queste figurano la promozione delle buone pratiche, lo scambio di esperienze, l’organizzazione della formazione e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, un’attuazione e un’applicazione rigorose sono una priorità per la Commissione, che in questo momento sta valutando il modo di migliorare ulteriormente la corretta applicazione delle nostre norme.

La questione dei partenariati pubblici è un tema che sta particolarmente a cuore a diversi deputati. E’ stata sollevata la necessità di chiarire concetti quali “autorità pubblica” e di precisare che cosa sia un contratto in-house.

Prendo atto della richiesta di presentare una proposta legislativa in quest’area. Sono stati formulati emendamenti in tal senso, ma devo dire che non sono convinto della necessità di un’azione legislativa. Sulla base degli elementi disponibili, credo che sarebbe prematuro intraprendere tale iniziativa.

La Commissione sta esaminando le pratiche nazionali in quest’area. Se dall’analisi che stiamo conducendo emergerà la necessità di chiarificazione, potremmo in seguito decidere come meglio apportare tale chiarezza.

Accolgo con favore la vostra relazione poiché la ritengo un tempestivo contributo a questa riflessione e sono impaziente di lavorare con il Parlamento europeo per fare in modo che il mercato interno apporti benefici concreti sia ai consumatori che alle imprese.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì 20 giugno 2007.

 

18. Deroghe alle norme del mercato interno per gli appalti pubblici della difesa in base all’articolo 296 del trattato CE (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sull’interrogazione orale alla Commissione sulle deroghe alle norme del mercato interno per gli appalti pubblici della difesa in base all’articolo 296 del trattato CE, di Arlene McCarthy, a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (O-0022/2007 – B6-0122/2007).

 
  
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  Arlene McCarthy (PSE), autore. – (EN) Signor Presidente, mi spiace che l’onorevole Booth abbia lasciato l’Aula, perché sono un’amante della musica e volevo dirgli che forse la prossima volta potrà eseguire un rap europeo per la mia relazione!

Come il Commissario sa, il mercato degli appalti pubblici della difesa rappresenta una quota significativa degli appalti pubblici nell’Unione europea, stimata a circa 80 miliardi di euro, su bilanci per la difesa degli Stati membri che nel loro insieme ammontano a 170 miliardi di euro, ed è per questo motivo che oggi presentiamo questa interrogazione: gli appalti pubblici della difesa continuano a essere assegnati in mercati nazionali prevalentemente frammentati.

La commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori prende atto della comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione dell’articolo 296 del Trattato agli appalti pubblici della difesa, adottata il 7 dicembre 2006. La comunicazione ha contribuito a chiarire l’attuale quadro normativo. Tuttavia, abbiamo anche notato gli sforzi della Commissione volti a proporre una nuova normativa, che dovrebbe contribuire in sostanza a creare un ambiente più competitivo per l’industria europea della difesa e i suoi fornitori.

Vogliamo quindi rivolgere al Commissario le seguenti domande. Quali progressi si stanno compiendo sul progetto di direttiva sugli appalti di materiali in dotazione della difesa non soggetti alle deroghe dell’articolo 296? Quali sono le tappe successive previste dalla Commissione in questo ambito? Come valuta la Commissione, dal punto di vista di un funzionamento equo ed efficace del mercato interno, la situazione nell’industria europea della difesa, dove – in diversi Stati membri – sembrano a rischio numerosi posti di lavoro altamente qualificati? Che impatto prevede avrà la direttiva su tale settore e quale strategia adotterà la Commissione per stimolare gli Stati membri a cooperare in modo più stretto sulle questioni legate agli appalti pubblici della difesa, migliorare la trasparenza e aprire gradualmente i loro mercati nazionali, al fine di creare un ambiente efficiente e competitivo per questo importante settore? Vorremmo anche sapere quali conclusioni si possono trarre dal codice di condotta istituito nel 2006 e come la Commissione interpreta l’interrelazione futura tra una potenziale direttiva e il codice di condotta.

 
  
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  Presidente. – Ringrazio l’onorevole McCarthy. Volevo ricordarle che la musica rap e la metrica dell’endecasillabo greco hanno lo stesso ritmo. Lei e l’onorevole Booth siete più vicini di quanto pensiate.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, quattro anni fa la Commissione europea annunciò la sua intenzione di sviluppare una politica europea in materia di sicurezza e di difesa. D’allora, tentiamo di creare un mercato europeo della difesa più aperto ed equo tramite diverse iniziative. La nuova direttiva sugli appalti pubblici di materiali in dotazione della difesa è un elemento cruciale di questa strategia generale e fa parte delle priorità strategiche della Commissione per il 2007.

Al momento, le gare di appalto per le attrezzature militari sono in gran parte condotte al di fuori delle regole comunitarie. Gli Stati membri fanno ricorso alla deroga prevista dall’articolo 296 del Trattato. A parere della Commissione, tale deroga dovrebbe limitarsi a casi eccezionali. Abbiamo fornito alcuni orientamenti in materia lo scorso dicembre. Nondimeno, la deroga continua a essere la regola, più che l’eccezione. Gli appalti pubblici della difesa sono quindi rimasti in gran parte esclusi dai principi del mercato interno. Ciò significa che tutti i 27 Stati membri appaltano attrezzature militari in conformità dei rispettivi regolamenti nazionali, il che spesso significa prassi non trasparenti e a volte discriminatorie.

Riconosciamo che l’attuale normativa in materia di appalti pubblici è davvero poco idonea alle esigenze specifiche degli appalti pubblici della difesa. Tuttavia, riteniamo che si possano ottenere importanti vantaggi economici aprendo i mercati nazionali della difesa, che rappresentano lo 0,8 per cento del PIL dell’Unione europea e un quarto degli appalti pubblici a livello statale.

Tali vantaggi sono ampiamente riconosciuti dagli Stati membri e dall’industria. Condizioni eque e trasparenti permetterebbero alle imprese, soprattutto le PMI, di presentare più agevolmente offerte in altri Stati membri e quindi ampliare il loro accesso alle opportunità commerciali su un mercato interno molto più vasto. I cicli di produzione più lunghi permetterebbero di realizzare economie di scala, il che contribuirebbe a sua volta a ridurre i costi e quindi i prezzi. Il beneficiario finale sarebbe il contribuente.

La nostra proposta adatta alcune norme comunitarie in materia di appalti pubblici alla natura specifica della difesa e offre alle autorità aggiudicatrici maggiore flessibilità per le procedure di appalto delicate. In tal modo, per gli Stati membri sarà più semplice fare ricorso alla deroga dell’articolo 296 del Trattato solo in casi eccezionali. In seguito all’entrata in vigore della direttiva, gli Stati membri continueranno a scambiare pareri sulle questioni legate agli appalti pubblici della difesa, tramite il comitato consultivo per gli appalti pubblici, come avviene nel quadro delle altre direttive in materia di appalti pubblici.

Vorrei sottolineare che la nuova direttiva darà attuazione al codice di condotta dell’Agenzia europea per la difesa. Il codice di condotta si applica solo ai contratti non soggetti alle regole comunitarie a norma dell’articolo 296, mentre la futura direttiva si applicherà ai contratti soggetti alla normativa comunitaria. Insieme, il codice di condotta e la nuova direttiva miglioreranno la trasparenza e la concorrenza leale tra i partner nel settore della difesa nell’Unione europea.

Sono lieto di comunicare che il lavoro sulla proposta di direttiva è a buon punto. I miei servizi stanno completando la valutazione d’impatto, che fornirà maggiori informazioni sugli effetti dell’iniziativa sul mercato, compresi gli aspetti sociali. Lavoriamo inoltre in stretta collaborazione con gli Stati membri, attraverso il comitato consultivo per gli appalti pubblici e l’Agenzia europea per la difesa. Anche l’industria partecipa alla valutazione d’impatto.

La Commissione prevede di adottare la proposta in autunno. In questa fase, è nostra intenzione presentarla nell’ambito di un pacchetto, insieme con una proposta di regolamento sui trasferimenti di attrezzature militari all’interno della Comunità e una comunicazione sull’industria della difesa.

Da quando abbiamo avviato la consultazione relativa agli appalti pubblici della difesa, il Parlamento è sempre stato tra i nostri più fermi sostenitori. Ciò trova chiara espressione nella risoluzione del Parlamento del 2005. Vi ringrazio per il sostegno e mi auguro che la nostra fruttuosa cooperazione proseguirà in futuro.

 
  
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  Malcolm Harbour, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto esprimere la mia soddisfazione per il chiaro impegno del Commissario a introdurre la nuova direttiva quanto prima possibile e lo ringrazio per aver descritto diverse misure importanti sulle quali sta già lavorando insieme con i suoi servizi. E’ chiaro che si tratta di un settore particolarmente delicato, a causa della sua natura strategica e di alcune questioni di politica industriale che interessano l’intero settore della difesa.

Vorrei sollevare due questioni specifiche, alle quali il Commissario forse potrà rispondere nel suo intervento conclusivo.

In primo luogo, è chiaro che in molti ambiti degli appalti pubblici di attrezzature militari esistono accordi contrattuali molto complessi, che spesso prevedono anche un significativo sviluppo del prodotto. In altre parole, il capitolato stesso relativo all’attrezzatura può comportare nuovi sviluppi tecnologici. In molti casi, questi accordi sono notevolmente diversi dai classici contratti di acquisto, anche se, come ho detto in risposta alla relazione dell’onorevole McCarthy, vi è crescente interesse a stabilire condizioni più trasparenti per questi tipi di contratti. Mi chiedo se il Commissario può indicare o confermare che terrà conto di queste esigenze strategiche specifiche.

In secondo luogo, e si tratta di una questione spinosa, in molti casi agli appalti della difesa sono associati vari generi di accordi di compensazione. Per esempio, i paesi appaltanti potrebbero ricercare una forma di investimento locale, che coinvolga le imprese locali nell’assemblaggio delle attrezzature. In alcuni casi, è invece prevista una forma di compensazione finanziaria totalmente diversa, in termini di impegno ad acquistare prodotti da un’impresa attiva su un altro mercato.

Questi accordi sembrano sollevare questioni spinose sia nel contesto della concorrenza sia per quanto riguarda la normativa in materia di appalti pubblici e sarei grato al Commissario se potesse confermare che esaminerà questi aspetti nella revisione della direttiva promessa.

 
  
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  Barbara Weiler, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, questa non è solo una questione spinosa ma, sorprendentemente, anche un ambito nel quale gli Stati membri violano costantemente il diritto europeo.

Nel 2004 abbiamo discusso il Libro verde, nel 2006 il Parlamento ha presentato una proposta di risoluzione e ora abbiamo una nuova interpretazione, anche se in realtà quasi niente è cambiato. Gli Stati membri continuano a fare ciò che vogliono. La PESC è fallita al riguardo? Non vedo alcun miglioramento reale dal 2004. Sembra che gli Stati membri e i deputati ai parlamenti nazionali non conoscano affatto l’articolo 296 del Trattato CE, nel quale è descritta una situazione eccezionale, non la regola. Inoltre, la Corte di giustizia ha confermato più volte che non si tratta di un’esenzione automatica generale. Tuttavia, non vi sono miglioramenti, anche se – forse merita ricordarlo – il gruppo interessato conta solo sei Stati membri e anche su questo al momento non vedo miglioramenti.

Per essere chiara, non voglio un aumento del bilancio per la difesa; il mio gruppo desidera soprattutto realizzare risparmi tramite la cooperazione e l’uso di sinergie. Il Parlamento ha formulato alcune raccomandazioni al riguardo, per esempio sugli elementi che il nuovo codice di condotta dovrebbe contenere. Forse il Commissario può aggiungere qualcosa in proposito?

Abbiamo anche chiesto una migliore cooperazione con la Commissione – e non solo con la Commissione, ma anche con l’Agenzia europea per la difesa – ma non ne vedo grandi segni nella realtà. Vorrei ribadire che abbiamo fornito indicazioni sui meccanismi di aggiudicazione degli appalti che la Commissione deve modificare perché si possa infine ottenere ciò che tutti in seno all’Assemblea desiderano. Di fatto, concordiamo con la Commissione sulla necessità di realizzare un autentico mercato europeo della difesa, al fine di ridurre i costi della spesa militare e migliorare l’efficienza della produzione nell’interesse dei contribuenti e dei cittadini.

 
  
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  Alexander Lambsdorff, a nome del gruppo ALDE.(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto esprimere i miei sinceri ringraziamenti al Commissario per il suo intervento, con il quale ha chiarito la posizione attuale della Commissione in materia. Ha detto che il Parlamento è un buon alleato della Commissione ed effettivamente sosteniamo il suo parere che un mercato europeo della difesa più trasparente, efficace e aperto sia un obiettivo importante per rafforzare il settore in Europa e anche per promuovere ulteriori obiettivi. Penso che quanto ho appena affermato valga per tutti gli onorevoli colleghi. Ricordo il grande consenso raggiunto nella nostra risoluzione sul Libro verde.

Apprendiamo con interesse che i lavori relativi alla direttiva sugli appalti pubblici di attrezzature militari sono a buon punto e che la Commissione intende presentare una proposta in autunno. L’onorevole Weiler ha appena rilevato che i mercati della difesa sono ancora prevalentemente di carattere nazionale. Lo Stato è l’unico ente appaltante interessato alle attrezzature militari e in realtà molte decisioni di aggiudicazione fanno ancora riferimento a basi giuridiche come minimo dubbie.

Tuttavia, concordo con l’onorevole Weiler: vi è scarso sostegno per un aumento del bilancio per la difesa. Ritengo che questo progetto di direttiva vada nella giusta direzione, cioè aumentare la riserva di efficienza nell’industria europea degli armamenti, porre fine alla frammentazione del mercato, rafforzare realmente l’efficienza e ottenere economie di scala. Per questo motivo, accogliamo con favore le osservazioni del Commissario sulla crescita attesa nel settore e sul rafforzamento della competitività sul mercato europeo delle attrezzature militari. Ritengo che ciò avrà un effetto positivo anche sul mercato del lavoro per la manodopera specializzata.

Abbiamo bisogno di una definizione chiara delle attrezzature cui si applica la deroga. L’attuale normativa è insufficiente e non permette di rispondere alle esigenze specifiche del mercato delle attrezzature militari. Di conseguenza, accogliamo con favore anche l’iniziativa della Commissione di adattare le norme all’attuale situazione del mercato e cercare di prevedere una maggiore flessibilità. Signor Commissario, le sarei grato se potesse spiegarci perché ha deciso di adattare la normativa generale in materia di appalti pubblici, anziché presentare una direttiva distinta. Potrebbe anche essere una scelta appropriata, ma ascolterei volentieri il suo parere al riguardo.

In sostanza, concordiamo con il Commissario sul fatto che l’apertura di questo mercato rafforzerà la trasparenza e la concorrenza e in definitiva ridurrà gli oneri a carico dei contribuenti.

Per concludere, vorrei sottolineare che, a mio parere, questo progetto di direttiva è molto più importante di qualsiasi considerazione sulla politica industriale o sul mercato interno. Contribuirà allo sviluppo della politica europea in materia di sicurezza e di difesa e favorirà il progresso in un settore fondamentale, da sempre soggetto alla sovranità nazionale. La direttiva permetterà di compiere progressi, forse non rivoluzionari, ma si spera misurabili, verso una politica europea di sicurezza e di difesa che meriti veramente questo nome. Vorrei aggiungere che sarei molto grato se in futuro queste discussioni si svolgessero a Bruxelles e non a Strasburgo.

 
  
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  Leopold Józef Rutowicz, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, ogni anno, si spendono circa 180 miliardi di euro per la difesa nel mercato comune dell’Unione europea. Quasi la metà di tale cifra non è soggetta alla normativa in materia di appalti pubblici attualmente in vigore. Dobbiamo esaminare la situazione determinata dall’applicazione dell’articolo 296 del Trattato in relazione con gli appalti pubblici nel settore della difesa. La comunicazione ha in parte chiarito la questione.

Alla luce della natura specifica dell’industria degli armamenti e della necessità di integrarla nelle politiche di difesa dei singoli Stati membri dell’Unione europea e della NATO, dobbiamo garantire la compatibilità tecnica delle attrezzature e dei sistemi di comunicazione, nonché la compatibilità delle attrezzature e degli apparecchi stessi. Abbiamo bisogno di maggiore cooperazione tra i singoli paesi, di un’industria della difesa ben funzionante e di forniture ben organizzate.

L’obiettivo delle nostre attività dovrà essere la preparazione di una direttiva sugli appalti pubblici nel settore della difesa. Un mercato stabile degli armamenti e stabilità per quanto riguarda le procedure di appalto utilizzate avranno un effetto positivo sul settore, in termini di occupazione e di efficienza.

 
  
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  Andreas Schwab (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la base per la discussione di oggi è la relazione del nostro ex collega, onorevole Würmeling. Su questa base, la Commissione ha pubblicato la sua comunicazione alla fine dell’anno scorso, che avrebbe dovuto fornire chiarimenti sull’applicazione dell’articolo 296, ma in realtà ha avuto scarsi effetti. Infatti, in origine si riferiva solo ai materiali non militari e quindi la maggioranza degli appalti pubblici militari rientrava inevitabilmente nel campo di applicazione della deroga.

Di conseguenza, è compito della Commissione assicurare che, in primo luogo, le norme in materia di appalti pubblici nel settore della difesa sostengano realmente il lavoro dell’Agenzia europea per la difesa e, in secondo luogo, come hanno già detto molti oratori che mi hanno preceduto, che tali norme tengano conto delle specificità del settore. Vorrei quindi rivolgere tre domande al Commissario McCreevy.

In primo luogo, una direttiva in questo campo non ha, sin dall’inizio, il difetto di basarsi su una comunicazione che in origine intendeva trattare solo i materiali non militari e, di conseguenza, non è in grado di realizzare ciò che ci attendiamo per la politica di sicurezza comune?

In secondo luogo, non sarebbe possibile aggiornare l’elenco del 1958, che stabilisce le esenzioni in modo relativamente chiaro, ma è ormai superato? La Commissione ha definitivamente rinunciato a questo aggiornamento?

In terzo luogo, lei ha giustamente affermato che la normativa generale in materia di appalti pubblici non è idonea al settore della difesa. Facendo seguito alla domanda rivoltale dall’onorevole Lambsdorff, mi interesserebbe sapere come intende tenere conto delle specificità del settore della difesa in una direttiva.

 
  
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  Karl von Wogau (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ogni anno, i 27 Stati membri dell’Unione europea spendono 170 miliardi di euro per la difesa. Questi 27 Stati membri dispongono di due milioni di soldati, 10 000 carri armati e 3 000 velivoli da combattimento. Ciononostante, essi non sono stati in grado di porre fine al bagno di sangue nel conflitto dei Balcani ed è stato necessario che i nostri amici americani lo facessero al posto nostro. Perché? All’epoca, nell’Unione europea non esistevano ancora strutture decisionali comuni, che permettessero di realizzare questo tipo di operazioni.

Un altro importante motivo cui si può ricondurre l’inefficienza della difesa europea è la mancanza di un mercato comune nel settore della difesa, dovuta, tra l’altro, all’articolo 296. Sono convinto che questo articolo continuerà a esistere in futuro. In passato vi si è fatto un ricorso eccessivo e per questo non si è sviluppato un mercato comune europeo della difesa. Innanzi tutto, la Commissione ha adottato una comunicazione in cui chiarisce che cosa rientra e che cosa non rientra nel campo di applicazione dell’articolo 296 e ritengo sia una comunicazione utile. Poi è intervenuta l’Agenzia europea per la difesa: il codice di condotta che ha adottato a mio parere rappresenta un passo importante nella giusta direzione. Tuttavia, ora abbiamo anche bisogno di una normativa dell’Unione europea in materia, e per questo motivo accolgo con favore l’annuncio di una direttiva.

In quanto eurodeputati, sentiamo sempre formulare tantissime critiche sulla normativa europea in materia di appalti pubblici, in particolare dalle autorità locali. Noi eurodeputati dobbiamo quindi fare tutto il possibile per garantire che le norme elaborate in questo ambito siano effettivamente adattate al settore della difesa e migliorino la situazione, anziché peggiorarla. Da questo dipende la nostra approvazione.

Inoltre, sentiamo sempre dire che noi europei spendiamo troppo poco per la difesa. Se continuiamo a lavorare in questo campo e creiamo un mercato comune, come minimo otterremo una maggiore sicurezza con la stessa spesa.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, in risposta alle osservazioni degli onorevoli Harbour, Lambsdorff e Schwab, posso confermare che l’obiettivo di una direttiva specifica sugli appalti pubblici della difesa è proprio quello di tenere conto delle specificità del mercato della difesa. Riconosciamo che il quadro normativo esistente non è adeguato al mercato della difesa. E’ chiaro che si dovranno applicare i principi fondamentali della normativa in materia di appalti pubblici, ma il settore della difesa presenta esigenze specifiche in termini di sicurezza dell’approvvigionamento e sicurezza delle informazioni, o la necessità di avere una procedura negoziata.

L’onorevole Harbour ha sollevato anche la questione delle compensazioni, che è molto complessa. Si tratta di compensazioni economiche, che la maggioranza degli Stati membri richiede ai fornitori non nazionali quando acquista attrezzature militari all’estero. Sono questioni problematiche sotto il profilo giuridico, controverse sotto il profilo politico e discutibili dal punto di vista economico.

Le compensazioni dirette sono legate direttamente all’oggetto dell’appalto pubblico e a volte possono rientrare nell’articolo 296, se sono legate a un appalto pubblico esentato sulla base di tale articolo. Tuttavia, in larga maggioranza, le compensazioni sono indirette e di natura non militare.

Secondo la Commissione, queste compensazioni non rientrano nell’articolo 296. Esse devono rispettare la normativa comunitaria, anche se sono associate a un appalto pubblico della difesa esentato sulla base dell’articolo 296. In altre parole, le compensazioni sono un problema di per sé, anche nella sfera cui si applica l’articolo 296. Se affrontassimo il problema tramite la direttiva sulla difesa, tratteremmo soltanto la parte comunitaria del mercato della difesa e lasceremmo inalterate le compensazioni indirette legate ad appalti pubblici esentati sulla base dell’articolo 296.

Per concludere, come ho detto all’inizio, l’apertura dei mercati nazionali della difesa produrrà vantaggi economici significativi e i beneficiari finali saranno tutti i contribuenti. A tal fine, dobbiamo creare un nuovo quadro normativo, che adatti alcune norme comunitarie in materia di appalti pubblici alle specificità della difesa. La nuova direttiva offrirà alle autorità nazionali maggiore flessibilità per gli appalti pubblici sensibili.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

 

19. Divieto di esportazione e allo stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione di Dimitrios Papadimoulis, a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al divieto di esportazione e allo stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico [COM(2006)0636 – C6-0363/2006 – 2006/0206(COD)] (A6-0227/2007).

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, sono lieto di aprire la discussione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al divieto di esportazione e allo stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico. Vorrei ringraziare il relatore e la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare per gli sforzi compiuti sinora. Ringrazio anche la commissione per il commercio internazionale e il suo relatore per parere, onorevole Holm, per il loro contributo al fascicolo.

A livello internazionale, si riconosce che il mercurio è una sostanza estremamente tossica per gli esseri umani, gli ecosistemi e la fauna selvatica. L’inquinamento da mercurio, inizialmente ritenuto un problema acuto e a carattere locale, è ormai riconosciuto come un problema diffuso e cronico a livello planetario. Elevate dosi possono essere mortali per gli esseri umani, ma persino dosi relativamente ridotte possono avere gravi effetti negativi sullo sviluppo neurologico.

In questo contesto, la Commissione ha elaborato una strategia comunitaria generale sul mercurio, adottata nel gennaio 2005. Il suo obiettivo principale è ridurre i livelli di mercurio nell’ambiente e i livelli di esposizione umana, tramite diverse azioni che abbracciano tutti gli aspetti del ciclo di vita del mercurio. Il Parlamento europeo ha accolto con favore la strategia e la sua impostazione generale nella risoluzione adottata nel marzo 2006.

La proposta in esame attua due azioni fondamentali individuate nella strategia, cioè l’azione 5 (imponendo il divieto di esportazione di mercurio metallico dalla Comunità) e l’azione 9 (imponendo lo stoccaggio in sicurezza del mercurio non più utilizzato dall’industria dei cloro-alcali).

La produzione primaria di mercurio nella Comunità è stata interrotta quattro anni fa, con la chiusura dell’ultima miniera attiva ad Almadén, in Spagna. L’abbandono della tecnologia basata sulle celle a mercurio nell’industria dei cloro-alcali, auspicabile sotto il profilo ambientale, determina tuttavia una nuova fonte di mercurio: circa 12 000 tonnellate di mercurio eccedente saranno prodotte dal settore nei prossimi anni, fino al completamento della transizione a tecnologie senza mercurio.

Gran parte del mercurio è attualmente esportato dalla Comunità ed esportazioni che raggiungono le 800 tonnellate annue sono destinate, almeno in parte, a usi non regolamentati né controllati, come l’estrazione dell’oro di tipo artigianale. In questo modo, il mercurio dell’Unione europea contribuisce all’esposizione globale al mercurio.

L’obiettivo fondamentale del regolamento proposto è porre fine a queste esportazioni e garantire che il mercurio non più utilizzato nell’industria dei cloro-alcali sia stoccato in condizioni di sicurezza e non possa ritornare nell’ambiente.

Sulla base della valutazione d’impatto, la Commissione propone inoltre di applicare il requisito di stoccaggio sicuro a due altre fonti industriali di mercurio: il mercurio proveniente dalla purificazione del gas naturale e quello derivato come sottoprodotto dalle operazioni di estrazione di metalli non ferrosi.

L’obbligo di stoccaggio è una conseguenza logica del divieto di esportazione, in quanto il ridotto mercato interno rimanente per il mercurio non sarà in grado di assorbire i quantitativi in questione. Il riciclaggio e il recupero garantiranno la disponibilità di mercurio per i restanti impieghi legittimi. Le operazioni di stoccaggio rientreranno nel quadro normativo della direttiva relativa alle discariche di rifiuti, con requisiti di sicurezza supplementari per tenere conto delle proprietà specifiche del mercurio metallico.

La Commissione intendeva presentare una proposta legislativa semplice e lineare, sostenuta da dati scientifici comprovati, che, secondo i principi di migliore regolamentazione, eviti di imporre oneri amministrativi eccessivi all’industria o alla pubblica amministrazione.

La Commissione si è astenuta dall’adottare un’azione legislativa nei campi in cui la valutazione d’impatto non ha fornito una valida giustificazione per l’azione stessa o chiare indicazioni sui suoi possibili effetti.

Vorrei inoltre sottolineare che l’industria interessata, cioè il settore dei cloro-alcali, ha espresso sostegno per la proposta ed è disposta a sottoscrivere un impegno volontario. In tal modo, l’industria si impegna a selezionare operatori di stoccaggio altamente qualificati e a garantire la disponibilità di dati chiave sui flussi di mercurio.

La Commissione intende riconoscere tale impegno, in linea con i principi e le procedure definite nella comunicazione sugli accordi ambientali, adottata nel 2002.

La proposta non mira ad attuare l’intera strategia sul mercurio: il suo campo di applicazione è volutamente più circoscritto. Sono in corso lavori sulle altre azioni previste dalla strategia.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), relatore.(EL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il mercurio e i suoi composti sono estremamente tossici. Anche dosi ridotte hanno effetti nocivi sui sistemi cardiovascolare, immunitario e riproduttivo dell’essere umano. Nell’ambiente, il mercurio può trasformarsi in metilmercurio e concentrarsi nella catena alimentare, soprattutto quella acquatica. Nel 1956, 8 000 persone morirono a Minamata, in Giappone, per aver mangiato pesce con un alto contenuto di mercurio.

Il mercurio è un problema globale e per risolverlo è necessaria un’azione internazionale coordinata. L’Unione europea non può essere credibile se promuove la riduzione dell’offerta e della domanda di mercurio e, al tempo stesso, continua a essere uno dei principali fornitori di mercurio a livello mondiale. La proposta di regolamento della Commissione offre un’opportunità unica per porre fine alle esportazioni di questo metallo pericoloso.

Sono estremamente soddisfatto che la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare e la commissione giuridica abbiano entrambe respinto la duplice base giuridica e optato per l’articolo 175 come unica base, in quanto l’obiettivo del regolamento è la protezione dell’ambiente e della salute umana.

Per quanto riguarda la data di entrata in vigore del divieto di esportazione, chiedo una cosa semplice ed equa: il Parlamento europeo deve rimanere coerente con la risoluzione che abbiamo adottato a larghissima maggioranza nel marzo 2006 sulla strategia comunitaria sul mercurio. Per questo motivo, vi invito a votare a favore dell’emendamento n. 43, al fine di garantire la coerenza con le posizioni dichiarate del Parlamento europeo. Ritengo che il divieto debba essere esteso anche ai composti del mercurio e ai prodotti contenenti mercurio che sono già soggetti a restrizioni di impiego e commercializzazione nell’Unione europea, come deciso nel marzo dello scorso anno.

Quale messaggio trasmettiamo ai paesi terzi, se esportiamo prodotti contenenti mercurio vietati nell’Unione europea perché sono pericolosi? Ricordiamo la famosa frase bon pour l’orient? Per quanto riguarda il divieto di importazione di mercurio, non ha alcun senso stoccare il mercurio proveniente dall’Unione europea e al contempo importare mercurio per usi consentiti nell’Unione europea. Chiediamo buon senso. Inoltre, secondo i dati della Commissione, l’offerta è attualmente superiore alla domanda, e con tutta probabilità continuerà a esserlo in futuro.

Anche riguardo agli obblighi di stoccaggio per il mercurio metallico non più utilizzato dall’industria dei cloro-alcali il mio parere si basa sulla risoluzione adottata dal Parlamento europeo. Chiedo che, fintanto che non saranno messe a punto tecniche di smaltimento sicure del mercurio, preferibilmente in forma solida, si provveda allo stoccaggio temporaneo del mercurio metallico, in una forma recuperabile, in miniere sotterranee di sale o in impianti sopra il livello del suolo destinati esclusivamente allo stoccaggio temporaneo. Altrimenti, il sito di stoccaggio di questa sostanza tossica sarà il corpo umano. In ogni caso, non si tratta di milioni di tonnellate. In tutto, il mercurio in eccedenza proveniente dall’industria dei cloro-alcali è stimato a circa 12 000 tonnellate, che corrispondono a un volume di circa 1 000 metri cubi, a causa della sua elevata densità.

Al tempo stesso, chiedo l’adozione di un quadro di condizioni minime per lo stoccaggio, che assicurino un monitoraggio continuo, specifiche di sicurezza, rapporti regolari, scambi di informazioni e sanzioni per le inadempienze, in funzione del principio “chi inquina paga”.

Durante lo stoccaggio temporaneo la responsabilità ricade sul proprietario dell’impianto di stoccaggio, mentre gli Stati membri dovranno assumersi la responsabilità amministrativa e finanziaria dello smaltimento definitivo in condizioni di sicurezza. Invito quindi gli Stati membri a creare un fondo, sulla base di un contributo finanziario da parte dell’industria dei cloro-alcali, per garantire la disponibilità delle risorse necessarie. Chiedo anche l’istituzione di un registro dei compratori, dei venditori e dei commercianti di mercurio, che permetta il regolare monitoraggio delle importazioni e delle esportazioni.

Respingiamo un regolamento annacquato, che non garantirà il livello di protezione della salute umana e dell’ambiente desiderato dai cittadini. La richiesta di un divieto di esportazione e il problema dello stoccaggio devono essere affrontati sulla base di questi criteri. Il costo di un tale investimento futuro è relativamente modesto, rispetto ai benefici esponenziali che genererà. L’Unione europea e il Parlamento europeo possono e devono essere all’avanguardia negli sforzi globali volti a ritirare il mercurio. Mi auguro che le nostre decisioni di domani contribuiranno a realizzare questo obiettivo.

 
  
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  Jens Holm (GUE/NGL), relatore per parere della commissione per il commercio internazionale.(SV) E’ ora che prendiamo l’importante decisione di vietare l’esportazione di mercurio metallico. Probabilmente non molti lo sanno, ma l’Unione è di fatto il maggiore esportatore mondiale di mercurio. Più di 1 000 tonnellate sono esportate ogni anno dall’Unione in altri paesi. Si tratta di quasi un terzo degli scambi mondiali totali di mercurio metallico. Il mercurio, che è una sostanza pericolosa, finisce quasi esclusivamente nei paesi in via di sviluppo, dove causa enormi danni.

Sono lieto di adottare un parere sulla relazione ben ponderata del mio collega, onorevole Papadimoulis. La relazione non riguarda solo il divieto di esportazione di mercurio metallico, ma anche lo stoccaggio in sicurezza di questa sostanza pericolosa, cosa che considero molto positiva. Sono particolarmente soddisfatto dei notevoli miglioramenti introdotti dall’onorevole Papadimoulis nella proposta della Commissione.

Questi miglioramenti comprendono:

– estensione del campo di applicazione del regolamento per includere i composti del mercurio e i prodotti contenenti mercurio,

– estensione del divieto per includere le importazioni,

– entrata in vigore del divieto anticipata, rispetto alla data proposta dalla Commissione, cioè il 2010 anziché il 2011,

– introduzione di un sistema di tracciamento per il mercurio oggetto di commercio, al fine di garantire un maggiore monitoraggio del mercurio,

– assistenza ai paesi in via di sviluppo per il passaggio a tecnologie moderne senza mercurio.

Queste modifiche sono perfettamente in linea con le proposte che ho avanzato in veste di relatore per parere della commissione per il commercio internazionale, e sono molto grato che siano state approvate.

L’unica cosa che mi preoccupa è la richiesta del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa di svolgere una votazione separata. Una votazione separata minaccia di indebolire parti significative di questa eccellente relazione. Vi invito quindi a seguire l’impostazione del relatore, intesa a proteggere l’ambiente e la salute pubblica, e a non adottare l’approccio del gruppo ALDE, basato sul mercato.

Domani, l’Unione assumerà quindi le sue responsabilità e smetterà di scaricare mercurio tossico nei paesi in via di sviluppo. E’ veramente ora di farlo. Con le nostre modifiche e i nostri miglioramenti, l’Unione si assumerà anche la responsabilità storica di assistere i paesi del sud nella transizione dal mercurio a tecnologie più pulite. Si proteggeranno così la salute di migliaia di persone e il nostro ambiente comune. Non sarebbe male.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE), relatore per parere della commissione giuridica. – (ES) Signor Presidente, in seno alla commissione giuridica, non abbiamo avuto alcuna difficoltà ad affrontare la questione della base giuridica, perché l’obiettivo del provvedimento non è l’attuazione della politica commerciale – quindi l’articolo 133 non è applicabile – bensì la protezione della salute, per cui si applica l’articolo 175. Di conseguenza, la commissione giuridica ha proposto come unica base giuridica l’articolo 175, con tutte le conseguenze che ne derivano dal punto di vista procedurale.

Ciò detto, signor Presidente, in veste di deputato proveniente da un paese che ha legami storici molto stretti con le attività connesse al mercurio, vorrei segnalare che l’emendamento n. 40 presentato dall’onorevole Callanan, relativo allo stoccaggio del mercurio, è molto più preciso del testo proposto dalla Commissione per l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a). Signor Presidente, dopo aver proposto questa base giuridica, vorrei quindi chiedere di sostenere anche l’emendamento n. 40 dell’onorevole Callanan.

 
  
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  Martin Callanan, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, come l’Assemblea ben sa, il regolamento proposto relativo al divieto di esportazione e allo stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico è in linea con gli impegni previsti dalla strategia sul mercurio, che abbiamo approvato nel marzo 2006.

Il gruppo PPE-DE sostiene gli obiettivi generali del regolamento. Il mercurio deve essere smaltito e conservato in sicurezza, al fine di proteggere la salute umana e l’ambiente. Dalla tecnologia basata sulle celle a mercurio si passa gradualmente alla tecnologia basata sulle celle a membrana, che è superiore sotto il profilo ambientale e garantisce una maggiore efficienza energetica, e questa conversione produce mercurio in eccedenza in tutta l’Unione europea. L’obiettivo del regolamento è prevenire l’immissione del mercurio non utilizzato nel mercato mondiale. A mio parere, la proposta della Commissione è in generale accettabile e offre la soluzione più funzionale.

Per quanto riguarda l’entrata in vigore del divieto di esportazione, sono stati presentati emendamenti volti ad anticiparne la data. Non sosteniamo tali emendamenti. I tempi per l’introduzione del divieto sono stati discussi a lungo prima del Consiglio “Ambiente” del giugno 2005, e la data del 2011 è stata fissata nelle conclusioni del Consiglio, citate nella proposta della Commissione. A mio parere, niente è cambiato da quando il Consiglio ha adottato tale decisione e non vorrei che queste difficili decisioni fossero rimesse in discussione. Ciò non farebbe altro che ritardare l’introduzione del divieto, soprattutto se porterà a riesaminare se un divieto di esportazione sia veramente la soluzione migliore per conseguire gli obiettivi dell’Unione. La data fissata è quella che sembra ottenere il maggiore sostegno dalla maggioranza degli Stati membri e da numerosi altri soggetti interessati, altrettanto importanti. Tale data è stata fissata dalla Commissione, con l’accordo delle autorità spagnole e delle Minas de Almadén, al fine di prevedere un periodo sufficiente per la riorganizzazione e la ristrutturazione dell’impresa e ritengo che meriti tutto il nostro sostegno.

Non sono favorevole alla proposta di introdurre un divieto di importazione del mercurio e dei suoi composti. Considerati i quantitativi di mercurio prodotti dagli impianti di cloro-alcali disattivati nella Comunità, non sembra esistere alcun incentivo commerciale per le importazioni e quindi non vi è alcuna necessità di introdurre un divieto di importazione in questa fase. Il mercato è perfettamente in grado di regolamentarsi da sé.

Analogamente, non siamo favorevoli a estendere il divieto di esportazione. Accettiamo il parere della Commissione, secondo cui il mercurio metallico è di gran lunga la sostanza più significativa in termini di quantità, rispetto ai composti del mercurio e ai prodotti contenenti mercurio, e l’estensione del divieto di esportazione sarebbe prematura in questa fase. Inoltre, le imprese si limiterebbero a trasferire i propri impianti e continuare la produzione. Spetta davvero a noi regolamentare ciò che fanno altri paesi nel mondo? Personalmente, penso di no. Entrambe le estensioni della proposta della Commissione richiedono un’analisi più approfondita dei principi di migliore regolamentazione e del costo e dell’impatto sulle attività commerciali esistenti.

 
  
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  Miguel Angel Martínez Martínez, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, per voi il mercurio è solo un metallo tossico di cui bisogna liberarsi e che avete visto solo nei termometri quando avevate la febbre. A me, il mercurio ricorda anche una località nella mia provincia, Almadén, le cui miniere sono uno dei luoghi di nascita del movimento operaio in Spagna. Il mercurio mi ricorda migliaia di uomini e donne che ne hanno tratto sostentamento per secoli, centinaia di facce e di nomi, amici con cui ho lavorato in veste di deputato socialista negli ultimi 30 anni, spiegando loro, convincendoli e sostenendoli con alternative, al fine di superare il paradosso che il progresso dell’umanità, eliminando il mercurio, sembrava condannarli a scomparire.

Queste persone hanno compreso i nostri sforzi e alcuni giorni fa hanno confermato la loro fiducia in noi, votando i candidati del partito socialista nei loro consigli locali. Oggi, ricordando questi amici e ribadendo il mio impegno nei loro confronti, vorrei ringraziare gli onorevoli deputati per la loro comprensione, espressa nel testo approvato dalla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, che domani miglioreremo approvando alcuni emendamenti.

Vi sono tre elementi favorevoli, che ad Almadén saranno accolti con gratitudine, interesse e speranza. In primo luogo, si raccomanda di concedere compensazioni economiche comunitarie specifiche per il progresso socioeconomico della regione di Almadén. In secondo luogo, si raccomanda di prendere in considerazione in via prioritaria Almadén come sito per lo stoccaggio sicuro di tutte le scorte di mercurio esistenti in Europa. In terzo luogo, considerata l’esperienza e la familiarità di Almadén con il trattamento del mercurio, il buon senso impone di utilizzare per lo stoccaggio il sito in cui è già conservato in piena sicurezza più dell’80 per cento del mercurio esistente nell’Unione europea.

Un mio concittadino mi ha detto che trasferire il mercurio da Almadén a qualsiasi altro posto equivarrebbe ad avvicinare il pianoforte allo sgabello anziché lo sgabello al pianoforte per suonare un concerto.

Infine, apprezziamo la coerenza di chi propone che l’esportazione e le altre operazioni relative al mercurio possano proseguire – come si afferma nella relazione Matsakis – fino al 2010 e indica la data del 1° dicembre, permettendo così la circolazione del mercurio per un periodo un po’ più lungo.

Sono certo che, con la risoluzione che adotteremo domani, il Parlamento si troverà in una buona posizione per assumere le proprie responsabilità di codecisione nell’ambito dei negoziati con il Consiglio.

 
  
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  Marios Matsakis, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei esprimere le mie sincere congratulazioni all’onorevole Papadimoulis per l’eccellente relazione e lo ringrazio per la sua cooperazione con i relatori ombra.

In generale, il relatore ha cercato di rendere la proposta della Commissione un po’ più severa, giustamente, per quanto riguarda alcuni aspetti. Tuttavia, in due punti, tale posizione non sembra del tutto saggia né realistica.

Il primo punto riguarda l’anticipo della data proposta al 2009. A nostro parere, questa soluzione è poco pratica e irrealizzabile. Riteniamo di dover mantenere la data del 1° gennaio 2010, come deciso in precedenza nella strategia sul mercurio.

Il secondo ambito è più controverso e riguarda lo stoccaggio del mercurio metallico. A mio parere, la controversia emerge in gran parte a causa della confusione in merito al significato reale di stoccaggio temporaneo e stoccaggio permanente nella pratica. La linea che sostengo è: se si può provvedere allo stoccaggio in miniere di sale locali o in altri siti idonei autorizzati, in condizioni rigorose, con un monitoraggio completo e garanzie di sicurezza per migliaia di anni, per me la soluzione è buona. Non vi è alcuna necessità di specificare in questo atto legislativo l’obbligo di recuperare il mercurio e trasportarlo attraverso l’Europa verso una nuova struttura di stoccaggio permanente. Se i legislatori del futuro prenderanno in considerazione eventuali nuovi progressi tecnologici, che renderanno sicuro sottoporre il mercurio conservato a un determinato trattamento o trasferirlo in un nuovo sito, sono certo che ciò si potrà fare e sarà fatto, a prescindere da ciò che prescriviamo ora in questa legislazione.

Per concludere, usiamo il buon senso e manteniamo le cose semplici e in prospettiva. Fino a tempi recenti, il mercurio era e in molti casi è tuttora presente in ogni casa e in ogni ambulatorio medico o dentistico, oltre che in ogni ospedale, sotto forma di termometri, barometri, sfigmomanometri, amalgami dentali, eccetera. Dobbiamo eliminare il mercurio, ma non è un virus letale estremamente contagioso, né un gas nervino mortale al contatto. Nell’affrontare gli emendamenti alla relazione, cerchiamo quindi di non esagerare con le nostre richieste.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MIGUEL ANGEL MARTÍNEZ MARTÍNEZ
Vicepresidente

 
  
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  Leopold Józef Rutowicz, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al divieto di esportazione e allo stoccaggio in sicurezza del mercurio è un documento che limita la presenza di mercurio nell’ambiente e i suoi effetti sulle persone e sugli animali. Tra il 1990 e il 2000, i paesi dell’Unione europea hanno ridotto le emissioni globali di mercurio del 60 per cento. Nello stesso periodo, tali emissioni nel mondo sono aumentate del 20 per cento.

Negli anni ’40, i miei amici e io trovammo del mercurio e ci divertimmo a immergervi le monete e vederle assumere un colore argentato. Oggigiorno, l’atteggiamento della società nei riguardi del mercurio è drasticamente cambiato e il settore industriale sta abbandonando i processi che utilizzano il mercurio a causa della sua tossicità.

Pur considerando positivo questo progetto di regolamento, vorrei fare alcune osservazioni. Innanzi tutto, si devono trovare strutture di stoccaggio permanente per i rifiuti di mercurio quanto prima possibile, limitando così lo stoccaggio temporaneo. In secondo luogo, le strutture di stoccaggio dovranno essere il più possibile vicine, onde evitare di trasportare il mercurio attraverso l’Europa. In terzo luogo, non possiamo introdurre nuove modalità di impiego del mercurio, senza prima pianificarle e collaudarle adeguatamente.

Dobbiamo sapere che, alla luce della pericolosità del mercurio, il settore industriale stesso sta cercando di abbandonare i processi che lo utilizzano. Gli emendamenti nn. 11, 12, 15 e da 23 a 27 alla proposta della Commissione non sono giustificati.

 
  
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  Carl Schlyter, a nome del gruppo Verts/ALE.(SV) Il mercurio metallico è pericoloso per la salute pubblica e per l’ambiente e abbiamo ora 12 000 tonnellate di mercurio da stoccare. Forse sembra molto, ma è un volume che si potrebbe facilmente sistemare in metà dell’Aula. Sarebbe quindi strano trasferire questo mercurio in ogni dove e stoccarlo in tanti posti diversi e in siti non sicuri. Per questo motivo, mi oppongo al tentativo del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa di sbarazzarsi del mercurio, perché sarebbe solo una soluzione temporanea.

Una soluzione permanente deve essere totalmente sicura. L’unica soluzione totalmente sicura è stabilizzare il mercurio una volta per tutte. Il solfuro di mercurio è quasi completamente insolubile, il che significa che si può stoccare in condizioni di sicurezza. Se non è stabilizzato, non possiamo avere numerosi siti di stoccaggio diversi e mal controllati. Sono quindi contrario all’emendamento n. 40, perché compromette la sicurezza sul lavoro.

E’ importante decidere una sola e medesima data: il 1° gennaio 2010, come indicato nell’emendamento n. 43, proposto dal mio gruppo. In questo modo, si vietano sia le esportazioni sia le importazioni di tutti i prodotti contenenti mercurio, creando così una visione olistica della questione. Qualsiasi alternativa equivarrebbe alla cinica esportazione del mercurio. Sappiamo che l’industria dei cloro-alcali deve interrompere le esportazioni. Se avrà la possibilità di continuare a esportarlo un anno dopo l’entrata in vigore del divieto, svuoterà i suoi depositi di mercurio metallico e sarà pagata per farlo. Il mercurio sarà quindi usato nell’estrazione dell’oro nel bacino del Rio delle Amazzoni e distruggerà, contaminandole, enormi aree fluviali.

E’ importante che il divieto entri in vigore il 1° gennaio 2010. Altrimenti, comprometteremo l’intera idea di divieto di esportazione.

 
  
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  Jaromír Kohlíček, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Onorevoli colleghi, il mercurio è considerato un metallo pesante ed è molto pericoloso nella catena alimentare. Anche alcuni altri metalli pesanti, come il cromo, il nichel, l’uranio e il plutonio, possono essere classificati nella stessa categoria.

E’ vero che non solo i metalli pesanti, ma anche diversi elementi più leggeri nella tavola periodica possono, in grandi quantità, essere nocivi per la salute. Per esempio, è noto che il berillio causa la berilliosi. Il mercurio non è solo un metallo che può causare gravi danni in seguito al consumo nel suo stato metallico, ma è anche un elemento importante in campo tecnologico. In passato, l’elettrolisi, l’odontoiatria e la gioielleria non potevano farne a meno. Il metodo strumentale di analisi chimica che utilizza elettrodi a goccia di mercurio è noto e, nel 1959, il ricercatore ceco Jaroslav Heyrovský vinse il Premio Nobel per la chimica per questo processo, che denominò polarografia. Un’importante questione riguarda gli usi potenziali del mercurio e dei suoi composti nell’industria, anche se a tal fine si devono ovviamente prevedere severe norme ambientali.

Non sono sicuro che lo stoccaggio di mercurio e dei suoi composti in un unico sito sia la soluzione migliore. Lo stesso vale per la durata del periodo transitorio prima dell’entrata in vigore del regolamento. Ho l’impressione che per alcuni Stati membri il periodo fissato nell’emendamento n. 8 sia troppo breve. Per questo motivo, nutro riserve riguardo alla proposta, anche se nella maggioranza degli Stati membri il mercurio e i suoi composti, comprese le riserve, sono oggetto di severo controllo da parte delle autorità pubbliche competenti.

Considero inaccettabile incorporare nel regolamento il ruolo di ONG non specificate; a prescindere da questioni di tolleranza e apertura al pubblico, ciò non fa parte di un regolamento relativo al divieto di esportazione e allo stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico. La partecipazione dei cittadini alle attività di monitoraggio è trattata in altri ambiti della legislazione europea.

Non capisco perché le miniere di sale o le miniere di Almadén in Spagna sarebbero il sito migliore in cui stoccare il mercurio e i suoi composti. E’ ovvio che la cessazione dell’attività di una miniera determina problemi sociali per i minatori. Nella Repubblica ceca e in altri Stati membri dell’Europa centrale e orientale, decine di grandi miniere sono state chiuse, senza che fossero redatte direttive europee per affrontare la disoccupazione di massa causata dalle chiusure. Ho l’impressione che il fondo delle miniere minerali potrebbe essere un sito di stoccaggio migliore delle miniere di sale. Sostengo con vigore la proposta di affrontare la questione delle sostanze con una concentrazione di mercurio inferiore al 5 per cento.

Inoltre, i livelli dei metalli pesanti presenti nelle rocce in tutta Europa sono nella norma e, con l’azione degli agenti atmosferici, tali metalli – compreso il mercurio – raggiungono le riserve idriche europee. Questo è il motivo per cui, per esempio, nel fiume Elba si rilevano sempre concentrazioni di mercurio e di altri metalli pesanti. Ovviamente si tratta di un fenomeno naturale.

Occorre affrontare anche la questione dell’acqua proveniente dalle vecchie miniere e l’estrazione di mercurio da vecchie discariche e dai fanghi delle acque di scarico, una fonte potenzialmente massiccia di inquinamento ambientale. Tuttavia, questo regolamento ovviamente non può trattare la questione.

Per concludere, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno contribuito all’elaborazione del regolamento, un processo condotto in un clima positivo di cooperazione. Il mercurio e i suoi composti hanno un futuro nella scienza e nella tecnologia, come dimostra il regolamento, ed è per questo che lo sosteniamo.

 
  
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  Irena Belohorská (NI). – (SK) Innanzi tutto, permettetemi di ringraziare il relatore, onorevole Papadimoulis, per aver sottolineato nella sua relazione la necessità di vietare l’esportazione di mercurio, dei suoi composti e dei prodotti contenenti mercurio. E’ molto importante per noi, perché l’Unione è uno dei maggiori esportatori mondiali di mercurio. Trattandosi di un metallo estremamente tossico, soprattutto per i bambini, è nostro interesse garantire la protezione non solo in relazione con la produzione o l’uso di mercurio, ma anche durante lo stoccaggio o la movimentazione di rifiuti di mercurio.

Dosi elevate di mercurio sono mortali per gli esseri umani, mentre dosi minori accumulate nell’organismo possono causare gravi malattie dei sistemi immunitario, cardiovascolare e riproduttivo. L’industria genera eccedenze di mercurio, per esempio come sottoprodotti dell’industria chimica, in relazione con la purificazione del gas naturale, o nelle operazioni di estrazione e di fusione di metalli non ferrosi nell’industria metallurgica.

Occorre chiedersi se, esportando il mercurio in eccedenza nei paesi terzi, in particolare quelli in via di sviluppo, che sono i principali consumatori di mercurio, smaltiremo veramente il mercurio. Molti paesi in via di sviluppo non hanno i fondi per utilizzare le moderne tecnologie rispettose dell’ambiente e i loro controlli sono meno severi. Concordo con il relatore e sostengo il suo parere che l’Unione europea non dovrebbe applicare due pesi e due misure: un prodotto che non può essere usato nell’Unione europea non deve essere esportato in paesi in cui l’uso del mercurio non è regolamentato.

Dobbiamo tenerlo presente non solo ai fini della protezione dell’ambiente e della conservazione della natura, dobbiamo anche ricordare che questo mercurio potrebbe ripresentarsi sotto forma di residui nei prodotti alimentari o nelle acque di fiumi inquinati, per non parlare del rischio di esposizione per i lavoratori e le popolazioni locali. Per quanto riguarda il mercurio e i prodotti contenenti mercurio, l’Unione europea deve garantire che l’offerta di mercurio sia compatibile con il fabbisogno e la domanda. Il mercurio in eccedenza deve essere smaltito in modo sostenibile per l’ambiente, in conformità della direttiva sui rifiuti pericolosi che abbiamo adottato.

Al tempo stesso, è necessario rafforzare il monitoraggio e punire severamente le inadempienze. Concordo con il relatore sul fatto che la responsabilità dello stoccaggio sicuro o dello smaltimento sostenibile sotto il profilo ambientale ricada sui fabbricanti che producono mercurio nei loro processi di produzione. Ciò è importante anche per garantire la crescita dell’industria e incoraggiare la conversione a nuove tecnologie alternative, che non utilizzino il mercurio. Nell’ambito dell’assistenza ai paesi in via di sviluppo, dobbiamo porre un maggiore accento sull’introduzione di tali tecnologie, là dove l’ambiente è stato devastato da questo metallo pericoloso.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, il regolamento in esame fa parte di un pacchetto basato sulla strategia comunitaria sul mercurio. La legislazione ambientale europea è stata aggiornata in linea con tale strategia in questa tornata. Mi compiaccio che si sia ora giunti a uno stadio in cui riesaminiamo il nostro atteggiamento nei riguardi dell’esportazione di mercurio. In fondo l’Unione è il maggiore esportatore mondiale di questo metallo.

E’ fuori dubbio che il mercurio e i suoi numerosi composti sono tossici per gli esseri umani e per l’ambiente e che il costo a carico della società in termini di salute pubblica e di danni ambientali è di gran lunga superiore a quanto si pensi. I divieti previsti dal regolamento e i criteri per lo stoccaggio trasmetteranno anche un chiaro messaggio al mondo al di fuori dell’Unione. Ci stiamo assumendo la responsabilità di questi danni.

Nella legislazione ambientale, il principio secondo cui gli strumenti adottati non solo devono essere efficaci sotto il profilo ambientale, ma anche sostenibili dal punto di vista sociale, è fondamentale. Sulla base delle considerazioni ambientali, il divieto di esportazione del mercurio deve entrare in vigore quanto prima possibile, come afferma giustamente l’onorevole Papadimoulis. Tuttavia, alla luce di altre realtà, non possiamo essere precipitosi. Il pericolo, infatti, è che una soluzione individuata in questo ambito crei una serie di nuovi problemi in un altro ambito.

Il divieto di esportazione dovrà entrare in vigore nella Comunità in una data che sia compatibile con altre misure internazionali relative alle restrizioni che si vogliono introdurre. Dal momento che potrebbero essere necessari diversi anni per raggiungere un accordo internazionale, sembra giusto sostenere il calendario proposto dalla Commissione per il divieto di esportazione. Secondo tale proposta, l’esportazione di mercurio dovrebbe essere vietata a decorrere dal 1° luglio 2011. Questa data ha ricevuto sostegno praticamente da tutti gli Stati membri.

Lo stesso vale per la proposta di estendere il divieto di esportazione ai composti del mercurio. Potremo chiedere alla Commissione una proposta di estensione, quando disporremo di sufficienti informazioni in merito ai suoi effetti generali. Al momento, non è necessario forzare la situazione. Proseguiamo la politica che abbiamo adottato e risolviamo un problema alla volta riguardo al mercurio.

 
  
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  Gyula Hegyi (PSE).(EN) Signor Presidente, il mercurio non è solo un metallo, è anche un antico elemento della nostra cultura e civiltà. Ha sempre suscitato ammirazione e gli sono stati attribuiti poteri magici. Per lunghi secoli, il mercurio ha svolto un ruolo cruciale nell’alchimia e nelle scienze occulte.

Il mercurio, l’unico metallo liquido, è un materiale affascinante e lo si può ammirare quale elemento unico in natura. Tuttavia, secondo le nuove informazioni, il mercurio è anche un materiale pericoloso e dobbiamo proteggere noi stessi e le generazioni future dai suoi effetti tossici. I lavoratori delle miniere tradizionali di mercurio, principalmente in Spagna, conducono una vita dura e onesta, ma sanno che il loro mestiere è finito. Dobbiamo rispettare le tradizioni dei minatori, ma occorre altresì comprendere la necessità di un divieto.

L’Unione europea ha già vietato l’uso di mercurio e di materiali contenenti mercurio nel suo territorio. Ora vogliamo vietarne anche l’esportazione, perché abbiamo a cuore la salute delle popolazioni di altri paesi e continenti. Ci auguriamo che la nostra decisione incoraggerà anche altri paesi a ridurre l’impiego di mercurio.

In veste di relatore ombra per il gruppo socialista, mi sono consultato con i colleghi spagnoli in uno spirito di solidarietà. Per me la loro comprensione è fondamentale. L’altro mio punto di riferimento è stato la risoluzione del Parlamento del marzo 2006. La nostra decisione deve garantire l’equilibrio tra le considerazioni ambientali e gli interessi dell’industria.

Per quanto riguarda la data di entrata in vigore del divieto, sono state presentate diverse proposte: il 2011 dalla Commissione, il 2009 dal relatore e il 2008 dalle ONG. Ho deciso di proporre il 1° dicembre 2010 come compromesso accettabile, in linea con la risoluzione del Parlamento dell’anno scorso. Le altre date e scadenze dovrebbero essere stabilite in rapporto a questa data di base. Se vietiamo volontariamente l’esportazione di mercurio, è più che logico vietarne anche l’importazione.

Riguardo allo stoccaggio, sono state presentate varie proposte: Almadén dalla Spagna, una miniera di sale dalla Germania e la solidificazione da altri paesi. Dal momento che non abbiamo ancora scelto la soluzione, non dobbiamo sostenere gli emendamenti che escludono soluzioni potenziali specifiche. Dobbiamo sostenere la proposta dei colleghi socialisti spagnoli, che chiedono una compensazione per Almadén, dove si trova la più grande miniera di mercurio d’Europa.

Il divieto dovrebbe essere applicato a ogni materiale con una concentrazione di mercurio pari o superiore al 5 per cento. Dobbiamo eliminare le scappatoie, in quanto i costi di conversione del mercurio in calomelano sono molto bassi. E’ molto importante che ciascuno di noi favorisca l’accordo tramite un pacchetto semplificato di compromesso, altrimenti precipiteremo nel caos e, con tutta probabilità, non adotteremo alcun regolamento prima delle prossime elezioni del Parlamento.

In veste di relatore ombra, ho lavorato a favore di un compromesso. Un buon compromesso è più utile ai cittadini di discussioni rinviate che non condurranno ad alcun tipo di regolamentazione.

 
  
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  Hiltrud Breyer (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, il mercurio deve essere totalmente vietato al più presto. E’ cinico vietare la circolazione di prodotti pericolosi nel nostro territorio, ma continuare a permetterne l’esportazione in altri paesi.

Sappiamo che il mercurio si diffonde a livello mondiale attraverso l’acqua e l’aria. In definitiva, il mercurio finirebbe per nuocere alle persone anche qui in Europa. E’ assurdo lanciare moniti, come ha fatto la Commissione, riguardo al fatto che le donne in gravidanza e i bambini non dovrebbero mangiare più di 100 grammi di tonno alla settimana, perché è altamente contaminato dal mercurio.

Sappiamo – e uno studio pubblicato su The Lancet lo ha di nuovo dimostrato – che i metalli pesanti causano danni al sistema nervoso e anche danni cerebrali permanenti e irreparabili, in particolare nei bambini. L’introduzione del divieto di esportazione deve quindi essere il nostro obiettivo primario, perché perderemmo credibilità agli occhi della comunità internazionale se dicessimo: vogliamo proteggerci, ma permettiamo l’esportazione.

 
  
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  Thomas Ulmer (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il mercurio è ovunque: per esempio, attraversa la barriera placentare. Il mercurio è un metallo liquido a temperatura ambiente soggetto a evaporazione. Il valore limite per il mercurio metallico e inorganico nel sangue è 25 microgrammi e per i composti organici del mercurio è 100 microgrammi. Non mi soffermerò sugli effetti dell’avvelenamento da mercurio. Immagino che conosciate tutti il caso di Minamata in Giappone. Non si tratta solo di vantaggi e svantaggi economici per la nostra Comunità, dunque, ma di protezione della salute dei nostri concittadini e di protezione di un ambiente integro.

Con la relazione dell’onorevole Papadimoulis, che ringrazio per il suo lavoro, l’Europa porrà fine all’esportazione dei composti del mercurio e comincerà a provvedere allo stoccaggio in sicurezza del materiale esistente. Al tempo stesso, è ragionevole applicare il divieto a tutti i composti del mercurio se è disponibile un’alternativa, che di fatto esiste per quasi tutti gli impieghi. Inoltre, in veste di esportatori di una sostanza pericolosa, allo stato attuale delle conoscenze non siamo in grado e, alla luce dei nostri impegni in sede di OMC, non abbiamo il diritto di esigere che i destinatari garantiscano la rintracciabilità del mercurio, il che significa che l’ubicazione del mercurio non è nota e vi è una concreta possibilità che ritorni nella Comunità. Ritengo che l’articolo 175 del Trattato sia la base giuridica appropriata per questo regolamento. L’inasprimento delle norme, l’anticipo delle scadenze e l’inclusione dei composti del mercurio nel divieto di esportazione e importazione sono ragionevoli e coerenti dal punto di vista tossicologico. Sono certo che vi siano margini di negoziazione per raggiungere un accordo sulle scadenze.

Per quanto riguarda lo stoccaggio definitivo del mercurio, si presta attenzione alla ricerca, in quanto finora non è stato possibile individuare un metodo di stoccaggio affidabile in uso a livello industriale nel mondo. I quantitativi interessati ammontano a migliaia di tonnellate.

Approvo la relazione nella versione originaria presentata dalla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare.

 
  
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  Åsa Westlund (PSE).(SV) Vorrei ringraziare il relatore, onorevole Papadimoulis, per il suo lavoro eccellente. Lo scorso autunno, ho partecipato a uno studio, in cui mi è stato prelevato un campione di capelli, poi analizzato per accertare il contenuto di mercurio. Con mia sorpresa, il livello di mercurio presente nel mio organismo era relativamente elevato, il che è estremamente preoccupante. Sono incinta e ho livelli elevati di mercurio che ora rischiano di provocare danni al bambino che porto in grembo e causare difficoltà di concentrazione quando sarà adulto.

I livelli elevati di mercurio sono preoccupanti anche perché provengo da un paese che ha compiuto molti progressi in termini di eliminazione del mercurio. Non usiamo più termometri contenenti mercurio e in generale non si usa l’amalgama per le otturazioni odontoiatriche. Ciononostante, il livello di mercurio presente nel mio organismo è elevato.

Esistono alternative al mercurio. Alla luce dei gravi effetti che esercita sulla salute, possiamo eliminarlo gradualmente, e non solo qui in Europa, ma in tutto il mondo.

Stasera discutiamo l’introduzione di un divieto di esportazione e le modalità di stoccaggio del mercurio usato in condizioni di sicurezza, al fine di garantire che l’Unione non contribuisca alla diffusione del mercurio nel mondo.

Per evitare che il divieto di esportazione sia eluso, i miei sforzi sono tesi a garantire che esso entri in vigore il più rapidamente possibile e sia esteso in modo da includere anche altri prodotti contenenti mercurio. Inoltre sono mirati a evitare che oggi si assumano impegni irrevocabili a favore di una modalità specifica di stoccaggio definitivo, perché di fatto al momento non sappiamo quale sia la tecnologia ottimale per lo stoccaggio permanente. Nella situazione attuale, il mercurio dovrebbe quindi essere conservato in siti sicuri ma temporanei.

In particolare, mi auguro che, in futuro, tutte le donne del mondo potranno mangiare pesce proveniente dalle acque locali, senza correre il rischio di danneggiare lo sviluppo dei loro figli.

 
  
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  Marie Anne Isler Béguin (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, questa è una battaglia che dovrebbe unire tutti. E’ una questione di salute pubblica e anche di sicurezza pubblica.

Conosciamo i pericoli e i danni provocati dal mercurio per la salute se si entra in contatto con tale metallo. Dall’inizio dell’era industriale, i problemi sono solo peggiorati fino ad assumere proporzioni allarmanti. Dopo Minamata e la serie di orrori generati da tale catastrofe dovuta all’inquinamento industriale, sappiamo ancora meglio che il mercurio è terribilmente pericoloso. Nondimeno, abbiamo continuato come se niente fosse, o quasi.

Durante tutto questo periodo, le popolazioni indigene delle regioni in cui si estrae l’oro per lavaggio della sabbia aurifera, come la Guyana francese, hanno continuato a pagare un pesante tributo al dio mercurio, e lo stesso vale per chi, dalla parte opposta del pianeta, ricicla, in condizioni inimmaginabili, i nostri rifiuti industriali, elettronici e di altro genere, senza dimenticare gli operai che lavorano negli impianti di riciclaggio delle pile in Europa.

Sì: è ora di sbarazzarsi di questo veleno e l’unica soluzione è un divieto puro e semplice qui in Europa e nel resto del mondo, perché questo veleno è dappertutto, persino negli organismi degli orsi polari, per esempio, che vivono in regioni in cui il mercurio non è prodotto né utilizzato. Mi rammarico che le proposte del mio gruppo volte ad anticipare l’entrata in vigore del divieto non siano state adottate e che non sia stato respinto lo stoccaggio sotterraneo. Comunque sia, non è il momento di rammaricarsi, ma di assicurare la maggioranza più ampia possibile a sostegno di un divieto definitivo di questo metallo pericoloso.

 
  
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  Pilar Ayuso (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, il progetto di regolamento propone di vietare l’esportazione di mercurio metallico a partire dal 1° luglio 2011 al più tardi e, parallelamente, prescrive modalità di stoccaggio sicuro delle eccedenze di mercurio, prodotte soprattutto in conseguenza del ritiro delle celle a mercurio dagli impianti di cloro-alcali. Si calcola che, in tutta Europa, tali celle contengano circa 12 000 tonnellate di mercurio.

Anticipare l’entrata in vigore del divieto di esportazione del mercurio metallico è in contrasto con lo scenario di consenso raggiunto sia in seno al Parlamento, quando abbiamo discusso la strategia comunitaria sul mercurio, sia in relazione con l’accordo che la Commissione ha siglato con Euro Chlor, la federazione europea dell’industria dei cloro-alcali, la quale ha accettato di porre fine all’esportazione di mercurio a partire dal 1° luglio 2011. Ritengo che questi accordi debbano essere rispettati e non si debba anticipare, in alcun modo, la data di entrata in vigore del divieto di esportazione di mercurio.

Le eccedenze provenienti dall’industria dei cloro-alcali devono essere immagazzinate, perché lo stoccaggio è necessario. Nella risoluzione sulla strategia comunitaria sul mercurio, approvata nel marzo 2006, si afferma che “si dovrebbe considerare la possibilità di utilizzare Almadén per lo stoccaggio sicuro delle scorte di mercurio metallico esistenti o del mercurio metallico sottoprodotto dall’industria in tutta Europa, ma non dei prodotti contenenti mercurio diventati rifiuti, sfruttando in tal modo le infrastrutture, la manodopera e le competenze tecnologiche locali”.

Vorrei anche ricordare che, nel testo della strategia comunitaria, si riconosce espressamente il significato storico del mercurio per Almadén e la necessità di prevedere una compensazione economica per tale area.

Concludo dicendo che sono contraria agli emendamenti che propongono di non stoccare il mercurio liquido, ma solo quello solido. Allo stato attuale della ricerca, non siamo in grado di solidificare il mercurio e di conseguenza si dovrà stoccare il mercurio liquido, il quale si può inoltre conservare in modo molto sicuro, senza produrre vapori, che sono le sostanze inquinanti.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, permettetemi di approfondire l’esame di alcuni emendamenti fondamentali.

Gli emendamenti nn. 1, 7, 8, 9, 20, 21, 22 e 44 prevedono una significativa estensione del campo di applicazione della proposta, con l’introduzione di un divieto di esportazione del cinabro, del calomelano, dei composti del mercurio e di alcuni prodotti contenenti mercurio e con l’aggiunta di un divieto di importazione. Secondo la Commissione, questi emendamenti non sono necessari o non sono sufficientemente giustificati. In assenza di attività di estrazione di mercurio nella Comunità, non vi è alcun bisogno di vietare l’esportazione del cinabro.

Analogamente, la Comunità è un grande esportatore di mercurio, ma non un importatore. La valutazione d’impatto ha concluso che le fonti secondarie di mercurio – riciclaggio e recupero – sono in grado di soddisfare la domanda rimanente nella Comunità. Per quanto riguarda i composti del mercurio e i prodotti contenenti mercurio, sono necessarie conoscenze molto più approfondite per giustificare tale estensione. Per il momento, non è possibile valutare in modo attendibile il possibile impatto della misura sull’industria e sulla società nella Comunità e nei paesi terzi. Il ricorso alla legislazione al fine di prevenire un problema ipotetico non sarebbe considerato una buona prassi in termini di migliore regolamentazione.

Diversi emendamenti – nn. 12, 25, 27, 28, 29 e 45 – escludono lo stoccaggio a lungo termine o lo smaltimento definitivo del mercurio metallico, prevedendo solo lo stoccaggio temporaneo. Merita ricordare che al momento non esiste alcuna soluzione efficace sotto il profilo ambientale ed economico per stabilizzare il mercurio prima del suo smaltimento.

Gli emendamenti nn. 6, 24 e 36 implicano che, per lo stoccaggio del mercurio, si dovrà accordare la preferenza all’ex sito minerario di Almadén. La Commissione conosce bene le conseguenze economiche e sociali della chiusura delle miniere e della cessazione delle attività commerciali in tale area. Tuttavia, non vuole imporre agli operatori economici un unico sito di stoccaggio.

Gli emendamenti nn. 8, 10, 13, 30 e 32 aumentano gli oneri amministrativi a carico dell’industria, degli Stati membri e della Commissione. La Commissione nutre seri dubbi in merito all’efficacia e ai vantaggi potenziali di queste prescrizioni molto dettagliate rispetto al loro costo.

Per quanto riguarda la base giuridica prevista dall’emendamento n. 2, la proposta della Commissione segue la linea indicata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee nelle sentenze relative alle cause C-94/03 e C-178/03, riguardanti la convenzione di Rotterdam sul consenso preventivo informato per l’importazione di prodotti chimici. La nostra proposta è di natura molto simile, in quanto prevede misure di carattere commerciale, quali strumenti per la politica ambientale. Non possiamo quindi sostenere l’emendamento relativo alla base giuridica.

La Commissione può invece accogliere gli emendamenti nn. 17 e 34, relativi all’introduzione di un articolo sulle sanzioni.

In sintesi, la Commissione può sostenere integralmente, in parte o in linea di principio otto dei 50 emendamenti proposti. Fornirò al Segretariato del Parlamento un elenco dettagliato con la posizione della Commissione sugli emendamenti(1).

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  James Nicholson (PPE-DE), per iscritto. – (EN) E’ chiaro che il mercurio è un metallo che deve essere trattato con cautela e in condizioni di sicurezza. La relazione affronta l’importante questione generale delle modalità di trattamento del mercurio nell’importazione, nell’esportazione e nello stoccaggio del materiale, indicando la data di entrata in vigore del divieto di esportazione e di importazione. Sostengo le proposte della Commissione sul regolamento in materia e, in generale, ritengo si tratti di un buon provvedimento. Vorrei ricordare l’osservazione della Commissione che questa relazione dà seguito alla strategia sul mercurio, approvata nel marzo dello scorso anno, e incoraggio la Commissione a proseguire i lavori relativi a tale strategia. Questa è solo una relazione tra le tante che affronteranno altre questioni, per esempio l’uso di piccole quantità di mercurio nel settore odontoiatrico. Sono certo che siano in corso lavori su altre questioni strategiche.

 
  
  

Allegato – Posizione della Commissione

Relazione Papadimoulis (A6-0227/2007)

La Commissione può sostenere integralmente, in parte, o in linea di principio otto emendamenti, cioè i nn. 3, 4, 5, 14, 17, 23, 31, 34.

La Commissione non può accogliere gli emendamenti nn. 1, 2, da 6 a 13, 15, 16, da 18 a 22, da 24 a 30, 32, 33, da 35 a 50.

 
  

(1)Posizione della Commissione sugli emendamenti del Parlamento: cfr. Allegato.


20. Aiuti agli agricoltori le cui colture sono state colpite dal gelo (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, quale ultimo argomento, la discussione sull’interrogazione orale (B6-0126/2007) degli onorevoli Zdzisław Zbigniew Podkański, Roberta Angelilli, Liam Aylward, Peter Baco, Sergio Berlato, Adam Bielan, Martin Callanan, Paulo Casaca, Sylwester Chruszcz, Brian Crowley, Marek Aleksander Czarnecki, Joseph Daul, Albert Deß, Valdis Dombrovskis, Hanna Foltyn-Kubicka, Maciej Marian Giertych, Béla Glattfelder, Bogdan Golik, Genowefa Grabowska, Dariusz Maciej Grabowski, Małgorzata Handzlik, Mieczysław Edmund Janowski, Michał Tomasz Kamiński, Sergej Kozlík, Ģirts Valdis Kristovskis, Urszula Krupa, Wiesław Stefan Kuc, Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk, Bogusław Liberadzki, Marcin Libicki, Astrid Lulling, Jan Tadeusz Masiel, Cristiana Muscardini, Seán Ó Neachtain, Péter Olajos, Neil Parish, Bogdan Pęk, Józef Pinior, Mirosław Mariusz Piotrowski, Umberto Pirilli, Paweł Bartłomiej Piskorski, Zita Pleštinská, Jacek Protasiewicz, Bogusław Rogalski, Dariusz Rosati, Wojciech Roszkowski, Leopold Józef Rutowicz, Eoin Ryan, Jacek Saryusz-Wolski, Andreas Schwab, Czesław Adam Siekierski, Francesco Enrico Speroni, Grażyna Staniszewska, Andrzej Jan Szejna, Konrad Szymański, Csaba Sándor Tabajdi, Salvatore Tatarella, Witold Tomczak, Bernard Wojciechowski, Janusz Wojciechowski, Andrzej Tomasz Zapałowski e Roberts Zīle, a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, alla Commissione, sugli aiuti agli agricoltori le cui colture sono state colpite dal gelo (O-0026/2007).

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN), autore. – (PL) Signor Presidente, uno dei principali problemi che si trovano ad affrontare oggi l’Europa e il mondo intero è quello delle catastrofi ambientali. Solo tra il 1990 e il 2006, l’Europa è stata vittima di 31 episodi di siccità, 102 terremoti, 344 inondazioni, 58 incendi boschivi e 170 uragani. Queste catastrofi hanno provocato ingenti danni materiali e perdite di vite umane, determinando altresì la necessità di prestare aiuto alle vittime.

Quest’anno l’intensità del gelo e delle gelate primaverili è stata più distruttiva, provocando danni alle colture ortofrutticole, soprattutto nell’Europa centrale, orientale e settentrionale. In alcune regioni della Polonia, ad esempio, a causa del gelo si sono registrate temperature comprese tra i -7 e i -12 gradi Celsius. Secondo le stime dell’Istituto di frutticoltura e floricoltura di Skierniewice, quest’anno, a seguito delle gelate, il raccolto sarà minore rispetto all’anno scorso. Questa riduzione sarà pari al 60-70 per cento nel caso delle mele, all’80 per cento per le pere, al 90 per cento per le prugne, a circa il 40-50 per cento per le amarene e al 50 per cento per il ribes nero. Le colture di ciliegie, pesche, albicocche e noci andranno quasi interamente distrutte. Il processo di stima delle perdite è attualmente in corso in tutta la Polonia. Secondo l’Associazione dei frutticoltori queste perdite ammonteranno ad alcuni miliardi di złoty.

Decine di migliaia di famiglie di agricoltori hanno perso il loro intero reddito annuale e, di conseguenza, i loro mezzi di sussistenza e la possibilità di iniziare nuovamente la produzione l’anno prossimo. Molte migliaia di proprietari di impianti per la trasformazione dei prodotti ortofrutticoli sono in attesa di ricevere aiuti. Dobbiamo aiutare queste persone, a prescindere dal luogo in cui vivono e dalla sede in cui svolgono le loro attività. I governi nazionali e la Commissione europea devono dimostrare la loro solidarietà fornendo aiuti.

Dobbiamo utilizzare le risorse messe a disposizione dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea, che è stato istituito dal regolamento del Consiglio dell’11 novembre 2002. Nel caso in cui non siano soddisfatti i criteri del fondo, si deve ricorrere ad altre possibili forme di finanziamento. I nuovi Stati membri hanno particolarmente bisogno di questi aiuti poiché, diversamente dagli Stati membri più vecchi, non ricevono pieni sussidi all’agricoltura dal bilancio comunitario e finanziano in ampia misura la politica agricola comune dai propri bilanci.

Vorrei cogliere questa occasione per ringraziarla calorosamente per il sostegno fornito agli sforzi che abbiamo compiuto al fine di garantire che i nuovi Stati membri ricevano finanziamenti aggiuntivi e vorrei chiederle di ricordare coloro che sono stati maggiormente colpiti...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero esprimere i miei ringraziamenti per l’interrogazione e informare i deputati che la Commissione è perfettamente al corrente della situazione.

Il gelo ha colpito i frutticoltori non solo in Polonia, ma anche in Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia. La Commissione seguirà gli sviluppi nel settore.

L’attuale organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli freschi non prevede alcun aiuto diretto per i produttori danneggiati da condizioni climatiche avverse o da catastrofi naturali. L’OCM fornisce aiuti comunitari alle organizzazioni e ai gruppi di produttori in relazione ai loro programmi operativi e tenendo conto dei piani che, in certa misura, possono coprire le perdite.

Nella proposta di riforma dell’organizzazione comune dei mercati, la Commissione ha proposto di ampliare la portata degli strumenti per la gestione delle crisi e di permettere alle organizzazioni di produttori di ricevere il cofinanziamento dell’Unione per coprire i costi di assicurazione del raccolto e, in seguito, istituire fondi di mutualizzazione.

Quanto alla possibilità di erogare aiuti di Stato, gli Stati membri possono, in determinate condizioni, avvalersi delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 1857/2006 per esentare dalla notifica gli aiuti destinati alla compensazione delle perdite subite a causa del gelo. Qualora il regime di aiuti previsto non ottemperi appieno alle disposizioni del regolamento, gli Stati membri possono comunque notificarlo conformemente agli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale 2007-2013.

Vorrei altresì aggiungere che gli Stati membri possono inoltre utilizzare il meccanismo de minimis. In tal caso, gli aiuti saranno limitati a 3 000 euro per beneficiario in tre anni, nel quadro del massimale stabilito per ogni Stato membro nell’allegato al regolamento.

Ai sensi della legislazione sullo sviluppo rurale, gli Stati membri hanno due possibilità per sostenere i produttori che subiscono le conseguenze di catastrofi naturali. Innanzi tutto, gli Stati membri possono attuare misure specifiche per ripristinare il potenziale produttivo agricolo danneggiato da calamità naturali e introdurre anche adeguate misure di prevenzione. Tuttavia, l’attuale progetto di proposta del programma di sviluppo rurale polacco per il periodo 2007-2013 non prevede l’inclusione di questa misura. La Commissione è disposta a discutere questa possibilità con le autorità polacche, qualora esse lo desiderino.

Un’altra possibilità di sostegno allo sviluppo rurale è fornita dalla regola di forza maggiore della politica di sviluppo rurale. Qualora una catastrofe naturale danneggi gravemente i terreni e l’azienda dell’agricoltore e quest’ultimo non possa rispettare i relativi impegni assunti nel quadro del regime di sviluppo rurale, gli Stati membri possono riconoscere un caso di forza maggiore. Questo significa che gli agricoltori che ricevono aiuti allo sviluppo rurale non dovranno restituire le sovvenzioni ricevute.

Una delle misure più importanti previste nei casi di forza maggiore è costituita dai pagamenti agroambientali. Se, in un dato anno, il beneficiario non è in grado di rispettare gli impegni assunti a causa di una catastrofe naturale, quell’anno non sarà pagato o lo sarà solo parzialmente. Tuttavia, non dovrà rimborsare i pagamenti ricevuti nel rimanente periodo contrattuale. Lo Stato membro è invitato a discutere i diversi aspetti di questo caso con i servizi della Commissione.

Quanto all’applicazione della forza maggiore, è importante che il beneficiario notifichi il caso per iscritto all’autorità competente, unitamente alle relative prove richieste, entro dieci giorni lavorativi a decorrere dal giorno in cui il beneficiario è in grado di provvedervi.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski, a nome del gruppo PPE-DE. – (PL) Signor Presidente, quasi ogni anno molte regioni d’Europa sono vittime di diversi tipi di catastrofi naturali: siccità, inondazioni provocate da piogge torrenziali o venti forti. Quest’anno, purtroppo, non siamo stati risparmiati dagli effetti del gelo. Le gelate che hanno colpito l’Europa settentrionale e orientale tra aprile e maggio, quando la temperatura del suolo ha raggiunto addirittura i -10 gradi Celsius, sono state estremamente devastanti per il settore agricolo.

Tra le colture colpite figurano le verdure primizie, meli e peri, ciliegie e amarene, prugne e frutti rossi. In alcune regioni della Polonia le perdite sono state talmente ingenti che la situazione finanziaria di molte aziende agricole subirà un netto peggioramento. Finora gli agricoltori e i frutticoltori polacchi avevano cercato solo raramente di proteggere le loro colture dal gelo poiché si tratta di un’operazione molto costosa che spesso non sono semplicemente in grado di sostenere.

Tuttavia, l’ondata di freddo non ha colpito solo il mio paese. A subirne le conseguenze, benché in misura minore, sono stati anche i frutticoltori e gli agricoltori di Germania, Paesi Bassi, Repubblica ceca, Slovacchia, Austria, Ungheria e persino del nord della Romania.

Signor Commissario, dobbiamo avviare iniziative adeguate non solo per fornire sostegno finanziario ai frutticoltori, agli agricoltori e ai produttori che sono stati colpiti da questa calamità, ma, soprattutto, dobbiamo trovare soluzioni volte a contrastare o alleviare gli effetti delle catastrofi naturali, che sono sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico.

 
  
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  Luis Manuel Capoulas Santos, a nome del gruppo PSE. – (PT) Signor Presidente, com’è noto, l’agricoltura, diversamente da molte attività economiche, viene praticata all’aria aperta, circostanza a causa della quale gli agricoltori sono spesso alla mercé di catastrofi climatiche che sfuggono al loro controllo.

Gli agricoltori che sono vittime di queste catastrofi non devono dipendere dalla beneficenza, né a livello nazionale né a livello europeo. Occorre garantire loro determinati diritti, in modo tale che, quando si verificano situazioni analoghe nello spazio europeo, tutti possano essere trattati nella stessa maniera. E’ stato questo l’approccio che ho adottato quando, come relatore della proposta di risoluzione sull’elemento agricolo delle catastrofi naturali, che è stata adottata un anno fa, ho proposto di creare un sistema assicurativo europeo che prevedesse un triplice finanziamento – agricoltori, Stati membri e UE – proprio per far fonte a questo tipo di situazioni.

Di conseguenza, oltre a sostenere la richiesta di solidarietà nei confronti degli agricoltori colpiti, vorrei chiedere alla Commissione se intende dare esecuzione alla proposta, che, approvata a larga maggioranza un anno fa in quest’Aula e finalizzata a introdurre tale sistema assicurativo, non comporterebbe alcun aumento del bilancio comunitario. In caso affermativo, quando intende presentare una proposta in tal senso?

 
  
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  Ilda Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Signor Presidente, le catastrofi naturali sono un fenomeno ricorrente, ed è giunto il momento che la Commissione fornisca una risposta immediata a tali eventi. In primo luogo vorrei esprimere la nostra solidarietà a tutti gli agricoltori polacchi colpiti dalle ultime gelate, che hanno distrutto la maggior parte delle colture ortofrutticole di quest’anno. Esortiamo a fornire loro tutto il sostegno necessario.

La Commissione deve anche dare prova di solidarietà nella sua risposta. Dobbiamo inoltre ricordare la grandine e i violenti acquazzoni che si sono abbattuti sul Portogallo a maggio, i quali hanno provocato gravi danni agli agricoltori nelle aree di Murça, Sobral de Monte Agraço, Azambuja, Torres Vedras, Alenquer, Alvito, Vidigueira e Cuba. Esprimiamo la nostra solidarietà agli agricoltori interessati e chiediamo che venga fornito loro l’aiuto necessario.

Queste situazioni dimostrano che gli agricoltori sono i primi a subire le conseguenze degli effetti del cambiamento climatico. E’ pertanto indispensabile perseguire politiche pubbliche che garantiscano un reddito agli agricoltori, anche nei momenti di crisi e nel caso in cui le coltivazioni vadano distrutte per motivi legati ai cambiamenti climatici, che si tratti di gelo, grandine, inondazioni o siccità.

E’ giunto il momento di creare un regime pubblico di assicurazione finanziato dalla Comunità europea. Tuttavia, è anche importante garantire la protezione dei mercati dei prodotti agricoli e promuovere una nuova politica agricola che faccia parte di politiche di sviluppo locale e regionale che riuniscano diverse politiche settoriali e conferiscano loro coesione e coerenza.

Occorre una nuova strategia per l’agricoltura, che consideri i vantaggi naturali e la necessità di aumentare i livelli di produttività e produzione, una strategia in cui i sistemi produttivi tengano conto delle caratteristiche climatiche di ogni regione e che, migliorando la qualità alimentare nonché il reddito e la qualità di vita degli agricoltori, assicuri il futuro dei giovani produttori agricoli e garantisca la sovranità alimentare cui ogni paese ha diritto.

 
  
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  Béla Glattfelder (PPE-DE). – (HU) Gli agricoltori hanno subito terribili perdite non solo in Polonia, ma anche in Ungheria. Il raccolto di molti di loro è andato interamente distrutto.

Dalle affermazioni del signor Commissario si evince chiaramente che in questo momento la politica agricola comune offre ben poche prospettive agli agricoltori. E’ inutile dire che, conformemente alle attuali disposizioni giuridiche, la responsabilità di aiutare gli agricoltori che si trovano in difficoltà spetta innanzi tutto agli Stati membri. Sembra proprio questo il problema che devono sostanzialmente risolvere Varsavia e Budapest. Tuttavia, in futuro la situazione deve cambiare. La politica agricola comune ha la possibilità di fare qualcosa di buono in questo senso. In altre parole, non possiamo ritenere le catastrofi naturali come un rischio calcolabile contestualmente al funzionamento del mercato e alla produzione agricola.

L’Unione europea deve dimostrare solidarietà nei confronti degli agricoltori. In futuro dobbiamo impegnarci a creare, a livello europeo, un’istituzione che permetta di fornire assistenza reciproca; si tratta di una misura necessaria poiché, se in futuro la soluzione di questi problemi continuerà sostanzialmente a rimanere sotto la giurisdizione degli Stati membri, ne scaturirà una situazione di disparità in cui ciascuno dei vari paesi potrebbe affrontare tali questioni in maniera diversa dagli altri. Gli agricoltori di alcuni paesi riceveranno assistenza, mentre quelli di altri Stati ne resteranno privi, il che significa che la necessità di garantire condizioni paritarie di concorrenza non verrà rispettata.

Chiedo dunque alla Commissione europea di presentare quanto prima questa proposta, che permetterà di creare un’istituzione europea di assistenza reciproca.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Le gelate che hanno colpito gli ortofrutticoltori polacchi a fine aprile e inizio maggio hanno probabilmente distrutto il 90 per cento dei loro raccolti annuali. I capricci del tempo non hanno risparmiato nemmeno gli agricoltori e i frutticoltori della Slovacchia. Stando alle relazioni, l’80-100 per cento dei fiori degli alberi da frutto è stato distrutto dalle gelate, a seconda dell’ubicazione e della varietà coltivata. Vivo in una regione situata in prossimità del confine tra Slovacchia e Polonia e mi rendo conto che le catastrofi climatiche nelle aree remote possono avere implicazioni non solo per gli agricoltori, ma possono indirettamente accrescere la disoccupazione e provocare disparità regionali addirittura maggiori.

Se l’Unione europea non darà una mano agli agricoltori, sarà in gioco la loro stessa sopravvivenza. L’UE deve quindi introdurre un meccanismo per l’attenuazione dei danni volto a compensare le perdite causate dalle catastrofi naturali; l’UE, inoltre, non deve dimenticare i contatti commerciali che ha instaurato nell’arco del tempo. Si potrebbe trovare una soluzione permettendo ai coltivatori nazionali di vendere frutta importata direttamente ai loro clienti di lunga data. Questo sistema consentirebbe all’UE di erogare aiuti mirati a breve termine e ai coltivatori di rimanere competitivi in futuro.

Uno dei principi su cui si fonda l’Unione europea è la solidarietà; pertanto, esorto la Commissione europea ad adottare misure concrete e a dare prova di solidarietà nei confronti dei frutticoltori il cui raccolto è stato distrutto dal gelo.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei fare solo una precisazione. Riguardo alla questione sollevata dall’onorevole Podkański, vorrei chiarire che il Fondo di solidarietà non risarcisce le perdite di reddito subite dai singoli agricoltori.

Desidero ringraziare i deputati per i loro contributi al dibattito e riferirò alla collega Mariann Fischer Boel le preoccupazioni espresse.

 
  
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  Presidente. – Desidero ringraziare lei, signor Commissario, e i suoi collaboratori per essere rimasti fino a un’ora così tarda.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

 

21. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale

22. Chiusura della seduta
  

(La seduta termina alle 23.10)

 
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