Andreas Mölzer (ITS), per iscritto. – (DE) Kiev non è poi così lontana dalla “via che porta a Bruxelles”, come taluni potrebbero credere. Un inequivocabile allontanamento da Mosca, che Lukashenko sembra stia preparando da tempo, non sarebbe privo di conseguenze, non da ultimo per gli approvvigionamenti di petrolio e di gas. Un’instabilità in quest’area comporterebbe conseguenze anche per l’Unione.
Anche se l’ultimo allargamento ci ha portato ai confini delle nostre possibilità, non si è tuttora chiarito se rispetteremo l’influenza russa nei territori post-sovietici o se continueremo a scimmiottare ciecamente i tentativi americani di espansione nell’Europa orientale. Malgrado il procedere zigzagante e le tensioni politiche che ne risultano in Ucraina, è nel nostro interesse approfondire le relazioni di vicinato con questo paese. Per quanto riguarda l’allentamento delle restrizioni sui visti – misura volta a instaurare un clima di fiducia – dobbiamo tuttavia garantire che il vecchio scandalo sia dissolto del tutto e che non si verificheranno più altri abusi del sistema.
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) In applicazione dell’atto di adesione di Bulgaria e Romania del 2005, è stato creato un sistema semplificato che permette ai due paesi di accedere a convenzioni e protocolli conclusi conformemente all’articolo 34 del Trattato sull’Unione europea e all’articolo 293 del Trattato istitutivo della Comunità europea, senza la necessità di negoziare o concludere protocolli di adesione specifici a queste convenzioni, riducendo in tal modo l’enorme burocrazia che comporterebbe la necessità di una ratifica da parte dei 27 Stati membri.
L’allegato enuncia così un elenco di sette convenzioni e protocolli in materia di giustizia e affari interni, tra cui figura la presente convenzione.
Mi compiaccio per questo tipo di iniziativa, che mira a ridurre la burocrazia comunitaria e il dispendio esagerato di tempo richiesto da questioni semplici come questa.
Appoggio, pertanto, questa decisione del Consiglio che determina la data a partire dalla quale la convenzione del 26 luglio 1995 sull’uso dell’informatica nel settore doganale, nonché i rispettivi protocolli, dovranno entrare in vigore in Bulgaria e in Romania.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. – (PL) Voterò a favore della relazione dell’onorevole Grabowska sul tema “adesione della Bulgaria e della Romania alla convenzione Europol del 26 luglio 1995”.
Conformemente all’atto di adesione della Bulgaria e della Romania all’Unione, questi Stati hanno la possibilità di aderire secondo una procedura semplificata alle convenzioni concluse dagli Stati membri in base all’articolo 34 del Trattato sull’Unione europea. Per questa ragione non occorrono negoziati né protocolli speciali in materia di adesione, requisito che comporterebbe la necessità di ratificarli da parte di tutti gli Stati comunitari. Occorre soltanto che il Consiglio, previa consultazione col Parlamento, adotti una decisione indicante la data in cui la convenzione Europol e i protocolli necessari dovranno entrare in vigore.
Il Consiglio deve inoltre tenere conto del nuovo termine ultimo per l’entrata in vigore dei tre protocolli, datati 30 novembre 2000, 28 novembre 2002 e 27 novembre 2003.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione del mio collega, onorevole Stubb, sulla relazione speciale della Corte dei conti europea sulle spese per la traduzione sostenute dalla Commissione, dal Parlamento e dal Consiglio. Sono lieto d’aver potuto presentare un emendamento volto a deplorare il fatto che un numero sempre maggiore di documenti e comunicazioni, in particolare gli emendamenti di compromesso al momento della loro votazione in commissione e, ad esempio, gli allegati alle relazioni, siano presentati in un’unica lingua. Questo orientamento va contro la necessità di mantenere un modello di funzionamento democratico della nostra Unione che coinvolge diversi popoli di culture e lingue differenti. Il nostro modello può servire ad altre regioni del mondo, in particolare all’area del Mediterraneo, e noi dobbiamo rispettare in pieno l’utilizzo delle lingue. Mi dispiace di non aver potuto evitare che la relazione incoraggiasse le commissioni e le delegazioni parlamentari, ove possibile, a fornire testi soltanto nelle lingue dei loro membri e dei loro sostituti, prevedendo che ulteriori versioni linguistiche vengano fornite su richiesta. Con quest’ultima restrizione si arriverà a togliere ai deputati la possibilità di seguire i lavori svolti in commissioni diverse dalla loro.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il rispetto delle lingue ufficiali di ogni Stato membro dell’Unione è sancito dai Trattati. Tuttavia, adducendo motivi finanziari, si caldeggia l’idea che alcune traduzioni non siano indispensabili, appellandosi inoltre alla necessità di definire priorità e restrizioni quale la lunghezza dei documenti. Non accettiamo questi orientamenti perché sono in contrasto col rispetto del multilinguismo.
Riaffermiamo quindi il nostro fermo rifiuto nei confronti di qualsiasi tentativo di limitare l’uso di qualunque lingua ufficiale (e di lavoro) nell’Unione per via dei costi elevati, di cui costituiscono un esempio, come abbiamo fatto presente a tempo debito, gli attuali criteri che determinano le lingue utilizzate durante le assemblee parlamentari UE/ACP, che rendono impraticabile in modo discriminatorio l’impiego del portoghese.
Rifiutiamo altresì che si riduca il numero degli interpreti e dei traduttori col pretesto di fallaci motivi di bilancio e che si rendano precarie o si peggiorino, in un modo o nell’altro, le loro condizioni di lavoro nel Parlamento, nella Commissione e nel Consiglio promuovendo, in particolare, l’esternalizzazione di questi servizi, che sono essenziali per il buon funzionamento di queste Istituzioni e per garantire ai cittadini dei diversi Stati membri dell’Unione l’accesso alle relative informazioni nella loro lingua d’origine.
Bairbre de Brún e Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Ci siamo astenuti dal voto sulla relazione odierna dell’onorevole Stubb perché ci preoccupa che l’espressione “multilinguismo integrale controllato” possa essere utilizzata per ridurre la quantità di materiale scritto disponibile per i parlanti irlandesi in confronto ai parlanti di altre lingue ufficiali e di lavoro. Attualmente una gamma di servizi che si potrebbe rendere disponibile in irlandese non lo è perché l’amministrazione del Parlamento non mostra alcun interesse a farlo. Occorre eliminare queste inutili limitazioni ai danni della lingua irlandese in quanto lingua di lavoro.
Alcune delle proposte contenute nella relazione dell’onorevole Stubb in merito al rispetto per il multilinguismo, al controllo della qualità, alla soddisfazione dell’utente, a sistemi basati sulle memorie di traduzione e a una banca dati terminologica comune sono positive.
Andreas Mölzer (ITS), per iscritto. – (DE) La critica della Corte dei conti europea riguardo all’incremento del 25 per cento delle spese per le traduzioni, aumento che non si spiega soltanto con l’aumento delle lingue ufficiali da 11 a 21, va analizzata dettagliatamente. Per questa ragione vale la pena di considerare se, in futuro, non sia vantaggioso suddividere i costi di traduzione in base alle lingue di arrivo per meglio valutare la necessità, la domanda e il numero di pagine tradotte. Ci occorre inoltre una strategia in vista dei negoziati di preadesione in corso, perché se la sola Macedonia vanta già sei lingue ufficiali, ben presto avremo anche noi la nostra Torre di Babele.
Quando tutti i dati saranno resi disponibili, sarà possibile effettuare qualche ragionevole risparmio. Non bisogna, tuttavia, far cattivo uso di questa verifica in maniera che documenti comunitari ancora più importanti vengano classificati come “documenti di lavoro” o “allegati” per eludere l’obbligo di tradurli per intero. Occorre in particolare incoraggiare l’uso del tedesco per via della sua rilevanza, in quanto è la lingua madre più parlata e la seconda lingua straniera più importante dell’Unione.
Marianne Thyssen (PPE-DE), per iscritto. – (NL) Signora Presidente, ho votato a favore della relazione Stubb perché ne condivido la sostanza.
Le nostre azioni devono continuare a basarsi su un multilinguismo completo, nel rispetto dei principi di uguaglianza di tutti cittadini e a vantaggio di una comunicazione e di una democrazia che siano le migliori possibili. Al tempo stesso, però, dobbiamo essere cauti in merito ai costi, perché altrimenti corriamo il rischio di perdere il sostegno sociale a favore del multilinguismo della nostra Istituzione.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione del mio collega, onorevole Mulder, sulla riduzione dei costi amministrativi imposti dalla legislazione europea. L’obiettivo della Commissione, ovvero legiferare meglio, va incoraggiato e monitorato. Gli oneri amministrativi superflui sono il flagello delle nostre società basate sullo Stato di diritto che, talvolta, non si rendono conto che l’inflazione di leggi provoca il loro deprezzamento, perché i cittadini europei non applicano norme inutili e costose. Non è utopistico prevedere una riduzione del 25 per cento degli oneri amministrativi entro il 2013, a patto di condurre un’analisi approfondita di cosa ci sia in gioco e di non perdere di vista l’eventualità che false economie possano costare molto più care.
Tutti sanno che nel lungo termine la mediocrità ha costi molto più alti della qualità. Se dobbiamo combattere incessantemente contro tutte le leggi inutili e gli oneri amministrativi a queste correlati, dobbiamo provvedere a regolamentare con cura e discernimento le attività economiche nell’interesse dei consumatori e dei produttori.
Andreas Mölzer (ITS), per iscritto. – (DE) Se noi, solo per appagare le sensibilità nazionali, ci ostiniamo a mettere su sempre nuove agenzie le cui funzioni si sovrappongono ad altre già esistenti, non dobbiamo davvero meravigliarci per le crescenti accuse di far lievitare la burocrazia, di assurdità organizzativa incontrollata e di creare lavoro inutile. Per ottenere la benevolenza dei cittadini occorre ben altro che l’e-government e simili trovate pubblicitarie, e noi dobbiamo evitare o ridurre la duplicazione delle funzioni.
Dobbiamo anche sfruttare i margini di risparmio esistenti. Tra questi: ridurre le sedi del Parlamento a una sola, determinare le spese sulla base dei costi effettivi sostenuti, un sistema di alto livello contro le frodi e il concreto recupero degli aiuti ingiustamente corrisposti, congiuntamente ai milioni che si possono risparmiare evitando di rifilare allargamenti a cittadini riluttanti. L’Unione non deve assolutamente seguire l’esempio di alcuni Stati membri nei quali un crescente numero di immigrati entra nell’amministrazione. Ciò arrecherebbe danni irreparabili alla creazione e allo sviluppo di un’identità europea.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione della collega, onorevole Wallis, sul progetto di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (“Roma II”). Questo argomento di estrema complessità costituisce un passo verso l’armonizzazione delle regole di conflitto di leggi applicabili alle obbligazioni extracontrattuali degli Stati membri, vale a dire le conseguenze degli incidenti stradali, la concorrenza sleale, i danni all’ambiente, la diffamazione e, più in generale, le violazioni dei diritti della persona, eccetera.
Nel complesso, il Parlamento non è stato ascoltato abbastanza dagli Stati membri e gli innumerevoli studi e relazioni che dovranno valutare le conseguenze di quest’accordo saranno decisivi quando ritorneremo su quest’importante argomento. Per esempio, nel caso degli incidenti stradali, come possiamo accontentarci di applicare la lex loci delicti e non quella di residenza della vittima? E siamo sicuri che i considerando di questo regolamento basteranno da soli a renderlo obbligatorio per i tribunali nella valutazione dei danni? Come ci regoleremo nel trattare la diffamazione nel contesto di una stampa globalizzata e smaterializzata? Gli esempi potrebbero continuare. Su questi temi ci attende una considerevole mole di lavoro.
Bruno Gollnisch (ITS), per iscritto. – (FR) Vorrei congratularmi con la relatrice per il testo equilibrato che ci propone, un testo che ha come obiettivo l’istituzione di un quadro giuridico coerente per i rapporti fra i diritti civili internazionali e altri strumenti comunitari.
Questo regolamento sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (“Roma II”) mira ad armonizzare le regole nazionali di conflitto di leggi. Queste norme determinano la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali come, per esempio, gli incidenti stradali, la responsabilità da prodotti, la concorrenza sleale o i danni all’ambiente.
Siamo favorevoli al principio di adottare norme standard in materia di conflitto di leggi, anche se, ricordiamolo, è necessario che siano sufficientemente chiare e precise. Non è stato così per le disposizioni controverse sulla diffamazione attraverso i media. La libertà d’espressione e di stampa va tutelata e deve poter essere esercitata pienamente. In mancanza, nel caso specifico, di norme che tutelino l’indipendenza editoriale, è stata una decisione ragionevole escludere dal campo di applicazione di Roma II le disposizioni relative alla violazione dei diritti della persona da parte dei media.
Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Sono molto lieta dell’adozione del compromesso negoziato col Consiglio riguardante il secondo programma d’azione comunitaria in materia di salute (2007-2013).
L’Unione non può più fare a meno di un programma sanitario comune con un investimento pubblico comune. E’ deplorevole che il bilancio sia stato ridotto. E’ necessario un gran numero d’investimenti prima di poter disporre di mezzi preventivi e tecnici. Prevenire è meglio che curare e una buona informazione sugli stili di vita o un’alimentazione più sana per ridurre la mortalità dovuta a malattie gravi costituisce un presupposto indispensabile. Bisogna inoltre rendere accessibili a tutti soluzioni tecniche per i casi d’emergenza. Una messa a disposizione generalizzata di defibrillatori è un esempio tra tanti.
Tuttavia, la salute non si riduce a una semplice questione contabile. E’ anche e soprattutto un bene di ciascuno. La responsabilizzazione dei pazienti è un fattore cruciale. Il varo di disposizioni chiare e applicabili ovunque nell’Unione rappresenta innegabilmente la strada di maggior importanza per l’avvenire.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il programma d’azione proposto quale posizione comune del Consiglio dell’Unione non cerca di tutelare e migliorare la qualità della sanità pubblica, bensì di gestirne i problemi, estendere la commercializzazione e la privatizzazione dei servizi sanitari e aiutare gruppi di imprese private a penetrare in quello che è un settore remunerativo per il capitale.
Si stanno trasferendo la responsabilità e l’obbligo dello Stato di proteggere e migliorare la sanità pubblica ad autorità locali, alle ONG, alla “società civile”, promuovendo al contempo la responsabilità personale in quanto fattore determinante e basilare per la sanità pubblica.
Le ristrutturazioni capitaliste nel settore della sanità pubblica sono in linea con la politica generale dell’Unione contro la classe lavoratrice, con le peggiorate condizioni assicurative e con l’elevazione dell’età pensionabile dei lavoratori. Siamo radicalmente contrari alle proposte avverse ai lavoratori inserite nel piano d’azione comunitario per il settore della sanità pubblica.
Il partito comunista greco si batte per servizi sanitari e di welfare esclusivamente pubblici che soddisfino le esigenze attuali delle famiglie lavoratrici.
Ivo Belet (PPE-DE). – (NL) Signora Presidente, mi trovo proprio qui al centro. Mi permetta di fare una breve osservazione sulla riduzione dell’impiego del mercurio, cui sono tutti favorevoli. Si tratta di una proposta valida perché, in molti settori, l’impiego del mercurio è stato soppiantato e certamente va sostituito con altri materiali, ma vietare del tutto gli oggetti tradizionali, fra cui il tradizionale barometro a mercurio, è a nostro avviso eccessivo.
Ho recentemente fatto visita alla Dingens, una ditta della città belga di Leopoldsburg dove, da decenni, è stato dimostrato che i barometri a mercurio si possono produrre in modo ecologicamente sostenibile e responsabile. Inoltre, questi barometri tradizionali hanno una durata illimitata, a differenza dei loro successori digitali, che funzionano con batterie e dunque consumano energia. Inoltre, poiché i produttori di barometri tradizionali sono diventati esperti nel curare la manutenzione di questi strumenti in modo sostenibile, il mercurio dei barometri non finisce più nel ciclo dei rifiuti.
Vorrei pertanto invitare la Commissione – e questo è il mio commento conclusivo – e tutte le parti interessate a mandare a questo punto un segnale al settore in questione, e a vantaggio della valutazione, che ha richiesto due anni, per rendere debito conto di questa situazione particolare e motivata dei barometri a mercurio affinché, come spero, continuino ad ascriverli ai regimi di esenzione.
Philip Claeys (ITS). – (NL) Grazie, signora Presidente. Ho votato a favore degli emendamenti nn. 1 e 2 perché sono dell’idea che la produzione dei barometri tradizionali debba rimanere libera. Mi urta ogni tipo di interferenza europea che porti all’abbandono non solo delle abitudini e dei metodi di produzione tradizionali, ma anche dell’occupazione.
Inoltre, è importante stabilire se il divieto dei barometri a mercurio si rivelerà una misura efficace. Esistono altre forme di impiego del mercurio ben più vaste e problematiche di quelle che caratterizzano la produzione dei barometri. Inoltre, poiché i barometri a mercurio non richiedono l’uso di batterie, la loro durata è illimitata.
Questo Parlamento è riuscito ancora una volta a mancare un’opportunità per dar debito conto di una realtà specifica, ovvero che le PMI occupano una posizione critica nella nostra economia e in Europa. L’ultima cosa di cui le PMI hanno bisogno è di un ulteriore aumento delle intromissioni e delle ingerenze europee.
Jim Allister (NI), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore degli emendamenti intesi a escludere i barometri da questa legislazione troppo prescrittiva e, in seguito alla bocciatura degli emendamenti, ho votato contro la relazione.
Il divieto assoluto nei confronti dei dispositivi contenenti mercurio uccide un settore artigianale di antica tradizione del Regno Unito ed è il prodotto dell’ingerenza ossessiva di Bruxelles in questioni che vanno ben al di là del necessario o del ragionevole.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Accolgo con favore la saggia decisione presa in merito alla posizione comune del Consiglio, che fa sua la maggior parte degli emendamenti adottati dal Parlamento. La principale differenza tra la posizione del Parlamento e quella del Consiglio riguarda i barometri a mercurio e le deroghe da attuare, considerando che il divieto che potrebbe conseguentemente essere introdotto varrebbe solo per i barometri a mercurio nuovi, perché i barometri già in circolazione possono sempre essere rivenduti, riparati e mantenuti.
Alla luce delle estremamente pericolose proprietà del mercurio e del quantitativo molto maggiore di mercurio contenuto nei barometri tradizionali rispetto, ad esempio, a quello presente nei termometri per misurare la febbre, la soluzione proposta dal Consiglio di concedere una deroga limitata costituisce un compromesso equilibrato: lo scopo è infatti di accordare una deroga temporanea per consentire ai fabbricanti di barometri tradizionali di adeguarsi alle nuove disposizioni.
Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Approvo l’adozione della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 76/769/CEE del Consiglio per quanto riguarda le restrizioni alla commercializzazione di alcune apparecchiature di misura contenenti mercurio.
Sono favorevole a limitare la commercializzazione al grande pubblico delle apparecchiature di misura contenenti mercurio, che in Francia sono vietate dal 1998.
La posizione comune del Consiglio, accettata dal Parlamento, determina un equilibrio che permette di ridurre la diffusione del mercurio nell’ambiente prevedendo al tempo stesso un periodo transitorio per alcuni articoli come i barometri tradizionali. Un periodo di transizione di due anni dopo la data di entrata in vigore della direttiva permetterà alle industrie interessate di sviluppare la tecnologia per produrre apparecchiature senza mercurio.
James Nicholson (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Sono inorridito dal fatto che continuiamo a produrre normative che mettono a repentaglio posti di lavoro senza apportare in cambio alcun effettivo beneficio ambientale. La fabbricazione di barometri nel Regno Unito, come in altri Stati membri, è un settore tradizionale che risale a diversi secoli fa. Chiaramente, è necessario controllare in modo adeguato l’utilizzo del mercurio e noi abbiamo compiuto progressi sostanziali negli ultimi anni in questioni a ciò correlate come lo stoccaggio e l’esportazione. Tuttavia, dev’essere possibile salvaguardare la fabbricazione tradizionale di barometri assicurando l’utilizzo di opportune informazioni di sicurezza e così via. Non c’è bisogno di uccidere un mestiere antico solo perché è più facile avere una legislazione passe-partout. L’Europa sociale non ha significato se vuol dire togliere il lavoro a chi pratica mestieri tradizionali.
Marianne Thyssen (PPE-DE), per iscritto. – (NL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, il mercurio è una sostanza pericolosa che va maneggiata con la necessaria cautela. Nessuno in questo Parlamento nutre alcun dubbio in proposito. Purtroppo, per quanto riguarda la votazione sulla relazione Sornosa Martínez, oggi l’Assemblea ha portato all’estremo questa posizione, atteggiamento che trovo profondamente deplorevole.
Dimostrandosi irremovibile in merito all’imposizione di un divieto totale della produzione di barometri tradizionali, la Commissione, sostenuta oggi dalla maggioranza parlamentare, ha fatto suonare la campana a morto per un settore che rappresenta 360 anni di tradizione europea. Il fatto che tutti i produttori di barometri nell’Unione incidano solo per pochi decimi percentuali sul consumo annuale di mercurio, mercurio che, tra parentesi, è riciclato al 100 per cento, peggiora solo la situazione. E’ chiaro che oggi, nella nostra decisione, non siamo stati guidati dal buonsenso.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Con il voto sulle relazioni dell’onorevole Westlund non si tratta solo di decidere quali additivi alimentari si possano utilizzare. Si tratta soprattutto di stabilire chi debba decidere in merito a singole questioni sugli additivi alimentari.
A differenza della relatrice, noi conservatori svedesi non riteniamo che il Parlamento debba valutare singoli additivi alimentari e prendere decisioni in merito alla loro approvazione, per esempio in base a dettagli come i rischi che comportano singoli additivi alimentari per le persone allergiche. Ciò comporterebbe una politicizzazione di temi importanti che vanno decisi su basi scientifiche e a livello dell’autorità competente. Pertanto respingiamo la proposta riguardante un aumento dei poteri parlamentari di codecisione.
Conseguentemente, abbiamo votato contro regolamenti eccessivamente dettagliati in occasione del voto odierno.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Signor Commissario, ho dato il mio sostegno all’autorizzazione più flessibile degli additivi alimentari. La Commissione deve considerare in particolar modo l’impatto di questi additivi sull’ambiente e sulla salute. Vorrei, se mi è consentito, richiamare la vostra attenzione sull’alto numero di persone allergiche, le cui vite dipendono dal mantenimento di una dieta priva di glutine. Oltre a generi prodotti ad hoc, comprano cibi normali che in genere non contengono glutine. Gli additivi vanno debitamente elencati nell’etichetta per non fuorviare i consumatori. Spesso i produttori e i supervisori ignorano il fatto che sull’etichetta di ogni prodotto deve essere esplicitamente indicato il suo eventuale contenuto di glutine. Statisticamente gli europei che soffrono di allergie alimentari sono purtroppo sprovvisti delle informazioni necessarie quando effettuano i loro acquisti e, pertanto, dispongono di una scelta alimentare limitata o, peggio ancora, mettono a repentaglio la loro salute. Pertanto invito la Commissione a supervisionare un’indagine mirata sul glutine negli additivi e a promuovere un’etichettatura esauriente di tutti gli alimenti affinché anche gli europei che seguono una dieta priva di glutine siano in grado di comprenderla.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione della collega svedese, onorevole Westlund, sugli additivi alimentari. Se è normale agevolare il compito della Commissione accettando che le decisioni in merito all’autorizzazione degli additivi alimentari rientrino nell’ambito della procedura di comitatologia, ora la Commissione deve, da parte sua, tenere conto – nel nuovo regolamento sugli additivi alimentari e nel nuovo regolamento che istituisce una procedura uniforme di autorizzazione per gli additivi, gli enzimi e gli aromi alimentari – delle valutazioni espresse più volte dal Parlamento nel corso degli anni.
Tali valutazioni riguardano in particolare l’ambiente, la salute pubblica e i soggetti affetti da allergie. C’è da rallegrarsi che la legislazione attuale stabilisca che l’autorizzazione in materia di additivi non deve indurre in errore i consumatori. Tuttavia, i coloranti danno talvolta l’impressione che un alimento contenga frutta quando in realtà non è così. Occorre dunque rafforzare la protezione dei consumatori su questo punto senza danneggiare i produttori.
Thomas Wise (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Quantunque io condivida i principi contenuti negli emendamenti sull’etichettatura degli OGM, mi sono astenuto perché ritengo che tali questioni vadano affrontate dai governi nazionali e non debbano diventare una competenza dell’Unione.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione della mia stimata collega irlandese, onorevole Doyle, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli enzimi alimentari e che modifica numerosi testi in vigore. Per rimuovere gli ostacoli agli scambi ed evitare non solo l’incertezza giuridica, ma anche divergenze in materia di norme di protezione sanitaria e di protezione dei consumatori fra gli Stati membri, è indispensabile armonizzare, a livello comunitario, le norme relative all’impiego degli enzimi nel settore della trasformazione alimentare, che si è considerevolmente sviluppata in questi ultimi anni (prodotti da forno, formaggio, birra, succhi di frutta, amido, eccetera).
I grandi sviluppi in campo scientifico e tecnologico, che permettono di ottenere nuovi enzimi a partire da microrganismi geneticamente modificati, devono indurci ad accettare la prospettiva di una legislazione armonizzata sull’impiego degli enzimi alimentari nell’Unione. Ciò nell’interesse dei consumatori e dei produttori, a patto di non avere una legislazione troppo costosa.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione della mia collega slovena, onorevole Drčar Murko, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli aromi e ad alcuni ingredienti alimentari con proprietà aromatizzanti destinati a essere utilizzati nei e sui prodotti alimentari e che modifica numerosi testi in vigore.
Attualmente tutti i gusti e gli odori naturali si possono riprodurre mediante un procedimento di sintesi a partire da 2 600 molecole che possiedono proprietà aromatizzanti, con la possibilità di creare nuovi gusti inesistenti in natura. Gli sviluppi tecnologici nel settore degli aromi e la volubilità dei nostri concittadini in fatto di gusti devono indurci a vegliare sulla sicurezza alimentare e sulla protezione dei consumatori e a dare all’industria del settore la possibilità di perseguire lo sviluppo tecnologico, tutto ciò allo scopo di consolidare il mercato interno.
Sono state sollevate molte questioni e io approvo i compromessi raggiunti dalla relatrice, grazie ai quali la proposta di regolamento costituisce un’iniziativa efficace finalizzata a modernizzare e semplificare la legislazione sugli aromi.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Voterò a favore della relazione. Approvo in particolare l’obbligo di etichettare gli OGM. Non condivido del tutto le preoccupazioni espresse da alcuni miei colleghi riguardo alla sicurezza degli OGM. Il mio parere è diverso. Come scienziato ritengo che gli OGM possano svolgere un ruolo importante. Nondimeno, ammetto che altri abbiano il diritto di fare le proprie scelte. L’etichettatura permette quindi a quanti sono di parere diverso dal mio di evitare prodotti che hanno scelto di rifiutare.
Gerard Batten (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Anche se condividiamo i principi contenuti negli emendamenti sull’etichettatura degli OGM, l’UKIP si è astenuta perché tali questioni vanno affrontate dai governi nazionali e non devono diventare una competenza dell’Unione.
Nigel Farage (IND/DEM), per iscritto. – (EN) L’emendamento n. 38 – in base al quale, negli alimenti, il contenuto di prodotti derivati da OGM dev’essere riportato sull’etichetta – malgrado sia intrinsecamente auspicabile induce all’astensione (più che all’approvazione), a causa della sua origine pericolosamente e irrevocabilmente antidemocratica (le Istituzioni comunitarie). In altre parole, ritengo che il dominio accentratore della Comunità europea, senza responsabilità democratica, costituisca una minaccia per la civiltà più di quanto non lo siano gli aromatizzanti non etichettati prodotti a partire da OGM. Pertanto mi sono astenuto anziché votare a favore di quest’emendamento.
Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore del pacchetto riguardante la razionalizzazione delle procedure di autorizzazione, di utilizzo e il consolidamento delle direttive sugli additivi e sugli aromatizzanti, nonché l’armonizzazione delle normative sugli enzimi.
E’ stato introdotto un certo numero di garanzie supplementari per assicurare la trasparenza delle decisioni e la protezione dei consumatori e ne sono molto lieta. La futura legislazione avrà l’obiettivo di garantire la protezione dei consumatori e la sicurezza alimentare preservando al contempo l’innovazione e la competitività dell’industria agroalimentare.
L’industria alimentare utilizza molti aromi naturali e artificiali: ne sono stati censiti almeno 2 600. Inoltre sempre più enzimi entrano nella produzione dei generi alimentari e i testi adottati sono intesi a migliorare la sicurezza di impiego di queste sostanze.
Occorre preservare la competitività dell’industria agroalimentare nel mercato. Gli aromi naturali sono interamente composti da agenti aromatizzanti naturali. Il rapporto 90/10 proposto dalla Commissione ha permesso di ottenere un aroma naturale con gusti differenziati a seconda dei prodotti, dei destinatari o della cultura degli Stati membri. Il 10 per cento proveniva da fonti naturali diverse dalla sostanza in questione.
Deploro pertanto l’adozione della norma arbitraria, detta 95/5, con cui si rischierebbe di penalizzare l’industria agroalimentare senza però offrire al consumatore una migliore informazione.
Konrad Szymański (UEN), per iscritto. – (EN) Ho votato contro la relazione riguardante l’accisa sull’alcool e sulle bevande alcoliche. La commissione per i problemi economici e monetari ha votato a favore di un aumento del 4,5 per cento delle aliquote minime. Poiché sono contrario a qualsiasi armonizzazione o aumento fiscale, per quanto modesto, ho dovuto votare contro la relazione dell’onorevole Astrid Lulling.
Marianne Thyssen (PPE-DE), per iscritto. – (NL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, ogni volta che discutiamo di birra, di vino o di altre bevande alcoliche qui in Parlamento la tensione è alta. Lo stesso è avvenuto anche nel caso degli accordi sui birrifici. Oggi la cosa si ripete. Quindici anni fa, il Consiglio ha stabilito aliquote minime di accisa sulle bevande alcoliche. L’intenzione era chiara: armonizzare le aliquote largamente differenti in vigore negli Stati membri.
Molti anni dopo, dobbiamo concludere che le decisioni adottate all’epoca non hanno raggiunto lo scopo. Di conseguenza, per ragioni di salute pubblica, alcuni Stati membri, tra cui i paesi scandinavi, applicano aliquote molto più elevate rispetto a quelle minime, decisione che non è affatto sbagliata. Ogni Stato membro ha diritto di stabilire una politica in materia di accise commisurata alle proprie tradizioni nazionali e preferenze politiche.
Dobbiamo ammettere, comunque, che la correzione delle aliquote attuali per tenere conto dell’inflazione, proposta dalla Commissione, non cambierà le cose. Poiché il divario tra le accise in vigore negli Stati membri e le distorsioni della concorrenza esistenti permarranno senza dare segni di cedimento, ho appoggiato il voto contrario della relatrice, onorevole Lulling.
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, occorre sostenere l’obiettivo che l’onorevole Hennis-Plasschaert si prefigge per la proposta di direttiva perché si tratta semplicemente di proteggere da attentati terroristici importanti infrastrutture che riguardano vari paesi. Ecco perché dobbiamo individuare e designare infrastrutture e piani di sicurezza.
Tuttavia, la proposta della Commissione è troppo ambiziosa. Mina il principio della solidarietà confondendo le attività antiterrorismo con gli strumenti economici. La Commissione deve anche chiedersi se la redazione di un elenco centralizzato delle infrastrutture critiche non faccia il gioco dei terroristi e non aumenti pertanto il rischio.
Questo Parlamento ha avanzato proposte di emendamento costruttive che, grazie al cielo, abbiamo approvato a larga maggioranza. Invito perciò la Commissione a rivederle. Ho votato a favore della relazione.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione della collega olandese, onorevole Hennis-Plasschaert, sulla proposta di direttiva del Consiglio in merito alle infrastrutture critiche. In primo luogo, approvo la posizione del Consiglio europeo del giugno 2004, che è alla base di questa proposta di direttiva. E’ infatti indispensabile che l’Unione sostenga gli Stati membri nella protezione delle infrastrutture critiche dai rischi, compresi quelli riconducibili al terrorismo, con i quali siamo confrontati. Anche se la responsabilità di questo tipo d’infrastruttura spetta agli Stati membri e ai proprietari/operatori che, in generale, sono loro collegati, è logico comunitarizzare alcuni aspetti della prevenzione, dell’individuazione, della designazione delle infrastrutture critiche e la valutazione della necessità di migliorarne la protezione. Lo sviluppo di Internet e la liberalizzazione di alcuni mercati (elettricità, gas, telecomunicazioni, trasporto ferroviario, eccetera) devono indurci a vigilare maggiormente sulle nostre infrastrutture critiche, che sono sempre più interconnesse a livello europeo e la cui interruzione, definitiva o provvisoria, o distruzione potrebbero avere ripercussioni gravi per la salute, la sicurezza o il benessere economico e sociale dei cittadini europei e per il buon funzionamento dei governi degli Stati membri.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’istituzione di un quadro di azione comune per la protezione delle infrastrutture critiche europee significa che dobbiamo confrontarci per l’ennesima volta con la questione fondamentale del trasferimento di competenze che sono al centro della sovranità degli Stati alla giurisdizione dell’Unione.
In seguito alla definizione della protezione di queste infrastrutture a livello comunitario, in nome della cosiddetta “lotta al terrorismo”, gli Stati membri dovranno confrontarsi con la responsabilità di adottare misure vincolanti come, d’altronde, si afferma nella motivazione di questa proposta.
Nonostante la relatrice abbia ridotto la portata della proposta originaria, sottolineando per esempio che “la responsabilità della protezione delle infrastrutture critiche è solo ed esclusivamente degli Stati membri” e considerando “che un approccio comunitario è giustificato solo qualora gli Stati membri danneggiati fossero almeno tre o almeno due oltre a quello in cui l’infrastruttura critica è ubicata”, gli obiettivi di fondo non sono messi in dubbio.
Va ancora sottolineato che, come recenti episodi hanno dimostrato, con la scusa della cosiddetta “lotta al terrorismo” sono state adottate misure che compromettono i diritti, le libertà e le garanzie dei cittadini. Speriamo che il concetto di “protezione delle infrastrutture critiche europee” non venga utilizzato come argomento per limitare la legittima azione di lotta dei lavoratori in difesa dei propri diritti.
Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. – (DE) Voterò a favore della relazione sull’individuazione e designazione delle infrastrutture critiche europee e sulla valutazione della necessità di migliorarne la protezione.
Il danneggiamento o la perdita di un elemento di un’infrastruttura in uno Stato membro può avere effetti negativi su altri Stati membri e sull’economia europea nel suo complesso. Perciò la protezione delle infrastrutture critiche ha un’importanza essenziale per la sicurezza interna dell’Unione.
Condivido anche la proposta della relazione di elaborare un elenco dei settori prioritari di infrastrutture critiche europee sulla base di criteri comuni. Tuttavia gli Stati membri non dovrebbero avere l’obbligo di comunicare dettagliatamente alla Commissione le loro infrastrutture critiche, in quanto ciò contrasterebbe con gli interessi di sicurezza nazionale.
La creazione di disposizioni orizzontali a livello comunitario che tengano conto dei complessi processi e delle interfacce delle infrastrutture critiche con una dimensione transnazionale è pertanto una preoccupazione legittima. Tuttavia, si dovrebbe al contempo riconoscere che l’Unione deve potenziare e non replicare il lavoro degli Stati membri. Per questo motivo approvo anche l’adozione di un approccio dal basso, tenendo presente che i servizi nazionali sono i migliori conoscitori di quanto avviene nei rispettivi paesi.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione accetta in pieno la filosofia della proposta di direttiva, che definisce come infrastruttura critica europea qualunque infrastruttura pubblica o privata importante che riguardi più Stati membri dell’Unione e li obbliga a presentare un elenco di queste infrastrutture alla Commissione, che prepara quindi l’elenco unico per l’intera Unione, affinché possa monitorare e controllare la loro sicurezza da “atti terroristici”.
Secondo la proposta di direttiva:
Il settore privato – in altre parole i monopoli – acquista giurisdizione in temi di sicurezza nazionale che in precedenza erano di competenza soltanto del governo.
La proposta spiana la strada alla designazione come “atti terroristici” dei movimenti dei lavoratori e delle masse riguardanti qualsiasi infrastruttura di “rilevanza europea”, anche installazioni private (per esempio scioperi in settori critici come l’energia, le telecomunicazioni e così via, l’occupazione simbolica di fabbriche, aziende e così via, picchettaggi, dimostrazioni e così via).
Pregiudica in maniera determinante la sicurezza nazionale e la sovranità degli Stati membri, in quanto li obbliga a consegnare all’Unione un elenco di tutte le loro infrastrutture cruciali per la sicurezza e per i loro piani di sicurezza.
Ancora una volta il pretesto della “minaccia terroristica” è il comodo mezzo con cui l’Unione perfeziona il suo reazionario quadro istituzionale, che si pone contro i movimenti della classe operaia e protegge il potere del capitale europeo, minando ancora di più la sovranità nazionale degli Stati membri.
Geoffrey Van Orden (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Non esistono infrastrutture critiche europee, bensì nazionali. La loro tutela è di competenza dei governi nazionali, soprattutto considerando le minacce del terrorismo con cui le democrazie devono confrontarsi.
Sono ovviamente favorevole a misure che incrementino davvero la sicurezza. Tuttavia, la direttiva rappresenta un ulteriore passo nei tentativi dell’Unione di estendere il suo campo d’azione nella sfera della sicurezza e della difesa. Questo è l’elemento più eccepibile. La Commissione sembra considerare la sicurezza un mezzo per garantire la “stabilità del mercato interno”, il che è un errore. Il sistema proposto di informare la Commissione in merito alle valutazioni dei rischi e delle minacce produce soltanto ulteriori strutture e gravami burocratici. La richiesta nei confronti degli Stati membri di segnalare alla Commissione infrastrutture critiche specifiche è controproducente, perché darebbe luogo a un elenco di obiettivi che susciterebbe grande interesse nelle persone sbagliate.
Markus Pieper (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, ho votato contro la relazione Vidal-Quadras, non perché sia contrario all’apertura dei mercati dell’elettricità e del gas – tutto il contrario, ma non posso condividere uno dei requisiti essenziali, ovvero la separazione della proprietà – o, piuttosto, non posso condividerlo al momento – per tre ragioni: in primo luogo, perché dobbiamo concedere più tempo alle autorità nazionali di regolamentazione per varare un efficace regolamento della concorrenza; in secondo luogo, non mi è stato affatto dimostrato in modo soddisfacente che la separazione della proprietà promuova l’investimento nelle reti di distribuzione e, in terzo luogo, perché la proposta di effettuare la separazione non è applicata nel caso in cui le reti e gli impianti di generazione siano ancora di proprietà dello Stato.
E’ su questo punto che dovremmo imporre quelle rigorose condizioni per la liberalizzazione che finora sono state negate alla concorrenza, anziché pregiudicare, tramite disposizioni per separare la proprietà, quelle già adeguate a un’economia di mercato.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione del collega spagnolo, onorevole Vidal-Quadras sulle prospettive del mercato interno del gas e dell’elettricità, relazione che ha permesso di fare il punto su questo tema dopo un lungo processo di liberalizzazione dei mercati dell’energia e, soprattutto, di fare adottare al Consiglio europeo del marzo 2006 un “pacchetto energetico” finalizzato a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento, la competitività e la sostenibilità ambientale in rapporto alla politica energetica dell’Unione. Deploro che l’emendamento presentato dai miei colleghi, gli onorevoli Reul, Laperrouze, Trautmann e altri, emendamento che io ho votato, non sia stato adottato dal Parlamento, perché permetteva di disporre di un’alternativa equilibrata alla mera separazione della proprietà delle reti energetiche, garantendo al contempo l’indipendenza di questa separazione. Sono temi su cui il dibattito politico è lungi dall’essere chiuso. Lo stesso discorso vale anche per il ruolo dei regolatori, la rimozione degli ostacoli alle interconnessioni, lo sviluppo delle nuove produzioni di massa a partire da energie rinnovabili, gli investimenti considerevoli in infrastrutture per rispondere alle crescenti esigenze, eccetera.
Bernadette Bourzai (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la relazione Vidal-Quadras sulle prospettive del mercato interno del gas e dell’elettricità che prepara la presentazione, nel settembre prossimo, di un terzo pacchetto “liberalizzazione” da parte della Commissione.
Innanzi tutto, sono contraria al principio liberista dogmatico della separazione della proprietà (proprietà e gestione della rete) perché non fornisce alcuna garanzia in relazione agli investimenti, agli approvvigionamenti, alla sicurezza o all’accesso alla rete di terzi e di energie rinnovabili. Non garantisce ai cittadini energia disponibile al miglior prezzo e neppure soddisfa alle obbligazioni del servizio pubblico. Perché allora sfasciare l’organizzazione attuale, che funziona bene e assicura l’effettiva indipendenza degli operatori del sistema grazie, soprattutto, all’intervento forte del regolatore e al varo di norme rigorose che garantiscono parità di trattamento e un servizio di qualità per tutti gli utenti delle reti, anche quelli che abitano nelle regioni con svantaggi naturali e nelle regioni ultraperiferiche?
Inoltre, penso che il problema dell’indipendenza dei gestori dei sistemi di trasmissione non sia correlato alla questione del sistema di proprietà, bensì a quella della regolamentazione. Perché allora chiedere l’abolizione del carattere pubblico degli operatori energetici?
Françoise Castex (PSE), per iscritto. – (FR) Deploro l’adozione della separazione della proprietà sostenuta dai difensori accaniti dello smantellamento delle grandi imprese.
Secondo me, la destra liberista ha assestato un altro colpo al principio della missione di servizio pubblico, tanto caro ai cittadini europei.
Ritengo che la separazione della proprietà non fornisca alcuna garanzia in relazione agli investimenti, alla sicurezza o all’accesso dei terzi alla rete (comprese le fonti di energia rinnovabili, che rischiano di venire penalizzate per i loro costi elevati). Non assicura neppure la disponibilità dell’energia al miglior prezzo per i cittadini.
Penso che sarebbe stato preferibile mantenere un sistema alla francese, che integra nel suo funzionamento le norme legislative derivanti dalle precedenti direttive europee.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questo è l’ennesimo passo verso la liberalizzazione del mercato interno del gas e dell’elettricità sulla scia della strategia di Lisbona. Le parole chiave della relazione sono “liberalizzazione” e “mercato”. L’idea di fondo da cui partono è sempre la stessa. La premessa, già confutata da innumerevoli esempi, che il mercato risolverà da solo il problema dell’approvvigionamento e del consumo energetico, viene sostenuta con crescente fervore nello sforzo di nascondere ciò che è sempre più difficile ignorare, ovvero che il “mercato” è stato un successo solo per alcuni, che hanno accumulato profitti favolosi, ma non per i consumatori, che devono confrontarsi con bollette energetiche sempre più care.
Il settore dell’energia, considerato il suo carattere strategico, è d’importanza vitale per l’indipendenza e la sovranità di un paese. Subordinarlo a interessi privati nazionali e transnazionali è un affronto alla sovranità dei popoli, ai diritti dei lavoratori e delle popolazioni.
Pertanto rifiutiamo una volta di più la liberalizzazione del gas e dell’elettricità e ne difendiamo il mantenimento nell’ambito del settore pubblico come unica garanzia di accesso a un servizio continuo, di qualità e a prezzi accessibili.
Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la liberalizzazione dei settori del gas e dell’elettricità perché non credo che la separazione della proprietà del settore della distribuzione costituisca il mezzo più efficace per promuovere l’investimento in queste infrastrutture. Come la relazione riconosce, “questo modello non risolve tutti i problemi, quali le interconnessioni o i punti di congestione”. Il fatto è che il mercato dell’elettricità e quello del gas necessitano di considerevoli investimenti. Non è eliminando i grandi operatori del mercato che l’Unione riuscirà a garantire la sicurezza dei suoi approvvigionamenti. Stranamente, i paesi europei che hanno liberalizzato di più hanno anche i prezzi più elevati per i consumatori.
Bairbre de Brún e Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Il Sinn Féin ha respinto la relazione Vidal-Quadras sul mercato interno del gas e dell’elettricità perché pone l’accento sulla privatizzazione e la “separazione delle proprietà”. Gli Stati membri devono conservare il diritto di possedere e gestire in toto i loro sistemi energetici se ritengono che sia giusto farlo.
In quanto partito di tutta l’Irlanda, pensiamo allo sviluppo di un mercato energetico di tutto il nostro paese che sia pienamente integrato e gestito in modo affidabile. Le interconnessioni tra il nord e il sud sono importanti elementi infrastrutturali per la creazione di un’economia panirlandese.
Dominique Vlasto (PPE-DE), per iscritto. – (FR) La delegazione dell’UMP (Unione per la maggioranza presidenziale) tiene a ricordare e a sottolineare che la separazione della proprietà non è la risposta migliore da dare alle attuali disfunzioni dei mercati.
In un contesto di forte concorrenza che vede emergere potenti operatori non europei, ci sembra pericoloso smantellare le imprese energetiche europee in nome di un approccio dogmatico alla politica di concorrenza, ben lontano dalle strategie industriali che dovrebbero rafforzare l’Unione nella concorrenza a livello mondiale.
L’approvvigionamento energetico europeo è una risorsa strategica a lungo termine che richiede di garantirne la sicurezza al di là della durata di un singolo contratto. Questa sicurezza dell’approvvigionamento energetico dipende da investimenti che sono già nettamente insufficienti e che dovranno comunque aumentare in misura considerevole per rispondere alle nostre esigenze future, che si tratti di gas o elettricità.
La separazione della proprietà significa che i nostri operatori energetici tradizionali non potranno realizzare questi investimenti nelle reti energetiche. Affidare questa risorsa a nuovi arrivati, che non avranno necessariamente i mezzi finanziari occorrenti, o a imprese non europee che non condividono necessariamente la nostra valutazione delle nostre esigenze future, è molto pericoloso e preoccupante.
In queste condizioni, la delegazione dell’UMP attende dalla Commissione l’elaborazione di un approccio alternativo alla separazione della proprietà.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Le proteine animali non fanno parte del regime alimentare naturale – e sottolineo la parola “naturale” –, per esempio, di un bovino adulto.
Attualmente molti sembrano aver dimenticato – o fingono di aver dimenticato – le conseguenze della crisi della “mucca pazza” – BSE – per la salute umana e animale, nonché le conseguenze socioeconomiche sottese al modello di produzione intensiva che ne era all’origine.
La presente relazione sostiene l’abolizione del divieto di usare la farina e l’olio di pesce nell’alimentazione dei ruminanti. L’intenzione è quella di incrementare ulteriormente i profitti dell’agroindustria e dei grandi allevatori.
Dobbiamo respingere questo proposito, non solo perché si tratta di una misura legata allo sviluppo della produzione intensiva e della verticalizzazione della produzione agricola, e perché incoraggerebbe la pesca su scala industriale al fine di ottenere farina e olio di pesce per l’alimentazione, in particolare dei ruminanti – quando, in un contesto di penuria, si dovrebbero valorizzare maggiormente le risorse alieutiche marittime per l’alimentazione umana –, ma soprattutto perché permangono rischi per la salute umana e animale.
Riteniamo quindi necessaria l’applicazione del principio precauzionale. Pertanto, deploriamo la bocciatura della nostra proposta di abolire il divieto in vigore.