Jaroslav Zvěřina (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, non ho sostenuto la proposta di istituire un Istituto europeo di tecnologia. Naturalmente, come la maggior parte di voi, desidero che l’Unione europea si adegui e produca più invenzioni e più brevetti.
Tuttavia, dopo aver ascoltato questa discussione, non penso che la creazione di un’altra istituzione sia un passo nella giusta direzione. Le nostre università e i nostri istituti di ricerca non riceveranno più fondi, semmai avranno un altro istituto col quale competere per ottenere contributi per la ricerca. Né il voto della nostra venerabile Istituzione ha creato un nuovo corpo di super scienziati. L’istituto sarà gestito da scienziati che lasceranno le università dove si trovano adesso. Credo quindi che sarebbe meglio se destinassimo i fondi disponibili, qualora riuscissimo a trovarli, alle migliori equipe scientifiche attraverso contributi per la ricerca.
Miroslav Mikolášik (PPE-DE). – (SK) Se vogliamo veramente superare gli USA, il Giappone e gli altri paesi leader nelle scienze e nella tecnologia e se vogliamo che l’Europa dia il la, dobbiamo creare le precondizioni necessarie.
I centri di eccellenza devono disporre di tutte le condizioni e precondizioni del caso. L’Istituto europeo di tecnologia è un passo nella direzione giusta. E’ una vergogna che si sia tardato tanto a prendere questa decisione. Credo che i problemi relativi al sufficiente finanziamento dello IET possano essere adeguatamente risolti.
Sostengo anche l’idea di un cofinanziamento secondo il principio della collaborazione pubblico-privato, come avviene, per esempio, nei centri di ricerca degli Stati Uniti. Vorrei anche che gli scienziati e i ricercatori dei nuovi paesi venissero selezionati e coinvolti nelle équipe scientifiche e che il consiglio di amministrazione fosse soggetto al controllo del Parlamento europeo. Gli obiettivi di ricerca dovrebbero riflettere il settimo programma quadro per la ricerca scientifica e solamente la ricerca sulle cellule staminali non dovrebbe essere finanziata dai contribuenti dei paesi nei quali questa ricerca è illegale.
Tomáš Zatloukal (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, mi sia consentita un’osservazione riguardo alla votazione sulla creazione dell’Istituto europeo di tecnologia. Ho votato a favore della proposta perché questa è la prima volta che abbiamo un sistema che integri i settori della ricerca, dell’istruzione e quello economico.
Si tratta di un progetto fondamentale nell’area dell’innovazione europea e come altri progetti analoghi è accompagnato da problemi, in questo caso soprattutto da problemi finanziari. Detto questo, la proposta di creare l’Istituto e di dargli sufficiente spazio per giustificare la sua esistenza futura merita il nostro appoggio.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, vorrei dire due parole sull’Istituto europeo di tecnologia. Vorrei prima di tutto ringraziare il relatore, onorevole Paasilinna. Egli ha svolto un eccellente lavoro. So che è un esperto nel campo dell’istruzione e della ricerca e in altri ambiti analoghi.
Questo è un progetto molto ambizioso, ma vorrei comunque sottolineare che, prima di fondare nuovi istituti in Europa, sarebbe importante garantire che le Istituzioni esistenti ricevano finanziamenti adeguati. Di conseguenza, dovremmo anche garantire che la rete esistente di università possa ottenere un sostegno adeguato e fare così nuova ricerca.
Nella votazione ho seguito la raccomandazione dell’onorevole Paasilinna, ma chiederei al Parlamento di ricordarsi che le esistenti comunità di ricerca dovrebbero ottenere i finanziamenti loro destinati e che questo nuovo istituto non dovrebbe mangiare i soldi messi da parte per loro. Chiedo che questo venga messo a verbale e che sia preso in considerazione quando si prenderanno le decisioni.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione Paasilinna sull’Istituto europeo di tecnologia perché credo che possa contribuire in modo decisivo ad aumentare la competitività dell’economia europea, rafforzando le sinergie tra innovazione, ricerca e istruzione.
Appoggio quindi le proposte presentate dal relatore, il cui obiettivo è di definire chiaramente le fonti dei finanziamenti del futuro Istituto europeo di tecnologia in modo che possa essere operativo il prima possibile e possa adempiere con successo la propria missione, conformemente agli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Alla luce della posizione assunta da varie organizzazioni di ricerca, la nostra posizione sulla creazione dell’Istituto europeo di tecnologia è molto critica. Ad esempio, l’anno scorso la Lega delle Università europee di ricerca ha presentato uno studio secondo il quale il progetto dell’Istituto europeo di tecnologia sarebbe “mal concepito e destinato al fallimento”. Euroscience, un’organizzazione europea di scienziati e di esperti politici, l’ha definita “un’idea politicamente motivata che poggia su premesse sbagliate”. Il consulente scientifico del Regno Unito, Robert May, ha detto che “è basato su un fraintendimento dell’innovazione”.
Questo istituto sarà virtuale, composto da scienziati che lavorano in università, laboratori di ricerca e società dell’Unione europea e non rilascerà qualifiche, contrariamente a quanto era stato proposto in origine. Sotto la pressione di diversi paesi che volevano ospitare l’Istituto, è diventato virtuale, una specie di portale per consultare le comunità scientifiche nei diversi campi. Il Parlamento europeo ha appena approvato alcuni emendamenti alla proposta della Commissione, ma secondo noi sono insufficienti per raddrizzare qualcosa che è nato storto.
Per quanto riguarda il finanziamento, una delle opzioni è il bilancio comunitario, compresi gli stanziamenti destinati alla ricerca, e finirà con l’essere un altro modo per sostenere i paesi sviluppati e aggravare così le disuguaglianze.
Janusz Lewandowski (PPE-DE), per iscritto. − (PL)Signor Presidente, il concetto di un Istituto europeo di tecnologia è cambiato nel corso delle accese discussioni su come promuovere l’innovazione nell’Unione europea. Inizialmente, nel quadro della strategia di Lisbona, l’Istituto avrebbe dovuto essere l’equivalente del Massachusetts Institute of Technology. In altre parole, avrebbe dovuto essere parte della nostra strategia per competere con gli Stati Uniti. In un mondo globale in rapido cambiamento, stiamo invece pensando a una rete di comunità della conoscenza e dell’innovazione, le cosiddette CCI, coordinate da un organismo centrale. Questo si riflette nella separazione di due linee di bilancio distinte negli emendamenti presentati dal Parlamento europeo al progetto di bilancio per il 2008 (finanziamenti separati per la rete e per l’organismo di coordinamento). Sembra che si stia trovando una soluzione al finanziamento di questo progetto, visto che la Commissione europea ha proposto di riesaminare la prospettiva di bilancio 2007-2013, in particolare alzando il limite della rubrica 1A, riducendolo al tempo stesso per altre rubriche. Questo conferma ancora una volta che il Parlamento non si era sbagliato quando aveva rilevato il livello eccessivamente basso delle risorse di bilancio allocate agli obiettivi della strategia di Lisbona.
Vorrei anche appoggiare la candidatura di Wrocław come sede dell’Istituto europeo di tecnologia. Devo far notare, tuttavia, che non basta finanziare maggiormente la ricerca e lo sviluppo e creare un nuovo istituto per garantire che l’Europa diventi competitiva e innovativa. Saranno lo sviluppo di una cultura imprenditoriale, la volontà di assumersi rischi e le connessioni pratiche tra gli ambienti della ricerca e dello sviluppo e l’imprenditoria privata a determinarlo.
Erika Mann (PSE), per iscritto. − (DE) A mio avviso, la decisione di perseverare nell’idea di un Istituto europeo di tecnologia è un errore. Nessuna delle argomentazioni presentate è convincente perché partono da premesse sbagliate.
1. Anche l’idea originaria presentata dal Presidente della Commissione Barroso di creare lo IET come risposta al MIT americano ignorava la realtà e la proposta messa oggi ai voti peggiora ulteriormente l’idea originale. Il MIT si è sviluppato grazie a ingenti finanziamenti e ad aiuti di vario genere e in Europa numerosi “mini MIT” stanno già facendo ricerca di eccellenza a livello internazionale. Il problema dell’Europa è un sostegno finanziario e morale inadeguato per l’innovazione e la ricerca di eccellenza.
2. Il finanziamento proposto di 309 milioni di euro resi disponibili da una linea di bilancio di riserva blocca altre iniziative parlamentari, come il progetto d’importanza strategica Galileo. La proposta di finanziamento ammonta ad appena un ottavo del bilancio stimato e quindi non offre alcun incentivo per altre iniziative private serie. Nel settore dei biocarburanti, la BP ha investito 500 milioni di dollari americani solo alla Berkley, negli Stati Uniti.
3. Lo IET avrebbe delle possibilità di successo grazie alle generose fonti di finanziamento di cui dispone e agli stanziamenti per gli istituti europei di eccellenza già esistenti. L’Unione europea potrebbe per esempio seguire il modello canadese e istituire un fondo per l’innovazione finanziato con i soldi rimasti nel bilancio europeo alla fine dell’anno.
4. Così come è prevista, la struttura della rete è un istituto sovranazionale virtuale senza vera rilevanza nel panorama della ricerca europea e internazionale. E’ un compromesso infelice e burocratico.
Ho quindi votato contro la proposta.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Approvo in linea di principio l’idea di un Istituto europeo di tecnologia. Tuttavia, mi sono astenuto sulla risoluzione perché non penso che abbiamo ancora risolto in modo soddisfacente le questioni relative agli obiettivi, alla gestione e alle finanze dell’Istituto.
Pierre Pribetich (PSE), per iscritto. – (FR) Martedì 25 settembre, ho appoggiato il mio collega Reino Paasilinna votando a favore dell’Istituto europeo di tecnologia (IET).
Questa relazione riflette un reale desiderio di convergere verso una società della conoscenza. La creazione nell’Unione europea di strumenti che promuovano l’integrazione dell’innovazione, della ricerca e dell’istruzione contribuirà a stimolare la competitività all’interno dell’economia europea.
L’attività dello IET farà capo a un consiglio di amministrazione coadiuvato da personale scientifico e amministrativo. Questo consiglio designerà le comunità della conoscenza e dell’innovazione (CCI) responsabili dell’attuazione delle priorità strategiche dello IET.
Al tempo stesso, tuttavia, rincresce che manchino le risorse finanziarie di cui si è parlato. A lungo termine ciò potrebbe compromettere quest’iniziativa così promettente.
Dobbiamo tutti essere consapevoli dell’assoluta necessità di dotare l’Unione europea di progetti comunitari che garantiscano il suo sviluppo nel contesto della strategia di Lisbona.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) L’Unione europea è adesso a un reale crocevia in termini di capacità competitiva rispetto al resto del mondo. Benché sia molto attraente sotto molti aspetti, sia storici e culturali sia economici e turistici, essa non può sottrarsi alle grandi sfide della concorrenza globale con le economie asiatiche emergenti. La nostra capacità di essere uno spazio attraente per la conoscenza e l’innovazione è messa in dubbio.
Credo che questa votazione sull’Istituto europeo di tecnologia segni un’importante passo verso la costruzione a livello europeo di un quadro di misure basato sul triangolo innovazione, ricerca e istruzione per aiutare la nostra economia a crescere e a svilupparsi. Credo che non debbano essere i salari bassi e la manodopera a buon mercato a rendere l’Unione europea attraente per gli investimenti e per la crescita delle nostre aziende. Il futuro è delle imprese che capiscono di dover investire nella formazione di personale altamente qualificato, in modo che la società interagisca con l’industria e con le imprese per sviluppare risposte di alta qualità e altamente innovative alle necessità dinamiche ed esigenti dei mercati.
Dominique Vlasto (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Quando la Commissione europea ha proposto di fondare l’Istituto europeo di tecnologia (IET) l’idea era quella di creare un nuovo centro di eccellenza per l’istruzione superiore, la ricerca e l’innovazione. Quest’ambizione si scontra con lo spinoso problema dei finanziamenti e finora non è stata trovata alcuna risposta soddisfacente o definitiva a questo problema. Ciò è estremamente preoccupante perché sminuisce la credibilità dello IET prima ancora che sia stato istituito.
L’idea che lo IET rilasci titoli con un marchio o un’etichetta IET potrebbe contribuire a risolvere il problema di visibilità di cui soffre la ricerca europea, dando al tempo stesso riconoscimento a progetti la cui eccellenza e qualità hanno meritato questo titolo. Mi sembra che un sistema flessibile che si adatti bene alla diversità europea, possa stimolare una sana concorrenza tra le università e i progetti di ricerca.
Credo che un altro imperativo sia coinvolgere il settore privato nel progetto dello IET. Il ruolo delle autorità pubbliche dovrebbe limitarsi alla promozione e alla strutturazione dei vari strumenti necessari. Tutto il resto, vale a dire il finanziamento, l’organizzazione e la gestione dello IET, dovrebbe spettare al settore privato. Soprattutto, secondo me, lo IET non dovrebbe assolutamente diventare l’ennesima agenzia dell’UE.
Nonostante queste riserve, ho comunque dato il mio sostegno alla relazione per offrire allo IET una possibilità di successo.
Glenis Willmott (PSE), per iscritto. − (EN) L’EPLP ha scelto di astenersi sia sulla proposta modificata sia sulla risoluzione legislativa per la relazione: Istituto europeo di tecnologia. Siamo a favore degli obiettivi generali della proposta e dell’accento che pone sull’innovazione, ma i soldi dell’Unione europea e degli Stati membri sarebbero meglio spesi se venissero destinati alle università esistenti e ai programmi quadro per la ricerca nell’UE. Riteniamo che la struttura amministrativa dello IET debba essere meno burocratica possibile e quindi con meno dei 21 membri proposti. La questione del finanziamento privato e pubblico dello IET desta ancora preoccupazione. Poiché la proposta della Commissione di finanziare lo IET prevede la riapertura di prospettive finanziarie, non possiamo sostenere la relazione.
Frank Vanhecke (ITS). – (NL) Signor Presidente, desidero spiegare perché ho votato contro la relazione Duff, benché la relazione Duff non sia di per sé criticabile. E’ perché sono contrario alla filosofia federale europea su cui è improntata la relazione.
In poche parole, sono contrario allo stato federale europeo e quindi automaticamente sono contrario alla cittadinanza europea e questo diritto di voto e di eleggibilità per i cittadini europei che risiedono in un altro Stato membro ne è parte integrante. Credo che l’Unione debba rimanere una comunità di democrazie nazionali, nelle quali il diritto di voto e di eleggibilità a qualsiasi tipo di elezione debba continuare a essere una prerogativa dei cittadini dello Stato in questione. Il fatto che la cittadinanza UE sia sistematicamente confermata e ampliata e che adesso si renda vincolante anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è effettivamente un segno dell’evoluzione dell’Unione europea.
Bogusław Rogalski (UEN). – (PL) Signor Presidente, oggi abbiamo votato e approvato la relazione dell’onorevole Duff sull’esercizio del diritto di voto e di eleggibilità al Parlamento europeo per i cittadini dell’Unione che risiedono in un altro Stato membro.
Non posso sostenere questa relazione perché sono contrario alle intenzioni dei relatori. A mio avviso questo sistema elettorale e di eleggibilità al Parlamento europeo non favorirà le relazioni di buon vicinato tra i paesi, soprattutto se confinanti. Nel corso degli anni, i paesi con minoranze nazionali importanti hanno elaborato norme intese a evitare i conflitti di natura nazionalistica.
La modalità di voto adottata può riaccendere tali conflitti, che sono contrari allo spirito di coesistenza pacifica tra le nazioni d’Europa, perché i cittadini che non hanno la nazionalità di un determinato stato potranno votare e candidarsi in quel paese. Vi saranno inevitabilmente degli abusi, per esempio potrebbe essere fornito un domicilio fittizio solo per indebolire la voce di un dato paese e manovrare l’esito delle elezioni. Verificare le informazioni necessarie è difficile e costoso.
Inoltre, questa modalità di voto rafforzerà i movimenti separatisti, che non è certamente ciò che auspichiamo per l’Europa di oggi. Mi rincresce che a questo riguardo, per ragioni poco chiare, si voglia imporre dall’alto la nostra volontà agli Stati membri interferendo così nelle procedure elettorali nazionali.
Daniel Hannan (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, tra tutte le argomentazioni avanzate dai sostenitori della Costituzione europea, forse la più insensata è che la cittadinanza europea non pregiudichi quella nazionale. I diritti che una volta erano conferiti dalla nazionalità sono stati erosi uno ad uno: il diritto di eleggere i propri rappresentanti e ancor più il diritto di pretendere prestazioni sociali.
Qualsiasi osservatore neutrale ne concluderebbe che la cittadinanza europea stia diventando lo status giuridico principale dei nostri elettori e la cittadinanza nazionale una categoria secondaria, quasi folcloristica.
Accetto il fatto che la maggioranza di questo Parlamento voglia andare in questa direzione, ma per piacere siate onesti! Che non si dica che questo non abbia alcuna ripercussione sullo status dei miei elettori in quanto cittadini britannici.
Ignasi Guardans Cambó (ALDE), per iscritto. − (ES) Ho l’impressione che l’approvazione di questa relazione sia un grave errore e un atto estremamente irresponsabile; quindi voto contro.
Dobbiamo ricordare in primo luogo che non esiste un sistema elettorale europeo. La cosa sarebbe diversa se a un certo punto se ne istituisse uno (e lo sosterrei). Nel frattempo, le elezioni europee devono essere in linea con il sistema elettorale di ogni Stato membro. La relazione Duff propone l’abrogazione delle candidature doppie o multiple alle elezioni del Parlamento europeo. Lo stesso candidato potrebbe presentarsi in diversi Stati e dopo le elezioni scegliere quale seggio mantenere.
Oltre alle ovvie complicazioni organizzative, ciò rappresenterebbe un’evidente frode nei confronti degli elettori, senza nulla aggiunge alla rispettabilità del Parlamento che vogliamo costruire.
Inoltre, la proposta posta oggi ai voti sopprime il riconoscimento obbligatorio delle decisioni giudiziali (civili e penali) in relazione alla capacità di presentarsi di un candidato, permettendo a chi è stato dichiarato ineleggibile da un tribunale dello Stato del quale ha la nazionalità di presentarsi in un altro Stato. Questo contraddice le prassi della giustizia europea e degli affari interni e possiamo facilmente immaginare le situazioni vergognose che si verrebbero a creare.
Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE), per iscritto. − (RO) Il sistema di scambio di informazioni tra gli Stati membri è così lento che in pratica pochissimi cittadini sanno come usare il diritto loro conferito dal Trattato di votare alle elezioni del Parlamento europeo, qualora risiedano in un altro paese europeo. La voce di queste persone deve essere ascoltata e dobbiamo agevolare il loro accesso alla vita politica del paese di residenza; è per questo che sostengo la sostituzione del sistema attuale con la richiesta di compilare una dichiarazione giurata.
Per i residenti che desiderino candidarsi alle elezioni europee, l’obbligo di ottenere un attestato nazionale è sproporzionato all’obiettivo generale della direttiva 93/109/CE. In pratica, ottenere un attestato di questo genere dalle istituzioni del paese di cui si ha la cittadinanza è molto difficile e richiede anche molto tempo. Questo obbligo formale porta all’abrogazione del diritto garantito dal Trattato.
Una futura proposta della Commissione europea dovrebbe anche contemplare la questione della creazione di partiti politici composti da cittadini stranieri. Le leggi elettorali degli Stati membri non devono fare distinzione tra partiti nazionali, composti da cittadini del paese in questione, e altri partiti. La rappresentanza politica alle elezioni europee è una questione molto importante per paesi come la Romania, che hanno una buona parte della popolazione che risiede in un altro Stato membro dell’Unione europea.
Carl Lang (ITS), per iscritto. – (FR) Se i cittadini europei non votano numerosi nei loro paesi di residenza e se il tasso di partecipazione alle elezioni europee non è all’altezza delle aspirazioni degli eurocrati non è perché l’applicazione del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni europee sia stata resa estremamente complessa dall’obbligo di scambiare informazioni tra gli Stati membri.
E’ semplicemente perché la vostra burocrazia e le sue politiche appaiono loro, nella migliore delle ipotesi, senza senso e incomprensibili e, nella peggiore, pericolose e inoltre perché molti cittadini europei che non risiedono nel loro paese d’origine preferiscono partecipare alle elezioni parlamentari nella loro nazione.
La relazione, poi, sfrutta questa pseudo semplificazione tecnica per cercare di autorizzare le candidature multiple, in altre parole la presenza dello stesso candidato in diversi paesi, cosa che sarebbe un vantaggio eccessivo del diritto comune per i soli residenti stranieri, e cerca inoltre di aggirare le leggi degli Stati membri in materia di ineleggibilità. Questo è assolutamente inaccettabile.
Per noi la cittadinanza è indissolubilmente legata alla nazionalità e i diritti che comporta, in particolare quelli elettorali, possono essere esercitati solo all’interno del contesto nazionale. Se un cittadino europeo vuole partecipare alla vita democratica nel suo paese di accoglienza, ha sempre una possibilità: la naturalizzazione.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore questa relazione che dovrebbe semplificare alle autorità competenti e ai cittadini l’esercizio del diritto di voto alle elezioni europee. Sono favorevole all’abolizione dell’attuale sistema di scambio d’informazioni, mantenendo però la dichiarazione individuale con cui un cittadino si impegna a non votare o a non candidarsi due volte.
- Proposta di Regolamento del Consiglio – Ritiro dei seminativi dalla produzione per l’anno 2008
Agnes Schierhuber (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, è assolutamente giusto porre fine al ritiro dei seminativi dalla produzione. La domanda di derrate alimentari, di foraggio e di materie prime rinnovabili è in costante crescita ed è quindi imperativo mantenere produttive queste aree. Il ritiro dei seminativi dalla produzione è stata una misura che gli agricoltori non hanno mai voluto ma che hanno dovuto accettare perché necessaria. Gli agricoltori vogliono produrre! Spero che questa misura non valga solo per uno o due anni ma che sia definitiva. Dà anche al settore agricolo l’opportunità di contribuire agli ambiziosi obiettivi dell’Unione europea di ridurre le emissioni di CO2.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Non solo siamo d’accordo che sia giusto, nel 2008, permettere la coltivazione a fini agricoli dei seminativi ritirati dalla produzione, ma riteniamo anche che la deroga debba esse applicata più a lungo. Abbiamo quindi presentato una proposta per il 2009 e il 2010 e si è convenuto di includere il 2009. In questo modo si potrà permettere agli agricoltori una migliore pianificazione in una situazione di prezzi eccezionalmente alti nel mercato dei cereali.
Tuttavia, questa misura non risolve la questione di fondo riguardo alla necessità di aumentare la produzione, l’offerta di ogni Stato membro e l’occupazione nelle zone rurali.
Dobbiamo inoltre attirare l’attenzione sulla carenza di cereali nel mercato europeo e sull’effetto negativo della speculazione sui biocarburanti, come deciso dal Consiglio, sia sull’offerta che sui prezzi.
Reiteriamo la necessità di una revisione approfondita della PAC (politica agricola comune) per tener conto delle caratteristiche del suolo e della biodiversità in ogni paese, per adattare la rotazione delle colture e garantire agli agricoltori un reddito sufficiente senza compromettere gli interessi dei consumatori in termini di cibo sano e di alta qualità.
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Avreste mai creduto che dopo aver accusato per decenni la politica agricola comune di tutti i mali, di costare troppo e soprattutto di produrre fiumi di latte e montagne di cereali che non potevano essere venduti sul mercato, avremmo adesso scoperto che dobbiamo smettere di ridurre la nostra capacità produttiva in questi settori?
Apprezzo la reazione rapida del Commissario in seguito all’impennata dei prezzi, che per i nostri agricoltori è stata sicuramente lucrativa: porre fine al ritiro dei seminativi dalla produzione per incoraggiare i nostri agricoltori e produttori a produrre più cereali così da allentare la pressione sul mercato.
Dovrebbe reagire altrettanto rapidamente per aumentare le quote di latte e abolire la sovrattassa in caso di superamento della quota a livello nazionale. Spero, inoltre, che questo serva di lezione alla Commissione, che vuole anche ridurre di 200 000 ettari la capacità di produzione di vino, senza considerazione alcuna per la possibilità che i produttori di vino europei hanno di esportare verso i mercati emergenti come la Cina e l’India.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Considerate le diverse condizioni del mercato, capisco e appoggio la proposta della Commissione di azzerare nel 2008 il ritiro dei seminativi. Tale misura dovrebbe aumentare la produzione di almeno 10 milioni di tonnellate di cereali e alleggerire la pressione sui prezzi dei cereali in aumento.
Jean-Claude Martinez (ITS), per iscritto. – (FR) Dal 1992 ci siamo sentiti dire dalla Commissione a Bruxelles che c’erano montagne di cereali, per non parlare degli oceani di latte e dei frigoriferi pronti a scoppiare. Bisognava quindi ritirare i seminativi europei dalla produzione e limitare la produzione. L’emisfero meridionale e gli Stati Uniti esigevano dall’OMC il monopolio del grano e dei semi oleosi.
Vorrei ricordarvi che nel quadro del ciclo dell’Uruguay e con l’accordo di Blair House nel 1992, la Commissione europea ha accettato di limitare a 5 milioni di ettari le aree coltivate a semi oleosi.
Quello che doveva succedere è successo. L’agricoltura è soggetta ai capricci del clima. Giuseppe, nella Bibbia, lo spiegava già al faraone. Siccità in Australia, crollo della produzione in Ucraina e domanda sempre in aumento in Cina, in India e in Africa: tutti questi fattori fanno impennare i prezzi dei cereali e del granturco.
Dopo aver pagato i nostri agricoltori sin dal 1993 perché non producessero, dopo aver persino eliminato gli aiuti alla produzione e dopo aver ritirato dalla produzione milioni di ettari quando un terzo dell’umanità soffriva la fame, la Commissione di Bruxelles scopre adesso che c’è una carenza di cereali e che le scorte stanno crollando. E quindi fa marcia indietro sul ritiro dei seminativi.
Così sarà anche per il vino. E’ già successo per il burro e la carne. La confusione e Malthus imperano.
Brian Simpson (PSE), per iscritto. − (EN) Uno dei grandi misteri per i cittadini dell’Unione europea è come si possa escogitare un sistema per pagare gli agricoltori affinché lascino la terra incolta. Ora, mentre capisco che alcune rispettabili organizzazioni nel Regno Unito, come la RSPB, usino questo sistema per finanziare il loro eccellente lavoro, non può essere giusto lasciare incolta della buona terra e pagare gli agricoltori perché la lascino tale.
E’ per questo che appoggio la totale abolizione del ritiro dei seminativi dalla produzione. Parallelamente, però, dobbiamo garantire che i nostri agricoltori e altri soggetti siano incoraggiati a coltivare la terra e a renderla produttiva aiutandoli con altri mezzi.
Se vogliamo seriamente riformare la PAC, la prima riforma da fare è porre fine al ritiro dei seminativi dalla produzione. E’ per questo motivo che sosterrò le proposte della Commissione.
Kathy Sinnott (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, vorrei che i membri del Parlamento prendessero nota di come ho votato.
Quello che vogliamo ottenere è proteggere i bambini e lo faremo. Non dovremmo accettare alcun compromesso sui prodotti chimici e prodotti inquinanti che possano in qualche modo danneggiare le loro funzioni e il loro sviluppo. Le imprese devono rendersene conto.
Non dobbiamo però fermarci qui. Dobbiamo anche considerare seriamente la pressione che subiscono le aziende. Le aziende operanti in Cina subiscono pressioni da parte del governo cinese. Le regole del gioco in Cina sono molto diverse dal resto del mondo. Se una ditta vuole svolgere la propria attività in questo paese deve cedere al governo gran parte delle procedure decisionali e di gestione.
La Cina introduce incentivi che controllano le operazioni verticali della produzione. Le macchine usate dalla Mattel per produrre quei 21 milioni di giocattoli sono fabbricate in Cina e di proprietà cinese. Gli stampi usati per dare forma alla plastica e poi metterla nei macchinari per estrudere tutti questi giocattoli sono di proprietà cinese. Il motivo è che i cinesi sovvenzionano le parti dell’azienda che rimangono in Cina e rompere con questo sistema aumenta i costi del 20 %.
La Cina, quindi, controlla le attività commerciali molto più di quanto noi crediamo e dobbiamo tenerne conto per la sicurezza dei giocattoli. Non dobbiamo tollerarlo, come non possiamo più tollerare le pratiche della Cina in materia di diritti umani e di ambiente.
Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. − (EN) Ho ripetutamente invitato la Commissione europea a sostenere una legislazione che renda obbligatorio il marchio del paese d’origine per tutti i prodotti importati. E’ di estrema importanza perché come è stato scoperto nel 2006, il 17% dei prodotti non sicuri, compresi i giocattoli, aveva un’origine imprecisata, mentre il 58% proveniva da paesi terzi.
E’ vero che il 48% dei prodotti non sicuri individuati era di origine cinese, ma non si deve per questo presumere che sia colpa solo di un controllo di qualità carente da parte dei produttori cinesi. E’ stato dimostrato, per esempio, che dei 21 milioni di giocattoli richiamati dal mercato negli ultimi tre mesi dalla ditta americana Mattel (che produce i propri prodotti anche in Europa e con il marchio Fisher-Price), 18 milioni erano stati richiamati per difetti di progettazione imputabili alla Mattel e non per difetti di fabbricazione.
E’ chiaro da tempo che sono necessarie penali più severe nei confronti sia dei produttori sia degli importatori al fine di garantire che prendano sul serio la loro responsabilità verso i consumatori, in questo caso verso bambini indifesi. Ma alcuni Stati membri continuano a opporsi al cambiamento su ordine degli importatori e delle ditte che terziarizzano la produzione.
Brigitte Douay (PSE), per iscritto. – (FR) La globalizzazione degli scambi e la mancanza di trasparenza e d’informazione sulle origini dei vari prodotti commercializzati nell’Unione europea aumentano il rischio di acquistare merce pericolosa, difettosa o contraffatta.
La risoluzione comune sulla sicurezza dei prodotti, in particolare dei giocattoli, a favore della quale ho votato mercoledì, è stata adottata da quasi tutti i gruppi. E’ un altro esempio dell’impegno dimostrato dall’Unione europea e in particolare dal Parlamento europeo a favore della protezione dei consumatori.
Insistendo sui requisiti in materia di sicurezza, di affidabilità del marchio comunitario, di lotta contro le merci contraffatte e di introduzione della tracciabilità, questa risoluzione permetterà di meglio tutelare i consumatori e soprattutto i bambini.
La richiesta di maggior cooperazione con i paesi terzi interessati non deve comunque far passare in secondo piano la responsabilità delle aziende che fanno gli ordini, perché spetta a loro garantire che le caratteristiche tecniche del loro prodotto siano conformi ai requisiti sanitari e di sicurezza.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione “Giocattoli pericolosi fabbricati in Cina” perché considero essenziale adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire non solo che i prodotti commercializzati nell’Unione europea siano conformi alle vigenti norme UE, ma anche che non mettano a repentaglio la salute e la sicurezza dei consumatori. Credo quindi che la direttiva 88/378/CE sulla sicurezza dei giocattoli debba essere rivista il più presto possibile e che debba contemplare requisiti pertinenti ed efficaci per la sicurezza dei prodotti.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) La salvaguardia della sicurezza dei prodotti, dei giocattoli specialmente, è una priorità per la tutela della salute pubblica e dei bambini in particolare.
Le verifiche necessarie e i controlli di qualità dei prodotti sono un meccanismo imprescindibile per raggiungere questo obiettivo. Le aziende e le autorità pubbliche nazionali competenti dovrebbero svolgere questo controllo e questa certificazione come misura preventiva.
Poiché la legislazione definisce tutte le norme di sicurezza che i prodotti devono rispettare, sta all’azienda o alle aziende progettare, produrre e commercializzare questi prodotti assumendosi così la responsabilità.
La reazione iniziale in presenza di prodotti non sicuri o dannosi per la salute, in particolare giocattoli importati da paesi terzi, è di cercare di addossare la colpa agli altri, al punto che il Financial Times ha osservato che la ditta Mattel si era formalmente scusata con il governo e con i cittadini cinesi. Va sottolineato che molti prodotti importati sono fabbricati in paesi terzi, ma che i proprietari sono grandi multinazionali con sede nell’Unione europea, le quali, avide di profitti, trasferiscono la loro produzione altrove.
Inoltre, focalizzando la discussione sulla cattiva qualità dei prodotti importati, si nasconde il fatto che anche molti prodotti fabbricati nell’Unione europea non sono conformi alle norme vigenti.
Malcolm Harbour, Andreas Schwab, Marianne Thyssen e Corien Wortmann-Kool (PPE-DE), per iscritto. − (EN) La risoluzione del Parlamento, adottata oggi a larga maggioranza, s’incentra giustamente sul problema immediato di garantire la sicurezza dei prodotti in conformità delle vigenti direttive UE.
Il gruppo PPE-DE ha sempre insistito sul fatto che la risoluzione dovrebbe concentrarsi senza indugio su proposte pratiche atte a rafforzare la sicurezza del consumatore.
Abbiamo inoltre proposto di valutare un marchio europeo per la sicurezza del consumatore, che i fornitori di beni di consumo possono apporre su base volontaria. Siamo lieti che il Parlamento abbia avallato questa proposta.
E’ con grande interesse che riceveremo la futura direttiva sui giocattoli ed esamineremo senza pregiudizi la riforma proposta dalla Commissione. A nostro avviso, lo sforzo di introdurre in questa risoluzione requisiti molto dettagliati e specifici per la futura direttiva era del tutto superfluo. Abbiamo quindi votato contro le aggiunte proposte, ma questo non diminuisce affatto il nostro interesse e la nostra preoccupazione ad elaborare una direttiva efficace e praticabile quando nel 2008 riceveremo la proposta della Commissione.
Carl Lang (ITS), per iscritto. – (FR) La risoluzione del Parlamento contiene solo poche proposte per porre fine all’importazione di prodotti pericolosi, la metà dei quali proviene dalla Cina. Si concentra sui giocattoli, senza accennare agli indumenti che contengono coloranti tossici, alle medicine pericolose, agli alimenti che contengono ingredienti inadatti al consumo umano, ai prodotti elettrici che prendono fuoco, ai dentifrici fatti con antigelo e la lista continua. Si accontenta anche di misure deboli, che si basano sulla cooperazione e la certificazione, e addossa la responsabilità agli Stati membri invece che alla Cina, alle ditte europee piuttosto che ad altri.
Nella fattispecie, ciò non è sufficiente. E’ ora di applicare sanzioni esemplari contro i paesi che, dopo essere diventati membri dell’OMC, continuano ad adottare pratiche commerciali dubbie, che si tratti di dumping, di contraffazione o di lavoro forzato. E’ vero che i pochi strumenti di difesa commerciale di cui dispone l’Unione europea sono di competenza del Commissario Mandelson, giustamente segnalato per la sua passività in questo ambito.
Se alla fine della giornata avremo adottato questo documento è perché, nonostante tutto, è meglio avere norme irrisorie piuttosto che niente. Almeno è una reazione.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore l’adozione a stragrande maggioranza di questa risoluzione. E’ il messaggio chiaro ai produttori di giocattoli e alla Cina che per i giocattoli per bambini non sarà tollerato il mancato rispetto dei più alti standard di sicurezza. La Cina è stata avvertita che deve migliorare i controlli sulle merci e i metodi di individuazione per ridurre drasticamente il flusso di prodotti pericolosi sul mercato europeo.
Jean-Claude Martinez (ITS), per iscritto. – (FR) I bambini in Vietnam, in Africa e altrove saltano sulle mine. In Europa i nostri bambini soffocano, si avvelenano e sviluppano allergie a causa delle bambole Barbie e dei giocattoli.
Il cinema aveva già suonato il campanello d’allarme con il film “Le père noël est une ordure”. Sta a noi, membri del Parlamento, reagire in nome dei principi di sicurezza e per salvaguardare il futuro demografico del nostro continente, già provato da giochi pericolosi di cui gli adulti fanno largo uso.
E’ il momento di farlo. Quanti volti dalla pelle liscia come una scultura di Brancusi sono stati sin qui devastati da pupazzi in celluloide che hanno preso fuoco al minimo contatto con un fiammifero. I giocattoli uccidono e i bambini del Darfur non sanno quanto siano fortunati per non poter giocare a mangiare.
Tokia Saïfi (PPE-DE), per iscritto. – (FR) In seguito alla massiccia azione di richiamo di giocattoli cinesi da parte del produttore americano Mattel, la Commissione europea sta valutando attentamente la legislazione in materia di sicurezza dei prodotti, in particolare dei giocattoli importati. Il sistema normativo europeo in questo ambito è certo valido, con RAPEX e il marchio CE, ma deve essere rafforzato.
Il Parlamento europeo sta quindi andando oltre e, nell’ambito della sua risoluzione sulla sicurezza dei giocattoli, auspica l’adozione di un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti e la sorveglianza dei mercati. Ripristinare la fiducia dei consumatori e tutelare la salute dei nostri bambini è per me una condizione essenziale. Così, in continuità con la normativa REACH che impone controlli severi sull’uso di prodotti chimici nei nostri beni di consumo, ho votato oggi a favore di un divieto incondizionato dell’uso di qualsiasi sostanza tossica nella fabbricazione di giocattoli.
Inoltre, sostenendo gli emendamenti nn. 8 e 6, sono a favore di un divieto totale dell’uso di ftalati pericolosi in tutti i giocattoli che possano essere portati alla bocca. La sicurezza chimica dei giocattoli non è solo una questione normativa: è anche una questione igienica e come tale è vitale per la sicurezza dei nostri bambini.
Karin Scheele (PSE), per iscritto. − (DE) La risoluzione odierna sottolinea l’urgente bisogno di una revisione della direttiva sui giocattoli. Nella nuova direttiva sui giocattoli, le sostanze CMR – in altre parole le sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione – devono essere vietate. Il Commissario Verheugen ha appoggiato questa richiesta nel corso del dibattito di ieri. Sarà anche necessario porre fine alla confusione sul marchio CE. I consumatori europei credono che questo marchio indichi l’origine del prodotto o che sia un sigillo di qualità. Il marchio CE non assolve nessuna delle due funzioni.
Miroslav Mikolášik (PPE-DE). – (SK) La sicurezza energetica e l’energia sono l’asse attorno al quale ruotano la politica interna ed estera di ogni unione e sono fattori vitali per mantenere la prosperità e, in caso di approvvigionamento gravemente insufficiente, sono una questione di sopravvivenza.
Dobbiamo subito intervenire per liberarci dalla nostra dipendenza per la fornitura di materie prime dalla Russia, che potrebbe in un secondo tempo diventare dipendenza politica. Trovo preoccupante permettere che l’energia possa essere usata come strumento per esercitare pressioni politiche sui paesi di transito e di destinazione. Sono favorevole a sviluppare la dimensione del Mar Nero, la cooperazione con i paesi del Caucaso meridionale e a intensificare i nostri rapporti con la Norvegia, i paesi del Maghreb e del Mashreq, nonché il partenariato euro-mediterraneo. La prevedibilità dei mercati energetici deve essere garantita da accordi con la Cina, l’India e il Brasile e dovremmo instaurare un partenariato con il governo statunitense.
Gli ambientalisti che vedono tutto in termini di netta contrapposizione dovrebbero capire una volta per tutte che la combustione di carburanti “ecologici” e di biomassa aumenta drasticamente la quantità di CO2 nell’atmosfera e che è necessario produrre una parte ragionevole e decisiva di energia nucleare. L’influenza dei verdi fanatici, che sono riusciti a introdurre nella costituzione di uno Stato membro il divieto dell’energia nucleare – qualcosa che sicuramente non inciderà sull’economia di quel paese né su quella dei suoi vicini – ha assunto proporzioni tragicomiche.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). – (FI) Signor Presidente, la sicurezza energetica è una delle componenti essenziali della sicurezza globale europea. La relazione dell’onorevole Saryusz-Wolski risponde a questa sfida per il futuro dell’Europa.
Il problema dell’Unione europea è che il suo livello di autosufficienza energetica sta calando. L’UE importa già metà del suo fabbisogno energetico dall’estero e si stima che nel 2025 la dipendenza dalle importazioni superi il 70%. Per risolvere questo problema abbiamo bisogno di una voce comune risoluta, di una nuova forma di diplomazia energetica e di un Alto rappresentante dell’UE per la politica estera comune sull’energia, che si adoperi in questo senso.
L’attribuzione del mandato per la politica estera in materia di energia all’Unione non deve però indebolire il diritto sovrano degli Stati membri di decidere in merito ai propri mezzi di produzione energetica e alle proprie infrastrutture. Desidero ringraziare il relatore per questo in particolare. La relazione prevede una presa di decisione indipendente da parte degli Stati membri in materia di approvvigionamento energetico.
Lena Ek (ALDE), per iscritto. − (EN) Trasparenza, reciprocità e Stato di diritto sono le pietre angolari della politica energetica europea e di conseguenza della nostra politica estera. Tuttavia non è il momento adatto per aggiungere nuove istituzioni e sono quindi contraria alla creazione di una nuova carica di Alto rappresentante per la politica estera sull’energia, che comprometterebbe anche l’influenza del Parlamento europeo in materia di politica estera energetica.
Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di questa relazione tesa a creare una politica estera comune in materia di energia.
Le soluzioni introdotte devono avere portata internazionale e l’Unione europea deve poter svolgere un ruolo di primo piano. E’ chiaro che oggi l’energia è diventata una vera e propria arma nei negoziati internazionali.
In seguito alla crisi del gas tra la Russia e l’Ucraina nel gennaio del 2006, l’Unione europea ha preso coscienza della propria vulnerabilità in materia di approvvigionamento energetico. Al fine di elaborare una politica estera in materia di energia, la relazione propone essenzialmente di nominare un “Alto rappresentante speciale per l’energia” responsabile del coordinamento delle attività dell’UE in materia. Questo Alto rappresentante per la politica estera sull’energia porterà un doppio cappello, poiché agirà sotto l’autorità dell’Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza comune (PESC) e del Vicepresidente della Commissione europea.
Plaudo a questo sviluppo positivo, che contribuirà a promuovere il dialogo tra i paesi produttori – esempio di partenariato euro-mediterraneo – e i paesi consumatori. Questo permetterà all’UE di difendere i propri interessi in materia di sicurezza energetica nei negoziati con i fornitori esteri.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) L’energia è attualmente una questione strategica.
I diversi paesi europei con una grande dipendenza energetica aspirano a controllare lo sfruttamento delle risorse energetiche esistenti. Da qui la proposta di creare una componente energetica all’interno della politica estera e di sicurezza comune che, se adottata, servirebbe a superare le contraddizioni esistenti tra le principali potenze.
Per fare questo, l’Unione europea dovrebbe annunciare il suo “mercato”, la sua “concorrenza” e il suo allargamento ad altri paesi nel quadro delle cosiddette “comunità dell’energia”, del “trattato sulla Carta dell’energia” – assicurando la “sicurezza degli investimenti” e garantendo un “diritto al risarcimento in caso di espropriazione e/o di nazionalizzazione”– ovvero l’inclusione negli accordi commerciali di una “clausola di sicurezza energetica”. Tutto ciò può essere controllato e da qui deriva il timore della creazione di un’OPEC “versione gas”.
La maggioranza del Parlamento difende anche la “creazione di un partenariato per la sicurezza energetica con gli USA” e, ovviamente, un “dialogo critico e costruttivo” nei confronti dei paesi del Caucaso meridionale, della regione del Caspio e dell’Asia centrale che “trovi un equilibrio tra l’interesse dell’Unione europea a diversificare le proprie forniture di petrolio e gas con l’obiettivo di realizzare riforme politiche in tali paesi” Altre parole per chi? Iraq, Afghanistan, Africa ...?
Janusz Lewandowski (PPE-DE), per iscritto. − (PL) Signor Presidente, l’Unione europea è un grande consumatore di energia e dipende da fonti di energia esterne. Queste ultime sono caratterizzate dall’incertezza e da una potenziale destabilizzazione. Nel caso specifico della Russia e dei paesi del CSI che sono ricchi di risorse naturali, un ulteriore fattore di incertezza è costituito dalla tendenza a usare l’energia come arma a fini politici, come abbiamo già avuto modo di vedere. Una situazione del genere avrebbe dovuto indurre l’Unione europea a far quadrato e a restare unita nelle situazioni di crisi, ma i diversi interessi nazionali di paesi che, come i paesi post-comunisti non rischiano di essere vittime del ricatto energetico, hanno fatto sì che questa reazione si sviluppasse invece molto lentamente.
La relazione dell’onorevole Saryusz-Wolski è un passo nella direzione giusta. E’ un appello a fondare la relazione UE-Russia sulla fiducia reciproca e sul rispetto dei principi enunciati nella Carta per l’energia.
Il contesto del dibattito in corso è definito dagli sforzi paralleli della Commissione europea di liberalizzare il mercato energetico dell’Unione, con Gazprom sullo sfondo. E’ quindi necessario premere per l’applicazione del principio di disaggregazione tra produzione e distribuzione. I paesi che sono riluttanti a liberalizzare sono gli stessi che sono inclini a ricorrere a contratti energetici bilaterali con la Russia e a cooperare con le compagnie statali russe in materia di capitale. Non è una coincidenza che questo veda coinvolti i sopravvissuti dei monopoli energetici pubblici dell’Europa continentale. L’effetto è di ritardare l’auspicata libera scelta dei fornitori di energia e lo sviluppo di una politica comunitaria basata sulla solidarietà nei settori strategici.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Chiaramente l’Unione europea deve coordinare il suo approccio alle fonti esterne di energia meglio di quanto non faccia adesso. Cionondimeno, non vedo la necessità di un Alto responsabile per la politica estera sull’energia e ritengo che creerebbe solo confusione con il ruolo svolto attualmente dall’Alto rappresentante Solana e quindi ho votato contro questa proposta. D’altro canto, ho votato a favore del riferimento alla disaggregazione tra produzione, trasmissione e distribuzione di energia.
Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) La relazione promuove una “politica estera comune dell’Europa in materia di energia”. Benché fino ad ora non esista nemmeno la base giuridica per una tale politica, il testo mira a promuoverla prima ancora che possa essere inserita nel nuovo Trattato di riforma. Invece di risolvere il problema dell’energia cara e inquinante, la relazione vuole fare dell’Unione europea un attore egemonico e globale. Un approccio geopolitico dell’Unione europea così oneroso creerebbe più tensione e più conflitti a livello mondiale. Il filo conduttore del testo è una forte corrente anti Russia. Vi è incluso tutto ciò che potrebbe ostacolare il normale sviluppo delle relazioni tra la Russia e gli Stati membri dell’UE. I critici parlano quindi di una piccola guerra fredda. Includendo la cosiddetta “clausola di sicurezza energetica” in tutti gli accordi con i paesi produttori e di transito, l’UE definirà i suoi interessi ben oltre le sue frontiere. Ci preoccupa la creazione di una politica estera europea in materia di energia fondata su pressioni geopolitiche, come retroscena di minaccia militare. La relazione chiede un partenariato più stretto con gli USA in materia di sicurezza energetica, pur sapendo che gli USA stanno facendo guerra all’Iraq per assicurarsi risorse energetiche a buon mercato.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Considerando, da un lato, la crescente importanza dell’energia nella società moderna e la sempre maggior interdipendenza internazionale, che è ormai quasi una caratteristica comune, dall’altro, è impossibile escludere la politica energetica dalla dimensione estera della politica UE sia a livello degli Stati membri sia in termini di politica estera comune.
Sono quindi d’accordo con la risoluzione dove si afferma che “sebbene gli Stati membri debbano conservare il loro diritto sovrano di effettuare scelte strategiche in materia di mix energetico, di sfruttare le loro risorse energetiche e di decidere in merito alle strutture di approvvigionamento, è necessario [promuovere un approccio comune e non necessariamente una politica unica] che contempli la sicurezza degli approvvigionamenti, il transito e gli investimenti connessi alla sicurezza energetica, la promozione dell’efficienza e dei risparmi energetici nonché di fonti energetiche pulite e rinnovabili, soprattutto nelle relazioni con i paesi il cui consumo di energia è in rapida crescita”. Tuttavia, per quanto riguarda l’idea di un Alto rappresentante per la politica estera sull’energia, questa dimensione deve essere inclusa nell’ambito del lavoro svolto dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza perché non penso che un approccio più specifico di questo abbia molto senso.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. − (PL) Ho votato a favore dell’adozione della relazione dell’onorevole Saryusz-Wolski su una politica comune dell’Europa in materia di energia.
In base al piano d’azione sulla politica energetica, adottato dal Consiglio nel marzo 2007, dobbiamo fare ogni sforzo per sviluppare una politica comune europea in materia di energia, dotata degli strumenti richiesti per garantire il suo efficace funzionamento. Vorrei attirare l’attenzione sulla necessità di solidarietà e cooperazione tra gli Stati membri, di diversificazione delle fonti energetiche, nonché di uno sviluppo continuo e di una migliore cooperazione in questo settore.
Convengo che sia necessario decidere in merito a una tabella di marcia dettagliata, delineando le varie fasi dell’introduzione di tale politica. La Commissione dovrebbe avanzare le sue proposte alla prima occasione. E’ altrettanto importante che gli Stati membri si consultino tra di loro e con la Commissione europea sulle questioni riguardanti le decisioni strategiche contenute nei contratti conclusi in questo settore con parti terze. La proposta di nominare un Alto rappresentante per la politica estera sull’energia è molto opportuna e merita ulteriore considerazione. Questa figura sarebbe responsabile del coordinamento di tutte le politiche inerenti agli aspetti esterni della sicurezza energetica e contribuirebbe a meglio tutelare gli interessi degli Stati membri nei negoziati con i partner esterni.
Charles Tannock (PPE-DE), per iscritto. − (EN) I conservatori inglesi riconoscono che i 27 Stati membri dovrebbero dar prova di maggior solidarietà in materia di politica estera sull’energia dal momento che nei prossimi anni tutti i 27 Stati membri saranno sempre più dipendenti dal petrolio e dal gas importato da paesi terzi, i quali potrebbero altrimenti mettere in serie difficoltà gli Stati più dipendenti e vulnerabili a scapito dell’Unione nel suo insieme.
Ciò non significa che noi avvalliamo una politica energetica comune, in particolare il fatto che l’UE possa, per esempio, determinare il mix energetico di ogni Stato membro, come la proporzione tra combustibili fossili e combustibili rinnovabili.
Nelle grandi linee, i conservatori sostengono l’obiettivo di questa relazione benché respingano la necessità di una singola potente figura di coordinamento che si esprima su questo argomento. Né vediamo la necessità di una nuova base giuridica all’interno dei Trattati per affrontare la questione.
I tentativi di aggiungere nuove competenze all’UE invece di fare buon uso di quelle esistenti sono superflui. I conservatori credono anche in un approccio orientato verso il mercato e non in un’ulteriore istituzionalizzazione dell’Unione europea.
Glenis Willmott (PSE), per iscritto. − (EN) Il partito laburista del Parlamento europeo sostiene buona parte di questa risoluzione, in particolare la priorità data alle fonti di energia rinnovabile, alla promozione dell’energia come pilastro della politica europea di vicinato e alla richiesta di misure di salvaguardia contro l’inquinamento.
Ci siamo astenuti sul considerando 12 in seguito all’abbandono del Trattato costituzionale, che rende irrilevante tale considerando. Ci siamo astenuti sull’emendamento n. 2 e sul paragrafo 13 perché pensiamo che la creazione di una nuova carica di Alto rappresentante per la politica energetica potrebbe creare inutile confusione.
Abbiamo votato a favore del paragrafo 62 che mantiene il riferimento alla disaggregazione della produzione di energia perché vorremmo essere coerenti con la posizione precedentemente espressa che considera la disaggregazione degli assetti proprietari della rete di trasmissione lo strumento più efficace per promuovere gli investimenti, un equo accesso alla rete e la trasparenza del mercato.
Miroslav Mikolášik (PPE-DE). – (SK) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Gruber.
Accolgo favorevolmente la formulazione di una direttiva quadro generale e la direttiva sulle condizioni d’ingresso per i lavoratori altamente qualificati, la direttiva sulle condizioni d’ingresso e di residenza per i lavoratori stagionali nonché la direttiva sulle condizioni d’ingresso e di residenza per i tirocinanti retribuiti.
E’ chiaro che l’Unione europea deve fissare norme precise e disciplinare attivamente gli ingressi nell’Unione europea a scopo di lavoro. Sappiamo tutti che l’Europa sta già attraversando un “inverno demografico” e che ha urgentemente bisogno di manodopera proveniente da paesi non membri. E’ assolutamente indispensabile, tuttavia, ammettere solo manodopera qualificata e propongo di selezionare le professioni che registrano una carenza di forza lavoro nel mercato del lavoro in Europa. Dobbiamo essere coerenti a questo riguardo altrimenti, se volontariamente e sconsideratamente inondiamo l’Unione europea di manodopera non qualificata, potrebbero sorgere dei problemi legati alla vita oziosa degli immigrati disoccupati che sarebbero spinti a commettere reati e a dedicarsi ad attività illecite o a lavorare nell’economia sommersa violando la legge; spesso queste persone sono coinvolte nel traffico di droga e di esseri umani, creano ghetti e non raramente finiscono col diventare membri di gruppi terroristici.
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione perché il Parlamento ha chiaramente stabilito che rimarrà di competenza degli Stati membri decidere quali e quanti lavoratori immigrati accettare nel loro territorio sovrano. Se la “carta blu” venisse realmente introdotta, deve essere garantito che serva da strumento di controllo per i lavoratori altamente qualificati residenti nell’Unione europea e che permetta la residenza temporanea – non permanente – su tutto il territorio dell’Unione.
Vorrei presentare al Commissario Frattini – che sfortunatamente non è più presente – una proposta del Partito popolare europeo: apporre sulla “carta blu” un simbolo nazionale aggiuntivo, come la bandiera, in modo che risulti chiaro quale Stato membro abbia rilasciato il permesso di lavoro e di residenza.
Antonio Masip Hidalgo (PSE). – (ES) Signor Presidente, desidero congratularmi con i miei colleghi, onorevoli Lilli Gruber e Javier Moreno. Essendo temporaneamente disabile, sono dovuto ricorrere a un contratto ausiliario con un immigrato e ho capito meglio, se possibile, ciò che diceva oggi l’onorevole Lobo Antunes sulla necessità di solidarietà e umanità, benché capisca anche la spiegazione che ci ha dato il Commissario Frattini sul rispetto totale dello Stato di diritto.
Durante la mia solitudine ho pensato spesso che Don Chisciotte, il famoso personaggio, la figura letteraria più grande di tutti i tempi, non sarebbe esistito senza Sancho, e oggi Sancho sarebbe senz’altro un emigrante venuto in suo aiuto.
Quindi, deve esserci sempre rispetto per lo Stato di diritto e rispetto per gli esseri umani.
Frank Vanhecke (ITS). – (NL) Signor Presidente, non ho affatto approvato la relazione dell’onorevole Gruber sul piano d’azione in materia di migrazione legale per due motivi principali. Primo, non penso sia saggio incoraggiare la fuga di cervelli dai paesi poveri verso l’Europa, in ogni caso non più di quanto non stia già avvenendo. Non credo che aiuti nessuno e certamente non i paesi più poveri.
Secondo, continuo a stupirmi dell’ingenuità con la quale in questo Parlamento si considera l’immigrazione, come una specie di soluzione all’innegabile problema demografico dell’Europa. In ogni caso, non una parola è stata detta sugli enormi costi dell’immigrazione per i paesi d’accoglienza, sul fatto che, più che mai, dobbiamo stare attenti a salvaguardare la nostra cultura europea, i nostri valori e le nostre regole, sempre più sotto pressione a causa dell’elevato numero di immigrati provenienti da altre culture. Come tutti gli altri problemi, anche questo ha un costo economico. Oggi, nella nostra capitale europea, Bruxelles, circa il 53% degli abitanti è di quella che si potrebbe chiamare origine non belga; nel 2050 tale percentuale rischia di salire al 75%. Non abbiamo bisogno di nuova immigrazione di massa, ma dell’esatto contrario.
Philip Claeys (ITS). – (NL) Signor Presidente, nella relazione Gruber, il Parlamento adotta un approccio economico quantitativo particolarmente unilaterale sulla questione dell’immigrazione. Respingo con enfasi l’affermazione che solo una nuova ondata di immigrazione possa garantire il futuro economico dell’Europa e voglio far notare che l’immigrazione è molto più di semplici dati e tabelle. Le proposte di questa relazione peggioreranno il già grave problema dell’integrazione. Bisogna averla letta per crederci. Mentre parte della popolazione di immigrati non vuole lavorare e non vuole intraprendere una nuova formazione, in Mali ci sono persone che vogliono creare centri d’informazione e di gestione delle migrazioni. Chiaramente, una volta scaduti i loro permessi, molti dei così detti lavoratori temporanei spariranno nella clandestinità, come succede adesso. L’esperienza, per esempio quella svizzera, insegna che i membri della famiglia dei lavoratori stagionali continuano a entrare clandestinamente.
Last but not least, il fatto è che più immigrazione di persone altamente qualificate porterà innegabilmente a un’ulteriore fuga di cervelli dai paesi in via di sviluppo con tutto ciò che questo comporta.
Alfredo Antoniozzi (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi io ho votato a favore del rapporto Gruber perché ha recepito tante questioni poste a nome del PPE e dal sottoscritto. Però, credo che – pur consapevole che l'integrazione è un fatto importante – l'integrazione va applicata con il consenso anche dei cittadini. Allora è necessario che accanto all'integrazione vi sia però un'applicazione certa e rigida delle leggi: ad esempio gli Stati devono applicare quella normativa che prevede che dopo tre mesi gli immigrati che non dimostrano di poter dare sussistenza alla propria famiglia possano essere rimpatriati. In alcuni Stati questo non avviene e se non avviene finisce che poi i cittadini, con loro scontento, rendano vano qualsiasi forma di iniziativa europea sull'integrazione.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Benché contenga alcuni punti importanti riguardo a questioni concernenti l’immigrazione che difendiamo da tempo, la relazione non solo non denuncia le attuali linee guida e le politiche dell’Unione europea – che criminalizzano gli immigrati e sono repressive – ma in realtà ne è un altro aspetto.
Per essere precisi, la relazione fa proprio il concetto dell’esistenza di diverse “categorie” di immigrati – come i “più altamente qualificati”, gli “stagionali” e altri – e la loro gestione in base al fabbisogno di manodopera dei diversi paesi dell’UE, in particolare attraverso la creazione della carta blu: un concetto disumanizzante dell’immigrazione e degli immigrati.
Inoltre, la relazione sostiene una politica comune in materia d’immigrazione che, visti i risultati delle altre politiche “comuni” e le diverse situazioni negli Stati membri, consideriamo inadeguata e irrealistica. Noi ribadiamo che la politica d’immigrazione sia di competenza di ogni paese e delle sue istituzioni democratiche.
Come abbiamo detto, non c’è bisogno di una politica comune, bensì di un’altra politica nel quadro di cooperazione tra gli Stati membri che promuova i diritti degli immigrati, in particolare attraverso la ratifica della convenzione delle Nazioni Unite per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.
Carl Lang (ITS), per iscritto. – (FR) Considerando che “la situazione futura dei mercati del lavoro dell’Unione europea può essere generalmente descritta come una realtà che richiede un’immigrazione legale”, l’onorevole Gruber pretende, come il Presidente Sarkozy, di dare una giustificazione economica alle politiche d’immigrazione adottate dai vari Stati membri. Tuttavia, la manodopera proveniente da paesi che sono in ritardo nello sviluppo è in gran parte inadatta ai mestieri di cui hanno bisogno le nostre economie. D’altra parte, bisogna ricordare che l’immigrazione legale è essenzialmente immigrazione non di lavoratori ma di popolazioni.
Questa politica che porta quasi due milioni di nuovi immigrati l’anno assomiglia, di fatto, a una colonizzazione dell’Europa. Entro il 2050 la popolazione extra-europea, che ammonta già a 40 milioni di persone, sarà triplicata. Con l’adesione della Turchia, l’Europa di Bruxelles conterà così 220 milioni di asiatici e di africani, la maggior parte dei quali proviene dal mondo musulmano.
Questa colonizzazione di popolazioni è una minaccia mortale per i valori cristiani e umanisti della nostra civiltà. Se vogliamo salvaguardare il legittimo diritto delle popolazioni europee all’autodeterminazione e a restare se stesse, dobbiamo ripristinare le nostre frontiere, invertire i flussi migratori e introdurre politiche importanti a favore della famiglia e della vita. Abbiamo bisogno di una nuova Europa, un’Europa “europea”, un’Europa di nazioni sovrane, perché solo questo può garantite il nostro diritto di difendere la nostra cultura e la nostra storia.
Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. − (DE) Il fatto che circa 18,5 milioni di cittadini di paesi terzi vivano nell’Unione europea dimostra chiaramente che l’Europa ha bisogno di una politica comune in materia d’immigrazione. Dobbiamo fugare le preoccupazioni e i timori dei nostri cittadini riguardo all’immigrazione e mostrare loro che in alcuni settori un’immigrazione regolata e ragionevole è assolutamente necessaria in Europa. Cionondimeno, non condivido l’opinione, che sembra sia stata avanzata come articolo di fede da parte dei conservatori in particolare, che la questione del cambiamento demografico debba essere collegata a quella del mantenimento del modello sociale europeo. Si deve piuttosto avviare un dibattito su come il notevole aumento di ricchezza dell’economia europea, da considerarsi separatamente dal cambiamento demografico, debba contribuire in modo solidale al modello sociale europeo.
Kartika Tamara Liotard (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Mi sono astenuta dal voto sull’emendamento n. 8, perché, pur riconoscendo che il problema della fuga di cervelli dai paesi in via di sviluppo verso l’Europa sia grave, diffido delle motivazioni che spingono il gruppo ITS a presentare questo emendamento. Dobbiamo fare il possibile per evitare che le persone altamente istruite lascino in massa i loro paesi causando gravi danni economici, ma ciò non deve certo essere un’opposizione all’immigrazione in Europa per definizione.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore questa relazione che rende più facile la vita agli immigrati legali. Nonostante il loro status, gli immigrati legali sono spesso intenzionalmente e non intenzionalmente discriminati. La relatrice chiede una gamma di misure a favore degli immigrati legali, come più diritti sul lavoro, la trasferibilità dei diritti pensionistici e dei diritti sociali, il riconoscimento delle qualifiche, nonché visti a lungo termine e multipli, tutti provvedimenti che io appoggio.
Mary Lou McDonald, Søren Bo Søndergaard and Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) Il nostro voto di oggi riflette il nostro desiderio che in Europa vi sia un approccio all’immigrazione efficiente, umano e basato sui diritti. Gli immigrati di ogni tipo devono essere trattati equamente e in conformità ai più alti standard dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano.
Inoltre, come principio generale, gli Stati membri europei dovrebbero accettare gli immigrati sulla base delle esigenze degli immigrati e non solo di quelle delle economie dei paesi d’Europa. La politica d’immigrazione in Europa non deve aggravare la perdita di competenze essenziali, la “fuga di cervelli”, nei paesi in via di sviluppo. Gli Stati membri e la Commissione europea non devono perseguire politiche che compromettano lo sviluppo.
Erik Meijer and Esko Seppänen (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) Abbiamo votato a favore dell’emendamento n. 8. In generale le nostre opinioni divergono molto da quelle del gruppo che l’ha presentato, specialmente per quanto riguarda i rifugiati, gli immigrati e le minoranze etniche o religiose. Il gruppo ITS cerca di bloccare l’ammissione di rifugiati che si trovano in pericolo e noi, invece, cerchiamo di aiutare le vittime della repressione, delle catastrofi e della povertà. Per cui capiamo perfettamente che alla maggioranza del nostro gruppo non piaccia sostenere gli emendamenti del gruppo ITS sull’immigrazione. A differenza della situazione dei rifugiati e delle forme tradizionali d’immigrazione, proponendo di attrarre lavoratori altamente qualificati gli Stati membri dell’UE creano un problema ai loro paesi di origine. Le persone qualificate in paesi come l’India, il Sudafrica o il Brasile sono estremamente importanti per il loro necessario sviluppo. Questi problemi si stanno presentando persino all’interno dei nuovi Stati membri dell’UE, la Romania e la Bulgaria, il cui tasso di medici e di ingegneri che lasciano il paese per recarsi in paesi più ricchi è molto elevato. I paesi privilegiati e le aziende stanno rubando i cervelli di quelle persone. Poiché non vogliamo appoggiare questa fuga di cervelli, abbiamo votato a favore di questo emendamento.
Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. − (DE) In alcune parti, la relazione Gruber considera l’immigrazione unicamente in termini di utilità dei lavoratori immigrati come capitale. Per esempio, la relazione sottolinea “l’importanza di istituire relazioni di lavoro stabili e basate sul diritto tra imprese e lavoratori per migliorare la produttività e la competitività UE e invita pertanto la Commissione ad esaminare le conseguenze che la migrazione circolare potrebbe avere su tale piano”.
Benché le misure repressive contro gli immigrati e i richiedenti asilo non incontrino alcuna opposizione, deve essere sostenuta “ogni misura volta ad aumentare l’attrattiva dell’Unione agli occhi dei lavoratori maggiormente qualificati, al fine di soddisfare le esigenze del mercato del lavoro dell'UE per garantire la prosperità dell'Europa e il rispetto degli obiettivi di Lisbona”.
Benché si debba evitare “il rischio della fuga di cervelli”, è previsto il “rimpatrio” per gli immigrati che possono entrare nella fortezza Europa solo illegalmente. Per quanto riguarda l’avallo del piano d’azione sulla migrazione legale, si pone l’accento su procedure di ammissione “atte a rispondere con prontezza alle fluttuazioni della domanda sul mercato del lavoro”.
L’immigrazione non può essere regolata in base alla sua utilità come capitale per l’UE. Non deve essere data priorità all’immigrazione a beneficio delle imprese europee, bensì ai diritti umani fondamentali dei migranti e dei richiedenti asilo. Respingo ogni inquadramento delle persone in base a criteri di utilità.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Il dibattito sull’immigrazione si focalizza spesso sulla questione dei flussi clandestini e quindi dimentica spesso l’immigrazione legale, che è un contributo importante alla nostra economia e al nostro arricchimento culturale.
In questo contesto, condividiamo due concetti fondamentali: una politica chiara ed efficiente in materia d’immigrazione è una delle chiavi di volta per risolvere la questione dell’immigrazione clandestina e garantire un’accoglienza generosa basata su principi comuni che promuovano l’integrazione e l’adattamento delle persone immigrate. E’ anche necessario, però, riconoscere che i flussi migratori, le comunità d’immigrati e i paesi di accoglienza hanno tradizioni, usi e memorie diverse e che queste differenze non possono essere ignorate.
Un altro tema di questo dibattito è l’immigrazione qualificata. L’idea di una carta blu che faciliti l’ingresso e la circolazione potrebbe rivelarsi interessante, benché sembri un po’ troppo complessa. Ad ogni modo, la questione chiave deve essere il fattore dell’attrattiva, soprattutto a livello accademico. E’ quindi indispensabile far capire alle istituzioni scolastiche l’importanza di attirare studenti da altre parti del mondo. Ovviamente sostengo questo obiettivo.
Carl Schlyter (Verts/ALE), per iscritto. − (SV) Il partito dei verdi svedese appoggia e vuole una politica d’immigrazione liberale. Ci sono molte cose buone nella relazione che perseguono questo obiettivo. Cionondimeno, credo che una direttiva quadro in questo campo riduca per le persone le possibilità di migrare, non il contrario. Inoltre, la proposta rischia di intensificare la fuga di cervelli che affligge i paesi in via di sviluppo e viene cinicamente sfruttata dall’UE per il proprio sviluppo. Mi astengo quindi nella votazione finale.
Geoffrey Van Orden (PPE-DE), per iscritto. − (EN) E’ un errore pericoloso pensare che il cambiamento demografico della nostra popolazione richieda l’immigrazione su vasta scala di persone provenienti da culture e società diverse, spesso ostili, con le implicazioni che questo comporta per la nostra coesione e la nostra identità nazionale, per la piena integrazione della popolazione immigrata stabilmente, per l’impatto sui nostri servizi pubblici, sulla salute, la sicurezza e l’incolumità pubbliche.
Mi oppongo fermamente al trasferimento all’Unione europea dei poteri o della responsabilità delle autorità nazionali in materia di controlli alle nostre frontiere nazionali e di politiche d’immigrazione e di asilo. Sono quindi contrario a questa relazione.
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, ho votato a favore di questa relazione perché il Parlamento europeo ha concordato una strategia globale per combattere la tratta delle persone e l’immigrazione clandestina. Come Parlamento europeo, abbiamo quindi inviato un messaggio chiaro che “clandestino” ha lo stesso significato di “illegale” e deve essere quindi trattato di conseguenza. A mio avviso, è particolarmente importante aver chiarito che non vi sarà un’assegnazione degli immigrati clandestini tra tutti gli Stati membri in base a quote e che non saranno più permesse sanatorie di massa come quelle alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni. Questo scongiura l’effetto “richiamo” e permette di affrontare indirettamente la tratta degli esseri umani.
Frank Vanhecke (ITS). – (NL) Signor Presidente, la relazione che abbiamo appena adottato sulle priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini provenienti da paesi terzi non è certamente la peggior relazione che sia stata approvata in questa sede e, in realtà, contiene diverse raccomandazioni interessanti, ma penso pur sempre che la relazione non racconti a chiare lettere tutta la vicenda, per cui io stesso non l’ho approvata.
Il problema dell’immigrazione rischia di essere il problema di questo secolo per l’Europa – forse, lo è già oggi – e l’immigrazione clandestina ne è una parte importante. Ci saremmo aspettati, quindi, una presa di posizione ben più ferma, soprattutto contro le ininterrotte ondate di regolarizzazione in vari paesi d’Europa. Dopo tutto, queste hanno l’effetto di attirare persone che poi finiscono col riversarsi in tutta l’Unione, in tutti gli Stati membri.
In realtà il problema è facile e avremmo dovuto avere il coraggio di tradurlo in parole. L’immigrazione clandestina non può essere tollerata. L’immigrazione clandestina deve essere stanata e dobbiamo essere determinati nel rimandare queste persone nel loro paese d’origine in modo umano. Coloro che non osano dirlo, e quindi certamente non oseranno applicarlo, creeranno enormi problemi che alla fine costeranno cari alla nostra prosperità e alla nostra civiltà.
Koenraad Dillen (ITS). – (NL) Signor Presidente, leggendo la relazione Moreno Sánchez viene subito in mente il detto olandese “zachte heelmeesters maken stinkende wonden”, che significa che tempi difficili richiedono misure drastiche. Come ha già detto il collega Vanhecke, benché alcune proposte della relazione rappresentino un passo nella giusta direzione, in generale il Parlamento sta adottando un approccio debole che non lascia presagire nulla di buono per una politica europea efficiente e ferma, volta a contrastare l’immigrazione clandestina. Il Parlamento non ha spiegato, per esempio, che le misure di regolarizzazione applicate in certi paesi europei sono realmente una delle più importanti cause, se non la più importante, dell’immigrazione clandestina per via dell’effetto “richiamo” che creano nei paesi di origine degli immigrati.
Gli immigrati clandestini non dovrebbero essere regolarizzati, dovrebbero essere snidati e deportati in modo risoluto ma umano. Diversamente da quanto insinua il Parlamento, la proclamazione esplicita di questo messaggio politico non ha nulla a che fare con la così detta xenofobia. Oltre a una politica di espulsione ferma, a rigidi controlli alle frontiere e ad accordi con gli stati affinché si riprendano i loro cittadini, i centri di accoglienza nella regione d’origine dovrebbero offrire un certo contributo, ma anche questo è stato respinto dal Parlamento. Per questi motivi ho votato contro questa relazione.
Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh and Inger Segelström (PSE), per iscritto. − (SV) Noi socialdemocratici vogliamo nell’Unione europea una politica d’immigrazione e d’asilo umana e basata sulla solidarietà, che persegua una maggior mobilità attraverso le frontiere in modo responsabile e che garantisca protezione a chiunque ne abbia bisogno. Non vogliamo, però, una forza permanente per il controllo alle frontiere finanziata dall’UE. Spetta agli Stati membri sorvegliare le loro frontiere. Lo spiegamento comunitario dovrebbe avvenire a seconda della necessità e sulla base delle inchieste. Abbiamo quindi scelto di astenerci nella votazione sul paragrafo 37.
Per quanto riguarda il paragrafo 18 sulla revisione del principio fondamentale del regolamento di Dublino II, pensiamo cha una discussione su questo principio sia giustificata e che dovrebbe essere condotta in un contesto più ampio e come parte di un dibattito sulla politica comune in materia d’immigrazione e di asilo.
Gérard Deprez (ALDE), per iscritto. – (FR) Do tutto il mio appoggio a questa eccellente relazione e vorrei aggiungere tre osservazioni personali sull’argomento.
Primo, dobbiamo toglierci l’illusione che una politica attiva sull’immigrazione legale ponga fine ai flussi migratori clandestini nei nostri paesi. Una politica attiva sull’immigrazione legale sarà determinata per definizione dalle nostre esigenze, mentre l’immigrazione clandestina corrisponderà ai bisogni di coloro che vogliono trasferirsi qui – e attualmente ce ne sono decine di milioni, soprattutto in Africa – per sfuggire alla guerra, alla persecuzione o semplicemente alla mancanza di prospettive per se stessi e per i loro figli.
Secondo, il controllo alle frontiere esterne dell’UE e la lotta contro le filiere dell’immigrazione clandestina rimarranno purtroppo una priorità politica ancora per molti anni, perché in realtà l’industria della miseria umana è nelle mani di bande criminali. La lotta contro l’immigrazione clandestina non è quindi diretta “contro” i clandestini in quanto tali: è parte della battaglia contro la criminalità organizzata, qualcosa che dobbiamo vincere insieme.
Terzo, e per concludere, dobbiamo contemporaneamente continuare a lottare incessantemente contro la povertà e questo può essere fatto solo attraverso il cosviluppo in Africa.
Patrick Gaubert (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Accolgo con favore l’adozione di questa relazione che presenta un quadro equilibrato e realistico dell’immigrazione e che, come auspicato dal relatore, ha ottenuto un ampio consenso.
La relazione è giunta al momento giusto se consideriamo i recenti eventi e vediamo che gli Stati membri, uno ad uno, cercano di adattare la loro legislazione per far fronte il meglio possibile all’afflusso d’immigrati.
In realtà sappiamo tutti che la dimensione dei fenomeni migratori supera la capacità dei paesi interessati di gestirla individualmente e che quindi è necessario un approccio globale e coerente a livello europeo, come giustamente afferma la relazione.
Il testo stabilisce alcune priorità: la lotta contro il traffico di esseri umani, il rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali al momento di applicare misure volte a impedire l’immigrazione clandestina, il rafforzamento della cooperazione con i paesi terzi, la necessaria fermezza nel contrastare l’occupazione illegale e, infine, la necessità di una politica di rimpatrio responsabile.
Per questi motivi ho sostenuto l’adozione della relazione nella votazione finale in plenaria.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Benché contenga alcuni punti sui quali noi concordiamo, questa relazione si inquadra in una visione dell’“immigrazione clandestina” repressiva e orientata verso la sicurezza.
Anche se in forma per certi versi mitigata, la relazione sostiene la promozione delle linee principali degli attuali orientamenti e delle decisioni dell’UE in materia d’immigrazione, tra cui: la così detta “politica europea di rimpatrio”; l’attività di Frontex per il pattugliamento e il controllo alle frontiere; i cosiddetti “centri temporanei di accoglienza”; lo sviluppo di strumenti biometrici o i cosiddetti “accordi di riammissione”. La relazione propone inoltre la creazione di “squadre europee”, un “sistema europeo di vigilanza” alle frontiere marittime e persino un sistema “automatizzato di controllo delle persone che entrano ed escono dal territorio dell’Unione”.
In altre parole, la relazione mira a rafforzare la politica europea orientata verso la sicurezza, che criminalizza l’“immigrazione clandestina”, trasformandola in una politica comune europea repressiva, che implica pericolosi sistemi d’informazione e prevede misure e infrastrutture per la detenzione e l’espulsione degli immigrati. La respingiamo incondizionatamente.
E’ stata l’applicazione di una politica repressiva come questa che ha portato le autorità di uno Stato membro a citare in giudizio sette pescatori tunisini per aver salvato 44 persone a mare, benché questo tipo di intervento sia conforme al diritto internazionale marittimo.
Carl Lang (ITS), per iscritto. – (FR) I dati ufficiali lo dimostrano: l’Europa è invasa da immigrati clandestini. Si è rivelata incapace di controllare le sue frontiere esterne. La relazione annuale sulle attività di Eurodac per il 2006, lo strumento biometrico di cui si serve l’Europa per controllare le domande d’asilo, rivela che il numero di persone registrate per aver attraversato illegalmente una delle frontiere esterne dell’Europa è aumentato del 64% rispetto al 2005.
La relazione presentata dall’onorevole Moreno Sánchez ipotizza diversi metodi per bloccare questo fenomeno in crescita esponenziale. Ritengo che siano tutti inutili, per non dire controproducenti.
Per esempio, come possiamo accontentarci dell’idea che favorire l’immigrazione legale, con l’ausilio prevalentemente della “carta blu europea”, che sarebbe essenzialmente un permesso di lavoro europeo per gli immigrati, ridurrà il livello d’immigrazione clandestina? E’ una stupidaggine. Se si aprono le porte ad alcune persone, le si aprono a tutti.
Che senso ha creare una banca dati biometrica per combattere l’immigrazione clandestina? Perché mai pensare di assegnare più personale e più risorse all’agenzia europea di controllo alle frontiere, Frontex, se queste ultime, che siano interne o esterne, non sono ancora adeguatamente protette dagli Stati membri?
Ancora una volta le istanze europee sono riuscite a individuare un problema ma si sono dimostrate incapaci di risolverlo, spinte come sono da un’ideologia “immigrazionistica” e globalizzatrice.
Janusz Lewandowski (PPE-DE), per iscritto. − (PL) Signor Presidente, è stato riconosciuto che l’immigrazione, sia legale che clandestina, è una delle maggiori sfide che si presentino all’Unione europea. A parte la questione procedurale e giuridica, la tragica dimensione umana di questo fenomeno è sempre più manifesta. Ho visitato centri per rifugiati africani a Malta e discusso il problema con i servizi che pattugliano il mediterraneo e con le competenti autorità. Mentre mi trovavo lì, è venuta alla luce la tragedia che ha colpito la famiglia cecena nella regione di Bieszczady, confermando la natura universale del fenomeno. Provenendo da un paese che per secoli è stato paese di emigrazione politica ed economica, è difficile rimanere indifferenti di fronte alla tragedia dei rifugiati, per i quali l’Unione è una terra promessa.
E’ da questa prospettiva che considero le due relazioni su cui si basa la discussione in seno al Parlamento europeo. Questi documenti offrono un quadro della portata del problema dell’immigrazione e dello stato attuale della politica comune in materia. Concordo con la premessa che, a causa della situazione demografica, l’Europa abbia bisogno di canali controllati d’immigrazione che potrebbero compensare la carenza di manodopera e ridurre la dimensione dell’economia sommersa e dei problemi ad essa associati.
Tutti questi problemi sono stati riconosciuti da Frontex, l’agenzia europea specializzata. La soluzione proposta, vale a dire la così detta “ripartizione degli oneri” merita seria considerazione.
Una politica comune in materia di migrazione con base giuridica e finanziaria era attesa da tempo. Meglio tardi che mai!
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione sulle priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini provenienti da pesi terzi e desidero sottolineare che il controllo dei flussi migratori verso l’Europa, in particolare da paesi terzi, è una delle maggiori sfide che si presentino ai politici europei.
Nel XXI secolo, la tratta degli esseri umani è assolutamente inaccettabile e dobbiamo trovare un modo per estirpare questa piaga e porre fine ai drammi personali che purtroppo l’accompagnano. Per farlo, è indispensabile affrontare su scala europea il problema dell’immigrazione clandestina, perché l’apertura all’immigrazione clandestina in uno Stato membro mette sotto pressione tutti gli altri.
L’attuazione di un piano d’azione per l’immigrazione legale deve includere la lotta contro l’immigrazione clandestina, perché le due sono strettamente collegate.
Ciò che manca in questa relazione sono proposte concrete che permettano di elaborare una soluzione per fermare l’immigrazione clandestina di massa e scoraggiare i trafficanti. In Italia, per esempio, l’introduzione di quote per l’immigrazione economica non ha ridotto il livello d’immigrazione clandestina sul territorio. Al contrario, l’annuncio di quote annuali ha provocato un aumento del numero di clandestini pronti a rischiare la vita per entrare nel territorio dell’Unione europea.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo favorevolmente la relazione che, per contrastare l’immigrazione clandestina, chiede essenzialmente una politica ferma basata sulla solidarietà tra gli Stati membri e la cooperazione con i paesi terzi, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Andreas Mölzer (ITS), per iscritto. − (DE) Nonostante i milioni di euro in finanziamenti, i paesi d’origine non vogliono cooperare. Eppure, alla fine il rimpatrio dei clandestini deve essere un obbligo! Anche l’Unione europea, però, sta agendo con grande negligenza se non riesce a stanziare le risorse adeguate per proteggere le sue frontiere esterne o per accogliere i clandestini arrestati nei centri di accoglienza fino al momento del rimpatrio nei loro paesi d’origine, per impedire che si diano alla clandestinità; per non parlare poi di un’agenzia per la sorveglianza alle frontiere che chiude durante la principale stagione d’immigrazione!
Bruxelles ha dormito di fronte alla potenziale minaccia posta dagli immigrati islamici. Se l’UE non si sveglia e non pone fine all’afflusso di musulmani radicali, all’immigrazione e alla naturalizzazione di cittadini provenienti da paesi musulmani, non solo saremo obbligati a vivere nella paura permanente di attacchi terroristici, ma saremo presto stranieri nel nostro stesso paese.
La presente relazione dà troppa poca importanza a queste questioni ed è per questo che – nonostante contenga elementi validi – sono purtroppo costretto a respingerla.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Per essere efficace, un intervento politico in materia d’immigrazione clandestina deve agire su due fronti: sull’origine e sulla destinazione. In altre parole, come è stato affermato nella risoluzione adottata, “le autorità dei paesi d’origine nonché il rafforzamento del quadro giuridico contro le reti di trafficanti, la lotta contro il lavoro clandestino e la tratta di esseri umani” sono elementi essenziali. Senza fermezza in questo campo la risposta sarà inadeguata, anche se questa risposta implica altre dimensioni, come la cooperazione allo sviluppo e misure in materia di immigrazione legale.
Inoltre, come abbiamo affermato nella relazione sulla strategia marittima europea, ogni politica in materia d’immigrazione che voglia essere efficace all’interno dell’Unione europea “richiede”, come affermato in questa risoluzione, “che gli Stati membri rispettino i principi di solidarietà, responsabilità condivisa, fiducia reciproca e trasparenza”. Su questo punto siamo completamente d’accordo.
Carl Schlyter (Verts/ALE), per iscritto. − (SV) Voto contro questa relazione perché sono contrario a FRONTEX e a una polizia europea di frontiera, che sarebbe difficilmente affidabile. La relazione mostra entusiasmo per l’introduzione nei passaporti e nei visti di costosi e inefficaci dati biometrici, che oltre tutto sono una minaccia all’integrità personale. L’UE sta cinicamente sfruttando la difficile situazione dei rifugiati per avere più potere sulle nostre frontiere.
Philip Bradbourn (PPE-DE), per iscritto. − (EN) I conservatori inglesi hanno votato contro le relazioni sull’immigrazione perché la questione riguarda esclusivamente gli Stati membri e la cooperazione intergovernativa. I riferimenti al progetto di Trattato di riforma e all’estensione del voto a maggioranza qualificata non sono il modo giusto per risolvere i problemi che sta affrontando l’Unione europea. Un “approccio valido per tutti” non funziona con l’immigrazione.
Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. − (EN) Credo che, insistendo sul fatto che i coniugi non UE di cittadini UE debbano aver vissuto in un altro Stato membro dell’UE prima di avere il diritto di risiedere in Irlanda, il governo stia violando la direttiva 2004. Inoltre, limitare ai soli coniugi di cittadini UE non irlandesi l’ordine di espulsione è contrario alla legislazione UE che vieta la discriminazione basata sulla nazionalità.
Vorrei ricordare alla Commissione che nel 2006 ha fatto sapere al Parlamento europeo che, in conformità delle sentenze del luglio 2002 della Corte di giustizia (causa No C/459/99 (MRAX) e dell’aprile 2005 (causa No C/157/03), la direttiva 2004 sulla residenza debba essere interpretata dagli Stati membri. Queste sentenze affermano che il diritto di entrare e risiedere nell’Unione dei cittadini di uno stato terzo, che siano membri della famiglia di un cittadino UE, deriva da questo legame e non dipende né dalla legalità della loro precedente residenza nell’Unione, né dalla presentazione di un permesso di soggiorno o di altro permesso rilasciato da un altro Stato membro. Le azioni irlandesi violano palesemente queste decisioni della Corte. Di conseguenza, ai sensi dei Trattati, la Commissione ha l’obbligo di prendere provvedimenti nei confronti del governo irlandese.