Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla situazione in Birmania.
Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, questo dibattito e questa nostra discussione sono di grande attualità e naturalmente il Consiglio e la Presidenza portoghese stanno osservando gli eventi in Birmania (Myanmar) con grande preoccupazione.
Sono passati quasi 20 anni dagli eventi del 1988, quando la Birmania ha assistito a manifestazioni come quelle che si stanno svolgendo in questi giorni. Non vi è dubbio che quello che molti commentatori dicono sugli ultimi eventi sia vero: il paese si trova a un bivio che noi consideriamo critico.
Sin dall’inizio, la situazione si è rivelata estremamente instabile e benché abbiamo compiuto ogni sforzo per evitare che le autorità birmane ricorressero alla violenza, i fatti di oggi dimostrano che sfortunatamente la giunta militare a Rangoon rimane sorda agli appelli della comunità internazionale, come lo è rimasta per molti anni ai costanti e ripetuti appelli internazionali.
Se ben gestita, la situazione degli ultimi giorni avrebbe potuto rappresentare una straordinaria opportunità per compiere i primi passi verso una riforma politica urgente e una rivalutazione nazionale del paese. Speravamo che la giunta ascoltasse l’inequivocabile messaggio trasmesso dai manifestanti che la sua politica aveva fallito.
Quella che all’inizio era una protesta ad hoc contro l’aumento sproporzionato dei prezzi dei combustibili si è trasformata in un vasto movimento pubblico di protesta contro la politica generale di un governo estremamente dittatoriale.
Consapevole della crescente tensione nel paese, l’Unione europea non si è limitata a restare in disparte e a osservare la situazione. Subito, in agosto, ha veementemente condannato l’arresto di diversi capi dell’opposizione, in particolare il così detto gruppo “generazione 88”, che protestava contro un aumento di quasi il 500% dei prezzi dei carburanti. Ha chiesto il rilascio di tutti i prigionieri politici e ha sottolineato la necessità di avviare un processo di apertura, di riconciliazione e di riforme politiche. Proprio ieri, abbiamo inviato un chiaro messaggio di solidarietà e di sostegno al popolo birmano attraverso la dichiarazione congiunta USA/UE adottata dai 27 ministri degli Esteri riuniti a New York.
Invitiamo le autorità a rispettare i diritti dei monaci, delle suore e dei cittadini comuni che manifestano pacificamente e insistiamo sul fatto che questa situazione rappresenta una nuova occasione per cercare di risolvere i problemi estremamente complessi della Birmania.
In un’altra dichiarazione, rilasciata sempre ieri, l’Alto rappresentante Solana ha chiesto alle autorità birmane di continuare a dar prova di moderazione e ha sottolineato che solo le riforme politiche, la concessione dei diritti e delle libertà fondamentali e la piena partecipazione di tutte le parti interessate possono portare pace, stabilità e sviluppo autentici.
Abbiamo discusso della situazione anche con alcuni nostri partner in colloqui bilaterali a margine dell’Assemblea generale dell’ONU a New York. Nel quadro del dialogo sulla Birmania con i nostri partner della regione, compresa la Cina, l’India e i paesi dell’ASEAN, incoraggiamo questi ultimi a dialogare regolarmente con il regime, ponendo particolare enfasi sui punti seguenti: primo, la stabilità a lungo termine della Birmania richiede una vera trasformazione, innanzi tutto politica; secondo, l’apertura del paese è fondamentale per lo sviluppo della Birmania e anche per l’interesse dei suoi vicini e di tutta la comunità internazionale. Abbiamo notato che Singapore, attuale Presidenza dell’ASEAN, ha per lo meno risposto con una dichiarazione a titolo nazionale in cui si auspica che le proteste in corso possano risolversi pacificamente.
In occasione della riunione “gymnich” tenutasi all’inizio di settembre, i ministri degli Esteri dell’Unione europea hanno discusso l’evolversi della situazione in Birmania e ieri, nel corso della riunione a 27 tenutasi a New York, hanno nuovamente affrontato quest’argomento. La questione è stata inoltre discussa dal Comitato politico e di sicurezza a Bruxelles ed è stata trattata più in dettaglio questa mattina nell’ambito del gruppo di lavoro Asia-Oceania. Stiamo valutando, ovviamente, tutte le possibili opzioni per una nuova reazione dell’Unione europea e, benché speriamo che la situazione non peggiori ulteriormente, dobbiamo essere pronti per ogni eventualità. Ci stiamo preparando anche ad adottare misure addizionali tramite i canali diplomatici e rimarremo in contatto con le Nazioni Unite, in particolare con Ibrahim Gambari, l’inviato speciale del Segretario generale che si è incontrato con la Presidenza e le istituzioni dell’Unione europea in luglio, subito prima della pausa estiva. Rimaniamo in stretto contatto anche con i nostri colleghi a Ginevra, dove ieri il Consiglio dei diritti dell’uomo ha reso una dichiarazione incisiva.
La notte scorsa, a causa delle preoccupanti notizie che ci giungevano da Rangoon, ci siamo sentiti obbligati a lanciare un altro appello alle autorità birmane, chiedendo loro di non reagire violentemente alle manifestazioni pacifiche della popolazione. Abbiamo fatto esplicito riferimento alla possibilità di aumentare le sanzioni esistenti affinché il messaggio fosse preciso e diretto. Domani, infine, il Coreper tornerà a discutere più in dettaglio il tema della Birmania.
Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signora Presidente, onorevoli parlamentari, al pari delle altre Istituzioni europee, la Commissione è molto preoccupata per la situazione in Birmania/Myanmar. Seguiamo da vicino i drammatici eventi delle ultime settimane e anche delle ultime ore, in seguito al movimento pacifico di resistenza e di protesta avviato dai monaci buddisti.
Come sapete, il 6 settembre la Commissione vi ha presentato per bocca del Commissario Reding la sua analisi della situazione generale: ripetute violazioni dei diritti umani, repressione politica e deterioramento generale delle condizioni economiche. Vorrei aggiungervi le violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dal governo della Birmania/Myanmar contro i civili e i prigionieri, nonché le restrizioni sempre più severe imposte al CICR nell’esercizio delle sue funzioni. Nelle ultime settimane il regime ha raccolto gli amari frutti della situazione sociale e politica esplosiva che, in un certo senso, egli stesso ha creato.
Cosa dovremmo fare alla luce di questi fatti? Abbiamo il diritto di pensare o che la situazione abbia un che di déjà vu e preannunci il ripetersi della violenta repressione del 1988, o che siamo giunti a una svolta storica. In ogni caso, i fatti in Birmania/Myanmar sembrano prendere una piega imprevedibile. Il fatto che un movimento di protesta di tali dimensioni – con circa 100 000 manifestanti scesi in piazza a Rangoon lunedì scorso – non abbia un programma politico o rivendicazioni politiche dichiarate, rende evidentemente la situazione più instabile e precaria.
Chiaramente non possiamo escludere la possibilità di derive da parte del regime se le manifestazioni dovessero continuare. Le intimidazioni, gli arresti e i blocchi stradali osservati oggi lasciano indicare un inasprimento della reazione. Gli arresti di questa mattina, la brutalità con cui le autorità sono intervenute e il fatto che vi siano state malauguratamente delle vittime non fanno che rafforzare i nostri timori. In queste condizioni, il nostro primo obiettivo deve tendere a evitare una reazione violenta da parte del governo e esortarlo alla massima moderazione. La sicurezza e il benessere di Aung San Suu Kyi sono ovviamente al centro delle nostre preoccupazioni.
Queste manifestazioni rappresentano, in un certo senso, un’opportunità. Mostrano al regime, o almeno a quanti dei suoi membri abbiano ancora una certa percezione della realtà, che la cattiva gestione politica ed economica ha portato la popolazione a non temere più di scendere in piazza per esprimere la propria collera, spinta da una disperazione che dura da troppo tempo.
La seconda preoccupazione della Commissione è quindi spingere la comunità internazionale a persuadere il governo a compiere i gesti necessari per restaurare un minimo di fiducia e creare così le condizioni per aprire la strada alla riconciliazione nazionale. Il regime deve ascoltare le aspirazioni della popolazione all’apertura e alla democrazia. L’uscita dalla crisi attuale deve, ben inteso, includere un processo partecipativo e trasparente che permetta a tutte le parti interessate alla riconciliazione nazionale della Birmania/Myanmar di contribuire pienamente al futuro politico ed economico del paese. Questo è il messaggio trasmesso ai nostri paesi partner dalla collega Benita Ferrero-Waldner, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York.
D’altra parte, è di capitale importanza che i paesi confinanti con la Birmania/Myanmar siano resi consapevoli delle loro particolari responsabilità. Credo che la Cina si renda già conto che i suoi interessi a lungo termine non siano certo favoriti da una situazione esplosiva nel paese. La Cina può esercitare un’influenza determinante. Tuttavia, dobbiamo anche persuadere l’India, il Giappone e la Corea del Sud, paesi che hanno contribuito in modo significativo a soddisfare le esigenze economiche del regime birmano, a fare di più per uscire dalla crisi attuale. Dobbiamo anche convincere i paesi dell’ASEAN a far sentire la loro voce in modo più fermo. Ogni deterioramento della situazione in Birmania/Myanmar non può che avere conseguenze nefaste per tutta la regione.
Infine, la Commissione plaude allo speciale ruolo svolto dalle Nazioni Unite e in particolare ai buoni uffici interposti dall’inviato speciale Ibrahim Gambari, la cui prossima visita a Rangoon sarà di estrema importanza. Se le autorità in Birmania/Myanmar dovessero nuovamente scegliere la strada della repressione, getterebbero inevitabilmente il paese in un isolamento internazionale ancora maggiore, con nuove intollerabili sofferenze per la popolazione. Se, invece, le autorità scelgono la strada di un dialogo aperto e democratico, devono precisare una tabella di marcia nazionale, impegnarsi a fissare una data precisa per tenere libere elezioni e avviare un dialogo sincero con i loro partner. Le autorità della Birmania/Myanmar potranno allora contare sull’appoggio dell’Unione europea e degli altri partner per portare avanti questo processo.
Geoffrey Van Orden, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signora Presidente, l’Unione europea è orgogliosa della propria attenzione per i diritti dell’uomo, eppure sembra incapace di agire efficacemente contro i regini tirannici che, su tutto il pianeta, continuano a opprimere e a maltrattare la loro popolazione. Vi è un atteggiamento mentale per cui sembra che una dichiarazione e una presa di posizione comune siano tutto ciò che occorre. Il Presidente in carica ha detto, nella discussione precedente, che dovremmo tener fede a ciò che diciamo. Sono d’accordo con lui.
Nel corso della mia permanenza in questo Parlamento, ho lottato contro due regimi odiosi: quello di Mugabe nello Zimbabwe e quello della giunta militare in Birmania. Entrambi sono stati oggetto dell’attenzione dell’Unione europea, ma non è successo nulla. Dovremmo vergognarcene.
Oggi la nostra attenzione si concentra sulla Birmania dove, la settimana scorsa, l’alleanza di tutti i monaci buddisti della Birmania ha coraggiosamente guidato le imponenti proteste di strada a Rangoon e in molte altre parti della Birmania. Siamo tutti scioccati nel vedere che una situazione disperata si è trasformata in tragedia. Sono state trasmesse in tutto il mondo le immagini di monaci feriti, di pagode avvolte nel fumo e di civili malmenati in seguito al giro di vite operato dalle forze di sicurezza. Si parla di almeno cinque morti e di centinaia di feriti. L’emittente radio Burma Democratic Voice ci aveva avvisato quasi una settimana fa che il governo aveva autorizzato l’uso delle armi da fuoco e ci aveva preparato a una conclusione violenta delle manifestazioni pacifiche.
E’ giunto il momento di smetterla di torcerci le mani ed è ora di fare sul serio. Non mi illudo. Come per lo Zimbabwe, la chiave per il cambiamento in Birmania sono i paesi vicini, la Cina in particolare. La Cina è il più grande investitore in Birmania, il suo più grande partner commerciale e fornitore di armi. Oggi in Parlamento è presente una delegazione cinese di alto livello, guidata da Wang Yingfan, membro influente del Congresso nazionale del popolo. Questa mattina gli ho rivolto un forte appello affinché la Cina adotti misure contro il regime birmano. Egli ha ribadito l’impegno della Cina a non interferire nella politica interna degli altri paesi ma, al tempo stesso, mi ha assicurato che la Cina avrebbe continuato a svolgere un ruolo discreto ma importante e che avrebbe sollecitato il regime birmano ad essere più flessibile e più positivo. Vedremo che effetto sortirà.
Ieri, la Presidenza dell’Unione europea ha annunciato che sarebbero state imposte sanzioni più severe nel caso di una reazione violenta. Questa violenza non si è fatta attendere e adesso, se l’Unione europea vuole essere credibile sulla scena mondiale, deve dar seguito a queste sanzioni più severe. Dobbiamo anche far capire che questa volta manterremo la parola e che applicheremo le sanzioni. Non deve ripetersi l’increscioso episodio di maggio, quando il ministro degli Esteri birmano ha potuto partecipare al vertice ASEM in Germania, in flagrante violazione dello stesso divieto imposto dall’Unione europea.
Quando discutiamo delle sanzioni, non possiamo ignorare il fatto che la compagnia petrolifera TOTAL è uno dei pochi investitori rimasti in Birmania. La TOTAL sta direttamente appoggiando la giunta militare, fornendo centinaia di milioni di dollari ogni anno perché il regime mantenga uno dei più grandi eserciti al mondo.
E’ da molto tempo ormai che discutiamo della crisi in Birmania e adesso dipende da noi. Dovremmo ricordare che gli uomini che hanno svolto un ruolo determinante nel massacro dei manifestanti in Birmania 20 anni fa si trovano adesso nelle posizioni chiave del regime. E’ un peccato che in questi anni il Consiglio e la Commissione non abbiano ascoltato con più attenzione il Parlamento riguardo a queste questioni.
Oggi, ancora una volta, presentiamo una risoluzione forte; è breve e molto chiara. Diciamo alle autorità birmane: liberate immediatamente Aung San Suu Kyi, lasciate in pace i manifestanti e convocate un’assemblea nazionale pienamente rappresentativa che comprenda la lega nazionale per la democrazia. Diciamo al Consiglio di sicurezza dell’ONU: riunitevi adesso per affrontare la situazione in Birmania e inviate immediatamente il vostro inviato speciale in quel paese. Diciamo al Consiglio e alla Commissione: parlate con gli USA e con l’ASEAN per preparare una serie di misure coordinate contro il regime birmano, comprese sanzioni economiche, nel caso dovesse rispondere con la violenza e non come vogliamo noi.
Barbara Weiler, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, l’Europa, il mondo intero, guardano la Birmania. Oggi, come ha già detto l’onorevole collega del Regno Unito, per la prima volta è stato sparso sangue e quindi non c’è più nulla da nascondere e questa è una situazione nuova nel dibattito.
Il gruppo socialista inorridisce davanti ai metodi brutali usati dalla giunta militare contro i manifestanti pacifici. Ci aspettiamo che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che si sta riunendo in parallelo, adotti immediatamente misure e faccia pesare la propria influenza, influenza sulla Cina e con la Cina.
Il secondo messaggio che dobbiamo trasmettere oggi deve essere la solidarietà del Parlamento europeo al popolo birmano: la nostra solidarietà, il nostro sostegno e, sì, la nostra ammirazione per il coraggio dei suoi cittadini. I monaci buddisti non sono una piccola minoranza elitaria. Sono parte della cittadinanza e sono sostenuti da migliaia di persone. Chiaramente, le manifestazioni sono state causate dagli aumenti arbitrari dei prezzi, ma è da anni che la giunta viola la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e segnatamente le norme dell’Organizzazione internazionale del lavoro, pratica la tortura e il lavoro forzato.
Nell’era della globalizzazione, l’isolamento non è più un’opzione e questo è un fatto positivo. I diritti democratici fondamentali e il sistema universale dei valori valgono anche nel continente asiatico. Ci aspettiamo che la costituzione, da tempo programmata in Birmania, venga subito inserita nell’ordine del giorno e che la Birmania – come interessantemente farà ben presto la Tailandia – indica elezioni democratiche. In queste regioni è possibile instaurare e attuare regimi democratici.
Naturalmente, oltre all’ONU e all’Europa, i paesi dell’ASEAN devono svolgere un ruolo più attivo, soprattutto perché aspirano a diventare qualcosa di simile all’Unione europea. Le manifestazioni di oggi nelle Filippine sono un segno positivo della solidarietà manifestata nella regione.
Una volta imboccata la strada della democrazia, non è più possibile tornare indietro, nemmeno in Birmania.
Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, permettetemi di iniziare inchinando umilmente la testa di fronte all’incredibile coraggio della popolazione birmana che protesta pacificamente in massa contro la dittatura militare del paese.
Oggi il regime ha dato inizio a una violenta repressione e i nostri cuori battono per le sorti della popolazione birmana. L’Unione europea deve protestare con più forza, non solo a parole, ma anche con i fatti. Se il regime insiste con la repressione dobbiamo inasprire le sanzioni e invitare, se non addirittura obbligare, tutte le società che ancora operano in Birmania a cessare le loro attività in quel paese. Anche i paesi dell’ASEAN dovrebbero irrigidire la loro posizione nei confronti della Birmania e l’India e la Cina dovrebbero usare la loro influenza sul regime per sollecitarlo ad avviare un dialogo serio con l’opposizione democratica birmana.
Non solo il regime birmano reprime la popolazione nella sfera politica, l’ha anche gettata nella povertà più assoluta e nell’indigenza, pur essendo un paese che ha tutto il necessario per essere prospero. Le manifestazioni di massa dimostrano sufficientemente che Aung San Suu Kyi non è certo sola e che incarna la speranza della vasta maggioranza dei birmani. Il regime birmano dovrebbe ridarle immediatamente la piena libertà di circolazione e rilasciare i prigionieri politici, compresi quelli rastrellati oggi.
Infine, voglio invitare l’Unione europea a utilizzare al meglio lo strumento di cui disponiamo oggi per promuovere la democrazia e i diritti dell’uomo.
Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare il Presidente in carica e il Commissario, nonché gli onorevoli colleghi per l’impegno sin’ora dimostrato.
Il movimento nazionale per la democrazia in Birmania ha dichiarato 18 anni fa: che cosa ci vuole perché la comunità internazionale convinca le autorità in Birmania ad accettare la democrazia? Dobbiamo essere presi a fucilate per le strade, con le telecamere che trasmettono le immagini, prima che la comunità internazionale reagisca?
Sfortunatamente, la previsione si è avverata. Una parte della società birmana, i monaci e le suore buddiste che conducono una vita di non violenza e di pacifismo, che dedicano il loro tempo agli altri, vengono massacrati nelle strade e intimiditi dal regime militare. E’ un errore pensare che ogni parola pronunciata qui ottenga i fini che vogliamo. E’ altrettanto sbagliato che il mondo abbia taciuto per così tanto tempo; non possiamo più tacere. Come hanno detto alcuni colleghi, spetta a noi usare la nostra influenza non solo sul regime birmano, ma anche sulla Cina, l’India e il Bangladesh, per garantire che le sanzioni e la richiesta di democrazia siano coerenti e vengano osservate.
Dobbiamo agire per condannare la violenza contro le proteste pacifiche, ma dobbiamo anche garantire il nostro sostegno ai manifestanti.
Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signora Presidente, è ovvio che i recenti avvenimenti in Birmania ci stiano conducendo sempre più vicino a un punto di non ritorno. Credo che le imponenti manifestazioni, non solo di monaci e suore, ma anche di migliaia di persone che hanno appoggiato e continuano ad appoggiare queste proteste, siano un chiaro messaggio per la giunta militare in Birmania e per il mondo intero che i birmani ne hanno abbastanza, che sono stanchi della situazione e che vogliono un cambiamento.
E’ proprio questo desiderio di cambiamento che noi, Unione europea e comunità internazionale in generale, dovremmo sostenere. E’ chiaro che, dopo 30 anni di sanzioni con risultati trascurabili, la politica abbia bisogno di una svolta. E quindi la politica internazionale deve coinvolgere i paesi della stessa regione, non solo la Cina e l’India, come è già stato detto, ma anche il Giappone e Singapore, attuale Presidente dell’ASEAN. Per questo motivo dovremmo celebrare non solo i gesti compiuti dal Consiglio e dalla Commissione ma anche quelli che si stanno facendo in seno all’ONU, per inviare un messaggio chiaro di liberazione degli oppositori politici, in particolare di Aung San Suu Kyi, e soprattutto per compiere un passo in favore della democrazia, alla quale in questo momento non possiamo e non dobbiamo rinunciare.
Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signora Presidente, consiglio di stato per la pace e lo sviluppo: questo è il nome ufficiale del regime militare in Birmania. Ora, nella crisi nella quale si trova attualmente il paese, suona come una crudele menzogna.
La giunta ha abusato del potere e ha governato male per decenni. E’ normale che sia estremamente parca con le statistiche. Per inciso, la grande maggioranza della popolazione birmana è vittima di un doppio sfruttamento. Sì, un doppio sfruttamento: all’interno del paese da parte dei governanti militari del paese – chiunque faccia affari in Birmania può operare quasi esclusivamente attraverso l’esercito – e all’esterno da parte della Repubblica popolare cinese, che attua una forma estrema di sfruttamento delle ricchissime risorse naturali agricole di questo stato del sud-est asiatico. I diplomatici a Rangoon arrivano persino a dire: “la Birmania è diventata una provincia quasi cinese”. Nelle scuole al nord, costruite dalla Cina, il mandarino è la prima lingua e l’ora locale ufficiale è quella di Pechino.
Signora Presidente, tutto sommato è difficile distinguere i governanti birmani da quelli cinesi. Chiedo quindi al Consiglio e alla Commissione di essere tra i primi ad affrontare con fermezza i governanti birmani e di Pechino per quanto riguarda la loro comune responsabilità per le sofferenze della popolazione birmana.
Luca Romagnoli, a nome del gruppo ITS. – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, le nostre risoluzioni e le nostre dichiarazioni, quando non rimangono lettera morta o voce flebile al grande orecchio del Consiglio, sono travolte dalla tempestività degli avvenimenti che certo non coincidono e certo non attendono il nostro calendario di plenaria.
Pochi giorni fa abbiamo votato pressoché all'unanimità una risoluzione sulla Birmania, ove i considerando hanno inquadrato le numerose violazioni dei diritti umani in quel paese dell'oggi, omettendo di meglio ricapitolare quanto e come un regime di ispirazione marxista e poi militare, con il noto sostegno della Cina, opprime da decenni un popolo. Non solo opprime, ed è bene ricordare che il regime birmano è un sistema che basa gran parte del suo potere e del suo bilancio sul narcotraffico.
Tengo a sottolineare che a proposito della repressione, della censura e dell'ampio sistema di vessazioni che contraddistingue da anni il regime birmano, non c'è la sola e tante volte osannata signora Aung San Suu Kyi, non ci sono solo giornalisti come U Win Tin o attori come il signor Zaganar o il noto attivista per i diritti civili Win Naing. Vi informo, cari colleghi, che ci sono anche i monaci buddisti, questo lo sapete, ma ci sono soprattutto tante importanti minoranze. Tra queste ve n'è una, in particolare, culturale ed etnica, che non è stata citata nella risoluzione approvata due settimane or sono, quella del popolo Karen. Un popolo che da decenni si rifiuta di omologarsi ad un sistema che impone la sussistenza attraverso prostituzione minorile e coltivazione della droga.
La semplice deplorazione della repressione che il Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo impone alla protesta popolare e la richiesta congiunta di democratizzazione della Birmania, nei fatti, valgono quante le ferme condanne, le richieste di liberazione immediata e incondizionata – io ribadisco ed insisto – e tutto quant'altro ci affanniamo a scrivere, ad implorare o a minacciare senza che poi abbia nei fatti grande seguito!
Persino il presidente degli Stati Uniti Bush, nonostante numerose amenità sostenute davanti all'Assemblea delle Nazioni Unite, fa segnare un punto a suo favore, visto che si è spinto a richiedere l'intervento dell'ONU e ha parlato di un paese diventato regno della paura, ove le libertà fondamentali sono conculcate e le minoranze etniche sono perseguitate, ove lavoro forzato minorile, traffico di esseri umani e stupro sono pratiche comuni. E quindi, Bush ha annunciato l'inasprimento delle sanzioni, così come afferma anche la Presidenza di turno dell'Unione europea.
Bene, speriamo servano, perché se non bastano non sentiremo certo minacciare bombardamenti né sulle basi militari birmane né tanto meno su quelle del loro menzionato partner cinese. Per l'opposizione birmana, è come per la lotta decennale del popolo Karen: molto rumore in Europa e negli Stati Uniti, ma che se la sbrighino da soli in quella terra, per ora non sono a rischio interessi transnazionali, per ora all'Unione europea bastano le solite parole.
Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, molto brevemente, nel mio intervento iniziale ho cercato, in modo dettagliato ed esauriente, d’informare questo Parlamento delle misure politiche e diplomatiche adottate, dei contatti presi relativamente alla questione birmana, del nostro attento monitoraggio della situazione e di tutto quello che è stato fatto. Desidero riaffermare che la Presidenza portoghese è assolutamente determinata a continuare a seguire da vicino gli sviluppi in Birmania e desidero assicurarvi che la Presidenza proporrà tutte le misure che, a suo parere, dimostrino la nostra inequivocabile solidarietà al popolo birmano e che, al tempo stesso, dimostrino inequivocabilmente alle autorità birmane che ci sarà un prezzo da pagare per un ulteriore deterioramento della situazione nel paese.
Presidente. – Signor Presidente in carica del Consiglio, Lobo Antunes, desidero ringraziarla a nome del Parlamento per essere rimasto con noi tutta la giornata. Voglio che sappia che lo abbiamo rimarcato.
Per concludere la discussione, ho ricevuto sei proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento(1).
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 27 settembre 2007.
(La seduta, sospesa alle 17.40, riprende alle 18.00.)
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)
Richard Corbett (PSE), per iscritto. – (EN) La Birmania è una delle più lunghe e peggiori dittature al mondo. Ha tenuto il suo popolo in assoluta povertà, in stridente contrasto con il successo economico di molti suoi vicini. La repressione è stata brutale. I contatti con il mondo esterno sono severamente limitati e la situazione sarebbe stata dimenticata non fosse stato per l’eroismo di Aung San Suu Kyi, punto focale delle speranze e delle aspirazioni del popolo birmano. Spero che i prossimi giorni vedano la fine del regime militare senza ulteriore spargimento di sangue e chiedo al Consiglio e all’Alto rappresentante di esercitare tutta la pressione possibile per garantire questo risultato.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) In qualità di relatore del Parlamento sull’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e l’ASEAN, ho detto chiaramente nei miei incontri con i ministri del Commercio e con i funzionari dell’ASEAN che il Parlamento si sarebbe opposto fermamente a ogni concessione all’attuale dittatura militare birmana.
Gli eventi degli ultimi giorni, dove le proteste pacifiche guidate dai monaci buddisti sono state accolte con gas lacrimogeni e proiettili, ha reso ancora peggiore una situazione già terribile.
Ho avuto il privilegio di rendere visita a Aung San Suu Kyi a Rangoon quasi dieci anni fa, quando le condizioni dei suoi arresti domiciliari erano ancora abbastanza rilassate da premetterle di ricevere rare visite. In quell’occasione lei, nella sua qualità di rappresentante e leader della lega nazionale per la democrazia eletta democraticamente e rovesciata dal regime militare, ha detto esplicitamente di volere che l’Unione europea imponesse le sanzioni più severe.
Adesso l’Unione europea e gli Stati membri dovrebbero guidare la richiesta di sanzioni dell’ONU tramite il Consiglio di sicurezza. Né noi, né il popolo della Birmania possiamo aspettare più a lungo.
Jules Maaten (ALDE), per iscritto. – (NL) Si sta compiendo un nuovo dramma in Birmania. La giunta ha scelto lo scontro con migliaia di manifestanti pacifici. E’ estremamente deplorevole, perché è meraviglioso che una popolazione abbia avuto il coraggio di scendere in piazza per opporre resistenza senza l’aiuto esterno. Appoggio il rilascio incondizionato di Aung San Suu Kyi, U Khun Htun Oo, Ko Min Ko Naing e di tutti gli altri prigionieri politici e sostengo rapide riforme democratiche.
La Commissione europea dovrebbe usare al meglio i fondi d’emergenza previsti a titolo dell’obiettivo 1 del bilancio dello strumento per la democrazia e i diritti dell’uomo, in modo che si possa dare sufficiente appoggio ai mezzi d’informazione indipendenti, agli attivisti dei diritti dell’uomo e alle ONG in Birmania.
Un ulteriore inasprimento delle sanzioni economiche sembra inevitabile. Sono favorevole ad unirci alle misure britanniche e americane e ad imporre severe restrizioni alle attività commerciali e alle transazioni finanziarie con la Birmania.
Il Parlamento dovrebbe inviare una delegazione in Birmania per valutare direttamente la situazione.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) La situazione in Birmania è estremamente preoccupante. Coloro che protestano contro il regime militare (inclusi i monaci) stanno dimostrando un immenso coraggio. Il regime ha brutalmente represso le precedenti manifestazioni e ha mostrato scarso interesse per il benessere del suo popolo. Dobbiamo massimizzare la pressione internazionale sul regime impegnandoci, tra l’altro, a condurre innanzi al Tribunale penale internazionale i responsabili di qualunque atrocità si verifichi nei prossimi giorni. L’Unione europea deve parlare alla Cina e all’India, che sono in una posizione migliore per far pressione sul regime, e chiedere loro di intervenire per proteggere i manifestanti e aiutare la Birmania a tornare alla democrazia.