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Resoconto integrale delle discussioni
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Mercoledì 26 settembre 2007 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Immigrazione – Immigrazione legale – Priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi (discussione)
 3. Benvenuto
 4. Necessità di adottare misure di tutela della Cattedrale cattolica romana di San Giovanni a Bucarest, Romania – monumento storico e architetturale in pericolo (dichiarazione scritta): vedasi processo verbale
 5. Verifica dei poteri dei nuovi membri del Parlamento europeo
 6. Turno di votazioni
  6.1. Istituto europeo di tecnologia (votazione)
  6.2. Diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo per i cittadini dell’UE che risiedono in un altro Stato membro (votazione)
  6.3. Ritiro dei seminativi dalla produzione per il 2008 (votazione)
  6.4. Giocattoli pericolosi fabbricati in Cina (votazione)
  6.5. Verso una politica estera comune dell’Europa in materia di energia (votazione)
  6.6. Immigrazione legale (votazione)
  6.7. Priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi (votazione)
 7. IT Dichiarazioni di voto
 8. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 9. Approvazione del processo verble della seduta precedente: vedasi processo verbale
 10. Detenzioni segrete e trasferimenti illegali di prigionieri da parte di Stati membri del Consiglio d'Europa (relazioni Fava e Marty) (discussione)
 11. Operazione PESD all'est del Ciad e al nord della Repubblica centrafricana (dicussione)
 12. Situatione in Birmania (discussione)
 13. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
 14. Mandato parlamentare: vedasi processo verbale
 15. Obblighi dei prestatori di servizi transfrontalieri (discussione)
 16. i2010: Biblioteche digitali (discussioni)
 17. Efficienza ed equità nei sistemi europei d'istruzione e formazione (discussione)
 18. Strategia europea per i diritti del bambino: contro la discriminazione e l'esclusione delle persone con problemi “dis„ (discussione)
 19. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 20. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON RODI KRATSA-TSAGAROPOULOU
Vicepresidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta è aperta alle 9)

 
  
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  Presidente. – Onorevoli parlamentari, buon giorno! Oggi, 26 settembre, è la giornata europea delle lingue. E’ nostro dovere ricordare alle persone presenti nel Parlamento europeo, il tempio delle lingue, l’importanza di questo giorno per la filosofia e per l’essenza dell’Unione Europea e l’importanza del lavoro che svolgiamo per realizzare un’Europa multiculturale, dove le peculiarità, le culture e lo spirito dei nostri popoli vengono rispettati.

 
  
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  Josu Ortuondo Larrea (ALDE). – (ES) Signora Presidente, la ringrazio per avermi dato la parola. Oggi celebriamo la giornata europea delle lingue e desidero fare eco ai sentimenti di molti cittadini dello Stato spagnolo i quali non capiscono perché l’Ufficio di presidenza del Parlamento europeo debba discriminarli non permettendo ai cittadini catalani, galiziani e baschi, che come me sono rappresentanti dei cittadini, di esprimersi in Parlamento nella loro lingua.

Diversamente dalla Commissione, dal Consiglio e dal Comitato delle regioni, dove i rappresentanti del popolo possono esprimersi in queste lingue co-ufficiali, l’Ufficio di presidenza si rifiuta di accettare il basco, il catalano o il gallego che pure sono lingue co-ufficiali dello stato Spagnolo.

Signora Presidente …

(L’oratore si esprime in basco)

 
  
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  Presidente. – Onorevole Ortuondo, la Presidenza si informerà in merito, benché sia una questione che abbiamo già discusso più volte e le cui risposte siano ben note.

 

2. Immigrazione – Immigrazione legale – Priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca in discussione congiunta:

- le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sull’immigrazione,

- la relazione dell’onorevole Lilli Gruber, a nome del Comitato per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sul piano d’azione in materia di immigrazione legale [2006/2251(INI)] (A6-0322/2007) e

- la relazione dell’onorevole Javier Moreno Sánchez, a nome del Comitato per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sulle priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi [2006/2250(INI)] (A6-0323/2007).

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli parlamentari, molte sono ancora le sfide che l’Unione Europea deve affrontare nel rispondere alla mutata situazione dell’immigrazione.

L’approccio globale in materia di migrazione, adottato dal Consiglio europeo nel dicembre 2005, costituisce sempre il quadro di base per definire la risposta a queste sfide. Al momento dell’adozione dell’approccio globale, il Consiglio europeo aveva sottolineato la necessità di un approccio equilibrato, globale e coerente che contemplasse delle politiche volte a combattere l’immigrazione clandestina e, in cooperazione con i paesi terzi, a sfruttare i benefici della migrazione legale. L’attuazione dell’approccio globale è stata una priorità per le Presidenze successive.

L’approccio globale alla migrazione non è rimasto inalterato bensì è stato approfondito e perfezionato dal Consiglio europeo alla luce degli eventi e dei progressi compiuti durante la sua attuazione. Ora è parte integrante della politica migratoria globale dell’Unione Europea.

Nel corso della riunione del 21 e del 22 giugno di quest’anno, il Consiglio europeo ha adottato alcune conclusioni sull’espansione e il rafforzamento dell’approccio globale. In particolare, queste conclusioni prevedono l’applicazione dell’approccio globale alle regioni limitrofe a est e a sud-est dell’Unione europea e lo sviluppo di partenariati tra l’Unione Europea e i paesi terzi in materia di migrazione circolare e di mobilità.

Gli eventi di quest’estate, e in particolare i fatti avvenuti alle frontiere marittime meridionali dell’Unione Europea, hanno messo in luce l’importanza dell’attuazione dell’approccio globale. Nell’applicarlo, le misure da adottare devono includere sia misure volte a combattere l’immigrazione clandestina, sia misure volte a migliorare le opportunità per l’immigrazione legale.

Il Consiglio ha cercato di migliorare questi due obiettivi inscindibili. Nel corso della riunione di giugno ha discusso la situazione alle frontiere meridionali del Mediterraneo. Ha ribadito l’importanza del ruolo di Frontex e ha deciso di occuparsi ulteriormente della questione in seguito alla luce dei suggerimenti avanzati da Malta. Nel corso della riunione del Consiglio del 18 settembre, questo ha portato all’adozione di conclusioni sul consolidamento della gestione delle frontiere marittime meridionali dell’Unione Europea. Alcune di queste conclusioni chiedono interventi urgenti per potenziare le misure attuali e gli accordi esistenti. Gli Stati membri sono incoraggiati a dare sostegno bilaterale agli Stati membri che per la loro posizione geografica e il livello di cooperazione con paesi terzi limitrofi subiscano una pressione eccezionale in termini d’immigrazione clandestina. Questa cooperazione dovrà, per esempio, includere le misure di rimpatrio, le condizioni per l’accoglienza, le responsabilità verso i richiedenti asilo, i rifugiati e i minorenni.

Le conclusioni sottolineano inoltre la necessità d’incrementare la cooperazione in quest’ambito con i paesi terzi di origine e di transito, in modo particolare in merito alla gestione delle loro frontiere, all’assunzione da parte di questi paesi della responsabilità per le operazioni di ricerca e di salvataggio, alla lotta contro la tratta di esseri umani e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e alla creazione di un quadro efficace per il rimpatrio degli immigrati clandestini.

E’ stato posto l’accento sulla necessità di una stretta collaborazione con le organizzazioni internazionali come l’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e la IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni). Importantissimo è lo sforzo compiuto per potenziare le attività di Frontex istituendo, in particolare, operazioni congiunte a lungo termine e potenziando le attività svolte nel quadro della rete europea di pattuglie costiere.

Per quanto riguarda le misure a lungo termine, il Consiglio ha invitato la Commissione a presentare una relazione su eventuali misure supplementari e un’analisi approfondita di alcune proposte avanzate da Malta, nonché uno studio delle parti pertinenti del diritto marittimo e l’impegno, all’interno del dibattito in corso sul Libro verde della Commissione sul regime comune europeo in materia di asilo, a creare delle équipes di specialisti in materia di asilo.

Frontex è uno strumento sempre più importante di cui dispongono gli Stati membri per garantire il controllo efficace alle frontiere esterne dell’Unione europea. Come sapete, Frontex è entrato in funzione solo nell’ottobre 2005 e tuttavia, in questo lasso di tempo relativamente breve, ha migliorato le sue capacità operative e ha adottato misure importanti per rafforzare la sicurezza alle frontiere esterne dell’Unione europea, concentrandosi sulla lotta all’immigrazione clandestina. Sono state condotte diverse operazioni congiunte coordinate da Frontex ed altre sono in corso nell’Atlantico e nel Mediterraneo. Di particolare importanza è stato l’avvio del sistema europeo di sorveglianza delle frontiere marittime, che a lungo termine verrà a integrare il futuro sistema europeo di monitoraggio.

Un altro evento significativo è stato l’adozione, nel luglio di quest’anno, del regolamento del Consiglio che istituisce un meccanismo per la creazione di squadre di intervento rapido alle frontiere, le cosiddette RABIT, e la sua entrata in vigore il 20 agosto. Il regolamento prevede un meccanismo volto a fornire assistenza operativa rapida per un periodo limitato allo Stato membro che la richieda in considerazione di una situazione di pressione eccezionale e urgente, in particolare in seguito all’arrivo alle frontiere esterne di un numero elevato di cittadini di paesi terzi che cercano di entrare clandestinamente nell’Unione europea.

Frontex sta applicando questo regolamento, ma se vogliamo che le sue operazioni siano efficaci dobbiamo disporre di attrezzature adeguate. In conformità con il regolamento Frontex, Frontex ha predisposto un registro centrale delle attrezzature tecniche disponibili, noto come CRATE. Questo registro contiene già una lista esauriente di elicotteri, aerei, imbarcazioni e altre attrezzature che gli Stati membri sono pronti a mettere a disposizione per le operazioni coordinate da Frontex.

In merito alle misure legislative in materia d’immigrazione clandestina, gli organi competenti del Consiglio hanno già iniziato a prendere in esame la proposta concernente una direttiva di questo Parlamento e del Consiglio che stabilisca sanzioni per i datori di lavoro che assumono cittadini di stati terzi in situazione irregolare. Questa proposta, intesa a contrastare l’assunzione illegale come fattore di attrattiva per l’immigrazione clandestina, è stata presentata dalla Commissione nel maggio 2007.

Nel quadro del procedimento di co-decisone e volendo giungere rapidamente a un accordo, il Consiglio ha altresì dato assoluta priorità alla proposta di direttiva presentata dal Parlamento europeo e dal Consiglio sulle norme e sulle procedure comuni da applicarsi negli Stati membri per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare. Questa è’ attualmente al vaglio degli organi competenti del Consiglio.

In termini di politica di riammissione, va ricordato che successivamente all’entrata in vigore in giugno dell’accordo di riammissione sottoscritto con la Russia, è già stato deciso di firmare un accordo di riammissione con l’Ucraina e sono stati inoltre firmati diversi accordi di riammissione con i paesi dei Balcani occidentali e la Repubblica moldova. Tutti questi accordi verranno finalizzati una volta che il Parlamento europeo avrà espresso il proprio parere.

Permettetemi ora di spendere alcune parole sul piano d’azione in materia d’immigrazione clandestina. Come sapete, per il Consiglio e per la Presidenza portoghese la promozione dell’immigrazione legale è una priorità. Il 13 e 14 settembre la Presidenza ha organizzato a Lisbona una Conferenza ad alto livello sull’immigrazione legale. In quest’occasione, oltre ai rappresentanti di questo Parlamento e della Commissione, si sono riuniti ministri, alti funzionari e rinomati accademici. Nel corso di questa conferenza sono state affrontate le questioni legate all’immigrazione legale, quali i canali legali d’immigrazione e la gestione dei flussi migratori, l’integrazione e la strategia di Lisbona, la migrazione e lo sviluppo. I risultati di questa conferenza guideranno il lavoro che svolgeremo nei prossimi mesi.

A breve il Consiglio si occuperà della proposta di direttiva quadro sui diritti degli immigrati che soggiornano legalmente in uno Stato membro, volta a creare un unico permesso di soggiorno, nonché della proposta di direttiva sulle condizioni d’ingresso e di soggiorno per lavoratori altamente qualificati, che noi speriamo la Commissione presenti nelle prossime settimane. Queste due proposte, insieme ad altre che verranno presentate nei prossimi anni, rappresentano i futuri provvedimenti previsti dal piano d’azione sull’immigrazione legale presentato dalla Commissione nel gennaio 2006.

Il Consiglio ha già iniziato ad analizzare la proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/109/CE al fine di estenderne il campo d’applicazione ai beneficiari di protezione internazionale. L’obiettivo di questa proposta è di estendere ai beneficiari di protezione internazionale la possibilità di ottenere lo status di residente di lungo periodo. Il Consiglio è in attesa del parere del Parlamento per poter così approvare in tempi brevi questo progetto di strumento.

Per quanto riguarda le relazioni esterne in materia di migrazione, devo informavi che il Consiglio ha adeguatamente atteso all’attuazione dell’approccio globale in materia di migrazione, così come stabilito nelle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2005 e 2006. Richiamo la vostra attenzione sulle conclusioni adottate dal Consiglio in giugno, relativamente all’espansione e al rafforzamento dell’approccio globale in materia di migrazione. Nel dicembre 2006 il Consiglio europeo ha invitato la Commissione: ad avanzare proposte sull’applicazione dell’approccio globale alle regioni limitrofe a est e a sud-est dell’Unione europea; a prospettare modi per integrare le opportunità d’immigrazione legale alle politiche esterne dell’Unione europea al fine di sviluppare un partenariato equilibrato con paesi terzi, che risponda alle esigenze specifiche del mercato del lavoro degli Stati membri; a suggerire modi e mezzi per agevolare la migrazione circolare temporanea; e a presentare proposte dettagliate su come meglio organizzare e fornire informazioni sulle diverse forme di circolazione legale tra l’Unione europea e i paesi terzi.

In risposta a questi inviti, la Commissione ha presentato due comunicazioni e, successivamente alla loro adozione, la Presidenza ha presentato al Consiglio dei progetti di conclusioni destinati ad avviare i lavori sulle azioni individuate dalla Commissione.

La Conferenza ministeriale dell’Euromed sulle migrazioni avrà luogo in novembre. L’obiettivo di questa conferenza è la messa a punto di iniziative e di provvedimenti che permettano di risolvere le questioni legate alla migrazione. Particolare attenzione è stata prestata all’Africa, proseguendo e intensificando il dialogo avviato con i paesi africani nel 2005 sulle questioni legate alla migrazione. E’ stata data priorità anche al monitoraggio delle Conferenze ministeriali sulla migrazione e lo sviluppo tenutesi a Rabat nel luglio del 2006 e a Tripoli nel novembre del 2006. Queste conferenze ministeriali, la prima a livello regionale e la seconda a livello continentale, hanno individuato una serie di ambiti nei quali è possibile migliorare la cooperazione tra i paesi di origine, di transito e di destinazione dei migranti.

Il Consiglio si sta occupando della questione per tradurre in misure concrete i programmi comuni concordati a Rabat e a Tripoli.

 
  
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  Franco Frattini. Vicepresidente della Commissione. − Signora Presidente, onorevoli parlamentari, ringrazio sentitamente il rappresentante del Consiglio per il suo intervento, che ha descritto le grandi linee guida della nostra azione comune, e ringrazio particolarmente i due relatori l'on. Gruber e l'on. Moreno Sánchez per i due rapporti che oggi discutiamo e commentiamo.

E' chiaro che la prima riflessione può essere quanta strada ha fatto l'Europa in così poco tempo, quindi una parola di ottimismo. Tutti ricorderanno che fino al vertice di Hampton Court, ottobre 2005, si dubitava persino che l'Europa potesse avere una strategia comune in materia di immigrazione. Oggi non solo questa è la parola d'ordine per tutti noi, ma stiamo già attuando alcune iniziative che sono state decise e hanno cominciato a dare alcuni frutti significativi.

Questo è il fatto che dimostra come non soltanto per governare il grande fenomeno globale e inarrestabile delle migrazioni occorra l'Europa, non sia più sufficiente l'azione nazionale degli Stati membri. E come l'azione dell'Europa sia di vantaggio per l'Europa stessa, per gli Stati membri e per tutti i nostri interlocutori, tutti i nostri partner, sia nella dimensione meridionale, quindi anzitutto i paesi africani, sia i nostri vicini orientali, perché, come ricordato, la Commissione ha proposto ed il Consiglio ha pienamente condiviso di estendere l'approccio globale alla dimensione orientale, cioè ai flussi migratori che provengono da est.

Parliamo sempre di approccio globale che, ormai ci intendiamo, significa legare in modo assolutamente inestricabile la dimensione esterna con le politiche interne dell'immigrazione. Non possiamo occuparci solamente di gestione dell'immigrazione all'interno del territorio, dobbiamo occuparci di quelle che chiamiamo le radici profonde che conducono ad un'immigrazione che ancora, in grandissima parte, è formata da gente disperata che fugge talvolta dalla persecuzione, talvolta dalla povertà, talvolta dalle guerre, e che non ha scelta se abbandonare la propria patria o restare. Deve abbandonare la propria patria per sopravvivere.

Quindi è chiaro che le radici profonde dell'immigrazione non possono essere affrontate, né con un approccio solamente di sicurezza, con i pattugliamenti mediterranei che pure sono stati e saranno uno strumento essenziale con la protezione dell'area che circonda le Isole Canarie. Non soltanto questo può essere o anzitutto non può essere questa la nostra strategia e certamente dobbiamo darci carico di un'esigenza che i paesi membri dell'Unione europea hanno: governare l'immigrazione legale, ecco una delle ragioni e uno dei modi migliori per contrastare l'immigrazione illegale.

Quanto più noi avremo capacità di governo dell'immigrazione economica, che è necessaria, tanto più ridurremo quella fascia grigia e oscura che è l'immigrazione clandestina. Ecco perché, comincio le mie riflessioni proprio dall'immigrazione legale, ne abbiamo parlato a Lisbona, pochi giorni fa vorrei dire, in un importante incontro. Abbiamo parlato di prospettive e io ho raccolto un'impressione, che spero questo Parlamento confermerà, che esiste un momento politico positivo per occuparci dell'immigrazione economica in modo non ideologico.

Lo dico francamente: capendo che abbiamo bisogno di lavoratori non comunitari, capendo anche che non dobbiamo dare illusioni facendo grandi numeri che possono avere un effetto attrattivo pericoloso. Qualche osservatore e anche qualche importante articolo giornalistico ha detto:"Siamo pronti ad accogliere 20 milioni di immigrati regolari". Queste cifre sono francamente pericolose. Una cosa è indicare un andamento demografico sicuro: l'Europa sta invecchiando, il numero dei lavoratori europei si ridurrà per il declino demografico; altra cosa è immaginare già ora dei numeri che da qui a cinquant'anni potranno essere la risposta.

Quindi governiamo questo fenomeno con tutte le sue componenti, la prima delle componenti è il declino demografico dell'Europa. Ma la seconda delle componenti è attuare gli obiettivi della strategia di Lisbona in termini di competitività e attrattività dell'economia europea. Per fare questo occorre manodopera in tutti quei settori che oggi sembrano, diciamo così, un po' abbandonati da molti dei nostri concittadini europei. Ma il terzo fattore è che l'immigrazione non può essere l'unica soluzione per far fronte al declino demografico.

Non dobbiamo dimenticare, ad esempio, che mentre parliamo di immigrazione da paesi non comunitari conserviamo ancora barriere alla libera circolazione dei lavoratori comunitari. Vi sono concittadini europei che non hanno la piena libertà di lavoro in tutti gli altri paesi dell'Unione. Questa si chiama in gergo tecnico "preferenza comunitaria", ma dobbiamo spiegarlo con un'azione politica non con una frase burocratica. Vuol dire che l'Europa sarà veramente il territorio della mobilità per il lavoro quando le barriere per i lavoratori nostri concittadini, e parlo ovviamente dei nuovi Stati membri, saranno state abbattute. Quindi, è un'altra componente di cui dobbiamo tenere conto.

E la quarta componente è quella che ci fa guardare al declino demografico come un fattore al quale non bisogna arrendersi, dicendo tanto ci sono lavoratori che vengono dall'Africa. Dobbiamo preoccuparci del nostro declino demografico come del nostro futuro. E allora, ecco perché ad esempio, gli interventi per aiutare la famiglia e la natalità di noi europei sono altrettanto importanti, in questo quadro, quanto governare i fenomeni di immigrazione da fuori dell'Europa.

Per fare tutto questo è evidente che noi stiamo adottando alcune iniziative, alcune sono già state adottate nel settore dell'immigrazione. Posso dirvi che stiamo lanciando il bando di gara per il portale europeo sull'immigrazione. Questo bando di gara, spero si esaurirà in pochi mesi, procedure burocratiche permettendo, e ci permetterà di avere un portale, il primo portale unificato dell'Europa sull'immigrazione. Opportunità, offerta di lavoro, domanda di lavoro, settori interessati alla domanda di lavoro, ecc. ecc. ecc. Un portale che francamente darà grande ricchezza a questa nostra Europa in questo settore.

Il Fondo europeo per l'integrazione è finalmente realtà. Ne abbiamo discusso altre volte, voi lo avete condiviso. Debbo dire francamente il Consiglio lo ha un pochino ridotto economicamente rispetto alla proposta che io avevo formulato all'inizio, ma è una prima realtà. Quasi un miliardo di euro per far fronte a questa grande componente della strategia migratoria. Non c'è immigrazione se non c'è integrazione. Oggi abbiamo un Fondo europeo, è realtà. Stiamo finanziando dei corsi di formazione linguistica e professionale nei paesi di origine. Questa è un'altra delle precondizioni per governare l'immigrazione economica: se coloro che arrivano non hanno la formazione professionale che noi richiediamo in questo o in quel settore, non parlano le lingue dei paesi dove lavorano; insomma, sono destinati a un isolamento sociale che noi non vogliamo. Stiamo già finanziando come Unione europea iniziative in questo campo.

Come probabilmente già sapete, tra pochi giorni, la Commissione adotterà su mia proposta due iniziative legislative. Il rappresentante del Consiglio ne ha parlato. Saranno due direttive, due direttive piuttosto innovative perché la prima riguarderà i lavoratori altamente qualificati e sarà una direttiva volta non certo a determinare i numeri: quanti ingegneri sono necessari in Italia o quanti medici sono necessari in Belgio; questo lo decideranno insieme i governi e i mercati del lavoro dei paesi interessati. Ma a noi interessa rendere l'Europa più attrattiva rispetto a dei competitori come gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia, che attirano il 95% dei lavoratori non europei, quindi dei paesi africani o asiatici, quando noi siamo capaci di attirare solamente il 5% come Europa intera. E' troppo poco!

L'idea di una Carta blu europea per il lavoro è questa: un lavoratore altamente qualificato necessario in un certo paese ottiene dopo un periodo di tempo il diritto a muoversi in un altro paese dell'Unione europea, dove anche abbia un lavoro beninteso, senza formalità e procedure complicate e ottiene il diritto di tornare al suo paese se vuole, e di tornare di nuovo in Europa, se vuole, dopo un altro periodo di tempo. Un'immigrazione circolare che evita anche la fuga dei cervelli permanente dai paesi di origine.

E certo la seconda direttiva, quella sui diritti comuni degli immigrati economici, sarà una direttiva altrettanto importante; per la prima volta avremo permesso di lavoro e permesso di soggiorno in un unico documento. Si entra per lavorare; quindi il principio che un immigrato economico, non parlo ovviamente dei richiedenti asilo, dei ricongiungimenti familiari, parlo di coloro che entrano per lavorare, non ci può essere scissione tra soggiorno e lavoro e ci deve essere trasparenza in questo tipo di documentazione.

Ed è chiaro che questo aprirà un'armonizzazione di diritti. Vi sono paesi membri in cui il diritto alle cure mediche non è integralmente garantito, altri in cui è garantito. Ed è chiaro che la proposta che la Commissione formulerà al Consiglio e al Parlamento lascerà liberi i paesi membri di andare oltre questo livello, se per esempio, esistono già dei regimi nazionali più favorevoli. E' chiaro che non pretendiamo che il paese più virtuoso abbassi il livello dei diritti, ma diciamo che quelli meno virtuosi devono alzare il livello dei diritti sociali, dell'educazione, delle cure mediche e così via.

Nel 2008 io formulerò proposte dedicate ad altre categorie di lavoratori migrati: i lavoratori stagionali, i periodi di formazione remunerati – coloro che quindi seguono corsi di formazione pagati, e i trasferimenti che chiamiamo intracorporate. Se ad esempio un'azienda ha sedi in varie città d'Europa, facilitare questo movimento all'interno della stessa azienda senza ricominciare da zero le procedure in tutti i paesi. E poi, ovviamente, verrà il momento dei lavoratori non qualificati. La categoria più grande, per la quale occorre un approfondimento importante. Piuttosto che formulare lì una proposta legislativa preferisco sottoporre delle opzioni – il che avverrà all'inizio del prossimo anno – delle proposte aperte, raccogliendo poi commenti e suggerimenti per formulare la proposta migliore. Non parliamo di categorie piuttosto limitate, diciamo così, ma parliamo della stragrande maggioranza di coloro che vengono senza avere una formazione professionale. Ci sono molte componenti che vanno affrontate.

E' chiaro che un aspetto centrale – e cito il relazione dell'onorevole Gruber – è la cooperazione con i paesi d'origine per evitare la fuga dei cervelli il brain drain. E' un aspetto che mi sta particolarmente a cuore, ho già detto che l'idea di un'immigrazione circolare mira proprio a quello: evitare di sottrarre permanentemente delle energie. Ma c'è una collaborazione con alcuni paesi dell'Africa subsahariana, ad esempio, che è già iniziata, proprio per valutare come utilizzare le professionalità migliori, che lavorano per un certo periodo di tempo in Europa, quando tornano in patria e possono essere occupate e impiegate a beneficio del paese d'origine.

E' un dialogo aperto che io intendo proseguire davvero con forza nei prossimi mesi, anche grazie al grande sostegno che debbo dire così come le passate Presidenze, l'attuale Presidenza, quella portoghese sta dando. Abbiamo una grande occasione per questo. Abbiamo l'occasione dei due vertici ministeriali; uno ministeriale, il vertice euromediterraneo già ricordato; l'altro, il vertice dei capi di governo Europa-Africa. Quel vertice, credo e spero, ci farà fare dei passi avanti, perché è evidente che io mi attendo che i capi di governo in quel vertice Europa-Africa, adottino una vera dichiarazione di partenariato tra Europa e Africa sull'immigrazione, sulla mobilità e sul lavoro.

Credo che se questo sarà, avremo fatto un grande passo avanti, anche perché sulla proposta che discutemmo con la Presidenza tedesca, con il ministro del lavoro e con il ministro degli interni della Repubblica federale tedesca, abbiamo ora concordato con la presidenza portoghese il primo Consiglio congiunto dei ministri degli interni e dei ministri del lavoro: per la prima volta, all'inizio di dicembre, vi sarà una tangibile azione politica che mette insieme le diverse componenti della strategia migratoria, non più quella solo di sicurezza, ma direi la componente economica e di lavoro che per tutte le ragioni già dette è estremamente importante.

Un altro spunto riguarda gli accordi di cooperazione con i paesi d'origine. E' un'azione che la Commissione ha cominciato a condurre in via sperimentale con alcuni paesi. Abbiamo, in breve, individuato dei profili paese; ogni paese è diverso dall'altro, non possiamo governare il flusso migratorio dal Mali come ci comportiamo con il Senegal. Ogni paese ha il suo profilo e deve essere considerato come tale.

Dopo aver fatto questo, offriamo delle opportunità di partenariato, un accordo complessivo. Li abbiamo chiamati in modo semplice cooperation plattform; li abbiamo chiamati accordi con una piattaforma di temi su cui trovare un'intesa: combattere insieme il traffico di esseri umani, perché il traffico di esseri umani comincia nel paese d'origine, quindi sradicare la corruzione che protegge questo traffico di esseri umani, governare le opportunità di lavoro informando e formando professionalmente e linguisticamente. Abbiamo aperto il primo centro per il lavoro a Bamako, che è una città, la capitale del Mali con i finanziamenti europei. E abbiamo detto che in quel centro noi forniremo, lo stiamo già facendo, informazioni sulle leggi europee, sulle occasioni di lavoro e formazione, quindi corsi di formazione. E' il primo paese che ci ha dimostrato interesse e con questo paese abbiamo già realizzato questa iniziativa. Vogliamo fare la stessa cosa con gli altri paesi che ce lo chiederanno.

Sull'integrazione: molto brevemente, l'integrazione è una parte essenziale delle politiche migratorie, ovviamente il Fondo va usato per tutte quelle politiche che servono all'inclusione sociale di coloro che rispettano le nostre regole. Ed infine, l'immigrazione illegale che è una parte della nostra strategia politica e so, e mi compiaccio che la commissione LIBE ha approvato il relazione dell'onorevole Weber sulla politica europea di rimpatrio, ne discuteremo in futuro, ma è altrettanto importante.

Immigrazione illegale vuol dire: non favorire il lavoro nero che è un motivo di attrazione per il lavoro illegale. Voi sapete che c'è una crescente percentuale di immigrati che stanno diventando disoccupati in Europa. Questo ci preoccupa moltissimo. Una prima fase ha dato lavoro a molte persone, lavori stagionali, agricoltura, turismo, lavori pubblici, ora c'è un flusso negativo di disoccupazione crescente. Cosa faremo di queste persone che sono disoccupate?

Quindi, non incoraggiamo il lavoro illegale, sanzioniamo gli imprenditori che approfittano degli immigrati clandestini, garantiamo una politica di rimpatrio rispettosa dei diritti fondamentali delle persone, ma anche molto chiara e molto ferma sui nostri obiettivi. Noi non possiamo tollerare l'illegalità e la ripetizione dell'illegalità.

L'Agenzia europea Frontex ha aiutato a bloccare migliaia di immigrati illegali. Ha salvato, solo quest'estate, oltre 1200 persone che sarebbero morte e dobbiamo ringraziare gli operatori delle navi, degli aerei, degli elicotteri, delle missioni Frontex che hanno salvato oltre 1200 persone, solamente quest'estate, che altrimenti sarebbero scomparse come tanti che sono scomparsi,. Ma ha anche determinato una riduzione del flusso di immigrati illegali nelle aree dei pattugliamenti. Quindi Frontex è stata, è e sarà uno strumento essenziale di questo approccio globale.

Concludo, signora Presidente, dicendo che dovremo lavorare sull'immigrazione per i prossimi decenni e non per i prossimi mesi. Quindi è bene che l'Europa sia cosciente che ha un'occasione straordinaria per essere anche in questo un attore sulla scena internazionale.

 
  
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  Lilli Gruber, relatore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'immigrazione dunque non è un'emergenza né un fenomeno transitorio. Nel 2006 i migranti nell'Europa a 27 sono stati 18 milioni e mezzo. Le cause, come sapete, sono tante: guerre, povertà, catastrofi ambientali, feroci dittature in molte regioni del mondo. L'Unione europea è uno dei grandi attori globali e deve quindi rompere gli indugi e definire politiche strutturali per affrontare questa sfida che ci coinvolge tutti: da soli non andiamo da nessuna parte!

Molto è stato fatto nella lotta all'immigrazione clandestina, ma non basta. Si contrasta l'immigrazione illegale aprendo innanzi tutto canali legali per entrare nell'Unione europea: sono le due facce della stessa medaglia e per questo che io e Javier Moreno Sánchez abbiamo deciso di presentare insieme le nostre relazioni.

Le nostre economie non potrebbero più funzionare senza i lavoratori immigrati e senza i loro contributi previdenziali il nostro sistema di welfare è destinato alla paralisi, minacciato com'è dal pesante calo demografico. Eurostat parla chiaro: nel 2050 un terzo dei 490 milioni di europei avrà più di 65 anni. Il piano d'azione del 2005 della Commissione ha rappresentato un passo importante perché ha rilanciato proposte concrete per aprire in modo uniforme, a livello dell'Unione, canali di immigrazione legale, resta ovviamente ai singoli Stati membri la responsabilità della definizione delle quote d'ingresso.

Delle cinque direttive che Lei, Commissario Frattini, proporrà nei prossimi mesi, prioritaria per noi resta quella che garantisce innanzi tutto un quadro comune di diritti per i migranti. Le auguro buona lena, perché sappiamo che il negoziato in Consiglio non sarà certamente facile, ma il Parlamento non farà mancare il suo sostegno. Anche per questo e necessario garantirci la codecisione ed eliminare in Consiglio il diritto di veto.

La mia relazione è stata adottata all'unanimità, con un solo voto contrario, in commissione LIBE e per l'ottima collaborazione con i colleghi degli altri gruppi li ringrazio di cuore. Nella relazione chiediamo di poter disporre di dati statistici armonizzati e affidabili a livello europeo. Non si può legiferare sull'immigrazione senza conoscerne la reale portata, senza numeri certi diventa facile strumento di propaganda.

Questo fenomeno va affrontato senza demagogia, senza populismo, senza tabù. Perciò ritengo fondamentale un maggiore senso di responsabilità da parte dei politici e da parte dei giornalisti quando affrontano un tema così sensibile, entrambi, come sapete, svolgono un ruolo centrale nel processo di integrazione.

L'integrazione è un processo bidirezionale di diritti e doveri da entrambe le parti e che non può prescindere dalla partecipazione attiva degli immigrati alla vita economica, sociale e politica del paese ospitante. Sono d'accordo con Lei, Commissario Frattini, quando parla del principio di equal treatment per i diritti socioeconomici, perché fondamentali sono il diritto a un eguale salario, alla sicurezza sul lavoro ma anche il riconoscimento dei titoli di studio, il diritto alla trasferibilità dei diritti pensionistici, il ricongiungimento familiare, garantendo alle donne uno status giuridico indipendente dal coniuge.

Sulla direttiva per i lavoratori altamente qualificati, la cosiddetta Carta blu, può essere un ottimo fattore di attrazione per professionisti di cui l'Europa ha molto bisogno. Qualche dettaglio in più, Commissario Frattini, ci premerebbe saperlo su questa Carta blu, in ogni caso e comunque, come Lei ha ricordato, oggi in Europa solo il 5% dei lavoratori sono altamente qualificati contro l'85% di unskilled.

Per questa ultima fascia di lavoratori la direttiva sugli stagionali dovrà colmare un vuoto di diritti e credo che a chi di loro rispetta le regole debba essere offerta la possibilità di un acceso prioritario ad altre forme di immigrazione temporanea e permanente. Però, Commissario Frattini, vanno bene proposte aperte, opzioni, come Lei le ha chiamate, sui migranti poco o non qualificati. Ma quanto dovremo aspettare, e mi rivolgo soprattutto al Consiglio, prima di avere una direttiva in materia?

Il tempo è scaduto, cari colleghi, ai governi e al Consiglio chiediamo maggiore realismo e maggiore coraggio. Alle paure e alle incertezze delle nostre società sempre più inquiete si risponde con una politica responsabile. Non esistono frontiere sigillate e non siamo invasi dagli immigrati! L'immigrazione è una necessità e se governata con serietà può diventare una ricchezza in una società civile e rispettosa delle differenze.

(Applausi)

 
  
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  Javier Moreno Sánchez, relatore. – (ES) Signora Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevole Gruber, onorevoli colleghi, immaginare il futuro dell’Europa e delle nostre sociètà senza immigrazione nell’era della globalizzazione significa allontanarsi dalla realtà. L’immigrazione è necessaria ed è un fattore positivo per la stabilità demografica, la crescita economica e la diversità culturale dell’UE.

Ciò di cui abbiamo bisogno sono lavoratori immigrati legali con diritti e obblighi, non schiavi. La messa a punto e il successo di una politica in materia d’immigrazione legale dipendono in gran parte da una lotta costante contro l’altra faccia della medaglia: l’immigrazione clandestina.

Gestire e controllare questi flussi migratori va oltre le capacità dei singoli Stati membri ed è senz’ombra di dubbio questo l’aspetto più delicato della politica comune in materia d’immigrazione che l’Unione europea deve migliorare.

I recenti squilibri sociali ed economici, i conflitti internazionali e il cambiamento climatico contribuiranno ad alimentare i flussi illegali verso l’Unione europea. I flussi si sposteranno più rapidamente della nostra risposta politica e non si fermeranno spontaneamente. Dobbiamo agire adesso.

Accogliamo con favore e appoggiamo l’approccio della Commissione. E’ fondamentale per lo sviluppo di una politica più coerente ed efficace da parte degli Stati membri, basata sul pieno rispetto della dignità della persona e dei diritti fondamentali, in uno spirito di solidarietà, di responsabilità condivisa, di trasparenza e di fiducia reciproca.

Innanzi tutto, dobbiamo avere frontiere terresti, aeree e marittime sicure grazie al controllo e alla sorveglianza integrata. In questo senso, Frontex e RABIT sono la strada da seguire: la strada verso responsabilità e solidarietà condivise.

Onorevoli colleghi, Frontex funziona. Le operazioni fin qui condotte hanno salvato vite umane e ridotto considerevolmente l’immigrazione clandestina. Gli immigrati clandestini hanno dovuto cercare altre rotte, come si è potuto osservare recentemente in Spagna e in Italia.

Cionondimeno, Frontex è appena nato, è un figlio dell’Unione europea che per crescere e svilupparsi ha bisogno del sostegno dei genitori, gli Stati membri, ai quali chiediamo di svolgere bene il proprio compito fornendo le risorse umane e logistiche necessarie.

E’indispensabile, inoltre, attuare una politica europea di rimpatrio che, nel pieno rispetto dei diritti umani, faccia da deterrente ed è necessario predisporre accordi di riammissione con i paesi terzi. Ci auguriamo che durante la Presidenza portoghese venga adottata una direttiva sul rimpatrio.

Onorevoli colleghi, dobbiamo avere il coraggio politico e la volontà di affrontare quello che è il principale fattore di attrattività per l’immigrazione clandestina: il lavoro illegale. Dobbiamo vincere la battaglia contro i vari tipi di mafia e contro gli imprenditori senza scrupoli che sfruttano gli immigrati clandestini. E’ un’attività che vede coinvolte enormi somme di denaro e interessi occulti: è necessaria una risposta ferma ed energica.

Come lei ha detto, signor Vicepresidente, dobbiamo applicare la tolleranza zero contro il lavoro illegale per ridurre l’economia sommersa che fa da “richiamo”. La dimensione psicologica è chiara. Se non è possibile trovare lavoro illegale nell’Unione europea, gli incentivi per emigrarvi si riducono.

Vorremmo anche chiedere agli Stati membri di adottare provvedimenti risoluti con adeguate risorse finanziarie per combattere la tratta di esseri umani attraverso la cooperazione giudiziaria e di polizia, prestando particolare attenzione ai più vulnerabili – donne e bambini – e garantendo che questi abbiano accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione.

Un’azione esterna richiede dialogo e stretta collaborazione con i paesi d’origine e di transito. Dobbiamo proseguire lungo la strada intrapresa alle Conferenze ministeriali di Rabat e di Tripoli e al Forum mondiale di Bruxelles, ponendo l’accento sull’immigrazione e lo sviluppo.

Dobbiamo rendere l’immigrazione un fattore di sviluppo nei paesi d’origine e nei paesi di accoglienza e garantire che il co-sviluppo venga usato per affrontare insieme le cause più profonde dell’immigrazione clandestina.

Dobbiamo inoltre massimizzare l’impatto positivo che le rimesse degli immigrati producono sullo sviluppo dei loro rispettivi paesi ed esplorare il potenziale del microcredito.

Dobbiamo inoltre mettere in atto una politica esterna coerente per garantire che gli obiettivi commerciali e l’aiuto allo sviluppo siano compatibili, di modo che i paesi meno sviluppati possano esportare i loro prodotti e non debbano esportare i propri cittadini.

Onorevoli colleghi, non vorrei terminare il mio intervento senza esprimere i miei ringraziamenti ai relatori con i quali la stretta collaborazione è stata estremamente positiva, come dimostra l’ampio consenso ottenuto presso la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

Non lasciamoci indurre in errore, onorevoli colleghi. Dobbiamo combattere l’immigrazione clandestina e contrastarne le cause e i canali, perché queste persone non sono criminali: emigrare non è un crimine. Doppiamo porre fine ai discorsi populisti e xenofobi che associano l’immigrazione all’insicurezza, alla criminalità, al terrorismo o alla disoccupazione. Nessuno emigra per capriccio: è sempre per necessità. Dobbiamo agire per eliminare questa necessità e trasformarla in una scelta personale.

(Applausi)

 
  
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  Manolis Mavrommatis (PPE-DE), relatore per parere della commissione per lo sviluppo. (EL) Signora Presidente, innanzi tutto vorrei congratularmi con l’onorevole Lilli Gruber e con l’onorevole Javier Moreno Sánchez per l’ottimo lavoro svolto e la cooperazione di cui abbiamo goduto nell’elaborare queste due relazioni.

La Commissione UE è da sempre favorevole a un’autentica politica comune dei 27 Stati membri in materia d’immigrazione. L’immigrazione è intimamente legata allo sviluppo e, considerati gli attuali problemi demografici dell’Unione europea, l’immigrazione legale non rappresenta solo un problema in più, bensì fa parte della soluzione di molti problemi dell’Europa.

L’opportunità di esprimere un parere in qualità di Parlamento europeo ci ha permesso, in seno alla commissione per lo sviluppo, di salvaguardare la parità dei diritti per entrambi i generi, di proteggere i gruppi più vulnerabili di immigrati come le donne e i bambini, di fornire informazioni e di offrire corsi di lingua per gli immigrati da poco arrivati.

Si è presa inoltre in considerazione la fuga di cervelli da regioni del mondo come l’Africa, dove esiste una forte domanda di risorse umane nel settore della sanità. Questo settore soffre ogni volta che un dottore lascia il proprio paese per cercare un futuro migliore nell’Unione europea.

A questo riguardo, accogliamo con favore la proposta della Commissione di rafforzare la migrazione circolare. In questo modo, gli immigrati avranno la possibilità di ritornare al loro paese d’origine dopo il periodo di un anno e di riportare nel loro paese le conoscenze e l’esperienza acquisite negli Stati membri dell’UE.

E’ anche indispensabile che la Commissione fornisca maggiori informazioni sul quadro giuridico che coprirà il termine di “migrazione circolare”. Su questo punto vorrei ringraziare il Commissario Franco Frattini per la sensibilità dimostrata negli ultimi due anni nell’affrontare il tema dell’immigrazione e per il continuo impegno per portare i 27 Stati membri a un accordo su una politica comune in materia d’immigrazione.

(Applausi)

 
  
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  Maria Badia i Cutchet, relatore per parere della commissione per la cultura e l’educazione. – (ES) Signora Presidente, onorevoli colleghi, in qualità di relatore della commissione per la cultura e l’istruzione ho sottolineato quanto sia importante considerare gli aspetti sociali, educativi e culturali dell’immigrazione. Questi fattori forniscono un contributo vitale alla crescita economica e alla coesione sociale. E’ anche importante agevolare l’integrazione di queste persone nei paesi di accoglienza, riducendo così la diffidenza reciproca.

Per quanto riguarda l’istruzione, ho proposto di introdurre politiche che favoriscano l’accesso degli immigrati al sistema di istruzione e la loro integrazione nello stesso, riconoscendo i titoli accademici e professionali ottenuti in paesi terzi.

Per evitare la fuga di cervelli, ci siamo concentrati sulla proposta della Commissione di incoraggiare l’assunzione di manodopera locale nei paesi dove l’emigrazione di personale qualificato potrebbe destabilizzare la situazione sociale ed economica.

Infine, vorrei attirare l’attenzione sull’importanza e la responsabilità dei mezzi di comunicazione quando trasmettono informazioni sia nei paesi d’origine sia nei paesi di accoglienza, così da evitare che si formino opinioni prevenute riguardo al fenomeno della migrazione.

 
  
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  Maria Panayotopoulou-Kassiotou (PPE-DE), relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. (EL) Signora Presidente, la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere si rammarica per il fatto che sia nel comunicato sul progetto di strategia in materia di migrazione legale, sia nel testo che abbiamo chiesto di mettere oggi ai voti si faccia pochissimo riferimento al problema della parità tra donne e uomini.

Ci appelliamo quindi alla Commissione, agli Stati membri e ai diversi gruppi del Consiglio con responsabilità in quest’ambito affinché moltiplichino il loro impegno. Il coordinamento delle politiche in materia di migrazione legale deve contemplare una tutela speciale per il diritto delle donne migranti che subiscono una doppia discriminazione. L’immigrazione clandestina deve essere contrastata: promuove reti di varie forme di sfruttamento di uomini, di donne e di bambini vulnerabili.

Ribadiamo l’importanza di un approccio globale alle politiche di migrazione legale. Dobbiamo introdurre misure d’integrazione che abbiano il duplice effetto di rafforzare l’accettazione da parte delle società di accoglienza e la volontà di integrarsi degli immigrati, uomini e donne.

Il contributo delle donne e delle loro famiglie è rilevante e il ricongiungimento familiare dovrebbe essere agevolato da uno status giuridico indipendente. Dobbiamo combattere la discriminazione, le amputazioni, i matrimoni forzati, la poligamia, i delitti d’onore e la violenza di ogni tipo nelle società d’origine e promuovere le competenze delle donne a livello legislativo.

 
  
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  Joseph Daul, a nome del gruppo PPE-DE.(FR) Signora Presidente, Commissario Frattini, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, il problema dell’immigrazione è una questione politica di particolare rilevanza in quanto implica spesso drammi umani. Il gruppo del Partito popolare europeo e dei democratici europei è consapevole della gravità di questo dibattito e i nostri pensieri sono rivolti alle centinaia di vite sacrificate per inseguire il sogno europeo. Il rispetto della vita umana deve essere sempre una priorità nel formulare la nostra politica d’immigrazione.

Desidero congratularmi con i relatori per il lavoro da loro svolto e con il Commissario Frattini per la volontà e la determinazione politica di cui ha dato prova. E’ nostro dovere fare quanto è in nostro potere per regolare il flusso di immigrati. Sono in gioco la coesione della nostra società, la nostra capacità di accogliere immigrati e la nostra determinazione a combattere il razzismo, l’intolleranza e la xenofobia. Per gestire l’immigrazione è doveroso adottare un approccio basato sul rispetto della dignità umana, sul realismo e su un solido quadro giuridico.

Onorevoli colleghi, nel discutere il tema dell’immigrazione è indispensabile tracciare una distinzione tra i richiedenti asilo, i rifugiati temporanei e gli emigranti economici. Questi ultimi sono di gran lunga i più numerosi. All’interno di quest’ultima categoria dobbiamo inoltre distinguere tra immigrazione clandestina, di competenza dell’Unione europea, e immigrazione legale, che rientra nella giurisdizione degli Stati membri.

Riguardo all’immigrazione clandestina, siamo favorevoli a misure rigorose. L’Europa deve assumersi le proprie responsabilità e affrontare la piaga dei gruppi mafiosi che sfruttano la miseria umana. Riconosciamo che sono stati compiuti progressi: l’istituzione dell’agenzia Frontex, il Fondo europeo per le frontiere esterne, la creazione di squadre d’intervento rapido alle frontiere per pattugliare le zone di frontiera. E’ comunque sempre troppo poco, perché il personale, il materiale e le risorse finanziarie sono ancora insufficienti. Siamo pronti a dotare questi strumenti dei mezzi supplementari necessari. Cionondimeno, per riuscire nella loro azione gli Stati membri che sorvegliano le frontiere esterne devono operare secondo norme comuni. E’ indispensabile redigere un protocollo comunitario per la protezione delle nostre frontiere esterne, completato da un sistema di sorveglianza.

I flussi migratori non pongono gli stessi problemi a tutti gli Stati membri. Dobbiamo stare attenti a distinguere tra gli Stati che svolgono il ruolo di guardiani delle nostre frontiere e gli altri. Il compito che spetta agli Stati a sud e a est dell’Unione è enorme. Dobbiamo essere solidali è aiutare con mezzi tecnici, logistici e finanziari gli Stati membri in prima linea che stanno facendo fronte a una massiccia immigrazione clandestina. La lotta contro l’immigrazione clandestina richiede misure da applicare alle nostre frontiere esterne, certo, ma richiede anche sforzi all’interno dell’Unione europea stessa. Attualmente le persone che risiedono illegalmente nel nostro territorio sono circa 10-15 milioni.

Se il principio che guida le nostre democrazie è l’uguaglianza di fronte alla legge, è imperativo adottare una politica che metta in atto il rimpatrio sistematico nel paese d’origine delle persone entrate illegalmente nell’Unione europea. L’Unione europea deve organizzare il rimpatrio degli immigrati clandestini nello stretto rispetto dei diritti dell’uomo e della dignità umana. Noi vogliamo che l’Europa rimanga un rifugio per coloro che fuggono dalla persecuzione e per questo siamo contrari alla regolarizzazione di massa degli immigrati clandestini. Lungi dall’essere una soluzione, essa dà agli immigrati clandestini e a coloro che cercano di entrare nell’UE solo l’illusione che prima o poi verranno regolarizzati. Tali regolarizzazioni non fanno che perpetuare le reti mafiose d’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani. Accogliamo quindi con soddisfazione la proposta della Commissione di penalizzare i datori di lavoro che assumono immigranti clandestini.

Per quanto riguarda ora la situazione dell’immigrazione legale, il nostro gruppo ritiene che l’impegno del paese d’origine a contrastare l’immigrazione clandestina debba essere una condizione da porre durante i negoziati con i paesi terzi. Naturalmente la gestione dell’immigrazione legale è di competenza degli Stati membri, non dell’Unione europea. Tuttavia, se vogliamo essere più efficaci e coerenti, dobbiamo coordinare meglio i nostri sforzi a 27. Dobbiamo inoltre esplorare la possibilità di introdurre una procedura comune di accoglienza che permetta ai lavoratori altamente qualificati e a quelli con determinate competenze specifiche di entrare nel mercato del lavoro europeo. La proposta di una carta blu europea dovrebbe essere ulteriormente sviluppata e discussa, assieme al progetto d’immigrazione circolare per i lavoratori non qualificati.

Onorevoli colleghi, l’immigrazione è subordinata al giusto equilibrio tra coesione sociale forte e apertura agli altri e al rispetto dei principi dello Stato di diritto. Non vogliamo assolutamente chiudere le nostre porte, vogliamo garantire che i potenziali immigrati siano degnamente accolti e integrati nella nostra società, così come avviene in altre regioni del mondo.

 
  
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  Claudio Fava, a nome del gruppo PSE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi vorrei, se permette, ringraziare intanto i colleghi relatori per il lavoro svolto, che è stato prezioso oltre che assolutamente accurato.

Io vorrei partire da un'immagine che ci portiamo tutti dentro da diversi mesi: è la foto di 40 naufraghi appesi per due giorni e per due notti al centro del Mediterraneo ad una rete per tonni. In quel caso, salvare la pesca sembrò più importante che salvare la vita di quei disperati che non furono raccolti a bordo di quel peschereccio che li aveva incrociati. Dico questo perché, come ricordava il Commissario, occorre un approccio globale, ma diverso al tema dell'immigrazione. Un approccio che sappia tenere insieme equilibrio, solidarietà e – come ricordava la collega Gruber – non abbia tabù.

L'immigrazione non può essere considerata solo un problema di sicurezza. E' una sfida necessaria per l'Europa, è un fattore di integrazione e di evoluzione sociale con il quale siamo chiamati a confrontarci. Il Commissario Frattini ricordava che occorre l'Europa; siamo d'accordo. Occorre l'Europa, purché sia capace di farsi carico di questo tema nella sua complessità.

Vorrei ricordare nei pochi secondi ancora a disposizione, i tre principi fondamentali che sono contenuti in queste due relazioni. Il modo più efficace per arginare l'immigrazione illegale è aprire canali di immigrazione legale, purché vi sia reciprocità di diritti e di obblighi per gli immigrati e per i paesi che li accolgono.

Sull'immigrazione illegale: occorre stabilire un principio di solidarietà fra gli Stati membri, purché riguardi tutti gli Stati membri e non soltanto gli Stati europei che si affacciano sul Mediterraneo. Al tempo stesso, come è stato qui ricordato da tanti colleghi, occorre che l'immigrazione clandestina possa essere combattuta creando condizioni nei paesi di provenienza per risolvere le ragioni della profonda disperazione da cui questa gente fugge, le radici profonde di cui parlava il Commissario Frattini.

Ed infine, il rispetto dei diritti umani, signor Presidente, che resta un punto di riferimento necessario per le nostre politiche. Il processo d'integrazione europea avrà forza e senso se si riuscirà ad evitare che l'Europa chiuda le proprie porte agli immigrati.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA
Vicepresidente

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, il caso dei pescatori tunisini non potrebbe illustrare meglio la necessità di una politica europea comune. Tutto in questo tragico evento – dai migranti in un gommone in alto mare, ai trafficanti che ce li hanno messi, alle autorità che hanno incarcerato i loro soccorritori – testimonia il fallimento dell’approccio europeo alla migrazione.

Ogni volta che, in questo decennio di grave inerzia, è avvenuta una tragedia umana, i liberali e i democratici hanno posto una semplice domanda: quante persone devono morire prima che i governi si rendano conto che alzare i ponti levatoi della fortezza Europa non serve gli interessi di nessuno? Il controllo della migrazione è nell’interesse nostro e di coloro che cercano di raggiungere le nostre coste o muoiono in questo tentativo. Il populismo ha incoraggiato una politica forgiata nella fornace della paura, ma guardiamo i fatti.

Fatto numero uno: nei prossimi 20 anni l’Europa perderà 20 milioni di lavoratori – lavoratori impiegati nelle nostre industrie e le cui tasse finanziano i servizi per i nostri cittadini.

Fatto numero due: i governi nazionali scoraggiano le persone di cui l’Europa ha bisogno per essere competitiva – anzi, per sopravvivere – in un mercato globale spietato. L’ottantacinque per cento dei migliori cervelli va in America e in Australia, scoraggiato dalla nostra burocrazia, dal nostro ostruzionismo e dalle nostre barriere alla libera circolazione.

Fatto numero tre: tra gli immigrati che raggiungono l’Europa, solo 3 su 20 sono qualificati, la maggior parte è senza qualifica, disperata e diseredata. La proposta del Commissario Frattini, basata sull’idea dell’onorevole Hennis-Plasschaert di una carta verde europea per colmare queste lacune relative alle qualifiche, affronta solo metà del problema. Ma il suo progetto di “carta blu” presenta a sua volta delle lacune: non vi è menzione, ad esempio, dei lavoratori di cui abbiamo bisogno nei settori del catering, della sanità o del turismo. Potrebbe far fronte alle sfide economiche e demografiche se fosse accompagnato dalla libera circolazione dei lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri, ma fa poco per contrastare la sfida degli immigrati clandestini lungo le nostre frontiere meridionali.

Non commettiamo errori: il facile calcolo della Commissione di prendere i migliori e lasciare gli altri non funzionerà. Spinta dalla povertà, dalla fame, dallo squallore e dalla guerra, la gente continuerà ad attraversare il Mediterraneo, che questo sia in linea con i nostri criteri oppure no. Perché? Perché le nostre politiche agricole e della pesca non permettono ai loro prodotti di essere competitivi e saccheggiano le loro risorse naturali.

Ovviamente dobbiamo sorvegliare le frontiere dell’Europa. Bene fa la relazione Moreno Sánchez a chiedere che Frontex sia dotato del bilancio, del personale e dell’attrezzatura necessari per svolgere il proprio lavoro – benché, francamente si stenti a credere alla sospensione di Gibilterra da Frontex, che è come lasciare un buco nella rete. A lungo termine, comunque, solo una politica europea globale che punisca i trafficanti, preveda canali legali e crei speranza lì dove c’è disperazione può contrastare le tendenze attuali.

La verità è che non abbiamo scelta nel trattare con i paesi in via di sviluppo: o prendiamo le loro merci o prendiamo i loro cittadini. Se vogliamo accettarne di meno, dobbiamo aiutarli di più a casa loro, come giustamente sostiene la relazione dell’onorevole Gruber. E’ per questo che la Presidenza portoghese deve raddoppiare gli sforzi per ridurre le tariffe agricole europee e portare a buon fine i negoziati di Doha ed è anche per questo che la Commissione deve mettere a punto un ordine del giorno generoso per l’Africa, vincolando l’apertura monetaria e dei mercati al rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto, in modo da dare alle persone la speranza di una vita migliore.

Onorevole Lobo Antunes, onorevole Frattini, vi invito a tenere la vostra prossima seduta del Consiglio nella hall del museo dell’immigrazione dell’isola di Ellis a New York! Fate tesoro della nostra storia di emigrazione verso ovest quando preparate il vertice UE-Africa di dicembre! La migrazione non scomparirà: è spinta dalla miscela esplosiva di disperazione e speranza, segue la legge dell’offerta e della domanda, ma ha la capacità, se gestita bene, di arricchire e dare energia all’Europa.

(Applausi)

 
  
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  Cristiana Muscardini, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, sull'immigrazione legale esistono diverse direttive ed altre saranno presentate, ma il vero problema irrisolto rimane impedire l'immigrazione illegale e incontrollata e definire e garantire in modo univoco – il che è premessa indispensabile della convivenza civile – il rispetto delle leggi e delle regole vigenti nei paesi dell'Unione.

Ringrazio il Commissario Frattini per le proposte che ci ha presentato. Il problema comunque continua a rimanere grave in quanto vi sono sentenze di magistrati, cito i casi in Germania e in Italia, che hanno ritenuto non perseguibili i genitori di una ragazza segregata in casa o ininfluente la richiesta di divorzio di una donna più volte picchiata dal marito, in quanto questi fatti rientravano, secondo questi magistrati, nelle regole e nelle tradizioni dei paesi di provenienza degli immigrati. Grave tutto questo anche a fronte del progetto di riforma del trattato, che prevede sì la creazione di una politica comune sull'immigrazione ma che è di là da venire mentre, mentre per arginare l'immigrazione clandestina abbiamo necessità subito di una politica comune.

Nel febbraio 2004 fui relatrice per parere nella commissione affari esteri di Frontex che nacque nel 2004 ed è operativa dal 2005, ma tuttora con risorse insufficienti e ancora spesse volte non ha i mezzi per poter controllare non solo le frontiere ufficiali, ma i confini, perché sono i confini dei nostri paesi che hanno bisogno di maggiore controllo. Per costruire una società giusta, senza conflitti palesi o sotterranei, i cui rischi sono evidenti, compreso quello di snaturare le nostre altrui identità, occorre una politica forte per contrastare l'illegalità! Chiediamo alla Commissione e al Consiglio non solo di rafforzare il controllo ai confini dell'Unione, ma anche leggi armonizzate per sanzionare con celerità e determinazione i trafficanti di esseri umani e per promuovere migliori accordi con i paesi di provenienza degli immigrati.

Difendere i diritti umani e la dignità delle persone è in antitesi con politiche deboli che incentivano il pericolo terrorismo e il disagio sociale. Anche per questo ricordiamo come la mancanza di una regola comune per il diritto di asilo aggravi la situazione, ma non vediamo molta attività da parte dei gruppi politici.

 
  
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  Jean Lambert, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare la Commissione, il Consiglio e i nostri due relatori per aver finalmente riconosciuto la complessità della questione e la necessità di un approccio coerente. Sappiamo che la migrazione è una realtà, sappiamo che è una forza per lo sviluppo e sappiamo che molti cittadini europei vogliono guadagnare, imparare e ambiscono a qualcosa di meglio, proprio come coloro che vengono dall’Africa sub sahariana.

Accogliamo con favore la richiesta di pari diritti per tutti i gruppi di migranti perché temiamo che un approccio settoriale al problema possa rendere la questione ancor più complessa in termini di diritti diversi per lavoratori diversi.

Ma ci preme altresì definire uno status giuridico per coloro che attualmente non possono tornare nei loro paesi d’origine perché c’è un conflitto in corso e si trovano quindi in stato di indigenza, spesso in mezzo alla strada.

Apprezziamo anche l’invito rivolto agli Stati membri a riconoscere che le nostre economie hanno oggi bisogno di lavoratori immigrati. La globalizzazione ha accelerato la migrazione e sono pienamente d’accordo con i membri del Parlamento che hanno parlato dell’urgenza di cambiare le nostre regole commerciali. Come ci è stato detto, se prendete il nostro pesce prendete anche il nostro pescatore. Nel qual caso, sollecito questi onorevoli a non versare lacrime di coccodrillo sulla situazione nella quale si trovano alcuni immigranti – e a non votare in favore di regole commerciali che devastano altre economie.

E’ anche giusto che in questo dibattito si consideri l’occupazione in termini di pari diritti, pari retribuzione e buoni controlli, che è una cosa positiva per tutti i lavoratori che devono conoscere i loro diritti. Se la fuga di cervelli ci preoccupa, dobbiamo anche pensare a incentivi che inducano i nostri lavoratori qualificati a rimanere. Dobbiamo usare e sviluppare le competenze dei lavoratori immigrati che vengono da noi ed EQUAL ci ha fornito degli esempi fantastici ai quali non dobbiamo rinunciare.

Per attirare persone altamente qualificate non dobbiamo solo affrontare la questione della libera circolazione; dobbiamo anche contrastare il razzismo e la xenofobia che dissuadono molti lavoratori altamente qualificati dal venire nell’Unione europea.

(Applausi)

 
  
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  Giusto Catania, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Commissario Frattini oggi ha parlato prima di immigrazione legale e poi di immigrazione irregolare. Se le politiche dell'Unione europea fossero consequenziali alle sue parole, io mi riterrei d'accordo con lui, ma purtroppo non è così.

Le politiche dell'Unione europea in questi anni hanno prima parlato il linguaggio dei respingimenti, della criminalizzazione dei migranti, di politiche repressive, di agitazione dello spettro dell'invasione e ora, finalmente, cominciamo a parlare di politiche per gli ingressi. Pertanto ci possiamo dire tutti d'accordo nel ritenere che la politica legale sull'immigrazione è fondamentale per combattere l'immigrazione irregolare, fondamentale per impedire la tratta degli esseri umani, per evitare le traversate della speranza, per impedire che il Mediterraneo sempre più sia un cimitero a cielo aperto. Ma bisognerebbe essere consequenziali. Pertanto, prima di proporre politiche di respingimento bisognerebbe discutere di come allargare i canali legali per gli ingressi, di come farsi carico della sfida demografica.

Io non ho capito bene quello che ha detto oggi il Commissario Frattini, se stiamo parlando di indiscrezioni giornalistiche. In realtà, 20 milioni di immigrati entro il 2030 è una previsione che è stata fatta direttamente dalla Commissione europea nel suo Libro verde, quando ci ha spiegato che la crisi demografica dell'Unione europea ci impone di avere 20 milioni di immigrati entro il 2030. Ma 20 milioni di immigrati non significa 20 milioni di immigrati solo qualificati. Noi stiamo procedendo in modo inverso, prima attuiamo le politiche dei respingimenti, poi decidiamo come fare entrare gli immigrati qualificati e infine ci facciamo carico del grande problema che sono tutti gli altri.

Io credo che bisognerebbe analizzare con attenzione le politiche attuate in questi anni e fare anche una valutazione. Bisognerebbe fare una valutazione su quale sarà la politica di respingimento; pensare a 18 mesi di detenzione amministrativa, credo che in sé sia un delitto e una violazione sistematica dei diritti umani.

Bisognerebbe anche analizzare le politiche di Frontex. Quest'anno abbiamo speso 45 milioni di euro; Frontex ha 90 dipendenti e ha fatto 4 interventi in mare durante quest'estate. Io non credo che potremmo ritenerci soddisfatti della politica attuata da Frontex. Politica che ha privilegiato il respingimento piuttosto che i salvataggi.

E concludo su questo punto: i salvataggi devono essere una priorità. La Commissione oggi, anche su proposta del presidente del nostro gruppo, doveva riferirci sulla vicenda dei sette pescatori tunisini che sono stati in galera in Italia per avere salvato 44 migranti. Io spero che il Commissario Frattini ci possa delucidare su questa vicenda, che è consequenziale alle politiche di criminalizzazione dell'immigrazione.

 
  
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  Roger Knapman, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, il povero onorevole Frattini è ancora perso nel dedalo di Hampton Court mentre l’Unione europea si sta sempre più allontanando dalla democrazia. Confrontiamo – e non per la prima volta – la nostra posizione con quella della Svizzera.

La Svizzera sa che la conoscenza locale è la chiave della politica d’immigrazione. L’Unione europea vuole centralizzare il controllo dell’immigrazione a livello sovranazionale. In Svizzera, invece, la quota annuale degli immigrati viene in parte stabilita dal governo federale e in parte dai cantoni. La proposta di istituire un ente federale per la migrazione è stata respinta.

Storicamente, sono i cantoni svizzeri e la loro lunga tradizione di democrazia diretta ad aver determinato una politica d’immigrazione che favorisce l’economia nazionale e garantisce la buona integrazione degli immigrati nella società svizzera. Come ha dichiarato il Professor Windisch dell’università di Ginevra nel notiziario dell’aprile del 2006 della Fondazione francese per l’innovazione politica, la democrazia diretta svizzera ha dovuto affrontare – apertamente e molto presto – questioni che riguardavano l’immigrazione e l’integrazione per mezzo di – Dio ce ne liberi! – referendum e iniziative popolari. Continua dicendo: “a differenza di un paese estremamente centralizzato come la Francia, il dibattito si è svolto a livello federale, cantonale e comunale, ha sollecitato risposte a livello di comunità e comportato iniziative come la creazione in ogni cantone di uffici per l’integrazione e la dispersione geografica dei nuovi arrivati.”

La lezione per quelli tra noi che, a differenza degli svizzeri, non hanno avuto la fortuna di rimanere fuori dall’Unione europea è la seguente: la politica in materia di immigrazione funziona in Svizzera perché viene decisa anche in base alle esigenze locali, e non solo nazionali, e perché sono le comunità locali, e non una burocrazia anonima e centralizzata, a essere responsabili dell’integrazione degli immigrati sulla base di queste esigenze. Nel Regno Unito, soggetto com’è temporaneamente alla sua condizione di membro dell’Unione europea, la politica d’immigrazione si allontana ancor più da questa fonte di conoscenza locale e noi del partito indipendente del Regno Unito abbiamo subito fatto notare i limiti di questo approccio.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio innanzi tutto i relatori per la qualità del lavoro svolto. Promuovere e regolare l'immigrazione legale è l'unica soluzione attuabile non solo per combattere la criminalità collegata ai flussi migratori, ma anche per tutelare e garantire i diritti delle persone. Come qualunque altro cittadino europeo, gli immigrati dovranno essere integrati e inseriti nel contesto delle rispettive comunità con conseguenti diritti e doveri da rispettare.

Un anno fa sono stato relatore per la commissione sviluppo del rapporto sull'attraversamento delle frontiere esterne e come allora sottolineo l'importanza per l'Europa di garantire, anche con risorse adeguate, centri di accoglienza dignitosi, formazione per il nostro personale, accesso all'informazione per i cittadini stranieri sui propri diritti e doveri, pene pesanti per coloro che sfruttano l'immigrazione illegale e soprattutto massima cooperazione tra i paesi membri.

Dopo l'avvio di Frontex occorre assicurarne le risorse e coinvolgere il più attivamente possibile gli altri paesi vicini toccati dai flussi migratori.

 
  
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  Mikel Irujo Amezaga (Verts/ALE). – (ES) Sì, signor Presidente. Mi scusi, ho avuto problemi con l’interpretazione, e comunque, se mi concederà alcuni minuti, vorrei semplicemente dire che…

(L’oratore si esprime in basco)

Mi perdoni: nella giornata europea delle lingue vorrei solo aggiungere due parole in euskera, giacché, come è già stato detto in questo dibattito, non siamo criminali; vorremmo solo parlare la nostra lingua.

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, non posso non dare atto al vicepresidente Frattini – e ringraziarlo per questo – di aver presentato un piano d'azione che rappresenta finalmente un solco importante sul quale dibattere e lavorare per il futuro sull'immigrazione legale.

Per quanto riguarda il rapporto ritengo che sia un testo equilibrato, frutto di utili negoziazioni e di importanti emendamenti di compromesso tra i vari gruppi politici, che ci consentono di poter puntare a un sostegno diffuso a questo testo e quindi di sostenere come Parlamento anche il lavoro futuro che la Commissione europea dovrà fare su questo tema. La posizione del gruppo PPE ha rappresentato – ci tengo a sottolinearlo – un importante elemento di equilibrio e di concretezza nella definizione di questo rapporto.

I punti chiave della posizione che il nostro gruppo ha sempre espresso sul fenomeno dell'immigrazione sono stati confermati. Tra questi punti fermi vorrei ricordare l'impegno a un deciso e fermo contrasto all'immigrazione illegale, il supporto dato ad un maggiore legame tra immigrazione legale e illegale e alla ricerca di maggiori strumenti di dialogo e di integrazione per gli immigrati.

Il rapporto è senza dubbio un rapporto, che – non per retorica – possiamo definire europeo. Proprio perché guarda al fenomeno dell'immigrazione come un qualcosa che debba essere affrontato congiuntamente, sia nei suoi aspetti positivi che negativi, da tutti i partner europei che devono essere solidali tra loro e quindi affrontare con lo stesso grado di attenzione e di decisione anche problemi che colpiscono maggiormente determinati paesi. Il naufragio di una barca di clandestini che si verifichi alle porte della Sicilia o delle Isole Canarie, o di un altro luogo deve rappresentare un problema comune.

Una politica di coordinamento del fenomeno immigrazione a livello europeo è a dir poco necessaria. Con questo rapporto si va nella direzione di confermare questa convinzione, pur ribadendo in maniera netta il pieno rispetto delle competenze nazionali in materia di gestione degli aspetti quantitativi e dei flussi di immigrazione.

 
  
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  Bárbara Dührkop Dührkop (PSE). – (ES) Signor Presidente, al pari degli altri desidero congratularmi con i relatori per l’eccellente lavoro.

L’immigrazione non è un fenomeno nuovo, lo sappiamo tutti; ciò che è nuovo è il suo enorme aumento negli ultimi anni, dovuto a livelli crescenti di povertà e al fatto che sempre più paesi ne siano colpiti.

Per cui penso che la sfida principale oggi sia di limitare i flussi migratori, strutturarli in base alle necessità reali, garantire alti livelli d’integrazione di queste persone nei paesi di accoglienza e al tempo stesso intensificare i controlli alle nostre frontiere e adottare politiche che prevedano il rimpatrio verso i paesi d’origine.

Dobbiamo soprattutto affrontare il problema delle mafie coinvolte nella tratta di esseri umani. E’ di fondamentale importanza trovare una risposta e mettere fine alle tragedie legate alla migrazione clandestina: su questo punto ci troviamo d’accordo.

La sorveglianza alle frontiere dovrebbe essere comune per gli Stati membri. Responsabilità condivisa e solidarietà dovrebbero andare di pari passo.

Vorrei ora dire due parole su Frontex, che ha svolto un buon lavoro, e mi rivolgo qui al Consiglio che ci ha appena letto una lunga lista di imbarcazioni e di elicotteri. Quello che mi chiedo è: dove sono? Non basta che siano nella lista. Ho anche l’impressione che il Consiglio agisca in modo schizofrenico quando richiede più assistenza per Frontex e contemporaneamente taglia il bilancio del 2,5%, a fronte di crediti già esauriti per l’anno 2007.

Sappiamo bene che, nonostante Frontex, il flusso d’immigrati continuerà a prescindere dalla nostra totale volontà di arginarlo: abbiamo bisogno di volontà non di una legislazione, perché la Commissione e il Consiglio hanno rinunciato a una direttiva unica sui requisiti legali per entrare nell’Unione europea.

E’ come se tutto ciò che abbiamo sperato a Tampere, tutto ciò che il gruppo socialista ha difeso così strenuamente fosse semplicemente andato in fumo.

 
  
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  Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE). – (NL) Signor Presidente, in un mondo in cui ci sono sempre più conflitti regionali, enormi disparità di ricchezza e crescente mobilità, il controllo dei flussi migratori diventerà sempre più importante e al tempo stesso più difficile. L’Unione europea è in grado di assumersi le sue responsabilità con un pacchetto esaustivo, quando si tratta di migrazione, legale o clandestina che sia? E’ già un po’ di tempo che ne parliamo: i fattori che spingono la gente a partire, i fattori che l’attirano e la inducono ad andare via, l’importanza di offrire soccorso nella regione, le condizioni sovente disumane nelle quali spesso versano le persone, l’onere che intendiamo ripartire tra gli Stati membri, il rimpatrio dei clandestini, il rischio della fuga di cervelli, per non parlare dei cambiamenti demografici in corso nell’Unione. Tutti questi aspetti sono stati più o meno affrontati o lo saranno prossimamente con direttive, piani d’azione e altri strumenti. A questo riguardo, desidero ringraziare il Commissario Frattini. Giovedì scorso, alla conferenza “Determinare strategie per le migrazioni”, che ho organizzato insieme ad altri colleghi, lei ha fissato degli obbiettivi, ancora una volta con grande entusiasmo.

Signor Presidente in carica del Consiglio, ammiro le dichiarazioni del Ministro Socrates. I paesi dell’Unione europea hanno effettivamente una responsabilità storica nei confronti di coloro che adesso viaggiano nella direzione opposta. Lei, in veste di Presidente in carica del Consiglio, ha dato prova di grande ambizione e tuttavia la realtà ci mostra che l’Unione europea deve fare ancora molto per assumersi questa responsabilità globale. In molti Stati membri il dibattito sulla migrazione è estremamente polarizzato. Non viene fatta distinzione alcuna tra i richiedenti asilo e gli emigranti economici, quest’ultimi spesso clandestini. Il dibattito è dominato dai problemi legati all’integrazione. Si dice che ne vada dei sistemi di previdenza sociale e che se non stiamo attenti l’immigrato medio rischia di venir equiparato a un terrorista. Un dibattito aperto, equilibrato e trasparente è molto spesso impossibile. Sfortunatamente, ciò si rispecchia nelle procedure di presa di decisione del Consiglio, che sono esasperatamente lente: quando il Consiglio decide a favore dell’armonizzazione, ma alla fine finisce con l’adottare norme che sono veramente il minimo che si possa concepire. Quando vengono adottate misure concrete, è sempre sulla base del minimo denominatore comune. Sì, sono impaziente per natura, ma ho pensato di accennare a questo aspetto.

La realtà è che molti Stati membri mancano di ambizione. La mancanza di solidarietà è scioccante e cito Frontex, ma ci sono molti altri esempi. Quand’è che gli Stati membri dimostreranno di sostenere una visione a lungo termine, di non essere più spinti dalla paura, di non permettere più che un articolo critico sulla prima pagina di un giornale o le prossime elezioni dettino le loro decisioni? Non sarà possibile con le sole eccellenti conclusioni del Consiglio. La mia domanda, quindi, signor Presidente in carica del Consiglio, è come può fare in modo che la situazione cambi? Il Presidente in carica del Consiglio è intenzionato a conferire al Parlamento poteri di codecisione riguardo alle nuove direttive sulla migrazione legale, come la carta blu, prima del nuovo Trattato? Questo, signor Presidente in carica del Consiglio, sarebbe il segnale giusto.

 
  
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  Mario Borghezio (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, di molti interventi, il presidente Doyle che ammonisce sui rischi delle regolarizzazioni facili. I risultati concreti di Frontex, che andrebbe sostenuto con ben altri mezzi, qualcosa si comincia a fare e si ottengono i risultati. La politica della Francia che va nella giusta direzione, potrebbe essere di esempio. Anche alcune scelte delle magistrature, per esempio in Italia si comincia a sequestrare le case affittate ai clandestini, misure concrete che dovrebbero diventare misure di carattere europeo.

Ma dalla sinistra buonista e aperturista sentiamo – mi scusi collega Gruber – un sofisma, mi stupisce, sentirlo da una persona intelligente come lei: l'immigrazione legale si favorisce, si combatte la clandestinità aprendo le porte all'immigrazione legale. E' piuttosto vero il contrario! E' estirpando il bubbone della clandestinità che si apre lo spazio e anche l'accettabilità e la tollerabilità, anche nei numeri, di un'immigrazione regolare, pulita, trasparente. Ha mai sentito parlare di mafia? E' vero che nella sua relazione questa parola non c'è! Non c'è la parola terrorismo, ma mafia e terrorismo guadagnano e si ingrassano sulle morti e sui traffici dei poveri clandestini. Dovreste capirlo anche voi, non è difficile!

 
  
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  Kathalijne Maria Buitenweg (Verts/ALE). – (NL) Signor Presidente, vorrei leggerle un passo di una relazione di ricerca finanziata dal Parlamento. Essa recita:

(EN) “Si può concludere ragionevolmente che il numero di persone che muoiono alle frontiere europee sia aumentato in modo significativo da quando nel 1995 i controlli sono stati estesi alle frontiere”.

(NL) Signor Presidente, in realtà il numero di persone che cercano una via per entrare in Europa non è aumentato, ma le frontiere sono controllate molto meglio per cui la gente sceglie rotte più difficili e più pericolose. La relazione afferma inoltre:

(EN) “Le proposte del Consiglio europeo aumenteranno probabilmente i costi umani a causa dell’orientamento verso un’intensificazione della sicurezza e della sorveglianza”.

(NL) Signor Presidente, mi piacerebbe molto ricevere una risposta dalla Commissione e dal Consiglio. Credo che non ci si debba basare su questa ricerca ma che si debbano raccogliere i nostri propri dati riguardo alle traversate fatali. Ne conviene? E chi raccoglierà quindi i dati?

Signor Presidente, non sto sostenendo che non debbano esservi controlli alle frontiere, sto dicendo che dovrebbero esserci più opportunità per la migrazione legale. A questo riguardo, accolgo favorevolmente la proposta della Commissione di una carta blu: il nome fa riferimento al blu della bandiera europea, ma sembra preoccuparsi soprattutto delle stelle. Deve essere completata. Mi fa piacere che la Commissione abbia detto che se ne occuperà. Aspetterò con ansia le sue proposte, perché credo che sia un’integrazione necessaria alle proposte fin qui presentate.

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM).(SV) Signor Presidente, la migrazione è sempre esistita nella storia dell’umanità E’ stata una delle principali forze trainanti della nostra storia. Quando parliamo di migrazione tra paesi, affrontiamo questioni fondamentali, questioni esistenziali di libertà dell’uomo. Le persone non hanno forse il diritto di scegliere in quale parte del mondo vivere? Effettivamente, non è questa la sede adatta per questo tipo di domande. Il moderno stato sociale non è conciliabile con la libera immigrazione e in generale è di difficile conciliazione con una più vasta migrazione a causa dei diversi tenori di vita.

Stando ai dati, l’immigrazione come mezzo per ringiovanire la nostra popolazione è praticamene senza speranza. L’immigrazione di alcuni membri di una famiglia ha pochissimo effetto sulla struttura sociale. Sarebbe necessario che il 50-70% di tutta la popolazione di un paese fosse composto da immigrati per ringiovanire la popolazione di un paese come il Giappone.

La fuga di cervelli è un problema grave per molti paesi in via di sviluppo. Qui, in realtà, viene proposto di derubare gli altri paesi della loro popolazione istruita. E’ necessario un nuovo approccio.

 
  
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  Marine Le Pen (ITS).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli ultimi dati riportati dalla relazione annuale per il 2006 sulle attività di Eurodac, lo strumento biometrico usato dall’Europa per monitorare i richiedenti asilo, mostra che dal 2005 il numero di persone che hanno attraversato clandestinamente una delle frontiere dell’Unione europea è aumentato del 64%. Questo sviluppo preoccupante prova solamente, se ce ne fosse ancora bisogno, che l’Europa è incapace di controllare le sue frontiere esterne e di arginare la crescita esponenziale dell’immigrazione clandestina, in particolare quella dall’Africa.

L’unico motivo di conforto nella relazione è che il Parlamento sembra aver capito che la regolarizzazione di massa degli immigrati entrati illegalmente nel territorio dell’Unione europea non sia di per sé una soluzione e non possa risolvere il problema. Bene, alleluia! E’ stato comunque necessario che la Spagna, il Belgio, la Francia, l’Italia e i Paesi Bassi ricorressero a questa pericolosa politica della regolarizzazione, dando vita al cosiddetto fenomeno di “aspirazione” ed influenzando così i flussi migratori dei loro vicini europei, perché vi fosse un inizio di presa di coscienza.

Tuttavia, siamo positivi! E’ già un inizio. Cionondimeno, per combattere efficacemente l’immigrazione clandestina dobbiamo adottare urgentemente un provvedimento: ristabilire i controlli alle frontiere esterne dell’Unione europea. Non sarà il marchingegno di Frontex, un vero e proprio guscio vuoto con uomini e mezzi insufficienti, che alcuni paesi europei nemmeno sostengono ansiosi come sono di preservare la loro sovranità sulla gestione dell’immigrazione, che salverà l’Europa da questa spirale infernale.

E’ l’Europa stessa che, partecipando agli accordi criminali di Schengen, è all’origine di quest’immigrazione continua ed esponenziale. Che li annulli, e presto!

 
  
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  Irena Belohorská (NI). – (SK) L’Unione Europea ha una legislazione esauriente in materia di politica d’immigrazione. Abbiamo le Convenzioni di Ginevra, la Convenzione di Dublino, diversi regolamenti e molte direttive.

La loro attuazione pone comunque problemi e il loro elevato numero rende l’intero sistema oscuro. Inoltre, la legislazione degli Stati membri è spesso applicata incorrettamente e lo status giuridico dei rifugiati e quello dei richiedenti asilo spesso si confondono.

Poiché il tempo è limitato, mi atterrò al problema dei bambini che non sono accompagnati dai loro genitori e che lasciano il paese di origine per cercare asilo in un altro paese: il 5% di tutti i richiedenti asilo è composto proprio da bambini. Abbiamo statistiche sul numero dei bambini che fanno domanda d’asilo, ma non sappiamo quanti di loro attraversino la frontiera senza richiedere asilo. Sappiamo a quanti viene concesso l’asilo, ma non abbiamo informazioni su quello che succede a coloro le cui domande vengono respinte.

Inoltre, quando arrivano in un paese, ai bambini deve essere assegnato un rappresentante legale che difenda i loro migliori interessi, ma non sappiamo esattamente quale sia la definizione di migliori interessi di un bambino. Il rappresentante legale di un bambino non dovrebbe essere un volontario inesperto, uno studente o una persona giuridica con conflitto di interessi.

 
  
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  Patrick Gaubert (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi ha fatto piacere leggere recentemente che il gruppo socialista del Parlamento europeo ha chiesto che il dibattito di questa mattina non diventi un esercizio elettorale. Inoltre, ascoltandola questa mattina, ho avuto l’impressione che le sue posizioni si stiano pericolosamente avvicinando a quelle del mio stesso gruppo.

Convengo con l’onorevole Gruber che gli Stati membri non possano più gestire l’immigrazione agendo indipendentemente nel loro angolo d’Europa. Sono anche d’accordo con l’onorevole Moreno quando dice che vogliamo aiutare i paesi con un alto livello di emigrazione a svilupparsi in modo che i loro cittadini siano più inclini a rimanere a casa. Concordo anche con l’onorevole Fava quando afferma che l’Europa debba assumere una posizione risoluta nei confronti dei datori di lavoro che sfruttano senza scrupoli i loro dipendenti.

C’è chi parla dell’immigrazione con violenza e sostiene che gli immigrati siano la causa di tutti i mali dei loro paesi. Queste persone non condividono i valori fondamentali dell’Unione europea.

Per fortuna c’è anche chi lotta con umanità contro l’immigrazione clandestina, che crea schiavi moderni, e sostiene l’immigrazione legale come opportunità per i nostri paesi dal punto di vista economico, culturale e intellettuale.

Noi che facciamo parte del Parlamento europeo lo sappiamo: questo problema non può essere risolto agendo semplicemente a livello nazionale. L’unico modo per farlo è una politica europea concertata. Non abbiamo creato Frontex per ripescare naufraghi nel mare al largo delle coste meridionali dell’Europa o per raccogliere, a est, bambini morti di fame e di sete. Frontex non è una frontiera invalicabile, è un mezzo per impedire l’arrivo di un numero eccessivo d’immigrati, ingestibile umanamente e materialmente.

Il controllo alle nostre frontiere non è un problema tecnico e nemmeno un problema militare: è una questione politica. Come voi, sto cercando la soluzione più realistica e più umana. Come noi tutti sappiamo, la soluzione deve essere trovata qui attorno al tavolo europeo, deve essere concordata tra noi e i governanti dei paesi da dove partono gli immigrati. Sta a noi iniziare una nuova forma di co-sviluppo più efficace, il cui risultato sia una regolamentazione intelligente dei flussi migratori e l’arrivo pacifico degli immigrati nell’Unione europea.

Onorevoli colleghi, spesso gli immigrati non hanno scelta per la loro vita, ma noi sì, abbiamo una scelta: possiamo scegliere di riceverli con partecipazione, dignità e comprensione. Sta a noi riuscire lì dove altri hanno fallito per così tanto tempo.

(Applausi)

 
  
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  Martine Roure (PSE).(FR) Signor Presidente, abbiamo auspicato questa discussione congiunta perché oggi non è possibile portare avanti una politica europea in materia d’immigrazione che sia veramente efficace e coerente se queste due questioni non vengono affrontate congiuntamente e a livello comunitario.

Per diversi anni i nostri rispettivi paesi hanno adottato una politica restrittiva nei confronti dell’immigrazione, eppure questa politica non ha impedito che gli immigrati continuassero ad arrivare. Al contrario, continuano a venire in Europa con grande rischio personale per cercare condizioni di vita migliori e per molti di loro è una questione di sopravvivenza. Il mondo è adesso un villaggio globale e non saremo mai in grado di fermare coloro che fuggono dalla miseria e dalla disperazione. Taluni alimentano l’illusione della chiusura delle nostre frontiere e sono degli irresponsabili.

E’ dunque una questione di morale e di solidarietà e dobbiamo aiutare tutti quei paesi che si trovano in difficoltà. E’ anche per questo che vorrei che questa discussione non si limitasse al solo Frontex. Certo, il Consiglio europeo ci deve spiegare perché a metà agosto Frontex ha dovuto sospendere le proprie operazioni nel Mediterraneo per mancanza di risorse operative. Tuttavia, la questione sulla quale dovremmo veramente concentrarci è la seguente: come permettere di entrare regolarmente in Europa a coloro che lo desiderino?

Dobbiamo certamente studiare la possibilità di istituire una “carta blu europea”: questa dovrebbe permettere agli immigrati di circolare liberamente tra l’Europa e i loro paesi d’origine, nella trasparenza e senza pericolo. D’altronde, è importante che la Commissione presenti prima una proposta per definire una base comune dei diritti dei migranti. Molti sono quelli che vengono vergognosamente sfruttati nei nostri paesi. Dobbiamo renderci conto che nel nostro mondo in cambiamento è urgente permettere che i paesi che vivono ancora nella miseria si sviluppino armoniosamente. E’ nostro dovere! Ogni persona deve avere il diritto di restare a vivere nel proprio paese: attualmente questa scelta non c’è!

Spero infine che gli Stati membri rispettino il mandato della Conferenza intergovernativa così da permettere il passaggio al voto a maggioranza qualificata e alla codecisione in materia d’immigrazione legale. Lo ripeto, è assolutamente necessario per una politica europea coerente.

 
  
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  Jean-Marie Cavada (ALDE).(FR) Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signor Commissario, finalmente possiamo trattare congiuntamente l’immigrazione clandestina e l’immigrazione che viene chiamata legale: le due facce della stessa medaglia, senza i quali nessun paese è riuscito fino ad oggi nella sua politica d’immigrazione. Tutt’al più, molti sono solo riusciti a provocare squilibri elettorali che radicalizzano questi problemi, che per essere trattati nel merito non ne hanno certo bisogno.

Nessuno Stato membro, attualmente, può pretendere di voler gestire da solo la propria politica d’immigrazione e il dramma di quest’Unione europea è che molti Stati membri sono paesi che, storicamente, per più di due secoli, hanno conosciuto questi problemi d’immigrazione, dei quali erano allora vittime. Oggi si agitano bandiere politiche, ma credo si debba passare a uno stadio superiore. In uno spazio di libera circolazione, le decisioni prese in uno Stato membro hanno ripercussioni immediate sui paesi vicini. Allo stesso modo, giacché le frontiere esterne sono ormai comuni a tutti i paesi dell’Unione, non possiamo lasciare che gli Stati membri a sud e a est dell’Unione affrontino da soli e privi di mezzi l’arrivo massiccio di immigrati, come abbiamo visto a Malta, alle Canarie, a Lampedusa, alle frontiere a est e adesso persino a nord-ovest.

Poiché la solidarietà è d’obbligo, c’è bisogno di una vera volontà politica, che però non sento a sufficienza negli Stati membri. Non sarà possibile sviluppare una vera politica europea in materia d’immigrazione se non si metterà fine agli squilibri dei trattati attuali: la lotta contro l’immigrazione clandestina deve essere veramente portata avanti a livello comunitario e per la politica d’immigrazione legale oggi non è più tollerabile un’unanimità paralizzante.

E’ per questo che tengo a insistere ancora una volta sulla necessità di prevedere, per la politica in materia d’immigrazione legale e d’integrazione, un sistema di presa di decisione a maggioranza qualificata e in codecisione con il Parlamento europeo, conformemente a quanto previsto dal mandato della Conferenza intergovernativa. E’ l’unico modo per rispondere efficacemente e democraticamente a una delle più grandi sfide che si pongono all’Unione europea.

 
  
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  Roberts Zīle (UEN). – (LV) Signor Presidente, signor Commissario, sono particolarmente lieto che il Parlamento, nel rafforzare l’approccio comunitario, si occupi anche delle questioni legate all’immigrazione legale nel mio paese – la Lettonia – facendo riferimento al deficit occupazionale in vari settori, quali l’edilizia e i servizi di catering. Sì, molti hanno lasciato la Lettonia per lavorare legalmente in questi settori in diversi paesi dell’Unione europea e cittadini provenienti da paesi non membri dell’UE occupano questi posti nel nostro paese sia legalmente sia illegalmente. Vorrei, però, spostare l’accento per coloro che, in materia di immigrazione, vogliono rafforzare il ruolo del Parlamento europeo e ridurre quello degli Stati membri, soprattutto quello dei paesi piccoli. Dovremmo fare ogni sforzo per convincere i diversi Stati membri a non porre più limiti all’ingresso nel mercato del lavoro per gli Stati membri che hanno aderito all’Unione europea nel 2004, per non parlare degli Stati che sono diventati membri nel 2007, perché questo incoraggia l’occupazione illegale anche per i cittadini dell’UE. Siate coerenti, onorevoli deputati! Grazie.

 
  
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  Hélène Flautre (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, quando propone canali legali d’immigrazione, essenzialmente motivati da esigenze economiche europee poco sensibili alle esigenze reali delle popolazioni del sud, lei decide in realtà non tanto il numero dei migranti in Europa, ma piuttosto quello di coloro che, tra i migranti, potranno entrare legalmente sul suo territorio. E gli altri?

Gli altri dovranno continuare a evitare ogni sorta di pericolo. Divieto di lasciare il loro paese, intercettazione in mare, reti parallele, detenzione, salvataggio o annegamento in mare – vorrei sentirla dire e ribadire che il dovere di salvataggio in mare è un dovere universale, fondamentale e, alla luce del caso dei sette pescatori tunisini, è il minimo che dovremmo aspettarci – e poi rimpatrio forzato, peregrinazioni senza fine in paesi di transito ostili e violazione grave dei diritti.

Nella sua qualità di Commissario responsabile della giustizia e della libertà, il rispetto dei diritti delle persone dovrebbe essere la sua principale ossessione – così come lo è per noi – e i suoi poteri in questo campo sono grandi, lo sappiamo, sono anzi immensi!

Quando dei cittadini ceceni si vedono rifiutare l’accesso alle procedure d’asilo in Slovacchia, per essere poi espulsi verso la Russia, via l’Ucraina, come può garantire che non siano vittime di maltrattamenti? Qual è il suo bilancio dei primi accordi di riammissione negoziati dall’UE in questo campo? Come garantire il principio di non respingimento in questi rimpatri a catena?

Quando le pattuglie di Frontex intercettano in mare imbarcazioni di immigrati, come fa lei a garantire che le persone abbiano effettivamente la possibilità di presentare domanda d’asilo e che le pattuglie trattino in maniera particolare i minorenni, nel loro interesse superiore, così come stabilito dal diritto internazionale?

Infine, per concludere, può spiegarci chiaramente perché lei non attui una politica proattiva che permetta di chiedere agli Stati membri di ratificare le Convenzioni internazionali sui diritti dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie?

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL).(PT) In un intervento di un minuto possiamo solo rimarcare che bisogna porre fine alle politiche repressive di sicurezza che criminalizzano gli immigrati, donne e uomini, che aspirano a un lavoro e a una vita dignitosi. I centri di permanenza temporanea per gli immigrati devono essere chiusi e deve finire la politica disumana di rimpatrio. La xenofobia, il razzismo e tutte le politiche e la corruzione che le incoraggiano devono essere combattute. La situazione dei lavoratori immigrati deve essere regolamentata garantendo loro diritti sociali e del lavoro, condizione necessaria per porre fine alle inaccettabili situazioni di sfruttamento. Deve esserci una politica d’integrazione efficace che includa specificatamente la riunificazione familiare.

E’ nostra opinione che lo sviluppo di una politica comune in materia d’immigrazione non sia una risposta adeguata a queste questioni e a questi problemi, come dimostrano i risultati delle nostre politiche comuni. La situazione dell’immigrazione è diversa in ogni paese dell’Unione europea. Le decisioni prese nell’ambito di questa politica devono rispettare la sovranità di ogni Stato, cosa che ovviamente non impedisce la cooperazione necessaria a livello dell’UE. Più che di una politica comune, abbiamo bisogno di una politica e di misure diverse, che tutelino efficacemente i diritti degli immigrati e combattano le cause profonde dell’immigrazione.

 
  
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  Patrick Louis (IND/DEM).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, smettiamola con questa ipocrisia politica! Il diritto d’asilo e l’immigrazione non sono un problema quando si tratta di due tipi di civiltà simili. Il problema riguarda essenzialmente l’immigrazione da altre civiltà e questa non porta vantaggi a nessuno.

L’immigrazione di persone che cercano lavoro è una doppia ingiustizia: nel paese d’origine ruba competenze da questo pagate, mentre nel paese di accoglienza spinge al ribasso il mercato del lavoro e toglie opportunità di lavoro ai disoccupati locali.

L’immigrazione di coloro che cercano assegni sociali è un errore per due motivi: sradica persone povere, ipnotizzate dallo specchietto per le allodole del mondo occidentale, mentre nel paese d’accoglienza è fonte di squilibrio per i bilanci sociali, che sono stati creati e possono sopravvivere solo nel contesto limitato e tutelante della nazione.

Ciò significa che, contrariamente a quanto è stato scritto sulle pareti del ristorante dei parlamentari a Bruxelles un mese fa, l’Unione europea non ha bisogno dell’immigrazione. In realtà è proprio l’opposto: l’Europa ha bisogno di una grande politica familiare e demografica, di cooperazione sovrana tra le nazioni e di frontiere, non di Frontex. Il mondo deve capire, da un lato, che la pace non si ottiene con l’immigrazione ma con uno sviluppo auto-centrato e, dall’altro, che la vera proletarizzazione è lo sradicamento culturale.

 
  
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  Jim Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, la capacità di uno Stato nazione di controllare le sue frontiere e di cambiare le sue politiche in materia d’immigrazione come richiesto è una dimostrazione tangibile di sovranità.

Il fatto che il Regno Unito non possa adesso correggere il grave errore di calcolo commesso nel 2004, con la sua politica delle porte aperte all’Europa orientale, dimostra chiaramente quanta sovranità noi, nel Regno Unito, abbiamo ceduto per appartenere a questo club. Dico “grave errore di calcolo” perché, invece dei 13 000 immigrati previsti, ne sono arrivati 750 000, con un relativo drenaggio di milioni al nostro sistema di welfare in assegni per i figli a carico e crediti d’imposta per bambini che non vivono nemmeno nel Regno Unito, ma che ne hanno diritto perché il padre lavora lì. A causa delle regole dell’UE non abbiamo il potere d’intervenire, eppure alcuni vorrebbero concedere ancora più poteri a Bruxelles. Saremmo veramente folli se lo facessimo.

 
  
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  József Szájer (PPE-DE). – (HU) Onorevoli deputati, i limiti della politica europea in materia d’immigrazione e le difficoltà finora incontrate nell’azione comune hanno minato il sostegno da parte della società a valori condivisi come la libertà di circolazione dei cittadini all’interno dell’Unione europea.

Abbiamo aperto le nostre frontiere interne, ma non abbiamo ancora una politica comune in materia d’immigrazione. Questo è’ del tutto assurdo. Nel frattempo, i cittadini europei hanno l’impressione che le frontiere aperte all’interno dell’UE portino a un’immigrazione incontrollata. Se vogliamo mantenere la pace nelle nostre società e il sostegno pubblico alla libertà di circolazione, abbiamo bisogno per le questioni che riguardano l’immigrazione di un’Europa forte, più forte di quanto non lo sia adesso. A questo riguardo, non dovremmo dimenticare che nei confronti dei cittadini dei nuovi Stati membri ci sono ancora molte restrizioni in materia di politica d’immigrazione, benché essi siano cittadini europei.

Il partito popolare europeo ritiene che per una politica comune europea adeguata e trasparente in materia d’immigrazione sia necessario quanto segue. Primo: solidarietà tra gli Stati membri, il che escluderebbe decisioni unilaterali che per via delle frontiere aperte riguarderebbero tutti, come nel caso della decisione presa dal governo spagnolo. Secondo: la dignità umana deve essere il principio guida.

Terzo: dobbiamo prendere provvedimenti energici contro l’immigrazione clandestina. Un parlamentare del gruppo socialista ha detto poc’anzi che l’immigrazione non è un crimine. Tuttavia, onorevoli deputati, una persona che viola le leggi europee e le leggi degli Stati membri commette senz’altro un reato ed è per questo che parliamo d’immigrazione clandestina. Al fine di prendere provvedimenti contro l’immigrazione clandestina abbiamo bisogno di una maggiore protezione alle nostre frontiere e di norme giuridiche che regolino il rimpatrio degli immigrati nel loro paese.

Quarto: le regole sull’immigrazione clandestina devono essere migliorate e rese più trasparenti – mi scuso, volevo dire regole sull’immigrazione legale – tenendo maggiormente conto dei tipi di manodopera richiesti nei nostri paesi.

Quinto: la politica d’immigrazione non deve iniziare alle nostre frontiere. E’ incredibile che, pur essendo una delle più grandi organizzazioni che offrono assistenza, l’Unione europea non abbia ancora posto condizioni per quanto riguarda la corruzione, il rispetto dei diritti umani e la democrazia nei paesi beneficiari. Bisogna porre fine a tutto questo e imporre condizioni di questo tipo ai paesi di destinazione. Ceterum censeo: l’Europa ha bisogno di una politica d’immigrazione più forte.

 
  
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  Stavros Lambrinidis (PSE). – (EL) Signor Presidente, alcuni decenni fa milioni di nostri concittadini europei sono emigrati verso l’America, l’Australia, il Sud Africa e altri paesi europei. Non erano ricchi, scappavano dalla povertà.

Abbiamo chiesto che venissero accettati e che venissero accordati loro dei diritti. I soldi che mandavano a casa hanno aiutato le nostre economie. Il giorno delle nostre feste nazionali migliaia di bandiere italiane, greche e irlandesi sventolano in quei paesi. Queste persone amano il loro paese, ma è permesso loro di amare anche i loro paesi d’origine; nessuno si sente minacciato da questo duplice amore. Si sono distinti, hanno dato impulso all’economia e hanno contribuito alla ricchezza culturale e democratica dei paesi di accoglienza.

Di conseguenza, l’immigrazione non dovrebbe essere trattata principalmente come un fenomeno di pubblica sicurezza, se non addirittura come una possibile fonte di terrorismo, così come si è finito col fare in Europa.

La politica d’immigrazione dovrebbe essere onnicomprensiva e dovrebbe comprendere tutta una gamma di aspetti:

- primo, miglioramento dei canali legali d’immigrazione;

- secondo, lotta all’immigrazione clandestina, soprattutto alle reti della tratta disumana di immigrati; rispetto dei diritti dell’uomo nei centri di permanenza temporanea. L’unico crimine commesso da queste persone è di essere nate in paesi poveri o lacerati dalla guerra;

- terzo, le cause dell’ondata di immigrati: guerre, povertà, sottosviluppo, dittature; l’Europa deve affrontare questi fenomeni nella sua politica estera ed economica;

- quarto, dovremmo chiederci perché l’Europa sia così attraente per gli immigrati. Al tempo stesso, dobbiamo combattere il lavoro illegale;

- quinto, esigenze demografiche, di ricerca, d’istruzione ed esigenze economiche dell’Unione europea; dobbiamo attirare una forza lavoro di cui abbiamo tanto bisogno;

- sesto, rispetto dei diritti umani fondamentali;

- settimo, creazione di un ponte europeo tra le persone e le culture, rafforzando così la nostra politica estera.

Pochi di questi aspetti richiedono azioni di polizia. D’altro canto, essi richiedono politici dotati di buon senso e di coraggio. Sono lieto che la Commissione, dopo l’iniziale enfasi su un approccio incentrato sulla sicurezza, stia adesso adottando un’impostazione più generale. Mi congratulo con l’onorevole Frattini!

 
  
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  Mogens Camre (UEN). – (DA) Signor Presidente, al centro dei problemi dei quali ci stiamo occupando in questa sede c’è lo squilibrio demografico nel mondo. Legalizzare l’immigrazione clandestina non risolverà nulla: gestire l’immigrazione in base a un insieme uniforme di regole ancora meno. Solo l’assistenza allo sviluppo e alla democrazia può servire a qualcosa. I paesi dell’Unione europea sono così diversi che è impossibile gestire regole uniformi. In Danimarca, oltre la metà di tutti gli immigrati provenienti da paesi non occidentali non è attiva nel mercato del lavoro e la parte che lo è registra un alto tasso di disoccupazione. Questo perché il paese ha salari minimi alti e alte prestazioni sociali – così alte, in realtà, che poche persone in questo Parlamento possono capire che la Danimarca semplicemente non può inserire nel mercato del lavoro persone non qualificate, a prescindere dalla nazionalità delle persone in questione e dall’enorme sostegno finanziario.

L’opposizione in tutti gli Stati membri a una crescente immigrazione da culture diverse dovrebbe bastare per persuadere il Parlamento a dare maggior ascolto al suo elettorato.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). – (ES) Signor Presidente, ogni discussione sull’immigrazione deve tener conto di almeno quattro fatti. La gente continuerà a rischiare la vita nonostante tutti i muri, le sbarre o le navi che spieghiamo. La gente non viene in Spagna, a Malta o in Italia: viene in Europa. Tutti gli studi indicano che la popolazione che immigra nell’Unione europea è necessaria per garantire l’attuale livello di stato sociale. Cionondimeno, il livello di abusi su queste persone da parte di imprenditori senza scrupoli che approfittano della loro situazione vulnerabile per sfruttarli è molto preoccupante.

Se le cose stanno così – e vi ricordo che questo è già stato dimostrato e non è il risultato di pregiudizi o di diffidenza – se le cose stanno così, ciò che dobbiamo fare adesso è sviluppare una politica europea di accesso alle nostre frontiere ragionevole e intelligente: impedire alla gente di attraversarle non aiuta a controllare il processo; semplicemente rende la situazione ancora più drammatica.

Allo stesso modo, dobbiamo adottare un atteggiamento responsabile nel procedimento di accoglienza, garantendo agli immigrati diritto d’asilo e status di rifugiati, nonché un trattamento individuale per ogni persona e soluzioni realistiche.

 
  
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  Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, abbiamo letto attentamente le relazioni dei nostri onorevoli colleghi. Non vi sono proposte che divergano sostanzialmente dalle misure e dalle politiche proposte dal Consiglio e dalla Commissione.

Frontex, per il quale si chiedono più stanziamenti, non è solo un meccanismo per pattugliare le nostre frontiere, può anche essere usato come piattaforma per la sorveglianza dei paesi terzi confinanti con l’Unione. L’istituzione di meccanismi di repressione e di intervento non è la soluzione per combattere l’immigrazione clandestina. Non dovremmo istituire dei centri di permanenza temporanea, raccogliere dati biometrici in una banca dati centralizzata, o trattare indiscriminatamente come terroristi o come criminali tutti coloro che cercano di attraversare le nostre frontiere.

Nemmeno la creazione di un quadro di specifiche per l’immigrazione legale è un modo per combattere l’immigrazione clandestina. Non dovremmo continuare a usare questo quadro come pretesto per la promozione di misure che servono l’Unione europea nel suo insieme ma che non tengono conto dei diritti stessi degli immigrati.

La relativa motivazione non critica l’uso di dati biometrici, non fa distinzione tra controlli e gestione dell’immigrazione, nemmeno prende in considerazione gli immigrati che non rientrano nelle categorie di qualifiche intellettuali utili o di manodopera manuale vitale per servire le esigenze delle multinazionali.

L’immigrazione è una relazione a doppio senso di offerta e dialogo, di scambio e influenza reciproca, di cooperazione e rispetto delle persone e degli individui, di comprensione e garanzia di pari opportunità. E’ quindi nostro dovere promuovere solamente politiche che adottino questo approccio.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAURO
Vicepresidente

 
  
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  Manfred Weber (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi abbiamo molto parlato degli immigrati. Vorrei adesso concentrare un attimo l’attenzione su cosa chiedono i nostri cittadini. La domanda che ci pongono è la seguente: abbiamo milioni di disoccupati nell’Unione europea, eppure contemporaneamente parliamo dell’immigrazione di personale altamente qualificato. A noi politici costerà molta energia spiegare ai nostri cittadini che quando si tratta di personale qualificato abbiamo bisogno dei migliori cervelli al mondo.

I cittadini ci fanno un’altra domanda: “State prendendo sul serio la nostra preoccupazione a questo proposito?”. Stiamo parlando di migrazione circolare. Negli ultimi decenni abbiamo portato nel mio paese cittadini turchi per inserirli nella forza lavoro. Nella Repubblica Ceca abbiamo i vietnamiti. La migrazione circolare in questi paesi – in altre parole, il ritorno in patria di questi lavoratori ospiti – finora non ha funzionato. I nostri cittadini ci chiedono: come intendete risolvere questo problema? Come conciliare le cose?

Dovremo anche chiarire ai cittadini che i migranti hanno il dovere di integrarsi, come ha detto l’onorevole Lambrinidis, il che significa imparare la lingua e compiere sforzi per integrarsi. I cittadini accetteranno una politica europea d’immigrazione – d’immigrazione legale – solo se diremo chiaramente che, in caso d’immigrazione clandestina, gli immigrati clandestini dovranno lasciare l’Europa. Questo è l’unico modo per ottenere il consenso dei cittadini all’immigrazione legale.

L’elemento più importante di questa relazione, a mio avviso, è il chiaro impegno assunto verso i cittadini europei affinché la questione delle quote – cioè quante persone possono entrare nel mercato del lavoro – resti di competenza degli Stati membri, proprio come prima. E’ su questo punto che i cittadini hanno più fiducia.

Vorrei ringraziare i nostri due relatori che hanno presentato una buona relazione. A nome del mio gruppo, il gruppo PPE-DE, permettetemi di dire che ci fa piacere che i nostri onorevoli colleghi dell’ala sinistra di questo Parlamento si siano avvicinati alle nostre posizioni su molti punti, in particolare per quanto riguarda una politica di rimpatrio incisiva, la presa di decisione delle quote a livello nazionale e i controlli efficaci alle frontiere. Per me è di grande soddisfazione essere riusciti, in qualità di gruppo PPE-DE, a far valere la nostra posizione.

 
  
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  Magda Kósáné Kovács (PSE). – (HU) Grazie, signor Presidente. L’Europa ha bisogno di una politica comune in materia d’immigrazione. Tempere, l’Aia, Claude Moraes e Patrick Gaubert, le due eccellenti relazioni di oggi e tutte le comunicazioni presentate nel frattempo dalla Commissione, sono le tappe che ci hanno già permesso di accertare che il rigore in materia di politica d’immigrazione non è di per sé un bene.

Il nostro compito è di coordinare e distinguere. Dobbiamo coordinare i complessi fenomeni che sono fattori di migrazione, come le persone che migrano unicamente per motivi economici, ma anche come quelle che attraversano le frontiere illegalmente. Da queste bisogna distinguere i richiedenti asilo, coloro che si infiltrano in connessione con attività criminali e coloro che sono forse stati spinti a compiere atti illeciti dalle stesse autorità.

Fino ad ora, noi nuovi Stati membri, siamo stati paesi di transito, ma adesso siamo anche noi paesi di destinazione e la nostra responsabilità aumenta perché, a nostra volta, abbiamo bisogno di nuova manodopera. Non abbiamo bisogno di muscoli o di materia grigia da sfruttare, ma di nuova manodopera per il nostro mercato del lavoro. E’ per questo motivo che accolgo con favore i regolamenti che indicano il posto degli immigrati nel nostro mercato del lavoro. Parimenti, approvo il progetto di una legislazione comune e gli strumenti suggeriti in questo progetto legislativo.

Infine, vorrei sottolineare che la cooperazione con i paesi d’origine rappresenta il vero futuro dal volto umano, dove l’immigrazione legale e clandestina non sono una decisione che incide su tutta una vita e non significano fuggire dal proprio paese e dalla propria casa; sono, piuttosto, un periodo temporaneo durante il quale le condizioni per il rimpatrio devono essere stabilite con comprensione e integrazione. Grazie, signor Presidente.

 
  
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  Simon Busuttil (PPE-DE). (MT) Grazie, signor Presidente, signor Commissario. L’agenzia Frontex sta facendo grandi sforzi, ma devo dire che siamo ben lungi dal raggiungere i risultati richiesti. Grazie alla missione Frontex in Mediterraneo nel luglio scorso il numero degli immigrati sbarcati nel mio paese, Malta, è diminuito della metà rispetto al luglio dell’anno precedente. Ciononostante, la missione si è incomprensibilmente interrotta alla fine di luglio e, in effetti, il numero degli arrivi in agosto è raddoppiato rispetto all’agosto dell’anno precedente. Questo mese, la missione Frontex è continuata ma abbiamo comunque assistito a un aumento rispetto al settembre dell’anno scorso. Cosa significa tutto ciò, signor Presidente? Significa, in primo luogo, che dobbiamo ulteriormente rafforzare Frontex ed è il motivo per cui questo Parlamento si è impegnato ad aumentarne il bilancio e non a ridurlo, come sta cercando di fare il Consiglio. Significa che gli Stati membri che hanno promesso a Frontex così tante imbarcazioni, elicotteri e aeroplani non stanno onorando le promesse fatte e mi aspetto che Frontex e la Commissione collaborino con questo Parlamento per indurre gli Stati membri a onorare le loro responsabilità. Ciò significa anche che dobbiamo fare ancora molto per indurre i paesi terzi come la Libia a cooperare con noi nel settore dell’immigrazione; ma significa anche, signor Presidente, che nella politica europea in materia d’immigrazione c’è ancora molta ipocrisia. Tutti convengono che la prima priorità debba essere salvare le persone che annegano nel Mediterraneo. Molto bene, è così che dovrebbe essere. Quando viene chiesto, però, come ha fatto Malta, chi intenda ricevere le persone salvate dall’annegamento, regna un profondo silenzio.

 
  
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  Wolfgang Kreissl-Dörfler (PSE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, è un fatto positivo che si sia finalmente riconosciuto che per combattere l’immigrazione clandestina non bastano sforzi comuni e che per gestire e coordinare la migrazione legale su base comune siano necessarie anche strategie globali, soprattutto in un’Europa senza frontiere. Tuttavia, questo non può essere compito esclusivo dei ministri degli Interni, che sulle misure che riguardano gli immigrati clandestini si trovano rapidamente d’accordo; è anche compito dei ministri dell’Occupazione e degli Affari sociali.

Plaudo quindi all’iniziativa del Consiglio e della Commissione volta a coinvolgere i ministeri specializzati pertinenti, come, per esempio. il nostro Vicecancelliere, l’onorevole Müntefering. Il fatto è che immigrazione legale significa sempre immigrazione nel nostro mercato del lavoro e quindi anche nei nostri sistemi di previdenza sociale.

Dobbiamo, però, anche combattere con maggior incisività le cause dell’immigrazione e i motivi che spingono così tante persone a cercare nella fuga dai loro desolati paesi un rimedio alla loro situazione. Dobbiamo creare opportunità di occupazione legale. La “carta blu” e la migrazione circolare sono un primo passo nella giusta direzione.

Ho anche un’osservazione da fare su Frontex: il comportamento di alcuni Stati membri è scandaloso. La solidarietà che viene sempre richiesta deve valere per tutti i paesi dell’UE, non solo per pochi, e i rifugiati devono a mio parere essere ripartiti tra gli Stati membri secondo una formula ancora da decidere. Non può essere solo un problema di Malta o delle Isole Canarie o della Grecia. In definitiva, Frontex può funzionare solo nella misura in cui gli Stati membri glielo consentano.

Vorrei fare un commento marginale su Frontex. Le operazioni di Frontex prendono sempre nome dalla mitologia greca: Nautilus ne è un esempio. Una prossima operazione si chiamerà Hydra. Secondo me è di cattivo gusto e si dovrebbe cambiare il nome dell’operazione, perché chi conosce la mitologia greca sa quale sia il significato di Hydra.

(Applausi)

 
  
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  Agustín Díaz de Mera García Consuegra (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, solo alcune riflessioni e pochi dati statistici. Secondo Eurostat, il 45% degli stranieri che entrano nel continente europeo sceglie di rimanere in Spagna. Tra il 21 settembre e la mattina presto del 24 settembre, 595 cittadini dell’Africa sub sahariana sono sbarcati sui litorali spagnoli. Dall’inizio di quest’anno, 11 000 immigrati hanno raggiunto le sole Isole Canarie, 9 000 di questi dall’inizio della missione Hera il 23 aprile.

Nonostante le operazioni Frontex, Hera, Hermes, Nautilus, Poseidon e Malta, i dati dimostrano che le mafie che trafficano esseri umani hanno mezzi a sufficienza per eludere i nostri meccanismi di controllo e aprire nuove rotte marittime. Un esempio è l’elevato numero di immigrati che raggiungono le coste della Spagna orientale, oppure i 4 000 immigrati dallo Sri Lanka e dal Pakistan che aspettano di essere trasportati in Europa dalle spiagge della Guinea Conakry.

Bisogna quindi dare priorità alle missioni volte a individuare e ad arrestare i membri delle mafie, incrementare la cooperazione internazionale e di polizia attraverso la creazione di squadre di investigazione congiunte. Frontex deve mantenere su base permanente le sue missioni nelle zone di crisi. E’ indispensabile che il Consiglio dia maggior impulso alla rete europea di pattuglie di frontiera per ampliare i compiti di controllo e di sorveglianza.

L’UE nel suo insieme deve sostenere e incoraggiare gli accordi di cooperazione e le campagne d’informazione, non solo su base linguistica e professionale; i paesi di origine e di transito devono essere informati dei rischi che corrono gli immigrati e del loro eventuale decesso.

Infine, deve esservi un coordinamento tra le politiche d’immigrazione a livello europeo al fine di impedire leggi permissive e processi di regolarizzazione che abbiano un “effetto richiamo”. Dobbiamo inoltre incoraggiare una politica d’asilo generosa e umana e la necessaria protezione internazionale.

Per concludere, signor Presidente, non si può parlare al Consiglio di solidarietà del 20%. Frontex fornisce l’80% per il noleggio di navi, aerei, carburante, tutto tranne quello che ha a che fare con l’ammortamento del materiale. Quindi, il Consiglio deve incoraggiare la solidarietà del 20% e astenersi dall’usare un doppio linguaggio in una politica che ha ripercussioni su tutta l’Unione europea.

 
  
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  Inger Segelström (PSE).(SV) Signor Presidente, mi consenta di iniziare ringraziando i relatori per l’ottimo lavoro. Sono soddisfatta dei progetti per rendere la vita più difficile ai datori di lavoro e ai privati che assumono illegalmente. L’occupazione illegale, nei lavori domestici e nell’assistenza ai bambini, per esempio, riguarda soprattutto le donne, spesso immigrate. Questo incide non solo sulle persone interessate, ma anche sulla previdenza sociale e i sistemi finanziari e anche sulla concorrenza nei paesi in questione. Approvo anche il sostegno permanente messo a disposizione per combattere la tratta delle persone, soprattutto quella che vede coinvolte donne e bambini e che rappresenta il fenomeno predominante. Sono grata per l’appoggio fornito per dimezzare in 10 anni il numero delle vittime in vista di eliminare del tutto questa pratica.

D’altra parte, sono delusa per non aver ottenuto, in seno alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, il sostegno del gruppo conservatore per aiutare le donne e i bambini a spezzare le catene e a farsi una nuova vita. Il voto sull’emendamento n. 29 ci offre una nuova occasione per sostenere le donne e i bambini in modo che possano rimanere nell’Unione europea o tornare nel loro paese. Votatelo, affinché le donne abbiano una nuova vita – dopo la tratta delle persone.

Mi fa anche piacere che si continui a dire “no” ai campi di rifugiati al di fuori dell’Unione europea. Ciò contro cui vorrei mettervi in guardia, però, è il tipo di manodopera di emigranti economici che avremo se non permetteremo alle famiglie, ai partner e ai figli di accompagnarli. Saranno soprattutto uomini giovani a venire e questa non è una cosa positiva per nessuna società nell’UE.

Parliamo delle frontiere dell’UE. E’ importante tenere fuori le persone coinvolte nella tratta degli esseri umani, nella criminalità, nel traffico di droga e di armi e nel riciclaggio di denaro sporco, mentre le persone che hanno bisogno di protezione sono le benvenute in un’Unione europea umana. Esse sono la sua spina dorsale e non possono essere escluse dal futuro comune dell’UE. La migrazione sarà importante non soltanto per noi che viviamo qui adesso, ma anche per le generazioni future e dobbiamo ottenere prosperità globale e prosperità per noi stessi.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE).(PT) Signor Presidente in carica del Consiglio, signor Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, la discussione odierna si basa su due relazioni che chiaramente presentano due approcci complementari: il piano d’azione sull’immigrazione legale e le priorità nella lotta contro l’immigrazione clandestina. Favorirne una e dimenticare l’altra sarebbe un grave errore. Sono due facce della stessa medaglia. La migrazione è oggi un fenomeno vastissimo. Si stima che attualmente vi siano circa 26 milioni di migranti nell’Unione europea, tra legali e clandestini. L’immigrazione è un fenomeno con chiare dimensioni europee, non solo perché ogni Stato membro non può gestirlo da solo in modo efficace, ma soprattutto perché ogni cambiamento nella politica d’immigrazione in uno Stato membro può avere ripercussioni sui flussi migratori e il loro sviluppo in altri Stati membri.

Signor Vicepresidente della Commissione, appoggio ovviamente l’idea della carta blu e anche la creazione di un portale europeo dell’immigrazione che fornisca informazioni su vasta scala quanto alle condizioni e alle opportunità per migrare legalmente nell’Unione europea. Plaudo alla strategia di abbandonare l’idea di una singola direttiva, dopo anni di stallo in seno al Consiglio, e di adottare un metodo progressivo che preveda la presentazione di quattro direttive settoriali nei prossimi tre anni. Vorrei sottolineare la necessità di sviluppare una politica d’aiuto che preveda la sottoscrizione di accordi con paesi terzi per gestire efficacemente la migrazione. La cooperazione con i paesi d’origine è essenziale nella lotta contro la tratta degli esseri umani e l’occupazione illegale.

Infine, signor Presidente, dobbiamo anche garantire la sorveglianza alle frontiere e l’uso delle risorse disponibili, quali Frontex e le RABIT (squadre di intervento rapido alle frontiere), che devono poter disporre delle risorse necessarie per svolgere il loro lavoro.

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE). – (PL) L’immigrazione non è un problema che riguarda esclusivamente l’Europa meridionale. Riguarda anche l’Unione nel suo insieme, compreso il mio paese, la Polonia, che si trova a nord-est del continente.

La frontiera orientale della Polonia è la più lunga dell’Unione e siamo responsabili della sua sicurezza. Inoltre, Frontex, dal quale ci si aspetta così tanto, ha sede a Varsavia. Abbiamo affidato a Frontex determinati doveri e responsabilità e dovremmo quindi anche garantire che disponga degli strumenti e delle risorse necessarie in modo da poter agire e proteggere adeguatamente le nostre frontiere.

Negli ultimi anni, quasi tre milioni di miei compatrioti hanno lasciato la Polonia. Sono andati in altri Stati membri dell’Unione sfruttando i vantaggi dei principi del mercato comune. Abbiamo però anche ricevuto migliaia di persone dall’estremo oriente, per esempio dalla Corea e dal Vietnam. Ovviamente sono arrivate anche persone dall’Ucraina e dalla Bielorussia. Abbiamo bisogno di questi nuovi arrivi. Ci aiutano a costruire la Polonia.

E’ per questo che accolgo favorevolmente le relazioni dell’onorevole Gruber e dell’onorevole Moreno Sánchez, in particolare la relazione sulla politica in materia d’immigrazione, perché le sue premesse rendono più civile l’immigrazione creando canali per la migrazione legale. Le due relazioni sono perfettamente complementari. Insieme alla proposta di una direttiva che fissi sanzioni penali per chi assume immigrati clandestini, sulla quale sta lavorando la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari esteri, esse rappresentano una valida base giuridica per la politica d’immigrazione dell’Unione. Sono lieta che il Parlamento svolga un ruolo così importante in questa materia.

Desidero aggiungere un’ultima considerazione. L’immigrazione non dovrebbe essere vista come un problema. Dovremmo invece considerarla un’opportunità per l’Europa! Dovremmo sfruttare l’energia e l’entusiasmo di coloro che vengono da noi legalmente e coinvolgerli nella creazione di nuove nazioni e della nostra nuova Europa comune!

 
  
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  Barbara Kudrycka (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, vale la pena considerare su che punto la relazione sull’immigrazione clandestina abbia posto l’accento. La relazione si concentra principalmente sul bacino del Mediterraneo. Inoltre, esprime eccessiva fiducia negli strumenti d’azione comunitaria.

Siamo tutti consapevoli che la sorveglianza alle frontiere sia di responsabilità degli Stati membri. Bisogna vedere però se, nonostante i riferimenti al principio di sussidiarietà e all’esistenza di Frontex, gli specifici servizi degli Stati membri interessati siano pronti, perché molto dipende da questo.

Anche la situazione lungo la frontiera terrestre sud-orientale richiede attenzione, risorse finanziarie e azione comune, benché attualmente non sia una rotta importante dell’immigrazione clandestina.

Inoltre, l’ampliamento dell’area Schengen potrebbe esacerbare i problemi legati alla migrazione. E’ per questo che la politica dell’Unione in materia d’immigrazione è una questione di così grande rilevanza. Per poter gestire la migrazione economica legale dobbiamo prima però sfruttare il potenziale e la mobilità della popolazione attiva all’interno dell’Unione.

L’esistenza di periodi di transizione per aprire i mercati del lavoro ai cittadini dei nuovi Stati membri e l’abrogazione selettiva di questi accordi, aprendo i mercati del lavoro solo ai lavoratori altamente qualificati, ostacola seriamente tutti i progressi compiuti verso una politica comune in materia d’immigrazione per i cittadini di paesi terzi.

I fattori culturali e geografici sono un altro aspetto importante della migrazione legale. In considerazione della loro posizione e delle affinità culturali e linguistiche, gli Stati membri sono ovviamente più inclini ad adottare una politica d’immigrazione con determinati paesi terzi. Mi riferisco a quei paesi per i cui cittadini sia più facile integrarsi alla cultura e ai valori europei per motivi di vicinanza e di conoscenza, se non altro, della lingua interessata. Questo tipo di migrazione legale, quindi, ha un doppio valore aggiunto.

 
  
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  Josep Borrell Fontelles (PSE). – (ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Mediterraneo è la frontiera più diseguale al mondo. In termini economici e in termini di reddito, la tremenda differenza tra le due sponde produce un flusso di persone che non può essere controllato solamente dalle forze di polizia.

Nell’estate del 2006 ho avuto occasione di congratularmi con l’onorevole Frattini perché insieme ad alcuni pescatori spagnoli ha salvato l’onore dell’Europa prestando soccorso a un gruppo di naufraghi alla deriva, e poi abbiamo assistito ad un vergognoso mercanteggiamento sulla sorte di queste persone. Un anno dopo, signor Commissario, siamo in grado di affrontare meglio questo problema?

Stiamo procedendo veramente molto lentamente, a un ritmo incompatibile con la gravità del problema che si pone. E’ un problema che non saremo in grado di risolvere senza un ulteriore sviluppo nei paesi d’origine. Dobbiamo mettercelo in testa. Non saremo in grado di risolvere il problema senza lo sviluppo nei paesi d’origine perché, benché abbiamo bisogno di un elevato numero d’immigrati, non possiamo far fronte all’intera eccedenza demografica dell’Africa sub sahariana.

Inoltre, ciò che si sta producendo qui è una terribile combinazione di fame da un lato e di antenne paraboliche dall’altro. La scodella vuota in cucina e la parabola piena di aspettative costituiscono il miglior substrato per l’immigrazione clandestina, che possiamo arginare solo contribuendo allo sviluppo dei paesi d’origine e prevenendo il vero “effetto richiamo”: l’occupazione illegale.

(Applausi)

 
  
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  Philip Bradbourn (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, l’argomento di cui discutiamo oggi è senz’altro della più grande importanza per l’Europa e presenta sfide diverse per ogni Stato membro. Proprio per questo motivo, non dobbiamo adottare un approccio unico per tutti, sia che ci si occupi d’immigrazione clandestina che d’immigrazione legale. La migrazione deve rimanere un diritto sovrano di ogni Stato membro.

Sono comunque favorevole a una maggior cooperazione tra gli Stati membri, laddove possa essere individuato un terreno comune che possa funzionare a vantaggio di tutti. E, come gli altri oratori, vorrei in particolare attirare l’attenzione del Parlamento sul sistema Frontex, per il quale abbiamo recentemente stanziato 12 milioni di euro.

Sin dall’inizio il sistema ha risentito del fatto che taluni Stati membri che si erano impegnati a fornire risorse adesso non rispettano i loro impegni. Se vogliamo che questo progetto abbia successo, dobbiamo garantire che queste risorse promesse siano rese disponibili per l’operazione nei modi e nei tempi necessari.

Questo però è solo uno degli strumenti della lotta contro l’immigrazione clandestina. Dobbiamo cercare soluzioni nuove e innovative proprio lì dove gli emigranti iniziano il loro viaggio. Dobbiamo pensare a campagne mirate negli stati d’origine, asserendo in modo chiaro che l’Europa non ha le aperte. Dobbiamo soprattutto prendere di mira i trafficanti.

Il rovescio della medaglia è che i nostri Stati membri devono avere politiche di rimpatrio efficaci per dissuadere sia coloro che ricorrono all’immigrazione clandestina sia coloro che la organizzano.

Così posso riassumere dicendo che è la cooperazione, non la regolamentazione, che è necessaria tra gli Stati membri. Un approccio unico per tutti non può risolvere i problemi dell’immigrazione e non dobbiamo cadere nella trappola di pensare che “più Europa” sia la soluzione.

 
  
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  Louis Grech (PSE). – (MT) Signor Presidente, è vero che, nonostante la terribile burocrazia e in certi casi la tangibile mancanza di solidarietà che ha ritardato l’efficacia di diverse iniziative, negli ultimi mesi l’impegno ininterrotto del Commissario Frattini, insieme alla priorità accordata alla questione dalla Presidenza portoghese, ha prodotto alcuni risultati. Tuttavia, questa tragica questione merita una politica europea comune che risolva urgentemente “questioni” fondamentali, tra cui: l’adozione di politiche di “ripartizione dell’onere” tra tutti gli Stati membri, la revisione di Dublino II, come proposto dal paragrafo 18 della relazione Sánchez, un adeguato sostegno finanziario o di altro tipo, compresa lo stanziamento di capitali per progetti d’infrastrutture, una valutazione di fattibilità, oppure, centri di sviluppo come i job centre nei paesi d’origine e di transito, lo sviluppo di una politica di rimpatrio realistica, la messa in atto di politiche d’integrazione tempestive e la lotta contro la criminalità organizzata coinvolta nella tratta delle persone, la lotta contro la xenofobia e il razzismo. Sfortunatamente, non abbiamo un’agenzia europea con sede nel Mediterraneo che sviluppi questa politica comune d’immigrazione e di asilo. Frontex non potrà mai svolgere il suo ruolo se il suo mandato non cambierà sostanzialmente. Infine, signor Presidente, desidero ringraziare i due relatori che ci hanno mostrato in termini concreti quanto arretrata sia l’Unione in questo campo. Essi hanno affrontato il tema dei diritti e della dignità degli immigrati, spesso vittime di politiche di repressione, della povertà e della criminalità organizzata, e hanno anche trattato delle difficoltà di molti piccoli Stati membri che, come Malta, sopportano un peso sproporzionato, spesso senza nessuna vera solidarietà.

 
  
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  Libor Rouček (PSE). – (CS) Onorevoli colleghi, l’Europa sta affrontando due sfide. Da un lato, assistiamo all’invecchiamento e al declino demografico. Dall’altro, centinaia di migliaia, persino milioni di persone dai paesi in via di sviluppo, ansiosi di entrare legalmente o illegalmente, bussano alle porte meridionali e orientali dell’Unione. Questa sfida deve essere affrontata dall’Unione europea con sforzi congiunti: nessun paese, non importa quanto grande sia, può vincerla da solo.

Plaudo quindi agli sforzi della Commissione volti a cercare e a proporre soluzioni comuni, quali l’uso di Forntex per prevenire l’immigrazione clandestina. Un altro esempio è la gestione della migrazione legale con il sistema della carta blu o con accordi di cooperazione con i paesi d’origine. Accolgo con favore anche il reiterato appello del Commissario Frattini, che invita i paesi dell’Unione europea che non hanno ancora aperto il loro mercato del lavoro ai concittadini dei nuovi Stati membri a farlo prima possibile.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sarò breve. Sicuramente questo è stato uno dei dibattiti più completi, più dettagliati e più esaurienti che io abbia avuto l’onore di presiedere e ai quali io abbia avuto l’onore di assistere e di partecipare in seno al Consiglio e al Parlamento. E’ stato un dibattito dal quale ho colto consigli e proposte, delle quali naturalmente ho anche fatto tesoro e che a mio avviso sono estremamente importanti ed essenziali per il lavoro che dobbiamo svolgere in futuro.

Alla luce di tutto questo, sento di poter legittimamente concludere che l’Unione europea dispone di una strategia coerente e globale per affrontare le questioni legate all’immigrazione e che è sulla buona strada nell’attuazione di politiche che diano corpo e mettano in pratica questa strategia. Naturalmente vi saranno talune esitazioni, certamente vi saranno dubbi su questo o quel punto e vi sarà sicuramente anche l’esigenza di essere un po’ più ambiziosi ma, devo sottolinearlo, tutto sarà ponderato in base al contesto nel quale viviamo e conformemente alle difficoltà che stiamo affrontando. Sento che siamo sulla strada giusta e che possiamo, dobbiamo, proseguire con determinazione per adottare un vero approccio globale in materia d’immigrazione.

A nostro avviso, due sono le parole essenziali alla base di questa politica: umanità e solidarietà. Umanità perché questa politica si basa sulle persone ed è rivolta alle persone. La questione dell’umanità non può essere dimenticata e non viene mai dimentica da questa Presidenza. Come è stato detto, stiamo parlando di persone le quali, cercando di entrare nelle nostre società, ambiscono legittimamente a una vita migliore per se stesse e per le loro famiglie. E’ un desiderio umano che dobbiamo assolutamente rispettare. L’altra parola essenziale è solidarietà perché, come è stato detto, non si tratta di un problema o di una questione che possano essere risolti da un solo Stato, nemmeno da due o da tre. E’ un problema che riguarda tutti e che quindi ha e deve avere una risposta comune. Fortunatamente ci sembra che, nel definire e nell’attuare le politiche europee in materia d’immigrazione, vi sia una consapevolezza sempre maggiore della necessità di unire questi due concetti: umanità e solidarietà.

Abbiamo già istituito uno strumento comune per combattere l’immigrazione clandestina, un’agenzia chiamata Frontex, che esiste da due anni. In questo lasso di tempo ha fatto i primi passi e, a nostro avviso, nonostante alcune difficoltà, ha dato buoni risultati. Chiaramente dobbiamo aumentare gli sforzi per dotarla degli strumenti necessari a raggiungere con maggior efficacia, rapidità e accuratezza lo scopo per il quale è stata creata. Cionondimeno, riteniamo che fino ad ora questo strumento collettivo abbia dimostrato quanto la sua creazione fosse necessaria e giusta.

Nel contesto della migrazione legale, si è giustamente accennato oggi alla necessità di intensificare il dialogo con i paesi terzi, specialmente con quelli che sono all’origine dei flussi migratori. Questo dialogo è assolutamente indispensabile e, come si è detto, non saremo mai in grado di trovare una soluzione definitiva a questo problema se non consideriamo, non analizziamo e in un certo modo non attacchiamo le cause che, nei paesi di origine, sono alla radice di questi flussi migratori.

In quest’ambito abbiamo intensificato il dialogo con l’Africa e speriamo che, nel prossimo vertice Europa-Africa e nel contesto della migrazione e del dialogo sulla migrazione con i paesi d’origine, si possano ottenere risultati importanti e giungere infine a un’immigrazione legale. La Presidenza portoghese ha posto l’immigrazione legale tra le principali priorità del programma del suo mandato semestrale. Anche la Commissione è sta molto attiva in quest’ambito e ha presentato proposte che consideriamo molto interessanti. Questo tema sarà discusso durante la nostra Presidenza nel corso della quale, come ho detto, speriamo di poter compiere progressi significativi.

Per riassumere, nonostante le difficoltà e i problemi spinosi che dobbiamo affrontare, riteniamo di essere sulla strada giusta. Forse in certi casi dovremmo essere più ambiziosi, in altri più veloci, ma credo che nessuno possa negare in buona fede che negli ultimi anni molto sia stato fatto.

Ovviamente il Consiglio apprezza e incoraggia il dibattito con il Parlamento europeo. Oggi è stata sollevata la questione della codecisione e del Trattato di riforma. Come sapete, il Trattato di riforma trae origine da un mandato approvato dal Consiglio europeo e quindi da tutti gli Stati membri. Naturalmente, decisioni di questo tipo devono essere prese da tutti gli Stati membri, non soltanto dalla Presidenza. In ogni caso credo che il Trattato di riforma, come il Trattato costituzionale, stia contribuendo in modo significativo ad estendere il processo di codecisone a molte iniziative legislative dell’Unione europea.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. − Signor Presidente, onorevoli parlamentari, ringrazio anch'io tutti coloro che sono intervenuti in questo estremamente importante dibattito. Credo che l'Europa deve guardare, davvero tutta unita, a questo fenomeno globale che riguarda milioni di bambini, di donne, di uomini e riguarda tutti i continenti.

In primo luogo, è stato detto – e sono d'accordo – l'illegalità va combattuta agendo contro i trafficanti e coloro che sfruttano gli immigrati clandestini e con una politica di rimpatri che sia al tempo stesso credibile e pienamente rispettosa dei diritti individuali, della dignità di ogni persona umana. L'Unione europea ha già organizzato attività di rimpatrio, può continuare a farlo e ricordo, che in molte occasioni progetti di rimpatrio sono stati delegati all'Ufficio dell'Alto Commissario dell'ONU per i rifugiati, proprio per garantire la massima trasparenza nel rispetto dei diritti delle persone.

Credo che una politica europea debba davvero legare aiuti, rispetto dei diritti umani, politica commerciale con l'Africa e immigrazione. Una frase molto efficace dell'onorevole Watson che personalmente condivido: "O prendiamo i loro prodotti o prendiamo le persone che vengono da quei paesi". Dobbiamo riflettere su questo, proprio perché la strategia deve essere globale e non può escludere le relazioni commerciali e la politica di aiuto allo sviluppo con l'Africa.

Anche il controllo alle frontiere esterne è indispensabile. Alcuni ne hanno parlato, altri hanno espresso dubbi. Io credo che Frontex vada sostenuta. Vada sostenuta, perché come quest'estate è accaduto, non solo si sono salvate vite umane che altrimenti sarebbero perdute, ma gli operatori di Frontex hanno arrestato un numero importante di persone: 400 persone, che sono membri di organizzazioni di trafficanti, sono state bloccate, sono state consegnate all'autorità. E' un numero importante perché si riferisce solo all'estate appena trascorsa.

Allora nel budget 2008, io mi auguro che questo Parlamento riconosca la necessità di dare a Frontex più mezzi. Io so che c'è un emendamento che propone di congelare da subito, addirittura il 30% delle spese amministrative di funzionamento di Frontex, spero che si ripensi su questa proposta e che invece si aumenti il budget, fermo restando il controllo e la piena responsabilità sulle attività di spesa.

Certo, si è parlato molto di immigrazione economica. La proposta che formulerò in modo dettagliato, di una carta europea per il lavoro, non vuole dire affatto che noi decideremo da Bruxelles quanti immigrati occorrono in ciascun paese. Questo rimarrà un compito degli Stati nazionali e del mercato nazionale di ciascun paese, quindi voglio rassicurare tutti quelli che hanno domande o preoccupazioni. Cioè ogni paese membro sarà libero di decidere quanti, e per ciascuna categoria, lavoratori extracomunitari occorrono. Ma una cosa non si potrà più fare, onorevoli deputati, dire come Stato membro non ci serve nessuno e poi continuare a tollerare l'immigrazione illegale e lo sfruttamento del lavoro nero. Questo non è possibile perché occorreranno regole europee.

E' chiaro che l'immigrazione ci porta ad un valore universale, alcuni ne hanno parlato: la mobilità tra i popoli. Io credo che ci siano opportunità, ma anche diritti, accanto ai diritti ci sono sempre i doveri! Non possiamo immaginare una politica che guarda i diritti e non guarda i doveri. Noi non possiamo e non vogliamo imporre dalla nostra Europa, né le nostre leggi né i nostri finanziamenti in casa altrui, se i nostri interlocutori non sono d'accordo. E allora ecco cosa dovremmo stabilire con grande chiarezza, che la nostra idea, la nostra politica è quella di un partenariato, è quello di un grande patto con i paesi da cui gli immigrati provengono attraverso cui gli immigrati transitano.

Questo patto deve includere il rispetto assoluto – ed è una componente essenziale – sul nostro territorio delle nostre leggi, dei diritti fondamentali, dei nostri valori più assoluti ed universali: la vita, la dignità di ogni donna e di ogni uomo, il rispetto della persona. E questo porta all'integrazione.

Integrazione degli immigrati vuol dire rispetto della loro storia, della loro religione, perché sono motivi di arricchimento per tutti voi, ma vuol dire anche rispetto per le nostre tradizioni, per la nostra storia, per la nostra cultura e per la nostra religione. Ecco perché, integrazione, per come la vedo io, vuol dire partecipazione.

Noi non possiamo francamente integrare per legge coloro che non si vogliono integrare, coloro che non sono pronti a fare un passo avanti, coloro che pensano che in Europa ci possono ancora stare i matrimoni forzati o la poligamia. Questo non si può accettare perché sono le nostre leggi e sono i nostri valori universali.

Ecco che allora questo vuol dire educazione, vuol dire apprendimento della lingua, vuol dire formazione professionale, vuol dire lavoro regolare e rifiuto di ogni illegalità. Questo è fermezza verso l'illegalità. Qualcuno lo ha detto, ma condivido particolarmente questo pensiero: sono gli immigrati che commettono reati i peggiori nemici degli immigrati onesti che lavorano e che guadagnano regolarmente.

Perché noi dobbiamo spiegarlo come politica, ai cittadini che sono preoccupati, che non debbono aver paura dell'immigrazione in quanto tale, ma di coloro che commettono i reati. Noi abbiamo il dovere di assicurare che coloro che commettono i reati vengano puniti, perché altrimenti non diamo nessun segnale di differenza ai cittadini e lasciamo senza governarla questa paura, questa preoccupazione, che poi diventa razzismo e diventa xenofobia, che è un fenomeno orribile ma crescente nel territorio dell'Unione europea.

In conclusione, Presidente, la politica deve fare delle scelte. Io credo che la nostra scelta deve essere un patto globale di diritti e di doveri fatto tra eguali, tra interlocutori che sono eguali, non c'è uno che impone e l'altro che accetta, né imposizioni reciproche che noi non potremmo accettare. E ciò che occorre perché stiamo parlando di esseri umani, della loro dignità, dei loro diritti. Non stiamo parlando né di una ricetta economica, né di una ricetta di burocrazia.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi alle 12.00.

( La seduta, sospesa alle 11.45, è ripresa alle 12.00)

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE-DE), per iscritto. (PL)L’immigrazione clandestina è una nozione che ha qualcosa di paradossale. Sono cresciuto in un sistema politico nel quale certi termini venivano considerati da chi era al potere e dalla loro propaganda positivi o negativi a priori. Per esempio, internazionale era considerato positivo ma cosmopolita negativo. Dobbiamo stare attenti a non cadere in una trappola semantica simile. Poiché la xenofobia è una cosa negativa, si può difficilmente considerare positivo il fatto che un paese o che l’Unione europea si difendano dall’immigrazione clandestina. Sicuramente è più di un male necessario.

Nella mia città natale, Poznań, ho visto scritte su un muro le parole “nessuno è clandestino”. A volte vale la pena di fermarsi a riflettere se un essere umano possa realmente essere clandestino. Non è solo nel Mediterraneo o nell’Atlantico che la gente mette a rischio la propria vita nel tentativo di attraversare le frontiere dell’Unione. La settimana scorsa una donna cecena e le sue tre giovani figlie sono morte alla frontiera tra l’Ucraina e la Polonia. Fuggivano dalla tragedia che aveva colpito il loro paese natale. Non sorprende che la gente cerchi di scappare dalla Cecenia e sia persino pronta a rischiare la vita per farlo.

La presenza in Europa di diversi milioni d’immigrati entrati nell’Unione clandestinamente è un problema molto reale. Nel cercare di risolverlo, tuttavia, dobbiamo tenere a mente i valori universali su cui si fonda l’integrazione europea. Dobbiamo anche ricordarci che l’immigrazione stessa non è un fenomeno negativo, per il semplice motivo che nessun essere umano è un fenomeno negativo.

 
  
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  Katalin Lévai (PSE), per iscritto. (HU) Onorevoli colleghi, signor Presidente, l’85% degli immigrati non qualificati provenienti dai paesi in via di sviluppo vive nell’Unione europea e solamente il 5% va negli Stati Uniti, mentre solo il 5% degli immigrati altamente qualificati arriva nei paesi del vecchio continente e più della metà viene accaparrata dall’economia statunitense. Apprezzo molto che la relazione dell’onorevole Gruber cerchi, tra l’altro, d’invertire questo processo.

Penso che dobbiamo trovare un modo per attirare la manodopera altamente qualificata, ma al tempo stesso dobbiamo anche impedire la “fuga di cervelli” dai paesi in via di sviluppo. Dovremmo quindi definire il termine “manodopera altamente qualificata” e dovremmo unificare e stabilire criteri comuni per la formazione nell’Unione europea.

Questa volta non do il mio sostegno alla Commissione nell’applicazione del principio “più siamo, meglio è” e concordo sull’opportunità di fondere le cinque direttive. Meno burocrazia contribuirà ad attirare più manodopera qualificata.

Prima di elaborare la direttiva, o le direttive, suggerisco di effettuare una valutazione d’impatto che tenga conto anche dei fattori sociali. Rappresentando i veri interessi dei cittadini, questa valutazione dovrebbe garantire una legislazione che permetterà all’Unione europea di risparmiare milioni di euro.

La proposta dell’onorevole Frattini riguardo all’introduzione di pacchetti di quote d’ingresso legali, potrebbe, credo, contribuire alla diminuzione dell’immigrazione clandestina all’interno dell’Unione europea, ma anche a un più efficace controllo dell’immigrazione clandestina nei paesi terzi.

Invece della carta verde europea proposta nella relazione, credo che l’idea di una carta blu abbia maggiori possibilità di successo per raggiungere quello che ci siamo prefissati in materia d’immigrazione legale.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS
Vicepresidente

 

3. Benvenuto
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  Presidente. − Desidero porgere il benvenuto a Sua Santità Satguru Baba Ji e alla sua delegazione, presenti in tribuna d’onore. Sua Santità è la guida spirituale della Sant Nirankari Mission, nota anche come Fratellanza universale. La missione si fonda sulla convinzione che la vera religione unisca e non divida mai.

Sua Santità è in visita in Europa e sta diffondendo il messaggio di umanità della missione come unica religione. La sua visita odierna al Parlamento e il suo incontro con il Presidente Pöttering rientrano nell’ambito dell’attuale missione di Sua Santità di costruire armonia e comprensione tra le culture e le religioni.

Gli porgiamo il benvenuto e gli auguriamo un proficuo lavoro.

(Applausi)

 

4. Necessità di adottare misure di tutela della Cattedrale cattolica romana di San Giovanni a Bucarest, Romania – monumento storico e architetturale in pericolo (dichiarazione scritta): vedasi processo verbale
  

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, il Presidente Pöttering ci ha chiesto ieri di essere puntuali per la votazione. Molti di noi hanno fatto il possibile, ma gli ascensori di questo edificio non sono in grado di far scendere in tempo i nostri colleghi dai piani superiori. Forse si potrebbe intervenire, o si potrebbe suonare il campanello un po’ prima.

 
  
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  Presidente. − Bene, onorevole Rack, non si preoccupi: abbiamo iniziato esattamente alle 12 e adesso sono le 12.04, quindi siamo abbastanza in orario.

 

5. Verifica dei poteri dei nuovi membri del Parlamento europeo
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  Giuseppe Gargani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la commissione giuridica mi ha autorizzato ad una relazione molto breve, orale, perché noi nella seduta del 10 e dell'11 settembre scorso abbiamo proceduto alla verifica dei 18 deputati della Bulgaria, più altri 7 che sono stati designati dalle competenti autorità nazionali per le dimissioni che ci sono state, e abbiamo verificato, con tutti i documenti di rito e con i processi verbali allegati, che le dichiarazioni relative all'incompatibilità sono perfette, le dichiarazioni relative agli interessi finanziari sono state sottoscritte dai deputati, per cui credo di interpretare tutto il Parlamento nel dare il benvenuto ai 18, più gli altri 7 deputati della Bulgaria, che completano tutto il panorama della nostra Europa e quindi un benvenuto da oggi a chi si aggiunge al lavoro del Parlamento europeo.

 
  
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  Presidente. − Grazie, onorevole Gargani. I mandati sono quindi ratificati. Auguriamo ogni successo ai nuovi membri.

 

6. Turno di votazioni
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati dettagliati del turno di votazioni, vedasi processo verbale)

 

6.1. Istituto europeo di tecnologia (votazione)
  

- Relazione: Paasilinna (A6-0293/2007)

 

6.2. Diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo per i cittadini dell’UE che risiedono in un altro Stato membro (votazione)
  

- Relazione: Duff (A6-0267/2007)

- Prima della votazione:

 
  
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  Andrew Duff (ALDE), relatore. – (EN) Signor Presidente, la relazione sostiene le proposte della Commissione di snellire le procedure per i cittadini che desiderino candidarsi o votare alle elezioni del Parlamento europeo nel paese di residenza. Il testo rispetta appieno la legge e le prassi nazionali e promuove l’estensione futura della democrazia transfrontaliera. I membri del Parlamento sono invitati ad approvare la risoluzione della commissione senza emendamenti.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione.(FR) Signor Presidente, desidero ringraziare il relatore, onorevole Duff, per la sua relazione, che è ricca di idee. Alcuni degli emendamenti presentati dal Parlamento europeo vanno ben oltre le proposte della Commissione per risolvere alcune difficoltà amministrative nell’applicazione della direttiva, individuate nella sua relazione sulle elezioni del 2004.

Capisco tuttavia – e del resto la Commissione le sostiene – le motivazioni alla base di alcuni emendamenti del Parlamento, in particolare l’esigenza di aumentare il tasso di partecipazione dei cittadini alle elezioni europee e il carattere europeo alle elezioni del Parlamento europeo. Questo è legato al divieto della doppia candidatura, che si vuole sopprimere, e alla procedura automatica della decadenza dal diritto di eleggibilità.

La Commissione è quindi favorevole a una riflessione approfondita su queste questioni, eventualmente tramite uno studio, e il Parlamento europeo verrà ovviamente coinvolto in questo processo. Se necessario, queste questioni possono anche essere discusse dal gruppo interistituzionale per l’informazione, che sta esplorando tutte le possibilità per rendere un po’ più efficace la diffusione delle informazioni sulle elezioni europee del 2009.

 
  
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  Richard Corbett (PSE). – (EN) Signor Presidente, riguardo a una mozione d’ordine, noto che il gruppo ALDE ha richiesto un voto separato per ogni singolo emendamento relativo a questa relazione.

Ai sensi del Regolamento, solo un gruppo può presentare un emendamento. Volevo verificare se questo è stato effettivamente presentato a nome del gruppo o se invece è solo uno dei loro membri che sostiene di agire a nome del gruppo.

 
  
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  Presidente. − Onorevole Corbett, abbiamo qui la prova che è stato il gruppo a chiederlo, quindi è tutto in regola. Mi dispiace, ma è tutto in regola!

(Si ride)

 

6.3. Ritiro dei seminativi dalla produzione per il 2008 (votazione)
  

- Proposta di Regolamento del Consiglio – Ritiro dei seminativi dalla produzione per il 2008 (C6-0302/2007)

 

6.4. Giocattoli pericolosi fabbricati in Cina (votazione)
  

- Risoluzione: B6-0351/2007

 

6.5. Verso una politica estera comune dell’Europa in materia di energia (votazione)
  

- Relazione: Saryusz-Wolski (A6-0312/2007)

 

6.6. Immigrazione legale (votazione)
  

- Relazione: Gruber (A6-0322/2007)

- Dopo la votazione sull’emendamento n. 19:

 
  
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  Roberta Angelilli, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, io volevo intervenire prima della votazione. Intervengo ai sensi dell'articolo 150 del regolamento. Considerato che il nostro emendamento, il numero 19, è di fatto analogo all'emendamento numero 1 del PPE, il gruppo UEN ritira il proprio emendamento e chiede di cofirmare l'emendamento 1 del gruppo popolare.

 

6.7. Priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi (votazione)
  

Relazione: Moreno Sánchez (A6-0323/2007)

 

7. IT Dichiarazioni di voto
  

- Relazione: Paasilinna (A6-0293/2007)

 
  
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  Jaroslav Zvěřina (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, non ho sostenuto la proposta di istituire un Istituto europeo di tecnologia. Naturalmente, come la maggior parte di voi, desidero che l’Unione europea si adegui e produca più invenzioni e più brevetti.

Tuttavia, dopo aver ascoltato questa discussione, non penso che la creazione di un’altra istituzione sia un passo nella giusta direzione. Le nostre università e i nostri istituti di ricerca non riceveranno più fondi, semmai avranno un altro istituto col quale competere per ottenere contributi per la ricerca. Né il voto della nostra venerabile Istituzione ha creato un nuovo corpo di super scienziati. L’istituto sarà gestito da scienziati che lasceranno le università dove si trovano adesso. Credo quindi che sarebbe meglio se destinassimo i fondi disponibili, qualora riuscissimo a trovarli, alle migliori equipe scientifiche attraverso contributi per la ricerca.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE). – (SK) Se vogliamo veramente superare gli USA, il Giappone e gli altri paesi leader nelle scienze e nella tecnologia e se vogliamo che l’Europa dia il la, dobbiamo creare le precondizioni necessarie.

I centri di eccellenza devono disporre di tutte le condizioni e precondizioni del caso. L’Istituto europeo di tecnologia è un passo nella direzione giusta. E’ una vergogna che si sia tardato tanto a prendere questa decisione. Credo che i problemi relativi al sufficiente finanziamento dello IET possano essere adeguatamente risolti.

Sostengo anche l’idea di un cofinanziamento secondo il principio della collaborazione pubblico-privato, come avviene, per esempio, nei centri di ricerca degli Stati Uniti. Vorrei anche che gli scienziati e i ricercatori dei nuovi paesi venissero selezionati e coinvolti nelle équipe scientifiche e che il consiglio di amministrazione fosse soggetto al controllo del Parlamento europeo. Gli obiettivi di ricerca dovrebbero riflettere il settimo programma quadro per la ricerca scientifica e solamente la ricerca sulle cellule staminali non dovrebbe essere finanziata dai contribuenti dei paesi nei quali questa ricerca è illegale.

 
  
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  Tomáš Zatloukal (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, mi sia consentita un’osservazione riguardo alla votazione sulla creazione dell’Istituto europeo di tecnologia. Ho votato a favore della proposta perché questa è la prima volta che abbiamo un sistema che integri i settori della ricerca, dell’istruzione e quello economico.

Si tratta di un progetto fondamentale nell’area dell’innovazione europea e come altri progetti analoghi è accompagnato da problemi, in questo caso soprattutto da problemi finanziari. Detto questo, la proposta di creare l’Istituto e di dargli sufficiente spazio per giustificare la sua esistenza futura merita il nostro appoggio.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, vorrei dire due parole sull’Istituto europeo di tecnologia. Vorrei prima di tutto ringraziare il relatore, onorevole Paasilinna. Egli ha svolto un eccellente lavoro. So che è un esperto nel campo dell’istruzione e della ricerca e in altri ambiti analoghi.

Questo è un progetto molto ambizioso, ma vorrei comunque sottolineare che, prima di fondare nuovi istituti in Europa, sarebbe importante garantire che le Istituzioni esistenti ricevano finanziamenti adeguati. Di conseguenza, dovremmo anche garantire che la rete esistente di università possa ottenere un sostegno adeguato e fare così nuova ricerca.

Nella votazione ho seguito la raccomandazione dell’onorevole Paasilinna, ma chiederei al Parlamento di ricordarsi che le esistenti comunità di ricerca dovrebbero ottenere i finanziamenti loro destinati e che questo nuovo istituto non dovrebbe mangiare i soldi messi da parte per loro. Chiedo che questo venga messo a verbale e che sia preso in considerazione quando si prenderanno le decisioni.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione Paasilinna sull’Istituto europeo di tecnologia perché credo che possa contribuire in modo decisivo ad aumentare la competitività dell’economia europea, rafforzando le sinergie tra innovazione, ricerca e istruzione.

Appoggio quindi le proposte presentate dal relatore, il cui obiettivo è di definire chiaramente le fonti dei finanziamenti del futuro Istituto europeo di tecnologia in modo che possa essere operativo il prima possibile e possa adempiere con successo la propria missione, conformemente agli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Alla luce della posizione assunta da varie organizzazioni di ricerca, la nostra posizione sulla creazione dell’Istituto europeo di tecnologia è molto critica. Ad esempio, l’anno scorso la Lega delle Università europee di ricerca ha presentato uno studio secondo il quale il progetto dell’Istituto europeo di tecnologia sarebbe “mal concepito e destinato al fallimento”. Euroscience, un’organizzazione europea di scienziati e di esperti politici, l’ha definita “un’idea politicamente motivata che poggia su premesse sbagliate”. Il consulente scientifico del Regno Unito, Robert May, ha detto che “è basato su un fraintendimento dell’innovazione”.

Questo istituto sarà virtuale, composto da scienziati che lavorano in università, laboratori di ricerca e società dell’Unione europea e non rilascerà qualifiche, contrariamente a quanto era stato proposto in origine. Sotto la pressione di diversi paesi che volevano ospitare l’Istituto, è diventato virtuale, una specie di portale per consultare le comunità scientifiche nei diversi campi. Il Parlamento europeo ha appena approvato alcuni emendamenti alla proposta della Commissione, ma secondo noi sono insufficienti per raddrizzare qualcosa che è nato storto.

Per quanto riguarda il finanziamento, una delle opzioni è il bilancio comunitario, compresi gli stanziamenti destinati alla ricerca, e finirà con l’essere un altro modo per sostenere i paesi sviluppati e aggravare così le disuguaglianze.

 
  
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  Janusz Lewandowski (PPE-DE), per iscritto. (PL)Signor Presidente, il concetto di un Istituto europeo di tecnologia è cambiato nel corso delle accese discussioni su come promuovere l’innovazione nell’Unione europea. Inizialmente, nel quadro della strategia di Lisbona, l’Istituto avrebbe dovuto essere l’equivalente del Massachusetts Institute of Technology. In altre parole, avrebbe dovuto essere parte della nostra strategia per competere con gli Stati Uniti. In un mondo globale in rapido cambiamento, stiamo invece pensando a una rete di comunità della conoscenza e dell’innovazione, le cosiddette CCI, coordinate da un organismo centrale. Questo si riflette nella separazione di due linee di bilancio distinte negli emendamenti presentati dal Parlamento europeo al progetto di bilancio per il 2008 (finanziamenti separati per la rete e per l’organismo di coordinamento). Sembra che si stia trovando una soluzione al finanziamento di questo progetto, visto che la Commissione europea ha proposto di riesaminare la prospettiva di bilancio 2007-2013, in particolare alzando il limite della rubrica 1A, riducendolo al tempo stesso per altre rubriche. Questo conferma ancora una volta che il Parlamento non si era sbagliato quando aveva rilevato il livello eccessivamente basso delle risorse di bilancio allocate agli obiettivi della strategia di Lisbona.

Vorrei anche appoggiare la candidatura di Wrocław come sede dell’Istituto europeo di tecnologia. Devo far notare, tuttavia, che non basta finanziare maggiormente la ricerca e lo sviluppo e creare un nuovo istituto per garantire che l’Europa diventi competitiva e innovativa. Saranno lo sviluppo di una cultura imprenditoriale, la volontà di assumersi rischi e le connessioni pratiche tra gli ambienti della ricerca e dello sviluppo e l’imprenditoria privata a determinarlo.

 
  
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  Erika Mann (PSE), per iscritto. (DE) A mio avviso, la decisione di perseverare nell’idea di un Istituto europeo di tecnologia è un errore. Nessuna delle argomentazioni presentate è convincente perché partono da premesse sbagliate.

1. Anche l’idea originaria presentata dal Presidente della Commissione Barroso di creare lo IET come risposta al MIT americano ignorava la realtà e la proposta messa oggi ai voti peggiora ulteriormente l’idea originale. Il MIT si è sviluppato grazie a ingenti finanziamenti e ad aiuti di vario genere e in Europa numerosi “mini MIT” stanno già facendo ricerca di eccellenza a livello internazionale. Il problema dell’Europa è un sostegno finanziario e morale inadeguato per l’innovazione e la ricerca di eccellenza.

2. Il finanziamento proposto di 309 milioni di euro resi disponibili da una linea di bilancio di riserva blocca altre iniziative parlamentari, come il progetto d’importanza strategica Galileo. La proposta di finanziamento ammonta ad appena un ottavo del bilancio stimato e quindi non offre alcun incentivo per altre iniziative private serie. Nel settore dei biocarburanti, la BP ha investito 500 milioni di dollari americani solo alla Berkley, negli Stati Uniti.

3. Lo IET avrebbe delle possibilità di successo grazie alle generose fonti di finanziamento di cui dispone e agli stanziamenti per gli istituti europei di eccellenza già esistenti. L’Unione europea potrebbe per esempio seguire il modello canadese e istituire un fondo per l’innovazione finanziato con i soldi rimasti nel bilancio europeo alla fine dell’anno.

4. Così come è prevista, la struttura della rete è un istituto sovranazionale virtuale senza vera rilevanza nel panorama della ricerca europea e internazionale. E’ un compromesso infelice e burocratico.

Ho quindi votato contro la proposta.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Approvo in linea di principio l’idea di un Istituto europeo di tecnologia. Tuttavia, mi sono astenuto sulla risoluzione perché non penso che abbiamo ancora risolto in modo soddisfacente le questioni relative agli obiettivi, alla gestione e alle finanze dell’Istituto.

 
  
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  Pierre Pribetich (PSE), per iscritto.(FR) Martedì 25 settembre, ho appoggiato il mio collega Reino Paasilinna votando a favore dell’Istituto europeo di tecnologia (IET).

Questa relazione riflette un reale desiderio di convergere verso una società della conoscenza. La creazione nell’Unione europea di strumenti che promuovano l’integrazione dell’innovazione, della ricerca e dell’istruzione contribuirà a stimolare la competitività all’interno dell’economia europea.

L’attività dello IET farà capo a un consiglio di amministrazione coadiuvato da personale scientifico e amministrativo. Questo consiglio designerà le comunità della conoscenza e dell’innovazione (CCI) responsabili dell’attuazione delle priorità strategiche dello IET.

Al tempo stesso, tuttavia, rincresce che manchino le risorse finanziarie di cui si è parlato. A lungo termine ciò potrebbe compromettere quest’iniziativa così promettente.

Dobbiamo tutti essere consapevoli dell’assoluta necessità di dotare l’Unione europea di progetti comunitari che garantiscano il suo sviluppo nel contesto della strategia di Lisbona.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) L’Unione europea è adesso a un reale crocevia in termini di capacità competitiva rispetto al resto del mondo. Benché sia molto attraente sotto molti aspetti, sia storici e culturali sia economici e turistici, essa non può sottrarsi alle grandi sfide della concorrenza globale con le economie asiatiche emergenti. La nostra capacità di essere uno spazio attraente per la conoscenza e l’innovazione è messa in dubbio.

Credo che questa votazione sull’Istituto europeo di tecnologia segni un’importante passo verso la costruzione a livello europeo di un quadro di misure basato sul triangolo innovazione, ricerca e istruzione per aiutare la nostra economia a crescere e a svilupparsi. Credo che non debbano essere i salari bassi e la manodopera a buon mercato a rendere l’Unione europea attraente per gli investimenti e per la crescita delle nostre aziende. Il futuro è delle imprese che capiscono di dover investire nella formazione di personale altamente qualificato, in modo che la società interagisca con l’industria e con le imprese per sviluppare risposte di alta qualità e altamente innovative alle necessità dinamiche ed esigenti dei mercati.

 
  
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  Dominique Vlasto (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Quando la Commissione europea ha proposto di fondare l’Istituto europeo di tecnologia (IET) l’idea era quella di creare un nuovo centro di eccellenza per l’istruzione superiore, la ricerca e l’innovazione. Quest’ambizione si scontra con lo spinoso problema dei finanziamenti e finora non è stata trovata alcuna risposta soddisfacente o definitiva a questo problema. Ciò è estremamente preoccupante perché sminuisce la credibilità dello IET prima ancora che sia stato istituito.

L’idea che lo IET rilasci titoli con un marchio o un’etichetta IET potrebbe contribuire a risolvere il problema di visibilità di cui soffre la ricerca europea, dando al tempo stesso riconoscimento a progetti la cui eccellenza e qualità hanno meritato questo titolo. Mi sembra che un sistema flessibile che si adatti bene alla diversità europea, possa stimolare una sana concorrenza tra le università e i progetti di ricerca.

Credo che un altro imperativo sia coinvolgere il settore privato nel progetto dello IET. Il ruolo delle autorità pubbliche dovrebbe limitarsi alla promozione e alla strutturazione dei vari strumenti necessari. Tutto il resto, vale a dire il finanziamento, l’organizzazione e la gestione dello IET, dovrebbe spettare al settore privato. Soprattutto, secondo me, lo IET non dovrebbe assolutamente diventare l’ennesima agenzia dell’UE.

Nonostante queste riserve, ho comunque dato il mio sostegno alla relazione per offrire allo IET una possibilità di successo.

 
  
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  Glenis Willmott (PSE), per iscritto. − (EN) L’EPLP ha scelto di astenersi sia sulla proposta modificata sia sulla risoluzione legislativa per la relazione: Istituto europeo di tecnologia. Siamo a favore degli obiettivi generali della proposta e dell’accento che pone sull’innovazione, ma i soldi dell’Unione europea e degli Stati membri sarebbero meglio spesi se venissero destinati alle università esistenti e ai programmi quadro per la ricerca nell’UE. Riteniamo che la struttura amministrativa dello IET debba essere meno burocratica possibile e quindi con meno dei 21 membri proposti. La questione del finanziamento privato e pubblico dello IET desta ancora preoccupazione. Poiché la proposta della Commissione di finanziare lo IET prevede la riapertura di prospettive finanziarie, non possiamo sostenere la relazione.

 
  
  

- Relazione: Duff (A6-0267/2007)

 
  
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  Frank Vanhecke (ITS). – (NL) Signor Presidente, desidero spiegare perché ho votato contro la relazione Duff, benché la relazione Duff non sia di per sé criticabile. E’ perché sono contrario alla filosofia federale europea su cui è improntata la relazione.

In poche parole, sono contrario allo stato federale europeo e quindi automaticamente sono contrario alla cittadinanza europea e questo diritto di voto e di eleggibilità per i cittadini europei che risiedono in un altro Stato membro ne è parte integrante. Credo che l’Unione debba rimanere una comunità di democrazie nazionali, nelle quali il diritto di voto e di eleggibilità a qualsiasi tipo di elezione debba continuare a essere una prerogativa dei cittadini dello Stato in questione. Il fatto che la cittadinanza UE sia sistematicamente confermata e ampliata e che adesso si renda vincolante anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è effettivamente un segno dell’evoluzione dell’Unione europea.

 
  
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  Bogusław Rogalski (UEN). – (PL) Signor Presidente, oggi abbiamo votato e approvato la relazione dell’onorevole Duff sull’esercizio del diritto di voto e di eleggibilità al Parlamento europeo per i cittadini dell’Unione che risiedono in un altro Stato membro.

Non posso sostenere questa relazione perché sono contrario alle intenzioni dei relatori. A mio avviso questo sistema elettorale e di eleggibilità al Parlamento europeo non favorirà le relazioni di buon vicinato tra i paesi, soprattutto se confinanti. Nel corso degli anni, i paesi con minoranze nazionali importanti hanno elaborato norme intese a evitare i conflitti di natura nazionalistica.

La modalità di voto adottata può riaccendere tali conflitti, che sono contrari allo spirito di coesistenza pacifica tra le nazioni d’Europa, perché i cittadini che non hanno la nazionalità di un determinato stato potranno votare e candidarsi in quel paese. Vi saranno inevitabilmente degli abusi, per esempio potrebbe essere fornito un domicilio fittizio solo per indebolire la voce di un dato paese e manovrare l’esito delle elezioni. Verificare le informazioni necessarie è difficile e costoso.

Inoltre, questa modalità di voto rafforzerà i movimenti separatisti, che non è certamente ciò che auspichiamo per l’Europa di oggi. Mi rincresce che a questo riguardo, per ragioni poco chiare, si voglia imporre dall’alto la nostra volontà agli Stati membri interferendo così nelle procedure elettorali nazionali.

 
  
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  Daniel Hannan (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, tra tutte le argomentazioni avanzate dai sostenitori della Costituzione europea, forse la più insensata è che la cittadinanza europea non pregiudichi quella nazionale. I diritti che una volta erano conferiti dalla nazionalità sono stati erosi uno ad uno: il diritto di eleggere i propri rappresentanti e ancor più il diritto di pretendere prestazioni sociali.

Qualsiasi osservatore neutrale ne concluderebbe che la cittadinanza europea stia diventando lo status giuridico principale dei nostri elettori e la cittadinanza nazionale una categoria secondaria, quasi folcloristica.

Accetto il fatto che la maggioranza di questo Parlamento voglia andare in questa direzione, ma per piacere siate onesti! Che non si dica che questo non abbia alcuna ripercussione sullo status dei miei elettori in quanto cittadini britannici.

 
  
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  Ignasi Guardans Cambó (ALDE), per iscritto. − (ES) Ho l’impressione che l’approvazione di questa relazione sia un grave errore e un atto estremamente irresponsabile; quindi voto contro.

Dobbiamo ricordare in primo luogo che non esiste un sistema elettorale europeo. La cosa sarebbe diversa se a un certo punto se ne istituisse uno (e lo sosterrei). Nel frattempo, le elezioni europee devono essere in linea con il sistema elettorale di ogni Stato membro. La relazione Duff propone l’abrogazione delle candidature doppie o multiple alle elezioni del Parlamento europeo. Lo stesso candidato potrebbe presentarsi in diversi Stati e dopo le elezioni scegliere quale seggio mantenere.

Oltre alle ovvie complicazioni organizzative, ciò rappresenterebbe un’evidente frode nei confronti degli elettori, senza nulla aggiunge alla rispettabilità del Parlamento che vogliamo costruire.

Inoltre, la proposta posta oggi ai voti sopprime il riconoscimento obbligatorio delle decisioni giudiziali (civili e penali) in relazione alla capacità di presentarsi di un candidato, permettendo a chi è stato dichiarato ineleggibile da un tribunale dello Stato del quale ha la nazionalità di presentarsi in un altro Stato. Questo contraddice le prassi della giustizia europea e degli affari interni e possiamo facilmente immaginare le situazioni vergognose che si verrebbero a creare.

 
  
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  Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE), per iscritto. − (RO) Il sistema di scambio di informazioni tra gli Stati membri è così lento che in pratica pochissimi cittadini sanno come usare il diritto loro conferito dal Trattato di votare alle elezioni del Parlamento europeo, qualora risiedano in un altro paese europeo. La voce di queste persone deve essere ascoltata e dobbiamo agevolare il loro accesso alla vita politica del paese di residenza; è per questo che sostengo la sostituzione del sistema attuale con la richiesta di compilare una dichiarazione giurata.

Per i residenti che desiderino candidarsi alle elezioni europee, l’obbligo di ottenere un attestato nazionale è sproporzionato all’obiettivo generale della direttiva 93/109/CE. In pratica, ottenere un attestato di questo genere dalle istituzioni del paese di cui si ha la cittadinanza è molto difficile e richiede anche molto tempo. Questo obbligo formale porta all’abrogazione del diritto garantito dal Trattato.

Una futura proposta della Commissione europea dovrebbe anche contemplare la questione della creazione di partiti politici composti da cittadini stranieri. Le leggi elettorali degli Stati membri non devono fare distinzione tra partiti nazionali, composti da cittadini del paese in questione, e altri partiti. La rappresentanza politica alle elezioni europee è una questione molto importante per paesi come la Romania, che hanno una buona parte della popolazione che risiede in un altro Stato membro dell’Unione europea.

 
  
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  Carl Lang (ITS), per iscritto. (FR) Se i cittadini europei non votano numerosi nei loro paesi di residenza e se il tasso di partecipazione alle elezioni europee non è all’altezza delle aspirazioni degli eurocrati non è perché l’applicazione del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni europee sia stata resa estremamente complessa dall’obbligo di scambiare informazioni tra gli Stati membri.

E’ semplicemente perché la vostra burocrazia e le sue politiche appaiono loro, nella migliore delle ipotesi, senza senso e incomprensibili e, nella peggiore, pericolose e inoltre perché molti cittadini europei che non risiedono nel loro paese d’origine preferiscono partecipare alle elezioni parlamentari nella loro nazione.

La relazione, poi, sfrutta questa pseudo semplificazione tecnica per cercare di autorizzare le candidature multiple, in altre parole la presenza dello stesso candidato in diversi paesi, cosa che sarebbe un vantaggio eccessivo del diritto comune per i soli residenti stranieri, e cerca inoltre di aggirare le leggi degli Stati membri in materia di ineleggibilità. Questo è assolutamente inaccettabile.

Per noi la cittadinanza è indissolubilmente legata alla nazionalità e i diritti che comporta, in particolare quelli elettorali, possono essere esercitati solo all’interno del contesto nazionale. Se un cittadino europeo vuole partecipare alla vita democratica nel suo paese di accoglienza, ha sempre una possibilità: la naturalizzazione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore questa relazione che dovrebbe semplificare alle autorità competenti e ai cittadini l’esercizio del diritto di voto alle elezioni europee. Sono favorevole all’abolizione dell’attuale sistema di scambio d’informazioni, mantenendo però la dichiarazione individuale con cui un cittadino si impegna a non votare o a non candidarsi due volte.

 
  
  

- Proposta di Regolamento del Consiglio – Ritiro dei seminativi dalla produzione per l’anno 2008

 
  
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  Agnes Schierhuber (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, è assolutamente giusto porre fine al ritiro dei seminativi dalla produzione. La domanda di derrate alimentari, di foraggio e di materie prime rinnovabili è in costante crescita ed è quindi imperativo mantenere produttive queste aree. Il ritiro dei seminativi dalla produzione è stata una misura che gli agricoltori non hanno mai voluto ma che hanno dovuto accettare perché necessaria. Gli agricoltori vogliono produrre! Spero che questa misura non valga solo per uno o due anni ma che sia definitiva. Dà anche al settore agricolo l’opportunità di contribuire agli ambiziosi obiettivi dell’Unione europea di ridurre le emissioni di CO2.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Non solo siamo d’accordo che sia giusto, nel 2008, permettere la coltivazione a fini agricoli dei seminativi ritirati dalla produzione, ma riteniamo anche che la deroga debba esse applicata più a lungo. Abbiamo quindi presentato una proposta per il 2009 e il 2010 e si è convenuto di includere il 2009. In questo modo si potrà permettere agli agricoltori una migliore pianificazione in una situazione di prezzi eccezionalmente alti nel mercato dei cereali.

Tuttavia, questa misura non risolve la questione di fondo riguardo alla necessità di aumentare la produzione, l’offerta di ogni Stato membro e l’occupazione nelle zone rurali.

Dobbiamo inoltre attirare l’attenzione sulla carenza di cereali nel mercato europeo e sull’effetto negativo della speculazione sui biocarburanti, come deciso dal Consiglio, sia sull’offerta che sui prezzi.

Reiteriamo la necessità di una revisione approfondita della PAC (politica agricola comune) per tener conto delle caratteristiche del suolo e della biodiversità in ogni paese, per adattare la rotazione delle colture e garantire agli agricoltori un reddito sufficiente senza compromettere gli interessi dei consumatori in termini di cibo sano e di alta qualità.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Avreste mai creduto che dopo aver accusato per decenni la politica agricola comune di tutti i mali, di costare troppo e soprattutto di produrre fiumi di latte e montagne di cereali che non potevano essere venduti sul mercato, avremmo adesso scoperto che dobbiamo smettere di ridurre la nostra capacità produttiva in questi settori?

Apprezzo la reazione rapida del Commissario in seguito all’impennata dei prezzi, che per i nostri agricoltori è stata sicuramente lucrativa: porre fine al ritiro dei seminativi dalla produzione per incoraggiare i nostri agricoltori e produttori a produrre più cereali così da allentare la pressione sul mercato.

Dovrebbe reagire altrettanto rapidamente per aumentare le quote di latte e abolire la sovrattassa in caso di superamento della quota a livello nazionale. Spero, inoltre, che questo serva di lezione alla Commissione, che vuole anche ridurre di 200 000 ettari la capacità di produzione di vino, senza considerazione alcuna per la possibilità che i produttori di vino europei hanno di esportare verso i mercati emergenti come la Cina e l’India.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Considerate le diverse condizioni del mercato, capisco e appoggio la proposta della Commissione di azzerare nel 2008 il ritiro dei seminativi. Tale misura dovrebbe aumentare la produzione di almeno 10 milioni di tonnellate di cereali e alleggerire la pressione sui prezzi dei cereali in aumento.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (ITS), per iscritto. – (FR) Dal 1992 ci siamo sentiti dire dalla Commissione a Bruxelles che c’erano montagne di cereali, per non parlare degli oceani di latte e dei frigoriferi pronti a scoppiare. Bisognava quindi ritirare i seminativi europei dalla produzione e limitare la produzione. L’emisfero meridionale e gli Stati Uniti esigevano dall’OMC il monopolio del grano e dei semi oleosi.

Vorrei ricordarvi che nel quadro del ciclo dell’Uruguay e con l’accordo di Blair House nel 1992, la Commissione europea ha accettato di limitare a 5 milioni di ettari le aree coltivate a semi oleosi.

Quello che doveva succedere è successo. L’agricoltura è soggetta ai capricci del clima. Giuseppe, nella Bibbia, lo spiegava già al faraone. Siccità in Australia, crollo della produzione in Ucraina e domanda sempre in aumento in Cina, in India e in Africa: tutti questi fattori fanno impennare i prezzi dei cereali e del granturco.

Dopo aver pagato i nostri agricoltori sin dal 1993 perché non producessero, dopo aver persino eliminato gli aiuti alla produzione e dopo aver ritirato dalla produzione milioni di ettari quando un terzo dell’umanità soffriva la fame, la Commissione di Bruxelles scopre adesso che c’è una carenza di cereali e che le scorte stanno crollando. E quindi fa marcia indietro sul ritiro dei seminativi.

Così sarà anche per il vino. E’ già successo per il burro e la carne. La confusione e Malthus imperano.

 
  
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  Brian Simpson (PSE), per iscritto. − (EN) Uno dei grandi misteri per i cittadini dell’Unione europea è come si possa escogitare un sistema per pagare gli agricoltori affinché lascino la terra incolta. Ora, mentre capisco che alcune rispettabili organizzazioni nel Regno Unito, come la RSPB, usino questo sistema per finanziare il loro eccellente lavoro, non può essere giusto lasciare incolta della buona terra e pagare gli agricoltori perché la lascino tale.

E’ per questo che appoggio la totale abolizione del ritiro dei seminativi dalla produzione. Parallelamente, però, dobbiamo garantire che i nostri agricoltori e altri soggetti siano incoraggiati a coltivare la terra e a renderla produttiva aiutandoli con altri mezzi.

Se vogliamo seriamente riformare la PAC, la prima riforma da fare è porre fine al ritiro dei seminativi dalla produzione. E’ per questo motivo che sosterrò le proposte della Commissione.

 
  
  

- Proposta di risoluzione (B6-0351/2007)

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, vorrei che i membri del Parlamento prendessero nota di come ho votato.

Quello che vogliamo ottenere è proteggere i bambini e lo faremo. Non dovremmo accettare alcun compromesso sui prodotti chimici e prodotti inquinanti che possano in qualche modo danneggiare le loro funzioni e il loro sviluppo. Le imprese devono rendersene conto.

Non dobbiamo però fermarci qui. Dobbiamo anche considerare seriamente la pressione che subiscono le aziende. Le aziende operanti in Cina subiscono pressioni da parte del governo cinese. Le regole del gioco in Cina sono molto diverse dal resto del mondo. Se una ditta vuole svolgere la propria attività in questo paese deve cedere al governo gran parte delle procedure decisionali e di gestione.

La Cina introduce incentivi che controllano le operazioni verticali della produzione. Le macchine usate dalla Mattel per produrre quei 21 milioni di giocattoli sono fabbricate in Cina e di proprietà cinese. Gli stampi usati per dare forma alla plastica e poi metterla nei macchinari per estrudere tutti questi giocattoli sono di proprietà cinese. Il motivo è che i cinesi sovvenzionano le parti dell’azienda che rimangono in Cina e rompere con questo sistema aumenta i costi del 20 %.

La Cina, quindi, controlla le attività commerciali molto più di quanto noi crediamo e dobbiamo tenerne conto per la sicurezza dei giocattoli. Non dobbiamo tollerarlo, come non possiamo più tollerare le pratiche della Cina in materia di diritti umani e di ambiente.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. − (EN) Ho ripetutamente invitato la Commissione europea a sostenere una legislazione che renda obbligatorio il marchio del paese d’origine per tutti i prodotti importati. E’ di estrema importanza perché come è stato scoperto nel 2006, il 17% dei prodotti non sicuri, compresi i giocattoli, aveva un’origine imprecisata, mentre il 58% proveniva da paesi terzi.

E’ vero che il 48% dei prodotti non sicuri individuati era di origine cinese, ma non si deve per questo presumere che sia colpa solo di un controllo di qualità carente da parte dei produttori cinesi. E’ stato dimostrato, per esempio, che dei 21 milioni di giocattoli richiamati dal mercato negli ultimi tre mesi dalla ditta americana Mattel (che produce i propri prodotti anche in Europa e con il marchio Fisher-Price), 18 milioni erano stati richiamati per difetti di progettazione imputabili alla Mattel e non per difetti di fabbricazione.

E’ chiaro da tempo che sono necessarie penali più severe nei confronti sia dei produttori sia degli importatori al fine di garantire che prendano sul serio la loro responsabilità verso i consumatori, in questo caso verso bambini indifesi. Ma alcuni Stati membri continuano a opporsi al cambiamento su ordine degli importatori e delle ditte che terziarizzano la produzione.

 
  
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  Brigitte Douay (PSE), per iscritto. (FR) La globalizzazione degli scambi e la mancanza di trasparenza e d’informazione sulle origini dei vari prodotti commercializzati nell’Unione europea aumentano il rischio di acquistare merce pericolosa, difettosa o contraffatta.

La risoluzione comune sulla sicurezza dei prodotti, in particolare dei giocattoli, a favore della quale ho votato mercoledì, è stata adottata da quasi tutti i gruppi. E’ un altro esempio dell’impegno dimostrato dall’Unione europea e in particolare dal Parlamento europeo a favore della protezione dei consumatori.

Insistendo sui requisiti in materia di sicurezza, di affidabilità del marchio comunitario, di lotta contro le merci contraffatte e di introduzione della tracciabilità, questa risoluzione permetterà di meglio tutelare i consumatori e soprattutto i bambini.

La richiesta di maggior cooperazione con i paesi terzi interessati non deve comunque far passare in secondo piano la responsabilità delle aziende che fanno gli ordini, perché spetta a loro garantire che le caratteristiche tecniche del loro prodotto siano conformi ai requisiti sanitari e di sicurezza.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione “Giocattoli pericolosi fabbricati in Cina” perché considero essenziale adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire non solo che i prodotti commercializzati nell’Unione europea siano conformi alle vigenti norme UE, ma anche che non mettano a repentaglio la salute e la sicurezza dei consumatori. Credo quindi che la direttiva 88/378/CE sulla sicurezza dei giocattoli debba essere rivista il più presto possibile e che debba contemplare requisiti pertinenti ed efficaci per la sicurezza dei prodotti.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) La salvaguardia della sicurezza dei prodotti, dei giocattoli specialmente, è una priorità per la tutela della salute pubblica e dei bambini in particolare.

Le verifiche necessarie e i controlli di qualità dei prodotti sono un meccanismo imprescindibile per raggiungere questo obiettivo. Le aziende e le autorità pubbliche nazionali competenti dovrebbero svolgere questo controllo e questa certificazione come misura preventiva.

Poiché la legislazione definisce tutte le norme di sicurezza che i prodotti devono rispettare, sta all’azienda o alle aziende progettare, produrre e commercializzare questi prodotti assumendosi così la responsabilità.

La reazione iniziale in presenza di prodotti non sicuri o dannosi per la salute, in particolare giocattoli importati da paesi terzi, è di cercare di addossare la colpa agli altri, al punto che il Financial Times ha osservato che la ditta Mattel si era formalmente scusata con il governo e con i cittadini cinesi. Va sottolineato che molti prodotti importati sono fabbricati in paesi terzi, ma che i proprietari sono grandi multinazionali con sede nell’Unione europea, le quali, avide di profitti, trasferiscono la loro produzione altrove.

Inoltre, focalizzando la discussione sulla cattiva qualità dei prodotti importati, si nasconde il fatto che anche molti prodotti fabbricati nell’Unione europea non sono conformi alle norme vigenti.

 
  
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  Malcolm Harbour, Andreas Schwab, Marianne Thyssen e Corien Wortmann-Kool (PPE-DE), per iscritto. − (EN) La risoluzione del Parlamento, adottata oggi a larga maggioranza, s’incentra giustamente sul problema immediato di garantire la sicurezza dei prodotti in conformità delle vigenti direttive UE.

Il gruppo PPE-DE ha sempre insistito sul fatto che la risoluzione dovrebbe concentrarsi senza indugio su proposte pratiche atte a rafforzare la sicurezza del consumatore.

Abbiamo inoltre proposto di valutare un marchio europeo per la sicurezza del consumatore, che i fornitori di beni di consumo possono apporre su base volontaria. Siamo lieti che il Parlamento abbia avallato questa proposta.

E’ con grande interesse che riceveremo la futura direttiva sui giocattoli ed esamineremo senza pregiudizi la riforma proposta dalla Commissione. A nostro avviso, lo sforzo di introdurre in questa risoluzione requisiti molto dettagliati e specifici per la futura direttiva era del tutto superfluo. Abbiamo quindi votato contro le aggiunte proposte, ma questo non diminuisce affatto il nostro interesse e la nostra preoccupazione ad elaborare una direttiva efficace e praticabile quando nel 2008 riceveremo la proposta della Commissione.

 
  
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  Carl Lang (ITS), per iscritto. (FR) La risoluzione del Parlamento contiene solo poche proposte per porre fine all’importazione di prodotti pericolosi, la metà dei quali proviene dalla Cina. Si concentra sui giocattoli, senza accennare agli indumenti che contengono coloranti tossici, alle medicine pericolose, agli alimenti che contengono ingredienti inadatti al consumo umano, ai prodotti elettrici che prendono fuoco, ai dentifrici fatti con antigelo e la lista continua. Si accontenta anche di misure deboli, che si basano sulla cooperazione e la certificazione, e addossa la responsabilità agli Stati membri invece che alla Cina, alle ditte europee piuttosto che ad altri.

Nella fattispecie, ciò non è sufficiente. E’ ora di applicare sanzioni esemplari contro i paesi che, dopo essere diventati membri dell’OMC, continuano ad adottare pratiche commerciali dubbie, che si tratti di dumping, di contraffazione o di lavoro forzato. E’ vero che i pochi strumenti di difesa commerciale di cui dispone l’Unione europea sono di competenza del Commissario Mandelson, giustamente segnalato per la sua passività in questo ambito.

Se alla fine della giornata avremo adottato questo documento è perché, nonostante tutto, è meglio avere norme irrisorie piuttosto che niente. Almeno è una reazione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore l’adozione a stragrande maggioranza di questa risoluzione. E’ il messaggio chiaro ai produttori di giocattoli e alla Cina che per i giocattoli per bambini non sarà tollerato il mancato rispetto dei più alti standard di sicurezza. La Cina è stata avvertita che deve migliorare i controlli sulle merci e i metodi di individuazione per ridurre drasticamente il flusso di prodotti pericolosi sul mercato europeo.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (ITS), per iscritto. – (FR) I bambini in Vietnam, in Africa e altrove saltano sulle mine. In Europa i nostri bambini soffocano, si avvelenano e sviluppano allergie a causa delle bambole Barbie e dei giocattoli.

Il cinema aveva già suonato il campanello d’allarme con il film “Le père noël est une ordure”. Sta a noi, membri del Parlamento, reagire in nome dei principi di sicurezza e per salvaguardare il futuro demografico del nostro continente, già provato da giochi pericolosi di cui gli adulti fanno largo uso.

E’ il momento di farlo. Quanti volti dalla pelle liscia come una scultura di Brancusi sono stati sin qui devastati da pupazzi in celluloide che hanno preso fuoco al minimo contatto con un fiammifero. I giocattoli uccidono e i bambini del Darfur non sanno quanto siano fortunati per non poter giocare a mangiare.

 
  
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  Tokia Saïfi (PPE-DE), per iscritto. – (FR) In seguito alla massiccia azione di richiamo di giocattoli cinesi da parte del produttore americano Mattel, la Commissione europea sta valutando attentamente la legislazione in materia di sicurezza dei prodotti, in particolare dei giocattoli importati. Il sistema normativo europeo in questo ambito è certo valido, con RAPEX e il marchio CE, ma deve essere rafforzato.

Il Parlamento europeo sta quindi andando oltre e, nell’ambito della sua risoluzione sulla sicurezza dei giocattoli, auspica l’adozione di un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti e la sorveglianza dei mercati. Ripristinare la fiducia dei consumatori e tutelare la salute dei nostri bambini è per me una condizione essenziale. Così, in continuità con la normativa REACH che impone controlli severi sull’uso di prodotti chimici nei nostri beni di consumo, ho votato oggi a favore di un divieto incondizionato dell’uso di qualsiasi sostanza tossica nella fabbricazione di giocattoli.

Inoltre, sostenendo gli emendamenti nn. 8 e 6, sono a favore di un divieto totale dell’uso di ftalati pericolosi in tutti i giocattoli che possano essere portati alla bocca. La sicurezza chimica dei giocattoli non è solo una questione normativa: è anche una questione igienica e come tale è vitale per la sicurezza dei nostri bambini.

 
  
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  Karin Scheele (PSE), per iscritto. (DE) La risoluzione odierna sottolinea l’urgente bisogno di una revisione della direttiva sui giocattoli. Nella nuova direttiva sui giocattoli, le sostanze CMR – in altre parole le sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione – devono essere vietate. Il Commissario Verheugen ha appoggiato questa richiesta nel corso del dibattito di ieri. Sarà anche necessario porre fine alla confusione sul marchio CE. I consumatori europei credono che questo marchio indichi l’origine del prodotto o che sia un sigillo di qualità. Il marchio CE non assolve nessuna delle due funzioni.

 
  
  

- Relazione: Saryusz-Wolski (A6-0312/2007)

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE). – (SK) La sicurezza energetica e l’energia sono l’asse attorno al quale ruotano la politica interna ed estera di ogni unione e sono fattori vitali per mantenere la prosperità e, in caso di approvvigionamento gravemente insufficiente, sono una questione di sopravvivenza.

Dobbiamo subito intervenire per liberarci dalla nostra dipendenza per la fornitura di materie prime dalla Russia, che potrebbe in un secondo tempo diventare dipendenza politica. Trovo preoccupante permettere che l’energia possa essere usata come strumento per esercitare pressioni politiche sui paesi di transito e di destinazione. Sono favorevole a sviluppare la dimensione del Mar Nero, la cooperazione con i paesi del Caucaso meridionale e a intensificare i nostri rapporti con la Norvegia, i paesi del Maghreb e del Mashreq, nonché il partenariato euro-mediterraneo. La prevedibilità dei mercati energetici deve essere garantita da accordi con la Cina, l’India e il Brasile e dovremmo instaurare un partenariato con il governo statunitense.

Gli ambientalisti che vedono tutto in termini di netta contrapposizione dovrebbero capire una volta per tutte che la combustione di carburanti “ecologici” e di biomassa aumenta drasticamente la quantità di CO2 nell’atmosfera e che è necessario produrre una parte ragionevole e decisiva di energia nucleare. L’influenza dei verdi fanatici, che sono riusciti a introdurre nella costituzione di uno Stato membro il divieto dell’energia nucleare – qualcosa che sicuramente non inciderà sull’economia di quel paese né su quella dei suoi vicini – ha assunto proporzioni tragicomiche.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). – (FI) Signor Presidente, la sicurezza energetica è una delle componenti essenziali della sicurezza globale europea. La relazione dell’onorevole Saryusz-Wolski risponde a questa sfida per il futuro dell’Europa.

Il problema dell’Unione europea è che il suo livello di autosufficienza energetica sta calando. L’UE importa già metà del suo fabbisogno energetico dall’estero e si stima che nel 2025 la dipendenza dalle importazioni superi il 70%. Per risolvere questo problema abbiamo bisogno di una voce comune risoluta, di una nuova forma di diplomazia energetica e di un Alto rappresentante dell’UE per la politica estera comune sull’energia, che si adoperi in questo senso.

L’attribuzione del mandato per la politica estera in materia di energia all’Unione non deve però indebolire il diritto sovrano degli Stati membri di decidere in merito ai propri mezzi di produzione energetica e alle proprie infrastrutture. Desidero ringraziare il relatore per questo in particolare. La relazione prevede una presa di decisione indipendente da parte degli Stati membri in materia di approvvigionamento energetico.

 
  
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  Lena Ek (ALDE), per iscritto. − (EN) Trasparenza, reciprocità e Stato di diritto sono le pietre angolari della politica energetica europea e di conseguenza della nostra politica estera. Tuttavia non è il momento adatto per aggiungere nuove istituzioni e sono quindi contraria alla creazione di una nuova carica di Alto rappresentante per la politica estera sull’energia, che comprometterebbe anche l’influenza del Parlamento europeo in materia di politica estera energetica.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di questa relazione tesa a creare una politica estera comune in materia di energia.

Le soluzioni introdotte devono avere portata internazionale e l’Unione europea deve poter svolgere un ruolo di primo piano. E’ chiaro che oggi l’energia è diventata una vera e propria arma nei negoziati internazionali.

In seguito alla crisi del gas tra la Russia e l’Ucraina nel gennaio del 2006, l’Unione europea ha preso coscienza della propria vulnerabilità in materia di approvvigionamento energetico. Al fine di elaborare una politica estera in materia di energia, la relazione propone essenzialmente di nominare un “Alto rappresentante speciale per l’energia” responsabile del coordinamento delle attività dell’UE in materia. Questo Alto rappresentante per la politica estera sull’energia porterà un doppio cappello, poiché agirà sotto l’autorità dell’Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza comune (PESC) e del Vicepresidente della Commissione europea.

Plaudo a questo sviluppo positivo, che contribuirà a promuovere il dialogo tra i paesi produttori – esempio di partenariato euro-mediterraneo – e i paesi consumatori. Questo permetterà all’UE di difendere i propri interessi in materia di sicurezza energetica nei negoziati con i fornitori esteri.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) L’energia è attualmente una questione strategica.

I diversi paesi europei con una grande dipendenza energetica aspirano a controllare lo sfruttamento delle risorse energetiche esistenti. Da qui la proposta di creare una componente energetica all’interno della politica estera e di sicurezza comune che, se adottata, servirebbe a superare le contraddizioni esistenti tra le principali potenze.

Per fare questo, l’Unione europea dovrebbe annunciare il suo “mercato”, la sua “concorrenza” e il suo allargamento ad altri paesi nel quadro delle cosiddette “comunità dell’energia”, del “trattato sulla Carta dell’energia” – assicurando la “sicurezza degli investimenti” e garantendo un “diritto al risarcimento in caso di espropriazione e/o di nazionalizzazione”– ovvero l’inclusione negli accordi commerciali di una “clausola di sicurezza energetica”. Tutto ciò può essere controllato e da qui deriva il timore della creazione di un’OPEC “versione gas”.

La maggioranza del Parlamento difende anche la “creazione di un partenariato per la sicurezza energetica con gli USA” e, ovviamente, un “dialogo critico e costruttivo” nei confronti dei paesi del Caucaso meridionale, della regione del Caspio e dell’Asia centrale che “trovi un equilibrio tra l’interesse dell’Unione europea a diversificare le proprie forniture di petrolio e gas con l’obiettivo di realizzare riforme politiche in tali paesi” Altre parole per chi? Iraq, Afghanistan, Africa ...?

 
  
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  Janusz Lewandowski (PPE-DE), per iscritto. − (PL) Signor Presidente, l’Unione europea è un grande consumatore di energia e dipende da fonti di energia esterne. Queste ultime sono caratterizzate dall’incertezza e da una potenziale destabilizzazione. Nel caso specifico della Russia e dei paesi del CSI che sono ricchi di risorse naturali, un ulteriore fattore di incertezza è costituito dalla tendenza a usare l’energia come arma a fini politici, come abbiamo già avuto modo di vedere. Una situazione del genere avrebbe dovuto indurre l’Unione europea a far quadrato e a restare unita nelle situazioni di crisi, ma i diversi interessi nazionali di paesi che, come i paesi post-comunisti non rischiano di essere vittime del ricatto energetico, hanno fatto sì che questa reazione si sviluppasse invece molto lentamente.

La relazione dell’onorevole Saryusz-Wolski è un passo nella direzione giusta. E’ un appello a fondare la relazione UE-Russia sulla fiducia reciproca e sul rispetto dei principi enunciati nella Carta per l’energia.

Il contesto del dibattito in corso è definito dagli sforzi paralleli della Commissione europea di liberalizzare il mercato energetico dell’Unione, con Gazprom sullo sfondo. E’ quindi necessario premere per l’applicazione del principio di disaggregazione tra produzione e distribuzione. I paesi che sono riluttanti a liberalizzare sono gli stessi che sono inclini a ricorrere a contratti energetici bilaterali con la Russia e a cooperare con le compagnie statali russe in materia di capitale. Non è una coincidenza che questo veda coinvolti i sopravvissuti dei monopoli energetici pubblici dell’Europa continentale. L’effetto è di ritardare l’auspicata libera scelta dei fornitori di energia e lo sviluppo di una politica comunitaria basata sulla solidarietà nei settori strategici.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Chiaramente l’Unione europea deve coordinare il suo approccio alle fonti esterne di energia meglio di quanto non faccia adesso. Cionondimeno, non vedo la necessità di un Alto responsabile per la politica estera sull’energia e ritengo che creerebbe solo confusione con il ruolo svolto attualmente dall’Alto rappresentante Solana e quindi ho votato contro questa proposta. D’altro canto, ho votato a favore del riferimento alla disaggregazione tra produzione, trasmissione e distribuzione di energia.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) La relazione promuove una “politica estera comune dell’Europa in materia di energia”. Benché fino ad ora non esista nemmeno la base giuridica per una tale politica, il testo mira a promuoverla prima ancora che possa essere inserita nel nuovo Trattato di riforma. Invece di risolvere il problema dell’energia cara e inquinante, la relazione vuole fare dell’Unione europea un attore egemonico e globale. Un approccio geopolitico dell’Unione europea così oneroso creerebbe più tensione e più conflitti a livello mondiale. Il filo conduttore del testo è una forte corrente anti Russia. Vi è incluso tutto ciò che potrebbe ostacolare il normale sviluppo delle relazioni tra la Russia e gli Stati membri dell’UE. I critici parlano quindi di una piccola guerra fredda. Includendo la cosiddetta “clausola di sicurezza energetica” in tutti gli accordi con i paesi produttori e di transito, l’UE definirà i suoi interessi ben oltre le sue frontiere. Ci preoccupa la creazione di una politica estera europea in materia di energia fondata su pressioni geopolitiche, come retroscena di minaccia militare. La relazione chiede un partenariato più stretto con gli USA in materia di sicurezza energetica, pur sapendo che gli USA stanno facendo guerra all’Iraq per assicurarsi risorse energetiche a buon mercato.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Considerando, da un lato, la crescente importanza dell’energia nella società moderna e la sempre maggior interdipendenza internazionale, che è ormai quasi una caratteristica comune, dall’altro, è impossibile escludere la politica energetica dalla dimensione estera della politica UE sia a livello degli Stati membri sia in termini di politica estera comune.

Sono quindi d’accordo con la risoluzione dove si afferma che “sebbene gli Stati membri debbano conservare il loro diritto sovrano di effettuare scelte strategiche in materia di mix energetico, di sfruttare le loro risorse energetiche e di decidere in merito alle strutture di approvvigionamento, è necessario [promuovere un approccio comune e non necessariamente una politica unica] che contempli la sicurezza degli approvvigionamenti, il transito e gli investimenti connessi alla sicurezza energetica, la promozione dell’efficienza e dei risparmi energetici nonché di fonti energetiche pulite e rinnovabili, soprattutto nelle relazioni con i paesi il cui consumo di energia è in rapida crescita”. Tuttavia, per quanto riguarda l’idea di un Alto rappresentante per la politica estera sull’energia, questa dimensione deve essere inclusa nell’ambito del lavoro svolto dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza perché non penso che un approccio più specifico di questo abbia molto senso.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. − (PL) Ho votato a favore dell’adozione della relazione dell’onorevole Saryusz-Wolski su una politica comune dell’Europa in materia di energia.

In base al piano d’azione sulla politica energetica, adottato dal Consiglio nel marzo 2007, dobbiamo fare ogni sforzo per sviluppare una politica comune europea in materia di energia, dotata degli strumenti richiesti per garantire il suo efficace funzionamento. Vorrei attirare l’attenzione sulla necessità di solidarietà e cooperazione tra gli Stati membri, di diversificazione delle fonti energetiche, nonché di uno sviluppo continuo e di una migliore cooperazione in questo settore.

Convengo che sia necessario decidere in merito a una tabella di marcia dettagliata, delineando le varie fasi dell’introduzione di tale politica. La Commissione dovrebbe avanzare le sue proposte alla prima occasione. E’ altrettanto importante che gli Stati membri si consultino tra di loro e con la Commissione europea sulle questioni riguardanti le decisioni strategiche contenute nei contratti conclusi in questo settore con parti terze. La proposta di nominare un Alto rappresentante per la politica estera sull’energia è molto opportuna e merita ulteriore considerazione. Questa figura sarebbe responsabile del coordinamento di tutte le politiche inerenti agli aspetti esterni della sicurezza energetica e contribuirebbe a meglio tutelare gli interessi degli Stati membri nei negoziati con i partner esterni.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE), per iscritto. − (EN) I conservatori inglesi riconoscono che i 27 Stati membri dovrebbero dar prova di maggior solidarietà in materia di politica estera sull’energia dal momento che nei prossimi anni tutti i 27 Stati membri saranno sempre più dipendenti dal petrolio e dal gas importato da paesi terzi, i quali potrebbero altrimenti mettere in serie difficoltà gli Stati più dipendenti e vulnerabili a scapito dell’Unione nel suo insieme.

Ciò non significa che noi avvalliamo una politica energetica comune, in particolare il fatto che l’UE possa, per esempio, determinare il mix energetico di ogni Stato membro, come la proporzione tra combustibili fossili e combustibili rinnovabili.

Nelle grandi linee, i conservatori sostengono l’obiettivo di questa relazione benché respingano la necessità di una singola potente figura di coordinamento che si esprima su questo argomento. Né vediamo la necessità di una nuova base giuridica all’interno dei Trattati per affrontare la questione.

I tentativi di aggiungere nuove competenze all’UE invece di fare buon uso di quelle esistenti sono superflui. I conservatori credono anche in un approccio orientato verso il mercato e non in un’ulteriore istituzionalizzazione dell’Unione europea.

 
  
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  Glenis Willmott (PSE), per iscritto. − (EN) Il partito laburista del Parlamento europeo sostiene buona parte di questa risoluzione, in particolare la priorità data alle fonti di energia rinnovabile, alla promozione dell’energia come pilastro della politica europea di vicinato e alla richiesta di misure di salvaguardia contro l’inquinamento.

Ci siamo astenuti sul considerando 12 in seguito all’abbandono del Trattato costituzionale, che rende irrilevante tale considerando. Ci siamo astenuti sull’emendamento n. 2 e sul paragrafo 13 perché pensiamo che la creazione di una nuova carica di Alto rappresentante per la politica energetica potrebbe creare inutile confusione.

Abbiamo votato a favore del paragrafo 62 che mantiene il riferimento alla disaggregazione della produzione di energia perché vorremmo essere coerenti con la posizione precedentemente espressa che considera la disaggregazione degli assetti proprietari della rete di trasmissione lo strumento più efficace per promuovere gli investimenti, un equo accesso alla rete e la trasparenza del mercato.

 
  
  

- Relazione: Gruber (A6-0322/2007)

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE). – (SK) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Gruber.

Accolgo favorevolmente la formulazione di una direttiva quadro generale e la direttiva sulle condizioni d’ingresso per i lavoratori altamente qualificati, la direttiva sulle condizioni d’ingresso e di residenza per i lavoratori stagionali nonché la direttiva sulle condizioni d’ingresso e di residenza per i tirocinanti retribuiti.

E’ chiaro che l’Unione europea deve fissare norme precise e disciplinare attivamente gli ingressi nell’Unione europea a scopo di lavoro. Sappiamo tutti che l’Europa sta già attraversando un “inverno demografico” e che ha urgentemente bisogno di manodopera proveniente da paesi non membri. E’ assolutamente indispensabile, tuttavia, ammettere solo manodopera qualificata e propongo di selezionare le professioni che registrano una carenza di forza lavoro nel mercato del lavoro in Europa. Dobbiamo essere coerenti a questo riguardo altrimenti, se volontariamente e sconsideratamente inondiamo l’Unione europea di manodopera non qualificata, potrebbero sorgere dei problemi legati alla vita oziosa degli immigrati disoccupati che sarebbero spinti a commettere reati e a dedicarsi ad attività illecite o a lavorare nell’economia sommersa violando la legge; spesso queste persone sono coinvolte nel traffico di droga e di esseri umani, creano ghetti e non raramente finiscono col diventare membri di gruppi terroristici.

 
  
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  Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione perché il Parlamento ha chiaramente stabilito che rimarrà di competenza degli Stati membri decidere quali e quanti lavoratori immigrati accettare nel loro territorio sovrano. Se la “carta blu” venisse realmente introdotta, deve essere garantito che serva da strumento di controllo per i lavoratori altamente qualificati residenti nell’Unione europea e che permetta la residenza temporanea – non permanente – su tutto il territorio dell’Unione.

Vorrei presentare al Commissario Frattini – che sfortunatamente non è più presente – una proposta del Partito popolare europeo: apporre sulla “carta blu” un simbolo nazionale aggiuntivo, come la bandiera, in modo che risulti chiaro quale Stato membro abbia rilasciato il permesso di lavoro e di residenza.

 
  
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  Antonio Masip Hidalgo (PSE). – (ES) Signor Presidente, desidero congratularmi con i miei colleghi, onorevoli Lilli Gruber e Javier Moreno. Essendo temporaneamente disabile, sono dovuto ricorrere a un contratto ausiliario con un immigrato e ho capito meglio, se possibile, ciò che diceva oggi l’onorevole Lobo Antunes sulla necessità di solidarietà e umanità, benché capisca anche la spiegazione che ci ha dato il Commissario Frattini sul rispetto totale dello Stato di diritto.

Durante la mia solitudine ho pensato spesso che Don Chisciotte, il famoso personaggio, la figura letteraria più grande di tutti i tempi, non sarebbe esistito senza Sancho, e oggi Sancho sarebbe senz’altro un emigrante venuto in suo aiuto.

Quindi, deve esserci sempre rispetto per lo Stato di diritto e rispetto per gli esseri umani.

 
  
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  Frank Vanhecke (ITS). – (NL) Signor Presidente, non ho affatto approvato la relazione dell’onorevole Gruber sul piano d’azione in materia di migrazione legale per due motivi principali. Primo, non penso sia saggio incoraggiare la fuga di cervelli dai paesi poveri verso l’Europa, in ogni caso non più di quanto non stia già avvenendo. Non credo che aiuti nessuno e certamente non i paesi più poveri.

Secondo, continuo a stupirmi dell’ingenuità con la quale in questo Parlamento si considera l’immigrazione, come una specie di soluzione all’innegabile problema demografico dell’Europa. In ogni caso, non una parola è stata detta sugli enormi costi dell’immigrazione per i paesi d’accoglienza, sul fatto che, più che mai, dobbiamo stare attenti a salvaguardare la nostra cultura europea, i nostri valori e le nostre regole, sempre più sotto pressione a causa dell’elevato numero di immigrati provenienti da altre culture. Come tutti gli altri problemi, anche questo ha un costo economico. Oggi, nella nostra capitale europea, Bruxelles, circa il 53% degli abitanti è di quella che si potrebbe chiamare origine non belga; nel 2050 tale percentuale rischia di salire al 75%. Non abbiamo bisogno di nuova immigrazione di massa, ma dell’esatto contrario.

 
  
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  Philip Claeys (ITS). – (NL) Signor Presidente, nella relazione Gruber, il Parlamento adotta un approccio economico quantitativo particolarmente unilaterale sulla questione dell’immigrazione. Respingo con enfasi l’affermazione che solo una nuova ondata di immigrazione possa garantire il futuro economico dell’Europa e voglio far notare che l’immigrazione è molto più di semplici dati e tabelle. Le proposte di questa relazione peggioreranno il già grave problema dell’integrazione. Bisogna averla letta per crederci. Mentre parte della popolazione di immigrati non vuole lavorare e non vuole intraprendere una nuova formazione, in Mali ci sono persone che vogliono creare centri d’informazione e di gestione delle migrazioni. Chiaramente, una volta scaduti i loro permessi, molti dei così detti lavoratori temporanei spariranno nella clandestinità, come succede adesso. L’esperienza, per esempio quella svizzera, insegna che i membri della famiglia dei lavoratori stagionali continuano a entrare clandestinamente.

Last but not least, il fatto è che più immigrazione di persone altamente qualificate porterà innegabilmente a un’ulteriore fuga di cervelli dai paesi in via di sviluppo con tutto ciò che questo comporta.

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi io ho votato a favore del rapporto Gruber perché ha recepito tante questioni poste a nome del PPE e dal sottoscritto. Però, credo che – pur consapevole che l'integrazione è un fatto importante – l'integrazione va applicata con il consenso anche dei cittadini. Allora è necessario che accanto all'integrazione vi sia però un'applicazione certa e rigida delle leggi: ad esempio gli Stati devono applicare quella normativa che prevede che dopo tre mesi gli immigrati che non dimostrano di poter dare sussistenza alla propria famiglia possano essere rimpatriati. In alcuni Stati questo non avviene e se non avviene finisce che poi i cittadini, con loro scontento, rendano vano qualsiasi forma di iniziativa europea sull'integrazione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Benché contenga alcuni punti importanti riguardo a questioni concernenti l’immigrazione che difendiamo da tempo, la relazione non solo non denuncia le attuali linee guida e le politiche dell’Unione europea – che criminalizzano gli immigrati e sono repressive – ma in realtà ne è un altro aspetto.

Per essere precisi, la relazione fa proprio il concetto dell’esistenza di diverse “categorie” di immigrati – come i “più altamente qualificati”, gli “stagionali” e altri – e la loro gestione in base al fabbisogno di manodopera dei diversi paesi dell’UE, in particolare attraverso la creazione della carta blu: un concetto disumanizzante dell’immigrazione e degli immigrati.

Inoltre, la relazione sostiene una politica comune in materia d’immigrazione che, visti i risultati delle altre politiche “comuni” e le diverse situazioni negli Stati membri, consideriamo inadeguata e irrealistica. Noi ribadiamo che la politica d’immigrazione sia di competenza di ogni paese e delle sue istituzioni democratiche.

Come abbiamo detto, non c’è bisogno di una politica comune, bensì di un’altra politica nel quadro di cooperazione tra gli Stati membri che promuova i diritti degli immigrati, in particolare attraverso la ratifica della convenzione delle Nazioni Unite per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.

 
  
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  Carl Lang (ITS), per iscritto. – (FR) Considerando che “la situazione futura dei mercati del lavoro dell’Unione europea può essere generalmente descritta come una realtà che richiede un’immigrazione legale”, l’onorevole Gruber pretende, come il Presidente Sarkozy, di dare una giustificazione economica alle politiche d’immigrazione adottate dai vari Stati membri. Tuttavia, la manodopera proveniente da paesi che sono in ritardo nello sviluppo è in gran parte inadatta ai mestieri di cui hanno bisogno le nostre economie. D’altra parte, bisogna ricordare che l’immigrazione legale è essenzialmente immigrazione non di lavoratori ma di popolazioni.

Questa politica che porta quasi due milioni di nuovi immigrati l’anno assomiglia, di fatto, a una colonizzazione dell’Europa. Entro il 2050 la popolazione extra-europea, che ammonta già a 40 milioni di persone, sarà triplicata. Con l’adesione della Turchia, l’Europa di Bruxelles conterà così 220 milioni di asiatici e di africani, la maggior parte dei quali proviene dal mondo musulmano.

Questa colonizzazione di popolazioni è una minaccia mortale per i valori cristiani e umanisti della nostra civiltà. Se vogliamo salvaguardare il legittimo diritto delle popolazioni europee all’autodeterminazione e a restare se stesse, dobbiamo ripristinare le nostre frontiere, invertire i flussi migratori e introdurre politiche importanti a favore della famiglia e della vita. Abbiamo bisogno di una nuova Europa, un’Europa “europea”, un’Europa di nazioni sovrane, perché solo questo può garantite il nostro diritto di difendere la nostra cultura e la nostra storia.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. (DE) Il fatto che circa 18,5 milioni di cittadini di paesi terzi vivano nell’Unione europea dimostra chiaramente che l’Europa ha bisogno di una politica comune in materia d’immigrazione. Dobbiamo fugare le preoccupazioni e i timori dei nostri cittadini riguardo all’immigrazione e mostrare loro che in alcuni settori un’immigrazione regolata e ragionevole è assolutamente necessaria in Europa. Cionondimeno, non condivido l’opinione, che sembra sia stata avanzata come articolo di fede da parte dei conservatori in particolare, che la questione del cambiamento demografico debba essere collegata a quella del mantenimento del modello sociale europeo. Si deve piuttosto avviare un dibattito su come il notevole aumento di ricchezza dell’economia europea, da considerarsi separatamente dal cambiamento demografico, debba contribuire in modo solidale al modello sociale europeo.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard (GUE/NGL), per iscritto. (NL) Mi sono astenuta dal voto sull’emendamento n. 8, perché, pur riconoscendo che il problema della fuga di cervelli dai paesi in via di sviluppo verso l’Europa sia grave, diffido delle motivazioni che spingono il gruppo ITS a presentare questo emendamento. Dobbiamo fare il possibile per evitare che le persone altamente istruite lascino in massa i loro paesi causando gravi danni economici, ma ciò non deve certo essere un’opposizione all’immigrazione in Europa per definizione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore questa relazione che rende più facile la vita agli immigrati legali. Nonostante il loro status, gli immigrati legali sono spesso intenzionalmente e non intenzionalmente discriminati. La relatrice chiede una gamma di misure a favore degli immigrati legali, come più diritti sul lavoro, la trasferibilità dei diritti pensionistici e dei diritti sociali, il riconoscimento delle qualifiche, nonché visti a lungo termine e multipli, tutti provvedimenti che io appoggio.

 
  
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  Mary Lou McDonald, Søren Bo Søndergaard and Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) Il nostro voto di oggi riflette il nostro desiderio che in Europa vi sia un approccio all’immigrazione efficiente, umano e basato sui diritti. Gli immigrati di ogni tipo devono essere trattati equamente e in conformità ai più alti standard dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano.

Inoltre, come principio generale, gli Stati membri europei dovrebbero accettare gli immigrati sulla base delle esigenze degli immigrati e non solo di quelle delle economie dei paesi d’Europa. La politica d’immigrazione in Europa non deve aggravare la perdita di competenze essenziali, la “fuga di cervelli”, nei paesi in via di sviluppo. Gli Stati membri e la Commissione europea non devono perseguire politiche che compromettano lo sviluppo.

 
  
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  Erik Meijer and Esko Seppänen (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) Abbiamo votato a favore dell’emendamento n. 8. In generale le nostre opinioni divergono molto da quelle del gruppo che l’ha presentato, specialmente per quanto riguarda i rifugiati, gli immigrati e le minoranze etniche o religiose. Il gruppo ITS cerca di bloccare l’ammissione di rifugiati che si trovano in pericolo e noi, invece, cerchiamo di aiutare le vittime della repressione, delle catastrofi e della povertà. Per cui capiamo perfettamente che alla maggioranza del nostro gruppo non piaccia sostenere gli emendamenti del gruppo ITS sull’immigrazione. A differenza della situazione dei rifugiati e delle forme tradizionali d’immigrazione, proponendo di attrarre lavoratori altamente qualificati gli Stati membri dell’UE creano un problema ai loro paesi di origine. Le persone qualificate in paesi come l’India, il Sudafrica o il Brasile sono estremamente importanti per il loro necessario sviluppo. Questi problemi si stanno presentando persino all’interno dei nuovi Stati membri dell’UE, la Romania e la Bulgaria, il cui tasso di medici e di ingegneri che lasciano il paese per recarsi in paesi più ricchi è molto elevato. I paesi privilegiati e le aziende stanno rubando i cervelli di quelle persone. Poiché non vogliamo appoggiare questa fuga di cervelli, abbiamo votato a favore di questo emendamento.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. (DE) In alcune parti, la relazione Gruber considera l’immigrazione unicamente in termini di utilità dei lavoratori immigrati come capitale. Per esempio, la relazione sottolinea “l’importanza di istituire relazioni di lavoro stabili e basate sul diritto tra imprese e lavoratori per migliorare la produttività e la competitività UE e invita pertanto la Commissione ad esaminare le conseguenze che la migrazione circolare potrebbe avere su tale piano”.

Benché le misure repressive contro gli immigrati e i richiedenti asilo non incontrino alcuna opposizione, deve essere sostenuta “ogni misura volta ad aumentare l’attrattiva dell’Unione agli occhi dei lavoratori maggiormente qualificati, al fine di soddisfare le esigenze del mercato del lavoro dell'UE per garantire la prosperità dell'Europa e il rispetto degli obiettivi di Lisbona”.

Benché si debba evitare “il rischio della fuga di cervelli”, è previsto il “rimpatrio” per gli immigrati che possono entrare nella fortezza Europa solo illegalmente. Per quanto riguarda l’avallo del piano d’azione sulla migrazione legale, si pone l’accento su procedure di ammissione “atte a rispondere con prontezza alle fluttuazioni della domanda sul mercato del lavoro”.

L’immigrazione non può essere regolata in base alla sua utilità come capitale per l’UE. Non deve essere data priorità all’immigrazione a beneficio delle imprese europee, bensì ai diritti umani fondamentali dei migranti e dei richiedenti asilo. Respingo ogni inquadramento delle persone in base a criteri di utilità.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Il dibattito sull’immigrazione si focalizza spesso sulla questione dei flussi clandestini e quindi dimentica spesso l’immigrazione legale, che è un contributo importante alla nostra economia e al nostro arricchimento culturale.

In questo contesto, condividiamo due concetti fondamentali: una politica chiara ed efficiente in materia d’immigrazione è una delle chiavi di volta per risolvere la questione dell’immigrazione clandestina e garantire un’accoglienza generosa basata su principi comuni che promuovano l’integrazione e l’adattamento delle persone immigrate. E’ anche necessario, però, riconoscere che i flussi migratori, le comunità d’immigrati e i paesi di accoglienza hanno tradizioni, usi e memorie diverse e che queste differenze non possono essere ignorate.

Un altro tema di questo dibattito è l’immigrazione qualificata. L’idea di una carta blu che faciliti l’ingresso e la circolazione potrebbe rivelarsi interessante, benché sembri un po’ troppo complessa. Ad ogni modo, la questione chiave deve essere il fattore dell’attrattiva, soprattutto a livello accademico. E’ quindi indispensabile far capire alle istituzioni scolastiche l’importanza di attirare studenti da altre parti del mondo. Ovviamente sostengo questo obiettivo.

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE), per iscritto. − (SV) Il partito dei verdi svedese appoggia e vuole una politica d’immigrazione liberale. Ci sono molte cose buone nella relazione che perseguono questo obiettivo. Cionondimeno, credo che una direttiva quadro in questo campo riduca per le persone le possibilità di migrare, non il contrario. Inoltre, la proposta rischia di intensificare la fuga di cervelli che affligge i paesi in via di sviluppo e viene cinicamente sfruttata dall’UE per il proprio sviluppo. Mi astengo quindi nella votazione finale.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE), per iscritto. − (EN) E’ un errore pericoloso pensare che il cambiamento demografico della nostra popolazione richieda l’immigrazione su vasta scala di persone provenienti da culture e società diverse, spesso ostili, con le implicazioni che questo comporta per la nostra coesione e la nostra identità nazionale, per la piena integrazione della popolazione immigrata stabilmente, per l’impatto sui nostri servizi pubblici, sulla salute, la sicurezza e l’incolumità pubbliche.

Mi oppongo fermamente al trasferimento all’Unione europea dei poteri o della responsabilità delle autorità nazionali in materia di controlli alle nostre frontiere nazionali e di politiche d’immigrazione e di asilo. Sono quindi contrario a questa relazione.

 
  
  

- Relazione: Moreno Sánchez (A6-0323/2007)

 
  
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  Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, ho votato a favore di questa relazione perché il Parlamento europeo ha concordato una strategia globale per combattere la tratta delle persone e l’immigrazione clandestina. Come Parlamento europeo, abbiamo quindi inviato un messaggio chiaro che “clandestino” ha lo stesso significato di “illegale” e deve essere quindi trattato di conseguenza. A mio avviso, è particolarmente importante aver chiarito che non vi sarà un’assegnazione degli immigrati clandestini tra tutti gli Stati membri in base a quote e che non saranno più permesse sanatorie di massa come quelle alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni. Questo scongiura l’effetto “richiamo” e permette di affrontare indirettamente la tratta degli esseri umani.

 
  
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  Frank Vanhecke (ITS). – (NL) Signor Presidente, la relazione che abbiamo appena adottato sulle priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini provenienti da paesi terzi non è certamente la peggior relazione che sia stata approvata in questa sede e, in realtà, contiene diverse raccomandazioni interessanti, ma penso pur sempre che la relazione non racconti a chiare lettere tutta la vicenda, per cui io stesso non l’ho approvata.

Il problema dell’immigrazione rischia di essere il problema di questo secolo per l’Europa – forse, lo è già oggi – e l’immigrazione clandestina ne è una parte importante. Ci saremmo aspettati, quindi, una presa di posizione ben più ferma, soprattutto contro le ininterrotte ondate di regolarizzazione in vari paesi d’Europa. Dopo tutto, queste hanno l’effetto di attirare persone che poi finiscono col riversarsi in tutta l’Unione, in tutti gli Stati membri.

In realtà il problema è facile e avremmo dovuto avere il coraggio di tradurlo in parole. L’immigrazione clandestina non può essere tollerata. L’immigrazione clandestina deve essere stanata e dobbiamo essere determinati nel rimandare queste persone nel loro paese d’origine in modo umano. Coloro che non osano dirlo, e quindi certamente non oseranno applicarlo, creeranno enormi problemi che alla fine costeranno cari alla nostra prosperità e alla nostra civiltà.

 
  
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  Koenraad Dillen (ITS). – (NL) Signor Presidente, leggendo la relazione Moreno Sánchez viene subito in mente il detto olandese “zachte heelmeesters maken stinkende wonden”, che significa che tempi difficili richiedono misure drastiche. Come ha già detto il collega Vanhecke, benché alcune proposte della relazione rappresentino un passo nella giusta direzione, in generale il Parlamento sta adottando un approccio debole che non lascia presagire nulla di buono per una politica europea efficiente e ferma, volta a contrastare l’immigrazione clandestina. Il Parlamento non ha spiegato, per esempio, che le misure di regolarizzazione applicate in certi paesi europei sono realmente una delle più importanti cause, se non la più importante, dell’immigrazione clandestina per via dell’effetto “richiamo” che creano nei paesi di origine degli immigrati.

Gli immigrati clandestini non dovrebbero essere regolarizzati, dovrebbero essere snidati e deportati in modo risoluto ma umano. Diversamente da quanto insinua il Parlamento, la proclamazione esplicita di questo messaggio politico non ha nulla a che fare con la così detta xenofobia. Oltre a una politica di espulsione ferma, a rigidi controlli alle frontiere e ad accordi con gli stati affinché si riprendano i loro cittadini, i centri di accoglienza nella regione d’origine dovrebbero offrire un certo contributo, ma anche questo è stato respinto dal Parlamento. Per questi motivi ho votato contro questa relazione.

 
  
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  Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh and Inger Segelström (PSE), per iscritto. − (SV) Noi socialdemocratici vogliamo nell’Unione europea una politica d’immigrazione e d’asilo umana e basata sulla solidarietà, che persegua una maggior mobilità attraverso le frontiere in modo responsabile e che garantisca protezione a chiunque ne abbia bisogno. Non vogliamo, però, una forza permanente per il controllo alle frontiere finanziata dall’UE. Spetta agli Stati membri sorvegliare le loro frontiere. Lo spiegamento comunitario dovrebbe avvenire a seconda della necessità e sulla base delle inchieste. Abbiamo quindi scelto di astenerci nella votazione sul paragrafo 37.

Per quanto riguarda il paragrafo 18 sulla revisione del principio fondamentale del regolamento di Dublino II, pensiamo cha una discussione su questo principio sia giustificata e che dovrebbe essere condotta in un contesto più ampio e come parte di un dibattito sulla politica comune in materia d’immigrazione e di asilo.

 
  
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  Gérard Deprez (ALDE), per iscritto. – (FR) Do tutto il mio appoggio a questa eccellente relazione e vorrei aggiungere tre osservazioni personali sull’argomento.

Primo, dobbiamo toglierci l’illusione che una politica attiva sull’immigrazione legale ponga fine ai flussi migratori clandestini nei nostri paesi. Una politica attiva sull’immigrazione legale sarà determinata per definizione dalle nostre esigenze, mentre l’immigrazione clandestina corrisponderà ai bisogni di coloro che vogliono trasferirsi qui – e attualmente ce ne sono decine di milioni, soprattutto in Africa – per sfuggire alla guerra, alla persecuzione o semplicemente alla mancanza di prospettive per se stessi e per i loro figli.

Secondo, il controllo alle frontiere esterne dell’UE e la lotta contro le filiere dell’immigrazione clandestina rimarranno purtroppo una priorità politica ancora per molti anni, perché in realtà l’industria della miseria umana è nelle mani di bande criminali. La lotta contro l’immigrazione clandestina non è quindi diretta “contro” i clandestini in quanto tali: è parte della battaglia contro la criminalità organizzata, qualcosa che dobbiamo vincere insieme.

Terzo, e per concludere, dobbiamo contemporaneamente continuare a lottare incessantemente contro la povertà e questo può essere fatto solo attraverso il cosviluppo in Africa.

 
  
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  Patrick Gaubert (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Accolgo con favore l’adozione di questa relazione che presenta un quadro equilibrato e realistico dell’immigrazione e che, come auspicato dal relatore, ha ottenuto un ampio consenso.

La relazione è giunta al momento giusto se consideriamo i recenti eventi e vediamo che gli Stati membri, uno ad uno, cercano di adattare la loro legislazione per far fronte il meglio possibile all’afflusso d’immigrati.

In realtà sappiamo tutti che la dimensione dei fenomeni migratori supera la capacità dei paesi interessati di gestirla individualmente e che quindi è necessario un approccio globale e coerente a livello europeo, come giustamente afferma la relazione.

Il testo stabilisce alcune priorità: la lotta contro il traffico di esseri umani, il rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali al momento di applicare misure volte a impedire l’immigrazione clandestina, il rafforzamento della cooperazione con i paesi terzi, la necessaria fermezza nel contrastare l’occupazione illegale e, infine, la necessità di una politica di rimpatrio responsabile.

Per questi motivi ho sostenuto l’adozione della relazione nella votazione finale in plenaria.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Benché contenga alcuni punti sui quali noi concordiamo, questa relazione si inquadra in una visione dell’“immigrazione clandestina” repressiva e orientata verso la sicurezza.

Anche se in forma per certi versi mitigata, la relazione sostiene la promozione delle linee principali degli attuali orientamenti e delle decisioni dell’UE in materia d’immigrazione, tra cui: la così detta “politica europea di rimpatrio”; l’attività di Frontex per il pattugliamento e il controllo alle frontiere; i cosiddetti “centri temporanei di accoglienza”; lo sviluppo di strumenti biometrici o i cosiddetti “accordi di riammissione”. La relazione propone inoltre la creazione di “squadre europee”, un “sistema europeo di vigilanza” alle frontiere marittime e persino un sistema “automatizzato di controllo delle persone che entrano ed escono dal territorio dell’Unione”.

In altre parole, la relazione mira a rafforzare la politica europea orientata verso la sicurezza, che criminalizza l’“immigrazione clandestina”, trasformandola in una politica comune europea repressiva, che implica pericolosi sistemi d’informazione e prevede misure e infrastrutture per la detenzione e l’espulsione degli immigrati. La respingiamo incondizionatamente.

E’ stata l’applicazione di una politica repressiva come questa che ha portato le autorità di uno Stato membro a citare in giudizio sette pescatori tunisini per aver salvato 44 persone a mare, benché questo tipo di intervento sia conforme al diritto internazionale marittimo.

 
  
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  Carl Lang (ITS), per iscritto. – (FR) I dati ufficiali lo dimostrano: l’Europa è invasa da immigrati clandestini. Si è rivelata incapace di controllare le sue frontiere esterne. La relazione annuale sulle attività di Eurodac per il 2006, lo strumento biometrico di cui si serve l’Europa per controllare le domande d’asilo, rivela che il numero di persone registrate per aver attraversato illegalmente una delle frontiere esterne dell’Europa è aumentato del 64% rispetto al 2005.

La relazione presentata dall’onorevole Moreno Sánchez ipotizza diversi metodi per bloccare questo fenomeno in crescita esponenziale. Ritengo che siano tutti inutili, per non dire controproducenti.

Per esempio, come possiamo accontentarci dell’idea che favorire l’immigrazione legale, con l’ausilio prevalentemente della “carta blu europea”, che sarebbe essenzialmente un permesso di lavoro europeo per gli immigrati, ridurrà il livello d’immigrazione clandestina? E’ una stupidaggine. Se si aprono le porte ad alcune persone, le si aprono a tutti.

Che senso ha creare una banca dati biometrica per combattere l’immigrazione clandestina? Perché mai pensare di assegnare più personale e più risorse all’agenzia europea di controllo alle frontiere, Frontex, se queste ultime, che siano interne o esterne, non sono ancora adeguatamente protette dagli Stati membri?

Ancora una volta le istanze europee sono riuscite a individuare un problema ma si sono dimostrate incapaci di risolverlo, spinte come sono da un’ideologia “immigrazionistica” e globalizzatrice.

 
  
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  Janusz Lewandowski (PPE-DE), per iscritto. (PL) Signor Presidente, è stato riconosciuto che l’immigrazione, sia legale che clandestina, è una delle maggiori sfide che si presentino all’Unione europea. A parte la questione procedurale e giuridica, la tragica dimensione umana di questo fenomeno è sempre più manifesta. Ho visitato centri per rifugiati africani a Malta e discusso il problema con i servizi che pattugliano il mediterraneo e con le competenti autorità. Mentre mi trovavo lì, è venuta alla luce la tragedia che ha colpito la famiglia cecena nella regione di Bieszczady, confermando la natura universale del fenomeno. Provenendo da un paese che per secoli è stato paese di emigrazione politica ed economica, è difficile rimanere indifferenti di fronte alla tragedia dei rifugiati, per i quali l’Unione è una terra promessa.

E’ da questa prospettiva che considero le due relazioni su cui si basa la discussione in seno al Parlamento europeo. Questi documenti offrono un quadro della portata del problema dell’immigrazione e dello stato attuale della politica comune in materia. Concordo con la premessa che, a causa della situazione demografica, l’Europa abbia bisogno di canali controllati d’immigrazione che potrebbero compensare la carenza di manodopera e ridurre la dimensione dell’economia sommersa e dei problemi ad essa associati.

Tutti questi problemi sono stati riconosciuti da Frontex, l’agenzia europea specializzata. La soluzione proposta, vale a dire la così detta “ripartizione degli oneri” merita seria considerazione.

Una politica comune in materia di migrazione con base giuridica e finanziaria era attesa da tempo. Meglio tardi che mai!

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione sulle priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini provenienti da pesi terzi e desidero sottolineare che il controllo dei flussi migratori verso l’Europa, in particolare da paesi terzi, è una delle maggiori sfide che si presentino ai politici europei.

Nel XXI secolo, la tratta degli esseri umani è assolutamente inaccettabile e dobbiamo trovare un modo per estirpare questa piaga e porre fine ai drammi personali che purtroppo l’accompagnano. Per farlo, è indispensabile affrontare su scala europea il problema dell’immigrazione clandestina, perché l’apertura all’immigrazione clandestina in uno Stato membro mette sotto pressione tutti gli altri.

L’attuazione di un piano d’azione per l’immigrazione legale deve includere la lotta contro l’immigrazione clandestina, perché le due sono strettamente collegate.

Ciò che manca in questa relazione sono proposte concrete che permettano di elaborare una soluzione per fermare l’immigrazione clandestina di massa e scoraggiare i trafficanti. In Italia, per esempio, l’introduzione di quote per l’immigrazione economica non ha ridotto il livello d’immigrazione clandestina sul territorio. Al contrario, l’annuncio di quote annuali ha provocato un aumento del numero di clandestini pronti a rischiare la vita per entrare nel territorio dell’Unione europea.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo favorevolmente la relazione che, per contrastare l’immigrazione clandestina, chiede essenzialmente una politica ferma basata sulla solidarietà tra gli Stati membri e la cooperazione con i paesi terzi, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona.

 
  
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  Andreas Mölzer (ITS), per iscritto. (DE) Nonostante i milioni di euro in finanziamenti, i paesi d’origine non vogliono cooperare. Eppure, alla fine il rimpatrio dei clandestini deve essere un obbligo! Anche l’Unione europea, però, sta agendo con grande negligenza se non riesce a stanziare le risorse adeguate per proteggere le sue frontiere esterne o per accogliere i clandestini arrestati nei centri di accoglienza fino al momento del rimpatrio nei loro paesi d’origine, per impedire che si diano alla clandestinità; per non parlare poi di un’agenzia per la sorveglianza alle frontiere che chiude durante la principale stagione d’immigrazione!

Bruxelles ha dormito di fronte alla potenziale minaccia posta dagli immigrati islamici. Se l’UE non si sveglia e non pone fine all’afflusso di musulmani radicali, all’immigrazione e alla naturalizzazione di cittadini provenienti da paesi musulmani, non solo saremo obbligati a vivere nella paura permanente di attacchi terroristici, ma saremo presto stranieri nel nostro stesso paese.

La presente relazione dà troppa poca importanza a queste questioni ed è per questo che – nonostante contenga elementi validi – sono purtroppo costretto a respingerla.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Per essere efficace, un intervento politico in materia d’immigrazione clandestina deve agire su due fronti: sull’origine e sulla destinazione. In altre parole, come è stato affermato nella risoluzione adottata, “le autorità dei paesi d’origine nonché il rafforzamento del quadro giuridico contro le reti di trafficanti, la lotta contro il lavoro clandestino e la tratta di esseri umani” sono elementi essenziali. Senza fermezza in questo campo la risposta sarà inadeguata, anche se questa risposta implica altre dimensioni, come la cooperazione allo sviluppo e misure in materia di immigrazione legale.

Inoltre, come abbiamo affermato nella relazione sulla strategia marittima europea, ogni politica in materia d’immigrazione che voglia essere efficace all’interno dell’Unione europea “richiede”, come affermato in questa risoluzione, “che gli Stati membri rispettino i principi di solidarietà, responsabilità condivisa, fiducia reciproca e trasparenza”. Su questo punto siamo completamente d’accordo.

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE), per iscritto. − (SV) Voto contro questa relazione perché sono contrario a FRONTEX e a una polizia europea di frontiera, che sarebbe difficilmente affidabile. La relazione mostra entusiasmo per l’introduzione nei passaporti e nei visti di costosi e inefficaci dati biometrici, che oltre tutto sono una minaccia all’integrità personale. L’UE sta cinicamente sfruttando la difficile situazione dei rifugiati per avere più potere sulle nostre frontiere.

 
  
  

- Reports: Gruber (A6-0322/2007), Moreno Sánchez (A6-0323/2007)

 
  
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  Philip Bradbourn (PPE-DE), per iscritto. − (EN) I conservatori inglesi hanno votato contro le relazioni sull’immigrazione perché la questione riguarda esclusivamente gli Stati membri e la cooperazione intergovernativa. I riferimenti al progetto di Trattato di riforma e all’estensione del voto a maggioranza qualificata non sono il modo giusto per risolvere i problemi che sta affrontando l’Unione europea. Un “approccio valido per tutti” non funziona con l’immigrazione.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. − (EN) Credo che, insistendo sul fatto che i coniugi non UE di cittadini UE debbano aver vissuto in un altro Stato membro dell’UE prima di avere il diritto di risiedere in Irlanda, il governo stia violando la direttiva 2004. Inoltre, limitare ai soli coniugi di cittadini UE non irlandesi l’ordine di espulsione è contrario alla legislazione UE che vieta la discriminazione basata sulla nazionalità.

Vorrei ricordare alla Commissione che nel 2006 ha fatto sapere al Parlamento europeo che, in conformità delle sentenze del luglio 2002 della Corte di giustizia (causa No C/459/99 (MRAX) e dell’aprile 2005 (causa No C/157/03), la direttiva 2004 sulla residenza debba essere interpretata dagli Stati membri. Queste sentenze affermano che il diritto di entrare e risiedere nell’Unione dei cittadini di uno stato terzo, che siano membri della famiglia di un cittadino UE, deriva da questo legame e non dipende né dalla legalità della loro precedente residenza nell’Unione, né dalla presentazione di un permesso di soggiorno o di altro permesso rilasciato da un altro Stato membro. Le azioni irlandesi violano palesemente queste decisioni della Corte. Di conseguenza, ai sensi dei Trattati, la Commissione ha l’obbligo di prendere provvedimenti nei confronti del governo irlandese.

 

8. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 13.15, riprende alle 15.00)

 
  
  

IN IL PRESIDENTE: ON. PÖTTERING
Presidente

 

9. Approvazione del processo verble della seduta precedente: vedasi processo verbale

10. Detenzioni segrete e trasferimenti illegali di prigionieri da parte di Stati membri del Consiglio d'Europa (relazioni Fava e Marty) (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulle detenzioni segrete e i trasferimenti illegali di prigionieri da parte di Stati membri del Consiglio d’Europa (relazioni Fava e Marty).

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli deputati, nel dicembre 2005 la risoluzione del Parlamento europeo che chiede l’istituzione di una commissione temporanea sul trasporto e la detenzione illegale di prigionieri riafferma, e cito: “la sua determinazione a lottare contro il terrorismo, ma sottolinea che tale lotta non può essere vinta sacrificando proprio quei principi che il terrorismo cerca di distruggere, e in particolare che la tutela dei diritti fondamentali non deve mai essere compromessa”.

Le precedenti Presidenze del Consiglio hanno avuto modo in questa Camera di esprimere il loro assenso a questa dichiarazione. Non posso iniziare il mio intervento senza sottolineare che l’attuale Presidenza condivide questa determinazione e risoluzione. Desidero reiterare che la lotta contro il terrorismo non può compromettere i nostri valori e i nostri principi in materia di tutela dei diritti fondamentali. A nostro avviso si tratta di una questione cruciale. Nella lotta contro il terrorismo, potremo vincere solo se rimarremo liberi: liberi dalla paura e da ogni abuso o manipolazione in nome della paura. La nostra arma più potente e la nostra protezione più efficace sono i nostri valori e i nostri principi in materia di tutela dei diritti fondamentali.

Benché il Consiglio in quanto tale non abbia competenza per esprimere un parere, non vi è un singolo Stato membro nell’Unione europea che non riconosca l’importanza degli sforzi fatti e delle iniziative intraprese per giungere alla verità. Dovremmo ricordare che stiamo parlando dei principi fondamentali sui quali poggia la nostra democrazia europea. Scoprire la verità permetterà di dissipare il clima di sospetto. E’ quindi indispensabile che le indagini in questo campo facciano luce sulla questione e non creino ulteriore confusione. Le Presidenze precedenti che hanno avuto l’occasione di presentarsi innanzi a questo Parlamento, il Segretario generale e Alto rappresentante e il coordinatore dell’Unione europea per l’antiterrorismo non hanno mancato di cooperare con la commissione temporanea del Parlamento europeo.

Credo quindi che sarebbe del tutto ingiusto insinuare una mancanza di impegno da parte del Consiglio o dei ministri degli Esteri. In realtà, devo sottolineare le numerose iniziative sia parlamentari sia giuridiche che i vari paesi europei hanno assunto in seguito a queste relazioni.

E’ stato quindi assolutamente appropriato agire nello spirito di sussidiarietà. Come sapete, in molte delle aree indagate dalla commissione l’Unione europea non ha facoltà di agire. Sto pensando in modo particolare al controllo dei servizi segreti. Le precedenti Presidenze del Consiglio e l’Alto rappresentante Solana lo hanno fatto presente a questo Parlamento e alla sua commissione. Può ovviamente rincrescere che sia così, ma il fatto è che i Trattati attuali limitano la sfera d’azione del Consiglio in materia.

Da parte nostra, tuttavia, posso assicurarvi che la Presidenza portoghese non mancherà di cooperare attivamente e in modo costruttivo. Vi ricorderò la piena e trasparente cooperazione offerta dal governo portoghese sia nel corso delle indagini svolte dalla commissione temporanea di questo Parlamento, che ha terminato il proprio compito nel febbraio di quest’anno, sia in relazione alle iniziative del Segretario generale del Consiglio d’Europa ai sensi dell’articolo 52 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo in relazione ai voli CIA e ai centri illegali di detenzione in Europa.

Come è noto, benché il Consiglio non abbia preso posizione sulle relazioni dell’onorevole Fava e dell’onorevole Marty, rispettivamente sotto l’egida di questo Parlamento e del Consiglio d’Europa, ciò non significa che le ignori. In realtà, il Consiglio ha difeso attivamente e con decisione i diritti dell’uomo e il diritto internazionale nella politica estera dell’Unione europea.

Abbiamo sempre sostenuto che la tutela dei valori fondamentali del diritto internazionale richiede un dialogo serio ed approfondito sui diritti dell’uomo nel contesto della lotta contro il terrorismo. A questo riguardo, l’Unione europea ha sottolineato che i diritti dell’uomo, i diritti dei rifugiati e il diritto internazionale umanitario devono essere rispettati e salvaguardati. Il Consiglio continuerà a monitorare da vicino gli sviluppi della lotta contro il terrorismo in relazione ai diritti dell’uomo e adotterà i provvedimenti necessari a garantirne la tutela. L’Unione europea si impegna sempre con fermezza a proibire in modo assoluto la tortura nonché le punizioni e i trattamenti crudeli, disumani e umilianti.

Le nostre azioni sono determinate da quest’obiettivo e discuteremo sempre con i paesi terzi sulle preoccupazioni che desta questo problema. L’Unione europea e gli Stati membri hanno segnalato in modo chiaro che l’esistenza di centri segreti di detenzione, dove i detenuti sono tenuti in un vuoto giuridico, non è compatibile con il diritto internazionale umanitario. Gli orientamenti dell’UE sulla tortura stabiliscono che gli Stati membri devono vietare luoghi segreti di detenzione e assicurare che tutte le persone private della libertà siano tenute in luoghi di detenzione legalmente riconosciuti e la cui ubicazione sia nota. Tali orientamenti stabiliscono, inoltre, che nessuno può essere riportato con la forza in un paese dove rischia di essere sottoposto a tortura o a maltrattamenti.

E’ risaputo che la materia in causa, che implica la competenza sul controllo degli aeroporti, dei servizi di ispezione e d’informazione, è essenzialmente di competenza degli Stati membri ed è sotto il loro controllo. E’ vero che il SitCen elabora analisi periodiche usando le informazioni fornite dagli Stati membri, ma non ha giurisdizione operativa sulle cosiddette attività di “intelligence”. E’ da notare che gli Stati membri dell’UE hanno dovuto confrontarsi anche con la complessità che a questo riguardo caratterizza il sistema di cernita e di trattamento delle richieste di autorizzazione di sorvolo, atterraggio e ispezione “on the ground”. E’ una nuova sfida per tutti. Da parte nostra, il governo portoghese non solo ha svolto il processo di raccolta dei dati, che a volte è difficile e molto lento, ma ha anche istituito un gruppo di lavoro per valutare le numerose procedure e proporre dei miglioramenti la cui importanza è stata debitamente riconosciuta dalla relazione finale adottata in febbraio da questo Parlamento.

Devo far notare che consideriamo di particolare rilevanza il lavoro svolto dal Segretario generale del Consiglio d’Europa e che prendiamo nota delle relazioni presentate dall’onorevole Marty. Il questionario e le raccomandazioni elaborate dal Segretario generale del Consiglio ai sensi dell’articolo 52 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ha permesso, in Portogallo e credo in altri Stati membri, una valutazione senza precedenti dei quadri giuridici nazionali, delle garanzie e dei meccanismi di controllo nel loro insieme, inclusa un’analisi delle procedure per vagliare, verificare e esaminare le richieste di autorizzazione al sorvolo e all’atterraggio di velivoli sul territorio nazionale.

Nel caso del Portogallo, hanno senz’altro portato a migliorie istituzionali, tecniche e operative. Per quanto riguarda le raccomandazioni espresse dal Segretario generale del Consiglio sulle garanzie di controllo, l’intendimento predominante tra i membri era che le iniziative in corso non dovessero creare duplicazioni inutili in materia legislativa o attribuire nuovi poteri al Consiglio d’Europa.

D’altra parte, sembra che si convenga che vi sia spazio per un’applicazione più efficace e un monitoraggio più scrupoloso dei meccanismi esistenti. Credo che se queste indagini venissero condotte con più rigore e serenità, le loro conclusioni sarebbero più efficaci. A prescindere dal fatto che il rigore sia sempre raccomandabile e che non si debbano confondere i fatti con le supposizioni, cercando inoltre di osservare una certa moderazione nel linguaggio data l’importanza dei valori in questione e il buon nome delle democrazie europee, la verità è che tutte queste iniziative hanno una portata d’azione e un significato. Pertanto è necessario portarle avanti, soprattutto in un momento in cui è diventato essenziale fare un’analisi seria e chiara dei nuovi dilemmi posti dalle minacce terroristiche, per esempio il dilemma sicurezza versus libertà. Inoltre, si sente sempre di più la necessità di una risposta da parte del diritto internazionale alle difficili questioni poste dalla lotta contro una minaccia senza precedenti.

Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, il consolidamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, basato sul programma dell’Aia e il rispettivo piano d’azione, è una delle principali priorità del programma congiunto di 18 mesi delle Presidenze tedesca, portoghese e slovena. La lotta contro il terrorismo è, da questo punto di vista, una delle sfide principali per le quali le tre Presidenze hanno definito l’obiettivo di intensificare la cooperazione e di continuare ad attuare la strategia antiterrorismo dell’Unione europea. Come sapete, è stato recentemente nominato il nuovo coordinatore europeo per l’antiterrorismo, Gille de Kerchove, che come il suo predecessore sarà disponibile per fornire a questa Camera tutte le informazioni che saranno richieste.

Ne approfitto per sottolineare che la questione del rispetto dei diritti dell’uomo nella lotta contro il terrorismo è stata trattata nel contesto del dialogo transatlantico, come è successo del resto all’ultimo vertice tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, in aprile, quando sono state evocate le conclusioni del Consiglio europeo dell’11 dicembre 2006.

Il Portogallo, detenendo la Presidenza del Consiglio, ha affermato chiaramente il suo impegno a continuare e ad approfondire questo dialogo, che considera fondamentale per entrambe le parti.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. − Signor Presidente, onorevoli parlamentari, ringrazio anch'io il rappresentante del Consiglio. Onorevoli deputati la Commissione, io stesso, sin dal primo momento ha accompagnato e sostenuto l'attività della commissione temporanea di questo Parlamento europeo sulla ben nota questione e sulle gravi accuse e sui gravi fatti che sono stati indicati.

E' chiaro che la gravità di questi fatti in quanto tale, evidentemente il solo fatto di ipotizzare che queste attività siano accadute, impone una collaborazione tra tutte le Istituzioni, tra Commissione, Parlamento e Consiglio. Ed è evidente che noi ripetiamo ancora una volta – e lo faccio volentieri – che la lotta al terrorismo deve essere condotta nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e dello Stato di diritto che sono le due condizioni per cui una democrazia possa funzionare.

Credo, che in questo spirito i trasferimenti illegali di prigionieri, l'ipotesi che vi siano stati luoghi di detenzione più o meno segreti, sono certamente fatti che ove dimostrati nelle forme appropriate costituirebbero una violazione grave, certamente, delle regole del diritto internazionale e dei diritti fondamentali delle persone. Tutti sanno che i membri dell'Unione europea sono obbligati, tutti quanti, al rispetto dei grandi principi della convenzione sui diritti dell'uomo, l'articolo 5 e l'articolo 6, in particolare.

E' chiaro che il nostro auspicio è quello che negli Stati membri vengano condotte delle investigazioni approfondite su questi fatti ed è chiaro che queste investigazioni debbono essere condotte dalle autorità giudiziarie competenti. Un punto deve essere chiaro ma è stato messo in chiaro molte volte, sia dal relatore dall'onorevole Fava, sia dal rapporto del Consiglio d'Europa. Un rapporto parlamentare può dare degli elementi, ma certamente il Parlamento non ha né poteri né doveri d'inchiesta giudiziaria.

E quando poi, ovviamente si citano, come elementi di prova delle fonti che restano sconosciute, è ovvio che lo Stato di diritto, proprio quello Stato di diritto che dobbiamo rispettare, impone delle investigazioni affidate a magistrati liberi e indipendenti, che invece hanno il dovere di rivelare le fonti sulla base delle quali un'accusa viene formulata. E' chiaro che accusare uno Stato membro o accusare una persona senza rivelare le fonti di questa accusa è un principio che può entrare in un rapporto di un Parlamento, ma che non può entrare in un'investigazione giudiziaria. Ecco perché io mi auguro che le investigazioni giudiziarie proseguano, così come in alcuni Stati membri, incluso il mio paese, sta accadendo. Ma è evidente che il rapporto richiede un seguito ed allora posso elencare le iniziative che io ritengo contribuiscano a dare un seguito a questo relazione.

Ho scritto il 23 luglio scorso ai governi di Polonia e Romania, ho chiesto loro – ricordando l'obbligo di un'investigazione completa e approfondita – informazioni dettagliate su come eventualmente le investigazioni fossero state avviate e quale fosse l'esito delle investigazioni. Spero che entrambi i governi vogliano rispondermi e ovviamente io vi informerò sulle risposte di entrambi i governi, proprio perché ritengo che sia anzitutto nell'interesse trasparente della verità che ci si sente rivolgere un'accusa abbia tutti gli strumenti dell'ordinamento per spiegare che quell'accusa non è vera, per dimostrare che non è vera, o per affidare a magistrati indipendenti l'investigazione. E' l'interesse di chi viene accusato che richiede, a mio avviso, una risposta molto chiara.

Il secondo punto: ho predisposto un questionario per tutti gli Stati membri. Ne ho parlato nella sessione plenaria scorsa, proprio dedicata al terrorismo. Ho predisposto un questionario in cui a ciascuno degli Stati membri chiediamo quali sono le misure adottate per contrastare il terrorismo, quali sono i risultati in termini di efficacia delle leggi nazionali e in particolare quale livello di protezione dei diritti fondamentali delle persone è nella legislazione nazionale. La mia intenzione è analizzare le risposte e poi predisporre un relazione per il Consiglio e per il Parlamento sull'efficacia delle misure antiterrorismo degli Stati membri e sulla loro idoneità e compatibilità con i principi di rispetto dei diritti fondamentali.

Terzo punto riguarda il traffico aereo. Io avevo preso un impegno con la commissione LIBE ed era un impegno di esaminare un aspetto legale estremamente importante che attualmente è carente: quali sono i confini tra la definizione di aeromobile civile e aeromobile di Stato, quindi aeromobile sottratto a quei controlli ordinari degli aeromobili civili? Ebbene, questo lavoro è in corso, come promesso, noi formuleremo come Commissione europea una comunicazione sull'aviazione generale. Questa comunicazione sarà adottata dal Collegio prima della fine di quest'anno, quindi molto presto, e ovviamente formuleremo una proposta per meglio definire questo concetto di aeroplano di Stato che spesso si presta a delle interpretazioni che ovviamente sfuggono a dei controlli che sono, al contrario, necessari.

Ma c'è un'altra iniziativa che riguarda proprio il traffico aereo. Nel quadro di una soluzione generale che introduca regole comuni per tutti gli Stati membri per ogni tipo di aeroplano che entri nello Spazio comune europeo senza piani di volo. Voi certamente sapete che dal 1° gennaio del 2009 regole di applicazione del cosiddetto spazio unico europeo introdurranno dei requisiti comuni a tutti gli Stati membri per i piani di volo e in questo quadro noi armonizzeremo, quindi, la disciplina relativa al piano di volo di ogni aereo che comunque attraversi o entri nello spazio aereo europeo. Questo porterà un enorme vantaggio perché eliminerà quelle differenze di trattamento sul sorvolo e sull'atterraggio negli Stati membri che adesso abbiamo, in qualche modo, constatato.

L'altro tema è la ratificazione dell'accordo di estradizione tra Europa e Stati Uniti. Se vi fosse, come avrebbe dovuto esserci già, un accordo europeo che abbiamo firmato ma che non è stato ancora ratificato, le regole sull'estradizione da e verso gli Stati Uniti di prigionieri – e parliamo di prigionieri indagati o sospettati di terrorismo – sarebbero assai più chiare. Questo accordo ancora deve essere ratificato da qualche Stato membro, pochi per fortuna. Ho reiterato un appello formale a tutti i ministri della giustizia affinché questo accordo europeo di estradizione con gli Stati Uniti sia rapidamente ratificato.

Ancora il tema del controllo dei servizi intelligence. Questo è un tema sollevato in entrambi i rapporti, ma è un tema sensibile. Io credo che qui sia la risposta nazionale a contare anzitutto, ma io credo che alcune esigenze comuni possano essere messe in luce. La prima esigenza è quella di rafforzare negli Stati membri il controllo parlamentare. Ci sono paesi membri che hanno adottato o stanno adottando leggi nazionali che rafforzano di molto il potere di controllo dei parlamenti nazionali sulle attività dei servizi di ciascun paese. Quella, a mio avviso, è la strada da segnalare, perché come comprendete bene, non immagino nel futuro una legge comune europea che disciplini i servizi segreti, ma una discussione su questo tema è invece, a mio avviso, particolarmente utile.

In conclusione, Presidente, credo questo sia un tema su cui dobbiamo continuare a discutere avendo davanti lo Stato di diritto come principio, il rispetto dei diritti fondamentali certamente, ma tra i diritti fondamentali c'è anche il diritto di non sentirsi e di non essere accusato se non sulla base di prove regolarmente e proceduralmente raccolte.

 
  
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  Jas Gawronski, a nome del gruppo PPE-DE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio gruppo ha criticato con validi argomenti il rapporto Marty e ha votato nella sua stragrande maggioranza contro il rapporto Fava. Ed è un peccato, perché almeno su temi come il terrorismo e i diritti umani, quest'Aula dovrebbe riuscire a superare le sue divisioni interne e produrre una posizione comune. Se non ci siamo riusciti è perché purtroppo il relazione Fava è partito con una tesi precostituita: gli Stati Uniti sono colpevoli! Così abbiamo sprecato un anno non a ricercare la verità, ma le prove di questa colpevolezza, omettendo e nascondendo anche qualsiasi elemento che andasse contro questa tesi.

Faccio un solo esempio concreto e oso dire scandaloso: siamo andati in Polonia anche per intervistare un giornalista che un anno prima aveva denunciato fra i primi l'esistenza di prigioni della CIA in Polonia. Quando l'abbiamo visto, purtroppo, – e purtroppo lo dico io ironicamente – aveva cambiato idea: non aveva più quelle certezze: ci ha detto che oggi quell'articolo non l'avrebbe più scritto! Ebbene, non c'è traccia di questo suo ripensamento nel rapporto, mentre il rapporto è pieno di testimonianze di giornalisti che condividono la tesi del relatore. Abbiamo sprecato un anno inutile, spendendo i soldi dei contribuenti senza trovare nulla di nuovo rispetto a quanto già si sapeva dai giornali e dalle fonti ufficiali e ufficiose americane. E se non ci fosse stato il Presidente Bush a rivelare l'esistenza delle prigioni della CIA non avremmo avuto nemmeno questa certezza.

Lei, Commissario Frattini, ci dice di aver scritto una lettera a Polonia e Romania per chiedere spiegazioni e di non avere avuto risposta. E' sempre maleducato non rispondere, ma non mi sorprende, perché le denunce non sono provate. Lei stesso, nella sua lettera parla di informazioni probabili, non di fatti concreti. E i due paesi hanno già dichiarato ai più alti livelli che hanno indagato e che secondo loro non esistono prigioni della CIA. Sarà vero o no, ognuno può pensarla come vuole, ma non possiamo, lei stesso lo ha detto Commissario Frattini, accusare finché non ci sono delle prove.

Il fatto è che i rapporti Fava e Marty sono troppo pieni di frasi come "è molto probabile", "non si può escludere", da cui poi vengono tratte conclusioni certe. E non mi si venga a dire per giustificare l'assenza di prove che noi non siamo un tribunale e che il nostro è un documento politico. Ma poi non è più politico, quando si invita a riflettere se ci siano o meno gli estremi per invocare l'articolo 7 del trattato sull'Unione.

Ecco, siccome sento nell'aria di questo Parlamento un desiderio di risuscitare un nuovo rapporto CIA, avrei una raccomandazione da fare: smettiamola di produrre tendenziose interpretazioni del passato, smettiamola di indagare su questo tema su cui non abbiamo scoperto nulla! Lasciamolo fare ai magistrati – come ha detto il Commissario Frattini – e ai giornalisti che hanno i mezzi adatti per farlo e lo possono fare meglio di noi. Concentriamoci sul futuro, sulla politica, sulla parte propositiva che è l'unica accettabile del rapporto Fava.

Gli Stati Uniti, certo hanno commesso errori, in alcuni casi hanno violato i diritti dell'uomo, ma è molto facile non commettere errori quando non si fa nulle per combattere il terrorismo. Il terrorismo è un fenomeno nuovo, le nostre leggi non lo contemplavano, oggi il diritto si deve adeguare. Cerchiamo di stabilire delle leggi di comportamento per evitare ulteriori violazioni dei diritti dell'uomo, per evitare che si ripetano gli errori del passato e per adeguare i nostri strumenti a un nuovo tipo di minaccia globale.

Bene, allora che la Commissione cerchi di realizzare una valutazione complessiva delle misure adottate dagli Stati membri; bene, per le altre iniziative annunciate e varate dal Commissario Frattini. Molto resta ancora da fare per affrontare in maniera globale, forte e coordinata il problema del terrorismo. Penso a Internet o alle misure per la prevenzione e il perseguimento dei crimini, per evitare una situazione paradossale, per cui mentre i governi lavorano separatamente a livello nazionale, i terroristi agiscono invece a livello globale tramite Internet e le loro cellule radicate un po' ovunque.

Il nostro futuro dipende dalla nostra capacità di sconfiggere il terrorismo. Uniamoci per vincere anche questa battaglia.

 
  
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  Claudio Fava, a nome del gruppo PSE. – Presidente, onorevoli colleghi, sette mesi fa abbiamo approvato la nostra relazione e da allora gli unici segnali di novità che sono arrivati arrivano dagli Stati Uniti. Uno lo ricordava il collega Gawronski: il Presidente Bush ha riconfermato per decreto il 20 luglio che il suo governo continuerà a fare ricorso all'attività illegale della CIA attraverso sequestri extragiudiziali e detenzione dei presunti terroristi in paesi terzi compiacenti.

L'altro segnale importante è che il Congresso americano ha aperto una propria inchiesta indipendente sulle extraordinary rendition. Questo ci dice che non siamo di fronte ad una pagina della storia, siamo ancora di fronte a fatti di cronaca.

Le inchieste giudiziarie sono in corso in quattro paesi europei: la Spagna, il Portogallo, la Germania, l'Italia. Sono stati emessi fino ad oggi 39 ordini di custodia cautelare nei confronti di altrettanti funzionari e agenti dei servizi di sicurezza americani. Questo Parlamento con la sua inchiesta ha certificato fatti, non opinioni. Fatti sono per esempio le responsabilità di alcuni nostri governi e di alcuni servizi di sicurezza nella collaborazione con la CIA per l'esecuzione di extraordinary rendition. Lo ricordo al Commissario Frattini, le nostre fonti in questo caso non erano anonime, le nostre fonti – come risulta dalla relazione – sono affermazioni dei governi: del governo britannico e del governo tedesco.

Abbiamo presentato 48 raccomandazioni, soprattutto al Consiglio e vorremmo sapere dal Consiglio se una sola di queste raccomandazioni nel corso di questi sette mesi ha avuto seguito. Avevamo presentato in particolare due richieste: invitavamo le Istituzioni europee ed il Consiglio ad assumersi le rispettive responsabilità in base all'articolo 6 e 7 del trattato e attendevamo che il Consiglio esercitasse pressioni su tutti i governi interessati affinché fornissero informazioni complete ed esaurienti, con la possibilità di avviare, se fosse stato il caso, anche delle audizioni. Ciò non è accaduto, non è vero signor Lobo Antunes che il Consiglio non abbia competenze, il Consiglio ha le competenze stabilite dall'articolo 6 e 7 del trattato.

La nostra richiesta poteva essere certamente accolta dalla Presidenza tedesca e oggi dalla Presidenza portoghese. Apprezziamo le iniziative del Commissario Frattini, ma non ci riteniamo soddisfatti da questi due semestri di Presidenza, che hanno di fatto archiviato un anno di lavoro della nostra commissione d'inchiesta. Di fronte alla domanda di verità che arriva dall'opinione pubblica dei nostri paesi, il silenzio del Consiglio – e devo dire anche di molti nostri governi – è stata un'occasione perduta per l'Europa.

Questo Parlamento comunque non intende rassegnarsi. Mi duole per il collega Gawronski, ma noi torneremo ad occuparci di questo tema. Un rapporto d'iniziativa in commissione libertà pubbliche sarà il nostro contributo per una lotta al terrorismo, che sia sempre, ovunque e nei confronti di chiunque rispettoso dei diritti umani: primo fra tutti, come ci è stato insegnato secoli fa da Cesare Beccaria, la presunzione d'innocenza.

 
  
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  Ignasi Guardans Cambó, a nome del gruppo ALDE. – (ES) Signor Presidente, il Parlamento ha adottato una risoluzione su questo tema, il Consiglio d’Europa ha adottato un altro testo su questo stesso tema, chiaro ed esplicito in tutti i suoi dettagli, ma chi conosce un po’ il diritto sa, e non ci sorprende – e lo dico con una certa ironia – che esiste lo Stato di diritto, soprattutto il diritto penale, in base al quale nessuno è tenuto a rilasciare dichiarazioni auto-incriminanti. Questo è ciò che ci sorprende: che il Consiglio e tutti i governi lo stiano applicando a se stessi.

In questo caso, invece di agire, hanno deciso di rimanere in silenzio, come l’uomo sul banco degli imputati che non si difende ma rifiuta le accuse rimanendo semplicemente passivo.

E’ vergognoso vedere che il Consiglio come Istituzione e tutti i suoi membri agiscono collettivamente, avvalendosi collettivamente del diritto usato dall’imputato in tribunale. Il silenzio istituzionale riguardo alle responsabilità – che siano attive o passive, per azione o per negligenza, per convinzione o per paura di crearsi dei problemi dopo le pressioni di nazioni alleate – questo silenzio è una delle disgrazie peggiori del contesto democratico nel quale viviamo e si ripercuote su tutti coloro che sono coinvolti.

E’ altrettanto difficile applicare meccanismi di responsabilità nell’Unione europea, perché i meccanismi non sono previsti per essere usati contro tutti gli Stati membri che agiscono per proteggersi reciprocamente.

Certamente, quando è stato elaborato il Trattato, quando sono stati formulati gli articoli 6 e 7, nessuno aveva immaginato che ci saremmo trovati in una situazione nella quale avremmo discusso delle violazioni dei diritti fondamentali o della passività riguardo alla difesa dei diritti fondamentali non da parte di un governo bensì da parte di un’Istituzione europea: il Consiglio rimane un complice passivo con la complicità di tutti gli Stati membri. Questa situazione non era stata contemplata ed invero questa è la sua protezione.

Non disponiamo di meccanismi giuridici che ci permettano di agire, ma desidero dire al rappresentante del Consiglio che la storia chiarirà i fatti, perché la storia porterà sempre alla luce la vergogna di questi giorni quando, col pretesto di proteggere la nostra libertà, è stato messo a repentaglio tutto ciò su cui è stata fondata l’Unione.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. (PL) La relazione Fava si basa su prove indiziarie e invece di giungere a conclusioni definitive ha solo creato un’atmosfera di sospetto verso gli Stati membri.

La relazione Marty è stata redatta in modo ancora meno responsabile. Tutte le sue conclusioni sono basate su fonti anonime e non è quindi possibile verificarle. Questo approccio non può in alcun modo garantire che il lavoro svolto dall’onorevole Marty non sia stato soggetto a manipolazioni da parte di servizi e di organizzazioni restie a cooperare a livello transatlantico per sconfiggere il terrorismo. Sono grato al Presidente Antunes per aver fatto notare che il diritto internazionale non prevede misure adeguate per affrontare i problemi associati al terrorismo. Nessuna delle relazioni in discussione ha fornito alcun contributo. Le indagini ufficiali e le spiegazioni presentate dalla Polonia sono conformi ai nostri principi di controllo civile dei servizi segreti. Inoltre, i nostri principi rispettano le norme europee pertinenti in materia. Non vedo quindi la necessità di riaprire questa discussione.

 
  
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  Cem Özdemir, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione Fava è stata adottata da questa Camera nel febbraio 2007 e contiene una lunga lista di raccomandazioni relative agli aspetti sia giuridici che politici. Avrei auspicato che questo Consiglio facesse riferimento a queste raccomandazioni e fornisse dei dettagli su quello che è successo da allora. Se il Consiglio non ha a diposizione la relazione Fava, gliene forniremo con piacere una copia. Vorremmo anche tanto sapere che cosa sia stato fatto in seguito alle raccomandazioni formulate in questa relazione, con particolare riferimento alla cooperazione con gli Stati membri, ma anche al ruolo del Consiglio stesso, sul quale si attira l’attenzione in questa relazione.

L’onorevole Dick Marty, il relatore del Consiglio d’Europa, ha anche presentato una seconda relazione nel luglio di quest’anno. Vorrei limitarmi a due punti. In questa relazione si dice che alcuni governi europei non soltanto hanno ostacolato la ricerca della verità, ma continuano a farlo invocando il concetto di “segreto di stato”. Non è altro che un abuso della segretezza allo scopo di proteggere coloro che hanno violato la legge. Mi rincresce dire che parla anche espressamente del mio paese, la Repubblica federale tedesca, e dell’Italia. Loda invece la Bosnia-Erzegovina e il Canada, che ha lo status di osservatore presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Su un secondo punto, tuttavia, fa esplicitamente riferimento alla Polonia e alla Romania e parla di questi paesi in relazione alle strutture segrete di detenzione. Auspicherei che anche su questo punto il Consiglio ci riferisse cosa sia successo.

Invocare la sussidiarietà degli Stati membri non basta in questo caso, perché qui si tratta di valori europei comuni. Rimando agli articoli 6 e 7 dei Trattati, che sono validi in tutti gli Stati membri a prescindere dalla sussidiarietà.

 
  
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  Sylvia-Yvonne Kaufmann, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, descriverei ciò che abbiamo vissuto durante la cosiddetta “guerra al terrorismo” come una specie di outsourcing degli abusi dei diritti dell’uomo.

Ci sono persone che sono detenute a Guantánamo, dove sono private dei diritti più fondamentali. Ci sono persone che vengono consegnate a regimi che praticano la tortura perché gli altri ovviamente non vogliono sporcarsi le mani. Sono state messe in funzione delle prigioni segrete, come ha ammesso lo stesso Presidente Bush, e i governi europei hanno semplicemente chiuso gli occhi quando la CIA ha sistematicamente violato i diritti dell’uomo sul loro territorio sovrano.

Il Consiglio d’Europa e questo Parlamento non sono rimasti in silenzio di fronte a questi terribili eventi; hanno invece raccolto i fatti, indagato sugli abusi e li hanno condannati chiaramente e inequivocabilmente. L’onorevole Dick Marty ha svolto il suo lavoro con grande impegno e vorrei esprimergli la mia gratitudine. La relazione dell’onorevole Fava, sostenuta dal mio gruppo, chiede effettivamente di abbandonare queste pratiche venute ora alla luce, ma cosa succede invece?

Nel caso di Khaled el-Masri, per esempio, solo pochi giorni fa il mio stesso governo si è inchinato al governo Americano. Si rifiuta di trasmettere all’amministrazione statunitense la richiesta di estradizione, presentata dal pubblico ministero di Monaco, per i 13 agenti CIA accusati di aver sequestrato el-Masri. Perché? Per il semplice fatto di presentare questa richiesta potrebbe irritare Washington.

Non ho nulla da ridire sul fatto che il mio stesso paese e l’Unione europea si uniscano alle forze americane per combattere la minaccia del terrorismo, ma questo significa che sequestrare e torturare non sono più crimini? Non si può certo dare carta bianca agli agenti CIA perché facciano quello che vogliono. E’ veramente questa la zona di sicurezza transatlantica della quale ha appena parlato il ministro degli Interni tedesco?

I nostri valori fondamentali – e soprattutto la più ampia tutela dei diritti dell’uomo – non possono essere messi a disposizione nella cosiddetta guerra al terrore. Il Parlamento europeo lo ha giustamente sottolineato e mi aspetto che il Consiglio e la Commissione difendano questi principi incondizionatamente e, soprattutto, che siano da questi guidati nelle loro azioni. Permettetemi di dire che quanto ho udito oggi dal Consiglio è ben lungi dall’essere sufficiente. Mi aspetto che il Consiglio agisca conformemente ai principi che egli stesso ha formulato e che dia seguito alle raccomandazioni di questo Parlamento.

 
  
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  Johannes Blokland, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, sono passati quasi due anni da quando il Parlamento ha deciso di istituire una commissione d’inchiesta temporanea; decisione che è stata approvata nonostante una forte opposizione e concrete obiezioni. Ora, due anni dopo, le obiezioni di allora vengono nuovamente sollevate. Oggi si discutono due relazioni: la relazione dell’onorevole Marty e la relazione dell’onorevole Fava. Quest’ultima non aggiunge nulla di nuovo alla relazione dell’onorevole Marty rispetto a quanto già conoscevamo all’epoca.

La relazione del Consiglio d’Europa era equilibrata e cauta nell’accusare gli Stati membri. Sfortunatamente, lo stesso non si può dire delle relazioni di questo Parlamento. Il fatto che oggi stiamo discutendo entrambe le relazioni può essere considerato un progresso. Questo progresso in materia di cooperazione sta fortunatamente concretizzandosi anche nell’agenzia per i diritti dell’uomo.

La Conferenza dei Presidenti dei gruppi politici ha giustamente richiesto una buona cooperazione tra il Parlamento e il Consiglio d’Europa. Quando sono in gioco i diritti fondamentali, la cooperazione è indispensabile perché la tutela dei diritti fondamentali è estremamente importante. Se questo è lo scopo delle inchieste sulle azioni dei servizi di sicurezza americani sul territorio europeo, il Consiglio deve dirigere i propri sforzi anche in questa direzione. E’ possibile stringere accordi nell’ambito delle relazioni transatlantiche in materia di lotta contro il terrorismo, o si deve rimanere a livello di misure imposte unilateralmente?

In tutte le misure contro il terrorismo, l’attenzione per i diritti spesso è insufficiente. Dopo due inchieste, è tempo di guardare avanti e di adoperarsi per ristabilire le relazioni con gli Stati Uniti da pari a pari. Vorrei proprio sentir dire dal Consiglio cosa intenda fare concretamente per ripristinare queste relazioni. Continueremo a fare pressione sugli Stati Uniti affinché chiariscano se vi siano stati campi segreti di detenzione sul territorio UE o cercheremo invece di evitare che questo succeda di nuovo?

Infine, ho una domanda per il Presidente. Nella discussione del 14 febbraio ho chiesto se potessero essere indicati i costi delle inchieste svolte dalla commissione temporanea. Fino ad oggi non ci sono state fornite informazioni in merito. Signor Presidente, può chiedere una relazione finanziaria oltre alla relazione sulle indagini, e il Consiglio d’Europa potrebbe riferire anche sui costi sostenuti per l’inchiesta dell’onorevole Marty? L’onorevole Gawronski ha ragione: si tratta di spendere i soldi dei contribuenti.

 
  
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  Jan Marinus Wiersma (PSE). – (NL) Signor Presidente, desidero fare alcune osservazioni a nome del mio gruppo. E’ proprio un peccato dover concludere che oggi il Consiglio non ha risposto alle domande che ha sollevato la relazione dell’onorevole Claudio Fava, presentata a gennaio anche a nome del Parlamento. Cos’ha fatto in pratica il Consiglio in seguito alle conclusioni, sia le nostre che quelle del Consiglio d’Europa? Non ci sono state vere consultazioni per evitare che si ripetano le pratiche descritte in queste relazioni?

Per quanto riguarda la risposta della Commissione abbiamo un giudizio più positivo. La Commissione ha avviato una valutazione delle misure antiterrorismo e del modo in cui sono state attuate. Apprezzo veramente quanto annunciato or ora dal Commissario riguardo a ciò che si può fare per evitare che in futuro atterrino negli aeroporti europei velivoli che trasportano persone che devono essere trasferite altrove illegalmente; dobbiamo avere un sistema di controllo di questi cosiddetti “aerei di stato”.

Il prossimo punto è che siamo ovviamente lieti che sia stato nominato un altro coordinatore per la lotta al terrorismo e gli auguriamo ogni successo. Siamo rimasti un po’ sorpresi dell’improvvisa partenza del coordinatore Gijs de Vries, che non ha mai dato l’impressione di essere entusiasta di questo suo incarico. Speriamo che il nuovo coordinatore lo sia, la sua funzione di coordinatore ne sarà rafforzata e in futuro, se richiesto, il nuovo coordinatore potrà rispondere alle domande poste dal Parlamento.

Adesso passo alla relazione dell’onorevole Marty sulle presunte prigioni segrete in Polonia e in Romania. Convengo con le osservazioni già avanzate riguardo al fatto che l’ultima relazione si basava su dichiarazioni testimoniali anonime. L’onorevole Marty deve ancora spiegare quali siano i criteri usati dal Consiglio d’Europa quanto al fatto che si possano citare fonti anonime e quindi non siamo realmente soddisfatti del modo in cui ha impostato il suo lavoro. Sono state accusate diverse persone e non sono emersi fatti nuovi. Credo che l’onorevole Marty possa ormai dire che questa lista di nomi può essere cancellata, soprattutto perché due dei nostri onorevoli colleghi figurano in questa lista. L’ho già detto tempo fa, quando abbiamo parlato con l’onorevole Marty in commissione.

C’è un ultimo punto. E’ ovviamente importante chiarire ai cittadini che i fatti avvenuti in alcuni paesi dell’Unione europea, come il rapimento di persone da parte di servizi segreti esterni all’Unione europea, non debbano più ripetersi, che non si possa permettere alla CIA di operare in Europa senza alcun controllo da parte delle autorità nazionali. Sembra che gli americani agiscano con regole diverse dalle nostre. Il recente rifiuto degli americani di estradare o di accettare la richiesta di estradizione presentata dall’Italia e dalla Germania dimostra ancora una volta che abbiamo regole diverse. Questi due esempi ci possono far riflettere sul tipo di cooperazione che esiste tra l’Unione europea e gli Stati Uniti quando si tratta di lotta al terrorismo. Gli americani vogliono rispettare lo stesso equilibrio in materia di sicurezza e di diritti dell’uomo?

 
  
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  Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Signor Presidente, il Presidente del Consiglio ha alzato le braccia e ha detto che l’Unione europea non aveva i poteri per agire, che i voli della tortura e le prigioni segrete “non hanno nulla a che fare con noi!”. Poi ha detto che il Consiglio era impegnato nella promozione dei diritti dell’uomo fuori dall’Europa. Sono proprio stanca di sentire Presidenze che ripetono a pappagallo i valori europei ma che poi dichiarano di non poter essere responsabili delle violazioni dei diritti dell’uomo all’interno dell’UE.

Ecco due cose che potreste fare. Perché solo 12 Stati membri hanno firmato la convenzione delle Nazioni Unite sulla scomparsa forzata, grandi assenti il Regno Unito, la Germania, la Spagna, la Polonia, la Romania e anche naturalmente – una bella lista davvero – gli USA? Secondo, si potrebbe chiedere agli Stati membri di offrirsi volontari e di prendere i prigionieri di Guantánamo che sono stati prosciolti e che sono quindi pronti per essere rilasciati. Il Regno Unito ha dovuto essere trascinato in tribunale prima di offrire a cinque cittadini residenti nel Regno Unito la possibilità di ritornare nel paese. Se l’UE chiede la chiusura di Guantánamo, cosa che più o meno abbiamo fatto, allora gli Stati membri devono essere coerenti.

Convengo con il Commissario Frattini che un’inchiesta parlamentare sia insufficiente. Non avevamo i poteri e le tecniche investigative della polizia e delle indagini giudiziarie, ma vorrei prima dire che le testimonianze che abbiamo ricevuto dalle vittime e da altre persone, e che abbiamo pubblicato, erano convincenti, coerenti e persuasive. Secondo, è un po’ assurdo criticare una relazione parlamentare quando gli Stati membri si rifiutano di promuovere indagini di polizia o inchieste giudiziarie.

La commissione sui servizi segreti e la sicurezza del Regno Unito, che è nominata dal Primo ministro e a questi riferisce – non al Parlamento – ha rimproverato ai servizi segreti britannici di non essersi resi conto che le informazioni che passavano alla CIA sarebbero state impropriamente usate per rapire, far scomparire e torturare. Bene, se abbiamo dei servizi segreti così ingenui, non mi sento molto protetta.

Fa certamente piacere sentire che il Commissario Frattini stia chiudendo la porta della stalla un po’ dopo che i buoi sono scappati e mi riferisco alla volontà di porre fine agli abusi degli spazi aerei europei, con aerei privati che eludono i controlli sugli aerei di stato o che non compilano i piani di volo, ma questo non cancella la responsabilità per i passati permessi o per aver tollerato i voli della tortura sopra il territorio europeo o le prigioni segrete sul suo suolo.

 
  
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  Mirosław Mariusz Piotrowski (UEN). – (PL) La relazione Fava e la relazione Marty per il Consiglio d’Europa hanno un tratto in comune: sono sprovviste di prove. Sono una serie di riflessioni vaghe e irrilevanti sulla consegna di sospetti terroristi e su presunti centri segreti della CIA in Europa.

La relazione Fava è stata discussa in diverse occasioni e sarebbe peccato perderci altro tempo. Tuttavia, vorrei congratularmi sinceramente con l’onorevole Marty. Sin dall’inizio si è dato da fare per far conoscere il suo nome è vi è certamente riuscito. Entrambe le sue relazioni sono di un livello deplorevole e lo ridicolizzano come avvocato. L’onorevole Marty è ovviamente giunto alla conclusione che valeva la pena pagare questo prezzo per far conoscere il proprio nome negli ambienti politici. Inter alia, non ha permesso alle persone che si erano presentate volontariamente di essere ascoltate, compresi i membri del Parlamento europeo che aveva diffamato nella relazione ma per i quali non ha avuto tempo.

L’onorevole Marty non ha risposto ai ripetuti inviti delle autorità polacche. Non è stato capace di dare una spiegazione per un simile comportamento quando si è presentato di fronte alla commissione parlamentare sugli affari esteri. L’onorevole Marty ha serie difficoltà a distinguere tra fatti e speculazioni. Capisco che farlo metterebbe in pericolo l’approccio tattico e l’obiettivo strategico che si è posto sin dall’inizio, vale a dire la propria auto-magnificazione politica. E’ un peccato che abbia sfruttato il buon nome del Consiglio d’Europa per realizzare le proprie ambizioni.

 
  
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  Hélène Flautre (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, in un comunicato di oggi Amnesty International dà il la al nostro dibattito. Dice, in effetti, che la Germania si rifiuta di chiedere l’estradizione di cittadini statunitensi, membri della CIA, sospettati di aver organizzato il rapimento di Khaled-el-Masri e di averlo in seguito torturato.

Ostacolato da una decisione politica, il sistema giuridico non ha quindi i mezzi per rendere giustizia in casi di presunta violazione dei diritti umani in nome della lotta contro il terrorismo. E’ proprio questa la situazione al centro di questo dibattito.

Signor Presidente in carica del Consiglio, lei ci racconta dei fatti e fa delle dichiarazioni ipotetiche del tipo: “la lotta contro il terrorismo deve essere condotta nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo”. Siamo d’accordo. Cionondimeno, la discussione di oggi poggia su fatti che adesso sono stati appurati: alcuni Stati membri dell’Unione europea si sono resi complici del programma di detenzione segreta e di consegna portato avanti dalla CIA nel territorio dell’Unione europea, e ciò facendo hanno violato la legge. I fatti sono stati accertati!

La domanda che poniamo è la seguente: che iniziative intende prendere? Quali insegnamenti trarrà da questa situazione? Quand’è che, a nome del Consiglio, condannerà queste attività illegali in termini chiari? Quand’è che farà pressione sugli Stati membri affinché forniscano dettagli completi e accurati ai parlamenti nazionali e ai membri di questa Camera? Quand’è che convincerà gli Stati membri a ripudiare la pratica delle garanzie diplomatiche?

Accolgo con favore l’annuncio del Commissario Frattini che vi sarà una relazione sull’efficacia delle misure antiterrorismo e sul rispetto dei diritti dell’uomo. Penso che il Parlamento riceverà questa relazione con grande interesse e spero di poterla discutere con voi. Vi invito sin da ora a farlo.

 
  
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  Giusto Catania (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, io credo che questo Parlamento abbia fatto un lavoro egregio quando ha approvato il rapporto dell'onorevole Fava e allo stesso modo credo che l'Assemblea generale del Consiglio d'Europa abbia dato un contributo importante all'accertamento di una verità che ormai è acclarata: ci sono stati migliaia di voli, ci sono state decine di rapimenti, c'è stato il coinvolgimento diretto dei governi europei e dei servizi di intelligence dell'Unione europea!

Ne abbiamo testimonianze, abbiamo anche verbali agli atti della commissione speciale del Parlamento europeo, in cui si accerta che i governi europei si sono seduti, hanno discusso anche delle extraordinary rendition insieme al governo americano. E' un dato acclarato, pubblico, che credo meriti il rispetto anche da parte dei colleghi che hanno votato contro questa relazione.

C'è solo un buco nero in questa vicenda: il silenzio del Consiglio. E il silenzio del Consiglio è un po' imbarazzante in questa vicenda, visto che si sono espressi tutti. E credo che però, c'è un fatto anomalo, mentre il Consiglio sta in silenzio i governi agiscono, infatti, non è vero che i governi fanno finta di non sapere: i governi si stanno comportando per impedire l'accertamento della verità. Per esempio, il governo italiano sta in questa fase evitando di chiedere l'estradizione agli agenti della CIA coinvolti nel provvedimento giudiziario, ha posto perfino il segreto di Stato che rallenta l'iniziativa dell'attività giudiziaria sul caso di Abu Omar. Quindi, i governi stanno agendo, mentre il Consiglio sta in silenzio. Io credo che questo non sia corretto! Bisogna rispettare il lavoro che ha fatto questo Parlamento in modo egregio e credo che anche un segnale di rispetto debba venire soprattutto dal Consiglio.

 
  
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  Wolfgang Kreissl-Dörfler (PSE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi in commissione abbiamo fatto il nostro lavoro. E’ provato che la CIA ha sequestrato e rapito persone in Europa. Il pubblico ministero di Milano lo ha accertato e dimostrato oltre ogni dubbio.

Che tipo di politica è questa, dove persone con responsabilità a Berlino e a Roma si rifiutano di trasmettere un mandato di cattura – questo è il termine corretto – al governo USA? I rapitori – ed è questo che sono gli agenti CIA che hanno rapito Khaled al-Masri a Skopje – devono essere consegnati. In uno stato retto dallo Stato di diritto – ed è sicuramente il nostro caso – la legge è uguale per tutti. E se – come sostengono alcuni cosiddetti alti ufficiali dei servizi di sicurezza a Berlino – il lavoro svolto dai pubblici ministeri di Monaco, che stanno semplicemente facendo il loro lavoro secondo la prassi, guasta le relazioni con il governo americano, questo la dice lunga sulla mentalità di queste persone e sul loro atteggiamento nei confronti dello Stato di diritto.

Sì, il terrorismo internazionale deve essere combattuto con tutti i mezzi, ma per favore con i mezzi disponibili nel quadro dello Stato di diritto, non con i metodi da wild west secondo i principi del paese d’origine, che è ciò che ha fatto qui la CIA. Sì, è giusto che il Cancelliere Angela Merkel solleciti i cinesi a rispettare i diritti dell’uomo e che riceva il Dalai Lama, ma non basta. Abbiamo dei compiti da svolgere anche qui nell’Unione europea. Non possiamo avere un forte Stato di diritto à la carte, a cui è concesso di essere forte solo se in linea con il sistema.

Quando sento le domande riguardo ai costi della commissione, che sono poi i costi della democrazia, permettetemi di dire a queste persone quanto segue: miei cari, una dittatura costa molto meno, ma qual è il suo prezzo? E’ un prezzo che noi non siamo disposti a pagare!

 
  
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  Sophia in 't Veld (ALDE). – (NL) Signor Presidente, concordo con gli oratori che mi hanno preceduto. Gli Stati membri hanno agito collettivamente, sia nel Consiglio che nella NATO, e quindi dobbiamo anche rispondere collettivamente delle nostre azioni come Consiglio; non possiamo nasconderci dietro all’argomento dei poteri e della sussidiarietà; non si tratta di trovare due capri espiatori tra gli Stati membri. Si continua a dire che non ci siano prove giuridiche concludenti. Non è necessario, in primo luogo perché abbiamo un testimone, lo stesso Presidente Bush, che ha detto: sì, ci sono consegne, sì, ci sono luoghi segreti. Dirò di più: noi pensiamo che sia un’ottima idea. Inoltre, i fatti sono stati accertati nel corso di processi che si sono svolti sia in Germania che in Italia, oltre a tutti gli altri fatti che abbiamo qui in discussione.

Inoltre, il Parlamento non è un tribunale – l’onorevole Frattini ha ragione – ma gli Stati membri hanno il dovere non solo giuridico, ma anche politico e morale di rispondere delle loro azioni. Può il Consiglio, possono i ministri guardare i cittadini direttamente negli occhi e dire che le violazioni dei diritti dell’uomo in Europa continueranno a rimanere impunite? Perché il risultato è questo. Le accuse sono estremamente gravi e, se secondo il Consiglio non c’è nulla di vero, il Consiglio deve respingerle. Se, invece, in queste accuse c’è un briciolo di verità, allora i fatti sono gravi abbastanza da giustificare un’inchiesta.

Infine, concordo anche con coloro che dicono “sì” all’estradizione tra gli Stati Uniti e l’Unione europea; non soltanto, però, per coloro che gli Stati Uniti considerano sospetti, ma anche quando paesi dell’Unione europea richiedono l’estradizione di agenti CIA.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (UEN). – (PL) Signor Presidente, l’oratore precedente ha fatto riferimento al Presidente Bush. Vorrei far notare che quest’ultimo non ha mai parlato dell’Europa e quindi non dovremmo chiamarlo in causa. Non farò riferimento alla relazione Fava, perché se ne è già parlato molto. Concentriamoci invece sulla relazione Marty.

Potremmo anche parlare di pittura astratta oggi. Lo dico perché la pittura astratta esiste, anche se a volte è incomprensibile. Non c’è modo di verificare se le accuse riguardanti le operazioni della CIA e la presenza di prigionieri in Polonia abbiano alcun fondamento, così come le prove indiziarie sull’esistenza dello Yeti nell’Himalaya e del mostro di Loch Ness in Scozia non sono un motivo per credere all’esistenza di queste due creature.

La relazione del Parlamento fa riferimento a prigioni della CIA che avrebbero potuto trovarsi in basi militari americane in Europa. Questa sera interi squadroni di UFO sarebbero potuti atterrare nel cortile del Parlamento. Sarebbero potuti atterrare, ma non lo hanno fatto. Certo, se istituissimo una commissione d’inchiesta, forse questa giungerebbe a conclusioni diverse.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). – (ES) Signor Presidente, ascoltando il Consiglio e alcuni parlamentari, ho l’impressione di essere ancora nel gennaio del 2006, come se da allora non fosse successo niente; eppure da allora abbiamo avuto una commissione d’inchiesta, diverse relazioni e, cosa più importante, abbiamo avuto l’ammissione del Presidente degli Stati Uniti che queste pratiche hanno effettivamente avuto luogo.

Cosa vogliono di più i governi e il Consiglio per dare una risposta plausibile ai cittadini europei e ottenere un po’ di prestigio e di credibilità in questa vicenda? E’ ovvio che in questo caso esista un divario enorme tra quello che si mette in pratica e quello che si predica.

Si richiede il massimo rigore e sono d’accordo, ma va detto che il rigore inizia con i fatti e le prove, fatti che sono stati ripetutamente confermati e quello che vogliamo sapere in questo caso non è solamente chi sia il responsabile, ma fin dove arrivi questa responsabilità.

Vorrei quindi chiedere al Presidente Lobo Antunes in modo molto diretto: cosa aspetta per esigere che i governi europei e il governo degli Stati Uniti mettano fine a questa pratica da noi condannata in così tante occasioni? Che cosa aspetta per ripristinare il prestigio e la credibilità che il Consiglio e tutta l’Unione europea perdono giorno dopo giorno?

 
  
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  Jens Holm (GUE/NGL).(SV) Signor Presidente, come sappiamo la nostra relazione documenta 1 245 casi di voli CIA illegali, 21 sequestri illegali e numerosi casi di tortura e maltrattamenti. Abbiamo chiesto che i campi di detenzione come quello di Guantánamo venissero chiusi e che l’UE garantisse che questi abusi non si ripetessero. Cosa abbiamo ottenuto? Purtroppo ben poco. Gli USA continuano i loro abusi nella cosiddetta guerra al terrorismo. E’ stato deprimente ascoltare la risposta del Consiglio alle nostre importanti domande.

Voglio sentir dire dal Consiglio che dobbiamo far pressione sugli USA, che i loro sequestri devono finire e che tutti i campi di prigionia devono essere chiusi. Voglio che l’Unione europea – non soltanto noi nel Parlamento europeo – dica che difendiamo i diritti dell’uomo. Voglio che l’Unione europea dica che la guerra contro il terrorismo non potrà mai essere mossa con mezzi illegittimi. E’ chiaro che si debba lottare per i diritti dell’uomo, di tutti gli uomini, ogni giorno. Dobbiamo continuare ad agire come organo di controllo e garantire che non una singola persona innocente diventi vittima della cosiddetta guerra al terrorismo.

 
  
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  Ana Maria Gomes (PSE).(PT) Prima che nel settembre del 2006 il Presidente Bush confermasse l’esistenza di prigioni segrete in paesi terzi, il governo portoghese aveva ritenuto affidabile l’assicurazione da parte di Washington che la sovranità o la legalità dei suoi alleati europei non fossero state violate.

Tuttavia, in seguito, dopo che era stato dimostrato che diverse renditions avevano avuto luogo in tutta Europa, si rese necessario indagare se il Portogallo o gli agenti portoghesi vi fossero stati coinvolti, in particolare per evitare che continuassero ad esserlo. Con mio grande dispiacere e vergogna, tuttavia, il 10 gennaio 2007 il partito socialista, il mio partito, il mio partito al governo, ha votato contro l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta. Ciononostante, adesso è stato accertato che velivoli coinvolti nel programma di renditions hanno effettuato più di 100 soste negli aeroporti portoghesi. Nonostante le ripetute richieste, il governo portoghese non ha mai consegnato al Parlamento nazionale o a questo Parlamento le liste dei passeggeri e dell’equipaggio dei voli più sospetti che la SEF (Servizio stranieri e frontiere) era riuscita ad individuare.

Né il governo portoghese ha permesso al direttore dei servizi segreti, o ai suoi predecessori dal 2002, di essere ascoltato dalla missione del Parlamento europeo che nel dicembre del 2006 si era recata a Lisbona. Il governo portoghese non ha consegnato al Parlamento nazionale o al Parlamento europeo la lista così tante volte richiesta di voli civili o militari da e per Guantànamo che hanno sorvolato il territorio portoghese. Fino al dicembre del 2006, il governo ha negato l’esistenza di tali voli. Eppure sono stati registrati e la lista redatta comprendeva 94 sorvoli e 17 soste, in particolare da parte di velivoli civili e militari statunitensi, tra il gennaio del 2002 e la fine di giugno del 2006.

E’ provato che diversi di questi voli trasportavano prigionieri dalla base di Incirlik in Turchia a Guantànamo, compresi i “Bosnian six”. Quando la lista giunse sul tavolo del Parlamento europeo, il governo portoghese non ne negò l’autenticità, ma dichiarò invece che il centro di detenzione di Guantànamo non era la stessa cosa della base militare di Guantànamo e che i voli verso questa base militare erano ritenuti “normali” e sotto gli auspici delle Nazioni Unite o della NATO. In seguito, il Segretario generale della NATO negò per iscritto quanto sopra.

Nel gennaio del 2006, ho avuto la prova che persone incatenate erano state avvistate alla base di Lajes nelle Azzorre mentre venivano trasportate a bordo degli aerei statunitensi. Questa prova è stata confermata da giornalisti e sono stati pubblicati dei resoconti accompagnati da fotografie degli edifici.

Signor Presidente, in Portogallo è attualmente in corso un’inchiesta giudiziaria. Sfortunatamente non è stata avviata dal governo portoghese bensì su mia iniziativa. Tuttavia, alla luce dei fatti preoccupanti scoperti da questo Parlamento e avvenuti nel periodo che va dal governo Barroso a quello attuale, la verità deve venire a galla.

 
  
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  Janusz Onyszkiewicz (ALDE). – (PL) Signor Presidente, nel mio intervento vorrei anch’io concentrarmi sulla relazione Marty, alla quale si è fatto spesso riferimento in questo Parlamento, perché questa relazione è caratterizzata da molta confusione tra verità oggettiva e valutazioni soggettive.

Rappresento un partito che è all’opposizione nell’attuale governo e lo era anche in quello precedente. I sostenitori del mio partito non hanno votato né per l’attuale Presidente né per il suo predecessore. Il nostro partito è un forte sostenitore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Sarebbe per noi estremamente utile poter disporre di argomenti di questo tipo mentre ci sforziamo di superare i nostri avversari politici in Polonia. Sfortunatamente, però, non ne abbiamo perché semplicemente non esistono. Sotto gli auspici del Parlamento polacco, è stata svolta un’indagine da una commissione permanente nella quale è rappresentata anche l’opposizione. Non ha scoperto nulla; nemmeno l’inchiesta condotta dal Mediatore europeo. Non dobbiamo quindi confondere le valutazione soggettive con i fatti. Questi fatti non sussistono.

 
  
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  Giulietto Chiesa (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono trascorsi molti mesi dalla documentata denuncia di questo Parlamento sulle gravi illegalità commesse o permesse da diversi governi europei in complicità con i servizi segreti statunitensi. Rilevammo allora che proprio quei governi europei avevano poco o nulla collaborato con la commissione parlamentare nella ricerca della verità e delle responsabilità.

Possiamo dire, alla luce delle dichiarazioni della Commissione e del Consiglio, che le cose sono rimaste sostanzialmente allo stesso punto in cui erano allora: poco o nulla è stato fatto, eccetto le lodevoli lettere di cui ci ha parlato qui il Commissario Frattini, per imporre agli Stati membri di fornire informazioni adeguate sull'attività dei rispettivi servizi segreti. Nulla del tutto per ridefinire il ruolo e l'indipendenza dei servizi segreti dei diversi paesi rispetto all'evidente supremazia e dominio di quelli americani.

Alla luce dei dati emersi riguardo all'Italia, alla Polonia, alla Gran Bretagna e alla Germania, per esempio, non si può parlare che di subordinazione agli Stati Uniti di gangli vitali della sicurezza europea. Ora, nemmeno se il nostro alleato principale rispettasse le leggi e i principi europei noi potremmo accettare una riduzione della nostra sovranità europea!

Ma ciò diventa intollerabile dopo avere scoperto che il nostro alleato principale adotta metodi imperiali nei nostri confronti e ignora o viola le nostre leggi sul nostro territorio! Dichiaro pertanto la mia insoddisfazione nei confronti delle dichiarazioni del Consiglio e della Commissione e credo che il Parlamento dovrà continuare a lavorare in questa direzione.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE). – (EN) Signor Presidente, non è chiudendo un occhio sulla tortura e sulle violazioni dei diritti dell’uomo da parte di uno stato che si sconfigge il terrorismo. Così si aggraverà un sentimento di malcontento e si creeranno nuove reclute per le attività terroristiche. Questa è l’amara lezione di 30 anni di lotte in Irlanda del Nord. Chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti dell’uomo e sulla tortura non è un’opzione per uno stato democratico. Al contrario, nella lotta per porre fine al terrorismo è di suprema importanza dimostrare la forza del nostro impegno per la giustizia.

La mancata reazione da parte degli Stati membri alle raccomandazioni di questo Parlamento è alquanto sconcertante. E’ altrettanto triste, devo dire, vedere che alcuni esponenti dell’ala destra di questa Camera continuino a fare come gli struzzi e a negare l’evidenza. Gli Stati Uniti hanno ammesso le detenzioni illegali, il trasferimento e la tortura dei sospetti, ed è possibile che queste azioni abbiano ancora luogo. Non lo sappiamo.

Alcuni Stati membri hanno tollerato la violazione dei diritti dell’uomo. Mi rincresce dire che l’Irlanda ha agevolato l’atterraggio sul suo territorio di 147 voli della CIA, alcuni dei quali sappiamo che erano coinvolti nella consegna di prigionieri. In Irlanda non c’è stata un’inchiesta parlamentare, in Irlanda non c’è stato un esame parlamentare approfondito dei servizi di sicurezza e non c’è stata un’ispezione degli aerei della CIA. La commissione irlandese per i diritti dell’uomo ha annunciato che sta riesaminando i suoi contatti con il governo irlandese su questa vicenda e alla fine di quest’anno avanzerà proposte per affrontare questo tema.

Infine, permettetemi di rispondere all’onorevole Blokland, che ha chiesto di conoscere i costi dell’inchiesta di questo Parlamento. E’ una richiesta legittima, ma posso chiedergli che prezzo dia ai diritti dell’uomo? Che prezzo dia alla prevenzione della tortura? Credo che non sia possibile dare un prezzo a queste cose. Dobbiamo spendere ciò che è necessario per scoprire cosa sta succedendo e agire per porvi fine.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Sarò il più breve possibile, ma questa è una discussione nella quale sono intervenuti in molti e sono state sollevate molte domande. Come certamente capirà, signor Presidente, alcune di queste domande devono ricevere molta attenzione e risposte complete. Naturalmente, nel corso della discussione i membri di questo Parlamento hanno espresso molti punti di vista, non tutti uniformi. Tutti meritano rispetto, benché non possa essere d’accordo con tutti. In particolare non posso essere d’accordo con quanto detto da un membro del mio paese che, nel suo intervento, ha fatto riferimento esclusivamente alla situazione del Portogallo. Non posso ovviamente sottoscrivere il suo intervento da nessun punto di vista. Tuttavia, nonostante queste divergenze di opinione, sono sicuro che siamo tutti d’accordo sul punto essenziale, cioè che abbiamo mosso guerra al terrorismo in nome della libertà e che possiamo vincere questa guerra solo in libertà.

Come ho detto all’inizio del mio intervento, la lotta contro il terrorismo internazionale può essere vinta solo con uno sforzo congiunto e con il rispetto dei valori e dei principi fondamentali condivisi dall’Unione europea e dagli Stati Uniti d’America.

E’ vero che si è sollecitato il Consiglio ad agire, ma come ho detto, e come hanno detto anche le Presidenze precedenti, il Consiglio non ha alcuna competenza in materia. Potete rammaricarvene, ma questa è la verità dei fatti. Oggi sono stati invocati gli articoli 6 e 7 dei Trattati. Come sapete, questi articoli enunciano principi e stabiliscono valori ma non attribuiscono competenze. Le Istituzioni, in conformità del cosiddetto “principio di attribuzione delle competenze”, possono esercitare solo le competenze che sono state loro effettivamente, chiaramente ed espressamente conferite dai Trattati. Così funzionano le Istituzioni dell’Unione europea. Cionondimeno, la Commissione ha presentato oggi una serie di proposte e d’iniziative, alcune delle quali sono già state attuate e altre che naturalmente meritano tutta l’attenzione e l’impegno del Consiglio. Le proposte della Commissione sono ovviamente bene accette al Consiglio.

Inoltre, vorrei anche poter dire che molti Stati membri hanno preso numerose iniziative, principalmente per opera dei loro parlamentari, e che sono state svolte indagini in linea con le raccomandazioni presentate nella relazione del Parlamento europeo. A questo riguardo, con riferimento specifico a ciò che sta avvenendo in Portogallo, io rappresento oggi, qui, il governo portoghese, un governo creato dal partito socialista, un partito che in Portogallo è conosciuto ed è esemplare per la lotta per la democrazia e la libertà nel nostro paese. E’ chiaro che né il governo né il partito socialista condividevano, condividono o condivideranno le violazioni dei diritti dell’uomo. Come vi ho detto, tutti gli sforzi e tutte le iniziative per scoprire la verità sono benvenuti. E’ quindi indispensabile essere rigorosi e la base di un’analisi rigorosa è non permettere confusioni di sorta o accettare come fatti mere supposizioni.

Per quanto riguarda le relazioni transatlantiche, alle quali è stato accennato, il Consiglio ribadisce che in generale nella lotta contro il terrorismo si possano mettere in pratica misure di sicurezza interna di applicazione generale e non limitate ad uno Stato membro dell’Unione europea nel quadro di una stretta cooperazione con gli USA. Questa cooperazione deve ovviamente essere sviluppata, come è stato osservato, a partire dalla dichiarazione formulata in occasione dell’ultimo vertice transatlantico, che ha avuto luogo durante la Presidenza tedesca.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. − Signor Presidente, onorevoli deputati, credo che nessuno in quest'Aula abbia dubbi sul fatto che queste azioni siano illegali. Evidentemente il valore aggiunto che io vedo nel rapporto dell'onorevole Fava è di impegnare tutti quanti, le tre istituzioni europee, affinché questi fatti non si ripetano più. E' una sollecitazione forte che prendo dalle conclusioni del rapporto Fava e che mi sembra il punto politico da sottolineare.

Allora credo che ci siano due aspetti: uno è la strategia, e cioè guardare al futuro e far sì che questi fatti non accadano più in territorio europeo, e poi fidarci dei nostri giudici per le investigazioni sul passato. Nessuno credo pensi, come è stato anche ripetuto, che noi ci si possa sostituire ai nostri giudici che secondo lo Stato di diritto debbono investigare con pienezza di prove e nel rispetto della presunzione di innocenza, che ha ricordato ora lo stesso onorevole Fava. Passato e futuro: questi sono i due livelli di necessaria attenzione.

Europa e Stati Uniti, onorevoli deputati, condividono – e questo nemmeno si può negare – una tradizione e una storia costituzionale di garanzia dei diritti fondamentali. Credo quindi che le torture, le detenzioni illegali, i sequestri di persone sospettate pure di terrorismo siano esse stesse contro la nostra comune storia transatlantica di democrazia e di diritti. Quindi credo che la conclusione politica sia come rafforzare il nostro legame euroatlantico, affinché ci sia più sicurezza e insieme più diritti.

Sarebbe estremamente sbagliato puntare il dito contro gli Stati Uniti, quando al contrario dovremmo trovare il modo di condurre, insieme, una lotta al terrorismo basata sul rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali. Questo è l'insegnamento che io personalmente traggo da molte di quelle raccomandazioni.

E poi c'è come rafforzare la nostra sovranità, é un argomento serio. Come l'Europa può rafforzare il proprio spazio di sovranità per essere un alleato più forte, non più debole, nella cooperazione euroatlantica? Un primo esempio è l'accenno che ho fatto allo spazio unico aereo europeo. Quando vi sarà, da gennaio 2009, una regola comune valevole per 27 paesi membri sui diritti di sorvolo, sulla definizione degli aeromobili, sui poteri di controllo di questo cielo unico europeo, l'Europa avrà rafforzato la sua sovranità. E certamente a quel momento la Commissione avrà un potere di coordinamento e vigilanza, perché a quel momento le regole non saranno più nazionali, ma sarà una regola europea.

E infine, signor Presidente, questo dibattito ci dà una ragione in più per introdurre la Carta dei diritti fondamentali nel futuro trattato costituzionale o trattato istituzionale che dir si voglia. E' una ragione in più, perché quell'inserimento, quel riferimento istituzionale della Carta dei diritti, darà alle istituzioni dell'Unione quei poteri – incluso quello di vigilanza e di azione dinanzi alla Corte – in settori che sono settori assolutamente chiave per la vita quotidiana di tutti noi.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

 
  
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  Claudio Fava (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei sapere se sia possibile far allegare ai verbali della nostra discussione anche gli articoli 6 e 7 del trattato. Abbiamo appena sentito dal Consiglio che gli articoli 6 e 7 si limiterebbero a una enunciazione dei principi. Come lei sa, l'articolo 6 parla dei principi, l'articolo 7 parla delle azioni a tutela di quei principi. Mi sembra utile ricordarlo al Consiglio e anche ai colleghi deputati.

 
  
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  Presidente. − Molte grazie! Verificheremo se ciò sia possibile dal punto di vista della procedura.

 

11. Operazione PESD all'est del Ciad e al nord della Repubblica centrafricana (dicussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sull’operazione PESD all'est del Ciad e al nord della Repubblica centrafricana.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Grazie, signor Presidente. La Presidenza portoghese apprezza la possibilità di scambiare alcune riflessioni sull’eventualità di un’operazione condotta nel quadro della PESD (politica europea in materia di sicurezza e di difesa) nel Ciad orientale e nel nord-est della Repubblica centrafricana. Il conflitto nel Darfur rimane una delle priorità della politica estera dell’Unione europea. Sono per noi motivo di soddisfazione i recenti progressi compiuti, segnatamente e primo fra tutti l’annuncio che il 27 ottobre s’inizieranno, sotto gli auspici delle Nazioni Unite e dell’Inviato speciale dell’Unione Africana, le discussioni volte a trovare una soluzione pacifica al conflitto e che aumenteranno le prospettive di pace nel Darfur. In secondo luogo, consideriamo positiva anche l’adozione all’unanimità della risoluzione 1769 del Consiglio di sicurezza che istituisce l’UNAMID (operazione ibrida Unione Africana/Nazioni Unite nel Darfur), che imprimerà una nuova dinamica agli sforzi profusi per risolvere il conflitto nel Darfur.

Ciononostante, se vogliamo che questi sforzi diano dei risultati, il conflitto nel Darfur deve essere affrontato in un contesto regionale più ampio. L’impatto negativo del conflitto sulla situazione umanitaria e di sicurezza nei paesi limitrofi, in particolare il Ciad e la Repubblica centrafricana, desta serie preoccupazioni. A nostro avviso, non è possibile pervenire a una soluzione durevole per il conflitto nel Darfur senza stabilizzare la situazione in questi paesi confinanti.

Come sapete, nelle sue conclusioni del 23 luglio, il Consiglio ha sottolineato l’urgenza di contenere l’impatto destabilizzante della crisi nel Darfur sulla situazione umanitaria e di sicurezza nei paesi limitrofi e ha ribadito il suo sostegno allo spiegamento di una presenza pluridimensionale dell’ONU nel Ciad orientale e nel nord-est della Repubblica centrafricana.

Il Consiglio ha inoltre deciso di continuare il suo lavoro di pianificazione ai fini di un’eventuale decisione su un’operazione ponte, chiamata “bridging operation”, nel quadro della politica europea di sicurezza e di difesa, a sostegno della presenza pluridimensionale dell’ONU, allo scopo di migliorare la sicurezza in queste aree.

I preparativi di quest’operazione si sono svolti durante l’estate. Il 12 settembre, il Consiglio ha adottato il concetto di gestione della crisi che definisce i principali parametri di pianificazione di quest’operazione ponte. Particolare enfasi viene posta sull’obiettivo di proteggere i civili in pericolo, in particolare i rifugiati e gli sfollati, e di agevolare l’invio di aiuti umanitari rafforzando la sicurezza nella regione.

Riguardo alla situazione politica interna di questi due paesi, il Consiglio ritiene che la missione debba conservare la sua indipendenza, imparzialità e neutralità. Sono in corso i lavori di pianificazione basati su questo concetto, in conformità con le procedure UE in materia di gestione delle crisi. Le misure successive da adottare saranno l’approvazione di un’azione comune sul concetto d’operazione e di pianificazione delle operazioni, inclusa la composizione della forza. L’operazione durerà un anno ed è previsto che venga sostituita da una missione multinazionale dell’ONU. Tutte le operazioni PESD in Ciad e nella Repubblica centrafricana devono basarsi sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU e verranno condotte in stretta consultazione con l’ONU e i nostri partner africani.

Noi, Unione europea, plaudiamo alla dichiarazione resa dal Presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 27 agosto, nella quale manifesta la disponibilità del Consiglio di sicurezza ad autorizzare la presenza di una forza pluridimensionale nel Ciad orientale e nel nord-est della Repubblica centrafricana. Le operazioni dell’Unione europea nel Ciad e nella Repubblica centrafricana devono essere accompagnate da iniziative politiche che permettano di affrontare la dimensione regionale del conflitto nel Darfur, in particolare devono essere sostenuti gli sforzi volti a normalizzare le relazioni tra il Ciad e il Sudan, conformemente agli accordi di Tripoli e di Riyadh. Il Sudan, il Ciad e la Repubblica centrafricana dovrebbero inoltre essere incoraggiati a rispettare gli impegni assunti a non sostenere i movimenti ribelli che operano dai loro territori contro uno qualsiasi degli altri paesi.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’. ROURE
Vicepresidente

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione.(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, con l’adozione ieri da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite della risoluzione 1778/2007 sullo spiegamento di una forza internazionale nella parte orientale del Ciad e nel nord-est della Repubblica centrafricana, le porte sono adesso aperte all’approvazione da parte del Consiglio dell’Unione europea, nei prossimi giorni, di un’operazione PESD in questi paesi. Si tratta chiaramente di uno sviluppo importante che credo dovremmo accogliere con soddisfazione. Le regioni interessate dall’operazione sono caratterizzate attualmente da una situazione di generale instabilità e insicurezza che colpisce centinaia di migliaia di civili, obbligati a vivere in condizioni di estrema vulnerabilità. Come sapete, la situazione non può essere spiegata con il solo effetto domino che la crisi nel Darfur produce sul Ciad e sulla Repubblica centrafricana. Vi sono anche motivi endogeni, peculiari a questi due paesi, specialmente nel caso del Ciad.

La stabilità in queste aree del Ciad e della Repubblica centrafricana può essere garantita solo se l’azione internazionale e quella dell’Unione europea in particolare includono i seguenti fattori. In primo luogo, la qualità della presenza militare e di polizia in Ciad e nella Repubblica centrafricana, in secondo luogo un approccio che non si limiti alla sicurezza, ma che comprenda anche gli aiuti e la politica, e infine la capacità di contenere e di arginare ogni interferenza in Ciad e nella Repubblica centrafricana da parte del Sudan e della regione del Darfur.

Vediamo il primo punto: questo è un campo che rientra nel secondo pilastro. I membri del Consiglio hanno espresso la loro opinione in materia e senza dubbio lo rifaranno nei prossimi giorni. Un elemento importante da prendere in considerazione nello spiegamento di questa forza europea di protezione è ovviamente la necessità di proteggere lo spazio umanitario. E’ per questo che i miei servizi presso ECHO hanno collaborato strettamente con i pianificatori militari del Consiglio allo scopo di garantire il rispetto dei rispettivi mandati e un alto livello di cooperazione tra i militari e le agenzie umanitarie. Abbiamo insistito per ottenere la presenza sul terreno di ufficiali di collegamento della forza europea di protezione al fine di assicurare il collegamento e lo scambio permanente d’informazioni con le organizzazioni umanitarie.

Adesso passiamo al secondo punto. Le misure di aiuto previste dalla Commissione comprendono tre aspetti. Il primo, l’appoggio in materia di sicurezza alle operazioni di polizia ciadiana, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Si tratterà essenzialmente di finanziare l’addestramento di 800 ufficiali di polizia ciadiani incaricati di garantire l’ordine nei campi profughi. E’ di cruciale importanza che quest’azione di polizia sia esemplare. E’ anche molto importante che sia ben accolta dalla popolazione locale. A questo scopo, prima della fine del 2007 verranno stanziati fondi per 10 milioni di euro finanziati dallo strumento di stabilità.

Ora passiamo alle misure umanitarie. Nel 2007, la Commissione ha destinato 30,5 milioni di euro all’aiuto umanitario di emergenza e ai programmi di aiuto multisettoriali a favore dei rifugiati e degli sfollati interni nonché delle comunità di accoglienza nel Ciad. La Repubblica centrafricana ha ricevuto 8 milioni di euro e una somma simile verrà stanziata nel 2008.

Il terzo elemento riguarda la reintegrazione e la riabilitazione. A breve, fondi supplementari per circa 13,1 milioni di euro a titolo del nono Fondo europeo per lo sviluppo verranno mobilitati a favore del Ciad e della Repubblica centrafricana. Il programma è inteso come proseguimento delle attività di ECHO nel quadro di una strategia di riabilitazione e di transizione verso lo sviluppo.

Onorevoli colleghi, queste misure d’aiuto sono necessarie ma devono essere accompagnate da misure che riguardano il processo politico. Se vogliamo garantire una stabilità duratura, l’azione internazionale ed europea deve essere integrata da diverse attività volte al ripristino dello Stato di diritto, al rilancio della governance economica, alla riforma del sistema della giustizia e della sicurezza e al proseguimento del dialogo politico tra il governo e i partiti d’opposizione. E’ chiaramente un elemento importante, soprattutto in vista delle elezioni del 2009.

La Commissione continuerà a promuovere quest’approccio globale in Ciad e nella Repubblica centrafricana. Allo stesso modo, la Commissione è pienamente attiva per risolvere il conflitto nel Darfur, non solo fornendo aiuti umanitari e per la ricostruzione, ma anche fornendo supporto al processo negoziale e di mediazione, nel quale siamo ovviamente estremamente coinvolti. A tale riguardo, ho recentemente informato il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, e il Presidente dell’Unione africana, Konaré, che la Commissione fornirà un contributo al Darfur Trust Fund per sostenere i negoziati. Inoltre, la Commissione finanzia iniziative volte a garantire il coinvolgimento e la partecipazione della società civile darfuriana al processo di risoluzione del conflitto.

 
  
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  Karl von Wogau, a nome del gruppo PPE-DE. (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, la situazione umanitaria in Ciad, soprattutto lungo la frontiera con il Sudan lunga 1 360 km, ma anche nelle zone al confine con la Repubblica centrafricana, rende a mio avviso necessario l’intervento della comunità internazionale.

Alcuni giorni fa sono stato io stesso in Ciad e ho potuto farmi un’idea della situazione. Più di 400 000 rifugiati e sfollati sono ospitati nei campi nella zona di frontiera. I campi sono permanentemente sotto la minaccia dei banditi e di bande di saccheggiatori, ma anche delle milizie janjaweed provenienti dal Sudan. La situazione in aperta campagna è ancora più difficile. La mancanza di sicurezza spinge sempre più persone a cercare rifugio nei campi profughi.

Per aiutare ad alleviare la terribile situazione di queste persone bisogna migliorare la sicurezza nella regione in modo che possano tornare alle loro case. E’ una sfida difficile e da gestire è necessario dividersi gli oneri. Le Nazioni Unite si sono assunte l’incarico di formare le forze di polizia che potranno poi collaborare con le forze di sicurezza. D’altra parte, è stato chiesto all’Unione europea di fornire truppe in grado di tenere lontani gli janjaweed e i banditi e di prevenire gli attacchi ai rifugiati, agli sfollati e alla popolazione civile.

Con questo progetto di risoluzione, il Parlamento approva quest’operazione, ma alle seguenti condizioni: primo, come lei ha fatto notare, signora Presidente, i negoziati politici devono continuare, perché in definitiva abbiamo bisogno di una soluzione politica. Tuttavia, se inviamo truppe, queste devono avere un solido mandato che permetta realmente loro di dissuadere gli janjaweed e i banditi.

Dobbiamo rendere sicura una vasta zona. Le truppe devono quindi essere abbastanza consistenti da ottenere risultati concreti in materia di sicurezza. Deve essere chiaro che questa è una forza europea che coinvolge diverse nazione europee. L’EUFOR deve essere anche dotata dell’equipaggiamento necessario per adempiere il suo mandato. Considerata la forza relativamente modesta delle truppe e l’ampiezza delle zone di frontiera, ciò significa che sono necessarie capacità straordinarie di intelligence e di trasporto, perché le truppe devono poter determinare rapidamente dove si trova la minaccia e devono poter raggiungere celermente la località in questione.

In nessun caso deve crearsi una situazione in cui, a causa del mandato stesso o per carenza di equipaggiamento, la forza europea in Ciad riesca a proteggere solo se stessa senza essere in grado di adempiere il proprio mandato. Un’altra condizione imposta dal Parlamento europeo è che deve essere definita una chiara strategia di uscita che preveda come e da chi l’EUFOR venga sostituita al termine della sua prevista durata operativa di un anno.

Nel presente progetto di risoluzione, il Parlamento europeo sottolinea anche che, alla luce della complessa situazione politica nella regione, questa forza europea in Ciad dovrebbe agire come forza neutrale per la sicurezza e la protezione della popolazione civile. Lo scorso anno, lo spiegamento dell’EUFOR in Congo ha reso palese quanto importanti siano per il successo di un’operazione un’imparzialità e un’indipendenza credibili.

Nella situazione attuale, istituendo una forza per il periodo limitato di un anno, l’Unione europea può fornire un importante contributo al miglioramento della situazione umanitaria e al sostegno dell’Unione africana in un momento in cui si assume più responsabilità nella regione. Entrambi questi aspetti sono necessari e quindi vi chiedo di votare a favore di questa risoluzione.

 
  
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  Ana Maria Gomes, a nome del gruppo PSE. – (PT) La risoluzione 1778 del Consiglio di sicurezza, adottata ieri, stabilisce che la situazione nella regione alla frontiera tra il Sudan, il Ciad e la Repubblica centrafricana costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali.

La risoluzione di questo parlamento riconosce l’urgenza della situazione e la responsabilità dell’Unione europea a prestare la sua protezione. La stragrande maggioranza dei membri di questa camera è d’accordo con le ONG umanitarie sul terreno, con i rifugiati della regione che vivono in condizioni miserevoli e in un clima di costante paura e con il Segretario generale delle Nazioni unite. Tutti parlano dell’urgenza di una presenza internazionale in questa regione, che deve comprendere una forte componente militare. Nessun paese o organizzazione multilaterale è più idonea dell’Unione europea ad adempiere appieno il mandato fissato dalla risoluzione 1778. La PESD (polizia europea di sicurezza e difesa) è ormai pronta ed esiste proprio per queste emergenze.

In questo contesto, riguardo all’invio di una forza militare dell’UE nella regione, il Consiglio e la Presidenza portoghese possono contare sull’appoggio di principio del Parlamento. Tuttavia, alcuni aspetti della missione destano la preoccupazione del Parlamento europeo. Primo, temiamo che la riluttanza degli Stati membri a fornire forze dotate del personale e dell’equipaggiamento militare minimo necessario possa ridurre notevolmente la sua efficacia. Aggiungeremmo che più piccoli sono i contributi degli altri Stati membri, più consistente sarà la componente francese della forza. La percezione d’imparzialità di questa missione è fondamentale per il suo successo e nella regione la Francia non è considerata un attore neutrale.

In secondo luogo, il Parlamento chiede che questa forza sia accompagnata da un’offensiva diplomatica nella regione al fine di far progredire il processo di riconciliazione nazionale all’interno del Ciad e della Repubblica centrafricana. Le cause dell’instabilità, benché legate al dramma del Darfur, sono anche interne e possono essere superate solo con processi politici interni. Come affermato nella proposta di risoluzione del Parlamento, senza un sincero processo politico di riconciliazione nella regione, l’operazione dell’Unione europea, la cui durata prevista è di 12 mesi, non può contribuire in modo sostanziale alla pace nella regione.

Infine, il Parlamento accoglie con favore il mandato della forza che agirà ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. E’ necessario che questo mandato sia interpretato in modo corretto sul terreno e che le truppe europee siano proattive nel proteggere i civili in pericolo, creando uno spazio umanitario per le organizzazioni internazionali e proteggendo la missione delle Nazioni Unite nella Repubblica centrafricana e in Ciad (MINURCAT). Da Kigali a Srebrenica, la storia recente è piena di tragici esempi di civili inermi che pagano il prezzo della timidezza e degli scrupoli eccessivi delle truppe internazionali.

Speriamo che un giorno quest’operazione possa essere considerata un modello esemplare della PESD e del multilateralismo efficace in azione, ma anche una prova doverosa della volontà dell’Unione europea di rafforzare le Nazioni Unite e di contribuire alla risoluzione dei conflitti in conformità con il diritto internazionale e la responsabilità di protezione che questo sancisce.

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, come è già stato detto diverse volte, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ieri, ha votato all’unanimità a favore di una presenza multidimensionale, per un anno, nel Ciad orientale e nel nord-est della Repubblica centrafricana. Sarà una missione civile e di polizia dell’ONU che chiameremo MINURCAT e che seguirà alla missione militare dell’ONU e dell’Unione europea, EUFOR, che la sosterrà e la proteggerà.

Questa missione europea di sicurezza e di difesa opererà ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Ciò è molto importante perché significa che potrà ricorrere a tutti i mezzi per assolvere questo compito e significa inoltre che avrà un mandato solido, come richiesto espressamente dal Parlamento. Questo aspetto aumenta la possibilità di successo della missione, ma aumenta altresì sostanzialmente la sua e la nostra responsabilità.

Abbiamo ripetutamente espresso, in Parlamento, la nostra preoccupazione per la situazione nel Darfur e la nostra apprensione per il dilagare della mancanza di sicurezza e di stabilità nei territori vicini e in tutta la regione. Più di un milione di persone sono state costrette a fuggire all’interno del loro paese e oltre la frontiera. Esse sono esposte ad ogni tipo di privazione e di atti di violenza e spesso sono soprattutto le donne e i bambini a soffrire. Inoltre, la situazione minaccia i fragili accordi di pace raggiunti in Ciad e nella Repubblica centrafricana, perché i ribelli politici e i banditi comuni considerano questa situazione un’occasione per rubare, maltrattare e uccidere la popolazione civile.

Il compito dell’EUFOR sarà quindi tutt’altro che facile. Prima di parlare di questo, però, dobbiamo pensare a riunire queste truppe, come ha detto l’onorevole Gomes, e non solo a metterle insieme ma anche ad equipaggiarle. Il momento della verità si sta avvicinando per ogni Stato membro, compreso il mio: il momento in cui, oltre a belle e nobili dichiarazioni dobbiamo anche fornire concretamente soldati e materiale. Questo vale anche per il Parlamento. Abbiamo giustamente insistito sulla necessità d’informazioni complete e abbiamo usato i nostri poteri per emettere un parere documentato e comprovato. Questo è stato possibile in parte perché, la settimana scorsa, abbiamo avuto un lungo scambio di idee con il Generale Leaky.

Il nostro parere è positivo. Sarà compito nostro e nostra responsabilità garantire che la missione possa iniziare il prima possibile e nelle circostanze migliori.

 
  
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  Ģirts Valdis Kristovskis, a nome del gruppo UEN. (LV) Signora Presidente, a nome del gruppo Unione per l’Europa delle nazioni vorrei sottolineare che appoggiamo la missione militare della PESD nel contesto più ampio della missione di mantenimento della pace nel mondo, in Ciad e nella Repubblica centrafricana. Stiamo parlando della più grave crisi umanitaria transfrontaliera del mondo. In realtà, il Consiglio di sicurezza avrebbe dovuto agire molto prima. Questo ritardo di 4 anni è costato la vita a 200 000 persone, 2,5 milioni di persone sono state scacciate dalle loro case e attacchi brutali sono stati sferrati ai fornitori di aiuti umanitari. La portata della crisi innescata dal conflitto nel Darfur metterà presumibilmente alla prova la volontà politica dell’Unione europea e la sua capacità militare. Alcuni giorni fa il generale Leaky ha assicurato ai membri del Parlamento che, malgrado i problemi di finanziamento e le difficoltà per prevedere tutte le minacce e tutti i rischi che potrebbero verificarsi durante le operazioni, in termini militari l’Unione europea è in grado di svolgere quest’operazione non peggio che in Bosnia e che da un punto di vista militare l’operazione sarà meno intensa.

 
  
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  Angelika Beer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, ecco alcuni dati relativi a quello di cui stiamo parlando: 230 000 rifugiati, più altri 170 000 sfollati interni e circa 700 000 persone che sono indirettamente a rischio di attacchi.

Siamo qui per colmare questo vuoto, questa falla nella protezione. Questo deve essere il fulcro della missione europea. Da ieri vi sono i requisiti per un solido mandato. La questione della neutralità non è stata risolta. Al momento, sembra che le truppe francesi già presenti in Ciad saranno appoggiate solo da pochi paesi. Questo mette a rischio sia la neutralità sia il successo della missione.

Quello che però vorrei chiedere in particolare ai ministri degli Esteri che venerdì devono prendere una decisone, è di garantire che l’area operativa dell’EUFOR sia chiaramente definita. Per il momento non è così. Sarebbe un disastro se la missione non potesse operare proprio lì dove c’è più urgente bisogno di aiuto, vale a dire nelle zone frontaliere. Mi aspetto che l’Unione europea tratti con il regime in Ciad per ottenere il diritto di operare anche lungo i 35 km di frontiera. In caso contrario, questa sarebbe un’operazione foglia di fico, che potrebbe anzi mettere in pericolo un numero ancora più elevato di persone.

 
  
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  Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signora Presidente, per chiarire, si tratta di una missione PESD in Ciad e nella Repubblica centrafricana ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite; in altre parole, è un’operazione militare. Non si tratta del Sudan e del Darfur. Il governo francese vuole a tutti i costi questa missione europea. Vuole fornire direttamente i Force Headquarters e gli Operation Headquarters. Il governo tedesco e quello inglese sono molto scettici. Le truppe francesi sono già presenti in Ciad. E’ abbastanza chiaro che la Francia sta agendo come forza di protezione per i governi del Ciad e della Repubblica centrafricana e adesso vuole solo apporre alla sua presenza in questa regione il logo dell’UE. Le truppe francesi non sono neutrali; al contrario, sono ovviamente di parte. Ad esempio, hanno bombardato i ribelli che operavano nel paese. I capi dei ribelli hanno annunciato che nel caso la forza dell’UE non fosse neutrale, muoverebbero guerra contro le sue truppe.

Ho appreso adesso che il gruppo tattico nordico non è disponibile e che la risoluzione dell’ONU richiede una cooperazione aperta con l’esercito e la polizia in Ciad. E’ ovvio che il Ciad e la Repubblica centrafricana non siano democrazie. Il rimpatrio dei rifugiati non rientra nel mandato delle forze dell’UE e questa missione è – per essere franchi – estremamente pericolosa. Come gruppo, voteremo contro la risoluzione presentata perché crediamo che con quest’operazione la situazione non migliori bensì si deteriori ulteriormente.

 
  
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  Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, permettetemi un chiarimento all’onorevole Pflüger e agli altri: il mandato della forza europea è di natura umanitaria e consiste nel garantire la sicurezza dei rifugiati provenienti dal Ciad e dal Darfur, anche con mezzi militari. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha avallato lo spiegamento della forza dell’Unione europea con mandato ONU e di conseguenza l’Unione europea si troverà da subito sotto l’attento esame della comunità internazionale che vuole verificare cosa essa sia realmente in grado di fare in politica estera e militare.

L’operazione rappresenta sia un rischio che un’opportunità: è un rischio per le condizioni politiche estremamente difficili in questa regione afflitta da conflitti, ma d’altra parte è un’opportunità per dimostrare che l’Unione europea ha sviluppato le sue capacità militari e di politica estera e che è realmente in grado di impegnarsi in questa regione per proteggere i rifugiati.

Al momento, però, e molti condividono quest’opinione, il rischio è superiore all’opportunità. E’ per questo che il Parlamento europeo ha redatto una lista di condizioni che sono già state illustrate: mandato a tempo determinato, definizione precisa degli obiettivi e dei compiti, preparazione perfetta ed equipaggiamento tecnico adeguato delle truppe dell’EUFOR e garanzia di un mandato operativo che preveda una strategia d’uscita.

Naturalmente, dobbiamo aspettarci che quest’operazione sia non solo approvata ma anche sostenuta dai governi locali, in modo che possa avere successo. Ma – e penso che qui siamo tutti d’accordo – se vengono soddisfatte tutte le condizioni poste dal Parlamento europeo, le prospettive di successo sono superiori al rischio e possiamo quindi approvare la missione.

 
  
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  Michel Rocard (PSE).(FR) Signora Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, sono molto lieto di questo progetto di risoluzione e della decisione che conferma, e vorrei aggiungere una cosa: quando la brutalità umana provoca tragedie e sofferenze della dimensione raggiunta in Darfur, non possiamo eludere il dovere della solidarietà. Sono estremamente lieto che l’Unione europea stia rispondendo all’appello del Segretario generale delle Nazioni Unite.

Molti deputati, molti diplomatici, l’amico e collega onorevole Gomes hanno or ora insistito sul fatto che quest’operazione non debba assolutamente sembrare un’occasione per sostenere gli interessi francesi o per estendere la presenza militare francese nella regione. Spero di non sorprendere nessuno insistendo anch’io con vigore su questo punto.

Permettetemi di dire con convinzione, in qualità di ex Primo Ministro, che se la Francia è ancora presente nella regione è solo per via della sua eredità storica, dove il peso del colonialismo è stato tale da richiedere una politica di solidarietà verso questi popoli per cercare di aiutarli a ritrovare pace e stabilità e per annunciare l’inizio di una governance stabile. La Francia non ha più alcun interesse strategico o economico in queste regioni e sono tra coloro che avrebbero preferito che si fosse ritirata molto tempo fa: avremmo potuto risparmiare somme ingenti e ciò avrebbe rappresentato il nostro vero interesse. Persino le risorse di uranio in Niger non suscitano alcun interesse strategico di proprietà regia, ma richiedono solamente pace e stabilità sufficienti per renderli accessibili a tutti e creare così un mercato competitivo.

Si tratta quindi di un’operazione europea di mantenimento della pace e non di un’operazione francese, ed è giusto che sia così. Ma attenzione! Questa visione potrà essere confermata solo se saranno molti gli Stati membri dell’Unione europea che invieranno le loro truppe. Sarebbe nefasto se lo spirito di solidarietà, che per ragioni storiche è più esigente verso la Francia che verso altri paesi al punto che il nostro contingente è il più grande, dovesse essere trasformato dalla vostra assenza in un sospetto di post-colonialismo, cosa insensata e che rifiuto.

Permettetemi di concludere con la seguente osservazione: l’emendamento orale presentato questa mattina dal nostro collega, onorevole Gahler, per una volta – mi dispiace per lui – non è pertinente. La Repubblica del Ciad, nella persona del suo ministro degli Esteri, ha dato il suo assenso di principio a quest’operazione in un comunicato scritto inviato diversi giorni fa al Consiglio di sicurezza. Ho la fotocopia di questo documento e la tengo a disposizione dell’onorevole Gahler.

 
  
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  Eoin Ryan (UEN). – (EN) Signora Presidente, sostengo anch’io la decisione di inviare in Ciad 4 000 soldati dell’Unione europea come forza di pace. La realtà è che in Ciad e nella Repubblica centrafricana esiste un’instabilità politica generale. Sappiamo che nella regione sudanese del Darfur è in corso un genocidio. Se non inviamo forze di pace in Ciad, rischiamo che in questa regione dell’Africa dilaghino violenza e instabilità ancora maggiori.

Si stima che nei campi profughi in Ciad vi siano 400 000 rifugiati provenienti dalla Repubblica centrafricana e dal Darfur, ma solamente 250 guardie dell’esercito ciadiano che li presidiano. I campi di rifugiati in Ciad rappresentano una crisi umanitaria di enormi proporzioni e la comunità internazionale, inclusa l’Unione europea, deve aiutare il governo del Ciad ad affrontare un problema che si sta intensificando e aggravando. I racconti di coloro che hanno recentemente visitato la zona sono veramente terribili e, come ho detto, dobbiamo fare il possibile per alleviare questa miseria umana.

Appoggio con convinzione la decisione di dispiegare 26 000 caschi blu in Sudan. L’Unione europea deve essere una delle principali componenti di questa forza di pace. Plaudo anche alla decisione presa oggi dal mio stesso governo di fare una valutazione immediata e approfondita del ruolo che in futuro potrebbero svolgere le forze di pace irlandesi nelle missioni di pace ONU e UE in Sudan, nella Repubblica centrafricana e in Ciad.

 
  
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  Michael Gahler (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, la situazione in Ciad e nella Repubblica centrafricana è difficile per le persone colpite e quindi sostengo, in linea di principio, l’impegno dell’Unione europea inteso a stabilizzare la situazione e migliorare le reali condizioni di vita delle persone coinvolte.

Nella sua dichiarazione del 27 agosto, il Presidente del Consiglio di sicurezza dell’ONU ha descritto l’intenzione della comunità internazionale di dispiegare un’operazione ponte dell’Unione europea per 12 mesi fino all’arrivo di una missione guidata dall’ONU. E’ per questo che l’UE ha chiaramente limitato l’operazione a un periodo di un anno. Sono quindi convinto che abbiamo bisogno di un mandato robusto che non si limiti alla semplice autodifesa, ma che ci permetta, se necessario, di perseguire i nostri obiettivi anche contro l’opposizione di coloro che vorrebbero impedircelo.

Il testo della risoluzione adottata ieri del Consiglio di sicurezza va in questa direzione: fa riferimento a “una presenza multidimensionale volta a creare le condizioni di pace che favoriscano il ritorno volontario, sicuro e duraturo dei rifugiati e dei profughi”. Siamo autorizzati a “prendere tutte le misure necessarie”.

Invito il Consiglio a garantire che l’invio di queste truppe non sia un puro intervento cosmetico per le forze francesi. Anche per quanto riguarda la nazionalità del comando, dovremmo rispettare la sensibilità locale. Sfortunatamente fino ad ora la Francia non è stata neutrale nei conflitti in Ciad e nella Repubblica centrafricana, ma ha sostenuto come sempre i governi di questi paesi. Per questo motivo la lingua scelta per il comando e per l’operazione a livello locale dovrebbe essere l’inglese, in modo che la gente capisca almeno che questi europei sono ovviamente diversi da quelli che sono abituati a vedere.

A proposito di Gran Bretagna, ritengo molto discutibile la decisione del Regno Unito di impedire al centro operativo dell’Unione europea a Bruxelles di condurre l’operazione. Non partecipare personalmente e negare agli altri di usare strutture comuni è qualcosa che non dovremmo più accettare in futuro da parte di chi vuole starsene fuori!

Per quanto riguarda la realizzazione degli obiettivi, nutro ancora dubbi. Ci siamo posti degli obiettivi chiari? Quanti sfollati interni dovrebbero tornare alle loro case entro la fine dell’anno? Quanti rifugiati del Darfur dovrebbero ritornare in Darfur? Sarebbe troppo poco se dopo un anno passassimo il testimone con sempre lo stesso numero di persone nei campi.

I costi sono notevoli: ho sentito parlare di 100 milioni di euro solo per costruire una pista di atterraggio adeguata e per i quartieri generali. Poi ci sono i costi correnti per le truppe. Il Consiglio ci può fornire dettagli precisi sul quadro finanziario generale?

Un ultimo punto, a mio avviso cruciale: prima di spiegare la nostra forza di pace dobbiamo avere l’assicurazione esplicita dal governo del Ciad che in seguito accetterà il dispiegamento delle forze guidate dall’ONU, a prescindere dalla sua composizione. Ho ascoltato quello che ha detto il nostro collega. Vorrei vederlo confermato per iscritto, sotto forma di un documento ufficiale del governo del Ciad, non solo verbalmente dal ministro che siede nel Consiglio di sicurezza dell’ONU. Quando avrò quest’assicurazione, potrò votare per il progetto. Altrimenti, tra un anno ci troveremo di fronte all’alternativa di dover prolungare il mandato dell’operazione o di ritiraci lasciando un vuoto militare nel quale si potrebbe ricreare molto rapidamente la stessa identica situazione di adesso. Nel qual caso, avremmo letteralmente gettato al vento, o meglio, nella sabbia, centinaia di milioni.

 
  
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  Alain Hutchinson (PSE). – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio. Sono felice che oggi possiamo discutere e votare una risoluzione su un tema che, a mio avviso, non riceve abbastanza attenzione perché, e questo non dovremmo mai dimenticarlo in questo Parlamento, la situazione nella quale si trovano le popolazioni frontaliere del Sudan, del Ciad e della Repubblica centrafricana è semplicemente intollerabile.

Da parte mia non lo dimentico e non ho intenzione di passare sotto silenzio il fatto che tutta questa vicenda sia una delle tante conseguenze del genocidio del Darfur, un evento che non si osa chiamare con il proprio nome. Dal 2003 la crisi nel Darfur ha provocato due milioni e mezzo di rifugiati, di cui 125 000 in Ciad. Ci sono state anche diverse centinaia di migliaia di morti.

Inoltre, a tutt’oggi le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite e le ONG hanno dovuto spostare i loro campi 31 volte per sfuggire alla violenza, anche se questo non ha impedito l’arresto di diversi loro agenti da parte della polizia Sudanese, il massacro di 12 operatori umanitari e la scomparsa di altri.

La risoluzione che presentiamo oggi vuole essere un valido contributo all’obiettivo di porre fine alla situazione che esiste nelle zone di frontiera. Questa situazione è inaccettabile, ma è relativa rispetto all’ampiezza della catastrofe che si sta svolgendo in quella parte del mondo.

A tale riguardo, vorrei sottolineare che la nostra responsabilità non dovrebbe limitarsi a sostenere o a dirigere operazioni isolate e circoscritte alla reazione di emergenza in situazione di conflitto. Questa responsabilità esige di agire nel contesto più ampio nel quale si iscrivono questi conflitti. Esige anche di agire a monte, in altre parole di fare tutto il possibile perché questi conflitti non si producano.

La seconda parte del mio intervento riguarda la situazione delle organizzazioni umanitarie che operano nella regione. L’evoluzione dei metodi d’intervento delle forze armate e del ruolo svolto dal personale umanitario in situazioni di conflitto rende sempre meno chiara la frontiera che separa questi due attori.

Poiché la confusione tra il personale militare e quello umanitario va a detrimento delle missioni tradizionalmente affidate alle agenzie umanitarie, è la sopravvivenza stessa degli operatori umanitari che è a rischio e, con questa, la sicurezza di tutte le persone che dovrebbero beneficiare di questi servizi.

E’ quindi assolutamente indispensabile che la nostra forza di protezione non sia assolutamente implicata nelle attività svolte dai diversi gruppi umanitari nella regione. Sono lieto di vedere che il documento di oggi include questo punto di così grande importanza per lo sviluppo futuro delle nostre politiche in questa regione e altrove nel mondo.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, appoggio con decisione l’invio di una missione PESD alla frontiera Ciad/Darfur e accolgo con favore l’occasione di discutere oggi questa proposta.

Il conflitto nel Darfur ha terribili ripercussioni oltre frontiera, in Ciad e nella Repubblica centrafricana, con un cospicuo flusso di rifugiati e migliaia di sfollati interni.

Secondo l’opinione dell’esperto ad alto livello, questa missione è fattibile, nonostante vi siano notevoli sfide a livello operativo e di sicurezza. Le infrastrutture in questa zona sono scarse, c’è carenza d’acqua e le linee logistiche sono difficili. Questa missione dovrà far fronte anche alle minacce dei gruppi ribelli che combattono contro il governo, ma sembra basata sull’attenta valutazione, recentemente effettuata nella regione, che tutte queste sfide siano sormontabili.

Quindi non v’è motivo di ritardare ulteriormente il dispiegamento della forza. Abbiamo la capacità militare; ciò che occorre adesso è la volontà politica.

Chiedo che i soldati irlandesi facciano parte di questa missione PESD. Esiste un reale senso di emergenza in questa zona di crisi e l’Irlanda potrebbe essere parte del nobile sforzo europeo di stabilizzare questa zona di frontiera.

Per quest’operazione i soldati potrebbero essere presi dal gruppo tattico nordico. Al pari di questo gruppo tattico, questa missione PESD è intesa come operazione ponte. Alternativamente, le truppe irlandesi attualmente in Libano potrebbero unirsi alla missione.

La presenza di questa forza è positiva sotto molti aspetti. Migliorerebbe la situazione di sicurezza in questa regione prima del dispiegamento della missione ONU/Unione africana nel Darfur. Sarebbe anche d’aiuto alle organizzazioni di soccorso perché aprirebbe corridoi umanitari altrimenti inaccessibili. Terzo, faciliterebbe il ritorno dei rifugiati sudanesi.

Credo che questa missione debba disporre di un mandato robusto ai sensi del Capitolo VII della Carta dell’ONU con chiare regole di ingaggio che autorizzino l'uso della forza quando necessario, specialmente per prevenire gli attacchi contro i civili, i campi profughi, i villaggi e gli operatori umanitari, gli agenti di polizia, nonché ai fini di autodifesa.

La stagione delle piogge sta finendo. La frequenza degli attacchi contro i campi di rifugiati aumenterà perché le milizie e i gruppi di ribelli possono spostarsi più agevolmente adesso che le piogge sono diminuite. Il momento di agire per l’ONU è adesso. L’inazione costa vite umane. L’UE è l’organizzazione più adatta per svolgere questa missione e, secondo diversi rapporti, è in grado d’intraprendere questo compito.

Invito il Consiglio ad adottare immediatamente un’azione congiunta e ad avviare le fasi finali per non perdere l’occasione di portare i soldati dell’UE lì dove sono urgentemente richiesti.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, bene, sembra che ci siano molti generali da salotto il Parlamento oggi pomeriggio! La disperata situazione umanitaria e di sicurezza nel Darfur e nelle regioni limitrofe del Ciad e della Repubblica centrafricana sta certamente chiedendo a viva voce l’intervento internazionale, ma devo dire che è una questione avulsa dal tema di oggi, che riguarda in realtà la PESD, come ci è stato detto da molti oratori.

Ho sempre criticato lo spreco di risorse, i doppioni, le divisioni, la pura falsità che emerge dal tentativo di sviluppare la capacità militare dell’Unione europea. Non esistono truppe UE, onorevole Ryan. Le nostre nazioni hanno soldati ed esistono già strutture collaudate pronte ad organizzare un intervento militare internazionale con l’ausilio di quei pochi Stati che hanno forze armate capaci e corpi di spedizione. Questo avviene principalmente nell’ambito della NATO e dell’ONU. Le Istituzioni dell’UE possono contribuire ben poco alle questioni militari.

E’ chiaro che le motivazioni degli entusiasti della PESD sono essenzialmente politiche. Qualcuno ha detto, in effetti, che il Ciad dovrebbe essere visto come un’opportunità politica. E’ l’Unione europea che si è offerta all’ONU; non è stato l’ONU che ha invitato l’Unione europea. L’Unione europea sta disperatamente cercando di apporre la sua etichetta istituzionale a un’altra operazione militare ma, e non sorprende, il personale militare nazionale non condivide l’entusiasmo degli eurocrati. Con linee di comunicazione estese, a oltre mille miglia dal più vicino porto marittimo, senza risorse idriche e infrastrutture e la riluttanza ad affrontare i gruppi ribelli con operazioni militari di offensiva, la missione in Ciad è precaria da ogni punto di vista. Il Regno Unito, la Germania e l’Italia hanno già detto che non invieranno soldati.

Cosa farà questa forza? Certamente non ingaggerà gli elementi ostili ribelli che hanno creato il caos in questa vasta area dell’Africa. Sicuramente si concentrerà, quindi, a proteggere e a sostenere se stessa in una situazione logistica molto difficile. Dobbiamo smetterla di giocare e di usare la tragedia umana come opportunità politica.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Molto brevemente, constato che la proposta di inviare in Ciad e nella Repubblica centrafricana una forza nell’ambito della PESD è appoggiata dalla maggioranza dei parlamentari che si sono espressi su questo tema. Come saprete, e come già detto oggi, nel frattempo – credo ieri – il Consiglio di sicurezza ha autorizzato il lancio di questa operazione dell’Unione europea. Come è già stato detto, quest’autorizzazione era necessaria perché l’Unione europea potesse procedere. Tutti i preparativi e la pianificazione di ordine militare, invero tutta l’operazione, possono adesso procedere e in seguito il Consiglio emetterà ovviamente un parere in materia attraverso un’azione comune.

Ritengo che adesso, impegnandosi in questo processo, l’Unione europea possa, così come dovrebbe essere, passare dalle semplici dichiarazioni di intenti e dalle semplici promesse alla pratica e all’azione. Questo corrisponde a quello che l’Unione europea ha sempre sostenuto sia, e debba essere, il suo impegno verso l’Africa e verso i popoli africani. Dobbiamo aiutare l’Africa e i popoli africani attraverso una stretta e completa collaborazione che permetta loro di raggiungere la pace laddove ci sono conflitti, il progresso laddove c’è povertà, la salute e l’istruzione laddove ci sono malattie e qualcosa laddove c’è poco o nulla. In questo modo garantiremo il rispetto per i nostri valori e i nostri principi anche nella nostra politica estera. La Presidenza portoghese, quindi, accoglie con favore questi ultimi sviluppi e naturalmente prende atto del grande sostegno dato da molti Stati membri a quest’operazione e manifestato in questa discussione.

 
  
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  Presidente. – Per concludere la discussione, ho ricevuto cinque proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento((1)).

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 27 settembre 2007.

 
  

(1)() Vedasi processo verbale.


12. Situatione in Birmania (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla situazione in Birmania.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, questo dibattito e questa nostra discussione sono di grande attualità e naturalmente il Consiglio e la Presidenza portoghese stanno osservando gli eventi in Birmania (Myanmar) con grande preoccupazione.

Sono passati quasi 20 anni dagli eventi del 1988, quando la Birmania ha assistito a manifestazioni come quelle che si stanno svolgendo in questi giorni. Non vi è dubbio che quello che molti commentatori dicono sugli ultimi eventi sia vero: il paese si trova a un bivio che noi consideriamo critico.

Sin dall’inizio, la situazione si è rivelata estremamente instabile e benché abbiamo compiuto ogni sforzo per evitare che le autorità birmane ricorressero alla violenza, i fatti di oggi dimostrano che sfortunatamente la giunta militare a Rangoon rimane sorda agli appelli della comunità internazionale, come lo è rimasta per molti anni ai costanti e ripetuti appelli internazionali.

Se ben gestita, la situazione degli ultimi giorni avrebbe potuto rappresentare una straordinaria opportunità per compiere i primi passi verso una riforma politica urgente e una rivalutazione nazionale del paese. Speravamo che la giunta ascoltasse l’inequivocabile messaggio trasmesso dai manifestanti che la sua politica aveva fallito.

Quella che all’inizio era una protesta ad hoc contro l’aumento sproporzionato dei prezzi dei combustibili si è trasformata in un vasto movimento pubblico di protesta contro la politica generale di un governo estremamente dittatoriale.

Consapevole della crescente tensione nel paese, l’Unione europea non si è limitata a restare in disparte e a osservare la situazione. Subito, in agosto, ha veementemente condannato l’arresto di diversi capi dell’opposizione, in particolare il così detto gruppo “generazione 88”, che protestava contro un aumento di quasi il 500% dei prezzi dei carburanti. Ha chiesto il rilascio di tutti i prigionieri politici e ha sottolineato la necessità di avviare un processo di apertura, di riconciliazione e di riforme politiche. Proprio ieri, abbiamo inviato un chiaro messaggio di solidarietà e di sostegno al popolo birmano attraverso la dichiarazione congiunta USA/UE adottata dai 27 ministri degli Esteri riuniti a New York.

Invitiamo le autorità a rispettare i diritti dei monaci, delle suore e dei cittadini comuni che manifestano pacificamente e insistiamo sul fatto che questa situazione rappresenta una nuova occasione per cercare di risolvere i problemi estremamente complessi della Birmania.

In un’altra dichiarazione, rilasciata sempre ieri, l’Alto rappresentante Solana ha chiesto alle autorità birmane di continuare a dar prova di moderazione e ha sottolineato che solo le riforme politiche, la concessione dei diritti e delle libertà fondamentali e la piena partecipazione di tutte le parti interessate possono portare pace, stabilità e sviluppo autentici.

Abbiamo discusso della situazione anche con alcuni nostri partner in colloqui bilaterali a margine dell’Assemblea generale dell’ONU a New York. Nel quadro del dialogo sulla Birmania con i nostri partner della regione, compresa la Cina, l’India e i paesi dell’ASEAN, incoraggiamo questi ultimi a dialogare regolarmente con il regime, ponendo particolare enfasi sui punti seguenti: primo, la stabilità a lungo termine della Birmania richiede una vera trasformazione, innanzi tutto politica; secondo, l’apertura del paese è fondamentale per lo sviluppo della Birmania e anche per l’interesse dei suoi vicini e di tutta la comunità internazionale. Abbiamo notato che Singapore, attuale Presidenza dell’ASEAN, ha per lo meno risposto con una dichiarazione a titolo nazionale in cui si auspica che le proteste in corso possano risolversi pacificamente.

In occasione della riunione “gymnich” tenutasi all’inizio di settembre, i ministri degli Esteri dell’Unione europea hanno discusso l’evolversi della situazione in Birmania e ieri, nel corso della riunione a 27 tenutasi a New York, hanno nuovamente affrontato quest’argomento. La questione è stata inoltre discussa dal Comitato politico e di sicurezza a Bruxelles ed è stata trattata più in dettaglio questa mattina nell’ambito del gruppo di lavoro Asia-Oceania. Stiamo valutando, ovviamente, tutte le possibili opzioni per una nuova reazione dell’Unione europea e, benché speriamo che la situazione non peggiori ulteriormente, dobbiamo essere pronti per ogni eventualità. Ci stiamo preparando anche ad adottare misure addizionali tramite i canali diplomatici e rimarremo in contatto con le Nazioni Unite, in particolare con Ibrahim Gambari, l’inviato speciale del Segretario generale che si è incontrato con la Presidenza e le istituzioni dell’Unione europea in luglio, subito prima della pausa estiva. Rimaniamo in stretto contatto anche con i nostri colleghi a Ginevra, dove ieri il Consiglio dei diritti dell’uomo ha reso una dichiarazione incisiva.

La notte scorsa, a causa delle preoccupanti notizie che ci giungevano da Rangoon, ci siamo sentiti obbligati a lanciare un altro appello alle autorità birmane, chiedendo loro di non reagire violentemente alle manifestazioni pacifiche della popolazione. Abbiamo fatto esplicito riferimento alla possibilità di aumentare le sanzioni esistenti affinché il messaggio fosse preciso e diretto. Domani, infine, il Coreper tornerà a discutere più in dettaglio il tema della Birmania.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signora Presidente, onorevoli parlamentari, al pari delle altre Istituzioni europee, la Commissione è molto preoccupata per la situazione in Birmania/Myanmar. Seguiamo da vicino i drammatici eventi delle ultime settimane e anche delle ultime ore, in seguito al movimento pacifico di resistenza e di protesta avviato dai monaci buddisti.

Come sapete, il 6 settembre la Commissione vi ha presentato per bocca del Commissario Reding la sua analisi della situazione generale: ripetute violazioni dei diritti umani, repressione politica e deterioramento generale delle condizioni economiche. Vorrei aggiungervi le violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dal governo della Birmania/Myanmar contro i civili e i prigionieri, nonché le restrizioni sempre più severe imposte al CICR nell’esercizio delle sue funzioni. Nelle ultime settimane il regime ha raccolto gli amari frutti della situazione sociale e politica esplosiva che, in un certo senso, egli stesso ha creato.

Cosa dovremmo fare alla luce di questi fatti? Abbiamo il diritto di pensare o che la situazione abbia un che di déjà vu e preannunci il ripetersi della violenta repressione del 1988, o che siamo giunti a una svolta storica. In ogni caso, i fatti in Birmania/Myanmar sembrano prendere una piega imprevedibile. Il fatto che un movimento di protesta di tali dimensioni – con circa 100 000 manifestanti scesi in piazza a Rangoon lunedì scorso – non abbia un programma politico o rivendicazioni politiche dichiarate, rende evidentemente la situazione più instabile e precaria.

Chiaramente non possiamo escludere la possibilità di derive da parte del regime se le manifestazioni dovessero continuare. Le intimidazioni, gli arresti e i blocchi stradali osservati oggi lasciano indicare un inasprimento della reazione. Gli arresti di questa mattina, la brutalità con cui le autorità sono intervenute e il fatto che vi siano state malauguratamente delle vittime non fanno che rafforzare i nostri timori. In queste condizioni, il nostro primo obiettivo deve tendere a evitare una reazione violenta da parte del governo e esortarlo alla massima moderazione. La sicurezza e il benessere di Aung San Suu Kyi sono ovviamente al centro delle nostre preoccupazioni.

Queste manifestazioni rappresentano, in un certo senso, un’opportunità. Mostrano al regime, o almeno a quanti dei suoi membri abbiano ancora una certa percezione della realtà, che la cattiva gestione politica ed economica ha portato la popolazione a non temere più di scendere in piazza per esprimere la propria collera, spinta da una disperazione che dura da troppo tempo.

La seconda preoccupazione della Commissione è quindi spingere la comunità internazionale a persuadere il governo a compiere i gesti necessari per restaurare un minimo di fiducia e creare così le condizioni per aprire la strada alla riconciliazione nazionale. Il regime deve ascoltare le aspirazioni della popolazione all’apertura e alla democrazia. L’uscita dalla crisi attuale deve, ben inteso, includere un processo partecipativo e trasparente che permetta a tutte le parti interessate alla riconciliazione nazionale della Birmania/Myanmar di contribuire pienamente al futuro politico ed economico del paese. Questo è il messaggio trasmesso ai nostri paesi partner dalla collega Benita Ferrero-Waldner, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York.

D’altra parte, è di capitale importanza che i paesi confinanti con la Birmania/Myanmar siano resi consapevoli delle loro particolari responsabilità. Credo che la Cina si renda già conto che i suoi interessi a lungo termine non siano certo favoriti da una situazione esplosiva nel paese. La Cina può esercitare un’influenza determinante. Tuttavia, dobbiamo anche persuadere l’India, il Giappone e la Corea del Sud, paesi che hanno contribuito in modo significativo a soddisfare le esigenze economiche del regime birmano, a fare di più per uscire dalla crisi attuale. Dobbiamo anche convincere i paesi dell’ASEAN a far sentire la loro voce in modo più fermo. Ogni deterioramento della situazione in Birmania/Myanmar non può che avere conseguenze nefaste per tutta la regione.

Infine, la Commissione plaude allo speciale ruolo svolto dalle Nazioni Unite e in particolare ai buoni uffici interposti dall’inviato speciale Ibrahim Gambari, la cui prossima visita a Rangoon sarà di estrema importanza. Se le autorità in Birmania/Myanmar dovessero nuovamente scegliere la strada della repressione, getterebbero inevitabilmente il paese in un isolamento internazionale ancora maggiore, con nuove intollerabili sofferenze per la popolazione. Se, invece, le autorità scelgono la strada di un dialogo aperto e democratico, devono precisare una tabella di marcia nazionale, impegnarsi a fissare una data precisa per tenere libere elezioni e avviare un dialogo sincero con i loro partner. Le autorità della Birmania/Myanmar potranno allora contare sull’appoggio dell’Unione europea e degli altri partner per portare avanti questo processo.

 
  
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  Geoffrey Van Orden, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signora Presidente, l’Unione europea è orgogliosa della propria attenzione per i diritti dell’uomo, eppure sembra incapace di agire efficacemente contro i regini tirannici che, su tutto il pianeta, continuano a opprimere e a maltrattare la loro popolazione. Vi è un atteggiamento mentale per cui sembra che una dichiarazione e una presa di posizione comune siano tutto ciò che occorre. Il Presidente in carica ha detto, nella discussione precedente, che dovremmo tener fede a ciò che diciamo. Sono d’accordo con lui.

Nel corso della mia permanenza in questo Parlamento, ho lottato contro due regimi odiosi: quello di Mugabe nello Zimbabwe e quello della giunta militare in Birmania. Entrambi sono stati oggetto dell’attenzione dell’Unione europea, ma non è successo nulla. Dovremmo vergognarcene.

Oggi la nostra attenzione si concentra sulla Birmania dove, la settimana scorsa, l’alleanza di tutti i monaci buddisti della Birmania ha coraggiosamente guidato le imponenti proteste di strada a Rangoon e in molte altre parti della Birmania. Siamo tutti scioccati nel vedere che una situazione disperata si è trasformata in tragedia. Sono state trasmesse in tutto il mondo le immagini di monaci feriti, di pagode avvolte nel fumo e di civili malmenati in seguito al giro di vite operato dalle forze di sicurezza. Si parla di almeno cinque morti e di centinaia di feriti. L’emittente radio Burma Democratic Voice ci aveva avvisato quasi una settimana fa che il governo aveva autorizzato l’uso delle armi da fuoco e ci aveva preparato a una conclusione violenta delle manifestazioni pacifiche.

E’ giunto il momento di smetterla di torcerci le mani ed è ora di fare sul serio. Non mi illudo. Come per lo Zimbabwe, la chiave per il cambiamento in Birmania sono i paesi vicini, la Cina in particolare. La Cina è il più grande investitore in Birmania, il suo più grande partner commerciale e fornitore di armi. Oggi in Parlamento è presente una delegazione cinese di alto livello, guidata da Wang Yingfan, membro influente del Congresso nazionale del popolo. Questa mattina gli ho rivolto un forte appello affinché la Cina adotti misure contro il regime birmano. Egli ha ribadito l’impegno della Cina a non interferire nella politica interna degli altri paesi ma, al tempo stesso, mi ha assicurato che la Cina avrebbe continuato a svolgere un ruolo discreto ma importante e che avrebbe sollecitato il regime birmano ad essere più flessibile e più positivo. Vedremo che effetto sortirà.

Ieri, la Presidenza dell’Unione europea ha annunciato che sarebbero state imposte sanzioni più severe nel caso di una reazione violenta. Questa violenza non si è fatta attendere e adesso, se l’Unione europea vuole essere credibile sulla scena mondiale, deve dar seguito a queste sanzioni più severe. Dobbiamo anche far capire che questa volta manterremo la parola e che applicheremo le sanzioni. Non deve ripetersi l’increscioso episodio di maggio, quando il ministro degli Esteri birmano ha potuto partecipare al vertice ASEM in Germania, in flagrante violazione dello stesso divieto imposto dall’Unione europea.

Quando discutiamo delle sanzioni, non possiamo ignorare il fatto che la compagnia petrolifera TOTAL è uno dei pochi investitori rimasti in Birmania. La TOTAL sta direttamente appoggiando la giunta militare, fornendo centinaia di milioni di dollari ogni anno perché il regime mantenga uno dei più grandi eserciti al mondo.

E’ da molto tempo ormai che discutiamo della crisi in Birmania e adesso dipende da noi. Dovremmo ricordare che gli uomini che hanno svolto un ruolo determinante nel massacro dei manifestanti in Birmania 20 anni fa si trovano adesso nelle posizioni chiave del regime. E’ un peccato che in questi anni il Consiglio e la Commissione non abbiano ascoltato con più attenzione il Parlamento riguardo a queste questioni.

Oggi, ancora una volta, presentiamo una risoluzione forte; è breve e molto chiara. Diciamo alle autorità birmane: liberate immediatamente Aung San Suu Kyi, lasciate in pace i manifestanti e convocate un’assemblea nazionale pienamente rappresentativa che comprenda la lega nazionale per la democrazia. Diciamo al Consiglio di sicurezza dell’ONU: riunitevi adesso per affrontare la situazione in Birmania e inviate immediatamente il vostro inviato speciale in quel paese. Diciamo al Consiglio e alla Commissione: parlate con gli USA e con l’ASEAN per preparare una serie di misure coordinate contro il regime birmano, comprese sanzioni economiche, nel caso dovesse rispondere con la violenza e non come vogliamo noi.

 
  
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  Barbara Weiler, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, l’Europa, il mondo intero, guardano la Birmania. Oggi, come ha già detto l’onorevole collega del Regno Unito, per la prima volta è stato sparso sangue e quindi non c’è più nulla da nascondere e questa è una situazione nuova nel dibattito.

Il gruppo socialista inorridisce davanti ai metodi brutali usati dalla giunta militare contro i manifestanti pacifici. Ci aspettiamo che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che si sta riunendo in parallelo, adotti immediatamente misure e faccia pesare la propria influenza, influenza sulla Cina e con la Cina.

Il secondo messaggio che dobbiamo trasmettere oggi deve essere la solidarietà del Parlamento europeo al popolo birmano: la nostra solidarietà, il nostro sostegno e, sì, la nostra ammirazione per il coraggio dei suoi cittadini. I monaci buddisti non sono una piccola minoranza elitaria. Sono parte della cittadinanza e sono sostenuti da migliaia di persone. Chiaramente, le manifestazioni sono state causate dagli aumenti arbitrari dei prezzi, ma è da anni che la giunta viola la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e segnatamente le norme dell’Organizzazione internazionale del lavoro, pratica la tortura e il lavoro forzato.

Nell’era della globalizzazione, l’isolamento non è più un’opzione e questo è un fatto positivo. I diritti democratici fondamentali e il sistema universale dei valori valgono anche nel continente asiatico. Ci aspettiamo che la costituzione, da tempo programmata in Birmania, venga subito inserita nell’ordine del giorno e che la Birmania – come interessantemente farà ben presto la Tailandia – indica elezioni democratiche. In queste regioni è possibile instaurare e attuare regimi democratici.

Naturalmente, oltre all’ONU e all’Europa, i paesi dell’ASEAN devono svolgere un ruolo più attivo, soprattutto perché aspirano a diventare qualcosa di simile all’Unione europea. Le manifestazioni di oggi nelle Filippine sono un segno positivo della solidarietà manifestata nella regione.

Una volta imboccata la strada della democrazia, non è più possibile tornare indietro, nemmeno in Birmania.

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, permettetemi di iniziare inchinando umilmente la testa di fronte all’incredibile coraggio della popolazione birmana che protesta pacificamente in massa contro la dittatura militare del paese.

Oggi il regime ha dato inizio a una violenta repressione e i nostri cuori battono per le sorti della popolazione birmana. L’Unione europea deve protestare con più forza, non solo a parole, ma anche con i fatti. Se il regime insiste con la repressione dobbiamo inasprire le sanzioni e invitare, se non addirittura obbligare, tutte le società che ancora operano in Birmania a cessare le loro attività in quel paese. Anche i paesi dell’ASEAN dovrebbero irrigidire la loro posizione nei confronti della Birmania e l’India e la Cina dovrebbero usare la loro influenza sul regime per sollecitarlo ad avviare un dialogo serio con l’opposizione democratica birmana.

Non solo il regime birmano reprime la popolazione nella sfera politica, l’ha anche gettata nella povertà più assoluta e nell’indigenza, pur essendo un paese che ha tutto il necessario per essere prospero. Le manifestazioni di massa dimostrano sufficientemente che Aung San Suu Kyi non è certo sola e che incarna la speranza della vasta maggioranza dei birmani. Il regime birmano dovrebbe ridarle immediatamente la piena libertà di circolazione e rilasciare i prigionieri politici, compresi quelli rastrellati oggi.

Infine, voglio invitare l’Unione europea a utilizzare al meglio lo strumento di cui disponiamo oggi per promuovere la democrazia e i diritti dell’uomo.

 
  
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  Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare il Presidente in carica e il Commissario, nonché gli onorevoli colleghi per l’impegno sin’ora dimostrato.

Il movimento nazionale per la democrazia in Birmania ha dichiarato 18 anni fa: che cosa ci vuole perché la comunità internazionale convinca le autorità in Birmania ad accettare la democrazia? Dobbiamo essere presi a fucilate per le strade, con le telecamere che trasmettono le immagini, prima che la comunità internazionale reagisca?

Sfortunatamente, la previsione si è avverata. Una parte della società birmana, i monaci e le suore buddiste che conducono una vita di non violenza e di pacifismo, che dedicano il loro tempo agli altri, vengono massacrati nelle strade e intimiditi dal regime militare. E’ un errore pensare che ogni parola pronunciata qui ottenga i fini che vogliamo. E’ altrettanto sbagliato che il mondo abbia taciuto per così tanto tempo; non possiamo più tacere. Come hanno detto alcuni colleghi, spetta a noi usare la nostra influenza non solo sul regime birmano, ma anche sulla Cina, l’India e il Bangladesh, per garantire che le sanzioni e la richiesta di democrazia siano coerenti e vengano osservate.

Dobbiamo agire per condannare la violenza contro le proteste pacifiche, ma dobbiamo anche garantire il nostro sostegno ai manifestanti.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signora Presidente, è ovvio che i recenti avvenimenti in Birmania ci stiano conducendo sempre più vicino a un punto di non ritorno. Credo che le imponenti manifestazioni, non solo di monaci e suore, ma anche di migliaia di persone che hanno appoggiato e continuano ad appoggiare queste proteste, siano un chiaro messaggio per la giunta militare in Birmania e per il mondo intero che i birmani ne hanno abbastanza, che sono stanchi della situazione e che vogliono un cambiamento.

E’ proprio questo desiderio di cambiamento che noi, Unione europea e comunità internazionale in generale, dovremmo sostenere. E’ chiaro che, dopo 30 anni di sanzioni con risultati trascurabili, la politica abbia bisogno di una svolta. E quindi la politica internazionale deve coinvolgere i paesi della stessa regione, non solo la Cina e l’India, come è già stato detto, ma anche il Giappone e Singapore, attuale Presidente dell’ASEAN. Per questo motivo dovremmo celebrare non solo i gesti compiuti dal Consiglio e dalla Commissione ma anche quelli che si stanno facendo in seno all’ONU, per inviare un messaggio chiaro di liberazione degli oppositori politici, in particolare di Aung San Suu Kyi, e soprattutto per compiere un passo in favore della democrazia, alla quale in questo momento non possiamo e non dobbiamo rinunciare.

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signora Presidente, consiglio di stato per la pace e lo sviluppo: questo è il nome ufficiale del regime militare in Birmania. Ora, nella crisi nella quale si trova attualmente il paese, suona come una crudele menzogna.

La giunta ha abusato del potere e ha governato male per decenni. E’ normale che sia estremamente parca con le statistiche. Per inciso, la grande maggioranza della popolazione birmana è vittima di un doppio sfruttamento. Sì, un doppio sfruttamento: all’interno del paese da parte dei governanti militari del paese – chiunque faccia affari in Birmania può operare quasi esclusivamente attraverso l’esercito – e all’esterno da parte della Repubblica popolare cinese, che attua una forma estrema di sfruttamento delle ricchissime risorse naturali agricole di questo stato del sud-est asiatico. I diplomatici a Rangoon arrivano persino a dire: “la Birmania è diventata una provincia quasi cinese”. Nelle scuole al nord, costruite dalla Cina, il mandarino è la prima lingua e l’ora locale ufficiale è quella di Pechino.

Signora Presidente, tutto sommato è difficile distinguere i governanti birmani da quelli cinesi. Chiedo quindi al Consiglio e alla Commissione di essere tra i primi ad affrontare con fermezza i governanti birmani e di Pechino per quanto riguarda la loro comune responsabilità per le sofferenze della popolazione birmana.

 
  
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  Luca Romagnoli, a nome del gruppo ITS. – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, le nostre risoluzioni e le nostre dichiarazioni, quando non rimangono lettera morta o voce flebile al grande orecchio del Consiglio, sono travolte dalla tempestività degli avvenimenti che certo non coincidono e certo non attendono il nostro calendario di plenaria.

Pochi giorni fa abbiamo votato pressoché all'unanimità una risoluzione sulla Birmania, ove i considerando hanno inquadrato le numerose violazioni dei diritti umani in quel paese dell'oggi, omettendo di meglio ricapitolare quanto e come un regime di ispirazione marxista e poi militare, con il noto sostegno della Cina, opprime da decenni un popolo. Non solo opprime, ed è bene ricordare che il regime birmano è un sistema che basa gran parte del suo potere e del suo bilancio sul narcotraffico.

Tengo a sottolineare che a proposito della repressione, della censura e dell'ampio sistema di vessazioni che contraddistingue da anni il regime birmano, non c'è la sola e tante volte osannata signora Aung San Suu Kyi, non ci sono solo giornalisti come U Win Tin o attori come il signor Zaganar o il noto attivista per i diritti civili Win Naing. Vi informo, cari colleghi, che ci sono anche i monaci buddisti, questo lo sapete, ma ci sono soprattutto tante importanti minoranze. Tra queste ve n'è una, in particolare, culturale ed etnica, che non è stata citata nella risoluzione approvata due settimane or sono, quella del popolo Karen. Un popolo che da decenni si rifiuta di omologarsi ad un sistema che impone la sussistenza attraverso prostituzione minorile e coltivazione della droga.

La semplice deplorazione della repressione che il Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo impone alla protesta popolare e la richiesta congiunta di democratizzazione della Birmania, nei fatti, valgono quante le ferme condanne, le richieste di liberazione immediata e incondizionata – io ribadisco ed insisto – e tutto quant'altro ci affanniamo a scrivere, ad implorare o a minacciare senza che poi abbia nei fatti grande seguito!

Persino il presidente degli Stati Uniti Bush, nonostante numerose amenità sostenute davanti all'Assemblea delle Nazioni Unite, fa segnare un punto a suo favore, visto che si è spinto a richiedere l'intervento dell'ONU e ha parlato di un paese diventato regno della paura, ove le libertà fondamentali sono conculcate e le minoranze etniche sono perseguitate, ove lavoro forzato minorile, traffico di esseri umani e stupro sono pratiche comuni. E quindi, Bush ha annunciato l'inasprimento delle sanzioni, così come afferma anche la Presidenza di turno dell'Unione europea.

Bene, speriamo servano, perché se non bastano non sentiremo certo minacciare bombardamenti né sulle basi militari birmane né tanto meno su quelle del loro menzionato partner cinese. Per l'opposizione birmana, è come per la lotta decennale del popolo Karen: molto rumore in Europa e negli Stati Uniti, ma che se la sbrighino da soli in quella terra, per ora non sono a rischio interessi transnazionali, per ora all'Unione europea bastano le solite parole.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. (PT) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, molto brevemente, nel mio intervento iniziale ho cercato, in modo dettagliato ed esauriente, d’informare questo Parlamento delle misure politiche e diplomatiche adottate, dei contatti presi relativamente alla questione birmana, del nostro attento monitoraggio della situazione e di tutto quello che è stato fatto. Desidero riaffermare che la Presidenza portoghese è assolutamente determinata a continuare a seguire da vicino gli sviluppi in Birmania e desidero assicurarvi che la Presidenza proporrà tutte le misure che, a suo parere, dimostrino la nostra inequivocabile solidarietà al popolo birmano e che, al tempo stesso, dimostrino inequivocabilmente alle autorità birmane che ci sarà un prezzo da pagare per un ulteriore deterioramento della situazione nel paese.

 
  
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  Presidente. – Signor Presidente in carica del Consiglio, Lobo Antunes, desidero ringraziarla a nome del Parlamento per essere rimasto con noi tutta la giornata. Voglio che sappia che lo abbiamo rimarcato.

Per concludere la discussione, ho ricevuto sei proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento(1).

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 27 settembre 2007.

(La seduta, sospesa alle 17.40, riprende alle 18.00.)

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Richard Corbett (PSE), per iscritto. – (EN) La Birmania è una delle più lunghe e peggiori dittature al mondo. Ha tenuto il suo popolo in assoluta povertà, in stridente contrasto con il successo economico di molti suoi vicini. La repressione è stata brutale. I contatti con il mondo esterno sono severamente limitati e la situazione sarebbe stata dimenticata non fosse stato per l’eroismo di Aung San Suu Kyi, punto focale delle speranze e delle aspirazioni del popolo birmano. Spero che i prossimi giorni vedano la fine del regime militare senza ulteriore spargimento di sangue e chiedo al Consiglio e all’Alto rappresentante di esercitare tutta la pressione possibile per garantire questo risultato.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) In qualità di relatore del Parlamento sull’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e l’ASEAN, ho detto chiaramente nei miei incontri con i ministri del Commercio e con i funzionari dell’ASEAN che il Parlamento si sarebbe opposto fermamente a ogni concessione all’attuale dittatura militare birmana.

Gli eventi degli ultimi giorni, dove le proteste pacifiche guidate dai monaci buddisti sono state accolte con gas lacrimogeni e proiettili, ha reso ancora peggiore una situazione già terribile.

Ho avuto il privilegio di rendere visita a Aung San Suu Kyi a Rangoon quasi dieci anni fa, quando le condizioni dei suoi arresti domiciliari erano ancora abbastanza rilassate da premetterle di ricevere rare visite. In quell’occasione lei, nella sua qualità di rappresentante e leader della lega nazionale per la democrazia eletta democraticamente e rovesciata dal regime militare, ha detto esplicitamente di volere che l’Unione europea imponesse le sanzioni più severe.

Adesso l’Unione europea e gli Stati membri dovrebbero guidare la richiesta di sanzioni dell’ONU tramite il Consiglio di sicurezza. Né noi, né il popolo della Birmania possiamo aspettare più a lungo.

 
  
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  Jules Maaten (ALDE), per iscritto. – (NL) Si sta compiendo un nuovo dramma in Birmania. La giunta ha scelto lo scontro con migliaia di manifestanti pacifici. E’ estremamente deplorevole, perché è meraviglioso che una popolazione abbia avuto il coraggio di scendere in piazza per opporre resistenza senza l’aiuto esterno. Appoggio il rilascio incondizionato di Aung San Suu Kyi, U Khun Htun Oo, Ko Min Ko Naing e di tutti gli altri prigionieri politici e sostengo rapide riforme democratiche.

La Commissione europea dovrebbe usare al meglio i fondi d’emergenza previsti a titolo dell’obiettivo 1 del bilancio dello strumento per la democrazia e i diritti dell’uomo, in modo che si possa dare sufficiente appoggio ai mezzi d’informazione indipendenti, agli attivisti dei diritti dell’uomo e alle ONG in Birmania.

Un ulteriore inasprimento delle sanzioni economiche sembra inevitabile. Sono favorevole ad unirci alle misure britanniche e americane e ad imporre severe restrizioni alle attività commerciali e alle transazioni finanziarie con la Birmania.

Il Parlamento dovrebbe inviare una delegazione in Birmania per valutare direttamente la situazione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) La situazione in Birmania è estremamente preoccupante. Coloro che protestano contro il regime militare (inclusi i monaci) stanno dimostrando un immenso coraggio. Il regime ha brutalmente represso le precedenti manifestazioni e ha mostrato scarso interesse per il benessere del suo popolo. Dobbiamo massimizzare la pressione internazionale sul regime impegnandoci, tra l’altro, a condurre innanzi al Tribunale penale internazionale i responsabili di qualunque atrocità si verifichi nei prossimi giorni. L’Unione europea deve parlare alla Cina e all’India, che sono in una posizione migliore per far pressione sul regime, e chiedere loro di intervenire per proteggere i manifestanti e aiutare la Birmania a tornare alla democrazia.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  

(1)Vedasi processo verbale.


13. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0316/2007).

Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte al Consiglio.

L’interrogazione n. 1 è stata dichiarata irricevibile (allegato II, parte A, punto 2, del Regolamento).

Annuncio l’

interrogazione n. 2 dell’onorevole Silvia-Adriana Ţicău (H-0597/07)

Oggetto: Prospettive del progetto Galileo

Il progetto Galileo, essendo il risultato della ricerca e della collaborazione in campo spaziale tra gli Stati membri e avendo applicazioni in numerosi settori tra cui quello dei trasporti, riveste un'estrema importanza per l'Unione europea.

Considerando che attualmente il finanziamento di tale progetto si trova ad un punto morto, può il Consiglio far sapere quali misure intende adottare per sbloccare la situazione e quale tipo di cooperazione con i paesi terzi, come l'India, prevede di attuare l'Unione europea ai fini del suddetto progetto?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Come sa l’onorevole deputata, nel corso della riunione tenutasi dal 6 all’8 giungo 2007, il Consiglio ha analizzato a fondo la situazione del progetto Galileo e ha adottato una risoluzione. In questa risoluzione il Consiglio ha invitato la Commissione ad avanzare proposte sui diversi aspetti del progetto Galileo. Nel frattempo, la Commissione ha adottato queste proposte il 19 novembre e adesso speriamo che gli organi competenti del Consiglio le analizzino nella loro totalità con l’intento, entro la fine di quest’anno, di prendere una decisione integrata sull’attuazione del progetto Galileo, inclusi i finanziamenti pubblici e le modalità della partecipazione pubblica.

Riguardo alla cooperazione con i paesi terzi, si deve ricordare che il Consiglio attribuisce la più grande importanza alla cooperazione con i paesi che non appartengono all’Unione europea. Dal 2001, come è noto, sono stati sottoscritti diversi accordi di cooperazione relativi a Galileo con paesi non membri dell’UE, come la Cina, Israele e l’Ucraina. Questi paesi contribuiscono al programma Galileo per quanto riguarda la definizione del sistema, la ricerca e la cooperazione industriale.

Nel caso specifico dell’India, il 7 settembre 2005, a Nuova Dehli, i negoziatori della Commissione e dell’India hanno firmato un accordo di cooperazione. La Commissione ha comunque deciso di continuare le consultazioni con le autorità indiane per allineare questo accordo ai normali accordi di cooperazione CE relativi a Galileo e di tener conto degli ultimi sviluppi di questo progetto. Per quanto attiene alle norme in vigore, il Consiglio deve aspettare la proposta della Commissione prima di prendere una decisione in materia.

Per meglio definire la posizione dei paesi terzi, il 22 marzo di quest’anno il Consiglio ha adottato una decisione che autorizza la Commissione ad avviare negoziati con paesi non membri dell’Unione al fine di siglare intese per una loro partecipazione all’Autorità di vigilanza europea GNSS (GSA) in qualità di membri associati.

L’obiettivo principale di questa decisione è fornire un approccio armonizzato per tutti i paesi che non sono membri dell’Unione europea, definendo chiaramente le modalità della loro partecipazione nell’ambito della GSA.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE). – (RO) Signor Presidente, desidero ringraziare il Segretario di Stato per le informazioni fornite. Vorrei però tornare alla prima parte della mia interrogazione, vale a dire il finanziamento del progetto GALILEO. Vorrei che il Segretario di Stato ci dicesse qualcosa di più riguardo alle effettive modalità di finanziamento del progetto, a come è stata esaminata la proposta della Commissione e alla decisione che prenderà il Consiglio nel periodo successivo.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Non posso prevedere quale sarà la decisione del Consiglio riguardo alle questioni sul tavolo, in particolare quella del finanziamento. Questa questione deve essere ovviamente discussa dal Consiglio, unitamente alle altre questioni contenute nelle più recenti proposte della Commissione. Posso rassicurare gli onorevoli membri del Parlamento di due cose: primo, che la Presidenza capisce che il progetto Galileo è un progetto strategico per l’Unione europea e quindi tratterà il documento in questa prospettiva, in altre parole lo considererà un progetto di interesse strategico per l’Unione europea. In secondo luogo, che la Presidenza farà il possibile per giungere a una conclusione sugli aspetti più importanti del progetto Galileo durante la Presidenza portoghese.

 
  
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  Josu Ortuondo Larrea (ALDE). – (ES) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, condivido anch’io l’idea che Galileo sia un progetto di urgente priorità per l’Unione europea, ma gli agricoltori sono estremamente preoccupati perché la Commissione ha avuto l’idea di usare i fondi eccedentari della politica agricola comune per finanziare il progetto Galileo. Poiché sembra che effettivamente nel 2007 ci siano state delle eccedenze, si preoccupano per il loro futuro.

La mia domanda al Consiglio è la seguente: i diversi governi, i 27 governi, convengono che questo debba essere un progetto prioritario e che i finanziamenti debbano essere stanziati con contributi straordinari, oppure attingendo ai fondi che ogni anno rimangono dal bilancio comunitario?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Grazie signor Presidente, credo di aver già risposto a questa domanda nella mia risposta precedente. La questione del finanziamento è ancora sul tavolo. Il Consiglio deve discuterla perché non è ancora stata presa una decisione in merito. Ovviamente, ci si può aspettare che anche su quest’argomento gli Stati membri abbiano opinioni diverse. Mi sembra, tuttavia, che esista un consenso tra di noi sulla natura strategica di questo progetto.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 3 dell’onorevole Bernd Posselt (H-0599/07)

Oggetto: Riforma costituzionale in Bosnia-Erzegovina.

Coma valuta il Consiglio la situazione delle riforme, in particolare della riforma costituzionale e della riforma degli accordi di Dayton, in Bosnia-Erzegovina e quali azioni intende avviare per il rinnovo e l'integrazione di tale paese?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Onorevoli deputati, l’Unione europea trarrà un bilancio del processo di riforma in corso in Bosnia-Erzegovina nella relazione annuale sui progressi compiuti, prevista come sempre per novembre.

Il Consiglio ha ribadito in diverse occasioni l’importanza di una rapida attuazione delle quattro condizioni essenziali per una conclusione dei negoziati sull’accordo di stabilizzazione e di associazione, così come stabilito nelle conclusioni del Consiglio del 12 dicembre 2005, in particolare l’attuazione della riforma della polizia. Come sapete, negli ultimi mesi la situazione politica è rimasta tesa a causa della radicalizzazione delle posizioni assunte da molti leader politici bosniaci. Al momento sembra estremamente difficile raggiungere un consenso sul programma di riforma, in particolare riguardo alla ristrutturazione delle forze di polizia.

L’Alto rappresentante Solana si è incontrato il 10 settembre con Miroslav Lajčák, Rappresentate speciale dell’Unione europea per la Bosnia-Erzegovina. Durante l’incontro, che si è svolto a Bruxelles, l’Alto rappresentante Solana ha espresso il suo pieno sostegno al lavoro del Rappresentante speciale dell’Unione europea e ai suoi sforzi volti a raggiungere un compromesso sulla riforma della polizia con i leader politici della Bosnia-Erzegovina.

IL Segretario generale e Alto rappresentante Solana, ha esortato i leader bosniaci ad impegnarsi in modo costruttivo sull’ultima iniziativa presentata dal Rappresentante speciale in modo da rimuovere l’ultimo ostacolo che impedisce alla Bosnia-Erzegovina di concludere l’accordo di stabilizzazione e di associazione con l’Unione europea. Egli ha inoltre rivolto un appello alle autorità del paese affinché agiscano con responsabilità, assolvendo gli impegni presi con i cittadini della Bosnia-Erzegovina.

Il Consiglio ha espresso il suo appoggio anche agli sforzi compiuti in Bosnia-Erzegovina in materia di riforma costituzionale allo scopo di creare strutture statali più funzionali è più adatte a raggiungere gli standard europei. Sono necessari ulteriori sforzi per continuare a migliorare l’efficienza degli organi esecutivi e legislativi e dobbiamo anche rafforzare la capacità amministrativa e di coordinamento tra lo stato e i suoi organi.

Nel quadro dello strumento di assistenza preadesione, l’Unione europea ha riservato 1 milione di euro per la riforma costituzionale in Bosnia-Erzegovina. Come saprete, il 7 febbraio 2007 il Consiglio ha anche adottato un’azione comune che modifica e proroga il mandato del Rappresentante speciale dell’Unione europea per la Bosnia-Erzegovina. In virtù di questo mandato modificato, il Rappresentante speciale dell’Unione europea fornirà consigli politici e interporrà i suoi buoni uffici nel processo di riforma costituzionale.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) La Bosnia-Erzegovina avrà un futuro solo se verrà trasformata in una federazione che comprenda le sue tre nazioni a livello paritetico e alla quale appartengano non solo gli erzegovini ma anche i croati della Bosnia centrale. La mia domanda è piuttosto concreta: cosa si può fare quando un’entità dello stato come la Republika Srpska blocca dall’interno la riforma della polizia e il ritorno dei rifugiati, mentre l’Unione europea fa pressione solo dall’esterno su tutto lo stato? Parlate anche con le singole entità ed esercitate pressione su di loro, o questo può essere fatto solo tramite lo stato centrale? Se è così, la cosa diventa molto difficile.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Molto bene. Signor Presidente, onorevole deputato, ciò che posso dire al riguardo è che l’Unione europea farà tutto il possibile, mediante gli strumenti diplomatici disponibili e in particolare tramite le azioni del suo Rappresentante speciale, perché lo stallo attuale nell’ambito delle riforme costituzionali, in particolare nell’ambito della riforma della polizia, possa essere felicemente superato e gli ostacoli incontrati possano essere rimossi. Questo è il nostro impegno.

Naturalmente, anche il Consiglio non rimarrà indifferente alle proposte e ai suggerimenti che verranno avanzati dal Rappresentante speciale in seguito alla sua presenza sul campo. Come gli onorevoli deputati possono immaginare, il Consiglio è ben consapevole della complessità della situazione e in particolare dell’urgente bisogno di superare lo stallo nel quale ci troviamo.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE). – (DE) Come il Segretario di Stato sa, la potenziale adesione all’Unione europea rappresenta per tutti i paesi dei Balcani un enorme incentivo ad attuare riforme politiche ed economiche. In effetti, sono in corso trattative molto intense con la Croazia. Può il Consiglio farci una sintesi del concreto stato di avanzamento dei negoziati con la Croazia e può dirci soprattutto come vengano attuati gli altri accordi di associazione con gli altri paesi e se questi funzionino bene?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Onorevole Seeber, come lei sa, il Consiglio ha ripetutamente e sistematicamente esposto il suo punto di vista e la sua opinione sui processi di adesione e sulle prospettive europee dei diversi paesi, in particolare i paesi dei Balcani. Il Consiglio ha chiaramente affermato che esiste una prospettiva europea per i paesi dei Balcani, e per quanto riguarda uno di questi, la Croazia, siamo già nella fase negoziale per l’adesione di questo paese all’Unione europea.

Ho già affermato in novembre, come sempre, che la Commissione presenterà al Consiglio una comunicazione nella quale renderà conto dello stato dei negoziati con la Croazia e avanzerà le sue proposte.

Sarà il momento giusto per effettuare una revisione dettagliata e aggiornata dello stato dei negoziati di adesione. Nonostante vi possano essere alcune difficoltà, alcuni problemi o ritardi qua e là, secondo il mio personale “assessment” dello stato dei negoziati, mi sembra che questi stiano progredendo a un buon ritmo.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 4 dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0604/07)

Oggetto: Misure per accrescere l’innovazione

Quali iniziative concrete intende proporre la Presidenza portoghese affinché il tasso del 3% di investimento nell'innovazione sia raggiunto?

Quale sarà la partecipazione delle piccole e medie imprese, in particolare di quelle che si trovano nelle regioni di montagna, insulari e lontane, alle azioni volte a promuovere l'innovazione e la ricerca che saranno sovvenzionate?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Come saprà l’onorevole deputata, l’Unione europea non ha attualmente deciso un obiettivo quantificato per gli investimenti nell’innovazione. Un tale obiettivo sarebbe virtualmente impossibile da definire e da mettere in pratica, visto che l’innovazione copre una vasta gamma di attività che sono molto difficili da definire e da misurare.

L’Unione europea ha così optato nel 2002 per l’adozione di un obiettivo quantitativo indicativo per la spesa per la ricerca e lo sviluppo, altrimenti noto come R&S. Questo è il ben noto obiettivo di Barcellona del 3%. E’ stato possibile fissare questo obiettivo perché le azioni di R&S, che internazionalmente sono definite nel manuale di Frascati dell’OCSE, sono più facilmente misurabili e quantificabili.

E’ da notare che questo obiettivo è stato recentemente usato come indicatore di riferimento preferenziale in ragione delle difficoltà incontrate negli ultimi anni ad aumentare gli sforzi privati di R&S nei segmenti significativi del settore imprenditoriale.

Ciononostante, l’azione di promozione dell’innovazione e della ricerca è una priorità molto importante della politica dell’Unione europea. E’ stata portata avanti con l’ausilio di diversi strumenti, come segnatamente il programma quadro e il PCI, ossia il programma quadro per la competitività e l’innovazione, e facendo ricorso anche a fondi strutturali.

Il settimo programma quadro e il PCI sono stati concepiti tenendo conto delle esigenze delle PMI, che sono le principali beneficiarie del PCI. Nel settimo programma quadro è stata introdotta una quota minima del 15% per la partecipazione delle piccole e medie imprese nelle attività di ricerca incluse nelle priorità tematiche previste dal programma specifico sulla “cooperazione”.

E’ da notare che l’appoggio del settimo programma quadro alle piccole e medie imprese può contribuire ad aumentare la loro competitività e il loro potenziale di innovazione. Le regioni di montagna, insulari e lontane ricevono appoggio dai Fondi strutturali e sono inoltre sostenute mediante le priorità tematiche pertinenti del programma specifico sulla “cooperazione” del settimo programma quadro, in particolare per quanto riguarda il miglioramento della loro situazione in materia di trasporto, informazione, comunicazione e approvvigionamento di energia.

Ai sensi del programma specifico “capacità”, si dovrà sbloccare il potenziale di ricerca delle regioni di convergenza e ultraperiferiche dell’Unione. Oltre ai programmi e agli incentivi in vigore, l’innovazione sarà anche promossa attraverso una serie di iniziative che sono in corso di negoziazione preso il Parlamento europeo e il Consiglio, come la proposta di creare un Istituto europeo per l’innovazione e la tecnologia, l’iniziativa EUROSTARS, che vedrà attivamente implicate le piccole e medie imprese innovative, altre iniziative ai sensi dell’articolo 169 del Trattato CE e iniziative tecnologiche comuni previste dall’articolo 171 del Trattato CE.

E’ da aggiungere che la Commissione sta elaborando una proposta, che intende presentare entro la fine del 2007, relativa a un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (piano SET), basandosi su una vasta consultazione pubblica. Sulla stessa linea, vorrei anche sottolineare il nuovo approccio della politica industriale che, nell’ottica dello sviluppo sostenibile, si concentra sui cambiamenti climatici nei quali l’innovazione e il ruolo delle piccole e medie imprese nell’economia europea sono aspetti fondamentali.

In tutte queste iniziative le piccole e medie imprese svolgeranno un ruolo molto importante, poiché alcune di queste iniziative sono dirette anche ad interessi particolari delle regioni menzionate dall’onorevole deputata, come l’iniziativa “bonus” che è già programmata e che servirà a coordinare la ricerca marina nella zona del Mar Baltico.

La Presidenza portoghese è attenta al perseguimento dell’obiettivo del 3% nella spesa per la R&S ed evidenzia la discussione che si è svolta nell’ambito del Consiglio informale “Competitività”, tenutosi a Lisbona in luglio, durante la quale sono stati analizzati il ruolo degli investimenti pubblici e privati nell’ambito della R&S e le misure politiche pubbliche in grado di contribuire al conseguimento di tale obiettivo.

Il Consiglio informale al quale mi riferisco ha anche affrontato la politica delle piccole e medie imprese, con particolare impatto sull’innovazione e il finanziamento e sull’internazionalizzazione e l’efficienza energetica.

Inoltre, sottolineando la necessità di misure specifiche per quanto riguarda le risorse umane nel campo della scienza e della tecnologia e la necessità di un rafforzamento delle misure nell’ambito della società dell’informazione, la Presidenza portoghese spera anche di contribuire all’instaurarsi di condizioni favorevoli a un aumento degli sforzi di ricerca, di sviluppo e di innovazione in tutta l’Unione europea.

 
  
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  Maria Panayotopoulou-Kassiotou (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, desidero chiedere al rappresentante del Consiglio, che ringrazio per la risposta, se le infrastrutture degli Stati membri e lo stato di avanzamento di una buona governance consentano di realizzare quest’ambizioso programma per l’innovazione. Gli Stati membri sono soggetti a controlli qualora attuino uno degli schemi di sostegno nel quadro del programma per l’innovazione?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Spero di aver capito bene la domanda dell’onorevole parlamentare. Se così non fosse, desidero ovviamente essere corretto e delucidato sull’esatto senso della domanda.

Vorrei dire quanto segue: come sa l’onorevole deputata, tutte queste questioni sono strettamente collegate alla strategia di Lisbona e in particolare alla strategia di Lisbona nel suo aspetto “economico”.

Attualmente stiamo valutando i vari aspetti del nuovo ciclo della strategia di Lisbona. Uno dei punti che dobbiamo valutare e discutere è proprio il ruolo che svolgono gli Stati membri nel conseguimento delle mete e degli obiettivi proposti in quest’ambito. In particolare ciò riguarda le misure relative all’innovazione e allo sviluppo delle piccole e medie imprese e, naturalmente, nel capitolo relativo alla loro gestione, anche il modo in cui possiamo raggiungere questi obiettivi.

Noi crediamo che i governi e gli Stati membri abbiamo qui un ruolo fondamentale da svolgere ed è ovviamente utile per la Commissione seguire da vicino il modo in cui gli Stati membri sviluppano e adottano le loro politiche per raggiungere gli obiettivi fissati.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (PSE). – (EN) Signor Presidente in carica, nel rispondere a questa domanda lei ha parlato di efficienza energetica e penso che questa sia l’impostazione giusta. Ieri il Commissario Potočnik ha anche sottolineato che la priorità numero uno è l’efficienza energetica e la lotta al cambiamento climatico. Vorrei chiederle: quali sono le ulteriori misure che il Consiglio può adottare al fine di mobilitare tutta l’attenzione e tutte le risorse necessarie per risolvere il problema cruciale dell’efficienza e del cambiamento climatico?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Come l’onorevole deputato sa, in marzo il Consiglio ha adottato un programma che è considerato il programma più importante a livello mondiale, sia per le questioni riguardanti l’energia sia per quelle riguardanti il cambiamento climatico. Noi dell’Unione europea avremo una responsabilità per così dire quasi storica alla conferenza di Bali, che dovrebbe fissare, speriamo, nuovi obiettivi in termini di emissioni di CO2 per il dopo Kyoto nel 2012. L’Unione europea avrà chiaramente la responsabilità di sostenere e/o incoraggiare la comunità internazionale a porsi gli stessi obiettivi ambiziosi che noi ci siamo posti.

Quindi, onorevole Paleckis, abbiamo già un programma molto ambizioso da attuare in tutta l’Unione europea. Tra le questioni specifiche dell’energia, quella relativa all’“energy saving”, cioè al risparmio energetico, è all’ordine del giorno sia a livello di Unione europea sia a livello dei singoli Stati membri. Posso dirle che per il Portogallo – e ne ho esperienza diretta – si tratta di una materia estremamente importante, alla quale abbiamo dedicato moltissimi sforzi. E’ stato fatto riferimento anche alla questione degli investimenti nelle nuove tecnologie nel settore dell’energia e agli investimenti nelle scienze che hanno a che vedere con le fonti alternative di energia.

Abbiamo molto da fare. Speriamo che ciò che dobbiamo fare possa esser fatto presto e bene e, naturalmente, dobbiamo concentrarci sin da ora sull’ambizioso programma per l’energia e il cambiamento climatico che abbiamo concordato.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Oggi, in questo Parlamento abbiamo tenuto una votazione sullo IET e siamo de facto d’accordo che questo debba avere la priorità assoluta. Quando pensa che la Presidenza portoghese sarà in grado di presentare una proposta di finanziamento da attuarsi congiuntamente al Parlamento il più rapidamente possibile? Pensa che lo IET abbia un ruolo da svolgere nella mid-term review e nell’health check?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Onorevole Rübig, devo dirle – con il suo permesso, signor Presidente – devo dirle che l’Istituto europeo di tecnologia, il suo lancio effettivo e la sua effettiva entrata in funzione sono una priorità per la Presidenza portoghese. Faremo quindi il possibile per garantire che sia istituito prima della fine della Presidenza portoghese.

Naturalmente, è la Presidenza che agisce e propone ma sono le Istituzioni dell’UE che devono adottare le proposte avanzate dalla Presidenza. Posso garantire che la Presidenza cercherà di agire il più rapidamente possibile. Chiaramente, non possiamo ignorare il fatto che vi siano altri temi e altre questioni che sono di responsabilità del Consiglio nel suo insieme e delle Istituzioni.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 5 dell’onorevole Dimitrios Papadimoulis (H-0605/07)

Oggetto: Sviluppi in Kosovo

Nel corso di un incontro avuto con il Segretario generale dell'ONU il 10 luglio 2007, il Segretario generale del Consiglio, Javier Solana, ha dichiarato quanto al Kosovo che "… un ulteriore ritardo in merito non sarebbe vantaggioso". Inoltre, l'agenzia francese di informazioni, riferendosi a fonti diplomatiche, cita che "Bruxelles esamina più seriamente l'eventualità di riconoscere il Kosovo ma nel modo più organizzato possibile".

Come commenta il Consiglio gli sviluppi al riguardo? Può smentire categoricamente l'eventualità di un riconoscimento unilaterale che anticipi addirittura le pertinenti procedure dell'ONU?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, onorevoli deputati, come sapete il 18 giugno 2007 il Consiglio ha ribadito di ritenere che la proposta complessiva presentata dal Presidente Marti Ahtissari, inviato speciale delle Nazioni Unite, fornisca le basi per la soluzione della questione del Kosovo mediante una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU e ha dichiarato di essere disposto ad appoggiare ogni ulteriore sforzo per garantire che il Consiglio di sicurezza dell’ONU possa tempestivamente adottare questa risoluzione.

Come sapete, le consultazioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU su una nuova risoluzione sono attualmente sospese, ma il Consiglio di sicurezza è molto attento alla questione. In una dichiarazione dell’agosto di quest’anno, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha messo in risalto l’iniziativa del gruppo di contatto in vista dell’avvio di nuovi negoziati tra Pristina e Belgrado sotto la guida di una troika composta dai rappresentanti dell’Unione europea, della Federazione russa e degli Stati Uniti. Il Segretario generale ha chiesto al gruppo di contatto di riferirgli entro il 10 dicembre. L’intenzione di questa nuova fase di negoziati è che la troika svolga un ruolo facilitatore e le parti propongano nuove idee.

Come sapete, il 29 luglio 2007 il Segretario generale e Alto rappresentante Solana, ha nominato l’ambasciatore Wolfgang Ischinger rappresentante dell’Unione europea presso la troika. Fino ad ora la troika si è riunita con le parti separatamente, il 10 e l’11 agosto a Belgrado e a Pristina, il 30 agosto a Vienna e il 18 e il 19 settembre a Londra. Nella riunione del gruppo di contatto a livello ministeriale che si svolgerà il 27 settembre a New York a margine dell’Assemblea generale, i ministri discuteranno lo stato dei negoziati e dovranno rilasciare una dichiarazione per dare un impulso significativo a questo processo. Il 28 settembre, sempre a New York, si terranno altre riunioni separate tra la troika e le parti, seguite possibilmente da un primo incontro diretto tra le parti lo stesso giorno.

Come ha evidenziato l’Alto rappresentante Solana, adesso è indispensabile che le parti cooperino in modo costruttivo a questo processo e che conducano negoziati concreti. A conclusione del processo della troika, il Segretario generale dell’ONU dovrà presentare al Consiglio di sicurezza una relazione su questa questione. Come potete capire, a questo punto è ancora troppo presto per prevedere i risultati di questo processo.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, appena ieri Condoleezza Rice ha detto che il Kosovo diventerà indipendente. Lo scenario statunitense è chiaro: una dichiarazione unilaterale di indipendenza entro dicembre e un immediato riconoscimento da parte degli USA.

Qual è la posizione del Consiglio riguardo a questo modo di agire? Vi preoccupa un’ulteriore destabilizzazione della regione ad opera del nazionalismo albanese? Il Consiglio intende agire in modo unito, percettivo e uniforme?

Ho letto nel New York Times che i diplomatici europei stanno accelerando per prevenire la posizione del Consiglio, che seguirà servilmente quella degli Stati Uniti. Perché non ci riferite cosa dicono i diplomatici in seno al Consiglio? Vorremmo una risposta chiara.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Non ho letto né sentito le dichiarazioni dell’onorevole Riis-Jørgensen e quindi non vorrei commentarle direttamente. Direi però quanto segue: adesso abbiamo un processo da seguire, un processo che è guidato dalla troika composta dai rappresentanti dell’Unione europea, della Federazione russa e degli Stati Uniti.

Lasciamo che la troika svolga il suo lavoro, ed è bene che ciò avvenga in un clima di tranquillità e di confidenzialità. Per quanto riguarda l’Unione europea, il lavoro di questa troika ha ovviamente tutto il nostro sostegno. Inoltre, questa troika ha il mandato molto chiaro di presentare in dicembre una relazione che conterrà le conclusioni e molto probabilmente le raccomandazioni risultanti dal lavoro dei prossimi mesi. Noi ci auguriamo quindi, come ho detto, che si concluda questo lavoro, che venga pubblicata la relazione e che siano rese note le raccomandazioni formulate dalla troika.

In particolare, per l’Unione europea è di fondamentale importanza, a prescindere dalle conclusioni o dalle raccomandazioni o dalle prospettive per il futuro del Kosovo formulate nella relazione della troika, che l’Unione europea rimanga unita e coesa qualunque siano le decisioni che vadano prese. Questo è sempre stato l’appello della Presidenza portoghese e siamo fiduciosi che questo appello venga ascoltato.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente in carica, lei sa che l’onorevole Papadimoulis qui è completamente isolato? Conosce la risoluzione adottata da questo Parlamento, nella quale una maggioranza del 75% dei membri ha detto che siamo favorevoli al piano Ahtisaari-Rohan e che siamo inequivocabilmente favorevoli ad una sovranità sotto sorveglianza internazionale? Lo sa che abbiamo escluso in modo netto la possibilità di una divisione del Kosovo? Desidero anche chiederle cosa lei pensi di queste voci e di queste dicerie su una divisione del Kosovo, che è stata di fatto esclusa sia dal gruppo di contatto sia da questo Parlamento.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) La questione della divisione o partizione del Kosovo non figura in alcun modo né nell’ordine del giorno, né nel programma di lavoro della troika.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 6 dell’onorevole Philip Claeys (H-0611/07)

Oggetto: Candidatura del Kazakistan alla presidenza dell'OSCE

A quanto si apprende, il Kazakistan ha avanzato la propria candidatura alla Presidenza dell'OSCE nel 2009. Il ministro degli Affari esteri del paese che esercita la presidenza rappresenta l'organizzazione e ne coordina tutte le attività.

Il Kazakistan è notoriamente un paese che non ha mai tenuto elezioni che fossero conformi alle norme internazionali e nel quale la situazione dei diritti dell'uomo è particolarmente insoddisfacente.

In ambito OSCE, gli Stati membri dell'Unione europea molto spesso agiscono come un blocco. Sicuramente in una questione così fondamentale - un paese non democratico che vuole imporsi alla presidenza dell'OSCE - ci si deve attendere l'unanimità. La decisione definitiva sarà presa in novembre.

Può far sapere il Consiglio se all'interno del Consiglio "Affari generali" esiste un consenso quanto all'inaccettabilità della candidatura del Kazakistan? Gli Stati membri presenteranno un fronte unito?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Grazie, signor Presidente, onorevoli parlamentari. L’Unione europea non ha ancora preso una decisione sulla candidatura del Kazakistan alla presidenza dell’OSCE nel 2009. Per come vede le cose l’Unione europea, questa candidatura sottolinea la necessità che il Kazakistan prosegua le riforme e rispetti le regole e gli obblighi dell’OSCE in tutte le loro dimensioni. Il Consiglio ha ripetutamente affermato che qualsiasi paese che eserciti la presidenza dell’OSCE deve rispettare i principi di quest’organizzazione.

Nelle riunioni con le autorità politiche del Kazakistan, l’Unione europea, il Consiglio e la Commissione hanno sottolineato che il Kazakistan deve dimostrare di essere realmente pronto e in grado di impegnarsi alla piena osservanza delle regole e degli obblighi dell’OSCE in tutte e tre le dimensioni, vale a dire la dimensione umana, la dimensione politica e militare e la dimensione economica e ambientale.

 
  
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  Koenraad Dillen (ITS), in sostituzione dell’autore. – (NL) Grazie per la sua risposta, Ministro Antunes. Posso dedurne che lei sottintenda che il Kazakistan al momento non soddisfa queste condizioni?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Desidero commentare, perché l’onorevole deputato ha dedotto da ciò che ho detto qualcosa che non è esattamente ciò che ho detto. Ho detto che non è stata presa una decisione sulla candidatura del Kazakistan e che una decisione sulla candidatura del Kazakistan terrà conto, a tempo debito, dell’ottemperanza del Kazakistan alle condizioni che ho citato. Quest’analisi e questo dibattito si terranno nel luogo e al momento opportuno.

 
  
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  Presidente. − Poiché l’autore non è presente, l’interrogazione n. 7 decade.

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interrogazione n.8 dell’onorevole Robert Navarro (H-0616/07)

Oggetto: Pesca al tonno rosso nel Mediterraneo

L’11 giugno 2007 il Consiglio ha approvato il regolamento (CE) n. 643/2007(1) recante modifica del regolamento (CE) n. 41/2006 relativamente al piano di ricostituzione delle riserve di tonno rosso raccomandato dalla Commissione internazionale per la conservazione dei tonni dell'Atlantico. Alla lettura del testo appare che il principio di equità tra i pescatori di tonno rosso nell'Unione europea non è rispettato. Il peso minimo dei pesci catturati e i periodi di pesca differiscono a seconda delle zone geografiche.

Quali sono le ragioni che spiegano le differenze di trattamento tra i pescatori del Mediterraneo e quelli dell'Oceano Atlantico orientale?

Le restrizioni richieste ai pescatori francesi di tonno rosso del Mediterraneo rischiano di sconvolgere gravemente l'equilibrio socioeconomico del settore. Al di là del limite di 30 kg imposto dal nuovo regolamento, i tonni sono difficili da vendere. Il periodo di pesca accorciato di due settimane implica una forte riduzione del fatturato per i pescatori. Un migliaio di marittimi e le loro famiglie sono direttamente colpiti.

In che cosa la pesca del tonno rosso nel Mediterraneo sarebbe più dannosa di quella dell'Atlantico orientale?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Grazie, signor Presidente, onorevole Navarro. A nome del Consiglio desidero ringraziare l’onorevole deputato per la sua interrogazione sul piano di ricostituzione delle riserve di tonno rosso. Questo piano è stato elaborato in seguito al parere degli scienziati dell’ICCAT, che raccomanda un’azione immediata e forte destinata a evitare l’attuale collasso della popolazione di tonno rosso nel Mediterraneo e nell’Atlantico orientale. Nel corso della riunione annuale tenutasi a Dubrovnik nel novembre 2006, l’ICCAT ha adottato una raccomandazione che mira ad attuare un piano di ricostituzione per il tonno rosso nell’arco di 15 anni. Di conseguenza, l’Unione europea, in qualità di membro dell’ICCAT, ha accettato l’obbligo internazionale di trasporre questo piano di ricostituzione nel diritto comunitario.

In termini commerciali, le conseguenze di una totale non conformità a questo obbligo sarebbero gravi per la posizione dell’Unione europea nei mercati asiatici. Quest’obbligo è stato soddisfatto con l’adozione del regolamento del Consiglio (CE) n. 643/2007 recante modifica del regolamento TAC e contingenti. Basandosi sulla proposta della Commissione, il Consiglio sta valutando la regolamentazione necessaria per applicare il piano in modo permanente per altri 14 anni a partire dal 1° gennaio 2008. Le regole sono applicabili in modo diverso nelle varie zone in modo da riflettere le rispettive differenze in termini di tipi di pesca, di livelli di attività e di situazione delle unità di popolazione. Va ricordato che questa pesca varia tra pesca industriale altamente tecnologica e pesca tradizionale non industriale.

Il gruppo dell’ICCAT ha definito il piano basandosi su pareri scientifici che hanno stabilito determinate distinzioni tra il Mediterraneo e l’Atlantico orientale. Il Consiglio è pertanto dell’avviso che l’ICCAT abbia cercato di seguire questo parere scientifico, differenziando contemporaneamente gli elementi del piano di ricostituzione per attenuarne le conseguenze socioeconomiche.

Il Consiglio è pienamente consapevole del fatto che questo importante piano di ricostituzione avrà ripercussioni socioeconomiche per le comunità di pescatori interessate. Queste ripercussioni si farebbero sentire anche nel caso che le popolazioni di tonno rosso dovessero subire un nuovo collasso. Nel corso dei negoziati per l’adozione del regolamento (CE) n. 643/2007, il Consiglio e la Commissione hanno convenuto d’introdurre una disposizione che assicuri il riconoscimento del piano di ricostituzione da parte del Fondo europeo per la pesca. Questo permetterà agli Stati membri di utilizzare parte delle loro risorse disponibili a titolo del Fondo per mitigare gli effetti economici sulle comunità di pescatori colpite. E’ previsto che questa disposizione rimanga in vigore fino al 31 dicembre 2014.

 
  
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  Josu Ortuondo Larrea (ALDE), in sostituzione dell’autore. – (ES) Signor Presidente, intervengo ora a nome dell’onorevole Navarro e vorrei in seguito formulare una domanda a mio nome, o piuttosto riformulare una domanda.

La domanda a nome dell’onorevole Navarro è la seguente: l’articolo 23(4) del regolamento del Consiglio (CE) n. 2371/2002, che prevede un piano di ricostituzione del tonno rosso, permette che si possano detrarre dalle future possibilità di pesca le eccedenze prodotte da uno Stato membro rispetto alla quota annuale. Ciò che le chiedo è questo: cosa succederà a coloro che quest’anno hanno pescato meno della loro quota annuale, giacché la Commissione ha decretato la chiusura della pesca la settimana scorsa?

 
  
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  Presidente. − Onorevole Ortuondo, non le posso dare la parola perché ci sono già due oratori iscritti. Le darò comunque altri 15 secondi se vuole formulare la sua domanda immediatamente perché, ai sensi del Regolamento, non posso permettere tre domande complementari. In via del tutto eccezionale, e con la tolleranza di tutti i presenti, le permetto di continuare per altri 15 secondi.

 
  
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  Josu Ortuondo Larrea (ALDE). (ES) Signor Presidente, con il suo permesso e ringraziandola per la sua indulgenza, vorrei anche chiedere alla Presidenza del Consiglio come potrà essere applicato il regolamento (CE) n. 2371/2002 se gli Stati membri non hanno cooperato con la Commissione e non le hanno inviato la documentazione obbligatoria sulle catture effettuate durante la campagna di pesca di quest’anno.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) L’onorevole deputato mi ha rivolto delle domande, una delle quali è molto specifica e dettagliata. Cercherò di rispondere meglio che posso, ma credo sinceramente che la prima domanda riguardi direttamente la Commissione e che sarebbe quindi preferibile indirizzarla a lei. Credo che la Commissione, meglio del Consiglio, possa fornirle i chiarimenti richiesti.

Per quanto riguarda la sua seconda domanda sulla presunta mancanza di cooperazione con la Commissione da parte degli Stati membri, ovviamente se questo è vero allora spetta alla Commissione stessa analizzare la situazione e trovare il modo migliore per obbligare, in un certo senso, gli Stati membri a rispettare ciò che loro stessi hanno stabilito. E’ per questo motivo, ovviamente, che ritengo che sia meglio indirizzare la domanda alla Commissione piuttosto che al Consiglio.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE). – (DE) Vorrei chiedere alla Presidenza come affronta il fenomeno del cambiamento climatico in relazione alle quote di pesca. Sappiamo tutti che il cambiamento climatico è mitigato attualmente dal grande assorbimento di calore degli oceani: l’80% dell’energia viene ancora assorbito dal mare. Però si deve anche presumere, naturalmente, che in futuro si produca un massiccio riscaldamento dell’ambiente marino. Come pensa la Presidenza di assicurare che si tenga debito conto di queste nuove scoperte scientifiche e che si prenda in considerazione l’ambiente acquatico nel fissare le quote di pesca?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Ritengo che anche questa domanda debba essere indirizzata alla Commissione e non al Consiglio, perché la Commissione ha in questa materia un ruolo guida e fondamentale. Posso dire all’onorevole deputato, come ho già detto, che le questioni ambientali, e in particolare quelle relative al cambiamento climatico, figurano nell’ordine del giorno della Presidenza e del Consiglio come temi prioritari. Dovremo affrontare una grande sfida dopo la conferenza di Bali, alla fine di quest’anno, e speriamo che alla fine di tutto questo processo sia possibile fissare nel 2009 nuovi obiettivi per le emissioni di CO2.

 
  
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  Rosa Miguélez Ramos (PSE). (ES) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, anch’io vorrei fare alcune osservazioni riguardo al tema del tonno rosso e più specificatamente sulla chiusura della pesca decretata recentemente dalla Commissione, perché le quote assegnate all’Unione europea sono state superate.

Dalle informazioni forniteci dalla Commissione si evince che quando è stata chiusa la pesca alcuni Stati membri, tra cui la Spagna e il Portogallo, avevano effettuato catture inferiori alle loro quote, mentre altri Stati, come la Francia e l’Italia, avevano superato le loro, anzi le avevano raddoppiate, ponendo così l’Unione europea nella situazione a dir poco imbarazzante di aver violato le regole internazionali.

La mia domanda, rivolta al Consiglio, è la seguente: che misure può adottare il Consiglio per compensare gli Stati che non hanno esaurito le loro catture mediante deduzioni agli Stati che hanno superato le quote loro assegnate? Può il Consiglio far questo?

E un’altra domanda: cosa intende fare il Consiglio? Che misure adotterà per garantire che questo tipo di situazione non si ripeta?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Signor Presidente, onorevole Miguélez, ancora una volta devo dire che queste domande vanno indirizzate alla Commissione. E’ la Commissione che è naturalmente competente per rispondere alle domande che mi avete appena rivolto.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 9 dell’onorevole Chris Davies (H-0617/07)

Oggetto: Pubblicità del lavoro legislativo dell'UE

È il Consiglio a conoscenza di conseguenze negative della sua decisione del giugno 2006 di trasmettere sul suo sito web le sue riunioni in cui i ministri discutono misure legislative?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) In risposta all’interrogazione dell’onorevole deputato, la Presidenza rimanda alla relazione sull’attuazione della politica globale in materia di trasparenza, presentata al Consiglio dalla precedente Presidenza finlandese l’11 dicembre 2006 e contenente l’ultima valutazione realizzata dal Consiglio sull’impatto delle nuove misure in materia di trasparenza sull’efficacia del lavoro del Consiglio. Secondo le conclusioni preliminari di questa relazione, anch’essa preliminare, prima della fine del 2007 dovrebbe essere effettuata una valutazione più circostanziata degli effetti delle nuove misure in materia di trasparenza, quando sarà stata acquisita una maggiore esperienza pratica per quanto riguarda la loro attuazione e l’impatto sul lavoro del Consiglio.

Posso dirle che nel primo semestre del 2006 vi è stato un totale di 98 delibere e dibattiti pubblici, conformemente alle conclusioni del Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 e all’articolo 8 del regolamento interno del Consiglio.

 
  
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  Chris Davies (ALDE). – (EN) Apprezzo la risposta del Presidente in carica e sono molto lieto che il Consiglio abbia preso la decisione di organizzare la trasmissione di questi lavori in anticipo rispetto ad ogni disposizione contenuta nel Trattato di riforma.

Prendo atto della risposta del Presidente in carica che prima della fine del 2007 sarà effettuata e pubblicata un’analisi che, spero, indicherà come poter estendere i principi di apertura e di trasparenza in questo ambito. Può il Presidente in carica confermare che quest’analisi verrà effettivamente pubblicata prima dello scadere del suo mandato?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Ciò che posso confermare e assicurare è che questo tema sta a cuore alla Presidenza portoghese e che faremo tutto il possibile per far avanzare questo processo. Non posso in questo momento garantire date precise al riguardo, ma posso garantire che la Presidenza portoghese è interessata e impegnata a far avanzare la questione della trasparenza.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 10 dell’onorevole Ryszard Czarnecki (H-0620/07)

Oggetto: Situazione in Afghanistan

Quale ruolo vede il Consiglio per l'UE nella stabilizzazione della situazione in Afghanistan, dove sono di stanza truppe di taluni Stati membri UE?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) L’approccio dell’Unione europea si basa essenzialmente su uno stretto coordinamento. Sul piano interno è stata data particolare attenzione alla necessità di garantire la complementarietà e il rafforzamento reciproco delle azioni della Comunità europea, del Consiglio e degli Stati membri. Sul piano esterno, l’Unione europea è stata uno dei principali membri del Consiglio comune di sorveglianza e di coordinamento, istituito in virtù dell’accordo per l’Afghanistan del 2006.

La decisione del Consiglio del 12 febbraio 2007 di proseguire con la missione the pairs in Afghanistan deve essere inquadrata nel contesto di questa strategia più ampia. L’EUPOL è attualmente in fase di progettazione. Con questa missione, l’Unione europea manifesta la sua intenzione di svolgere un ruolo più attivo nell’ambito delle operazioni di polizia in relazione alla questione più ampia dello Stato di diritto. Questa missione collima naturalmente con l’impegno della Commissione a riformare il settore della giustizia. Tutti questi sforzi hanno l’obiettivo comune di rafforzare la sovranità delle istituzioni afghane.

Dal 2001 l’Afghanistan ha compiuto progressi significativi, come la creazione di istituzioni politiche rappresentative, la libertà di stampa, la creazione di istituzioni nel settore della sicurezza, il miglioramento della sanità e dell’istruzione, della situazione dei diritti dell’uomo e dello status delle donne, la nomina di una corte suprema funzionale e l’istituzione di un gruppo consultivo per la nomina di alti funzionari. L’Unione europea ha svolto un ruolo fondamentale in questo processo e ha già contribuito con 3,7 miliardi di euro dal 2002. L’Unione europea continua a profondere gli sforzi per garantire che il suo aiuto allo sviluppo raggiunga l’Afghanistan in tutte le parti del territorio.

La maggior importanza oggi attribuita alla governance e allo Stato di diritto è destinata a rafforzare l’azione anche in altri campi. La Commissione ha elaborato alcuni programmi nell’ambito dello sviluppo rurale, della salute e della governance e darà il suo appoggio finanziario ad alcune attività civili condotte dagli Stati membri mediante squadre provinciali di ricostruzione. L’Unione europea crede fermamente che, come affermato dal Consiglio europeo il 14 dicembre 2006, la sicurezza e lo sviluppo dell’Afghanistan siano interdipendenti. E’ per questo che l’Unione europea ha sempre mantenuto il suo impegno a lungo termine nei confronti dell’Afghanistan attraverso una strategia forte ed equilibrata.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (UEN). – (PL) Grazie, Presidente Antunes, per questo chiarimento. Volevo solo far riferimento a una questione chiave attinente alle dichiarazioni rese di fronte alla commissione parlamentare degli affari esteri dai rappresentanti della Commissione europea attivi in Afghanistan.

Volevo sapere se il Consiglio intenda aumentare l’aiuto umanitario in Afghanistan e intensificare gli sforzi per ricostruire la società civile. A mio avviso, in Afghanistan occorre molto più che una presenza militare. Il mio paese è comunque presente sul terreno in Afghanistan, ciò che sta a dimostrare un certo desiderio di ottenere stabilità in quella regione.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Convengo con l’onorevole deputato: promuovere la sicurezza e la stabilità in termini militari in Afghanistan è fondamentale, ma questa è solo una parte di ciò che dobbiamo fare in quel paese. Dobbiamo anche adoperarci per rafforzare le istituzioni democratiche in Afghanistan e dobbiamo concentrarci sulla componente della “società civile afghana”. Dobbiamo investire nella sanità, nell’istruzione e nella formazione. Naturalmente, dobbiamo anche continuare a conquistare i cuori della popolazione afghana.

E’ per questo che abbiamo una strategia con due componenti, una delle quali è la componente militare, che implica sicurezza e stabilità sul terreno. Senza la sicurezza, senza la stabilità sul terreno non può esservi pace e certamente non può esservi sviluppo economico e sociale. Dobbiamo perciò garantire questo aspetto e, al tempo stesso, agire e investire nella società civile afghana e nelle istituzioni democratiche afghane. La cosiddetta ricostruzione della capacità amministrativa dello stato afghano.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) La stabilità economica in Afghanistan è il presupposto fondamentale per una democrazia che funzioni e per la pace nel paese. Nell’Unione europea abbiamo l’agenda di Oslo per l’educazione all’imprenditorialità per le PMI, per la creazione di nuove imprese e anche per favorire la mentalità imprenditoriale e per promuovere le esportazioni e le importazioni. Pensa sia possibile attuare questa agenda di Oslo anche in Afghanistan?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Onorevole Rübig, credo che dobbiamo investire in tutti i settori della società afghana, come ho appena detto. Chiaramente, in un paese come l’Afghanistan, con le difficoltà del momento in materia di sicurezza, le difficoltà economiche e la sua struttura sociale particolare, penso che le piccole e medie imprese possano svolgere un ruolo molto importante.

Mi sembra quindi che questo sia veramente un settore nel quale, dal punto di vista della formazione del tessuto economico e sociale dell’Afghanistan, possiamo e dobbiamo investire. Si può ovviamente discutere su come usare in concreto lo strumento finanziario, ma chiaramente nessuno si aspetta, almeno non adesso, che si impiantino grandi imprese in Afghanistan. Non è il momento adatto.

Credo che per rivitalizzare il tessuto economico afghano sia particolarmente necessario concentrare i nostri sforzi sulla qualificazione, sulla formazione e, al tempo stesso, sulle piccole e medie imprese.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 11 dell’onorevole Eoin Ryan (H-0625/07)

Oggetto: Reazione dell'UE per bloccare il crimine organizzato in Europa

Il Consiglio europeo può dichiarare qual è l'entità del crimine organizzato in Europa attualmente e quali iniziative coordinate sono poste in atto a livello UE per combattere la crescente minaccia dell'attività della criminalità organizzata?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Il Consiglio invita l’onorevole deputato a consultare la valutazione della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata (OCTA), elaborata annualmente dall’Europol all’attenzione del Consiglio e della quale esiste una versione pubblicata che viene presentata annualmente al Parlamento europeo.

Il 13 giugno di quest’anno, nella sua conclusione sull’OCTA 2007, il Consiglio ha ribadito la sua convinzione che la lotta contro la criminalità organizzata debba concentrarsi sulla riduzione della minaccia e del danno da questa causato, affrontando in particolare i seguenti problemi: gli ostacoli allo smantellamento dei gruppi di criminalità organizzata, che traggono origine dalla dimensione o dall’influenza internazionale di questi ultimi; il livello di infiltrazione della criminalità organizzata nella società e nell’economia, con particolare riguardo all’uso improprio di strutture imprenditoriali legali, in modo particolare nel settore dei trasporti; infine, l’uso improprio della tecnologia da parte di gruppi di criminalità organizzata.

Il Consiglio ha anche sottolineato che le priorità dell’Unione europea per il 2007 dovrebbero essere i mercati criminali seguenti: traffico di droga, specialmente droghe sintetiche; contrabbando e tratta di esseri umani, specialmente quando associata all’immigrazione clandestina; frode, specialmente in relazione ai beni che gravati da imposte elevate e alle frodi carosello IVA; contraffazione di euro, contraffazione di prodotti di base e furto della proprietà intellettuale, nonché riciclaggio di denaro sporco.

Come nel caso dell’OCTA 2006, queste conclusioni hanno evidenziato la necessità di un approccio multidisciplinare basato sulle informazioni, al fine non solo di turbare le attività criminali ma anche di smantellare le organizzazioni criminali assicurando i colpevoli alla giustizia e spogliandoli dei ricavi dei reati.

Questo implica che si faccia ricorso a risorse mirate, specializzate e che si organizzino strutture in modo da poter utilizzare tutte le informazioni di cui dispongono le autorità preposte ad applicare la legge e a individuare e combattere i gruppi criminali più pericolosi.

Nelle sue conclusioni il Consiglio esorta inoltre a sviluppare una nuova strategia di controllo basata sulle informazioni, che copra tutto il territorio nazionale ed eventualmente quello dell’Unione europea, completando la sorveglianza alle frontiere esterne con controlli, in transito o a destinazione, monitorando i movimenti finanziari e ampliando le capacità analitiche dei servizi preposti all’applicazione delle leggi nazionali e delle leggi europee.

 
  
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  Eoin Ryan (UEN). – (EN) La mia domanda è suddivisa in due parti. Lei ha risposto alla prima, nel senso che mi ha citato le iniziative messe in atto, ma non ha risposto alla parte che riguarda il livello della criminalità organizzata. Molti hanno l’impressione che al momento la sua ampiezza venga notevolmente sottovalutata e che i gruppi criminali organizzati si stiano infiltrando in moltissimi paesi dell’Unione europea, se non in tutti. Si tratta di un problema che non scomparirà e sono in molti a pensare che dovrebbe essere contrastato in modo molto più coordinato di quanto non lo sia adesso. Le sto chiedendo, suppongo, quale sia il livello di criminalità organizzata in Europa.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Onorevole Ryan, come ho già accennato, penso che sia utile – anzi è utile e in realtà essenziale – esaminare o consultare lo studio sulla valutazione della minaccia della criminalità organizzata in Europa. Non discuto, né al momento dispongo di dati per dirle se vi sia più o meno criminalità, ma succede spesso che sia abbia una percezione psicologica dell’aumento della criminalità, che tuttavia non è suffragato dai fatti.

Esiste comunque un dato inequivocabile: occorrono effettivamente sforzi più concertati e una maggiore cooperazione tra gli Stati membri e soprattutto tra le Istituzioni europee e gli Stati membri, in modo da contrastare le gravi e molteplici minacce poste dalla criminalità organizzata. Come ho accennato, grazie alle nuove tecnologie i gruppi di criminalità organizzata dispongono di mezzi operativi estremamente sofisticati ed estremamente difficili da combattere. Credo che tutti noi, tutti gli Stati membri, siamo consapevoli di questa nuova realtà tecnologica, delle nuove opportunità offerte ai criminali da questo sviluppo tecnologico, che crea veramente difficoltà particolari e specifiche nel combatterli.

Naturalmente, la Presidenza portoghese considererà, com’è suo dovere, tutte le proposte e tutti i suggerimenti presentati dalle Istituzioni al fine di lottare con più efficacia contro la minaccia posta da questi gruppi di criminali che, visto il tipo dei reati, non può non avere gravi ripercussioni sulle nostre società.

 
  
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  Jim Allister (NI). – (EN) Immagino che il Presidente in carica inorridisca all’idea che ci sia un legame tra la criminalità organizzata e un qualsiasi governo dell’Unione europea. Sì, purtroppo questa è esattamente la situazione in Irlanda del nord, dove il Sinn Féin, uno dei partiti di governo, è inestricabilmente legato all’IRA, il cui consiglio illegale, l’Army Council, controlla un portafoglio di centinaia di milioni di euro accumulati grazie alle attività criminali organizzate dall’IRA. Questo è uno dei motivi per cui l’Army Council non è stato sciolto. Il Consiglio si unirà alla condanna di quest’oscenità e chiederà all’IRA/Sinn Féin di sciogliere immediatamente l’illegale Army council?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) La mia risposta alla questione della lotta contro la criminalità organizzata, nonché la valutazione e la risposta del Consiglio sono contenute nel mio discorso iniziale. Non ho nulla da aggiungere su quest’argomento.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 12 dell’onorevole Seán Ó Neachtain (H-0627/07)

Oggetto: Sicurezza stradale

Il Consiglio europeo può descrivere quali misure stia perseguendo per ottenere un più elevato livello di sicurezza stradale sul territorio dell'Unione europea?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, onorevole Ó Neachtain, come l’onorevole deputato certamente sa, in seguito alla presentazione da parte della Commissione della valutazione intermedia del programma d’azione europeo per la sicurezza stradale nel marzo 2006, il Consiglio, nel corso della sua riunione dell’8 e del 9 giugno 2006, ha adottato delle conclusioni. In queste conclusioni, i ministri dei trasporti dell’Unione europea e la Commissione europea si sono accordati sulla necessità di rafforzare le misure e le iniziative di sicurezza stradale a livello comunitario o degli Stati membri.

In seguito, nell’ottobre del 2006, la Commissione europea ha adottato due proposte legislative sul tema del rafforzamento della sicurezza stradale e, grazie all’eccellente cooperazione tra il Parlamento europeo e il Consiglio, i due colegislatori hanno raggiunto rapidamente un accordo su una proposta di direttiva concernente l’istallazione a posteriori di specchi sui veicoli commerciali pesanti. La direttiva è entrata in vigore nell’agosto del 2007 e verrà applicata entro il 31 marzo 2009.

La Commissione stima che di qui al 2020 questa nuova misura legislativa possa salvare fino a 1 200 vite umane sulle strade comunitarie. Il Consiglio sta valutando una proposta di direttiva concernente la gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali in merito alla quale, in attesa del parere del Parlamento europeo, spera di adottare un orientamento generale durante la riunione del Consiglio il 1° e 2 ottobre prossimi. La Commissione stima che si potrebbero evitare circa 7 000 feriti e salvare circa 600 vite umane ogni anno se venissero applicate le misure proposte in questo progetto di strumento legislativo.

Devo anche dire all’onorevole deputato che può essere certo dell’intenzione del Consiglio di valutare positivamente le misure e le iniziative di sicurezza stradale proposte dalla Commissione europea nel contesto degli sforzi attuali per ridurre il numero di morti e di feriti sulle strade comunitarie.

 
  
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  Seán Ó Neachtain (UEN). – (EN) La ringrazio per la sua risposta, ma vorrei chiederle se a suo parere sia ora necessario un approccio più coordinato, considerato il numero di cittadini degli Stati membri che viaggiano da un paese all’altro. Ciò riguarda in particolare il mio paese, l’Irlanda, dove vengono molti cittadini dell’Europa orientale portando con sé le loro macchine. Non penso che il Consiglio – né invero la Commissione – abbia previsto in questo momento disposizioni adeguate per questo tipo di viaggi.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Essendo portoghese, ho notato anch’io nel mio paese sviluppi molto gravi in termini di sicurezza stradale. Per il Portogallo è un problema, o lo è stato. Quindi negli ultimi anni siamo intervenuti in maniera incisiva e grazie all’azione sistematica e persistente del governo abbiamo recentemente ottenuto una riduzione significativa di quello che era un flagello di morti sulle strade portoghesi, dovuto in particolare a incidenti stradali.

E’ un problema di cui siamo tutti consapevoli, che ci colpisce direttamente e nei confronti del quale siamo vigili e molto sensibili. Alla fine del mio intervento ho affermato che il Consiglio, in questo caso la Presidenza portoghese, analizzerà con grande attenzione e sarà totalmente disponibile a valutare e ad adottare ogni proposta della Commissione tesa a migliorare ulteriormente gli attuali sforzi per ridurre il numero di morti e di feriti sulle strade comunitarie. Come ho detto, la Presidenza, o meglio lo Stato membro che detiene la Presidenza, è molto sensibile a questa questione perché deve affrontare il medesimo problema in Portogallo. Di conseguenza, come ho detto, intendiamo prestare particolare attenzione a ogni proposta avanzata al riguardo dalla Commissione e dal Consiglio.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 13 dell’onorevole Brian Crowley (H-0629/07)

Oggetto: Adesione della Croazia all’Unione europea

Il Consiglio europeo può effettuare una dichiarazione esauriente su come procedono attualmente gli sforzi della Croazia per aderire all'Unione europea?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, onorevole Crowley, ho già avuto occasione qui, oggi, di accennare al processo di adesione della Croazia. Entrerò adesso un po’ più nei dettagli pur cercando di essere il più breve possibile visti i limiti di tempo.

Posso dirle, onorevole Crowley, che i negoziati di adesione con la Croazia sono ben avviati e che quest’anno sono stati compiuti progressi importanti. Nel complesso, sono stati aperti e chiusi provvisoriamente due capitoli: il capitolo 25, scienza e ricerca, e il capitolo 26, istruzione e cultura. Nel frattempo, sono stati aperti altri 10 capitoli. Questi sono: il capitolo 3, libertà di fornire servizi; il capitolo 6, diritto societario; il capitolo 7, diritto di proprietà intellettuale; il capitolo 9, servizi finanziari; il capitolo 10, società dell’informazione e mezzi di informazione; il capitolo 17, politica economica e monetaria; il capitolo 18, statistiche; il capitolo 20, politica imprenditoriale e industriale; il capitolo 29, unione doganale; e infine il capitolo 32, controllo finanziario.

Inoltre, il Consiglio ha intenzione di tenere la quinta riunione della Conferenza di adesione con la Croazia a livello ministeriale il 15 ottobre al fine di aprire il capitolo 28, salute e tutela dei consumatori. Altri capitoli seguiranno alla fine di quest’anno. Tuttavia, vi è ancora molto da fare, in particolare nelle aree critiche per il successo di ogni paese candidato, come quella della riforma del sistema giudiziario e dell’amministrazione pubblica, della lotta contro la corruzione e delle riforme economiche. Il Consiglio continua a sollecitare la Croazia a migliorare la sua capacità amministrativa, a recepire e ad attuare effettivamente l’acquis in modo da assolvere i suoi obblighi per l’adesione a tempo debito. Al fine di mantenere questa dinamica e di garantire un processo di qualità, vorremmo ricordare che sono necessari altri sforzi per soddisfare i requisiti del quadro negoziale, compresi gli obblighi della Croazia nell’ambito dell’accordo di stabilizzazione e di associazione, come anche l’applicazione del partenariato per l’adesione.

 
  
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  Brian Crowley (UEN). – (EN) Posso dire prima di formulare la mia domanda che penso sia bellissimo che oggi il Presidente in carica si sia trattenuto così a lungo in quest’Aula e abbia partecipato così bene a tante discussioni. La ringrazio a nome del Parlamento.

Per quanto riguarda l’orizzonte temporale per la Croazia, conosciamo le difficoltà incontrate in diversi capitoli per raggiungere un accordo con il governo croato. Tuttavia, il Presidente in carica può darci un arco di tempo entro il quale prevede che questi negoziati saranno conclusi? Parliamo di due anni, di tre anni? E’ possibile fornire un arco di tempo esatto, viste le difficoltà che potrebbero insorgere?

In secondo luogo, con riferimento ai settori che sono ancora da aprire – tutta l’area dell’indipendenza della magistratura e dei servizi di polizia in Croazia – quali azioni specifiche sono state adottate?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Onorevole Crowley, grazie per le sue gentili parole. Vorrei dirle che è stata una soddisfazione e un onore essere qui con voi oggi, a discutere e a dibattere, anche se non sempre ci siamo trovati d’accordo, su temi così importanti per il programma europeo e per l’Unione europea.

L’onorevole deputato mi sta chiedendo però l’impossibile: dargli una data per l’adesione della Croazia. Non posso farlo perché questa adesione, o questa data, dipenderà molto probabilmente più dalla Croazia che dall’Unione europea stessa. In realtà, la Croazia può determinarlo meglio dell’Unione europea per la semplice ragione che, come sapete, diventare parte dell’Unione europea, entrare nell’Unione europea, risponde o corrisponde allo stato di avanzamento del dossier, ai progressi compiuti per conformarsi ai criteri e alle condizioni. Ciò che posso dire in modo assolutamente inequivocabile è che la Croazia ha una buona prospettiva europea e buone prospettive di entrare nell’Unione europea, che la Presidenza portoghese s’impegna a far avanzare questo processo durante la sua Presidenza e che inoltre s’impegna naturalmente, insieme alla Commissione, a superare gli ostacoli che potrebbero presentarsi.

In novembre, come ho appena detto in risposta a un’altra domanda, ci sarà una valutazione dello stato dei negoziati con la Croazia. Tale valutazione ci verrà presentata dalla Commissione insieme a una proposta e, come potete immaginare, entrambe svolgeranno un ruolo fondamentale per seguire e monitorare il lavoro svolto. Esse saranno presentate dalla Commissione e saranno elaborate con la competenza e i dettagli che ci si possono aspettare e che le sono propri, e ciò che la Commissione dirà, proporrà e raccomanderà in quest’analisi sarà effettivamente molto importante per le decisioni del Consiglio sul futuro e sul proseguimento del processo negoziale con la Croazia.

E’ vero che molto spesso le questioni giudiziarie e quelle amministrative, in pratica le questioni legate alla specifica organizzazione interna degli Stati membri, sono le più difficili da risolvere. Sono quelli gli ambiti nei quali gli Stati membri, dal punto di vista della loro organizzazione specifica, devono investire di più ed eventualmente operare le riforme più profonde e, diciamo così, più dolorose e difficili. Siamo fiduciosi che la Croazia sarà capace di superare tutte queste difficoltà e che, in linea con i suoi stessi desideri e anche con quelli dell’Unione europea, diventerà membro della nostra Unione in un futuro non troppo lontano.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 14 dell’onorevole Liam Aylward (H-0631/07)

Oggetto: Cambiamenti climatici

Il Consiglio europeo può rilasciare una dichiarazione esauriente che descriva quali strutture sono messe in atto a livello UE atte a garantire un maggiore coordinamento tra l'Europa e l'America nelle azioni volte a rendere possibile il raggiungimento dell'obiettivo di ridurre del 20% le emissioni di CO2 al 2020?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, onorevole Aylward, non ci sono dubbi che i cambiamenti climatici siano una sfida globale che richiede soluzioni globali. Da parte loro, i leader europei hanno deciso di inviare alla comunità internazionale un chiaro messaggio della loro determinazione a combattere il cambiamento climatico assumendosi i seguenti impegni volti ad avviare i negoziati su un accordo globale per il periodo successivo al 2012. Finché questo accordo non sarà raggiunto, l’Unione europea si assume l’impegno fermo e indipendente di ridurre entro il 2020 le emissioni di gas a effetto serra almeno del 20% rispetto ai livelli del 1990. Secondo, l’Unione intende impegnarsi fino a una riduzione del 30% se altri paesi sviluppati attueranno riduzioni analoghe e se i paesi in via di sviluppo economicamente più avanzati forniranno un contributo adeguato.

L’Unione europea considera che sia il momento di studiare i passi da compiere dopo il 2012 e di stabilire un approccio globale che implichi la partecipazione di un gran numero di paesi. Proseguire un dialogo permanente con gli Stati Uniti sarà essenziale per preparare i negoziati per il dopo 2012, che devono iniziare in occasione della conferenza sul clima che si terrà a Bali alla fine di quest’anno e ai quali ho già fatto riferimento nella mia risposta alla domanda precedente.

In questo contesto, prima della conferenza sono previste due importanti riunioni i cui risultati si tradurranno sicuramente in un valore aggiunto molto positivo per i negoziati di Bali. La prima sarà la riunione ad alto livello dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si è tenuta a New York il 24 settembre. La seconda è la riunione delle principali economie il 27 e 28 settembre a Washington, dalla quale l’Unione europea si aspetta un contributo importante per far avanzare il processo internazionale nell’ambito delle Nazioni Unite. Inoltre, in occasione del vertice di Vienna nel giugno del 2006, l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno deciso di avviare un dialogo ad alto livello sui cambiamenti climatici, l’energia pulita e lo sviluppo sostenibile. L’obiettivo è di proseguire sulla base delle iniziative bilaterali e multilaterali esistenti e di portare avanti l’attuazione della dichiarazione del vertice di Vienna e del piano di azione di Gleneagles sui cambiamenti climatici e lo sviluppo sostenibile adottato dai capi di Stato e di governo del G8.

 
  
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  Brian Crowley (UEN), in sostituzione dell’autore. – (EN) Desidero ringraziare il Presidente in carica per la sua risposta.

Tuttavia, lo scopo della domanda era sottolineare che i diversi punti di vista dell’amministrazione statunitense e dell’Unione europea, riguardo alle possibili soluzioni e alla creazione di un partenariato nel mondo, sembrano divergere sempre di più e la distanza tra i due sembra essere aumentata negli ultimi anni. Ovviamente, per quanto bravi siamo nell’Unione europea, abbiamo bisogno che gli altri seguano il nostro esempio e in particolare vediamo che adesso, con la Cina, l’India e gli altri interessi che hanno, l’America potrebbe rimanere un’altra volta indietro.

Quindi, quello che vogliamo è un’azione specifica da parte dell’Unione europea per incoraggiare i nostri cugini americani d’oltreoceano a unirsi a noi, in modo da poter tener testa alla forza della Cina e dell’India in questi negoziati.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Onorevole Crowley, sono pienamente d’accordo con lei. Dobbiamo convincere i nostri cugini e, visto che sono nostri cugini, ci aspettiamo che si lascino convincere o almeno che siano disposti a lasciarsi convincere. Mi lasci dire che la strada per Bali e dopo Bali sarà complicata e irta di difficoltà. Nessuno lo dubita, ma è chiaro che con un’azione continua e concertata possiamo, spero, ottenere dei risultati. In ogni caso ritengo che nonostante tutto, grazie al dialogo permanente che è stato stabilito proprio con i nostri cugini dall’altra parte dell’Atlantico, sia possibile superare ogni divergenza, ogni divergenza di opinione sui cambiamenti climatici.

A questo riguardo credo che le conclusioni sui cambiamenti climatici raggiunte alla riunione del G8 in Germania, la possibilità che si è venuta a creare, o l’accordo raggiunto sul ruolo fondamentale delle Nazioni Unite nella questione dei cambiamenti climatici siano tutti indizi positivi che lasciano intravvedere la possibilità di ulteriori progressi e di nuovi accordi in materia. Come ho già detto, è indispensabile che l’Unione europea mantenga, per così dire, il suo ruolo di leader e di attore che apre la strada agli altri attori per salvaguardare l’ambiente e il nostro pianeta.

 
  
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  Presidente. − Onorevoli deputati, avrete notato che le tre prossime interrogazioni riguardano tutte il Pakistan. Sfortunatamente non posso avvalermi del Regolamento interno per invitare il Consiglio a rispondervi congiuntamente perché il Consiglio ha strutturato il suo lavoro diversamente. Devo attirare la vostra attenzione sulla necessità di una riforma del Parlamento e in particolare sul ruolo che voi, onorevoli deputati, dovete svolgere riguardo a questa fondamentale riforma del Tempo delle interrogazioni, che credo ci trovi tutti unanimi. Sfortunatamente, non possiamo applicare regole più flessibili perché abbiamo un Regolamento al quale dobbiamo attenerci. Devo quindi annunciare queste interrogazioni una alla volta e ciò probabilmente significa che non sarà possibile rispondere a tutte. A seconda di come avanzeranno i lavori, vedremo se saremo più o meno produttivi.

Inizierò con l’interrogazione n. 15 sugli assets dei militari pakistani. Quest’interrogazione è presentata dall’onorevole Rutowicz e invito il Consiglio a rispondere direttamente.

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interrogazione n. 15 dell’onorevole Józef Rutowicz (H-0637/07)

Oggetto: Assets dei militari pakistani

E' ampiamente noto che le forze armate pakistane dominano l'economia e l'amministrazione del paese. Il Consiglio vorrà tracciare un'analisi di valutazione dell'attivo totale accumulato dall'attività di affari connessa alle forze militari mentre la società pakistana subiva un impoverimento?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) I molteplici esempi di dialogo tra l’Unione europea e il Pakistan nel contesto di quel paese e il ruolo che svolgono le forze armate fanno parte di un’analisi globale sulla quale si basa la politica del Consiglio relativamente al Pakistan.

La situazione generale dell’economia del Pakistan e il suo livello di sviluppo sono altre due componenti di questa stessa analisi. Naturalmente entrambe vengono prese in considerazione nella definizione generale della nostra politica nei confronti di questo paese e continueranno ad esserlo in futuro.

 
  
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  Leopold Józef Rutowicz (UEN). – (PL) Desidero ringraziare il Presidente e il Presidente Antunes per questa risposta. Mi sembra di capire che con quest’interrogazione si volesse essenzialmente sapere se verrà offerta assistenza umanitaria a queste povere popolazioni del Pakistan. Sarei grato al Presidente in carica Antunes se potesse fornire alcune informazioni a questo riguardo.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Onorevole Rutowicz, come lei sa, il tema dell’aiuto umanitario, dell’aiuto alla cooperazione e dell’aiuto allo sviluppo sono prioritari per l’Unione europea. Ovunque ci siano persone che soffrono o vivono in povertà, l’Unione europea, il Consiglio e anche il Parlamento fanno tutto ciò che è in loro potere per cercare di aiutare a risolvere queste situazioni. L’Unione europea è uno dei maggiori, se non il maggiore, donatore di aiuti internazionali e questo non può essere dimenticato.

 
  
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  Presidente. − Poiché gli autori non sono presenti, le interrogazioni nn. 16 e 17 decadono.

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interrogazione n. 18 dell’onorevole Mairead McGuinness (H-0639/07)

Oggetto: Fondo di solidarietà dell'Unione europea

Il Consiglio può rilasciare una dichiarazione sull'efficacia del Fondo di solidarietà dell'Unione europea?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, onorevole McGuinness, come sa l’onorevole deputata, la Commissione è responsabile dell’applicazione del regolamento sul Fondo di solidarietà e l’efficacia di questo regolamento deve essere valutata nel quadro dei criteri stabiliti dal regolamento stesso.

Per quanto risulta al Consiglio, nei casi di catastrofe previsti dal regolamento, la sua applicazione è stata efficace. La Commissione europea elabora periodicamente relazioni nelle quali espone dettagliatamente come viene utilizzato il Fondo di solidarietà.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE). – (EN) Grazie per la breve risposta. Suppongo che il Consiglio ne abbia un’idea, perché gli Stati membri dovrebbero avere un’idea di come venga a incidere sui loro paesi. Pensa che il bilancio di un miliardo sia sufficiente e che il Fondo reagisca abbastanza rapidamente alle varie crisi che deve affrontare?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Onorevole McGuinness, come ho detto, secondo l’analisi del Consiglio l’applicazione di questo regolamento, in altre parole l’applicazione del Fondo di solidarietà, è stata efficace. L’istituzione di un fondo per aiutare gli Stati membri ad affrontare le catastrofi naturali o di altro tipo è stata sicuramente un’ottima iniziativa, perché una cosa così non esisteva prima. Questo Fondo è senz’altro utile in quanto le catastrofi di questo tipo mettono gli Stati membri in una situazione di difficoltà e di bisogno molto particolare.

Idealmente esiste sempre la possibilità di chiedere e di sollecitare di più. Doppiamo ovviamente guardare a questa questione con realismo ma anche con ambizione. Sono sicuro che il Consiglio, a tempo debito e su proposta dalla Commissione, non mancherà di valutare questa possibilità. Per il momento però, abbiamo il quadro legislativo che abbiamo; è con questo che lavoreremo e lavoreremo con realismo, salutando con favore la creazione di questo Fondo e l’efficacia con la quale svolge il suo ruolo, cosa che prova la fondatezza dell’iniziativa.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 19 dell’onorevole Bill Newton Dunn (H-0641/07)

Oggetto: Pace in Medio Oriente

Il Consiglio sta utilizzando appieno i talenti eponimi del Console generale britannico a Gerusalemme, signor Makepeace (letteralmente "fare la pace")??

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Risponderò all’interrogazione orale anche se sono sicuro che sia già stata precedentemente presentata dall’onorevole Newton Dunn. Molto bene, vorrei dire che le missioni diplomatiche e consolari degli Stati membri e le delegazioni della Commissione nei paesi terzi cooperano per garantire che le posizioni e le azioni comuni adottate dal Consiglio nel contesto della politica estera e di sicurezza comune vengano osservate e attuate come specificato nel Trattato dell’Unione europea. Questo include naturalmente anche il console generale britannico a Gerusalemme, al quale fa riferimento l’onorevole parlamentare nella sua interrogazione.

 
  
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  Bill Newton Dunn (ALDE). – (EN) Nell’interesse del mio onorevole collega, che vuole presentare l’interrogazione n. 20, rinuncio al mio diritto di presentare una domanda complementare.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 20 dell’onorevole Gay Mitchell (H-0644/07)

Oggetto: Allocazione dei seggi del Parlamento europeo agli Stati membri

Intende il Consiglio proporre modifiche all'allocazione dei seggi del Parlamento europeo ai vari Stati membri?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, onorevole Mitchell, sono lieto di rispondere alla sua interrogazione, tanto più che le interrogazioni che riguardano il Trattato di riforma sono, a mio personale parere, particolarmente interessanti e importanti, a cominciare dalla questione di un nuovo Trattato per l’Unione molti anni fa. E’ pertanto con vivo piacere che cercherò di rispondere alla sua domanda. Le ricorderò che, conformemente al mandato del 22 giugno conferito alla Conferenza intergovernativa del 2007, le disposizioni su questo tema da includere nel Trattato di riforma prevedono che vi sia una decisione che definisca la composizione del Parlamento europeo e che questa debba essere adottata dal Consiglio europeo su iniziativa e con l’accordo del Parlamento europeo.

Come sicuramente l’onorevole deputato sa, per non perdere tempo il Consiglio europeo di giugno ha sollecitato il Parlamento europeo a presentare un progetto di questa iniziativa entro ottobre 2007. Siamo al corrente che una relazione sulla futura composizione del Parlamento europeo verrà presentata dagli onorevoli Lamassoure e Severin nella sessione plenaria di ottobre, cioè il 10 ottobre di quest’anno.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE). – (EN) Vorrei ringraziare il mio collega per aver rinunciato alla sua domanda complementare e ringraziare il Presidente in carica per aver accettato quest’interrogazione.

Il motivo per cui la presento è che in Irlanda siamo già passati da 15 a 13 seggi. L’Irlanda è’ un’isola al largo della costa occidentale dell’Europa. E’ il punto estremo prima di arrivare negli Stati Uniti. Adesso è stata presentata una proposta per ridurre ulteriormente i nostri seggi da 13 a 12, proprio quando la nostra popolazione è aumentata del 12% e si prevede che aumenti ancora notevolmente.

Ciò che vorrei dire al Presidente in carica è questo: poiché devono essere allocati altri 16 seggi, può gentilmente ricordarsi dei motivi per cui l’Irlanda vuole mantenere i suoi 13 seggi? Se si guardano le cifre, penso che ci si renda conto che i nostri motivi sono validi e vorrei chiedere che venissero presi in considerazione.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes. (PT) Signor Presidente, vorrei far notare che il punto più occidentale dell’Europa è il Portogallo, con Capo da Roca o Capo Roca. Forse, con questa affermazione metto in discussione la dichiarazione dell’onorevole deputato sulla posizione geografica del suo paese ma, in verità, il punto più a occidente dell’Europa si trova nel mio paese.

Per quanto riguarda la sua interrogazione, più precisamente la seconda parte, l’onorevole parlamentare troverà nel Parlamento europeo e nei suoi colleghi parlamentari gli interlocutori principali e fondamentali per la sua interrogazione. Cionondimeno, prendo naturalmente nota del suo intervento.

 
  
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  Presidente. − Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).

L’interrogazione n. 31 è stata dichiarata irricevibile (allegato II, parte A, punto 2, del Regolamento).

Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.

(La seduta, interrotta alle 19.35, è ripresa alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. Edward McMILLAN-SCOTT
Viecpresidente

 
  

(1)GU L151 del 13. 6. 2007, pag. 1.


14. Mandato parlamentare: vedasi processo verbale

15. Obblighi dei prestatori di servizi transfrontalieri (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione dell’onorevole Lasse Lehtinen, a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sugli obblighi dei prestatori di servizi transfrontalieri (2006/2049(INI)) (A6-0294/2007).

 
  
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  Lasse Lehtinen (PSE), relatore. (FI) Signor Presidente, desidero innanzi tutto esprimere i miei ringraziamenti ai relatori ombra per il loro incoraggiamento e l’eccellente cooperazione: all’onorevole Wallis, che è qui oggi, e specialmente all’onorevole Hatzidakis. Egli ha dimostrato una tale competenza che gli è stato subito chiesto di entrare a far parte del governo del mio paese. Sono grato e lieto che anche l’onorevole Harbour e l’onorevole Kauppi siano entrambi qui oggi.

Il mercato interno, come sapete, si basa su quattro libertà una delle quali, tuttavia, la prestazione transfrontaliera dei servizi, non funziona molto bene. La situazione migliorerà quando la direttiva sui servizi, approvata un anno fa in quest’Aula, verrà recepita dagli Stati membri nei prossimi due anni, ma probabilmente anche questo non sarà sufficiente.

I servizi, ovviamente, non possono essere paragonati ai prodotti in tutto e per tutto, ma in futuro saranno più importanti di quanto non lo siano oggi. I servizi di alta qualità e i servizi transfrontalieri in particolare sono il futuro di questo continente. Il problema è che l’acquis comunitario non tutela i consumatori che acquistano servizi allo stesso modo dei consumatori che acquistano merci. La fiducia del consumatore europeo nel consumo transfrontaliero è bassa perché il livello dei servizi e il livello della protezione variano da uno Stato membro all’altro.

In determinati settori l’Unione ha una legislazione comunitaria, ma non ha regole comuni per i servizi. Non sempre i consumatori, come i prestatori di servizi, sono in grado di stabilire con chiarezza quale regime giuridico di quale Stato membro sia applicabile in caso di controversia. Il fatto che i consumatori abbiano paura di servirsi di prestatori di servizi stranieri è dovuto in parte a questo.

A mio avviso, l’Unione dovrebbe stabilire regole e obblighi comuni vincolanti per i prestatori di servizi. Questo favorirebbe non solo i consumatori ma anche gli stessi prestatori di servizi. Se la Commissione dovesse decidere di interessarsi della questione degli obblighi dei prestatori di servizi, non dovrebbe fare distinzione tra servizi privati e servizi pubblici. Entrambi dovrebbero rientrare nel campo d’applicazione delle direttive sulla protezione dei consumatori.

Nel 1990, la Commissione ha presentato una proposta sugli obblighi dei prestatori di servizi transfrontalieri, che ha dovuto però ritirare per mancanza di volontà politica. Ora vi è nuovamente questa volontà politica. Qualora la relazione venisse adottata, la Commissione dovrebbe presentare, entro 12 mesi, almeno un programma di lavoro che valuti nuovamente la necessità di uno strumento orizzontale.

Dobbiamo stabilire regole generali di base che permettano al consumatore, qualora lo desideri, di ottenere informazioni in merito ai prezzi, alle condizioni contrattuali e ai mezzi di riparazione in caso di lacune o ritardi nei servizi.

La Commissione dovrebbe anche tener conto dell’impatto di ogni iniziativa sulle condizioni operative delle PMI. Queste problematiche non sono state tutte sollevate nel Libro verde sulla tutela dei consumatori, ma lo sono in questa relazione.

Mi auguro che questa relazione riceva il più grande sostegno possibile.

 
  
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  Viviane Reding, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, sono lieta di essere qui questa sera a rappresentare la Commissione in questa discussione così importante sulla fiducia del consumatore nel mercato interno. Desidero congratularmi con il relatore, onorevole Lehtinen, e con i relatori ombra della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori per l’ambizioso lavoro svolto nell’elaborare questa relazione.

Vorrei sottolineare sin dall’inizio che la Commissione concorda con la relazione riguardo alla necessità di aumentare la fiducia del consumatore nel mercato interno; in particolare, il mercato interno dei servizi per il consumatore richiede la nostra attenzione. Una delle priorità della Commissione, quindi, è di rendere percepibili i vantaggi del mercato interno per il consumatore europeo e sono grata al Parlamento per il suo sostegno.

La Commissione ha già intrapreso diverse iniziative per aumentare la fiducia del consumatore nel mercato interno. Vorrei citarne due: la normativa europea sulla tutela dei consumatori e la direttiva sui servizi.

Ora, l’acquis in materia di consumatori stabilisce già un certo numero di obblighi per i prestatori di servizi transfrontalieri. Ad esempio, disciplina gli obblighi d’informazione per i commercianti che vendono servizi a distanza oppure a due passi dal consumatore. Offre anche tutela al consumatore contro clausole inique nei contratti di prestazione di servizi. E, nel corso della revisione di questo acquis, la Commissione valuterà se occorra occuparsi ulteriormente degli obblighi dei prestatori di servizi e dei diritti dei consumatori in questo ambito.

Poi, la direttiva sui servizi: la conoscete molto bene, l’avete discussa molto tempo fa. Migliora la posizione del consumatore nel mercato interno dei servizi. Garantisce, tra l’altro, che il consumatore venga meglio informato dalle aziende e che sia meglio assistito dalle autorità pubbliche e stabilisce inoltre obblighi chiari e concreti per i prestatori di servizi.

La Commissione, ovviamente, desidera garantire il pieno recepimento di questa direttiva da parte di tutti gli Stati membri e crediamo che queste due iniziative siano di vasta portata perché, una volta completato il recepimento della direttiva sui servizi e se la revisione dell’acquis in materia di consumatori darà buoni risultati, entrambe possono portare un vero cambiamento nel mercato interno dei servizi per il consumatore.

Ciò detto, devo anche sottolineare che la Commissione ha un parere diverso da quello espresso nella relazione dall’onorevole Lehtinen riguardo alla necessità, a questo stadio, di uno strumento orizzontale separato per disciplinare gli obblighi dei prestatori di servizi transfrontalieri, per il semplice motivo che crediamo che dovremmo completare l’iniziativa in corso prima di arrivare, se necessario, a uno strumento orizzontale separato. E’ per questo che desidero ringraziarvi per l’impegno che vi siete assunti di aiutarci ad attuare questi due strumenti; di aiutare inoltre i cittadini europei a godere dei pieni vantaggi del mercato interno dei servizi. E so che i miei colleghi, il Commissario Kuneva e il Commissario Creevy, sono ansiosi di discutere con voi, di lavorare con voi, per creare questo mercato interno insieme al Parlamento, che è il vero rappresentante dei cittadini europei.

Quindi, grazie per la vostra collaborazione e grazie per questa disponibilità. Sono sicura che i miei due colleghi – ed invero la Commissione tutta – continueranno a collaborare strettamente con il Parlamento.

 
  
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  Presidente. − (EN) Grazie, signora Commissario. Vorrei solo ricordarle che tutte le osservazioni dovrebbero essere rivolte tramite la Presidenza. E’ notte fonda e siamo in pochi, ma è una piccola questione di protocollo. Sono sicuro che l’onorevole Lehtinen abbia compreso la sua osservazione.

 
  
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  Piia-Noora Kauppi (PPE-DE), relatore per parere della commissione giuridica. – (EN) Signor Presidente, desidero congratularmi con il relatore, che sembra abbia perso la voce come me. Mi sembra che questa settimana molti onorevoli colleghi, qui a Strasburgo, soffrano di mal di gola.

Rappresento la commissione giuridica, della quale sono stata relatrice per parere. Vorrei dire che, prima di tutto, siamo assolutamente d’accordo con la valutazione della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori riguardo all’importanza del settore dei servizi per lo sviluppo dell’Unione europea. Sarebbe una missione suicida per l’Unione europea e per gli obiettivi di competitività se non consentissimo al settore dei servizi di svilupparsi e di fiorire e se non completassimo il mercato interno da questo punto di vista. Penso proprio che su questi 11,7 milioni di posti di lavoro creati negli ultimi otto anni nell’Unione europea, quasi il 100% dell’aumento netto dei nuovi posti di lavoro in Europa sia da attribuire al settore dei servizi, come dimostrano ogni giorno le statistiche. Ma devo fare l’avvocato pedante – in finlandese fakkijuristi – e presentare il parere della commissione giuridica.

Prima di tutto, condividiamo assolutamente l’opinione della Commissione che sia ancora troppo presto per avere un nuovo strumento orizzontale di vasta portata per risolvere le questioni relative alla responsabilità. Sono già in corso varie iniziative legislative volte a garantire la certezza del diritto, quali Roma I, Roma II e il Libro verde sulla revisione dell’acquis in materia di consumatori.

Vorrei anche dire che l’articolo 5 della proposta relativa agli obblighi contrattuali (Roma I) è di fondamentale importanza al fine di stabilire se debba essere applicata la legislazione sulla protezione dei consumatori del paese d'origine o del paese del cliente. Questo è particolarmente importante per gli Stati membri più piccoli, dove potrebbe esserci una carenza di offerta di nuovi servizi se l’articolo 5 non venisse risolto correttamente.

Deploriamo anche l’attuale mescolanza di strumenti legislativi. A volte non è chiaro quale regime giuridico sia applicabile a ciascun aspetto dell’attività del settore dei servizi: vale a dire se si applichi il diritto civile del paese ospite o del paese d'origine, oppure se si applichi il regime regolamentare del paese ospite o del paese d'origine. Dobbiamo attendere che vi sia una giurisprudenza della Corte di giustizia in merito.

Vorrei anche ricordare che i servizi transfrontalieri possono essere forniti in modi molto diversi. In alcuni casi sono venduti on-line, in altri casi i clienti viaggiano in un altro paese per acquistare il servizio e a volte il prestatore di servizio visita il cliente nel suo paese di residenza.

Credo che il mercato interno dei servizi, il cui quadro giuridico si basa sul principio del paese d'origine, presupponga che le misure pertinenti siano chiare, sia dal punto di vista giuridico che da quello pratico e forse è troppo presto per intervenire. Come ha giustamente detto il Commissario, adesso è il momento di attuare l’ottimo lavoro che abbiamo svolto negli ultimi anni.

 
  
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  Presidente. − Se gli onorevoli colleghi hanno osservazioni da mettere a verbale, possono sempre farlo per iscritto nel corso della procedura di votazione.

 
  
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  Malcolm Harbour, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, parlo a nome dell’amico nonché ex collega in questo Parlamento, onorevole Konstantinos Hatzidakis, il quale, come ha detto l’onorevole Lehtinen, è stato prontamente elevato al rango di ministro dei Trasporti del governo greco. Voglio rendergli omaggio per il lavoro da lui svolto in seno alla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. Essenzialmente, riprendo il lavoro dove egli lo ha lasciato, esattamente alla conclusione.

Desidero ringraziare l’onorevole Lehtinen perché fino adesso non è stato detto che questa è la sua prima relazione, credo, in qualità di relatore. Forse alcuni di voi sanno che è un autore illustre, anche se ritengo che questa non sia la sua opera migliore. Non credo che si offenda se lo dico. Ho una copia del libro Blood, Sweat and Bears, che mi ha dato da leggere, e penso che abbia versato un bel po’ di sangue e di sudore in questo lavoro. E’ una relazione importante, ma devo dire che, per quanto ci riguarda, concordiamo molto con la linea dell’onorevole Kauppi e del Commissario Reding.

La relazione contiene informazioni utili, ma vorrei solo rassicurare il Commissario che se leggesse l’articolo 22, che secondo me è un capolavoro di compromesso redazionale, dove si invita la Commissione a continuare a lavorare e a presentare un programma di lavoro per una valutazione, sarebbe lieta di vedere che in realtà il testo non chiede di elaborare uno strumento orizzontale, ma di definire un programma di lavoro per valutarne la necessità. Lei ha già confermato, mi sembra, ciò che molti di noi pensano: che a questo punto, con tutto il lavoro che si sta facendo per recepire la direttiva sui servizi, il Libro verde sull’acquis in materia di consumatori, che abbiamo appena considerato e che porterà a uno strumento orizzontale in questo settore, più l’altro lavoro in corso – che i miei colleghi della commissione giuridica, l’onorevole Kauppi e l’onorevole Wallis tratteranno più tardi – sia troppo presto per contemplare altre disposizioni dettagliate. E’ ovvio che tutto ciò debba essere monitorato ma, naturalmente, la direttiva sui servizi stessa, con tutto il lavoro che vi abbiamo investito, contiene già molte disposizioni.

Uno degli emendamenti, che speriamo quest’Aula domani decida di cassare, invita in effetti la Commissione a redigere un codice volontario di condotta. A mio avviso questo non è il ruolo che spetta alla Commissione. Penso che avremo il sostegno per cancellare l’emendamento. Ma in realtà, l’articolo 37 della direttiva sui servizi afferma abbastanza chiaramente che gli Stati membri, in cooperazione con la Commissione, dovranno adottare delle misure volte a incoraggiare codici di condotta a livello comunitario. Non è come se non ci fosse già. Penso perciò che lo cancelleremo e quindi, per riassumere: ritengo che sia un contributo molto utile alla discussione. Penso che costituisca un elemento in più nel corpus di informazioni che stiamo costruendo per garantire soprattutto che la direttiva sui servizi sia pienamente recepita e applicata puntualmente, con tutte le disposizioni che l’accompagnano – con particolare riferimento a questioni come il punto di contatto unico per i prestatori di servizi, che darà loro il tipo di requisiti e di informazioni di cui hanno bisogno per fornire i servizi, più, speriamo, il lavoro sui codici di condotta. Credo che con questo possiamo ambire a un mercato dei servizi veramente efficiente e fiorente, che funzioni a beneficio dei consumatori.

 
  
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  Anna Hedh, a nome del gruppo PSE. – (SV) Signor Presidente, mi permetta innanzi tutto di ringraziare il collega, onorevole Lehtinen, per l’ottimo lavoro. Con l’adozione della direttiva sui servizi, il mercato interno dei servizi ha regole più chiare su come può essere usata la libertà di fornire servizi. D’altra parte, mancano regole chiare sugli obblighi dei prestatori di servizi. Ciò significa che anche dopo il recepimento da parte di tutti gli Stati membri della direttiva sui servizi entro il 2009, ci si potrebbe trovare con un mercato aperto nel quale i consumatori non hanno fiducia.

Solo il 6% dei consumatori ha effettuato acquisti transfrontalieri su Internet nel 2006. Le norme per l’acquisto delle merci sono molto più chiare. Anche le attività commerciali, soprattutto le piccole e medie imprese, hanno bisogno di regole più chiare, poiché spesso scelgono di non fornire un servizio o di non effettuare una vendita oltre frontiera, con conseguente minor competitività e prezzi più alti per il consumatore. Regole più chiare incoraggeranno sia le imprese che i consumatori ad avventurarsi oltre frontiera e a fornire o acquistare servizi in un altro paese in tutta serenità.

Dobbiamo garantire che i consumatori si sentano sicuri quando acquistano sul mercato interno e sappiano che possono facilmente ricevere aiuto e riparazione in caso di controversie. Per ottenere questo, è necessario armonizzare molti provvedimenti diversi. I codici di condotta volontari per i prestatori di servizi e la possibilità di azioni collettive su base transfrontaliera contro i truffatori e le aziende che non hanno onorato gli impegni presi con i consumatori, sono alcuni degli esempi accennati nella relazione.

Non è logico che quando i consumatori acquistano servizi oltre frontiera ricevano meno protezione di quando acquistano merci in un altro Stato membro. Quindi, lo strumento orizzontale proposto dalla relazione è un altro elemento importante per la protezione dei consumatori, che dobbiamo sviluppare nella prestazione di servizi transfrontalieri. I consumatori devono sapere quali siano i loro diritti qualora un servizio venga fornito troppo tardi o in maniera scorretta.

Se le libertà sono accompagnate da obblighi chiari per i fornitori e da una forte protezione del consumatore, possiamo rafforzare la fiducia di quest’ultimo. Ancora una volta, dobbiamo dare la priorità ai nostri consumatori. Senza consumatori soddisfatti e fiduciosi non avremo un mercato interno fiorente.

 
  
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  Diana Wallis, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, questa è ovviamente una questione lasciata aperta dalla direttiva sui servizi e, benché io sia d’accordo con gran parte dell’analisi del Commissario, esiste realmente un problema. E’ un problema di fiducia. E’ un po’ quello che è successo nelle ultime settimane con la banca Northern Rock nel Regno Unito: qualsiasi cosa dicesse la banca, i clienti facevano comunque la fila per riavere i loro soldi. Con noi e i servizi transfrontalieri è un po’ la stessa cosa. Qualsiasi cosa diciamo, i consumatori non hanno ancora abbastanza fiducia per utilizzare questi servizi. Dobbiamo trovare un modo per risolvere questo problema.

Chi tra i presenti ha fatto parte della commissione temporanea d’inchiesta sulla crisi finanziaria della Equitable life Assurance Siciety, si è reso conto fin troppo chiaramente che c’è un problema di fiducia, ma non saremo in grado di risolverlo ricorrendo alle vecchie proposte che affrontavano problemi di venti anni fa. Dobbiamo affrontare il problema e la situazione che abbiamo adesso.

Quando ci occupiamo degli obblighi dei prestatori di servizi, ci occupiamo in realtà di diritto contrattuale di base e di obblighi contrattuali di base. A questo riguardo, sul tavolo abbiamo attualmente Roma I, a cui ha fatto riferimento l’onorevole Kauppi; risolvere questo può essere d’aiuto. Abbiamo anche tutta la revisione dell’acquis in materia di consumatori; risolvere questo può essere d’aiuto. Abbiamo la preparazione del quadro comune di riferimento sul diritto contrattuale; se l’usassimo e se la Commissione si sforzasse molto di più per indurre gli Stati membri a recepirlo, ciò sarebbe d’aiuto.

Quindi, esistono già molti strumenti a cui poter ricorrere che possono esserci di aiuto per stabilire una giusta relazione tra diritto internazionale privato e regolamentazione. Ciò di cui non abbiamo bisogno – sono d’accordo con l’onorevole Harbour – è che la Commissione scriva codici di condotta non vincolanti.

Serviamoci di quanto è già stato fatto fino ad ora e di quello che è in preparazione. Possiamo tenere un occhio vigile per vedere se ci occorra o no un altro strumento orizzontale, ma ne dubito seriamente a questo stadio.

Dobbiamo anche pensare di garantire ai nostri consumatori il diritto di accesso transfrontaliero alla giustizia e di agire collettivamente come gruppo. Questo equilibrerebbe le forze con i prestatori di servizi e correggerebbe l’attuale mancanza di accesso transfrontaliero alla giustizia, come è stato fin troppo evidente nel caso dell’Equitable Life. Alle persone non piace usare la parola “class action” (azione collettiva) e nemmeno a me; ma un diritto europeo di riparazione collettiva può contribuire a infondere nuovamente nei consumatori la fiducia che attualmente in questo continente manca loro.

 
  
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  Leopold Józef Rutowicz, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, lo sviluppo del mercato interno dell’Unione è molto importante per creare legami tra i paesi e i cittadini dell’Unione.

L’aumento dello scambio di servizi transfrontalieri su base competitiva richiede una maggiore fiducia reciproca, che dovrebbe essere sostenuta da politiche attente al consumatore. Questa politica mira a migliorare il quadro giuridico dei servizi transfrontalieri, semplificando al contempo le procedure e favorendo così la concorrenza. Essa permetterà anche di migliorare l’accesso ai servizi e ne innalzerà gli standard, riducendo nello stesso tempo i costi a beneficio dei consumatori europei.

La relazione contribuisce a migliorare questa politica indicando tutta una serie di questioni che ostacolano lo sviluppo dinamico del mercato. Tra queste, la mancanza di un sistema unico che regoli gli obblighi dei prestatori di servizi transfrontalieri e la necessità di integrare i documenti dell’Unione in questo rispetto. La relazione sottolinea anche la mancanza di chiarezza nell’applicazione delle disposizioni, che porta a erigere barriere mentali nei confronti dei prestatori stranieri, nonché una protezione giuridica inferiore per gli utenti dei servizi rispetto a quella per i prestatori di servizi, la mancata regolamentazione dei servizi pubblici e privati in base alle stesse disposizioni, la diversità di disposizioni riguardo agli obblighi dei prestatori di servizi transfrontalieri e la mancanza della trasparenza necessaria per la protezione di questi servizi.

Dovremmo anche considerare l’introduzione di certificati di qualità per i prestatori di servizi al fine di migliorare la fiducia dei fruitori. Le conclusioni e le proposte che emergono dalla relazione coincidono con le conclusioni della commissione giuridica. Desidero ringraziare il relatore per la sua relazione efficiente e corretta.

 
  
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  Heide Rühle, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signor Presidente, anch’io desidero ringraziare il relatore, benché purtroppo non abbia ancora avuto il piacere di leggere uno dei suoi libri. Ne ho comunque preso nota e rimedierò alla prossima occasione.

Grazie per la buona cooperazione e grazie, anche, per aver affrontato temi importanti nella relazione. E’ vero che esistono già quadri giuridici per i servizi nel mercato interno, come la direttiva sui servizi o la direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali, ma il recepimento di queste direttive – di entrambe – lascia purtroppo molto a desiderare. Rincresce, quindi, che il Consiglio non sia presente questa sera, perché avremmo potuto ancora una volta dire chiaramente che ci aspettiamo che entrambe le direttive vengano recepite nei tempi stabiliti e che il lavoro degli Stati membri prosegua di conseguenza.

In ogni caso – come ha giustamente fatto notare il relatore – sono necessarie più iniziative volte ad aumentare la fiducia dei consumatori nei servizi transfrontalieri nel mercato interno. Anche in questo caso, quest’argomento così importante è già stato affrontato in precedenti relazioni. Nella sua relazione, l’onorevole Roithová ha rilevato che vi sono ancora molte lacune, in particolare per quanto riguarda le vendite su Internet, e che i consumatori non hanno ancora la necessaria fiducia nei servizi transfrontalieri. Parimenti, l’onorevole Lehtinen nella sua relazione attira l’attenzione sugli obblighi dei prestatori di servizi e sulla questione della protezione giuridica dei consumatori. Vorrei tornare su un argomento al quale, oggi, hanno già accennato in precedenza due oratori, vale a dire il diritto di accesso collettivo alla giustizia in cause transfrontaliere. Abbiamo urgentemente bisogno di iniziative in questa direzione per infondere nei consumatori la fiducia nei servizi transfrontalieri e ciò può essere ottenuto solo rafforzando la loro posizione giuridica.

Dal mio punto di vista, entrambe le relazioni – la relazione Roithová e la relazione Lehtinen – mettono in luce le lacune tuttora esistenti. La Commissione dovrebbe prendere seriamente in considerazione entrambe le relazioni per rivedere, ammodernare e aggiornare l’acquis in materia di consumatori.

 
  
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  Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. (DA) Signor Presidente, abbiamo adottato una direttiva sui servizi mediante la quale abbiamo ceduto alla Corte di giustizia del Lussemburgo il potere di decidere ciò che abbiamo deciso! Non sappiamo ancora se gli accordi degli Stati membri saranno rispettati. Non sappiamo in che misura sarà consentito stabilire requisiti nazionali di qualità. Non sappiamo se sia legale che gli Stati membri decidano quali servizi mantenere sotto il controllo privato o sotto quello pubblico. La relazione quindi è altrettanto poco chiara che la situazione giuridica. Aspettiamo di sapere dai giudici di Lussemburgo se possiamo mantenere i nostri ospedali e una lunga lista di altri servizi essenziali che insieme costituiscono il nostro stato sociale.

In Danimarca tutti i cittadini godono di diritti sociali che finanziamo attraverso tasse elevate che solo il 7% dei danesi vorrebbe veder ridotte. Sembrerebbe che i giudici di Lussemburgo vogliano premiare questo 7% ma la maggioranza? Chi salvaguarderà le decisioni e la nostra democrazia? Abbiamo anche un servizio di flessicurezza basato su accordi volontari tra le parti all’interno del mercato del lavoro. Come possono essere protetti? E’ il centro nevralgico del sistema sociale danese ad essere minacciato dalle incertezze e dall’attivismo giudiziario della direttiva sui servizi.

Il movimento di giugno vorrebbe contribuire alla definizione di regole chiare e adeguate per un mercato comune di tutti i servizi, ma non vogliamo impedire agli Stati membri di avere anche una democrazia che fissi dei paletti riguardo a ciò che dovrebbe essere deciso dall’elettorato e a ciò che dovrebbe essere deciso dai capitalisti.

 
  
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  Petre Popeangă, a nome del gruppo ITS. – (RO) Signor Presidente, la libera prestazione dei servizi è, come sappiamo, una delle quattro libertà fondamentali che determinano in modo decisivo la funzionalità e l’efficacia del mercato unico, un elemento importante del primo pilastro alla base della costruzione dell’Unione europea.

Questo è uno dei motivi per cui io credo che un’analisi dei progressi compiuti verso questo strumento del mercato unico sia importante e necessaria. E’ importante perché il costante sviluppo economico e sociale dell’Unione europea dipende egualmente dal settore dei servizi, e a questo riguardo è significativa l’incidenza del 70% che i servizi hanno sul PIL dell’Unione. E’ necessaria perché il volume degli scambi transfrontalieri di servizi è molto basso rispetto a quello delle merci, e questa situazione genera anche mancanza di fiducia nel consumo di questi prodotti da parte dei cittadini dell’Unione europea. Sulla base di queste argomentazioni, sostengo la relazione e voterò a favore.

Cionondimeno, considero che, in relazione alle proposte pertinenti e valide formulate dal relatore, sarebbe stata necessaria un’analisi più sostanziale della situazione in alcuni paesi che hanno aderito recentemente all’Unione europea, come la Romania, i cui mercati sono molto meno sviluppati di quelli della maggior parte degli altri Stati membri dell’Unione. Da questo punto di vista, credo che la relazione avrebbe dovuto contenere anche una serie di obiettivi volti a livellare il grado di sviluppo dei mercati nazionali, condizione necessaria per lo sviluppo del mercato unico e, di conseguenza, del segmento dei servizi frontalieri.

 
  
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  Andreas Schwab (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, anch’io desidero ovviamente ringraziare il relatore. Le discussioni che hanno preceduto questa relazione sono sempre state molto proficue e interessanti. Molto di quanto è emerso da queste discussioni è stato incorporato nella relazione, anche se non tutto; questo, almeno dal mio punto di vista, è un peccato perché la relazione sottolinea in alcuni punti che il completamento del mercato interno dei servizi nell’Unione europea è molto in ritardo rispetto al mercato interno delle merci. Dal mio punto di vista non esiste alcuna prova scientifica o comunque oggettiva, visto che non solo abbiamo la direttiva sui servizi ma anche la direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali e altre direttive nel settore dei servizi.

In secondo luogo, il settore dei servizi nel mercato interno è molto più eterogeneo di quello delle merci. Spazia dai servizi subordinati ai servizi medici e giuridici e poi abbiamo tutta una serie di servizi, come importanti servizi bancari e assicurativi. Raggruppare indistintamente tutti questi servizi, cosa che succede ripetutamente in quest’Aula, è rischioso secondo me. Io penso – e diversi oratori che mi hanno preceduto lo hanno già fatto notare – che un approccio differenziato sarebbe sicuramente utile.

Il terzo punto che è stato ripetutamente sollevato, il cosiddetto “collective redress”, difficilmente diventerà più pertinente solo perché spesso è oggetto di discussione. Ciò che si può dire in modo chiaro e inequivocabile, penso, è che il Parlamento si aspetta che la Commissione intraprenda uno studio per esaminare quale dei diversi modelli già esistenti in Europa sia il migliore per l’Unione. Credo che sia tutto ciò che ci sia da dire su questo argomento.

Le disposizioni relative alla responsabilità nei singoli Stati membri – e questo è il mio quarto punto – sono ancora molto eterogenee. E’ per questo che abbiamo bisogno di un sistema unificato per gli obblighi dei prestatori di servizi. Una maggior chiarezza nel sistema giuridico che disciplina questi obblighi creerà maggior concorrenza e quindi più scelta per il consumatore, ma credo – come altri oratori hanno già detto – che sia sbagliato chiedere alla Commissione di elaborare adesso uno strumento orizzontale. In ogni caso, sono molto scettico riguardo alla creazione a livello europeo di questo tipo di diritto sulla responsabilità.

 
  
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  Małgorzata Handzlik (PPE-DE). – (PL) Desidero congratularmi con il relatore per questa relazione che mette in luce molti dei problemi che il consumatore incontra nel mercato interno.

Questa relazione attira giustamente l’attenzione sulla mancanza di chiarezza e di certezza riguardo alla sicurezza e alla qualità dei servizi. Fa anche riferimento alla mancanza di fiducia del consumatore europeo nel consumo transfrontaliero. Questo è confermato dalle statistiche. Nel 2006 solo il 6% dei consumatori europei ha fatto acquisti transfrontalieri su Internet. Questa situazione ha un impatto negativo sulle attività delle piccole e medie imprese e contribuisce anche all’espansione del commercio illegale: entità disoneste spesso sfruttano le differenze tra i sistemi giuridici nell’Unione europea per truffare le persone. E’ necessario intervenire rapidamente perché, una volta individuate queste situazioni, occorre reagire.

Vorrei ricordare a questo Parlamento i lunghi mesi di lavoro dedicati alla direttiva sui servizi, cioè alla revisione della normativa relativa ai consumatori. Come gli onorevoli deputati sapranno, la direttiva sui servizi deve essere attuata in tutti gli Sati membri entro dicembre del 2009. Una buona parte dei problemi a cui ha accennato il relatore cesseranno certamente di esistere dopo la fase di trasposizione. Dobbiamo ricordare che la direttiva sui servizi migliorerà in modo significativo i diritti del consumatore. Grazie a questa direttiva, i prestatori di servizi dovranno offrire ai consumatori più informazioni riguardo ai servizi proposti. Il consumatore sarà così in grado di operare scelte migliori e in cognizione di causa e sarà anche meglio protetto dalle istituzioni competenti.

La direttiva sui servizi impone ai prestatori di servizi anche una serie di obblighi chiari, compreso quello che riguarda la soluzione delle controversie. Credo che non occorra introdurre altri strumenti giuridici prima dell’entrata in vigore della direttiva sui servizi. Dal mio punto di vista è prematuro chiedere alla Commissione di presentare uno strumento orizzontale. Lo stesso vale per tutta la revisione della normativa relativa ai consumatori. La Commissione ha già presentato un Libro verde sulla legislazione relativa ai consumatori e presenterà a tempo debito proposte legislative in materia. Onorevoli colleghi, talvolta una maggiore legislazione non significa una migliore legislazione. Faremmo bene a ricordarcene.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) La direttiva sui servizi, la cui trasposizione nella legislazione nazionale di tutti gli Stati membri dovrà avvenire entro il 28 dicembre del 2009, avrà un effetto significativo sui servizi transfrontalieri.

Questa direttiva e il Libro verde sulla revisione dell’acquis in materia di consumatori non sanciscono questi obblighi fondamentali per i prestatori di servizi e quindi accolgo con favore la relazione dell’onorevole Lehtinen. La relazione cerca di garantire che non solo i consumatori, ma anche le piccole e medie imprese che acquistano e vendono servizi transfrontalieri possano trarre vantaggio da una maggiore certezza giuridica, da una maggiore semplicità e da costi più bassi.

Credo che il processo europeo di normazione sia fondamentale per il successo delle ditte artigianali e delle PMI e che l’introduzione di norme europee a livello dell’Unione sia un mezzo per favorire la sicurezza dei servizi e per garantire i diritti dei consumatori relativamente ai servizi transfrontalieri forniti dagli Stati membri. Se i consumatori diffidano della sicurezza e della qualità dei servizi, essi tendono ad erigere barriere psicologiche nei confronti dei fornitori stranieri e si astengono quindi dall’avvalersi di servizi transfrontalieri. Se un consumatore ha un’esperienza negativa, spesso la generalizza ingiustamente a tutti i prestatori di servizi stranieri.

I consumatori hanno la possibilità di risolvere i problemi che insorgono prevalentemente a causa di procedure diverse in vigore nei singoli Stati membri nel quadro della rete dei centri europei per i consumatori, la rete CEC, e della rete per la composizione extragiudiziale delle controversie in materia di servizi finanziari, la rete FIN. Qualora un consumatore sappia quali sono i suoi diritti sul mercato interno ma cerchi di esercitarli invano in un altro Stato membro dell’UE, può rivolgersi a SOLVIT.

Onorevoli colleghi, apprezzo il fatto che questa relazione si concentri soprattutto sui consumatori, giacché sono loro, in particolare, a rappresentare un elemento fondamentale e importante del mercato interno. Il nostro obiettivo comune deve quindi essere quello di creare le condizioni che consentano ai consumatori di avere la stessa fiducia quando effettuano un acquisto in un altro paese di quando lo fanno nel loro.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, benché il Trattato CE garantisca ai suoi cittadini il libero accesso ai servizi oltre le frontiere nazionali, solo un numero ristretto di prestatori di servizi e di consumatori si avvale di questo vantaggio del mercato comune. Un basso livello di concorrenza rende quindi nelle regioni frontaliere i servizi più cari e non sempre di facile accesso rispetto ai servizi all’interno del paese.

Alcune indagini rilevano che il problema non sono le barriere linguistiche, ma la legislazione. Non è sempre chiaro quando si applichi il diritto del paese di origine e quando quello nazionale. Sfortunatamente, grazie agli oppositori del principio del paese d’origine, abbiamo perso l’occasione di meglio definire questo aspetto nella direttiva sui servizi. Qui a Strasburgo questa relazione è accompagnata anche da una paura irrazionale di citare il principio del paese d’origine, nonostante il fatto che in molte professioni i prestatori di servizi non debbano conoscere la normativa del paese limitrofo per fornire servizi transfrontalieri.

Presto la giurisprudenza metterà fine alle diatribe per stabilire in quali casi si applichi il diritto nazionale o quello del paese ospitante in materia di protezione dei consumatori. Ritengo che, da questo punto di vista, la relazione dell’onorevole Lehtinen rappresenti un eccellente contributo perché, a parer mio, la nostra definizione di obblighi generali del prestatore dovrebbe basarsi su norme europee concordate.

Sono d’accordo che quando si tratta della protezione dei consumatori, debbano valere gli stessi obblighi per i prestatori di servizi privati e pubblici. Sono anche favorevole al finanziamento di reti di comunicazione tra gli Stati membri. Questo porterà a un controllo efficace e faciliterà la soluzione extragiudiziale delle controversie.

Signora Commissario, siamo molto in debito con i cittadini europei per quanto riguarda le condizioni che regolano la libera prestazione dei servizi transfrontalieri. Questa risoluzione salda in parte questo debito. Il Parlamento europeo fornisce alla Commissione il sostegno politico per definire chiaramente gli obblighi dei prestatori, a prescindere dalla loro origine. La relazione dell’onorevole Lehtinen testimonia l’eccellente lavoro svolto dalla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori.

 
  
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  Viviane Reding, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, ho ascoltato molto attentamente la discussione sulla relazione del Parlamento relativa agli obblighi dei prestatori di servizi transfrontalieri. Desidero ringraziare gli onorevoli parlamentari per il loro impegno. Mi permetta adesso di rilevare alcuni punti chiave.

Primo, la Commissione appoggia l’obiettivo della relazione che il Parlamento metterà ai voti domani. La mancanza di fiducia del consumatore nel mercato interno dei servizi ci preoccupa molto. Mi sia permesso sottolineare che, in qualità di Commissario per la società dell’informazione, questa mancanza di fiducia nelle attività su Internet è veramente molto importante e dovremo intervenire.

Secondo, come ho accennato prima, la Commissione ha già intrapreso diverse iniziative volte a correggere la situazione attuale. Ho citato la direttiva sui servizi e la revisione dell’acquis in materia di consumatori. Quest’ultima, tra l’altro, è una delle principali priorità della collega, Commissario Kuneva.

Desidero dire che siamo molto grati per il sostegno del Parlamento: vorremmo incoraggiarlo a continuare a fornire il suo contributo al processo di revisione e, insieme al Parlamento, vorremmo poter ottenere dei risultati prima possibile.

Cosa proporremo in concreto nelle prossime settimane e nei prossimi mesi? Primo, all’inizio di ottobre verrà pubblicato sul sito web della Commissione un riassunto delle risposte alla consultazione. Poi seguirà una valutazione d’impatto in vista di una possibile proposta della Commissione nella seconda metà del 2008. I membri che si sono già occupati attentamente del problema saranno certamente interessati.

Terzo, la Commissione concorda quanto alla necessità di promuovere gli aspetti riguardanti la sicurezza dei servizi, perché è estremamente importante fornire maggiori garanzie sulla sicurezza sanitaria e fisica dei servizi forniti nell’ambito del mercato interno.

Assieme agli Stati membri attireremo l’attenzione sulle eventuali carenze dei sistemi nazionali o sulla necessaria applicazione della valutazione. Svilupperemo iniziative volte a promuovere l’educazione e la consapevolezza dei consumatori. Agevoleremo l’accesso all’informazione esistente per quanto riguarda gli incidenti e le lesioni collegate alla sicurezza dei servizi offerti ai consumatori; e uno degli elementi veramente importanti sul quale hanno messo l’accento diversi Stati membri riguarda l’accesso collettivo alla giustizia. La Commissione sta svolgendo studi e concertando le parti interessate al fine di valutare l’opportunità di un’iniziativa in quest’ambito ma una cosa è chiara, e vorrei sottolinearlo: questa non sarà un’azione collettiva risarcitoria di tipo americano.

Per concludere, desidero ringraziare il relatore per il suo lavoro e il Parlamento per l’importanza che attribuisce a questo tema. Siamo convinti che la relazione parlamentare sarà determinante per il nostro lavoro futuro nell’interesse dei consumatori.

 
  
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  Presidente. − Un sincero grazie, signora Commissario, per questo interessante dibattito nel quale più del 50% degli oratori intervenuti erano donne. E’ così che dovrebbe essere.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì 27 settembre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Bogdan Golik (PSE), per iscritto. – (PL)

Desidero ringraziare l’onorevole Lehtinen per l’eccellente relazione.

La libertà di fornire servizi è una delle quattro libertà fondamentali del mercato interno. Negli anni, il settore dei servizi è diventato sempre più importante per lo sviluppo economico e sociale dell’Unione europea ed ha subito profondi cambiamenti.

Nonostante le disposizioni del Trattato che istituisce l’Unione europea e nonostante l’attuale processo di trasposizione della direttiva sui servizi nella legislazione nazionale, in pratica la libera prestazione dei servizi continua ad essere ostacolata da disposizioni amministrative e da differenze tra gli ordinamenti giuridici degli Stati membri.

Alla luce delle minacce e delle sfide poste dalla globalizzazione e delle carenze nel settore dei servizi individuate dalla relazione, è particolarmente importante prendere provvedimenti per eliminare gli ostacoli alla prestazione dei servizi transfrontalieri.

La mancanza di fiducia da parte del consumatore e la riluttanza delle aziende ad operare fuori dal loro paese d’origine limita l’accesso al mercato interno. L’Unione dovrebbe introdurre urgentemente meccanismi che permettano alle aziende, soprattutto alle PMI, di trarre più facilmente beneficio dal mercato interno. Le disposizioni comunitarie sulla prestazione dei servizi transfrontalieri dovrebbero pertanto essere razionalizzate e si dovrebbe introdurre un periodo minimo per l’armonizzazione degli standard di qualità, al fine di tutelare gli interessi degli utenti.

Più cooperazione tra gli Stati membri, meno procedure amministrative e un controllo appropriato dei servizi transfrontalieri favoriranno una maggiore attività transfrontaliera. L’armonizzazione degli standard di qualità rafforzerà la fiducia dei consumatori e dei fornitori dei servizi transfrontalieri.

La facilitazione della prestazione dei servizi transfrontalieri porterà a un mercato unico dei servizi ben funzionante, gettando così le basi di un mercato interno economicamente coeso.

 

16. i2010: Biblioteche digitali (discussioni)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione dell’onorevole Marie-Hélène Descamps, a nome della commissione per la cultura e l’istruzione, su i2010: biblioteche digitali (2006/2040(INI)) (A6-0296/2007).

Ancora una volta, più del 50% degli oratori che partecipano a questa discussione sono donne; la prima è la relatrice, onorevole Marie-Hélène Descamps.

 
  
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  Marie-Hélène Descamps, relatore. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, l’idea di una biblioteca digitale europea è nata dalla volontà di sei capi di Stato e di governo europei di consentire a tutti l’accesso al patrimonio culturale europeo e di preservarlo per le generazioni future. Questo progetto federale per l’Europa rafforzerà l’espressione di una vera identità europea e aiuterà a diffondere la nostra diversità culturale e linguistica in tutto il mondo. Il progetto, che è senza precedenti in Europa, unisce il passato al presente, la dimensione culturale alla dimensione digitale. E’ la risposta perfetta alla sfida che rappresentano per i nostri concittadini le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Internet, terzo mezzo di comunicazione preferito dai giovani europei, è in effetti un dei mezzi principali di accesso alla conoscenza e all’apprendimento.

Nonostante i reali progressi compiuti, la digitalizzazione delle nostre risorse culturali e la loro messa in rete rimangono ancora molto frammentate e dipendono dai vari meccanismi messi in atto dagli Stati membri. Se vogliamo che siano efficaci e che raggiungano il maggior numero di persone, le iniziative volte a promuovere e a diffondere il nostro patrimonio culturale devono essere ben coordinate. Questo è l’obiettivo che si prefigge la biblioteca digitale europea, a cui la Commissione ha risposto favorevolmente attraverso la sua iniziativa faro “i2010 biblioteca digitale”.

La prima parte di quest’iniziativa, la comunicazione del 30 settembre 2005, si articola su tre grandi assi: la digitalizzazione, l’accessibilità on-line e la conservazione del contenuto digitale. In questo contesto, la Commissione ha analizzato le principali sfide tecniche, giuridiche, organizzative e finanziarie che avrebbe posto un progetto di questa portata. Parallelamente, è stata lanciata una consultazione pubblica on-line ed è stato istituito un gruppo di esperti ad alto livello. Sulla base di questi diversi elementi, il 24 agosto 2006 la Commissione ha adottato una raccomandazione sulla digitalizzazione, l’accessibilità on-line e la conservazione digitale, nella quale invita gli Stati membri ad accelerare il ritmo della digitalizzazione e a coordinare gli sforzi per giungere ad una vera e propria sinergia. Il 13 novembre 2006, il Consiglio si è pronunciato all’unanimità a favore di queste raccomandazioni. Adesso spetta al Parlamento inviare un segnale forte a favore della realizzazione di questo eccezionale progetto.

L’impresa è tale che dobbiamo procedere per gradi. Quindi, pur lavorando sin dall’inizio sull’organizzazione concettuale e tecnica di tutte le categorie di materiale culturale, è necessario in un primo tempo privilegiare il potenziale offerto dal patrimonio testuale esente da diritti conservato nelle biblioteche attraverso un punto d’accesso unico, diretto e multilingue. Le nostre biblioteche offrono il vantaggio di essere già coordinate a livello europeo mediante TEL, la biblioteca europea creata nel 2005 dalle biblioteche nazionali, che dispone di un gran numero di opere digitali appartenenti al settore pubblico e quindi immediatamente utilizzabili.

In un secondo tempo, per favorire il successo di questo strumento, la biblioteca deve anche fornire l’accesso a opere più contemporanee, oltre ai documenti appartenenti al settore pubblico. Ogni decisione in questo senso dovrà necessariamente essere presa di concerto con tutte le parti interessate. In effetti, la protezione dei diritti d’autore e dei diritti affini è una condizione indispensabile per la conservazione e la salvaguardia della creatività in Europa. Questo progetto otterrà il successo previsto solo se si baserà su un modello economico coerente. Quindi, con l’assenso dei titolari dei diritti, la relazione propone che a partire dalla biblioteca digitale europea, l’utente possa localizzare i documenti digitali indipendentemente dalla loro natura e possa consultare liberamente e integralmente le opere esenti da diritti, ma possa accedere solo a brevi estratti delle opere protette. Per andare oltre, per sfogliare virtualmente l’opera o accedere all’integralità del documento soggetto a diritti, gli utenti saranno indirizzati verso operatori privati specializzati nella diffusione digitale sicura, dove saranno loro offerte diverse opzioni mediante una giusta remunerazione ai titolari dei diritti.

Inoltre, la biblioteca dovrà essere organizzata in modo da fornire l’accesso a contenuti affidabili e di qualità adeguati a tutti i visitatori di tutte le età. A questo fine, la relazione rivolge un appello a favore della costituzione di un comitato di direzione, all'interno del quale le istituzioni culturali assumerebbero il ruolo principale. Tale comitato definirebbe le priorità e gli orientamenti da dare alla biblioteca digitale europea, garantendo nel contempo il coordinamento, la gestione e il monitoraggio delle sue attività.

Infine, per dare accesso a tutte le culture europee, bisognerà coinvolgere, in ogni fase della realizzazione del progetto, le altre istituzioni e gli altri settori culturali quali gli archivi, i musei, i cinema, le arti audiovisive e le università. In questo modo tracceremo il volto di un’Europa unita nella sua diversità.

Vorrei concludere ringraziando tutti gli onorevoli colleghi della commissione per la cultura e l’istruzione, in particolare l’onorevole Weber e l’onorevole Graça Moura, per il sostegno e il contributo apportati a questa relazione. Desidero anche ringraziare la Commissione per l’eccellente cooperazione lungo tutta la fase di elaborazione di questo documento.

 
  
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  Viviane Reding, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, questa è una grande relazione e l’onorevole Descamps, insieme ai suoi colleghi della commissione, ha svolto un ottimo lavoro.

L’iniziativa della biblioteca digitale è un esempio di come l’Europa possa contribuire con progetti concreti non solo alla crescita economica ma anche alla qualità della vita. Mettendo in rete il patrimonio culturale e scientifico dell’Europa, possiamo diffonderlo tra le diverse culture. Avvalendoci di tecnologie moderne, possiamo abbattere i muri che esistono oggi.

Sono molto lieta che quest’iniziativa, assunta dalle biblioteche nazionali dei nostri Stati membri e che la Commissione europea sta sviluppando da così tanti anni, sia messa in risalto e sostenuta dalle forze politiche dell’Unione europea ai livelli più alti. I nostri capi di Stato e di governo fanno bene ad appoggiarla perché nelle nostre biblioteche, nei nostri archivi e nei nostri musei è racchiusa una vera ricchezza. Non sono solo libri, ma anche giornali, documenti di archivio e film. E’ una ricchezza multilingue, una ricchezza multiculturale. Sapendo che meno dell’1% di questa ricchezza è digitalizzata, sappiamo che cosa ci aspetti e che tipo di lavoro dobbiamo svolgere.

Questo lavoro è necessario per due motivi. Il primo è che permette di superare le barriere e fa sì che le persone studino, lavorino e usufruiscano delle opere della loro stessa cultura e delle opere della nostra comune storia europea; e poi permette che questi elementi delle nostre istituzioni culturali vengano riutilizzati per servizi e prodotti di valore aggiunto. E’ qui che interviene l’industria. E’ per questo motivo che l’obiettivo dell’iniziativa della Commissione è di ottenere un punto di accesso comune e multilingue al patrimonio culturale europeo digitalizzato.

Non possiamo farlo da soli. E’ necessaria la collaborazione tra i diversi tipi di istituzioni culturali di tutti i paesi europei. Sono lieta di constatare che questo progetto stia prendendo forma e che stia per essere formalizzato attraverso la creazione di un ente giuridico che potenzierà la capacità di agire della biblioteca digitale europea. Questo punto d’accesso comune sarà lanciato nel 2008. Negli anni successivi i suoi contenuti aumenteranno gradualmente a mano a mano che sempre più biblioteche, sempre più archivi e sempre più archivi audiovisivi e musei contribuiranno con le loro collezioni digitalizzate.

Sono inoltre estremamente lieta che la relazione del Parlamento tratti non solo dei risultati ma anche dei prerequisiti per raggiungerli. Questo significa migliorare le condizioni generali che permettono di mettere in rete il patrimonio culturale come parte integrante delle iniziative a favore delle biblioteche digitali e significa anche che gli Stati membri debbano intensificare i loro sforzi per la digitalizzazione. Vorrei dire molto chiaramente che non basta che vi sia un evento culturale importante dove tutti i capi di governo pronunciano bei discorsi per poi tornarsene nel loro paese e tagliare il bilancio. Non deve essere così! Abbiano bisogno di parole che siano seguite da fatti. Voglio che il Parlamento vada avanti e ci aiuti a trasformare in realtà questo bellissimo progetto.

Abbiamo il gruppo ad alto livello sulle biblioteche digitali, che io presiedo e che sta compiendo grandi progressi in questo campo. Siamo anche consapevoli che la conservazione del materiale digitale sarà uno dei problemi principali del futuro e sono quindi felice che il Consiglio abbia appoggiato l’orientamento della Commissione relativamente alla biblioteca digitale e che il Parlamento ci aiuti a muoverci nella stessa direzione, usando il suo peso politico per sostenere quest’obiettivo.

 
  
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  Vasco Graça Moura, a nome del gruppo PPE-DE. – (PT) Signor Presidente, devo congratularmi vivamente con l’onorevole Descamps per la sua brillante relazione. E’ un documento che offrirà un contributo importante alla questione della relazione tra tecnologia digitale e patrimonio culturale. La relazione sollecita un coordinamento degli sforzi tra le istituzioni nazionali, in particolare le biblioteche e in futuro con le altre istituzioni culturali. Inizia in modo pratico con le opere che già appartengono al settore pubblico. Propone l’uso efficace di sinergie e lo scambio di buone prassi a tutti i livelli. Invita gli Stati membri a promuovere il progetto e ad evitare duplicazioni in termini di sforzi per la digitalizzazione dei propri fondi. Incoraggia il coordinamento di tutti questi sforzi. La relazione Descamps rappresenterà il momento culminante di questa legislatura per quanto riguarda il rapporto tra la tecnologia più avanzata e la cultura europea di tutti tempi.

Quando parliamo di cultura europea, parliamo anche di cultura universale. Non solo perché il patrimonio culturale europeo merita questa qualifica, ma anche perché la diversità culturale intrinseca dell’Europa forma un sistema completamente aperto che avrà certamente riflessi positivi a mano a mano che il progetto avanzerà. Si tratta inoltre di un progetto che ha subito un’evoluzione. E’ iniziato come illusione “chauviniste” di fare concorrenza a Google ma, dopo varie vicissitudini, è stato riformulato in termini più sensibili, realistici e produttivi. Non è più quello che il Financial Times ha tempo fa definito “a blatant case of misguided and unnecessary nationalism”.

La biblioteca digitale europea è diversa dalle altre soluzioni perché è un progetto dell’Unione europea, perché intende raggiungere tutte le biblioteche, perché si basa su iniziative esistenti e perché vuole coprire tutte le categorie del patrimonio culturale europeo, senza limitarsi al materiale testuale. Esistono certamente ancora problemi: reperire finanziatori nel settore privato; evitare nel limite del possibile un diverso ritmo di digitalizzazione tra gli Stati membri; risolvere alcuni aspetti tecnici relativi al coordinamento dell’accesso alle opere digitalizzate; conservare i contenuti digitali; risolvere il problema del motore di ricerca integrato per la metainformazione nel caso di documenti formato immagine e per la ricerca diretta per i documenti in formato testo; trovare soluzioni per l’interoperabilità dei contenuti e permettere la ricerca multilingue per argomenti o parole chiave, oltre che per autore e titolo come avviene adesso. Non dobbiamo dimenticare nemmeno che lo scambio di esperienze tra le istituzioni sarà fondamentale, in particolare con le istituzioni americane, e nemmeno che una forte componente di ricerca e di sviluppo sarà determinante per il successo del progetto.

In questo contesto, votando a favore della relazione Descamps, questo Parlamento compirà un passo positivo verso il futuro, sia che la maggioranza sia composta da donne, sia che sia ragionevolmente composta da una percentuale di donne e da un’altra percentuale di uomini, signor Presidente.

 
  
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  Presidente. − Ah, ma le donne sono molto contente che lei sia un uomo!

 
  
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  Christa Prets, a nome del gruppo PSE. (DE) Signor Presidente, signora Commissario, il 2010 è dietro l’angolo. Considerando che il titolo della relazione è “i2010: verso una biblioteca digitale europea”, significa che abbiamo ancora molto da fare e a mio avviso l’abbiamo tirata troppo per le lunghe. Sono lieta che l’onorevole Descamps abbia presentato un’ottima relazione che indica la strada e dice cosa si possa fare e cosa si potrebbe fare. Dobbiamo però compiere tutti degli sforzi per far muovere le cose. La relazione è una sfida e una risposta alle nuove tecnologie, alla nuova gestione della conoscenza e dell’informazione e, soprattutto, all’accesso dei giovani all’apprendimento, all’informazione e alla conoscenza. Dobbiamo recuperare molto e, per quel che mi riguarda, dobbiamo veramente accelerare le cose.

Non si tratta solo di conservare e di salvaguardare il patrimonio culturale. Ogni giorno vi è qualcosa di nuovo da aggiungere all’equazione, perché ciò che è stato inventato e scritto appena ieri costituirà il nostro patrimonio culturale di domani. Ciò significa che dobbiamo recuperare molto terreno. Allo stesso tempo, però, dobbiamo guardare sempre avanti per poter tenere il passo con gli sviluppi.

Sarà molto importante coordinare il processo e sollecitare i paesi – come è stato appena detto – a mettere da parte le sensibilità nazionali e a percorrere insieme il cammino europeo verso la salvaguardia della diversità culturale. Ci sono ostacoli da superare. Il primo è la carenza finanziaria cui dobbiamo far fronte. Bene ha fatto il Commissario a parlarne. Tutti i ministri e i Presidenti sono molto bravi a pronunciare bei discorsi e sono orgogliosi della nostra diversità culturale, ma quando poi si tratta di finanziamenti e d’attuazione fanno rapidamente marcia indietro e si dimenticano tutto l’orgoglio che hanno esibito.

Dal mio punto di vista è anche molto importante salvaguardare i diritti d’autore, quindi dobbiamo trovare un accordo con gli autori e gli editori e tutte le parti interessate, in modo che, pagando un diritto appropriato, l’informazione possa essere diffusa via Internet e sia accessibile agli utenti. Credo che vi sia molto a cui pensare in questo ambito. Certo non è un compito facile, ma le proposte sono sul tavolo e i paesi potrebbero guadagnarci molto. Sono convinta che domani avremo un voto positivo su questa relazione.

A mio avviso dobbiamo avvalerci delle nuove tecnologie e sostenere questo progetto, non solo per facilitare l’accesso a noi in quanto europei ma anche per portare la nostra cultura nel mondo.

 
  
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  Jolanta Dičkutė, a nome del gruppo ALDE. (LT) Onorevoli deputati, come è stato affermato nel documento iniziale della Commissione, una biblioteca digitale europea si baserebbe sul ricco patrimonio europeo combinando gli ambienti multiculturali e multilinguistici con i progressi tecnologici e i nuovi modelli commerciali. Nel contesto dell’integrazione, è un obiettivo bello e auspicabile, un traguardo ambizioso. Dobbiamo sicuramente raggiungere questi obiettivi ideali, ma dobbiamo anche essere realistici, attenti e preparati a far fronte alle sfide che inevitabilmente si presenteranno durante questo processo.

I principali problemi legati alla creazione delle biblioteche digitali sono universali, anche se vengono descritti in modi diversi. Le infrastrutture tecniche, la creazione di risorse digitalizzate, la digitalizzazione, l’individuazione dei diritti d’autore, la conservazione dei contenuti e dei documenti sono problemi che richiedono decisioni evolutive ed essenziali.

La possibilità di fornire servizi virtuali e progetti per la loro realizzazione è importante per ogni tipo di biblioteca. E’ chiaro però che il materiale digitalizzato, quale il materiale testuale e quello audiovisivo, ampliano le funzioni tradizionali delle biblioteche aggiungendo contenuti diversi. Ad esempio, l’accesso alle informazioni conservate in una biblioteca tradizionale è determinato dall’orario di lavoro che di solito è più lungo di quello di altre istituzioni pubbliche. Se una biblioteca è virtuale il suo accesso è universale, perché non ci sono porte fisiche che isolino le informazioni dagli utenti. L’accesso all’informazione è garantito dai periodi di lavoro del server.

I bibliotecari possono avvalersi di competenze e di conoscenze tradizionali per progettare servizi virtuali, ma questi non sono sufficienti. Le biblioteche digitali sono un fenomeno del terzo millennio ed è quindi necessario valutare non solo la conoscenza specifica che è oggi essenziale, ma anche quella che sarà necessaria in futuro, perché le tecnologie cambiano. Non è così importante avere una conoscenza perfetta di certe tecnologie, perché ogni impiegato flessibile e maturo può ottenere le competenze e l’esperienza necessarie per il suo lavoro.

Nel mio paese, la Lituania, la conservazione a lungo termine del patrimonio lituano mediante l’uso delle tecnologie dell’informazione è stata determinata dall’adozione di atti giuridici. Tuttavia, questo problema non viene risolto coordinando le attività delle “istituzioni della memoria” (biblioteche, musei, archivi). Né i cittadini della Lituania, né quelli di altri paesi sono ancora in grado di utilizzare tutti i servizi forniti dalle biblioteche digitali. Spero che la decisione di oggi acceleri questi processi.

 
  
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  Mieczysław Edmund Janowski, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, Umberto Eco ha detto che chi legge i libri vive due volte. La relazione dell’onorevole Descamps descrive bene l’approccio moderno alle questioni relative alla cultura e all’educazione. Anch’io ho fatto riferimento alla questione nella mia relazione sul contributo della futura politica regionale alla capacità d’innovazione dell’Unione europea.

Come a suo tempo l’invenzione di Gutenberg ha segnato una svolta nello sviluppo umano, così oggi noi possiamo parlare di una rivoluzione culturale compiuta da Internet. L’argomento in questione è l’accesso diffuso al tesoro europeo, anzi mondiale, del patrimonio spirituale e materiale dell’umanità. Quest’ultimo è composto da opere contemporanee e da opere che risalgono ai secoli passati, prodotte da culture e lingue diverse. In questo contesto, i diritti d’autore e i diritti connessi rappresentano certamente un elemento problematico.

Apprezzo quanto è già stato fatto a questo riguardo in molti Stati membri, compreso il lavoro svolto dalla biblioteca nazionale della Polonia. Vorrei cogliere quest’occasione per sottolineare quanto sia importante che l’accesso alla banda larga sia più diffuso. Credo che occorra trovare un modo per cofinanziare la digitalizzazione dalle risorse dell’Unione. Concluderò citando Goethe, il quale disse che per lui leggere un buon libro era come fare una nuova amicizia. Pensate a quante buone amicizie potremmo fare grazie alla biblioteca digitale europea!

 
  
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  Mikel Irujo Amezaga, a nome del gruppo Verts/ALE. (ES) Signor Presidente, la Commissione ha definito tre assi essenziali per sfruttare il potenziale della tecnologia digitale: accessibilità on-line, digitalizzazione delle collezioni analogiche e conservazione e custodia dei contenuti digitali. Questo lo sappiamo.

Per quanto riguarda la digitalizzazione, è risaputo che la Commissione, mediante una raccomandazione dell’agosto dell’anno scorso, ha chiesto agli Stati membri di coordinare gli sforzi per garantire la sinergia su scala europea. Il Consiglio ha sostenuto all’unanimità tale raccomandazione, ma desidero approfittare di questo mio intervento – è un peccato che il Consiglio non sia presente – innanzi tutto, per chiedere alla Commissione quali veri progressi abbiano compiuto gli Stati membri in quest’ambito, e secondariamente per appurare se siano state prese sufficientemente in considerazione le autorità non statali che, come sappiamo, in molti stati decentralizzati sono responsabili della cultura.

Per quanto riguarda un altro aspetto, l’accessibilità on-line, come ho detto, siamo tutti d’accordo che debbano essere garantiti un’interfaccia e contenuti multilingui. E’ un vero piacere entrare nella pagina web della biblioteca digitale e vedere che, oltre che nelle 23 lingue ufficiali della Comunità, i contenuti sono anche consultabili in islandese e in serbo.

Oggi celebriamo la giornata europea delle lingue alla cui istituzione lei, Commissario Reding, ha apportato un grande contributo. Ha anche detto in innumerevoli occasioni, signora Commissario, e giustamente, che non esistono lingue piccole e lingue grandi, che tutte formano la ricchezza culturale dell’Europa. E’ per questo che mi farebbe piacere vedere nella biblioteca digitale alcuni riferimenti, o meglio alcuni contenuti più che riferimenti, in lingue come la mia, che non sono lingue ufficiali dell’Unione europea.

 
  
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  Věra Flasarová, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Onorevoli parlamentari, quando bruciò la biblioteca di Alessandria durante l’invasione di Cesare dell’Egitto, una parte importante di tutta la letteratura scritta dell’umanità esistente all’epoca scomparve per sempre. Penso che, grazie all’esistenza delle biblioteche digitali, un evento del genere non possa mai più accadere.

Apprezzo il modo articolato con cui la relatrice ha affrontato la questione. Vengo dalla Repubblica ceca, dove la digitalizzazione della biblioteca nazionale a Praga è in corso con successo da diverso tempo. Poiché gli Stati hanno le loro biblioteche nazionali, è logico che l’Unione europea abbia un’istituzione simile che si avvalga delle ultime tecnologie. Non si tratta solo di completare così l’integrazione europea, è una questione pratica. Oggi vengono pubblicati sempre più libri. Un tale volume di letteratura non può essere concentrato in un solo posto senza l’ausilio della tecnologia del computer. E’ un lavoro mastodontico. Il progetto è di incorporare in questa biblioteca digitale europea le fonti digitali che già esistono e le opere letterarie non protette da diritti d’autore. Le opere letterarie saranno affiancate anche da opere tecniche, giuridiche, giornalistiche e anche audiovisive.

Mettere a punto un sistema così universale eppure ragionevolmente semplice sarà un compito interessante per gli esperti di tecnologia digitale. Sono convinta che la biblioteca digitale europea permetterà di eliminare rimandi infiniti e ricerche complicate nel ciberspazio virtuale e diventerà una biblioteca enorme che avremo, metaforicamente parlando, a domicilio.

Ovviamente vi sono anche dei rischi. Le biblioteche digitali ci renderanno ancora più dipendenti dai computer e minacceranno l’esistenza dei libri stampati? Può essere, anche se non lo ritengo molto probabile. Un libro tradizionale è parte integrante della nostra cultura, come il teatro o l’arte. Offre qualcosa che le biblioteche digitali non potranno mai offrire: un contatto personale con il lettore.

 
  
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  Thomas Wise, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, la British Library ha radici che risalgono al 1753. Contiene documenti che datano dal 300 avanti Cristo. Personaggi famosi come Karl Marx, Oscar Wilde, Mahatma Gandhi, Rudyard Kipling, George Orwell, George Bernard Shaw, persino Vladimir Lenin, sono sole alcune delle personalità che hanno studiato nelle sale di lettura del British Museum e delle biblioteche britanniche. Mi chiedo se avrebbero tratto tanta ispirazione navigando su Internet. Dubito che la nostra meravigliosa struttura, con la sua straordinaria raccolta di pubblicazioni provenienti da ogni parte del mondo e dall’impero britannico – e persino oltre – continui ad essere così apprezzata dopo che l’UE avrà fatto la fine di altri progetti eurofederalisti, da Carlo Magno ai terribili incubi politici degli ultimi due secoli. Le auguro buona fortuna, onorevole Descamps, con la sua biblioteca digitale, ma in questo campo, come in molti altri, preferisco concentrarmi a proteggere, preservare e sviluppare un patrimonio del quale sono orgoglioso piuttosto che a costruire gli orpelli di un nuovo stato sulle rovine di quelli che sono già falliti.

 
  
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  Piia-Noora Kauppi (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi innanzi tutto di precisare che accolgo con favore la relazione della Commissione e dell’onorevole Descamps quale opportuno e importante contributo per garantire che l’informazione digitale sia preservata per le generazioni future.

E’ vero che Internet è diventato uno dei principali mezzi di accesso alla conoscenza e all’apprendimento. Le biblioteche digitali potrebbero essere sicuramente molto utili per molti ricercatori, studenti, insegnanti e – per prendere un gruppo specifico – per le persone con disabilità fisiche. Quindi questa è un’iniziativa perfetta nell’anno delle pari opportunità per tutti.

Vorrei solo attirare la vostra attenzione su un aspetto che deve essere valutato attentamente prima di prendere decisioni.

Le cooperative pubbliche/private e la sponsorizzazione privata della digitalizzazione del patrimonio culturale europeo sono un elemento importante del sistema così come è oggi. Dobbiamo essere sicuri che i nuovi regolamenti nel settore non minaccino i vantaggi del sistema attuale, soprattutto per quanto riguarda le informazioni scientifiche. Per esempio, dobbiamo essere sicuri che il meccanismo di consulenza editoriale venga salvaguardato. La consulenza editoriale è il processo in base al quale esperti indipendenti di una disciplina – i pari – valutano criticamente i saggi scientifici pubblicati su una determinata ricerca.

Il sistema di consulenza editoriale è di cruciale importanza per la comunità scientifica perché è un importante meccanismo di controllo della qualità e può incidere sulle carriere scientifiche. Dobbiamo anche evitare che l’accesso aperto metta a repentaglio l’esistente divulgazione della ricerca scientifica mediante l’abbonamento a riviste scientifiche. Un altro aspetto da valutare è il danno alla redditività delle riviste pubblicate da piccole case editrici.

In breve, molte delle parti interessate considerano il sistema attuale di facile accesso, efficace, efficiente in termini di costi e anche di alta qualità. Dobbiamo essere sicuri che i vantaggi siano positivi, soprattutto per i ricercatori, e dobbiamo evitare di provocare involontariamente conseguenze negative per le persone che desideriamo aiutare.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN). – (PL) Signor Presidente, l’idea di realizzare una biblioteca digitale europea creando un sito Internet dove siano conservate le risorse alle quali poi avrebbero accesso gratuitamente gli utenti è certamente ambiziosa. La biblioteca avrebbe un’interfaccia multilingue per facilitare l’accesso diretto al materiale digitale. Ogni cittadino potrebbe accedere anche alle opere meno conosciute della cultura mondiale nella sua lingua madre.

E’ da notare, inoltre, che quest’iniziativa solleva una questione importante, vale a dire l’accesso a Internet e l’opportunità di connettersi con il patrimonio culturale di tutto il mondo per i residenti delle zone rurali, delle isole e per coloro che hanno problemi di mobilità.

L’accesso a tutte le categorie di materiale culturale, compreso quello protetto da diritti d’autore e dai diritti connessi, sarà un altro problema importante. Confido che, investendo nella tecnologia, sia possibile risolverlo a tempo debito.

L’onorevole Descamps ha elaborato una relazione equilibrata. Credo che meriti il nostro sostegno.

 
  
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  Zdzisław Kazimierz Chmielewski (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, signora Commissario, vorrei unirmi agli oratori precedenti che si sono congratulati con la relatrice per il suo testo così ben redatto. La relazione invia da parte del Parlamento europeo un messaggio molto chiaro di sostegno al progetto di una biblioteca digitale europea. Sono lieto di ricordare al Parlamento che la Polonia è stata tra i promotori di quest’iniziativa: il mio paese era rappresentato tra i sei capi di Stato e di governo che l’hanno lanciata.

La relazione presenta argomenti convincenti a favore della graduale attuazione di questo progetto. Suggerisce l’inclusione progressiva di varie categorie di patrimonio culturale, insieme a documenti protetti dai diritti d’autore e dai diritti connessi, sempre in conformità con le restrizioni legali nel campo della proprietà intellettuale. L’idea contenuta nella proposta, in base alla quale potrebbero essere incluse nel progetto istituzioni deputate alla diffusione della cultura ma diverse dalle biblioteche, è degna di essere presa in considerazione. E’ giusto e opportuno che anche i musei e gli archivi svolgano un ruolo importante in questo sistema, perché da sempre hanno avuto stretti legami con le biblioteche.

Nutro grandi speranze, soprattutto in vista del progetto di includere nel sistema di coordinamento della biblioteca digitale europea non solo la ricerca scientifica sulla digitalizzazione, ma anche l’importantissima questione della protezione delle risorse digitali. Credo che in questo modo sia possibile definire requisiti unificati comuni per un adeguato stoccaggio del materiale digitale conservato nelle biblioteche e negli archivi, nonché del materiale digitale – archiviato, devo sottolineare – conservato altrove che negli archivi, in altre parole nei musei e nelle biblioteche. E’ noto che per secoli queste istituzioni hanno avuto difficoltà a proteggere adeguatamente il materiale di archivio proveniente da fonti diverse. Adesso siamo almeno in grado di porre rimedio a questa situazione.

 
  
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  Viviane Reding, Membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, desidero esprimere i miei sinceri ringraziamenti all’onorevole Descamps e agli altri membri della commissione per la cultura e l’istruzione per aver elaborato questa relazione, perché è veramente molto importante.

Vedete, la vera ricchezza dell’Europa non è l’euro o il nostro sviluppo economico: è il nostro patrimonio, un patrimonio che è stato creato e costruito nei secoli; è questo che costituisce la vera e profonda ricchezza dell’Europa.

Ora, lo scandalo, in un certo senso, è che questo patrimonio scompaia negli archivi e nei sotterranei, in luoghi ai quali il pubblico, i cittadini non possono accedere, senza poterlo toccare, poterlo capire, poterne godere. La biblioteca digitale, appunto, intende abbattere queste barriere.

Credo che questo sia uno dei grandi progressi compiuti dall’Europa e vorrei rendere omaggio alle biblioteche nazionali, alle nostre biblioteche nazionali, perché sono state il punto di partenza di quest’iniziativa così forte, così importante per le culture europee. I curatori e le curatrici di queste biblioteche sono stati veri e propri pionieri. Hanno capito che si doveva realizzare una simbiosi, una simbiosi tra la cultura, che è ricchezza del corpus, e la tecnologia, che è uno strumento per accedere a questa cultura, e il fatto che abbiano compiuto quest’opera pionieristica, per così dire, ci consente oggi nel 2008 di avere il portale unico per un accesso multilingue.

E sì, sì, sì, lo dico a chi ne ha parlato, ci darà anche accesso alla letteratura del Lussemburgo. Sono orgogliosa di questo perché il lussemburghese è la mia lingua madre e quindi per me è la lingua più importante del mondo, come lo è ogni lingua madre. In questo senso, quindi, le opere d’arte, la letteratura che è stata prodotta in tutte queste lingue, in questo modo di esprimersi, sono ciò a cui dobbiamo avere accesso.

Prendiamo la cultura del Lussemburgo: naturalmente i cittadini di questo paese vi hanno accesso, ma voi, qui, sapete che esiste una cultura lussemburghese? No! Ma quando avremo la biblioteca digitale, il portale unico vi permetterà di capire che effettivamente ne esiste una.

E’ straordinario che possiamo accedere a queste culture, che possiamo condividere questa ricchezza ovunque, anche – e vorrei sottolinearlo – al di fuori dell’Europa, perché la cultura non si ferma alle nostre frontiere. La cultura è condivisione e quindi è in uno spirito di apertura che desideriamo creare questa biblioteca, e l’interoperatività sarà un aspetto molto importante e questo vale non solo per i libri ma anche per tutte le altre forme di cultura: film, musica, raccolte museali e così via. Assistiamo quindi a un’apertura culturale straordinaria, che sarà multilingue, che sarà multiculturale, che mostrerà veramente l’essenza stessa dell’Europa, che è quest’unione nella diversità.

Naturalmente vi sono problemi da risolvere e gli onorevoli deputati l’hanno detto molto chiaramente. Vi è il problema del finanziamento. Rivolgo un appello agli Stati membri affinché le loro parole siano seguite da azioni concrete. Alcuni di loro lo stanno facendo e li ringrazio per questo.

Nel 2008 presenteremo un’analisi di ciò che è stato fatto e, quindi, anche di ciò che non è stato fatto. Credo che sia molto importante per far avanzare questo progetto. Naturalmente raccomanderemo anche il partenariato privato-pubblico, perché sarà fondamentale per il progresso della digitalizzazione, che è un’attività molto costosa. Penso anche alla preservazione di materiale deteriorabile, che può andare distrutto se non ce ne occupiamo. Quante pellicole finiscono in polvere? Per preservare questo patrimonio culturale comune, ebbene, dobbiamo digitalizzarlo prima che sia troppo tardi.

Naturalmente penso anche ad altri problemi che dobbiamo risolvere, come quello dei diritti d’autore – un vero rompicapo – e quello dell’informazione scientifica. Il nostro gruppo ad alto livello se ne sta occupando e sta presentando soluzioni.

Signor Presidente, abbiamo qui un progetto straordinario che mostra il vero valore aggiunto dell’Europa e credo che la cosa più bella sia riunire gli europei attorno alle loro culture al plurale, attorno alle loro storie al plurale, che sono fatte di bellezza, che sono fatte di creatività. E’ ciò che abbiamo di più bello. Preserviamolo. Lavoriamo insieme per poterlo condividere.

 
  
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  Presidente. − Desidero ringraziare moltissimo tutti gli oratori e specialmente il Commissario Reding per il suo charme e la sua intelligenza. Vorrei ringraziarla nella sua lingua, il lussemburghese, perché oggi è la giornata delle lingue meno conosciute. Merci!

(Si ride)

 

17. Efficienza ed equità nei sistemi europei d'istruzione e formazione (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione dell’onorevole Tomáš Zatloukal, a nome della commissione per la cultura e l’istruzione, sull’efficienza ed equità nei sistemi europei d’istruzione e formazione (2007/2113(INI)) (A6-0326/2007).

 
  
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  Tomáš Zatloukal, relatore. – (CS) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli parlamentari, l’Unione europea sta affrontando diverse sfide socioeconomiche interconnesse tra loro: l’emergenza di paesi altamente competitivi, l’invecchiamento della popolazione, la migrazione, una struttura del mercato del lavoro in rapido cambiamento e tecnologie dell’informazione e della comunicazione in forte espansione. Ognuno di questi fattori incide sulla questione dell’accesso all’istruzione di qualità. Le persone scarsamente qualificate sono sempre più esposte al rischio della disoccupazione e dell’esclusione sociale.

Sistemi equi garantiscono che l’istruzione e la formazione siano indipendenti dall’estrazione socioeconomica e da altri fattori che pongono l’individuo in una situazione di svantaggio.

La sfida consiste nell’incoraggiare la partecipazione degli allievi, degli studenti e degli adulti di tutti i gruppi sociali: la situazione attuale da questo punto di vista è particolarmente insoddisfacente.

La relazione che presento a questo Parlamento sollecita gli Stati membri ad adottare misure pratiche sin dalla fase prescolare, al fine di garantire la diversità sociale delle classi e degli istituti e lo svolgimento di programmi scolastici di qualità. Le competenze ereditarie o acquisite precocemente sono la base per l’apprendimento nel corso della vita. Durante questo periodo si ha un rendimento massimo dell’investimento, perché i suoi frutti durano tutta la vita. Vorrei far notare che a livello di istruzione primaria una categorizzazione precoce degli allievi ha ripercussioni negative. Ritengo invece importante adattare il programma ai diversi gruppi di bambini e alle loro capacità all’interno di una scuola.

D’altra parte, la differenziazione e l’istituzione di una serie flessibile di opzioni di studio sono molto efficaci a livello d'istruzione secondaria. Per quanto riguarda la formazione professionale, raccomanderei di migliorare l’accesso all’istruzione terziaria e di sviluppare le opportunità di formazione permanente.

L’istruzione di terzo livello è fondamentale per un’economia basata sulla conoscenza e avrebbe bisogno di maggiori finanziamenti di quanti non ne riceva attualmente. La relazione sostiene che l’offerta di un’istruzione universitaria gratuita non garantisce necessariamente l’equità e sollecita un’analisi dei diversi incentivi finanziari e delle opzioni di sostegno capaci di ridurre significativamente le disuguaglianze sul piano dell’accesso all'istruzione universitaria.

L’istruzione ha un impatto sull’economia: aumenta il capitale umano e la capacità innovativa e consente la diffusione delle tecnologie. Ogni anno aggiuntivo di frequenza scolastica media incrementa la produttività di un paese UE in maniera selettiva del 6,2% e a lungo termine di un ulteriore 3,1%, grazie al contributo che apporta a uno sviluppo tecnologico più rapido. L'aumento dell’efficienza dell’istruzione e della formazione apporta ai singoli e alla società nel suo complesso un rendimento massimo dell’investimento pari all’8% annuo. Un ulteriore beneficio viene dalla riduzione della disoccupazione: attualmente nell’UE il tasso di disoccupazione medio è del 12,6% tra le persone che hanno concluso il ciclo di studi primario o secondario, mentre scende al 5% tra le persone che hanno portato a termine il ciclo di istruzione superiore. Inoltre, secondo ricerche recenti, 75 milioni di cittadini UE, ossia il 32% della forza lavoro, hanno ricevuto un’istruzione insufficiente; nel 2010 solo il 15% dei nuovi posti di lavoro sarà a disposizione di questo gruppo di persone, la maggior parte delle quali proviene da settori svantaggiati della società.

Le politiche di istruzione e di formazione hanno un impatto positivo significativo sui risultati sociali ed economici, sullo sviluppo sostenibile e sulla coesione sociale, mentre l’inefficienza e l’iniquità comportano costi enormi: perdita di gettito fiscale, disoccupazione, maggior richiesta di assistenza sanitaria e fondi pubblici, nonché i costi associati ad una maggiore diffusione di comportamenti antisociali.

L’istruzione e la formazione sono fattori essenziali che contribuiscono alla crescita economica, alla competitività e alla coesione sociale a lungo termine dell’Europa.

Per concludere, mi sia consentito ringraziare tutti i colleghi che hanno collaborato con me alla stesura di questa relazione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. Diana WALLIS
Vicepresidente

 
  
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  Ján Figeľ, Membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, apprezzo grandemente l’iniziativa del Parlamento di dar seguito al messaggio della nostra comunicazione su questo tema adottata l’anno scorso.

E’ con molto interesse che ho letto la relazione e ho anche ascoltato l’onorevole Zatloukal, col quale voglio congratularmi cordialmente perché penso e sento che abbiamo le stesse posizioni su questa questione, in questa discussione e negli sforzi per migliorare la situazione.

Vorremmo adesso ascoltare una descrizione delle sfide socioeconomiche che affrontiamo individualmente, collettivamente, insieme, ma anche dell’importanza di investire – investire meglio, investire di più – nelle politiche in materia d’istruzione e di formazione. Credo che queste siano al centro dei nostri sforzi per creare una società europea più prospera e più coesa.

Tutti i sistemi d’istruzione europei sono segnati da disparità che riflettono disuguaglianze socioeconomiche. Il ruolo paradossale dell’istruzione e della formazione rispetto a queste disuguaglianze è che molto spesso contribuiscono al loro perpetuasi. Ma a volte sono l’unico veicolo che permette di migliorare queste disuguaglianze.

In tutta Europa il motore principale del processo di ammodernamento dei sistemi d’istruzione e di formazione è la maggior efficienza dei costi. Ovviamente, penso che questa sia auspicabile; tuttavia, frequentemente ed erroneamente, si presume che efficienza ed equità si escludano a vicenda.

A dimostrazione del nostro impegno ad aiutare gli Stati membri a migliorare i loro sistemi d’istruzione e di formazione, la comunicazione della Commissione ha dimostrato che l’efficienza e l’equità non devono andare a scapito l’una dell’altra, a scapito dell’equità. In realtà, efficienza ed equità si rafforzano a vicenda. Credo che questo sia il messaggio più importante di tutta la comunicazione.

La relazione mette decisamente in risalto la necessità di rendere efficienti ed equi i sistemi europei d’istruzione e di formazione se vogliamo che contribuiscano a realizzare non solo la crescita economica ma anche la coesione sociale.

Sono particolarmente lieto di constatare che sia stato posto l’accento sulla necessità di sviluppare politiche efficienti ed eque lungo tutto il corso della formazione permanente e sulla necessità di investire nelle prime fasi dell’istruzione, perché l’investimento nell’istruzione e nell’assistenza di qualità nella prima infanzia e nella fase prescolare si è rivelato il modo più efficace di spezzare il ciclo dello svantaggio.

Sono anche lieto di notare che sia confermato il nostro messaggio secondo il quale una scelta precoce del percorso abbia ripercussioni negative sull’efficienza e l’equità. E, naturalmente, che si ponga l’accento anche sulla necessità di sviluppare una cultura della valutazione al fine di sviluppare politiche a lungo termine efficaci e basate su dati concreti.

L’iniziativa del Parlamento ci avvicinerà allo sviluppo di strategie per l’apprendimento permanente che promuovano l’eguaglianza, l’inclusione, l’integrazione e la coesione sociale. Ne terremo pienamente conto nelle nostre prossime iniziative in materia d’istruzione e formazione, segnatamente nella proposta di relazione congiunta del 2008 sull’attuazione del nostro programma di lavoro e sulle nostre riflessioni per il futuro, nonché nel Libro verde sui legami tra istruzione e immigrazione, in cui il tema delle disuguaglianze sarà uno dei temi centrali. Speriamo di presentare questa comunicazione la prossima primavera.

 
  
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  Christa Prets, relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. (DE) Signora Presidente, la domanda sorge spontanea: perché parliamo di uguaglianza o disuguaglianza, giacché sono più le donne degli uomini a raggiungere un alto livello di istruzione? Questo significa che abbiamo le stesse opportunità scolastiche e che ce ne serviamo, ma che le pari opportunità non sono più garantite dopo la scuola. Nella formazione, nell’impiego delle conoscenze acquisite le donne continuano ad essere discriminate, il che significa che non vi è ancora uguaglianza nei sistemi d’istruzione e di formazione.

Per questo motivo è fondamentale tener conto, per esempio, delle donne che sono già madri e stanno studiando: in questo conteso è importante chiedere un’organizzazione degli studi particolarmente flessibile ed è importante promuovere e sostenere l’accesso allo studio per le giovani donne, soprattutto per quelle che provengono da regioni lontane, e per i gruppi vulnerabili, come le donne immigrate e quelle appartenenti a minoranze etniche, perché è qui che si verificano le maggiori anomalie e disuguaglianze. Questo processo deve iniziare in età prescolare e scolare, per poi continuare durante tutto l’arco della formazione professionale.

Se posso, continuerò dopo una breve pausa.

 
  
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  Pál Schmitt, a nome del gruppo PPE-DE. (HU) Grazie, signora Presidente. Parlerò in ungherese. Signor Commissario, la settimana scorsa, in qualità di rappresentante della commissione per la cultura e l’istruzione, ho partecipato a Lisbona ad una conferenza intitolata “Young Voices – Meeting Diversity in Education” ed organizzata dalla Presidenza portoghese.

E’ stato profondamente toccante ascoltare le esperienze scolastiche di giovani con diverse disabilità fisiche e di apprendimento. Nelle loro storie c’era un filo comune: ognuno di loro ha detto di sentire che, se avesse potuto partecipare alle attività scolastiche accanto ai coetanei fisicamente abili, non sarebbe stato giudicato in base alle sue invalidità, bensì in base alle sue capacità e alla sua personalità.

L’integrazione dei bambini disabili nell’istruzione ordinaria, insieme ai loro coetanei fisicamente abili, è vitale anche per garantire che la società li accetti e li includa più facilmente da adulti. Se i bambini sono abituati sin dall’infanzia a stare con bambini che hanno una qualsiasi forma di invalidità e sono abituati a rispettarli ugualmente ed anche ad aiutarli, allora esistono buone possibilità che da adulti dimostrino più comprensione e empatia verso le persone svantaggiate.

La relazione che abbiamo davanti parla molto del problema dell’integrazione in relazione alle differenze sociali. Sono convinto che, per analogia con l’esempio citato prima, sia anche importante che i bambini socialmente svantaggiati possano partecipare in modo inclusivo, insieme agli altri bambini, alle varie fasi dell’istruzione.

Per raggiungere quest’obiettivo dobbiamo mettere in atto due cose. Una è il progresso tecnologico e l’abbattimento delle barriere. Da questo punto di vista, gli Stati membri dell’Europa centrale e orientale sono molto indietro: le scuole, l’ambiente scolastico, i mezzi di trasporto, persino gli ospedali e le altre istituzioni, le istituzioni pubbliche per esempio, sono inaccessibili a chi si deve muovere in sedia a rotelle. L’altra cosa, e questo richiederà più tempo, è che occorre che coloro che sono preposti a prendere decisioni cambino atteggiamento e riconoscano che l’istruzione inclusiva è la prima fase cruciale del processo di accettazione e di inclusione sociale.

Per concludere, mi si consenta di dire che anche lo sport è estremamente istruttivo e ha una grande valenza sociale, perché nello sport le differenze sociali e societarie scompaiono: le uniche cose che contano sono il talento, la determinazione e l’applicazione. L’educazione fisica nelle scuole e lo sport contribuiscono moltissimo a rafforzare importanti valori sociali come la solidarietà e il rispetto reciproco per la dignità dell’altro.

Per questo considero importante che, quando in quest’Aula si discute di qualità, di efficienza e di uguaglianza nell’istruzione e nella formazione, si faccia riferimento anche all’importanza dell’educazione fisica e alla sua qualità, efficienza ed equità. Dobbiamo anche garantire che l’istruzione inclusiva svolga in questo senso un ruolo importante. Mi congratulo con il relatore e ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  Christa Prets, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signora Presidente, il diritto all’istruzione senza limitazioni, vale a dire il diritto di accesso all’istruzione, è sancito dalla Carta dei diritti fondamentali e tuttavia nella pratica è ancora carente e non completamente attuato.

La notevole disparità di prestazioni tra i sistemi scolastici dell’UE si traduce in differenze nello sviluppo economico e sociale. I sistemi scolastici devono essere efficienti, equi e soprattutto accessibili gratuitamente. Bisogna promuovere e dar rilevanza all’efficienza già a livello prescolare, nelle scuole e anche nel sistema di formazione professionale.

E’ estremamente importante che l’istruzione superiore si abitui a una certa flessibilità per rispondere rapidamente ai cambiamenti economici e sociali, perché questo è l’unico modo per creare vantaggi competitivi. Multidimensionalità, qualità, cooperazione con il settore privato e promozione della ricerca e dello sviluppo sono elementi essenziali. Non dobbiamo però istruire e formare le persone solo per rifornire l’economia di lavoratori ben qualificati. L’istruzione è arricchimento personale ed è la conditio sine qua non per poter vivere in una società coesa. Essa favorisce lo sviluppo personale e l’autostima ed è per lo meno altrettanto importante della formazione specialistica, professionale e commerciale.

Il nostro obiettivo deve essere quello di offrire agli insegnanti e a tutti i loro studenti un’istruzione di alto livello e soprattutto possibilità di avanzamento e di sviluppo flessibile, perché qui stiamo continuando da decenni a procedere sui soliti binari. Così non può più continuare!

Sarebbe semplicistico dire che la politica in materia d’istruzione debba essere un problema che riguarda esclusivamente gli Stati membri. Ciò è’ vero solo in parte. Uno spazio educativo europeo con una meta comune, l’obiettivo di Lisbona, ha anche bisogno di un approccio comune per raggiungere efficienza ed equità.

 
  
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  Jolanta Dičkutė, a nome del gruppo ALDE. (LT) Onorevoli parlamentari, l’apprendimento è parte inscindibile della dimensione sociale europea, perché rivela il significato della solidarietà, delle pari opportunità e dell’inclusione sociale. Tutti i cittadini devono acquisire le conoscenze e le competenze che sono loro richieste e devono aggiornarle regolarmente. E’ inoltre necessario considerare le speciali esigenze delle persone che sono al limite dell’esclusione sociale.

L’Unione europea non disciplina direttamente l’ordinamento dei sistemi nazionali d’istruzione, ma sicuramente influisce notevolmente sul loro sviluppo: in primo luogo, grazie agli obiettivi comuni dell’Unione europea; in secondo luogo, attraverso il monitoraggio degli orientamenti fissati a livello europeo e delle relazioni sullo sviluppo dei sistemi d’istruzione presentate dagli Stati membri; in terzo luogo, tramite programmi d’istruzione e di formazione finanziati dall’Unione europea.

Accolgo con favore la raccomandazione della Commissione europea di fare dell’investimento nelle risorse umane una priorità dei Fondi strutturali. L’Unione europea deve fornire a ogni Stato membro che intenda creare e sviluppare un sistema d’istruzione e di formazione europeo efficiente le condizione essenziali per risolvere i problemi che si presentano. Per esempio, uno dei problemi più grossi in Lituania, oggi, è la violenza nelle scuole. Per combatterla abbiamo già iniziato a mettere in atto diversi programmi di prevenzione a livello nazionale. Un altro problema è la qualità dell’istruzione superiore e stiamo studiando ogni modo possibile per migliorarla, affinché il livello d’istruzione offerto dalle università del nostro paese sia pari a quello delle migliori università dell’Europa occidentale.

Il sistema d’istruzione lituano deve far fronte anche ad altri problemi. Uno di questi è il basso livello degli stipendi degli insegnanti di tutte le discipline, con l’inevitabile conseguenza della carenza di insegnanti. Non abbiamo abbastanza denaro per riparare palestre e campi sportivi e credo che migliorare le infrastrutture sportive sia importante non solo per incoraggiare gli scolari ad amare lo sport, ma anche per evitare che assumano droghe, che bevano o che fumino. Un altro problema molto serio è quello dei giovani emigrati che ritornano a casa e per i quali occorrono ulteriori finanziamenti e insegnanti supplementari per studi di recupero e programmi speciali.

Ho accennato qui solo ad alcune difficoltà, che senz’altro sono rilevanti anche in altri Stati membri dell’Unione europea. Concordo assolutamente con il collega che ha detto di ritenere insoddisfacente la situazione attuale. L’attuale obiettivo dell’Unione europea dovrebbe essere una valutazione realistica e un sostegno attivo ai diversi sistemi d’istruzione che sono conformi agli obiettivi e agli standard comuni europei.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signora Presidente, c’è un detto popolare in Polonia che dice che se non impari certe cose da bambino ne pagherai le conseguenze per il resto della vita. Ci ricorda saggiamente che insegnare ai bambini è il miglior investimento che ci sia. Bene fa il relatore a suggerire un aumento delle risorse allocate all’istruzione prescolare, perché è qui che inizia l’integrazione sociale. Quest’ultima contribuisce a sviluppare l’individuo e a prepararlo a svolgere la propria missione nella vita. L’integrazione dovrebbe essere rafforzata anche in una fase successiva. Bene fa, quindi, il relatore a ravvisare il problema della classificazione degli individui e l’opportunità di suddividere gli studenti secondo il grado di preparazione solo nella scuola secondaria, prolungando la durata dell’istruzione scolastica.

E’ anche giusto che il progetto di risoluzione individui chiaramente la necessità di collegare le politiche in materia d’istruzione e di formazione professionale alle politiche relative all’occupazione, all’economia e all’inclusione sociale, aumentando la competitività dell’istruzione superiore e permettendo a tutti di accedervi in modo paritetico.

Il motivo più urgente per l’adozione di queste misure per l’istruzione è il fatto che 75 milioni di cittadini dell’Unione europea, cioè il 32% della forza lavoro, hanno un’istruzione insufficiente, con gravi ripercussioni sull’efficienza del loro lavoro, sull’andamento delle nostre economie e sulla situazione sociale. E’ necessario un cambiamento.

 
  
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  Věra Flasarová, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Onorevoli parlamentari, un sistema equo ed efficiente dovrebbe garantire a tutti l’accesso all’istruzione.

Il relatore sostiene che dobbiamo migliorare l’istruzione nella fase prescolare, quando si formano le abitudini e le competenze necessarie per l’apprendimento successivo. Chiede agli Stati membri di aumentare i finanziamenti per l’istruzione prescolare. Ma qual è la realtà?

Negli ultimi anni, in quasi tutti i paesi dell’Unione europea, le strutture prescolastiche sono state chiuse. La tendenza demografica negativa non è l’unica causa. La commissione per i diritti della donna e la parità di genere ha concordato con quest’analisi e la situazione nella Repubblica ceca non è diversa. Le strutture prescolari sono state chiuse perché la loro gestione è costosa. E’ così che i villaggi e le città cercano di risparmiare nel bilancio. Strutture prescolari presso le aziende praticamente non esistono più. I tempi di attesa per accedere a queste strutture si allungano. Iniziano ad esserci asili privati di alto livello: offrono l’insegnamento di una lingua straniera e altri vantaggi accessori, ma solo le famiglie benestanti se li possono permettere. L’istruzione prescolare nella Repubblica ceca era, ed è ancora, di alto livello ma anche qui esiste già una certa disuguaglianza.

Non posso essere d’accordo con il paragrafo 21 della relazione, che afferma che l’offerta di un’istruzione universitaria gratuita non garantisce necessariamente l’equità. Il sistema di prestiti agli studenti rimborsabili successivamente avrà un impatto più grave sugli studenti poveri rispetto ai più abbienti e potrebbe influire sulla psiche dei giovani che iniziano la vita oberati da debiti.

L’Europa sta vivendo un’ondata d’immigrazione. Tra coloro che vengono da noi ci sono molti bambini e studenti. Queste persone hanno un grande potenziale che può aiutare l’Europa nel suo sviluppo futuro. Si trovano anche a un’immaginaria linea di partenza e dovremmo dare loro la possibilità di partecipare al meglio al sistema d’istruzione. In questo contesto è difficile capire la legislazione scolastica in vigore nella Repubblica ceca dal gennaio 2005, che disciplina in che misura sia consentito l’accesso all’istruzione agli stranieri con permesso di soggiorno permanente e con visti a lungo o breve termine, ai rifugiati o ai richiedenti asilo o alle persone sotto protezione temporanea. Questa decisione burocratica traccia una linea di demarcazione tra i bambini che devono andare a scuola e i bambini che non devono andare a scuola. Tutto dipende dalla rapidità con cui la persona in questione ottiene lo status richiesto. Il loro arrivo è già drammatico abbastanza. Dobbiamo fare il possibile per facilitare il loro ingresso nell’Unione. Non vogliamo che i giovani vengano trascinati in attività sociali poco desiderabili.

 
  
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  Ovidiu Victor Ganţ (PPE-DE). – (RO) Signora Presidente, signor Commissario, mi congratulo con l’onorevole Zatloukal per la relazione che considero molto buona, perché fa riferimento a uno dei capitoli più importanti e sensibili della nostra vita, l’istruzione.

Vorrei inoltre accennare a tre aspetti di questa relazione: ha richiesto un maggior sostegno per i programmi universitari di eccellenza, sia a livello di Stati membri che, nel limite delle sue competenze, a livello di Unione europea. Ciò è fondamentale, se vogliamo che l’agenda di Lisbona vada in porto e se vogliamo ridurre il divario con gli altri attori internazionali. La mancanza di specialisti altamente qualificati in Europa si fa sentire ovunque ed è particolarmente grave nei nuovi Stati membri a causa del fenomeno del brain drain.

Al tempo stesso sono convinto che l’aumento dell’efficienza del processo educativo sia strettamente legato al multilinguismo. Nel contesto della libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, l’adeguamento ai requisiti del mercato richiede la conoscenza delle lingue straniere. Inoltre, l’istruzione multilingue faciliterebbe gli scambi tra alunni e studenti.

Per quanto riguarda l’equità dei sistemi d’istruzione e di formazione, credo che gli Stati membri debbano individuare i mezzi necessari per aumentare il grado di accesso all’istruzione dei bambini, dei giovani e degli adulti. Dovrebbero essere messi a disposizione sussidi per le categorie sociali svantaggiate al fine di ridurre l’analfabetismo, favorire la riconversione sociale, migliorare l’adeguamento ai requisiti del mercato del lavoro e ridurre la disoccupazione. In questo modo, si limiterà la richiesta di forza lavoro proveniente da paesi terzi. Abbiamo abbastanza risorse umane, però queste non sono formate e gestite in modo efficiente.

 
  
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  Maria Badia i Cutchet (PSE). (ES) Signora Presidente, la revisione degli obiettivi di Lisbona effettuata nel 2005 ha dimostrato ancora una volta quanto sia importante mettere l’istruzione al centro della futura strategia europea.

E’ evidente, e i dati Eurostat lo dimostrano, che siamo ben distanti dagli ambiziosi obiettivi che ci siamo prefissati nell’ambito dell’istruzione superiore per il 2015: investimenti nella R&S, ammodernamento delle università, riduzione del tasso di insuccesso accademico e del numero di abbandoni scolastici precoci, maggiore partecipazione degli adulti alla formazione permanente e aumento del numero di coloro che terminano l’istruzione superiore.

Questo ritardo ci lascia indietro rispetto ai nostri partner internazionali, gli USA, l’India e il Giappone e oltre a questo esiste un’enorme disparità di situazioni tra i paesi europei.

Aumentare l’efficacia e l’efficienza dei sistemi d’istruzione dei nostri Stati membri è importante non solo in termini di competitività internazionale e di crescita economica, ma è anche una componente essenziale del progresso in termini di coesione sociale nelle nostre società.

Investire nell’istruzione prescolare, primaria e secondaria è un requisito fondamentale per ridurre al minimo il rischio di esclusione sociale e per garantire livelli più alti d’occupazione e stipendi migliori.

Occorre aumentare i finanziamenti sia pubblici che privati per l’istruzione e gli Stati membri devono seriamente considerare la necessità di portare avanti i processi di Bologna e di Copenhagen.

Allo stesso modo, l’istruzione universitaria dovrebbe adattarsi alle esigenze socioeconomiche delle nostre società sempre più eterogenee, senza dimenticare al contempo che l’istruzione è anche la base per formare cittadini liberi e capaci di svolgere un ruolo attivo nella società.

Per concludere, è urgente aggiornare e migliorare l’insegnamento nell’ambito della formazione professionale, adattandolo alle nuove sfide poste dall’allungamento della vita attiva degli europei, che accresce le aspettative socioeconomiche e educative degli adulti, senza trascurare, ad ogni singolo livello dell’istruzione, l’educazione alla non discriminazione di genere.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN). – (PL) Oltre che sulla raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio nel 2006, che mette l’accento sulla necessità di sviluppare l’apprendimento permanente, con particolare riferimento ai disoccupati, e di adeguarsi ai cambiamenti economici che incidono sul funzionamento del mercato del lavoro, vorrei attirare la vostra attenzione anche sull’importanza dell’istruzione per ottenere una maggior mobilità sul mercato del lavoro, che permette di ridurre la disoccupazione strutturale.

Vorrei sottolineare l’importanza del quadro europeo delle qualifiche per aumentare la mobilità dei lavoratori. La parità di accesso all’istruzione, fattore importantissimo per garantire che tutti i bambini e tutti i giovani abbiano le stesse opportunità nella vita, è connessa al finanziamento dell’istruzione negli Stati membri dell’Unione. Le differenze tra i vari Stati per quanto riguarda le risorse finanziarie allocate all’istruzione, le qualifiche e gli stipendi degli insegnanti hanno un’incidenza significativa sulle possibilità di raggiungere quel particolare obiettivo della strategia di Lisbona.

La relazione “Progresso verso gli obiettivi di Lisbona nell’istruzione e formazione”, adottata dalla Commissione europea nel 2005, indica chiaramente che i progressi compiuti in questo campo sono insufficienti per raggiungere il risultato sperato nel 2010. Per questo è importante migliorare la qualità dell’istruzione, perché così si evita l’esclusione sociale e si favorisce la competitività della nostra economia. Mi congratulo con l’onorevole Zatloukal per l’eccellente relazione.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Una delle aree dell’istruzione che continua ad essere deficitaria in alcuni paesi dell’Unione europea, in particolare in Portogallo, è quella dell’istruzione prescolare. Mi sembra quindi di primaria importanza sottolineare l’invito rivolto agli Stati membri ad aumentare gli investimenti in una rete pubblica di asili dotata di insegnanti altamente qualificati e capaci di occuparsi di tutti i bambini, perché questo è il modo migliore per sviluppare le loro capacità intellettuali, gettare le basi della loro istruzione futura, aumentare il livello generale delle competenze, migliorare l’equità del sistema d’istruzione e lottare contro le disuguaglianze sociali.

Allo stesso modo, è essenziale assicurare un’istruzione primaria e secondaria di qualità che deve essere universale, obbligatoria e gratuita con l’obiettivo di trasmettere l’istruzione di base e le competenze fondamentali che contribuiscono al raggiungimento dei valori sociali e civici indispensabili per l’educazione alla pace e all’eguaglianza, rafforzando in questo modo la coesione e l’inclusione sociale. Per quanto riguarda l’istruzione superiore, occorre riconoscere che è un settore fondamentale nelle società sviluppate ed è per questo che dobbiamo evitare l’insuccesso scolastico e l’abbandono precoce, come è il caso in Portogallo dove sfortunatamente circa il 40% degli allievi non porta a termine nemmeno l’istruzione secondaria.

I tagli di bilancio all’istruzione pubblica, l’aumento dei costi dell’istruzione superiore e la difficile situazione sociale di un’alta percentuale di famiglie e di giovani impediscono al Portogallo di migliorare rapidamente l’istruzione superiore dei suoi cittadini, facendo sì che detenga uno dei peggiori indici nell’Unione europea. Ora, considerando che gli studi dimostrano che per ogni anno aggiuntivo di frequenza scolastica media la produttività di un paese dell’UE aumenta in maniera selettiva del 6,2%, possiamo capire meglio le difficoltà dei paesi che non garantiscono alla loro popolazione un’istruzione pubblica di alta qualità.

 
  
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  Rolf Berend (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, l’istruzione ha svolto e continua a svolgere un ruolo chiave nello sviluppo dell’economia europea e nello sviluppo personale dei giovani. Concordo pienamente con questa affermazione e con molte altre espresse nella relazione e vorrei esprimere i miei ringraziamenti al relatore.

E’ anche corretto affermare che i sistemi d’istruzione sono efficaci quando si ottengono i migliori risultati possibili con le risorse impiegate. Questi obiettivi sono perseguiti da tutti gli Stati membri dell’Unione europea, ma spesso i risultati degli studi comparativi rivelano fatti interessanti. Per questo motivo i consigli e gli appelli agli Stati membri sono più che giustificati da una prospettiva europea, anche se non abbiamo poteri diretti rispetto ai contenuti e alla struttura dell’istruzione. Le cause di questi risultati così divergenti sono da ricercarsi nelle differenze quanto alla qualità e all’intensità dell’istruzione, che portano a diversi livelli di prestazione e quindi anche a disuguali opportunità di vita per i giovani.

A mio avviso, è essenziale e urgente ribadire che gli studenti di questa generazione, una volta terminata la formazione, dovranno affrontare la concorrenza internazionale per ottenere un posto d’apprendistato. Le pari opportunità per tutti pongono quindi una sfida che gli Stati membri devono raccogliere per garantire che i giovani ricevano la miglior istruzione possibile, in grado di dotarli delle capacità intellettuali di cui hanno bisogno per svilupparsi.

Le pari opportunità hanno comunque sempre a che fare con la qualità e la prestazione. Questo, a sua volta, richiede che i sistemi d’istruzione prestino più attenzione alla qualità e alla prestazione. In questo contesto, non si tratta solo di garantire a tutti l’equità nei sistemi di istruzione, ma anche di fornire a ciascuno uguali opportunità di partenza e successivamente la migliore istruzione possibile, che tenga conto dei talenti individuali e delle diverse abilità fisiche e intellettuali.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE). – (RO) Signora Presidente, l’Unione europea si ripropone di far sì che nel 2010 il tasso di abbandono scolastico dei giovani tra i 18 e i 24 anni non superi il 10% e che più dell’85% dei giovani oltre i 18 anni compia studi post-secondari.

Il 9,7% dei bambini nell’Unione europea da 0 a 17 anni fa parte di famiglie senza reddito. Molti bambini provenienti da famiglie povere o da un ambiente rurale non ricevono alcun tipo di formazione post-secondaria per motivi finanziari. Ritengo che in un’Europa sociale tutti gli allievi e gli studenti desiderosi di studiare debbano poter usufruire di borse di studio. Anche i bambini disabili devono aver accesso all’istruzione.

Per gli Stati membri e la Commissione, l’iscrizione all’asilo o alla scuola materna di almeno il 90% dei bambini al di sotto dei 7 anni deve diventare una priorità. In questo modo, le giovani madri potranno conciliare vita familiare e attività professionale.

Per rendere l’istruzione più efficiente è anche necessario garantire la formazione e la motivazione degli insegnanti.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, vorrei sottolineare alcuni punti.

Primo, convengo con il relatore che l’investimento nell’istruzione prescolare porti i frutti migliori, perché è qui che si ottengono i migliori risultati. E’ anche importante sostenere l’ammodernamento delle università, enfatizzare la necessità di un pari accesso all’istruzione superiore e aumentarne la competitività.

Secondo, un pari accesso all’istruzione dà molti risultati positivi: incide sullo sviluppo sociale e la crescita economica, contribuisce ad aumentare l’innovazione, a sviluppare il potenziale umano e le nuove tecnologie e anche a ridurre la disoccupazione.

Terzo, benché il rendimento dell’investimento nell’istruzione si faccia sentire solo dopo molto tempo e richieda una pianificazione a lungo termine, dovremmo ricordarci che questo investimento è vitale.

Quarto, sono d’accordo con l’idea che sia essenziale collegare le politiche in materia di formazione professionale e istruzione alle politiche relative all’occupazione, all’economia e all’inclusione sociale.

Quinto, dobbiamo investire nei nostri giovani perché la loro generazione rappresenta il futuro dell’Unione europea. E’ molto importante evitare che i bambini abbandonino la scuola troppo presto.

Sesto, ci troviamo di fronte a un problema demografico: la popolazione europea sta invecchiando. Per questo dobbiamo promuovere l’apprendimento permanente per gli adulti.

Per concludere, istruzione, istruzione, istruzione.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE). – (EN) Signora Presidente, mi preoccupa in generale l’accettazione acritica da parte della Commissione europea dei tagli ai finanziamenti per l’istruzione operati dagli Stati membri. In Irlanda ciò è particolarmente palese, a fronte della crescita della popolazione e di un conseguente sovraffollamento delle classi. Da anni mi batto per l’istruzione prescolare e primaria come elemento essenziale per lo sviluppo personale di ogni bambino. E’ stato ampiamente dimostrato che quanto migliore è l’istruzione, tanto migliori sono le opportunità nella vita. L’istruzione è’ anche collegata a una vita più lunga e più sana.

Credo che la Commissione e gli Stati membri debbano porre sulla qualità la stessa enfasi che pongono sull’efficienza e l’equità. La qualità dell’ambiente scolastico e dell’insegnamento sono i prerequisiti dell’efficienza. I bambini hanno bisogno di buoni insegnanti e di un programma che offra loro un’istruzione olistica, che insegni a prendere decisioni razionali, ad affrontare la diversità e il cambiamento, a comunicare con gli altri e che fornisca veramente un’ampia base etica di valori tra i quali scegliere per poi fondarvi la propria vita. Queste sono le competenze di cui hanno bisogno per ottenere il massimo da se stessi e dalla società.

Ma c’è ancora una questione più urgente e fondamentale – quella dei bambini nelle nostre scuole che hanno fame. Migliaia di bambini che vanno a scuola in Irlanda soffrono la fame e sono sicuro che non siamo l’unico caso. Poco importa quanto efficiente ed equo sia l’accesso, perché questi bambini non possono avere un buon rendimento e le conseguenze a lungo termine vanificano i risparmi che lo stato realizza non offrendo a questi bambini una colazione sana.

 
  
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  Ján Figeľ, Membro della Commissione. (SK) Desidero ringraziarvi per una discussione convergente, che conferma non soltanto la relazione e la comunicazione della Commissione in materia, ma anche la posizione degli Stati membri che hanno espresso la loro opinione in occasione della riunione ministeriale a novembre e successivamente a metà del 2007, quando il Consiglio ha adottato le conclusioni che hanno anche confermato i punti basilari della comunicazione della Commissione.

Vorrei fare un paio di osservazioni. Credo che promuovere l’equità e l’efficienza nell’istruzione sia un dovere morale e una necessità finanziaria/economica fondamentale. La logica impone che dobbiamo investire meglio e di più nell’istruzione: in primo luogo meglio, perché è possibile usare in modo più efficiente ogni singolo euro, ogni singola corona e ogni singola sterlina.

Diversi oratori hanno affermato che le competenze e la qualità dell’istruzione e della formazione professionale hanno un impatto decisivo sulla posizione futura sia degli individui sia dei gruppi sociali, e pertanto devono essere migliorate costantemente. Chi può migliorarle sono in primo luogo gli insegnanti, per esempio. L’investimento nella qualità della formazione degli insegnanti è uno dei modi più efficaci per ottenere un miglioramento complessivo, perché gli insegnanti moltiplicano questi effetti. In termini di miglioramento, ad esempio, occorre una valutazione sistematica della qualità, che deve essere la norma e non l’eccezione, che deve essere la regola e non qualcosa di straordinario, in modo da poter valutare i contributi apportati, i risultati ottenuti e tutto ciò che si trova nel mezzo e da poter accertare e ricompensare la qualità.

Desidero dire che la Commissione continuerà ad occuparsi di questo tema, come auspicato dalla relazione. Ad esempio, vogliamo prestare maggiore attenzione alla questione dell’equità e dell’efficienza nell’istruzione anche l’anno prossimo nel capitolo istruzione e immigrazione. Attualmente è in corso una consultazione sulle scuole del XXI secolo per capire cosa ci si aspetti dalle scuole in questa nuova era e naturalmente vogliamo che questo processo culmini in una panoramica aggiornata della posizione delle scuole nella società europea di oggi. Un altro argomento che abbiamo recentemente affrontato è la comunicazione adottata ad agosto sulla qualità della formazione degli insegnanti con le importantissime conclusioni che presenta.

Per concludere, credo che i processi a cui abbiamo accennato, come i processi di Bologna e di Copenhagen, e le questioni relative all’istruzione per gli adulti, all’insegnamento prescolare e alla formazione permanente, debbano essere tutti riuniti nell’ambito del tema dell’accessibilità e della qualità come fattori chiave di un sistema di istruzione veramente equo che vogliamo oggi e in futuro.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì 27 settembre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Marianne Mikko (PSE), per iscritto. (ET) Il tempo non guarda in faccia nessuno. E’ chiaro che nel 2010 l’Europa non sarà l’economia più competitiva del mondo. Un sistema d’istruzione adeguato e ben strutturato può rendere questo obiettivo raggiungibile.

Non possiamo ignorare il livello accademico e finanziario delle migliori università. Secondo quanto rilevano diversi dati, venti-trenta delle migliori 50 università del mondo si trovano negli Stati Uniti. Altre cinque o sei sono nel Regno Unito. Il resto dell’Europa è al terzo posto con quattro o cinque università, con il Canada e l’Australia che incalzano.

Le storie di successo di solito si ripetono. Sfortunatamente, questa storia di successo è dovuta principalmente al fatto che il mercato dell’istruzione in lingua inglese può attingere a miliardi di clienti potenti. L’effetto di scala fa il resto. Così Harvard è centomila volte più ricca e famosa del suo più diretto concorrente.

Voler imitare il sistema elitario dell’Ivy League e di Oxbridge nell’Europa continentale è un progetto rischioso. Lo definirei addirittura un vicolo cieco. Sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito l’alfabetizzazione e la capacità di far di conto di molti cittadini comuni sono considerate inadeguate.

Nel nostro desiderio di successo, e soprattutto di un rapido successo, sarebbe più ragionevole fare completamente affidamento sulle attività che ci sono familiari. Il paese europeo che ottiene i migliori risultati nel campo dell’istruzione è indiscutibilmente la Finlandia, la cui strategia nazionale prevede il pubblico accesso all’istruzione e un livello qualitativo ugualmente alto dovunque.

L’istruzione è di per sé un’area strategica. Gli effetti delle decisioni e delle azioni si vedono solo dopo decenni. Di conseguenza non avrebbe senso, per quanto riguarda l’uguaglianza, sacrificare un altro quarto di secolo in nome di vette più alte. Anche se fosse la strada giusta da percorrere.

La carta vincente dell’Europa di fronte alla concorrenza internazionale rimane quella di un livello uniformemente alto.

 

18. Strategia europea per i diritti del bambino: contro la discriminazione e l'esclusione delle persone con problemi “dis„ (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la discussione sull’interrogazione orale di Anna Záborská, Amalia Sartori e Marie Panayotopoulos-Cassiotou, a nome del gruppo PPE-DE, Roberta Angelilli, a nome del gruppo UEN, Zita Gurmai, a nome del gruppo PSE, Adamos Adamou, a nome del gruppo GUE/NGL, Hiltrud Breyer e Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE, Elizabeth Lynne, a nome del gruppo ALDE, Kathy Sinnott, a nome del gruppo IND/DEM alla Commissione, avente per oggetto la strategia europea in materia di diritti del bambino: contro la “dis”criminazione dei bambini e l’esclusione di persone con problemi “dis” (O-0062/2007 – B6-0317/2007).

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE).(FR) Signora Presidente, l’articolo 173 del Regolamento prevede che il resoconto integrale delle discussioni di ogni seduta sia redatto in tutte le lingue ufficiali.

Attiro la sua attenzione sul fatto che questa discussione sull’esclusione di persone con problemi “dis” non sarà tradotta nelle lingue ufficiali dell’Unione europea.

Nella pratica questo “strumento” è stato semplicemente soppresso, benché il nostro Regolamento lo preveda. La mia mozione d’ordine ha una ragion d’essere molto semplice: la discussione di questa sera è stata ampiamente richiesta da un gran numero di alunni, associazioni di genitori, insegnanti e medici di diversi paesi.

Tuttavia, i nostri elettori, a meno di non conoscere tutte le lingue che verranno usate questa sera, non potranno mai sapere ciò che è stato detto nel corso del dibattimento parlamentare, che tuttavia è loro destinato.

 
  
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  Presidente. − Grazie per questa mozione, che ovviamente ci riguarda tutti in questa giornata delle lingue europee. La questione viene presa in considerazione e stiamo preparando una relazione da presentare alla conferenza dei Presidenti, quindi la sua mozione è accolta.

Proseguiamo ora con la discussione sull’interrogazione orale alla Commissione avente per oggetto la strategia europea in materia di diritti del bambino.

 
  
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  Anna Záborská, autore. – (SK) Mi permetta di iniziare con la testimonianza di una giovane donna di 21 anni al suo terzo anno di università.

“Quando avevo 17 anni i miei compagni di scuola mi prendevano sempre in giro perché dimostravo 11 anni. Nella pagella gli insegnanti chiedevano spesso quand’è che mi sarei decisa a imparare. Quelli come me affetti da problemi “dis” lavorano molto di più degli altri ed è molto difficile convivere con questo problema”. Fine della citazione.

La società non è consapevole che un 10/20% dei bambini sono affetti da problemi “dis”, perché questi non vengono diagnosticati. Le loro difficoltà ostacolano la comunicazione, impediscono un’istruzione normale e, sfortunatamente, a volte portano all’esaurimento mentale e all’esclusione sociale. Per quanto ci riguarda, l’Unione europea può fare ciò che meglio le compete, cioè farsi portavoce e enfatizzare in vario modo un problema che potrebbe altrimenti essere un tabù e rimanere sommerso. L’Europa offre l’opportunità di individuare buone idee e prassi provate e sperimentate dalle organizzazioni e dai governi, come riferito nella dichiarazione scritta 64/2007, attualmente all’esame del Parlamento.

Esiste già il progetto “Neurodys” e vi sono i progetti dei fondi dell’Unione europea che potrebbero essere adeguatamente applicati anche per le persone con problemi “dis”, come il programma quadro per la competitività e l’innovazione, il programma di sostegno alla politica in materia di TIC, il sostegno per la ricerca sulle competenze nel campo della tecnologia dell’informazione e della comunicazione, il settimo programma quadro per la ricerca – sanità, il programma per la formazione lungo tutto l’arco della vita e il secondo programma di salute pubblica 2008-2013. Questi programmi sono oggetto di emendamenti e di proposte supplementari per il bilancio 2008, che abbiamo presentato unitamente agli onorevoli colleghi dei cinque gruppi politici.

Signora Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi di concludere esprimendo grande ammirazione, rispetto, gratitudine e incoraggiamento verso tutte coloro che nella vita avrebbero avuto mille ragioni per essere madri disperate: “des mères désespérées”. Nessuna di loro però getta la spugna. Sono le più grandi paladine della causa dei loro figli, insieme ai padri quando sono ancora parte della stessa famiglia. Credo che la discussione di questa sera mostrerà loro che non saranno sole e che il loro problema diventerà anche una preoccupazione del Parlamento europeo.

 
  
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  Teresa Riera Madurell, autore. (ES) Signora Presidente, innanzi tutto desidero scusarmi per l’assenza dell’onorevole Zita Gurmai, autrice di questa interrogazione orale a nome del gruppo socialista, la quale non può partecipare a questa seduta per circostanze impreviste. Quindi, con il suo permesso, signora Presidente, parlerò a nome dell’onorevole Gurmai e a nome mio personale, visto che anch’io avevo chiesto la parola.

Desidero semplicemente reiterare, signora Presidente, ciò che è stato detto. Parliamo di disturbi dell’apprendimento che colpiscono una fascia importante della nostra popolazione. Quasi il 10% dei bambini europei è affetto da problemi “dis”: bambini che di solito sono invisibili per i nostri sistemi scolastici, che troppo spesso attribuiscono il loro fallimento scolastico a cause inesistenti.

Dobbiamo adottare le misure necessarie per evitare questa “dis”criminazione e gli alunni devono ricevere un trattamento specifico, precoce, intensivo e preferibilmente all’interno del loro ambiente scolastico abituale. Questo richiede protocolli per l’individuazione del problema e linee d’azione nelle scuole.

Per la prima volta nel mio paese, la Spagna, un governo socialista ha introdotto una legge in materia d’istruzione per aiutare i bambini con specifiche difficoltà di apprendimento. E’ un passo importante, perché nei nostri paesi le famiglie dipendono spesso dalla buona volontà degli insegnanti e dalla loro disponibilità a compiere sforzi, su base volontaria, per ottenere una formazione adeguata. Optare per altre soluzioni comporterebbe un peso economico notevole che, spesso, è impossibile sostenere.

Dobbiamo ricordarci che i bambini e le bambine con queste disfunzioni sono intelligenti e necessitano solo di un modo diverso di apprendere. E’ possibile ottenere buoni risultati scolastici. E’ necessaria solo la volontà politica di attuare i meccanismi giusti che propongono soluzioni reali.

Rendere questi bambini visibili alla società significa disporre di statistiche affidabili che permettano di prendere le decisioni giuste, significa consentire l’accesso a informazioni chiare e veritiere a chiunque desideri averle e avviare campagne di sensibilizzazione in tutti i paesi. Rendere questi bambini visibili ai nostri sistemi d’istruzione significa anche che, oltre ad offrire trattamenti precoci nei primi anni di scuola a tutti i bambini affetti da questi disturbi, dobbiamo tener conto delle loro esigenze nel definire i programmi di studio in ogni singola fase dell’istruzione. Diverse università effettuano già esami e prove adattate agli studenti universitari con questo tipo di problema.

Anche i programmi educativi finanziati dalla Comunità, come l’e-learning o la formazione lungo tutto l’arco della vita devono essere concepiti tenendo conto delle persone con problemi “dis”. Onorevoli deputati, dobbiamo occuparci delle esigenze di questa fascia della popolazione. Non possiamo continuare a voltare le spalle a un disturbo che colpisce più di 3 milioni di europei.

 
  
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  Hiltrud Breyer, autore. – (DE) Signora Presidente, sono lieta che questo tema così importante – l’aumento della dislessia – venga discusso qui questa sera. E’ senz’altro la prima volta che ne parliamo, ma non dovrebbe essere l’ultima. Vorrei che la Commissione facesse il possibile per portare avanti questo tema. Non iniziamo da zero.

In molti Stati membri esistono già programmi ed iniziative. E’ importante, a mio avviso, non parlare della dislessia come di una malattia o di una disabilità, perché non è così. E’ già stato detto che molti bambini affetti da dislessia sono in realtà molto intelligenti. Sappiamo che le facoltà intellettive di questi bambini sono migliori delle loro capacità motorie.

Innanzi tutto – e questa è la mia urgente richiesta al Commissario – dobbiamo procedere a un riepilogo di ciò che è già stato fatto nel campo della ricerca e dei programmi e delle iniziative che già esistono a livello europeo e poi riunire tutte queste informazioni.

Credo che sia importante non confondere la dislessia con la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Sarebbe disastroso accumunarle. Sappiamo che questa sindrome è strettamente collegata a un uso eccessivo della televisione e a un’iperstimolazione. Per quanto riguarda la dislessia, dovremmo anche pensare a come avvicinare precocemente i bambini ai libri e alla lettura. Sappiamo che i bambini che leggono molto e hanno facile accesso ai libri sono più difficilmente affetti da dislessia. Questo potrebbe essere un modo per contenere la crescita allarmante di questo disturbo.

Invitiamo la Commissione a passare in rassegna tutta la molteplicità e la varietà dei diversi approcci che già esistono in Europa. Un’altra possibilità potrebbe essere quella di organizzare una conferenza che riunisca tutte queste persone e le loro diverse esperienze in quest’ambito. Sappiamo che i bambini sono il nostro futuro e che la conoscenza è la nostra risorsa più importante in Europa, quindi dobbiamo fare del nostro meglio.

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE), autore. – (EN) Signora Presidente, si stima che nell’Unione europea ci siano approssimativamente 49 milioni di persone affette da una qualche forma di “dis”abilità. Il 10% dei bambini è affetto da una disabilità di tipo “dis”, come disfasia, disprassia, dislessia, discalculia o disturbi da deficit di attenzione.

Prendiamo il caso di Sean nel Regno Unito. Gli insegnanti, nella loro valutazione, lo avevano descritto come un bambino stupido, difficile, come un elemento di disturbo e iperemotivo. A causa del suo problema egli è stato emarginato e tiranneggiato dai suoi compagni di scuola e gli insegnanti hanno fatto ben poco per intervenire.

Alla fine, dopo che Sean è tornato a casa picchiato e insanguinato, i genitori sono stati costretti a ritirarlo da scuola. Le autorità scolastiche locali si sono però rifiutate di fornirgli un tutor o un insegnante di sostegno, per cui i genitori hanno dovuto occuparsi della sua istruzione e uno di loro è stato costretto a lasciare il lavoro. Per fortuna c’era un gruppo locale di sostegno che si è offerto di aiutare Sean e i suoi genitori. Altri bambini nel Regno Unito e in altri Stati membri non sono così fortunati.

Dobbiamo promuovere lo scambio delle migliori prassi in tutta l’Unione europea ed è qui che il Consiglio e la Commissione devono svolgere un ruolo importante. Le informazioni devono essere più accessibili. Dobbiamo poter individuare, monitorare, diagnosticare e curare questi disturbi in una fase precoce. Dobbiamo adattare le strutture per integrare nel mondo del lavoro i giovani colpiti da disabilità ed è importante elaborare una carta europea per le persone affette da problemi “dis”.

E’ anche di vitale importanza potenziare la ricerca nell’ambito del settimo programma quadro. Non ha senso un’adesione puramente formale ai diritti delle persone disabili. Dobbiamo continuare a combattere per garantire che le persone come Sean siano trattate alla pari e che sia dato loro tutto l’aiuto e il sostegno che meritano.

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM), autore. – (EN) Signora Presidente, vi sono milioni, letteralmente milioni, di bambini che non sono considerati disabili ma che lottano con un problema grave e disabilitante nel campo dell’apprendimento, del movimento e della comunicazione.

Benché il numero di bambini ai quali sono stati diagnosticati problemi di dislessia, disfasia, discalculia, disprassia e analoghi disturbi specifici stia aumentando in modo esponenziale – si stima che la sola dislessia colpisca il 10% dei bambini negli Stati Uniti – molti, se non la maggior parte, dei bambini affetti in Europa non vengono diagnosticati e quindi non ricevono aiuto.

Quando i genitori esprimono le loro preoccupazioni vengono spesso ignorati o viene detto loro di smetterla di immaginarsi chissà cosa. Spesso i bambini, anche i bambini dotati, vengono considerati intellettualmente deboli o maldestri da insegnanti e educatori ben intenzionati ma che non hanno la competenza per capire la differenza.

Ignorare questi disturbi non li fa scomparire. Li fa solo diventare più problematici per i bambini che si sentono sempre più scoraggiati e frustrati. L’immagine che i bambini hanno di sé può soffrirne gravemente e il loro potenziale può andare sprecato.

Abbiamo formulato quest’interrogazione e la dichiarazione scritta per sottolineare l’enormità del problema per i bambini che hanno una difficoltà specifica, per le loro famiglie e per la loro comunità e per chiedere alla Commissione, al Parlamento e al Consiglio di occuparsi seriamente di questi bambini nella ricerca, nelle iniziative, negli orientamenti e nelle strategie.

Dobbiamo approfondire la conoscenza di questi disturbi “dis”, imparando ad individuarli il prima possibile e ad intervenire in modo efficace. Dobbiamo anche capire perché il cervello di un bambino sia affetto da questi disturbi nella fase di sviluppo e come prevenire queste “dis”abilità, laddove sia possibile. Dobbiamo anche garantire che nessuno sia considerato meno importante o meno valido solo a causa di questi disturbi.

Vorrei ricordare alla Commissione che anche molti adulti lottano contro queste specifiche difficoltà di apprendimento o di coordinazione, ma non attribuiscono un nome a questi disturbi o non ne sono realmente consapevoli. Molti hanno elaborato tecniche compensatorie per cavarsela. Quest’estate ho raccolto delle firme per una petizione popolare a sostegno delle persone con disabilità e mi ha stupito vedere quanti adulti lottino anche solo per scrivere il loro nome.

Le persone soffrono in silenzio e le loro doti e i loro talenti rimangono celati ai loro stessi occhi per colpa di queste disabilità. Qual è il prezzo che paga la società? Persone che smettono di studiare e che lavorano al di sotto delle loro capacità perché hanno un problema in un’area dell’apprendimento. Uno psicologo dell’apprendimento mi ha detto che il dramma di questi bambini è che molti di loro sarebbero andati benissimo all’università, dove avrebbero potuto lavorare secondo le loro capacità, ma non ne hanno avuto l’opportunità perché non sono riusciti a finire la scuola secondaria. La natura generale dei programmi, infatti, fa sì che la particolare difficoltà di queste persone diventi un ostacolo insormontabile per il sistema standard di valutazione.

Conosco un giovane con una specifica difficoltà di apprendimento. Non ha potuto finire la scuola primaria e secondaria e ha dovuto abbandonare il sistema scolastico senza un diploma; sulla base di un test attitudinale e della raccomandazione degli insegnanti è entrato però in un piccolo istituto di studi superiori e due anni dopo si è rivelato eccezionalmente dotato in filosofia ed è diventato un popolare leader studentesco.

Il nostro sistema d’istruzione in Europa tende a essere competitivo e rigido. Le autorità sembrano ritenere che ciò contribuisca a creare una classe di cittadini istruita e competente ma questa mancanza di flessibilità – un approccio unico per tutti – distrugge le potenzialità di innumerevoli giovani. Ciò non è bene e crea esclusione sociale, il che a sua volta può trasformare molti bambini in adulti disillusi e, in alcuni casi, aggressivi. In Irlanda, il 76% dei detenuti nel carcere di Mountjoy ha un passato di fallimenti scolastici e di probabili difficoltà di apprendimento non diagnosticate.

Ignorare questi bambini e questi adulti è una chiara discriminazione. Sono molto orgogliosa del sostegno mostrato da questo Parlamento a favore della dichiarazione scritta, ma ho un avvertimento. La dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo sancisce che ogni bambino ha diritto all’istruzione primaria, ma i bambini con esigenze particolari hanno diritto solo all’aiuto che si può dar loro in base alle risorse disponibili. Prima di ratificare questa convenzione e di applicarla alle nostre strategie, dobbiamo esaminarla molto attentamente. Altrimenti trasporremo questo errore nelle nostre politiche

 
  
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  Ján Figeľ, Membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, ringrazio tutti i presenti, specialmente l’onorevole Záborská e i coautori di quest’interrogazione perché penso che sia molto importante, non solo come interrogazione e come argomento di discussione, ma anche in termini di azione a favore di coloro che hanno bisogno di assistenza, di cure o di condizioni specifiche per la loro vita nella società, per la loro istruzione, per la loro formazione e così via.

Sottolineo in modo particolare ciò che è stato detto all’inizio: vogliamo essere la voce di coloro che hanno queste difficoltà e penso che questo sia un impegno morale e politico forte.

La Commissione è consapevole delle conseguenze sociali e sanitarie negative che questi problemi possono avere sulle persone colpite o sulle famiglie che allevano bambini affetti da problemi “dis”.

Siamo d’accordo che dovremmo adottare misure intese a migliorare la vita quotidiana di questi bambini e il loro accesso all’istruzione, all’informazione e alla cultura. Certo, la principale responsabilità per il trattamento delle persone affette da problemi “dis” ricade sugli Stati membri, ma la Commissione e le istituzioni europee possono sostenere le azioni degli Stati membri.

Ad esempio, il nostro piano d’azione a favore delle persone disabili 2003-2010 promuove l’accesso delle persone disabili e delle loro famiglie ai servizi di sostegno e di assistenza. La Commissione promuove un livello di servizi che assicuri un giusto compromesso tra sicurezza, libertà di scelta e indipendenza di vita.

Il piano d’azione della Commissione in materia di sanità pubblica per il 2005, 2006 e 2007 faceva specifico riferimento alla necessità di una maggiore informazione e di una migliore definizione degli indicatori relativi alla sindrome da deficit di attenzione e iperattività, al ritardo cognitivo e ai disturbi motori, percettivi, del linguaggio e delle funzioni socio-emozionali.

Sono stati pubblicati diversi inviti a presentare proposte per sostenere la ricerca sui problemi correlati ai disturbi “dis”. Tuttavia, la Commissione non ha ancora ricevuto proposte in merito.

Come sapete, il programma comunitario PROGRESS fornisce sostegno a diverse grandi reti europee, compreso il forum europeo della disabilità. Sosteniamo anche l’Agenzia europea per lo sviluppo dell’istruzione per studenti disabili. L’agenzia fornisce ai politici e agli operatori del settore le informazioni attinenti all’istruzione per persone con bisogni specifici e facilita lo scambio delle buone prassi.

L’istruzione per persone con bisogni specifici è anche una delle priorità generali del programma di apprendimento permanente e, come tale, deve essere considerata anche una priorità di tutte le azioni che ne fanno parte, perché è una priorità d’ordine generale.

Il programma di apprendimento permanente ha il chiaro scopo di integrare le persone con diversi tipi di bisogni specifici. In concreto questo viene fatto mediante il finanziamento di progetti di cooperazione per scambiare, sviluppare e migliorare le prassi in generale, come la progettazione di strutture pedagogiche per l’insegnamento ordinario e per quello speciale e l’offerta di borse di studio più consistenti ai partecipanti disabili per finanziare i necessari progetti di sostegno complementari.

Inoltre, la Commissione ha sostenuto diversi altri progetti di ricerca, compreso il progetto Neurodys menzionato nell’interrogazione orale. La Commissione promuove inoltre l’accesso alle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (TIC) e alle nuove tecnologie in generale per le persone affette da problemi “dis”.

Il capitolo TIC del sesto programma quadro per la ricerca ha cofinanziato progetti sull’eAccessibilità e le soluzioni assistive. Cito solo due progetti: il progetto AGENT-DYSL, incentrato sullo sviluppo dei sistemi di lettura assistita di nuova generazione, e il progetto comunitario “For All”, che mira a sviluppare le tecnologie per rendere l’istruzione accessibile a tutti, comprese le persone affette da dislessia. Il settimo programma quadro per la ricerca continuerà a sostenere i progetti e la ricerca sui problemi “dis”, sia nell’ambito della priorità sanitaria che in quello della priorità dell’eAccessibilità.

Riconosciamo che è importante raccogliere statistiche pertinenti. E’ stata una delle questioni principali sollevate in quest’Aula. Benché al momento la Commissione non raccolga dati su specifici problemi “dis”, Eurostat fornisce statistiche a livello europeo sulla disabilità e l’integrazione sociale.

A seguito di uno speciale sondaggio sulla forza lavoro nell’ambito della disabilità, Eurostat sta ora sviluppando un modello di indagine a livello europeo nel quadro del sistema europeo di indagini sanitarie e con particolare attenzione alle disabilità e ai vari aspetti dell’integrazione sociale delle persone intorno ai 18 anni.

Riconosciamo le difficoltà incontrate dalle persone o dalle famiglie che assistono queste persone disabili, comprese quelle con disturbi “dis”. Conseguentemente al nostro impegno nella tabella di marcia per la parità di genere, nel 2005 e nel 2006 abbiamo lanciato una consultazione con le parti sociali sulle politiche di conciliazione. Le consultazioni hanno riguardato un’ampia serie di questioni, come il congedo di maternità, il congedo parentale, il congedo di paternità, il congedo di adozione e un nuovo tipo di congedo per chi assiste familiari a carico.

La seconda fase della consultazione si è conclusa nel giugno del 2007 e la Commissione è attualmente impegnata nel processo di valutazione d’impatto. A seconda dei risultati, le nuove proposte potranno essere presentate forse nel 2008.

La Commissione monitorizza regolarmente il recepimento a livello nazionale della legislazione anti-discriminazione. La direttiva 2000/78/CE, che vieta la discriminazione nell’assunzione e nell’occupazione, copre tutti i cittadini, compresi coloro che sono affetti da disturbi “dis”. Tuttavia, la Commissione ritiene che la legislazione debba offrire protezione non solo ai lavoratori dipendenti affetti da disabilità, ma anche a quelli che assistono disabili a carico.

A questo riguardo, seguiamo con grande interesse il caso Coleman pendente innanzi alla Corte di giustizia.

Per concludere, tengo a dire che si tratta principalmente di una questione di conoscenza e di sensibilizzazione e il vostro contributo adesso è estremamente utile. E’ un peccato che sia così tardi, poco prima di mezzanotte. Ma penso che, una volta terminata la fase di sensibilizzazione in modo adeguato, potremo concentrarci maggiormente sull’attuazione e sulle azioni concrete a favore di coloro che hanno veramente bisogno di aiuto.

 
  
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  Maria Panayotopoulou-Kassiotou, a nome del gruppo PPE-DE. (EL) Signora Presidente, signor Commissario, grazie per essere rimasti fino a tardi e per aver trattato l’argomento in modo così approfondito.

Vedo altri due Commissari presenti in quest’Aula, compreso il Commissario responsabile della sanità. Spetta a lui la responsabilità delle azioni tese a far sì che le difficoltà comportamentali e di apprendimento siano riconosciute come problemi di salute piuttosto che come disabilità. Egli dirige anche la ricerca per la diagnosi precoce e garantisce che i metodi clinici per il trattamento e la terapia si traducano in proposte specifiche nei programmi di ricerca. A sua volta, signora Presidente, questo favorisce il suo settore, quello dell’istruzione, in quanto offre una formazione speciale al personale e ai genitori, nonché attrezzature specifiche alle scuole. Promuove anche nuove tecnologie che consentono di adottare misure di accompagnamento e di assistenza per gli studenti con bisogni specifici.

La possibilità di accedere all’istruzione porta alla reintegrazione formativa e professionale. Vedo anche il terzo Commissario, responsabile dell’occupazione. Egli dovrebbe interessarsi alle misure intese a favorire l’accesso alla vita professionale, i diritti sociali e la possibilità d’integrazione sociale. Tutto questo per prevenire l’esclusione sociale delle persone diversamente abili, che hanno speciali caratteristiche pur non essendo disabili.

Lei ha usato la parola “disabilità” diverse volte e ci ha esposto tutti i programmi per la disabilità. Qui però si tratta di problemi di disprassia di altra natura. Possiamo affrontarli senza una miriade di nuove iniziative; sono sufficienti un po’ di spese e di finanziamenti in più, ma fondamentalmente bastano assistenza, organizzazione e diffusione delle migliori pratiche già a disposizione degli Stati membri in una sfera abbastanza ampia.

Il riconoscimento giuridico è un presupposto fondamentale che consente l’accesso alla sanità, alle scuole e alle prestazioni sociali. Il ricorso congiunto a un supporto tecnico e a un aiuto finanziario per i genitori permette di prevenire anche la discriminazione contro le famiglie, che cominciano a soffrire dal momento in cui viene diagnosticato un problema di disprassia fino alla sua cura.

Spero che la nostra interrogazione dia alla Commissione l’opportunità di agire.

 
  
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  Catherine Trautmann, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli parlamentari, è bene che il tema dei disturbi “dis”, così spesso ignorati, possa essere affrontato in questo Parlamento e il fatto che sia sostenuto praticamente da tutti i gruppi politici che lo compongono dimostra che per noi nessun cittadino europeo, qualunque sia il suo problema, dovrebbe essere oggetto di discriminazione. E’ il caso delle persone con problemi “dis” che, grazie a studi sempre più sofisticati, risultano essere molto numerose benché ancora troppo poco visibili.

Poiché sono l’unica parlamentare francese a prendere la parola questa sera, potrei vantarmi del fatto che la Francia è stata piuttosto attiva nell’affrontare i disturbi “dis”. Grazie all’iniziativa di associazioni e di gruppi di genitori e di professionisti, è stata organizzata una giornata nazionale, la prima nel suo genere, prevista per il 10 ottobre prossimo a Parigi, e questo renderà la stampa più attenta alla situazione delle persone affette da questi disturbi, in particolare i bambini.

Comunque, lo scopo del mio intervento di questa sera non è di celebrare i progressi compiuti in un determinato paese, perché vi è ancora moltissimo da fare, ma di interrogarci collettivamente su come scambiare le migliori prassi a livello europeo, in quanto alcuni Stati membri non riconoscono nemmeno l’esistenza di questo tipo di disturbo. Mi sembra che l’appello per la creazione di una rete europea multidisciplinare per i disturbi specifici dell’apprendimento, contenuto nella dichiarazione scritta, vada in questa direzione, come pure l’uso giudizioso dei programmi comunitari come il settimo programma quadro.

A questo riguardo, l’iniziativa alla quale lei ha accennato, signor Commissario, il progetto Neurodys, il cui scopo è di mettere in evidenza le origini cognitive, cerebrali e genetiche della dislessia e che riunisce 15 gruppi di ricerca scientifica di nove Stati membri – e per inciso vorrei sottolineare, perché è importante, che coprono praticamente tutte le lingue europee – serve da esempio perché mi sembra che a termine l’Europa dovrebbe essere il leader mondiale per quanto riguarda la comprensione di questi disturbi e la raccolta dei dati biologici che li riguardano. Ma dovrebbe dare anche l’esempio riconoscendo le forme più efficaci di riabilitazione e di terapia che permettono ai bambini di ritrovare la speranza e di affrontare la vita con ottimismo.

La Commissione prevede altri programma di questo tipo in futuro? Signor Commissario, lei ha fatto riferimento a un invito a presentare proposte che non ha ricevuto risposta. E’ nostra intenzione far sì che la campagna di sensibilizzazione lanciata dalle associazioni e dai deputati firmatari della dichiarazione scritta supplisca a questa mancanza d’informazione e di motivazione. Ci auguriamo che la sua disponibilità a mobilitare i fondi europei necessari per soddisfare quest’aspettativa ci permetta, grazie a ricerche appropriate, di affrontare anche altri disturbi “dis”, come ad esempio la disprassia e la disfasia.

 
  
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  Wiesław Stefan Kuc, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signora Presidente, è abbastanza preoccupante constatare che il 10% dei bambini è affetto da disturbi disfunzionali. Ciò significa che un bambino su dieci soffre di disturbi motori oppure non sa esprimere i propri pensieri o non sa farlo in modo chiaro. Come sarà la popolazione adulta fra qualche anno? Sarà composta da persone che hanno difficoltà a svolgere le attività normali della vita quotidiana e che non sono in grado di svolgere un ruolo normale nella società. Possiamo pensare di curarli come invalidi e di creare una società di invalidi? Sarebbe inaccettabile. Se questi disturbi possono essere trattati, dobbiamo fare il possibile per curare i bambini che ne sono affetti invece di concentrarci sulla prevenzione della discriminazione e dell’esclusione sociale, perché non possiamo escludere i nostri simili. Non penso che si arrivi a questo. Credo che vi siano modi per gestire la situazione.

Infine, desidero esprimere i miei sinceri ringraziamenti a coloro che hanno portato questo problema alla mia attenzione e desidero dire che hanno tutto il mio sostegno.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signora Presidente, desidero congratularmi con il personale e con i colleghi che hanno preso l’iniziativa di una dichiarazione scritta e di un’interrogazione orale, e anche con la Commissione che è qui presente, a quest’ora della notte, a discutere di un tema che purtroppo non solo sembra essere segreto, un tema di assoluta discrezione, ma che in certi casi è anche completamente invisibile.

Pertanto, nonostante questa situazione, il fatto che ne stiamo discutendo oggi significa che desideriamo porre fine a questa invisibilità e quindi è con grande entusiasmo che mi sono unito non solo alla dichiarazione scritta e all’interrogazione orale, ma anche a questa discussione.

Penso che tutti, chi più chi meno, conosciamo persone che hanno sofferto e che soffrono di questi disturbi, che non sono malattie. Quindi, da questo punto di vista, la percezione che abbiamo tutti in questo contesto è che sicuramente non sono persone che, potremmo dire, richiedono un servizio speciale dal punto di vista dell’assistenza sanitaria, come se si trattasse di una malattia. Hanno bisogno solo di sostegno, di sostegno specifico, di assistenza e di sensibilità, che devono essere offerte non solo dalle istituzioni ma anche dalle famiglie, dai centri educativi e soprattutto dalla società in generale.

A mio avviso, la peggior cosa che possa accadere in questi casi è che la discriminazione sia dovuta in primo luogo all’ignoranza, all’idea che queste persone non possano condurre una vita assolutamente normale, anche se magari hanno bisogno di un certo sostegno, ma soprattutto che sia dovuta alla mancanza di volontà politica e di risorse economiche per mettere in atto i programmi necessari che permettano a queste persone non soltanto, ripeto, di avere una vita normale ma anche di essere esseri umani pienamente capaci di contribuire con la loro saggezza, le loro conoscenze, le loro speranze e i loro sogni a una società che spesso li emargina e li discrimina, anche se non hanno fatto niente per meritarselo.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (UEN). – (PL) Signora Presidente, desidero congratularmi con coloro che hanno sollevato la questione di questi specifici disturbi disabilitanti. Questo 10% di bambini con problemi “dis” rappresenterà, una volta cresciuto, il 10% della popolazione con difficoltà ad interagire con la società. Da adulti, la loro sofferenza sarà maggiore. Oggi, però, ci occupiamo del destino dei bambini ai margini della società per motivi che non sono pienamente compresi. Man mano che i bambini si sviluppano, ogni difficoltà ne genera altre e ogni complesso ne porta altri.

Le disabilità di tipo “dis” dovrebbero essere riconosciute come disturbi specifici o menomazioni. I problemi che ne derivano dovrebbero essere spiegati in primo luogo al bambino stesso e poi a coloro che lo circondano, i genitori, gli amici e i compagni di scuola. Questi bambini richiedono un approccio speciale e un tipo di insegnamento personalizzato. L’individuazione e la corretta definizione di questi disturbi sono particolarmente importanti poiché le possibilità di curarli sono limitate.

 
  
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  Ján Figeľ, Membro della Commissione. (SK) Signora Presidente, vorrei esprimere i miei ringraziamenti per i numerosi e interessantissimi interventi. Non sono un esperto in materia, ma sono necessarie più competenze specifiche su questo argomento.

Sono anche personalmente al corrente della questione, ma per affrontarla in modo specifico è necessario un approccio più approfondito da parte delle diverse istituzioni e dei politici. Sono state avanzate molte proposte in materia di politica sociale, di pari opportunità, di non discriminazione, di sanità, d’istruzione, di formazione professionale e in altri ambiti attinenti. Il punto di partenza è l’interesse e il desiderio di cambiare la situazione perché l’ignoranza genera intolleranza. Questo vale per ogni problema, compreso questo.

Uno dei compiti è chiaramente quello di allineare i punti di vista su questo problema negli Stati membri e nell’Unione europea, vale a dire negli Stati membri dell’UE, perché non esiste una definizione da nessuna parte, benché in alcuni paesi ci siano giornate nazionali dedicate a questo problema. Secondo me gli Stati membri potrebbero ispirarsi alla definizione usata nella convenzione sulla disabilità delle Nazioni Unite, ma questa è una questione che riguarda loro.

Vorrei ribadire ciò che ho detto all’inizio. Abbiamo molti programmi importanti che possono contribuire ad individuare soluzioni possibili in termini di formazione professionale, d’informazione e di comunicazione. Penso al programma per l’istruzione, al programma per l’apprendimento permanente, al programma per la ricerca e al programma per la sanità pubblica.

Mi permetta di ringraziare, a titolo personale e a nome della mia Istituzione, tutti gli autori e coloro che cercano di garantire che le persone con problemi “dis” siano trattate come le altre e che si ammetta che in realtà il loro talento, la loro abilità e il loro potenziale spesso non vengono riconosciuti e sono sottostimati. La Commissione è stata invitata ad essere più attiva in questo ambito: vorrei dire che la Commissione è attiva e vuole, in collaborazione con il Parlamento e la Presidenza, esserlo ancora di più di quanto non lo sia stata in passato.

 
  
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  Presidente. − Molte grazie, signor Commissario, per la sua rassicurazione.

La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (NI), per iscritto. – Ringrazio i colleghi che hanno sollevato questa importante discussione e la commissione europea, nella persona del Commissario Figel, con il quale ho già collaborato in alcune occasioni, per la disponibilità a prendere atto i suggerimenti presentati da questa istituzione.

Sebbene il settore sanitario sia principalmente di competenza nazionale, apprezzo gli sforzi che la Commissione sta facendo per cercare di stimolare gli Stati membri ad adottare strategie che permettano alle persone con disabilità ad avere accesso alle cure e soprattutto la possibilità di svolgere una vita quanto più possibile normale. Il piano di lavoro per la disabilità (2003-2010) o lo stesso programma PROGESS vanno già in questo senso. E’ importante, tuttavia, sensibilizzare i cittadini europei per favorire l’integrazione di queste persone, soprattutto dei bambini, nella società. Azioni di integrazione e di comunicazione contro le dis-scriminazioni nelle scuole, sul luogo di lavoro, nello sport e nella vita quotidiana, sono necessarie tanto quanto l’accesso al sistema sanitario, perché tali disfunzioni, talvolta, solo fisiche, non compromettano anche la vita personale e professionale dei malati e delle loro famiglie.

 

19. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale

20. Chiusura della seduta
  

(La seduta è tolta alle 23.55)

 
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