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Resoconto integrale delle discussioni
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Mercoledì 10 ottobre 2007 - Bruxelles Edizione GU
1. Ripresa della sessione
 2. Commemorazione
 3. Dichiarazioni della Presidenza
 4. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 5. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
 6. Verifica dei poteri: vedasi processo verbale
 7. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 8. «Dis»criminazione ed esclusione sociale dei minori «dis»(dichiarazione scritta): vedasi processo verbale
 9. Ordine del giorno: vedasi processo verbale
 10. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 11. Dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
 12. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale
 13. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale
 14. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale
 15. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
 16. Preparazione del Vertice informale dei capi di Stato e di governo (Lisbona, 18 e 19 ottobre 2007)
 17. Composizione del Parlamento
 18. Situazione umanitaria nella Striscia di Gaza
 19. Una politica marittima per l’Unione europea
 20. Uccisioni di donne (femminicidi) in America centrale e in Messico e ruolo dell’Unione europea nella lotta contro tale fenomeno
 21. Interventi di un minuto (Articolo 144 del regolamento del Parlamento)
 22. Finanziamento della politica agricola comune
 23. Conseguenze dell’accordo Comunità-Stati membri/Philip Morris per combattere il contrabbando di sigarette e verifica delle raccomandazioni della commissione d’inchiesta del Parlamento europeo sul transito (discussione)
 24. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 25. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. HANS-GERT PÖTTERING
Presidente

(La seduta è aperta alle 15.00)

 
1. Ripresa della sessione
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  Presidente. − Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo, interrotta giovedì 27 settembre 2007.

 

2. Commemorazione
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  Presidente. − Onorevoli colleghi, ho il triste compito di informarvi del decesso di un deputato e di un ex deputato.

Il parlamentare Fausto Correia è mancato ieri mattina. Era nato a Coimbra il 29 ottobre 1951 e aveva solo 55 anni. Lascia una moglie e tre figli. Terminati gli studi di legge presso l’università della sua città natale, Coimbra, intraprese una brillante carriera d’avvocato, giornalista e quindi politico, in Portogallo. Fu a lungo deputato nelle fila del parlamento portoghese, nonché ministro aggiunto durante il governo del Primo Ministro António Guterres. Rivestiva la carica di eurodeputato dal 2004. Fausto Correia era e rimarrà famoso e stimato in Portogallo per il suo incrollabile e duraturo impegno a favore della democrazia e per la sua devozione ai valori basilari di fratellanza e solidarietà. La presenza di Fausto Correia mancherà molto alla famiglia, agli amici e a tutti noi, suoi colleghi.

Il registro delle condoglianze, che accoglierà messaggi di cordoglio da parte dei deputati e del personale del Parlamento europeo, sarà esposto durante le sedute settimanali di mercoledì e giovedì, all’ingresso dell’Aula.

E’ con grande rammarico che apprendiamo la notizia del decesso dell’ex parlamentare Christian de la Malène, che rivestì la carica di eurodeputato in due occasioni: dal 1959 al 1961 e dal 1962 al 1994. Christian de la Malène, già ministro e senatore sotto la Presidenza De Gaulle, è mancato il 26 settembre, all’età di 86 anni. In qualità di ex presidente del gruppo dei democratici europei di progresso e del gruppo dell’Alleanza democratica europea, Christian de la Malène era un convinto europeista nella mente e nello spirito. Dedicò la sua lunga vita a un’Europa forte e democratica e a una comunità politica.

Christian de la Malène era un collega e un amico, che sarà ricordato per la sua umanità e il suo impegno politico, in virtù dei quali desideriamo commemorarlo con immensa gratitudine.

Un momento di silenzio, prego, in ricordo del nostro defunto collega.

(Il Parlamento, in piedi, osserva un minuto di silenzio)

 

3. Dichiarazioni della Presidenza
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  Presidente. − Onorevoli deputati, Vostre Eccellenze, oggi non è soltanto la Giornata internazionale contro la pena di morte. Il Consiglio d’Europa, con i suoi 47 Stati membri, e con il sostegno del Parlamento europeo e della Commissione europea, ha dichiarato il 10 ottobre Giornata europea contro la pena di morte.

Siamo molto lieti della presenza fra noi in questa giornata, delle infermiere bulgare e dei medici recentemente scampati alla pena capitale in Libia.

(Vivi applausi)

Colgo l’occasione per dare un caldo benvenuto da parte di tutta l’Aula alle infermiere Nasya Nenova, Kristiyana Valcheva, Snezhana Dimitrova, Valya Chervenyashka, Valya Siropulo e ai medici Ashraf Ahmed Gomma El Hagous e Zdravko Gueorguiev.

Dal febbraio 1999 sono stati detenuti per otto anni in Libia, in attesa di processo, con l’infondata accusa di aver deliberatamente infettato centinaia di bambini libici con il virus dell’HIV.

Noi ci opponiamo alla pena di morte, pertanto, in passato ci siamo ripetutamente appellati alle autorità libiche perché rilasciassero le infermiere bulgare e i medici palestinesi.

La pena capitale costituisce una grave violazione dei diritti umani, primo fra tutti quello alla vita. A nome del Parlamento europeo, dunque, desidero ribadire il nostro fermo impegno a favore della campagna contro la pena di morte, che riteniamo estremamente importante nel quadro delle relazioni con i nostri vicini e partner nel mondo.

Ringraziamo gli Stati che hanno recentemente abolito la pena capitale, e in particolare il Ruanda. Quest’esempio dimostra che perfino nelle nazioni i cui cittadini hanno subito i crimini più efferati, si è deciso di rinunciare alla pena di morte come strumento di giustizia. Un’altra occasione per promuovere l’abolizione della pena capitale su scala mondiale sono le Olimpiadi, che si terranno a Pechino il prossimo anno e che costituiranno un’opportunità per abbattere il muro di silenzio che la Cina ha eretto attorno alla pratica della pena di morte.

L’Unione europea ha presentato una proposta di risoluzione in merito alla pena capitale all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. L’iniziativa, elogiata in numerose occasioni dal Parlamento europeo, costituisce un importante passo verso l’abolizione della pena di morte e a tale proposito, facciamo appello alla Presidenza portoghese del Consiglio perché promuova attivamente la questione presso le Nazioni Unite a New York.

Il Parlamento europeo ha tenuto diverse discussioni sulla pena di morte e nell’arco di quest’anno soltanto, ha approvato tre risoluzioni in materia. Per nessun’altra questione si sono tenute in seno al Parlamento europeo consultazioni tanto intensive. Ci opponiamo fermamente alla pena capitale, in qualsiasi forma e per qualunque ragione essa venga inflitta.

Sulla base di valori condivisi, gli Stati membri e l’Unione europea sono riusciti a diventare una comunità che rifiuta la pena di morte. Tale impegno è altresì sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Una volta che la Carta sarà divenuta giuridicamente vincolante per effetto del trattato di riforma, potremo addirittura dichiarare abolita la pena capitale all’interno dell’Unione europea a tutti i livelli. Sono lieto e grato del fatto che nessuno Stato membro abbia obiettato all’abolizione della pena di morte all’interno della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tanto meno abbia seriamente considerato la possibilità di reintrodurla. L’Unione europea, in quanto attore globale, inoltre, è in tal modo legittimata a richiamare l’attenzione su questa straordinaria conquista in materia di diritti umani e a difenderla.

In ricordo delle vittime, vi chiedo ora di osservare un minuto di silenzio.

Oggi, in occasione della Giornata europea e internazionale contro la pena di morte, il Parlamento europeo invita tutti gli Stati che ancora continuano a praticare esecuzioni capitali, a seguire il nostro esempio, abolendo la pena di morte. L’Unione europea è pronta e disponibile a fornire il proprio aiuto per il conseguimento di tale obiettivo.

(Applausi)

 
  
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  Daniel Cohn-Bendit (Verts/ALE). - (DE) Signor Presidente, vorrei fare un annuncio e chiedere il suo sostegno. Come lei sa, il nostro gruppo aveva deciso di tenere a Mosca un incontro dell’Ufficio di presidenza ampliato, per discutere con diversi attori russi, esponenti sia del governo sia dell’opposizione, dei vari problemi collegati alle relazioni tra Russia e Unione europea. Purtroppo, abbiamo scoperto che il governo russo non intendeva emettere i visti a favore dei nostri colleghi, pertanto l’incontro non ha potuto avere luogo. Ciò è accaduto una settimana dopo la mancata ricezione, da parte del sottocomitato diritti umani – che, a sua volta, avrebbe voluto organizzare un incontro simile a Mosca – dei visti necessari; circostanza che ha causato l’annullamento anche di quella riunione.

Riteniamo inammissibile che un governo, descritto da alcuni capi di Stato come un’incontestabile democrazia, non ci permetta di organizzare un evento incontestabilmente democratico a Mosca. Pertanto chiediamo al Parlamento di esaminare l’accaduto e a lei, signor Presidente, di redigere, a sostegno, una dichiarazione scritta, indirizzata sia agli ambasciatori locali, sia al governo russo.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. − La ringrazio, onorevole Cohn-Bendit. Risponderò alla sua richiesta non solo per mero senso del dovere, ma anche per convinzione personale.

 

4. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

5. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale

6. Verifica dei poteri: vedasi processo verbale

7. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale

8. «Dis»criminazione ed esclusione sociale dei minori «dis»(dichiarazione scritta): vedasi processo verbale

9. Ordine del giorno: vedasi processo verbale

10. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

11. Dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale

12. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale

13. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale

14. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale

15. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale

16. Preparazione del Vertice informale dei capi di Stato e di governo (Lisbona, 18 e 19 ottobre 2007)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione in merito alla preparazione del Vertice informale dei capi di Stato e di governo, che si terrà a Lisbona il 18 e il 19 ottobre 2007.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. (PT) Signor Presidente, onorevoli deputati, prima che entri nel merito della voce all’ordine del giorno che giustifica la mia presenza qui oggi, permettetemi, a nome del governo portoghese e della Presidenza portoghese del Consiglio, di ringraziarvi per la sentita e calorosa commemorazione – meritatissima, a mio avviso – resa in occasione dell’inaspettata e triste dipartita del mio concittadino, nonché deputato di questo Parlamento, l’onorevole Fausto Correia.

Il Portogallo è rimasto scioccato nell’apprendere la notizia della perdita di un uomo tanto retto, figura di riferimento per tutti noi nella lotta per la dignità umana e per i valori in cui crediamo: i valori della supremazia del diritto e del rispetto per i diritti umani.

La morte di Fausto Correia è senz’altro una grave perdita; ci sforzeremo, per quanto possibile, di seguire il suo esempio e personalmente vorrei esprimere la mia sincera gratitudine per l’omaggio tributatogli da questo Parlamento, omaggio a cui si unisce, ovviamente, anche il governo portoghese.

(Applausi)

 
  
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  Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, l’anno scorso mi pronunciai al cospetto del Parlamento riguardo a ciò che la Commissione riteneva la spinta propulsiva al progresso dell’attuale Unione europea, enfatizzando il cosiddetto “duplice approccio”, costituito da due obiettivi che si sostenevano reciprocamente, ovvero un’agenda politica improntata all’attivismo e un ambizioso approccio alla riforma del trattato. In occasione di quel dibattito ci fu un consenso diffuso e questo, a mio avviso, per tre ragioni.

Innanzi tutto, tale approccio riflette una certa maturità in seno all’Unione europea, poiché oggi l’Europa interessa numerosi aspetti della vita degli individui e questo ha creato delle aspettative. Scegliere per l’Europa un comune denominatore di più basso profilo sarebbe un grave errore. In secondo luogo, ritengo che la sfida di spiegare l’Europa ai nostri cittadini richieda un approccio fresco, caratterizzato da una consapevolezza più profonda di come le Istituzioni europee si pongono rispetto alle esigenze sociali della popolazione, alle sue aspirazioni economiche e ai valori soggiacenti. Infine, questo nuovo approccio non poggia unicamente su un istinto politico, ma sul lavoro avviato dalla Commissione nel quadro del cosiddetto Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito, al quale hanno contribuito attivamente così tanti deputati di questo Parlamento.

Il Consiglio europeo informale della prossima settimana sarà l’occasione per mettere in pratica questo duplice approccio. Da una parte, i capi di Stato e di governo dovrebbero concludere la Conferenza Intergovernativa (CIG) e concordare una nuova riforma del trattato. Dall’altra, la Presidenza ha segnalato la propria intenzione di approfondire il dibattito in merito a come l’Europa affronta la globalizzazione.

Dunque, innanzi tutto, il trattato di riforma: oggi abbiamo davanti a noi un testo e questo è un traguardo importante. Vorrei rendere omaggio al lavoro svolto dalla Presidenza portoghese, così come abbiamo fatto in occasione di quella tedesca, per il grande impegno dimostrato nel far avanzare il processo in maniera pacata e costante.

Mi unisco al mio collega della Presidenza nell’elogiare il Parlamento per il ruolo costruttivo rivestito in quest’ultima fase. Abbiamo lavorato bene insieme e grazie agli onorevoli Brok, Barón Crespo e Duff, abbiamo oggi un trattato migliore, in termini di norme relative ai diritti e alla cittadinanza. Inoltre, daremo piena legittimazione alla Carta dei diritti fondamentali, attraverso una proclamazione ufficiale.

Ricordate quanti dicevano che un’UE a 27 non sarebbe mai stata in grado di accordarsi sul testo di un trattato? Siamo sul punto di provare che, ancora una volta, si sono sbagliati. La determinazione di tutti noi a raggiungere un accordo è anche indice di un’Europa ricca di idee per il futuro. Se raggiungeremo un’intesa settimana prossima, avremo dato piena legittimazione all’accordo di attenerci strettamente al mandato. Ora restano da superare gli ultimi ostacoli. Sono certa che i capi di Stato e di governo siano pienamente consapevoli che un’atmosfera di recriminazione e disaccordo a Lisbona non sarebbe di alcuna utilità al processo di ratifica.

Certo, avremmo preferito evitare clausole opt-out, ma se questo è il prezzo per portare avanti un ambizioso trattato di riforma, dobbiamo accettarlo. E’ la natura del compromesso e del negoziato.

Vorrei inoltre ringraziare il Parlamento per aver risposto in maniera pronta ed efficace all’invito del Consiglio europeo che lo esortava ad avanzare proposte in merito alla propria futura composizione. Si tratta di una questione difficile e delicata per tutti voi, così come per gli Stati membri, che necessita, mi preme sottolinearlo, dell’approvazione sia del Parlamento sia del Consiglio.

Un’ultima parola sul trattato: l’assenso politico del Consiglio europeo è un passo importante, ma, come tutti noi ben sappiamo, non esaurisce affatto la questione. Mi auguro che sapremo lavorare insieme durante il processo di ratifica, considerandolo un’occasione per comunicare, spiegare e ascoltare le problematiche relative all’Unione europea. Laddove possibile, dovremo coordinarci, come proposto dalla Commissione la scorsa settimana in un nuovo documento intitolato “Insieme per comunicare l’Europa”.

Necessitiamo, inoltre, di un trattato della massima accessibilità e chiarezza, con un testo consolidato, che dev’essere reso disponibile nel lasso di tempo più breve possibile dopo la conclusione della CIG. Nel corso del processo di ratifica che condurrà alle elezioni per il Parlamento europeo nel 2009, la presentazione della nostra agenda politica agli europei sarà altrettanto cruciale nella creazione di un clima appropriato e la prossima settimana, grazie alla Presidenza, intraprenderemo un dibattito sull’Europa e la globalizzazione. Discussione quanto mai opportuna: di anno in anno appare sempre più evidente che la globalizzazione è al centro delle preoccupazioni di questa generazione di europei. Interessa ogni cittadino, in un modo o nell’altro: i beni e i servizi che acquistiamo, la televisione che guardiamo, l’energia che utilizziamo e il lavoro che facciamo. L’Unione europea sta sviluppando con successo una politica che riconosce il legame fondamentale tra la riuscita economica e la sicurezza sociale. Ma la globalizzazione non è statica, come dimostrato fin troppo chiaramente dalla turbolenza che ha interessato i mercati finanziari quest’estate. E’ necessario un costante adattamento alle mutevoli circostanze.

La scorsa settimana, come accennava il Presidente Lobo Antunes, la Commissione ha adottato un documento relativo a questo dibattito, che preparerà anche il terreno per la presentazione di proposte, più tardi quest’anno, in merito alla revisione della strategia di Lisbona sulla crescita e l’occupazione. Nel documento si afferma che l’Europa dovrà equipaggiarsi per far fronte alla globalizzazione, in modo da poter sostenere la pressione che essa esercita sulle nostre economie, le nostre istituzioni e i nostri cittadini, ma anche per saper cogliere le opportunità che da essa conseguono in termini di maggiore prosperità, riscatto dalla povertà, nuovi mercati per i nostri prodotti, nonché una più stretta cooperazione e condivisione dei valori. Il documento afferma inoltre, in maniera molto chiara, che la globalizzazione non è una sorta di irrefrenabile forza esterna, che vede l’UE come passivo osservatore. Noi possiamo plasmare la globalizzazione e plasmarla, in una certa misura, a nostra immagine. Il nostro compito è questo: essere tanto forti dei nostri valori, della nostra visione e degli strumenti a nostra disposizione, da garantire il successo dell’Europa nell’era della globalizzazione.

Il documento rifiuta, inoltre, il protezionismo. Sì alla tutela dei nostri cittadini, ma no al protezionismo che ne provocherebbe solo un impoverimento. Tale documento costituisce anche un monito per i nostri partner: non ci faremo tiranneggiare; difenderemo gli interessi europei. Il che significa interagire su base paritaria; significa assicurare che l’apertura sia reciproca; significa affermare che non rivedremo i nostri elevati standard in termini di sanità, sicurezza, protezione ambientale e tutela dei consumatori.

Il documento è altrettanto inflessibile in merito ai nostri valori. Sappiamo di poter prosperare nell’era della globalizzazione, ma vogliamo farlo a modo nostro. La nostra crescita dovrà essere sostenibile. Ci siamo posti obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni di gas serra e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile e li raggiungeremo. L’incontro ci fornirà un’occasione importante per riaffermare il ruolo guida dell’Europa in vista di Bali.

Ci serviremo dei nostri modelli sociali per diffondere i vantaggi della globalizzazione all’intera nostra società. Tali modelli costituiscono la nostra forza più grande, poiché aiuteranno i nostri cittadini ad adattarsi e a equipaggiarsi per affrontare efficacemente il rapido mutamento. Il Summit sociale tripartito, che si terrà appena prima del Consiglio europeo informale, sarà un’ottima occasione per preparare il terreno.

E’ chiaro che oggi, l’Unione offre agli europei l’occasione per sfruttare appieno la globalizzazione, fornendo loro un contesto continentale con il quale i singoli paesi non possono competere. Per portare avanti questo interesse europeo, disponiamo di uno strumento già pronto, ovvero la strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione. La nostra analisi economica mostra che tale strategia comincia a dare frutti. Il documento indica una serie di ambiti politici che meritano un’attenzione ancora maggiore nel corso del prossimo ciclo triennale fino al 2010: istruzione e flessicurezza, con un occhio di riguardo per le politiche di coinvolgimento attivo e un’adeguata tutela sociale; una quinta libertà per le idee e i ricercatori; ecoinnovazione; nonché una legge europea per le piccole imprese, per aiutare milioni di piccole aziende europee nella loro crescita e nella creazione di maggiori posti di lavoro. Nulla di tutto ciò è di facile realizzazione, e tuttavia è fattibile. So che questo Parlamento sarà intimamente impegnato nel seguire i progressi della strategia di Lisbona, sia a livello europeo, sia nazionale. I vostri pareri in merito ai punti accennati qui saranno un contributo essenziale al pacchetto che adotteremo in dicembre.

Il Consiglio europeo informale costituisce un appuntamento importante in un momento importante. Sfruttiamo quest’opportunità per dimostrare agli europei la lungimiranza dell’Unione europea, la quale è impegnata a modellare le proprie politiche in vista delle sfide di domani, dotandosi degli strumenti più adeguati.

(Applausi)

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE), relatore. (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Vicepresidente, onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte a un buon esempio di cooperazione tra due Presidenze del Consiglio: quella tedesca, che ha saputo preparare un mandato rivelatosi estremamente stabile, di vasta portata e radicale, così come attuato dalla Presidenza portoghese. A fronte del lavoro svolto dai giuristi, le questioni sono ora chiare e circoscritte e questo successo è forse destinato a consolidarsi il prossimo lunedì, in occasione della riunione dei ministri degli Esteri. Questa è la riprova che ci sono buone probabilità che il trattato di riforma sia cosa fatta entro giovedì della prossima settimana.

I tre rappresentanti hanno deciso di sostenere questo mandato. Non già perché vedrà concretizzarsi i nostri sogni, ma perché è il meglio che si possa ottenere, date le circostanze, allo scopo di conquistare una maggiore democrazia e una più ampia capacità d’azione, per potenziare la capacità d’intervento dell’Unione, soprattutto a fronte delle nuove sfide che ci pone il mondo di oggi: sicurezza energetica, terrorismo, politica estera e di sicurezza nel suo complesso, globalizzazione, crimine organizzato, fino al cambiamento climatico e oltre.

Questo successo è il frutto di accresciute opportunità decisionali in seno al Consiglio, nonché delle nuove competenze acquisite nel settore della sicurezza energetica e dell’abolizione del terzo pilastro, in materia di politica giudiziaria e interna, come avranno modo di spiegare in maniera più approfondita i miei colleghi in seguito. Oggi il Parlamento europeo – e questa è la seconda conquista – diventa codecisore in tali ambiti, nella prospettiva di acquisire in futuro, con l’entrata in vigore di questo trattato, pari poteri di codecisione nel 95 per cento dei casi legislativi, anche in materia di politica agricola e di budget, nel suo complesso. Spesso si dimentica che tutto questo è incluso nel pacchetto. Ciò significa che il deficit democratico risentito finora dall’Unione europea sta per essere sanato in maniera definitiva. Un progresso notevole!

Altri paesi che stanno attraversando delle difficoltà hanno avuto la possibilità di porre rimedio agli squilibri nell’ambito di questo mandato e nei negoziati, agendo sulla base di una clausola di opt-out dalla scadenza ben definita; in questo modo la crescita complessiva non verrà frenata e le opportunità offerte a questi paesi in virtù del diritto comunitario verranno mantenute. Di conseguenza, il rispetto dei limiti è garantito, il che dovrebbe altresì agevolare il processo di ratifica senza referendum, se ho ben capito gli impegni o le dichiarazioni rilasciate in merito durante i negoziati.

Poiché la Carta dei diritti fondamentali dell’UE acquisisce carattere giuridicamente vincolante, l’Unione diventa una comunità di valori, fatte salve le clausole di opt-out che tutti noi possiamo esercitare. Tutto ciò, comunque, non vale per le decisioni europee, poiché il diritto europeo viene determinato collegialmente. Resta solo la questione dell’applicazione all’interno dei singoli Stati membri, in termini di diritti delle corti e dei cittadini, ed è bene sottolineare che anche in questo settore si stanno aprendo nuove dimensioni, con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la creazione di una personalità giuridica.

Permangono, tuttavia, alcune questioni su cui l’Unione europea sarà chiamata a pronunciarsi. Innanzi tutto, l’articolo 24 del mandato – protezione dei dati nelle relazioni con l’esterno – dev’essere, a mio avviso, riformulato, o circoscritto mediante una dichiarazione che specifichi che le questioni di carattere generale in materia di protezione dei dati – come i registri dei nomi dei passeggeri – restano escluse. Sono necessarie maggiori precisazioni in proposito. Protezione dei dati: i dati personali dei cittadini non devono essere divulgati senza preventivo esame giudiziario e coinvolgimento parlamentare. Ritengo si tratti di un punto fondamentale.

(Applausi)

La seconda questione riguarda i regimi transitori. Vorrei chiedere, inoltre, il sostegno del Consiglio e della Commissione, anche nell’interesse della Commissione stessa. Una volta entrato in vigore il trattato il 1° gennaio 2009, non è possibile che nell’ambito di una procedura “snella” il ministro degli Esteri, che oggi non possiamo più chiamare così, bensì Alto rappresentante, venga nominato dal Consiglio. Saremmo lieti di vedere tutto questo risolto in un unico pacchetto nel 2009, prestando la dovuta attenzione ai diritti del Parlamento europeo. L’Alto rappresentante è anche Vicepresidente della Commissione e dev’essere soggetto a ogni controllo. Questo, nell’interesse anche della Commissione: un futuro Presidente della Commissione deve avere voce in capitolo nella scelta dell’Alto rappresentante, che è al contempo suo Vicepresidente. Ragione per cui l’Alto rappresentante non può entrare in carica prima che il Parlamento europeo abbia eletto il Presidente della Commissione. E’ necessario rispettare questa sequenzialità, se non si vogliono minare i diritti democratici e creare squilibri di potere. Nei prossimi giorni, dunque, dovremo apportare alcune rifiniture.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. − Ringrazio l’onorevole Elmar Brok. Sarei rimasto davvero stupito se avesse impiegato nove minuti.

Il prossimo oratore è il rappresentante presso la Conferenza intergovernativa, Enrique Barón Crespo.

 
  
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  Enrique Barón Crespo (PSE), relatore.(ES) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, noi rappresentanti del Parlamento europeo parliamo lingue diverse e apparteniamo a gruppi diversi, ma siamo spinti dalla medesima volontà: quella di far avanzare l’Unione europea, ottenendo la ratifica del Ttrattato di Lisbona, un trattato che comprende la codecisione legislativa, la personalità unica dell’Unione, i progressi nell’ambito della comunitarizzazione della politica interna e della giustizia, nonché della politica estera, e la partecipazione dei parlamenti nazionali.

Noi chiediamo più democrazia e più efficienza. Dispiace che non ci sia maggiore trasparenza, ma d’altro canto questo fa parte dei metodi della Conferenza intergovernativa. Devo dire che grazie al lavoro dei giuristi – in particolare quelli del Parlamento – siamo riusciti a interpretare in modo positivo quel che si è trasformato in un vero e proprio geroglifico.

Mi rivolgo al Presidente in carica del Consiglio per ribadire, davanti al Parlamento, quello che percepisco come un impegno molto preciso: la cittadinanza, che era stata ingiustamente relegata al Trattato sul funzionamento, è tornata nel Trattato dell’Unione europea con la dicitura che aveva dai tempi del Trattato di Maastricht. Questo è un aspetto fondamentale per noi rappresentanti dei cittadini.

Devo riconoscere che, in un gesto inconsueto di chiarezza politica, lo stesso Presidente del Consiglio ha dichiarato che sembrava un’impresa impossibile, eppure è stata portata a termine. E’ la prima conquista importante.

C’è poi la questione della Carta dei diritti fondamentali, simbolo identitario dei cittadini europei. Non è più una dichiarazione – la numero 11 – e non è più nemmeno un protocollo: è “la Carta”, che noi voteremo solennemente in questa sede il mese prossimo, con i Presidenti delle tre istituzioni comunitarie, prima di dare inizio al processo di ratifica. E la Carta sarà giuridicamente vincolante. Sottolineo questo concetto perché credo sia importante metterlo agli atti, nella giornata di oggi, in quanto ritengo che queste siano condizioni imprescindibili, condizioni sine qua non, affinché il Parlamento europeo appoggi il Trattato.

Ci sono altri elementi su cui, a nostro giudizio, si possono fare progressi. Il mio collega Elmar Brok ha menzionato la questione della protezione dei dati, un tema senz’altro sensibile.

Ma noi riteniamo di grande rilevanza anche altri temi, fra cui, per esempio, il dialogo tra gli interlocutori sociali, ingiustamente relegato al trattato sul funzionamento. Un’altra questione fondamentale cui, a nostro avviso, stiamo dando un importante contributo, impegnandoci a risolvere problemi di fiducia, è quella di garantire la sicurezza attraverso una dichiarazione, come quella di Ioannina, che esiste, ma che non deve andare oltre. Noi non riteniamo che in un trattato dell’Unione in cui le decisioni sono adottate a maggioranza e a maggioranza qualificata abbia senso introdurre elementi di unanimità che indubbiamente interromperebbero il processo. Io, come ricorderà il Presidente, a Viana do Castelo ho dichiarato che disporre della bomba atomica ha senso solo se non la si utilizza. In caso contrario, si distrugge tutto. A mio giudizio questo è un avvertimento importante.

Infine, signor Presidente, mi preme sollevare una questione ancora più importante per il Parlamento, e credo di parlare a nome della maggioranza dei deputati e degli Stati membri, in particolare quelli che hanno ratificato il Trattato costituzionale, che abbiamo dovuto sacrificare per poter raggiungere l’unanimità: in questa occasione è essenziale collaborare con lealtà reciproca e con solidarietà per ottenere la ratifica del Trattato, altrimenti ci ritroveremo in una situazione davvero delicata. Tutti noi dobbiamo prestare fede all’impegno che abbiamo preso. Molte grazie, signor Presidente.

 
  
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  Andrew Duff (ALDE), relatore. (EN) Signor Presidente, concordo con i miei colleghi nel ritenere probabile il raggiungimento di un accordo politico alla CIG di Lisbona. Tuttavia, ciò che continua a preoccuparci è, ovviamente, la qualità di tale accordo. Mi sento di esprimere il timore, in questa fase della CIG, di assistere all’emergere di un’Europa self-service, mossa principalmente dalla volontà britannica di dissociarsi in materia di giustizia, nonché affari interni e diritti fondamentali.

E’ chiaro che debba essere avviato un dibattito interno in Gran Bretagna sulle motivazioni che giustificherebbero un’esclusione dei cittadini britannici dai benefici dell’integrazione in tutti questi campi così importanti. Non solo, i britannici dovrebbero illustrare meglio le loro posizioni anche alla CIG. Cosa cercano di ottenere, esattamente, con tutti questi opt-out? Abbiamo davvero la certezza che le disposizioni negoziate per la gestione di questo approccio “selettivo” verranno rispettate nella pratica e possiamo garantire che le politiche comuni in materia di libertà, sicurezza e giustizia beneficeranno di un’adeguata collegialità e dell’insieme di risorse e strumenti necessari per la loro attuazione? Di certo l’astensione del Regno Unito e della Polonia dalla Carta rischia di sovvertire la decisione di renderla vincolante per tutti gli altri. Mi auguro che la CIG sarà in grado di esaminare la questione con sufficiente attenzione.

La Presidenza è disposta a fare pressioni affinché i britannici sostengano la proposta avanzata dal Parlamento in merito a una clausola di salvaguardia dal loro infelice protocollo sulla Carta? Lo stesso vale per Ioannina: la Presidenza e la Commissione dovranno assicurarci, questo pomeriggio, che non cederanno alle irragionevoli richieste di promuovere la clausola di Ioannina dal diritto secondario a quello primario. Quello di Ioannina è l’erede storico del compromesso di Lussemburgo; il quale costituiva un gentlemen’s agreement e tale dovrà rimanere una volta accluso al trattato come decisione del Consiglio.

 
  
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  Joseph Daul, a nome del gruppo PPE-DE. (FR) Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signora Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, a nome del gruppo PPE-DE, vorrei ringraziare il Vicepresidente Wallström e il Presidente Lobo Antunes per i loro interventi.

Il periodo di riflessione e di dibattito per decidere il futuro governo della nostra Unione a 27 volge al termine. Abbiamo acquisito maggiore maturità? Siamo pronti a passare dalle discussioni all’azione? Lo scorso giugno, Angela Merkel ha saputo coniugare coraggio, senso di responsabilità e volontà politica. Anziché scansare gli argomenti più spinosi, siamo riusciti a ridurre le divergenze. E’ stata dunque aperta la strada che permetterà all’Unione europea di dotarsi degli strumenti necessari a un funzionamento più efficace.

Sono passati tre mesi e la Presidenza portoghese ha saputo mantenere la rotta. Se la tabella di marcia fissata il giugno scorso verrà rispettata fino al suo termine, ovvero fino al Consiglio europeo di Lisbona, la Presidenza portoghese si assicurerà un accordo sulle riforme dei nostri trattati. Rendo omaggio qui alla determinazione della Presidenza portoghese durante i lavori della Conferenza intergovernativa. Per il Parlamento europeo, e secondo il parere dei nostri onorevoli colleghi Brok, Barón Crespo e Duff, che tengo a ringraziare calorosamente, il bilancio della CIG è conforme alle aspettative e, nel complesso, l’agenda fissata dai capi di Stato e di governo è stata rispettata.

Onorevoli colleghi, se siamo disposti ad accontentarci di un compromesso equilibrato, non dimentichiamoci che sarà al ribasso. Dal canto mio, ritengo più utile insistere sulle ragioni del nostro sostegno al progetto di trattato. In primo luogo, siamo convinti che solo un’Europa unita, forte ed efficiente possa giocare un ruolo negli affari di questo mondo, che va così veloce, in continuo mutamento e che diventa sempre più complesso e instabile. Se sosteniamo il progetto di trattato è anche perché un’Europa efficace a 27 non può essere fondata sulle regole del Trattato di Nizza. Inoltre, a fronte dei dubbi espressi dai cittadini europei, abbiamo reclamato più democrazia e trasparenza.

Ci pronunciamo a favore di una ripartizione chiara delle competenze, una maggiore partecipazione dei nostri concittadini al processo di costruzione della nostra Unione, e per un ruolo attivo e un contributo forte da parte dei parlamenti nazionali. La riforma dei trattati è la risposta giusta alle aspettative dei cittadini. Il trattato rivisto è un mezzo, non già un fine in sé. La forma, il nome importano poco. Contano solo la sostanza e i progressi che esso offre ai cittadini europei.

Noi, membri del gruppo PPE-DE, non vogliamo un superstato europeo. Di super, vogliamo solo l’efficacia, la democrazia, la trasparenza e il rispetto della sussidiarietà. Reclamiamo istituzioni europee efficienti, capaci di prendere delle decisioni, e se gli opt-out nazionali sono troppo spesso una realtà, spetta a noi limitarne gli effetti negativi, al fine di evitare la paralisi dell’Europa. Qualsiasi tentativo volto a bloccare il processo decisionale dell’Unione dev’essere bandito. I cittadini si aspettano dall’Europa che agisca là dove è utile, in materia di clima, energia, immigrazione, innovazione, terrorismo. La mia speranza e il mio desiderio è che questo trattato ci permetta di farlo e noi lo sosterremo.

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, i miei più sinceri ringraziamenti ai rappresentanti del Parlamento alla Conferenza intergovernativa. I nostri colleghi Enrique Barón Crespo, Elmar Brok e Andrew Duff hanno rappresentato superbamente gli interessi del Parlamento europeo. Per questo, vorrei esprimere un sentito ringraziamento a nome del nostro gruppo.

(Applausi)

Abbiamo ascoltato quanto ha giustamente dichiarato il collega onorevole Daul, secondo cui la Presidenza portoghese dovrà occuparsi di portare a termine il lavoro necessario a seguito del fallito tentativo di Costituzione europea, partendo dalla presentazione di un trattato rielaborato e rivisto, che racchiuda un accordo sugli elementi principali degli imperativi di riforma tra i 27 paesi dell’UE, salvaguardando, quindi, la costruzione di un’Europa unita a livello giuridico e politico in occasione della Conferenza intergovernativa che si sta per concludere, quadrando il cerchio al Vertice di Lisbona e traghettando, dunque, l’Europa nella fase intrinsecamente cruciale della ratifica di questo trattato riveduto, all’interno dei 27 Stati membri, secondo le specifiche condizioni giuridiche e costituzionali di ciascun paese.

Nello specifico, quindi, vorrei sottolineare che possiamo essere ottimisti riguardo a Lisbona. Raffrontando le indicazioni scaturite dal vertice qui a Bruxelles sotto la Presidenza tedesca del Consiglio riguardo al mandato per la Conferenza intergovernativa, e il lavoro effettivamente svolto in seno alla Conferenza stessa, possiamo affermare, secondo quanto riportato dai nostri rappresentanti, che – salvo poche eccezioni – gli obiettivi sono stati quasi tutti raggiunti. Come diciamo nel gruppo dei socialdemocratici: è così che si fa! In quanto socialisti, non possiamo e non intendiamo accettare emendamenti che risalgano a una data antecedente al mandato approvato qui a Bruxelles – questo è bene chiarirlo. Ma riteniamo che la proposta sul tavolo corrisponda al mandato concordato qui in giugno e affidato da tutti noi al Presidente Merkel.

Quando la proposta sarà in viaggio per Lisbona, le cose si faranno interessanti. L’interrogativo a quel punto riguarderà la ratifica di questo trattato da parte di tutti e 27 gli Stati membri, risultato che dipenderà da quest’Assemblea, per questo dovremo batterci. E dovremo lottare anche all’interno di tutti gli Stati membri, perché venga accettata la costruzione di un’Europa unita. Azzarderei quasi l’ipotesi che un ulteriore fallimento di questo trattato rivisto – così come è fallita la Costituzione – possa determinare la fine dell’Unione europea nella sua forma attuale. Pertanto, chiunque non voglia seguire l’esempio degli anti-europeisti seduti in quest’Aula, chiunque voglia promuovere l’Europa e il suo consolidamento è tenuto oggi a combattere per questo trattato. Mi auguro, onorevole Daul, che anche tutti gli esponenti del suo gruppo intendano farlo. Ho qualche dubbio in proposito.

Permettetemi, inoltre, di rammentare a quest’Aula cosa è bene tener presente, nel caso in cui questo progetto fallisse. Che succederà se l’Unione europea non riuscirà a portare a buon fine il suo ennesimo tentativo di far approvare il trattato rivisto? Che ne sarà dell’Unione europea? Noi europei ci riteniamo un grande continente, con 500 milioni di abitanti, suddivisi in 27 Stati membri, un vasto mercato interno. Rappresentiamo l’8 per cento della popolazione mondiale. L’India ha 1,1 miliardi di abitanti, la Cina 1,3 miliardi e, insieme, questi due paesi rappresentano un terzo della popolazione globale. Se vogliamo rimanere competitivi sul lungo periodo, se vogliamo difendere le conquiste sociali che abbiamo ottenuto in Europa, se vogliamo stabilizzare la base economica, presupposto essenziale per la giustizia sociale, allora dobbiamo riuscire a coesistere in armonia all’interno del mondo. E possiamo tenere testa al resto del mondo, solo se quest’Unione è coesa – a livello economico, sociale e politico. Ma per esserlo, ha bisogno di questo trattato di riforma! Se l’UE verrà frammentata in tante singole parti, se ascoltiamo i nazionalisti che dicono alla gente che si può ottenere di più divisi che non compatti in un’Europa a 27, allora il futuro di questo continente non sarà affatto roseo!

Pertanto, mi auguro che quanto concordato a Lisbona superi la ratifica e per questo dovremo batterci. Chi desidera la pace in Europa, chi vuole che l’Europa rappresenti un fattore di pace nel mondo, chi vuole crescita economica, maggiore occupazione e una più equa distribuzione della ricchezza all’interno dell’Unione deve rafforzare questo trattato di riforma, difenderlo e metterlo in atto. A chi non vuole tutto questo, a chi si concentra sulla rinazionalizzazione, è bene ricordare le parole pronunciate da François Mitterrand in quest’Aula: il nazionalismo è contrario all’unità europea e, nel lungo periodo, porta sempre alla guerra. L’Europa, tuttavia, è un concetto scaturito dalle ferite della guerra su questo continente, dunque l’unità europea fondata su un trattato di riforma dev’essere l’obiettivo di tutti i democratici e i poteri progressisti di questo continente.

Buona fortuna, quindi, per la Conferenza intergovernativa e per il Vertice! Ma vi auguro ancora più fortuna per la ratifica all’interno dei 27 Stati membri.

(Applausi)

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signor Presidente, il Primo Ministro Sócrates deve sentirsi come Enrico V d’Inghilterra prima della battaglia di Agincourt: governi ostili che si preparano allo scontro, intenti a indebolire, o addirittura a bloccare, la riforma del trattato. Signor Presidente in carica del Consiglio, il suo Primo Ministro deve attenersi alle scadenze dell’Europa e la prossima settimana dovrà presentare un trattato in grado di sostenere un’Unione forte, reattiva ed efficace. E quindi “ancora una volta alla breccia, cari amici, ancora una volta”, per quella che sarà la battaglia finale in questa guerra costituzionale.

Questo Parlamento sarà la vostra fanteria. Sappiamo bene che il mancato accordo sulla riforma del trattato sarebbe una tragedia di proporzioni shakespeariane. Perché? Perché lo status quo non ha funzionato, non funziona, né mai potrà funzionare. L’unanimità in seno al Consiglio si traduce, nella pratica, nell’accantonamento o nella riduzione al livello del comune denominatore di legislazioni essenziali. In un mondo sempre più spietato e globalizzante, dove le sfide poste dal cambiamento climatico, dall’emigrazione e dal terrorismo richiedono risposte radicali, il comune denominatore più basso non è sufficiente.

Non sarà la Costituzione, ma nonostante tutto quel gergo giuridico, la riforma del Trattato è un documento che potrebbe silenziosamente rivoluzionare l’Europa. Promuove lo sviluppo della democrazia, ponendo la codecisione e il voto a maggioranza qualificata al centro del processo decisionale. Favorisce la sussidiarietà, con una più chiara divisione delle competenze, rafforzando il ruolo dei parlamenti nazionali e la singola personalità giuridica dell’Unione, e aiuta la trasparenza estendendo la procedura legislativa ordinaria alle leggi in materia di libertà, sicurezza e giustizia – un ambito in cui per troppo tempo si sono approvate, a porte chiuse, leggi contrarie allo spirito rispettoso dei diritti, proprio dell’Unione.

Il progetto di testo del vostro Trattato emendativo non è privo di imperfezioni: la perdita dei simboli europei è un colpo ai federalisti, così come il raggiro sui sistemi di votazione ordito dai polacchi. Ma possiamo farcene una ragione, a patto che il compromesso di Ioannina non venga ancorato per sempre al Trattato.

Una cosa di cui non possiamo fare a meno, tuttavia, è una definizione di cittadinanza europea all’articolo 8 del Trattato sull’Unione europea, poiché la cittadinanza è un simbolo che, a differenza di una bandiera o di un inno, ha una vita vera e reali implicazioni per oltre 450 milioni di persone.

Allo stesso modo, definire il nostro ministro degli Esteri “Alto rappresentante” non è motivo di gravi preoccupazioni, mentre lo sarebbe senz’altro un Alto rappresentante che fosse un burattino del Consiglio. Il Parlamento e la Commissione devono cooperare per garantire che il carattere congiunto del servizio europeo per l’azione esterna sia rispettato appieno e che la Corte di giustizia supervisioni l’utilizzo dei dati personali nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune.

Ultima considerazione, ma forse di importanza preponderante, non possiamo avere due classi di cittadini. Ciò è assolutamente contrario allo spirito di integrazione europeo e dobbiamo impegnarci al massimo per far sì che gli opt-out di Regno Unito e Polonia non permangano in eterno, richiedendo una clausola che permetta la revoca senza una riconvocazione della CIG.

Non dobbiamo guardarci solo dagli opt-out: anche dagli opt-in, ovvero dalle affiliazioni. Se non opportunamente formulate, potrebbero permettere ai governi di stemperare, dapprima, e quindi di ignorare, leggi comunitarie essenziali in materia di giustizia e affari interni, dopo cinque anni di dialogo e dibattito. Se determinati paesi non sono in grado di accettare ragionevoli compromessi, la nostra replica a questi Stati dovrebbe essere un’esortazione a considerare un divorzio amichevole dall’Unione e a smettere di tenerla ostaggio dei loro interessi personali, poiché gli interessi dell’Europa devono essere prioritari rispetto a essi.

(Applausi)

Pertanto, invito il Consiglio, la Commissione e i nostri rappresentanti, facendo mie le parole di Shakespeare: “Serrate ora i denti e spalancate le narici, trattenete il fiato e mettete a prova il coraggio fin dove può” a tutela del nostro interesse comune.

(Applausi)

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. (PL) Signor Presidente, oggi affrontiamo l’ultima fase del nostro lavoro sul trattato di riforma. Se vogliamo che il Vertice di Lisbona si concluda con un successo, ci occorre immaginazione politica. Oggi più che mai, coloro che considerano il trattato di riforma una priorità dovrebbero domandarsi: vale la pena assumere una posizione più rigida riguardo alla Polonia e al Regno Unito; vale la pena mettere in dubbio l’esito di numerosi anni di negoziati?

Stando ai suoi fautori, la Carta dei diritti fondamentali può solo rafforzare i vincoli a cui già sottostiamo. Ma forse coloro che sottolineano le conseguenze di fatto incalcolabili dell’utilizzo dei provvedimenti in essa contenuti da parte della Corte europea di giustizia hanno ragione. Anch’io nutro timori simili, per questo comprendo pienamente le riserve espresse dal Regno Unito e della Polonia.

Un importante elemento di compensazione per le perdite che la Polonia ha deciso di sostenere abbandonando il sistema di Nizza è il meccanismo di Ioannina, nonché la posizione permanente dell’avvocato generale polacco in seno alla Corte europea di giustizia. Il fatto che ora tali accordi vengano messi in dubbio solleva interrogativi da parte nostra in merito alla sincerità d’intenti. Al pari di qualsiasi altro paese, la Polonia ha diritto a pretendere strumenti migliori per la valutazione del processo legislativo dell’UE. L’assenza di un’adeguata legittimazione comporterà, alla fin fine, la sconfitta del progetto europeo in futuro. La mancanza di scrutinio del processo legislativo non è qualcosa di almanaccato dagli euroscettici o dai guerrafondai, come sosterrebbe l’onorevole Martin Schulz, sempre leggermente agitato, bensì una preoccupazione per i sinceri europeisti. L’ex presidente della Corte costituzionale federale di Karlsruhe e l’ex Presidente tedesco Roman Herzog si sono domandati di recente se la Germania fosse ancora una democrazia parlamentare, considerata la quantità di norme venute in essere al di fuori del Bundestag.

 
  
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  Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, a pochi giorni dalla conclusione della Conferenza intergovernativa ci prepariamo alla solita notte, alla solita giornata di mercanteggiamento, come è sempre successo, che si salderà, come sempre, con un compromesso al ribasso.

La lettura dei vari testi, quelli che siamo riusciti ad ottenere attraverso canali pseudosegreti, perché qua pubblicamente si fa molto poco, ci dimostrano che questi testi sono una lettura molto complicata e sicuramente user-unfriendly. Ma i negoziatori, lo sappiamo benissimo, non hanno nessun interesse ad essere user-friendly, a spiegare e a coinvolgere i loro cittadini in questo che sarebbe dovuto essere un momento importante della loro vita democratica.

Al contrario, già a partire dal mandato noi abbiamo denunciato il fatto che l’argomento secondo il quale il 90% del testo del Trattato costituzionale è ripreso dal trattato di riforma non può nascondere la realtà di un testo oscuro, pieno di postille e deroghe che indeboliscono l’Unione europea, in particolare in materia di politica estera e di chiarezza del diritto.

Questo è stato un negoziato totalmente in mano ai governi, fatto alle spalle dei cittadini e approfittando del fatto che le infinite disquisizioni linguistiche e burocratiche hanno avuto ragione di quella passione e di quella partecipazione democratica, che nel bene o nel male aveva caratterizzato la stagione della Convenzione e anche quella dei referendum.

Tre dei nostri membri hanno partecipato ai lavori della Conferenza intergovernativa e hanno seguito quelli dei giuristi, però è inutile negare il fatto che non sono riusciti a migliorare in modo sensibile la trasparenza del processo e, se sono forse riusciti a ridurre i danni, non hanno potuto portare alcun particolare miglioramento perché non ne avevano lo spazio.

Quindi, on. Schulz, on. Brok, on. Baron e on. Duff, io francamente non vedo il perché? Noi dobbiamo essere considerati, dobbiamo considerarci corresponsabili di questo testo e perché, pur ovviamente essendo d’accordo che dobbiamo cercare –dipende adesso da cosa succederà nell’accordo finale – di fare in modo che gli Stati membri ratifichino questo testo, perché lo dobbiamo drammatizzare? Perché, come dice l’on. Schulz dobbiamo dire, anche qui fra di noi, che se questo testo non passa sarà la tragedia, perché questo testo è fantastico, perché questo testo qui …. Questo testo è orribile! Qualsiasi lettore che lo vede si rende chiaramente conto che non è questo quello che i cittadini volevano.

Detto questo, è evidente che è meglio che niente! Detto questo, è evidente che è meglio – no Martin, rimettiti il coso perché io non sto dicendo che lo voglio rifiutare – dico solamente che dobbiamo essere responsabili e credibili rispetto ai cittadini e che anche se questo è un compromesso assolutamente non particolarmente sufficiente, lo sosterremo! Ma non possiamo mentire e non possiamo dire che questo è il massimo a cui potevamo arrivare, perché i governi ci hanno scippato questo processo costituzionale e lo hanno reso quello che è oggi e poteva essere sicuramente molto meglio di quello che è.

 
  
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  Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. (FR) Signor Presidente, non tornerò a ribadire l’apprezzamento complessivo del nostro gruppo rispetto al nuovo progetto di trattato. Noi ci siamo opposti non già per nazionalismo, onorevole Schultz, nazionalismo che aborro quanto te, ma perché nessuna delle critiche di fondo che hanno segnato le discussioni in merito all’ex progetto di Trattato costituzionale – e non parlo dei simboli dell’Unione, che non erano certo il nostro problema, bensì dei suoi orientamenti politici – è stata presa in considerazione. Ho l’impressione che, prima o poi, dovremo pagare lo scotto di questa disinvoltura.

Tuttavia, nell’immediato, voglio soffermarmi su un articolo preciso del nuovo progetto, di cui si è già discusso, l’articolo 24 del Trattato sull’Unione, il cui riesame, invece, sembra trovare ampio consenso fra le nostre fila, e tanto meglio. Si tratta, in effetti, di una questione delicata: la tutela dei cittadini rispetto al trattamento dei dati di natura personale. Ora, la procedura legislativa applicata non sarebbe affatto la stessa, a seconda che tali dati vengano trattati in seno all’Unione o trasmessi a uno Stato terzo. Nel primo caso, il Parlamento avrebbe piena competenza, nel secondo, non avrebbe alcuna voce in capitolo.

Tutto ciò costituisce una mostruosità giuridica, nonché una grave mancanza di democrazia. Di fatto, questa circostanza richiama direttamente il precedente del caso PNR, in cui il Consiglio ha accettato di trasmettere alle autorità americane dati confidenziali relativi ai passeggeri in viaggio verso gli Stati Uniti, e questo malgrado l’assoluta contrarietà del Parlamento europeo. Il Consiglio mira, dunque, a consolidare questa pratica e si sta dotando dei mezzi per riuscire nell’intento. Questo non è accettabile e il Parlamento dovrebbe notificarlo con la massima chiarezza al Consiglio europeo.

Vorrei aggiungere soltanto che questo contenzioso rivela indirettamente diversi fatti sui quali il mio gruppo continua da tempo a richiamare l’attenzione. Innanzi tutto, lo scarso impatto effettivo della Carta dei diritti fondamentali, la quale consacra esplicitamente il proprio articolo 8 alla protezione dei dati di natura personale, protezione che, tuttavia, viene allegramente violata ed è destinata a esserlo altrettanto in futuro. In secondo luogo, il carattere pressoché indecifrabile di alcuni passaggi chiave dei trattati, di cui solo una lettura estremamente accorta permette di scoprire le trappole. Infine, la voluta opacità dei lavori della CIG, agli antipodi di un’elaborazione politica e trasparente di un testo che si presume determinerà il cammino e il futuro di un’Unione composta da 27 paesi e da mezzo miliardo di cittadine e cittadini.

Tutto ciò non fa che rafforzare la nostra percezione di una doppia esigenza democratica, quella di un grande dibattito pluralista all’interno di ciascun paese, sulla posta in gioco nei trattati e quella di una ratifica per via referendaria.

 
  
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  Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (DA) Signor Presidente, l’UE ha pubblicato il nuovo progetto di trattato alle ore 17.00 di venerdì – assicurandosi, così, che sui media non apparisse nulla in proposito durante il fine settimana. Se lo scopo era quello di introdurre furtivamente il trattato, questa è abile strategia mediatica – ma di certo anche una bieca macchinazione.

All’ultima riunione della Conferenza dei presidenti a Strasburgo, il Presidente si è assunto solennemente l’impegno di garantire a tutti i gruppi politici l’accesso a tutti i documenti della CIG. Finora, noi non li abbiamo ancora ricevuti. Tre gruppi hanno un accesso privilegiato alla Conferenza intergovernativa, mentre altri cinque gruppi ne restano esclusi. Questo è discriminatorio e contrario al principio di uguaglianza – un’altra bieca macchinazione.

Il nuovo trattato prevede 105 nuovi poteri per l’UE – proprio come la Costituzione. Il diritto di veto e al governo rappresentativo sono stati aboliti in 62 ambiti di competenza, contro i 61 della Costituzione. La novità è che sono state inserite 255 pagine di modifiche in un trattato di 2 800 pagine, rendendo il testo illeggibile per chiunque non sia un idiota – di nuovo, una bieca macchinazione. La nuova Costituzione europea conterà 3 000 pagine, contro le 560 della versione rigettata. Ecco che ne è stato del cosiddetto mini-trattato di Sarkozy. Immaginate di rivolgervi alla popolazione parlando di un pratico mini-trattato e poi sfoderare di nuovo la Costituzione rifiutata, ma questa volta senza sottoporla a referendum – ribadisco, che bieca macchinazione.

Non esiste norma legislativa che possa essere adottata sulla base della Costituzione, che non possa essere adottata anche sulla base del nuovo trattato. I due testi sono identici, in termini di vincoli giuridici; l’unica differenza sta nel nome e nell’affossamento dei referendum – altra bieca macchinazione.

Che pusillanimi! Fatevi avanti con i vostri progetti e presentateli all’elettorato. Firmate la petizione per i referendum all’indirizzo www.x09.eu.

 
  
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  Frank Vanhecke, a nome del gruppo ITS. – (NL) Signor Presidente, al di là delle riserve espresse dal precedente oratore in merito alla possibilità che questo sia una sorta di nuovo trattato di Costituzione europea, che ci si vuole far digerire a forza in maniera del tutto antidemocratica, la Presidenza europea sembra aver scelto, come uno dei propri obiettivi principali, quello di raggiungere una svolta in materia di politica comune di immigrazione. Il minimo che si possa dire in proposito è che determinare una politica del genere, a livello europeo, all’interno di gruppi di persone ripiegate su se stesse, per mezzo del processo decisionale particolarmente ambiguo al quale sia la Commissione che il Consiglio ci hanno, ahimé, abituati, sarebbe del tutto antidemocratico.

Il problema dell’immigrazione interessa personalmente i nostri cittadini e la loro sfera privata. Inoltre, a mio avviso, il trasferimento di potere decisionale in materia di immigrazione a livello europeo, senza reale visibilità, è da considerarsi non soltanto antidemocratico, ma concretamente pericoloso.

La proposta portoghese di “incanalare” l’immigrazione illegale tramite quella legale è fin troppo assurda per essere commentata. L’immigrazione illegale dev’essere combattuta con una politica “di rappresaglia”, una rigorosa politica di individuazione ed espulsione, controlli rigidissimi alle frontiere esterne e anche centri di detenzione e accoglienza europei nei paesi, o perlomeno nel continente, d’origine.

In merito a quella che è stata descritta come “l’assoluta necessità” dell’immigrazione legale, mi preme sottolineare che in Europa ci sono già dai 20 ai 25 milioni di disoccupati, fra cui milioni di immigrati, con tutte le conseguenze che questo comporta. Una nuova ondata di immigrazione legale, con tutti i relativi “ricongiungimenti famigliari”, significherebbe soltanto un aumento esponenziale dei problemi già particolarmente spinosi legati all’integrazione e all’assimilazione.

Se si tratta veramente solo di operai altamente qualificati – cosa che dubito – allora stiamo organizzando una fuga di cervelli dai paesi poveri che è, a dir poco, scandalosa; oppure l’intento è semplicemente quello di far sì che i paesi poveri e sottosviluppati restino tali? Nel qual caso, che il Consiglio lo dica apertamente.

 
  
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  Maciej Marian Giertych (NI). - (PL) Signor Presidente, che cosa si discute in questa sede oggi? Una Costituzione per l’Europa. Stiamo discutendo un documento che porta un nome differente ed è formulato in maniera diversa, ma i cui contenuti essenziali sono, di fatto, gli stessi della Costituzione che è già stata rifiutata. Si tratta, apparentemente, di un documento di grado inferiore, quel tanto che basta per non sottoporlo a referendum popolare. Ci troviamo di fronte alle élite politiche europee, fra cui alcuni deputati di quest’Aula, esponenti della Commissione europea e dei governi nazionali, che stanno cercando di ingannare il proprio elettorato e il proprio popolo.

Siamo chiamati a sostenere un trattato di riforma che altro non è, in realtà, se non la Costituzione europea, la ribattezzata Costituzione europea, che gli elettori di Francia e Paesi Bassi hanno rigettato per via referendaria e che una serie di altri paesi non ha ratificato entro i termini prescritti.

Permettetemi di ricordare le parole di Angela Merkel, e cito − utilizzate una terminologia diversa, senza alterare la sostanza giuridica, per esempio modificando il titolo del trattato, la denominazione degli atti giuridici e del ministro degli Esteri dell’Unione – fine della citazione.

Questo è esattamente ciò che è stato fatto e oggi siamo chiamati ad accettare questo raggiro. Non dobbiamo ingannare noi stessi, né i nostri elettori.

 
  
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  João de Deus Pinheiro (PPE-DE).(PT) Nel mio intervento di oggi, desidero esprimere, a nome mio e del gruppo che rappresento in questo Parlamento, il più profondo rammarico per la morte di Fausto Correia. Era un uomo di principio, ma anche estremamente gentile, una brava persona, un uomo di grande spirito solidale. Sentiremo fortemente la sua mancanza.

In secondo luogo, vorrei far notare che la Presidenza portoghese ha dato prova di grande determinazione, e questo è bene ribadirlo, nel non permettere alcuna modifica degli obiettivi del Trattato, così come concordato dai capi di Stato e di governo. Siamo sicuri che la Presidenza saprà mantenere la propria posizione e che avremo un nuovo trattato prima del 20 ottobre. Pertanto, non intendo dilungarmi oltre in proposito.

Per quanto riguarda la strategia di Lisbona, devo congratularmi con la Presidenza e la Commissione per essersi finalmente rese conto di quello che noi ripetiamo ormai da anni: a meno che, rispetto al 2000, alla Commissione non vengano attribuiti poteri più ampi e maggiori responsabilità nell’ambito della strategia di Lisbona, quest’ultima sarà del tutto infruttuosa. Una linea appropriata da adottare sarebbe quella di rafforzare il ruolo della Commissione, facendone il cardine della strategia di Lisbona e noi ci auguriamo che un approccio innovativo di questo genere possa, in conclusione, produrre dei risultati.

Infine, l’inclusione del tema della globalizzazione nel dibattito che si terrà nel corso dell’imminente Vertice informale costituisce un segnale positivo, poiché il mondo in cui viviamo oggi è dominato dalla globalizzazione ed è inimmaginabile che i vertici con l’Africa o la Russia – che ci auguriamo saranno dei grandi successi – o il dibattito in merito ai tassi di cambio per lo yen giapponese o il dollaro statunitense non si svolgano all’insegna del fenomeno rappresentato dalla globalizzazione.

E’ bene sottolineare, come ha fatto il Commissario, che è importante avere regole condivise in materia di commercio internazionale e apertura dei mercati, così come è importante la reciprocità negli accordi stretti con altri partner economici e di commercio. Si tratta di un punto cruciale che già di per sé, anche fosse l’unica motivazione, sarebbe sufficiente per cantare le lodi di questa comunicazione della Commissione.

Presidente Lobo Antunes, le auguro ogni successo per il Vertice informale, che sarà forse uno dei più importanti tenutisi nell’Unione europea negli ultimi anni.

 
  
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  Jo Leinen (PSE). - (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che la Presidenza portoghese meriti di essere elogiata per il modo in cui sono stati condotti i negoziati: con grande impegno e in maniera mirata.

Ritengo sia un bene che si sia mantenuta l’aderenza al mandato di giugno, tranne alcune eccezioni, evitando le numerose richieste extra, a partire da quella avanzata dalla Banca centrale europea relativa all’inserimento di un articolo riguardante il desiderio austriaco di limitare il numero di studenti provenienti da altri paesi. Nulla di tutto questo compare nel nuovo trattato e ritengo che si sia ormai in dirittura d’arrivo. Sono pochi, a questo punto, gli ostacoli che possono impedirci di ottenere il consenso in merito al nuovo trattato.

Gli opt-out sono spiacevoli. Danno un’impressione di dissenso e incongruenza. Frammentano l’UE e rendono più lungo il processo decisionale nel terzo pilastro. Sono segnali davvero scoraggianti e, in gran parte, quanto auspicato dal Regno Unito. L’onorevole Andrew Duff ha parlato di una mentalità egoistica. Spero che non crei un precedente.

A mio avviso, le richieste fondamentali di Londra sono state tutte soddisfatte. Ho letto con apprensione quanto si stava ancora discutendo ieri alla Camera dei Comuni. Non c’è nient’altro da aggiungere in proposito. Sarebbe del tutto inaccettabile avanzare ulteriori pretese ora.

Si discuterà in merito alla richiesta polacca di ancorare, in qualche modo, Ioannina, tuttavia è meglio evitare un incremento delle possibilità di imporre un blocco. E’ nostra reale intenzione potenziare la capacità d’azione. Questo deve rimanere un caso eccezionale. Si è trattato di un gentlemen’s agreement e non deve diventare la regola.

Vorrei che tutti noi, insieme alla Commissione e al Consiglio, proclamassimo la Carta qui, in quest’Aula, con le tre istituzioni unite. Sarebbe un segnale molto positivo per i cittadini. Inoltre mi piacerebbe che la richiesta del Vicepresidente Wallström venisse reintegrata nel trattato, ovvero che ai cittadini venga attribuito il diritto a ricevere informazioni. Due terzi della popolazione non si sentono informati. Sarebbe un’utile aggiunta al trattato.

Presidente in carica del Consiglio, questo Parlamento farà tutto ciò che è in suo potere per assicurarsi che il trattato di Lisbona venga posto in essere. Ringrazio i nostri tre rappresentanti e il Presidente che si faranno carico di questo in occasione del Vertice di Lisbona.

 
  
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  Sophia in 't Veld (ALDE). - (EN) Signor Presidente, noto con mio grande rammarico che i diritti dei cittadini non sono affatto al centro del nuovo trattato. Purtroppo, la Carta dei diritti fondamentali è stata sacrificata per placare il timore del governo olandese rispetto a un eventuale referendum. La Carta dei diritti fondamentali dev’essere pienamente vincolante per tutti, poiché essa costituisce l’applicazione pratica dei nostri valori condivisi.

Pertanto, che significato ha una clausola di opt-out? E’ forse una rinuncia ai suddetti valori condivisi? Oppure significa che la Polonia e il governo britannico sostengono in maniera puramente formale tali valori, negando, di fatto, ai loro cittadini di poter far valere i propri diritti? Che cosa significa un’opzione di opt-out? Non stiamo forse creando un pericoloso precedente? Non è il caso di interrogarci sull’eventualità che futuri paesi, futuri Stati membri, si avvalgano della medesima opzione? Se la Turchia, paese che io auspico fortemente entri a far parte dell’Unione europea, richiedesse una deroga dalla Carta dei diritti fondamentali, le verrà concesso lo stesso diritto?

L’altra questione è che tra la Costituzione e il trattato si è creato, in qualche modo, uno standard aggiuntivo e inferiore in merito alla protezione dei dati – uno standard inferiore che interessa l’ambito della politica estera e di sicurezza comune. Prevedo che in futuro gli Stati membri tenteranno di aggirare le disposizioni relative alla protezione dei dati etichettando, per esempio, le misure antiterrorismo come attinenti alla politica estera e di sicurezza e non già alla cooperazione in ambito giudiziario e a livello di polizia.

Infine, vorrei chiedere alla Commissione e agli Stati membri di agire nello spirito del nuovo trattato, non appena verrà siglato, coinvolgendo il Parlamento europeo come colegislatore a pieno titolo in materia di giustizia e affari interni, colmando al più presto il gap democratico con il quale abbiamo convissuto per così tanto tempo.

 
  
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  Mirosław Mariusz Piotrowski (UEN). - (PL) Signor Presidente, i capi di Stato e di governo sono ancora una volta impegnati nella modifica delle modalità di funzionamento dell’Unione europea, tramite un nuovo trattato. Questo interesse per le popolazioni europee e il loro avvenire è toccante.

Ma non possiamo permettere che le decisioni prese in seno a un Vertice informale sostituiscano il cammino democratico dei referendum tenutisi nei singoli Stati in merito all’accettazione o meno del Trattato. Sarebbe una frode ai danni delle popolazioni degli Stati membri che hanno il diritto di decidere in maniera autonoma su una questione tanto rilevante.

Il vecchio Trattato costituzionale è stato oggetto di un’operazione consistita, sostanzialmente, in una leggera modifica del testo. Ciò permette, a seconda delle convenienze politiche del momento, di presentare il documento come interamente nuovo, o come il precedente trattato, senza fondamentali modifiche. Pertanto, vorrei domandare: che definizione danno del documento in questione il Consiglio e la Commissione? Si tratta forse di un nuovo trattato, o di una versione sfoltita del vecchio e il processo di ratifica ricomincerà daccapo in tutti gli Stati membri?

 
  
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  Johannes Voggenhuber (Verts/ALE). - (DE) Signor Presidente, chiunque abbia visto il modo in cui i governi hanno attaccato la Costituzione nel corso dell’ultimo anno, rendendola irriconoscibile e illeggibile e derubandola del suo spirito e del carisma europeo, dovrà ammettere che tutto questo non è affatto quello che volevano i cittadini – perfino quelli che hanno votato no in Francia e nei Paesi Bassi.

Ciononostante, chiunque abbia avuto modo di osservare tutta la pazienza e il tempo dedicati a ciò che sta accadendo in questa fase preparatoria della Conferenza intergovernativa si sarà reso conto che i governi hanno intaccato come termiti la struttura di questa Costituzione, per mano dei loro giuristi e delle loro cancellerie di Stato. Granello dopo granello, elemento dopo elemento, questa Costituzione è stata svuotata. Mi domando come mai nessuno abbia ancora chiesto ai governi che intenzioni abbiano. E’ davvero solo una questione di potere, è davvero mancanza di consapevolezza riguardo alle aspettative della popolazione, o è semplicemente un nuovo nazionalismo che vediamo risorgere in Europa?

Il linguaggio! Oggi una delegazione di deputati del parlamento austriaco mi ha domandato: “Come possiamo rendere comprensibile a tutti il vostro a questa Costituzione? Non riusciamo più a leggerla. Non riusciamo più a capirla. Non sappiamo più cosa significhino i testi, i riferimenti, le postille e cavilli”.

Sono convinto che al termine di questa Conferenza intergovernativa ci attenda un’Europa in cui, per la prima volta nella storia, i cittadini non saranno più in grado di riconoscere l’ordine politico in cui vivono. E perderete anche moltissimi sostenitori, anche fra coloro che si sono battuti per questa Costituzione per anni.

Diritti fondamentali! Signora Vicepresidente della Commissione, lei ha fatto appello allo spirito di compromesso. Perché invece non fa appello alla natura dei diritti umani fondamentali e universali che rendono per noi impensabile formare una comunità di valori in cui alcuni Stati dichiarano: “Io non appartengo a questa comunità di valori”. Come possiamo ribattere a un Presidente Putin dicendogli: “Siamo una grande comunità di valori a favore dei diritti umani universali – a parte alcuni di noi”? Questo rappresenta una tale incrinatura nella credibilità dell’Europa, che non è possibile invocare lo spirito di compromesso! Lo spirito qui è del tutto diverso. E’ un grande demone politico a dominare qui. Non credo che quanto sta succedendo in questa sede al momento incontrerà l’approvazione dei cittadini, che non intendiamo più ricercare.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL).(PT) Signor Presidente, vorrei aprire il mio intervento esprimendo, a nome mio e del mio gruppo, tutta la tristezza per la morte del collega Fausto Correia.

In merito alla riforma dei Trattati, la Presidenza del Consiglio si è limitata a ripetere l’auspicio di raggiungere una fase ulteriore, non quella finale, nel processo di recupero del progetto presentato nella Costituzione europea. Vale a dire, portare avanti il processo avviato all’inizio di giugno, sotto la leadership della Presidenza tedesca, volto a imporre il contenuto di un trattato respinto, presentandolo in una forma diversa, cercando di avanzare al ribasso e contro l’esplicita volontà del popolo, il che costituisce una vera e propria frode politica.

Questo Trattato è un tentativo di spianare la strada alle politiche neoliberali che contrastano con i diritti sociali e i progressi fatti, in nome degli interessi delle grandi multinazionali. Si vuole imporre il federalismo sotto il dominio delle grandi potenze, in un quadro che conferisce personalità giuridica all’Unione, privando gli Stati membri dei loro poteri, e dove l’Unione europea è vista come un pilastro della NATO, allo scopo di favorire le ingerenze e l’interventismo al servizio degli interessi delle grandi potenze. E’ un trattato che mira a istituire un blocco economico, politico-militare con ambizioni imperialistiche. E’ un trattato che non sanerà le profonde e irrimediabili contraddizioni di questa integrazione europea, ma che, al contrario, tenderà ad accentuarle.

Noi, dal canto nostro, continueremo a condannare i reali obiettivi di questo trattato, sostenendo la necessità di respingerlo e reclamando un ampio dibattito nazionale e la consultazione del popolo portoghese a favore di un’Europa di cooperazione per il progresso e la pace tra Stati sovrani, dotati di pari diritti.

Infine, vorrei esprimere il mio sostegno per la grande manifestazione promossa dal CGTP-IN e che si terrà a Lisbona il prossimo 18 ottobre.

 
  
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  Patrick Louis (IND/DEM). - (EN) Signor Presidente, onorevoli colleghi, che ci rallegri o ci indigni, tutti conveniamo sul fatto che il Trattato che verrà siglato a Lisbona costituisce un’operazione di riciclaggio della Costituzione europea, rifiutata da due referendum popolari nel 2005, di cui contiene tutti gli elementi, come evidenziato ieri in un rapporto della Camera dei Comuni: la superiorità del diritto europeo anche derivato, sul diritto nazionale anche costituzionale, la personalità giuridica dell’Unione, che permetterà alla Commissione di sostituirsi agli Stati membri sulla scena internazionale, il ministro degli Esteri con un’altra denominazione, così come il più sostanzioso trasferimento di competenze di tutta la storia della costruzione europea, almeno quaranta materie, insieme all’immenso ambito dei diritti fondamentali.

In questa sede, in cui la parola “democrazia” viene evocata di continuo, vorrei cercare di fare appello alla coscienza di ciascuno di voi. Quale democratico sincero può ritenere normale far entrare in vigore un testo che il popolo ha rifiutato per via referendaria? Perché privare i popoli del loro diritto di esprimersi in merito al nuovo trattato e a qualsiasi nuovo allargamento? Che tipo di regime politico si crede di costruire subordinando ulteriormente le nostre democrazie a un sistema caratterizzato dall’assenza di separazione fra i poteri, di responsabilità dei governi e di rappresentanza popolare, se non per un unico popolo europeo?

Il federalista Tommaso Padoa-Schioppa ha già risposto. Cito le sue parole: “L’Europa è stata costruita tra i due poli del consenso popolare e della leadership di qualche governo, seguendo un metodo che si potrebbe definire con il termine di dispotismo illuminato”. Ha ragione! E il no del popolo al loro dispotismo illuminato ha convinto i federalisti a farsi di nuovo avanti dietro a una maschera. Poiché l’unica differenza fra il Trattato costituzionale rigettato e quello che verrà siglato è che il primo non mentiva.

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Signor Presidente, visti i precedenti, sospetto che il Consiglio sarà l’occasione in cui i confini tracciati dalla Gran Bretagna si faranno sempre più sfumati, fino a essere completamente cancellati dalla federalizzante Corte europea di giustizia. Il solito balletto di opt-in e opt-out, poi il governo britannico canterà vittoria, altri lo asseconderanno, consapevoli che qualsiasi concessione apparente sia, in realtà, priva di sostanza. Tutto ciò per indurre il pubblico britannico a credere che il trattato di riforma sia sostanzialmente diverso dalla Costituzione rifiutata, quando è evidente che così non è.

Ora che il Primo Ministro Gordon Brown ha fatto un passo indietro rispetto alle elezioni, l’urgenza di un referendum britannico è più pressante che mai. Nessun’elezione significa che l’impegno contenuto nel programma laburista del 2005 in merito al referendum rimane. Nessun referendum significa niente mandato per il Primo Ministro Brown a procedere alla ratifica, e questo è il punto fondamentale su cui tutti i democratici del Regno Unito devono convergere.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare il Consiglio e la Commissione per le loro dichiarazioni. Il Vertice informale di Lisbona sarà un evento cruciale, poiché vedrà la pubblicazione del progetto di trattato di riforma, sul quale i capi di Stato e di governo si concentreranno quando converranno in quella sede. Tuttavia, il processo della CIG è stato troppo accelerato. Di fatto, il governo britannico sostiene di aver avuto a disposizione solo due giorni per considerare il progetto di mandato. Certo, come sottolineato da altri relatori, le proposte sono molto simili a quelle contenute nel testo costituzionale originale.

Il Primo Ministro britannico ha un problema, che si chiama “fiducia” – fiducia in ciò che dice. Nelle ultime settimane, ha invitato i suoi ministri a magnificare la prospettiva di elezioni all’interno del Regno Unito e poi, quando il clima politico si è infuocato, ha fatto marcia indietro. Ritengo che i suoi colleghi europei, gli altri leader d’Europa, dovranno stare molto attenti a ciò che il Primo Ministro Brown affermerà a Lisbona, poiché è molto probabile che in realtà intenda qualcosa di diametralmente opposto. I conservatori inglesi, certo, continueranno a chiedere che venga indetto un referendum in merito al Trattato. La stragrande maggioranza della popolazione britannica lo auspica, compresi gran parte dei sostenitori dello stesso governo. Se il Primo Ministro continuerà ad opporsi a queste pressioni, nonostante un chiaro impegno elettorale, allora il popolo britannico avrà l’ennesima conferma della sua inaffidabilità. Il leader del mio partito ha dichiarato che questo potrebbe essere un evidente abuso di fiducia – uno degli abusi di fiducia più gravi ed evidenti nella storia della politica moderna.

Mi auguro, inoltre, che l’Europa si concentri maggiormente sul cammino della globalizzazione, alleviando la povertà del mondo e affrontando il cambiamento climatico. Queste sono le lezioni che ormai dovremmo aver imparato. Spero che il nostro Primo Ministro sarà franco con il popolo inglese in merito alle questioni che sorgeranno a Lisbona. Vogliamo un’Europa di successo, ma dev’essere un’Europa concentrata sulle tematiche che il popolo sostiene e comprende davvero.

 
  
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  Edite Estrela (PSE).(PT) Vorrei, innanzi tutto, ringraziarvi, a nome della delegazione socialista portoghese, per tutte le condoglianze espresse per la morte del mio caro amico Fausto Correia. Tutti noi – la democrazia del Portogallo, il partito socialista portoghese e questo Parlamento – siamo un po’ più poveri con la sua scomparsa.

A una settimana di distanza dall’incontro al Vertice informale, voglio essere ottimista e credere che prevarrà il buon senso. Voglio essere ottimista e credere che i 27 Stati membri si assumeranno le proprie responsabilità verso i cittadini dei rispettivi paesi, verso i cittadini europei e verso il mondo. Voglio credere che il 19 ottobre il Consiglio europeo concluderà un accordo politico approvando il trattato di riforma e ponendo, così, fine a quest’impasse che si è già protratta troppo a lungo.

Sono ottimista perché siamo tutti consapevoli della necessità di rispondere alle aspettative e ai dubbi dei cittadini europei, i quali si stanno legittimamente interrogando sul ruolo ricoperto dall’Unione europea a livello globale e sui vantaggi che esso apporterà al loro futuro. Voglio essere ottimista perché tutti noi sappiamo che il mondo sta osservando l’Europa in attesa di un segnale positivo. Tutti noi sappiamo che il mondo ha bisogno di un’Europa unita e coesa. Tutti noi sappiamo che il mondo non si ferma e che l’Europa non può restare prigioniera dei suoi egotismi nazionali. Tutti noi sappiamo che è necessario superare quest’impasse per incanalare le nostre energie verso la promozione dello sviluppo economico, la creazione di posti di lavoro e la lotta al cambiamento climatico. Queste sono le priorità.

I giuristi hanno raggiunto un accordo in merito alla formulazione del testo per il trattato, più relativi allegati. Le difficoltà tecnico-giuridiche, per quanto complesse, sono state risolte. La CIG ha adempiuto il mandato conferitole dal Consiglio. La Presidenza portoghese ha fatto tutto ciò che era in suo potere per superare gli ostacoli. Il Parlamento europeo ha svolto le proprie mansioni sia in seno alla CIG, sia al di fuori della Conferenza, dove i nostri colleghi Elmar Brok, Enrique Barón Crespo e Andrew Duff hanno apportato un contributo inestimabile. Il che significa che finora tutti hanno svolto il proprio dovere con grande senso di responsabilità e nei tempi consentiti. C’è da augurarsi, a questo punto, che non vengano sollevati ostacoli artificiosi, dettati da circostanze politiche nazionali di breve termine, più che da oggettive riserve sui contenuti del Trattato. Nessuno capirebbe, se gli stessi capi di Stato e di governo che avevano approvato il mandato della CIG dovessero ritornare sui loro passi. Ne andrebbe della loro credibilità. A quel punto, entreremmo certo in una crisi dalle conseguenze imprevedibili. Il testo potrà anche non essere eccellente, ma costituisce comunque un’opportunità ed è meglio di niente.

Permettetemi di concludere citando Jean Monnet: “Ho sempre creduto che l’Europa si costruirà attraverso le crisi e che sarà la somma delle loro soluzioni”. Parole sagge e profetiche. Speriamo che l’Europa sia in grado di fare la storia, di scrivere un’altra pagina nella storia della sua costruzione.

 
  
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  Alexander Lambsdorff (ALDE). - (DE) Signor Presidente, ci siamo battuti con un certo successo per una maggiore democrazia ed efficacia nel processo costituzionale – e ora nel processo verso questo trattato di riforma – ma non si può certo parlare di trasparenza. Avremmo già potuto leggere sulla stampa tutta la documentazione presentata in questa sede dalla Presidenza del Consiglio per mezzo di un briefing a quest’Assemblea. Qualche dichiarazione più sostanziale da parte della Presidenza sarebbe stata opportuna. La lotta per la trasparenza deve quindi continuare! Un ambito in cui questo Parlamento è stato massicciamente impegnato – e di questo sono molto grato ai nostri rappresentanti – è quello della lotta per la supremazia del diritto. La protezione dei dati nell’ambito della politica estera e di sicurezza, una maggiore partecipazione parlamentare, l’abolizione del terzo pilastro in favore di una politica comune della giustizia e degli interni, la natura giuridicamente vincolante delle Carta, tutti questi sono aspetti importanti anche per i liberali di centro e basati sui nostri valori comuni.

Per quel che concerne gli opt-out, permettetemi di dire quanto segue. E’ possibile operare una distinzione tra quelli derivanti dalla politica interna e quelli che riguardano la politica estera. Nel quadro della politica interna, gli opt-out sono legati a una cultura giuridica, a tradizioni nazionali e a differenti nozioni in merito ai valori sociali. Posso capire, se non addirittura approvare, il fatto che si stia votando per un opt-out in questo momento. Ciò che non riesco proprio a capire, tanto meno ad approvare, è il blocco imposto da alcuni Stati membri, in particolare dal Regno Unito, nel settore della politica estera e di sicurezza comune. L’onorevole Timothy Kirkhope ha appena affermato che dovremmo sviluppare la politica laddove i cittadini la sostengono. I cittadini sono pronti a sostenere una politica estera e di sicurezza comune credibile. Si tratta di una necessità oggettiva, considerate le sfide che siamo chiamati ad affrontare: lotta al terrorismo, crisi in Medio Oriente, lotta alla povertà e alle malattie infettive, immigrazione. Siamo davanti a una serie di sfide che potremo affrontare soltanto insieme.

Pertanto, ci domandiamo, in maniera piuttosto oggettiva, (come ha fatto Martin Schulz, che trovo abbia completamente ragione): chi deciderà il destino del mondo fra venti o trent’anni? Gli Stati Uniti, la Cina, l’India e… il Regno Unito? Non ci crede nessuno! Tanto meno toccherà alla Germania o alla Francia. O ci muoveremo insieme o non ci muoveremo affatto! Per questo ci serve uno spirito europeo e ci serve questo trattato di riforma!

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ALEJO VIDAL-QUADRAS
Vicepresidente

 
  
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  Miguel Portas (GUE/NGL).(PT) Se posso permettermi di parlare di mancanza di trasparenza, la Carta dei diritti fondamentali sancisce che in Europa “nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato”. E fin qui, tutto bene, ma il quadro non è completo. La base interpretativa di quell’articolo è la Convenzione europea, la quale stabilisce alcune inaccettabili eccezioni. Per esempio, gli Stati possono ripristinare la pena di morte in caso di imminente pericolo di guerra. Che idea è questa, onorevoli colleghi?

La stessa fonte legislativa conferisce alle forze di polizia la licenza di uccidere in caso di insurrezione, autorizzando addirittura, e cito nuovamente: “carcerazione preventiva”. Ricorderete senz’altro Jean Charles de Menezes, ucciso nel 2005 nella metropolitana di Londra. Quello fu uno sventurato errore o un crimine che sarebbe autorizzato con il futuro trattato? Oggi a Lisbona il Primo Ministro portoghese José Sócrates e il Presidente della Commissione europea Durão Barroso si sono espressi contro la pena capitale. Quale autorità potrebbe mai sostenere un trattato che fa rientrare la pena di morte dalla porta di servizio?

 
  
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  Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, altri colleghi lo ribadiranno nel dibattito che segue, ma ritengo opportuno sottolinearlo – anche in vista del prossimo Vertice – che cittadino europeo è chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro secondo il diritto nazionale.

Lo è quindi chiunque usufruisca dei diritti che tale status gli riserva, primo fra tutti il diritto di voto e il diritto di essere eletto membro del Parlamento europeo. Per chi lavoriamo da anni quando parliamo di diritto alla libera circolazione, all’educazione, alla salute, al lavoro, alla dignità, se non per i cittadini che ci hanno democraticamente eletti?

Non meno importante ritengo mantenere il mutuo rispetto tra gli Stati membri: un gentlemen’s agreement sancisce da decenni la parità di peso tra i tre maggiori Stati dell’UE dopo la Germania. Sul piano linguistico essa è già stata violata innumerevoli volte. Ora, con la proposta Lamassoure-Severin si vuole eliminare tale parità anche sul peso politico.

Se questa è l’impostazione di fondo, allora non meravigliamoci troppo che sia così difficile trovare un accordo per definire un futuro insieme. Il Vertice europeo rifletta quindi a fondo sui concetti di cittadinanza europea e di legittimità democratica.

 
  
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  Josef Zieleniec (PPE-DE). - (CS) Confido che nel corso del prossimo Vertice di Lisbona verrà raggiunto un accordo finale in merito alla formulazione del trattato di riforma. La sua firma e ratifica porranno fine alla crisi istituzionale causata dai referendum in Francia e nei Paesi Bassi.

La riforma istituzionale è necessaria, ma non è di per sé sufficiente perché l’UE possa progredire nel contesto di un mondo più globalizzato e in relazione ai propri cittadini. La riforma istituzionale è un elemento indispensabile della soluzione, pur non costituendo, in sé, la soluzione. Una volta entrato in vigore il trattato di riforma, dovremo intraprendere il fondamentale dibattito in merito al futuro orientamento dell’integrazione europea. Dovremo cercare le risposte alle questioni europee in materia di economia, organizzazione sociale e sicurezza, tramite una rigorosa revisione delle politiche esistenti.

L’obiettivo principe del progetto europeo e le relative questioni in merito ai confini dell’UE dovranno essere posti al centro del dibattito. I referendum in Francia e nei Paesi Bassi e i complessi negoziati sulla formulazione del trattato di riforma indicano che il dibattito fondamentale sui contenuti del progetto europeo sarà molto più impegnativo di quanto lo sia stato finora.

Ecco perché è così importante rispondere in maniera adeguata e senza indugi alla proposta del Presidente Sarkozy di istituire un cosiddetto comitato dei saggi, che indirizzi il dibattito, fornendogli il necessario slancio. Quest’organismo dovrà avere un mandato chiaro, ma in nessun caso dovrà essere composto da rappresentanti dei governi degli Stati membri. Dovrà essere, al contrario, un consesso di eminenti studiosi, illustri imprenditori, ex diplomatici e politici. Dovrà raccogliere personalità che ispirino autorevolezza e rispetto in maniera naturale, non funzionari con incarichi delegati loro dai governi. L’obiettivo di questo comitato non dev’essere quello di sostituirsi al dibattito pubblico, ma piuttosto fungere da catalizzatore del dibattito, formulando proposte concrete per il futuro dell’integrazione europea.

Signor Presidente, grazie al trattato di riforma acquisiremo strumenti di lavoro forse imperfetti ma necessari; spetta a noi sfruttarne appieno il potenziale. I cittadini europei si aspettano risultati concreti e tangibili dall’UE ed è nostro dovere soddisfare tali aspettative.

 
  
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  Robert Goebbels (PSE). - (FR) Signor Presidente, la Conferenza intergovernativa si è probabilmente riunita nel punto più profondo del tunnel sotto la Manica per sottrarsi all’opinione pubblica. Il risultato, Vicepresidente Wallström, è incomunicabile al cittadino comune. Più di 300 emendamenti, celati sotto 150 pagine, hanno modificato il Trattato sull’Unione e quello sul suo funzionamento. Per di più, ci saranno 53 dichiarazioni e 12 protocolli.

Dopo i simboli dell’Unione, come la bandiera e l’inno, altri acquis politici finiranno nell’oblio. Il dialogo sociale non sarà più un obbligo orizzontale per l’Unione. Le parti sociali sono pregate di occuparsi soltanto di politica sociale e non di politiche economiche. Il protocollo sui servizi di interesse generale afferma indirettamente la supremazia del diritto della concorrenza su tutti i servizi a carattere anche solo velatamente commerciale, resi ai cittadini dai comuni e dalle regioni. Lo Stato, semplice guardiano, potrà decidere solo in merito a servizi d’interesse generale e non economici.

Ci ingannano sul carattere vincolante della Carta dei diritti fondamentali. Il protocollo 7 dice e cito: “In particolare e per evitare dubbi, nulla nel titolo IV della Carta crea diritti azionabili dinanzi a un organo giurisdizionale applicabili alla Polonia o al Regno Unito”. In altre parole, la Corte europea di giustizia non potrà applicare la Carta. Sorvolo su tutte le clausole di opt-out che sanciscono un’Europa a due velocità per la zona euro, il protocollo di Schengen o le normative in materia di giustizia e affari interni.

L’articolo 24 è degno di uno stato totalitario, poiché permette al solo Consiglio di fissare le regole relative alla protezione dei dati a carattere personale dei nostri concittadini e di autorizzarne la libera circolazione verso l’America. Né il Parlamento, né tanto meno la Corte di giustizia potranno difendere le libertà fondamentali. Il grande fratello di George Orwell è dietro l’angolo!

Infine, viene agitata la minaccia dell’introduzione di un diritto di veto permanente per gli Stati, derivato dal compromesso di Ioannina. Tutto ciò è inaccettabile, signor Presidente. Personalmente, comincio a rivalutare alcune virtù del trattato di Nizza.

 
  
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  Roberta Alma Anastase (PPE-DE). - (RO) Il Vertice di Lisbona offrirà all’Unione europea l’opportunità di discutere e forse decidere su una questione di fondamentale importanza per il suo futuro e per il suo ruolo nel XXI secolo.

Il contesto del 2007, che vede un’Unione europea a 27 paesi e una scena internazionale ancora più globalizzata, ci costringe a interrogarci sugli obiettivi, le priorità e le modalità di funzionamento dell’Unione.

E’ indubbio che nel XXI secolo l’Unione europea debba agire sulla base di due principi fondamentali: legittimità democratica e un rapporto stretto con il cittadino europeo, oltre a una maggiore coesione ed efficienza nelle proprie attività, anche esterne.

Questo significa, innanzi tutto, rispetto e promozione dei valori democratici, dei diritti dei nostri cittadini, comprese le minoranze e, da questo punto di vista, mi compiaccio per l’accenno esplicito inserito in merito nella proposta formulazione del Trattato.

In secondo luogo, l’Unione europea non può essere unicamente un attore strategico nell’odierno mondo globalizzato, senza focalizzare la propria politica estera sulla risoluzione delle dispute e incoraggiare il dialogo internazionale e interculturale, soprattutto nella politica di promozione della cooperazione regionale.

E da ultimo, ma non per importanza, non dimentichiamo la spinta propulsiva di qualsiasi progresso, ovvero l’istruzione e il ruolo che essa deve occupare nella versione rivista della strategia di Lisbona.

Se non prestiamo maggiore attenzione alla politica di istruzione e di ricerca europee, non sarà possibile parlare di un’Unione riformata, competitiva e forte.

Mi auguro che dal Vertice di Lisbona scaturiscano anche risposte chiare agli interrogativi di oggi.

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE). - (DE) Signor Presidente, il mio collega, onorevole Goebbels, ha chiuso il proprio intervento dichiarando che, malgrado le sue critiche, non morirà per Nizza – cosa che auspico vivamente, augurandogli una lunga viva. Innanzi tutto, quello di Nizza non è un trattato per cui valga la pena di morire! Spero che questo nuovo trattato abbia almeno un valore aggiunto molto più elevato rispetto a quello di Nizza.

Vorrei riprendere da dove l’onorevole Lambsdorff si è interrotto. I nostri cittadini vogliono un’Unione europea forte, che non costituisca un’intrusione nella loro vita quotidiana, ma una rappresentanza esteriore che tuteli meglio i cittadini. Personalmente, al momento ritengo che questo Trattato, malgrado le sue debolezze, costituisca un sostanziale progresso. E’ un prerequisito necessario, benché insufficiente, per perseguire un’attiva politica estera e di sicurezza. Il problema del Kosovo ci preoccupa, ovviamente. Bisogna verificare se esiste una volontà generale di promuovere una politica estera e di sicurezza comune. Sia la Presidenza portoghese sia quella slovacca dovranno prepararsi intensamente per ciò che stiamo facendo, nel caso non venga raggiunta qui una soluzione amichevole. Comunque sia, è importante creare le condizioni adeguate nel lungo periodo.

Vorrei richiamare l’attenzione su due elementi: innanzi tutto, è assolutamente necessario istituire un adeguato servizio diplomatico, con sede presso la Commissione. Non ha senso affidare la politica estera al Vicepresidente della Commissione e agli Alti rappresentanti, se poi il servizio diplomatico dev’essere organizzato altrove. In secondo luogo – come già accennato da diversi colleghi come l’onorevole Enrique Barón Crespo e altri – dobbiamo precisare che questo Parlamento è stato coinvolto fin dall’inizio nella nomina dell’Alto rappresentante.

Infine, un ultimo commento rivolto al Vicepresidente della Commissione: lei ha ripetutamente sottolineato l’importanza della negoziazione di questo trattato. La questione non sarà risolta – come dichiarato dal collega, onorevole Schulz – con l’accordo che verrà concluso, si auspica, in seno al Consiglio, e nemmeno con la ratifica; è necessario, invece, che i nostri cittadini siano convinti, durante e dopo la ratifica, dell’utilità di questo trattato, che permetterà di rappresentare meglio i loro interessi nel mondo.

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE). - (PL) Signor Presidente, qualche riflessione su Lisbona. I recenti avvenimenti legati alla crisi costituzionale hanno reso i cittadini europei consapevoli della necessità di riforme e cambiamenti.

L’essenza di un sistema decisionale democratico è arrivare al consenso, per maggioranza o per sostegno unanime, dove i veti non vengano dispensati in maniera superficiale dai partner sulle questioni importanti. Stiamo discutendo la questione della rappresentanza numerica nel processo decisionale in seno a un’Europa unita e, per questa via, trattiamo anche i principi del funzionamento di un organismo comune. Per questa ragione è importante ascoltare anche la voce della minoranza, che, in virtù della propria ubicazione geografica, o della propria esperienza storica o situazione politica, può spesso esprimere una visione della realtà rilevante per l’Europa.

L’organismo vivente e dinamico costituito dall’Europa non deve essere circoscritto all’interno di un rigido quadro legislativo universale, introdotto in maniera irrevocabile dall’attuale Parlamento o dalla Commissione. Un individuo, così come un raggruppamento nazionale, ha un illimitato repertorio comportamentale e la vita e le situazioni in continuo mutamento richiedono una certa adattabilità delle norme, benché non dei valori, che devono mantenersi costanti in relazione alla realtà. Non dobbiamo sottovalutare l’immediata dimensione orientale degli aspetti politico-economici ed energetici. Non conta solo l’Occidente, o il Brasile, e ritengo che l’attuale Presidenza dovrebbe essere più flessibile a riguardo.

Un’altra osservazione: la prospettiva economica allargata che stiamo discutendo e che sarà oggetto di ulteriori dibattiti, deve diventare parte integrante della cosiddetta strategia di Lisbona, se vogliamo metterci in pari con gli Stati Uniti.

E infine, signor Presidente: un maggior coinvolgimento dei parlamenti nazionali eletti dai cittadini avvicinerà le questioni comunitarie alla popolazione. In sostanza, questo significa che le decisioni sulla conformazione, il contenuto e il futuro dell’Europa dovrebbero essere prese più spesso dai cittadini e non delegate ai rappresentanti del governo di turno.

 
  
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  Richard Corbett (PSE). - (EN) Signor Presidente, vorrei congratularmi con la Presidenza portoghese per i progressi fatti al fine di ottenere il consenso. Tuttavia, è indubbio, come dichiarato da molti colleghi oggi, che in seno a questo Parlamento si registri un notevole malcontento. Molti sono insoddisfatti per la perdita dell’idea di una Costituzione che avrebbe sostituito gli attuali Trattati e rifondato la nostra Unione su una nuova base giuridica.

Altri sono insoddisfatti per i numerosi cambiamenti che sono stati apportati e per i provvedimenti e le deroghe speciali concessi ad alcuni Stati membri. Alcune di queste modifiche sono, ovviamente, infelici, tuttavia rappresentano il prezzo da pagare per assicurare un accordo di tutti i 27 paesi e la ratifica del Trattato da parte di tutti gli Stati membri.

Questa è la situazione in cui ci troviamo. Non c’è modo di aggirare il fatto che questo trattato debba essere ritenuto accettabile e ratificato da tutti gli Stati membri. Invito i miei colleghi a non perdere di vista il quadro generale. Questo trattato, anche nella forma attuale, contiene molte riforme essenziali. Abbiamo bisogno di quelle riforme, l’Unione ne ha bisogno. Chiunque auspichi un’Unione efficiente e democraticamente responsabile deve sostenere queste riforme.

L’alternativa al Trattato riformato è mantenere lo status quo, scelta che tuttavia, con l’andare degli anni, comporterà ulteriori contrasti sulle istituzioni e sui meccanismi dell’Unione europea. Personalmente, preferirei che ci assicurassimo il Trattato di riforma, per passare poi, forti di una maggiore capacità dell’Unione, ad affrontare le questioni concrete che interessano davvero i cittadini: il cambiamento climatico, le prestazioni delle nostre economie, l’aiuto allo sviluppo oltreoceano, l’ambiente – tutte quelle problematiche che richiedono l’intervento dell’Unione, poiché agendo da soli e separatamente non siamo efficaci, ma insieme possiamo fare molto.

Procediamo, dunque, e risolviamo queste questioni istituzionali una volta per tutte.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, Lisbona ci fa muovere un importante passo avanti verso il traguardo e conclude con successo il periodo immediatamente successivo alle riunioni. Tuttavia, Lisbona non costituisce il traguardo. Ci aspetta ancora il processo di ratifica, che richiederà il massimo sforzo da parte di tutti noi, nessuno escluso.

Soltanto uniti riusciremo a rendere l’Unione europea più democratica, più vicina ai suoi cittadini, più trasparente e più incisiva nel proprio agire, sia a livello interno che esterno. Il Trattato di riforma costituisce un ulteriore passo nella direzione giusta. Solo agendo insieme riusciremo ad attestare questo trattato di riforma nella coscienza pubblica come un valore aggiunto per i cittadini europei, intesi come cittadini dell’Unione e dell’Europa nel suo complesso.

L’unico problema è che non basterà il Trattato di riforma per mettere a tacere egotismo, nazionalismo, protezionismo, gli oppositori dell’UE e la falsità europea. Questi elementi sono il cancro della collegialità, il cancro del futuro dell’Europa.

Il sistema degli opt-out è contrario a un’Europa unita. Il meccanismo di opt-out indebolisce la comunanza dei valori, creando cittadini di prima e seconda classe e personalmente mi domando perché mai i rappresentanti di Polonia e Regno Unito vogliano ostacolare così la politica estera e di sicurezza comune.

Vogliamo che la protezione dei dati sia regolamentata per legge, tramite partecipazione parlamentare. Vogliamo che le decisioni relative all’organico vengano prese dopo le elezioni del Parlamento europeo. Vogliamo che le parti sociali e il dialogo sociale continuino a essere sostenuti e rafforzati. Vogliamo che venga svolto un lavoro di pubbliche relazioni in merito al valore aggiunto del trattato di riforma e all’ulteriore estensione dei diritti di codecisione del Parlamento europeo, perché solo in questo modo l’Europa diventerà più democratica, vicina ai suoi cittadini e trasparente.

 
  
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  Bernard Poignant (PSE). - (EN) Signor Presidente, in merito al trattato, la difficoltà non sta nei dettagli, ma nella ratifica. Non dimentichiamo: Danimarca 1992, Irlanda 2001, Francia e Paesi Bassi 2005 e perfino Svezia, per l’euro, nel 2003. Un voto negativo potrebbe essere in agguato ovunque e noi non siamo al riparo. E’ chiaro che ogni Stato è responsabile del proprio processo di ratifica, parlamentare o referendario che sia, ma è davvero impossibile coordinare il tutto? Sono del parere che radunare le ratifiche eviterebbe infiniti dibattiti nazionali e farebbe emergere in maniera più incisiva l’opinione pubblica europea.

Mi permetto di suggerire una data, signor Presidente: le prime due settimane di maggio 2008, poiché in quei giorni cade l’anniversario della fine della Seconda guerra mondiale e la Giornata dell’Europa, il 9 maggio, e quest’anno si festeggerà anche il sessantesimo anniversario del Congresso dell’Aia, che segnò l’inizio del cammino europeo e fu presieduto da Winston Churchill. Noi francesi ricorderemo anche un altro anniversario: l’elezione di un grande europeo, François Mitterrand, il 10 maggio.

Se le ratifiche avvenissero in maniera coordinata sarebbe utile. Dopotutto, abbiamo eliminato i simboli del Trattato, ma si può dare valore simbolico alla calendarizzazione. Perché non iscrivere dei simboli nelle date? Poiché è assolutamente necessario, a prescindere dal giudizio individuale sul testo del trattato – e il nostro onorevole collega Goebbels è stato piuttosto duro in proposito – è necessario garantire a ogni costo che questa tappa della storia europea venga raggiunta. Pertanto, vi porgo questo invito: concordate una data all’interno di queste due settimane!

(Applausi)

 
  
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  Jerzy Buzek (PPE-DE). - (PL) Signor Presidente, Primo Ministro, signora Vicepresidente, proprio come accadde sette anni fa, la Presidenza portoghese si trova ad affrontare compiti importanti e grandi sfide.

Sono convinto che il Trattato europeo verrà approvato in un’atmosfera positiva e all’insegna del consenso, per fornire una base solida a un’efficace ed efficiente gestione dell’UE. E’ questo l’aspetto più importante oggi, poiché solo allora l’Europa potrà gradualmente diventare una potenza politica ed esercitare un impatto positivo sul destino del mondo.

Ma il potere economico nell’UE resta sempre un elemento essenziale, oggi ancora più di sette anni fa. Ci troviamo di fronte alle sfide della globalizzazione e aspiriamo a diventare, e cito: “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva al mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. Ma oggi sappiamo quanto sia difficile riuscire in questo intento. Pertanto, un’Europa sociale impegnata nell’aumento dell’occupazione e anche nella lotta contro il cambiamento climatico, problematica che non si poneva sette anni fa, dev’essere un’Europa dal mercato completamente libero. Un mercato aperto, libero da protezionismo e monopoli. Lo dobbiamo ai nostri cittadini, se intendiamo mettere in pratica i principi della strategia di Lisbona in materia di concorrenza, innovazione e progresso. Non dimentichiamo, inoltre, che la gestione delle linee guida della strategia da una posizione di libero mercato ha funzionato molto meglio della gestione operata a livello di Stati membri.

E infine, un’ultima questione: il nostro successo dipende in larga misura dalle relazioni con i nostri vicini. Mi congratulo con la Presidenza portoghese per la riconciliazione di vasta portata lungo i confini meridionali dell’UE, ma è bene non trascurare nemmeno per un istante la dimensione orientale, soprattutto ora che l’esito di elezioni libere e legittime in Ucraina ci ha offerto la possibilità di una stabilizzazione democratica, di libero mercato e filo-europea della frontiera orientale dell’Unione. Le elezioni si sono tenute solo due settimane e mezzo fa, e vale la pena di annunciarlo in seno al Parlamento europeo.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE). - (HU) Signor Presidente, come emerso dal precedente dibattito, la posta in gioco legata all’attuale trattato di riforma è molto alta, poiché ne va della funzionalità e della credibilità dell’Unione. Ad ogni modo, i cittadini europei non capiscono che, se da un lato, noi abbiamo lavorato al Trattato costituzionale e ci siamo occupati dei problemi istituzionali per anni e alla luce di questa esperienza, in qualità di élite politica, ne conosciamo bene l’estrema importanza ai fini di una riforma e un rinnovo dell’Unione, dall’altro, si tratta di un dibattito a noi estraneo e incomprensibile. In ultima istanza, noi siamo chiamati a occuparci di quelle che sono le reali questioni per i cittadini europei e concordo con l’onorevole Martin Schulz quando dice che non dovrebbero esserci altri fallimenti nella vita dell’Unione.

Non dovrebbero esserci altri fallimenti, perché l’allargamento del 2004 è stato il primo a non essere ostacolato da riforme radicali o radicalizzazioni. Non sorprende più, ormai, che i britannici si comportino come fanno, ciononostante, in qualità di rappresentante di un nuovo Stato membro, sono tutt’altro che compiaciuto nel vedere che i miei colleghi polacchi stanno abbracciando una linea politica che, purtroppo, non è al servizio dell’unità europea.

Non ci sono alternative al Trattato di riforma. E’ un elemento essenziale per far sì che il Parlamento europeo non sia teatro di semplici cavilli, ma venga preso sul serio dalla Commissione e dal Consiglio. E’ fondamentale anche per consentirci di progredire in materie quali la questione delle minoranze nazionali, che è, di fatto, uno dei grandi problemi dell’Europa – basti pensare ai Balcani occidentali, o all’Ucraina e alla Russia – (frase incompleta). Senza il Trattato di riforma, non potremo compiere alcun progresso nemmeno in questo ambito.

Signor Presidente, non c’è alternativa al Trattato di riforma; o lo si approva, o si va incontro alla morte dell’Unione! Grazie per la sua attenzione.

 
  
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  David Casa (PPE-DE) - Abbiamo davanti a noi un’importante occasione per fare dell’Unione europea un’unione più efficiente e democratica. Il nuovo trattato fornirà all’Unione europea gli strumenti necessari per continuare a progredire, ora che altri cittadini hanno scelto di aderirvi. Ci è concessa un’occasione unica e insieme dobbiamo fare in modo di trovare gli opportuni compromessi che garantiscano un futuro migliore ai cittadini europei.

Diversi oratori hanno citato la Polonia e il Regno Unito e il loro opt-out. Certo, è importante che ognuno tenga presente gli interessi nazionali, ma è ancora più importante che noi tutti teniamo in considerazione gli interessi dell’Unione europea, poiché siamo noi a costituirla. Questo vale non solo per il Consiglio, ma anche e soprattutto per il Parlamento europeo. Non sono d’accordo sull’idea che ci sia un’Unione europea di un certo tipo per determinati cittadini europei e un’Unione di un altro tipo per i cittadini europei di un altro paese. Dobbiamo, pertanto, sfruttare l’opportunità che ci verrà offerta nei prossimi giorni in Portogallo per inviare un segnale chiaro ai nostri cittadini e rassicurarli del fatto che l’Unione europea non è in stallo e che il nuovo Trattato ci permetterà di continuare a progredire. Dobbiamo garantire che dopo lunghi e difficili anni di dibattito ininterrotto sul futuro dell’Europa, abbiamo finalmente trovato un accordo che ci permetterà di continuare a ottenere successi. Un trattato che assicurerà più trasparenza e, come è già stato detto, maggiore efficienza. Un trattato che ci aiuterà a rafforzare la voce di ciascun cittadino europeo. Noto con piacere che perfino il mio paese, di cui sono rappresentante, acquisirà maggior peso all’interno di questo Parlamento.

Sull’orizzonte dell’Unione europea si profilano grandi sfide, che dovremo affrontare il più presto possibile. Dobbiamo essere competitivi in questo mondo globalizzato, quindi dobbiamo disporre degli strumenti necessari per vincere queste sfide, sfide che riguardano il cambiamento climatico, l’immigrazione, la creazione di occupazione e migliori condizioni lavorative. Potremo raggiungere questi traguardi, solo con un’Unione europea più efficiente e trasparente.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE). - (PL) Signor Presidente, mi auguro che l’intesa raggiunta a Berlino in merito ai principali problemi inerenti al trattato di riforma culmini in un esito positivo dell’imminente Vertice di Lisbona.

Auspico, inoltre, che il governo polacco – consapevole che l’80 per cento della popolazione polacca sostiene la nostra appartenenza all’Unione europea – arrivi all’accettazione definitiva del progetto di trattato, dando prova, così, di comprendere lo slogan “una Polonia forte in un’Europa forte”.

Uno dei principali risultati di quest’intesa sarà rendere giuridicamente vincolante la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e sono lieto che il Presidente del Parlamento europeo, il Presidente della Commissione e la Presidenza stiano organizzando una cerimonia congiunta di promulgazione della Carta, nel corso di una seduta plenaria del Parlamento. Questa è la riprova di quanto sia importante questo documento, che tratta tematiche quali dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, diritti dei cittadini e amministrazione della giustizia.

Di conseguenza, non capisco e non condivido la posizione assunta dal governo polacco, che richiede una deroga dagli obblighi sanciti al capo IV della Carta, intitolato Solidarietà, laddove siano coinvolti cittadini polacchi. Il capo IV contiene provvedimenti particolarmente cari alla sinistra polacca ed europea, relativi ai diritti sindacali e dei lavoratori. Un governo saggio dovrebbe avere a cuore di fornire ai propri cittadini una tutela maggiore e più efficace dei diritti dei lavoratori, soprattutto in un paese come la Polonia, la cui libertà è stata conquistata dall’insurrezione dei lavoratori di Solidarność. Pertanto, faccio appello al governo polacco perché modifichi la propria posizione in merito.

 
  
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  Maria da Assunção Esteves (PPE-DE).(PT) Il Vertice informale di Lisbona potrebbe chiudere un periodo tormentato, in cui l’ambizione europea si è scontrata con la crisi. Il nuovo Trattato di riforma non avrà il potenziale necessario per ristrutturare l’Europa; per quello occorrerebbe una Costituzione europea. Il nuovo Trattato è un risultato inferiore alle aspettative, rispetto alla perduta Costituzione; è un piccolo passo nella storia, anziché un grande passo; questo trattato è tutto ciò che ha potuto essere e non già tutto ciò che avrebbe dovuto essere. Ciononostante, rappresenta un certo progresso in termini di adattamento delle istituzioni europee alle nuove sfide geopolitiche e al futuro dibattito.

Dobbiamo riconoscere che l’elemento emozionale insito nel referendum ha limitato l’elemento puramente razionale della rappresentanza politica. L’opinione pubblica era mal preparata a un approccio visionario e cosmopolita, il che ci ha indotti a optare per un processo più timoroso e chiuso, rispetto a quello della Convenzione che ha preparato il terreno per una Costituzione. E’ bene che questo punto venga tenuto presente da coloro che si siederanno attorno al tavolo in occasione della prossima riunione del Consiglio europeo. Il compito del Consiglio è ora quello di assicurare l’unità necessaria per il trattato – secondo una logica di restrizione al minimo delle eccezioni; di evitare, nelle deroghe dalla Carta, un’erosione occulta del senso dei gentlemen’s agreement originali, dovuta alle clausole di opt-out (come nel caso del compromesso di Ioannina), e di garantire che il trattato sia di natura unitaria e non frammentata.

Sempre al Consiglio spetta la responsabilità di coordinare la ratifica del trattato; elemento essenziale al fine di evitare un cambiamento di rotta nella traiettoria europea così cara a tutti i cittadini. E’ arrivato il momento di accettare che la legittimità dell’Europa risiede soprattutto nei valori universali che difende, nella coerenza delle sue istituzioni democratiche e nel progetto condiviso di giustizia globale, frutto, per l’appunto, di un eccellente raziocinio. Questa è la legittimità dell’Europa.

 
  
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  Józef Pinior (PSE). - (PL) Signor Presidente, vorrei unirmi ai miei colleghi nel congratularmi con la Presidenza portoghese per le modalità con cui ha gestito il processo che ha portato al raggiungimento di un compromesso sul trattato dell’Unione. Era senz’altro un processo molto difficile che ha richiesto un enorme sforzo per giungere a un’intesa.

Questo non è certo il trattato dei nostri sogni, tanto meno un trattato che illustra le prospettive e i sogni degli europei di oggi. Tuttavia, è ciò di cui disponiamo al momento lungo il cammino che separa i nostri sogni dalla realtà dell’Unione europea. Sono convinto, e mi auguro, che questo trattato verrà approvato da tutti gli Stati europei.

Nel frattempo, oggi, qui in seno al Parlamento europeo, devo esprimere la mia ferma opposizione alla dichiarazione di non accettazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE da parte dal governo di Varsavia. Non possumus, proclamo il mio non possumus in seno al Parlamento europeo in qualità di attivista di Solidarność del periodo del regime militare. La Polonia ha indicato la via verso la libertà e la democrazia a tutta l’Europa e oggi il governo polacco ha l’audacia di affermare che non applicherà la Carta dei diritti fondamentali nel nostro paese, nella mia madre patria. Protesto contro questa dichiarazione, a nome di quella parte della popolazione polacca, uomini e donne, che non accetterà mai una Polonia svincolata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

 
  
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  Panayiotis Demetriou (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei congratularmi con la Presidenza portoghese per la determinazione, la sollecitudine e l’intraprendenza dimostrate. E’ merito suo se oggi abbiamo un testo di trattato di riforma da sottoporre alla Conferenza intergovernativa di Lisbona. Mi auguro che i governi convenuti sapranno essere all’altezza dell’occasione, assumendosi le loro responsabilità, per farci riemergere dallo stallo in cui ci troviamo ora.

Mi preme inoltre assicurare alla Presidenza portoghese che la stragrande maggioranza dei deputati di questo Parlamento è schierata al suo fianco e auspica un esito positivo del processo. Prima di tutto, ci occorre un accordo e poi la ratifica da parte di tutti gli Stati.

Ho ascoltato numerose osservazioni in merito agli sforzi tesi a un’ulteriore unificazione dell’Europa e sono rimasto sorpreso da coloro che celano il loro anti-europeismo invocando il meglio per affossare il buono. Che siano onesti. Se il livello di unificazione o integrazione dell’UE non li soddisfa, lasciamo pure che Regno Unito, Francia, Germania e Polonia affrontino da sole le sfide della globalizzazione. Vediamo come assicureranno la pace nel momento in cui le rivalità nazionalistiche ci condurranno ancora una volta alla crisi e forse alla guerra.

Dobbiamo renderci conto che la visione dell’UE non può essere semplicemente ricacciata sotto il tappeto: è necessario promuoverla e concretizzarla. Il nostro obiettivo è quello di progredire in maniera costante, cosicché tutti questi Stati e queste popolazioni si trovino ad affrontare un futuro globale, anziché meramente europeo, sulla base di principi e valori. Questa è la visione che dobbiamo promuovere e il Parlamento europeo sarà al suo fianco, Primo Ministro.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, è molto bello vedere il mio nome iscritto accanto a quello di un Sottosegretario di Stato e di un Commissario – è un momento importante!

Vorrei fare tre riflessioni, se me lo permettete. Ho partecipato a tre conferenze intergovernative, in qualità di funzionario statale. L’idea che mi sono fatto delle conferenze intergovernative è che per gli ultimi 25 anni, abbiamo preparato, negoziato o ratificato un nuovo trattato. Non so voi – onorevole Corbett e gli altri onorevoli colleghi – ma personalmente comincio a risentire di un certo affaticamento da CIG. E’ necessario concludere la questione. Ci sono state troppe CIG; di continuo. Io non sono contrario al cambiamento, tutt’altro, ma arrivati a un certo punto è necessario fermarsi e ponderare e credo che fra due settimane finiremo per fare esattamente questo.

La mia seconda osservazione è che, certo, sarei stato felice di avere una Costituzione, ma accontentiamoci del Trattato riformato così com’è. Esso costituisce comunque un grande miglioramento rispetto alla situazione attuale. Ovviamente, tutti noi abbiamo delle critiche da muovere al Trattato, non da ultimo sugli opt-out e in merito al suo essere più o meno complesso rispetto alla situazione attuale. Tutti noi abbiamo le nostre perplessità, ma ricordate: è un documento molto incisivo in materia di politica estera; ci conferisce una personalità giuridica; diritti fondamentali – perlomeno ad alcuni di noi – e amplia il ricorso alla votazione a maggioranza qualificata. Tutto è perfettibile, è chiaro, ma questo Trattato riformato è ciò che abbiamo. Pertanto, mi rivolgo al Regno Unito e alla Polonia dicendo loro: “Riflettete ed accettatelo”.

Infine, sono fermamente convinto che sia giunto il momento di ripristinare la fiducia fra gli Stati membri. Abbiamo preso una china negativa sin dai negoziati di Nizza, dove Davide si scontrava con Golia. Ebbene, credo sia tempo di sotterrare l’ascia di guerra e ripristinare quella fiducia reciproca che contrassegnava i nostri rapporti prima di Nizza. E’ il momento di placare le istituzioni, risolvere i problemi e concentrarsi davvero sulla creazione delle politiche.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. – (PT) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, innanzi tutto vorrei ringraziare i deputati del Parlamento europeo per il loro significativo sostegno agli sforzi e all’operato della Presidenza portoghese in vista della Conferenza intergovernativa, che condurrà, ci auguriamo, all’approvazione di un nuovo trattato per la nostra Unione.

A coloro che si sono espressi in maniera meno favorevole, o addirittura contraria, vorrei assicurare che la Presidenza prenderà nota, come è nostro dovere fare, di tutte le preoccupazioni e le critiche, ritenendo che esse stesse siano contributi al nostro operato e ai nostri sforzi e, come tali, meritino di essere prese in considerazione.

Credo sia stato l’onorevole Graham Watson ad affermare in questa sede che il Primo Ministro portoghese stesse preparando il proprio esercito in vista della battaglia della Conferenza intergovernativa del 18 e 19 ottobre. E’ un modo di vedere la questione e io devo ammettere che mi sento un soldato di quell’esercito e che mi auguro che molti altri soldati qui presenti si uniranno al nostro esercito, cosicché a Lisbona si possa davvero ottenere un nuovo trattato per l’Unione europea.

I giuristi e gli esperti hanno terminato il loro lavoro nell’ambito della Conferenza intergovernativa. Ora tocca ai politici pronunciarsi sul piano della giustizia e sono sicuro che sia i politici sia i governi saranno all’altezza delle loro responsabilità. E’ stato detto in questa sede che non possiamo fallire e la Presidenza portoghese sottoscrive tale affermazione. Non possiamo fallire e riusciremo a elaborare un accordo che, ne sono certo, riscuoterà un consenso unanime; non potrebbe essere altrimenti.

Terremo in considerazione le sensibilità, gli interessi e i timori di tutti. Nessuno verrà trascurato. Pertanto, come dicevo, confidiamo in un successo, considerata la sensazione che un dibattito protrattosi forse da troppo tempo necessiti di essere concluso, nonché l’urgenza ampiamente percepita di creare uno spirito di costruzione, unione ed energia positiva, che ci permetta di affrontare i numerosi altri problemi che incontreremo in futuro e che sono già stati citati in precedenza: cambiamento climatico, questione energetica, immigrazione e la nostra riforma interna, essenziale per far fronte alle problematiche più generali legate alla globalizzazione. Sono sicuro che l’urgenza rispetto alla conclusione di un trattato che ci sproni a vincere altre battaglie, verrà percepita anche a Lisbona e che quando ci ritroveremo qui, in occasione della prossima plenaria, saremo in grado di portarvi notizie positive, buone notizie.

Ringrazio ancora una volta i deputati del Parlamento europeo per il sostegno offerto al nostro gruppo di giuristi, sostegno che sono certo non verrà meno neanche nelle fasi successive, come dichiarato da numerosi oratori.

Solo una parola sulla strategia di Lisbona, per poter ringraziare l’onorevole João de Deus Pinheiro per il suo intervento. Introdurremo un nuovo elemento nel dibattito sulla strategia di Lisbona, correlato alla dimensione della politica estera della suddetta strategia. Si tratta di un elemento strettamente connesso all’esigenza di redigere delle norme, di regolamentare materie finora non regolamentate, al fine di promuovere un effettivo progresso, stabilità sociale ed economica e pace in un mondo ordinato e regolamentato, in cui le leggi e le norme siano chiare a tutti, perché tutti noi dobbiamo, per così dire, partecipare, affinché il mondo che andiamo costruendo sia un mondo più giusto per tutti.

Come ho detto, sarò qui con la Presidenza. So che anche il Primo Ministro del Portogallo ha intenzione di presenziare, pertanto parteciperemo insieme alla prossima seduta plenaria ed entrambi confidiamo di poter annunciare che l’Unione europea ha un nuovo trattato: il trattato di riforma.

 
  
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  Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, la ringrazio per l’interessante dibattito. E’ sempre molto istruttivo e posso assicurarle che ne renderò conto alla Commissione. Ho preso scrupolosamente appunti, di modo che si possa approfondire il discorso all’incontro che si terrà in Lussemburgo lunedì prossimo.

Ho sentito tre interrogativi diretti a cui vorrei tentare di rispondere al meglio. Il primo riguarda il coinvolgimento del Parlamento nella procedura di nomina del primo Alto rappresentante. Il Trattato, in questo, rispecchia il testo del 2004. Sono sicura che quando arriverà il momento, ognuno vorrà trovare una soluzione pragmatica e politica in grado di soddisfare tutte le parti. Ricorderete, di certo, il precedente di Commissari nominati a seguito dei recenti allargamenti. Anche in quel caso, il Parlamento ha tratto soddisfazione nella pratica, sebbene i testi giuridici non fossero chiari. Ritengo sia nel nostro interesse assicurarci che il Parlamento rivesta un ruolo soddisfacente in tutta questa procedura.

Il secondo interrogativo riguardava l’articolo 24 del Trattato, relativo alla protezione dei dati personali in materia di sicurezza. In proposito, perlomeno, posso rispondere a nome della Commissione, che comprende i timori del Parlamento in merito alle misure relative alla trasmissione di dati confidenziali da parte degli Stati membri. Nella forma attuale, l’articolo 24 del Trattato UE permette unicamente al Consiglio di definire i ruoli in questo campo, senza alcuna possibilità di intervento da parte del Parlamento europeo. Questo nuovo provvedimento deriva, ovviamente, dal mandato della CIG. Interessa unicamente gli Stati membri, mentre le istituzioni europee restano soggette al regime generale e la procedura prevista attiene al regime specifico che esiste in materia di politica estera e di sicurezza comunitaria. Qui, ciò significa che la competenza della Corte è limitata. Temo ci sia poco margine per modificare la sostanza di quanto concordato nel mandato, ad ogni modo, mi preme assicurarvi che la lettura che diamo di questo articolo non comprende, ad esempio, l’accordo tra UE e Stati Uniti in merito alle liste passeggeri. Tale accordo, al momento, poggia su una base giuridica che attiene al terzo pilastro, pertanto, secondo il punto di vista della Commissione, ricadrà, in futuro, sotto la normale competenza del PE e della Corte. E’ questo, dunque, l’avviso della Commissione in proposito.

Dalla posizione in cui sono seduta posso vedere tutti i nostri ospiti. Non sono del tutto sicura della nostra capacità di spiegare chiaramente che cosa stiamo discutendo in questa sede, ma di una cosa sono certa, che i nostri visitatori abbiano percepito il tipo di frustrazione che deriva da questo dibattito: alcuni si ritengono molto soddisfatti, poiché lo reputano un buon compromesso, altri, invece, non lo ritengono abbastanza e sono delusi, altri ancora sostengono che stiamo facendo il passo più lungo della gamba. Ovviamente, esso rispecchia la complessa situazione politica e il difficile gioco politico scaturito da un lungo periodo dedicato all’effettiva discussione su come adattare i nostri processi decisionali all’allargamento dell’Unione europea a 27 Stati membri; su come sia possibile integrare anche le nuove problematiche emerse di recente, come il cambiamento climatico e la questione energetica, e su come possiamo essere più aperti ed efficaci.

Tutti questi visitatori mi ricordano anche che, qualunque sia il risultato – e noi riteniamo e auspichiamo, con l’aiuto della Presidenza portoghese, di ottenere un risultato positivo, di riuscire a approvare un nuovo trattato di riforma – dovremo imparare a comunicare; dovremo impegnarci nei confronti dei cittadini a fare del nostro meglio per essere chiari. Mi auguro che la Commissione e il Parlamento europeo saranno in grado di pianificare insieme anche le attività di comunicazione, facendo in modo che venga prodotto un testo della massima accessibilità e leggibilità; che riusciremo a creare un dibattito di matrice europea, nella speranza che possa essere seguito anche in altri Stati membri, e con un chiaro impegno politico da parte di tutti noi, di tutte le istituzioni, ad occuparci dei cittadini: spiegando, perorando e anche ascoltando. Sarà questo il nostro ruolo d’ora in poi.

Questo è soltanto l’inizio. Ci aspettano ancora la fase di ratifica e di attuazione. Tuttavia, è opinione mia e della Commissione, che questo sia un buon trattato di riforma – non perfetto: si tratta, certamente, di un compromesso, avremmo preferito che non ci fossero opt-out, bensì un sentito sostegno ai principi contenuti nella Carta dei diritti fondamentali, soprattutto; comunque sia, siamo giunti a un compromesso, a un accordo fra tutti gli Stati membri – e ora cercheremo di trarne il massimo.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. − Questo punto dell’ordine del giorno è chiuso.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Alexandra Dobolyi (PSE), per iscritto. (HU) L’Ungheria ha sempre sostenuto il Trattato costituzionale – o, nella sua nuova formulazione, il trattato di riforma. E’ interesse dell’Ungheria, nonché obiettivo dell’Unione, salvaguardare la pace e i nostri interessi fondamentali e promuovere il benessere dei cittadini dell’Unione, già circa 500 milioni di persone. L’Europa è cambiata ed è cambiato anche il mondo. E’ necessario far fronte alle nuove minacce poste alla sicurezza con nuove strategie e nuove politiche. L’Europa deve prepararsi al cambiamento in ogni settore.

Ritengo che il Trattato di riforma possa contribuire a tracciare il cammino dell’Europa, definendone il contesto operativo e la politica per il futuro, nonché a creare quell’Europa in cui vorremmo vivere e prosperare.

Reputo importante che i capi di Stato e di governo agiscano in maniera responsabile al Vertice informale del 18 e 19 ottobre, accantonando i loro storici rancori per giungere a una decisione unanime in merito al testo finale del trattato di riforma, che porrà l’Unione sulla strada giusta.

Gli obiettivi del Vertice sono l’adozione del testo del trattato di riforma – per rafforzare, così, l’efficacia dell’Unione europea allargata – nonché il potenziamento del ruolo del Parlamento europeo, unico organo eletto, e dell’azione esterna dell’Unione. Il Parlamento europeo ha garantito finora e continuerà a garantire il suo pieno sostegno al processo costituzionale e alla creazione del Trattato di riforma e confida nel fatto che i 27 Stati membri lo ratificheranno il più presto possibile. I rappresentanti dei gruppi parlamentari assicureranno la presenza del Parlamento al Vertice di Lisbona, sostenendo, anche in questo modo, la creazione del Trattato di riforma.

Il punto cruciale è che necessitiamo di un’Europa i cui 27 Stati membri si sentano spinti da una responsabilità congiunta a muovere insieme i passi adeguati per la creazione di un futuro migliore.

E’ giunto il momento e dobbiamo darne prova a Lisbona!

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. (FR) Il progetto di trattato modificativo corrisponde esattamente al mandato approvato dai ventisette nel giugno scorso. Traduce alla lettera il loro impegno politico e deve consentire all’Unione europea di uscire dall’impasse istituzionale in cui si trova da più di dieci anni.

Io domando insistentemente ai membri del Consiglio europeo di tener fede alla parola data, rinunciando a sollevare in extremis questioni che esulano dal mandato.

Non è più tempo dei piccoli accomodamenti dell’ultimo minuto, dei repentini rigurgiti nazionalistici, o del ripiegarsi su se stessi, che, moltiplicando le deroghe di favore, rischierebbero di compromettere del tutto la coerenza di questo nuovo trattato.

L’adozione di questo testo deve rispettare il calendario prefissato, in vista di un’entrata in vigore del “Trattato di Lisbona”, il 1° gennaio 2009.

Dobbiamo concentrarci fin da subito sulla sensibilizzazione dei nostri concittadini, che sono divenuti ormai più esigenti e più critici riguardo all’Unione europea. Hanno bisogno di spiegazioni e noi dobbiamo fornirgliele, mostrando un approccio pedagogico.

A ciascuno di noi il compito di condividere il proprio entusiasmo all’interno di questo nuovo contesto, caratterizzato sia da un ritorno dello spirito europeo, sia dall’imperativo della trasparenza democratica.

 

17. Composizione del Parlamento
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Alain Lamassoure e Adrian Severin, a nome della commissione per gli affari costituzionali, in merito alla composizione del Parlamento europeo [(2007/2169(INI)] (A6-0351/2007).

 
  
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  Alain Lamassoure (PPE-DE), relatore. (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta che esaminiamo oggi è la risposta a un invito del Consiglio europeo del giugno scorso. L’articolo 9 A del progetto di trattato prevede che in futuro la composizione del Parlamento derivi dal diritto secondario. Sarà una decisione del Consiglio, presa all’unanimità, su iniziativa del Parlamento e con il suo parere conforme. Il Consiglio ci invita a illustrare il funzionamento di questa procedura. Vuole vederci affrontare questo punto scottante.

Per il nostro Parlamento, è una vera e propria sfida politica. Siamo in grado di concepire una riforma che interessi noi stessi? L’ultima volta che siamo stati invitati a farlo è stato nel 2000 e il Parlamento non ci è riuscito. Ecco perché il voto ottenuto in seno alla commissione AFCO è già di per sé un considerevole risultato politico. Abbiamo ottenuto un’ampia maggioranza: due terzi sul voto finale e tre quarti sul punto principale, la ripartizione dei seggi, in termini numerici, fra gli Stati membri.

Qual è il problema che ci troviamo ad affrontare? Ricordiamo, innanzi tutto, che il Parlamento attuale, composto da 785 membri, non è più conforme al nuovo contesto giuridico scaturito dal trattato di Nizza modificato. Sarebbe proprio quest’ultimo il sistema d’applicarsi, sulla base di 736 deputati, in mancanza di nuove decisioni. Finora, sia in seno al Consiglio sia al Parlamento, gli Stati membri sono stati suddivisi in categorie di paesi: un paese di dimensioni enormi, alcuni grandi e altri paesi medi, piccoli eccetera. Ogni categoria dispone del medesimo diritto di voto all’interno del Consiglio e dello stesso numero di seggi al Parlamento.

Presto non sarà più così! Rispetto a questo sistema, il futuro trattato introduce due tipi di innovazione. Da una parte, cambiano le cifre: un massimo di 750 deputati, nonché un limite massimo di 96 e minimo di 6 seggi per Stato membro. Dall’altra, viene introdotto un nuovo principio: tra il limite massimo e quello minimo di seggi, gli Stati membri dovranno essere rappresentati in base a una proporzionalità degressiva, e spetta a noi, Parlamento, definire oggi questo principio, ovvero scegliere la dose di proporzionalità e la dose di degressività, o ancora il grado di sovrarappresentanza dei paesi meno popolati e il grado di sottorappresentanza di quelli più popolosi.

La vostra commissione propone di tradurre tale principio come segue: innanzi tutto, i limiti minimi e massimi stabiliti dal trattato devono essere pienamente utilizzati. In particolare, l’impiego del plafond di 750 seggi ci permetterà di disporre di una piccola riserva di seggi, in modo da poter applicare il principio di proporzionalità degressiva senza ridurre il numero di seggi di alcun paese. Si tratta di una scelta politica fondamentale, assolutamente necessaria per ottenere l’unanimità in seno al Consiglio europeo.

In secondo luogo, più un paese è popolato, più ha diritto a un numero elevato di seggi, è chiaro. Inoltre, quanto più popoloso è un paese, tanto più cospicuo è il numero di persone rappresentato da ciascuno dei deputati europei. Così, al momento, un deputato spagnolo rappresenta più di 875 000 persone, signor Presidente, laddove un deputato tedesco ne rappresenta solo 832 000. Ora, la popolazione della Germania risulta essere il doppio di quella della Spagna. Questa anomalia sarà corretta dall’attribuzione di quattro seggi supplementari alla Spagna. In tutto, sono dieci i paesi interessati dagli aumenti proposti.

Siamo pienamente coscienti del fatto che sia solo una soluzione provvisoria. Sarebbe auspicabile elaborare una formula quasi matematica, da applicarsi automaticamente agli allargamenti futuri, ma le scadenze troppo brevi che ci erano state imposte non ce l’hanno permesso. La risoluzione formula, comunque, delle raccomandazioni in merito. Allo stesso modo, abbiamo dovuto ricorrere alle sole cifre demografiche disponibili, quelle di Eurostat, in mancanza di cifre fornite dai cittadini. L’onorevole Adrian Severin svilupperà ulteriormente questo punto.

Infine, ci preme mettere in guardia i nostri colleghi contro gli emendamenti che contraddicono i principi fondamentali della relazione e che, a seconda del caso, avvantaggerebbero in maniera anormale i grandi paesi rispetto ai piccoli, o viceversa, rendendo vano tutto il nostro lavoro, poiché in mancanza dell’unanimità in seno al Consiglio, resteremo con i 736 seggi del trattato di Nizza.

Quindi, di grazia, onorevoli colleghi, rinunciamo alle rivendicazioni nazionali. Abbiamo passato il pomeriggio a proclamarci l’unica istituzione democratica che difende l’interesse europeo di fronte alle altre istituzioni, al disopra degli egoismi nazionali. Ebbene, oggi, in questa sede, ci viene offerta l’occasione ideale per dimostrare che sappiamo far seguire i fatti alle parole.

(Applausi)

 
  
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  Adrian Severin (PSE), relatore. (EN) Signor Presidente, le nostre proposte – quella dell’onorevole Lamassoure e la mia – confermate dalla commissione per gli affari costituzionali, apportano una serie di miglioramenti alle attuali pratiche relative alla composizione del Parlamento europeo. Se adottate e opportunamente valorizzate, non ci saranno più raggruppamenti artificiosi, né negoziati arbitrari, tanto meno allargamenti a scapito dell’efficienza del Parlamento europeo, il cui numero di deputati è in costante aumento. Ci sarà maggiore rappresentatività, sulla base delle realtà demografiche e non su relazioni giuridiche nominali o simboliche, maggiore solidarietà fra Stati grandi e piccoli, derivante dalla proporzionalità degressiva della rappresentanza, e piena legittimazione in virtù della rappresentanza civica, legata al fatto che il Parlamento europeo viene eletto dai cittadini europei.

E’ bene notare la differenza tra la legittimazione democratica del Parlamento europeo, basata sul voto dei cittadini europei, e la rappresentatività nazionale in seno al Parlamento europeo, legata alle realtà demografiche all’interno degli Stati membri. Noi, in quanto Parlamento europeo, rappresentiamo sia i cittadini che gli Stati.

(Mormorii di dissenso)

Vedete? L’immediata reazione è che alcuni parlano solo di cittadini e altri solo di Stati. Noi siamo al contempo un Bundestag e un Bundesrat. Forse, in futuro, sarà opportuno considerare una netta separazione di questa dimensione, ma per il momento – una volta accettato che siano i cittadini a votare e che la proporzionalità degressiva tenga conto delle dimensioni delle comunità che abitano i territori nazionali – mi spiace, ma rappresentiamo entrambi.

Certo, in questo contesto, resta ancora da chiarire il concetto di cittadinanza europea e mi auguro che venga fatto nell’immediato futuro. La nostra relazione, comunque, non ha carattere provvisorio, bensì transitorio. E’ transitoria poiché, pur reputando duraturi i principi che abbiamo definito, ritengo necessario progredire e sono sicuro che in futuro sapremo sviluppare ulteriormente quanto già proposto. Per questo, abbiamo previsto una serie di clausole di revisione che a nostro parere – mio e dell’onorevole Lamassoure – garantiranno flessibilità, adattabilità e un futuro progresso nelle modalità di composizione del Parlamento.

La presente relazione non penalizza nessuno. Forse premia coloro che si avvalgono di una migliore politica demografica e in questo senso costituisce senz’altro un invito ad elaborare migliori politiche demografiche, che includano anche la politica d’immigrazione. Sono dell’avviso che non ci siano vinti – né, forse, vincitori – in termini di gioco a somma zero. A fronte di un Parlamento legittimato in maniera maggiormente democratica, saremo tutti vincitori.

Sono stati presentati degli emendamenti. Alcuni colleghi vorrebbero veder ridotta la degressività a vantaggio della proporzionalità – maggiore proporzionalità significa più seggi per i paesi più grandi. Altri vorrebbero maggiore degressività e minore proporzionalità – maggiore degressività significa più seggi per i paesi più piccoli. Pertanto, ritengo si debbano rigettare entrambe le opzioni estreme, a favore della soluzione che, per quanto imperfetta, e anch’io concordo nel ritenerla tale, rappresenta comunque, per il momento, la migliore. Mi riferisco a quella proposta da me e dall’onorevole Lamassoure. Alcuni, in relazione alla base di riferimento, auspicano che tutti i cittadini nazionali, a prescindere dal paese di residenza, vengano presi in considerazione. Altri vorrebbero veder presi in considerazione tutti gli abitanti del loro paese. Altri ancora cercano di far considerare solo i cittadini europei residenti in un determinato paese. C’è dunque divisione in proposito. L’unica soluzione è attenersi alle pratiche effettive e alle cifre concrete di Eurostat.

Infine, c’è chi si batte per il prestigio politico e ritiene che una rappresentanza non eguale all’interno di questo Parlamento si traduca in un peso non eguale a livello politico. A mio avviso, una volta accettata la degressività – degressività proporzionale – questi raggruppamenti artificiosi non potranno più sussistere. Se non adottiamo questa risoluzione, temo passi il messaggio che il Parlamento europeo non è in grado di adottare riforme importanti e che deve sempre aspettare che sia l’istituzione esecutiva a decidere in merito. Temo che la CIG subirà un’iniziale sconfitta prima ancora di aver preso in considerazione le questioni in agenda e che questo fallimento possa essere il preludio a una disfatta totale. Temo che tutti ripiegheranno su Nizza e non su sogni illusori. Temo che ciò si traduca in un messaggio di divisione tra paesi grandi e piccoli, in grado di minare qualsiasi sogno di unità, giustizia e integrazione. Pertanto, vorrei concludere con un invito a tutti i miei colleghi, facendo appello al nostro senso di responsabilità europeo e di solidarietà europea. Hic Rhodus, hic salta! Rodi è qui, ed è qui che dobbiamo dar prova di essere veri europei e non dando lezioni alla Commissione e al Consiglio.

 
  
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  Ingo Friedrich, a nome del gruppo PPE-DE. (DE) Signor Presidente, la relazione fornisce molte delucidazioni per le quali mi sento di esprimere la mia più sincera gratitudine a entrambi i relatori, gli onorevoli Lamassoure e Severin. Si evince in maniera chiara che i limiti superiori e inferiori stabiliti vengono costantemente superati. Vorrei esprimere un ringraziamento particolare proprio per questo chiarimento, che ritengo molto importante per tutti noi.

In secondo luogo, dalla relazione possiamo trarre due conclusioni. Innanzi tutto, quanto meno degressiva è la scala adottata, ovvero tanto più ci si orienta alla proporzionalità, tanto più autentica è l’autorità e la legittimità del Parlamento. La diatriba riguardo al grado di degressività necessario – più o meno elevato – dev’essere ricomposta di continuo ed è logico a questo punto asserire che tanto minore sarà la degressività, tanto maggiore sarà la legittimità. Come cittadino tedesco, poi, non posso non aggiungere che il fatto che i tedeschi siano gli unici a ottenere di meno rispetto alla piattaforma di Nizza costituisce un aspetto in qualche modo problematico. Necessiteremmo di un po’ più di sostegno in proposito, poiché il dibattito sulla stampa tedesca è molto esplicito a riguardo. Ad ogni modo, accetteremo questa realtà perché anche noi siamo convinti che la dimensione europea sia più importante di tutte le altre.

Infine, due osservazioni che credo dovremo tenere presenti in futuro. Prima di tutto, dobbiamo seriamente adoperarci per l’ottenimento di un sistema logico sul lungo periodo, che non debba essere rinegoziato di continuo. In secondo luogo, ci sono due emendamenti controversi, il n. 2 e il n. 3. Il nostro gruppo ha deciso che, a prescindere dall’esito della votazione in merito a queste due materie controverse, si esprimerà a favore della relazione Lamassoure-Severin. Il Consiglio non ha scuse. L’esito dell’emendamento 2, che differisce solo in minima parte dalle cifre riportate nella relazione Lamassoure, sarebbe la ricezione, da parte del Consiglio, di una comunicazione del Parlamento per il periodo 2009-2014. Pertanto, a mio giudizio, il nostro Parlamento e tutti i gruppi hanno assolto, nel complesso, ai loro compiti e il Consiglio è libero di decidere, se ritiene.

Vi ringrazio per aver reso possibile una discussione civile su una materia tanto difficile!

 
  
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  Richard Corbett, a nome del gruppo PSE. (EN) Signor Presidente, a nome del gruppo PSE, vorrei esprimere il mio sostegno a questa relazione. Il gruppo che rappresento voterà in suo favore e tutti noi ci auguriamo che questo testo, adottato da una maggioranza del 70 per cento all’interno della commissione, possa ora essere approvato da una maggioranza altrettanto significativa in seno al Parlamento tutto.

I relatori si sono concentrati – a ragione, visti i vincoli giuridici imposti dal nuovo Trattato e quelli temporali imposti ora, prima della conclusione della CIG – sulla correzione delle principali anomalie nell’attuale distribuzione dei seggi, anziché avanzare proposte in merito a una radicale revisione del sistema, che avrebbe condotto unicamente a uno stallo della CIG, ponendo a repentaglio l’approvazione e la ratifica del nuovo trattato.

In particolare, nessuno Stato membro vedrà alcuna riduzione nel numero di seggi loro attribuiti in forza degli attuali trattati in termini di distribuzione dei seggi dal 2009 in poi – tranne, ovviamente, laddove stabilito dal trattato stesso per la Repubblica federale di Germania. Con quest’unica eccezione, nessun paese subirà riduzioni rispetto a quanto già previsto nel trattato per il 2009.

Ora, in effetti, alcuni nostri colleghi stanno cercando di guadagnare seggi per i propri Stati membri, sostenendo che la popolazione del loro paese sia aumentata improvvisamente, diventando molto più elevata di quanto noi tutti avessimo supposto in precedenza, superando addirittura le cifre Eurostat utilizzate da tutte le parti in causa, compreso il Consiglio.

Altri sostengono, per ragioni di prestigio nazionale, di aver diritto al medesimo numero di seggi di un altro particolare Stato membro. Devo confessare che l’atteggiamento del governo italiano mi lascia molto sorpreso. A quanto pare, il Presidente Prodi, e alcuni deputati italiani qui presenti, hanno sostenuto che sia essenziale per l’Italia disporre dello stesso numero di seggi della Francia e del Regno Unito. Eppure, essi hanno accettato – come tutti noi – il principio della proporzionalità degressiva: proporzionalità legata alla popolazione. Io accetto che il mio paese abbia un seggio in meno della Francia, sebbene finora il numero di seggi fosse il medesimo. Non vedo per quale motivo debba essere così difficile per l’Italia accettare di avere meno seggi della Francia esattamente per la stessa ragione. E mi sorprende che il governo di un paese che si è eretto spesso ad esempio per tutti noi in termini di spirito communautaire, che si è vantato di avere un forte impegno a livello europeo, di non essere nazionalista e di anteporre sempre l’Europa ai propri interessi nazionali, sostenga ora, come affermato dal Presidente Prodi, che l’Italia, per ragioni di prestigio nazionale, debba avere lo stesso numero di seggi della Francia e del Regno Unito, malgrado le nette differenze di popolazione.

Per concludere, vorrei esortare questo Parlamento a sostenere questa relazione, rigettando gli emendamenti e inviando un segnale chiaro e forte al Consiglio europeo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MECHTILD ROTHE
Vicepresidente

 
  
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  Andrew Duff, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signora Presidente, anche il gruppo ALDE sosterrà la proposta Lamassoure-Severin. La CIG ci sta domandando di modificare la nostra composizione per adeguarci alle condizioni del Trattato di riforma, ed è una richiesta perfettamente legittima. Noi tutti, in quanto Parlamento, dobbiamo rispondere inviando un segnale chiaro e forte, a riprova della nostra capacità di prendere una decisione tanto complessa e coraggiosa.

Non esiste una formula pura, definitiva. Il paragrafo 6 offre una definizione attuabile e sensata del concetto di proporzionalità degressiva. Ovviamente, anch’io ammetto che alcune delegazioni nazionali tentino di migliorare la propria posizione in classifica, ma è chiaro che tutte queste proposte sono tra loro inconciliabili. Chiunque cerchi di alterare il sistema è destinato a fallire. La proposta D’Hondt attribuirebbe troppo peso agli Stati più grandi, e vorrei ricordare all’onorevole Friedrich che la sua proposta viola il principio del Trattato, relativo alla proporzionalità degressiva. Il sistema della radice quadrata conferisce troppo potere agli Stati più piccoli.

Convengo pienamente sul fatto che gli italiani sollevino un punto interessante riguardo alla base statistica e che dovremo prendere in esame, come Parlamento, la distinzione tra cittadini, residenti e aventi diritto al voto. Tuttavia, la questione è estremamente complessa e tocca pesantemente la sovranità nazionale in materia di legge elettorale e cittadinanza. E’ impossibile risolvere un problema di tale portata nell’arco di una settimana, prima della conclusione della CIG.

Alla CIG, farà seguito una relazione della commissione affari istituzionali, della quale ho il privilegio di essere stato nominato relatore, che potrà affrontare tutte queste questioni e proporre una riforma del diritto primario del 1976. Ma tutto questo riguarda il lavoro dell’anno prossimo e non l’attuale stato delle cose.

Nel frattempo, forniamo un solido sostegno alla proposta e inviamo alla CIG una soluzione, anziché un problema.

(Applausi)

 
  
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  Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. (EN) Signora Presidente, vorrei unirmi ai miei colleghi nel ringraziare i correlatori per gli sforzi compiuti nell’affrontare una materia molto difficile e complessa.

In fondo, malgrado quello che sostengono alcuni colleghi, i tacchini non votano a favore del Natale, dunque perché mai uno Stato membro del Parlamento europeo dovrebbe aspirare a vedersi sottrarre dei seggi? C’è un ragionamento legittimo dietro al desiderio di coloro che cercano di aggiudicarsi il più alto numero di seggi possibile all’interno di ciascuna categoria nazionale. Userei molta cautela prima di denigrare quell’atteggiamento da parte di chiunque. Se non altro perché, guardando ai cambiamenti intercorsi dalla prima elezione diretta del Parlamento europeo nel 1979, ci sono stati straordinari mutamenti di tendenza a livello demografico e di popolazione all’interno dell’Unione europea, non da ultimo per via dell’allargamento verso l’Europa dell’est nel 2004, che ha permesso la libera circolazione di così tanti cittadini di altri paesi, fattore che ha alterato considerevolmente le popolazioni.

Ritengo che uno degli aspetti più delicati di cui dobbiamo discutere (e possiamo discutere di proporzionalità degressiva fino alle calende greche) è che finora c’è sempre stato un equilibrio tra le diverse istituzioni – e anche un equilibrio tra Stati membri più grandi e più piccoli – per garantire che nessuna istituzione godesse del totale predominio su un’altra, o che uno Stato membro più grande soverchiasse quelli di medie e piccole dimensioni. Ecco perché è importante mantenere questo equilibrio, per quanto possibile.

Apprezzo il fatto che i relatori abbiano incluso, in un emendamento di compromesso, l’idea di mantenere quell’equilibrio interistituzionale. Tuttavia, osservando le cifre Eurostat – e molto è stato detto in questa sede, da altri colleghi, in merito alle cifre Eurostat – si evince che le cifre relative a 15 dei 27 paesi totali sono soltanto provvisorie, fornite dagli istituti centrali di statistica di quei paesi. Si stanno quindi prendendo decisioni che potrebbero avere un effetto duraturo sulla futura attribuzione dei seggi in Parlamento, sulla base di cifre provvisorie.

Inoltre, non dobbiamo perdere di vista gli ulteriori allargamenti, volti a includere la Croazia, il cui impatto potrebbe essere altrettanto negativo. Pertanto, invito a usare prudenza nel momento in cui saremo chiamati a votare su questa materia.

 
  
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  Johannes Voggenhuber, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signora Presidente, il mio gruppo non voterà a favore di questa relazione, poiché il sistema di rappresentanza proposto e la relativa distribuzione dei seggi trascurano principi democratici basilari, sostengono disparità storiche e sono contrari alla natura di quest’Aula, quale rappresentante dei cittadini e degli elettori.

Qui non si tratta di sogni non realizzati. Sì, onorevole Severin, sono in tanti a volere molto, ma ciò che tutti noi dovremmo volere è farci un’idea chiara di che cos’è un Parlamento. Un Parlamento non è – come i relatori ci hanno detto nella loro lettera, ieri sera – la rappresentazione della capacità socioeconomica degli Stati membri. No, è la rappresentanza degli elettori e nient’altro. O rappresenta i cittadini, o non è un Parlamento! Non è un Parlamento se non c’è demos su cui basarci e non è vero che il termine cittadinanza in Europa non ha nulla a che vedere con il termine utilizzato nell’ambito del diritto internazionale, o con il termine cittadinanza negli Stati Uniti. Si tratta esattamente dello stesso termine e vi invito a esaminare i trattati esistenti. Vi esorto a leggere la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in cui sono sanciti i diritti di quei cittadini. Vi invito a esaminare le norme che regolano l’accesso alla Corte europea di giustizia. Vi invito a esaminare le norme su come si diventa elettori. Allora vi renderete conto che è la cosa più facile del mondo scoprire chi è un cittadino di quest’Unione e chi ha diritto a votare per eleggere questo Parlamento. Lo si decide ogni cinque anni.

Gli abitanti, la popolazione, queste sono espressioni simboliche della capacità socioeconomica. Ma abbiamo già fallito una volta a questo riguardo, quando ci venne chiesto, a Nizza: caro Parlamento, dicci tu stesso quale desideri che sia la tua composizione. Abbiamo fallito in quell’occasione. Purtroppo, non abbiamo utilizzato questi sette anni per chiarire cosa sia questo Parlamento. Pertanto, ci troviamo a riconsiderare le assurdità storiche e i vincoli pratici storici sorti fino a oggi, i quali nulla hanno a che fare con la democrazia e le riflessioni sulla Costituzione.

 
  
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  Sylvia-Yvonne Kaufmann, a nome del gruppo GUE/NGL. (DE) Signora Presidente, ci sono posizioni diverse all’interno del mio gruppo. Personalmente, tuttavia, sostengo la relazione degli onorevoli Lamassoure e Severin. Con questa relazione, il Parlamento mantiene responsabilmente il proprio diritto di iniziativa, avanzando autonomamente una proposta in merito alla sua futura composizione. Questo è possibile grazie all’intenso lavoro svolto da entrambi i relatori, nel segno di uno spirito puramente europeo. La proposta è ben equilibrata, basata su un sistema chiaro, comprensibile e trasparente, che potrà essere mantenuto anche nel caso di futuri allargamenti.

La proposta segue il principio di diversità. Utilizzando tutti i 750 seggi disponibili assicura, inoltre, che il futuro Parlamento rifletta l’intera gamma dei principali orientamenti politici di ciascun paese. Ma la proposta si basa anche sul principio di solidarietà, secondo cui gli Stati membri più grandi e popolosi accettano di avere meno influenza, al fine di consentire agli Stati membri più piccoli e meno popolosi di essere meglio rappresentati. Tutto questo contribuisce a rafforzare la coesione all’interno dell’Unione. Pertanto, mi auguro che il Consiglio attui senza riserve e con sollecitudine la proposta del Parlamento, prima delle elezioni del 2009.

Un’ultima osservazione, per concludere. Tutti gli individui che vivono in un determinato Stato membro formano la base di calcolo per determinare i seggi attribuiti allo Stato membro – come per il Consiglio – compresi i cittadini di paesi terzi che vivono in quello Stato, poiché fanno parte di quella società. Tuttavia, questo è solo un risvolto della medaglia. I cittadini di paesi terzi che risiedono nei nostri Stati membri devono avere anche il diritto di votare per il Parlamento europeo. Mi sono sempre battuta per questo e continuerò a farlo!

 
  
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  Bernard Wojciechowski, a nome del gruppo IND/DEM. (EN) Signora Presidente, trovandoci per le mani una relazione simile, si procede sempre argomentando cosa debba spettare a un paese e cosa debba essere sottratto a un altro, a riprova del fatto che la solidarietà europea non è che un mito e che gli egoismi nazionali trionfano sempre.

Alla luce della recente aggressione tedesca, ad opera dell’onorevole Schulz, contro il Presidente della Commissione europea, vi invito a ricercare un metodo efficace per vincere a questo gioco a somma zero.

Riguardo al paragrafo 8, si registra una lagnanza in merito alla perdita di seggi da parte della Germania. Rimostranze di questo genere vengono mosse di continuo: bisognerebbe tradurre in tedesco un numero maggiore di documenti comunitari; la Germania è il maggior contribuente netto del budget europeo; meriterebbe un posto all’interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite eccetera, eccetera. Potremmo stilarne un’intera lista di queste lagnanze.

Allo stesso tempo, l’onorevole Severin sta cercando di convincerci, attraverso il suo indefinito concetto di proporzionalità degressiva – che, guarda caso, non interessa la sua Romania – che laddove la Polonia perde tre seggi, di fatto ne guadagna uno. Mi auguro solo che l’equazione funzioni altrettanto bene al casinò.

Ma sia ben chiaro che solo un socialista dello Yorkshire potrebbe accettare che due più due faccia cinque.

 
  
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  Luca Romagnoli, a nome del gruppo ITS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione Lamassoure-Severin è da rigettare sdegnosamente per il sotteso ideologico antitaliano e per la pretestuosità degli argomenti tecnici versus quelli politici sui quali poggia. Non entro nel merito di quanto per me conti lo ius sanguinis rispetto al giacobinismo dello ius loci, che evidentemente è assente nei pensieri dei relatori e di chi ha commissionato l’iniziativa.

Non sono giurista, né di chiara fama come il prof. Manzella, presidente della commissione affari europei del Senato italiano, né come altri colleghi, per poter contestare con altrettanta puntualità l’incongruenza giuridica di quanto asserito nella relazione. Credo di essere però efficace nel sottolineare che per i relatori non contano fatti incontestabili, in politica è la valutazione e il ruolo che l’Italia ha avuto e ha nell’istituzione dell’Europa.

Il principio così malamente italianizzato di degressività proporzionale per ridefinire la ripartizione dei seggi fissata dal congelato trattato costituzionale è stato applicato con evidente discriminazione dell’Italia, visto che per alcuni paesi si è lasciato il sistema per scaglioni, con macroscopiche forzature, quando si osservi che all’Estonia, con il triplo di popolazione, sono stati attribuiti gli stessi seggi di Malta.

Passi che alla Gran Bretagna sono computati tra gli aventi diritto al voto i residenti non cittadini europei e su questa base i relatori assegnano ad essa un seggio in più che all’Italia, anche se poi degli aventi diritto hanno votato per l’elezione del 2004 solo poco più di un terzo. Passi che alla Francia, che compone il corpo elettorale e sostanzia il suo profilo demografico con la stessa varietà di nascita della sua nazionale di calcio, vengano attribuiti due seggi in più che all’Italia. Passi l’ignavia del governo italiano e abbia visto la fuga all’epoca dei preliminari del dibattito in Consiglio.

Ma c’è qualcosa che non può passare! I relatori si attaccano al, secondo loro, opinabile significato di cittadinanza. Pretendono di considerare gli elettori quanti risiedono in Europa, pur avendo passaporto e cittadinanza extraeuropea. Ma escludono dal computo i cittadini che risiedono fuori dall’Europa. Questo dà la misura di una crassa, strumentale, inaccettabile discriminazione antitaliana che con forza respingiamo!

 
  
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  Irena Belohorská (NI). - (SK) Innanzi tutto, vorrei esprimere il mio apprezzamento ai relatori, gli onorevoli Lamassoure e Severin, per la loro relazione. Dobbiamo rassegnarci al fatto che la Repubblica slovacca perderà un deputato in virtù del concordato principio di proporzionalità degressiva. In relazione all’allocazione proporzionale dei seggi in seno al Parlamento, questo principio dovrebbe essere esteso a tutti gli ambiti della politica occupazionale europea. Pertanto, chiedo un aumento del numero di rappresentanti e dipendenti provenienti dai 12 nuovi Stati membri, in tutte le istituzioni dell’UE. Ritengo che ogni Stato membro disponga di un numero sufficiente di lavoratori qualificati che potrebbero rappresentare un valido contributo per l’UE.

L’uguaglianza è uno dei principi su cui è fondata l’UE. Perfino gli Stati membri originali si sono impegnati a onorare questo principio quando hanno accolto fra loro i 12 nuovi Stati membri. E’ un principio che dovrebbe essere generalizzato e non limitato alle cariche di eurodeputato o Commissario. Chiedo, quindi, che il principio di uguaglianza venga osservato e onorato. Al momento della loro adesione all’UE, i nuovi Stati membri hanno dovuto soddisfare numerosi criteri. Ora io esorto l’Unione europea nel suo complesso a onorare gli impegni presi nei confronti di quei paesi.

 
  
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  Gunnar Hökmark (PPE-DE). - (SV) Signora Presidente, sostenendo la relazione dell’onorevole Lamassoure, l’Unione europea ha l’occasione di compiere un passo storico. Tramite questa relazione possiamo lasciarci alle spalle il tempo in cui il numero di seggi in seno al Parlamento europeo veniva assegnato sulla base di un sistema in cui i vari paesi erano categorizzati in gruppi diversi, in virtù dell’abilità negoziale dei diversi capi di governo e dove si presupponeva che gli Stati membri dell’UE avessero interessi contrastanti. Se il Parlamento sceglierà di sostenere la relazione dell’onorevole Lamassoure, potremo accantonare tale sistema in favore di un altro, basato sul principio di proporzionalità, secondo cui le dimensioni di un paese incidono sulla sua rappresentanza in Parlamento.

Il sistema utilizzato finora è molto difficile da spiegare, a differenza di quello proposto dalla relazione Lamassoure, che è di possibile spiegazione. Si basa su un livello massimo e uno minimo e sulla considerazione del numero di persone che popolano i diversi paesi. Si tratta di un principio sostenibile anche in una prospettiva futura. Significa che non verranno promossi gli interessi dell’uno o dell’altro paese e che si terrà conto, invece, del numero di cittadini. Questo è un passo avanti per il processo democratico dell’Unione europea.

Vorrei che fossero ben chiare le alternative che ci si prospettano. O sosteniamo le proposte avanzate nella relazione Lamassoure, o torniamo all’accordo di Nizza, con la sua arbitrarietà e i negoziati segnati da interessi nazionali contrastanti. Nel sentire gli ultimi oratori delle file qui sopra e la loro agitazione, sento agitarsi anche i rispettivi interessi nazionali.

La relazione Lamassoure dev’essere sostenuta, poiché basata su un principio.

 
  
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  Sérgio Sousa Pinto (PSE).(PT) Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione della commissione per gli affari costituzionali, redatta dagli onorevoli Alain Lamassoure e Adrian Severin, sulla futura composizione del Parlamento europeo costituisce un importante contributo, che presenta una soluzione equilibrata e oggettiva a una questione, politicamente parlando, molto delicata. Pertanto, desidero congratularmi con i due correlatori.

Non dimentichiamo che è stato il Consiglio europeo dello scorso giugno a promettere al Parlamento europeo una soluzione al problema della sua futura composizione, entro ottobre 2007, cosicché la nuova soluzione potesse essere applicata in tempo per le elezioni europee del 2009. Questa relazione è una puntuale risposta a coloro che temevano che il Parlamento non riuscisse a risolvere la questione a causa della prevalenza di ideologie nazionalistiche e dimostra che questa istituzione è in grado di individuare ed esprimere l’interesse europeo comune all’interno delle dinamiche nazionali che tendono a complicare le questioni intergovernative.

E’ importante dichiarare la posizione del Parlamento europeo per consentire il regolare svolgimento dei lavori della CIG, che dovranno concludersi a Lisbona il 18 e 19 ottobre. E’ quindi essenziale riconoscere il legame politico tra la nuova proposta di distribuzione dei seggi, in linea con il principio di proporzionalità degressiva, e il pacchetto di riforma delle istituzioni dell’Unione, in particolare il principio di doppia maggioranza per la definizione della maggioranza in seno al Consiglio.

Vorrei cogliere l’occasione per sottolineare che l’aspetto istituzionale del trattato di riforma dev’essere coerente e che, riguardo alla questione della doppia maggioranza, che entrerà in vigore presumibilmente solo nel 2014-2017, i trattati non dovranno contenere gentlemen’s agreement – come il compromesso di Ioannina, che tuttavia rimane in vigore – i quali, sebbene giuridicamente riconosciuti nel contesto attuale, servirebbero unicamente a bloccare il processo decisionale in seno al Consiglio.

Sapevamo fin dall’inizio che la composizione del Parlamento europeo non sarebbe stata una questione meramente matematica. Nei limiti imposti dalle attuali circostanze, la soluzione elaborata avrebbe dovuto soddisfare tre principi: quello di solidarietà, secondo cui gli Stati membri più popolosi accettano di restare sottorappresentati; il principio di pluralità, per garantire una rappresentanza all’intera gamma dei principali orientamenti politici di ciascun paese; e infine il principio di efficienza, ovvero limitare il numero massimo di rappresentanti a un livello compatibile con il ruolo di un’assemblea legislativa. Con l’applicazione del principio di proporzionalità degressiva, queste relazioni produrranno una proposta ragionevolmente consensuale.

In conclusione, signora Presidente, vorrei aggiungere che il Parlamento europeo non deve necessariamente reputare perfetto l’accordo raggiunto, prima di concedere il proprio assenso politico. Malgrado le sue lacune, il testo attuale rafforza la credibilità del Parlamento europeo ed è infinitamente meglio dell’irresponsabile trascinarsi di un braccio di ferro tra egotismi nazionali, che costerebbe caro all’Unione e ai suoi cittadini.

Alla vigilia di un importante Consiglio europeo, quest’Aula, che rappresenta i nostri cittadini, sebbene mi riesca difficile concepire l’idea che quest’Assemblea rappresenti anche gli Stati membri, dà priorità all’interesse europeo, fiduciosa che anche i capi di Stato faranno lo stesso.

 
  
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  Henrik Lax (ALDE). - (SV) Un ampio gruppo di cittadini è stato trascurato nella discussione riguardo alla composizione del Parlamento europeo. Mi riferisco ai quasi 50 milioni di europei che appartengono a una minoranza linguistica regionale o nazionale. Oggi questi gruppi sono rappresentati solo da una manciata di deputati. Questo non è accettabile e, ahimé, dà un’immagine falsa del Parlamento europeo. E’ come se non ci rendessimo conto della posizione vulnerabile in cui vivono tuttora alcune minoranze linguistiche. La relazione degli onorevoli Lamassoure e Severin, basata sul principio di “proporzionalità degressiva”, è un brillante esempio di lavoro statistico e anch’io intendo votare a favore, tuttavia, è giunto il momento di osare discutere di altre questioni sostanziali. Come possiamo aumentare la fiducia dei cittadini nell’Unione europea? Come possiamo garantire che l’UE e il Parlamento europeo siano all’altezza degli obiettivi che vogliamo siano perseguiti anche da altri, ovvero che vengano ascoltate anche le voci delle minoranze?

Onorevoli colleghi, accetteremo, forse, noi deputati di lasciare le minoranze linguistiche regionali e nazionali alla mercé della benevolenza dei governi nazionali, che possono concedere loro un seggio, oppure vogliamo che queste minoranze non siano rappresentate in seno al Parlamento europeo? La risposta a entrambe le domande dev’essere un forte no! Dunque, per tutelare la diversità, è tempo di riservare un certo numero di seggi all’interno del Parlamento europeo alle minoranze linguistiche. Io personalmente parlo a nome della popolazione di lingua svedese della Finlandia e per la provincia di Åland.

 
  
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  Cristiana Muscardini (UEN). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione sulla composizione dei seggi al Parlamento contiene evidenti contraddizioni, rafforzate dalla lettera che i relatori hanno inviato ieri, quasi a giustificare la propria posizione, in merito a questioni tanto politicamente delicate, e stravolge il concetto giuridico di cittadinanza così come da sempre codificato.

Il principio proposto dalla relazione scavalca sia gli Stati nazionali che i trattati. Dal punto di vista giuridico la cittadinanza europea è lo stato giuridico in cui si trovano coloro e solo coloro che hanno la cittadinanza di uno Stato membro e che sono di conseguenza in possesso di tutti i diritti e i doveri collegati a questo status. Ed è la cittadinanza, non la residenza, che deve fare testo. Questa proposta stravolge anche l’impostazione data nel progetto del prossimo trattato, che ben specifica invece chiaramente come il concetto di cittadinanza non abbia nulla a che vedere con quello di residenza.

Il Parlamento europeo ha perso una grande occasione di dimostrare anche alle altre istituzioni la capacità di trovare al proprio interno soluzioni basate su principi giuridici riconosciuti e condivisi. Chiedo ai relatori il motivo per cui non è stata nemmeno presa in considerazione la possibilità, per l’assegnazione dei seggi, del criterio del numero dei cittadini degli Stati membri invece di quello della popolazione residente.

Forse per avvantaggiare alcuni rispetto ad altri? Vedi il caso del Regno Unito che riconosce il diritto di voto per le elezioni europee anche a coloro che non sono cittadini dell’Unione. Onn. Lamassoure e Severin: affermare, come avete fatto, che nessuno è stato penalizzato rispetto agli accordi di Nizza, mi sembra un’evidente forzatura alla quale altri saranno chiamati a porre rimedio.

Per questo motivo la relazione non può trovare il nostro consenso. Non solo, è anche penalizzante, non solo per il nostro paese, per il mio paese, ma anche per altri paesi dell’Unione. Ed è penalizzante per la democrazia rappresentativa e per il futuro trattato, che come da voi stessi riconosciuto, contiene linee guida e principi su cui dovrebbe essere basata la distribuzione dei seggi del Parlamento. Non si può prescindere dal concetto di cittadinanza europea quale fondamento della legittimità democratica della nostra Assemblea.

 
  
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  Roberto Musacchio (GUE/NGL). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, io sono per un ruolo decisivo del Parlamento europeo, che spesso viene negato, ma con questa proposta sembra che i governi vogliano usare strumentalmente questa nostra Aula.

Questa proposta di formazione dei seggi è, a nostro avviso, sbagliata. L’Italia viene penalizzata e questo conta, ma conta soprattutto che le ragioni di questa penalizzazione sono sbagliate.

Si rompe una storica parità, soprattutto si differenzia l’attribuzione dei seggi in nome di una popolazione residente a cui non viene attribuito il diritto di cittadinanza. E viene penalizzato chi, come l’Italia, ha attribuito il diritto di voto ai cittadini non residenti nel paese. Occorre ben altro: io penso ad esempio che occorra veramente una cittadinanza di residenza, che abbia la possibilità però non solo di contare per il numero di parlamentari da eleggere, ma per esprimere il diritto di voto e per essere eletti.

Occorre garantire la rappresentanza delle minoranze politiche e dei piccoli Stati, indicandolo espressamente nei criteri da seguire nelle leggi elettorali nazionali, e occorre ragionare su forme nuove che valorizzino i partiti europei e la loro capacità di presentarsi come tali alle elezioni. Nulla di questo c’è in questa relazione e per questo voterò contro.

 
  
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  Jens-Peter Bonde (IND/DEM). (DA) Signora Presidente, la relazione che verrà adottata domani dal Parlamento bloccherà, di fatto, l’adesione all’UE da parte della Turchia e di altri popolosi paesi europei. La Germania vedrà raddoppiato il proprio peso in seno al Consiglio, mentre paesi più piccoli lo vedranno dimezzato. Nel contempo, alcuni dei paesi più grandi otterranno più seggi in Parlamento. In pratica, la Germania continuerà a ricevere una compensazione per il fatto di aver avuto lo stesso numero di voti in Consiglio rispetto all’Italia, al Regno Unito e alla Francia, sebbene attualmente ricavi il massimo valore da ogni tedesco nel Consiglio. Se vogliamo che l’elettorato percepisca le decisioni come legittime, non credo sia il caso che i paesi più grandi beneficino ancora di simili vantaggi, tanto meno quelli più piccoli: ascoltate l’onorevole Lax.

Invito i paesi più grandi a fermarsi a riflettere. Non possono coesistere un sistema di votazione al Consiglio basato sulla popolazione e un’approssimazione dello stesso principio di voto anche al Parlamento. Negli Stati Uniti, c’è uguaglianza fra gli stati all’interno del Senato. In Germania, il Land Saarland, con un milione di abitanti, dispone di tre voti alla camera alta del parlamento tedesco, mentre il Renania Palatinato, con una popolazione di 18 milioni di persone, dispone di sei voti; pertanto il sistema tedesco non è certo equo. Quando il mio paese aderì alla CE, la Germania aveva tre volte i voti della Danimarca in Consiglio; ora ne avrà 15 volte tanti. Prima, la Germania aveva tre volte e mezzo i seggi della Danimarca in Parlamento; ora ne avrà otto volte tanti. La disparità è eccessiva e non otterrà mai il consenso dell’elettorato. Distruggerà l’UE – questo è il problema.

 
  
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  Philip Claeys (ITS). (NL) Signora Presidente, mi permetta di iniziare esprimendo i miei dubbi in merito al tempismo della risoluzione attualmente oggetto di discussione. E’ vero che il Consiglio europeo di giugno aveva chiesto al Parlamento di presentare un progetto di risoluzione in merito alla futura composizione del Parlamento stesso, tuttavia, oggi scopriamo che l’intera proposta è basata sul trattato di riforma, un testo che non è ancora stato ratificato, tanto meno è entrato in vigore. In altre parole, stiamo mettendo il carro davanti ai buoi. Per inciso, non è la prima volta che accade e comincia a diventare fastidioso.

Non parlo a nome del gruppo Identità, Tradizione, Sovranità, ma in qualità di rappresentante di un piccolo Stato membro – o meglio, un futuro Stato membro, giacché non è più questione di se, ma di quando il Belgio verrà suddiviso e le Fiandre diventeranno uno Stato indipendente. Ma sto divagando.

Ritengo che il principio di proporzionalità degressiva, perorato da questa relazione sia il punto di partenza più praticabile, nonché il più corretto, perlomeno se si ritiene che gli Stati membri più piccoli e i loro rappresentanti in questo Parlamento debbano continuare a rivestire un ruolo significativo.

Comunque sia, io sostengo un’interpretazione di ampio respiro del principio di proporzionalità degressiva, pertanto sono a favore del pertinente emendamento dell’onorevole Bonde. A mio avviso, è interesse dell’Unione europea che gli Stati membri più piccoli siano rappresentati al meglio all’interno del Parlamento europeo; altrimenti, vedremo crollare ulteriormente il sostegno popolare nei confronti delle istituzioni europee.

 
  
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  Sylwester Chruszcz (NI). - (PL) Signora Presidente, oggi si susseguiranno due dibattiti qui al Parlamento europeo, che ci diranno come sarà ordinata l’Unione europea e come verrà suddiviso il potere. Per me, in quanto rappresentante della Polonia e della Lega delle famiglie polacche, si tratta di una discussione molto triste.

La mia posizione è estremamente critica riguardo a questo reiterato tentativo di introdurre il Trattato costituzionale con il nuovo nome di trattato di riforma, e alla nuova distribuzione dei voti in seno al Parlamento europeo, discriminatoria nei confronti del mio paese. La relazione adottata dalla commissione costituzionale del Parlamento europeo, basata su argomentazioni opinabili e artificiose, colpisce chiaramente alcuni paesi, avvantaggiandone altri; e non per la prima volta, oltretutto. Non posso acconsentire a una cosa del genere.

Faccio appello anche al Presidente polacco, affinché respinga questo trattato, fra una settimana, a Lisbona.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE). (EN) Signora Presidente, credo che questo sia uno dei giorni più tristi degli ultimi cinque anni di lavori in plenaria, poiché per la prima volta, quantomeno personalmente, ho l’impressione che il Parlamento europeo sia diventato un ente intergovernativo. Mi ricorda le notti ad Amsterdam nel 1997; mi ricorda le notti a Nizza nel 2000. E oggi, all’interno del gruppo e qui in seduta plenaria, la cosa appare quanto mai chiara.

Ero davvero convinto che il Parlamento europeo fosse qui per rappresentare gli interessi di tutta la popolazione europea e non meri interessi nazionali.

Le opzioni sul tavolo sono tre: una è la proposta Severin-Lamassoure, che ritengo abbia respiro europeo. E’ una proposta eccellente e i relatori hanno svolto un lavoro fantastico, per il quale meritano delle congratulazioni.

(Applausi)

La seconda opzione è quella di tornare al trattato di Nizza. Forse alcuni di noi lo auspicherebbero; non lo so. Ma è davvero quello che vogliamo? E’ per questo che abbiamo ingaggiato questo dibattito? Vogliamo tornare a Nizza? Davvero la Spagna vuole perdere dei seggi? Davvero la Polonia vuole perdere dei seggi? Non lo so.

La terza opzione è quella che io definisco un’opzione provocatoria, in quanto articolata in due provocazioni: la prima è costituita dalla prospettiva di concedere molto di più ai paesi più grandi e molto di meno a quelli più piccoli; la seconda provocazione è l’esatto contrario, ovvero concedere molto ai paesi piccoli e assolutamente nulla a quelli più grandi. E’ questo che vogliamo? E’ per questo che ci troviamo qui? Io non credo. O perlomeno, mi auguro di no.

Il dibattito di domani verterà sulla credibilità del Parlamento europeo e sulla nostra capacità di assumere una decisione razionale, logica ed equa. Siamo in grado di formulare una proposta, o siamo esattamente come gli Stati membri?

(Applausi)

 
  
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  Jo Leinen (PSE). - (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, il Parlamento sta fornendo un input con la relazione Lamassoure-Severin. Noi riassegneremo i seggi nel 2009, mentre la nuova formula per la distribuzione dei voti in seno al Consiglio non verrà applicata fino al 2014. Oggi siamo pronti a introdurre questo sistema per il periodo successivo. L’intera proposta, comunque, sarà applicabile solo se ci sarà un nuovo trattato. Se il nuovo trattato non verrà attuato, rimarranno in vigore il Trattato di Nizza e i Trattati di adesione, il che significa che tutti i paesi disporranno di un minor numero di seggi. Dovremmo, quindi, avere tutti i vantaggi nel sostenere questa proposta alla seduta plenaria di domani.

Ringrazio entrambi i relatori, gli onorevoli Lamassoure e Severin, per il lavoro svolto. Non è possibile accontentare tutti; sarebbe un miracolo. Tuttavia, protesto contro quanto affermato dalla rappresentanza polacca, secondo cui alcuni paesi sarebbero oggetto di discriminazione. Non c’è alcuna discriminazione. Al contrario, è stata avanzata una proposta plausibile, che risponde a criteri oggettivi, sulla cui base è possibile distribuire i seggi a disposizione.

Dobbiamo, tuttavia, proseguire nel dibattito avviato dai nostri colleghi italiani, volto a stabilire se il concetto di cittadinanza nell’Unione europea sia lo stesso vigente a livello nazionale. Lo Stato nazione ha chiuso le frontiere ed escluso tutti gli altri. L’UE si basa su un concetto differente, tant’è vero che stiamo ampliando questo dibattito, affinché tutti i residenti nell’UE trovino rappresentanza in questo Parlamento e non solo i possessori di un passaporto rilasciato da uno Stato membro. Ci sono 30 milioni di persone nell’UE che non posseggono il passaporto di uno Stato membro, ma osservano le nostre leggi.

Dovremo tornare su questo argomento la prossima volta. Grazie per questa proposta che ci indirizza verso una positiva conclusione della Conferenza intergovernativa e verso un nuovo trattato europeo.

 
  
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  Margarita Starkevičiūtė (ALDE). (EN) Signora Presidente, vorrei solo ricordare all’onorevole Stubb che la Lituania non trarrà alcun vantaggio in nessuno dei casi da lui citati.

(LT) Vorrei far presente all’onorevole Alexander che la Lituania disporrà dello stesso numero di seggi in tutti e tre i casi, poiché nella prima eventualità esso è determinato, nella seconda pure e nella terza… Ora però, stiamo dibattendo in sede parlamentare (e tra l’altro il Presidente del Parlamento non presiede questa importante seduta), in merito alla composizione del Parlamento, eppure non vedo l’onorevole Lamassoure… E’ presente in Aula? Perché dovremmo discutere allora? Le personalità principali hanno lasciato l’Aula. Tutto è dato per scontato. Mi permetto di rilevare questa cosa, perché è necessario parlare seriamente di una casa comune, di un’Europa comune e ascoltare tutte le voci di tutti i paesi.

Il problema del mio paese è che abbiamo lottato per la nostra sopravvivenza per molti secoli. Siamo una piccola nazione. Ora molte persone vivono in altri paesi, lavorano nelle vostre aziende e, di fatto, non avranno modo di partecipare alla soluzione dei problemi dell’Europa. Noi ci sforziamo di mantenere i rapporti, di essere uniti, di essere una nazione e di evitare di essere cancellati dalle cartine geografiche, ma queste persone non avranno modo di votare, perché il numero di deputati al Parlamento europeo verrà stabilito in base al numero di cittadini, eppure queste persone vivono nel suo paese, onorevole Stubb, e in Gran Bretagna e in Irlanda, lavorando onestamente. Certo, potranno eleggere i rappresentanti di Svezia, Finlandia, Regno Unito o Italia, ma questo non è che un lento declino per la nostra nazione. Questo è il nodo cruciale che mi preoccupa maggiormente e mi rammarico del fatto che, come ha detto l’onorevole Lamassoure, in quest’Aula si discuta veramente poco di valori. La discussione di oggi ne è un ottimo esempio. Guardando i cognomi, posso dedurre i seggi attribuiti a ciascuno e posso prevedere quali opinioni verranno presentate.

 
  
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  Bogdan Pęk (UEN). - (PL) Signora Presidente, è da tempo, ormai, che mi sono abituato alla manifesta ipocrisia che regna in quest’Aula. Ma oggi vorrei porre una domanda. D’accordo, ciò che auspicate, come ho appreso dalla maggior parte degli interventi che si sono susseguiti, è un cambiamento nei principi di votazione e di attribuzione dei seggi all’interno del Parlamento europeo, cosicché la cittadinanza di un determinato paese non sia più determinante, in altre parole state dicendo che si sta mirando a un popolo europeo integrato con una normativa comune e interessi comuni. Questo è dunque un popolo europeo.

Vorrei chiedere a tutti voi ipocriti come è possibile che la povera, vecchia Polonia abbia solo un terzo delle sovvenzioni agricole e che i tedeschi, i più ricchi di tutti, a dispetto della politica energetica comune, vogliano negoziare con la Russia, scalzando gli altri Stati, la realizzazione di un oleodotto sotto il mare, con tutte le minacce che questo comporta in termini di protezione ambientale? E’ possibile conciliare queste due cose? E se ciò che asserisco corrisponde al vero, non è un po’ troppo presto per creare il mito di uno Stato europeo? Dobbiamo lavorarci in maniera lenta e sistematica, mentre azioni accelerate di questo genere possono solo produrre risultati opposti a quanto auspicato.

 
  
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  Gerardo Galeote (PPE-DE). (ES) Signora Presidente, comprendo la difficoltà dell’impegno e riconosco ed elogio il lavoro dei relatori.

Tuttavia, in alcuni punti la proposta di ripartizione dei seggi che è stata avanzata pecca, a mio giudizio, di eccessiva discrezionalità e, peraltro, non tiene conto come dovrebbe del necessario equilibrio istituzionale ereditato dall’attuale Trattato di Nizza.

Pertanto, alcuni eurodeputati, me compreso, hanno firmato una serie di emendamenti che saranno presentati nella sessione plenaria di domani. Si tratta, mi preme sottolinearlo, di modifiche che rispettano appieno il principio di proporzionalità degressiva e che, a nostro parere, rendono oggettiva la futura attribuzione dei seggi, vincolandola a criteri chiari e trasparenti.

Vorrei concentrarmi in particolare su uno di questi emendamenti, che dovrebbe entrare in vigore con le prossime elezioni del 2009 e che è in linea con uno degli studi – il più prudente – condotti dal governo spagnolo e presentati al Parlamento e al Consiglio.

Come ben comprendono gli onorevoli colleghi, non posso certo essere accusato di voler difendere le proposte dell’attuale governo spagnolo per motivi di appartenenza politica, ma è evidente che in questo caso si tiene in maggior conto il fattore demografico, il quale è da considerarsi un elemento essenziale nel configurare l’istituzione preposta a rappresentare proprio gli interessi dei cittadini.

Pertanto, signora Presidente, prego i relatori di tenere conto di tali emendamenti e prego i colleghi di appoggiarli nella votazione di domani. In ogni caso, auspico che il Consiglio europeo li rappresenti, li difenda e li tenga nella dovuta considerazione quando, la settimana prossima, prenderà la sua decisione.

 
  
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  Carlos Carnero González (PSE). - (ES) Signora Presidente, il compito non era affatto semplice, e credo che gli onorevoli deputati Lamassoure, del gruppo del Partito popolare europeo, e Severin, del gruppo socialista, ci abbiano presentato una splendida relazione, caratterizzata da un profondo spirito europeo ed europeista.

Ha ragione il deputato Stubb: questo è uno dei dibattiti più tristi cui abbia mai assistito in quest’Aula, e tuttavia spero che il risultato del voto di domani sia uno dei momenti migliori che avremo mai occasione di vivere, perché questa relazione – che non è solo dei suoi autori, ma anche della commissione per gli affari costituzionali, che l’appoggia con una maggioranza del 70 per cento – garantisce innanzi tutto che la richiesta del Consiglio a quest’Assemblea trovi risposta; in secondo luogo, che si applichi il principio della proporzionalità degressiva; e infine che si goda di un Parlamento realmente rappresentativo, cosa che sotto il trattato di Nizza sarebbe stata impossibile, in parte perché alcuni paesi, come la Spagna, erano esclusi, in modo ingiustificato e ingiustificabile, da ogni logica proporzionale, in termini di rappresentatività.

Fortunatamente, la proposta degli onorevoli colleghi Lamassoure e Severin, della commissione per gli affari costituzionali, fornisce una soluzione adeguata al problema.

Ed è questo il fulcro della questione: la scelta è fra questa relazione e Nizza, ovvero fra un Parlamento rappresentativo e un Parlamento non pienamente rappresentativo. In tal senso, è chiaro che si può promettere tutto quel che si vuole, ma la verità è che a noi occorre una relazione realistica che consenta al Parlamento, in occasione del Vertice di Lisbona, di veder riconosciuti i propri sforzi, con l’approvazione del nuovo trattato di riforma. Grazie infinite.

 
  
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  Alexander Lambsdorff (ALDE). - (DE) Signora Presidente, mi permetta di aprire il mio intervento dicendo che i membri del Partito liberale democratico (FDP) hanno concordato un voto libero per domani. Non ci sarà, dunque, alcuna linea di partito. Come mai? Siamo divisi da un dilemma. La situazione per la Germania va, ovviamente, peggiorando. Anziché 832 000 elettori per eurodeputato, come è stato finora, ce ne saranno, d’ora in poi, 858 000. Il Parlamento intende applicare questo nuovo principio a partire dal 2009. Al Consiglio si dovrà aspettare fino al 2014. Questo aspetto è già stato menzionato, tra altre cose, in precedenza.

Perfino su testate tedesche di qualità, come Tagesspiegel di Berlino, è stato riportato che i seggi verranno ridistribuiti domani. Ci sono colleghi deputati qui in Parlamento che dichiarano che la Germania perderà tre seggi domani. Il problema è – e qui vengo ad esprimere la mia personale posizione – che questo è sbagliato. La relazione Lamassoure-Severin assicura alla Germania il massimo numero di seggi che la mia nazione possa acquisire nell’ambito del trattato. Il trattato di Nizza stipula già che ci sia un massimo di 96 seggi. La relazione sottoscrive chiaramente questa cifra.

Perché mai, allora, questo dibattito? Perché la provocazione del metodo d’Hondt, che prevede un guadagno solo per i paesi più grandi, a fronte di una massiccia perdita da parte di quelli più piccoli? Si tratta di una proposta sostenuta e perfino avanzata, con mia grande sorpresa, da colleghi dell’unione democratici cristiani (CDU). Che cosa significa esattamente? Ritengo sia una proposta antieuropea. L’equilibrio, l’equilibrio giusto ed equo tra paesi di grandi, medie e piccole dimensioni va del tutto perso così. Inoltre, è una proposta che non ha assolutamente alcuna chance in Consiglio. Davvero noi e i nostri colleghi onorevoli della CDU riteniamo che in Belgio, Irlanda, Svezia o Estonia siano privi di capacità d’analisi e votino a favore di questa proposta al Consiglio? No! Questa proposta è del tutto inconsistente e verrà sostituita senza alcuna conseguenza – tranne una: un ulteriore deterioramento del clima nei confronti della politica europea in Germania.

E’ necessario sostenere la relazione Lamassoure-Severin. Dobbiamo assicurarci che il Parlamento europeo invii un messaggio politico forte al Consiglio, dando prova di essere in grado di gestire i problemi autonomamente. Se questo segnale, un segnale europeo, sarà forte, sarà positivo per tutti noi e, in questo, includo espressamente anche la Germania.

 
  
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  Jean-Luc Dehaene (PPE-DE). (NL) Signora Presidente, come è già stato detto più volte in quest’Aula, di fatto, è la credibilità del Parlamento a essere in gioco in questo dibattito. Il punto in questione, è la sua capacità di presentare una proposta con un’ampia maggioranza, rendendo così più difficile al Consiglio non tenerne conto.

Il pregio della relazione Lamassoure-Severin è, concretamente, quello di avanzare una proposta che soddisfa tutti i requisiti del Trattato. Non esistono quattro alternative, bensì solo due: la relazione Lamassoure-Severin o Nizza. Dopotutto, se non riusciremo ad acquisire un ampio sostegno maggioritario per la proposta, nemmeno il Consiglio ci riuscirà e si ritornerà a Nizza.

Non riesco davvero a capire una serie di emendamenti avanzati. Sebbene sia chiaro che l’emendamento radice quadrata sostenga fortemente i paesi più piccoli, si tratta, di fatto, di una caricatura della proporzionalità. Tanto meno, d’altro canto, capisco l’emendamento promosso soprattutto da deputati tedeschi, che non tiene conto della posizione dei paesi più piccoli e richiede che vengano concesse più opportunità agli Stati membri più grandi in seno al Consiglio.

Dovrei forse supporre che si tratta di un dissoluto tentativo di tornare al Trattato di Nizza e ripristinare i 99 seggi per la Germania? In tal caso, sarebbe davvero avvilente per questo Parlamento. Mi auguro che domani il Parlamento si renda conto che è in gioco la sua credibilità e che l’unico modo per salvaguardarla sarà sostenere la relazione Lamassoure-Severin con un’ampia maggioranza, poiché rappresenta l’unica riforma realistica.

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE). - (PL) Signora Presidente, è difficile per me accettare una relazione in base alla quale il mio paese – o meglio, il popolo polacco, poiché sono i cittadini a eleggere i propri rappresentanti – perde l’opportunità di eleggere tre eurodeputati in più. Questa è l’entità della riduzione della rappresentanza polacca all’interno del Parlamento europeo, secondo la proposta avanzata oggi.

Ma per quale motivo ritengo che tutto questo sia iniquo e che i criteri adottati in questa relazione non tengano conto di fatti evidenti come quelli esposti oggi dal collega deputato della Lituania? Qui si tratta di lavoratori, dipendenti, polacchi che vivono temporaneamente all’estero – 3 milioni di persone. Supponiamo che abbiano il diritto di votare nel Regno Unito o in Irlanda, ma che tornino a casa. La mia domanda è: chi li rappresenterà? Sarebbero privati del diritto di rappresentanza pur avendo il diritto di voto.

Questa relazione, e qui vengo alla mia seconda osservazione, accentua il disequilibrio istituzionale esistito finora, per quanto esiguo, tra la posizione degli Stati in seno al Consiglio e al Parlamento. La Polonia subisce la perdita maggiore all’interno del Consiglio, con la transizione al voto per doppia maggioranza, e viene svantaggiata anche in Parlamento.

La mia ultima riflessione riguarda un certo disequilibrio cui si è già accennato in questa sede oggi, nell’occupazione di funzionari all’interno delle istituzioni UE e soprattutto in Parlamento. Questo disequilibrio, che riguarda tutti i nuovi Stati membri, potrebbe essere sanato in Parlamento. Richiedo, in proposito, un emendamento della relazione.

 
  
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  Alfonso Andria (ALDE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, certamente mi rendo conto, non era facile il compito di cui si sono gravati i colleghi Lamassoure e Severin, ma devo dire che il risultato, malgrado lo sforzo prodotto, mi lascia piuttosto perplesso sia dal punto di vista giuridico che sotto il profilo squisitamente politico.

La proposta fa riferimento per la prima volta ad un criterio di calcolo basato sulla popolazione residente in ogni Stato membro, sostituendolo al criterio di cittadinanza. Qui si pone un problema di coerenza giuridica e politica rispetto all’articolato del futuro trattato di riforma, particolarmente all’articolo 9A, che pone esplicitamente il principio della rappresentanza dei cittadini europei. Ma la questione mi sembra politica anche perché del Parlamento viene un po’ opacizzata la funzione di voce e di espressione dei cittadini, per giunta in un momento in cui l’Unione si impegna a diffondere la cultura della cittadinanza europea, dell’identità e dei diritti dei cittadini europei.

E per cortesia, non si riconduca la questione a livello di rivendicazione nazionale o peggio la si sminuisca a mero problema quantitativo. Questo sarebbe assolutamente un approccio riduttivo e banale, francamente ingeneroso verso la reputazione italiana. Io rilevo anche, tuttavia, una disparità di trattamento, una disomogeneità tra uno scaglione e l’altro; spesso i parametri di riferimento non sempre giustificano lo scarto di seggi tra un paese e l’altro.

Concludo, signora Presidente, invitando i colleghi ad un voto che sia coerente con quanto stabiliscono i trattati e con quanto fin qui è stato e dovrebbe essere il nostro ruolo di parlamentari: espressione di una cittadinanza.

 
  
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  Riccardo Ventre (PPE-DE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, l’on. Stubb, che mi dispiace sia andato via, ha parlato di tristezza questa sera e anche altri colleghi si sono espressi nella stessa direzione. Ma io credo che sia triste il discriminare dei paesi e dei parlamentari soprattutto che cercano di far rispettare dei principi basilari, l’ha detto bene Voggenhuber e l’ha detto l’on. Moscardini.

Qui si tratta non di mettere in discussione la relazione Lamassoure-Severin, è una costruzione probabilmente buona, ma che si fonda su basi di sabbia. In effetti, c’è un principio giuridico che viene leso nella sua interezza e nella sua pregnanza, cioè il principio della cittadinanza. Ciò è detto anche da coloro che hanno sostenuto, lo si vede anche dalle proposte di compromesso di Lamassoure e Severin, l’ha detto Leinen, l’ha detto in maniera eccellente Duff: qui non abbiamo la certezza della base elettorale!

Ebbene, su questa incertezza assoluta della base elettorale vogliamo costruire un criterio, un castello che ha una sua coerenza – esclusa la base, escluso il fondamento –che ci porterà ad una composizione assolutamente non rispettosa delle preesistenze e dei cittadini, e che ci porterà come ulteriore conseguenza – badate bene, vorrei non essere un profeta di sventure – di fronte alla Corte di giustizia. Perché è naturale, è doveroso probabilmente, da parte di chi si vede leso, adire il giudice come extrema ratio, come momento di decisione suprema per un momento così importante.

Io faccio appello al mio governo, al governo del mio paese che ha mostrato grandissima debolezza fino ad oggi in questa vicenda, da Berlino in poi, affinché finalmente trovi un momento di orgoglio e possa esercitare il diritto di veto rispetto a questa proposta.

 
  
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  Libor Rouček (PSE). - (CS) Onorevoli colleghi, tra oggi e domani abbiamo l’opportunità storica di influenzare la decisione in merito alla futura composizione del Parlamento europeo. La relazione redatta a tal scopo dai relatori, onorevoli Lamassoure e Severin, mostra una certa dose di qualità, equilibrio e responsabilità. Offre una soluzione pragmatica, che dovrebbe essere approvata senza riserve dalla Conferenza intergovernativa, poiché non costituisce un ostacolo all’adozione del trattato di riforma.

Il proposto sistema di distribuzione dei seggi al Parlamento europeo si basa sul principio di proporzionalità degressiva. Un principio giusto, che esprime solidarietà fra paesi di grandi, medie e piccole dimensioni. La soluzione proposta si basa anche sul principio delle realtà demografiche di ciascuno Stato membro. Anche questo, un principio giusto e corretto. Ciononostante, alcuni deputati hanno espresso il loro disaccordo rispetto alla soluzione, ritenendo che i loro paesi siano stati discriminati. Io, tuttavia, non vedo alcun segno di discriminazione. Sarebbe discriminatorio e iniquo attribuire lo stesso numero di seggi a due paesi con una differenza, in termini di popolazione, di cinque milioni di persone. Confido che il Parlamento saprà cogliere l’occasione storica di domani, adottando la relazione Lamassoure-Severin con una maggioranza determinante.

Non sostenerla sarebbe indice di una volontà di ritornare al Trattato di Nizza. Il che significherebbe ritornare a un’alternativa che rappresenterebbe una sconfitta anche per quegli Stati membri che solo recentemente hanno promosso lo slogan “O Nizza, o morte”.

 
  
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  Jacek Protasiewicz (PPE-DE). - (PL) Signora Presidente, oggi siamo chiamati a discutere una relazione molto importante, in base alla quale verrà stabilita la distribuzione dei seggi per il prossimo mandato del Parlamento.

I relatori hanno avanzato una proposta molto interessante, che, di certo, deve aver comportato una grande mole di lavoro, sia analitico sia concettuale. Per questo, vorrei esprimere ai relatori i miei più sinceri ringraziamenti. Tuttavia, a mio avviso, questa proposta contiene due gravi lacune. Innanzi tutto, i nostri colleghi propongono una soluzione ad hoc, temporanea, circoscritta al prossimo mandato. Al contrario, ricordo che quando cominciammo i lavori su questa relazione in seno alla commissione per gli affari costituzionali, concordammo sulla necessità di ricercare soluzioni sistematiche che permettessero cambiamenti automatici nella composizione del Parlamento, laddove nuovi Stati avessero aderito all’UE.

La proposta alternativa annunciata da circa 80 eurodeputati, tra cui anche il sottoscritto, soddisfa questo requisito. L’utilizzo del metodo d’Hondt per calcolare il numero di voti attribuiti a ciascuno Stato costituisce uno strumento oggettivo per eliminare i mercanteggiamenti politici. Accettando questo emendamento, il Parlamento europeo potrebbe essere la prima istituzione a elevarsi al disopra delle dispute politiche e nazionali. Io sono favorevole a un metodo neutro e matematico per ponderare la forza di ciascun paese. Sarebbe un passo nella giusta direzione e un esempio da seguire per tutte le altre istituzioni europee multinazionali.

Un’altra debolezza dell’elaborazione presentata è la mancanza di coerenza nell’approccio ai diritti dei cittadini europei, compreso il diritto a essere rappresentati in questo consesso. A mio avviso, il criterio demografico per il calcolo dell’entità della rappresentanza parlamentare indebolisce tale diritto. Per esempio, come dovrebbero sentirsi i cittadini polacchi che vivono e lavorano in Irlanda o nel Regno Unito? Da varie statistiche risulta che ci sono dai 2 ai 3 milioni di persone in queste condizioni.

Secondo la normativa elettorale vigente in Polonia, i voti possono essere assegnati ai candidati che si presentano in Polonia. Tuttavia, se adottassimo il criterio della popolazione, come suggerito nella relazione, in virtù dell’elevato numero di persone che espatriano, il numero di eurodeputati eletti nel mio paese diminuirebbe, aumentando, invece, nelle isole britanniche. Pertanto, chi li rappresenterebbe in quest’Aula? Eurodeputati irlandesi, britannici o polacchi, la cui delegazione verrà ristretta? La relazione non risponde a questi interrogativi. Alla luce di tutto ciò, ritengo essenziale apportare delle modifiche al testo della relazione e concordo con diversi altri colleghi sulla necessità di votare a favore di determinati emendamenti.

 
  
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  Stavros Lambrinidis (PSE). - (EL) Signora Presidente, è ampiamente riconosciuto che l’attuale distribuzione dei seggi all’interno del Parlamento europeo non è equamente rappresentativa delle realtà demografiche degli Stati membri e che le correlazioni sono svantaggiose per alcuni paesi di piccole e medie dimensioni.

Il fatto che la relazione non riduca il numero di seggi stabilito nel trattato di Nizza è senz’altro un elemento positivo. Tuttavia, mi preme aggiungere che nel caso della Grecia, un aumento del numero di seggi attribuiti, da 22 a 23, sarebbe assolutamente equo, poiché la popolazione del paese eccede del 10 per cento quella di altri Stati che dispongono dello stesso numero di seggi parlamentari.

Oggi, tuttavia, mi vorrei concentrare sui vari emendamenti che sono stati proposti in relazione al metodo di calcolo del numero di eurodeputati. La prima questione è che la base di calcolo non considera la popolazione di un paese nella sua interezza, ma unicamente i suoi cittadini. Io sono favorevole al concetto di cittadino europeo, ma sono in totale disaccordo con la sua applicazione qui. In qualità di eurodeputato, sento di dover rappresentare anche quelle categorie della popolazione del mio paese, che pur non essendo necessariamente cittadine greche o europee, allevano i nostri figli, si prendono cura dei nostri anziani, costruiscono le nostre case, costituiscono il personale delle nostre università, contribuiscono al sistema previdenziale e mandano i loro figli nelle nostre scuole. Le nostre decisioni in materia di ambiente, servizi, immigrazione, previdenza e decine di altre tematiche interessano, di fatto, anche la vita di questi nostri concittadini che spesso, ovviamente, sono i meno privilegiati. Pertanto, ritengo sia democraticamente imperativo che il numero di eurodeputati si basi sul numero totale di residenti di un paese.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE). - (DE) Signora Presidente, il dibattito di oggi sulla futura composizione del Parlamento europeo non è stato, purtroppo, un momento culminante nella storia della democrazia europea. Forse è stato un bene che né la Commissione, né il Consiglio abbiano trovato il tempo di assistervi.

Abbiamo dovuto ascoltare oratori che hanno decantato principi in maniera molto enfatica, principi che, tuttavia, non ci hanno condotti ad alcun progresso, in termini pratici, e che, pertanto, non hanno nulla da offrire al di là del loro pathos. Abbiamo, di fatto, ascoltato moltissimi oratori che si sono concentrati sui loro interessi nazionali, il che non costituisce certo una strategia di successo nella ricerca di una soluzione europea e, in quanto tale, probabilmente non ci avvicinerà neppure a una soluzione.

Fortunatamente, abbiamo ascoltato anche oratori dall’approccio pragmatico, che hanno ricercato soluzioni comprensibili, trovando quindi, nella proposta di entrambi i nostri relatori – gli onorevoli Alain Lamassoure e Adrian Severin – un fondamento appropriato. Ritengo sia opportuno esprimere la nostra sincera gratitudine ai relatori per il lavoro svolto in sede di commissione e per quello che seguirà. Un ringraziamento dovuto in nome della cortesia mediterranea, ma che nel caso specifico, i due relatori si sono ampiamente meritati. Da un uomo che non viene dal Mediterraneo, dunque, un sincero grazie a entrambi.

Mi auguro e sono ansioso di assistere, in occasione del voto di domani, a un momento forse storico per questo Parlamento. Così sarà, se riusciremo a trovare una maggioranza chiara e definita a sostegno della proposta degli onorevoli Lamassoure e Severin, lanciando, quindi, un altro segnale chiaro al Consiglio. Comunque sia, il Parlamento europeo ha gettato delle basi ragionevoli per le elezioni del 2009.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAREK SIWIEC
Vicepresidente

 
  
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  Panayiotis Demetriou (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, per valutare correttamente la proposta dei due relatori, l’onorevole Severin e l’onorevole Lamassoure, è necessario tenere conto di alcuni fatti e applicare determinate regole.

Innanzi tutto, dobbiamo accostarci alla relazione con approccio europeo e non nazionalistico. In caso contrario, si scatenerà una competizione su quale paese ottiene più seggi e quale meno. In secondo luogo, è bene tenere presente alcuni fatti, per esempio che il Parlamento europeo non è chiamato a decidere oggi sulla composizione della sua Assemblea, ma a presentare una proposta al Consiglio. Il Consiglio stesso ha un certo margine e assunti su cui basarsi per la valutazione della proposta, per quanto si tratti di assunti che fanno riferimento al passato – presupposto che dal nostro punto di vista potrebbe non sembrare molto equilibrato.

Inoltre, dobbiamo considerare le cifre aritmetiche che ci sono state fornite. Abbiamo un totale di 750 eurodeputati, con un massimo di 96 e un minimo di 6 per paese. Non possiamo metterci a mercanteggiare anche sulle quote di popolazione che si trovano all’interno o all’esterno del territorio nazionale. Dobbiamo raggiungere un compromesso basato sulla situazione esistente e in linea con la popolazione e con i principi applicati in altri settori. Non siamo qui per rifondare l’UE. Quando saremo chiamati a farlo, utilizzeremo calcoli differenti. Ciò che conta oggi è dunque raggiungere un risultato che raccolga il più ampio sostegno possibile dal Parlamento europeo, in modo da tutelare la nostra credibilità e aprire, nel contempo, la strada a movimenti europei e non nazionalistici. Permettetemi, dunque, di fare appello agli stimati tedeschi, che si sono sempre dimostrati generosi; del resto; se in passato essi avessero manifestato la stessa tendenza di oggi, non ci sarebbe stata alcuna Unione europea. Faccio appello anche ai miei colleghi deputati di altri Stati, affinché domani si possa adottare la relazione Lamassoure-Severin con la più ampia maggioranza possibile.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE). (EN) Signor Presidente, una volta che ci si discosta dal concetto di rigorosa proporzionalità in ambito elettivo, si finisce, inevitabilmente, per applicare il compromesso politico, anziché la pura matematica. Il principio democratico secondo cui tutti i voti devono avere lo stesso peso non potrà essere applicato finché l’Unione europea non diventerà un sistema completamente federale.

All’interno dei limiti imposti dal Consiglio, il compromesso politico proposto dagli onorevoli Severin e Lamassoure rappresenta uno sforzo ragionevole e ben ponderato, all’insegna del fair play e della solidarietà per l’intera popolazione dell’Unione europea. Personalmente sostengo tale proposta e mi oppongo ai sistemi alternativi proposti, in quanto meno equi e meno bilanciati.

Ma, poiché alcuni si sono accostati a questo dibattito come a un esercizio di ego nazionale, è bene sottolineare che qui ci si occupa di come i cittadini eleggono i propri rappresentanti in seno a questo Parlamento sulla base delle proprie preferenze politiche, perché quest’istituzione funga da colegislatore insieme al Consiglio; è il Consiglio a rappresentare lo Stato e non quest’Aula.

 
  
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  Simon Busuttil (PPE-DE). - (MT) Il Trattato di riforma, al pari della Costituzione europea, introdurrà il principio che uno Stato membro, per quanto piccolo esso sia, debba disporre di un’adeguata rappresentanza e quindi non possa avere meno di sei seggi in seno al Parlamento europeo. Malta, il mio paese, che al momento dispone di cinque seggi, li vedrà aumentare a sei. Quest’acquisizione sanerà una ferita, per così dire, che risale a non meno di sette anni fa, quando nel trattato di Nizza vennero attribuiti a Malta cinque seggi anziché sei, come il Lussemburgo, che ha la stessa popolazione.

Sei seggi invece di cinque significano un incremento della rappresentanza del 20 per cento e che i deputati maltesi in quest’Aula si troveranno in una condizione più agevole per svolgere i doveri parlamentari, che sono in continuo aumento. Basti pensare che in questo Parlamento abbiamo più di 20 commissioni, già molto difficili da seguire con sei deputati. Con cinque, è un’impresa impossibile. Tali commissioni stanno preparando leggi che saranno vincolanti per tutti i cittadini, compresi quelli maltesi, ed è opportuno che i cittadini di tutti i paesi, anche i più piccoli, si trovino in una posizione adeguata, equa e ragionevole, per essere rappresentati e ascoltati in ogni commissione. Tanto più se si considera che con il nuovo trattato, il Parlamento europeo accrescerà i propri poteri, diventando colegislatore insieme alla Commissione, praticamente in tutte le materie.

La soglia minima di sei seggi è dunque un segnale positivo che rafforzerà la fiducia dei paesi più piccoli nei confronti dell’Unione europea, pertanto ritengo che la relazione Lamassoure-Severin debba essere sostenuta.

 
  
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  Adrian Severin (PSE), relatore. (EN) Signor Presidente, non c’è niente di più difficile che comprendere una spiegazione, quando dalla mancata comprensione di quella spiegazione dipende la salvaguardia dei propri interessi. Temo che molti dei nostri colleghi si siano dileguati perché non erano alla ricerca di una spiegazione: desideravano semplicemente affermare il proprio punto, e nient’altro.

Comunque sia, ci terrei a fornire, molto brevemente, qualche chiarimento. Innanzi tutto, laddove questa relazione venisse rigettata, non si tornerebbe semplicemente a Nizza, ma a una condizione molto peggiore, poiché, stando al mandato della CIG, il Trattato sancirà un massimo di 96 seggi per ciascun paese – pertanto, oltre a tornare alle disposizioni di Nizza, la Germania otterrebbe comunque 96 seggi. Opponendosi a questa relazione, quindi, la Germania non si assicurerebbe i 99 seggi che detiene attualmente; è bene che i colleghi tedeschi ne siano consapevoli.

L’onorevole Grabowska si interrogava riguardo ai cittadini polacchi che vivono in parte in Polonia e in parte all’estero. Tutto dipenderà dalla loro residenza: che siano all’estero per turismo o per brevi periodi di tempo non importa, ma se risiedono all’estero e si recano in Polonia solo per far visita ai parenti, verranno presi in considerazione nel paese in cui vivono, e avranno, ovviamente, la possibilità di votare come qualsiasi cittadino europeo. L’onorevole Grabowska si chiedeva, inoltre, chi avrebbe rappresentato questi cittadini. La risposta è assolutamente chiara: i deputati per i quali voteranno. Tutti i cittadini europei godranno del diritto di voto e tutti verranno rappresentati dai deputati per i quali avranno votato.

Alcuni colleghi hanno affermato, e cito soltanto un collega italiano, che per la prima volta nella storia dell’Unione si prendono in considerazione i residenti e non i cittadini. Falso! Si sono sempre presi in considerazione gli abitanti, la popolazione, sin dal Trattato di Roma. Se desiderate modificare questa pratica, siete liberissimi di farlo, ma vi prego di non affermare in questa sede cose del tutto false.

E concludo sostenendo che se esiste un problema, è da ricercarsi nella mancata armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di elezioni. Personalmente non potrei che essere favorevole all’avvicinamento di tali legislazioni, ma questa è un’altra questione. Richiede tempo e dovremo affrontarla separatamente. Auguro buona fortuna ai relatori che si dovranno occupare dell’armonizzazione delle legislazioni elettorali; spero che riescano nell’impresa. Per il momento, mi auguro soltanto che domani, dopo una notte di riflessione, si ottenga un voto che rafforzi davvero la credibilità di questa istituzione.

 
  
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  Presidente. − Al collega è stato concesso più tempo, in quanto relatore. Vorrei rassicurare l’onorevole Severin che questo non ha nulla a che fare né con la sua relazione, né con la sua persona. L’esperienza mi ha insegnato che i parlamentari sono più bravi a parlare che ad ascoltare. E questa discussione ne è stata la riprova.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, 11 ottobre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa proposta rientra nel quadro della Costituzione europea, a cui si vuole rimettere mano al Vertice di Lisbona, in relazione al nuovo trattato, riproponendo ancora una volta le pressioni e le minacce poste in essere prima che il testo venisse respinto per via referendaria in Francia e nei Paesi Bassi nel 2005.

Anziché sostenere il principio degli Stati sovrani con pari diritti, che richiederebbe, perlomeno, la tanto decantata solidarietà da parte degli Stati più popolosi e il rispetto per l’equilibrio all’interno dei vari organismi istituzionali (Consiglio, Commissione e Parlamento europeo), l’intento è quello di stabilire soglie minime e massime e applicare la proporzionalità degressiva basata sulla popolazione, riducendo così i paesi a una funzione della loro popolazione e svilendo sistematicamente la natura rappresentativa della democrazia. Lo squilibrio esistente prima del Trattato di Nizza non viene neppure preso in considerazione.

In questo modo, per esempio, il Portogallo perde due eurodeputati, mantenendone solo 22, mentre la Spagna ne guadagna quattro; è certo che la Germania ne perderà tre, rimanendo a quota 96; in compenso la Francia ne avrà 74, il Regno Unito 73, l’Italia 72, la Spagna 55 e la Polonia 51. Già solo queste sei potenze europee insieme raggiungono un totale di 420 eurodeputati, molti più della maggioranza del Parlamento europeo con 750 deputati in rappresentanza di 27 Stati membri.

Per questo motivo, voteremo contro la relazione.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. (FI) Signor Presidente,

io rappresento un piccolo Stato membro alla periferia dell’Unione. Questo, per me, significa comprendere quanto sia importante, talvolta, difendere con veemenza gli interessi nazionali e sottolineare le nostre circostanze differenti. In generale, i deputati rappresentanti dei grandi Stati membri l’hanno capito, perlomeno nel mio gruppo, e sono attenti a non scartare con leggerezza le nostre opinioni, per evitare che i paesi più grandi prevarichino quelli più piccoli all’interno dell’Unione.

In fase di stesura della relazione dell’onorevole Lamassoure, la voce di un paese piccolo come il nostro è stata ascoltata in virtù del fatto che la sottoscritta, insieme agli altri eurodeputati finlandesi, ha tenuto il saldo controllo dei 14 seggi assegnati alla Finlandia in Parlamento.

E’ assolutamente legittimo difendere il beneficio acquisito. Tuttavia, gli emendamenti alla relazione proposti dai deputati finlandesi al fine di mantenere un seggio in più non sono stati accolti durante i lavori della commissione e non avrebbero alcuna possibilità di superare la plenaria. Il motivo principale è, probabilmente, che si è già rinunciato, in qualche modo, al beneficio acquisito: nei colloqui di Nizza, la Finlandia aveva accettato di essere rappresentata da 13 eurodeputati.

Con la relazione dell’onorevole Lamassoure, la posta in gioco diventa ancora più alta. Gli emendamenti proposti dai delegati tedeschi, spagnoli e polacchi del mio gruppo minacciano seriamente le possibilità, per gli Stati membri più piccoli, di esercitare una qualche influenza all’interno del Parlamento europeo. L’emendamento secondo cui ogni Stato membro disporrebbe di sei seggi a partire dal 2014 e il resto dei seggi in Parlamento verrebbe distribuito in base al metodo d’Hondt, distruggerebbe completamente l’attuale sistema di proporzionalità degressiva, che costituisce lo strumento migliore per garantire un processo decisionale oggettivo all’interno dell’Unione. Tale emendamento comporterebbe, di fatto, una riduzione del numero di seggi finlandesi a 10, per esempio, nel caso continuasse l’allargamento. Questo è per noi inaccettabile.

Pertanto invito tutti voi a ricordare quanto sia importante che i paesi più piccoli possano esercitare un’influenza all’interno della nostra Unione.

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) La distribuzione dei seggi fra gli Stati membri in seno al Parlamento europeo non dev’essere in alcun caso arbitraria. Durante i negoziati del Vertice di Nizza condotti a tarda notte, gli Stati membri dipendevano, in generale, dal grado di prontezza di un singolo uomo, il capo di Stato o di governo, durante le ore notturne.

Per la Svezia l’esito è stato estremamente negativo. Sebbene la nostra popolazione sia inferiore a quella di Ungheria e Repubblica ceca solo per un milione di persone, circa, ci sono stati assegnati cinque seggi in meno al Parlamento europeo, ovvero 19 anziché 24.

E’ importante adottare un principio per la distribuzione dei seggi, che resti invariato nel tempo, nell’ottica del continuo allargamento dell’Unione. Ed è altrettanto importante stabilire il principio di sovrarappresentanza degli Stati più piccoli, in conformità a un sistema di distribuzione degressiva.

Questa relazione propone dei miglioramenti all’attuale sistema di distribuzione dei seggi all’interno del Parlamento europeo, pertanto noi intendiamo sostenerla. Tuttavia, siamo fermamente contrari a creare un’unica circoscrizione sull’intero territorio dell’UE. Ciò si tradurrebbe in un’ulteriore riduzione delle dimensioni delle delegazioni nazionali. Creare una circoscrizione europea separata è un metodo artificioso di cercare di creare una demos europea. Non esiste un’arena politica comune in Europa. Il tentativo di abbattere le barriere linguistiche e di tradizione creando una circoscrizione UE è destinato a fallire.

 

18. Situazione umanitaria nella Striscia di Gaza
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la dichiarazione del Consiglio e della Commissione sulla situazione umanitaria nella striscia di Gaza.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio.(PT) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, le prospettive regionali e internazionali a breve termine ci presentano una finestra di opportunità per una dinamica di soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese e l’istituzione di uno Stato palestinese, opportunità che la comunità internazionale non può lasciarsi sfuggire.

Ci troviamo in una fase cruciale, che potrebbe consentirci di compiere significativi progressi nel processo di pace in Medio Oriente. Il dialogo politico bilaterale attualmente in corso tra il Primo Ministro Olmert e il Presidente Abbas, nonché la recente costituzione di squadre di negoziatori su entrambi i fronti, sono passi coraggiosi e incoraggianti che noi approviamo e sosteniamo e che ci auguriamo possano consentirci di portare risultati tangibili alla riunione internazionale del prossimo autunno, riunione promossa dagli Stati Uniti d’America.

Auspichiamo che l’attuale dinamica, che prevede, nello specifico, anche la partecipazione dei paesi arabi, renda possibile avvicinarci all’istituzione di uno Stato palestinese realizzabile, democratico e indipendente, in grado di coesistere accanto a Israele in pace e sicurezza.

L’Unione europea, sia all’interno, sia all’esterno del Quartetto, ha dato prova di essere un partner fidato e imparziale, impegnato a favore del successo del dialogo tra le parti. Pertanto, riconfermiamo il nostro impegno al processo politico, alla missione di creare le basi per uno Stato palestinese e al sostegno allo sviluppo economico dei territori palestinesi.

Le riunioni del Quartetto e del comitato ministeriale di collegamento ad hoc a New York, rispettivamente il 23 e il 24 settembre, hanno sottolineato ancora una volta il sostegno della comunità internazionale a favore degli sforzi diplomatici in corso. Nella comunicazione conclusiva della riunione del Quartetto, l’Unione europea e i suoi partner hanno espresso la loro apprensione per la situazione nella striscia di Gaza, ribadendo l’importanza di continui aiuti umanitari e d’urgenza, compresa la fornitura di servizi essenziali alla popolazione palestinese.

Inoltre il rappresentante del Quartetto, Tony Blair, ha ricordato l’urgente necessità di sviluppare l’economia palestinese e le relative istituzioni, in quanto prerequisito per l’appropriato funzionamento del futuro Stato palestinese. E’ stata sottolineata l’importanza, per il rappresentante del Quartetto, di stilare un’agenda pluriennale per lo sviluppo economico e istituzionale dei territori palestinesi. La stessa considerazione, oltre all’esigenza che la comunità internazionale mobiliti aiuti finanziari e tecnici a favore di questi progetti, è stata ribadita nel corso dell’incontro ministeriale dei donatori internazionali, nell’ambito della riunione del comitato di collegamento ad hoc.

Numerose relazioni internazionali denunciano il deterioramento delle condizioni umanitarie per la popolazione di quei territori; una situazione che alimenta la povertà e la violenza, favorendo il radicalismo e l’estremismo – un circolo vizioso che dev’essere urgentemente interrotto. La decisione israeliana del 19 settembre di dichiarare la striscia di Gaza territorio ostile, e la ventilata possibilità di estendere lo spettro delle sanzioni imposte a Gaza, rischia, se applicata, di esacerbare l’attuale situazione. Pur riconoscendo il diritto legittimo di Israele a difendersi, l’Unione europea sottolinea la necessità che le autorità israeliane valutino attentamente le implicazioni e le conseguenze delle loro decisioni sulla vita della popolazione della striscia di Gaza.

L’Unione europea ha costantemente riconfermato il proprio totale impegno nella prosecuzione degli aiuti umanitari alla striscia di Gaza. L’Unione è il donatore principale. Nel 2006, gli aiuti dell’Unione, stanziati dalla Commissione e dagli Stati membri, hanno raggiunto un totale di 688 milioni di euro. Nel 2007, la Commissione ha stanziato più di 425 milioni di euro, suddivisi fra aiuti umanitari e sociali, supporto strategico per l’istituzione dello Stato e consulenza in materia di riforme economiche. Il meccanismo internazionale temporaneo, prorogato per altri tre mesi, fino alla fine dell’anno, è stato uno degli strumenti privilegiati per convogliare gli aiuti dei donatori, a fronte della complessa situazione nell’area. Inoltre, la Commissione intende ristrutturare l’assistenza al governo Abbas/Fayad, al fine di renderla più efficiente e produttiva.

Tuttavia, riteniamo che l’Unione europea non debba addossarsi da sola quest’onere finanziario e che sarebbe, pertanto, auspicabile che altri partner, in particolare gli Stati arabi, contribuissero a questo sforzo, sostenendo parte dei costi della costruzione di uno Stato palestinese. L’UE ha evidenziato l’importanza di riaprire i valichi di entrata e uscita nella striscia di Gaza, al fine di garantire la libera circolazione di persone e merci, conformemente all’accordo sulla libertà di accesso e circolazione.

Il sostegno europeo prevede anche assistenza al settore privato, motore dello sviluppo economico sul lungo periodo, in particolare assicurando supporto al governo palestinese nell’estinzione dei debiti con il settore privato. Queste sono soluzioni a breve termine, che tuttavia, non devono perdere di vista l’obiettivo di lungo periodo della crescita dell’economia e delle finanze palestinesi. Di fatto, sarà necessario valutare le prospettive a lungo termine, al fine di passare gradualmente dall’attuale fase di aiuti d’urgenza, a una fase di assistenza per lo sviluppo economico – ovvero, una transizione dall’astio agli scambi commerciali.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, due settimane fa ero a New York dove si sono tenuti diversi incontri della comunità internazionale sulla questione palestinese. C’è stato anche un importante incontro del Quartetto, di cui sono membro permanente, poiché faccio parte della delegazione europea, nonché un incontro del comitato di collegamento ad hoc dei maggiori donatori ai palestinesi, in preparazione di una conferenza dei finanziatori che avrà luogo, probabilmente, alla fine di dicembre, dopo l’incontro internazionale attualmente in preparazione.

Per tutti noi, la conclusione principale, come ha già detto il Presidente in carica, è che si prospetti davvero un’opportunità cruciale per i partner regionali e internazionali di sostenere efficacemente il processo di pace. Devo ammettere che, conoscendo le difficoltà che questo comporta, sono quantomeno cautamente ottimista riguardo alla prospettiva di un incontro serio e importante che si terrà negli Stati Uniti a novembre. Ringrazio coloro che hanno ricordato i nostri sforzi, ma permettetemi anche di dire che mi sono rivolta in maniera molto franca ai nostri partner arabi, poiché sono loro a non essersi ancora sforzati quanto noi. Li ho sollecitati con forza a fare lo stesso per i loro amici arabi. Siamo pronti a fare la nostra parte anche in futuro e ci auguriamo davvero che questo incontro internazionale sul Medio Oriente rappresenti un ulteriore passo verso un dialogo costante e positivo, nella speranza che, al momento opportuno, uno Stato palestinese possa vivere fianco a fianco con Israele all’interno di confini sicuri.

So bene, certo, che la fornitura di aiuti umanitari nella striscia di Gaza è divenuta molto più difficoltosa. Per esempio, è stato necessario sospendere due progetti nell’ambito del settore idrico e dei servizi igienico-sanitari, finanziati dall’ufficio umanitario della Commissione. I partner incaricati delle operazioni non sono riusciti a importare il materiale necessario, poiché è stata vietata l’importazione di articoli quali ricambi per apparecchiature ospedaliere e pompe per l’acqua.

La Commissione europea non è rimasta inerte di fronte alla situazione. Al contrario, gli aiuti umanitari e d’urgenza destinati al territorio palestinese occupato, compresa la striscia di Gaza, hanno raggiunto livelli senza precedenti. Continuiamo, inoltre, a fornire il nostro sostegno alla preziosa attività dell’UNRWA nell’area di Gaza. Il Commissario Michel ha impegnato di recente nuove risorse tramite il Programma alimentare mondiale, al fine di rispondere alle esigenze primarie delle fasce più vulnerabili della popolazione palestinese. I nostri aiuti d’urgenza diretti alla popolazione a basso reddito e più socialmente disagiata continuano, attraverso il pagamento di sussidi sociali. A settembre abbiamo distribuito sussidi a 35 000 famiglie povere in Cisgiordania e a Gaza. Questo dimostra il valore aggiunto del meccanismo internazionale temporaneo, in grado di operare efficacemente in tutto il territorio palestinese occupato. A settembre, le nostre forniture di carburante nella striscia di Gaza avevano superato i 90 milioni di litri. Il suddetto carburante soddisfa il 25 per cento, o un quarto, delle esigenze energetiche della popolazione locale.

Per queste ragioni, ho chiesto al Quartetto, in occasione dell’ultimo incontro tenutosi a New York, di estendere questo meccanismo finanziario fino a dicembre. Sempre a New York, nell’ambito di diversi incontri e con svariati interlocutori, ho sollecitato nuovamente e in maniera reiterata lo sviluppo dell’agenda in materia di accesso e libera circolazione. Siamo lieti che Tony Blair stia seguendo da vicino la questione, nell’intento di scorgervi una possibilità economica di sviluppo. Il che, ovviamente, non è possibile senza libertà di circolazione e di accesso, malgrado i giustificati timori relativi alla sicurezza espressi dal governo israeliano. Ritengo si possa e si debba fare molto di più, ma per riuscirci occorrerà una maggiore volontà politica rispetto a quella esercitata finora.

Concordo, inoltre, con il Parlamento che la chiusura degli attraversamenti di confine a Gaza abbia implicazioni disastrose per la vita di una popolazione già disagiata, oltre che per la necessaria risposta umanitaria. Il valico di Karni è chiuso ormai da quasi quattro mesi, pertanto i nostri aiuti devono transitare da Karem Shalom e Sufa. Riteniamo si tratti soltanto di una soluzione temporanea, innanzi tutto perché le strutture offerte da quei punti di attraversamento sono inadeguate e comportano costi di trasporto interno aggiuntivi – fino al 40 per cento del costo delle forniture d’aiuti – e in secondo luogo perché le restrizioni sull’equipaggiamento che vogliamo portare a Gaza rendono difficoltoso lo svolgimento dei nostri progetti.

Detto questo, le nostre azioni devono anche tener conto dell’occupazione illegale della striscia di Gaza. La nostra politica coincide con la linea tenuta dal Quartetto e con la posizione del legittimo governo dell’Autorità palestinese, pertanto il Presidente Mahmoud Abbas ha tutto il nostro sostegno. In data 23 settembre, noi e altri partner del Quartetto abbiamo affermato in maniera piuttosto chiara la nostra posizione. Abbiamo espresso le nostre forti preoccupazioni in merito alla continua chiusura di rilevanti punti di attraversamento. Abbiamo concordato sull’importanza di un’ininterrotta assistenza umanitaria e d’urgenza, senza ostruzioni, e abbiamo sollecitato la costante fornitura di servizi essenziali.

Permettetemi, infine, di accennare alla situazione all’interno della Cisgiordania, che non può certo essere trascurata. Malgrado i recenti annunci fatti dalle autorità israeliane in merito alla riduzione dei punti di controllo, la realtà sul campo è, purtroppo, molto diversa: la situazione sta peggiorando. Non solo la politica di insediamento e di costruzione della barriera di sicurezza continua, ma sono stati istituiti 48 nuovi punti di controllo, stando a quanto riportato in una recente relazione dell’OTCHA.

E’ essenziale portare avanti l’agenda relativa alla libertà di accesso e circolazione, altrimenti verranno minate le prospettive di un futuro Stato palestinese sostenibile. Permettetemi soltanto di aggiungere che, in vista del prossimo Consiglio degli affari esteri, già nei lavori di preparazione della bozza delle conclusioni del Consiglio viene enfatizzata molto chiaramente la disastrosa situazione di Gaza, sottolineando l’importanza di un’ininterrotta assistenza umanitaria e d’urgenza senza ostruzioni.

 
  
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  Jana Hybášková, a nome del gruppo PPE-DE. (EN) Signor Presidente, ancora una volta ci troviamo qui a ripetere: la situazione di Gaza è spaventosa. E ancora una volta, tutti concordiamo: bisogna fare qualcosa. Pertanto, ho l’onore, a nome del gruppo PPE-DE, di presentare questa risoluzione e di accogliere favorevolmente l’articolo 5, a totale sostegno della convenzione del Maryland. Ma, francamente, posso confidare che saremo pronti a un’operazione umanitaria e alla pianificazione di contingenza, sapendo che l’abbiamo sollecitata e che io stessa ho fatto appello a lei in questa sede prima dell’estate?

Molti di voi hanno pensato che richiedessi un intervento estero. No! Ero semplicemente consapevole che essere pronti per un’operazione umanitaria ci avrebbe aiutati a reagire rapidamente laddove si fosse verificato l’inevitabile. Ora siamo a ottobre, e non ci sono stati grandi progressi.

E’ ovvio che la popolazione di Gaza meriti il nostro aiuto: un rimedio immediato e di breve termine. Ma alla luce dei nostri svariati anni di collaborazione con il Medio Oriente, sappiamo tutti benissimo che i rimedi temporanei non servono. Ciò che occorre realmente, qui, è sanare le cause della sofferenza dei palestinesi.

Molti qui sono convinti – e io dissento profondamente – che Israele sia l’unica causa di tale sofferenza. Mi sono recata a Gaza per la prima volta nel 1990. Ho visto anche Hodeida, Tanta, Bengasi, Ismailia, giusto per citare qualche altra località del Medio Oriente in cui la situazione è pressoché identica: niente occupazione, niente intervento militare. Malgoverno, corruzione, nepotismo, regimi di polizia – sono questi i Pudelskern. Dobbiamo chiamare le cose con il loro nome; dobbiamo concentrarci su come possiamo aiutare coloro che sono vittima di tutte queste situazioni.

Dobbiamo aver pazienza per arrivare alla verità, per condurre analisi adeguate e oggettive, per progettare l’aiuto, per preparare progetti su misura, per investire denaro, per insegnare e guidare. E per essere inflessibili. Per essere risoluti e responsabili.

A Gaza, ottomani, inglesi, egiziani, israeliani, americani ed europei fanno tutti parte del problema. Ma il ruolo principale spetta ai palestinesi stessi. Noi possiamo solo aiutarli. Devono rinunciare all’uso delle minacce, degli abusi, della violenza, del terrorismo e delle uccisioni. Devono porre fine alla corruzione. Devono rinunciare al nepotismo e ai propri potentati.

(Il Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Thijs Berman, a nome del gruppo PSE. – (NL) Signor Presidente, da metà luglio, quando Hamas ha preso il potere nella striscia di Gaza, un milione e mezzo di persone è stato confinato in quello che gli abitanti stessi definiscono un ghetto, un allevamento di bestiame. Nemmeno ai malati di cancro è consentito uscire dalla regione. Israele si giustifica sostenendo che si tratti di un territorio ostile. Solo derrate alimentari, medicine e pochi aiuti umanitari hanno accesso all’area – ma la popolazione non può vivere solo di farina, lenticchie e farmaci.

La definizione che Israele dà degli aiuti umanitari è assurdamente restrittiva. I componenti delle apparecchiature medicali non possono essere importati, il sistema di approvvigionamento idrico non può essere riparato. Israele minaccia costantemente di interrompere la fornitura di energia elettrica. L’economia della striscia di Gaza è ormai al collasso, la popolazione è disoccupata e avvilita e tutte le risorse finanziarie sono state prosciugate. Si cominciano a registrare casi di malnutrizione. Il blocco alimenta il malcontento, la rabbia e il rancore, non la pace. Gaza sta vivendo un’inaccettabile crisi umanitaria.

Si moltiplicano le richieste di aiuto e, oltretutto, i costi dell’assistenza stanno lievitando a seguito del blocco. Pertanto, gli Stati membri dovranno fornire maggiore sostegno finanziario all’UNRRA e alle altre organizzazioni sul territorio. E’ un passo che la Commissione europea ha già compiuto, così come alcuni Stati membri. Anche il Parlamento europeo ieri ha votato a favore di un aumento degli aiuti. Il mio gruppo esorta il Consiglio a sostenere tale decisione.

I soli aiuti, comunque, non sono sufficienti. La Presidenza è rimasta diffidente, cauta, in proposito questa sera – ma l’Unione europea non può più assumersi la responsabilità morale della fornitura degli aiuti, astenendosi, nel contempo, dal prendere provvedimenti politici contro il blocco. A nome del mio gruppo, chiedo quindi alla Presidenza, al Consiglio e alla Commissione di sollecitare Israele a porre immediatamente fine al blocco. Nella striscia di Gaza, è l’intera popolazione a essere punita – il che è illegale ai sensi dell’articolo 33 della quarta convenzione di Ginevra. Inoltre, questo metodo non si addice a Israele e l’Unione europea dovrebbe farlo presente al governo israeliano, anziché restare passiva – proprio perché si tratta di un alleato. Questo conferirebbe significato all’accordo euromediterraneo di associazione con Israele, poiché solo agendo contro questo blocco l’UE renderà giustizia all’articolo sui diritti umani.

 
  
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  Chris Davies, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signor Presidente, non parlo a nome del mio gruppo, bensì in qualità di deputato che ha visto cose che avrebbe preferito non vedere.

Mi auguro che il Ministro non creda alle ipocrite sciocchezze che ha letto all’Aula. Insinuare anche per un solo istante che le politiche dell’Unione europea siano imparziali è semplicemente ridicolo. E’ chiaro a tutti che qui si persegue una politica di due pesi e due misure: ci aspettiamo e pretendiamo che i palestinesi sottostiano a qualsivoglia richiesta, mentre ci limitiamo a invitare gli israeliani a soddisfare le nostre attese.

Questo duplice atteggiamento è vergognoso. Commissario, si ricorda quando, in questa stessa sede, pochi mesi fa, dopo che la delegazione palestinese era rientrata dal colloquio con il Primo Ministro Haniyeh a Gaza, prima del crollo del governo di unità palestinese, ha dichiarato che avrebbe fatto tutto il possibile per sostenere quel governo? Nell’arco di due settimane, ovviamente, quel governo cadde! Cadde in parte perché ci eravamo rifiutati di parlare con i rappresentanti eletti. Ci eravamo rifiutati di parlare con il Primo Ministro Haniyeh e, com’era facile prevedere, avendo minato le forze democratiche, la violenza prese il sopravvento.

A quanto pare, non impariamo mai le lezioni della storia. Dobbiamo smetterla di ignorare le istanze del popolo palestinese. Dobbiamo iniziare a rispettare le forze della democrazia e dobbiamo riconoscere che è impossibile ottenere la pace senza interloquire con il proprio nemico.

(Applausi).

Il reiterato rifiuto di confrontarci con quegli esponenti di Hamas disposti a fare un passo verso di noi rende impossibile promuovere la pace nel Medio Oriente.

Una domanda in merito alla proposta di risoluzione avanzata: perché mai dovremmo prendere in considerazione di elargire del denaro a Gaza? Che cos’ha a che fare con l’Unione europea? Gaza è un campo di prigionia israeliano! Non ha nulla a che vedere con noi. Sono gli israeliani che dovrebbero assumersi la responsabilità di mantenere in vita un milione e mezzo di persone. Sono loro ad affliggerli. Non spetta a noi utilizzare il denaro dei nostri contribuenti per far fronte a responsabilità israeliane.

Infine, vorrei tornare sulla questione dell’imparzialità: nelle ultime due settimane si è saputo che la Forza di difesa israeliana ha ordinato la confisca di ulteriori territori palestinesi per consentire la costruzione delle strade per la realizzazione dell’insediamento E1 – un’ulteriore estensione degli insediamenti ebraici a Gerusalemme Est – in aperta violazione di qualsiasi impegno avessimo richiesto al governo israeliano e contro ogni speranza di un esito veritiero degli imminenti colloqui di pace.

Mentre i palestinesi vedono svanire davanti ai loro occhi ogni speranza di uno Stato palestinese sostenibile e indipendente, che cosa intende fare in proposito l’Unione europea? Sapete tutti benissimo che non farà assolutamente nulla, se non esprimere qualche parola, senza intraprendere alcuna azione tangibile!

 
  
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  Ryszard Czarnecki, a nome del gruppo UEN. (PL) Signor Presidente, io ho fatto parte della delegazione di cinque rappresentanti del Parlamento europeo che ha trascorso un paio di importanti giornate nell’Amministrazione autonoma palestinese. Posso affermare categoricamente che la natura della nostra missione era umanitaria e non politica. Lo sottolineo perché non vorrei che la nostra si trasformasse in una discussione prettamente politica, in cui il Parlamento europeo assumesse il ruolo di avvocato dell’accusa contro qualcuno. Vorrei che ci elevassimo al disopra delle divisioni politiche e considerassimo in che modo aiutare la Palestina civile.

Vorrei comunque chiarire che, a quanto pare, un miglioramento dello standard di vita nella striscia di Gaza, tramite una normale operatività degli ospedali e delle scuole, il pieno accesso all’acqua potabile e agli approvvigionamenti alimentari ed energetici, nonché la possibilità di lavorare normalmente nel settore agricolo, ha maggiori probabilità di tradursi in un allentamento della tensione nelle relazioni israelo-palestinesi e di smorzare la potenziale ostilità, per quanto riguarda i coloni ebrei, israeliani e lo Stato di Israele.

Pochi mesi fa, sono intervenuto davanti a quest’Assemblea a proposito dei controversi passaggi pronunciati in alcune scuole palestinesi, all’interno di libri di testo palestinesi, ma ora siamo passati da un estremo all’altro. Non possiamo più criticare determinati aspetti dell’istruzione palestinese, poiché tale sistema è, di fatto, defunto.

Ma c’è anche un altro risvolto della medaglia, un aspetto intra-palestinese. Lo stallo politico tra Hamas e al Fatah e la fazione del Presidente Abu Mazen continua. Quest’impasse ostacola il funzionamento delle istituzioni palestinesi, ripercuotendosi, così, sui palestinesi che vivono nella regione; e questo certo non per colpa di Israele. Si parla molto di una pace duratura tra lo Stato di Israele e i palestinesi, ma è un po’ come costruire una casa cominciando dal tetto. Dovremmo sempre discutere a cominciare dalle fondamenta, e le fondamenta, in questo caso, sono un miglioramento nell’operatività delle strutture di potere e delle istituzioni pubbliche palestinesi, nonché degli aiuti umanitari al popolo della Palestina.

 
  
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  Margrete Auken, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DA) Signor Presidente, la già menzionata visita in Cisgiordania e alla striscia di Gaza, qualche settimana fa, è stata uno shock – anche per quelli di noi che c’erano già stati diverse volte. La chiusura delle frontiere da parte di Israele e gli innumerevoli posti di blocco rendono impossibile sviluppare un’economia sana e applicare i regolamenti UE in materia di aiuti umanitari. Il Consiglio e la Commissione devono intervenire immediatamente per aiutare l’economia palestinese a risollevarsi. Permettetemi di essere franca: senza il suddetto intervento, una conferenza di pace non potrà mai andare a buon fine. Come è stato ripetuto più volte, la dimensione economica è inscindibile da quella politica. In altre parole, bisogna porre fine all’occupazione israeliana, o non ci sarà mai pace. Oltre alla prostrazione economica, sta attualmente prendendo piede la radicalizzazione dei palestinesi. Si sta facendo largo fra i poveri – il cui numero è in costante ascesa a causa del blocco imposto da Israele – e fra i giovani. I palestinesi delle generazioni più anziane hanno messo in guardia più volte in merito al fatto che i giovani di oggi non hanno mai vissuto fianco a fianco con un israeliano e che la loro unica esperienza di quel popolo è fatta di muri orrendi, invasioni militari e soldati adolescenti che umiliano i loro padri. Questa strada non condurrà alla creazione della pace, ma soltanto a un antagonismo implacabile.

Tanto meno c’è fiducia nell’UE, che ha ignorato le elezioni democratiche tenutesi nei territori palestinesi e, isolando Hamas, ha dato prova di incompetenza diplomatica e dimostrato, ancora una volta, di utilizzare due pesi e due misure. Non ci sarà alcuna pace, a meno che i palestinesi non siano rappresentati nei negoziati in corso, come tutte le parti interessate sanno bene. Come sottolineato dall’onorevole Davies e da altri, ogni speranza di pace andrà in frantumi se, come riportato, il governo di Israele intende espropriare l’area E1. Sia gli USA che l’UE hanno dichiarato con fermezza che questo non deve avvenire. L’interrogativo a cui ora il Consiglio e la Commissione devono rispondere è: quali provvedimenti verranno adottati per evitare l’espropriazione della Gerusalemme Est palestinese?

 
  
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  Luisa Morgantini, a nome del gruppo GUE/NGL. Signor Presidente, onorevoli colleghi, un minuto è nulla. Lobo Antunes ha parlato di gesti, di passi coraggiosi: il passo coraggioso di Olmert dovrebbe essere quello di fermare ogni nuova missione coloniale, liberare migliaia di palestinesi, fermare le incursioni militari nella West Bank, togliere i checkpoint e revocare l’embargo di Gaza! Ed arrivare ai negoziati con passi concreti, invece abbiamo visto ieri nuove confische di terre intorno a Gerusalemme.

Il nostro passo coraggioso, quello dell’Unione europea, dovrebbe essere quello di respingere ogni forma di punizione collettiva messa in atto dal governo israeliano verso la popolazione civile. I nostri progetti a Gaza sono bloccati perché non c’è cemento, non ci sono tubi, i costi sono quadruplicati e l’UNRWA continua a lanciare gesti d’allarme.

Con la risoluzione che voteremo domani chiediamo la revoca del blocco di Gaza e la libertà di movimento delle persone e delle merci ovunque, coscienti che la questione palestinese non è umanitaria! La nostra responsabilità è quella politica, quella di porre fine all’occupazione militare e dire: due popoli e due Stati che possono coesistere in reciproca sicurezza!

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, alla fine della scorsa settimana una delegazione del nostro Parlamento ha discusso della grave situazione in Medio Oriente con le nostre controparti statunitensi, nell’ambito del dialogo transatlantico tra i legislatori (TLD). In quell’occasione, il negoziatore di pace americano Dennis Ross ci ha suggerito, in maniera molto pratica, di offrire aiuti alla popolazione palestinese per gestire la sua precaria esistenza. A tal fine, è necessaria una rete di ONG affidabili e politicamente indipendenti.

Consiglio e Commissione: in che misura stimate ci siano reali possibilità per la Cisgiordania e Gaza? La mia convinzione, al momento, è che il comportamento di Hamas sia la causa dell’attuale situazione di crisi interna ed esterna a Gaza. Esso, infatti, delegittima immancabilmente lo Stato di Israele e legittima, invece, la violenza contro gli israeliani e i palestinesi “dissidenti”.

Signor Presidente, il recente, brutale assassinio del palestinese cristiano Rami Ayyad, di soli trent’anni, evidenzia la rischiosa condizione di questa minoranza a Gaza. Mi aspetto dal Consiglio e dalla Commissione che dedichino attenzione e sostegno alla minoranza cristiana in tutti i territori palestinesi.

 
  
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  Edward McMillan-Scott (PPE-DE). (EN) Signor Presidente, poc’anzi l’onorevole Davies ha chiesto che ruolo avesse l’Unione europea in Medio Oriente. Ovviamente so che si trattava di una domanda retorica, dal momento che egli è molto impegnato nella ricerca di una soluzione, ma di fatto l’Unione europea ha un interesse diretto nell’esito del processo di pace in Medio Oriente.

Io rappresento una circoscrizione dello Yorkshire da cui provenivano i quattro terroristi degli attentati sferrati a Londra diversi mesi fa. Quegli uomini erano motivati da ciò che stava accadendo in Medio Oriente. Così come i terroristi di Madrid. Pertanto, la sicurezza dell’Europa è direttamente collegata al Medio Oriente.

Personalmente ritengo che noi tutti abbiamo obblighi anche storici e umanitari verso un esito pacifico. Dopotutto, il processo di pace si è dimostrato lento e frammentato ed ha generato numerose iniziative, svariate Conferenze intergovernative: Madrid, Oslo e così via. Oggi, a ottobre 2007, siamo arrivati al punto di ricercare quasi disperatamente una qualche forma di soluzione.

Ritengo dunque che sia giunto il momento di operare un ripensamento piuttosto radicale. Una delle proposte che vorrei avanzare è che i recenti colloqui tra il Primo Ministro Olmert e il Presidente Mahmoud Abbas circa – di fatto – una soluzione di status definitiva, riflettano i negoziati condotti privatamente nel 1987 dallo stesso Primo Ministro Olmert, all’epoca un giovane parlamentare, con l’OLP per discutere della capitale dello Stato palestinese a Gerusalemme Est, dei confini del 1967 e del rientro di alcuni coloni. In altre parole, il Primo Ministro Olmert ce l’aveva quasi fatta nel 1987 e forse quest’autunno, arriverà il momento in cui questi due leader, incoraggiati dalla comunità internazionale, convergeranno in maniera radicale per plasmare il futuro, in vista di una soluzione pacifica e bi-statuale del processo di pace mediorientale.

L’onorevole Triantaphyllides, che si è recato in Palestina con la sua delegazione qualche giorno fa, è rientrato con due conclusioni fondamentali. Concentriamoci sulla situazione umanitaria in Palestina, ma pensiamo anche al ruolo che i parlamentari eletti laggiù e altrove possono rivestire in questo processo. Non dimentichiamocelo.

 
  
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  Véronique De Keyser (PSE). - (FR) Signor Presidente, preparando questa risoluzione, ci siamo detti: “Niente politica, solo un approccio umanitario”. Perché oggi è inammissibile che, in un immenso ghetto a cielo aperto, un popolo muoia a fuoco lento, braccato dalle telecamere di tutto il mondo, un popolo esangue, senza diritto di svilupparsi, senza diritto di circolare liberamente, di educare i propri figli, ma comunque un popolo di cui paghiamo a caro prezzo la sopravvivenza e che, soprattutto, non può scoppiarci fra le mani, poiché sarebbe un’onta che le nostre democrazie non potrebbero sopportare.

Quest’anno, l’Unione europea avrà versato più di 300 milioni di euro per evitare questo dramma. Troppo poco perché i palestinesi possano sopravvivere e tuttavia dieci, cento volte troppo, poiché se tutti gli impegni internazionali, la quarta convenzione di Ginevra e i diritti dell’uomo fossero rispettati, non ci troveremmo in questa situazione.

Vergogna sul ghetto! Vergogna su di noi, europei, che abbiamo rifornito Berlino finché il popolo berlinese era assediato! Vergogna su di noi che abbiamo salutato con lacrime di gioia la caduta del muro in Germania e che oggi siamo prigionieri, complici di altri muri e altri ghetti! Stop the closure!

Ma oggi lo sforzo umanitario non può far dimenticare la battaglia politica. Il governo israeliano ha reso noto, il 24 settembre scorso, l’ordine di confisca di 1 100 dunum di terra appartenenti a quattro villaggi arabi situati tra Gerusalemme e Gerico, per costruire una strada che taglierà definitivamente in due la Cisgiordania. E’ un vecchio piano israeliano del 2004, al quale l’Europa e perfino gli Stati Uniti, si sono sempre opposti. Oggi, alla vigilia dell’incontro internazionale di Washington, questa situazione è una vera e propria bomba a orologeria. Con Gaza intrappolata e la Cisgiordania tagliata in due, com’è possibile sognare ancora due Stati che vivano pacificamente l’uno accanto all’altro?

L’8 febbraio 2005, Sharon dichiarava a Sharm el Sheikh: “Abbiamo l’opportunità di dare inizio a una nuova era. Per la prima volta da moltissimo tempo, esiste nella nostra regione la speranza di un avvenire migliore per i nostri figli e i nostri nipoti”. E’ un’opportunità estremamente fragile, che gli estremisti vogliono distruggere. Se questa strada, e molte altre, verranno realizzate, gli estremisti avranno vinto. Oggi, architetti e geografi utilizzano armi più perverse che le bombe. Cingono la Palestina di muri e di strade che annientano qualsiasi sogno di uno Stato possibile.

(Applausi)

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE). (EN) Signor Presidente, non c’è nulla di più demoralizzante di una vita vissuta in povertà, senza alcuna prospettiva e funestata da un conflitto. Mentre la catastrofe umanitaria aleggia sulla popolazione di Gaza, appare chiaro che l’unico obiettivo perseguito dai leader israeliani e palestinesi è quello di assicurare la trasmissione di un patrimonio di sofferenza, povertà, miseria e astio a una nuova generazione di giovani palestinesi.

Una delle dirette conseguenze del divieto israeliano alla libera circolazione delle persone e delle merci è che i bambini non hanno nemmeno accesso all’istruzione basilare. All’intera popolazione vengono negati quei servizi di base che noi tutti, in quest’Aula, diamo per scontati. La stessa sussistenza viene compromessa, poiché a pescatori, agricoltori eccetera viene impedito di svolgere attività commerciali. Gli individui sono afflitti da sofferenze inutili e muoiono a causa delle limitazioni ai servizi e ai trattamenti medici. Il tutto su uno sfondo di violenza e oppressione.

Le ONG stimano ci siano circa 2 000 persone gravemente menomate di recente a Gaza. Si tratta perlopiù di giovani, colpiti dagli spari dei carri armati o dei cecchini, che spesso perdono arti, riportano danni cerebrali o lesioni al midollo spinale – tuttavia, le organizzazioni impegnate nel prestare aiuto agli invalidi sono ostacolate nella loro attività dal blocco imposto da Israele, che impedisce loro di ottenere gli approvvigionamenti specialistici di cui hanno bisogno! Israele deve tener fede ai propri impegni internazionali, tra cui la convenzione di Ginevra, e garantire la fruizione dell’assistenza e degli aiuti umanitari, nonché dei servizi essenziali, e l’apertura delle frontiere.

Il Consiglio e la Commissione devono continuare a esercitare pressioni, ma devono interloquire con tutte le parti in causa. Solo in questo modo sarà possibile trovare una soluzione. Non ha senso affermare di non voler parlare con una delle fazioni. Dobbiamo trovare una soluzione colloquiando con tutti. Se non facciamo nulla, la gente continuerà a morire inutilmente. 1,3 milioni di persone a Gaza continueranno a essere private della loro dignità e la trasmissione di quel patrimonio di sofferenza, povertà, miseria e astio alla nuova generazione di palestinesi continuerà a perpetrarsi.

 
  
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  Hélène Flautre (Verts/ALE). (FR) Signor Presidente, mentre i valichi della striscia di Gaza vengono chiusi e controllati dall’esercito israeliano, mentre ogni giorno in quell’area vengono perpetrate incursioni assassine, mentre il numero dei coloni nei territori occupati non cessa di aumentare, mentre in aperta violazione del diritto internazionale, la costruzione del muro e la suddivisione a scacchiera del territorio per motivi di sicurezza proseguono, ci sono ancora persone in quella regione e perfino qui, nel nostro Parlamento europeo, che negano lo status di potenza occupante di Israele. E’ inaudito!

Israele è una potenza occupante e, in quanto tale, ha degli obblighi derivanti delle convenzioni di Ginevra e soprattutto, non può, in alcun caso, ricorrere a punizioni collettive. Faremmo meglio ad assicurarci che Israele rispetti questi impegni, anziché inviare segnali catastrofici, come abbiamo fatto sospendendo il finanziamento per l’approvvigionamento di carburante della centrale elettrica di Gaza, per esempio. Le lacrime di coccodrillo che abbiamo versato sulle divisioni interpalestinesi sono piuttosto inopportune dopo che l’Unione europea è stata incapace di sostenere gli sforzi del Presidente Abbas, volti a cooptare l’ala pragmatica di Hamas.

Che cos’altro si potrebbe immaginare di peggio? Contrapporre Ramallah a Gaza? Decidere quali sono i palestinesi buoni e aiutarli a eliminare i cattivi? Chi può credere in una soluzione duratura laddove non è garantita l’unità politica e territoriale della Palestina? Chi può credere che la pace, per gli israeliani e i palestinesi, si costruirà mediante una politica che comporta, di fatto, la radicalizzazione delle popolazioni in Israele così come in Palestina?

La situazione umanitaria a Gaza viola tutti gli standard di dignità umana. Bisogna ottenere, il prima possibile, l’eliminazione del blocco della striscia di Gaza. A tal fine, è necessario esercitare le adeguate pressioni su Israele. Questa questione non può più essere un tabù, pertanto domando a voi, Consiglio e Commissione, quali misure intendete adottare per favorire l’eliminazione del blocco e costringere Israele a rispettare i propri doveri e i propri impegni? Vi domando che azioni pensate di intraprendere per far sì che Israele rinunci, a un mese dalla conferenza internazionale, al suo progetto di tagliare in due la Cisgiordania, collegando Gerico a Gerusalemme Est?

(Applausi)

 
  
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  Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). (EL) Signora Presidente, gli sviluppi in Palestina si susseguono in maniera eccezionalmente rapida, lasciandoci ben poco tempo per reagire. Di conseguenza, eccoci qui a discutere della situazione umanitaria nella striscia di Gaza, mentre le autorità israeliane hanno deciso unilateralmente di espropriare migliaia di ettari di terre arabe per procedere con il piano Ε1: la costruzione di una strada che, di fatto, taglierà in due la Cisgiordania.

Come sapete, la comunità internazionale si è opposta a questo piano. Ritengo sarebbe utile che il Parlamento prendesse posizione in proposito. Gli sviluppi politici dietro le quinte, tuttavia, non l’hanno permesso. Il risultato è semplice: ancora una volta, rimaniamo spettatori mentre la situazione in Palestina continua a peggiorare; ogni giorno la posizione negoziale dei palestinesi si indebolisce e viene messa in dubbio qualsiasi esistente prospettiva di successo in occasione dell’imminente conferenza internazionale sulla questione palestinese, che si terrà in novembre.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE). (EN) Signor Presidente, ieri sera ho avuto il privilegio di partecipare all’inaugurazione della sede di Bruxelles dell’organizzazione European Friends of Israel, che parte dal presupposto che sia necessario sostenere il diritto di esistere e prosperare dello Stato democratico di Israele. Per contro, Hamas è votata, in virtù del suo statuto del 1988, alla distruzione di Israele e resta un’organizzazione terrorista bandita dall’UE.

Non mi sorprende affatto che questa risoluzione cerchi di far ricadere gran parte delle responsabilità dell’attuale situazione a Gaza sulle spalle di Israele. E’ evidente, che il ritiro unilaterale di Israele da Gaza come cessione di terra in favore della pace, in segno di buona volontà, è di ben poca rilevanza per i delatori di Israele.

La risoluzione fa riferimento a una crisi umanitaria a Gaza senza esplorarne le cause. Il fascino esercitato da Hamas sugli elettori palestinesi era legato alla sua capacità di fornire molti dei servizi sociali negati dalla corrotta amministrazione di al-Fatah. Eppure le stesse scuole sono oggi prive di scolari, che sono troppo impauriti per uscire di casa. Gli ospedali curano le vittime della violenza quotidiana che ha caratterizzato tanto l’acquisizione violenta di Gaza da parte di Hamas, quanto la disfatta della secolare al-Fatah.

L’illustre cristiano di Gaza, Rami Ayyad, è stato assassinato sabato scorso, e domenica, Hamas ha sparato indiscriminatamente su Israele otto mortai e un missile Katyusha. Stranamente, Hamas ha bombardato perfino l’attraversamento del confine a Khani.

La risoluzione esorta inoltre Israele a intraprendere azioni per assicurare il libero passaggio degli aiuti umanitari e la fruizione dei servizi essenziali. In realtà, Israele non ha mai interrotto la circolazione di beni quali rifornimenti alimentari, energetici e idrici nel territorio di Gaza e, di fatto, sta operando con prudenza e moderazione, sebbene Hamas l’abbia attaccato militarmente.

So bene che Israele è ormai abituato a ricevere un flusso costante di invettive da parte di questa istituzione, ma è bene che sappia di poter contare anche su alcuni amici in questo consesso, e in tutta Europa, impegnati in uno sforzo per la pace e la sicurezza in quella regione. Questo, tuttavia, non accadrà, finché l’agenda di Hamas verrà così prontamente assecondata da così tanti deputati in quest’Aula.

 
  
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  Richard Howitt (PSE). (EN) Signor Presidente, una crisi umanitaria richiede una risposta umanitaria e la nostra priorità, stasera, dev’essere occuparci delle forniture mediche e dei libri di testo che vengono trattenuti da una parte della frontiera, mentre gli studenti e i malati aspettano dall’altra. Il diritto umanitario internazionale impone all’Unione europea l’obbligo diretto di intervenire, ciononostante, a quattro mesi dall’isolamento di Gaza, il nostro impegno diretto nell’ambito della missione di assistenza al confine resta disatteso.

Ringrazio il Commissario per il cauto ottimismo espresso stasera in merito alla ripresa del processo di pace e al funzionamento del meccanismo internazionale temporaneo. Dal canto nostro, la esortiamo, ovviamente, a fare tutto ciò che le è ancora possibile. Concordo con l’onorevole Tannock nel condannare gli attacchi missilistici e di mortaio da parte dei miliziani palestinesi, ma ritengo che le sue rimostranze sarebbero molto più credibili se condannasse anche l’uccisione di civili perpetrata dalla Forza di difesa israeliana tramite il lancio di missili terra-aria. Invito lei, Commissario, e il Presidente in carica a contestare urgentemente la confisca, notificata questa mattina, di un ulteriore 3 per cento del territorio della Cisgiordania, tra Gerusalemme e Gerico, nel quadro del piano di annessione E1.

(Il Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE). - (SK) Alla luce della risoluzione del Parlamento europeo del 21 giugno sul programma MEDA e il sostegno finanziario alla Palestina, della risoluzione del 12 luglio 2007 sul Medio Oriente e della dichiarazione del Quartetto del 23 settembre 2007, è essenziale che il Parlamento europeo esprima una posizione chiara rispetto alla situazione in Palestina. Ad ogni modo, la situazione dev’essere considerata perlomeno da due prospettive: quella economico-umanitaria e quella politica e di sicurezza.

Dal punto di vista economico-umanitario, spetta all’Europa, dopo le enormi risorse finanziarie devolute all’assistenza alla Palestina, assicurare la fattibilità tecnica per la fornitura di tale assistenza e degli aiuti umanitari. E’ inaccettabile che i civili palestinesi si vedano negare l’accesso ai medicinali e che le strutture sanitarie, le scuole e le abitazioni vengano devastate. Al momento, l’accesso all’acqua potabile e agli approvvigionamenti alimentari è spesso negato a causa del blocco contro la libera circolazione di persone e merci.

Sotto il profilo politico e di sicurezza, è necessario affermare con chiarezza che, così come la comunità internazionale riconosce il diritto dei palestinesi all’autonomia, la Palestina, compreso il movimento di Hamas al governo, deve riconoscere lo Stato di Israele. A tutt’oggi, Hamas non ha mai agito in modo da prendere le distanze dal suo documento costitutivo, il quale annovera fra gli obiettivi da perseguire, anche la distruzione dello Stato di Israele. Qui risiede il problema politico che è sfociato in un conflitto armato: terrorismo da un lato e violente azioni difensive dall’altro.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE). (EN) Signor Presidente, prima di tutto mi permetta di dire che l’onorevole Tannock sta rendendo un cattivo servizio a Israele, con questo suo sostegno incondizionato all’attività illegale di Israele contro i palestinesi, soprattutto in relazione a Gaza. Io sostengo questa risoluzione, compreso il paragrafo 5. La crisi umanitaria a Gaza non è nuova e di certo non era imprevista. Quelli di noi che hanno visitato l’area con regolarità nel corso degli anni hanno ripetutamente messo in guardia contro le azioni israeliane, che stavano portando il popolo alla disperazione. Oggi, l’economia è in caduta libera. I servizi sociali sono praticamente al collasso. Dilagano malnutrizione e malattie croniche e i farmaci non sono disponibili. Al momento, Gaza è completamente dipendente dagli aiuti esterni, che tuttavia vengono bloccati dagli embargo israeliani. E’ una prigione sotto stretto controllo di Israele e noi non possiamo permettere che il benessere della popolazione di Gaza sia ostaggio delle macchinazioni politiche in atto. La speranza è che queste macchinazioni portino a dei colloqui di pace.

Condanno la decisione unilaterale di Israele di confiscare parte del territorio di quattro villaggi arabi, escludendo così Gerusalemme Est dalla Cisgiordania. Mi rammarica che né il Consiglio, né la Commissione abbiano fatto alcun accenno all’accaduto e mi sorprenderebbe molto scoprire che non ne fossero a conoscenza, poiché noi tutti in quest’Aula ne siamo consapevoli e la notizia è di pubblico dominio. Quest’azione da parte di Israele è in aperta violazione della road map e in violazione dell’accordo secondo cui i confini del 1967 non sarebbero stati modificati senza l’assenso congiunto di israeliani e palestinesi.

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE). - (PL) Signor Presidente, tutti speriamo che con il tempo il conflitto si risolva da solo. Ebbene, questa è la più vana speranza che possa esistere. Le nuove generazioni stanno crescendo e il conflitto continua, esacerbandosi addirittura. Si è portati a pensare che due popoli piuttosto simili l’uno all’altro, come ebrei e arabi, possano convivere, ma non secondo un sistema gerarchico. Ogni dipendenza dell’uno rispetto all’altro, ogni disparità, e soprattutto la mancanza di uno Stato sovrano per gli arabi, costituiranno sempre fonti di emozioni e convinzioni negative, nonché di istinti di rappresaglia.

Se lo Stato di Israele non riesce a prendere in considerazione una spartizione del territorio, temo proprio sia difficile immaginare prospettive di pace per questa regione. Gli ebrei hanno diritto al loro paese, al loro Stato, e allo stesso modo ne hanno diritto gli arabi, i palestinesi. Storicamente, prima della Seconda guerra mondiale, la Palestina già esisteva e, a quanto pare, non è facile cancellarla dalla memoria araba.

Ogni giorno, la situazione per la popolazione della striscia di Gaza peggiora a tal punto che le esplosioni di rabbia accumulata sono ormai inevitabili e noi non possiamo fare altro che stare a guardare, in preda all’imbarazzo e alla tristezza. Il massimo che possiamo fare, dal canto nostro, – oltre a cercare di placare gli impulsi alla distruzione reciproca e oltre ai tentativi di mediazione – è estendere gli aiuti umanitari alla popolazione, cosicché possa vivere in condizioni sanitarie decenti, per quanto possibile, abbia qualcosa da mangiare e delle scuole dove studiare. Ma mi preme sottolineare che questo è solo un surrogato di una vera soluzione, una soluzione verso la quale, dobbiamo ammettere con vergogna, non siamo in grado di condurre.

L’esperienza acquisita nell’Europa centrale e orientale nel corso del XIX secolo, e gli orrori del XX secolo in Europa e in Africa dimostrano chiaramente la forza di un popolo in lotta per l’indipendenza. La stessa lotta che ci troviamo ad affrontare in quella regione.

 
  
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  Béatrice Patrie (PSE). (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, è chiaro che l’Unione europea debba fare tutto il possibile per spezzare la morsa che stringe la popolazione di Gaza in una crisi umanitaria senza precedenti.

Dal canto mio, vorrei sottolineare che la designazione di Gaza come entità ostile da parte del governo israeliano comporta diverse conseguenze drammatiche. Israele potrà condurre su quel territorio operazioni molto più importanti rispetto al passato. La società israeliana di produzione elettrica potrà ridurre al minimo indispensabile la fornitura di elettricità agli 1,5 milioni di palestinesi di Gaza, allo stesso modo la società Mekorot razionerà l’acqua che distribuisce, lasciando a Hamas il compito di procedere alla ripartizione fra i quartieri.

Questa strategia israeliana, che mira chiaramente a scatenare un sollevamento popolare contro i responsabili di Hamas, è inaccettabile e non può che sfociare in un nuovo inasprimento della violenza. Sorvolo sulle nuove colonizzazioni che faranno della Palestina un bantustan.

Personalmente, mi augurerei che, in quanto membro del Quartetto, l’Unione europea ottenesse la garanzia che la conferenza di pace prevista per novembre non abbia come unico scopo quello di fornire agli Stati Uniti una via d’uscita dall’impasse nella quale si trovano in Iraq e in Afghanistan, ma si configuri come un vero e proprio vertice di pace, che raduni l’insieme degli attori arabi.

 
  
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  Nickolay Mladenov (PPE-DE). (EN) Signor Presidente, i civili sono le vittime silenziose di qualsiasi conflitto e noi abbiamo l’obbligo – o meglio, il dovere – di agire in loro difesa e di tener fede al monito del premio Nobel per la pace Elie Wiesel: “Mai tacere laddove ci sono esseri umani che subiscono sofferenze e umiliazioni”.

Pertanto, apprezzo l’iniziativa di quest’Aula di discutere della situazione di Gaza e anche l’appello, contenuto nella risoluzione, volto a richiamare Israele al rispetto dei propri impegni, garantendo il transito dell’assistenza umanitaria fino a Gaza.

Ma oggi dobbiamo porci anche altri interrogativi. Dobbiamo cominciare domandando a noi stessi per quale motivo, ogni volta che si muove un passo verso la pace, la violenza s’intensifica. Perché ogni volta che le voci della ragione in Israele e nei territori palestinesi cercano una soluzione, ci sono gruppi terroristici che imbracciano le armi contro la pace? Perché mai alcuni temono tanto l’idea di una soluzione bi-statuale, con Israele e la Palestina che vivono fianco a fianco in pace, da preferire infliggere dolore e sofferenza al proprio popolo?

Rifuggiamo il timore di ammettere che la responsabilità della spaventosa situazione in cui si trovano gli abitanti di Gaza ricade anche inequivocabilmente su Hamas, che si oppone a un insediamento, che perora la distruzione di un membro legittimo delle Nazioni Unite e che teme la pace e promuove la violenza.

Nel 2005, sono stati lanciati da Gaza 400 missili su Israele. Nel 2006, 1 726. Nel 2007, si è sfiorato il migliaio. Ci sono state numerose vittime, centinaia di feriti e migliaia di sfollati. Anche quelli sono civili: uomini, donne e bambini.

Il 26 settembre da Gaza sono stati lanciati 54 colpi di mortaio verso il valico di Sufa. L’indomani, sono stati presi di mira i valichi a cui faceva riferimento il Commissario, Erez e Karem Shalom. Di fatto, sono stati scelti quegli obiettivi perché chiudere quei passaggi permette agli uomini di Hamas di raggiungere il proprio intento di aumentare la sofferenza, spingendo la popolazione a schierarsi con loro. E’ una strategia sbagliata.

Riconosciamo che a Gaza risiedono forze di terrore e paura che mirano ad approfittare della sofferenza del loro stesso popolo.

 
  
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  Jamila Madeira (PSE).(PT) Jimmy Carter ha dichiarato in un’intervista, questa settimana, che dalla Presidenza Clinton, non ci sono più stati colloqui in buona fede sulla questione mediorientale sotto il patrocinio degli Stati Uniti d’America. Ci sono grandi aspettative, quindi, per la conferenza internazionale di novembre. Si auspica una qualche forma di sviluppo tangibile, che consenta di prefigurare un calendario per la risoluzione del dramma umanitario e del conflitto.

Al momento, la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza si sta deteriorando. Qualche mese fa la realtà era quella di una vera e propria prigione a cielo aperto, sempre più opprimente. Oggi il peggioramento è evidente, dal momento che ogni giorno si contano i morti e si registra fame, paura e il potere delle armi e il loro effetto sulla vita dei civili, da entrambi i lati del muro. Urgono aiuti umanitari, alla luce delle convenzioni di Ginevra, ed è imperativo che Israele consenta la fornitura di questi aiuti. La libera circolazione di persone e merci deve diventare una realtà, a meno che non si voglia assistere a una vera e propria tragedia umana in quella striscia di costa.

Gli obiettivi principali a cui dobbiamo mirare nel corso della prossima conferenza internazionale sono porre fine alla violenza e cercare una soluzione basata sulle risoluzioni esistenti, che permetta a palestinesi e israeliani di convivere in pace, prima che sia troppo tardi.

 
  
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  Christopher Beazley (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, 20 anni fa c’erano tre teatri di violenti conflitti e oggetto di costernazione mondiale: il Sudafrica, l’Irlanda e il Medio Oriente. Nei primi due, c’è stata una riconciliazione e una trasformazione politica. In Medio Oriente non è stato fatto alcun progresso e probabilmente la situazione è peggiore.

La catastrofe umanitaria a Gaza ci obbliga ad agire, consapevoli che la riconciliazione e la trasformazione politica sono possibili, necessarie e opportune. Ma è altrettanto chiaro che palestinesi e israeliani non possono risolvere le loro divergenze da soli. Entrambi ricorrono alla violenza, che non fa che perpetrare l’impasse.

La catastrofe umanitaria a Gaza segna uno dei punti più bassi in 60 anni di conflitto ininterrotto nel Medio Oriente. Chiediamo sicurezza per lo Stato di Israele e chiediamo sicurezza per lo Stato di Palestina. A tutt’oggi, non c’è sicurezza in nessuno dei due Stati. E’ necessario un approccio nuovo, un nuovo metodo.

E’ chiaro che l’amministrazione statunitense abbia la responsabilità e la capacità di esercitare un’influenza decisiva su Israele, per esempio esortandolo a togliere il blocco su Gaza.

Allo stesso modo, l’Unione europea deve indirizzare i palestinesi sulla via della desistenza dalla violenza, cosicché entrambi possano raggiungere l’obiettivo di creare un’entità statale sicura, attraverso gli unici mezzi effettivamente disponibili, ovvero quelli pacifici.

Poiché questa risoluzione verrà fatta pervenire ai parlamenti di Palestina, Israele, Egitto e all’Assemblea euromediterranea, potrebbe essere un contributo costruttivo da parte nostra sostenere e promuovere un dialogo parlamentare a sostituzione dell’attuale guerra di logoramento, alla quale è necessario porre fine, se non si vuole che deturpi ulteriormente la Terra Santa.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). (FI) Signor Presidente, signora Commissario, la Striscia di Gaza è afflitta dalla sofferenza umana. Negli ultimi mesi, la crisi umanitaria nella regione ha incontestabilmente assunto proporzioni catastrofiche.

Non si tratta più soltanto di una penuria di alimenti basilari. L’economia palestinese ha subito un tracollo e condurre affari è diventato molto più difficoltoso. La vita quotidiana della popolazione è stata distrutta e le organizzazioni di assistenza non possono operare all’interno della regione. Gli abitanti della zona sono assediati dal blocco e, come ha ricordato il Commissario, anche in Cisgiordania incombono gli stessi problemi.

La popolazione di Gaza è vittima della politica fallimentare condotta da ciascuna delle parti in causa nella crisi. Una cosa è considerare Hamas il nemico e un’organizzazione terroristica; tutt’altra cosa è proclamare territorio nemico l’intera striscia di Gaza. Una cosa è considerare Israele il nemico; tutt’altra cosa è rifiutarsi di cooperare con i fornitori di servizi essenziali e con le organizzazioni internazionali. Pur essendo imbrigliate in una situazione di stallo, le parti in causa nella crisi hanno comunque, entrambe, delle responsabilità in termini di diritti umanitari fondamentali.

La risoluzione dei gruppi parlamentari rappresenta una presa di posizione eccezionalmente netta in merito alla crisi in Medio Oriente. E’ stata spogliata di ogni ulteriore movente politico. Ciò che resta è unicamente la profonda preoccupazione dell’Europa per l’esistenza della popolazione della striscia di Gaza.

Vorrei ricordare a tutti che questo è lo stesso identico timore già precedentemente espresso quest’anno. Non possiamo schierarci e non possiamo puntare il dito. La sofferenza di persone innocenti rende irrilevante il desiderio di scusare e trovare giustificazioni per la situazione nella striscia di Gaza. Chiediamo, dunque, una cosa soltanto: che le parti in causa ci consentano di prestare il nostro aiuto e, soprattutto, che si aiutino da sole, poiché ci troviamo di fronte a una crisi umanitaria su vasta scala.

Commissario, mi auguro che lei vorrà portare quest’unica richiesta da parte dell’Europa in merito alla situazione di Gaza alle parti in causa nella crisi, la Lega araba e il Quartetto.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio.(PT) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, vorrei ringraziarvi tutti per i vostri commenti e interventi, che ho ascoltato con grande attenzione. Siamo consapevoli che un sostegno continuo e duraturo allo sviluppo economico dei territori palestinesi costituisce uno degli elementi fondamentali per la pace. C’è una stretta correlazione tra sicurezza, stabilità politica ed economia. Pace e sicurezza, pertanto, non possono essere conquistate a meno che non vengano gettate fondamenta economiche solide e durature accanto a un processo di pace che sia credibile.

Tutte queste iniziative riflettono il nostro impegno nel fornire assistenza e aiuto al fine di migliorare le condizioni di vita della popolazione palestinese in Transgiordania e nella striscia di Gaza. Questi sono gli obiettivi che vogliamo perseguire e confidiamo nel fatto che la Conferenza dei paesi donatori, prevista per il mese di dicembre a Parigi, fornisca alla comunità internazionale l’opportunità di esprimere il proprio sostegno, in maniera pratica, ci auguriamo, all’Autorità palestinese e alla popolazione della Palestina in generale. E’ essenziale che la comunità internazionale non abbandoni gli abitanti di Gaza, affinché la loro situazione umanitaria estremamente precaria non continui a rappresentare un fattore politico di instabilità, tensione e dissenso.

Vorrei sottolineare che la strategia politica dell’Unione europea per il processo di pace in Medio Oriente poggia su pilastri e principi solidi ed è per questo che l’Unione è un partner benaccetto nell’ambito del processo politico. Abbiamo, inoltre, una coerente politica di aiuti per le fasce di popolazione più bisognose nei territori palestinesi. Le cifre che ho presentato io stesso, e alle quali faceva riferimento il Commissario, ne sono, a mio parere, la riprova inconfutabile. Mi auguro che l’Unione europea sia d’esempio per tutti a questo riguardo.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, tutti noi sappiamo bene che la situazione a Gaza è drammatica. D’altro canto, sappiamo che, oltre agli aiuti umanitari, alla fine saremo chiamati a trovare anche una soluzione politica. Come ho già avuto modo di dire in precedenza, e come ha affermato ora il Presidente in carica, questo incontro internazionale è un’occasione estremamente importante. Tutti noi abbiamo ribadito chiaramente che non dev’essere un evento di facciata, una mera opportunità per scattarci una foto tutti insieme. Dev’essere un incontro significativo, in occasione del quale ci auguriamo che i colloqui di pace fra il Primo Ministro Olmert e il Presidente Abbas si concretizzino in un importante documento iniziale, soprattutto in merito alle questioni più spinose, sapendo che da lì in poi saranno i gruppi di lavoro a dover sviluppare le idee.

Tutti noi sappiamo bene che sul tavolo ci sono numerose soluzioni possibili e alternative. D’altro canto, per molto tempo è mancata la possibilità di riunire le due parti in seno a una riunione internazionale di questo calibro, sostenuta dall’Unione europea, gli Stati Uniti, la Russia e le Nazioni Unite e con l’appoggio della Lega araba.

E’ di grande rilevanza il fatto che questa volta gli americani si siano dichiarati disponibili a invitare anche il cosiddetto “gruppo di verifica” della Lega araba, che comprende Siria e Arabia Saudita. Questo dimostra che c’è una certa apertura.

Detto questo, sappiamo altrettanto bene, ed è risultato evidente dal secondo incontro che abbiamo avuto, quello del comitato di collegamento ad hoc, che i negoziati politici da soli non bastano. Dobbiamo operare anche un cambiamento sul campo. E’ oltremodo essenziale. Si tratta di promuovere lo sviluppo economico, un intento che fa parte del mandato di Tony Blair e rispetto al quale vogliamo offrire al Primo ministro britannico tutto il nostro sostegno, poiché questa è una possibilità e un’opportunità che dobbiamo cogliere.

Siamo consapevoli, ovviamente, come del resto lo è lui – abbiamo avuto lunghe discussioni a riguardo – che i presupposti per la ripresa economica, come ha dichiarato chiaramente anche la Banca mondiale, sono miglioramento della situazione in termini di libera circolazione e accesso, incentivazione del settore privato a Gaza, che deve restare parte dell’economia locale, e ovviamente anche promozione di prassi quali la sana gestione degli affari pubblici. Ciò che vogliamo fare è creare uno Stato palestinese sostenibile, in vista di quando le condizioni saranno mature, per così dire, nella sfera politica.

Concordo sull’inutilità di un rimedio temporaneo, ma allo stesso tempo ritengo che ciò che occorra ora sia un processo di negoziazione che avvii finalmente, e in maniera rapida, dei progetti. E’ un aspetto su cui stiamo già lavorando in modo che tutto sia pronto dopo l’incontro internazionale ed eventualmente dopo o in occasione della conferenza dei donatori. Stiamo vagliando dei progetti – che, tra l’altro, sono stati selezionati e sostenuti da noi e anche da Tony Blair – per la ristrutturazione delle scuole, ad esempio, progetti che dimostrino alla popolazione che si sta effettivamente facendo qualcosa sul territorio.

Sono allo studio anche numerosi altri progetti al momento, nel tentativo di trovare le risposte adeguate, per i quali, ovviamente, necessitiamo anche del sostegno di Israele.

E’ chiaro, inoltre, che occorre tenere conto dei timori di Israele riguardo alla propria sicurezza. Ma, giacché, in definitiva, siamo chiamati a trovare una soluzione politica e il presidente eletto di tutto il popolo palestinese è il Presidente Abbas, è necessario dargli credito, collaborare con lui e sostenerlo.

Desidero ringraziare per aver concesso molto generosamente alla Commissione la possibilità, per il 2008, di ricevere subito 10 000 euro in più nel budget destinato alla popolazione palestinese. Ci saranno di certo utili e saranno particolarmente importanti per la nostra conferenza dei donatori.

Permettetemi, inoltre, di aggiungere che siamo schierati a sostegno non solo dei cristiani – come accennava l’onorevole Belder – ma anche delle fasce più vulnerabili della popolazione palestinese, alcune delle quali, ma non tutte, sono cristiane. Il nostro criterio è la necessità, non la religione, come ho già detto in precedenza.

Vorrei concludere dicendo che siamo profondamente consapevoli di ciò che molti di voi hanno detto. Abbiamo analizzato la situazione. L’unica via percorribile è quella di ideare soluzioni politiche, cercando, nel contempo, di mitigare il più possibile la sofferenza.

 
  
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  Presidente. − Comunico di aver ricevuto la proposta di risoluzione(1)a norma dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 11 ottobre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Mi unisco agli altri miei colleghi nell’esortare Israele a rispettare l’impegno, che gli deriva dalle convenzioni di Ginevra, di garantire la fornitura di assistenza e aiuti umanitari, nonché di servizi essenziali, quali elettricità e carburante, alla striscia di Gaza. Israele deve togliere il blocco sulla striscia di Gaza e assicurare la libera circolazione di persone e merci al valico di Rafah – conformemente all’accordo sul movimento e l’accesso ai valichi di frontiera e la missione dell’Unione europea di assistenza alle frontiere – nonché la circolazione di merci al valico di Karni. Tutte le istituzioni dell’Unione, compreso il Consiglio, l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e la Commissione, devono assumersi le loro piene responsabilità rispetto all’attuazione di tale accordo.

Infine, mi unisco all’appello rivolto a Israele perché garantisca l’accesso di risorse finanziarie alla striscia di Gaza, sospeso dal 25 settembre 2007, poiché tale sospensione comporta un grave impatto sulla vita economica, sociale e quotidiana dei palestinesi.

 
  

(1)cfr. Processo verbale.


19. Una politica marittima per l’Unione europea
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca una discussione sulla comunicazione della Commissione riguardo a una politica marittima per l’Unione europea.

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, quella di oggi è una giornata degna di nota. Esattamente 500 anni fa, il cartografo tedesco Martin Waldseemüller creò la sua straordinaria visione di un nuovo, unico mondo coraggioso, in cui l’Europa era collegata all’Africa, all’Asia e alle Americhe attraverso gli oceani e i mari. Il 10 ottobre segna anche il giorno in cui il sovrano del Portogallo incaricò Bartolomeo Dia di ricercare una rotta commerciale per l’Asia; e sempre oggi, negli Stati Uniti, si celebra la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Colombo. Si tratta, dunque, di un giorno che merita di essere ricordato nel mondo marittimo.

Personalmente, sono fiero di essere qui oggi, dinanzi a questo Parlamento, a discutere di un nuovo ed esaltante futuro marittimo per l’Europa. Un futuro che prende le mosse dal solido patrimonio marittimo che l’Europa ha ereditato dal passato e che tende, strategicamente, a determinare le modalità per potenziare il benessere e la prosperità del continente europeo, così strettamente correlati agli oceani e ai mari.

Ispirata dalla nostra specifica visione degli oceani e dei mari, la Commissione ha oggi proposto una politica marittima integrata per l’Unione. Per la prima volta nei suoi 50 anni di storia, l’Unione europea ha esplicitamente riconosciuto la necessità di un approccio integrato per i mari e gli oceani. Questa svolta radicale deriva dalla convinzione che la dimensione marina investa sostanzialmente tutte le principali questioni che l’Europa si trova oggi ad affrontare – energia, cambiamento climatico, innovazione, concorrenza internazionale, creazione di occupazione, protezione ambientale, commercio, trasporti e così via. Qualunque settore si prenda in esame, è impossibile non individuare legami forti con quello marittimo. Sarebbe insensato, di fatto poco lungimirante, da parte dell’Unione europea, operare in questi ambiti politici senza tener conto delle loro sovrapposizioni con le attività marittime. Ciò che occorre oggi è una visione d’insieme, in cui la definizione delle politiche possa essere svolta in maniera coesiva e onnicomprensiva, al fine di massimizzare il potenziale di queste intense e complesse interrelazioni.

In un’epoca in cui le discussioni sul riscaldamento globale, la globalizzazione e la concorrenza europea sono divenute quanto mai urgenti, è impensabile ignorare l’innegabile necessità di una strategia marittima che affronti direttamente tali questioni. Oggi sono lieto di annunciare che il Collegio dei Commissari ha promosso un documento di politica integrata che fornirà all’Unione europea esattamente ciò che le è mancato finora: una visione unica e autentica degli oceani e dei mari. Non è solo una questione di zone di pesca e trasporti marittimi, o di commercio e sviluppo regionale, ricerca o occupazione, o ancora, ambiente o relazioni con paesi terzi. Si tratta di una politica che racchiude in sé tutti questi aspetti, riunisce queste potenzialità, gestendole come un insieme intercorrelato. Una politica che attingerà da altre politiche comunitarie, alimentandole a sua volta.

Alla riunione del Collegio tenutasi oggi, è stato adottato, di fatto, un pacchetto di documenti, composto da tre elementi principali. Il primo è una comunicazione che illustra nel dettaglio la suddetta politica marittima integrata per l’Unione europea. Alla comunicazione, si accompagna un piano d’azione che definisce i primi passi che verranno mossi verso l’attuazione di tale politica. L’ultimo documento è una comunicazione che riporta le conclusioni tratte sulla base di un’ampia ed estremamente proficua consultazione pubblica, condotta nel corso di un anno.

Immagino riconoscerete facilmente gli elementi principali del pacchetto, poiché riflettono in larga misura le priorità che voi stessi avete espresso. Permettetemi di menzionare le seguenti: dispiegamento delle forze europee al servizio della lotta al cambiamento climatico, affidandosi a ricerca e innovazione, a una pianificazione urbanistica più sofisticata per le zone costiere vulnerabili e prendendo le redini delle discussioni internazionali; strategia europea per la ricerca marina e dedizione all’eccellenza in campo di innovazione e tecnologia per la ricerca marina, per contribuire al raggiungimento degli obiettivi di Lisbona in termini di crescita e occupazione e per sfruttare appieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie; migliore regolamentazione del trasporto marittimo per creare un vero spazio europeo senza barriere per il trasporto marittimo nell’ambito del mercato interno e per sostenere le attività commerciali europee con l’estero in quest’era di globalizzazione; rispetto per il ruolo cruciale dell’UE come motore della crescita economica e analisi delle modalità di miglior impiego dei finanziamenti europei per il potenziamento della crescita sostenibile e la promozione della prosperità nelle regioni più remote e disagiate; garanzia che tutte le forme di sviluppo tengano conto dell’impatto ambientale, incentivando trasporti eco-compatibili, riducendo i rischi di inquinamento e promuovendo attività ittiche rispettose dell’ecosistema; utilizzo più oculato degli strumenti di pianificazione e delle reti di dati e coordinamento orizzontale a sostegno del processo decisionale in materia di spazi marini e aree costiere e a garanzia di conformità con le normative internazionali; sostegno ai poli marittimi e ai centri regionali di eccellenza marittima, per incrementare la competitività europea.

Quest’iniziativa, in particolare, sarà d’aiuto alle piccole imprese che costituiscono una parte importante delle industrie marittime europee tecnologicamente avanzate. Contribuirà a realizzare l’enorme potenziale di crescita del turismo costiero e marittimo e costituirà un ulteriore elemento di attrattiva delle carriere marittime.

Oggi la Commissione ha adottato anche una comunicazione volta a incrementare l’attrattiva delle carriere in questo settore, avviando una revisione delle normative che escludono i marittimi e i pescatori da numerosi ambiti della legislazione europea in materia di diritto del lavoro. E’ un’area sensibile, fonte di preoccupazione per molti degli interessati. Sempre oggi, è stato pubblicato anche un documento di lavoro che sottolinea i rilevanti legami che intercorrono tra la politica energetica europea e quella marittima.

Siamo ben consapevoli che ci si prospettano impegni di proporzioni colossali. Per affrontarli, occorrono proposte, proposte tanto ambiziose da raccogliere le sfide che ci aspettano. Nei secoli passati, i mari e gli oceani hanno offerto all’Europa nuove ed entusiasmanti opportunità. Oggi, all’alba del XXI secolo, ci auguriamo di scoprire un altro, moderno Nuovo Mondo di opportunità. Sono profondamente convinto che ci troviamo all’inizio di una nuova avventura. Ritengo, inoltre, che mettendo in pratica le azioni enucleate nel pacchetto adottato oggi, porremo l’Europa sulla via giusta per esplorare queste opportunità in maniera innovativa. Come dice il proverbio, “chi non risica, non rosica” e sebbene questo concetto sia veritiero e faccia senz’altro parte dell’ispirazione che è per noi spinta propulsiva, è bene ricordare che, come per i viaggi di scoperta del passato, anche l’avventura di oggi avrà un suo costo.

Nel 2008, ci sarà una prima fase caratterizzata da una serie di azioni preparatorie che richiederanno il coinvolgimento di altri partner e sarà nostro compito assicurare, unitamente al vostro sostegno, i finanziamenti necessari. Tali azioni emanano direttamente dalle riflessioni alla base della vostra relazione del 12 luglio, la quale, con mia grande gioia, affermava chiaramente il vostro appoggio alle suddette azioni. C’è poi tutta una serie di altre azioni di sostegno, ormai in stadio avanzato, che comprendono una comunicazione del 17 ottobre sulla politica portuale, un’altra sulle attività di pesca illegali, non denunciate e non regolamentate, e una terza sul turismo sostenibile. A queste faranno seguito azioni sui poli marittimi e il trasporto marittimo. A completamento di questo insieme di iniziative, il 22 ottobre si terrà a Lisbona una discussione che riunirà i ministri dei 27 Stati membri responsabili della politica marittima, tra i quali figureranno ministri dei Trasporti, della Pesca, dell’Ambiente e della Difesa. I risultati di tale incontro convergeranno in una discussione successiva, che avrà luogo in occasione del Consiglio europeo di dicembre, allo scopo di approvare tale politica.

Oggi non siamo, dunque, né alla fine, né all’inizio del viaggio. Abbiamo deposto, tuttavia, un’importante pietra miliare, che segna il decisivo passaggio da un periodo di riflessione, a quel periodo di azione che voi, in seno a questo Parlamento, avete richiesto da parte nostra e al quale noi della Commissione aspiriamo.

Il Parlamento europeo è stato un attore chiave in questo processo e ci ha fornito riscontri inestimabili. Pertanto, vorrei rinnovare i miei ringraziamenti al Parlamento tutto e ai relatori e ai deputati che hanno mostrato particolare interesse per questo specifico progetto. E’ stato per me un grande piacere prendere parte a molte delle udienze e delle sedute tenutesi in quest’Aula. Mi auguro sinceramente che questo dialogo continui. Il Parlamento resterà una figura centrale nell’evoluzione di questa politica. Realizzare una politica marittima di successo non è un’impresa che la Commissione possa, o intenda, intraprendere da sola. La riuscita dipende dal mantenimento di un approccio comune. Spero di poter contare sulla vostra costante collaborazione.

Come dicevo all’inizio del mio intervento, quella di oggi è una giornata degna di nota. Abbiamo dispiegato le vele verso una nuova ed entusiasmante avventura. Un’avventura in cui crediamo e confidiamo e che riteniamo possa incrementare e sostenere la prosperità dell’Europa. Abbiamo davanti a noi un oceano di opportunità.

 
  
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  Matthias Groote (PSE). - (DE) Signor Presidente, signor Commissario, porgo le scuse del relatore del Parlamento per il Libro verde sulla politica marittima, Willi Piecyk, il quale non ha potuto presenziare oggi, e vi porto i suoi migliori auguri.

Vorrei esprimere il mio apprezzamento – faccio parte della commissione per l’ambiente – per lo spazio accordato alle connessioni di trasporto su terraferma per le navi. Se riusciremo a produrre una decisione in merito, andrà a beneficio della qualità dell’aria in Europa e degli sforzi volti alla riduzione delle emissioni di CO2. Nel Libro verde sulla politica marittima si parla, inoltre, della necessità di includere le navi nel sistema di scambio delle emissioni. Siamo solo in fase di prima lettura per quanto riguarda l’inclusione del traffico aereo nei sistemi di scambio delle emissioni.

Poiché non sono stati adottati provvedimenti in merito al traffico aereo nemmeno nel protocollo di Kyoto, sorge spontanea una domanda molto pratica: quando la Commissione intende avanzare una proposta per l’inclusione del traffico marittimo nei sistemi di scambio delle emissioni?

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. RODI KRATSA-ΤSAGAROPOULOU
Vicepresidente

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE). - (EN) Signora Presidente, mi permetta di ricordare a quest’Aula, in occasione della comunicazione della Commissione in merito a una politica marittima dell’Unione europea, l’embargo imposto diversi anni fa dalla Turchia, e ancora in vigore, su tutte le spedizioni marittime associate alla Repubblica di Cipro. Tale embargo danneggia notevolmente l’industria navale non soltanto di Cipro ma dell’UE in generale...

(Commenti dall’Aula)

Parlo inglese. Sarebbe davvero interessante avere un servizio di interpretariato dall’inglese all’inglese.

Stavo parlando dell’embargo imposto a Cipro dalla Turchia ormai da diversi anni, e stavo dicendo che questa situazione danneggia seriamente non solo Cipro, che è uno Stato membro, ma l’UE in generale.

Vorrei esortare di nuovo la Commissione a raddoppiare gli sforzi volti a convincere il governo turco a riconsiderare la propria decisione di mantenere questo embargo ingiusto e inutile sulle spedizioni marittime di uno Stato membro dell’UE.

Mi rendo conto che si debba essere accomodanti – decisamente accomodanti – verso la Turchia, ma la nostra pazienza ha un limite. Dopotutto, che tipo di politica marittima possiamo sperare di avere se le navi di uno Stato membro non possono attraccare nei porti sulle rotte di navigazione di uno Stato candidato?

Chiedo gentilmente al Commissario di assicurarci che prenderà in esame la questione con la massima urgenza e serietà.

 
  
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  Struan Stevenson (PPE-DE). (EN) Signora Presidente, desidero congratularmi con il Commissario Borg per questo gradito piano d’azione immaginario che affronta in modo specifico alcuni aspetti della pesca che reputo di particolare interesse: la rete integrata per la sorveglianza marittima, che ritengo assolutamente essenziale se vogliamo rafforzare la sicurezza e sgominare le attività di pesca illegali, non regolamentari e non denunciate; il piano per fermare la devastante pratica della pesca di fondo in alto mare; il piano per il miglioramento delle condizioni degli occupati nell’industria della pesca, uno dei settori più pericolosi e dai salari più bassi di tutta l’UE; il potenziamento della cooperazione tra i reparti della guardia costiera; l’arresto dei licenziamenti e la promozione dell’acquacoltura, che fornisce 65 000 impieghi a tempo pieno nell’UE – tutte queste iniziative sono meravigliose.

Apprezzo particolarmente l’idea di una road map verso una pianificazione degli spazi marittimi e la mia domanda verte proprio su questo specifico aspetto. Chi pagherà? Alcuni Stati membri hanno già provveduto, dotandosi di pianificazioni spaziali per le proprie aree marittime. Ritengo che tali pianificazioni avranno, in futuro, un ritorno commerciale, ma chi ne sosterrà i costi nel frattempo?

 
  
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  Joe Borg, membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, riguardo alla domanda posta dall’onorevole Groote, in merito alle emissioni di CO2, vorrei sottolineare che le emissioni generate dalle navi in correlazione con il trasporto marittimo sono, in termini assoluti, inferiori rispetto ad altre categorie, quali il trasporto aereo o perfino su gomma.

Tuttavia, è vero che, su base individuale, le emissioni di CO2 generate dalle singole navi sono considerevoli. Pertanto, trovo opportuno intraprendere delle azioni in tal senso e incentivare l’industria navale ad adottare le misure necessarie a ridurre il CO2, se vogliamo massimizzare il potenziale di crescita del trasporto marittimo, perché è indubbio che ci siano enormi possibilità per un ulteriore sviluppo di questo settore, che devono, tuttavia, essere accompagnate da una riduzione delle emissioni di CO2, se vogliamo porre in essere una situazione che faccia apparire il trasporto marittimo più orientato al consumatore.

A tal fine, è importante sottolineare che, poiché abbiamo a che fare con un’industria globale, è necessario che tali iniziative vengano prese principalmente a livello internazionale. Pertanto, è essenziale avviare uno sforzo internazionale, che l’Unione europea sarebbe pronta a guidare, nell’ambito dell’Organizzazione marittima internazionale, al fine di stabilire gli standard relativi alle emissioni di CO2. In mancanza di progressi, sarà cura della Commissione vagliare altre opzioni atte a porre in essere una situazione che veda l’effettiva riduzione delle emissioni di CO2.

Si potrebbe anche ribattere che ci sono casi in cui, in virtù delle discrepanze vigenti, esiste, per certi versi, un incentivo all’incremento di tali emissioni. Per esempio, durante l’ormeggio, poiché l’utilizzo dell’elettricità nei porti è soggetto a tassazione, molte navi finiscono per mantenere in funzione i motori, per risparmiare sui costi, dal momento che il carburante è esente da tassazione.

Pertanto, se si adottasse una misura a rimozione di questa discrepanza, le navi sarebbero incentivate a fare uso della rete elettrica portuale.

Riguardo alla domanda sollevata dall’onorevole Matsakis in merito all’embargo imposto dalla Turchia a Cipro, mi preme sottolineare innanzi tutto il fatto che, relativamente ai negoziati di adesione per la Turchia, uno o due dei capitoli che non sono stati aperti e non verranno aperti finché la Turchia non vi porrà rimedio, riguardano il trasporto e le zone di pesca, che rientrano nel mio ambito di competenza. Pertanto, stiamo facendo del nostro meglio per convincere la Turchia a rivedere la propria posizione.

Ovviamente, stiamo operando in tal senso per individuare le modalità che ci permettano di instaurare una più stretta collaborazione con la Turchia, al fine di consentirle – anche in vista della sua eventuale adesione – di applicare a tali misure l’acquis comunitario.

Vorrei aggiungere, inoltre, in merito all’interrogativo posto dall’onorevole Stevenson riguardo alla pianificazione degli spazi marittimi e a chi ne sosterrà economicamente i costi, che la nostra proposta non mira a una comunitarizzazione della pianificazione spaziale, bensì a renderla responsabilità e funzione degli Stati membri.

Comunque ci auguriamo che gli Stati membri che non hanno adottato il sistema di pianificazione spaziale marittima lo introducano come hanno già fatto altri Stati membri e li esortiamo a farlo al più presto. Possiamo citare esempi di pianificazione spaziale introdotti da alcuni Stati membri, come modello per altri.

Veglieremo affinché ci sia una certa congruenza fra le misure di pianificazione spaziale marittima introdotte dai diversi Stati membri, in modo da non ritrovarci in una situazione in cui i regimi differiscano considerevolmente l’uno dall’altro.

Promuoveremo, dunque, la formazione di sistemi di pianificazione spaziale marittima; contribuiremo alla realizzazione degli strumenti necessari per un’attuazione più efficace della pianificazione spaziale e cercheremo di istituire delle linee guida volte a stabilire un modello comune in materia, ma in ultima istanza, resta responsabilità e compito degli Stati membri introdurre una pianificazione spaziale relativa alle proprie acque.

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE). - (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, non posso che accogliere favorevolmente la volontà della Commissione di raggruppare in seno a un’unica politica integrata quelle che, in passato, erano politiche settoriali separate e talvolta un po’ incoerenti.

Apprezzo l’accento che è stato posto sull’utilizzo durevole delle risorse, l’auspicio di sviluppare competenze in campo marittimo, di promuovere un’occupazione stabile, nonché di massimizzare la qualità di vita delle popolazioni costiere. Sono tutte iniziative che vanno nella giusta direzione.

La futura politica marittima dovrebbe integrare meglio le specificità delle regioni ultraperiferiche, così come i loro atout. Le regioni ultraperiferiche beneficiano di risorse alieutiche protette, è bene tenerne conto. Ma soprattutto, queste regioni potrebbero essere un vero e proprio laboratorio e un formidabile luogo di sperimentazione e di sviluppo delle energie marine rinnovabili.

La Commissione intende avvantaggiarsi degli eccezionali territori costituiti dalle regioni ultraperiferiche che compongono l’Unione europea?

 
  
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  Paulo Casaca (PSE).(PT) Signor Commissario, le mie più vive congratulazioni, poiché questo documento raggiunge davvero un’armonizzazione, che è esattamente ciò di cui necessitiamo riguardo alle due maggiori problematiche legate alla pesca. Da un lato, l’esigenza di tutelare le condizioni di lavoro dei pescatori e, dall’altro, quella di armonizzare l’industria della pesca, mediante una gestione basata sull’ecosistema.

Nel frattempo, vorrei chiedere al Commissario se è in grado di confermare la relazione apparsa sul Financial Times, secondo cui uno studio commissionato dalla Direzione generale della pesca ha criticato aspramente gli effetti della microgestione degli ecosistemi da parte di Bruxelles, dipingendo un quadro disastroso della politica comune della pesca negli ultimi venticinque anni, sostenendo che le industrie della pesca soggette alla PCP presentano un tasso di sovrasfruttamento di gran lunga superiore a quello registrato in media nel mondo. Esiste davvero tale studio, dev’essere sottoposto alla commissione per la pesca del Parlamento europeo e qual è l’opinione del Commissario in merito alle critiche?

 
  
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  Philippe Morillon (ALDE). - (FR) Signora Presidente, anch’io, ovviamente, mi unisco ai miei colleghi nel congratularmi con il Commissario Borg per il lavoro svolto. Ha concluso il suo intervento con le parole crediamo e confidiamo, e personalmente, ho pensato, d’istinto a crediamo e osiamo, che mi è sembrato subito un magnifico motto.

Credere e osare! Voi avete osato. Oggi ritengo che la visione che avete sviluppato in maniera molto chiara nella comunicazione che ci avete fatto pervenire vada, decisamente, nella direzione giusta.

Vorrei porre una questione che è stata comunque indice dell’inquietudine percepita nel settore della pesca in questo frangente. L’attuazione di una gestione integrata del litorale attingerà, ovviamente, una parte dei suoi finanziamenti dal Fondo europeo per la pesca. Il timore è che si faccia ricorso unicamente a questo Fondo europeo, della cui insufficienza abbiamo già avuto modo di lagnarci.

Vorrei che il Commissario ci rassicurasse a tal proposito, confermandoci che, ovviamente, anche i Fondi strutturali, quelli necessari allo sviluppo e alla conservazione dell’ambiente, contribuiranno all’attuazione di questa politica.

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, innanzi tutto, vorrei rispondere in merito alla questione posta dall’onorevole Sudre riguardo alle regioni ultraperiferiche: è indubbio che per politica marittima non intendiamo formulare – come appare evidente, a mio avviso, dal Libro blu appena adottato e dal piano di azione – una politica che si adatti a qualsiasi situazione. Pertanto, è necessario prendere in considerazione le specificità delle regioni periferiche e ultraperiferiche, in particolare.

Il risvolto della medaglia è che l’ultraperifericità offre all’Unione europea enormi vantaggi. Ci offre accesso ad altri oceani che diversamente non avremmo potuto raggiungere in maniera diretta. E, se posso citare a esempio le attività di pesca, il fatto di avere regioni ultraperiferiche nell’Oceano Indiano, per esempio, come l’isola de La Réunion, ci consente di poter essere rappresentati direttamente in seno alle organizzazioni regionali della pesca già esistenti e presso quelle che stiamo cercando di promuovere in quell’area.

Pertanto, invito sicuramente a considerare le specificità delle regioni ultraperiferiche. E’ inoltre necessario fare in modo di massimizzare i vantaggi di cui queste regioni possono beneficiare. E, sì, laddove ci è possibile utilizzarle come laboratorio, ad esempio per lo sviluppo di energie rinnovabili, è senz’altro opportuno cercare di promuovere e sostenere quest’aspetto, avendo cura, nel contempo, che le loro vulnerabilità non vengano pregiudicate in alcun modo.

In merito alla questione posta dall’onorevole Casaca a proposito dell’approccio all’ecosistema, vorrei dichiarare innanzi tutto che, sì, la Direzione Generale della pesca e gli affari marittimi aveva commissionato uno studio a un gruppo di esperti. E’ un esercizio che espletiamo periodicamente per valutare l’operato della politica comune per la pesca e scoprire quali sono le possibili insidie incontrate, al fine di imparare dalle esperienze passate e migliorare.

Innanzi tutto, non ho alcun problema a mettere questo studio a disposizione della Commissione per la pesca, che sappiamo essere critica a riguardo, ma accettiamo tali critiche perché, dopotutto, stiamo cercando di attuare le riforme del 2002 sulla politica comune per la pesca. A tutt’oggi, nel 2007, ci troviamo ancora nelle fasi iniziali dell’effettiva attuazione delle riforme del 2002 e ci muoviamo nella prospettiva di una gestione pluriennale e di piani di ripresa, nonché di una gestione della pesca più a livello dell’ecosistema.

Abbiamo ereditato un gran numero di anni di gestione della pesca, in cui il settore è stato travolto dai progressi scientifici, dall’enorme aumento nel numero delle navi, superiore a qualsiasi limite di capacità in termini di quantità di pescato sostenibile. E dobbiamo fare in modo di correggere questa situazione instaurando un sistema di attività di pesca sostenibili, tutte attività e iniziative che, ancora una volta, mi auguro godranno del pieno appoggio del Parlamento: la politica sui rigetti in mare; misure e iniziative legate alla gestione pluriennale della pesca; regolamentazione della pesca in base a un numero maggiore di zone interdette e periodi di fermo – sono tutti provvedimenti che tendono a un approccio basato sugli ecosistemi e al rendimento massimo sostenibile.

Abbiamo avuto un primo esempio di piano di gestione elaborato sulla base dei quantitativi massimi sostenibili nel piano di gestione della pesca alla platessa e alla sogliola, adottato proprio lo scorso giugno dal Consiglio. Pertanto, auspichiamo di continuare a muoverci in questa direzione, al fine di ristabilire una corretta gestione della pesca, sulla base di un approccio basato sugli ecosistemi.

In merito alla domanda posta dall’onorevole Morillon, mi preme, innanzi tutto, rassicurarlo che l’approccio integrato agli affari marittimi non sarà finanziato attraverso il Fondo europeo per la pesca, poiché per il periodo 2007-2013 è già stato destinato ad altre iniziative. Ci sono pervenuti i piani strategici nazionali e i programmi operativi di pressoché tutti gli Stati membri, ovviamente rivolti alla pesca e all’acquacoltura, e li stiamo esaminando.

Tuttavia, per quanto concerne gli affari marittimi, occorre ricercare altre fonti di finanziamento. A mio parere, la fonte più logica potrebbe essere rappresentata dai Fondi strutturali, attraverso i Fondi regionali, poiché, dopotutto, le aree costiere sono regioni dell’Unione europea. Pertanto, è necessario concentrarsi maggiormente sulle specifiche esigenze delle aree costiere e dei mari circostanti, cosicché si possa debitamente reindirizzare i finanziamenti per le iniziative e i progetti, nell’intento di instaurare gli strumenti adeguati per la gestione di una politica marittima integrata.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE).(PT) Vorrei unirmi ai colleghi che mi hanno preceduto nel porgere le mie congratulazioni al Commissario per il documento presentato oggi, relativo al piano d’azione per lo sviluppo di una politica marittima dell’UE e vorrei precisare che il suddetto documento contiene una serie di iniziative degne di nota, compresa la proposta di una strategia europea per la ricerca marina, il sostegno a un approccio integrato per le politiche marittime nazionali, l’invito alla creazione di una rete europea per la sorveglianza marittima, nonché la proposta di istituire poli marittimi multisettoriali, con relativo adeguamento finanziario a livello europeo; tra le altre cose, ovviamente.

Infine, in occasione di questa discussione pubblica, vorrei porre alcune domande al Commissario: gran parte degli obiettivi del piano d’azione presentato può essere perseguita dalla Commissione stessa, ma non otterrà, come è ovvio, il sostegno del Consiglio e degli Stati membri. Abbiamo sentito affermare dal Commissario in questa sede che è importante ottenere tale sostegno nel corso della tornata di dicembre del Parlamento europeo. La domanda, dunque, è: si auspica di ricevere un sostegno effettivo, che porti permanentemente questa strategia fra le priorità dell’Unione, o si spera solo in un sostegno puramente formale?

E termino con questo secondo interrogativo: come è possibile assicurare che la strategia marittima europea si traduca in una maggiore cooperazione e in un miglior coordinamento, senza scivolare nella comunitarizzazione della politica marittima e, in particolare, delle risorse marittime nazionali?

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL). - (EL) Signora Presidente, la comunicazione della Commissione in merito a una futura politica marittima comune per l’UE adotta la solita linea antilavoratori. Prevede nuove misure volte a rafforzare la concorrenza e a incrementare i profitti dei grandi gruppi del settore marittimo, il che è indicativo dell’intensità dell’attacco sferrato ai lavoratori.

Gli obiettivi principali sono: accelerare la concentrazione delle flotte navali e dei capitali nelle mani delle grandi imprese del settore marittimo; totale liberalizzazione del trasporto marittimo e relativi servizi; assunzione di un ruolo strategico da parte degli organismi comunitari, in modo da poter esprimere appieno gli interessi di capitali in seno alle organizzazioni internazionali; spazzare via qualsiasi opportunità di cambiamento nella politica occupazionale; svalutare e privatizzare l’istruzione e la formazione dei lavoratori marittimi, in modo da produrre una forza lavoro a basso costo; assoggettare i portuali a molteplici doveri, direttive e regolamenti burocratici che non migliorano le condizioni di sicurezza a bordo delle navi, né la salvaguardia della vita umana in mare.

Commissario, l’accordo internazionale sulla codifica della legislazione in materia di lavoratori marittimi è ancora in fase di elaborazione. Qual è la posizione della Commissione in merito? Quali provvedimenti intende adottare – e concludo, signora Presidente – riguardo a una situazione della quale forse lei non ha responsabilità esclusiva, ovvero l’usurpazione delle coste degli Stati membri da parte di privati e gruppi monopolistici del settore del turismo?

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM). - (EN) Signora Presidente, il Commissario ha fatto alcuni riferimenti alla storia nautica e io vorrei fare lo stesso. Molti conoscono il ritornello dell’inno Rule Britannia, ma alcuni, talvolta, pronunciano erroneamente una parola fondamentale. La versione corretta non è: “Rule Britannia, Britannia rules the waves”, bensì “Rule Britannia, Britannia rule the waves”. La parola “rules”, ovvero “domina”, espressa qui all’indicativo, dona al verso il carattere di affermazione ampollosa. Il termine corretto, “rule”, “domina” espresso all’imperativo, attribuisce al verso la valenza di un’esortazione, di un monito. Una volta si pensava che la Gran Bretagna dovesse dominare i mari per mantenere la propria libertà e indipendenza. Oggi i britannici non dominano nemmeno più loro stessi, dato che l’80 per cento delle nostre leggi viene emanato dall’Unione europea. La politica comune per la pesca ha rovinato l’industria della pesca inglese, causando un disastro ecologico nelle acque britanniche. Dati i precedenti dell’UE, perché mai dovremmo supporre che la politica marittima europea possa essere meno distruttiva della politica comune per la pesca?

 
  
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  Presidente. - L’Assemblea è fortemente interessata a porre un’altra serie di domande e personalmente ritengo si debba utilizzare appieno quest’importante momento di discussione.

Commissario, la pregherei, se le è possibile, di fornire una replica breve, cosicché si possa concedere la parola ad altri deputati e quindi chiudere.

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, riguardo all’interrogativo posto dall’onorevole Queiró, mi permetta di sottolineare che la Commissione auspica di ottenere un sostegno concreto. Terremo una riunione ministeriale informale il 22 ottobre, al fine di raccogliere le opinioni di tutti gli Stati membri in merito al pacchetto proposto. Ci auguriamo che tale pacchetto venga approvato dal Consiglio europeo a dicembre. Si tratta di un primo passo. Comunque sia, è opportuno prestare attenzione a non eccedere i traguardi raggiungibili nel breve periodo.

Se quest’approccio funzionerà e le prime iniziative avviate avranno una buona riuscita, allora ci rivolgeremo agli Stati membri per verificare se esiste la volontà di procedere sulla strada di una maggiore integrazione in materia di attività marittime.

Tuttavia, è importante sottolineare che questa politica non si basa su un approccio legislativo, bensì sull’incentivazione, l’agevolazione e la creazione degli strumenti necessari all’ottenimento di maggior coordinamento e cooperazione, nonché più coinvolgimento delle parti interessate.

Pertanto, esaminando il piano d’azione, si evince chiaramente che il principio di base è istituire determinati strumenti intersettoriali, necessari allo sviluppo di un approccio integrato delle politiche marittime, e cominciare a considerare i provvedimenti settoriali in maniera più olistica, tenendo conto, quindi, dell’impatto che potrebbe prodursi nel caso in cui, per esempio, le decisioni in materia di pesca venissero applicate anche ad altri ambiti e viceversa.

In merito alla seconda domanda, vorrei sottolineare che, con riferimento alla politica marittima, oggi abbiamo adottato, di fatto, anche una comunicazione del Commissario Špidla, che apre la discussione riguardo alle esclusioni subite dai lavoratori del settore marittimo – sia nel trasporto che nelle attività di pesca – rispetto alla generica normativa in materia di diritto di lavoro.

E’ necessario esaminare approfonditamente la questione per verificare, innanzi tutto, se esiste la possibilità di ridurre tali discrepanze, cosicché le differenze fra lavoratori di terra e di mare vengano ridotte, senza, tuttavia, creare problemi di concorrenza, considerato che ci stiamo occupando di un settore internazionale. Pertanto, è necessario agire in collaborazione con gli operatori, in modo da incentivarli e da promuovere l’eliminazione delle discrepanze tra lavoratori di terra e di mare.

Riguardo alla questione sollevata dall’onorevole Batten, vorrei dire che nell’elaborazione di una politica marittima, di un approccio integrato alle attività marittime, l’Unione europea non vuole ergersi a pioniere. E’ un’operazione che è già stata condotta da altri paesi, come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e ora il Giappone e, in un certo senso, noi siamo un passo indietro. Dobbiamo potenziare il nostro slancio, in modo da allinearci ai nostri partner internazionali in materia di politica marittima.

Mi permetto di ricordare all’onorevole Batten che i problemi relativi al Regno Unito e alle attività di pesca risalgono a prima dell’introduzione della politica comune della pesca. Ricordiamo tutti eventi come le cod wars tra Regno Unito e Islanda, avvenute ben prima dell’introduzione della politica comune della pesca.

Stiamo discutendo di un problema legato al sovrasfruttamento e ai diritti di pesca, che esisteva già in precedenza e che ci sforziamo di risolvere tramite un approccio più razionale alla gestione delle attività di pesca nell’ambito della riformata politica comune della pesca.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE). (EN) Signora Presidente, mi unisco alle congratulazioni rivolte al Commissario Borg per questo importantissimo documento di politica integrata. Concordo con quanto affermato oggi dal Presidente Barroso: che gran parte del nostro futuro risiede nel potenziale inesplorato degli oceani e dei mari e che questa politica produrrà crescita e occupazione. Dobbiamo cogliere tutte le opportunità che mari e oceani ci offrono, pur agendo sempre con modalità sostenibili.

Commissario Borg, il suo lavoro in materia di tecnologia e innovazione applicate alla scienza marina e il suo impegno per la dichiarazione di Aberdeen trovano il mio pieno sostegno. Vorrei ricordare il contributo dell’Irlanda, soprattutto attraverso l’Irish Marine Institute, nella formazione di questa politica. Mi compiaccio del suo annuncio in merito al pacchetto di documenti da avviare durante il mandato di questa Commissione ma, dal momento che mancano solo due anni alla scadenza, mi domando se tale annuncio sia stato fatto più nella speranza che non nella certezza che l’intera lista di azioni concrete venga effettivamente attuata dalla presente Commissione. La presentazione resa oggi dal Commissario Špidla in merito al riesame delle deroghe al diritto del lavoro cui sono soggetti gli operatori del settore marittimo, nonché la relazione del Commissario Piebalgs sulle correlazioni tra politica energetica europea e nuova politica marittima integrata costituiscono un ottimo inizio, ma quante altre voci del pacchetto annunciato oggi richiederanno proposte legislative separate?

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE). - (RO) Mi congratulo anch’io con il Commissario per l’approccio integrato.

Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che, a seguito dell’adesione di Romania e Bulgaria, l’Unione europea ora confina con il Mar Nero, un mare nuovo, e ritengo sia importante per noi promuovere la politica marittima comune in quella regione.

Auspicherei, inoltre, che anche le aree del delta e dell’estuario fossero protette e rientrassero nella politica marittima comune; che le misure di lotta all’inquinamento dei mari fossero estese alle acque interne che si riversano nei mari e negli oceani, e alle aree industrializzate lungo le coste.

Ritengo che la comunicazione del Commissario sia importante per quanto concerne le condizioni di lavoro dei marinai e degli operai dei cantieri e reputo essenziale massimizzare il sostegno finanziario per lo sviluppo di infrastrutture e attività nelle zone costiere.

 
  
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  Josu Ortuondo Larrea (ALDE). (ES) Signora Presidente, vorrei innanzi tutto esprimere il mio disappunto per il modo in cui si sta conducendo questo dibattito. Sono stato il primo deputato ad alzare la mano per chiedere la parola. Il primo. E ora mi ritrovo a parlare per ultimo, o comunque fra gli ultimi, e a dover fare attenzione a non sforare nemmeno di un minuto.

Ciò detto, desidero congratularmi con il Commissario e con la Commissione, sia per questa comunicazione, sia per gli enormi sforzi compiuti nell’ultimo anno, nell’ambito della consultazione con le parti interessate, per cercare di sviluppare una politica marittima integrata per l’Unione europea, riconoscendo l’importanza dell’ambiente marino e delle aggressioni cui è costantemente sottoposto a causa dell’attività umana.

A tale proposito, vorrei domandare al Commissario se il settore militare, le cui attività interferiscono spesso con l’ambiente marino, verrà preso in considerazione, nel contesto della politica comunitaria, al fine di prevenire danni all’ambiente.

Vi è poi la questione degli scarichi incontrollati che si verificano di continuo. Quando sarà finalmente introdotto l’uso delle scatole nere, che consentiranno di controllare tutti i movimenti di liquidi nelle sentine e nei serbatoi dei pescherecci?

 
  
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  Presidente. - Onorevole Ortuondo, poiché non ero presente all’inizio della discussione, non conosco l’ordine di precedenza stabilito.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). (FI) Signora Presidente, la politica marittima europea è una delle iniziative più importanti che l’attuale Commissione ricorderà, e a ragione, soprattutto se riuscirà a capire come trarre vantaggio dalla sua espansione e come porre la forza politica conferitaci dall’allargamento, al servizio del recupero dell’ambiente marino.

Faccio appello alla Commissione perché adotti provvedimenti speciali per salvare un mare molto speciale dell’UE, il Baltico. La mia richiesta è la seguente: potrebbe la Commissione vedere nel Mar Baltico non solo una sfida in termini ambientali, ma anche politici? Se riuscissimo a salvare quel mare agonizzante, potremmo dimostrare all’opinione pubblica che l’Unione costituisce un autentico vantaggio e che insieme siamo più forti nella lotta per la salvezza del nostro ambiente, di quanto lo siamo separati.

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, innanzi tutto, riguardo alla domanda sollevata dall’onorevole Doyle: sì, mi preme ribadire il fatto che abbiamo ricevuto un significativo sostegno dalla comunità scientifica. La dichiarazione di Aberdeen è stata molto gradita e l’Irlanda stessa è stata di grande aiuto. Quanto all’appunto che è stato fatto, vorrei sottolineare che non si tratta di una mia iniziativa: è una decisione della Commissione che è stata adottata e, a prescindere dalle persone coinvolte, ci sarà sicuramente coerenza. Se, nell’arco dei primi due anni, riusciremo a ottenere qualche successo, sono certo che la nuova Commissione sarà più che disposta a rafforzare tali successi. Questi due anni, dunque, sono un periodo cruciale, in cui i primi semi per una futura politica marittima dovranno cominciare a crescere. Così facendo, vi possiamo garantire che le future Commissioni, con il sostegno del Parlamento europeo, del Comitato delle regioni e, sono certo, anche del Consiglio dei ministri, riusciranno a portare a buon fine questa politica marittima.

In merito alla seconda questione sollevata, riguardante le idrovie, non c’è dubbio che esse siano un elemento molto importante dell’intero concetto di politica marittima, esattamente come i litorali e le aree costiere sono parte integrante di qualsiasi politica marittima. Infatti, la prossima settimana il Vicepresidente Barrot presenterà un pacchetto relativo ai corsi d’acqua interni, che comprenderà anche una politica per i porti e, di conseguenza, anche i porti interni. Dunque tutti i parametri concernenti le idrovie e i porti – compresi quelli interni – fanno parte del pacchetto che verrà presentato la prossima settimana.

Riguardo alla questione sollevata dall’onorevole Ortuondo Larrea in merito alle attività militari e se debbano essere incluse nella politica comunitaria, è opportuno sottolineare che, a tal proposito, ci si addentra in un ambito molto delicato, legato alla sovranità degli Stati membri, pertanto è necessario essere cauti. Se vogliamo che questa politica marittima abbia successo, dobbiamo svilupparla in collaborazione con gli Stati membri. Laddove gli Stati membri siano disposti ad adoperarsi in direzione, per esempio, di attività congiunte nell’ambito dei servizi nazionali di guardia costiera, in relazione a questioni di carattere ambientale, o legate alla pesca, all’immigrazione illegale, al traffico di droga o alla tratta di esseri umani, ritengo ci sia ampio margine per l’istituzione di un sistema di guardacoste nazionali coordinato in maniera più efficace ed efficiente, grazie, per esempio, alla condivisione delle risorse dei vari Stati membri, mediante lo scambio di dati e la creazione degli strumenti necessari, compresa una cartografia marina, per esempio, che potrebbero essere contributi preziosi per i servizi di guardia costiera e per altre attività. D’altro canto però, addentrandoci in ambiti militari molto delicati, la cosa potrebbe essere più difficile da gestire. Il messaggio implicito in questo mio discorso è: se vogliamo portare a buon fine una politica marittima integrata, è necessario procedere in collaborazione con gli Stati membri, i quali, dopotutto, hanno la responsabilità principale di garantire la predisposizione degli strumenti necessari per il successo di tale politica.

Quanto al Mar Baltico, non c’è dubbio, come ho affermato già in una replica precedente, che la politica marittima debba tener conto delle specificità e delle caratteristiche proprie di ciascuna regione marittima dell’Unione europea. Pertanto, se esistono problemi particolari, come in effetti è, relativi al Mar Baltico, allora la politica marittima deve sviluppare gli strumenti idonei ad affrontare i problemi propri del Mar Baltico. Quindi, laddove ci siano specifici problemi ecologici nel Mar Baltico, che necessitano di essere risolti e possono essere risolti in un modo o nell’altro, è nostro dovere fare di tutto per riuscirvi. Per esempio, in relazione alla pesca, stiamo adottando provvedimenti al fine di ottenere, malgrado i vari impedimenti, attività di pesca sostenibili nel Baltico. Ci stiamo, inoltre, adoperando per cercare di sanare i problemi esistenti in merito alle rotte di traffico del trasporto marittimo attraverso il Baltico. Dunque, un approccio integrato alle attività marittime significherebbe di certo avere un quadro più generale di tutte queste problematiche e cercare di creare maggiore coordinamento tra le diverse parti interessate, gli Stati membri e i paesi terzi come la Russia, nel caso del Baltico, al fine di ottenere migliori risultati in termini di gestione delle varie aree settoriali relative al Baltico.

 
  
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  Presidente. - Grazie, signor Commissario. Mi scuso con i deputati che non hanno avuto modo di intervenire; a quanto pare dovremo prevedere una tempistica più lunga per discussioni come questa.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 11 ottobre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La Commissione ha presentato le proprie proposte in merito a una “prospettiva” e a un “piano d’azione” per una futura “politica marittima integrata” a livello comunitario. Sebbene non sia stato possibile condurre l’analisi richiesta (senza dimenticare che i problemi maggiori sorgono nei dettagli), le mie prime reazioni sono le seguenti:

– Qualsiasi iniziativa in questo ambito deve salvaguardare le competenze degli Stati membri in materia di gestione spaziale soprattutto delle acque territoriali e delle zone economiche esclusive (ZEE), ovvero: sfruttamento delle risorse, trasporto, ricerca, controllo delle frontiere e sicurezza, pianificazione regionale, ambiente, o attività economiche come la pesca. In altre parole, non dobbiamo servirci di un cavallo di Troia, sotto le mentite spoglie del cosiddetto principio di sussidiarietà, che minacci la sovranità degli Stati membri.

– La “solida base finanziaria” citata per la “politica marittima” non dev’essere creata a spese del fondo europeo della pesca, poiché è necessario stanziare nuove e potenziate risorse finanziarie, se si vogliono soddisfare le nuove priorità.

- L’acquacoltura non dev’essere incentivata, poiché si contrapporrebbe al settore della pesca, la cui importanza è strategica per vari paesi come il Portogallo; la sostenibilità socioeconomica in materia dev’essere garantita per mezzo di politiche e risorse finanziarie adeguate.

 
  
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  Robert Navarro (PSE), per iscritto. (FR) Con questo “Libro blu”, l’Unione europea compie un passo avanti. Per quanto sia increscioso che su determinati punti – come la questione dei guardiacoste europei e della bandiera europea – la Commissione europea abbia dovuto ridurre le proprie ambizioni per mancanza di sostegno da parte di alcuni Stati membri, questo documento è una buona base da cui partire. Mi auguro mantenga tutti gli impegni presi. Comunque sia, la questione finanziaria sarà determinante, come riconosciuto dalla Commissione stessa. I nostri ministri si assumeranno le loro responsabilità?

Per il resto, mi compiaccio particolarmente della decisione della Commissione di avviare un riesame della legislazione sociale nel settore marittimo, area in cui il tradizionale diritto del lavoro e le relative protezioni non sono applicabili. Era ora! Questo elemento, determinante nel rendere più attraenti le carriere marittime, dovrebbe dunque aiutare l’Europa a proteggere le proprie competenze in ambito marittimo.

 

20. Uccisioni di donne (femminicidi) in America centrale e in Messico e ruolo dell’Unione europea nella lotta contro tale fenomeno
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  Presidente. - L’ordine del giorno reca la relazione dell’onorevole Raül Romeva i Rueda, a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, in merito alle uccisioni di donne in America centrale e in Messico e al ruolo dell’UE nella lotta contro questo fenomeno [2007/2025(ΙΝΙ)] (Α6-0338/2007).

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), relatore. (ES) Signora Presidente, sebbene l’uccisione di donne sia un problema globale, ci sono zone del mondo che sono diventate, sia per l’entità sia per la complessità del fenomeno, casi paradigmatici.

Quei luoghi, loro malgrado, sono specchi che riflettono molti dei mali che affliggono, in varia misura, le società nelle quali imperano modelli sociali radicati in una cultura di stampo patriarcale. E’ il caso, per esempio, del Messico e dei paesi dell’America centrale.

E infatti proprio in Messico sta iniziando a prendere corpo il concetto di “femminicidio”, soprattutto da quando la Procura speciale istituita per indagare e perseguire i casi di femminicidio nella Repubblica messicana, presieduta dal membro del Congresso Marcela Lagarde, ha sancito che tale concetto fa riferimento al complesso dei reati di lesa umanità, che comprende – e cito testualmente – “omicidi, sequestri e sparizioni di bambine e di donne, in un quadro di collasso istituzionale”.

Si tratta, in definitiva, di una frattura dello Stato di diritto che favorisce l’impunità. Benché tale concetto sia in piena evoluzione, c’è chi difende l’uso del termine “femminicidio” in contrapposizione a quello di “omicidio”...

Vorrei chiedere, per favore, un po’ di silenzio.

relatore. (ES) Grazie, signora Presidente. Proseguo.

Come dicevo, benché questo concetto sia in continua evoluzione, di fatto c’è chi avverte la necessità di usare il termine “femminicidio” anziché il termine “omicidio” ed è rilevante che tale termine metta in luce l’esistenza di un fenomeno fra i più preoccupanti dei nostri giorni: l’uccisione delle donne per il solo fatto di essere donne.

Nel corso degli ultimi due anni, il Parlamento europeo ha svolto un intenso lavoro in merito a questo tema, che giungerà a un importante punto di svolta domani, 11 ottobre, quando verrà adottata la relazione sulle morti delle donne in Messico e in America centrale e sul ruolo dell’Unione europea nella lotta contro questo fenomeno.

La relazione, d’altra parte, è il frutto di un lungo e intenso processo di dialogo con tutte le parti coinvolte e di numerosi compromessi fra i vari gruppi politici. A tale proposito, approfitto dell’occasione per ringraziare del loro appoggio tutte le relatrici ombra e per informarvi che sono presenti in Aula anche Marjo Searle e Arsène Van Nierop, madri rispettivamente di Brenda e di Hester, entrambe assassinate in Messico.

Adottando questa relazione, il Parlamento europeo si allineerà con altre istituzioni che si sono già espresse in merito alla questione, fra cui il Consiglio d’Europa, le Nazioni Unite e svariati parlamenti e governi di tutto il mondo. Inoltre, per il suo contenuto, detta relazione consentirà di compiere grandi progressi sia nella definizione del problema sia nell’assunzione di responsabilità da parte dei vari attori impegnati a combatterlo.

Uno dei principi espressi nella relazione è proprio la necessità di riconoscere – come punto di partenza per qualsiasi analisi – la molteplicità delle cause e delle tipologie esistenti in questo genere di reati.

E’ indubbio, per esempio, che il caso di Ciudad Juárez – oltre 400 donne uccise dal 1993 – di cui i media si sono tanto occupati, ha molto a che vedere con il fatto che si tratta di una città di frontiera, con tutti i problemi legati a quelle aree. Tuttavia, esistono anche molti altri fattori che impongono di concentrare gli sforzi e di attuare politiche pubbliche integrate.

Tali politiche comprendono: prevenzione; investimenti nell’istruzione per favorire l’uguaglianza e rovesciare la cultura del patriarcato; miglioramento della raccolta dei dati e dello svolgimento delle indagini forensi; agevolazione e snellimento delle pratiche di denuncia; istruzione delle forze di polizia, dei giudici, dei pubblici ministeri e dei medici su questo tipo di reati; controllo delle aziende locali e delle multinazionali operanti nell’area, molto spesso ree di ridurre le lavoratrici in condizioni di grave vulnerabilità; attuazione di riforme legislative e trasposizione delle norme agli organi competenti. Infine, occorre porre particolare enfasi sulla questione degli aiuti pratici e del sostegno alle vittime e ai loro famigliari.

In merito a quest’ultimo tema, tuttavia, con profondo rammarico mi preme denunciare in questa sede che in molte occasioni le vittime vengono ignorate o addirittura criminalizzate, e le loro famiglie perseguitate e talvolta accusate di ledere la buona immagine di una città o di un paese, semplicemente perché tentano di sensibilizzare la gente riguardo al problema e perché reclamano giustizia.

E’ evidente che la responsabilità di mettere in atto tutte le misure proposte non può che ricadere in gran parte sulle istituzioni governative dei paesi direttamente coinvolti, nella fattispecie il Messico e le nazioni dell’America centrale.

Nondimeno, considerando che l’Unione europea ha un accordo di associazione con il Messico – accordo che prevede fra l’altro una clausola democratica e di rispetto dei diritti umani – e considerando altresì che è in fase di negoziazione un accordo simile con la regione centroamericana, è a mio avviso più che giustificabile che le istituzioni europee prendano posizione e si assumano impegni concreti in merito a questo problema.

In tal senso, nessuno dovrebbe ravvisare un’ingerenza da parte dell’Unione europea nelle questioni interne di altri paesi, specialmente perché – pur riconoscendo, com’è stato fatto nella relazione, gli importanti progressi compiuti, in particolare in ambito legislativo – la portata del fenomeno impone a tutto il mondo, quindi anche all’Europa, di intervenire con maggiore impegno.

In conclusione, mi auguro che, dopo tutti questi mesi, si sia raggiunto il livello di accordo e di consenso necessario affinché, nella votazione di domani, questa risoluzione venga approvata dalla maggioranza dell’Assemblea, e auspico che sapremo mandare un messaggio forte e chiaro sul significato della lotta alla violenza contro le donne, soprattutto nelle regioni coinvolte.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, come donna, ma anche come membro della Commissione, vorrei, innanzi tutto, ringraziare la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere per la sua attività in difesa delle donne in Europa e nel mondo.

La relazione presentata oggi è da considerarsi, in effetti, nel contesto di una lotta globale alla violenza legata al genere. Questo è il nostro punto di vista e ringrazio molto il relatore, l’onorevole Romeva i Rueda, per le sue parole.

Il femminicidio è un tragico fenomeno che comprende un problema di portata molto più ampia, ovvero la violenza sulle donne, che dobbiamo impegnarci a combattere a tutti i livelli, sia localmente sia su scala globale. Vorrei illustrarvi ciò che noi, in quanto Commissione, stiamo facendo per affrontare la questione della violenza di genere, ancora una volta sia in termini generali, sia specifici, e per promuovere la lotta a questo fenomeno, attraverso la nostra politica di relazioni esterne in Messico e in Asia centrale.

Inoltre, se me lo permettete, vorrei spendere qualche parola riguardo alla mia recente visita nella regione, mi ci sono recata la scorsa settimana (sebbene non in Messico). Ho visitato Panama, El Salvador, l’Honduras e il Nicaragua. Ero già stata in Messico in precedenza e conto di ritornarci, probabilmente, l’anno prossimo.

Posso assicurarvi che la Commissione è in prima linea nello sforzo di evitare la violenza contro le donne. Mi permetto di ricordarvi che, l’8 marzo 2006, la Commissione ha emanato quella che abbiamo definito una “road map per l’uguaglianza fra uomini e donne”, sancendo fra gli obiettivi prioritari, lo sradicamento di qualsiasi forma di violenza di genere.

Nel marzo di quest’anno, abbiamo adottato una comunicazione sull’uguaglianza di genere nella cooperazione per lo sviluppo, in cui si dichiarava che la violenza legata al genere, in qualsiasi sua manifestazione, viola i diritti umani delle donne e costituisce, di fatto, un grave ostacolo al raggiungimento dell’uguaglianza, dello sviluppo e della pace.

La Commissione, inoltre, sostiene progetti educativi e di sensibilizzazione, volti a coinvolgere tutti gli adolescenti in programmi che mirano a modificare il loro atteggiamento rispetto alla violenza contro le bambine e le donne.

Per esempio, come dicevo, sono appena stata in El Salvador, e ho avuto modo di visitare il programma chiamato Pro Jóvenes, studiato per sottrarre dall’influenza delle cosiddette Maras le ragazze e i ragazzi – ma soprattutto le ragazze – che sono già stati reclutati o che potrebbero accostarvisi. Sono rimasta molto colpita dal programma.

Anche il nuovo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani concede un ampio raggio d’azione alle attività nel campo dell’uguaglianza di genere.

Quanto alla situazione in Messico, vorrei sottolineare che le relazioni UE-Messico si basano sul nostro accordo globale del 1997, il cui articolo 1 identifica nei diritti umani un elemento fondamentale delle relazioni euro-messicane. Nel frattempo, su queste stesse basi, entrambe le parti hanno istituito quella che io ritengo una proficua cooperazione in materia di diritti umani e giustizia, una cooperazione condotta attraverso i diversi programmi della Commissione, attuati dalle autorità federali messicane, e anche mediante progetti gestiti anche da attori non statali e ONG. Inoltre, poiché le autorità messicane ci tengono informati riguardo alla violenza di genere sul loro territorio, abbiamo appreso che una serie di casi sono stati risolti e molti altri sono oggetto di indagini.

Nel corso della mia ultima conversazione personale con il nuovo ministro degli Esteri messicano – anche lei una donna, come saprete – tenutasi a Santo Domingo, abbiamo discusso della questione del femminicidio e ho raccolto importanti informazioni sulle azioni intraprese dal governo messicano, il quale è coadiuvato anche da una speciale consulente in materia di diritti umani, un’altra donna, che si sta occupando specificatamente della questione.

Nel caso dell’America centrale, intesa come regione, il paese che presenta la situazione più critica è il Guatemala. Il nostro approccio si è articolato sul dialogo con le autorità, e, ancora una volta, su una serie di attività in tema di violenza contro le donne, compresa l’integrazione della dimensione di genere in tutti i programmi di cooperazione.

La Commissione ha anche organizzato, nel marzo dell’anno scorso, un’importante campagna di comunicazione, rivolta ai giovani e ai decisori, su come fermare la violenza contro le donne. Nello stesso periodo, abbiamo accolto con piacere la creazione di una commissione nazionale sul femminicidio, composta da funzionari dell’esecutivo, della magistratura e anche del Congresso, più un totale di 18 istituzioni statali.

Di recente, abbiamo assistito anche alla creazione di una commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala; altra iniziativa che ha riscosso il nostro pieno appoggio. Nell’ambito di questo programma della Commissione a sostegno della magistratura, è stata riservata un’attenzione specifica al femminicidio e in particolare alle attività condotte dal cosiddetto CEPROM, l’ufficio presidenziale incaricato, con il quale abbiamo siglato un protocollo di intesa sulla cooperazione.

Permettetemi anche di ricordare il nostro sostegno ai lavori preparatori per la revisione della normativa contro il femminicidio, attualmente all’esame del Congresso, nella speranza di una revisione del codice penale.

Infine, durante questo viaggio in America centrale, ho constatato molta buona volontà e uno spirito filo-europeo, in merito a questa problematica. Sono stata positivamente sorpresa dall’interesse dimostrato verso il potenziamento dell’integrazione regionale e dagli atteggiamenti di cooperazione anche nell’ottica dei prossimi negoziati per un accordo di associazione. Devo ammettere che è stato molto importante osservare che perfino a Panama, l’interesse è molto più forte di quanto mi aspettassi. Guardo con entusiasmo alla possibilità di vedere coinvolte tutte le parti interessate della regione.

Il primo messaggio che ho voluto trasmettere laggiù è stata l’importanza di compiere progressi nei negoziati che verranno finalmente avviati nell’ambito del processo di San José in Costa Rica. Tale processo è molto importante poiché, come è ovvio, si tratterà di un dialogo politico, articolato in un programma di cooperazione e trattative di libero scambio, dal quale, tuttavia scaturirà un programma omogeneo.

Il programma avrà grande rilevanza anche in materia di coesione sociale, una delle problematiche più importanti per l’intera America latina, compresa l’America centrale.

Siamo convinti che anche la violenza giovanile e contro le donne siano tematiche da inserire nel programma, affinché si faccia tutti il possibile per diminuire la piaga della violenza nella società.

 
  
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  Anna Záborská, a nome del gruppo PPE-DE. (FR) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, non possiamo più ignorare la realtà del femminicidio in America centrale. In molte regioni del mondo, le donne apportano un contributo essenziale alle strutture sociali più degne dell’umanità. Grazie al loro intuito femminile, le donne arricchiscono la comprensione del mondo, contribuendo a rendere le relazioni umane tra i popoli più oneste e autentiche.

E’ giunto il momento di condannare e punire severamente ogni forma di violenza perpetrata contro le donne, non solo in America centrale, ma anche in diversi paesi d’Europa. A questo proposito, la partecipazione delle donne alla gestione degli aiuti materiali e all’assistenza alle vittime di questo tipo di violenze potrebbe essere di fondamentale importanza.

Onorevoli colleghi, se gli Stati membri sono pronti a porre la loro esperienza al servizio della risoluzione dei problemi, noi non possiamo negare la nostra. Ecco perché sono convinta che la cooperazione bilaterale tra Stati membri e Stati dell’America centrale possa essere efficace.

Vi porto testimonianza di un lavoro autenticamente sensibile condotto in seno alla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. Ringrazio il relatore, l’onorevole Romeva, per il suo senso politico e la sua cooperazione. Abbiamo presentato alcuni emendamenti di comune accordo. Laddove tali emendamenti vengano adottati, potremo essere fieri di un lavoro potenzialmente in grado di migliorare la condizione delle donne e, di conseguenza, dell’intera società dell’America centrale.

 
  
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  Edite Estrela, a nome del gruppo PSE. – (PT) Vorrei aprire il mio intervento congratulandomi con il relatore per l’eccellente lavoro svolto, per il dialogo in atto con i relatori ombra e per la disponibilità e la ricettività dimostrata nell’accogliere i suggerimenti a lui offerti. Sono molte le persone che hanno preso parte al processo e ritengo che questo sia un approccio davvero esemplare.

Il gruppo socialista appoggerà, quindi, il contenuto della relazione e le proposte di emendamento presentate. Sappiamo bene che laddove ci siano problemi di qualsivoglia natura, sono sempre le donne a risentirne maggiormente, ovunque nel mondo: Europa, America, Asia, Africa, dappertutto. Povertà ed esclusione sociale segnano spesso il destino delle donne, così come la violenza, psicologica e fisica, e l’estrema violenza fisica che sfocia nella morte. Questa relazione affronta il tema della violenza estrema, occupandosi dell’assassinio di molte donne nei paesi dell’America centrale e in Messico.

Ho avuto modo di visitare il Guatemala insieme al relatore, sotto l’egida della delegazione Unione europea-America centrale, e di ascoltare i sorprendenti resoconti di molti rappresentanti di organizzazioni non governative. Sappiamo che molti femminicidi vengono perpetrati in Guatemala e a Ciudad Juárez. Il femminicidio, come illustrato nella relazione, non può essere spiegato puramente in termini di un clima di violenza generalizzato. E’ necessario tenere conto del contesto e della discriminazione ancora in atto contro le donne ed è una vera tragedia che molti casi restino impuniti. C’è poi il caso, a cui si fa riferimento nella relazione, di due cittadine olandesi anche loro vittime di femminicidio.

Pertanto, i progressi compiuti e le misure adottate non sono ancora sufficienti; bisogna spingersi molto più in là e soprattutto, è necessario creare efficaci misure di protezione per i testimoni e le vittime, cosicché i responsabili possano essere puniti, e che il Parlamento europeo inserisca sempre questa tematica nell’ordine del giorno delle sue missioni presso quei paesi.

 
  
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  Marios Matsakis, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signora Presidente, il fenomeno della violenza contro le donne in Messico e in America centrale ha assunto, negli ultimi anni, proporzioni drammatiche, con migliaia di donne vittime di uccisioni violente, spesso di natura estremamente crudele e accompagnate da abusi sessuali e torture.

Sebbene in molti casi i responsabili di questi atroci delitti siano individui squilibrati, spesso le attività del crimine organizzato sono strettamente correlate agli assassini e le implicazioni in termini di tratta di esseri umani, prostituzione e droga sono evidenti.

E’ triste constatare come in Messico e nei paesi dell’America centrale il funzionamento del diritto, in alcuni casi, lasci così tanto a desiderare, vuoi per reali inefficienze organizzative all’interno del sistema di polizia e giudiziario, vuoi per la corruzione e l’impunità.

Il relatore, l’onorevole Romeva i Rueda, merita di essere elogiato per aver fatto sì che questa relazione fosse sufficientemente forte da inviare il necessario messaggio non solo ai governi dei paesi interessati, ma al mondo intero, evidenziando l’incidenza del tutto inaccettabile del femminicidio nei suddetti paesi.

I pochi emendamenti finali – che, per inciso, beneficiano del pieno sostegno del relatore – sono utili e rendono la relazione più completa, pertanto il mio gruppo appoggia pienamente tali emendamenti.

C’è da augurarsi che questa relazione venga approvata con larga maggioranza in quest’Aula, in modo da inviare un segnale molto chiaro a tutte le parti interessate, che l’uccisione delle donne in America centrale, così come in altre parti del mondo, è una questione che riscuote tutta la nostra attenzione e merita l’adozione di provvedimenti molto drastici ed efficaci.

 
  
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  Eva Lichtenberger, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signora Presidente, in qualità di membro della delegazione alla commissione parlamentare mista UE-Messico, vorrei esprimere un ringraziamento particolare alla commissione per i diritti della donna e, nello specifico, al relatore, per aver affrontato questo problema, che ha gettato un’ombra anche su molte discussioni con i nostri colleghi in Messico. Auspico un’ampia maggioranza per la votazione di domani, che rifletta un’opinione unanime e sottolinei la serietà con cui abbiamo affrontato questo problema.

A fronte delle cifre spaventose, dei resoconti sulle vessazioni subite dai testimoni e dai procuratori, sulle minacce di morte e di tortura, sulle molestie a danno delle famiglie e su tutta una serie di situazioni che non possono in alcun modo essere tollerate, è dovere dell’Unione europea far sentire la propria voce, nonché porre in evidenza la peculiarità del fenomeno. Esso rappresenta uno sviluppo particolarmente drammatico di un fenomeno globale, relativo al modo in cui vengono trattate le donne, e che deve cessare al più presto nel XXI secolo.

E’ necessario affrontare la questione con molta disponibilità nei confronti delle nostre controparti nei paesi interessati, poiché uno sviluppo positivo è possibile soltanto in una società dove le donne siano libere di vivere senza paura di essere aggredite e dove qualsiasi minaccia a loro rivolta o di cui siano vittime in quanto donne venga adeguatamente perseguita sul piano legale.

Pertanto mi compiaccio di tutte le misure positive adottate in questa sede. Ci occorre un sistema di protezione dei testimoni, un miglior sistema giudiziario e migliore istruzione. Solo allora saremo in grado – a mio avviso – di sostenere le donne del Messico e dell’America latina, fino al raggiungimento di un livello di tutela a noi accettabile.

 
  
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  Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL. (SV) La ringrazio, signora Presidente. Vorrei esprimere la mia gratitudine al relatore, per l’eccellente lavoro svolto, nonché per l’impegno e la profonda conoscenza della materia e dichiaro fin da subito il totale sostegno del nostro gruppo in favore di questa relazione.

La forma di femminicidio di cui stiamo discutendo oggi si è intensificata soprattutto nelle aree dove le nostre società investono in impianti in subappalto e dove le donne sono completamente dipendenti dagli uomini, a livello sociale, economico, sotto ogni aspetto. Le giovani donne occupate presso questi stabilimenti di assemblaggio, non solo rischiano di subire quest’esacerbata violenza, ma lavorano anche in condizioni fortemente degradanti che rafforzano l’immagine della donna come essere inferiore che può essere assassinato, torturato, rapito e così via. Apprezzo le misure presentate dalla Commissione, ma vorrei anche che l’Unione europea esercitasse una pressione più forte e decisa su questi paesi. Dobbiamo dimostrare che è del tutto inaccettabile siglare accordi sul rispetto dei diritti umani, mentre questi omicidi continuano. Dovremmo congelare qualsiasi accordo commerciale finché non vedremo soddisfatte le richieste da noi giustamente avanzate, per esempio, finché i governi dei paesi interessati non investiranno sufficienti risorse nel ricercare e nell’assicurare alla giustizia gli autori di questi crimini. Questa brutalità su vasta scala perpetrata contro le donne si protrae ormai da quasi dieci anni e, anziché ridursi, è di fatto aumentata, pertanto è giunto il momento di prendere provvedimenti. Grazie.

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE). - (ES) Signora Presidente, desidero anch’io ringraziare il relatore per il lavoro svolto e, soprattutto, per la sua disponibilità a esprimere con chiarezza l’impegno indeclinabile e inderogabile di questo Parlamento nei confronti di un problema grave e urgente come quello della violenza contro le donne.

Inoltre mi rallegro del fatto che, dopo il passaggio in commissione, il contenuto della relazione sia divenuto più equilibrato e meno paternalistico e sia stato inquadrato nella giusta ottica, perché purtroppo la violenza contro le donne non è circoscritta a una regione, a una nazione o a un continente, ma ha piuttosto carattere universale, e noi tutti dovremmo tenerne conto per i futuri lavori di questo Parlamento.

Disgraziatamente, anche se in circostanze diverse, il fenomeno interessa anche l’Unione europea. Senza andare troppo lontano, le cifre che riguardano il mio paese sono sconfortanti: 166 000 casi denunciati, 48 000 persone arrestate lo scorso anno (una ogni dodici minuti) e quasi 70 donne uccise. L’ultima sgozzata, appena ieri, dal compagno.

Ritengo che questi dati agghiaccianti, signora Presidente, debbano indurci a una profonda riflessione sul ruolo del nostro Parlamento, che io non vedo come un tribunale che punisca e pontifichi, bensì come un’istituzione che si adoperi per proporre strategie efficaci volte a trovare – di comune accordo con i nostri partner e sulla base del dialogo, della cooperazione e della buona prassi – valide soluzioni per stroncare questo fenomeno.

Nel caso del Messico, che è molto significativo ed è citato nella relazione, parliamo di una nazione che già di base è afflitta da un livello di violenza molto elevato, del quale hanno fatto le spese anche cittadini dell’Unione europea, le cui famiglie hanno tutta la nostra solidarietà. Tuttavia bisogna riconoscere anche che si tratta di una nazione che lotta, che non si arrende, che si batte con coraggio per tentare di risolvere questo problema, mediante la mobilitazione delle autorità statali, federali e locali, e grazie all’impegno della società tutta e dei partiti politici. Non a caso la relazione mette in risalto, signora Presidente, i passi avanti compiuti finora.

E’ importante, e con questo concludo, esortare la Commissione a completare il programma d’azione nell’ambito dei diritti umani in modo rapido e ambizioso, signora Presidente. Terminerò dicendo che la violenza contro le donne è un problema di abusi, un problema di codardia, un problema di intolleranza ed è soprattutto, signora Presidente, un problema di paura e di impotenza, paura di accettare la volontà degli altri e, specialmente, paura di imporre la volontà e la ragione pacificamente, attraverso il dialogo, anziché attraverso la violenza.

 
  
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  Zita Gurmai (PSE). - (HU) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, vorrei ringraziare l’onorevole Romeva i Rueda per la sua relazione, che prende posizione in merito a un problema importante. Sono lieta che, come deputato, si sia preso seriamente a cuore la condizione delle donne.

La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani che impedisce alle donne di esercitare i propri diritti fondamentali. Pertanto, è da considerarsi uno dei principali ostacoli globali alla parità dei sessi all’interno della società. Tale fenomeno, pur manifestandosi con incidenza diversa, è presente in tutto il mondo e come tale, va combattuto globalmente, in conformità alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Gli stessi Stati, in questo caso il Messico, sono chiamati a rispettare e porre in essere libertà e sicurezza per i loro cittadini, pertanto, essi devono garantire gli strumenti necessari a evitare, smascherare e punire la violenza contro le donne, anche laddove essa venga perpetrata all’interno della famiglia.

Trovo molto positivo che il Messico abbia adottato misure giuridiche volte all’affermazione della parità fra uomini e donne. Ciononostante, la lotta contro la violenza sulle donne non può essere circoscritta al mero utilizzo di strumenti giuridici, poiché si tratta di un fenomeno complesso che richiede una cura complessa, fatta di misure legali, amministrative, preventive, consultive, di supporto alle vittime, nonché di impegno al dialogo e al monitoraggio da parte dello Stato in questione.

L’Unione europea – che si è impegnata in diverse occasioni per assicurare l’uguaglianza a livello globale e che ha definito la road map per la parità tra donne e uomini 2006-2010, pubblicata dalla Commissione europea e definita dal Commissario una delle maggiori priorità, insieme alla cessazione della violenza sulle donne – non può restare in silenzio davanti a simili atrocità.

Nella creazione di relazioni esterne, i progressi nell’ambito dei diritti umani e della parità fra i sessi devono essere considerati un criterio prioritario. La relazione dell’onorevole Romeva i Rueda è eccellente, pertanto vi invito caldamente ad adottarla.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Non possiamo restare indifferenti alla violenza commessa contro le donne in qualunque parte del mondo, tanto più nei nostri paesi. Di conseguenza, siamo chiamati a considerare con particolare attenzione questa seria problematica che affligge il Messico e altri paesi dell’America centrale, dove il persistere del femminicidio non può essere imputato unicamente a un clima di violenza generalizzato. Sappiamo che è necessario tenere conto anche della discriminazione all’interno del contesto socioeconomico locale, sfavorevole alle donne, tanto più alle donne indigene, che vivono in condizioni di estrema povertà e dipendenza economica; il tutto ulteriormente aggravato dal problema dell’attività delle gang criminali.

Anche in questa occasione, quindi, proclamiamo la nostra solidarietà nei confronti delle donne vittime di questa violenza e uniamo la nostra voce all’appello in difesa dei diritti delle donne e per il rispetto della loro dignità; ovviamente appoggiamo la relazione del collega, onorevole Romeva.

 
  
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  Maria Badia i Cutchet (PSE). - (ES) Signora Presidente, anzitutto desidero congratularmi anch’io con l’autore della relazione, della quale vorrei mettere in evidenza alcune questioni e segnalare alcuni aspetti che forse non sono emersi.

Per vincere la battaglia contro le uccisioni delle donne e contro l’impunità di chi le perpetra, occorre agire su più fronti. Nel breve termine, è necessario eliminare qualsiasi discriminazione in ambito legislativo, agevolare la denuncia dei reati e migliorare le misure di protezione delle vittime, dei testimoni e dei famigliari, nonché rafforzare i sistemi giudiziari e carcerari.

A tale proposito, concordo nell’affermare che l’Unione europea non solo deve offrire la sua completa collaborazione a questi paesi, affinché superino le difficoltà e i ritardi nell’implementazione dei diritti della donna nell’ordinamento giuridico, ma deve anche incoraggiare la ratifica degli accordi internazionali in materia di protezione dei diritti umani e sostenere la revisione e l’aggiornamento delle legislazioni nazionali in questo campo. Per tali motivi, appoggerò l’emendamento Obiols-Estrela.

Per migliorare la situazione nel lungo termine, è necessario promuovere l’insegnamento di valori in un’ottica di uguaglianza di genere e avviare campagne di educazione e di sensibilizzazione nelle scuole, fin dall’infanzia, in modo da favorire lo sviluppo di una coscienza sociale che ponga fine alla violenza contro le donne e alla stigmatizzazione delle vittime da parte delle autorità.

Forse ciò che, a mio parere, manca nella relazione è un riferimento più concreto alla questione dell’educazione. Credo che tutti gli sforzi che stiamo compiendo in tal senso non basteranno per eradicare questa piaga, che non dovrebbe affliggere le società civili del XXI secolo.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (DE) Signora Presidente, la ringrazio molto per questa importantissima discussione e in particolare vorrei esprimere i miei più sinceri ringraziamenti al relatore.

Come ho detto poc’anzi, come donna e Commissario per le relazioni esterne e la politica europea di vicinato, questa tematica mi sta particolarmente a cuore ed è senz’altro corretto affermare – come ho fatto anch’io in apertura – che si tratta di una questione generale, che, ahimé, riguarda tutti noi, in tutti i paesi. Questo comprende l’Unione europea, ma il fenomeno è tanto più rilevante nei paesi poveri, privi di adeguate condizioni socioeconomiche, paesi in cui manca, soprattutto, un efficace sistema di polizia – tanto che i problemi insorgono già a livello investigativo – e anche, in molti casi, un efficace sistema giudiziario. Dopotutto, anche questo è un elemento cruciale. Siamo inoltre consapevoli che in molti dei paesi citati oggi, come l’America centrale e il Messico, insieme a numerosi altri, persiste il fenomeno della corruzione e le organizzazioni mafiose operano, talvolta, in collaborazione con importanti figure della magistratura, il che fa sì che il tasso di rilevazione dei delitti sia estremamente basso.

Concordo con gran parte delle affermazioni fatte oggi: prima di tutto misure legislative e in seconda battuta misure attuative. Inoltre, posso confermare che la Commissione ha già avviato programmi specifici e sta lavorando su queste problematiche. Tuttavia, è necessario tenere conto anche del fattore tempo, è chiaro. Purtroppo, non si tratta di un fenomeno che possa essere debellato da un giorno all’altro; può essere solo arginato gradualmente, nel contesto di uno sviluppo socioeconomico. Purtroppo, è qualcosa con cui tutti noi dovremo avere a che fare ancora a lungo.

Certo, è necessario adottare misure preventive; ho portato l’esempio del programma Pro Jóvenes, poiché la ritengo un’iniziativa interessante. Onorevoli deputati, se mai doveste tornare in El Salvador – o anche in Guatemala, ma in particolar modo nel Salvador – vi invito a dare un’occhiata voi stessi. Se non altro sarà un’iniezione di ottimismo.

Posso solo affermare l’esigenza di continuare con i nostri programmi e di proseguire il nostro dialogo, decisamente difficile, con il Messico, ma non esito a confermare, come ha detto l’onorevole Salafranca Sánchez-Neyra, che il Messico dovrà essere preparato ad affrontare la questione e a farsi paladino della causa. Il punto è che quando un crimine viene scoperto troppo tardi, diventa molto difficile determinare tutti gli aspetti successivi al fatto. Di conseguenza, è essenziale attingere a tutti i principali metodi della tecnologia poliziesca moderna, poiché l’individuazione del reato è il primo fattore e la giustizia il secondo; ovviamente, poi, la questione generale della non discriminazione sociale è altrettanto determinante.

Posso garantirvi che sono dalla vostra parte a questo riguardo.

 
  
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  Presidente. - La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 11 ottobre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. (SK) L’8 marzo 2007, in occasione della Giornata internazionale della donna, la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere del Parlamento europeo ha avviato una campagna per la cessazione della violenza contro le donne.

Questa relazione sui femminicidi in Messico e in America centrale è parte integrante dell’iniziativa, il cui scopo è debellare a livello globale la violenza sulle donne. E’ nei paesi sopraccitati, in particolare, che il numero di morti violente è aumentato in maniera significativa negli ultimi anni.

Secondo le statistiche messicane ufficiali, tra il 1999 e il 2006 ci sono state 6 000 vittime, fra ragazze e donne. Il dato più allarmante proviene da paesi che presentano disuguaglianze socioeconomiche radicate e, in particolare, dove le donne sono tradizionalmente ed economicamente dipendenti dagli uomini: paesi come il Guatemala, El Salvador, l’Honduras – il terzo paese più povero dell’America Latina – e il Nicaragua.

I femminicidi a Ciudad Juárez e in Guatemala sono particolarmente allarmanti, motivo per cui sono molto lieta della discussione di oggi. Sono convinta che solo attraverso un’approfondita analisi di queste problematiche, che dovrà essere condotta prima del Vertice EU–LAC 2008 a Lima, saremo in grado di valutare le misure adottate, compresa l’esperienza delle autorità messicane, che ci aiuterà a contrastare la violenza sulle donne in Europa e in Sudamerica.

Dobbiamo intensificare i nostri sforzi per difendere le donne da ogni tipo di violenza.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE), per iscritto.(DE) Il problema dei femminicidi e dell’impunità dei loro responsabili in Messico e America centrale non è migliorato, malgrado i massicci sforzi. Pertanto, i governi della regione devono continuare a rafforzare il proprio impegno a favore della prevenzione e dell’individuazione dei casi di femminicidio e di altre violenze perpetrate contro le donne.

In relazione a questo, vorrei invitare i governi dei paesi dell’America centrale a intensificare il monitoraggio dell’assunzione della responsabilità sociale da parte delle imprese maquiladora (subappaltatrici). Inoltre, i principi europei di pari opportunità e pari diritti tra uomini e donne devono influenzare maggiormente la politica proattiva in materia di diritti umani dell’UE.

Di conseguenza, faccio appello alla Commissione perché avanzi una proposta su come le varie iniziative europee volte a combattere il femminicidio possano essere meglio coordinate, in futuro, con le autorità e le istituzioni locali. Devono essere impiegati tutti gli strumenti di politica esterna disponibili. A questo proposito, vorrei chiedere alla Commissione e agli Stati membri di intensificare le attività di verifica della conformità degli accordi esistenti e in attesa di approvazione, rispetto ai principi democratici e alle clausole relative ai diritti dell’uomo.

Nel corso dei negoziati per l’accordo di associazione con i paesi dell’America centrale, è necessario condurre una valutazione dell’impatto sull’uguaglianza di genere, nell’ambito di un esame più generale dell’impatto sullo sviluppo sostenibile. In nessun caso, la politica europea dei diritti umani, e in particolare dei diritti delle donne, dev’essere considerata il risultato di interessi economici e geopolitici.

 

21. Interventi di un minuto (Articolo 144 del regolamento del Parlamento)
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  Presidente. - L’ordine del giorno reca interventi di un minuto su tematiche di rilevanza politica.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE-DE). (EN) Signora Presidente, il 7 ottobre dell’anno scorso verrà ricordato come un drammatico segnale d’allarme rispetto a ciò che sta accadendo in Russia. In quella data, Anna Politkovskaya, considerata un esempio vivente di onestà giornalistica, è stata brutalmente assassinata. Il Presidente Putin ha liquidato il ruolo di Anna Politkovskaya come marginale e il caso resta tuttora irrisolto.

Lo scorso ottobre, i parlamentari di quest’Aula hanno esortato la Commissione e gli Stati membri a onorare la memoria di Anna Politkovskaya facendo del ripristino della libertà di stampa in Russia una delle condizioni prioritarie per gli ulteriori sviluppi delle nostre relazioni, poiché solo inviando un chiaro segnale che la ricerca della verità e della libertà condotta da Anna Politkovskaya rappresenta per noi un valore più prezioso del petrolio e del gas, la situazione in Russia potrà cominciare a cambiare.

E’ indubbio che l’Europa condivida i valori per cui Anna Politkovskaya ha dato la vita. Purtroppo, il Presidente Putin non sembra condividere questi stessi valori. Il nostro rispetto per Anna Politkovskaya ci impone di farlo presente in maniera chiara al Presidente Putin in occasione dei prossimi vertici.

 
  
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  Eduard Raul Hellvig (ALDE). - (RO) Vorrei parlare a proposito della questione dei parchi zoologici in Romania.

Secondo le valutazioni condotte da alcune organizzazioni non governative internazionali attive nel settore, la ricezione della direttiva in materia di parchi zoologici nell’ordinamento rumeno è una delle migliori in Europa.

Ciononostante, allineare i 41 parchi zoologici rumeni agli standard europei entro il termine stabilito, ovvero la fine di quest’anno, sembra un’impresa pressoché impossibile.

Alla luce dell’imminente scadere del termine e nel rispetto delle condizioni del partenariato pubblico-privato esistente, ribadisco l’importanza di attuare subito il piano d’azione comune, il quale prevede i seguenti interventi prioritari: la conduzione di uno studio nazionale per la classificazione dei parchi zoologici esistenti, l’organizzazione di una squadra di soccorso di emergenza e il temporaneo divieto di riproduzione degli animali.

Ritengo, inoltre, che sia opportuno concedere un certo margine di tempo all’attuazione di questo piano, prima di procedere alla chiusura dei parchi che non soddisfano i requisiti giuridici.

 
  
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  Andrzej Tomasz Zapałowski (UEN). - (PL) Signora Presidente, malgrado i numerosi richiami ascoltati in quest’Aula all’indirizzo dell’onorevole Schulz, quest’ultimo non ha cessato di attaccare e insultare i membri dell’Unione europea, condotta che non è degna di questo Parlamento.

In qualità di persona che riveste un’importante posizione all’interno delle istituzioni comunitarie, egli interferisce negli affari interni di uno Stato membro, insultandone costantemente i rappresentanti. La maggior parte dei deputati presenti in quest’Aula non si sognerebbe mai di interferire nelle elezioni democratiche tenute dai popoli dell’UE. Sono curioso di sapere come si sentirebbe questo signore, se un parlamentare esortasse la popolazione tedesca a cambiare il proprio Cancelliere, poiché ci sono organizzazioni che stanno agendo per via giuridica al fine di diffondere il pensiero nazista e minare i confini tra gli Stati europei. Temo che questo signore si rammarichi di essere nato così tardi, nell’epoca storica sbagliata.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LUIGI COCILOVO
Vicepresidente

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM). - (EN) Signor Presidente, nel corso delle discussioni di oggi, il Presidente Pöttering ha fatto una dichiarazione in merito alla Giornata internazionale/europea contro la pena di morte, pronunciandosi contro la pena capitale “in ogni sua forma”.

Egli sembra presupporre che tutti concordiamo con lui. Ebbene, io no. Domenica scorsa, a poco più di un chilometro da casa mia, a Londra, un ragazzo innocente di 17 anni, Rizwan Darbar, è stato accoltellato a morte a West Ham Park per aver tentato, così riportano le cronache, di evitare il furto del cellulare di un amico.

Eventi come questo non sono rari nel Regno Unito. Persone innocenti vengono uccise a colpi di pistola, accoltellate o picchiate a morte con sempre maggiore frequenza. Come mai? Perché i teppisti e i delinquenti non temono la legge. Anche nel caso in cui vengano arrestati e incarcerati, spesso ricevono sentenze molto indulgenti. Personalmente, auspico la reintroduzione della pena di morte nel Regno Unito, per i responsabili di omicidi di questo tipo.

Certo, questo sarà impossibile finché faremo parte dell’Unione europea, motivo in più per andarsene.

 
  
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  Jim Allister (NI). (EN) Signor Presidente, abbiamo già avuto modo oggi di citare la Libia e vorrei richiamare nuovamente l’attenzione su questo paese. Giustamente, la Libia è stata obbligata a pagare per l’atroce attacco terroristico di Lockerbie, tuttavia, in quanto sponsor del terrorismo globale non ha ancora fatto pienamente ammenda. La vile campagna di terrore condotta dall’IRA ha raggiunto il picco di massima violenza equipaggiandosi dell’esplosivo Semtex e delle armi libiche, che hanno permesso a Martin McGuinness e agli altri leader del consiglio militare di sferrare l’ondata di attacchi più brutali dell’intera campagna. Senza la Libia, centinaia di innocenti non sarebbero morti. Pertanto, stasera in quest’Aula, desidero sostenere l’attuale campagna condotta dal gruppo delle vittime dell’Irlanda del Nord – denominato FAIR – volta a porre la Libia al centro dell’attenzione internazionale, obbligandola a pagare un risarcimento, così come accaduto per Lockerbie. Esattamente come ha esercitato pressioni sulla Libia per la questione delle infermiere bulgare, allo stesso modo l’UE deve pretendere giustizia per le vittime dell’IRA, esortando la Libia a comporre la vertenza intentata a suo carico dal gruppo FAIR negli Stati Uniti d’America.

 
  
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  Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE). - (RO) Attraverso la commissione per i bilanci, il Parlamento ha preso una decisione estremamente importante.

Istituendo una percentuale di riserve del 30 per cento sulle spese amministrative per il Fondo sociale europeo, il Fondo europeo di sviluppo regionale, nonché il Fondo di coesione, inviamo un segnale forte alla Commissione europea.

L’approvazione dei programmi operativi dev’essere effettuata entro i termini specificati dalle direttive europee, in questo caso quattro mesi.

Sebbene la Romania sia stata uno dei primi paesi a presentare questi documenti, addirittura in gennaio, due dei più importanti programmi operativi devono ancora essere approvati. Mi riferisco al programma operativo per il potenziamento della capacità amministrativa e a quello per le risorse umane.

Considerato che non siamo l’unico Stato membro in questa condizione, vorrei conoscere i motivi, se non meramente burocratici, alla base di questa proroga a novembre dell’approvazione da parte della Commissione.

In base alla dichiarazione congiunta da noi adottata con il Consiglio, a seguito della conciliazione del 13 luglio, la Commissione deve assicurare la rapida approvazione dei programmi e dei progetti degli Stati membri e presentare una tabella di marcia per la loro adozione.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE). (EN) Signor Presidente, colgo l’occasione per commentare il documento sulle relazioni industriali nel settore postale, appena pubblicato dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. In realtà, avrei preferito che questa relazione fosse stata disponibile prima del voto in merito ai servizi postali. Ma anche ora, essa costituisce un valido campanello d’allarme per tutti i governi che intendono privatizzare i servizi postali nel corso dei prossimi anni.

All’interno dell’UE siamo vincolati dall’agenda di Lisbona: più occupazione e migliori posti di lavoro. Purtroppo, da questa relazione si evince che la privatizzazione del settore postale ha prodotto, finora, non solo una riduzione dei posti di lavoro, ma soprattutto, fattore ancor più rilevante, impieghi peggiori con peggiori condizioni di lavoro.

La relazione sottolinea che dall’inizio del processo di liberalizzazione, l’evoluzione delle retribuzioni settoriali in tutti i paesi, tranne tre, è stata inferiore alla media. Ma ciò che più importa è che in tutti i paesi si registra una disparità retributiva tra i dipendenti dei fornitori principali e quelli dei fornitori nuovi o alternativi.

Se ulteriormente trascurata, la situazione finirà per, e cito dalla relazione: “deteriorare le condizioni d’impiego e produrre relazioni industriali più conflittuali”. Finora, la privatizzazione del settore postale non ha superato la prova di Lisbona.

 
  
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  Urszula Krupa (IND/DEM). - (PL) Signor Presidente, nel corso del mandato dell’attuale Parlamento europeo, ho fatto più volte appello perché si ponesse fine alla discriminazione contro i polacchi, soprattutto cattolici. Anche questa volta reputiamo la richiesta avanzata da alcuni mezzi di stampa di negare le sovvenzioni all’Università di studi sociali e cultura dei media, come un’evidente espressione di discriminazione, motivata da criteri che nulla hanno a che vedere con il merito intrinseco.

Le accuse rivolte alla suddetta istituzione da alcuni organi di informazione non sono altro che calunnie formulate dalle stesse persone che in passato hanno assoggettato la Polonia e i polacchi. Oggi, in un’era democratica, queste persone non riescono ad accettare la perdita del potere assoluto. L’università in questione, che ha richiesto sostegni finanziari, fornisce istruzione e formazione professionale in un sistema di valori universali e in particolare agli studenti provenienti da famiglie disagiate.

Un restringimento dei criteri e un eventuale rifiuto di assegnazione dei fondi derivante da questa caccia alle streghe mediatica, soprattutto nell’Anno europeo delle pari opportunità per tutti, costituirebbe, a nostro avviso, non solo una discriminazione nei confronti della religione e di diversi punti di vista, ma anche un indice chiaro dell’applicazione di metodi totalitaristici, del tutto contrari ai dichiarati valori, alle normative e ai requisiti del diritto europeo.

 
  
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  Sylwester Chruszcz (NI). - (PL) Signor Presidente, vorrei richiamare l’attenzione su una problematica molto importante in seno alla Commissione europea, che viene costantemente trascurata all’interno di questa Assemblea parlamentare: quella delle vie di comunicazione.

La rotta di trasporto più breve dalla Scandinavia, ovvero il nord dell’Europa, al sud – Turchia, Grecia e Bulgaria – sarebbe il corridoio di trasporto attraverso l’Europa centrale. Questo corridoio comincerebbe a Ystad, in Svezia, per poi attraversare le città polacche di Stettino e Breslavia, il capoluogo della Repubblica ceca, Praga, la città slovacca di Bratislava, Vienna, fino ad arrivare a Costanza, Salonicco e Trieste. Questa via continua a essere ignorata e, a mio avviso, la sua inclusione nell’elenco delle rotte stradali e ferroviarie europee accelererebbe e abbrevierebbe le rotte di trasporto lungo questa linea, potenziando, nel contempo, l’intero corridoio centro-europeo e tutte le città e le regioni che sorgono attorno alla linea.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE). (EN) Signor Presidente, quest’oggi è stata pubblicata la relazione del Consiglio europeo per la sicurezza dei trasporti sui progressi europei rispetto all’obiettivo di dimezzare il numero di vittime della strada entro il 2010. La relazione contiene sia buone che cattive notizie.

Sì – ci sono stati dei progressi all’interno dei paesi e questo è senz’altro un dato apprezzabile, ma l’incidenza complessiva delle morti per incidenti stradali è ancora troppo elevata e l’UE non riuscirà, mantenendo la tendenza attuale, a raggiungere gli obiettivi prefissati. Di fatto, solo tre Stati membri – Lussemburgo, Francia e Portogallo – raggiungeranno l’obiettivo, essendo riusciti a ridurre il numero di vittime della strada di oltre l’8 per cento all’anno.

Vale la pena ricordare che sono oltre 39 000 le persone morte sulle strade dell’UE negli ultimi 12 mesi. Se avessimo raggiunto i nostri obiettivi, 5 000 di quelle persone sarebbero ancora in vita oggi. Mi rammarico del fatto che l’Irlanda, il mio paese, è ancora agli ultimi posti nell’attuazione dei necessari miglioramenti.

Potremmo imparare dall’esperienza dei paesi che hanno ottenuto i migliori risultati. Essi hanno dedicato grande impegno e volontà politica per una migliore applicazione delle normative in una serie di ambiti principali. L’UE ha solo altri tre anni per adottare misure che ci permettano di raggiungere il nostro obiettivo di dimezzare il numero delle vittime della strada. L’esperienza ha dimostrato che è possibile, ma ci occorre una spinta nuova a livello comunitario per riuscire nell’intento.

 
  
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  Pierre Pribetich (PSE). - (FR) Signor Presidente, vorrei richiamare l’attenzione del Parlamento sulla questione del Kosovo e, in particolare, sulla necessità che il Parlamento europeo si faccia di nuovo garante per questa problematica interna all’Europa, assicurando che il diritto all’autodeterminazione dei popoli venga, giustamente, rispettato. Stanno emergendo numerosi elementi politici che premono per una divisione del Kosovo, il che non costituisce una risposta, come appare evidente soprattutto se si considerano i problemi associati al territorio palestinese e alla sua divisione nel 1946. E’ necessario, pertanto, esercitare forti pressioni a livello del Parlamento europeo, per evitare tale spartizione, per impedire che si generi così un conflitto e permettere alle popolazioni di decidere del loro destino, con la garanzia che il Parlamento europeo possa essere presente, a livello europeo e anche all’interno del territorio.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE). (EN) Signor Presidente, purtroppo, prima che io abbia finito il mio intervento, due persone si saranno tolte la vita. Questo perché, ogni 30 secondi, due persone al mondo si suicidano. Un totale impressionante di un milione di persone, fra cui molti giovani uomini e donne, pone fine alla propria vita ogni anno. Il suicidio è una problematica estremamente rilevante per l’UE, poiché cinque dei dieci paesi con il più alto tasso di suicidi sono Stati membri dell’Unione: Lituania, Estonia, Ungheria, Slovenia e Lettonia. In effetti, la Lituania detiene il tasso di suicidi più alto al mondo.

Sono dati estremamente sconfortanti per l’UE poiché, nella maggior parte dei casi, la causa del suicidio è evitabile. L’UE ha il dovere nei confronti dei suoi cittadini di ridurre urgentemente il tasso dei suicidi nei suoi Stati membri. Mi appello a lei, signor Presidente, perché si rivolga personalmente ai governi e ai parlamenti nazionali di tutti gli Stati membri dell’UE e in particolare dei cinque paesi sopraccitati, esortandoli a raddoppiare gli sforzi volti a prevenire i suicidi fra i loro cittadini. In questo modo, diverse migliaia di vite verranno risparmiate ogni anno.

 
  
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  Maria Petre (PPE-DE). - (RO) Da un recente studio, risulta che, in Romania, all’incirca 170 000 bambini fra gli 11 e i 14 anni hanno uno o entrambi i genitori trasferitisi all’estero per lavoro.

Il considerevole numero di bambini affidati ai nonni o ai parenti aumenta di giorno in giorno nei nuovi Stati membri dell’Unione europea e nei paesi candidati.

Per questo motivo, vorrei sottolineare la necessità di creare strutture adeguate, che favoriscano la riunificazione dei nuclei famigliari, nonché l’esigenza di una politica sociale incentrata sulla solidarietà.

Ritengo che l’agevolazione del ricongiungimento famigliare, in quanto fattore di integrazione socioeconomica, debba costituire un aspetto essenziale delle politiche d’immigrazione legale.

Allo stesso tempo, chiedo alla Commissione europea di elaborare una strategia riguardante la situazione dei bambini rimasti nel loro paese d’origine dopo la partenza dei genitori e di sostenere la creazione di adeguate strutture all’interno degli Stati membri, al fine di aiutare bambini e genitori ad adattarsi a nuove situazioni famigliari.

 
  
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  Presidente. − Con questo si concludono gli interventi di un minuto.

 

22. Finanziamento della politica agricola comune
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Jorgo Chatzimarkakis, a nome della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, sulla proposta di regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1290/2005 relativo al finanziamento della politica agricola comune [COM(2007)0122 – C6-0116/2007 –2007/0045(CNS)] (A6-0321/2007).

 
  
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  Siim Kallas, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, grazie per avermi dato la possibilità di spendere qualche parola a proposito della relazione sul regolamento n. 1290/2005 sul finanziamento della politica agricola comune. Innanzi tutto, voglio ringraziare l’onorevole Chatzimarkakis e i membri della commissione per i loro sforzi.

La proposta della Commissione contiene due elementi di rilevanza politica. Prima di tutto, assicurare le necessarie attività di follow up in merito al pertinente passaggio dell’articolo 53 ter sul regolamento finanziario, in virtù del quale l’obbligo di trasparenza e di pubblicazione ex post dei beneficiari da parte degli Stati membri deve essere garantito mediante una normativa settoriale.

In secondo luogo, rafforzare il meccanismo di tutela della disciplina finanziaria attraverso un nuovo meccanismo di riduzione/sospensione degli aiuti in agricoltura, più strutturato e trasparente di quello attualmente illustrato nel regolamento, e mediante l’introduzione della possibilità, per la Commissione, di effettuare correzioni finanziarie a seguito di controlli ex post non soddisfacenti.

La Commissione è fortemente a favore dell’apertura e della trasparenza. Un elemento di trasparenza è appunto il diritto del pubblico di sapere come vengono utilizzati gli aiuti comunitari e chi riceve quali somme. L’articolo 53 del regolamento finanziario sancisce che gli Stati membri effettuino la pubblicazione ex post dei beneficiari. Il follow-up di questo vincolo generale è da ricercarsi, per quanto concerne la spesa relativa ai fondi FEAOG e FEASR, nella proposta della Commissione.

La Commissione insiste che siano gli Stati membri a pubblicare queste informazioni, poiché, in un quadro di gestione condivisa, essi costituiscono il contatto per la comunità agricola e si trovano dunque in una posizione migliore, rispetto alla Commissione, per convalidare le informazioni da pubblicare. Vi sono molto grato per il vostro sostegno a riguardo.

La Commissione prenderà senz’altro spunto da alcuni degli emendamenti proposti nell’adozione della normativa d’attuazione, ma non potrebbe soddisfare il requisito di migliore regolamentazione e semplificazione, se inserisse nel regolamento del Consiglio tutti i dettagli sollevati, talvolta anche molto tecnici.

Una cosa, tuttavia, è bene che sia chiara: i beneficiari dovranno essere informati preventivamente della necessità di pubblicare determinate informazioni e la pubblicazione avverrà unicamente nel pieno rispetto delle normative vigenti in materia di privacy.

Come sapete, nel regolamento n. 1290/2005 è già previsto un meccanismo di riduzione/sospensione, rispetto al quale, il provvedimento proposto offre un nuovo meccanismo trasparente ed efficace, che permette un’ulteriore semplificazione della possibilità esistente di ridurre o sospendere i pagamenti agli Stati membri in caso di gravi e persistenti deficienze nei sistemi di controllo nazionali.

L’aspetto vantaggioso di questo nuovo sistema è che alcuni elementi sono determinati in anticipo, al fine di assicurare un utilizzo più efficiente di tale strumento. Va da sé, che il meccanismo già esistente continuerà ad essere applicabile in altre circostanze. Comunque sia, emendamenti volti ad attenuare il meccanismo di riduzione sono considerati inaccettabili dalla Commissione.

Infine, ho rilevato una serie di emendamenti, volti a rafforzare ulteriormente il sistema complessivo di gestione della spesa agricola, che non sono correlati alla nostra proposta. Ebbene, riguardo a tali emendamenti, ritengo che questo testo costituisca un buon compromesso, e che sia necessario concedere a tutti gli attori il tempo di metterlo in pratica, prima di considerare qualsiasi modifica alle norme vigenti, le quali, dopotutto, sono entrate in vigore meno di un anno fa.

 
  
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  Jorgo Chatzimarkakis (ALDE), relatore.(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vi ringrazio molto per aver trovato il tempo di essere presenti qui questa sera, nonostante l’ora inoltrata. In effetti, l’argomento di discussione non è certo di poco conto o di marginale importanza, bensì la politica agricola comune. Vorrei aprire il mio intervento ricordando all’Aula che cosa significhi la politica agricola comune per la stragrande maggioranza dei nostri quasi 500 milioni di cittadini. Dopotutto, è proprio pensando a questi cittadini che vengono organizzate queste discussioni plenarie.

Ciononostante, bisogna riconoscere, a tal proposito, che molti cittadini considerano la politica agricola comune principalmente come un espediente promozionale dell’UE – un espediente estremamente negativo, purtroppo. Sussidi all’esportazione, supposti strumenti di concorrenza sleale con i paesi del “terzo mondo”, scandali alimentari, proteste degli agricoltori, sovvenzioni eccessive, piante geneticamente modificate – il numero di questioni legate alla politica agricola comune percepite negativamente è immenso e incommensurabile.

Le violazioni rispetto alla politica agricola comune hanno contribuito in maniera significativa alla cattiva reputazione di cui gode l’UE in molte parti d’Europa. Onorevoli colleghi, questa reputazione non è certo qualcosa che si possa cancellare così, in una serata. La presente relazione, tuttavia, – sempre che ottenga il sostegno del Consiglio – potrebbe dare un nuovo corso alla politica agricola comune, più aderente alle idee della maggioranza dei cittadini.

Vorrei cominciare discutendo ancora una volta la proposta della Commissione. Essa si compone, in sostanza, di quattro elementi: trasparenza, ovvero la pubblicazione dei nomi dei beneficiari dei pagamenti agricoli; introduzione della possibilità di sospendere i pagamenti a favore di uno Stato membro nell’ambito del primo pilastro, in caso di gravi violazioni in termini di gestione e sistemi di controllo; accorciamento dei tempi per i controlli della Commissione nel caso in cui gli Stati membri non adempiano ai loro obblighi di controllo (deroghe sulla cosiddetta regola dei 24 mesi); e adattamento delle competenze di esecuzione. In termini politici, le proposte relative alla trasparenza sono senz’altro di eccezionale rilevanza per il PE. Tramite tali proposte, la Commissione sta finalmente attuando la decisione del Consiglio e del Parlamento sul budget 2007.

Nel complesso, accolgo con piacere questo progetto, sebbene la proposta della Commissione sia un po’ tardiva, probabilmente anche a causa dell’inserimento nel testo di ulteriori fatti. I regolamenti d’esecuzione della Commissione relativamente al FEASR prevedono già la pubblicazione dei nomi di tutti i beneficiari dei pagamenti nell’ambito del secondo pilastro. Anche tutti gli altri fondi (Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo europeo per la pesca, Fondo di Coesione) ora contengono regole in merito alla pubblicazione. La decisione di bilancio ha significato, in sostanza, che la trasparenza ha cessato di essere controversa: non è più questione di se ma solo di come. Undici Stati membri stanno già pubblicando tutti i pagamenti in maniera integrale.

Occorre dunque più trasparenza. La mancanza di trasparenza ha permesso l’insorgere di voci e campagne di disinformazione, che hanno nuociuto alla PAC più dell’effettivo, sporadico errore. Gli unici problemi sono legati al come: dopotutto, la Commissione non indica alcun dettaglio della procedura e intende illustrare i provvedimenti in maniera particolareggiata all’interno dei regolamenti d’esecuzione. Poiché stiamo dibattendo di un’eventuale un’intrusione sul diritto di autodeterminazione rispetto ai dati personali, la mia relazione presenta alcuni chiarimenti riguardo a quali siano i dati da pubblicare e a quali condizioni. Tali chiarimenti rispondono espressamente a un’opinione del garante europeo della protezione dei dati. Malgrado il desiderio di accelerare l’attuazione, la protezione dei dati è una questione che dev’essere ponderata molto seriamente – e il Parlamento europeo lo sta facendo.

Gli obiettivi di questa relazione sono i seguenti: maggiore trasparenza e, nel contempo, condizioni più chiare in materia di protezione dei dati. Inoltre, è necessario informare il pubblico. Com’è possibile realizzare quest’opera di conciliazione?

A mio avviso, è essenziale informare anticipatamente gli interessati e poiché non esiste trasparenza a meno che le cifre non abbiano un significato, propongo una più chiara differenziazione, ad esempio a seconda dello scopo dell’intervento. Nella relazione, propongo di indicare nome, pagamento e luogo di residenza/sede legale. Oggigiorno, trasparenza significa pubblicazione su Internet. Stiamo discutendo la creazione di una piattaforma Internet generale, che riporti link e riferimenti, ad opera della Commissione. Spetta agli Stati membri rendere comprensibili le informazioni mediante spiegazioni pertinenti.

Gli Stati membri sono autorizzati a pubblicare le informazioni anche a livello regionale, se lo ritengono opportuno. Le diverse banche dati dovranno essere collegate.

In seno al Consiglio, la discussione su chi debba pubblicare le informazioni è stata molto controversa. La gestione finanziaria è mista, pertanto gli Stati membri detengono una chiara responsabilità – anche ai sensi dell’articolo 53 ter della decisione di bilancio. Inoltre, la pubblicazione da parte della Commissione darebbe luogo a problemi di protezione giuridica, poiché gli individui i cui dati fossero pubblicati in maniera non corretta dovrebbero addire direttamente al Tribunale europeo di primo grado; il che non è agevole per i cittadini, tanto meno particolarmente trasparente. La proposta della Commissione è più semplice, più trasparente, meno farraginosa da gestire e di più agevole fruizione, di conseguenza mi trova concorde. E’, inoltre, in linea con le normative vigenti in tutti gli altri campi (i Fondi strutturali e le normative applicate finora al secondo pilastro).

Poiché la pubblicazione delle informazioni è da considerarsi nel contesto del controllo di bilancio, la mia relazione propone una (moderata) ammenda forfettaria per i casi di inadempienza nella pubblicazione delle informazioni. Quanto alle decurtazioni a scopo sanzionatorio, sono ampiamente a favore, ma ci sono alcuni punti in cui auspicherei una maggiore considerazione per il principio di proporzionalità.

In sede di commissione del controllo di bilancio, il mio collega, onorevole Mulder, ha avanzato alcune proposte in merito alla dimensione budgetaria del dossier, che mi sento di appoggiare in pieno. Le opinioni espresse dalla commissione per i bilanci nel proprio parere, in merito agli aspetti di trasparenza, combaciano ampiamente con le mie proposte.

Onorevoli colleghi, e in particolare, membri del Consiglio, la presente relazione è stata adottata all’unanimità dalla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale. Mi auguro che venga sostenuta da un’ampia maggioranza anche alla votazione di domani. Faccio appello al Consiglio e alla Commissione perché prendano seriamente questo voto espresso dai rappresentanti del popolo europeo.

Ci sarà senza dubbio anche una correlazione tra questa relazione e il modo in cui le parti interessate ne gestiranno i contenuti e la prevista verifica. Torneremo sicuramente sull’argomento in occasione della suddetta verifica.

 
  
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  Albert Deß, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, sono molto grato al collega onorevole Chatzimarkakis, per aver presentato una relazione che il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei può sostenere sotto ogni profilo.

E’ legittimo domandarsi, tuttavia, se questo regolamento fosse poi necessario. Provocherà una discussione intensa e avida, considerata la difficoltà di spiegare il contesto ai cittadini. Pertanto, ritengo sia una buona cosa che le imprese agricole ricevano una spiegazione delle ragioni alla base dell’assegnazione dei pagamenti, laddove i dettagli di tali pagamenti verranno pubblicati. Gli agricoltori apportano un contributo davvero inestimabile alla nostra società, rifornendoci di cibo giorno dopo giorno, avendo cura del nostro paesaggio culturale e contribuendo ampiamente all’operatività delle aree rurali.

Tuttavia, la trasparenza non può essere una strada a un senso solo – deve valere per entrambe le parti. Per questa ragione, il mio gruppo appoggia l’appello riportato nella relazione a richiedere la firma o la registrazione degli utenti, nel momento in cui fanno uso delle informazioni. Come ha appena ricordato il mio collega, è altresì importante che questa direttiva non infici la validità delle normative in materia di protezione dei dati, soprattutto quelle degli Stati membri.

Per amore della parità di trattamento, tuttavia, chiedo alla Commissione di presentare un regolamento che assicuri la trasparenza anche nelle organizzazioni non governative, per esempio. E’ mia convinzione, infatti, che vengano incanalati in ambigui progetti promossi dalle ONG molti più fondi UE di quanti vengano destinati al settore agricolo. Questa relazione ci offre la possibilità di spiegare al pubblico perché il denaro dei contribuenti viene speso nell’agricoltura. L’opportuno utilizzo di questa relazione ci agevolerà nel dimostrare al pubblico la grande importanza dell’agricoltura europea, nel qual caso, questa direttiva sulla trasparenza sarà servita allo scopo.

 
  
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  Bernadette Bourzai, a nome del gruppo PSE. (FR) Signor Presidente, Commissario, onorevoli colleghi, a proposito del primo obiettivo di questo regolamento, ovvero adempiere l’obbligo di pubblicare le informazioni inerenti ai beneficiari dei fondi comunitari, trovo che sia del tutto normale sapere finalmente chi riceve cosa nell’ambito della PAC. E’ una misura attesa da tempo, sebbene non si tratti di stigmatizzare gli agricoltori, piuttosto di creare trasparenza su finanziamenti che riguardano tutti noi, in quanto contribuenti e consumatori, e in merito ai quali abbiamo il diritto di essere informati.

Ritengo addirittura che questa relazione possa giovare all’opinione che i cittadini hanno degli agricoltori e dei pagamenti che essi percepiscono per i servizi resi alla comunità, in termini di fornitura di alimenti di qualità, che rispettano elevati standard di produzione e in termini di mantenimento del territorio e delle campagne, per esempio. La pubblicazione di una dichiarazione esplicativa dei pagamenti effettuati e del reddito agricolo, come richiesta dalla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, sarà altrettanto utile.

Concordo pienamente con le modalità pratiche di questa pubblicazione, così come definite nella relazione del collega onorevole Chatzimarkakis, che consistono nella realizzazione di una piattaforma Internet che raggruppi tutti i siti Internet nazionali sui quali sono pubblicati on line i nomi dei beneficiari degli aiuti regionali e il loro comune di residenza. Nel caso di una società anonima o a responsabilità limitata, devono essere resi pubblici anche i nomi degli investitori e dei membri del consiglio di amminstrazione.

Sono altresì a favore della richiesta di relazioni valutative, che dovranno essere operate dalla Commissione europea negli anni successivi all’attuazione del regolamento e che saranno di grande utilità; nonché dell’analisi dei benefici di una pubblicazione centralizzata delle informazioni a livello della Commissione e di una valutazione della ripartizione dei fondi, accompagnata, nel caso, da proposte legislative per una distribuzione più oggettiva dei fondi nell’ambito del primo e del secondo pilastro.

D’altro canto, per quanto concerne le modalità d’accesso a questi dati, non sono affatto d’accordo con le proposte di confidenzialità o di imposizione di una barriera all’accesso, poiché, a mio avviso, sminuirebbero completamente la portata di questo regolamento sulla trasparenza. Nel momento in cui si fa opera di trasparenza, tanto più se in merito a fondi pubblici, ritengo che tutti dovrebbero avere libero accesso alle informazioni, senza restrizioni. Anche dal punto di vista pratico, poiché i dati vengono prima pubblicati da ciascuno Stato membro e poi ripresi a livello comunitario, sembra pressoché impossibile introdurre un sistema di registrazione e, comunque, 13 Stati membri hanno già reso pubblici questi dati senza alcuna restrizione. Pertanto, vi chiedo di respingere, in toto o in parte, gli emendamenti nn. 4, 20, 21 e 23, che richiedono la registrazione dell’identità e le motivazioni dei fruitori dei dati pubblici.

Quanto al secondo obiettivo, ovvero la creazione di uno strumento per ridurre o sospendere i pagamenti agricoli laddove determinati elementi chiave di un sistema nazionale di controllo vengano meno o siano inefficaci, ritengo si tratti di uno strumento d’azione utile per la Commissione europea, il quale, tuttavia, dev’essere ovviamente impiegato in funzione della natura, della durata e della gravità dell’infrazione. Allo stesso modo, la percentuale di diminuzione viene ridotta, nel caso in cui lo Stato membro abbia tentato di sanare in parte le deficienze, e incrementata laddove lo Stato non abbia applicato le raccomandazioni che gli erano state formulate.

Mi auguro, inoltre, che venga mantenuto l’obbligo per gli Stati membri di informare la Commissione in merito alle modalità con cui hanno deciso o prevedono di riutilizzare i fondi annullati a seguito delle irregolarità.

 
  
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  Marian Harkin, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signor Presidente, mi congratulo con il relatore per l’eccellente lavoro. Questo regolamento avrà positive ripercussioni, poiché garantirà maggiore trasparenza e documentabilità, elementi necessari non solo perché dovrebbero essere un prerequisito fondamentale per qualsiasi finanziamento europeo, ma anche perché aiuteranno a dissipare alcuni dei miti esagerati che abbondano in merito alla PAC. In effetti, le relazioni stilate dalla Corte dei conti ci dicono che, di recente, i controlli sulla spesa agricola sono migliorati in maniera considerevole. E’ bene che questo venga portato all’attenzione del grande pubblico. Concordo con la proposta del relatore di istituire un requisito simile anche per i Fondi strutturali. Quest’iniziativa a favore della trasparenza, infatti, non dovrebbe applicarsi solo alla PAC, ma riguardare anche altre aree. In attesa della cosiddetta “verifica” sulla PAC, è importante affrontare la questione ora, per levarla di mezzo, per così dire.

La PAC è spesso oggetto di critiche da parte della stampa, ma in molti casi i commenti si concentrano unicamente sugli aspetti negativi, trascurando del tutto i benefici fortemente positivi che la PAC ha apportato ai consumatori. Dall’introduzione della PAC, l’inflazione sui prezzi degli alimentari è di gran lunga inferiore a quella complessiva. Oltre ad alimenti meno costosi per i cittadini europei, la PAC ha garantito anche la sicurezza e la tracciabilità degli alimenti. L’espressione “dal campo alla tavola” significa proprio questo. La PAC sta migliorando il nostro ambiente, e il benessere degli animali è in continua crescita. Inoltre, ha garantito la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare per l’UE. Molti deridono questo concetto, come se si trattasse di una nozione legata al Medioevo. Il mondo ha abbastanza cibo per sfamarsi. Per quanto ancora? Una settimana, forse. Provate solo a immaginare le tensioni che si creeranno quando cominceremo davvero a produrre combustibili anziché cibo. Provate solo a immaginare le tensioni che si creeranno quando economie emergenti come l’India e la Cina concorreranno con l’UE per il cibo e il combustibile prodotto al posto del cibo. Allora ci rivolgeremo all’UE e alla PAC per la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare. La PAC, come tutte le politiche, ha i suoi problemi, ma ha dato buoni frutti ai cittadini dell’Unione e questo regolamento farà sì che continui a dare frutti in maniera aperta e trasparente.

 
  
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  Janusz Wojciechowski, a nome del gruppo UEN. (PL) Signor Presidente, sostengo pienamente sia la relazione dell’onorevole Jorgo Chatzimarkakis sia il progetto di regolamento in sé. Si tratta di un importante passo nella direzione giusta; stiamo introducendo una maggiore trasparenza nella contabilità relativa alle spese dell’Unione europea. Il provvedimento più apprezzabile in assoluto è quello che rende possibile, o meglio obbligatoria, la pubblicazione delle informazioni riguardanti i beneficiari di questi fondi e il contesto in cui tali fondi sono stati utilizzati, come parte della politica agricola comune.

Da tempo, l’opinione pubblica, così come la stampa, reclamano queste informazioni, dunque è un’ottima cosa che questo specifico principio sia stato introdotto. Chiunque benefici di un aiuto pubblico non dovrebbe vergognarsi di rendere pubblica l’informazione di aver ricevuto tali aiuti e gli agricoltori, in particolare, non hanno alcuna ragione di vergognarsene, poiché, dopotutto, tale aiuto è chiaramente dovuto loro ed è elargito nell’interesse dell’intera società.

Il regolamento mira a esercitare un più rigido controllo sulle spese dell’UE; un’altra buona cosa. Vorrei cogliere l’occasione per spendere qualche parola a proposito di un problema sorto in occasione della visita in Polonia della commissione parlamentare per il controllo dei bilanci, all’inizio di ottobre. Il problema riguarda l’individuazione delle irregolarità da parte delle agenzie di controllo nazionali. Questa soluzione ci permetterebbe di evitare le conseguenze delle decurtazioni, laddove un’agenzia di controllo nazionale riscontrasse delle irregolarità. Si tratta di stimolare un’adeguata cooperazione di tali agenzie con la Corte europea dei conti e di motivarle a identificare le irregolarità senza ripercussioni per il proprio paese.

 
  
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  Friedrich-Wilhelm Graefe zu Baringdorf, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, è necessaria trasparenza in agricoltura. L’onorevole Deß ha affermato che il denaro viene incanalato in progetti ambigui. E’ vero che è nostra intenzione denunciare anche tutto questo mediante la trasparenza, ma forse, l’onorevole converrà che non sono poi molti i finanziamenti che finiscono nell’agricoltura e nelle aree rurali europee; in parte, essi confluiscono nei canali sbagliati. Miliardi di euro sono stati destinati agli agricoltori nei bilanci degli anni passati, e tuttavia, non li hanno mai raggiunti. Tutti i sussidi all’esportazione in favore degli agricoltori, l’intera prassi di intervento dell’UE in materia di ammasso – tutto questo ha fagocitato miliardi di euro, senza, tuttavia, aiutare gli agricoltori. Al massimo – come ricordato dall’onorevole Harkin, del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa – ha mantenuto bassi i prezzi, tramite una stabilizzazione al ribasso del mercato, che funge come una sorta di freno all’inflazione. Naturalmente, è intento generale quello di mantenere i prezzi stabili, ma non può essere interesse degli agricoltori diventare i lacchè della nazione o dell’Europa, in nome di tale garanzia.

Il relatore ha ragione quando parla della necessità di un quadro di riferimento: la pubblicazione da sola non è sufficiente. Vorrei fornirlo io un quadro di riferimento: anche dopo la riforma della PAC, al tasso di 300 euro per ettaro, un’azienda razionalizzata in cui un lavoratore si occupi di 400 ettari – ovvero il livello di razionalizzazione più elevato – riceve, approssimativamente, 120 000 euro per dipendente. L’80 per cento degli agricoltori non riceve un decimo di questa cifra. Dunque, è altresì necessario spiegare che ne è di questo denaro. Il quadro di riferimento dev’essere creato dai politici – non nascerà automaticamente con la pubblicazione.

Quando la Commissione dichiara nella sua proposta che questi pagamenti potrebbero essere ripartiti per gradi e che è necessario introdurre una modulazione nel secondo pilastro – poiché in quell’ambito i fondi producono risultati migliori in termini di occupazione e ambiente – abbiamo un assaggio di cosa ci aspetta, e precisamente la discussione che scaturirà dalla pubblicazione di queste informazioni. Dopodiché, dovremo concedere di nuovo briglia sciolta ai politici. Comunque sia, è necessario lasciare prima che le cifre parlino da sole, devono essere pubblicate e noi dobbiamo essere pazienti e laddove fossero scorrette, la politica verrà modificata al fine di rimediare alle scorrettezze.

Molte grazie per la sua relazione – il mio gruppo la sosterrà.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) La ringrazio molto, signor Presidente. Vorrei inoltre ringraziare il relatore per il lavoro svolto. I contribuenti europei vogliono sapere come viene speso il denaro delle loro tasse. Pubblicare i nomi dei beneficiari delle sovvenzioni agricole è assolutamente necessario nell’ottica di una politica europea di trasparenza, soprattutto considerata l’enorme incidenza di tali sovvensioni sul bilancio dell’UE. Ma aspetto ancor più importante è che tale pubblicazione potrebbe avviare una riforma necessaria e veramente radicale della politica agricola comune.

Quando le sovvenzioni sono state rese pubbliche nei Paesi Bassi, nel 2005, ci siamo resi conto che una quota sproporzionata era stata destinata a un piccolo gruppo facoltoso. Elargiamo ampie sovvenzioni alle multinazionali e ai grandi proprietari terrieri, mentre migliaia di agricoltori comuni faticano a tirare avanti. Innanzi tutto, dev’essere fissato un tetto alle sovvenzioni che un individuo o un’azienda può percepire – e non 300 000 euro, come proposto di recente dal Commissario Fischer Boel. Personalmente, suggerirei non più di uno stipendio annuo medio. Dopotutto, la maggior parte delle sovvenzioni è da considerarsi un’integrazione al reddito.

Gli Stati membri incapaci di assicurare l’adeguata trasparenza dovrebbero essere penalizzati tramite una riduzione dei fondi UE a loro destinati. E’ altresì importante che, laddove gli Stati membri si avvalgano di meccanismi di controllo che non funzionano a dovere, questo venga reso pubblico, cosicché gli agricoltori danneggiati e le organizzazioni che ne rappresentano gli interessi possano rivalersi su tali autorità.

Certo, questa dovrebbe essere solo la prima di una serie di iniziative del Parlamento a favore della trasparenza. Anche la distribuzione dei Fondi strutturali dovrebbe essere resa pubblica. Mi auguro che il Parlamento appoggi questa relazione con il sostegno più ampio possibile, poiché faciliterebbe, nello specifico, la nostra primaria funzione di supervisione. Una politica agricola trasparente è il primo passo verso una politica agricola equa.

 
  
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  Hélène Goudin, a nome del gruppo IND/DEM. (SV) Grazie, signor Presidente. Anch’io, come i miei elettori, ritengo che l’UE sia una realtà troppo chiusa e burocratica. Pertanto accolgo con gioia la proposta della Commissione per una maggiore apertura e trasparenza riguardo alla spesa delle istituzioni. Il sostegno all’agricoltura è una questione discutibile. E’ quindi importante per i cittadini poter sapere chi usufruisce del denaro delle loro tasse e in quale misura. Mi rammarico che gli emendamenti della commissione contrastino con il ruolo di istituzione trasparente dell’UE. La richiesta di registrazione per ottenere l’accesso alle informazioni, avanzata dalla commissione, costituisce una grave violazione della privacy per tutti i cittadini, siano essi agricoltori, giornalisti o maestri d’asilo. Imporre l’obbligo di registrazione a cittadini che desiderano consultare documenti pubblici è uno sviluppo che non vogliamo vedere nell’UE. Pertanto, invito tutti i deputati a votare contro gli emendamenti nn. 4 e 23 proposti dalla commissione. Grazie.

 
  
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  Jean-Claude Martinez, a nome del gruppo ITS. (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevole Chatzimarkakis, scarseggiano i cereali, scarseggia il latte, il prezzo del mais e del burro si sta impennando, e noi cosa facciamo? Discutiamo della pubblicazione su Internet dei premi assegnati per vacca, pecora o ettaro, e mentre il mondo è sul punto di patire la fame, noi altri giochiamo come adolescenti a organizzare e-mail agricole e finanziarie su Internet.

Certo, le giustificazioni sono ottime: la trasparenza, il diritto di sapere e controllare come vengono impiegati i miliardi versati a favore degli agricoltori. Ma in democrazia, il controllo è esercitato dal Parlamento, in Aula, e non delegato agli internauti sulla rete. Inoltre, se la trasparenza si applica al credito agricolo, perché non fare lo stesso, in chiave populista, con le retribuzioni degli alti funzionari comunitari? Se mettiamo on line i premi per le mucche da latte, perché non mettere on line anche i premi munti dagli alti funzionari?

E questa è la prima ingiustizia. Ma ce n’è anche una seconda. L’attività dei piccoli agricoltori sarà trasparente, ma quella delle grandi aziende agricole commerciali no. Questo perché il reale obiettivo del presente regolamento non è la trasparenza. Si tratta di una diabolica macchina da guerra, con due intenti nascosti. Il primo è quello di dividere gli agricoltori in grandi e piccoli, distruggendo così la loro unità sindacale. Il secondo, il più importante, è quello di aizzare l’opinione pubblica contro gli agricoltori, tramite la stampa, soprattutto quella britannica, che metterà in risalto i premi percepiti dal Principe Carlo e da Sua Maestà la regina Elisabetta, dai leader sindacali, dai grandi agricoltori e forse anche dal marito dell’onorevole Fischer Boel, allevatore di suini.

A partire da questi pochi esempi di grandi proprietari terrieri foraggiati dagli ormoni di Bruxelles, si farà credere all’opinione pubblica che gli agricoltori siano dopati, soprattutto considerato che il pubblico non sa che gli agricoltori vengono pagati contro la loro volontà, perché viene loro vietato di produrre. Sono costretti a maggesare una certa estensione di terra.

Una volta istigata l’opinione pubblica contro gli agricoltori, pagati per non produrre a causa del disaccoppiamento, nel 2013, senza rischi politici o elettorali, si potranno sopprimere gli aiuti e recuperare, così, una ventina di miliardi di euro da destinare ad altre attività non agricole.

Nascondendosi dietro la trasparenza democratica, questo regolamento costituisce un’ignominia morale che pone le odiose motivazioni dell’invidia e della gelosia al servizio dello schema strategico della Commissione sin dagli anni ‘80. Basta con le esportazioni agricole nel quadro di un grande accordo globale: all’emisfero sud l’agricoltura e all’emisfero nord i servizi finanziari, bancari ed energetici. Ecco la verità su questo regolamento!

 
  
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  Jim Allister (NI). - Signor Presidente, c’è una linea sottile fra trasparenza e violazione della privacy. Molti agricoltori – a giusta ragione, a mio avviso – si risentiranno del fatto che i dettagli relativi al loro pagamento unico per azienda vengano pubblicati su Internet, poiché tale operazione potrebbe indurre una percezione distorta di tale pagamento, quale elargizione gratuita.

La realtà, come è ovvio, è che il sistema di pagamento unico per azienda è volto, in gran parte, a sovvenzionare la nostra politica alimentare mirata al contenimento dei prezzi. Prendiamo il settore dell’allevamento bovino. Dalla relazione di una task force nella mia circoscrizione si evince che in quella piccola area, i produttori bovini stanno perdendo 260 milioni di euro all’anno. Sopravvivono solo grazie al pagamento unico per azienda, che sovvenziona la produzione.

Pertanto, quando si pubblicizza che un agricoltore ha percepito 20 000 euro, si riporta un dato fuorviante, poiché non accompagnato dall’indicazione che, nel contempo, quello stesso agricoltore sta perdendo 40 000 euro, o più, nella propria attività produttiva. Per essere equa, la pubblicazione dovrebbe essere corredata dalle tipiche statistiche di conto economico relative alla vendita di merce per ciascun settore.

 
  
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  Ioannis Gklavakis (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, mi compiaccio nel constatare che tutti noi desideriamo trasparenza e controllo: tutti noi vogliamo che il denaro dell’UE, versato dai cittadini contribuenti, venga protetto e distribuito fra coloro che sono autenticamente legittimati a ricevere assistenza. Laddove si registrino irregolarità o illegalità, devono essere applicate le sanzioni specificate; e su questo credo che siamo tutti concordi e determinati. Va da sé, tuttavia, che le misure proposte debbano entrare in vigore solo dopo l’approvazione del presente regolamento e debbano riferirsi al successivo anno finanziario. Riteniamo che questo chiarimento sia assolutamente necessario, per questo abbiamo avanzato un emendamento in proposito. Vogliamo affermare chiaramente, tramite questo emendamento, che le misure di sospensione dei pagamenti mensili, previste dagli articoli 17 bis e 27 bis del regolamento n. 1290/2005, riguardanti gli aiuti della politica agricola comune, non verranno applicate prima del 16 ottobre 2008. Pertanto, riteniamo giusto che le misure non abbiano valore retroattivo.

Per concludere, consentitemi di sottolineare che tutti noi vogliamo:

– innanzi tutto, la tutela del denaro dei contribuenti;

– in secondo luogo, che il denaro venga assegnato a coloro che sono legittimati a riceverlo, come ha giustamente puntualizzato il collega;

– in terza istanza, che i trasgressori vengano puniti;

– infine, siamo giusti, come accade nel resto del mondo; le leggi non devono avere valore retroattivo, né dovrebbero averlo.

Se queste condizioni verranno accettate, saremo ben lieti di offrire il nostro pieno sostegno in fase di votazione alla relazione redatta dall’onorevole Chatzimarkakis.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE). - (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, le istituzioni dell’Unione europea stanno cercando di porre rimedio ad anni di noncuranza. Nessuno ha più interesse del settore agricolo europeo nel vederci risanare e rendere trasparente l’agricoltura europea.

Il relatore, l’onorevole Chatzimarkakis, con il quale vorrei congratularmi, ha detto molto bene affermando che l’Unione europea non è vista di buon occhio dai cittadini europei, i quali, spesso, hanno preso l’agricoltura comunitaria come un capro espiatorio. Pertanto, a quest’ora così inoltrata, vorrei citare il Generale de Gaulle, il quale ha affermato che dobbiamo ergerci sull’orlo dell’inevitabile. Sì, noi che riteniamo tanto importante la politica agricola comune, dobbiamo ergerci sull’orlo dell’inevitabile, della trasparenza.

E’ un grosso problema per la politica agricola comune – e su questo concordo pienamente con l’onorevole Graefe zu Baringdorf – che tale politica sia un groviglio inestricabile, affatto trasparente e, per molti aspetti, iniquo. Sia io che l’onorevole Graefe zu Baringdorf, e penso anche tutti colori presenti in quest’Aula, intendiamo salvaguardare il futuro della politica agricola comune, ma, allo stesso tempo, vorremmo difenderla.

Onorevoli colleghi, che cosa dovremmo dedurre dal fatto che la politica agricola comune ha, da un lato, settori privilegiati e avvantaggiati, come quello dei cereali, dello zucchero e del tabacco, e dall’altro, settori malvisti, come quello ortofrutticolo, dell’uva e del vino, della carne suina e del pollame? Nessuno dotato di buon senso potrebbe mai spiegare una cosa simile a un cittadino europeo.

Spesso, nessuno dotato di buon senso potrebbe spiegare a un cittadino europeo neanche il fatto che, come affermato dall’onorevole Graefe zu Baringdorf, una gran quantità di aiuti non raggiunge i produttori, ma viene incanalata da organizzazioni commerciali. Non è ancora stata prodotta alcuna relazione in proposito e sarebbe bene che la Commissione e il Consiglio preparassero finalmente un resoconto sui quantitativi di aiuti che finiscono al di fuori del settore agricolo. Quantitativi ingenti.

Questa relazione, dunque, è estremamente importante per mostrare con chiarezza chi riceve gli aiuti comunitari e in quale misura, cosicché venga sfatata l’immagine negativa comunicata dai mezzi di informazione che riportano, per esempio, di 200 capi di bestiame rinchiusi per anni al sesto piano di un edificio a Roma, mentre centinaia di migliaia di agricoltori italiani conducono la loro attività in maniera onesta.

Onorevoli colleghi, la trasparenza e l’elaborazione dei dati sono estremamente importanti e sono concetti che l’Unione europea dovrebbe applicare anche in altri ambiti, pertanto io esprimo il mio sostegno a favore della relazione dell’onorevole Chatzimarkakis. Molte grazie.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE). - (FI) Signor Presidente, anch’io vorrei congratularmi, per prima cosa, con il relatore, l’onorevole Chatzimarkakis, per il lavoro svolto. Del resto, verrebbe da domandarsi quale altro tipo di relazione aspettarsi da un relatore dotato del buon senso tedesco, di un cuore greco e con un pizzico dello scenario finlandese in fondo all’anima. A fronte di una combinazione simile, le probabilità che una relazione risulti ben fatta sotto vari aspetti sono molteplici ed è senz’altro quello che è accaduto in questo caso. Ancora una volta, le mie congratulazioni.

E’ vero che, discutendo di agricoltura e del relativo sistema di finanziamento, è essenziale sottolineare l’importanza della trasparenza. La trasparenza è alla base di tutto. Come è ovvio, un altro elemento che si deve accompagnare alla trasparenza, quando si parla di programmi di finanziamento, è l’equità. Nei miei pochi anni di esperienza qui al Parlamento europeo, tuttavia, ho avuto modo di constatare che l’equità, semmai, è considerata un concetto relativo e che il nostro modo di percepirla è variabile. Comunque sia, mi auguro che una maggiore trasparenza rafforzi la fiducia del pubblico nel nostro sistema decisionale e nell’idea che noi eurodeputati desideriamo prendere le decisioni giuste in merito al finanziamento dell’agricoltura, così come in qualsiasi altro ambito.

Ciononostante, vorrei accennare a un mio timore in merito all’agricoltura in senso più ampio. Abbiamo parlato di equità, ebbene mi auguro che in futuro presteremo attenzione non solo alla trasparenza, ma anche all’equità.

Oggi, al cospetto del Commissario, è molto importante assicurare che i piccoli Stati membri ricevano il giusto trattamento. In futuro, potremmo anche garantire il mantenimento di qualsiasi forma di autosufficienza nazionale. Noi ne abbiamo alcuni importanti esempi in Finlandia, con la decisione sullo zucchero adottata di recente dall’Unione europea e anche le decisioni in merito ai pagamenti agricoli. Nel contesto di tali disposizioni, i piccoli e i grandi Stati membri non vengono trattati allo stesso modo e, a tal proposito, auspico che in futuro venga dedicata maggiore attenzione all’equità, ora che la questione della trasparenza è stata chiarita nel contesto della relazione dell’onorevole Chatzimarkakis.

E’ necessario garantire che l’Unione europea e il nostro sistema decisionale siano aperti e costituiscano qualcosa in cui i nostri cittadini possono riporre fiducia, oltre che una realtà che essi possano sostenere in futuro.

 
  
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  Andrzej Tomasz Zapałowski (UEN). - (PL) Signor Presidente, la relazione di oggi sul finanziamento della politica agricola comune e soprattutto la questione della relativa trasparenza sono di grande importanza per l’accettazione sociale di residenti della Comunità e, principalmente, degli agricoltori europei. Tramite la pubblicazione dei beneficiari degli aiuti pubblici, saremo in grado di valutare nel dettaglio il contesto in cui avviene la spartizione dei fondi; e più specificatamente nei singoli paesi della vecchia e nuova UE.

Una proposta molto importante avanzata dal relatore è quella di introdurre un elemento di comparazione dei dati tra gli Stati membri. Ciò permetterebbe di evitare le false accuse tra membri dell’UE, in merito all’entità e ai metodi di sostegno per singoli mercati, applicati all’interno di determinati paesi e consentirebbe di agire in modo tale da parificare le opportunità degli agricoltori in materia di sostegno pubblico. In linea generale, è opportuno ricordare che un finanziamento adeguatamente chiaro della politica agricola, così come quantità appropriate di prodotti agricoli, garantiscono la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare per i consumatori europei. Per questo motivo gli agricoltori europei dovrebbero beneficiare di una sicurezza e prospettive finanziarie a lungo termine in materia di investimenti nelle aziende agricole.

Le voci attualmente in circolazione, che esortano a un più rapido riesame della politica agricola comune sono irresponsabili e comportano una minaccia alla sicurezza dell’approvvigionamento alimentare dell’Unione. Tanto meno dovremmo dimenticare le garanzie date a proposito della parificazione dei sussidi alle aziende agricole per tutti i membri dell’UE entro il 2013.

Per concludere, vorrei congratularmi con il relatore.

 
  
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  Esther de Lange (PPE-DE). (NL) Signor Presidente, vorrei ringraziare il collega per questa relazione così completa, che all’apparenza, affronta normative molto tecniche, di bilancio. In realtà, tali normative sono in grado di incidere sul lavoro dei nostri agricoltori – che, dopotutto, sono i legittimi e indispensabili produttori dei nostri alimenti quotidiani. Mi piacerebbe discutere più dettagliatamente un paio di queste disposizioni, senza per questo avviare una discussione di ampio respiro sulla verifica della PAC o altro. Permettetemi, tuttavia, di togliermi un peso dallo stomaco e di confessarvi di essermi domandata dove, la mia stimatissima collega del partito socialista olandese (SP) fosse riuscita a individuare grandi proprietari terrieri in uno Stato così densamente popolato come i Paesi Bassi. Ma sto divagando.

Innanzi tutto, vorrei esprimere il mio sostegno alla proposta della Commissione di rendere possibile una più efficace penalizzazione – ovvero applicazione di decurtazioni – dello Stato membro che risultasse inadempiente, e questo tramite la sospensione o la riduzione dei suoi pagamenti intermedi. A mio avviso, la Commissione non dovrebbe valutare unicamente la gravità e la natura della non conformità, come attestato, ma anche il suo perdurare. Ad esempio, in caso di violazioni prolungate, la Commissione dovrebbe aumentare ogni anno la percentuale di riduzione. Dobbiamo inoltre assicurarci che le nuove normative che stiamo introducendo non si traducano in un incremento del carico amministrativo.

Vorrei concludere affrontando la spinosa questione della pubblicazione dei nomi dei beneficiari degli aiuti provenienti dal Fondo agricolo europeo. Il mio paese ha già ampiamente adottato questa pratica e la Commissione propone ora di estenderla a tutta l’UE, all’insegna di una maggiore trasparenza e della legittimazione di questa spesa. Sono disposta a sostenere questi sforzi, ma con due piccole precisazioni, espresse anche sotto forma di emendamenti. Innanzi tutto, la pubblicazione di questi dati potrebbe violare i diritti degli interessati. Pertanto, dobbiamo assicurare un’adeguata protezione delle informazioni, per evitare che finiscano nelle mani sbagliate o vengano utilizzate a vantaggio di azioni ideate dagli animalisti radicali, per esempio: un fenomeno con il quale diversi Stati membri hanno già avuto a che fare.

Infine, vorrei esprimermi in merito alla convinzione della Commissione che questa proposta le permetta di migliorare il controllo di bilancio. In una certa misura, questo è possibile, ma ritengo sia ancora più utile al controllo di bilancio introdurre dichiarazioni nazionali riguardanti le risorse budgetarie gestite a livello nazionale. Pertanto, vorrei sfruttare l’ultimo secondo del mio intervento per lanciare un appello alla Commissione e al Consiglio, affinché accelerino l’introduzione di queste dichiarazioni nazionali.

 
  
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  Gyula Hegyi (PSE). - (HU) Aumentare la trasparenza della politica agricola comune è un importante obiettivo comunitario, pertanto sostengo la relazione del collega Chatzimarkakis. Ma poiché tale politica è già oggetto di discussione, io vorrei richiamare la vostra attenzione su una delle questioni più importanti per l’agricoltura ecologicamente consapevole, il programma Natura 2000.

Come sapete, gli agricoltori che operano secondo modalità a sostegno della flora e della fauna protette ricevono aiuti dalla Comunità e dagli Stati membri, nel quadro del programma Natura 2000. Quasi 1/5 del territorio dell’Unione europea e il 21 per cento del territorio ungherese, rientra in questo programma di protezione. Gli agricoltori contano su questi aiuti, poiché sostenere gli interessi ambientali implica un’automoderazione finanziaria da parte loro.

Tuttavia, è fondamentale, ai fini di un futuro sostenibile, tutelare il massimo numero di interessi ambientali. Ecco perché è importante stanziare quanti più fondi possibile per gli aiuti destinati alle aree interessate dal programma Natura 2000.

Io sono stato relatore ombra del gruppo socialista per il programma Natura 2000. Purtroppo, finora, non è stato possibile ottenere l’importo sollecitato all’epoca, 3 miliardi di euro all’anno. Ad ogni modo, sta per scadere il tempo utile se vogliamo arrestare l’annientamento della natura, soprattutto in Europa, continente già sovrappopolato.

La pubblicazione su Internet dell’entità degli aiuti ricevuti dagli agricoltori nel quadro del programma Natura 2000 sarebbe utile al fine di divulgare pratiche progressiste. Questa trasparenza potrebbe, si auspica, stimolare anche l’agricoltura ecologica e la protezione dei nostri esclusivi interessi ambientali. Grazie.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN). - (PL) Signor Presidente, stiamo discutendo della politica agricola comune, ma in realtà non esiste alcuna politica comune. Lo affermo perché gli aiuti all’agricoltura si differenziano non solo all’interno delle singole regioni, ma anche e in maniera molto evidente, tra vecchi e nuovi Stati membri. Per poter parlare di una politica agricola comune, dobbiamo avere principi e doveri comuni e standardizzati, nonché condividere il medesimo potenziale per ottenere un sostegno alla produzione.

E’ mia opinione, comunque, che questa relazione sia estremamente apprezzabile e necessaria, poiché, dopotutto, i nomi dei beneficiari e l’entità degli aiuti devono essere resi pubblici, così come le modalità di utilizzo di questi fondi. Un miglioramento delle statistiche non comporterà direttamente un incremento dei fondi per l’agricoltura, ma aumenterà la parsimonia, creerà trasparenza, maggiore fiducia nelle persone e porrà noi parlamentari nella posizione di poter trarre le nostre conclusioni e di ricercare soluzioni comuni, che possano davvero costruire una politica agricola comune, basata sugli stessi principi di democrazia e partenariato per tutti i paesi dell’Unione europea e per gli agricoltori, a prescindere dalla regione in cui lavorano e vivono.

 
  
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  Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE). - (RO) La limitazione dei pagamenti elargiti dal Fondo europeo agricolo di garanzia e dal Fondo europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale dev’essere applicata solo in casi eccezionali.

A tale riguardo, la proposta della Commissione non definisce chiaramente le circostanze che richiedono la riduzione o la sospensione dei pagamenti agricoli.

Il regolamento, nella forma proposta dalla Commissione, specifica unicamente che la sospensione viene applicata laddove le componenti chiave del sistema di controllo nazionale siano inefficienti, alla luce della gravità o della persistenza delle irregolarità rilevate.

Ritengo che questo criterio non possa essere utilizzato arbitrariamente e possa avere effetti pericolosi per alcuni Stati membri.

Se da un lato è vero che dobbiamo avere un controllo comunitario estremamente efficace sull’elargizione dei fondi, dall’altro è altrettanto importante considerare i progressi compiuti dalle istituzioni degli Stati membri, responsabili di questo controllo.

Per questo ritengo che lo strumento di cui dotiamo oggi la Commissione debba essere impiegato con molta cautela, secondo condizioni chiaramente delimitate, e accompagnato da un rigoroso controllo parlamentare.

Inoltre, il regolamento non deve avere effetto retroattivo. Il 2007 è un anno di allargamento per l’Unione europea e sarebbe ingiusto che le disposizioni di questo regolamento venissero imposte a cominciare da questo momento, come proposto dalla Commissione europea.

Ecco perché appoggio la variante di concedere un anno supplementare prima dell’entrata in vigore del regolamento.

Quanto alla pubblicazione dei nomi dei beneficiari dei fondi europei, nonché degli importi complessivi da essi percepiti, ritengo che si tratti di una misura che contribuirà sicuramente alla trasparenza del sistema di attribuzione dei fondi.

Questo potrebbe stroncare sul nascere eventuali tentativi di frode o di assegnazione dei fondi comunitari per lo sviluppo rurale in funzione di criteri politici e dimostrerebbe, nel contempo, responsabilità nell’utilizzo del denaro pubblico.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). - (PL) Signor Presidente, l’iniziativa della Commissione europea di imporre agli Stati membri l’obbligo di pubblicazione dei nomi dei beneficiari dei fondi UE, percepiti nell’ambito della politica agricola comune, merita di essere sostenuta sotto ogni aspetto.

La pubblicazione su Internet di queste informazioni secondo standard che assicurino la comparabilità dei dati fra i singoli paesi, non solo contribuirà ampiamente al potenziamento della trasparenza e all’efficienza del processo di controllo sul bilancio, ma porterà chiarezza perlomeno su due gravi problematiche collegate alla spesa agricola nell’UE.

Innanzi tutto, una grossa fetta dei sussidi diretti all’interno dei singoli paesi non viene destinata alle aziende agricole, ma a grandi società come Smithfield, o a vaste proprietà terriere come i Crown Estates di Elisabetta II. Forse dati come questi, su scala UE, faranno comprendere ai decisori che è necessario introdurre un limite ai sussidi assegnati a una singola azienda agricola, affinché tali sussidi aiutino le aziende famigliari più che le grandi tenute.

In secondo luogo, c’è una forte sproporzione tra il sostengo per ettaro di terra agricola assegnato ai vecchi Stati membri rispetto a quelli nuovi. Nel periodo 2007-2013, quest’indicatore si attesterà poco al disopra del 60 per cento e quando Romania e Bulgaria aderiranno sarà ancora più basso. Di conseguenza, per ogni euro versato a favore della vecchia UE, nei paesi di nuova adesione verranno percepiti soltanto 60 centesimi, sebbene l’agricoltura di quei paesi debba mettersi al pari con l’agricoltura più avanzata dei vecchi Stati membri.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE). (EN) Signor Presidente, mi piacerebbe che gli agricoltori con cui ho parlato questo pomeriggio, dell’Irlanda nord-occidentale, fossero qui ad ascoltare questa discussione, perché penso che potrebbero volervi contribuire. Siamo onesti: nessuno vuole che i propri affari finanziari siano resi pubblici e credo ci siano deputati in quest’Aula che, pur avendo parlato di apertura e trasparenza, se ne terrebbero ben lontani. Apprezzo l’appunto fatto da un oratore nel corso della serata, secondo cui potrebbe essere giusto pubblicare i pagamenti di chiunque percepisca denaro dalle casse pubbliche. Detto questo, ritengo che la pubblicazione dei pagamenti verrà attuata e credo, in generale, nel concetto di “apertura e trasparenza”, a patto che sia una strada a doppio senso.

Contesto anche la nozione secondo cui informazione equivale a comprensione e, in virtù di questo, credo siano necessari dei chiarimenti in merito al reale significato degli aiuti. Il gruppo di agricoltori che ho incontrato oggi si occupava di allevamento di bovini e ovini e molti di loro si avvalevano del pagamento unico per azienda per sovvenzionare la propria produzione. Forse saranno sciocchi a farlo. Forse dovrebbero abbandonare l’allevamento e lasciar andare in rovina le loro aziende, continuando ad accettare gli assegni.

Nel corso della discussione, ho sentito fare alcuni commenti sul fallimento della politica come se fosse colpa degli agricoltori. Ma, a mio avviso, sono i decisori delle politiche a dover essere chiamati in causa per i fallimenti che sono stati identificati. Chi parla di intervento e di restituzioni all’esportazione si dev’essere scordato delle riforme del 2003. Al momento c’è un problema di penuria nell’Unione europea. Importiamo la carne di manzo. La domanda globale di prodotti caseari è in ascesa e il grano scarseggia, perciò ci sono stati grandi cambiamenti. D’accordo pubblicare, ma spiegare, anche. Proteggere le persone e assicurarsi che non vengano ingiustamente ridicolizzate per i pagamenti che ricevono. Non utilizziamo questo strumento come un’arma con cui colpire gli agricoltori. La Commissione lo sta già facendo con la verifica, in relazione alla quale si è discusso anche di come si potrebbero ridurre i pagamenti, ora che la pubblicazione verrà attuata. Forse dovremmo discutere questa materia a un livello più alto, ma quantomeno siamo onesti nel farlo. Credo sia necessario rivedere l’utilizzo delle informazioni.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). - (PL) Signor Presidente, stiamo discutendo un’importante relazione, in materia di finanziamento della politica agricola comune, una politica che assorbe circa il 45 per cento del budget europeo.

La proposta della Commissione europea è volta a incrementare la trasparenza e la credibilità della spesa europea a favore degli agricoltori e delle aree rurali. Allo stesso modo, è intesa a migliorare l’accettazione e la valutazione di tale politica da parte dei cittadini dell’UE. Tuttavia, continuano a presentarsi persone che non sono ben disposte nei confronti della politica agricola comune, persone che desiderano privare di sostegno i nostri agricoltori ad ogni costo, esponendoli a una concorrenza aperta e iniqua con gli agricoltori di paesi terzi.

La domanda è: che ne sarà quindi della sicurezza dell’approvvigionamento alimentare nell’UE? Sono certo che i deputati della commissione per l’agricoltura concorderanno con me che non si possano operare tagli sul budget preventivato per la politica agricola comune, budget che è in costante riduzione e che nel 2013 costituirà solo il 33 per cento della spesa di bilancio complessiva. Auguriamoci che le nuove normative contribuiscano alla semplificazione della legislazione in linea con lo slogan legiferare meglio”, promosso dalla Commissione. I nostri cittadini potranno sapere e controllare gli scopi per cui vengono elargiti i fondi europei.

A novembre di quest’anno, la Commissione dovrà presentare una comunicazione in merito alla verifica. Personalmente sono dell’opinione che il sistema europeo di pagamenti diretti debba essere molto più semplice e trasparente e che il livello delle sovvenzioni debba essere standardizzato per tutti gli Stati membri, in altre parole, debba essere equo e comprensibile.

Mi auguro, inoltre, che i nostri colleghi della Romania stiano affrontando gli attuali problemi associati ai loro sistemi di pagamento. Non possiamo permettere che gli agricoltori rumeni vengano danneggiati e puniti da una riduzione dei sussidi, necessari in Romania quanto in altri Stati membri. Anziché punire gli agricoltori rumeni, dovremmo contribuire al risanamento del sistema dei sussidi.

 
  
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  Siim Kallas, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per le vostre interessanti osservazioni. Sono molto lieto di avere l’opportunità di partecipare a questa discussione, poiché, quando la Commissione cominciò a esaminare la proposta di creare maggiore trasparenza riguardo ai beneficiari dei fondi europei, la notizia fu pubblicata solo in due paesi: Danimarca ed Estonia. Ora siamo a quota 13 e infine verrà reso noto in ogni paese. Questa progressione, in termini di processo decisionale europeo, è molto rapida.

Vorrei soltanto esprimere alcune precisazioni fattuali. Innanzi tutto, l’annunciata pubblicazione delle informazioni sui beneficiari sarà effettuata nel totale rispetto delle leggi comunitarie in materia di protezione dei dati; come già sancito nella proposta. Diversi oratori hanno sollevato la questione della pubblicazione di informazioni sui Fondi strutturali, per i quali, tuttavia, vale esattamente la stessa logica, di cui all’articolo 53 ter del regolamento finanziario. Pertanto, non c’è differenza.

Tutte le sovvenzioni che verranno detratte dal bilancio europeo saranno rese pubbliche, compresi gli stipendi dei più alti funzionari e dei membri della Commissione. Sono tutte informazioni completamente pubbliche. Perciò, non c’è nulla di strano: sono pubbliche fin dall’adozione dello Statuto dei funzionari.

Vorrei invitare il Parlamento a sostenere l’approccio della Commissione, così come illustrato dalla proposta. Condividiamo la sostanza di alcuni degli emendamenti proposti e alcuni di essi verranno rispecchiati nella normativa d’attuazione o nel testo finale che verrà adottato dal Consiglio a seguito del testo di compromesso della Presidenza. Confido nel fatto che le innovazioni presentate rendano il regolamento n. 1290/2005 uno strumento ancora più efficace di quanto già sia.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 11 ottobre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Gábor Harangozó (PSE), per iscritto. (HU) Personalmente sono a favore della raccomandazione della Commissione, per svariati motivi. Innanzi tutto, diverrà trasparente l’identità dei beneficiari della PAC e sarà possibile raffrontare l’entità delle sovvenzioni all’agricoltura fra i vari Stati membri. In secondo luogo, essa rafforzerà la legittimità di tutte le istituzioni europee e di tutte le politiche dell’Unione, agli occhi dei cittadini europei. Infine, poiché quest’iniziativa non riguarderà unicamente le sovvenzioni agricole, ma si estenderà a tutte le sovvenzioni europee, potrebbe incrementare anche l’efficacia del controllo di bilancio.

Concordo con il secondo punto della raccomandazione, in virtù del quale, laddove i sistemi di controllo degli Stati membri siano inadeguati, le normative in materia di sanzioni debbano farsi più rigorose. In Ungheria, con grandi sforzi, siamo riusciti a sviluppare un sistema istituzionale che funziona con la massima efficienza, così da soddisfare le condizioni imposte dalla Commissione.

Appoggio la proposta del relatore, che vorrebbe fare della pubblicazione dei dati su Internet un requisito obbligatorio. I siti web degli organismi pagatori degli Stati membri sarebbero collegati ai siti Internet della Commissione, o a una rete comune di siti web all’interno di uno Stato membro. Naturalmente, questo provvedimento deve rispettare quanto stipulato dal garante europeo della protezione dei dati. Inoltre, è fondamentale che le parti interessate ricevano notifica anticipata della pubblicazione dei dati, il prima possibile e laddove possibile, anche in fase di raccolta dei dati stessi.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE), per iscritto. (EN) Più trasparenza significa meno infondata propaganda antieuropea. Pertanto è semplice sostenere l’approccio illustrato dal relatore a favore della proposta della Commissione, volta a migliorare la trasparenza e l’impiego della spesa agricola europea.

E’ bene tenere presente che la spesa agricola costituisce una delle voci di spesa più elevate del bilancio europeo. Pertanto rappresenta una questione di legittimità per l’Unione.

La mancanza di chiarezza in merito a tutte le spese, non solo quelle agricole, si traduce in una visione distorta della spesa europea. Allo stesso tempo, sappiamo che la gestione delle spese agricole è andata stabilmente migliorando.

I dati relativi alle spese comunitarie dovrebbero essere facilmente accessibili su Internet. La totale trasparenza è essenziale per il controllo di bilancio. Pertanto, mi compiaccio del fatto che l’onorevole Chatzimarkakis abbia ottenuto un sostegno del 100 per cento in seno alla commissione.

 

23. Conseguenze dell’accordo Comunità-Stati membri/Philip Morris per combattere il contrabbando di sigarette e verifica delle raccomandazioni della commissione d’inchiesta del Parlamento europeo sul transito (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Bart Staes, a nome della commissione per il controllo dei bilanci, sulle implicazioni dell’accordo tra la Comunità, gli Stati membri e Philip Morris per l’intensificazione della lotta contro la frode e il contrabbando di sigarette e sui progressi realizzati nell’applicazione delle raccomandazioni della commissione d’inchiesta del Parlamento sul regime di transito comunitario [2005/2145(INI)] (A6-0337/2007)

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), relatore.(NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, le relazioni della commissione per il controllo dei bilanci contengono spesso notizie poco confortanti – dopotutto si tratta della commissione antifrode del PE. Spesso si parla di deficienze, irregolarità, mistificazioni – talvolta addirittura di frode e raggiri. Ebbene, onorevoli colleghi, oggi sono lieto di avere qualcosa di positivo da comunicarvi, una storia di successo, una storia che dimostra come la cooperazione tra Commissione europea, Parlamento europeo e Stati membri possa portare alla risoluzione dei problemi.

Qual è il contesto? All’inizio degli anni ‘90, le frodi relative al contrabbando di sigarette erano una florida attività economica. Centinaia di milioni di ECU – all’epoca si ragionava ancora in termini di ECU e non di euro – sparivano nelle tasche dei criminali, a scapito dei bilanci dell’Unione europea e degli Stati membri. Nel lontano 1994, l’allora UCLAF – predecessore dell’OLAF – istituì una task force “sigarette”. Nel 1996 e nel 1997 la commissione d’inchiesta del Parlamento europeo – che, per inciso, era la prima commissione d’inchiesta avviata nell’ambito del trattato sull’Unione europea – esaminò tutti gli aspetti delle frodi commesse ai danni del sistema di transito.

La commissione d’inchiesta constatò che il sistema di controllo nel settore doganale era arcaico. Gli autocarri in transito dovevano farsi timbrare un documento alla dogana del valico in cui la merce entrava nel territorio dell’Unione, quindi attraversare l’Unione e farsi poi timbrare di nuovo lo stesso documento presso la dogana del valico da cui la merce usciva dal territorio comunitario. Il documento doveva poi essere rispedito all’ufficio doganale di importazione. I problemi che insorgevano nel corso di questo processo erano molteplici. I documenti pervenivano troppo tardi: talvolta anche tre o quattro mesi dopo. C’era il problema della falsificazione dei documenti e dei timbri. Di conseguenza, una delle principali raccomandazioni della commissione d’inchiesta fu di sostituire quell’intero sistema arcaico, basato su carta e timbri, con un sistema computerizzato.

Questo nuovo sistema di transito automatizzato (NCTS) è stato gradualmente introdotto e oggi è operativo in tutti gli Stati membri. Esso aiuta i servizi doganali a verificare, in tempo reale, se una partita di merce sta sfuggendo illegalmente al controllo doganale, pertanto costituisce un enorme progresso. Ciò, tuttavia, non elimina il problema delle false dichiarazioni, che tuttora sussistono, per questo chiediamo alla Commissione di istituire un sistema specifico, per evitare la falsa dichiarazione di merci. Richiediamo, inoltre, che venga concesso all’OLAF l’accesso diretto a questo sistema computerizzato.

Come si è detto, la commissione d’inchiesta si concentrò sul problema delle sigarette, le quali venivano trasportate da una frontiera all’altra, ma molto spesso finivano sul mercato nero. Inoltre, con altrettanta frequenza, venivano reintrodotte di contrabbando nell’Unione. Ciò comportò enormi problemi, conducendo, talvolta, anche alla violenza. In Italia, per esempio, due agenti della Guardia di finanza furono assassinati.

L’indagine complessiva rivelò addirittura che alcune società produttrici di tabacco erano in combutta con i contrabbandieri e, sulla base di tale rivelazione, la Commissione, insieme a una serie di Stati membri, fece causa alla società Philip Morris presso un tribunale di New York. Ben presto fu chiaro che sarebbe stato piuttosto difficile per Philip Morris vincere la causa, quindi, nel 2004, venne concluso un accordo con la società. A fronte di un pagamento di 1,25 miliardi di dollari, da versarsi nell’arco di 12 anni, la Commissione e gli Stati membri non avrebbero proceduto con la causa presso il tribunale di New York.

In realtà, la seconda parte dell’accordo con Philip Morris era forse ancora più rilevante. Prevedeva misure di cooperazione tra Philip Morris e l’Unione europea, volte a tracciare e rintracciare le sigarette. Nel caso in cui i servizi doganali avessero trovato carichi di sigarette e le disposizioni dell’accordo non fossero state seguite, Philip Morris era tenuta a versare immediatamente i dazi doganali evasi – e la cifra in questione poteva raggiungere 1,5 milioni di euro per container di sigarette.

Ribadisco che si tratta di una storia di successo: la riprova che il Parlamento e la Commissione possono collaborare. Tuttavia, ho alcune critiche da sollevare. Quando il risarcimento di 1,25 miliardi di dollari fu spartito tra la Commissione e gli Stati membri, solo il 9,7 per cento venne destinato alla Commissione, mentre gli Stati membri fecero la parte del leone. Ritengo che questo sia scorretto, soprattutto perché la Commissione e l’OLAF svolgono la parte maggiore del lavoro.

Una seconda critica è che, secondo lo spirito dell’accordo, quel denaro doveva essere utilizzato nella lotta contro la frode. La Commissione ha svolto la sua parte, destinando una quota di quel denaro al programma Ercole II. Gli Stati membri, invece, hanno semplicemente lasciato che il denaro confluisse nelle loro tesorerie, anziché impiegarlo per attrezzare meglio i loro servizi investigativi, per esempio i servizi doganali, e intensificare la lotta contro quel tipo di frode.

Ricapitolando, signor Presidente, questa è senza dubbio una storia di successo, che potrebbe essere valida anche per altre merci, come l’alcol o determinati prodotti agricoli. Mi auguro, inoltre, che questa relazione abbia aggiunto una nota positiva all’importante lavoro svolto dal Vicepresidente Kallas e dalla Commissione, nonché dal nostro Parlamento, nella lotta contro la frode.

 
  
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  Siim Kallas, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, devo ringraziare l’onorevole Staes per questa relazione di propria iniziativa e il Parlamento europeo per l’attenzione dimostrata verso queste problematiche e il sostegno nella ricerca di soluzioni.

Vorrei aprire il mio intervento parlando del nuovo sistema di transito automatizzato, del quale è responsabile il collega Lázló Kovács. Il Parlamento europeo plaude alla riuscita introduzione del nuovo sistema di transito computerizzato. E’ di certo un enorme cambiamento rispetto alle obsolete procedure cartacee. La piena attuazione del sistema aggiornato avrà luogo entro il 1° luglio 2009.

La gestione dei rischi è un moderno strumento di controllo. La Commissione sta dando attiva applicazione al sistema per la gestione dei rischi a livello doganale, al fine di eseguire verifiche più mirate. Al momento, stiamo fissando i criteri, le priorità e la piattaforma informatica con gli Stati membri. Il nuovo sistema offrirà anche la possibilità di monitorare regolarmente l’efficacia dell’analisi dei rischi effettuata. Il previsto sviluppo di un sistema di informazioni doganali antifrode rafforzerà la capacità di analizzare e contrastare i rischi di frode doganale, dapprima in relazione a merci sensibili e in seguito per tutti i generi di merce in transito. Questo a condizione che gli Stati membri concedano alla Commissione un più ampio accesso ai dati di movimentazione NCTS. Tuttavia, il congelamento di ulteriori finanziamenti al sistema NCTS, come proposto nella relazione, sarebbe controproducente per il necessario ulteriore sviluppo di un controllo doganale più efficace.

Qualche parola sulla frode relativa all’imposta sul valore aggiunto. Nella sua relazione, la Camera dei Lord britannica ha evidenziato numerosi fattori alla base del fenomeno della frode della società fittizia. Tuttavia, noi non riscontriamo alcuna prova del fatto che eventuali debolezze nel sistema doganale abbiano comportato casi di frode carosello. Mi preme chiarire che, sebbene il sistema doganale non fosse una priorità nel periodo delle tradizionali ispezioni delle risorse proprie tra il 2001 e il 2006, quando il cambiamento era in atto, esso non venne, tuttavia ignorato. A seguito di numerose ispezioni, venne richiesto il pagamento di risorse proprie e interessi. Questo approccio rappresenta un efficiente utilizzo delle risorse d’ispezione della Commissione ed evita di fare ricorso a controlli ex ante.

Vorrei ora concentrarmi sull’accordo antifrode con Philip Morris International, che rientra nel mio portafoglio di competenza. Devo ringraziare il Parlamento per il suo sostegno forte e continuato. La Commissione ha ripetutamente dichiarato di auspicare che l’accordo possa fungere da modello per accordi simili con altre società. Riguardo ai fondi derivanti dall’accordo, il nuovo programma Ercole ha ricevuto, in Grecia, finanziamenti destinati a combattere il contrabbando e la contraffazione di sigarette; obiettivi, questi, di recente introduzione. Stiamo inoltre considerando l’ipotesi che il programma possa essere utilizzato per finanziare l’istituzione di un laboratorio per la verifica dell’autenticità delle sigarette.

Ma devo anche ammettere – e l’onorevole Staes lo sa molto bene – che la distribuzione del denaro è stata un vero e proprio incubo e continuerà a esserlo anche nei prossimi esercizi finanziari. Ovviamente, mi compiaccio del sostegno e del costante interesse espresso dal Parlamento in merito all’utilizzo di questo denaro, poiché anch’io sono interessato all’investimento di questi fondi al fine di combattere il contrabbando di sigarette e altre forme di frode.

Quanto ai dati di confisca, la maggior parte degli Stati membri comunica i quantitativi alla Commissione su base trimestrale. Tuttavia, non tutti gli Stati membri indicano le marche delle sigarette confiscate, pertanto non ci sono dati completi a riguardo. Inoltre, non sempre nelle notifiche di confisca, gli Stati membri distinguono fra sigarette autentiche e contraffatte, in parte perché non necessario né ai fini dell’azione legale a carico dei trasgressori, né per la riscossione di dazi e imposte, e in parte perché talvolta è estremamente difficile distinguere tra sigarette contraffatte e autentiche. Dal canto nostro, continuiamo a esortare gli Stati membri a fornire dati più completi.

Infine, la Commissione è disposta a preparare una relazione OLAF in proposito, come suggerito dal Parlamento, tuttavia, personalmente ritengo che sarebbe meglio attendere fino al 2010 per avere una visione d’insieme più completa. La ragione è che si stanno profilando cambiamenti considerevoli nel settore doganale e una relazione redatta nel 2008 potrebbe avere carattere unicamente temporaneo e riflettere lo stato delle cose in quel determinato momento.

 
  
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  Jean-Pierre Audy, a nome del gruppo PPE-DE. (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, le mie prime parole saranno per congratularmi con il relatore, l’onorevole Bart Staes, che ha saputo produrre un’eccellente relazione sulla difficile questione delle imperfezioni del nostro regime di transito comunitario. Sono altresì molto grato alla Corte dei conti europea, la quale, nella sua relazione del dicembre 2006, evidenziò in termini molto chiari la portata del problema.

A tal proposito, mi delude che si confondano le ripercussioni dell’accordo con Philip Morris, che, ricordiamolo, è un accordo volto ad arrestare l’azione legale ai danni di tale società e non già un accordo di partenariato, con i seri problemi relativi al transito comunitario. E’ questa la motivazione alla base dell’emendamento che ho presentato a nome del gruppo PPE, mirato, appunto, a evitare la confusione.

In merito all’industria, propongo che l’Unione europea e l’intera industria del tabacco finanzino congiuntamente un programma per combattere il contrabbando e la contraffazione di sigarette.

Detto questo, vorrei focalizzare le mie osservazioni sulle imperfezioni del regime di transito comunitario. La Commissione ci dice di aver rafforzato il sistema doganale tramite l’introduzione di un moderno e solido sistema automatizzato. Dimentica, però, che per quanto necessario, un sistema computerizzato non è mai sufficiente e, in realtà, è il sistema stesso a essere imperfetto. E’ imperfetto perché amministrato sotto l’autorità degli Stati membri, il che significa – come giustamente sottolineato dal nostro relatore e della Corte dei conti – che gli Stati membri stanno applicando le nuove normative in materia di transito comunitario con gravi mancanze.

Nel 1997, il Parlamento istituì una commissione d’inchiesta, la quale affermò chiaramente che l’UE dovesse creare un sistema che permettesse ai servizi doganali di operare congiuntamente. Questo obiettivo è lungi dall’essere raggiunto.

Nel 2005, il nostro collega Herbert Bösch evidenziò, nella sua eccellente relazione, la portata dei problemi e la necessità di combattere frode ed errori. La verità è, onorevoli colleghi, che questa relazione ci invita a una riflessione più ampia in merito alla qualità dei nostri sistemi doganali, dei nostri circuiti finanziari e, più in generale, della tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea.

A questo riguardo, Commissario, lei ha il pieno sostegno dei deputati.

 
  
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  Herbert Bösch, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, noi accogliamo con entusiasmo quest’eccellente relazione. Il termine “relazione d’iniziativa” non è del tutto preciso. Quello che stiamo facendo qui è proseguire con il lavoro della prima commissione d’inchiesta del Parlamento – ed è bene continuare. Non vorrei lagnarmi, ma è una vergogna che siamo costretti a condurre questa discussione a un’ora così inoltrata. Noto con interesse sull’elenco degli oratori, i gruppi che hanno chiesto di intervenire oggi su questo argomento. A quanto pare, è sempre più facile, in qualche modo, lamentarsi degli scandali nell’UE che non lavorare a soluzioni specifiche e positive. E’ una strada che può apparire lunga – ora stiamo discutendo di sigarette – ma è quella giusta da imboccare. Stiamo facendo dei progressi e la relazione Staes lo dimostra molto chiaramente.

Certo, in questo contesto dobbiamo fare i conti con l’incompletezza dell’integrazione europea. Numerosi ministri delle Finanze continuano a non saper resistere alla tentazione di aumentare semplicemente le tasse sul tabacco quando le casse del tesoro cominciano a sembrare un po’ vuote, conquistandosi erroneamente il plauso di questo o quel politico impegnato nella sanità. Dico “erroneamente” perché i fumatori non fanno altro che passare alle sigarette di contrabbando o, sempre più, a quelle contraffatte, e i profitti derivanti da questo tipo di frode vanno direttamente al crimine organizzato.

Il fatto che questa sera ci sia motivo di celebrare alcuni nostri progressi mi spinge ancor di più a ricordare a quest’Aula un episodio che fa meno onore all’Europa, in particolare alla Commissione. E’ stato provato che nel periodo 1992–2001, circa 10 000 autocarri di sigarette, diretti principalmente in Italia, furono introdotti in maniera illegale nell’UE attraverso il Montenegro. Questa è probabilmente la più grande frode di tutti i tempi contro il bilancio UE. La procura di Augusta, in Germania, ha formulato 60 richieste di assistenza giudiziaria a tale riguardo. Ci sono state confessioni, condanne e così via in Svizzera. Ciononostante, l’Unione europea non ha avanzato alcuna richiesta di riscossione delle risorse proprie a carico della Repubblica del Montenegro. Commissario, vorrei che ci potessimo presentare davanti ai nostri contribuenti e dire: “Anche noi abbiamo indagato sulla questione”.

Ci sono umili funzionari doganali in Germania, Austria e in Europa centrale che hanno fatto un grandissimo lavoro in questo ambito, ma che, a quanto pare, sono stati piuttosto delusi dalla Commissione europea. Dobbiamo affrontare questa colossale questione per cui il periodo limite non è ancora terminato. Questa è la mia aspirazione in relazione a quella che è di gran lunga una lieta occasione per il dibattito di oggi.

 
  
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  Ingeborg Gräßle (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, Commissario, onorevoli colleghi, quest’Aula preferisce occuparsi di spese anziché di ricavi – pertanto è merito dell’onorevole Staes se oggi, per una volta, ci dedichiamo a un’inezia come quella dei ricavi. Un’inezia, tuttavia, nell’ordine dei 17 miliardi di euro in termini di IVA e risorse proprie e 14 milioni di euro in dazi doganali – ovvero quasi il 30 per cento. A mio avviso, è un bene che si stia discutendo di questo argomento oggi.

E’ evidente che ci sono solo vincitori qui e anche il Commissario merita le nostre congratulazioni per questo. Siamo lieti di essere riusciti a trovare una via praticabile, in collaborazione con gli Stati membri. E’ essenziale sostenere il futuro dell’OLAF, l’ufficio europeo per la lotta antifrode, per consentire a tale istituzione di svolgere il proprio ruolo all’interno dell’UE in maniera anche migliore e più efficiente. L’OLAF merita le nostre congratulazioni per quello che ci ha dimostrato finora e per ciò che abbiamo davanti agli occhi anche in questo momento. Siamo tutti molto orgogliosi di questi successi, poiché sono stati proprio questi esperti a renderli possibili. Non era scontato, soprattutto data la materia, che avremmo fatto progressi concreti con il dossier sui prodotti di tabacco contraffatti, né che gli Stati membri avrebbero cooperato.

Vorremmo veder riprodotto questo scenario anche in relazione ad altri dossier, riguardanti la tutela degli interessi finanziari dell’Unione, per esempio la lotta contro la frode sull’IVA. Allora sì avremo dei veri vincitori: i contribuenti europei che ci hanno inviati qui e che nutrono determinate aspettative.

Ritengo che continuare la lotta al contrabbando di sigarette sia un compito importante e che ci sia la necessità urgente di inviare un ispettore dell’OLAF a Pechino, così come è imperativo rafforzare la presenza degli organismi antifrode a livello mondiale. Ora, l’interrogativo per la Commissione sarà come intensificare la pressione su altri produttori di sigarette, affinché sottoscrivano l’accordo tra Philip Morris e la Comunità, all’interno degli Stati membri. A mio avviso, è necessario considerare molto specificatamente come dare seguito a quest’accordo e come continuare a lavorare sulla questione, altrimenti ne andrà della nostra credibilità.

 
  
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  Paulo Casaca (PSE).(PT) Il nostro relatore, e in questo caso anche la Commissione europea, meritano tutte le nostre congratulazioni. Questo, a mia memoria, è il più grande successo che l’Unione europea abbia raggiunto finora contro il contrabbando e la frode fiscale.

Il messaggio già lanciato dal nostro relatore e raccolto ormai da tutti gli oratori, riguarda, comunque, la necessità di estendere tale lotta anche ad altri ambiti. Si tratta, di fatto, di assicurare che il movimento di qualsiasi tipo di sostanza attraverso l’intero sistema doganale tuteli, in maniera efficace, gli interessi finanziari dell’Unione europea e di tutti gli Stati membri e, da questo punto di vista, ritengo ci sia ancora molto da fare. Pertanto, vorrei invitare la Commissione europea a indagare la questione con maggiore assiduità.

 
  
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  Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE). - (RO) L’accordo tra la Commissione europea e la società Philip Morris è un ottimo esempio di strumento finanziario comunitario che si prefigge, contemporaneamente, diversi obiettivi.

Innanzi tutto, il libero accesso al mercato da parte dell’industria di trasformazione non è limitato, e l’evasione fiscale operata da coloro che importano prodotti contraffatti viene combattuta tramite un programma della portata di 1,25 miliardi di dollari, interamente finanziato dalla società europea.

Tuttavia, l’accordo dovrebbe essere sottoscritto da molti più Stati membri.

L’accordo è stato concluso nel 2004 e nel frattempo sia Romania che Bulgaria, entrambe situate al limitare dell’Unione europea, sono diventate Stati membri.

A seguito dell’ingresso sul mercato di prodotti non oggetto di concessioni governative in tutti gli Stati membri dell’Unione, il budget europeo ha registrato sostanziali perdite di entrate fiscali derivanti dalle accise, così come i bilanci nazionali hanno risentito del mancato versamento delle imposte sugli utili.

E’ una realtà incontestabile che chi intende introdurre merci contraffatte in territorio comunitario scelga i porti europei non equipaggiati con tecnologie avanzate, come quelle di scansione e registrazione dei pallet.

Poiché la situazione inficia le entrate doganali dell’Unione europea, ritengo sensato che la modernizzazione delle strumentazioni portuali benefici dell’assistenza finanziaria della Comunità.

Con l’introduzione sul mercato di prodotti contraffatti a basso costo, un numero sempre maggiore di giovani si accosta al fumo, il che ovviamente, nel lungo periodo, avrà un considerevole costo finanziario per i sistemi di previdenza sociale e sanitari degli Stati membri.

Le relazioni pubblicate dall’Organizzazione mondiale della salute mostrano che, nella maggior parte dei casi, le sigarette contraffatte hanno un contenuto superiore di catrame del 75 per cento, di nicotina del 28 per cento e di ossido di carbonio del 63 per cento.

Poiché gli effetti disastrosi del fumo in generale, a prescindere dall’origine legittima o meno delle sigarette, sono sotto gli occhi di tutti, ritengo opportuno riflettere anche su un altro aspetto: se da un lato l’Unione europea promuove le politiche contro il fumo, dall’altro concede sovvenzioni considerevoli alle coltivazioni di tabacco, il che, a mio avviso, costituisce una contraddizione all’interno della politica sanitaria europea.

 
  
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  Szabolcs Fazakas (PSE). - (HU) Grazie per avermi concesso la parola, signor Presidente. Stimatissimo Commissario Kallas, onorevoli colleghi, l’onorevole Staes ha ragione e vorrei cogliere l’occasione per porgergli le mie congratulazioni per la presente relazione e per il suo operato, sempre molto valido e disposto al sacrificio.

L’Unione europea e le sue istituzioni – comprese la Commissione, la Corte dei conti, l’OLAF, il Parlamento europeo e non da ultima la commissione per il controllo dei bilanci – considerano l’accordo siglato con Philip Morris nel 2004, nonché le fasi successive della sua applicazione e controllo, un vero e proprio successo, e a giusta ragione.

Abbiamo ottenuto un risultato importante nella lotta contro il contrabbando e la frode, non solo per i commercianti e i consumatori posizionati alla fine del processo, ma anche per un grande produttore internazionale collocato all’inizio del processo. Quest’accordo non solo compensa finanziariamente le perdite del passato, ma copre anche la loro futura prevenzione.

Siamo riusciti a far comprendere a Philip Morris che è interesse anche suo elaborare una strategia congiunta contro il contrabbando e la frode e predisporre gli strumenti finanziari necessari a porla in essere. E’ particolarmente rincuorante e significativo per noi paesi di nuova adesione, che la cooperazione non comprenda solo i dieci Stati membri firmatari dell’accordo, ma si estenda anche ai nuovi paesi particolarmente minacciati dal contrabbando e dalla frode, garantendo, di conseguenza, anche le condizioni tecnico-finanziarie per contrastare tali fenomeni, seppur con diversi livelli di efficacia. Grazie.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE). - (PL) Signor Presidente, signor Commissario, accolgo con piacere e approvo la relazione dell’onorevole Staes, la cui prima e principale conseguenza sarà di limitare il più possibile il contrabbando. E’ questo il punto forte della relazione. In seconda battuta, tale documento fornisce importanti indicazioni su come riscuotere i dazi con la massima efficienza.

Tuttavia, poiché provengo da un paese la cui frontiera orientale è molto estesa, ovvero la Polonia, vorrei richiamare la vostra attenzione sui confini esterni. L’onorevole Herbert Bösch ha assolutamente ragione quando esorta ad affidarsi a doganieri d’esperienza. Queste persone rivestiranno un ruolo ancor più cruciale delle attrezzature e dei sistemi utilizzati, pertanto, signor Commissario, la prego di esaminare in maniera ragionevolmente completa le proposte e le raccomandazioni avanzate e di prendersene carico. Efficienza ed efficacia nel combattere il contrabbando saranno un indice significativo per la reputazione della nostra Comunità.

 
  
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  Siim Kallas, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, la ringrazio per il suo costante sostegno a favore delle tematiche sollevate. Devo ammettere che il problema maggiore in materia di diritti doganali e imposta sul valore aggiunto risiede nel fatto che tutte le competenze sono concentrate nelle mani degli Stati membri.

Non riesco proprio a capire perché alcuni Stati membri siano così restii nel concedere maggiori possibilità di ricorso alle strutture esistenti all’interno delle istituzioni dell’Unione europea. Ad esempio, l’OLAF si è dimostrato estremamente incisivo in svariati casi, nell’accordo con Philip Morris e nell’operazione doganale Diabolo contro la contraffazione, e tutto ciò non può avvenire senza una collaborazione a livello europeo, tanto meno senza il sostegno di specifiche commissioni.

Dal punto di vista giuridico, però, questa materia è totalmente in mano agli Stati membri, così come il rafforzamento dei servizi doganali che forniscono le risorse necessarie. La Commissione sta facendo tutto quanto in suo potere per facilitare questa cooperazione. E’ necessario riconoscere che, senza cooperazione fra gli Stati membri, è impossibile condurre una lotta efficiente ed efficace al contrabbando di sigarette e, soprattutto, alle frodi relative all’imposta sul valore aggiunto.

Credo che tutto ciò sia nostro interesse comune, in questa sede, pertanto dovremmo risollevare costantemente la questione, al fine di aumentare la cooperazione. Inoltre – ma forse ho compreso in maniera non corretta la traduzione – l’accordo Philip Morris è stato sottoscritto da dieci Stati membri e la Commissione europea, da un lato, e da Philip Morris dall’altro, il che è piuttosto insolito. E’ stata la Commissione, per mezzo dei suoi servizi giuridici e dell’OLAF, a raggiungere l’accordo e grazie all’onorevole Gräßle, si sta procedendo. Perciò immagino che potremo portarvi degli aggiornamenti in futuro.

Tuttavia, la questione principale è la riluttanza di alcuni Stati membri ad accettare la proposta di mutua assistenza amministrativa che è stata avanzata e che potrebbe fungere da piattaforma. Quella che stiamo offrendo è una piattaforma di cooperazione, eppure alcuni fra i più grandi Stati membri sono ancora restii (personalmente ho tentato di convincere alcuni ministri del più grande Stato membro a essere più aperti nei confronti di questa proposta). C’è ancora molta diffidenza, tuttavia, in qualità di ex ministro delle Finanze, so bene che la lotta contro le frodi a carico dell’imposta sul valore aggiunto e i diritti doganali non è possibile senza cooperazione tra gli Stati membri.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 11 ottobre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Francesco Musotto (PPE-DE), per iscritto. Come relatore sulla lotta alla frode nell’UE, mi felicito per l’importante accordo con Philip Morris per combattere il contrabbando di sigarette alle dogane. Le frodi alle dogane sono una delle fonti di principale danno agli interessi finanziari della comunità, e quello delle sigarette é uno dei settori piú vulnerabili.

Le recenti operazioni OLAF – come l’operazione DIABOLO (135 milioni di sigarette sequestrate, danno stimato di 220 Milioni di EU) - hanno dimostrato che la frode alle dogane si può e si deve contrastare: é importante potenziare le capacità operative delle autorità europee. L’accordo con Philip Morris può costituire un esempio non solo nel campo del tabacco, ma anche in altri campi della lotta alla contraffazione. I proventi delle compensazioni dovute da Philip Morris, circa 1 Miliardo di euro, dovrebbero servire a rafforzare la lotta alla contraffazione nell’UE.

 

24. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale

25. Chiusura della seduta
  

(La seduta è tolta alle 23.40.)

 
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