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Resoconto integrale delle discussioni
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Mercoledì 24 ottobre 2007 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Composizione dei gruppi politici: vedasi processo verbale
 3. Dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
 4. Relazioni tra l’Unione europea e la Turchia (discussione)
 5. Vertice UE/Russia (discussione)
 6. Dichiarazione della Presidenza
 7. Benvenuto
 8. Turno di votazioni
  8.1. Notificazione e comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (votazione)
  8.2. Accordo di riammissione fra la CE e la Bosnia-Erzegovina (votazione)
  8.3. Accordo sui visti per soggiorni di breve durata tra la CE e la Bosnia-Erzegovina (votazione)
  8.4. Accordo di riammissione fra la CE e la Serbia (votazione)
  8.5. Accordo sui visti per soggiorni di breve durata tra la CE e la Serbia (votazione)
  8.6. Accordo di riammissione fra la CE e il Montenegro (votazione)
  8.7. Accordo sui visti per soggiorni di breve durata tra la CE e il Montenegro (votazione)
  8.8. Accordo di riammissione fra la CE e l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia (votazione)
  8.9. Accordo sui visti per soggiorni di breve durata tra la CE e l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia (votazione)
  8.10. Accordo sui visti per soggiorni di breve durata tra la CE e l’Albania (votazione)
  8.11. Privilegi e immunità dell’on. Gian Paolo Gobbo (votazione)
  8.12. Mobilitazione del Fondo di solidarietà dell’Unione europea (votazione)
  8.13. Progetto di bilancio rettificativo n. 6/2007 (votazione)
  8.14. Protocollo di modifica dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS) (votazione)
  8.15. Modifica dell’articolo 173 del Regolamento del Parlamento europeo sul resoconto integrale (votazione)
  8.16. Comitato consultivo europeo per la governance statistica (votazione)
  8.17. Comitato consultivo europeo della politica dell’informazione statistica comunitaria (votazione)
  8.18. Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (votazione)
  8.19. Pile e accumulatori e loro rifiuti (competenze di esecuzione conferite alla Commissione) (votazione)
  8.20. Infrastruttura di comunicazione per l’ambiente del sistema di informazione Schengen (SIS) (regolamento) (votazione)
  8.21. Adesione di Bulgaria e Romania alla convenzione del 18 dicembre 1997 relativa alla mutua assistenza e alla cooperazione tra amministrazioni doganali (votazione)
  8.22. Strategia tematica per l’uso sostenibile dei pesticidi (votazione)
  8.23. Fonti energetiche convenzionali e tecnologia energetica (votazione)
  8.24. Strategia comunitaria per ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri (votazione)
  8.25. Contributo delle politiche fiscali e doganali alla strategia di Lisbona (votazione)
  8.26. Libro verde: Verso un’Europa senza fumo: opzioni per un’iniziativa dell’Unione europea (votazione)
  8.27. Relazioni tra l’Unione europea e la Turchia (votazione)
 9. Dichiarazioni di voto
 10. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 11. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 12. Relazioni tra l’Unione europea e la Serbia (discussione)
 13. Situazione attuale delle relazioni UE-Africa (discussione)
 14. Trattato internazionale per l’interdizione di munizioni a grappolo (discussione)
 15. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
 16. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 17. Produzione di oppio in Afghanistan a fini medici (discussione)
 18. Riconoscimento e sorveglianza della sospensione condizionale della pena, delle sanzioni sostitutive e delle condanne condizionali - Principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali (discussione)
 19. Riconoscimento e sorveglianza della sospensione condizionale della pena, delle sanzioni sostitutive e delle condanne condizionali - Principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali (discussione)
 20. Registri di imprese utilizzati a fini statistici (discussione)
 21. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 22. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. HANS-GERT PÖTTERING
Presidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta è aperta alle 9.00)

 

2. Composizione dei gruppi politici: vedasi processo verbale

3. Dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale

4. Relazioni tra l’Unione europea e la Turchia (discussione)
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  Presidente . − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulle relazioni tra l’Unione europea e la Turchia.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, la Presidenza desidera innanzi tutto ringraziare il Parlamento europeo, e in particolare l’onorevole Oomen-Ruijten, per la proposta di risoluzione sulle relazioni tra l’Unione europea e la Turchia.

La Presidenza riconosce e accoglie con favore l’impegno attivo del Parlamento per il processo di allargamento in quanto contributo costruttivo alla discussione generale in merito e, in particolare, al processo di adesione della Turchia. Non c’è dubbio che ogni dibattito offra un’utile opportunità per creare consapevolezza per quanto riguarda tale processo, coinvolgendo i cittadini degli Stati membri e la Turchia e sostenendo il governo turco nel percorso verso l’adesione.

Posso assicurarvi che prestiamo particolare attenzione alle opinioni del Parlamento europeo. A breve, la Commissione presenterà la sua consueta relazione dei progressi riguardanti il processo di adesione della Turchia. Il Consiglio esaminerà e valuterà accuratamente tale relazione.

Nel frattempo, vorrei menzionare brevemente alcuni aspetti di questa fase dei negoziati per l’adesione della Turchia. Riteniamo che le recenti elezioni in Turchia abbiano dimostrato il desiderio dei cittadini turchi di democrazia, stabilità (politica ed economica) e progresso.

Accogliamo inoltre con favore il modo in cui sono state condotte le elezioni, l’elevata affluenza dei votanti e la migliore rappresentatività del nuovo Parlamento turco. La Presidenza condivide le opinioni e le preoccupazioni di quest’Aula in relazione al processo di riforma della Turchia. Riteniamo che il nuovo governo disponga di maggiore legittimità e di un mandato chiaro che dovrebbe consentire di compiere passi decisivi nel proseguire e ampliare il processo di riforma in Turchia.

E’ necessario che il nuovo governo offra ulteriore impulso alle riforme, e alla loro attuazione, incentrandosi sui settori fondamentali. A questo proposito, si rivela di grande importanza l’attuazione del partenariato di adesione, soprattutto per quanto riguarda le sue priorità a breve termine. Vorrei ricordarvi che nei prossimi mesi il partenariato d’adesione deve essere sottoposto a revisione. In questo quadro, desidero sottolineare la necessità di ampia consultazione e di consenso nazionale in merito alla nuova Costituzione turca.

Condividiamo i vostri punti di vista sull’importanza delle riforme nel settore cruciale delle libertà fondamentali e dei diritti umani. Sono essenziali ulteriori progressi tangibili, in particolare per quanto riguarda la libertà religiosa e di espressione, i diritti culturali e delle donne, e inoltre un nuovo rafforzamento della lotta contro la tortura e i maltrattamenti. La maggior parte di tali questioni è inclusa nel partenariato di adesione come priorità a breve termine che la Turchia deve soddisfare.

In particolare, nell’ambito della libertà di espressione, ci spiace per la mancanza di progressi nonostante l’ampio dibattito pubblico in merito e siamo preoccupati per il crescente nazionalismo che conduce all’autocensura. Continuiamo fermamente a credere che sia necessario abolire o emendare sostanzialmente l’articolo 301 del Codice penale turco, nonché altri articoli vagamente formulati, al fine di garantire la libertà di espressione. Sviluppi in questo settore sono di estrema importanza per un avanzamento generale dei negoziati di adesione.

Per quanto riguarda la libertà religiosa, occorrono miglioramenti reali, soprattutto in seguito ai tragici incidenti di quest’anno. Si attende da molto tempo l’adozione di una legislazione che affronterà in modo esaustivo tutti i problemi delle comunità non islamiche, quali status giuridico, registrazione di proprietà e formazione del clero, al fine di garantire un pluralismo religioso in linea con gli standard europei.

La legge sulle fondazioni potrebbe essere una prima azione positiva a questo proposito e sarà attentamente valutata una volta adottata e attuata. La recente sentenza della Corte suprema sul Patriarcato ecumenico rappresenta altresì una fonte di preoccupazione.

Condividiamo le vostre opinioni in merito alle relazioni civili e militari. Gli sviluppi recenti, in particolare prima e durante la campagna elettorale, dimostrano la necessità di ulteriori iniziative in questo settore, in modo che le forze armate non possano esercitare influenza politica.

Bisogna tuttora garantire il controllo civile e democratico su quello militare in linea con la prassi degli Stati membri dell’UE.

Per quanto riguarda la zona sudorientale, abbiamo duramente condannato il recente attacco terroristico nella provincia di Sirnak. Abbiamo anche deplorato altri atti terroristici commessi in Turchia e continueremo a farlo. Le attività di terrorismo non possono mai essere giustificate. A questo proposito richiamiamo la nostra solidarietà con i cittadini turchi. Dall’altro lato, il terrorismo non dovrebbe farci dimenticare l’urgente necessità di sviluppare e attuare prontamente una strategia esaustiva che garantirà lo sviluppo economico, sociale e culturale della regione sudorientale. Si tratta di una zona difficile che stiamo sorvegliando con attenzione in quanto parte del processo di riforma in corso.

A parte la conformità con i criteri politici di Copenhagen, i progressi della Turchia nei preparativi per l’adesione saranno valutati secondo i requisiti chiaramente stabiliti nel quadro dei negoziati. A questo proposito, come concordato dal Consiglio nel dicembre dello scorso anno, saranno esaminati e rivisti i passi avanti compiuti sulle questioni incluse nella dichiarazione del 21 settembre 2005, in particolare la piena e non discriminatoria attuazione del protocollo aggiuntivo all’accordo di Ankara. Purtroppo, non sono ancora stati riscontrati in merito.

Vorrei inoltre sottolineare che il riconoscimento da parte di tutti gli Stati membri è un elemento necessario del processo di adesione e che, pertanto, è essenziale che l’Unione europea normalizzi il più presto possibile le relazioni tra Turchia e tutti gli Stati membri.

Il lavoro richiesto per garantire la conformità con le norme dell’Unione e gli obblighi di adesione è difficile e chiede continui sforzi e determinazione. Attribuiamo particolare importanza al processo di adesione della Turchia e posso assicurarvi che anche la Presidenza portoghese farà del suo meglio al fine di consentire che tali negoziati progrediscano.

Occorre onorare gli impegni. Sostenere il processo di riforma e rispettare gli obblighi esistenti farà avanzare il percorso di adesione a vantaggio, soprattutto, dei cittadini turchi. Ciononostante, i progressi in quest’ambito dipendono fondamentalmente e in particolare dal modo di agire della Turchia.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, innanzi tutto mi congratulo con l’onorevole Oomen-Ruijten per la sua valida relazione e per aver proposto un progetto rigoroso e chiaro.

La Turchia ha attraversato un periodo estremamente difficile in precedenza quest’anno, con una grave crisi costituzionale e importanti tensioni politiche. Nonostante tali sfide, ha condotto elezioni parlamentari e presidenziali nel pieno rispetto dei principi democratici e con un livello molto elevato di partecipazione dei cittadini.

Il risultato è stato che la democrazia ha avuto l’ultima parola. Il nuovo Parlamento turco è estremamente rappresentativo della diversità politica turca e, come ha affermato il Ministro Lobo Antunes, il nuovo governo ora può lavorare con il sostegno di una maggioranza stabile e di un ampio mandato popolare. Pertanto, la strada da seguire a questo proposito è stata chiarita. Adesso è giunta l’ora di ridare nuovo impeto al processo di riforma.

Quindi la Commissione condivide l’approccio fondamentale seguito dal progetto di risoluzione, che è di individuare le sfide e di incoraggiare la Turchia ad affrontare tali sfide politiche. Ciò significa appoggiare l’impegno del nuovo governo turco volto a rafforzare gli sforzi di riforma ed esortarla a tradurre rapidamente tale impegno in azione. Questo aspetto riguarda il processo di riforma e il protocollo di Ankara.

La Commissione accoglie con favore il fatto che il governo abbia collocato in cima all’agenda le riforme istituzionali, nell’ottica di consolidare la democrazia e ampliare le libertà fondamentali. Tuttavia, ciò non dovrebbe provocare qualsiasi rinvio delle riforme che oggi sono urgentemente necessarie, quali la revisione del famigerato articolo 301 del codice penale turco e altri articoli connessi alla libertà di espressione o l’adozione della legge sulle fondazioni per garantire la libertà di religione.

Occorrono inoltre ulteriori sforzi al fine di assicurare la supremazia democratica delle relazioni civili e militari, tutelare i diritti delle donne, dei bambini e delle organizzazioni sindacali, migliorare il sistema giudiziario e potenziare la lotta contro la corruzione.

Tratterò brevemente gli eventi recenti e la situazione attuale, su cui ci coordiniamo molto da vicino con la Presidenza e Solana, e abbiamo tenuto debito conto dei pareri del Parlamento. La Turchia è minacciata da continui attacchi terroristici transfrontalieri del PKK, che è sull’elenco europeo delle organizzazioni terroristiche. L’Unione europea condanna tutti gli attacchi di questo tipo e si rende conto della necessità della Turchia di proteggere i propri cittadini.

L’UE e la Turchia sono entrambe impegnate per l’indipendenza, la sovranità, l’unità e l’integrità territoriale dell’Iraq. Continuiamo a esortare Turchia e Iraq ad affrontare tale problema mediante la cooperazione tra le relative autorità e rispettando il diritto internazionale. Il recente accordo bilaterale tra Turchia e Iraq nella lotta contro il terrorismo fornisce una base a questo proposito.

Le autorità turche stanno comprensibilmente tentando di coinvolgere gli Stati Uniti e le autorità irachene e curdo-irachene nei loro sforzi, con alcuni segnali di recenti progressi. La risoluzione approvata la scorsa settimana in Parlamento dovrebbe essere considerata parte di questa strategia politica complessiva.

La visione europea per la Turchia ha dimostrato di essere un incentivo essenziale per le riforme nel paese. In linea con il nostro principio fondamentale di condizionalità nella politica di allargamento, l’attuazione delle riforme sul campo determina progressi nei negoziati di adesione.

Tuttavia, se intendiamo utilizzare tale principio in modo efficace per ottenere una seria influenza politica al fine di incoraggiare le riforme, la stessa Unione europea deve rispettare i propri impegni. Dobbiamo mantenere la parola data – pacta sunt servanda.

Tutti gli Stati membri continuano a sostenere i negoziati di adesione con la Turchia, ed è essenziale per l’attendibilità dell’Unione che il processo prosegua secondo il quadro dei negoziati del 3 ottobre 2005 e la decisione del Consiglio dell’11 dicembre 2006. Erano decisioni unanimi di tutti e 27 paesi membri.

Dovremmo quindi aprire nuovi capitoli una volta che saranno tecnicamente pronti. Nelle prossime settimane sarebbe possibile aprire almeno due capitoli, la tutela dei consumatori e della salute e le reti transeuropee. Incoraggiamo inoltre la Turchia a lavorare per rispettare i criteri di apertura già definiti per 13 capitoli.

Ultimo aspetto, ma non meno importante, state certi che il vostro contributo sarà tenuto debitamente in considerazione nella nostra prossima relazione sui progressi riguardante la Turchia, che la Commissione adotterà il 6 novembre.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signor Presidente, ringrazio sia il Consiglio sia la Commissione, per le parole affabili che sono state espresse. La discussione odierna e la risoluzione che siamo in procinto di adottare effettivamente, sono dirette, in primo luogo, alla Commissione, poiché abbiamo intenzione di stimolare la relazione sui progressi.

Tuttavia, sono altresì dirette al Consiglio, che si riunirà nuovamente in dicembre in risposta alla relazione sui progressi. Che cosa facciamo nella risoluzione? Che cosa facciamo nel testo? Descriviamo i progressi compiuti e gli accordi raggiunti. Illustriamo inoltre che cosa ne è stato dell’impegno preso dalla Turchia.

Quindi, la risoluzione è un elenco dei risultati ottenuti, ma contiene anche ogni sorta di obiettivo che non è stato realizzato. Signor Presidente, comprende altresì ciò che ci attendiamo dal governo turco, poiché ora esiste l’opportunità di dare nuovo impeto al processo di riforma.

Il terzo punto che intendo trattare: abbiamo cercato di approfondire e ampliare il dibattito con la Turchia. Ciò significa, quindi, che chiedo di concentrare l’attenzione sulla coesione sociale, la logistica, i trasporti e l’energia.

Nel nostro testo si concede giustamente considerevole spazio alla libertà di parola e di religione. La costituzione, la nuova costituzione non dovrebbe essere una scusa per non eliminare immediatamente tutti gli impedimenti per garantire che siano realizzate tutte le riforme necessarie, soprattutto quelle connesse all’articolo 301.

Un altro aspetto che vorrei trattare riguarda le relazioni con i paesi confinanti. Buoni rapporti con i vicini sono un’assoluta necessità. Quando penso a Turchia e Armenia, ciò implica dover aprire i confini. Bisogna porre fine a tutti gli ostacoli economici. Inoltre, il mio ultimo punto, se non si conosce il proprio passato, non si ha futuro. Invito quindi anche la Commissione a sostenere la Turchia e l’Armenia a questo proposito.

Signor Presidente, non posso aggiungere nulla sul pkk, poiché le procedure di quest’Aula non mi concedono tempo sufficiente.

 
  
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  Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, innanzi tutto, desidero congratularmi con l’onorevole Oomen-Ruijten per questa relazione molto valida e la ringrazio molto per l’eccellente cooperazione.

Questa relazione contiene una serie di messaggi, e quando mi sono recato in Turchia con Martin Schulz, sono stati i messaggi che sono stato in grado di trasmettere alle autorità turche. Primo, non si devono solo proseguire le riforme, ma anche aumentarle. Il Commissario ha già menzionato l’articolo 301 del codice penale turco e altre riforme per garantire la piena e autentica libertà di espressione e la pluralità d’opinione in Turchia. Naturalmente, la stessa cosa vale per la libertà di religione e numerose altre questioni che saranno trattate da altri colleghi più avanti nella discussione. Il processo di riforma deve essere accelerato.

Secondo, la questione curda: vorrei chiarire la mia posizione in merito. Da molti anni, in effetti, da decenni, sto cercando di partecipare alla risoluzione del problema curdo, ma ora è giunto il momento in cui è possibile ottenere una soluzione politica e parlamentare alla questione e abbandonare la violenza. Per questa ragione non riesco a capire perché il PKK sta continuando con il terrorismo. Posso comprendere tale aspetto, poiché il PKK non vuole una soluzione pacifica, così come accade anche per qualche militare.

Ciononostante, dovremmo trasmettere il chiaro segnale che vogliamo una soluzione pacifica e lo stesso farà l’Iraq. Abbiamo incontrato ad Ankara un rappresentante del Presidente Talabani e anch’egli ha chiarito che non vogliono che il PKK continui con il terrorismo, ma una soluzione politica. Spero che i rappresentanti del governo regionale curdo terranno conto del messaggio che la persistenza del terrorismo del PKK danneggia non solo la Turchia, ma anche l’Iraq.

Perciò, io e il gruppo socialista del Parlamento europeo possiamo soltanto appoggiare questo appello: Turchia e Iraq devono unirsi per lavorare sulla base di una cooperazione pacifica, che deve includere il governo regionale turco, al fine di frenare il terrorismo. Nel contempo, la Turchia deve essere disponibile verso la popolazione curda del paese in modo che si senta a proprio agio e consideri la Turchia la sua casa.

 
  
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  Alexander Lambsdorff, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io desidero iniziare ringraziando la relatrice Ria Oomen-Ruijten, nonché Jos Lagendijk e Hannes Swoboda, per la valida cooperazione nel corso dell’elaborazione di questa risoluzione. Ritengo abbiamo generato un testo efficace dotato di un livello sorprendentemente elevato di consenso, e credo sia un aspetto molto positivo.

Per quanto riguarda il mio gruppo, vorrei evidenziare e sottolineare ancora una volta i punti principali. Innanzi tutto, tale risoluzione è un segnale positivo e costruttivo alla Turchia. Accogliamo con favore il fatto che sia stata superata la crisi costituzionale di quest’estate, e che il nuovo governo sia dotato di un mandato forte e risoluto per ulteriori riforme. Tuttavia, esortiamo il governo a usare in modo esplicito questo mandato per condurre autenticamente le riforme.

L’aspetto rilevante in questo quadro, come dice la risoluzione, è che queste riforme sono estremamente importanti per la Turchia stessa, i turchi, la società e l’economia del paese. La Turchia deve continuare a migliorare in maniera costante e di propria iniziativa e sono lieto di notare che, a questo proposito, il consenso nel paese sta crescendo, come indicato nel programma di aprile. E’ vantaggioso che sia ancora il caso.

Per noi è importante che i criteri di Copenhagen continuino a essere il parametro fondamentale per i negoziati, così come la capacità di assorbimento dell’Unione europea seguita a essere importante e indispensabile.

Occorrono con urgenza riforme soprattutto in questi settori, alcuni dei quali sono già stati menzionati. Il codice penale: l’articolo 301 è stato citato, è piuttosto chiaro. A mio parere, dovremmo cominciare a includere nella discussione anche l’articolo 252, che offende la memoria di Mustafa Kemal Atatürk ed è problematico, poiché rappresenta anche una restrizione della libertà di parola.

Un secondo punto importante è migliorare la situazione delle donne. Il numero di delitti d’onore seguita a essere una fonte di grande preoccupazione. La riforma costituzionale deve proseguire. Bisogna tutelare i diritti umani fondamentali e le libertà personali. Permettetemi di aggiungere che, dal nostro punto di vista, anche la legge elettorale costituisce un problema. Un 10 per centodi sbarramento è senza precedenti nell’OSCE.

Concludo affermando che dobbiamo mostrare un po’ di comprensione per la difficile situazione in Turchia, in particolare alla luce degli eventi drammatici al confine sudorientale della Turchia con l’Iraq. Condanniamo senza dubbio le attività terroristiche del PKK delle recenti settimane e, a nome del mio gruppo, vorrei esprimere le condoglianze alle famiglie dei soldati rimasti uccisi.

Invitiamo il governo turco a reagire in modo cauto alla situazione. Finora, non c’è stato alcun segnale che ciò non sia avvenuto. Ciononostante, le misure adottate per attenuare la minaccia al territorio turco devono rispettare le seguenti condizioni: devono essere appropriate, proporzionate e limitate nel tempo. L’Unione europea comprende la difficile situazione nel paese. Per la Turchia è importante serbare tale comprensione. Una soluzione pacifica, naturalmente, è il nostro obiettivo principale.

La risoluzione odierna rappresenta un segnale costruttivo per un dialogo positivo con la Turchia. Il paese continuerà a essere un partner di grande valore per l’Unione europea e ora deve stimolare in maniera risoluta le riforme nel suo interesse.

 
  
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  Sebastiano (Nello) Musumeci, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, a distanza di un anno dall’ultima risoluzione approvata dalla nostra Aula sulle relazioni Unione europea – Turchia, duole rilevare come ancora alcune fondamentali questioni rimangano di drammatica attualità: la Turchia non riconosce Cipro, uno Stato membro a tutti gli effetti dell’Unione europea; la libertà di stampa è sempre sotto pressione, non essendo stato ancora modificato l’articolo 301 del codice penale; la Turchia si ostina a non riconoscere il genocidio del 1915 perpetrato a danno del popolo armeno.

Il recente drammatico attentato terroristico del PKK, la conseguente muscolosa risposta data dall’esercito turco, la minaccia di intervenire sul territorio settentrionale dell’Iraq qualora il PKK non cessi definitivamente le sue attività terroristiche, aggravano di fatto la pericolosa e delicata posizione geopolitica nella quale si trova lo Stato turco.

Certo, alcuni progressi sono stati compiuti, penso in particolare all’accresciuta rappresentanza femminile nel Parlamento turco appena eletto, nel mondo economico e nel mondo accademico, ma oggi più che nel passato occorre interrogarsi se l’Europa del domani vuole essere una grande entità politica o una forte identità culturale, perché di queste incertezze si alimenta la Turchia che non vuole rinunciare ad essere se stessa.

 
  
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  Joost Lagendijk, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, purtroppo questa discussione è offuscata dagli attacchi terroristici in Turchia. Avrei preferito parlare della volontà di ricominciare di nuovo le riforme; sfortunatamente, sono giunto alla conclusione che, nonostante molte belle parole, in pratica, finora, si è concluso ben poco. Tuttavia, ritengo che adesso la domanda principale sia: che cosa pensiamo dovrebbe fare la Turchia?

Eliminiamo l’ipocrisia dalla discussione, onorevoli colleghi. Tutti noi sappiamo, o dovremmo sapere, che non esistono risposte semplici a questo diabolico dilemma. Da un lato ci rendiamo conto, ci è noto, che ogni paese in cui, nell’ultimo mese, sono state uccise cinquanta persone, debba intervenire in risposta, mentre allo stesso tempo molti di noi, inclusi, credo, molti del governo turco, realizzano che le operazioni militari su vasta scala non costituiscono una soluzione. Non sradicano il PKK, provocano un enorme danno diplomatico e politico e, cosa più importante, rendono molto più difficile una soluzione al problema curdo in Turchia.

Speriamo quindi che tutti i tentativi ora compiuti per trovare una soluzione diplomatica e politica avranno esito positivo. Il problema, in definitiva, non si riscontra sulle montagne irachene, ma in Turchia, eppure la risoluzione al problema, il problema curdo, non è turchi contro curdi. A mio parere, la questione è, in Turchia, fra turchi e curdi che sanno che l’unica soluzione al problema è politica (AKP e DTP) e i radicali, sia turchi sia curdi, che non sono affatto interessati a una soluzione di questo tipo e che pensano che la violenza militare possa aiutare: per i turchi l’esercito e parte dell’opposizione, e per i curdi il PKK.

Siamo chiari: i recenti attacchi del PKK sono di certo diretti allo Stato turco, ma anche al partito curdo DTP del Parlamento turco, che sta cercando una soluzione politica al problema. Perciò è così importante che quest’Aula condanni veramente con forza il PKK e i suoi attacchi terroristici, ed esprima, al contempo, il suo sostegno per tutti i curdi e i turchi che stanno tentando di trovare una pacifica soluzione politica a questo problema.

 
  
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  Kyriakos Triantaphyllides, a nome del gruppo GUE/NGL. –(EL) Signor Presidente, con la ferma prospettiva dell’adesione della Turchia all’UE, la Commissione, e da qui l’Unione nel suo complesso, è chiamata a completare, nei prossimi giorni, la valutazione dei progressi della Turchia, o la loro assenza, nei vari settori nei quali il paese è tenuto ad armonizzarsi con l’acquis europeo.

Abbiamo dichiarato che, purché nel rispetto di tutti i criteri di Copenhagen e gli obblighi che ha accettato secondo il quadro dei negoziati e il protocollo aggiuntivo, la Turchia dovrebbe poter aderire all’UE. Non riteniamo che qualsiasi soluzione di compromesso condurrà ai risultati che la Turchia o l’Unione si augurano. Dovremmo porre l’accento sul fatto che la Turchia abbia compiuto alcuni progressi, ma ribadiamo che se la sua adesione deve procedere senza difficoltà, deve comportarsi come i precedenti paesi che hanno aderito: osservare gli obblighi della convenzione per l’UE nel suo complesso. La Turchia deve quindi rispettare i suoi obblighi nei confronti di Cipro; aprire il suo mare e gli aeroporti a navi e velivoli dalla Repubblica di Cipro e abolire il veto alla partecipazione di questo paese alle organizzazioni internazionali e ai trattati multilaterali.

Come gruppo di sinistra, e soprattutto come AKEL (il Partito progressista del popolo lavoratore di Cipro), siamo fiduciosi che la prospettiva dell’adesione della Turchia all’UE garantirà l’osservanza dei propri obblighi, soprattutto per quanto riguarda la fine dell’occupazione di Cipro da parte delle truppe turche.

Riteniamo inoltre che incoraggiando la Turchia nel suo percorso verso l’Europa, presumendo che la Turchia rispetti nel frattempo i propri obblighi nei confronti dell’UE, possiamo esercitare una pressione su di essa. Pertanto, la Turchia deve osservare gli obblighi seguenti: difendere e rispettare i diritti umani di tutti coloro che vivono nel paese, compresi i curdi e altre minoranze, riconoscere il genocidio degli armeni, e aprire il confine con l’Armenia, con tutte le conseguenze socioeconomiche che comporta.

Se la Turchia spera di continuare e completare il processo di adesione, allora è del tutto ovvio che le misure e le politiche che adotta dovranno condurre alla piena conformità con l’acquis europeo e l’assoluto rispetto del diritto internazionale, che di recente disciplina le attività dell’UE.

 
  
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  Georgios Georgiou, a nome del gruppo IND/DEM. –(EL) Signor Presidente, ciò che abbiamo ascoltato è sorprendente, e proviene proprio da un Commissario competente, che era fin troppo pronto a marchiare come terrorista chi rivendicava il diritto di lottare per la libertà. Mi chiedo se non stiamo esagerando nel rappresentare la Turchia come attaccata da tutti i lati. Si tratta di un paese che mantiene le truppe in uno Stato membro dell’UE, e non sarà il primo e unico paese a rispettare i requisiti europei.

Concluderò passando a una questione più tecnica. Poco prima dell’avventura ai confini orientali, il prezzo del petrolio in Turchia era pari a 76 dollari al barile in Europa; ora, a causa delle sue armi, a cui fa sempre ricorso per risolvere i propri problemi, il petrolio ha subito un rialzo fino a oltre 90 dollari al barile.

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Philip Claeys, a nome del gruppo ITS. – (NL) Signor Presidente, durante la discussione di questa risoluzione in sede di commissione, è sembrato che il Parlamento nel suo complesso fosse mezzo addormentato. Sono state formulate critiche vaghe come una pura formalità, ma, a parte questo, pare dobbiamo accettare l’adesione della Turchia in quanto un fatto compiuto.

Eppure la Turchia non ha compiuto alcun progresso dall’inizio dei negoziati. Mi riferisco, ad esempio, a una recente relazione di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani e il trattamento delle minoranze. La posizione della Turchia nei confronti di Cipro non è più citata. Per di più, esiste il serio rischio che la Turchia sia in procinto di sferrare un attacco militare su vasta scala all’Iraq. Allora ci troveremmo in una situazione in cui un paese candidato non solo sta occupando parte del territorio di uno Stato membro con il suo esercito, ma, ancora meglio, intraprende una sorta di guerra locale in un altro paese confinante, questa volta l’Iraq.

Signor Presidente, la maggior parte della popolazione in Europa è contraria alla possibile adesione della Turchia. Ciò accade perché la Turchia non è un paese europeo e pertanto non appartiene all’Unione europea. Anziché compromettere ulteriormente la credibilità dell’Europa, sarebbe meglio perseguire un partenariato privilegiato con la Turchia, in totale apertura e in modo inequivocabile, invece di una piena adesione all’UE.

 
  
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  Jim Allister (NI) . (EN) Signor Presidente, noto, in particolare dalla Commissione, una tendenza a presentare una Turchia non europea nella miglior luce possibile. Probabilmente non sorprende, considerando i milioni di aiuti preadesione che stiamo stanziando, ma esistono realtà spiacevoli da affrontare. Delitti d’onore, evidenti abusi sui diritti umani, mancanza di tutela delle minoranze non musulmane, assenza di libertà religiosa e attacchi anticristiani e di propaganda sono la mia preoccupazione principale.

Quest’anno sono continuati attacchi fatali ai cristiani, come l’assassinio di tre uomini a Malatya in aprile. Un’autentica libertà religiosa è spesso la misura di un impegno costante di un paese a favore dei diritti umani. Nel caso della Turchia, ha molto lavoro da compiere, incluso lo status giuridico dei gruppi religiosi e i diritti di proprietà, ma fondamentalmente devono essere rispettati il diritto a professare liberamente il proprio culto e il diritto di convertirsi.

 
  
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  Werner Langen (PPE-DE) . – (DE) Signor Presidente, innanzi tutto, desidero ringraziare l’onorevole Oomen-Ruijten per l’elaborazione di questa relazione che sarà presentata alla Commissione e di cui si dovrebbe tenere conto in quanto contributo del Parlamento alla prossima relazione sui progressi.

La Turchia ha superato problemi interni, il governo ha un mandato chiaro, il referendum di domenica i merito agli emendamenti costituzionali riguardanti l’elezione del Presidente ha condotto al giusto risultato, e ora non c’è ragione di rinviare ulteriormente le riforme. Vorrei quindi iniziare con un appello al governo turco: se è seria nel voler aderire all’UE, deve quindi aumentare l’intensità delle riforme. Lo scorso anno, com’è noto a tutti, è accaduto relativamente poco a questo proposito.

Secondo, le riforme sono destinate innanzi tutto a beneficiare i turchi. Non sono fini a se stesse o un gioco di prestigio da parte dell’Europa; sono finalizzate ad affrontare le lacune che non dovrebbero essere presenti in democrazia, particolarmente in relazione alla libertà di opinione e di religione, i diritti delle donne, delle minoranze, la legge elettorale, ecc. La Turchia deve affrontare tali questioni ed eliminare queste mancanze di propria iniziativa.

Vorrei menzionare anche un altro aspetto, vale a dire la questione armena. Come tedesco, ritengo possiamo attenderci un preciso riconoscimento della responsabilità storica da parte della Turchia. Il suo rifiuto di trattare l’argomento e rimuovere i blocchi dell’Armenia è una questione che deve continuare a essere affrontata nelle discussioni. Attualmente, come l’onorevole Swoboda ha appena affermato, esiste la preoccupazione che il conflitto militare nella regione curda si diffonda in Iraq. In questo caso, preferiamo chiaramente una soluzione diplomatica, negoziata, anziché militare. Appoggio pienamente la posizione in merito del gruppo socialista del Parlamento europeo.

Infine, la stessa Turchia deve indicare se e come intende procedere lungo la strada verso l’Europa. Dal nostro punto di vista, la piena adesione all’UE non è l’unica possibilità; i negoziati sono rimasti volutamente aperti e, in definitiva, spetta alla Turchia decidere di voler continuare o meno questo percorso in maniera attiva. Non riguarda solo la questione se l’Europa stessa è dotata della capacità di accordare l’adesione alla Turchia.

 
  
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  Jan Marinus Wiersma (PSE) . – (NL) Signor Presidente, anch’io desidero fare i miei complimenti alla relatrice, l’onorevole Oomen-Ruijten. La mia risposta immediata all’osservazione dell’onorevole Langen è che nel mio gruppo stiamo finalmente parlando dei negoziati tenendo in considerazione l’adesione all’Unione europea!

La risoluzione che oggi stiamo discutendo rappresenta uno stimolo per il governo turco affinché mantenga il percorso intrapreso qualsiasi cosa accada. Il Primo Ministro Erdoğan ha ottenuto dall’elettorato turco un solido mandato al fine di proseguire in questa direzione. Egli, pertanto, riveste una posizione che gli permette di spingere le riforme. Ora ci aspettiamo risultati rapidi e quindi che la Commissione presto presenti una relazione dei progressi a questo proposito.

Naturalmente non dovremmo trascurare le questioni urgenti. Penso che se il governo intervenisse a riguardo dell’articolo 301, abrogandolo o riformulandolo, sarebbe un’iniziativa simbolica estremamente importante, che avrebbe un ampio effetto domino. Tale situazione creerebbe l’apertura necessaria alla Turchia per il dibattito, comprese discussioni relative a problemi del passato, cosa che mi conduce alla questione armena. Riteniamo sia di estrema importanza lo svolgimento di un dibattito interno a questo proposito in Turchia, ma spetta soprattutto a questo paese organizzarlo e non al Parlamento o alla Camera dei rappresentanti statunitense cercare di imporre la questione. Si tratta principalmente di una materia interna; possiamo contribuire, ma veramente non siamo molto interessati a sollecitare di continuo tale aspetto dall’esterno.

E’ stata annunciata la nuova costituzione. Crediamo che anche questo fattore crei nuove opportunità di cercare finalmente una soluzione politica al problema curdo. Condivido il parere di coloro che dicono che dovremmo tutto ciò che è in nostro potere per evitare un’escalation militare nell’Iraq settentrionale, tuttavia ciò è possibile solo se per prima cosa prendiamo le distanze dagli attacchi terroristici del PKK e pretendiamo che si fermi.

Secondo, dobbiamo altresì sostenere la Turchia nel suo dialogo con l’Iraq e le autorità irachene, nonché con le autorità regionali dell’Iraq curdo al fine di collaborare in modo pratico per interrompere questi attacchi. Accogliamo con favore nuove iniziative diplomatiche, ma riteniamo che sarà soprattutto la cooperazione pratica nella regione stessa che farà calare e scomparire la violenza.

 
  
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  Marco Cappato (ALDE) . – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Presidenza del Consiglio ha detto: “dipende dalla Turchia” e molti colleghi hanno ripetuto questo concetto, collega Langen, “sono loro che devono decidere”. Beh, io credo che non sia così, credo che l’Europa si deve assumere le sue responsabilità.

Non è soltanto un problema della Turchia e del rispetto dei criteri formali di adesione, la verità è che negli ultimi mesi, l’Europa, i governi europei, hanno lanciato un messaggio, a partire dal Presidente francese, ma non solo lui, che la Turchia non entrerà nell’Unione europea. Allora, il rapporto Oomen-Reuten si muove in questo contesto e il testo è il migliore probabilmente che si poteva elaborare in questo Parlamento, ma è il contesto che noi dobbiamo avere la forza di mutare: la crisi politica e militare oggi al confine tra Turchia e Iraq è anche responsabilità dell’Unione europea, della porta in faccia che politicamente abbiamo sbattuto alla Turchia, anche se i negoziati nel merito continuano ad andare avanti.

Quello di cui ci sarebbe bisogno sarebbe un grande salto di qualità, dove l’Unione europea, i governi, affermino una volontà precisa di un rapporto politico che riguarda il diritto individuale dei cittadini che abitano il suolo turco alla democrazia e allo Stato di diritto in una prospettiva europea, questo può aiutare la Turchia a muoversi in una logica europea e non in una logica mediorientale.

 
  
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  Feleknas Uca (GUE/NGL) . – (DE) Signor Presidente, purtroppo la votazione odierna sulla risoluzione del Parlamento riguardante la Turchia è offuscata da eventi molto dolorosi e preoccupanti.

Lo scorso mercoledì, la Grande assemblea nazionale di Turchia ha votato con una maggioranza decisiva a favore di un’incursione militare turca nell’Iraq settentrionale. Da allora, abbiamo appreso le drammatiche notizie di morti e feriti al confine turco-iracheno, di sanguinose battaglie e combattimenti, e che l’esercito turco sta colpendo i villaggi dell’Iraq settentrionale. Siamo venuti a conoscenza di attacchi alle istituzioni curde e agli uffici del DTP, e di nazionalisti furibondi che hanno tentato di linciare concittadini curdi. Eppure i segnali trasmessi dalla Turchia dopo la fine della crisi istituzionale di agosto erano così promettenti. Si è parlato di una nuova costituzione civile, di ulteriori riforme e di sforzi più decisi in questa direzione al fine di affrontare le questioni ancora irrisolte. L’onorevole Oomen-Ruijten e numerosi deputati avevano intenzione di tenere conto di questi segnali positivi e di questi sviluppi in Turchia dopo che, lo scorso anno, gli sforzi per le riforme in Turchia avevano subito una battuta d’arresto.

La proposta di risoluzione è equilibrata ed equa in giudizio e valutazione. Tuttavia, nell’ottica della recente decisione della Turchia e dell’evidente minaccia di incursione militare che viola l’integrità territoriale dell’Iraq, mi chiedo a quali obiettivi mira attualmente la Turchia. Si tratta davvero del PKK? Il fatto è che l’esercito turco, negli ultimi anni, ha condotto 24 operazioni transfrontaliere e nessuna di queste ha realmente avuto un effetto durevole. Perché questa volta dovrebbe essere diverso? O potrebbe avere a che fare con le riserve di petrolio della regione vicino a Kirkuk e l’intenzione della Turchia di eliminare lo status autonomo dei curdi nell’Iraq settentrionale?

In ogni caso, l’aspetto evidente è che non è possibile risolvere la questione curda con un’incursione nel nord dell’Iraq. Dal mio punto di vista, tuttavia, è altresì chiaro che la Turchia non può violare il diritto internazionale e infrangere la sovranità dell’Iraq di fronte all’Unione europea e alla comunità internazionale. Ora l’Europa deve assumersi la responsabilità e partecipare attivamente allo sviluppo di una strategia per la risoluzione della questione curda, dal momento che è fondamentale per ottenere pace e democrazia autentiche in questo paese.

 
  
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  Bastiaan Belder (IND/DEM) . – (NL) Signor Presidente, in una recente intervista alla stampa olandese, il Commissario Rehn ha affermato in modo inequivocabile che le riforme in Turchia sono le più urgenti per l’UE, e cito: “nell’ambito della libertà di parola e religione, sono i principi fondamentali della democrazia”.

Ringrazio il Commissario per questa chiara presa di posizione. Ciò mi conduce a richiamare la sua attenzione su un documento dell’Unione delle chiese protestanti in Turchia. Il documento risale al 1° settembre 2007 e descrive la grave angoscia e le preoccupazioni dei protestanti turchi in merito all’assenza della libertà di religione. Signor Commissario, spero che parlerà fermamente ai suoi interlocutori turchi della condizione vulnerabile dei protestanti turchi, o di tutti i cristiani turchi, nella società del paese.

Signor Presidente, trattare i sintomi effettivamente non è sufficiente. I mezzi di comunicazione e i politici stanno creando un clima molto intollerante e pericoloso per le minoranze non musulmane in Turchia. Anche in questo caso, la situazione chiede un’azione tempestiva da Bruxelles nei confronti di Ankara. Presenterò un secondo documento in merito al Commissario e attenderò con impazienza una sua rapida risposta per iscritto.

 
  
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  Andreas Mölzer (ITS) . – (DE)Signor Presidente, pochi giorni fa mi trovavo nella parte di Cipro occupata dai turchi e ho ricavato una prima impressione della sistematica distruzione di circa 500 chiese greco-ortodosse e del patrimonio culturale europeo che non può mai essere una cosa positiva. A mio parere, questi conflitti con lo spirito d’Europa, nonché, chiaramente, la continua mancanza di tolleranza verso i cristiani e altre minoranze, o in realtà l’offesa di “oltraggiare l’identità turca”, che è utilizzata per reprimere la libertà d’opinione e di stampa, per non parlare delle costanti violazioni dei diritti umani, il fallimento di affrontare la questione del genocidio degli armeni, e l’islamizzazione in corso.

E’ piuttosto inaccettabile che un candidato all’adesione occupi tuttora parti di uno Stato membro dell’UE, ovvero la zona settentrionale di Cipro, per non parlare della pianificazione di un attacco militare a un altro paese, come avviene al momento contro l’Iraq.

Bruxelles non si stanca mai di evidenziare che il rispetto dei diritti fondamentali, in particolare la libertà di religione e di espressione, ha la priorità più elevata per l’adesione all’UE. Nel caso delle aspirazioni turche di adesione, non sono altro che parole vuote.

 
  
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  Ioannis Kasoulides (PPE-DE) . – (EL) Signor Presidente, mi permetta di iniziare congratulandomi con l’onorevole Oomen-Ruijten per la sua relazione.

E ora una questione opportuna: signor Presidente, che cosa accadrà qualora la Turchia, un paese candidato, ignorasse gli ammonimenti dell’UE e invadesse l’Iraq settentrionale? Quali sono le intenzioni della Turchia? Intendono forse riproporre un’altra situazione simile a Cipro, o occupare il territorio dell’Iraq curdo, complicando ulteriormente gli sforzi di molti, inclusi i paesi europei, per stabilizzare l’Iraq? Come possono gli Stati membri o i paesi candidati essere autorizzati ad agire da fattori destabilizzanti in una regione in cui i soldati europei stanno perdendo le loro vite nel tentativo di ottenere una stabilità?

Vi ricordo che le truppe turche occupano il 40 per cento di Cipro. Tale condizione non ha impedito al paese di avviare negoziati di adesione. Vi ricordo che la Turchia non rispetta ancora la richiesta dell’UE di ampliare il protocollo di Ankara. Mi chiedo in che modo la relazione della Commissione europea, attesa per il 6 novembre, affronterà tale aspetto. Se il messaggio prevede tolleranza, allora per quale motivo non essere tolleranti su numerose altre questioni di principio e valori che costituiscono il nucleo dell’UE?

Nell’analisi finale la domanda essenziale è: parliamo di diffondere i valori europei o di diminuire la loro sfera d’influenza?

 
  
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  Béatrice Patrie (PSE) . – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Oomen-Ruijten per il messaggio costruttivo che stiamo preparando per essere inviato al Consiglio e alla Commissione, ma anche al governo e al Parlamento turco.

Mi spiace, tuttavia, che il nostro Parlamento non si sia espresso più decisamente in merito a una questione che senza dubbio è delicata ma non meno importante: mi riferisco al genocidio armeno. Dal 1987 quest’Aula ha attribuito la parola “genocidio” al massacro di 1,2 milioni di armeni avvenuto tra il 1915 e 1917, in altre parole i due terzi della popolazione armena che allora viveva sotto l’Impero ottomano. Il Senato e la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti si sono appena comportati allo stesso modo ed è spiacevole che questo Parlamento sia indietro rispetto agli americani a questo proposito.

Come evidenziato di recente in un comunicato stampa della Federazione internazionale dei diritti dell’uomo, molti cittadini turchi sono accusati di oltraggiare l’identità turca ai sensi dell’articolo 301 del codice penale. Al fine di affrontare apertamente questo periodo della storia, ritengo che tale articolo debba essere abolito il prima possibile. Non facciamo in alcun modo un favore agli amici turchi permettendo che dimentichino il loro passato. Il dovere di ricordare è un dovere anche nei confronti dei discendenti di chi è sopravvissuto al genocidio e della stessa comunità internazionale. Pertanto invito il Parlamento a sostenere gli emendamenti che chiedono il riconoscimento del genocidio armeno e quelli che sottolineano la necessità del totale rispetto delle libertà religiose e dei diritti delle minoranze.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE) . (EN) Signor Presidente, la Turchia è un paese importante per ragioni politiche, economiche, militari e culturali, e quindi è di grande valore per l’UE. Rendendosi conto di tale fattore, l’UE ha deciso di avviare i negoziati di adesione. Il percorso verso l’adesione non è stato molto semplice, ma ha contribuito a promuovere un programma di riforma democratica del tutto necessario in Turchia.

Tali riforme sono gradite sia dall’UE sia dai cittadini turchi. Devono continuare, e per questa ragione, almeno, il nostro sostegno all’adesione turca deve essere deciso. Nessuno ignora il fatto che esistano i problemi. Il mio paese, Cipro, è al centro di uno di questi problemi, eppure io, come la maggior parte delle persone in quest’Aula, mi rendo conto che i problemi non si risolvono con un conflitto, ma con una trattativa pacifica.

Una Turchia più europea è migliore per discutere e risolvere i problemi, e da qui deriva il mio pieno appoggio all’adesione della Turchia all’UE. Di conseguenza, sostengo il compromesso raggiunto mediante l’assennata gestione offerta dell’onorevole Oomen-Ruijten, con la semplice e vantaggiosa cooperazione di tutti i colleghi interessati, che possono avere opinioni divergenti su certe questioni specifiche, ma tutti condividono il principio che l’UE sia in grado di ottenere di più collaborando in maniera costruttiva con i turchi, anziché opponendosi loro in modo distruttivo.

La Turchia adesso sta attraversando un periodo difficile, e l’uso da parte dell’UE di più carota e meno bastone al momento è il metodo più appropriato per procedere. Facciamo sì che il nostro totale appoggio a questa relazione sia la prova che vogliamo i cittadini turchi nell’UE, e che sia un contributo a maggiori e più rapide riforme in Turchia, nonché una migliore agevolazione per risolvere l’annoso problema di Cipro.

 
  
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  Mario Borghezio (UEN) . – Signor Presidente, onorevoli colleghi, le ragioni della geopolitica le abbiamo invocate in molti contro l’adesione della Turchia all’Europa: oggi i fatti ci danno ragione, quando Ankara irrompe come un elefante nel delicato equilibrio iracheno, dove i nostri soldati rischiano tutti i giorni la morte e combattono per la libertà di quel popolo.

Beh, io credo che dobbiamo riflettere, perché la vostra cara democratica Turchia, paradiso terrestre dei diritti umani, bussa alla porta dell’Europa, cari colleghi, proprio nel momento in cui apre uno scenario terribile, di guerra, imprevedibile, drammatico, sul fronte iracheno.

E quando tornate a Bruxelles, fate quello che farò io: andate a visitare il ristorante armeno, i vostri amici extracomunitari non sono anche gli armeni? E il loro locale è stato devastato dai teppisti, dai delinquenti turchi, che incendiano nella capitale dell’Europa un ristorante solo perché è armeno: questa è la democraticità dei nazionalisti turchi! E allora perché dovremmo accoglierli, quando ancora – oggi e vi invito a votare il mio emendamento – non riconoscono il genocidio armeno?

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM) . (EN) Signor Presidente, la risoluzione sottolinea che la Turchia deve rispettare pienamente i criteri di Copenhagen in quanto base per l’adesione all’UE. Inoltre, il testo esorta il governo turco ad allineare il suo approccio alla libertà di religione ai quei principi definiti dalla Corte europea di giustizia.

Da Kemal Atatürk, la Turchia ha mantenuto uno Stato secolare contro il potere crescente dell’Islam fondamentalista e prosaico. Mi chiedo se i turchi si rendono conto che l’adesione all’UE fondamentalmente indebolirà la loro capacità di resistere all’Islam militante. Se la Turchia entra nell’UE, gli islamici utilizzeranno la legislazione in materia di diritti umani come uno scudo da cui portare avanti la loro jihad in Turchia ed Europa.

Gli inglesi si stanno rendendo conto che qualora la Turchia aderisse all’UE, altri 70 milioni di persone avrebbero il diritto di giungere in Gran Bretagna. L’adesione della Turchia sarebbe un disastro sia per i turchi sia per gli inglesi.

 
  
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  Koenraad Dillen (ITS) . –(NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella discussione sulla proposta di risoluzione Florenz, ieri è stato giustamente osservato che gran parte della popolazione appoggia severe misure volte a vietare il fumo nei luoghi di lavoro e nei bar e ristoranti.

Speravo che questa risoluzione avrebbe tenuto conto del parere di una schiacciante maggioranza della popolazione, vale a dire che la Turchia non può entrare nell’Unione europea. Tuttavia, nutro ovviamente troppe illusioni. Quando si tratta di questioni cruciali, come la Costituzione o l’adesione della Turchia all’Unione europea, l’opinione dei cittadini all’improvviso perde ogni valore.

La Turchia, una nazione amica, non è un paese europeo. Punto, amen, finito. Dovrebbe essere la fine della discussione. Eppure, non solo il Parlamento non accetta la sua responsabilità, più di una volta non ha considerato i recenti sviluppi che dimostrano chiaramente che la Turchia non appartiene all’Unione europea, e che la decisione di avviare i negoziati d’adesione è stata un errore.

Perché questa risoluzione non menziona l’opposizione dell’AKP a un provvedimento costituzionale che renderebbe la conversione a un’altra religione non più punibile ai sensi della legge? Per quale motivo le persone sono così vaghe in merito alla questione degli armeni e di Cipro? Si tratta di un ulteriore esempio di Realpolitik, cui non partecipiamo.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE) . (EN) Signor Presidente, secondo il quotidiano The Times di Londra, la recente risoluzione del Congresso degli Stati Uniti relativa al genocidio armeno è stata un’incredibile coincidenza. Dunque, quando sarà il momento opportuno per parlare del genocidio?

La lobby armena è così fragorosa in questo Parlamento proprio a causa dell’evidente omertà che ha circondato la questione del genocidio per quasi un secolo. L’assassinio del giornalista turco-armeno Hrant Dink avrebbe dovuto offrire un periodo di riflessione nazionale, ma, purtroppo, non è accaduto.

Ciononostante, la riconciliazione tra Turchia e Armenia, inclusa la riapertura del confine bloccato, è un fattore importante degli sforzi della Turchia per aderire all’UE. Tuttavia, a mio parere, nessuna reale democrazia può negare il proprio passato, anche il più misterioso e oscuro dei segreti.

Godono della medesima rilevanza una risoluzione durevole del conflitto a Cipro, che resta in un’impasse provocata dalla presenza di truppe di occupazione in uno Stato membro dell’UE, nonché la mancata attuazione del protocollo di Ankara.

I diritti religiosi delle minoranze, in particolare cristiane, sono altresì fonte di preoccupazione. Ad esempio, il seminario greco-ortodosso di Halki è chiuso dal 1971; i cristiani assiri che sono fuggiti in Germania e Svezia durante le guerra con il PKK sono stati privati della cittadinanza turca, impedendo loro di rivendicare le case andate perdute nel conflitto. E la Turchia considera gli alevi facenti parte della maggioranza dei musulmani sunniti e quindi non riconosce le loro distinte necessità religiose.

L’articolo 301 del codice penale sull’oltraggio all’identità turca ha determinato numerose condanne e, in marzo, piuttosto strano secondo me, un tribunale di Istanbul ha emesso un ordine negando l’accesso al sito Internet di condivisione di video YouTube laddove si parlava della sessualità del padre fondatore della Turchia moderna, Kemal Atatürk.

Esprimendo un’opinione del tutto personale e non a nome del mio partito o del mio gruppo: occorre decisamente svolgere ancora molto lavoro.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MIGUEL ANGEL MARTÍNEZ MARTÍNEZ
Vicepresidente

 
  
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  Maria Eleni Koppa (PSE) . – (EL) Signor Presidente, la discussione odierna ci offre l’opportunità di esprimere la nostra soddisfazione per i risultati delle elezioni in Turchia, e per accogliere con favore la palese volontà dei turchi di continuare le riforme.

La possibile adesione della Turchia all’UE, che rimane l’obiettivo, ha aperto la strada a tentativi di riforma. Purtroppo, questi sforzi sono in stallo e hanno rallentato. Il nuovo governo, con il suo nuovo e deciso mandato, ha bisogno di agire molto rapidamente per attuare pienamente tutte le disposizioni dell’accordo di associazione e del suo protocollo aggiuntivo.

Il processo di riforma riguarda soprattutto la democratizzazione, i diritti umani fondamentali e le libertà religiose. In linea con questo aspetto, è essenziale abolire l’articolo 301 del codice penale e rispondere fermamente alle richieste del patriarcato ecumenico. Sfortunatamente, l’atteggiamento del governo turco nei confronti di tale questione ha finora ammesso atti estremisti. Dobbiamo inoltre menzionare l’inspiegabile insistenza delle autorità turche a mantenere chiusa la Scuola teologica di Halki.

Un’altra questione che ci riguarda è la situazione tesa nella Turchia sudorientale. Ritengo che non si dovrebbe far prevalere la cultura di risolvere le dispute in maniera violenta, poiché significherebbe instabilità nell’intera area. E’ una responsabilità del governo attuale agire al fine di ottenere una soluzione pacifica alla questione curda, e ciò presuppone un dialogo tra le due parti. La comunità internazionale deve rivestire un ruolo di mantenimento della pace in questa possibile crisi.

Per concludere, signor Presidente, vorrei dire che ci aspettiamo che la Turchia onori tutti gli obblighi in modo da poter progredire con costanza verso una possibile integrazione europea.

 
  
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  Giorgos Dimitrakopoulos (PPE-DE) . – (EL) Signor Presidente, innanzi tutto mi congratulo con l’onorevole Oomen-Ruijten per il suo eccellente lavoro.

Signor Presidente, il mandato popolare assegnato al governo Erdoğan, e al Primo Ministro in particolare, tiene conto del proseguimento delle riforme che è in corso da quando la richiesta della Turchia di un posto in Europa è diventata una prospettiva più risoluta. Nel contempo, il mandato suscita un nuovo desiderio di una soluzione equa e duratura al problema di Cipro, con il ritiro della truppe turche dal paese come primo requisito.

Si attendono autentiche relazioni di vicinato, in generale, e con la Grecia in particolare.

Grazie al mandato, i diritti umani sono rispettati secondo nuove leggi quale la legge sulle fondazioni ecclesiastiche, e le norme che tutelano i diritti e le libertà. Si tratta di un processo alla storia, e si riconoscono i genocidi di armeni, greci del Ponto, e assiri.

Grazie al mandato, la questione curda è considerata in una nuova luce. La possibile invasione dell’Iraq settentrionale è un problema che dovrebbe essere fonte di seria preoccupazione per l’UE. Non bisogna permettere una mossa simile, poiché la necessità, su cui tutti concordiamo, di combattere il terrorismo non dovrebbe mai essere utilizzata da pretesto per creare un fatto compiuto di territorio occupato nell’Iraq settentrionale, come accaduto a Cipro.

 
  
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  Richard Howitt (PSE) . (EN) Signor Presidente, non sono sicuro di che cosa aggiunga la discussione odierna alla questione dell’adesione della Turchia se non offrire l’opportunità a un piccolo numero di ardenti oppositori all’ingresso della Turchia nell’UE di ribadire le loro argomentazioni in quest’Aula. Naturalmente, dovremmo esortare la Turchia a limitare il suo intervento e ad agire proporzionatamente in risposta alla minaccia terroristica dell’Iraq settentrionale, ma noto che le critiche di questa mattina sono espresse dalle medesime persone che in altre discussioni erano contrarie al contributo dell’Unione europea per la ricostruzione dell’Iraq.

Accolgo con favore il partenariato strategico tra il Regno Unito e la Turchia annunciato ieri a Londra dai Primi Ministri Brown ed Erdoğan, che comprende una cooperazione positiva nella lotta contro il crimine organizzato e il terrorismo. Invito gli Stati membri a fare lo stesso.

Accolgo di buon grado la più giovane parlamentare turca eletta, Ayla Akat, che la scorsa settimana è stata a Bruxelles in quanto una dei numerosi deputati curdi ritornati nel Parlamento turco per la prima volta in 14 anni, che ci hanno fatto sperare che il problema dei diritti culturali e politici curdi potrebbe essere risolto mediante la democrazia e non la violenza.

 
  
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  Josef Zieleniec (PPE-DE) . – (CS) L’onorevole Ria Oomen-Ruijten ha svolto un lavoro straordinario laddove ha trovato un compromesso in merito a un aspetto che divide quest’Aula.

Sono convinto, tuttavia, che, in futuro, si dovrebbe evitare di adottare tali risoluzioni e relazioni, che si sforzano di trovare compromessi a costo di non esprimere le opinioni del Parlamento su fondamentali questioni controverse. I nostri sforzi volti a ottenere l’unanimità inviano alla Turchia un messaggio che non riflette a sufficienza i diversi pareri relativi all’adesione turca in questo Parlamento e tra i cittadini europei.

Non nasconderò di considerare l’avvio dei negoziati d’adesione con la Turchia un sostanziale errore in sé. Allo stesso tempo, mi rendo conto e rispetto il fatto che non tutti in quest’Aula sono dello stesso parere.

L’opinione pubblica europea è fortemente divisa quando si tratta di tale questione di grande importanza per il futuro dell’integrazione europea. E’ nostro dovere riflettere questa polarità. Mi auguro quindi che le nostre prossime risoluzioni e relazioni testimonino chiaramente tale spaccatura nel Parlamento in merito alla possibile adesione turca all’UE. Se è un compromesso gradito in numerosi altri ambiti discussi in quest’Aula, l’adesione turca e i rapporti UE-Turchia non vi figurano.

Cambiamo il nostro approccio, non continuiamo a elaborare relazioni e risoluzioni che tentano di dare l’impressione di accordo e unanimità. Piuttosto, dimostriamo, mediante accordo o disaccordo con posizioni espresse con chiarezza, che esiste una divisione tra di noi per quanto riguarda l’adesione turca.

E’ una questione di responsabilità verso i cittadini europei e la Turchia che non meritano mezze verità. Sono certa che i turchi accoglieranno più favorevolmente una comunicazione sul disaccordo, anziché una dissimulazione sulla situazione reale, che il Parlamento e l’Europa nel complesso hanno adottato per lungo tempo.

 
  
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  Vural Öger (PSE) . – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, con la risoluzione dell’onorevole Oomen-Ruijten sulla Turchia, il Parlamento europeo sta trasmettendo un segnale positivo e pertanto è entrato in una nuova fase di dialogo costruttivo nelle sue relazioni con la Turchia. Questo paese, al momento, è coinvolto in un’intensa discussione relativa alle riforme interne.

Ora la Turchia ha un governo al potere che è dotato di un preciso mandato e può mettersi al lavoro. Si tratta della possibilità di dare nuovo impeto al processo di adesione in diverse aree fondamentali. Imporre requisiti aggiuntivi da soddisfare che non fanno parte dei negoziati d’adesione è controproducente. In Turchia, lo sviluppo di una nuova costituzione adesso è la principale priorità. E’ già distinguibile il profilo di questa costituzione.

I turchi stanno considerando la richiesta di revisione dell’articolo 301 del codice penale turco. Ora la Turchia ha bisogno di ulteriori segnali positivi da parte dell’UE. Dobbiamo incoraggiare questo paese a continuare con grande entusiasmo tale processo di riforma.

La relazione della Commissione sui progressi è attesa per il 7 novembre, e ritengo sia molto importante che gli attuali sviluppi positivi in Turchia siano riflessi in tale relazione.

 
  
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  Yiannakis Matsis (PPE-DE) . – (EL) Signor Presidente, la Turchia è candidata all’adesione a un’Europa unita. Ha diritti e obblighi. La relatrice ha fornito un documento intermedio equilibrato, che offre alla Turchia un’altra possibilità di procedere con le riforme e di osservare i suoi obblighi, connessi soprattutto ai cambiamenti economici, al rispetto dei criteri di Copenhagen, e dei diritti umani, religiosi e delle minoranze.

Vogliamo che questo paese cambi poiché la Turchia stessa lo sta chiedendo e anche perché lo esigono i tempi. Cambiamento significa rispettare i suoi obblighi verso Cipro riconoscendone la Repubblica e ponendo fine alla sua occupazione. La relazione giustamente stabilisce che il ritiro dell’esercito turco contribuirà a ottenere una soluzione, e che una piccola forza europea comandata dal Consiglio di sicurezza può prendere il posto di queste truppe. La Turchia deve osservare gli obblighi seguenti: interrompere la colonizzazione e modificare la natura demografica di Cipro; rimpatriare i coloni, che costituiscono la grande maggioranza dei territori occupati e sono la bomba a orologeria che attende di insidiare qualsiasi soluzione; porre fine alla sottrazione di proprietà greco-cipriote della Cipro occupata; fermare la distruzione del patrimonio culturale. Come primo passo, la Turchia deve rispettare le decisioni dell’ONU e restituire la città di Famagosta ai legittimi abitanti.

Ankara considera isolati i turco-ciprioti, a causa della presenza di 45 000 soldati turchi, che tengono lontani i greco-ciprioti dalle loro case e proprietà. La Turchia possiede la chiave della sua adesione all’Europa e della risoluzione della questione di Cipro. La politica turca di dividere Cipro in due Stati non è una soluzione. Viviamo in un’epoca di unificazione, non di divisione. Siamo favorevoli a una Turchia europea e a una soluzione europea, aspetto che ha poco in comune con le linee e le zone di divisione, che dovrebbe essere fondato, come sottolinea giustamente la relatrice, sui principi di un’Europa unita. Questo fattore creerà un modello di Stato attuabile per l’intera Europa, in cui greco-ciprioti e turco-ciprioti, e cristiani e musulmani, possono vivere in modo pacifico e produttivo nel rispetto reciproco dei principi e dei valori di un’Europa unita.

 
  
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  Carlos Carnero González (PSE) . – (ES) Signor Presidente, com’è noto, l’allargamento dell’Unione europea per includere un altro paese è sempre un processo dialettico in cui gli sforzi del candidato devono essere determinati, ma in cui anche l’impegni dell’Unione devono essere chiari.

A mio parere, quando l’Unione europea presenta un nuovo trattato di riforma che le consente di essere più democratica ed efficace, occuperà inoltre una posizione migliore per proseguire il suo allargamento.

Questo è il caso successivo all’accordo di Lisbona. La Turchia sta compiendo considerevoli progressi. Seguiamo tutti il governo di Ankara e i turchi nella lotta contro il terrorismo. Ciononostante, al fine di continuare i progressi che ho menzionato, dobbiamo invitare a limitazioni, moderazioni e conformità al diritto internazionale. Un’operazione militare su larga scala nell’Iraq settentrionale getterebbe solo benzina sul fuoco e potrebbe altresì provocare gravi problemi in Turchia.

Infine, desidero congratularmi con l’onorevole Oomen-Ruijten per la sua risoluzione, anche se manca un tema: per quale motivo spesso ci dimentichiamo che la Turchia non è soltanto un paese candidato, ma anche un partner euromediterraneo essenziale nel processo di Barcellona? Effettivamente nella relazione questo punto non compare. La Turchia è fondamentale in questo processo, come noi siamo importanti per la Turchia nel processo euromediterraneo.

 
  
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  Emine Bozkurt (PSE) . – (NL) Signor Presidente, desidero ringraziare l’onorevole Oomen-Ruijten per la sua equilibrata risoluzione. Dieci giorni fa ero in Turchia e mentre mi trovavo in questo paese ho parlato con i deputati del nuovo governo turco e del nuovo Parlamento. Ho sottolineato la necessità di proseguire con le riforme, prestando particolare attenzione alla libertà di parola.

Il ministero della Giustizia e altri membri di gabinetto mi hanno garantito che l’articolo 301 sarà modificato. Il nuovo governo ha altresì promesso riforme in direzione dell’adesione all’UE. La risoluzione fa inoltre riferimento a tale adesione come l’obiettivo finale. Il documento contribuirà direttamente alle riforme in Turchia, incluse quelle che riguardano i diritti delle donne e delle organizzazioni sindacali e la legislazione sociale.

Tuttavia, occorre tranquillità affinché si attuino le riforme, e al momento paura e rabbia sono diffuse in Turchia. Paura degli attacchi del PKK, rabbia che potrebbe condurre a un’escalation. Per impedire una simile situazione, Turchia e UE devono collaborare al fine di utilizzare strumenti diplomatici e politici per prevenire e punire il terrorismo.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, onorevoli deputati, questa vivace discussione si è rivelata molto utile per la Presidenza. Ha dimostrato chiaramente, qualora ci fosse qualche dubbio, quanto differiscono le opinioni e i pareri dei numerosi deputati per quanto riguarda i negoziati relativo all’adesione della Turchia all’Unione europea. Tuttavia, nonostante le molte opinioni esistenti in merito, ritengo che questa discussione abbia mostrato apertamente mostrato che la Turchia è già un importantissimo partner strategico dell’Unione europea in termini politici, economici e anche di sicurezza.

Credo inoltre che da questa discussione sia evidente che la possibilità dell’adesione della Turchia all’Unione europea abbia rappresentato il motore delle fondamentali riforme politiche e sociali in Turchia. Indubbiamente, ad alcuni spiace che tali riforme non siano state rapide o su larga scala come sperato, ma il fatto è che i turchi e il governo stanno compiendo progressi graduali lungo il percorso da noi stabilito, verso una società sempre più democratica e pluralistica, che rispetta più pienamente lo Stato di diritto.

I criteri di Copenhagen, in quanto guida o quadro di riferimento per l’intero processo dei negoziati, sono estremamente scrupolosi sia per la Turchia, sia per qualsiasi altro paese candidato: solo quei paesi che osservano in maniera trasparente i nostri principi economici e, in particolare e forse cosa ancora più importante, politici possono diventare membri dell’Unione europea. Se la Turchia è del tutto conforme con questi parametri, allora può ovviamente entrare nell’Unione europea. Questo aspetto è del tutto chiaro e quindi non può, o almeno non dovrebbe, generare alcun dubbio.

Per quanto riguarda gli attacchi terroristici del PKK al confine tra Turchia e Iraq, vorrei richiamare la vostra attenzione sulla dichiarazione della Presidenza del 22 ottobre in merito alla questione. In questa dichiarazione, la Presidenza condannava in tutto e per tutto la violenza del terrorismo perpetrata da parte del PKK e esprimeva la nostra solidarietà attiva alle famiglie delle vittime. Abbiamo inoltre osservato che per la comunità internazionale è essenziale sostenere gli sforzi della Turchia nella lotta contro il terrorismo, rispettando lo Stato di diritto, preservando la pace internazionale e la stabilità, anche a livello regionale, e chiedendo naturalmente alla Turchia di porre un limite a qualsiasi sconveniente azione militare. Invitiamo inoltre il governo turco e quello iracheno a collaborare in maniera efficace per affrontare tale problema e soprattutto per evitare che il territorio iracheno sia usato per azioni terroristiche contro la Turchia.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, desidero ringraziarvi per questa discussione molto concreta e opportuna poco prima della presentazione della nostra relazione sui progressi compiuti dalla Turchia del 6 novembre, ovvero fra due settimane. Nella Commissione miriamo a sottoporre un documento oggettivo ed equo come quello dell’onorevole Oomen-Ruijten.

Con la discussione odierna e la successiva risoluzione, quest’Aula invia alcuni messaggi molto espliciti alla Turchia. Innanzi tutto, ritengo siamo tutti d’accordo che ora sia giunto il momento di aumentare gli sforzi sulle riforme nel paese nell’interesse dei cittadini turchi, sì, ma anche di compiere seri progressi nei negoziati d’adesione all’UE. In particolare, c’è una forte enfasi soprattutto sulla necessità che si attuino senza inutili rinvii le riforme senza in merito a libertà d’espressione, al famigerato articolo 301 e ad altri articoli simili, nonché le libertà religiose. Analogamente, abbiamo bisogno di assistere a sviluppi in merito ai diritti delle donne, delle organizzazioni sindacali e di quelli culturali e religiosi, come pure agli obblighi spettanti alla Turchia.

Inoltre, condanniamo gli attacchi terroristici e comprendiamo che per i turchi sia necessario proteggere i propri cittadini, ma esortiamo altresì la Turchia a cercare una soluzione politica in collaborazione con le autorità regionali irachene e la comunità internazionale, e a mostrare il senso della misura nella sua risposta al terrorismo del PKK.

Per quanto riguarda la questione armena, la Commissione sostiene la richiesta del Parlamento, come espresso nel suo progetto di risoluzione, a favore di un processo di riconciliazione tra Turchia e Armenia. Si tratta del modo migliore e più efficace che, con il tempo, condurrà a risultati autentici in termini di riconciliazione e giustizia.

Riteniamo inoltre che tutte le questioni in Turchia, compresa quella armena, dovrebbero essere discusse apertamente e in modo pacifico in seno alla società turca nel nome della libertà d’espressione. Pertanto, anche la riforma dell’articolo 301 è essenziale per un dibattito serio ed efficace in merito al problema armeno che potrebbe condurre a un’autentica riconciliazione.

Le attuali limitazioni alla libertà d’espressione hanno un effetto intimidatorio e contribuiscono persino a creare un’atmosfera di intolleranza e di odio, come purtroppo è stato tristemente dimostrato nel caso dell’assassinio di Hrant Dink avvenuto in precedenza quest’anno.

Infine, dobbiamo ricordare una cosa. Io, e anche voi, abbiamo stabilito richieste molto severe per la Turchia per quanto riguarda il processo di riforma e a buon diritto. Nel contempo, occorre richiamare il fatto che l’equazione funziona solo se entrambe le parti si comportano come dovrebbero. Ciò significa che se siamo rigorosi, dobbiamo anche essere equi. Dobbiamo mantenere la parola e restare fedeli alla prospettiva di adesione della Turchia come indicato nel mandato dei negoziati.

(Applausi)

Altrimenti, possiamo fare la voce grossa quanto vogliamo, ma sarà come farlo in una foresta. Non ci sarebbe risposta, solo un lungo silenzio.

 
  
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  Presidente . − Per concludere la discussione sono state presentate due proposte di risoluzione(1).

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi, mercoledì 24 ottobre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Richard Corbett (PSE), per iscritto.(EN)La Turchia deve ancora percorrere una lunga strada prima di soddisfare le condizioni di adesione all’UE. Nonostante i considerevoli progressi degli ultimi anni, esistono tuttora questioni in sospeso relative alla libertà d’espressione (in particolare l’articolo 301 del codice penale), i diritti umani e l’Armenia.

Tuttavia, respingo le argomentazioni di chi afferma che alla Turchia non si dovrebbe mai concedere l’adesione considerato che non si tratta di un paese europeo. Abbiamo accettato la Turchia come membro a tutti gli effetti del Consiglio d’Europa da oltre mezzo secolo. Abbiamo avviato i negoziati d’adesione, riconoscendo quindi, in linea di principio, la sua idoneità a entrare nell’UE. Chi sostiene che la Turchia non sia europea, in realtà intende che non è cristiana. Ma per quale ragione questo dovrebbe essere un criterio? Il motto dell’Unione europea è “unità nella diversità”, non stiamo cercando di uniformare la culture, ma di trovare metodi di collaborazione, pur mantenendo le nostre diverse lingue, religioni e così via. Accettare uno Stato secolare la cui popolazione è in gran parte islamica, rafforzerebbe tale principio.

 
  

(1) Vedasi processo verbale.


5. Vertice UE/Russia (discussione)
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  Presidente . L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sul Vertice UE/Russia.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, com’è noto, venerdì, nella città portoghese di Mafra, si svolgerà il 20° Vertice UE/Russia. A nostro parere, per i leader di Russia e Unione europea, si tratta di un’eccellente opportunità di esaminare le nostre relazioni.

Riteniamo che, in generale, tali relazioni tra Unione europea e Russia siano buone e di certo migliori di quanto la stampa internazionale talvolta vorrebbe farci credere. La Russia è un partner essenziale per l’UE e teniamo in seria considerazione i nostri rapporti. Il vertice tratterà la situazione nell’UE e in Russia. Riferiremo in merito agli sviluppi dell’Unione europea, in particolare i progressi compiuti nell’elaborare il nuovo trattato di riforma che è appena stato adottato a Lisbona e il pacchetto di liberalizzazione dell’energia proposto dalla Commissione e approvato il 9 settembre.

Per quanto riguarda gli spazi comuni, analizzeremo nuovamente i progressi compiuti nell’attuazione delle tabelle di marcia. Tale processo continua a essere del tutto positivo, anche se occorre stimolare alcune aree. In certi settori importanti, il Consiglio di partenariato permanente (CPP) ha contribuito a realizzare quest’obiettivo. Il CPP dedicato alla cultura, che si terrà il giorno prima del vertice, concorrerà a intensificare la nostra cooperazione culturale.

In termini di priorità per il vertice, abbiamo intenzione di raggiungere un accordo per l’avvio del meccanismo di allarme rapido nel settore dell’energia, su cui, in linea di massima, si era trovato un accordo durante lo scorso vertice di Samara. Considerata l’interdipendenza di Unione europea e Russia riguardo all’energia, occorre accrescere la fiducia e rafforzare la cooperazione. Evidenzieremo quindi gli obiettivi e i principi che l’UE deve rispettare in relazione al nostro partenariato in materia di energia, in particolare reciprocità, trasparenza, apertura e creazione di un efficace quadro giuridico e di regolamentazione. A nostro parere, i principi del Trattato sulla Carta dell’energia e il testo sulla sicurezza energetica a livello mondiale adottato dal G8 a San Pietroburgo devono essere integrati nel nuovo accordo UE-Russia che sarà giuridicamente vincolante e sostituirà l’attuale Accordo di partenariato e cooperazione (APC).

Nel settore degli investimenti, accogliamo con favore il dialogo formale pianificato nella tabella di marcia per lo spazio economico comune. E’ assolutamente importante creare condizioni trasparenti, non discriminatorie e prevedibili per le imprese europee che investono in Russia, tenendo presente la legge sugli investimenti strategici stabilita dalla Duma. Inviteremo inoltre la Russia a evitare l’uso selettivo di politiche d’accompagnamento, quali l’ambiente o la tassazione, per intralciare gli investimenti esistenti o generare ostacoli nascosti per quelli nuovi. Riteniamo che l’adesione della Russia all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) sia una priorità, ragione per cui intendiamo inoltre presentare tale questione al vertice. La Commissione potrebbe voler aggiungere qualcosa in merito.

Devo evidenziare che, qualora non si trovasse una soluzione soddisfacente alle principali questioni insolute, quali i dazi d’esportazione sul legname o le discriminatorie tariffe ferroviarie, il vertice sarà impiegato anche per esercitare pressione, al fine di garantire progressi.

Siamo consapevoli che questo vertice si svolge in un periodo in cui, in Russia, sono imminenti le elezioni presidenziali e della Duma. Nel processo elettivo, la libertà d’espressione, inclusa la libertà di stampa e di associazione, sarà assolutamente importante e una prova reale della legittimità democratica del paese. L’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell’uomo (ODIHR) deve ottenere libero accesso al fine di assistere alle elezioni della Duma. In quanto membro dell’Organizzazione sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e del Consiglio d’Europa, la Russia ha una responsabilità particolare nel proteggere i nostri valori comuni. E’ riprovevole che certe questioni abbiano offuscato le relazioni tra Unione europea e Russia, visto che la nostra interdipendenza sta crescendo e non diminuendo.

Russia e UE hanno bisogno di collaborare per superare le loro differenze, poiché davvero non esiste alternativa alla nostra cooperazione. Purtroppo, l’avvio dei negoziati su un nuovo accordo tra UE e Russia è ancora a un punto morto. I divieti d’importazione russi di carne e verdura polacca continua a rappresentare un importante ostacolo all’avvio dei negoziati. La Commissione ha mostrato la propria buona volontà di proseguire i contatti al fine di trovare una soluzione reciprocamente accettabile. Sfortunatamente, la situazione è stata ulteriormente complicata dalla decisione presa dalle autorità veterinarie russe alla fine del mese scorso di proibire l’importazione di carne prodotta da 36 aziende europee.

Anche l’interruzione alla fornitura di petrolio destinata alla Lituania attraverso l’oleodotto di Druzhba costituisce un aspetto rilevante che impedisce di intraprendere i negoziati su un nuovo accordo tra UE e Russia. E’ trascorso più di un anno senza che la Russia abbia fornito qualsiasi dato ufficiale relativo alla falla nell’oleodotto o sulle possibilità di ripristinare la fornitura. E’ quindi essenziale trovare una soluzione soddisfacente che creerà la fiducia necessaria per continuare a sviluppare il partenariato tra UE e Russia nel settore dell’energia.

Nonostante il punto morto esistente nei negoziati, la situazione non va eccessivamente drammatizzata. In realtà, nel 2006 abbiamo concordato con la Russia che l’APC sarebbe rimasto in vigore, evitando pertanto alcun vuoto giuridico nelle nostre relazioni con la Russia.

Infine, di certo solleveremo le questioni più importanti sull’agenda internazionale, in particolare il Kosovo e l’Iraq. Sottolineeremo inoltre quanto sia fondamentale una cooperazione positiva con la Russia nella nostra politica comune di vicinato, in modo da poter affrontare problemi collettivi che generano interesse e preoccupazione, soprattutto le controversie “congelate”.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, la Russia non è soltanto un vicino prossimo, per noi è un partner strategico. Se consideriamo il commercio e gli investimenti, notiamo che si sta sviluppando in misura considerevole e, inoltre, come ha affermato il nostro Presidente, che sta aumentando l’interdipendenza. Ma ci rendiamo anche conto che la Russia rappresenta un partner strategico nell’affrontare i conflitti regionali e le sfide globali, menzionate in questo caso, e che resta ancora molto lavoro da compiere per incrementare il pieno potenziale delle nostre relazioni.

Il prossimo vertice di venerdì è l’occasione più vicina per valutare lo status delle nostre relazioni. Se non si risolveranno molte delle questioni in sospeso, compiremo progressi in altre e pertanto prepareremo il terreno per il lavoro futuro in questo momento di transizione.

Sappiamo che si tratta di un periodo critico per la Russia, pochi mesi prima delle decisive elezioni parlamentari e presidenziali, e anche che l’Unione europea ha ripetutamente espresso le proprie preoccupazioni per l’attuazione dei principi democratici e degli impegni in materia di diritti umani nel paese. Noi, l’Unione europea, stiamo sorvegliando con attenzione gli sviluppi, le imminenti elezioni saranno una prova importante a questo proposito, e ci attendiamo che la Russia compirà una scelta ragionevole e inviterà gli osservatori dell’OSCE a controllare le elezioni.

Coglieremo anche l’opportunità di esprimere la nostra preoccupazione per le questioni dei diritti umani, quali le limitazioni alla libertà di stampa, gli attacchi ai giornalisti, la pressione sulle ONG e inoltre la situazione nel Caucaso settentrionale.

L’11 e 12 ottobre scorsi, mentre mi trovavo a Kaliningrad, ho avuto l’occasione di discutere del prossimo vertice con il principale consigliere del Presidente, l’inviato speciale Yastrzhembsky. Permettetemi di iniziare con alcuni validi esempi, in seguito spiegherò dove non compiremo progressi.

Ritengo che la Russia sia in procinto di annunciare un importante contributo finanziario a diversi programmi di cooperazione transfrontalieri condotti dall’UE. Si tratterà di un’iniziativa alquanto gradita dal momento che la cooperazione oltre i nostri confini in via di sviluppo è un elemento rilevante in seguito all’allargamento del 2004. E, naturalmente, Kaliningrad è un caso molto particolare per la sua posizione geografica unica.

Ciò richiede, cosa di cui ci siamo sempre resi conto, speciali disposizioni per facilitare la cooperazione transfrontaliera e il traffico frontaliero locale. Il contributo economico russo, tuttavia, sarebbe anche alquanto opportuno, considerando la grave congestione del traffico sui confini tra gli Stati membri e la Russia a Kaliningrad e all’attraversamento frontaliero con numerosi paesi membri in altre aree.

File di camion di oltre 50 km sul lato europeo del confine chiaramente non sono accettabili. Occorre applicare le misure e pertanto abbiamo concordato con la Russia di ridurre gli ingorghi. Abbiamo appena avviato un progetto pilota nella Commissione, scambiando informazioni doganali e finanziando la modernizzazione delle infrastrutture frontaliere. Da parte sua, la Russia deve semplificare le sue procedure ai confini. In linea di principio, è pronta a farlo, ma è necessario un po’ di tempo.

Il nostro Presidente ha già menzionato l’energia. Vorrei soltanto aggiungere che dovremmo essere in grado di annunciare un accordo sul meccanismo di allarme rapido per affrontare i problemi di approvvigionamento prima che si giunga a una crisi. Il Presidente ha parlato di cultura dell’energia e anche d’investimenti, pertanto non ho nulla da dire in merito. Desidero solo completare il discorso affermando che gli investimenti e i rapporti commerciali saranno discussi in una tavola rotonda degli industriali a Lisbona, con la partecipazione di Günter Verheugen e Andris Piebalgs, che inizierà domani. Questo incontro riferirà pertanto le sue conclusioni al vertice di venerdì. Penso sia un valido contributo a ciò che è davvero un crescente rapporto commerciale.

La Russia è un attore economico fondamentale e, in merito all’OMC, vorrei aggiungere che contribuiremo agli sforzi della Russia. Sapete che ci siamo sempre adoperati per l’adesione russa all’OMC. Riteniamo inoltre che sia molto importante una parità di condizioni, e perciò porremo molta attenzione al completamento dell’adesione della Russia all’OMC. Il vertice darà nuovo impulso a questo processo articolato, che è in una fase cruciale.

A margine del vertice, firmeremo un nuovo accordo sull’acciaio, aumentando pertanto le quantità che la Russa può esportare nell’Unione europea. Un altro segnale di fattori positivi nella cooperazione UE-Russia è il fatto che al margine del vertice sarà firmato il protocollo d’intesa tra l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze e il Russia Federal Drug Control Service.

Con una nota meno positiva, vorrei informarvi che, benché a maggio, a Samara, la Russia avesse preso l’impegno preciso di siglare finalmente il nostro accordo sul diritto di sorvolo della Siberia in tempo per il prossimo vertice di Mafra, le prospettive che ciò accada sembrano essere molto deboli. Vogliamo voltare pagina riguardo a questa lunga disputa. Un’azione positiva da parte della Russia ci consentirebbe quindi di proseguire anche con il vertice sull’aviazione, programmato per novembre a Mosca, al fine di individuare l’enorme potenziale di collaborazione in questo settore.

Per quanto riguarda le questioni internazionali, il Kosovo di certo rappresenterà una delle più importanti ed è necessario considerare insieme alla Russia come risolvere questo problema, in base agli sforzi che la Troika sta compiendo. Dobbiamo impedire un nuovo conflitto nei Balcani.

Discuteremo inoltre altre rilevanti questioni sul piano internazionale come il Medio Oriente prima della conferenza di Annapolis; l’Iran, in seguito alla recente visita del Presidente Putin a Teheran e in Afghanistan; il Burma/Myanmar; la situazione per quanto riguarda i conflitto congelati, in particolare in Georgia e Moldova.

Vorremmo lavorare con la Russia con uno spirito costruttivo alla ricerca di soluzioni per tali questioni tormentate. Pertanto, ciò che dobbiamo fare è continuare con il lavoro che stiamo svolgendo e non perdere mai di vista i nostri progetti a lungo termine.

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, speriamo che, come ha rilevato la stampa, l’autunno portoghese sia più caldo della primavera russa per quanto riguarda il Vertice di Samara.

Come ha affermato il Commissario, ritengo occorra continuare a lavorare per realizzare l’associazione strategica con la Russia, ma il clima dipende maggiormente dalla temperatura russa che da quella europea: in qualche misura, alla luce di ciò che sosteneva il Commissario, considerato soprattutto il nuovo ruolo che la Russia ha intenzione di svolgere sulla scena internazionale e, in particolare, in relazione alla sicurezza dell’approvvigionamento dell’energia.

Tuttavia, signor Presidente, il rapporto deve essere costruito su una serie di pilastri. Il primo è che qualsiasi decisione o azione contro uno Stato membro deve essere considerata un atto contro l’Unione europea nel suo complesso.

Secondo, signor Presidente, l’Unione europea è impegnata in modo irrevocabile e indiscutibile per i diritti umani e deve essere molto decisa laddove difende le sue posizioni. A questo proposito, ritengo dovremmo accogliere con favore la decisione del governo russo di autorizzare e infine concedere i visti al gruppo Verde/Alleanza libera europea per consentire un suo incontro a Mosca.

Un aspetto che è fonte di preoccupazione è la dichiarazione espressa, in relazione al recente vertice dei paesi che si affacciano sul Mar Caspio, in merito alla creazione di una sorta di ampio fronte per combattere in qualche misura le minacce regionali e internazionali, nonché alcune posizioni delle Nazioni Unite.

Signor Presidente, ho quasi terminato. Signora Commissario, signor Presidente in carica, difendete con realismo gli interessi dell’Unione europea, realizzate questa associazione, ma non dimenticate che i numeri devono coincidere con gli ideali. Mi ricordo di un articolo, naturalmente eccellente, che ho letto di recente sul giornale The Economist: a quanto pare, al Vertice di Wiesbaden, il Presidente Putin ha comunicato al Cancelliere federale Merkel che in questa località Dostojevski perse alla roulette.

Mi auguro che l’Unione europea in Portogallo sia più fortunata dello scrittore russo a Wiesbaden.

 
  
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  Jan Marinus Wiersma, a nome del gruppo PSE. (NL) Signor Presidente, nella corsa al prossimo vertice, per il mio gruppo la premessa essenziale resta che Russia e Unione europea hanno una serie di importanti interessi in comune e, nonostante le nostre numerose divergenze d’opinione, l’Unione europea dovrebbe continuare a lavorare in base a tale premessa durante l’imminente vertice. Russia ed Europa presentano una necessità vicendevole al fine di affrontare i problemi in Europa, ma soprattutto per quanto riguarda le maggiori questioni sul piano internazionale. Una sicurezza sostenibile in Europa è possibile esclusivamente in collaborazione con la Russia.

Per questa ragione, noi, il mio gruppo ed io, abbiamo sempre appoggiato il partenariato strategico con la Russia. Per questo vertice l’agenda è piena e il Commissario e il rappresentante della Presidenza hanno già trattato l’argomento. Tuttavia, speriamo che a un certo punto ci sarà qualche movimento in merito alla questione della negoziazione del mandato per il nuovo accordo di partenariato e cooperazione. Ci auguriamo che il recente governo polacco sia in grado di cooperare meglio con Mosca e, di conseguenza, generare forse qualche occasione di sviluppo.

Le relazioni in materia di energia sono estremamente importanti e riteniamo inoltre che il punto di partenza debba essere la reciprocità, ma dobbiamo renderci conto che stiamo trattando una forma d’indipendenza reciproca in questo caso e che dovremmo cercare di gestire meglio la situazione insieme. Vogliamo anche maggiore cooperazione nella regione del Mar Nero, e speriamo che al vertice si discutano anche le questioni relative a Transnistria e Georgia.

I precedenti oratori hanno già menzionato lo status della democrazia in Russia e, naturalmente, si tratta di un aspetto che non può essere tralasciato dalla discussione. Siamo inoltre preoccupati per la corsa alle elezioni della Duma. Vorremmo anche che le campagne fossero libere ed eque, e che tutti i partiti avessero pari opportunità di esprimersi. Ragione per cui è così importante insistere sulla questione degli osservatori a Mosca: non solo osservatori durante il giorno effettivo delle elezioni, ma anche durante la campagna per la corsa alle elezioni. Tutti sappiamo quanto sia importante essere in grado di farsi un giudizio proprio delle elezioni; un paese che ha l’ambizione di presiedere l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa dovrebbe davvero potere e avere intenzione di lavorare con l’OSCE quando si tratta di controllare le elezioni.

Infine, e ribadisco ciò che ho affermato all’inizio, dovremmo continuare a essere critici nei confronti della Russia; critici laddove sono coinvolti diritti umani e democrazia, ma non dovremmo contrapporre inutilmente le cose. Il nostro punto di partenza dovrebbe ancora essere un buon vicinato, cooperare e cercare di affrontare le questioni in Europa insieme e non di creare costantemente un problema.

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signor Presidente, il vertice di maggio a Samara ha svelato le crepe del nostro partenariato strategico con la Russia, in merito a energia, Kosovo e diritti umani. Queste crepe sono diventate spaccature talmente profonde e ampie che ora ci risulta difficile dire quanto sia significativo poter ricercare un “partenariato” basato su valori comuni.

Per stessa ammissione del Presidente Putin, “la Russia non diverrà presto, se mai accadrà, un paese in cui i valori liberali presentano profonde radici storiche".

Per quanto tempo potremo ignorarne la prova sempre maggiore? Non che i russi respingano l’apparato culturale dell’occidente perché il Presidente Putin ha parlato più volte della posizione del suo paese nel centro culturale d’Europa. No, questa veemenza, questo rifiuto, è diretto soprattutto a ciò che il Presidente Barroso definisce i “valori sacri” d’Europa, come la libertà, la democrazia e lo Stato di diritto, che oggi sono vistosamente assenti in Russia.

L’onorevole Salafranca Sánchez-Neyra ha ragione. Il Consiglio e la Commissione hanno formulato troppa Realpolitik e insufficiente Moralpolitik. Le nostre relazioni con la Russia sono strategiche, certamente, ma non possono essere definite un partenariato.

Occorre un approccio pragmatico, cooperando ove possibile a riguardo di questioni di reciproco interesse, come i valichi di frontiera, l’approvvigionamento di energia e l’adesione all’OMC, anche se l’annuncio di ieri sul controllo dei prezzi dei prodotti alimentari suggerisce un ritorno alle politiche economiche del passato.

E’ possibile compiere alcuni progressi con la Russia, ma senza ostentazioni, seguite da frustrazione, che caratterizzano troppi Vertici UE-Russia.

E’ necessaria anche un po’ più di onestà, poiché la Russia si sta avvicinando a due importanti elezioni. Se la clonazione umana fosse progredita in maniera migliore, probabilmente il Presidente Putin si sarebbe candidato sia come Presidente sia come Primo Ministro seguendo l’esempio dei Kaczyński in Polonia! Per un paese che ha abbattuto l’oligarchia nel lontano 1917, è piuttosto incredibile che stia guadagnando terreno una nuova autocrazia, e non dovremmo ridurre le nostre critiche per paura di danneggiare un partenariato che esiste esclusivamente sulla carta.

Solo quando una magistratura indipendente, la libertà d’espressione e la democrazia saranno più di una citazione e quando i giornalisti, i partiti d’opposizione e le ONG potranno operare senza temere ritorsioni, l’Europa collaborerà con la Russia.

Per questa ragione, il mio gruppo ha chiesto una risoluzione per chiudere la discussione, e oltre 300 deputati hanno appoggiato le nostre richieste. Dobbiamo essere preparati a mettere nero su bianco ciò che diciamo in pubblico e respingere chi afferma che quest’Aula non fa nient’altro che parlare di sacrosanti affari.

Il trattato di riforma garantisce per la prima volta al Parlamento un potere effettivo per quanto riguarda l’azione esterna. Pertanto adoperiamoci per accettare la sfida e trasmettere un messaggio al vertice che il Presidente Putin non possa ignorare.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. (PL) La decisione presa ieri dai leader del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei di non adottare una risoluzione antecedente al Vertice UE-Russia dimostra che abbiamo ancora un problema con questo paese. Questa scelta è un grave errore. Non è il tipo di motore franco-tedesco che ci aspettiamo nella nostra parte d’Europa.

La nostra risoluzione del 2 maggio prima del Vertice di Samara si è rivelata molto utile. Credo che il nostro silenzio di oggi sia rivelatore di un tentativo di allontanarsi da una politica chiaramente definita e impegnativa nei confronti della Russia. Se si mina l’approccio adottato a Samara, la Russia sarà ancor più convinta che l’integrazione e soprattutto l’allargamento del 2004 siano sviluppi che possono non essere rispettati o trascurati. I politici che attualmente cercano di chiudere un occhio sul cambiamento di direzione della Russia verso una dittatura in nome di uno pseudorealismo, acconsentono a ripetere il caso finlandese. Autorizzano discriminazioni contro l’Europa centrale e quindi di indebolire la posizione dell’Unione europea come partner globale.

 
  
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  Bart Staes, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signor Presidente, signora Commissario, signor Ministro, onorevoli colleghi. Signor Ministro, nella sua introduzione ha affermato che le relazioni con la Russia sono buone, o comunque migliori di quanto riferito dalla stampa internazionale. Signor Ministro, vive su Marte o su Venere? Ha il coraggio di dire ai russi come stanno le cose, o per lei l’Unione europea in definitiva è solo denaro e semplice commercio? Per lei è più importante di democrazia e diritti umani?

Non misuriamo le parole: la Russia sta scendendo lungo un pendio scivoloso per diventare una piena dittatura con un forte leader: un leader che non tollera alcuna protesta e che schiera i suoi servizi segreti FSB ogni qualvolta lo ritiene necessario; un leader che cederà il potere a nessuna condizione e che utilizzerà ogni sorta di inganno per mantenerlo dopo le elezioni parlamentari di dicembre e quelle presidenziali di marzo. La Russia, signor Ministro, si sta evolvendo in una società chiusa, in cui il regime al governo preferirebbe non consentire a nessuno di guardare oltre le sue spalle.

Non ho intenzione di limitarmi a considerazioni teoriche. La realtà è che i diritti umani in Russia sono continuamente sotto pressione e lo status della democrazia è deplorevole. La realtà è che la libertà di parola e di stampa stanno soccombendo a una severa autocensura. La legge approvata di recente in materia di estremismo può essere facilmente usata per imbavagliare i giornalisti indipendenti e gli oppositori politici.

La realtà è che il regime russo considera sgradita una società civile forte e indipendente e che le ONG sono sottoposte a una grave pressione a causa di una legislazione molto restrittiva. La realtà è, signor Ministro, che in questo paese le elezioni libere sono un’utopia. Solo chi è tollerato dal regime può prendervi parte. Alla coalizione “Altra Russia” di Gary Kasparov, ad esempio, è stato impedito di partecipare alle imminenti elezioni parlamentari.

Per concludere, signor Ministro, la situazione in Cecenia potrebbe anche non rappresentare più una questione attuale dal punto di vista politico, ma il quadro globale è ancora estremamente preoccupante. Le persone sono tuttora uccise, catturate e trattenute illegalmente, ricattate; i rapimenti sono all’ordine del giorno e la tortura una prassi consueta. Questa è la realtà in Russia, signor Ministro, e spero se ne ricorderà quando parlerà con il Presidente Putin alla fine di questa settimana.

 
  
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  Helmuth Markov, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, stabilità e sviluppo in Europa e nel mondo sono impossibili senza una ragionevole cooperazione tra Unione europea e Russia. Che cosa vorrei vedere rispetto a Samara? Vorrei che tornaste e ci informaste di avere una strategia congiunta con la Russia per la soluzione del problema del Kosovo e per il processo di pace in Medio Oriente, nonché una posizione comune sulla questione nucleare in Iran e una strategia congiunta per risolvere il problema della Transnistria.

Non si tratta soltanto delle forniture di energia. Dimentichiamoci di Galileo. L’industria non lo vuole e si presume che i contribuenti si accollino i costi. Collaboriamo con la Russia riguardo a una politica energetica ragionevole usando le nuove tecnologie. Risolviamo la questione relativa alla possibilità di viaggiare in Russia senza obbligo di visto. Perché non abbiamo compiuto molti progressi a questo proposito, solo per questi gruppi specifici? A mio parere, si potrebbe fare ancora molto.

Quale sarà la posizione dell’Unione europea in merito allo scudo missilistico? Staremo dalla parte della Russia e diremo di non volere uno scudo di difesa degli USA? Ritengo sarebbe fantastico potessimo ottenerlo. Naturalmente, dobbiamo anche essere critici con la Russia e comunicarle che se dichiariamo apertamente di essere contrari ai piani antiterrorismo elaborati dagli onorevoli Schäuble e Jung in Germania, allora bisogna anche dire alla Russia di non volere questa legge sulla non discriminazione. E’ abbastanza evidente.

Se il vostro parere è che la situazione in Cecenia è del tutto contraria ai diritti umani, occorre spiegarlo in modo chiaro ai russi, ma anche di verificarla in seguito. Credo che se disporremo di un ragionevole accordo di partenariato, si tratti di un aspetto che partner validi possano e debbano dire l’un l’altro. Abbiamo bisogno della Russia e la Russia ha bisogno di noi, e procederemo insieme se mettiamo tutte le questioni sul tavolo e, soprattutto, cerchiamo modi per risolverle.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI) . – (CS) Onorevoli colleghi, se abbiamo intenzione di non perdere terreno in termini globali, è necessario che l’UE in quanto gruppo forte e la Russia in quanto superpotenza integrino le loro economie.

Solo in questo modo saranno in grado di affrontare inevitabili pressioni politiche che altrimenti potrebbero separare questo ragionevole partenariato. Attualmente, le esportazioni russe nell’UE, esclusa l’attività commerciale connessa all’energia, corrispondono approssimativamente a quelle di Marocco o Argentina. Perciò appoggio l’appello del Commissario per il commercio Mandelson, che ha invitato UE e Russia a smettere di agire come due città collegate esclusivamente da una strada stretta e da un gasdotto.

Sono certa che entrambi i partner dovrebbero concentrarsi sulla costruzione di relazioni economiche e commerciali a lungo termine, reciprocamente vantaggiose e non consentire che prendano il sopravvento tattiche politiche a breve termine. Ritengo sia nell’interesse dei cittadini europei che l’UE agisca con fermezza nei confronti della Russia, cosa che al momento non sta accadendo. Dovremmo insistere per la realizzazione di un clima politico e imprenditoriale più stabile in Russia, che prevedrebbe minori ostacoli alle importazioni e creerebbe una migliore piattaforma per gli investitori europei.

 
  
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  Reino Paasilinna (PSE) . (FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, esistono due modi di esaminare le relazioni dell’UE con la Russia. Possiamo considerarle problemi o opportunità. Com’è noto, attualmente sono entrambi abbondanti.

La scorsa settimana, a Lisbona, i leader dell’Unione hanno intrapreso un’iniziativa verso una politica estera più coerente. La politica relativa alla Russia non potrebbe essere il primo porto di scalo per entrambe le parti, vale a dire anche per la Russia? L’accordo di partenariato e cooperazione ha bisogno di essere rinnovato, e lo sappiamo. Nell’ambito della dimensione settentrionale, si è ottenuto qualche risultato nelle questioni riguardanti il Mar Baltico, ma dobbiamo passare ad altre aree. La tabella di marcia esiste, ma sul percorso ci sono pochi viaggiatori.

Abbiamo appoggiato l’adesione russa all’OMC. Occorre concludere l’accordo. Quindi controlleremo il dazio sul legname e gli oneri illegali imposti ai confini che ha menzionato il Commissario Ferrero-Waldner. Siamo del tutto dipendenti l’uno dall’altro per quanto riguarda l’energia, ma è necessario che tale dipendenza operi su entrambi i fronti. Le esportazioni creano dipendenza quanto le importazioni.

Occorre pertanto interrompere il silenzio con la Russia. Purtroppo, la situazione continua da molto tempo, ma accolgo con favore il nuovo leader polacco, che aveva intenzione di migliorare le relazioni con la Russia e con la Germania. Ovviamente la Russia è più di un problema.

I negoziati devono ottenere risultati anche nel settore dei diritti dei cittadini, e non solo quando si tratta di beni. Vorrei chiedere al Consiglio se i dazi sul legname saranno menzionati nel vertice. Inoltre, che dire della nuova legge in Russia relativa alla pratica con cui un sospetto non è sottoposto a interrogatorio nel paese in cui si è verificato il crimine? E’ una procedura strana. In altre parole, un criminale che commette un reato in uno Stato membro può cercare asilo in Russia. Il Consiglio affronterà tale questione nel corso del vertice?

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck (ALDE) . – (NL) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, ascoltando l’intera discussione e le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione, è diventato del tutto evidente quanto sia difficile, per quanto riguarda la Russia, combinare il rispetto necessario per questo paese vasto e importante e per queste numerose e importanti persone alla diffusione dei nostri principi fondamentali relativi allo Stato di diritto, una democrazia funzionante, mezzi di comunicazione liberi e il rispetto per i diritti umani. E’ complicato trovare il giusto equilibrio, ancora di più da quando il Presidente Putin, come nessun altro, comprende l’arte di sfruttare ogni divergenza d’opinione o sfumatura tra gli Stati membri.

Abbiamo sentito che presto in Russia si svolgeranno le elezioni e sappiamo che succederà fra poco tempo. In questo quadro, vorrei sottolineare che le condizioni imposte ai partiti che non sono rappresentati nella Duma, sono del tutto indegne di una democrazia. Se si tratta di importo della cauzione, del numero di firme necessarie, delle verifiche in merito (pensiamo a ciò che è accaduto a San Pietroburgo pochi mesi fa) a nessuno di questi punti rispettano i criteri che noi e il resto del mondo pensiamo facciano parte di elezioni libere ed eque. In altre parole, la situazione non è affatto di buon auspicio.

Siamo inoltre venuti a conoscenza di alcuni resoconti molto preoccupanti riguardo a tentativi di esercitare un attento controllo sui contatti degli studenti e sulle persone. In altre parole, e adesso concludo signor Presidente, gli Stati membri hanno bisogno di rimanere più uniti e vigili che mai per far sì che prosegua la cooperazione.

 
  
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  Inese Vaidere (UEN) . (LV) Onorevoli colleghi, la Russia è un partner importante, ma le sue politiche sono fonte di preoccupazione. Finora, nelle strade della Russia, non è stata eretta alcuna statua del Presidente Putin, ma ci sono segnali di culto della personalità. La candidatura del capo di Stato alle elezioni parlamentari è senza precedenti nella storia di un paese democratico, proprio come la nomina del capo del movimento “Nashi” a ministro degli Affari giovanili e il rifiuto di ricevere una delegazione del sottocomitato Diritti umani del Parlamento europeo. Le manipolazioni russe delle nazioni straniere sono pericolose. Indagini in Lettonia mostrano che il sostegno della Russia alle persone è del tutto contrario all’integrazione della società. Temo inoltre che la storia delle attività politiche di quelle persone che hanno recentemente organizzato il forum russo nel Parlamento europeo, fa credere che possano esistere progetti distruttivi in altri Stati europei. Il nostro dovere è combattere tali manipolazioni, poiché la Russia sta oltrepassando i limiti della nostra pazienza. In relazione al dialogo in materia di energia, per i principi e la ratifica della Carta sull’energia è necessario formino un elemento integrante del nuovo accordo, malgrado l’insoddisfazione di Mosca in merito alla clausola di reciprocità. Vi ringrazio

 
  
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  Hélène Flautre (Verts/ALE) . – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo ragionevoli! La decisione presa ieri sarà interpretata, e di fatto è già successo, dalle autorità russe come un grande successo: nessuna risoluzione, nessun messaggio. Si tratta proprio di un premio dopo il rifiuto di una delegazione ufficiale per i diritti umani del Parlamento europeo. La società russa è più che mai ostaggio di una stampa propagandistica e sta ripiegando su un pericoloso nazionalismo.

Oggi in Russia prevale la violenza fondata sulla paura, mentre razzismo e xenofobia prendono il sopravvento. La parola “indipendente” non può più essere utilizzata. Attivisti per i diritti umani, giornalisti od oppositori politici “indipendenti” sono automaticamente etichettati come “nemici del regime”. Una legge adottata nel 2007 è ufficialmente dedicata a loro. Sotto la parvenza della lotta all’estremismo, in effetti offre alle autorità la piena libertà in questa ingiusta battaglia. Come ha affermato ieri Marie Mendras, questo clima di violazione permanente dei diritti umani non incita le persone a intervenire. Pertanto, è stata vinta la scommessa del Presidente Putin: è riuscito a convincere i suoi cittadini che la Russia è dotata delle proprie norme particolari quando si tratta di democrazia e diritti umani.

Con una simile convinzione, non è affatto sorprendente che la Russia sia tuttora l’ultimo membro del Consiglio d’Europa a non aver ratificato il protocollo 14. Questa è una manna per Putin, una benedizione. Implica di non dover osservare le norme e impedisce che i casi trapelino, in particolare quelli dei ceceni torturati. Alla luce di questa situazione, sarebbe ingenuo pensare che il 2 dicembre si svolgano elezioni libere e trasparenti in Russia. Considerate tali circostanze, non sono proprio altro che un plebiscito a favore o contro Vladimir Putin? Senza alcun emendamento alla Costituzione, continuerà ad avere potere su tutte le questioni politiche, economiche, finanziarie, amministrative, giudiziarie e di sicurezza.

Alla vigilia del Vertice UE-Russia, invito il Consiglio e la Commissione a includere i diritti umani nel massimo livello politico. E’essenziale che rivestano un ruolo fondamentale, che si discuta dell’accordo futuro, del Kosovo o dell’energia. Questo è ciò che ci chiedono i democratici russi. Sostengono semplicemente: “Continuate a parlarne, continuate a dire la verità”. Almeno non rischiamo la nostra vita quando lo facciamo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MECHTILDROTHE
Vicepresidente

 
  
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  Vladimír Remek (GUE/NGL) . – (CS) Onorevoli colleghi, una discussione sulle relazioni UE-Russia rappresenta uno dei temi più frequenti in quest’Aula.

Si sentono regolarmente i medesimi cliché, intenzionali o motivati da incomprensioni o ignoranza in merito a tali questioni. Malgrado ciò, che lo vogliamo o no, dobbiamo trattare la Russia come un partner. Qualora non riuscissimo a trovare un linguaggio comune e non ci sforzassimo al fine di migliorare gradualmente le relazioni, l’UE subirà più danni della Russia. Ciò non implica chiudere gli occhi di fronte alle difficoltà, piuttosto guardare in faccia la realtà e valutare ogni cosa allo stesso modo.

E’ un fatto che la Russia odierna sia più forte dal punto di vista economico e, di conseguenza, sia maggiormente sicura di sé. Tutela anche i propri interessi come fanno gli USA o l’UE. Occorre un approccio moderato. Perciò, sono lieto che, rinviando la risoluzione, abbiamo favorito i nostri rappresentanti al vertice in Portogallo.

La Russia di oggi non è l’ex Unione Sovietica. Lo dico non solo per la mia lunga esperienza di lavoro in questo paese, ma anche sulla base delle parole mutuate dal capo della diplomazia americana.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE) .– (NL) Signora Presidente, desidero ringraziare la Presidenza in carica e il Presidente della Commissione. Non prevedo di valutare il successo del vertice in base alla lunghezza della dichiarazione congiunta finale. Per me l’elemento importante, e spero si discuterà in merito, è fornire i dettagli relativi alle questioni su cui sappiamo di dover trovare soluzioni comuni.

Le relazioni tra UE e Russia sono incredibilmente complesse. Tale situazione non cambierà dopo le elezioni. Tuttavia, dobbiamo realmente renderci conto che per la Russia e l’UE non esiste un’alternativa economica e politica al partenariato. Signora Presidente, disponiamo di un accordo eccellente per questo partenariato. Tale accordo esiste ormai da dieci anni. In che modo lo gestiremo in maniera creativa in futuro? Il vertice è anche un’occasione importante per domandare chiarimenti in merito al concetto di democrazia e ringrazio la Commissione per come intende agire a questo proposito.

La cosa che mi colpisce sempre è che in Russia stabilità e democrazia sono considerate agli opposti; di certo non è e non potrà mai essere la nostra visione. E’ molto importante per tutti noi che la Russia entri a far parte dell’OMC.

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE) . –(DE)Signora Presidente, non ha molto senso contrapporre Realpolitik e Moralpolitik, come ha affermato l’onorevole Watson. Il fatto è che abbiamo bisogno di entrambe: nelle nostre relazioni con la Russia occorre essere realistici, nonché chiari e decisi a riguardo del nostro punto di vista etico e morale.

Molti di noi hanno pensato che, dopo la caduta del comunismo, la Russia sarebbe semplicemente svanita dalla scena mondiale, ed è ciò che numerose avrebbero voluto. Tuttavia, non è accaduto. Questa situazione non si è verificata soprattutto perché, a causa dei prezzi dell’energia in rialzo, la Russia è riuscita ad aumentare le sue entrate e pertanto a riguadagnare il potere nell’arena internazionale. Dobbiamo ammetterlo; se non lo facessimo, non saremmo in grado di riconoscere la realtà.

Eppure, esiste un qualcosa che non vogliamo accettare, e ovviamente sono gli sviluppi negativi, e sia la Presidenza del Consiglio, sia il Commissario lo hanno chiarito. Semplicemente non siamo preparati ad acconsentire al fatto che si intraprendano sempre più azioni volte a eliminare la democrazia in Russia. Sono iniziative che non possiamo approvare e non hanno niente a che fare con la costruzione della democrazia, ma solo con la sua erosione. Non vogliamo accettare che la Russia, purtroppo, sia riluttante a offrire ai paesi confinanti, i nostri comuni vicini, un partenariato aperto. Sarebbe nei nostri interessi, e dovremmo chiarire di voler lavorare con la Russia per promuovere tale partenariato, ma con una Russia che riconosce l’indipendenza e la sovranità di tutti i suoi paesi confinanti.

Non possiamo acconsentire a una situazione in cui la Russia cerca giustamente di influenzare altri paesi tramite la sua appartenenza al Consiglio d’Europa o all’OSCE, ad esempio, benché, dall’altro lato, non abbia intenzione di assumersi la responsabilità, e quindi si opponga alla sorveglianza delle elezioni, ad esempio. Non dovremmo sospettare delle elezioni per principio, ma un paese come la Russia, che ritiene di aver sviluppato appieno la propria democrazia, deve anche consentire alcune misure di controllo. Qualora la Russia volesse rivestire un ruolo importante nel Consiglio d’Europa e nell’OSCE, allora dobbiamo esortare il paese a dimostrarlo permettendo che osservatori elettorali verifichino che le elezioni siano trasparenti ed eque. Si tratta di un messaggio chiaro che l’Unione europea dovrebbe trasmettere alla Russia.

 
  
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  Bronisław Geremek (ALDE) . – (PL) Signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, ritengo che, siccome discutiamo le relazioni tra la Russia e l’Unione europea, dovremmo chiederci che cosa vuole la Russia dall’UE e che cosa l’UE si aspetti dalla Russia. Un certo politico russo ha affermato che la Russia ora dovrebbe scegliere una cosiddetta politica di contenimento. Se la Russia lo facesse veramente, in un senso comporterebbe un ritorno all’era della Guerra Fredda. Dovremmo considerare che cosa esattamente la Russia stia tentando di fermare. Forse i venti di libertà che nascono nell’Unione europea? Questo è un problema importante. Nel contempo, l’Unione europea afferma di cercare un partenariato strategico con la Russia.

Di certo la sfida è difficile, e sarebbe meglio ricordare che i principi dello Stato di diritto sono un prerequisito essenziale volto a sviluppare un partenariato solido con la Russia. Lo Stato di diritto prevede l’indipendenza dei tribunali, la libertà dei mezzi di comunicazione, di espressione, nonché quella economica, e il non incarcerare gli imprenditori. Inoltre, prevede l’applicazione dei principi dello Stato di diritto nel settore delle relazioni internazionali, il che implica scongelare i conflitti nel Caucaso e in Moldova, e invitare la comunità internazionale ad affrontare la questione del Kosovo.

 
  
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  Hanna Foltyn-Kubicka (UEN) . – (PL) Signora Presidente, il Vertice UE-Russia coincide con un periodo decisivo nella storia della Russia, vale a dire la fine dell’era del Presidente Putin. Tuttavia, quest’epoca terminerà veramente?

Le elezioni presidenziali nella Federazione russa non condurranno ad alcun cambiamento. Il potere resterà nelle mani dello stesso soggetto che stavolta assumerà la carica di Primo Ministro. E’ previsto che Andrei Lugovoi, il presunto assassino di Alexander Litvinenko, diventi deputato del Parlamento, acquisendo pertanto l’immunità. Le autorità russe tutelano quindi palesemente un individuo che pare abbia commesso un grave crimine sul territorio dell’Unione europea. Nel fare ciò, inviano il chiaro messaggio che gli interessi del Cremlino prevalgono su tutte le leggi e sul rispetto per gli Stati membri dell’Unione europea.

Dopo le elezioni non cambierà nulla. I ceceni continueranno a essere sterminati, la stampa a essere ridotta al silenzio, e le abbondanti riserve di risorse naturali del Cremlino, permetteranno al paese di continuare ad applicare una politica estera brutale. Mi auguro davvero che i rappresentanti dell’Unione europea lo terranno presente durante i colloqui con la delegazione russa. I nostri rappresentanti dovrebbero anche ricordare che gli stessi colloqui sono privi di significato. Lo avranno soltanto se condurranno a cambiamenti autentici nella Federazione russa.

 
  
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  Christopher Beazley (PPE-DE) . (EN) Signora Presidente, vorrei domandare al Presidente in carica del Consiglio e al Commissario, come richiesto ieri, di garantire a quest’Aula che le opinioni espresse saranno comunicate direttamente al Presidente Putin e ai suoi consiglieri a Mafra venerdì.

Siamo venuti a conoscenza dei tre principi guida, che il Presidente Barroso descrive come sacrosanti, di solidarietà, reciprocità e Stato di diritto. Essendo portoghese, il Presidente in carica saprà che il mio paese, l’Inghilterra, vanta una delle più antiche alleanze con il suo paese. Quindi, comprendiamo che cosa significhino solidarietà e sostegno reciproco. Qualora ce ne dimenticassimo, il nostro comune santo patrono, São Jorge, ce lo ricorderebbe.

Un attacco a uno Stato membro o ai diplomatici di uno Stato membro, oppure attacchi informatici a un paese membro, sono attacchi all’intera UE. E’ sicuramente appropriato ricordare al Presidente Putin che solidarietà e reciprocità per noi sono essenziali. Non possiamo accettare il concetto di democrazia sovrana se comporta, da un lato, che la Russia aderisca alle organizzazioni internazionali, signora Commissario, lei ha fatto riferimento all’OMC, promettendo di mantenere gli impegni, se poi non riesce a farlo. Ciò va sottolineato.

Domani Mikhail Khodorkovsky terminerà i suoi quattro anni di pena detentiva in Siberia. Secondo il diritto russo, tale condanna avrebbe dovuto essere scontata a Mosca. Sarebbe opportuno ricordare al Presidente Putin che lo Stato di diritto è a due sensi, per quanto riguarda i nostri rapporti. Khodorkovsky non sarà rimesso in libertà, poiché sono state sollevate nuove accuse.

Ci si potrebbe domandare quale attinenza abbia con l’UE questa situazione. La risposta è che numerose parti interessate europee sono preoccupate che gli impegni commerciali e giuridici non siano rispettati.

Infine, signor Presidente in carica, non siamo condannati alla cooperazione, e non possiamo realizzare un partenariato senza comprensione e rispetto reciproci. Da parte nostra ci stiamo adoperando duramente per garantirlo. Abbiamo bisogno che il Presidente Putin ci rassicuri di aver compreso i nostri principi guida.

 
  
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  Libor Rouček (PSE) . – (CS) Onorevoli colleghi, concordo pienamente con le parole del Ministro Antunes quando afferma che le relazioni UE-Russia sono più forti e solide di quanto possa sembrare a prima vista.

L’UE e la Russia condividono un interesse in un partenariato strategico. Dopotutto viviamo sullo stesso continente. Esiste una dipendenza economica reciproca. Senza una comune collaborazione, non siamo in grado di risolvere alcuna grave questione internazionale, che sia il riscaldamento globale, la non proliferazione delle armi di distruzione di massa, il conflitto nel Medio Oriente o in Kosovo, e così via. In altre parole, relazioni di vicinato solide, versatili ed equilibrate tra UE e Russia sono connesse alla stabilità, la sicurezza e la prosperità dell’intera Europa.

Coltivando e rafforzando tali relazioni non dovremmo dimenticare, tuttavia, i valori fondamentali alla base dell’UE, quali i diritti umani e le libertà civili, la democrazia e lo Stato di diritto. Sono convinto che dovremmo continuare a ricordare questi valori ai colleghi russi, ora che le elezioni in Russia sono imminenti.

Al prossimo vertice di Mafra, l’UE dovrebbe anche ricordare ai nostri partner russi i principi di trasparenza e reciprocità nelle relazioni economiche. I mercati europei dovrebbero di fatto restare aperti alle aziende russe. Analogamente, tuttavia, i mercati russi dovrebbero essere del tutto aperti alle aziende europee, inclusi mercati dell’energia e le società connesse.

 
  
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  Georgios Papastamkos (PPE-DE) . – (EL) Signora Presidente, la transizione a un nuovo partenariato strategico tra UE e Russia non è un’impresa semplice. E’ ostacolata da divergenze consecutive, che talvolta sono fonte di considerevoli tensioni. Una drammatizzazione eccessiva di tali divergenze permette ai modelli costrittivi del passato di riemergere, rende incerto il presente e intralcia progressi costruttivi.

Si possono porre alcune domande ragionevoli in merito al partenariato UE-Russia. La Russia è venuta a patti con la realtà dell’Unione allargata? L’Unione ha superato i suoi problemi originari con l’ampliamento a oriente? I nuovi Stati membri ritengono di partecipare a un sistema europeo di sicurezza efficace? In che modo l’Unione reagisce al tentativo della Russia di ridefinire e rafforzare il suo nuovo ruolo nell’equilibrio internazionale dei poteri? Le due parti proseguiranno in un clima di diffidenza e di “diplomazia silenziosa”, o cercheranno di ottenere piani d’azione comuni?

Onorevoli colleghi, ritengo che approcci esclusivamente settoriali non siano l’alternativa migliore. L’obiettivo dichiarato di creare quattro spazi comuni deve restare vincolante a livello politico, e altrettanto l’obiettivo dell’adesione della Russia all’OMC. Sono quindi necessarie strutture ampie e solide per una cooperazione negli ambiti relativi a: questioni economiche; libertà, sicurezza e giustizia; sicurezza esterna; ricerca, istruzione e cultura. Per un’UE fondata su democrazia, Stato di diritto e libertà fondamentali la “russofobia” è inappropriata. Comprendo la sensibilità tra alcuni cittadini dei nuovi Stati membri, ma un’attenzione eccessiva alle esperienze passate può far sorgere dubbi sulle possibilità di una cooperazione politica trasparente e una stretta interconnessione istituzionale.

Signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, è nel reciproco interesse dell’Unione e della Russia fissare obiettivi politici ed economici comuni per il bene di principio democratico, pace, stabilità e sicurezza.

 
  
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  Józef Pinior (PSE) . – (PL) Signora Presidente, signora Commissario, devo iniziare ponendo l’accento sull’importanza di un partenariato strategico tra l’Unione europea e la Russia, e dichiarando il mio affetto per i cittadini della Federazione russa, e in effetti per tutte le nazioni della Russia. Vorrei inoltre riconoscere i risultati della Russia in termini di sviluppo economico e la sua condotta con la crisi sociale. Un partenariato strategico autentico chiede, tuttavia, un approccio serio e onesto alle relazioni reciproche. L’Unione europea ha osservato con preoccupazione la comparsa di un nuovo sistema di autorità accentrato sul Presidente Putin. Tale sistema minaccia di indebolire in modo permanente la democrazia liberale nella stessa Russia. Sta inoltre alimentando le fiamme del neoimperialismo nella politica estera russa. Nei documenti preparati prima del Vertice UE-Russia, Amnesty International richiama l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani in Russia. Le informazioni fornite da Amnesty riguardano la violazione dei diritti umani da parte delle autorità di governo nel Caucaso settentrionale, ovvero in Cecenia e Inguscezia, il peggioramento della situazione relativa alla libertà d’espressione e d’associazione, l’uccisione di giornalisti e l’aumento della violenza per motivi razziali.

La Presidenza portoghese dovrebbe sollevare al vertice che si svolgerà a Mafra il 26 ottobre 2007 le questioni a cui Amnesty International ha fatto riferimento. La società civile russa, i giornalisti e gli attivisti per i diritti umani hanno bisogno di poter riconoscere nell’Unione europea una custode dei diritti fondamentali e un’alleata di una Russia democratica, liberale e aperta al mondo.

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE) . −(DE)Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, onorevoli colleghi, mi auguro che il Vertice UE-Russia ci spingerà a fermarci per un momento e definire i nostri interessi comuni per una volta, poiché questi interessi comuni senza dubbio esistono. Vi figurano interessi economici e di sicurezza politica, in particolare in merito a questioni quali Medio Oriente, Iran, lotta al terrorismo e così via, laddove dobbiamo riconoscere che non possiamo realizzare i nostri obiettivi senza l’aiuto della Russia. Tuttavia, la Russia deve anche rendersi conto che se non partecipa, minerà i suoi stessi interessi.

Se fossi dalla parte russa, esaminando lo sviluppo demografico della Russia, le ampie distese della Siberia e i paesi della regione con vaste popolazioni, non immaginerei una minaccia da parte dell’Europa. A lungo termine, penserei che la minaccia provenga da altri posti. Ritengo che in questi luoghi sia presente un livello elevato di consenso su cui occorre agire.

Sul cosiddetto versante occidentale, noi, e includo gli americani in questo caso, non ha abbiamo preso davvero seriamente la Russia quando la situazione nel paese non era molto positiva, con il risultato che ora sta passando a un forma più imperialista di condotta. Tale aspetto è applicabile anche agli sviluppi nella stessa Russia, in particolare per quanto riguarda i diritti umani e la libertà di stampa, e le sue sempre più frequenti e inaccettabili dichiarazioni relative all’indipendenza dei paesi limitrofi. Non è plausibile accampare pretese sul “near abroad” della Russia, affinché si adottino certi tipi di condotta verso un paese specifico. Ogni paese gode del diritto di prendere le proprie decisioni su base libera e indipendente, e di determinare la direzione del suo percorso. La Russia deve accettarlo. Non può esistere alcun ritorno a concetti antiquati e all’uso dell’energia come un’arma, che è ancora meno ammissibile.

Qualora iniziassimo nuovamente un’attenta analisi dei nostri interessi, potremmo solo compiere progressi. Ritengo che, una volta condotte le elezioni in Russia, ciò sarà di nuovo possibile, spero inoltre che impedirà alla Russia di procedere lungo la strada economica sbagliata. Le considerevoli rendite che fluiscono nel paese grazie alle sue attività connesse a petrolio e gas, sono utilizzate per rivitalizzare i vecchi complessi dell’industria pesante nel settore aerospaziale, navale e simili. Se la situazione volgesse al peggio, affronterebbero lo stesso scenario disastroso precedente, poiché la Russia non ha costruito una struttura economica solida e di ampio respiro, dotata di piccole e medie imprese, e le conseguenze di questo insuccesso sono ovvie. E’ altresì nei nostri interessi garantire che, qualora calassero i prezzi del petrolio, in Russia non emergano nuove lacune.

 
  
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  Ana Maria Gomes (PSE) . – (PT) Il vertice può rivelarsi utile nel risolvere le ambiguità che continuano a influenzare le relazioni tra l’Unione europea e Mosca. Tuttavia, il Ministro Amado è già stato attento ad abbassare i toni spiegando alla Presidenza di non disporre di un’agenda ambiziosa per il vertice di Mafra.

In una recente intervista a LUSA, la sua controparte, SergeiLavrov, si è lamentato del crescente malessere nell’Unione europea, alludendo all’atteggiamento non costruttivo di certi membri. Eppure, ciò che avvelena le nostre relazioni è la lenta fine di democrazia, diritti umani, libertà di stampa e Stato di diritto in Russia e l’impunità con cui gli ex appartenenti alle forze di sicurezza stanno definendo l’agenda della Federazione russa. Tale situazione preoccupa l’opinione pubblica europea e si riflette nelle nostre relazioni. Si cura il crescente disagio nell’Unione europea, vale a dire dissenso, e il trattato di riforma è un potente rimedio. Purtroppo, non esiste un trattamento imminente per la svolta autocratica della Russia di Putin e, se il Consiglio dell’Unione europea continua a ignorare la situazione, occorrerà ancora più tempo per trovare una cura.

 
  
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  Roberta Alma Anastase (PPE-DE) . (RO) Il Vertice di Mafra del 26 ottobre 2007 si svolgerà in prossimità di eventi di grande importanza per il futuro delle relazioni tra Unione europea e Russia. Ne menzionerei soltanto alcuni: la scadenza dell’accordo di partenariato e cooperazione tra Unione europea e Russia, le elezioni parlamentari del dicembre 2007 e quelle presidenziali del marzo 2008 in Russia. Questo quadro offre la possibilità non solo di esortare la Russia a un dialogo aperto e onesto con l’Unione europea, ma anche di eseguire una revisione distaccata degli ultimi 10 anni di cooperazione.

Associandomi ai precedenti interventi dei miei colleghi, vorrei incentrare il mio discorso sull’importante ruolo che la Russia dovrebbe rivestire nelle aree limitrofe e nella regione del Mar Nero. La revisione degli ultimi 10 anni ci dimostra che in questa regione i conflitti congelati sono continuati e che le relazioni economiche e politiche della Russia con i paesi della regione e i vicini, gli attuali Stati membri dell’Unione europea, non sempre sono basate su reciprocità, fiducia e il principio di buoni rapporti. Se consideriamo i conflitti congelati, un valido e noto esempio recente a questo proposito riguarda le condizioni in cui sono stati rilasciati i prigionieri politici Andrei Ivanţoc e Tudor Popa, sicuri del fatto che l’area è instabile, che l’insicurezza influenza l’intera regione. Di conseguenza, il Vertice di Mafra dovrebbe anche affrontare questi temi, ricordando l’obiettivo fondamentale di cui l’Unione europea si è assunta l’impegno, vale a dire creare una zona reale di democrazia, stabilità e prosperità nella regione del Mar Nero e nelle aree limitrofe.

In questo quadro, la posizione della Russia e il coinvolgimento costruttivo a questo proposito, secondo le norme e gli obblighi internazionali, dovrebbe rappresentare un tema continuo nel dialogo dell’Unione europea con questo paese. Un partenariato veramente strategico e una relazione forte e vantaggiosa prevede maggiore responsabilità e un deciso impegno da entrambe le parti.

 
  
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  Katrin Saks (PSE) . (ET) Ieri, in Parlamento, è iniziato uno spettacolo ungherese di burattini. Sono rimasta colpita dal pensiero di come talvolta esprimiamo il nostro voto in quest’Aula, alzando insensibilmente le nostre mani. Siamo diventati burattini?

Si dice che esistano accordi segreti su una proposta della Presidenza di consentire alla risoluzione relativa alla Russia di sfuggire all’attenzione, apparentemente in modo da non gettare un’ombra sull’atmosfera del Vertice UE-Russia. E’ riprovevole rinunciare in maniera così remissiva alla nostra posizione per quanto riguarda l’espressione di noi stessi.

E’ il migliore esempio del modo in cui l’Europa non sia riuscita a comprendere che il problema nelle relazioni con la Russia non sia riscontrabile nei dettagli, ma in come ci comportiamo. In precedenza il Parlamento europeo era contrario a situazioni simili, ma oggi mi sembra che le paure che seguitano a paralizzare la società russa, abbiano iniziato a influenzarci.

Per quale motivo facciamo costantemente eccezioni per la Russia? Continuiamo a credere come prima nei nostri principi o permettiamo che penetri nella nostra testa il pensiero che la Russia è talmente diversa che non solo i nostri pancake, ma anche le nostre relazioni come un partenariato debbano essere in stile russo? Una condotta simile è controproducente per entrambe le parti, per l’Unione europea e per la Russia.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE-DE) . (EN) Signora Presidente, credo sia ora di affrontare la realtà. L’onorevole Watson ha affermato che nel meccanismo attuale di cooperazione esistono crepe che stanno diventando spaccature. L’accordo di partenariato e cooperazione proclama che condividiamo gli stessi valori. Tuttavia, alcuni anni fa, Chris Patten scrisse che non riteneva avessimo veramente in comune i medesimi valori a questo punto. La tradizionale caratteristica delle politiche statali russe è una falsa apparenza, realizzando i villaggi di Potemkin, e il Presidente Putin sta ancora fingendo di possedere una democrazia, avendo quasi portato a termine la costruzione di uno Stato autoritario nazionalista.

Inoltre, vogliamo credere che le prossime elezioni saranno decisive. Ne dubito, poiché è stato preparato tutto per manipolare queste elezioni e ottenere risultati secondo le richieste del Presidente Putin, inclusi falsi partiti di opposizione e la creazione di finte ONG. Qualora adesso approvassimo tale condotta di falsa apparenza, fingendo di credere in questa sorta di democrazia, saremmo corresponsabili di ciò che accadrà in Russia e del destino dei cittadini russi comuni che meritano di più di questa democrazia contraffatta.

Mi oppongo con forza, quindi, alla dichiarazione del Consiglio in merito al fatto che non esista alternativa alla cooperazione. La democrazia si basa sulla creazione e la disponibilità di alternative, e dobbiamo inoltre adoperarci per difendere in modo deciso i diritti umani. Occorre equilibrare le nostre relazioni e comunicare che siamo pronti a interrompere la nostra cooperazione se la Russia non rispondesse con reciprocità e apertura.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, ho prestato grande attenzione a tutti gli interventi formulati oggi in quest’Aula in merito al vertice imminente tra l’Unione europea e la Russia e, in generale, alla relazioni tra UE e Russia, nonché al modo in cui considerate la situazione interna. Devo dire che, poiché, ovviamente, è mio dovere, ho debitamente preso nota e terrò conto di queste opinioni.

A mio parere, esiste un filo comune a tutti i commenti e le analisi eseguite oggi in Parlamento, ovvero che la Russia è un partner strategico per l’Unione europea. L’UE ha bisogno della Russia nello stesso modo in cui la Russia ha bisogno dell’UE. E’sulla base di queste conclusioni assolutamente innegabili che dobbiamo costruire una relazione che, di certo, è reciprocamente vantaggiosa, ma anche solida e stabile, fondata su valori e principi comuni.

Sono stati menzionati solidarietà, diritti umani e reciprocità. Ora più che mai l’Unione europea deve essere risoluta nei confronti della Russia in termini di solidarietà interna. Un problema di uno Stato membro, e l’ho sempre sostenuto, è un problema di tutti gli Stati membri. Questa solidarietà non può essere messa in discussione in nessuna circostanza.

Per quanto riguarda i diritti umani, tutti sappiamo che la base della nostra Unione è costituita dal rispetto di Stato di diritto, democrazia e diritti umani. Questi sono i nostri valori e principi inalienabili, che, in ogni caso, devono guidare le relazioni con paesi terzi.

Da parte nostra, dobbiamo certamente garantire reciprocità. Tuttavia, nel fare ciò, siamo anche autorizzati ad attenderci reciprocità da parte degli altri. Qualora, in questo periodo, esistessero spaccature come ha affermato il deputato, ritengo che l’Unione europea e la Russia possano soltanto prepararsi a ottenere risultati facendo tutto il possibile nel quadro di riferimento che ho menzionato, in altre parole un quadro di solidarietà, reciprocità e rispetto per i diritti umani.

Per l’Unione europea, di certo è fondamentale comporre tali spaccature ed è pertanto l’ambito su cui opereremo. Nel nostro lavoro saremo naturalmente consapevoli delle difficoltà e dei diversi obiettivi, ma saremo anche determinati poiché sappiamo che la situazione attuale non giova ai migliori interessi dell’Unione. Ovviamente è nostro dovere lavorare negli interessi dell’Unione europea e lo faremo in modo aperto e trasparente, esprimendoci in maniera diretta come dobbiamo sempre fare con partner che consideriamo strategici.

Si tratterà di certo di un dialogo intenso e importante. Ci occuperemo di economia, commercio, diritti umani e naturalmente della situazione politica internazionale e regionale. Speriamo, ed è la direzione che vorremmo intraprendere, nonostante le difficoltà, i problemi e le divergenze d’opinione, malgrado tutto, di essere in grado, al termine del vertice di venerdì, di affermare che sono stati compiuti alcuni progressi nelle nostre relazioni e che, a dispetto delle difficoltà, e che siamo riusciti a realizzare i nostri obiettivi.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. −(DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, desidero trattare alcuni degli aspetti citati. La discussione ha chiarito una cosa: gli odierni rapporti di tensione molto ampi in quest’Aula.

Sono ancora del parere che la Russia sia un partner strategico. Tuttavia, ho anche sostenuto che si tratta certamente di un paese vicino e perciò è particolarmente importante considerare molto seriamente le questioni sollevate da Graham Watson, Christopher Beazley e altri. In effetti le trattiamo con serietà.

Ripensiamo rapidamente al precedente vertice di Samara. In tale occasione, Angela Merkel, in quanto Presidente del Consiglio, illustrò in modo chiaro i suoi piani, non solo durante l’incontro, ma anche ai mezzi di comunicazione. Non pensate, quindi, che questi valori non siano importanti per noi. Sappiamo che ci sono stati sviluppi molto preoccupanti per quanto riguarda la libertà dei mezzi di comunicazione, l’indipendenza del sistema giudiziario e la questione dell’imparzialità, anche in relazione alle elezioni.

Tutte le questioni sollevate oggi certamente sono quelle giuste. Tuttavia, consentitemi di sostenere che i commenti di Elmar Brok rappresentano poco il mio punto di vista, vale a dire che occorre definire chiaramente i nostri interessi. Da un lato, a questo proposito, sono in gioco problemi considerevoli, certo, mentre dall’altro, esistono diritti umani e interessi democratici.

E’ inoltre importante, ovviamente, menzionare i tre grandi principi a cui ha fatto riferimento l’onorevole Beazley: solidarietà, reciprocità e Stato di diritto. Naturalmente, compaiono sotto varie forme e non possiamo discuterne. Onorevole Beazley, lei ha pienamente ragione, ma posso assicurarle che si parlerà anche di questo.

So che il Presidente Barroso tratterà molto chiaramente tali questioni, in particolare nel quadro dell’energia, ad esempio. Com’è noto, la Commissione ha appena adottato un pacchetto di misure rivolte in questa direzione.

Detto ciò, desidero soltanto ricordarvi una cosa: più siamo pronti in modo autentico a esprimerci a una voce nell’Unione europea, più saremo risoluti. Come sappiamo, non sempre riusciamo a farlo. Tuttavia, più la Russia diventa forte, più dovremmo parlare a una voce. Esiste questa dipendenza energetica, ma possiamo difendere efficacemente i nostri interessi soltanto se trasmettiamo un messaggio deciso e chiaro.

Probabilmente in passato non abbiamo prestato abbastanza attenzione a quest’aspetto, e quando la Russia si trovava in una posizione economica più debole, per così dire, forse non le abbiamo offerto sostegno sufficiente. Oggi, tuttavia, dobbiamo perseguire una posizione basata sulla reciprocità e cercare un approccio autentico di partenariato, ma ciò significa che la Russia deve riconoscere anche i fattori che per noi sono importanti.

 
  
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  Presidente . − Per concludere la discussione comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) conformemente all’articolo 103, paragrafo 2 del regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà durante la prossima seduta.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  András Gyürk (PPE-DE), per iscritto.(HU) In relazione al Vertice UE-Russia, desidero richiamare l’attenzione su alcuni fattori riguardanti la politica energetica. Non si esagera nell’affermare che le regole dell’economia di mercato attualmente non sono applicate all’industria russa dell’energia. La Russia non si identifica con i principi di protezione degli investimenti stranieri e di commercio non discriminatorio. Questo paese cerca un accesso al settore europeo dell’energia, ma nel contempo non apre il proprio mercato alle imprese straniere. Negli ultimi anni, nelle questioni relative all’energia, in numerose occasioni abbiamo anche notato che Mosca utilizzava le esportazioni di energia al fine di esercitare pressione politica. Questa situazione è proseguita di pari passo con gli sforzi finalizzati a seminare discordia tra gli Stati membri dell’Unione europea.

Laddove si elabora una politica energetica europea comune, occorre tenere conto del fatto che la Russia non sia in grado di far fronte al suo consumo di gas naturale e alle richieste di esportazione dalle proprie fonti. Una percentuale significativa del fabbisogno di gas è quindi importata dall’Asia centrale. Un calo delle forniture potrebbe far sì che in futuro Mosca approfitti in maggior misura della politica per soddisfare la domanda energetica.

Crediamo sia importante applicare il principio di libera concorrenza anche alle relazioni esteri dell’Unione europea. Dobbiamo chiarire che riteniamo inammissibile tentare di creare un monopolio sulle risorse energetiche. Garantire una fornitura stabile di energia è una preoccupazione fondamentale dell’Unione europea. Siamo convinti che la crescente pressione esercitata sugli Stati membri possa essere combattuta con successo solo con un’Unione europea unita, che agisce secondo il principio di solidarietà comunitaria.

Attualmente, è impossibile immaginare una fornitura energetica d’Europa senza la Russia. Nel contempo, tuttavia, questo rapporto speciale deve essere fondato sulla reciprocità.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE), per iscritto.(DE) Ora e in passato, l’UE e la Russia sono unite dalla loro storia comune, da forti contatti economici e politici e da tradizioni condivise. La loro stretta cooperazione si è intensificata ulteriormente mediante il continuo processo di globalizzazione e la crescente domanda di combustibili fossili dei paesi europei. Al fine di salvaguardare la fornitura di energia anche in futuro, gli Stati membri dell’UE sono dipesi da una collaborazione ancora più intensa nel settore dagli anni ‘90.

La Carta dell’energia rappresenta uno strumento essenziale in questo quadro. Questo trattato serve a promuovere lo sviluppo del potenziale energetico dei paesi dell’Europa orientale, garantendo agli Stati membri dell’UE una fornitura costante di energia. Se la linea tra le questioni di politica estera/commercio esterno e di approvvigionamento energetico sta diventando sempre più indistinta, la mancata ratifica della Carta dell’energia da parte della Russia è preoccupante. A questo proposito, i diritti conservati nella Carta dei diritti fondamentali non devono mai essere a rischio, nemmeno nelle relazioni esterne dell’UE.

Alla luce della forte interdipendenza economica tra UE e Russia, segnali economici minacciosi non possono mai rappresentare uno strumento utile con cui realizzare obiettivi di politica estera e devono quindi essere respinti. Invito la Commissione e il Consiglio a resistere ai tentativi della Russia di assicurarsi vantaggi unilaterali sui mercati europei dell’energia. E’ un dovere salvaguardare la piena reciprocità nella liberalizzazione del mercato e la tutela degli investimenti.

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 11.40 per la consegna del premio Lux, è ripresa alle 12.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. GÉRARDONESTA
Vicepresidente

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, ho una richiesta da presentare al Presidente del Parlamento, non a lei in quanto Presidente nel corso della seduta, ma al Presidente di quest’Assemblea.

Avanzo tale richiesta a nome del mio gruppo. Tuttavia, sono certo di parlare per tutti i gruppi democratici di quest’Aula. Sono del parere che, come i miei colleghi, la questione che desidero sollevare è talmente grave che devo chiedere al Presidente Pöttering di intervenire contro le persone di cui sto per fare il nome.

Negli ultimi due giorni, a Budapest si sono verificate grandi proteste. Non c’è niente di nuovo: le manifestazioni sono una normale consuetudine nelle capitali d’Europa, e talvolta sfociano progressivamente in violenze. Di certo si può avere qualcosa da obiettare in merito, ma non è possibile prevederlo. Tuttavia, negli ultimi giorni, gli eventi di Budapest hanno assunto una nuova dimensione, e vorrei spiegarvi il motivo.

Si può pensare ciò che si vuole del Primo Ministro Gyurcsány. Si può essere favorevoli o contrari. La cosa inammissibile, onorevoli colleghi…

(Tumulto in Aula)

Si può essere dalla parte del Primo Ministro Gyurcsány o meno. La cosa inammissibile, onorevoli colleghi, vi consiglio di osservare con attenzione chi sta già cercando di farmi tacere, la cosa inammissibile è che un Primo Ministro nell’Unione europea sia bollato come “sporco ebreo” nel corso delle manifestazioni. Questo aspetto aggiunge una nuova dimensione, e si tratta della dimensione dei fascisti, da questo lato dell’Aula.

(Applausi prolungati)

Signor Presidente, le sarei grato se potesse chiedere al Presidente Pöttering di esprimere il totale appoggio del Parlamento per l’emanazione di una nota di biasimo per queste persone.

(L’Assemblea, in piedi, applaude lungamente)

 
  
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  Presidente . – La ringrazio.

Credo che il messaggio sia stato pienamente compreso, ma lo trasmetterò certamente.

 
  
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  Graham Watson (ALDE) . (EN) Signor Presidente, sollevo una questione del tutto diversa. Vorrei soltanto esprimerle, a nome di molti del mo gruppo e sono certo anche di altri, i miei ringraziamenti per aver organizzato la presentazione del premio Lux. E’ quel tipo di iniziativa mai intrapresa prima in Parlamento. E’ quel tipo di iniziativa che dovremmo favorire, e, come una volta affermò l’ex Primo Ministro svedese, “i politici dovrebbero andare più spesso al cinema”.

(Applausi)

 
  
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  Presidente . Vi ringrazio per i vostri commenti.

Onorevoli deputati, ho il piacere di ricordarvi che oggi festeggiamo il 62° anniversario delle Nazioni Unite. Negli ultimi giorni avreste dovuto ricevere una copia del messaggio del Segretario generale dell’ONU per l’occasione.

Desidero inoltre comunicarvi l’odierno avvio ufficiale della relazione annuale relativa alla cooperazione tra Unione europea e ONU in materia di gestione delle crisi, sviluppo e promozione della democrazia e dei diritti umani nel Parlamento europeo di Strasburgo. Questo documento è la dimostrazione dell’importanza dei rapporti tra le nostre istituzioni, del nostro impegno comune a favore del multilateralismo e del significato della nostra collaborazione per la pace e il benessere dei nostri cittadini.

 
  

(1) Vedasi processo verbale.


6. Dichiarazione della Presidenza

7. Benvenuto
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  Presidente . – Ho il piacere di informarvi che, nel quadro delle riunioni interparlamentari, una delegazione della Mauritania, guidata da Ould Tolba, è attualmente in visita al Parlamento europeo. Desidero porgere un caloroso benvenuto ai nostri ospiti e porre l’accento sull’importanza che attribuiamo a una simile visita, la prima in Europa da quasi 10 anni.

Tramite le proprie missioni di monitoraggio elettorale l’Unione europea ha prestato particolare attenzione alla recente transizione politica in Mauritania, che potrebbe costituire un esempio per la regione. Ci congratuliamo per le elezioni democratiche del vostro capo di Stato e del Parlamento e, a nome di quest’Assemblea, spero che i vostri incontri in quest’Aula siano vantaggiosi e che la vostra visita a Strasburgo possa contribuire attivamente ad avvicinare le nostre due istituzioni. Vi ringrazio nuovamente per la vostra visita.

 

8. Turno di votazioni
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  Presidente . L’ordine del giorno reca la votazione.

(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)

 

8.1. Notificazione e comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (votazione)
  

– Raccomandazione per la seconda lettura Gauzès (A6-0366/2007)

 

8.2. Accordo di riammissione fra la CE e la Bosnia-Erzegovina (votazione)
  

– Relazione Fava (A6-0385/2007)

 

8.3. Accordo sui visti per soggiorni di breve durata tra la CE e la Bosnia-Erzegovina (votazione)
  

– Relazione Fava (A6-0384/2007)

 

8.4. Accordo di riammissione fra la CE e la Serbia (votazione)
  

– Relazione Fava (A6-0386/2007)

 

8.5. Accordo sui visti per soggiorni di breve durata tra la CE e la Serbia (votazione)
  

– Relazione Fava (A6-0387/2007)

 

8.6. Accordo di riammissione fra la CE e il Montenegro (votazione)
  

– Relazione Vălean (A6-0380/2007)

 

8.7. Accordo sui visti per soggiorni di breve durata tra la CE e il Montenegro (votazione)
  

– Relazione Vălean (A6-0379/2007)

 

8.8. Accordo di riammissione fra la CE e l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia (votazione)
  

– Relazione Vălean (A6-0381/2007)

 

8.9. Accordo sui visti per soggiorni di breve durata tra la CE e l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia (votazione)
  

– Relazione Vălean (A6-0383/2007)

 

8.10. Accordo sui visti per soggiorni di breve durata tra la CE e l’Albania (votazione)
  

– Relazione Vălean (A6-0382/2007)

 

8.11. Privilegi e immunità dell’on. Gian Paolo Gobbo (votazione)
  

– Relazione Wallis (A6-0367/2007)

– Prima della votazione

 
  
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  Bruno Gollnisch, a nome del gruppo ITS.(FR) Signor Presidente, credo che la prossima relazione sia quella dell’onorevole Wallis. A nome del mio gruppo, il gruppo Identità, Tradizione, Sovranità, vorrei invocare l’articolo 168 e presentare una mozione affinché tale relazione sia rinviata alla commissione.

Signor Presidente, questa mozione si basa sull’articolo 168 del regolamento. Dopo aver letto la relazione dell’onorevole Wallis, risulta evidente che la relatrice e probabilmente la commissione sono confusi in merito agli articoli 9 e 10 del protocollo sui privilegi e sulle immunità.

La relazione asserisce che il comportamento dell’onorevole Gobbo non è stato conforme all’articolo 9, ma tale articolo riguarda le parole e le azioni del deputato nell’esercizio delle sue funzioni, vale a dire in quest’Aula. Di conseguenza, non si sarebbe dovuto prendere in esame l’articolo 9, ma l’articolo 10, che riguarda le altre azioni di un deputato. Ciò che occorreva verificare era se le azioni dell’onorevole Gobbo, che, devo aggiungere, non appoggio a livello politico, rientravano nell’ambito politico.

Ovviamente tali azioni ricadevano in quest’ambito. L’onorevole Gobbo ha compiuto una serie di azioni nel nome di ciò che egli definisce “Padania”. Naturalmente si tratta di atti politici e non c’è dubbio che, considerata la tradizionale giurisprudenza in materia d’immunità, un parlamentare di qualsiasi altra parte politica avrebbe ottenuto una conferma della propria immunità, com’è accaduto nel Parlamento italiano per i deputati nazionali che si sono comportati come l’onorevole Gobbo.

Pertanto, se si adotterà la relazione dell’onorevole Wallis nella sua forma attuale, rischiamo di introdurre una distinzione, un tipo di discriminazione tra l’immunità nazionale ed europea, contraria al protocollo, che si riferisce proprio a quella nazionale. Per questa ragione, ritengo che questa relazione dovrebbe essere rinviata alla commissione.

 
  
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  Francesco Enrico Speroni (UEN) . Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io sono favorevole al rinvio in commissione, anche se le mie motivazioni potrebbero essere diverse.

In effetti, se guardiamo gli articoli 5, 6 e 7 del regolamento e gli articoli 9 e 10 del protocollo, chiaramente il Parlamento non dovrebbe avere la competenza ad esprimersi sui fatti attribuiti al collega Gobbo, semplicemente perché all’epoca di tali fatti, Gian Paolo Gobbo non era parlamentare europeo.

Quindi l’articolo 9 del protocollo che difende la libertà di espressione del parlamentare si riferisce a chi, quando ha usato delle espressioni o quando ha commesso degli atti identificabili con le espressioni, è membro del Parlamento. Siccome Gobbo non era parlamentare all’epoca dei fatti, la soluzione più corretta, a nostro giudizio, dovrebbe essere che il Parlamento non può prendere posizione perché non era un nostro collega.

 
  
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  Diana Wallis (ALDE), relatrice. (EN) Signor Presidente, in quanto autrice di questo documento a nome della commissione giuridica, posso confermare a quest’Aula che, in sede di commissione, si è verificata una piena discussione prima che la relazione fosse presentata in plenaria. La commissione ha altresì ascoltato l’onorevole Gobbo, e una netta maggioranza si è espressa a favore del testo.

E’ un peccato che l’onorevole Gollnisch non abbia sollevato le questioni menzionate in precedenza, ma sono assolutamente sicura e fiduciosa che la commissione abbia assunto la sua posizione nella piena consapevolezza di tutti i fatti e i regolamenti. Non vedo ragione per cui ora la relazione dovrebbe essere rinviata alla commissione.

 
  
  

(Il Parlamento respinge la richiesta di rinvio alla commissione)

 

8.12. Mobilitazione del Fondo di solidarietà dell’Unione europea (votazione)
  

- Relazione Böge (A6-0393/2007)

 

8.13. Progetto di bilancio rettificativo n. 6/2007 (votazione)
  

- Relazione Elles (A6-0401/2007)

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, vorrei fare una dichiarazione a nome della Commissione. Nel suo progetto preliminare di bilancio rettificativo n. 6/2007, la Commissione ha proposto la creazione di una nuova voce di bilancio: “Richieste di risarcimento nel quadro di impugnazioni di decisioni della Commissione nel settore della concorrenza” e la classificazione delle spese attinenti secondo la rubrica 1a del quadro finanziario pluriennale, poiché riguarda un’attività operativa nel settore della politica di concorrenza.

La Commissione si farebbe carico delle possibili implicazioni di questa voce di bilancio derivanti dalle sentenze della Corte di giustizia o del Tribunale di primo grado nel settore della concorrenza. La necessità di tale voce di bilancio nasce dalle recenti sentenze del Tribunale di primo grado e dalla struttura del bilancio. Se le sanzioni nell’ambito della politica di concorrenza sono comprese nelle entrate del bilancio generale, le somme da corrispondere richiedono la creazione di una voce di bilancio nel lato delle spese del bilancio, che al momento non esiste.

La Commissione tiene conto del fatto che l’autorità di bilancio non intende approvare la creazione di tale voce di bilancio per l’anno 2007. Nonostante questa decisione, ove necessario, la Commissione può dover procedere con i pagamenti al fine di rispettare gli obblighi giuridici risultanti dalle sentenze della Corte del 2007 nei limiti del bilancio attuale e in applicazione delle norme pertinenti.

Non pregiudica la decisione finale sulla creazione di una linea di bilancio dedicata e sulla classificazione delle spese attinenti nel quadro finanziario pluriennale.

 

8.14. Protocollo di modifica dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS) (votazione)
  

– Raccomandazione Susta (A6-0403/2007)

– Prima della votazione

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE) . (EN) Signor Presidente, la base per l’accordo con il Consiglio in merito a questa relazione è stata una dichiarazione espressa dalla Commissione che si presumeva di leggere ieri nel corso della discussione. Tuttavia, tale dichiarazione non è stata letta. Qualora il Consiglio fosse d’accordo di aggiungerla al processo verbale o di dotarla di una qualche sorta di status giuridico e trasparenza, allora si favorirebbe ulteriormente il processo a questo proposito.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. (EN) Signor Presidente, l’accesso a prodotti farmaceutici venduti a un prezzo accessibile nei paesi poveri in via di sviluppo e in quelli meno avanzati è un aspetto essenziale per realizzare gli obiettivi europei per lo sviluppo proposti e contribuirebbe alla riduzione della povertà, a un aumento della sicurezza delle persone e alla promozione dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile. Penso si concordi sull’importanza di garantire la coerenza delle politiche europee e che tale coerenza nelle azioni esterne dell’UE, vale a dire nelle politiche per il commercio e lo sviluppo, dovrebbe andare di pari passo.

Ci rendiamo conto che il sistema creato dalla decisione dell’OMC e il protocollo all’accordo TRIPS rappresenti solo una parte della soluzione al problema dell’accesso a medicinali e salute pubblica, e che le altre misure per migliorare l’assistenza sanitaria e le infrastrutture sono ugualmente indispensabili. Anche se l’emendamento al TRIPS non è la soluzione totale, riteniamo che l’approvazione positiva del protocollo costituisca un passo importante.

A questo scopo, vale la pena ricordare che gli Stati membri dell’Unione europea, secondo le norme dell’OMC, sono liberi di utilizzare le diverse eccezioni previste dall’accordo TRIPS nella loro legislazione brevettuale nazionale, comprese quelle contemplate dall’articolo 30 dell’accordo TRIPS.

Inoltre, al fine di facilitare l’accesso ai medicinali in paesi con capacità di produzione nel settore farmaceutico insufficienti o inesistenti, il Consiglio, il Parlamento europeo e la Commissione hanno lavorato duramente per adottare il regolamento (CE) n. 816/2006 concernente la concessione di licenze obbligatorie per brevetti relativi alla fabbricazione di prodotti farmaceutici destinati all’esportazione verso paesi con problemi di salute pubblica.

Permettetemi di aggiungere che sosteniamo l’uso delle “flessibilità” create nell’accordo TRIPS e riconosciute dai paragrafi 4, 5 e 6 della dichiarazione di Doha, nonché le flessibilità supplementari per i paesi meno sviluppati rese disponibili conformemente al paragrafo 7 della dichiarazione di Doha, al fine di poter fornire i farmaci essenziali a prezzi accessibili secondo i loro programmi nazionali in materia di salute pubblica.

Nell’ottica della dichiarazione di Doha nel quadro dei negoziati APE con i paesi ACP e altri futuri accordi bilaterali e regionali con i paesi poveri in via di sviluppo e quelli meno avanzati, l’Unione europea non chiede, e non prevede di farlo, di negoziare disposizioni connesse all’ambito farmaceutico, talvolta indicate come TRIPS+ disposizioni, che riguardano la salute pubblica e l’accesso ai medicinali.

Infine, consideriamo positive le iniziative che incoraggiano trasferimento di tecnologie, ricerca, rafforzamento delle capacità, sistema di fornitura regionale e assistenza per l’iscrizione al fine di facilitare e perfezionare la produzione di farmaci da parte degli stessi paesi in via di sviluppo e lavoreremo con gli Stati membri a questo scopo.

Per quanto riguarda le misure corrispondenti e le procedure di bilancio, siamo certi che l’impegno del Parlamento europeo che ha sollevato la visibilità della questione dell’accesso ai medicinali contribuirà ad accrescere la loro efficienza.

 

8.15. Modifica dell’articolo 173 del Regolamento del Parlamento europeo sul resoconto integrale (votazione)
  

– Relazione Corbett (A6-0354/2007)

– Dopo la votazione

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE) . – (FR) Mi scusi, signor Presidente, ma ho qualcosa di molto importante da dire. La votazione sulla relazione Corbett ora ci consentirà di tornare alla normalità. Le discussioni in plenaria saranno tradotte in tutte le lingue. Adesso occorre un’attuazione effettiva e, siccome domani voteremo il bilancio, propongo di preparare emendamenti al bilancio, in modo che...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Presidente . Le nuove disposizioni entreranno in vigore il primo giorno della prossima seduta, ovvero il 12 novembre.

 

8.16. Comitato consultivo europeo per la governance statistica (votazione)
  

– Relazione: Bowles (A6-0327/2007)

 

8.17. Comitato consultivo europeo della politica dell’informazione statistica comunitaria (votazione)
  

– Relazione: van den Burg (A6-0328/2007)

 

8.18. Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (votazione)
  

– Relazione Mantovani (A6-0245/2007)

- Dopo la votazione sulla proposta della Commissione

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM) . (EN) Signor Presidente, su mozione di procedura, sta nuovamente gestendo le attività a una velocità a cui non è possibile votare. Ieri, il Presidente del Parlamento ci ha comunicato che era comprensibile compiere alcuni errori, compromettendo la votazione, poiché statisticamente accadrebbe comunque. In questo caso non si verifica tale situazione perché stiamo votando così rapidamente che è impossibile vedere come stanno votando i deputati. Può rallentare?

(Applausi)

 
  
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  Presidente . – Onorevoli deputati, consentitemi di mostrarvi quanto lavoro abbiamo ancora da svolgere oggi. Come potete immaginare, se rallentiamo, non finiremo mai.

(Applausi)

 

8.19. Pile e accumulatori e loro rifiuti (competenze di esecuzione conferite alla Commissione) (votazione)
  

– Relazione: Blokland (A6-0232/2007)

 

8.20. Infrastruttura di comunicazione per l’ambiente del sistema di informazione Schengen (SIS) (regolamento) (votazione)
  

- Relazione: Coelho (A6-0358/2007)

 

8.21. Adesione di Bulgaria e Romania alla convenzione del 18 dicembre 1997 relativa alla mutua assistenza e alla cooperazione tra amministrazioni doganali (votazione)
  

– Relazione: Toma (A6-0352/2007)

 

8.22. Strategia tematica per l’uso sostenibile dei pesticidi (votazione)
  

– Relazione: Belohorská (A6-0291/2007)

 

8.23. Fonti energetiche convenzionali e tecnologia energetica (votazione)
  

– Relazione: Reul (A6-0348/2007)

 

8.24. Strategia comunitaria per ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri (votazione)
  

– Relazione Davies (A6-0343/2007)

– Prima della votazione

 
  
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  Martin Schulz (PSE) . – (DE)Signor Presidente, ho una richiesta. Chiedo di modificare l’ordine di voto sugli emendamenti secondo l’articolo 155, paragrafo 2. E’ evidente dall’elenco di voto che l’emendamento n. 51 ha una portata più vasta degli emendamenti nn. 42 e 52, pertanto chiederei di esprimere il nostro voto prima sull’emendamento n. 51 e poi sugli emendamenti n. 42 e 52.

 
  
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  Presidente . I servizi di seduta non sono d’accordo, ma chiederò all’onorevole Davies di fornire una breve spiegazione.

 
  
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  Chris Davies (ALDE), relatore. – (EN) Signor Presidente, molto semplicemente concordo con l’elenco di voto presentato al Parlamento.

 
  
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  Presidente . Stando così le cose, secondo la tradizione, dobbiamo seguire il consiglio del nostro relatore.

 

8.25. Contributo delle politiche fiscali e doganali alla strategia di Lisbona (votazione)
  

– Relazione Wagenknecht (A6-0391/2007)

– Prima della votazione sul paragrafo 37

 
  
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  Piia-Noora Kauppi (PPE-DE) . (EN) Signor Presidente, la modifica che intendiamo proporre è che il Parlamento, in questa fase, “noti” anziché “accogliere” il fatto che la Commissione abbia presentato una comunicazione sulla detrazione per perdite, poiché in sede di commissione per gli affari economici e monetari è in corso il lavoro sulla relazione a questo proposito.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

– Prima della votazione finale

 
  
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  Sahra Wagenknecht, relatrice. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo sia più deplorevole che quest’Assemblea non abbia avuto il coraggio di formulare una critica autentica e seria di una tendenza della politica fiscale nell’Unione europea che sta procedendo del tutto nella direzione sbagliata, che approfitta delle multinazionali e delle persone facoltose in una misura inconcepibile, mentre i consumatori, i lavoratori e soprattutto chi è sottopagato affrontano oneri fiscali sempre maggiori.

A mio parere, nella sua forma attuale, la relazione è inaccettabile. Ho intenzione di ritirare il mio nome da questo testo e appellarmi a tutti i deputati di quest’Aula che vogliono veramente un politica fiscale per l’Unione europea che non sia utile solo agli interessi dell’élite, ma della maggioranza dei cittadini europei. Esprimete voto contrario su tale relazione.

 
  
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  Presidente . – Onorevole Wagenknecht, teniamo conto della sua dichiarazione.

 

8.26. Libro verde: Verso un’Europa senza fumo: opzioni per un’iniziativa dell’Unione europea (votazione)
  

– Relazione: Florenz (A6-0336/2007)

– Prima della votazione sul paragrafo 23

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE) . (EN) Signor Presidente, desidero aggiungere solo l’espressione “con urgenza” dopo “Commissione”, per ovvie ragioni.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

 

8.27. Relazioni tra l’Unione europea e la Turchia (votazione)
  

– Proposte di risoluzione (B6-0376/2007, B6-0398/2007)

– Prima della votazione sul paragrafo 19

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE) . (EN) Signor Presidente, presento un emendamento orale, ma è nel testo. Il mio emendamento orale è: “e promuovere l’applicazione di standard ambientali europei ad attività minerarie su larga scala e a progetti relativi a dighe”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DIANA WALLIS
Vicepresidente

 

9. Dichiarazioni di voto
  

- Relazione: Gauzès (A6-0366/2007)

 
  
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  Daniel Strož (GUE/NGL), per iscritto. −(CS) Si può ragionevolmente presumere che il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglioriguardante la notifica di atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale, come raccomandato in seconda lettura (posizione comune del Consiglio), contribuirà a rafforzare la sicurezza giuridica di persone fisiche o giuridiche negli Stati membri. E’ noto che la notifica di suddetti documenti sia una questione seria, con un impatto significativo sul processo della giustizia e sulle relazioni civili e commerciali. Ritengo che la raccomandazione del Parlamento europeo sia in linea con l’impegno di produrre una normativa di qualità elevata a livello comunitario.

 
  
  

– Relazione: Vălean (A6-0381/2007)

 
  
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  Daniel Strož (GUE/NGL), per iscritto. −(CS) In relazione agli accordidi riammissione e di facilitazione del rilascio dei visti per soggiorni di breve durata fra la Comunità europea e la ex Repubblica iugoslava di Macedonia che devono essere approvati dal Parlamento europeo, ritengo che per quanto questi accordi (e altri simili con paesi dei Balcani occidentali) siano importanti in termini di consolidamento generale dello Stato di diritto e di lotta contro il crimine, le questioni legate all’emigrazione illegale dovrebbero essere risolte innanzi tutto mediante strumenti economici e politici. Inoltre, vorrei sottolineare un ulteriore fattore rilevante menzionato nelle relazioni pertinenti, ovvero che la conclusione di tali accordi comporterà un considerevole onere finanziario per la Macedonia e gli altri paesi dei Balcani occidentali. Tenendo conto della situazione economica in questi Stati, è fondamentale che la Comunità fornisca un’assistenza adeguata ed efficace, soprattutto in ambito finanziario.

 
  
  

– Relazione: Vălean (A6-0383/2007)

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL)Ricordo che nei primi anni ‘60 esistevano requisiti reciproci per i visti per gli abitanti dei paesi dell’allora Comunità europea e per quelli dell’ex Repubblica federale socialista di Iugoslavia. Poco tempo dopo tali requisiti sono stati aboliti.

Ciò significava che le popolazioni dei sette paesi che insieme, all’epoca, formavano ancora la Iugoslavia erano libere di viaggiare per gran parte dell’Europa. Solo per la Slovenia, Stato membro dell’UE e la Croazia, paese candidato, questa situazione non è cambiata. Gli abitanti di tutti i restanti territori, compresa la Macedonia, altro paese candidato, sono stati esclusi dagli Stati membri dell’UE dal 1992. La giovane generazione che da allora è cresciuta, difficilmente è riuscita a valicare i propri confini. Alle ambasciate dei paesi dell’UE della capitale macedone Skopje, ad esempio, si trovano grandi cartelli che elencano un lunga serie di precisi obblighi. Solo i criminali possono rispettarli facilmente, al contrario di studenti, ricercatori e giornalisti.

Appoggio un accesso migliore per questi gruppi dal 2008 e l’abbassamento degli oneri per il visto a 35 euro. A differenza di alcuni membri del mio gruppo, non considero l’introduzione della registrazione biometrica una ragione per respingere tale perfezionamento. Mi spiace per la vendita condizionata per quanto riguarda la politica di riammissione, che non garantisce in modo adeguato la sicurezza dei rifugiati interessati.

 
  
  

– Relazione: Böge (A6-0393/2007)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. −(PT) La mobilizzazione del Fondo di solidarietà per aiutare le popolazioni di Germania e Francia (La Réunion) che sono rimaste vittime di catastrofi naturali rispettivamente a gennaio e febbraio dimostra, nonostante il ritardo, la rilevanza e l’importanza di questo fondo di assistenza per gli Stati membri.

Ricordando il blocco nel Consiglio in merito a una decisione relativa alla proposta della Commissione di migliorare questo fondo, vorremmo ribadire che la continua ammissibilità dei disastri regionali deve essere difesa. Il Parlamento europeo ha confermato in precedenza che “il FSUE deve continuare a rendere possibili gli interventi in caso di catastrofi che, per quanto gravi, non raggiungano il livello minimo stabilito, e che deve essere possibile prestare aiuto, in circostanze eccezionali, allorquando la maggior parte della popolazione di una determinata regione è colpita da una catastrofe che comporta ripercussioni gravi e durature sulle condizioni di vita”.

E’ inoltre essenziale riconoscere le particolari caratteristiche delle catastrofi naturali della regione del Mediterraneo, quali siccità e incendi, soprattutto in termini di limiti di tempo e azioni idonee, e la possibilità di livelli più elevati di assistenza finanziaria per paesi di “coesione” e regioni di “convergenza” in caso di catastrofe. Si deve altresì valutare la creazione di un fondo europeo per i disastri all’agricoltura.

 
  
  

– Relazione: Susta (A6-0403/2007)

 
  
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  Françoise Castex (PSE), per iscritto. – (FR) L’onorevole Castex ha votato a favore della relazione Susta sul protocollo che modifica l’accordo relativo ai diritti di proprietà intellettuale connessi al commercio (accordo TRIPS).

Per i membri francesi del gruppo socialista nel Parlamento europeo, l’accordo così ottenuto, che consentirà ai paesi di produrre farmaci generici ed esportarli alle nazioni povere in via di sviluppo che non hanno la capacità di farlo da sole, rappresenta un importante passo avanti.

Per i membri francesi del gruppo socialista, questa relazione è un contributo positivo al fine di risolvere un problema di salute pubblica che è chiaramente fonte di grande preoccupazione.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore del protocollo che modifica l’accordo TRIPS e l’accesso ai medicinali poiché credo fermamente che l’UE dovrebbe essere un attore fondamentale nella promozione della salute pubblica e dell’accesso ai farmaci per tutti nel Terzo mondo. Questo protocollo è un passo nella direzione giusta.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. −(PT) I costi associati all’introduzione di norme di tutela della “proprietà intellettuale” nel settore farmaceutico nei “paesi in via di sviluppo” sono noti da molto tempo.

Da molto si evidenzia e si preannuncia la situazione drammatica e inaccettabile provocata in questi paesi dall’applicazione dei “diritti di proprietà intellettuale” nel campo della salute, in particolare nella lotta contro malattie come malaria, HIV/AIDS e tubercolosi.

Riteniamo quindi che questa relazione rappresenti un’opportunità persa dalla maggioranza di quest’Aula, nell’ambito delle sue competenze, per assumere una posizione umanista e per battersi in modo deciso per una politica che potrebbe porre fine ai diritti di proprietà intellettuale nel settore farmaceutico.

Nascondendosi dietro all’idea che una negoziazione del protocollo sembra molto difficile, la maggioranza di quest’Assemblea ha firmato un assegno in bianco al Consiglio, poiché tali vaghe raccomandazioni possono solo determinare un perdurare della situazione, generando ostacoli finanziari e giuridici che impediranno ai paesi dotati di minori risorse di poter accedere ai progressi compiuti in scienza e tecnologie in questo settore.

Deploriamo il fatto che siano proprio le multinazionali farmaceutiche a guadagnare tramite questa crudele politica, mantenendo i loro straordinari profitti al prezzo di molte vite.

 
  
  

– Relazione: Corbett (A6-0354/2007)

 
  
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  Richard Corbett (PSE) . (EN) Signora Presidente, in seguito alla votazione, il Parlamento ha deciso di avere un resoconto scritto e una registrazione audiovisiva delle sue sessioni. Ovviamente ciò comporta implicazioni di bilancio ed esorto l’Ufficio di presidenza ad analizzare la situazione, attuare le modifiche necessarie al bilancio o avanzare una nuova proposta qualora volesse che la commissione riesaminasse la questione.

Intuisco che, considerata la vasta maggioranza di quest’Assemblea a tale proposito, il volere del Parlamento sia piuttosto chiaro, pertanto ritengo sia il primo passo da compiere.

 
  
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  Graham Booth (IND/DEM), per iscritto. (EN) Registrare tutte le discussioni e renderle disponibili al pubblico potrebbe giovare all’euroscetticismo. Tuttavia, tale iniziativa consentirebbe anche all’UE di vantare maggiore trasparenza laddove, di fatto, interviene veramente poco per rafforzare la democrazia, poiché il Parlamento europeo non può introdurre una legislazione e può essere ignorato dalla Commissione europea. Nell’UE, la Commissione non eletta promuove normative europee e non offre alcuna trasparenza.

L’opportunità di apportare correzioni agli interventi per una settimana (emendamento n. 4) era intenzionale e proteggerebbe i deputati dagli errori, ma finora le notizie relative all’UE potrebbero essere potenzialmente occultate da un rinvio di una settimana, impedendo alla stampa libera di informare l’opinione pubblica. Ho quindi espresso voto contrario sulla relazione.

 
  
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  Derek Roland Clark (IND/DEM), per iscritto. (EN)

Registrare tutte le discussioni e renderle disponibili al pubblico potrebbe giovare all’euroscetticismo. Tuttavia, tale iniziativa consentirebbe anche all’UE di vantare maggiore trasparenza laddove, di fatto, interviene veramente poco per rafforzare la democrazia, poiché il Parlamento europeo non può introdurre una legislazione e può essere ignorato dalla Commissione europea. Nell’UE, la Commissione non eletta promuove normative europee e non offre alcuna trasparenza.

Non approvo la possibilità di apportare correzioni agli interventi (emendamento n. 4), il resoconto integrale dovrebbe risultare come esposto a voce. Compio errori come chiunque altro. Finora le notizie relative all’UE potrebbero essere potenzialmente occultate da un rinvio di una settimana, impedendo alla stampa libera di informare l’opinione pubblica. Può essere accettabile una nota separata per fornire una spiegazione. Ho quindi espresso voto contrario sulla relazione.

 
  
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  Bruno Gollnisch (ITS), per iscritto. – (FR) La relazione Corbett raccomanda che, al fine di risparmiare 10 milioni di euro all’anno, non dovremmo più effettuare la traduzione in tutte le lingue ufficiali dei resoconti integrali dei procedimenti di questo Parlamento. L’accesso alle discussioni in ogni lingua sarebbe quindi garantito solo tramite le registrazioni audiovisive disponibili su Internet, anche se i singoli deputati potrebbero chiedere la traduzione di determinati brani.

Tuttavia, non tutti in Europa dispongono di accesso Internet a banda larga e, inoltre, è stato consigliato che la richiesta di traduzioni da parte dei deputati dovrebbe essere limitata a circa trenta pagine all’anno. Ciò che propone l’onorevole Corbett, quindi, è limitare l’accesso per i cittadini europei al lavoro di chi hanno eletto per rappresentarli e difendere i loro interessi nell’Unione europea. E’ inaccettabile. Lo diventa ancora di più poiché, nel contempo, la stessa istituzione spende 100 milioni di euro all’anno per la propria pubblicità. Per non parlare della Commissione, che spende oltre 200 milioni di euro in attività essenziali quali la diffusione su vasta scala di video pornografici su Internet che si presume promuovano il cinema europeo.

Fortunatamente, gran parte dei nostri colleghi ha fatto sì che prevalesse il buon senso, o piuttosto l’implacabile paura dell’elettorato, ed è stato conservato il multilinguismo.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto.(SV) Respingiamo in maniera decisa la proposta della relazione in merito al fatto che gli interventi orali nel resoconto integrale dovrebbero comparire esclusivamente in lingua originale.

Il Parlamento europeo sta cercando di enfatizzare il fatto che gli oratori prendono la parola per l’Europa intera in quanto portavoce per i loro gruppi europei, ma nel contempo respingiamo un successivo accesso alle loro dichiarazioni e limitiamo la disponibilità riducendo le traduzioni nelle diverse lingue.

Se abbiamo intenzione di far funzionare democraticamente l’UE, dobbiamo essere pronti a pagare al proposito. Un’organizzazione che spende oltre 360 miliardi di corone svedesi su una politica agricola protezionista, deve essere in grado di versarne 90 milioni per mostrare rispetto per i cittadini europei.

Tuttavia, qualora in futuro si giudicassero insostenibili i costi per le traduzioni, il minimo dovrebbe essere che il resoconto integrale contenga la lingua originale dell’oratore e una traduzione in inglese.

 
  
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  Patrick Louis (IND/DEM), per iscritto. – (FR) I membri francesi del gruppo Indipendenza/Democrazia hanno espresso voto contrario sulla relazione Corbett sulla modifica dell’articolo 173 del regolamento del Parlamento europeo che cerca di abolire la piena e sistematica traduzione delle discussioni parlamentari.

L’idea di pubblicare le discussioni, che si applica in eguale misura ai procedimenti giudiziari e ai dibattiti politici, è uno dei principi fondamentali della democrazia.

La pubblicazione contribuisce a ridurre i pregiudizi ideologici, l’arbitrarietà, il clientelismo e il gioco sporco. Tale convinzione si basa sul presupposto che tutti abbiano accesso ai procedimenti completi pubblicati nella propria lingua garantendo che le stesse parole esprimano davvero i medesimi concetti per tutti.

Chi tra i cittadini europei sarebbe in grado di riportare e comprendere una discussione quando si trova di fronte a una versione pot-pourri in venti lingue?

Probabilmente sarebbe lo stesso se qualcuno cercasse di capire il cosiddetto trattato “semplificato” e tentasse di sostituire le 400 nuove clausole contenute nei trattati esistenti, siccome anche in questo caso, in apparenza, non si è resa disponibile alcuna versione consolidata durante il processo di ratifica.

Di fronte alla crescente reticenza dei cittadini dei suoi paesi membri, l’Unione europea non sembra essere in grado di mostrare altro che offuscamento, falsificazione e dissimulazione.

 
  
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  Jules Maaten (ALDE), per iscritto.– (NL)La decisione della segreteria del Parlamento di non riportare più in ogni lingua le discussioni in plenaria è passata inosservata nel 2006. Ora il Parlamento ha capovolto tale decisione. Concordo che si spenda troppo tempo e denaro per tradurre le discussioni e i documenti nelle 23 lingue ufficiali della nostra Unione. E’ un peccato che non sia stata presentata alcuna soluzione di compromesso, per cui le discussioni potrebbero essere tradotte in inglese e francese, cosicché le procedure sarebbero ancora disponibili in forma scritta oltre alle informazioni audiovisive.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. −(PT) Il multilinguismo è molto più di un’espressione della diversità culturale dell’Unione europea. In un’organizzazione di Stati sovrani e indipendenti che si sono uniti per garantire, tramite una collaborazione, i migliori vantaggi per i loro cittadini senza rinunciare in nessuna fase al loro status di Stati liberi e sovrani, il multilinguismo è il riconoscimento del rapporto di uguaglianza tra tutti i membri.

Questa ragione da sola sarebbe sufficiente per difendere la continuazione di questo multilinguismo nel funzionamento delle istituzioni comunitarie. Tuttavia, è possibile aggiungere altre argomentazioni oltre a questa. Abbandonare la comunicazione interna multilingue comporta potenzialmente ridurre la possibilità di azione politica da parte dei deputati del Parlamento europeo che sono pienamente autorizzati a esprimersi nella loro lingua madre. Inoltre, se riduciamo al minimo il multilinguismo nelle nostre comunicazioni esterne, rischiamo di allontanare un’istituzione che spende molta energia cercando di avvicinare l’UE ai suoi cittadini.

Infine, esiste un’argomentazione economica opposta a quella avanzata: la diversità linguistica degli europei e la conoscenza di numerose lingue deve essere un vantaggio competitivo, non un costo.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho espresso voto favorevole sulla relazione Corbett relativa alla modifica dell’articolo 173 riguardante il resoconto integrale delle procedure, anche se non approvo l’adozione di un’intera serie di emendamenti che raccomandano la traduzione dei resoconti in tutte le lingue ufficiali.

Agli accaniti sostenitori del multilinguismo vorrei dire, un po’ per eufemismo, che è irreale affermare che, senza tale aggiunta al processo di traduzione, il Parlamento europeo sarebbe l’unica assemblea parlamentare nel mondo a non disporre della traduzione stampata di tutte le procedure e le discussioni nelle relative lingue. E’ falso nella misura in cui è stato concordato non solo di mantenere la versione multilingue, ma anche di rendere disponibile la traduzione simultanea in tutte le lingue ufficiali, su richiesta, per i deputati di quest’Aula nonché ampiamente per il pubblico. Questa mi pare davvero la parte essenziale.

Infine, mi spiace che il Parlamento non abbia voluto adottare un approccio più moderno per quanto riguarda l’accesso ai documenti: ho accettato un migliaio di volte il multilinguismo. Tuttavia, continuerò a oppormi alla cosiddetta difesa della diversità linguistica laddove è utilizzata come pretesto da chi sostiene lo status quo ed è apertamente contrario al cambiamento.

 
  
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  Marianne Thyssen (PPE-DE), per iscritto. – (NL)Ho votato contro la proposta della relazione Corbett per le stesse ragioni per cui in precedenza mi sono opposta allo scarto del bilancio per la traduzione del resoconto integrale delle nostre sessioni in quest’Aula.

In un parlamento i discorsi sono sacrosanti. Ciò che diciamo non è soltanto un elemento delle notizie del giorno se siamo fortunati, è parte del processo legislativo democratico. Renderlo disponibile nelle lingue europee ufficiali non rappresenta un lusso. La traduzione è politicamente necessaria per un sistema adeguato di archiviazione che dopotutto permette un accesso libero alle informazioni.

Dobbiamo accettare le conseguenze della nostra fondamentale decisione di scegliere il multilinguismo e non ridurlo di nascosto. Un parlamento che nutre rispetto per se stesso non elimina il suo sistema tradizionale di archiviazione. Se occorre risparmiare, sarebbe meglio optare per ambiti differenti del bilancio. Comunque, ribadisco la mia opinione che la nostra insistenza in merito al multilinguismo sia una forma necessaria di rispetto per le diverse culture e le lingue nell’UE e una benedizione per la democrazia.

 
  
  

– Relazione: Bowles (A6-0327/2007)

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione, che sostiene l’istituzione del Comitato consultivo europeo per la governance statistica in risposta a una proposta della Commissione per migliorare l’elaborazione di statistiche a livello UE.

 
  
  

– Relazione: van den Burg (A6-0328/2007)

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa indiscussa relazione, che propone l’istituzione di un comitato consultivo europeo della politica dell’informazione statistica comunitaria. Gli emendamenti che il Parlamento ha anche adottato, garantiranno l’efficienza del comitato e influenzeranno il suo nome e la composizione.

 
  
  

– Relazione: Mantovani (A6-0245/2007)

 
  
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  Roberta Alma Anastase (PPE-DE) . (RO) La votazione odierna relativa alla relazione dell’onorevole Mantovani è importante per lo stimolo che offre alla politica europea nel settore dell’apprendimento permanente.

Analizzare la situazione attuale in quest’ambito e la sua correlazione con il mercato del lavoro, la relazione Mantovani dimostra, ancora una volta, l’esistenza di una realtà che abbiamo vissuto per molti anni, ma che non è stata seguita da una politica decisa e coerente che potesse affrontare le sue sfide. Pertanto, ritengo sia importante attuare le nuove proposte il prima possibile. Di fatto, vorrei porre l’accento sulla rilevanza di riconoscere e promuovere l’educazione alla tolleranza sull’intero territorio dell’Unione europea. Si tratta dell’unico modo in cui la mobilità sul mercato del lavoro non creerà gruppi socialmente esclusi, il cui comportamento, prima o poi, diventerà deviante.

 
  
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  Françoise Castex (PSE), per iscritto. – (FR) L’onorevole Castex ha espresso voto favorevole sulla relazione Mantovani riguardante l’istituzione del Quadro europeo delle Qualifiche.

Questo deputato francese del gruppo socialista nel Parlamento europeo accoglie con favore la futura introduzione del Quadro europeo delle Qualifiche, che faciliterà la mobilità transnazionale di lavoratori e studenti, soddisfacendo nel contempo i requisiti del mercato del lavoro mediante un punto di riferimento comune per il recepimento dei livelli di qualifica.

Secondo la proposta, tutte le qualifiche, dalla fine dell’istruzione obbligatoria ai gradi più elevati di insegnamento universitario e di formazione professionale (il documento iniziale della Commissione riguardava solo le qualifiche educative generali), dovrebbero essere classificate secondo uno degli otto livelli di riferimento basati su conoscenza, capacità e competenze acquisite.

L’onorevole Castex ritiene che l’EQF, in quanto strumento di confronto, traduzione e conversione delle qualifiche di uno Stato membro a quelle di un altro, rispetterà la varietà dei sistemi di certificazione e la ricchezza di qualifiche che esiste nell’Unione europea. E’ uno strumento che faciliterà inoltre una maggiore mobilità per i cittadini europei.

Spetta ora agli Stati membri cominciare l’importante incarico di classificare i livelli di riferimento richiesti per l’EQF, altrimenti il Quadro europeo delle Qualifiche sarà destinato a rimanere un involucro vuoto.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. −(PT) Questa relazione contiene diverse contraddizioni e siamo critici nei confronti del compromesso accettato dalla maggioranza del Parlamento europeo sulla costituzione del Quadro europeo delle Qualifiche. Tuttavia, compaiono aspetti positivi per il riconoscimento delle qualifiche tra i vari Stati membri che dovrebbero essere sostenuti.

Eppure, il testo finale adottato accentua la natura federalista della proposta del Parlamento europeo fissando date specifiche per l’adattamento e la correlazione dei diversi sistemi educativi e di formazione utilizzati negli Stati membri, malgrado tali indicazioni non abbiano un carattere vincolante per i prossimi anni.

Vorremmo sottolineare che la politica in materia di istruzione è l’unica responsabilità degli Stati membri per cui riteniamo che “l’adattamento” proposto violi questo principio.

Consideriamo negativo il collegamento al processo di Bologna e la tendenza verso la commercializzazione dell’istruzione, prestando attenzione alla “occupabilità” e alle possibilità del mercato del lavoro connesse all’agenda di Lisbona.

 
  
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  Carl Lang (ITS), per iscritto.(FR) Questa relazione tratta la certificazione a livello comunitario delle qualifiche di apprendimento permanente. Si tratta di una misura del tutto allettante e che dovrebbe essere incoraggiata. Tuttavia, respingo la giustificazione internazionalista utilizzata nel documento, soprattutto perché richiamo la totale sconfitta subita dalla strategia di Lisbona.

Nel testo si riscontra un elemento di ideologia europeista. Si legge che l’obiettivo sacrosanto della globalizzazione costituisce la nostra unica e sola speranza di salvezza e che tale elemento è vantaggioso a livello economico e sociale. A mio parere, la globalizzazione ultra liberale è una macchina per distruggere la struttura economica, sociale e culturale delle nazioni.

Inoltre, la relazione fa riferimento esclusivamente ai progressi possibili, qualcosa per il futuro. Non dovremmo considerare il presente come se tentassimo di analizzare i fallimenti e i danni che sono già stati compiuti alla nostra società dalla globalizzazione?

Di fronte a una simile cecità, irresponsabilità e inadeguatezza ho intenzione di votare contro la relazione.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto.(PL) Signora Presidente, ho votato a favore dell’adozione della relazione sulla raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente.

Lo sviluppo futuro della società europea dipenderà sempre più da istruzione, ricerca scientifica, innovazione e tecnologia. Per questo motivo è così importante offrire sostegno alla promozione della mobilità sul mercato europeo del lavoro. Sono convinto che istituire il Quadro europeo delle Qualifiche faciliterà l’accesso al mercato europeo del lavoro.

Il relatore, l’onorevole Mantovani, nella sua relazione ha giustamente evidenziato che dal 2012 tutti i certificati di qualifiche, diplomi e documenti Europass dovrebbero essere connessi al relativo livello dell’EQF. Il Quadro europeo delle Qualifiche dovrebbe essere utilizzato per facilitare il confronto dei livelli di qualifica. Per gli Stati membri è molto importante ottenere il sostegno per l’attuazione del Quadro europeo delle Qualifiche, in particolare con lo scambio di migliore prassi. Il gruppo consultivo del Quadro europeo delle Qualifiche menzionato nella relazione ha la facoltà di garantire la coesione del processo di cooperazione e di verificarlo.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione, che cerca di istituire un Quadro europeo delle Qualifiche per contribuire al riconoscimento a livello europeo delle qualifiche che ottengono le persone. Dovrebbe condurre a un miglioramento nella mobilità per chi ha intenzione di lavorare in altri Stati membri fornendo un punto di riferimento neutrale e attendibile per il confronto delle diverse qualifiche.

 
  
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  Andreas Mölzer (ITS), per iscritto.(DE) In teoria, dovrebbe essere possibile riconoscere una qualifica professionale in qualsiasi Stato membro e, per le stesse condizioni, essere applicabile alla forza lavoro nazionale. In pratica, esistono tuttora alcuni problemi che occorre risolvere. Ad esempio, se si chiedesse a un insegnante con esperienza in Austria di completare un periodo biennale di formazione pratica al fine di svolgere lo stesso lavoro in Germania, sarebbe ovviamente un’iniziativa sbagliata. In alcuni Stati membri, la formazione lavorativa non solo è utilizzata impropriamente come metodo di impiego di personale qualificato dotato di titoli accademici nel modo più economico possibile, ma è anche usata per creare ostacoli a certe professioni.

Le condizioni precarie di impiego, che all’inizio avevano colpito esclusivamente i posti di lavoro a reddito più basso, da molto tempo si sono diffuse anche fra i lavoratori qualificati. L’UE non deve offrire ulteriore slancio a questa tendenza relativa al regime della “Carta blu”. Disponiamo di un numero sufficiente di lavoratori qualificati se solo fossimo pronti a retribuirli in maniera adeguata.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. –(EL) L’adozione del Quadro europeo delle Qualifiche rafforza l’intervento dell’UE nei sistemi educativi degli Stati membri, nell’omogeneizzazione e nell’adattamento a una qualità predeterminata e a indicatori di rendimento. Si tratta ancora di un altro modo per sostituire l’istruzione con un apprendimento “flessibile”, esterno al processo di istruzione avviato a livello sociale. La conoscenza è sostituita da una formazione continua effimera e superficiale che fornirà ai lavoratori le competenze necessarie tramite le risorse disponibili.

Tali qualifiche saranno riconosciute non in base ai certificati ottenuti mediante il sistema educativo formale di ogni paese, ma in base a verifiche dei certificati stabilite da organizzazioni controllate dai datori di lavoro. Tale situazione promuove ulteriormente la separazione tra certificati di laurea e la possibilità di perseguire una carriera.

Collegare i diversi livelli di istruzione e forme di apprendimento, che mira a rendere pari l’apprendimento con l’esperienza all’istruzione sistematica, è un tentativo di livellare verso il basso i diritti dei lavoratori e di diminuirne le retribuzioni al minimo livello possibile.

Tramite un sistema di apprendimento permanente e di certificazione di qualifiche professionali, l’obiettivo più ampio dell’UE è subordinare l’istruzione alle priorità del mercato e rafforzare la redditività del capitale. E’ un’iniziativa del tutto in disaccordo con le necessità educative dei lavoratori e dei giovani.

Per queste ragioni, votiamo contro la relazione e la proposta della Commissione.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. −(SK) La mobilità transnazionale del lavoro nell’UE è diventata inevitabile: è una realtà quotidiana nell’UE a 27 dopo l’allargamento. Tali cambiamenti sono accompagnati dalle richieste di un’istruzione più innovativa e flessibile che preparerà gli europei per l’integrazione nel moderno mercato del lavoro in cui l’istruzione è la precondizione fondamentale per tutti i gruppi d’età e le classi sociali.

Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Mario Mantovani sulla proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente poiché sono certa che si tratti dell’unico modo per realizzare gli obiettivi della strategia di Lisbona.

La struttura del Quadro europeo delle Qualifiche è basata su otto livelli verticali, denominati “livelli di riferimento”, definiti in termini di tre criteri orizzontali, conoscenze, abilità e competenze, consentendo pertanto alle persone di integrarsi in modo migliore sul mercato del lavoro per quanto riguarda il completamento di un processo di apprendimento.

Affinché il Quadro europeo delle Qualifiche abbia successo, è assolutamente essenziale che Stati membri e parti sociali fondino la loro cooperazione, nel corso della fase di attuazione, sulla fiducia reciproca.

La struttura del mercato del lavoro in Europa sta cambiando e osserviamo l’emergente necessità di un approccio flessibile all’istruzione. Gli Stati dovrebbero quindi approfittare del Quadro europeo delle Qualifiche al fine di migliorare i programmi di apprendimento permanente. Occorre inoltre che i datori di lavoro e i cittadini europei comprendano il significato pratico delle qualifiche. Quest’azione condurrà a una mobilità del lavoro maggiore e senza barriere nell’UE.

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. −(PT)La globalizzazione dell’economia è un problema a cui l’Europa non ha ancora trovato una risposta chiara e convincente.

Un’economia più globalizzata implica una sollecitudine al cambiamento che significa maggiore mobilità.

La creazione di un quadro comune di riferimento per il riconoscimento, il confronto e il trasferimento delle qualifiche che derivano da sistemi differenti è fondamentale per lo sviluppo di un elemento decisivo del progetto europeo, in altre parole la mobilità dei lavoratori in questo caso è facilitata dalla trasferibilità delle loro qualifiche.

Una migliore formazione dei nostri lavoratori, combinata a un sistema armonizzato per il riconoscimento della loro conoscenza, delle loro competenze e capacità, incrementerà la loro mobilità e lo sviluppo del mercato interno.

Maggiori e più valide competenze tra i lavoratori europei potrebbero contribuire a una migliore organizzazione, a più innovazione e una competitività potenziata tra le nostre imprese.

 
  
  

– Relazione: Coelho (A6-0358/2007)

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE) .– (LT) E’ un peccato che l’avvio di SIS II continui a essere rinviato. Oggi abbiamo adottato una risoluzione in merito a tale importante questione. Finora registriamo un ritardo così marcato che è fondamentale trovare una soluzione a questa situazione che ci consentirebbe di impiegare la rete SIS 1+ dopo il 13 novembre 2008.

E’ ora evidente che le risorse umane e finanziarie assegnate all’attuazione di SIS II devono essere condivise da tre progetti sviluppati contemporaneamente: SIS II, SISone4all e l’installazione, il funzionamento e la gestione di un’infrastruttura di comunicazione.

Perciò, a mio parere, la distribuzione corretta delle risorse dell’UE e degli Stati membri avrà una grande importanza. Tuttavia, alla luce del significato del progetto per quanto riguarda la sicurezza dell’UE, è ovvio che SIS II ha la massima priorità. Dobbiamo stanziare fondi per la sicurezza dell’UE e lo sviluppo delle infrastrutture per le comunicazioni.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. −(PT) “Colmare un divario” durante l’estensione del sistema di informazione Schengen (SIS), che include il sistema di informazione sui visti (VIS), l’attuale proposta mira a fornire una soluzione temporanea volta a prevenire qualsiasi lacuna e possibili interruzioni determinate dal rinvio dell’installazione delle “infrastrutture” del “nuovo” sistema. I costi saranno distribuiti tra il bilancio comunitario e gli Stati membri.

Vorremmo evidenziare che tale aspetto prevede l’espansione delle caratteristiche del SIS sviluppandole, ampliando l’accesso a nuove autorità e collegandole fra loro, con l’aggiunta di ulteriori categorie di dati (come il mandato per la cattura di dati e i dati biometrici).

Tale estensione del sistema precedente minaccia considerevolmente i diritti, le libertà e le garanzie dei cittadini aggiungendo nuovi elementi a una base di dati che, per di più, è condiviso da numerosi organismi. La riservatezza di queste informazioni non può essere pienamente assicurata poiché i registri possono essere conservati per un “periodo più lungo” ed essere spartiti con paesi terzi.

Alla base c’è il tentativo di allineare il SIS ai pericolosi e inaccettabili obiettivi dell’attuale offensiva della sicurezza e all’espansione e la crescente comunitarizzazione degli affari interni nell’UE, che naturalmente respingiamo.

 
  
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  Bairbre de Brún, Jens Holm, Mary Lou McDonald ed Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. (EN) Non ci opponiamo alla soluzione temporanea proposta al fine di garantire l’esistenza di una rete SIS 1+ per il periodo dal 13 novembre al 17 dicembre 2008. Tuttavia, non possiamo sostenere l’uso della passerelle nell’articolo 67, paragrafo 2, trattino 2, del trattato CE come suggerito dall’onorevole Coelho. Questa è la ragione per cui abbiamo scelto di votare contro la relazione.

 
  
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  Andreas Mölzer (ITS), per iscritto.(DE)Esiste già un grave problema con i gruppi del crimine organizzato e gli immigrati illegali che tendono a stabilirsi in zone frontaliere in cui è più semplice fermarli rispetto alle città. Entrambi i gruppi sono già ai blocchi di partenza e sono decisi a entrare in altri paesi non appena aprono i confini, in cui svaniscono senza lasciare traccia. Dobbiamo reagire a questa situazione con una maggiore cooperazione transfrontaliera e controlli intensi nelle regioni frontaliere. L’ampliamento di Schengen è, dopo tutto, una responsabilità importante per tutti i paesi coinvolti.

L’accesso a Schengen, quindi, non dovrebbe dipendere esclusivamente dalla funzionalità del sistema d’informazione Schengen, che è un elemento che la Polonia, ad esempio, non sembra aver ancora ottenuto. Invece, dobbiamo garantire che i futuri membri di Schengen siano in grado di sostenere un controllo efficace dei confini esterni dell’UE, che non si verifichi un ammorbidimento dei periodi di transizione per la protezione dei mercati del lavoro, e che non aumenti ulteriormente il numero degli indigenti. Finché si garantiscono questi fattori, non si deve consentire un’espansione troppo rapida e sconsiderata.

Secondo la relazione annuale di FRONTEX per il 2006, il numero degli arresti ai confini esterni di Schengen (soprattutto Austria e Germania) è tuttora più elevato di quello ai confini esterni dell’UE, pertanto è estremamente incerto se si debba approvare l’espansione. In effetti, la questione è se Schengen non dovrebbe essere in parte abolito, in particolare da quando la relazione sulla tratta degli esseri umani del ministro dell’Interno austriaco ha indicato che quasi il 50 per cento degli illegali in Austria sono entrati nel paese attraverso il confine con l’Italia.

 
  
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  Søren Bo Søndergaard (GUE/NGL), per iscritto. (EN) Non mi oppongo alla soluzione temporanea proposta al fine di garantire l’esistenza di una rete SIS 1+ per il periodo dal 13 novembre al 17 dicembre 2008. Tuttavia, non posso sostenere l’uso della passerelle nell’articolo 67, paragrafo 2, trattino 2, del Trattato CE come suggerito dall’onorevole Coelho. Questa è la ragione per cui ho scelto di votare contro la relazione.

 
  
  

– Relazione: Belohorská (A6-0291/2007)

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE) . – (SK) Sono favorevole a un compromesso ragionevole che conseguirebbe un equilibrio tra salute e protezione ambientale da un lato e produzione agricola dall’altro. Per questa ragione ho votato a favore della relazione elaborata dalla mia collega slovacca, l’onorevole Irena Belohorská, che è un’esperta riconosciuta nel settore di prevenzione e cura dei tumori. Mi congratulo con lei per il documento che si fonda sulla sua vasta esperienza come medico e che introduce una strategia equilibrata relativa all’impiego sostenibile dei pesticidi. Ritengo che questa relazione contribuirà all’adozione di misure più efficaci per una migliore informazione dell’opinione pubblica e condurrà alla realizzazione di metodi adeguati di applicazione e a una graduale riduzione dell’uso di pesticidi nell’agricoltura.

Una soluzione possibile è sostenere gli agricoltori con metodi che li incoraggerebbero a ridurre l’utilizzo di fertilizzanti artificiali nella lotta contro malattie, insetti e piante infestanti nelle loro tenute e, nel fare ciò, favorire un progressivo passaggio a prodotti biologici. La relazione può indurre i consumatori a scegliere, nei mercati o supermercati, non solo i prodotti più invitanti visivamente, ma di concedere la priorità, nell’interesse della loro salute, a prodotti biologici meno allettanti tuttavia più sani.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE) . – (CS) Tutti noi vorremmo respirare aria pulita e fermare lo scioglimento dei ghiacciai. Nel contempo, nonostante i programmi di risparmio energetico, il nostro bisogno di energia sta aumentando in maniera esponenziale. E’ in gioco anche la dipendenza dell’Europa dalle importazioni di gas e petrolio.

Dobbiamo quindi investire nello sviluppo di risorse rinnovabili e affrontare le questioni della sicurezza degli impianti di energia nucleare, in particolare il problema dello smaltimento finale dei rifiuti radioattivi. In questo modo potremmo ottenere fino al 14 per cento della nostra energia da fonti pulite. Tuttavia, non possiamo ignorare il fatto che il 32 per cento dell’energia deriva da combustibili fossili, impiegando 300 000 persone e, fondamentalmente, inquinando l’ambiente. Perciò, accolgo con favore e ho sostenuto la relazione dell’onorevole Reul sulle fonti energetiche convenzionali. Concordo con il relatore che dovremmo rivedere gli investimenti e inoltre sviluppare quelle tecnologie in grado di aumentare l’efficienza della produzione di energia da combustibili fossili e ridurre le emissioni. La mole di lavoro da compiere è considerevole.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE) . – (LT) Oggi abbiamo raggiunto un’importante decisione riguardante la strategia sull’uso di pesticidi. Ho votato a favore della risoluzione. Siamo ben consapevoli del fatto che l’aria che respiriamo sia inquinata e che, quindi, presenta rischi per la salute, e che il cibo che consumiamo è stato trattato utilizzando prodotti chimici che sono pericolosi per la salute umana. I nostri bambini, la generazione futura, stanno crescendo in queste condizioni.

Sono assolutamente certa che si debbano ridurre i rischi a cui i pesticidi espongono la salute umana. Pertanto, dovremmo adottare misure decisive e fare del nostro meglio per trovare i fondi necessari. Accolgo con favore i progetti per chiedere agli Stati membri di elaborare piani d’azione che evidenzino i settori in cui i pesticidi sarebbero del tutto vietati e che riducano in modo sostanziale l’uso di questi prodotti entro i prossimi 10 anni.

 
  
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  Irena Belohorská (NI), per iscritto. −(PT) E’ noto che, nel luglio 2006, la Commissione ha presentato una strategia tematica per un uso sostenibile dei pesticidi, insieme a una proposta di una direttiva che stabilisce un quadro di azione comunitaria al fine di ottenere un uso sostenibile dei pesticidi e una proposta di regolamento riguardante la collocazione sul mercato di prodotti per la protezione delle piante, allo scopo di ridurre i rischi generali e gli impatti negativi dell’utilizzo dei pesticidi sulla salute umana e l’ambiente.

I rischi associati all’uso di pesticidi sono già stati ridotti, ma, in alcune zone, in particolare in paesi che hanno utilizzato a lungo un’agricoltura intensiva, è tuttora possibile riscontrarne quantità indesiderabili nel terreno e nell’acqua. Questa situazione comporta inoltre che paesi come il Portogallo, con un’agricoltura più tradizionale, dovrebbero ricevere maggiore sostegno per mantenere una produzione agricola meno intensiva.

Tuttavia, non riteniamo che la soluzione sia sostituire i pesticidi con gli OGM. Se sono noti gli effetti indesiderabili dei pesticidi chimici sulla salute umana, si dovrebbe applicare il principio di precauzione per quanto riguarda le conseguenze degli OGM sulla salute umana poiché non sono ancora state studiate.

Tale strategia tematica sull’uso sostenibile dei pesticidi riguarda esclusivamente i prodotti per la protezione delle piante, in altre parole un settore dei pesticidi.

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE), per iscritto.(PL) Accolgo con favore il fatto che il Parlamento europeo abbia adottato una nuova direttiva sulla fabbricazione e l’uso di pesticidi. La direttiva inasprisce le condizioni secondo cui è possibile autorizzare il commercio di sostanze chimiche impiegate nella fabbricazione dei prodotti per la protezione delle piante. L’esito sarà vantaggioso per i cittadini dell’Unione europea, in particolare per quanto riguarda la loro vita e salute. Inoltre, la direttiva elenca nel dettaglio i casi in cui è attuabile una vaporizzazione dall’aria. Raccomanda inoltre una riduzione nell’uso dei pesticidi e la concessione della precedenza ad alternative non chimiche.

La relazione dell’onorevole Belohorská merita il nostro sostegno, non solo perché è di ampio respiro, ma anche per l’ambito aggiornato delle disposizioni. Non c’è dubbio che i cittadini dell’Unione europea non hanno più intenzione di entrare quotidianamente in contatto con le tossine, né di consumare prodotti contaminati. I nostri cittadini non vogliono nemmeno essere colpiti da sostanze cancerogene o tossiche, o con proprietà di interferenza endocrina. In risposta a queste precise aspettative espresse dalla società europea, era altresì appropriato approvare un divieto all’uso di pesticidi in aree pubbliche rurali e urbane. Si dovrebbe vietare l’impiego di pesticidi in zone vicine a ricoveri, case di cura, centri di riabilitazione, cliniche e ospedali. Un divieto simile dovrebbe essere esteso anche a parchi, giardini pubblici, zone ricreative e per lo sport, cortili delle scuole, parchi gioco e luoghi simili.

 
  
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  Karin Scheele (PSE), per iscritto.(DE)La strategia tematica sull’utilizzo sostenibile dei pesticidi è un supplemento importante alla proposta di regolamento e di direttiva votata oggi in prima lettura.

La strategia tematica è necessaria poiché l’uso di pesticidi nell’Unione europea non è diminuito, nonostante le efficaci misure adottate volontariamente da alcuni Stati membri tra il 1992 e il 2003, e resta a un livello elevato. La relazione Belohorská sottolinea nuovamente l’esigenza di applicare il principio di precauzione all’utilizzo di pesticidi.

 
  
  

– Relazione: Reul (A6-0348/2007)

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE) . – (LT) Ritengo che la relazione sulle fonti energetiche convenzionali e le tecnologie energetiche sia della massima importanza. Le realtà della vita stanno costringendo gli Stati membri dell’UE a modificare il loro atteggiamento nei confronti dell’energia sui mercati europei e mondiali, risorse, mix energetico e sicurezza di approvvigionamento.

Vorrei porre l’accento sull’importanza dell’energia nucleare, poiché è una risorsa sicura, affidabile e rispettosa dell’ambiente. Il fatto che la Germania, che dispone di 17 impianti nucleari, produca un inquinamento da CO2 sei volte maggiore della Francia, con i suoi 59 impianti, è molto convincente.

L’energia nucleare è particolarmente importante per i paesi che non sono ricchi di fonti energetiche rinnovabili quali il vento, l’energia solare, l’acqua e la biomassa, il cui utilizzo è costoso. L’elettricità è della massima importanza e dovrebbe essere accessibile a tutti.

Ho votato a favore della relazione e desidero sottolineare il peso dell’assistenza europea nella costruzione di impianti nucleari o di altri impianti rispettosi dell’ambiente.

 
  
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  Romano Maria La Russa (UEN) . – Signora Presidente, onorevoli colleghi, solamente per alcune doverose puntualizzazioni sul nucleare di nuova generazione: è bene ricordare che in Italia le centrali nucleari sono state chiuse a seguito di un referendum abrogativo nel 1987, forse giustamente, benché ciò abbia progressivamente determinato una situazione di dipendenza da fonti energetiche straniere.

Il nucleare di nuova generazione tuttavia, quello pulito e sicuro, che rispetta l’ambiente, è certamente una necessità per fronteggiare il problema dell’approvvigionamento e dei cambiamenti climatici. Va pertanto annoverato nel mix energetico che, insieme alle rinnovabili, al carbone pulito e al gas, dovrà permettere all’Europa di limitare la sua dipendenza in futuro.

Ho votato dunque favorevolmente alla creazione di centrali nucleari di quarta generazione, che permettono di produrre energia con maggiore sicurezza e rispettando l’ambiente. Continuo invece a nutrire dubbi, seri dubbi e perplessità in merito allo stoccaggio dei rifiuti nucleari. Se la relazione ritiene risolto il problema dello stoccaggio delle scorie, io francamente non lo credo concluso: il problema delle scorie è cruciale e, per essere risolto in tempi brevi, richiede massicci investimenti nella ricerca.

Per concludere, ritengo che la scelta del mix energetico – ancora tre secondi prego – che garantisca sicurezza all’approvvigionamento energetico dell’Unione europea negli anni a venire, va modulata secondo l’evoluzione della ricerca ed in particolare lo sviluppo di nuove tecnologie.

 
  
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  Karin Scheele (PSE) . – (DE) Signora Presidente, i colleghi della mia delegazione ed io abbiamo espresso voto contrario sulla relazione Reul poiché non riteniamo che l’energia nucleare sia sicura o pulita, né crediamo nella nuova generazione di impianti nucleari o di energia nucleare.

Se veramente l’energia nucleare, e ci sono relazioni e statistiche in merito, dovesse avere un grande impatto in termini di riduzione delle emissioni di CO2, allora assisteremmo a un aumento sostanziale del numero dei nostri impianti nucleari. Questa condizioni non è realistica né praticabile. Per questa ragione, e tratterò più approfonditamente l’argomento quando sarà presentata la prossima relazione, misure efficaci volte a migliorare l’efficienza energetica e a ridurre le emissioni di CO2 delle automobili sarebbero un modo più opportuno per rendere l’Europa un luogo più sano e convincere altri paesi e continenti a seguire l’esempio.

 
  
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  Jan Andersson, Göran Färm e Inger Segelström (PSE), per iscritto.(SV) Abbiamo scelto di votare contro la relazione poiché non la riteniamo equilibrata e, tra le altre cose, non riesce ad affrontare problemi importanti connessi all’energia nucleare.

Non crediamo neppure che i fondi per la ricerca energetica dell’Unione dovrebbero essere utilizzati per sviluppare nuove generazioni di reattori per la fissione nucleare.

Mettiamo in discussione il costo per l’ambiente dei combustibili sintetici prodotti da fonti fossili, o dell’idrogeno estratto da fonti energetiche della stessa origine, o dell’energia nucleare, dal momento che queste fonti di energia sono sostenibili a lungo termine da un punto di vista ambientale o di approvvigionamento.

Siamo inoltre dell’avviso che, a lungo termine, i combustibili fossili debbano essere attivamente eliminati, aspetto che nella relazione non è menzionato.

Riteniamo che la captazione di CO2 possa rappresentare una parte importante nella riduzione delle emissioni di CO2, ma altre misure di risparmio energetico e di stimolo all’efficienza, nonché lo sviluppo di energia rinnovabile siano maggiormente sostenibili a lungo termine e dovrebbero essere l’obiettivo finale.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. −(PT) Questa relazione contiene diversi aspetti positivi, compreso il riconoscimento del ruolo delle fonti energetiche convenzionali e della necessità di impiegarle al fine di produrre energia, schiudendo prospettive per il rilancio dell’energia nucleare di fissione e chiedendo un aumento delle restrizioni in merito a nuove centrali elettriche a carbone.

Apre inoltre prospettive per il rilancio e l’estrazione del carbone e invita alla cooperazione internazionale, anche con paesi al di fuori dell’UE, come Cina e India. In aggiunta, evidenzia il valore delle risorse endogene colloca il contributo delle energie rinnovabili su un piano più realistico. Contiene certe critiche alla produzione e all’uso di biocarburanti liquidi e indica la necessità che i paesi siano incoraggiati per quanto riguarda R&S nel settore dell’energia, in particolare come metodo per superare i problemi ambientali e di sicurezza nucleare.

Tuttavia, comprende altresì vari aspetti negativi, inclusa l’associazione dei crescenti problemi sul mercato petrolifero esclusivamente a questioni contestuali ed episodiche, trascurando l’aspetto strategico dello sfruttamento intensivo delle risorse e continuando a ignorare l’enorme potenziale del biometano prodotto dai rifiuti, un approccio che è già applicato in diversi paesi europei.

Questo è il motivo della nostra astensione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione d’iniziativa riguardante questioni energetiche che esamina a fondo numerosi settori di efficienza energetica, approvvigionamento e tutela. Non ho appoggiato gli emendamenti che sostenevano l’energia nucleare: la mia opinione è che dovrebbero essere sviluppate fonti di energia sostenibili e rinnovabili e che gli sforzi in ricerca e sviluppo dovrebbero innanzi tutto incentrarsi su questi ambiti.

 
  
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  Andreas Mölzer (ITS), per iscritto. −(DE)In linea di principio, siamo tutti d’accordo che occorre una migliore efficienza energetica e un trasferimento energetica più razionale e che è importante lo sviluppo di energie rinnovabili. Ciononostante, la promozione di queste ultime non deve essere utilizzata come pretesto per diminuire ulteriormente i diritti di sovranità degli Stati membri in modo indiretto in quanto parte della Costituzione europea. Siccome quest’aspetto non è stato chiarito a sufficienza nella relazione, il documento deve essere respinto.

Nonostante l’attuale aumento delle fonti di energia rinnovabile, resteremo dipendenti dalla produzione di energia convenzionale per molti decenni a venire, e dobbiamo quindi garantire che diventi più rispettosa dell’ambiente. Nell’UE, tuttavia, sembra esistere ancora una fissazione con l’energia nucleare, che non è riflessa soltanto nella sua appassionata descrizione come una “fonte di energia rispettosa dell’ambiente”, che in sé è una presa in giro, ma anche nel generoso finanziamento al bilancio per la ricerca nucleare. Considero questo aspetto un fallimento nel ripensare il nostro approccio in maniera percepibile, altra ragione per cui respingo la relazione oggetto della votazione.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. −(DE)La relazione Reul è un’apologia dell’industria nucleare. Contrariamente al buon senso, l’energia nucleare è descritta come la tecnologia del futuro, dotata di ulteriori finanziamenti europei per la ricerca e di risorse di bilancio che confluiscono nello sviluppo di tale tecnologia arcaica ad alto rischio.

In effetti, nonostante i recenti “incidenti” negli impianti nucleari di Vattenfall, l’attenzione è rivolta a espandere l’energia nucleare in Europa. Alla luce di tali incidenti, è estremamente cinico affermare che la produzione di energia nucleare stia diventando “sempre più sicura”. Anziché continuare a investire in questa forma complicata di energia, fallendo deliberatamente nel risolvere la questione dello stoccaggio finale, l’obiettivo, alla fine, dovrebbe essere una rivoluzione sociale ed ecologica.

Ciò significa abbandonare i monopoli privati che esistono nell’industria nucleare, offrendo un’immissione consistente di fondi per le energie rinnovabili e circoscrivendo la produzione energetica. Considerato che sono le società del settore, in particolare, che hanno avviato un nuovo ciclo di forti aumenti dei prezzi, occorre intervenire con urgenza. La relazione favorisce solo gli interessi dell’industria nucleare d’Europa. La richiesta di nuovi impianti nucleari in Europa è inaccettabile.

La base giuridica per il finanziamento per un periodo indefinito è conservata nel trattato di riforma. Si tratta ancora di un’ulteriore ragione per respingere il trattato. Ogni centesimo aggiuntivo per il finanziamento europeo al nucleare è troppo. Promuovere la produzione dell’energia da fonti rinnovabili, energia solare, eolica e idrica, è l’unica politica energetica sostenibile.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. −(PT) La Commissione europea, quando ha avviato il pacchetto energetico all’inizio di quest’anno, ha evidenziato la necessità di un piano d’azione tecnologico per i combustibili fossili e ha sottolineato il requisito fondamentale di un approccio pragmatico verso l’energia nucleare.

La realtà è sconfortante: non esistono alternative ai combustibili fossili che siano economiche ed efficienti. Ciò significa che questi combustibili rimarranno l’elemento centrale ed essenziale della politica energetica dell’UE oltre il 2020.

Questa è la ragione per cui dobbiamo trovare nuove soluzioni alla questione dell’approvvigionamento di energia nell’UE, tenendo presente la necessità di competitività, sostenibilità e sicurezza della fornitura. Di conseguenza, tutti gli investimenti nello sviluppo di nuove tecnologie dell’energia, primo per ridurre l’impatto ambientale e rafforzare la sicurezza degli impianti esistenti, e secondo per sviluppare nuove fonti energetiche e garantire un uso più efficiente e pulito dei combustibili fossili, sono di particolare importanza.

Siccome è fondamentale che gli Stati membri e l’UE incentrino i loro sforzi sulla ricerca in materia di energia, da un utilizzo più efficiente delle fonti energetiche alle nuove tecnologie e l’impiego più pulito di quelle esistenti, ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto.(PL) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Reul sulle fonti energetiche convenzionali e le tecnologie energetiche.

Il documento solleva una questione attuale molto importante che chiede un’ampia discussione nell’Unione europea, ovvero occorre una strategia unificata e dovremmo sviluppare una politica energetica comune. Garantire la sicurezza energetica europea è una priorità, ed è quindi molto gradita la proposta della Commissione di presentare un piano strategico europeo in materia di tecnologia energetica al Consiglio europeo di primavera del 2008.

In quanto leader mondiale, l’Unione europea deve altresì guidare lo sviluppo di moderne tecnologie energetiche, mantenendo tutti le pertinenti norme economiche e ambientali.

 
  
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  Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto.(SV) Ho deciso di sostenere la relazione poiché l’UE ha condotto una discussione insolitamente equilibrata relativa alla necessità di includere l’energia nucleare nel futuro mix energetico d’Europa. Tra le altre cose, la relazione afferma che “l’energia nucleare è indispensabile per garantire a medio termine il carico di base in Europa”, e che “l’energia nucleare è la maggiore fonte energetica dell’UE a basso tenore di carbonio e sottolinea il suo ruolo potenziale ai fini della protezione del clima”. Attualmente, l’energia nucleare è responsabile di un terzo degli approvvigionamenti elettrici dell’UE e sarà sempre una delle più importanti fonti energetiche in numerosi Stati membri dell’UE.

Nel momento in cui si solleva la questione delle emissioni di CO2, a mio parere è poco opportuno non rivolgere maggiore attenzione all’energia nucleare. Se dobbiamo soddisfare la futura domanda energetica senza dipendere ulteriormente dai combustibili fossili e aumentare le emissioni di CO2, diventerà sempre più importante lo sviluppo di energia nucleare nuova e sicura. Purtroppo, questa forma di energia non è inclusa nelle misure considerate realistiche nell’ottica di realizzare l’obiettivo compreso tra il 20 e il 30 per cento entro il 2020.

 
  
  

– Relazione: Davies (A6-0343/2007)

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE) . – (CS) Oggi abbiamo assegnato all’industria automobilistica il compito di sviluppare motori che riducano le emissioni di CO2 al di sotto di 120 g/km. Attualmente, il dato è pari a 157 g. Tuttavia, vorrei avvertire chi ha espresso approvazione per questa proposta che una riduzione delle emissioni è estremamente ostacolata dal numero crescente di automobilisti in generale, nonché di quello elevato di guidatori di vecchie automobili.

Una doppia regolamentazione della pubblicità non risolverà il problema. E’ noto che la maggior parte delle persone dà la precedenza all’efficienza economica nel caso dell’acquisto di un’automobile, anziché all’impatto ambientale del veicolo. I costi, ma anche le emissioni sono in aumento a causa dell’imposizione di maggiore sicurezza al veicolo.

Onorevoli colleghi, finché i veicoli a basso impatto ambientale e i costi correnti non diventeranno più accessibili, le quote di emissione del trasporto su strada non mostreranno alcun calo considerevole. Perciò, non figuro tra i sostenitori della relazione odierna. Nemmeno la relazione della commissione, né la strategia della Commissione sono esaustive a sufficienza. Per questa ragione, ho appoggiato altre proposte, connesse a sanzioni per il superamento dei limiti di emissione e, in particolare, a misure fiscali e sostegno allo svecchiamento della flotta dei veicoli.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE) . – (SK) La relazione appena adottata sulla futura strategia in materia di emissioni di CO2 per le automobili indubbiamente contribuisce a una delle discussioni più controverse svoltesi attualmente nel Parlamento europeo. In gioco non c’è solo l’ambiente, e quindi la salute dei cittadini europei, ma anche la competitività di un’importante industria. Ho votato a favore dell’emendamento poiché rappresenta un compromesso tra entrambi gli aspetti. Presta attenzione alla tutela ambientale e al contempo fornisce criteri adeguati e realistici per l’industria automobilistica europea.

La pubblicità di automobili costituisce fino al 20 per cento dell’attività pubblicitaria totale degli editori della carta stampata. Istituire requisiti pubblicitari obbligatori come stabilito nella relazione originale dell’onorevole Chris Davies violerebbe il principio fondamentale della libertà d’espressione. Perciò, ho votato a favore degli emendamenti che omettono i controversi paragrafi da 36 a 41 della relazione. Ho appoggiato la proposta del PPE-DE che invita le case automobilistiche a impegnarsi per un codice di condotta volontario relativo alla pubblicità delle automobili. Dopo che è stata adottata la maggior parte degli emendamenti, nella votazione finale ho espresso voto favorevole sulla relazione dell’onorevole Chris Davies. L’esito della votazione è un chiaro segnale politico per l’elaborazione di una normativa europea che tratti la questione della riduzione delle emissioni di CO2.

 
  
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  Karin Scheele (PSE) . – (DE) Signora Presidente, disponiamo tuttora della legislazione per mezzo della quale il Parlamento può dimostrare che prendiamo seriamente la protezione del clima in Europa, e abbiamo bisogno di raccogliere tutti i nostri sforzi per poter ottenere veramente, mediante tale legislazione, tutti gli elementi su cui oggi non abbiamo votato.

Ritengo sia deplorevole non essersi adoperati per un limite massimo pari a 120 g/km dal 2012. Sono trascorsi più di dieci anni da quando la nostra industria promise di raggiungere tale limite attraverso la propria autoregolamentazione proposta in base al fatto che questo approccio sarebbe migliore e più efficiente, e avrei preferito che oggi quest’Aula avesse trasmesso un messaggio politico chiaro sul clima. Non è accaduto.

Per questo motivo, ho votato contro la relazione, e spero che nella legislazione, mostreremo maggiore decisione e determinazione e preciseremo di prendere davvero seriamente le questioni climatiche in Europa.

 
  
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  Jan Březina (PPE-DE) . – (CS) Ho espresso voto contrario sulla proposta della relazione sulla strategia comunitaria per ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture, anche se per ragioni diverse da quelle menzionate in precedenza.

Ho votato contro la proposta poiché con essa ci stiamo allontanando da un approccio integrato, contenuto in documenti strategici antecedenti, e stiamo invece addossando l’intero onere della riduzione delle emissioni di CO2 sull’industria automobilistica europea. Non sono altresì d’accordo con la richiesta di un’assegnazione obbligatoria pari al 20 per cento di spazio pubblicitario. Tale iniziativa ricorda pericolosamente la campagna informativa riguardante i dannosi effetti del fumo.

Un simile approccio complessivo trasforma la riduzione delle emissioni di CO2 in un dogma che, laddove tradotto in una futura normativa vincolante, provocherà una diminuzione della nostra competitività.

 
  
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  Christoph Konrad (PPE-DE) . – (DE) Signora Presidente, ho espresso voto contrario sulla relazione dell’onorevole Davies poiché, a mio parere, abbiamo preso ciò che, essenzialmente, rappresenta una decisione inaccettabile e irrealistica che prevede categorie di efficienza uniformi per quanto riguarda la CO2 per le automobili.

Dovrebbe esistere una scala mobile basata su dimensioni e peso, innanzi tutto per stabilire condizioni paritarie per le case automobilistiche nell’Unione europea. Consentitemi di fornire un esempio: è diverso scaldare una casa o una sola stanza. Perciò, è anche diverso guidare un’auto piccola o grande. Per questo motivo, occorre una segmentazione e una scala mobile basata sul peso. Abbiamo perso quest’opportunità, che ritengo sia riprovevole, e con tale decisione, che non appoggio, abbiamo altresì tralasciato l’opportunità di stabilire un grado di equilibrio tra gli interessi dell’ambiente e quelli dell’industria.

 
  
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  Kurt Joachim Lauk (PPE-DE) . –(DE) Signora Presidente, ho votato contro la relazione dell’onorevole Davies poiché, in seguito agli emendamenti adottati, siamo tuttora lontani da una situazione ottimale, ovvero di proteggere l’ambiente, da un lato, ma anche promuovere l’occupazione in Europa e non imporre ingiustamente al consumatore prezzi troppo elevati. In sostanza, le decisioni prese vanno a discapito dell’impiego e del consumatore.

In termini tecnici, ci siamo allontanati dall’approccio integrato che sarebbe stato essenziale per creare una condizione in cui tutti contribuiscono a ridurre le emissioni di CO2, non solo le case automobilistiche, ma anche i fabbricanti di altri componenti per veicoli. Abbiamo lasciato questa strada. Per di più, non abbiamo incluso il peso e non abbiamo completato le categorie di peso, aspetto importante per la competitività europea, poiché i veicoli di peso più elevato che sono all’avanguardia nel settore dell’innovazione, costituiscono il progresso di cui l’Europa ha bisogno.

Abbiamo stabilito scadenze difficili o costose da rispettare e abbiamo intrapreso l’assurda iniziativa di non tenere conto della richiesta di oneri fiscali relativi alla CO2 negli Stati membri, cosa che significa che i vecchi veicoli che emettono CO2 sono ancora sul mercato e sulle strade. Perciò, ho espresso voto contrario sulla relazione.

 
  
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  Linda McAvan (PSE) . (EN) Signora Presidente, ho due osservazioni da esprimere, la prima relativa alla procedura, la seconda all’elenco di votazione.

Per quanto riguarda l’elenco di votazione: primo, non si è menzionato il paragrafo 3; secondo, ritengo dovremmo analizzare nuovamente che cosa è accaduto in merito agli emendamenti nn. 52 e 51. Se si considera l’emendamento n. 51, è chiaramente il più prossimo al testo originale e dovrebbe essere votato per primo. Il n. 52 è maggiormente distante e andrebbe votato per secondo.

Chiederei alla Presidenza di esaminare tale situazione poiché è proprio ciò che dovrebbe essersi verificato. Pertanto, vorrei alcune risposte in merito a tali aspetti procedurali.

Secondo, per quanto riguarda l’aspetto politico, si è trattato del primo voto reale sui cambiamenti climatici. Non è legislazione, che giungerà in seguito, ma, non riuscendo a sostenere la data del 2012 fissata dalla Commissione europea, ritengo che il gruppo ALDE e il gruppo PPE-DE di questo Parlamento hanno fallito la prima prova sui cambiamenti climatici e i cittadini sono in attesa di ciò che accadrà oggi in quest’Aula e si chiedono se siamo veramente seri in merito agli impegni presi a marzo per ridurre la CO2.

Parliamo di un’Europa che sia un’Europa dell’ambiente. Dobbiamo tradurre tale aspetto in legislazione affinché abbia successo.

 
  
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  Françoise Castex (PSE), per iscritto. – (FR)L’onorevole Castex ha votato a favore della relazione dell’onorevole Davies sulla riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri.

Se la Francia continua a essere monopolizzata dal Forum sull’ambiente di Grenelle, l’Unione europea ha a sua volta aggiunto un altro prezioso elemento alla qualità del nostro ambiente adottando una strategia volta a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli privati.

L’onorevole Castex è molto lieta che il Parlamento abbia esortato l’industria automobilistica europea a garantire che i nuovi veicoli non emettano più di 120 g/km di CO2 entro il 2012.

Questo membro francese del gruppo socialista del Parlamento europeo accoglie con favore il sistema di riduzione delle quote di carbonio (CARS), poiché tale meccanismo imporrà sanzioni ai fabbricanti che non riusciranno a rispettare le quote, assegnando, nel contempo, riconoscimenti a chi ha preso l’iniziativa raggiungendo le emissioni che sono inferiori al limite massimo.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld e Christofer Fjellner (PPE-DE), per iscritto.(SV) Essenzialmente abbiamo votato a favore della relazione dell’onorevole Davies sulla strategia per ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture (A6-0343/07).

Al fine di ridurre le emissioni di CO2, deve essere una priorità diminuire la proporzione emessa dal traffico automobilistico. E’ importante individuare alternative maggiormente rispettose dell’ambiente all’utilizzo delle automobili. Tuttavia, a nostro parere, le case automobilistiche dovrebbero ottenere l’opportunità di scegliere da sole in che modo intendono realizzare gli obiettivi in materia di ambiente fissati dai politici. La legislazione non dovrebbe disciplinare nel dettaglio come ciò dovrebbe avvenire.

Ci opponiamo inoltre alle norme proposte dal relatore in merito alla pubblicità, che sono ingiustificate e limitano la libertà d’espressione.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione.

Parte del 19 per cento di tutte le emissioni di CO2 prodotte nella Comunità, ora deriva da veicoli privati e da veicoli commerciali leggeri. L’Unione europea deve impegnarsi per un obiettivo ambizioso e realistico volto alla riduzione delle emissioni medie di tutti i veicoli presenti sul mercato dell’UE.

Deve essere ridotto l’impatto del trasporto su strada sulla qualità dell’aria man mano che si rinnova la flotta di veicoli.

Accolgo con favore l’adozione delle scadenze fissate dal Parlamento. Se l’industria automobilistica deve intraprendere azioni verificabili e valutabili dopo il 2011, stabilire il 2015 come la data per ottenere un limite di 125 g/km mi pare assolutamente ragionevole. In effetti, questo termine corrisponde all’entrata in vigore delle norme Euro VI sulle emissioni.

Affinché la legislazione sia efficace, deve essere soprattutto realistica e l’industria ha a lungo collocato le questioni ambientali al centro delle sue politiche. Quando si tratta di cambiamenti climatici, la priorità è ridurre le emissioni di CO2 in termini assoluti.

 
  
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  Jules Maaten (ALDE), per iscritto.– (NL)La relazione Davies merita sostegno per il segnale politico che trasmette. Tutti i settori devono agire al fine di porre rimedio al problema dei cambiamenti climatici, inclusa l’industria automobilistica europea. Per questa ragione, appoggio con fermezza il compromesso di raggiungere un massimo pari a 125g di CO2 per km entro il 2015.

Per i Paesi Bassi la relazione Davies presenta una dimensione aggiuntiva innegabile. A causa del problema del particolato presente nell’aria dei Paesi Bassi, è necessario che le misure adottate a livello europeo affrontino la situazione all’origine. Qualora ciò non accadesse, allora per le zone di trasporto intenso come il porto di Rotterdam e l’aeroporto Schiphol, sarà impossibile rispettare le norme attuali o più severe per la questione del particolato.

Sono favorevole a una migliore informazione per i consumatori in merito al rispetto dell’ambiente di particolari veicoli, simile a quella di cui disponiamo adesso per frigoriferi e lavatrici ad esempio, tuttavia ho votato contro la proposta di rendere obbligatori in tutte le attività pubblicitarie e promozionali dell’industria automobilistica avvisi sulla falsariga di quelli previsti per le sigarette.

 
  
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  Erika Mann (PSE), per iscritto. −(DE) Ho espresso voto contrario sulla relazione dell’onorevole Davies sulla strategia comunitaria per ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri. Avendo inizialmente votato a favore del documento nel corso della votazione diretta in plenaria, in seguito ho ritirato il mio voto per iscritto, come annotato nei registri parlamentari del 25 ottobre 2007.

A mio parere, la relazione è estremamente arbitraria e non è in grado di tenere debitamente conto delle esigenze dell’industria automobilistica tedesca o delle preoccupazioni in materia di ambiente.

Ad esempio, il testo non formula una distinzione tra le diverse classi di veicoli e quindi avanza richieste irrealistiche alle case automobilistiche.

Per quanto riguarda la pubblicità, si effettua un crescente confronto tra le esigenze per quanto riguarda l’etichettatura dei prodotti del tabacco e i veicoli.

Il relatore (l’onorevole Davies, un liberale verde inglese) era preparato unicamente a giungere a un compromesso su un aspetto al termine del processo durante le discussioni in merito. Era troppo tardi per formulare una raccomandazione ragionevole del Parlamento che avrebbe potuto assicurare il sostegno da parte di tutti i gruppi.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto.(EN)Ho votato a favore della versione originale di questa relazione, che proponeva limiti severi alle emissioni, pari a 120 g. di CO2 per chilometro entro il 2012. Purtroppo, la proposta è stata indebolita dai deputati Tory e liberali affinché accordasse un limite più elevato per le emissioni e una fase di adeguamento più lunga. La strategia complessiva è positiva, ma è un peccato che sia stata inutilmente attenuata.

 
  
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  Tokia Saïfi (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Il Parlamento europeo ha approvato la strategia comunitaria per ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture e accolgo favorevolmente quest’iniziativa.

Tale iniziativa ci consentirà di ridurre le emissioni di anidride carbonica e al contempo di favorire la realizzazione di obiettivi europei ambientali più generali e di sicurezza energetica. Ciononostante, ritengo che il messaggio che questa votazione ha trasmesso alla Commissione e alla comunità internazionale in una visione più ampia, avrebbe potuto essere maggiormente ambizioso.

Il limite di 120 g/km per la CO2 è stato presentato per la prima volta nel 1995 come un obiettivo realizzabile per l’industria automobilistica. Ora, 12 anni dopo, la sua applicazione è ancora controversa, anche se progressi tecnologici hanno fatto sì che le emissioni di CO2 ora possano essere ridotte in maniera più considerevole rispetto a quanto fosse possibile dodici anni fa.

Soddisfatto del limite massimo obbligatorio di 125 g/km di CO2, il Parlamento non si è spinto abbastanza lontano. Per questa ragione, ho votato contro gli emendamenti nn. 42 e 52 poiché i loro obiettivi, nella pretesa di essere prudenti e realistici, di fatto sono semplicemente troppo misurati.

In un periodo in cui il consumatore sta diventando sempre più sensibile verso l’inquinamento dei veicoli a motore, qualsiasi misura finalizzata a ridurre le emissioni di CO2 da questa fonte favorirà l’industria automobilistica, il consumatore e, naturalmente, il pianeta stesso.

 
  
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  Renate Sommer (PPE-DE), per iscritto. −(DE) Ho votato a favore delle proposte volte a introdurre un limite vincolante alle emissioni medie, benché con qualche preoccupazione. A mio parere, sarebbe stata preferibile una scala mobile basata sulle dimensioni e il peso del veicolo.

Anche se, a parte ciò, tendo a essere favorevole a impegni volontari da parte dell’industria, ritengo che requisiti giuridici vincolanti siano essenziali per l’industria automobilistica: l’esperienza ha dimostrato che impegni spontanei in questo settore sarebbero destinati a fallire.

Come sappiamo, tra il 1990 e il 2004, si è ottenuta una riduzione di circa il 5 per cento delle emissioni di gas a effetto serra da parte dell’UE a 25. Non per quanto riguarda il traffico stradale tuttavia: in netto contrasto, questo settore ha subito un aumento del 26 per cento. Chiaramente occorre intervenire con urgenza in quest’ambito, e l’industria automobilistica deve offrire il proprio contributo nel ridurre le emissioni.

Il 2012 come anno di introduzione del limite è stato criticato poiché non si consente una fase di adeguamento sufficientemente lunga. Eppure, questa data è stata discussa per anni, e l’industria sapeva che cosa aspettarsi da molto tempo.

La questione che dobbiamo sempre considerare, tuttavia, è equilibrare gli interessi ambientali e quelli dell’industria automobilistica, siccome questi fattori sono altresì nell’interesse dei posti di lavoro e della competitività nell’Unione europea. Si tratta di un settore vivace ed è importante per l’UE. Senza imprese solide, non disporremmo del denaro necessario ai programmi ambientali!

 
  
  

– Relazione: Wagenknecht (A6-0391/2007)

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE) . – (LT) Finora gli Stati membri sono riusciti soltanto a ottenere un accordo relativo al consolidamento della tassazione indiretta, accisa e IVA, determinazione di un’aliquota minima, applicazione di numerose esenzioni dell’IVA. Dubito che un’aliquota minima di accisa, per il carburante ad esempio, accrescerebbe la competitività economica. E’ più probabile che aumentino i prezzi e si riduca il consumo, in particolare alla luce del rialzo globale dei prezzi. Il coordinamento proposto delle accise rappresenterebbe un onere insostenibile per i nuovi Stati membri.

Il consolidamento consigliato delle basi imponibili a livello UE sarebbe stato maggiormente appropriato per le economie dei 15 vecchi paesi membri, poiché presentano livelli simili di sviluppo. Tale proposta è un passo avanti verso l’unificazione delle imposte sugli utili. L’onere maggiore ricadrebbe sulle economie più deboli dei nuovi Stati membri. Questa situazione condurrebbe a una mancata opportunità per approfittare della concorrenza fiscale, nonché per accelerare la loro crescita economica. Li priverebbe della possibilità di elevare la loro qualità di vita affinché corrisponda a quella dei vecchi paesi membri.

Ho votato contro questa relazione, considerato che è inopportuna, nonostante gli emendamenti.

 
  
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  Jan Andersson, Göran Färm e Inger Segelström (PSE), per iscritto. – (SV)Noi socialdemocratici svedesi riteniamo innanzi tutto che la politica fiscale dovrebbe essere una questione nazionale.

La relazione sottolinea anche la sovranità fiscale degli Stati membri.

Abbiamo deciso di votare a favore del testo poiché rileva in molti modi il ruolo della politica fiscale nei paesi membri per quanto riguarda l’occupazione, le prestazioni sociali e l’ambiente, nonché un buon funzionamento del mercato interno.

 
  
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  Gérard Deprez (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho approvato l’emendamento n. 20, come presentato dal gruppo Verde/Alleanza libera europea, che cerca di abolire il paragrafo 17 della relazione Wagenknecht relativo al contributo della tassazione alla strategia di Lisbona.

Al fine di garantire il funzionamento uniforme del mercato interno, di fatto sono favorevole a qualsiasi misura che favorisca l’armonizzazione fiscale nell’UE.

Se la tassazione è tuttora, essenzialmente, una questione di sovranità nazionale, in maniera rapida è diventato evidente che occorre garantire un grado minimo di coordinamento fiscale tra gli Stati membri. Perciò, per quanto riguarda la tassazione indiretta, la Commissione ha gradualmente stabilito un’aliquota minima per le accise al fine di ridurre la distorsione della concorrenza.

Tuttavia, nella relazione su cui oggi si esprime il voto, il paragrafo 17 ora cerca di riesaminare questo sistema e propone di sostituirlo con un codice di condotta.

Non ritengo sia sufficiente soltanto “incoraggiare” gli Stati membri quando si tratta di coordinare una tassazione indiretta. Per di più, credo ancor meno nell’efficacia di un codice di condotta sulle accise: è probabile induca una maggiore tentazione di disfare le norme e le pratiche dell’UE, cosa che, a sua volta, creerebbe la spiacevole situazione di una concorrenza sleale in questo settore.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. −(PT) Abbiamo votato contro il testo finale poiché, tra le altre cose, assumeva una posizione di difesa dei gruppi economici e finanziari, come evidenziato dalla relatrice che ha rimosso il suo nome dal documento prima della votazione definitiva e ha chiesto fosse respinta. La risoluzione mira a semplificare le norme e le procedure, in modo che le grandi imprese possano entrare sui diversi mercati e ottenere i profitti maggiori con il minor numero di ostacoli in ogni Stato membro.

Inoltre, riteniamo che, in tutte le discussioni a questo proposito, debba essere rispettata la sovranità fiscale degli Stati membri in termini di definizione della propria politica fiscale. In questo caso, ciò non è accaduto. Una politica europea fiscale presumibilmente comune che promuove “una concorrenza fiscale” servirebbe soltanto agli interessi dei grandi capitali europei e internazionali.

I dati disponibili mostrano che, negli ultimi 10 anni, è avvenuto un calo significativo dell’aliquota fiscale media degli utili aziendali, mentre l’imposta sul reddito è rimasta praticamente immutata.

Ci spiace che le proposte avanzate dalla relatrice, che ha evidenziato la possibile ridistribuzione della tassazione e ha rilevato il trasferimento dell’onere fiscale dai redditi elevati a quelli più modesti, non siano state incluse nel testo definitivo.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto.(SV) Il Junilistan è fermamente contrario alla relazione, che tenta di spostarsi nella direzione di una tassazione comune e di una politica doganale per l’UE.

E’ sorprendente che oggi il Parlamento europeo stia prendendo decisioni in merito a questioni per cui non esiste una politica comune. Non spetta all’UE decidere le questioni fiscali e invitare subito gli Stati membri ad armonizzare i propri oneri fiscali nazionali. Inoltre, è del tutto insensato cercare di introdurre l’imposizione di una tassa comunitaria.

Nella relazione è altresì possibile notare come la strategia di Lisbona consenta all’UE di occuparsi di nuove aree politiche, con il sovranazionalismo, nuovi progetti e successivi costi maggiori.

Il Junilistan vota contro questo testo, poiché la tassazione deve essere determinata dagli Stati membri a livello nazionale e in modo sovrano.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR)La relazione sul contributo delle politiche fiscali e doganali alla strategia di Lisbona, come votata dalla commissione per i problemi economici e monetari, costituisce un compromesso accettabile tra il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, da un lato, e tra il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, dall’altro, e la approvo. Sono anche lieta di notare che siamo riusciti a mantenere questo equilibrio durante la votazione in plenaria.

Secondo me, il punto fondamentale della relazione è il paragrafo 4, che sottolinea i vantaggi della sana concorrenza fiscale nell’Unione europea. Qualora, in effetti, avessimo intenzione di realizzare gli obiettivi di crescita economica e occupazione, come stabilito nella strategia di Lisbona, dovremmo garantire di non imporre oneri fiscali troppo gravosi alle imprese, poiché sono queste ultime a creare i posti di lavoro. Per di più, non dovremmo mai tassare eccessivamente dipendenti e consumatori, direttamente o indirettamente, visto che contribuiscono in modo consistente allo sviluppo.

Una concorrenza fiscale costringe gli Stati membri dell’Unione a mitigare la loro domanda nel settore e a essere più efficienti nella gestione della spesa pubblica, e ciò può solamente favorire il contribuente.

La base imponibile consolidata comune per le società, un’altra materia controversa della relazione, a mio parere aggiungerebbe un fattore di coordinamento alla politica fiscale che renderebbe la tassazione aziendale europea meno burocratica e più efficiente.

 
  
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  Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. –(EL) La politica fiscale è utilizzata per ridistribuire il reddito a vantaggio del capitale. E’ usata da tutti i governi di centrodestra e di centrosinistra, e amministra i capitali nell’UE.

Non esiste politica fiscale comune a causa dei conflitti interimperialisti. Anche se, tuttavia, esistesse una politica simile, il capitale favorirebbe la propria redditività alle spese dei redditi e delle esigenze dei normali cittadini.

Nell’inesorabile concorrenza, il capitale ora si trasferisce in modo semplice e veloce da paesi a tassazione elevata a paesi a tassazione inferiore. In effetti, in tutti gli Stati membri, l’aliquota fiscale sul reddito aziendale sta calando a discapito del reddito della persona fisica.

Tuttavia, questo fenomeno non si verifica per l’onere fiscale sul reddito da lavoro, che rimane costante, mentre le imposte indirette e l’IVA sono aumentate, incrementando la disparità e il divario tra ricchi e poveri. Tale situazione si riflette anche nei dati OCSE, che mostrano che la tassazione indiretta sottoforma di IVA è salita al 6,9 per cento del PIL nel 2006. Pertanto, il capitale è sistematicamente esentato dalla tassazione e l’esazione sui lavoratori è cresciuta mediante la tassazione indiretta.

Ciò si sta verificando anche in Grecia: l’imposta aziendale è calata del 10 per cento e l’IVA è aumentata dell’1 per cento, con ulteriore rialzo previsto pari al 2 per cento.

Si tratta della barbarie del capitalismo, che genera disparità e povertà per la maggior parte dei cittadini, e dobbiamo convertire tale tendenza.

 
  
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  Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. (EN) Se la relazione contiene alcuni elementi positivi riguardanti una maggiore equità nella distribuzione dell’onere fiscale, non posso sostenere un ruolo più rilevante dell’Unione europea in relazione alla tassazione, che indebolirebbe ulteriormente la sovranità economica degli Stati membri.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE), per iscritto. (EN) La delegazione delFine Gael nel Parlamento europeo ha deciso di opporsi alla relazione nella votazione finale a causa della proliferazione di riferimenti alla CCCTB e a questioni collegate.

Appoggiamo l’agenda di Lisbona e siamo favorevoli alla relazione, per quanto riguarda il riconoscimento degli aspetti positivi di una tassazione inferiore e i vantaggi della concorrenza fiscale, ma respingiamo la prerogativa delle istituzioni europee a interferire nei diritti degli Stati membri, come l’Irlanda, che fanno parte dell’eurozona. I tassi d’interesse sono fissati dalla BCE e il Patto di crescita e stabilità stabilisce i requisiti di finanziamento e inflazione. La politica fiscale è quindi uno degli strumenti concessi agli Stati membri conformemente al trattato e dovrebbe essere salvaguardato.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. −(EN) Esistono molti modi in cui gli assetti fiscali nell’UE potrebbero essere utili nel generare una serie di migliori conclusioni per la strategia di Lisbona. In poche parole, l’incentivo alla crescita delle piccole imprese e la creazione di posti di lavoro, nonché le questioni ambientali, è considerato positivo. Spetta agli Stati membri impegnarsi e proseguire, tali sono le loro competenze.

Consolidare le basi imponibili a livello UE non comporterebbe la differenza suggerita dalla relatrice. Il partito laburista del PE sostiene che numerosi elementi positivi verso la strategia di Lisbona possano essere ottenuti tramite l’intervento di un paese membro, anziché dell’UE.

 
  
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  Sahra Wagenknecht (GUE/NGL), per iscritto. −(DE)Nella votazione odierna, il Parlamento europeo ha mostrato che la maggioranza dei deputati appoggia una politica fiscale che favorisce gli interessi di pochi a detrimento di gran parte dei cittadini dell’Unione europea. Benché siano state accettate alcune delle mie proposte, dopotutto, nessuno è desideroso di difendere apertamente la causa dell’aumento dell’IVA, oneri fiscali più elevati sul reddito da lavoro o migliori opportunità di dumping fiscale a livello europeo, le proposte che abbiamo avanzato in merito a un aumento delle imposte sulle transazioni finanziarie e dei beni e a una riduzione del dumping fiscale con l’introduzione di una base imponibile consolidata comune per le società, sono stati respinti dalla maggioranza dei deputati.

Siccome la relazione finale, dopo i singoli voti, era quasi irriconoscibile rispetto al mio progetto originale, con certi aspetti del suo contenuto alterati ulteriormente nella versione del testo concordata in sede di commissione per i problemi economici e monetari, mi sono sentita in dovere di rimuovere il mio nome dalla relazione e invitare i deputati a esprimere voto contrario durante la votazione finale. Accolgo con favore il fatto che anche le sezioni pertinenti del gruppo socialista del Parlamento europeo non siano state in grado di appoggiare la versione definitiva del testo, come mostra l’esito della votazione.

Oggi, quest’Aula ha rinunciato alla possibilità di chiedere una politica fiscale più equa e socialmente compatibile e di adottarla come posizione chiara del Parlamento europeo. Invece, la maggioranza di quest’Assemblea ha nuovamente confermato, senza discutere, le politiche europee rivolte nella direzione sbagliata.

 
  
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  Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto.(SV) Oggi ho scelto di sostenere la relazione sul delle politiche fiscali al processo di Lisbona. Appoggio una sana concorrenza fiscale e una base imponibile aziendale consolidata comune per le società internazionali, senza l’armonizzazione dei livelli fiscali e con un diritto d’opzione per ogni Stato membro di non rientrarvi, qualora lo ritenesse opportuno. E’ altresì importante stabilire la sovranità dei paesi membri nel settore della tassazione. Contesto inoltre ogni tentativo di introduzione di un onere fiscale europeo.

 
  
  

– Relazione: Florenz (A6-0336/2007)

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE) . – (SK) Ammiro e rispetto la determinazione con cui alcuni paesi hanno introdotto il divieto di fumo non solo negli uffici e in tutti i posti di lavoro, ma anche in ristoranti, pub, bar e locali. Esistono valutazioni d’impatto economiche che non hanno confermato le preoccupazioni dei gestori dei locali in merito a un calo dei guadagni. Siamo inoltre consapevoli che la cura dei tumori ai polmoni e altre malattie costa oltre 50 milioni di euro.

In Scozia, il numero di persone ricoverate in ospedale affette da miocardite è calato di quasi il 20 per cento dall’introduzione del divieto di fumo. I bambini di donne fumatrici, nonché di donne esposte a fumo passivo durante la gravidanza, sono nati prematuramente e presentano un peso alla nascita inferiore a quello normale. Invito gli Stati membri dell’Unione europea, incluso il mio paese membro, a introdurre senza esitazioni leggi efficaci che prevedano il divieto di fumo nei luoghi di lavoro e nei ristoranti, e misure valide che riducano l’uso complessivo del tabacco.

 
  
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  Roberta Alma Anastase (PPE-DE) . (RO) Mentre voto a favore di questa relazione, desidero evidenziare il suo significato per il futuro dei cittadini europei e dell’intera Unione europea. Accolgo con favore l’approccio strategico al problema del fumo, compreso il fumo passivo, nonché la proposta di azioni concrete e urgenti per la lotta contro questo fenomeno e le sue conseguenze negative a livello europeo. Inoltre, sono certa che un approccio strategico alla questione dovrebbe includere una politica di prevenzione del fumo, in quanto elemento essenziale, sviluppando un sistema reale di educazione a questo proposito. La realtà odierna è ovvia; esiste una chiara e crescente necessità di sensibilizzazione per quanto riguarda gli effetti del fumo nell’intera società europea. Non meno importante è incentrare questi sforzi di prevenzione all’educazione, in anticipo, di bambini e giovani, e dei loro genitori, al fine di garantire un’Europa senza fumo per le generazioni future.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (UEN) . – (PL) Signora Presidente, vorrei spiegare il mio voto in merito alla relazione dell’onorevole Florenz sulla lotta al preoccupante fenomeno della dipendenza da nicotina. Desidero porre l’accento sul fatto di aver votato a favore di questo documento, malgrado sia un sostenitore della libertà per i fumatori e, ovviamente, un difensore del pluralismo. Ciononostante, il problema degli effetti dannosi del cosiddetto fumo passivo, ovvero le conseguenze per i non fumatori circondati da fumatori, in effetti è allarmante. E’ sufficiente ricordare a quest’Aula che 650 000 decessi l’anno sono connessi al fumo. Questo dato include 80 000 fumatori passivi, alcuni dei quali sono bambini. Questo è il motivo per cui dovremmo imporre limitazioni alla libertà di certe persone al fine di prevenire alcune morti.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE) . (FI) Signora Presidente, innanzi tutto desidero esprimere la mia soddisfazione per questa relazione. E’ un’ottima iniziativa aver adottato una posizione chiara contro il fumo passivo.

Ho votato a favore del testo poiché è giunto il momento di agire a livello europeo per impedire che le persone siano effettivamente esposte ai pericoli del fumo del tabacco. Come udito in precedenza, 650 000 persone muoiono ogni anno per le conseguenze del fumo. E’ ora di intervenire.

Nonostante il mio sostegno alla proposta, mi rendo conto che sarà difficile metterla in pratica e applicarla dappertutto. Il paragrafo 11 include il concetto che il fumo dovrebbe essere vietato nel trasporto privato in tutta l’UE in presenza di minorenni. Si tratta di un valido obiettivo, ma dobbiamo considerare il modo in cui sarebbe possibile controllarlo. Un ambiente privo di fumo è un traguardo che dobbiamo perseguire, tuttavia, in futuro, sarà necessario prestare maggiore attenzione a garantire che l’intervento intrapreso sia ragionevole e che si possa verificare il rispetto delle norme.

 
  
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  Christoph Konrad (PPE-DE) . – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, ovviamente tutti sappiamo che il fumo è dannoso per la nostra salute. Ciononostante, ho espresso voto contrario in merito alla relazione su un’Europa senza fumo per una questione di principio, poiché è corretto affermare che in nessun altro ambito lo Stato si è imposto con così tanto successo quanto nella lotta contro il fumo nei luoghi pubblici. I paesi dell’UE, compreso il mio, stanno intervenendo, su una scala senza precedenti, con i loro divieti di fumo, nelle abitudini private dei cittadini.

Stiamo assistendo a una politica proibizionista appoggiata dallo Stato oltre confine, destinata a insegnare ai cittadini a modificare il loro comportamento. La stessa relazione chiarisce quest’aspetto. L’unanimità, o, come accade oggi, un’unanimità virtuale non è garanzia di libertà. E’ vero il contrario. In sostanza, ed è ciò che dobbiamo riconoscere, la libertà cresce sulla possibilità di discostarsi dalla regola. I cittadini interessati sono in movimento, lo Stato assume il ruolo di istitutore, e tutti coloro che hanno sono coinvolti e sostengono quest’aspetto pensano che non abbia niente a che fare con la libertà. Si sbagliano!

 
  
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  Renate Sommer (PPE-DE) . – (DE) Signora Presidente, sì, anch’io ho votato contro la relazione su un’Europa senza fumo, benché nel farlo mi sottoponga a ciò che è equiparabile a una caccia alle streghe, anche in quest’Aula. Questa è la ragione per cui molti dei nostri colleghi non hanno semplicemente avuto il coraggio di respingere la relazione, sebbene nemmeno loro fossero favorevoli a questa politica di tutela.

Sono ovviamente d’accordo per quanto riguarda la protezione dei non fumatori, bambini e giovani, ma è in gioco una questione di principio. Primo, non disponiamo delle competenze di politica sanitaria, che spetta ai paesi membri. Tutto il resto costituisce violazione della sussidiarietà ed è una pertinenza costruita a livello europeo. Secondo, e più in particolare, ne abbiamo abbastanza! Basta onorevoli colleghi! Per anni, l’UE ha fatto guerra a fumatori, alcolisti e obesi in Europa, in apparenza partendo dal presupposti che i nostri cittadini sono stupidi e hanno bisogno di tutela attraverso la legislazione. Si tratta proprio di ciò a cui sono contraria.

I cittadini che rappresento non sono stupidi. Una politica proibizionista è sempre controproducente e il mio lavoro è rappresentare le persone, non accudirli.

 
  
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  Daniel Hannan (PPE-DE) . (EN) Signora Presidente, qualora mai esistesse una questione che esigesse sussidiarietà, si tratterebbe sicuramente del fumo. Accettiamo l’ipocrisia di finanziare la coltura del tabacco nell’Unione europea, penalizzando nel contempo il suo consumo. Ignoriamo la doppia normativa intesa a disincentivare il fumo all’interno dell’UE, incoraggiandolo all’esterno. Incentriamoci invece sulla questione più fondamentale in merito a quale di questi aspetti abbia a che fare con Bruxelles.

Di certo lo status giuridico e fiscale del tabacco è una prerogativa nazionale, e la questione relativa a dove e quando possiamo consumarlo dovrebbe essere decisa a livello ancora più locale: in uno spazio privato, dal suo legittimo proprietario, e in uno spazio pubblico dalle autorità municipali. Non dovrebbe avere niente a che fare con i governi nazionali e, naturalmente, con l’Unione europea. Sussidiarietà, onorevoli colleghi, ricordate?

 
  
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  Marcin Libicki (UEN) . – (PL) Signora Presidente, durante questa seduta abbiamo discusso la relazione dell’onorevole Florenz volta a limitare il diritto di fumare sigarette. Ho votato contro questo documento poiché ritengo che si dovrebbero imporre restrizioni solo in casi in cui il fumo rechi danno ad altre persone. Non possiamo, tuttavia, vietarlo a chi vuole farsi del male. Si tratterebbe di una violazione dei diritti dell’individuo che supera le prerogative di ogni datore di lavoro. La questione dei costi connessi alle cure di certo è pertinente, ma è semplicemente compito di chi è responsabile delle assicurazioni. Ove appropriato, le tariffe per i fumatori potrebbero essere aumentate fino a includere i costi delle cure. Esiste un altro aspetto degno di essere menzionato, vale a dire la sussidiarietà. Gli oratori precedenti ne hanno già parlato e, ovviamente, concordo appieno sul fatto che tale questione, che in ogni caso è essenzialmente invalidata, debba rientrare nelle competenze delle autorità nazionali, non dell’Unione europea.

 
  
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  Daniel Caspary (PPE-DE), per iscritto. −(DE) Accolgo con favore tutte le misure degli Stati membri volte a informare i cittadini dei rischi del fumo. A mio parere, questi provvedimenti rientrano nell’ambito dei paesi membri, non dell’Unione europea.

Nella votazione finale, pertanto, ho respinto la relazione Florenz.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. −(PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Florenz sul Libro verde “Verso l’Europa senza fumo: opzioni per un’iniziativa dell’Unione europea” poiché ritengo sia essenziale compiere i passi appropriati volti a ridurre il numero di decessi e di gravi malattie provocate dal fumo di tabacco.

A questo proposito, sostengo la richiesta alla Commissione di modificare la direttiva 2001/37/CE sui prodotti del tabacco al fine di, alla luce dei nuovi progressi scientifici, rivedere le norme sull’impiego di additivi e altre sostanze in tali prodotti, in particolare in relazione agli additivi cancerogeni, mutagenici o tossici.

 
  
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  Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR)Strasburgo non è Qom e il Parlamento europeo non è la “guida suprema” inviata a elargire decoro e rettitudine nell’Unione. Ora tutti sanno che il fumo reca danni alla salute. Ma la vita stessa è pericolosa, poiché finisce sempre con la morte. Personalmente non ho mai fumato.

Se non mi sorprende che alcuni adulti siano pronti a correre il rischio, non smetto mai di sbalordirmi del proselitismo degli ayatollah nella commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, presentando relazioni su relazioni d’iniziativa, che tentano di “salvare il mondo” a discapito degli esseri umani e delle loro debolezze. Dico “no” a questi fanatici.

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE), per iscritto.(PL) In quanto membro della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, nonché non fumatrice consapevole delle numerose conseguenze negative del fumo di sigaretta nelle immediate vicinanze, accolgo con favore la relazione dell’onorevole Florenz intitolata “Verso l’Europa senza fumo”.

Ritengo sia del tutto appropriato per il Parlamento europeo stesso trasmettere un messaggio deciso e inequivocabile a tutti i cittadini dell’UE e ai paesi membri, chiarendo che non abbiamo intenzione di vedere fumatori nei luoghi pubblici, ovvero in ristoranti, bar e mezzi pubblici di trasporto. In particolare non vorremmo vedere fumatori sul posto di lavoro.

Chiediamo inoltre misure più severe contro la vendita di sigarette ai minori. In aggiunta, ritengo che l’introduzione di restrizioni dovrebbe essere accompagnata da una campagna informativa ad ampio respiro che dovrebbe includere più degli effetti dannosi del fumo. Questi ultimi sono generalmente noti, ma occorre altresì chiarire che i diritti dei non fumatori a vivere in un ambiente senza fumo non possono dipendere o essere limitati dai fumatori che intendono esercitare il loro diritto di fumare alle spese dei non fumatori.

Se il nostro appello per un’Europa senza tabacco avesse esito positivo, noi deputati del Parlamento europeo dovremmo essere un modello ed eliminare il fumo dal nostro luogo di lavoro. Ciò significa niente più fumo negli edifici parlamentari.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR)Ho votato a favore di questa relazione che cerca non solo di sostenere gli Stati membri nelle severe misure che hanno adottato per combattere la dipendenza da tabacco, ma anche di promuovere una migliore salute pubblica.

Il fumo di tabacco non è soltanto una grande fonte di inquinamento dell’aria, i prodotti chimici contenuti nelle sigarette espongono fumatori e non fumatori a gravi rischi. Questa condizione è vera soprattutto negli spazi chiusi, quali posti di lavoro, bar e ristoranti. Mi pare quindi fondamentale dover vietare il fumo in questi luoghi in modo chiaro e unilaterale.

Imporre una rigida legislazione destinata a fornire la massima protezione per la salute dei nostri cittadini non può essere ottenuta efficacemente senza uno sforzo reale nell’avvisare e informare il pubblico per quanto riguarda i rischi associati all’uso del tabacco. Accolgo inoltre con favore la volontà espressa al fine di dirigere campagne d’informazione a certi gruppi mirati, in particolare i giovani, le donne incinte e i genitori.

Infine, mi spiace che sia stato adottato un emendamento che chiede alla Commissione di investigare i rischi per la salute associati alla masticazione del tabacco e il suo impatto sul consumo di sigarette. Ritengo che tale richiesta non appartenga a una relazione simile, poiché i rischi prospettati a causa della masticazione del tabacco, ovvero il cancro della lingua e così via, sono generalmente riconosciuti.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione, che indica le alternative volte a ridurre il danno provocato dal fumo di tabacco nell’Unione europea. Non chiede una legislazione a livello UE, ma invita gli Stati membri a introdurre divieti di fumo completi in due anni. Il Regno Unito dispone già di un divieto simile, ma, considerati i danni che procura il tabacco, sostengo che questo approccio sensibile sia esteso a tutta l’UE.

 
  
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  Andreas Mölzer (ITS), per iscritto. −(DE) I divieti di fumo sono di certo nell’interesse della salute pubblica e, per gli edifici pubblici, sono quindi graditi. E’ inoltre ragionevole proteggere i bambini e i giovani. Tuttavia, con questi gruppi particolari, sarebbe più utile se le persone dessero il buon esempio e mantenessero le esistenti campagne antifumo. Eppure, per l’Unione europea, è ipocrita tentare di imporre divieti di fumo in blocco per tutti gli Stati membri, quando ha dimostrato di non essere in grado nemmeno di raggiungere un accordo sulle strutture di quest’Aula.

Il nostro sistema democratico e gli atteggiamenti moderni verso la vita sono basati sulla libertà di scelta e, logicamente, ciò vale anche per il fumo. Se la maggior parte della popolazione è favorevole al divieto di fumo nei ristoranti, allora a breve o lungo termine sarà applicato. Fra le persone esiste già la tendenza a smettere di fumare e, in linea con il principio di sovranità, dovrebbe competere a ogni paese decidere di introdurre divieti di fumo nei ristoranti, ad esempio, e quale forma dovrebbero assumere.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. –(EL) Ho appoggiato la relazione Florenz sul Libro verde “Verso l’Europa senza fumo”. Ritengo favorirà la protezione della salute pubblica e contribuirà in modo sostanziale a ridurre gli effetti dannosi del fumo, nei giovani e nei fumatori incalliti. Si otterrà questo risultato esortando il divieto immediato di tutti gli additivi che aggravano la dipendenza e promuovendo misure a livello europeo e degli Stati membri.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. (EN) Sostengo fortemente i divieti di fumo nei luoghi pubblici volti a proteggere la salute pubblica e a prevenire i danni del fumo passivo.

In Scozia, da 19 mesi, è ora in vigore il divieto di fumo nei luoghi pubblici, e i dati mostrano che dall’introduzione del divieto si è verificata una riduzione del 20 per cento di ricoveri per attacco di cuore.

Il divieto di fumo ha pertanto salvato vite ed è stato efficace nel promuovere una salute migliore per gli scozzesi. Attendo di assistere all’attuazione di tale approccio nel resto d’Europa.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. −(PL) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Florenz intitolata “Verso l’Europa senza fumo”.

Il fumo del tabacco è una sostanza molto nociva. Contiene migliaia di elementi chimici, comprendenti oltre 250 componenti cancerogeni e tossici. Anche la minima esposizione a tali sostanze può contribuire allo sviluppo di tumori. Le particelle di fumo di tabacco si depositano in maniera permanente nei luoghi chiusi, causando inquinamento dell’aria che nemmeno i più avanzati sistemi di ventilazione riescono a trattare in maniera efficace.

Ogni anno, nell’Unione europea muoiono migliaia di persone a causa del fumo passivo. Questi decessi potrebbero essere evitati. Per ciascun cittadino europeo deve essere possibile vivere e lavorare in ambienti senza fumo di tabacco. Tale iniziativa deve essere evidenziata in particolare in relazione a istituzioni ed edifici pubblici. Il settanta per cento della popolazione dell’Unione europea non fuma. Dobbiamo tenere presente questo dato e garantire che queste persone siano in grado di vivere in un ambiente pulito e sicuro.

 
  
  

– Proposta di risoluzione RC-B6-0376/2007

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE) . – (SK) Ho votato contro la relazione poiché non riflette chiaramente la posizione dell’Unione europea per quanto riguarda la Turchia. E’ necessario congelare del tutto i negoziati d’adesione con la Turchia. Esistono numerose ragioni di farlo. Attualmente la Turchia è un partner non degno di fiducia. Respingendo l’ingresso della Turchia nell’UE, in altre parole raccontando la verità ai turchi in merito alla loro futura adesione all’UE, aiuteremo il paese a democratizzare finalmente la sua società.

La Turchia continua a occupare uno Stato membro dell’Unione europea: il 40 per cento del territorio cipriota subisce l’occupazione militare turca. In Turchia non esiste libertà di religione. I non musulmani, i cristiani, i membri della Chiesa cattolica ortodossa e i protestanti sono sottoposti a persecuzioni poiché non sono autorizzati a erigere chiese. Sono state distrutte cinquecento chiese ortodosse, mentre dappertutto nell’Unione europea i musulmani costruiscono moschee. In Turchia non esiste libertà di parola. Questo paese non riconosce il passato massacro di un terzo della popolazione armena. Si sta preparando per un altro intervento militare in Iraq. Non sta risolvendo i problemi della minoranza curda sul suo territorio. La Turchia non è in Europa e non appartiene all’UE. Un partenariato privilegiato con la Turchia, anziché una piena adesione, sarà sufficiente.

 
  
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  Christoph Konrad (PPE-DE) . – (DE) Signora Presidente, non ho votato a favore della risoluzione relativa alla Turchia poiché sono estremamente preoccupato per il fatto che il Parlamento turco abbia concordato un attacco militare contro l’Iraq. Di questo aspetto si potrebbe anche non tenere conto nella relazione, ma si tratta di una questione molto attuale.

Adottare misure contro un gruppo terroristico è diverso dal votare per invadere un paese limitrofo. Non è negli interessi dell’UE assistere a una destabilizzazione dell’Iraq. Dovremmo ricordare alla Turchia che, in quanto paese candidato, dovrebbe considerare gli interessi europei nel quadro di quelli comuni. Ciò dimostra che una piena adesione per questo paese, che, per inciso non approvo, con i suoi confini condivisi con Iran e Iraq, comporterebbe una completa rielaborazione della carta politica nell’UE. A mio parere, dovremmo risparmiarci i rischi associati.

 
  
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  Philip Claeys (ITS) . –(NL) Signora Presidente, ho votato contro la risoluzione Oomen-Ruijten poiché ritengo che il Parlamento dovrebbe svolgere un ruolo più attivo e ambizioso nel controllare il processo di negoziazione con la Turchia.

Ora pare dovremmo garantire di non ferire i sentimenti suscettibili del Primo Ministro Erdoğan e del Presidente Gül. E’ sempre più evidente che la Turchia è un paese candidato diverso da qualunque altro. Senza dubbio la Turchia non ha bisogno di osservare in modo rigoroso i criteri di Copenhagen, malgrado tutte le promesse da parte di Consiglio, Commissione e Parlamento che lo avrebbe fatto.

Vista la situazione, non dovremmo essere affatto sorpresi che sempre più cittadini dell’Unione europea rifiutino l’UE.

 
  
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  Frank Vanhecke (ITS) . –(NL) Signora Presidente, questa nuova votazione in merito all’adesione turca è un’evidente dimostrazione del fatto che non solo per la maggior parte dei nostri cittadini l’Europa è distante e non suscita grande interesse, ma che anche le stesse istituzioni europee si stanno allontanando sempre più dai cittadini europei.

Per gli eurocrati, l’Europa non è più veramente Europa, poiché procediamo con piacere a preparare l’adesione di un paese che non è affatto europeo, non è europeo in termini storici, culturali o religiosi, né per quanto riguarda l’euro, e nemmeno dal punto di vista geografico. Per di più, tutta la questione è stata condotta in maniera fondamentalmente antidemocratica, siccome la grande maggioranza dei cittadini europei è realmente contraria all’adesione della Turchia, ma non le è consentito esprimere il proprio parere.

I cittadini non sono autorizzati a pronunciarsi in merito alla Turchia, proprio come accade in merito alla nuova Costituzione che non ci è permesso chiamare costituzione. Gli eurocrati hanno davvero paura della democrazia, di consultare le persone? Questa Europa sta agendo in maniera sempre più antidemocratica, e avrà un esito negativo.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE) . (FI) Signora President, due settimane fa, il figlio di Hrant Dink, Arat Dink, e l’editore Serkis Seropyan sono stati condannati alla reclusione per un anno in conformità con l’articolo 301, vale a dire per aver ingiuriato l’identità turca. Qual è stato il loro crimine? Più di un anno fa, pertanto prima dell’assassinio di Hrant Dink, il quotidiano Argos pubblicò un articolo che sosteneva che Hrant Dink, durante un’intervista rilasciata alla Reuters, affermò di ritenere che le uccisioni avvenute nel 1915 fossero genocidio. Il quotidiano è stato quindi l’unico a riportare la notizia, ed è sufficiente.

Credo pertanto sia estremamente importante votare a favore della nostra risoluzione che invita la Turchia a riconoscere il genocidio armeno. Lo affermo in quanto sostenitrice della Turchia. Sarebbe positivo che la Turchia si rendesse conto che non si tratta di un comportamento anti-turco, ma più di una consuetudine dell’UE di cercare di creare una società migliore in cui poter sfuggire agli orrori della storia. Un atteggiamento mentale in cui l’identità nazionale si tutela con un codice penale secondo il quale l’articolo 301 costituisce un continuo quadro di riferimento, e in cui si negano gli errori di una nazione, è in serio contrasto con tale consuetudine.

Una delle basi dell’identità europea è che la storia va guardata dritta negli occhi e tenuta in considerazione. Il genocidio armeno è una verità storica. Il Parlamento chiederà alla Turchia di riconoscerlo nella risoluzione all’avvio dei negoziati.

 
  
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  Gérard Deprez (ALDE), per iscritto. – (FR) Vorrei approvare gli emendamenti al testo che sono stati presentati per la votazione odierna in merito alle relazioni tra l’Unione europea e la Turchia e, nel farlo, richiamerei le conclusioni raggiunte al Consiglio europeo svoltosi a Bruxelles nel dicembre 2006. Tali conclusioni indicavano il principio con cui, per quanto riguardava l’allargamento, l’Unione europea richiederebbe a ogni paese candidato di rispettare pienamente tutti i criteri di Copenhagen, ma che qualsiasi allargamento sarebbe ancora soggetto alla capacità dell’Unione in merito a un’ulteriore integrazione.

Pochi di voi, talvolta, si renderanno conto dei dubbi, o piuttosto delle preoccupazioni, che nutrivo in relazione alla possibilità dell’Unione europea di continuare a funzionare adeguatamente qualora la Turchia diventasse uno Stato membro.

Naturalmente la Turchia è un paese “amico” e in termini geostrategici è un partner molto importante per l’Unione europea. Sono quindi del tutto favorevole al mantenimento da parte dell’UE di un partenariato privilegiato con la Turchia. Tuttavia, mi oppongo con forza al fatto che questo paese particolare diventi parte della Comunità.

Per di più, ritengo che i problemi d’integrazione della Turchia come possibile Stato membro saranno sempre più evidenti con l’avanzamento dei negoziati d’adesione.

 
  
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  Patrick Gaubert (PPE-DE), per iscritto. – (FR)Mi congratulo con la relatrice per aver presentato la risoluzione sulle relazioni tra l’Unione e la Turchia. La proposta di risoluzione dell’onorevole Oomen-Ruijten è un documento equilibrato e di compromesso e in esso ha cercato di includere tutte le questioni relative a questo particolare problema.

Da un lato, la risoluzione si complimenta con la Turchia per aver recentemente condotto elezioni libere ed eque, invita il governo turco ad accelerare il processo di riforma e accoglie con favore il suo intento di adottare una nuova costituzione civile. La proposta di risoluzione chiede inoltre di avviare un’ulteriore iniziativa politica per una risoluzione definitiva della questione curda. Fa altresì riferimento ai tentativi di ottenere una soluzione al problema di Cipro nel quadro dell’ONU.

Dall’altro, in accordo con la posizione avanzata dalla Francia, accolgo positivamente il fatto che la risoluzione ricordi che l’adesione della Turchia continui a dipendere dalla piena conformità con i criteri di Copenhagen e dalla capacità dell’UE di ulteriore integrazione.

Per tutte queste ragioni, ho deciso di sostenere l’adozione di questa risoluzione nella votazione finale in plenaria. Posso solo nuovamente esprimere il mio profondo dispiacere in merito al fatto che il Parlamento non abbia formalmente esortato la Turchia a riconoscere in modo ufficiale il genocidio armeno del 1915.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto.−(PT) Come evidenziato in precedenza, i negoziati sull’adesione della Turchia all’UE hanno sollevato numerose questioni. Tale processo è incoraggiato dai poteri forti che, nonostante le contraddizioni, mirano a integrare questo grande paese nel “mercato unico” dell’UE, ottenendo quindi il controllo della sua economia e approfittando della sua posizione geostrategica per i propri progetti in Medio Oriente, Caucaso e Asia Centrale.

La risoluzione è quindi illuminante a questo proposito poiché sottolinea “l’importanza della Turchia quale nodo di transito ai fini della diversificazione delle forniture di gas all’UE” e “i progetti concernenti l’energia che interessano la Turchia nel Caucaso meridionale”, nonché “la posizione geostrategica della Turchia nella regione e il suo ruolo nell’ambito dei trasporti e della logistica acquisirà maggiore importanza nei prossimi anni”.

I seguenti sono alcuni degli aspetti importanti che occorre rilevare:

– la Turchia non ha compiuto alcun progresso verso il riconoscimento di Cipro, uno Stato membro dell’UE, occupa tuttora militarmente la zona settentrionale dell’isola e non rispetta le risoluzioni dell’ONU in merito;

– le autorità turche sono ancora impegnate nella repressione contro i curdi e negano i loro legittimi diritti culturali, politici, economici e sociali.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. –(EL) La relazione sui progressi del percorso di adesione della Turchia all’UE include complimenti del tutto falsi al governo turco e al nuovo Presidente. Il documento è un’espressione ipocrita e vana di un’illusione relativa ai diritti umani in termini vaghi e generali, che condanna il terrorismo e cita la battaglia comune intrapresa contro questo fenomeno da UE e Turchia.

Dall’altro lato, non si osserva alcun riferimento all’occupazione continuata della zona settentrionale di Cipro da parte delle forze militari turche. Non esiste nemmeno una condanna simbolica del costante rifiuto della Turchia di riconoscere la Repubblica di Cipro, e non si esercita alcuna pressione a questo proposito. Non si condanna la politica del regime turco che contende i diritti greci di sovranità o la sua minaccia a ricorrere alla forza contro i paesi limitrofi, né la barbara persecuzione e i crimini commessi dalle autorità turche contro la popolazione turca. Non si riscontra la minima allusione alla persecuzione politica, contro la classe media turca in tutte le forme, secolari e a favore del burka, i comunisti e altri cittadini progressisti. Malgrado tutto ciò, si esorta la Turchia a non usare una forza sproporzionata nell’imminente attacco all’Iraq settentrionale!

Nel quadro dell’UE, la relazione riflette gli obiettivi dei potenti paesi imperialisti in linea con i loro interessi geopolitici nella zona più ampia.

E’ a vantaggio dei turchi e di altre popolazioni della regione opporsi all’integrazione della Turchia nell’UE e ai suoi progetti imperialisti.

 
  
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  Pierre Pribetich (PSE), per iscritto. – (FR)Questa risoluzione perde il proprio impatto poiché la maggioranza dei deputati ha respinto gli importanti emendamenti relativi al riconoscimento del genocidio armeno.

Sono e resterò favorevole all’adesione della Turchia all’Unione europea. Tuttavia, tale processo deve ammettere alcuni fatti storici.

Inoltre, sono del tutto contrario alla contraddizione che ha ora introdottoil Parlamento. Nel paragrafo 5 della risoluzione del 28 settembre 2005, di fatto si chiedeva alla Turchia di riconoscere il genocidio armeno e considerava tale ammissione come una precondizione per l’adesione all’Unione europea. La decisione di omettere il genocidio armeno dalla nuova risoluzione costituisce un passo indietro e non posso approvarlo.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto.−(PT) Nonostante il risultato finale, i negoziati attuali con la Turchia devono procedere con le riforme di cui il paese ha disperatamente bisogno e che, in sé, rappresentano l’aspetto più importante della possibile adesione di un paese all’UE.

In questo quadro, dobbiamo considerare la vittoria dell’AKP più un impegno verso una riforma economica che un voto per l’Islam.

Considerati gli sviluppi recenti, la questione curda deve essere affrontata insieme agli Stati Uniti, tenendo presente il problema dell’Iraq, in cui la zona settentrionale curda è tranquilla. Dall’altro lato, non possiamo trattenerci dal criticare gli attacchi terroristici curdi alla Turchia o la mancanza di integrazione e di accettazione dei curdi nella stessa Turchia.

Infine, non possiamo mai evidenziare abbastanza l’importanza geostrategica della Turchia in relazione alla sicurezza dei confini d’Europa e all’approvvigionamento energetico, in particolare come alternativa alla dipendenza dal gas russo, in quanto partner in dialogo con i paesi islamici e a riguardo della questione irachena.

Per tutte queste ragioni, la strategia dell’UE deve essere quella di negoziare in modo serio e deciso.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione che invita la Turchia ad accelerare il processo delle sue riforme.

Dobbiamo esortare la Turchia a impegnarsi maggiormente: garantire il controllo civile su quello militare; tolleranza zero per quanto riguarda la tortura; fornire protezione alle donne e ai gruppi minoritari, e riconoscere il genocidio armeno.

La gestione della questione curda deve altresì essere utilizzata come criterio per valutare il processo di riforma. La relazione che abbiamo votato esorta il governo turco ad avviare un’iniziativa politica finalizzata a trovare una soluzione definitiva al problema curdo. Deplora inoltre la violazione del territorio iracheno, condannando di certo, al contempo, la violenza perpetrata dal PKK.

Non si tratta tanto di prendere di mira la Turchia, ma di ricordare che non possiamo disporre di due pesi e due misure, né di svendere i valori che per noi sono preziosi.

Sarebbe disastroso continuare a ignorare l’opinione pubblica, che prima del Vertice di Lisbona è stata nuovamente interpellata in un sondaggio svolto da Notre Europe. I cittadini europei sono preoccupati per le decisioni prese in modo inadeguato su qualsiasi futuro allargamento e sulla capacità dell’UE di assorbire altri paesi dopo la grande ondata di nuove adesioni avvenuta tra il 2004 e il 2007.

 
  
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  Renate Sommer (PPE-DE), per iscritto. −(DE) Appoggio la risoluzione riguardante la Turchia. Il governo turco deve essere solido nell’attuare finalmente le riforme.

Per quanto riguarda il genocidio armeno, anche se l’ammissione turca del massacro non rientra nei criteri di Copenhagen, un paese che aspira a entrare nell’UE deve certamente affrontare il lato oscura della sua storia.

Nel complesso, la Turchia ha una strada lunga da percorrere prima di soddisfare i criteri di Copenhagen. Esistono ancora carenze sostanziali in relazione ai diritti umani e delle minoranze, civili e politici, e la generale debolezza della democrazia nei confronti dell’esercito.

Non sono avvenuti progressi in merito alla questione di Cipro. Perciò, dobbiamo continuare a insistere, quest’anno, sulla ratifica del protocollo di Ankara. Senza tale ratifica, e anche senza il ritiro delle truppe turche dall’isola, non esiste soluzione. In apparenza la Turchia si rifiuta di comprendere che i paesi membri dell’Unione europea sono 27 e che uno di questi è la Repubblica di Cipro!

Per quanto riguarda il conflitto a sud-est della Turchia, il piano di avviare un’incursione nell’Iraq settentrionale è stato preso in considerazione almeno dalla primavera del 2006. Attualmente, temiamo che l’invasione avverrà veramente. Tuttavia, un paese in cui, nonostante il sostegno internazionale per difendere i confini, rivendica il diritto di violare il diritto internazionale poiché lo ritiene opportuno, si rende incapace una volta per tutte di entrare a far parte dell’Unione europea.

 
  
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  Konrad Szymański (UEN), per iscritto. −(PL) Mi sono astenuto dalla votazione finale sulla relazione che riguarda le relazioni UE-Turchia. Ho preso tale decisione poiché, nonostante i negoziati siano durati diversi mesi, la risoluzione non prevede alcun riferimento alla questione della responsabilità per il massacro degli armeni nel 1915.

La Turchia sta tentando di imporre una censura alla comunità internazionale in merito a tale questione. La prova più recente è la pressione esercitata sul Congresso degli USA. Ciononostante, quest’ultimo non si è lasciato influenzare e ha adottato una posizione appropriata. E’ un errore per la Turchia mostrare questo tipo di comportamento ingiustificato.

Vorrei aggiungere, tuttavia, che apprezzo molto l’inserimento, nella suddetta risoluzione, delle dichiarazioni relative ai diritti delle minoranze cristiane in Turchia, come il diritto a formare il clero e alla personalità giuridica delle istituzioni ecclesiastiche.

 
  
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  Dominique Vlasto (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho deciso di astenermi dal voto sulla risoluzione in merito alle relazioni UE-Turchia al fine di comunicare la mia opposizione ai negoziati d’adesione attualmente in corso. Due eventi recenti dovrebbero renderci consapevoli dei rischi associati a questa possibile adesione. Primo, esiste una crisi politica in cui il paese è entrato prima che s’insediasse il nuovo Presidente della Repubblica: tale condizione ha definito le tensioni presenti nella società turca, nonché la fragilità delle istituzioni del paese. Penso anche alle tensioni generate al confine iracheno e al rischio che si potrebbe destabilizzare una delle poche aree del paese in cui la violenza è stata contenuta. La decisione del Parlamento turco di autorizzare l’esercito a compiere incursioni militari in Iraq è inaccettabile. La Turchia sta rivestendo un ruolo pericoloso nella regione e l’UE non dovrebbe offrire alcun sostegno a tali azioni populiste e offensive.

Tutti questi aspetti consolidano solo la mia convinzione: qualora estendessimo l’Unione ai confini con l’Iraq, non vedo ciò che rimarrebbe di europeo. Ritengo che la Turchia non sia ancora idonea a entrare nell’UE. Spetta a noi presentare un’alternativa: “l’Unione mediterranea” proposta da Nicolas Sarkozy offre certamente un’opportunità che l’UE e la Turchia dovrebbero cogliere.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. −(SK) Non ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulle relazioni UE-Turchia, poiché l’allargamento dell’Unione europea e l’ingresso della Turchia nella Comunità rappresentano questioni piuttosto serie che richiedono una conoscenza più dettagliata e una discussione più intensa. A mio parere, nel processo di adesione, tutti i paesi dovrebbero rispettare le stesse norme.

Gli emendamenti che invitano a un’ammissione del genocidio armeno e alle scuse all’Armenia e al suo popolo non sono stati adottati dall’Assemblea. Solo azioni simili possono stimolare il processo di riconciliazione tra Turchia e Armenia. Inoltre, la Turchia continua a ostacolare i progressi nella ricerca di una soluzione al problema di Cipro. L’operazione militare transfrontaliera contro i curdi che vivono lungo il confine con l’Iraq, approvata in una dichiarazione presentata dal Parlamento turco, non condurrà a una soluzione costruttiva per quanto riguarda il problema del terrorismo nel paese, ma semplicemente alla destabilizzazione dell’intera regione.

Non si riscontrano nemmeno progressi tangibili in merito alla libertà di religione nel territorio della Repubblica di Turchia. Non si garantisce la sicurezza dei cristiani che vivono nel paese, né il rispetto dei loro diritti. Di recente abbiamo assistito a violenti attacchi a sacerdoti, missionari, editori cristiani o a persone che si sono convertite. La Turchia non ha inoltre riaperto il seminario della Chiesa ortodossa senza cui è minacciata la reale esistenza di questa antica chiesa.

 

10. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 14.00, è ripresa alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LUIGI COCILOVO
Vicepresidente

 

11. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

12. Relazioni tra l’Unione europea e la Serbia (discussione)
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  Presidente . – L’ordine del giorno reca la relazione di Jelko Kacin, a nome della commissione per gli affari esteri, sulle relazioni tra l’Unione europea e la Serbia contenente una proposta di raccomandazione del Parlamento europeo al Consiglio sulle relazioni tra l’Unione europea e la Serbia [2007/2126(INI)] (A6-0325/2007).

 
  
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  Jelko Kacin (ALDE), relatore. (SL) Oggi intervengo in quanto relatore, ma al contempo come liberaldemocratico, sloveno, ex iugoslavo ed europeo. Appena 15 anni fa il paese in cui sono nato si è disgregato in molte guerre sanguinose che sono durate per quasi un decennio intero.

Oggi numerosi paesi di questa regione, inclusa la Serbia, stanno tuttora affrontando gli effetti distruttivi del conflitto. Per queste democrazie fragili e giovani, entrare a far parte dell’Unione europea è un formidabile incentivo a favore di un’ulteriore democratizzazione. L’Unione europea, a cui questi paesi vorrebbero aderire il prima possibile, si fonda su valori e norme comuni, tra cui il più importante è lo Stato di diritto.

Tuttavia, nel caso dei paesi dei Balcani, la questione non è solo riformare il sistema giudiziario, ma una piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale dell’Aia.

(EN) Finora la Serbia non è riuscita a onorare il suo dovere a livello nazionale e internazionale di arrestare i quattro restanti fuggitivi imputati di crimini di guerra, compresi Mladić e Karadžić, che sono accusati di aver orchestrato la strage di quasi 8 000 civili a Srebrenica. Chiunque uccida un essere umano commette reato, ma chi è responsabile di genocidio costituisce una sfida internazionale e politica.

Prima di preparare questa relazione, mi sono recato a Srebrenica. Credo nell’autostima serba. Perciò insisto che lo Stato serbo debba dimostrare di cooperare con l’ICTY (Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia). In maggio, si è insediato un nuovo governo pro-europeo, che ha come uno degli obiettivi fondamentali la cooperazione con l’ICTY. Si tratta di uno sviluppo che accolgo con favore, così come il fatto che il governo sia intervenuto, abbia arrestato ed estradato due dei sei fuggitivi più ricercati, Tolimir e Djordjevic.

Questi arresti dimostrano che la Serbia è in grado di localizzare e arrestare i fuggitivi di guerra restanti. Come ha affermato il procuratore generale Del Ponte, l’ostacolo principale non è la capacità, piuttosto tradurre la capacità in risultati tangibili. Questa è la ragione per cui l’UE non può permettersi di rinunciare alla propria condizionalità in questo frangente decisivo.

Mentre montano le tensioni attorno allo status futuro del Kosovo, sarebbe sbagliato pensare che ridurre la condizionalità dell’UE e compiere l’impossibile per fare concessioni a Belgrado alla fine sarà utile all’UE o alla Serbia. Chiudere un occhio su criminali di guerra può essere adatto per la moderna Realpolitik, ma non contribuirà a una pace a lungo termine o alla stabilità regionale.

Si ripete spesso che la Serbia è un elemento fondamentale per la stabilità nella regione, ma i politici di Belgrado sono contrari nel ritenere che ciò implicherà un trattamento preferenziale per la Serbia. Per la Serbia sarebbe preferibile impiegare le proprie abbondanti capacità e possibilità per agire da modello per i paesi limitrofi della regione, anziché lasciarle languire a causa della renitenza serba.

E’ vero che l’UE non sarà completa fino all’adesione dei Balcani all’Unione, ma ciò non può avvenire a qualunque prezzo, e certamente non a costo di minare il diritto internazionale e ignorare i valori europei fondamentali.

I cittadini serbi hanno il diritto di sapere la verità a riguardo delle recenti politiche di guerra adottate in loro nome. E’ anche per questa ragione che sostengo la recente iniziativa del procuratore straordinario di rivelare i motivi politici alla base dell’assassinio del Primo Ministro Djindjić, e che mi rammarico per la clemenza delle condanne pronunciate dal tribunale serbo per i crimini di guerra dei quattro membri degli Scorpioni per l’esecuzione di sei musulmani di Srebrenica.

La Serbia possiede un enorme potenziale economico e culturale, nonché numerose persone di talento in tutti gli ambiti della vita. Il nuovo governo ha dimostrato di essere dotato di alcuni Ministri dinamici e ambiziosi. Non c’è dubbio che la Serbia abbia la capacità amministrativa e istituzionale di affrontare in modo professionale ulteriori negoziati d’adesione all’UE.

Negli ultimi mesi sono stati compiuti progressi in vari ambiti, ad esempio la conclusione dei colloqui tecnici in merito ai negoziati ASA, la ratifica del protocollo di Kyoto, il CEFTA e l’elezione di un mediatore, un governatore della Banca di Serbia, un commissario per l’informazione pubblica e i membri del Consiglio dell’Ente statale di revisione dei conti.

Tuttavia, purtroppo, sono stati compiuti scarsi progressi tangibili a riguardo della nomina di giudici della Corte costituzionale. Inoltre, continua la pubblica denigrazione di attori della società civile che criticano il governo o tentano di richiamare l’attenzione a questioni delicate, quali i crimini di guerra. A questo proposito, condanno i fatti recenti accaduti a Novi Sad, in cui un’organizzazione neonazista ha attaccato un pacifico raduno di persone che riunite per una manifestazione antifascista. E’ necessario che le autorità competenti individuino i colpevoli e indaghino accuratamente in merito.

Nel contempo, riconosco che il severo regime sui visti dell’UE, che impedisce a cittadini serbi comuni di incontrare altri cittadini nell’Unione europea, agisce da freno sui progressi democratici della Serbia, e contribuisce a xenofobia e nazionalismo.

Accolgo con favore gli accordi che sono stati negoziati. Se questi ultimi indicano un importante primo passo, l’obiettivo finale deve essere liberalizzare gli spostamenti per tutti gli abitanti della regione. Siete a conoscenza del fatto che solo un serbo su dieci possiede un passaporto? Dobbiamo offrire qualcosa di concreto al resto della popolazione. Invito il Consiglio a garantire che gli accordi entrino in vigore all’inizio del prossimo anno, nonché a stabilire una tabella di marcia realistica per la liberalizzazione dei visti.

Desidero cogliere questa opportunità per ringraziare i miei assistenti, i miei colleghi, la segreteria della commissione per gli affari esteri, i gruppi politici, la Commissione, la delegazione serba per l’UE e l’Ufficio serbo per l’integrazione europea.

Nel concludere il mio intervento, vorrei aggiungere un breve commento personale. In quanto uno fra i pochi deputati nati nei Balcani occidentali, sono molto orgoglioso del mio incarico di relatore. Il mio paese, la Slovenia, è diventato membro dell’UE non perché era facile, ma perché era difficile. Ce l’abbiamo fatta, proprio come accadrà per i politici, gli intellettuali e i professionisti serbi, quando lo decideranno. Esorto la Serbia e i suoi cittadini a destarsi adesso, a iniziare ad aiutare se stessi, i paesi vicini, l’intera regione e a unirsi a noi. Agite. Siete forti a sufficienza. Insieme ce la faremo.

 
  
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  Presidente . Ringrazio l’Aula per la sua pazienza in merito alla consueta assegnazione del tempo. Mi scuso con l’Assemblea a nome del relatore. Grazie.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, la Serbia si trova naturalmente nello spazio europeo e tutti ammettiamo che, negli ultimi anni, ha dovuto affrontare grandi sfide; di fatto più di questo, sfide estremamente difficili dovute alla sua importanza per la stabilità e lo sviluppo della regione dei Balcani occidentali. L’Unione europea ha cercato di aiutare la Serbia a superare tali sfide rafforzando e rendendo più tangibili and visibili i vantaggi della prospettiva europea.

Abbiamo quindi tentato di dimostrare ai serbi e alle autorità il nostro impegno per avvicinare la Serbia all’Unione europea. Abbiamo cercato di dimostrare che esiste un’alternativa, promuovendo le forze politiche e sociali pro-europee che favoriscono il perseguimento delle riforme necessarie a consolidare la democrazia e lo sviluppo del paese.

Gli accordi di stabilizzazione e associazione rappresentano un passo fondamentale nell’avvicinare i paesi dei Balcani occidentali all’Unione. Costituiscono anche uno strumento essenziale per chiarire la prospettiva europea. A questo proposito, riteniamo sia molto positivo che la Commissione abbia completato i negoziati con la Serbia in merito alla conclusione di un accordo di stabilizzazione e associazione. Speriamo sinceramente che si soddisfino presto le condizioni per la Commissione volte a siglare l’accordo.

Esiste un deciso sostegno politico nel Consiglio affinché l’accordo di stabilizzazione e associazione sia siglato non appena saranno soddisfatte le condizioni necessarie. Tuttavia, prima che il Consiglio possa attuare l’accordo, la Serbia deve cooperare pienamente con il Tribunale penale internazionale.

La possibilità per i serbi di spostarsi più facilmente nell’Unione europea consoliderebbe anche i legami tra di noi e senza dubbio contribuirebbe al processo di democratizzazione e al sentimento pro-Unione europea della società serba.

Gli accordi in materia di riammissione e di semplificazione del rilascio dei visti siglati a settembre e che entreranno in vigore nel gennaio 2008, sono, a nostro parere, estremamente importanti.

La Commissione ha concordato con la Serbia di avviare un dialogo sulla liberalizzazione dei visti dopo l’entrata in vigore di tali accordi. L’UE ha inoltre spiegato alla Serbia che il processo d’integrazione non è legato alla questione della definizione dello status futuro del Kosovo. Di fatto, ogni paese procede per diventare un membro dell’Unione europea con i propri meriti e secondo le condizioni del processo di stabilizzazione e associazione e i criteri di Copenhagen.

Per concludere, signor Presidente, onorevoli colleghi, devo nuovamente ribadire il risalto che la Presidenza dell’Unione europea attribuisce all’opportunità di discutere con il Parlamento europeo l’importanza, per la Serbia stessa e la regione, di garantire un futuro europeo per questo paese. Senza dubbio i Balcani occidentali restano una delle priorità dell’Unione europea e il nostro obiettivo finale è creare una situazione di pace, stabilità, democrazia e prosperità nella regione.

Per questo motivo ci attendiamo l’integrazione di questi paesi nell’Unione, mentre il processo di stabilizzazione e associazione rimane il quadro per preparare questa possibile adesione. La Serbia è un paese di elevata importanza geostrategica per la stabilità dell’intera regione, ragione per cui i progressi in tale processo sono fondamentali per realizzare l’obiettivo finale dell’UE per quanto riguarda i Balcani occidentali: vederli diventare una regione di stabilità, pace e progresso.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, desidero congratularmi con l’onorevole Kacin per la sua valida relazione, che include gli aspetti essenziali della condizione attuale delle relazioni UE-Serbia relations. Ho chiesto ai miei uffici di seguire le raccomandazioni del testo, che è già stato utile nell’elaborazione della relazione annuale sui progressi della Commissione, che sarà adottata il 6 novembre.

La sua relazione rileva alcuni ambiti in cui l’Unione europea e la Serbia hanno bisogno di intensificare gli sforzi, aspetto con cui sono pienamente d’accordo. Convengo in particolare con l’importanza attribuita alla semplificazione del rilascio dei visti e all’invito a compiere progressi ora in merito alla liberalizzazione dei visti.

Proprio per questa ragione, la Commissione ha indicato la sua intenzione di avviare un dialogo, all’inizio del prossimo anno, con ogni paese dei Balcani occidentali in merito a una tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti, definendone i requisiti e le condizioni. Tale questione è di enorme importanza, non da ultimo in termini di fornire alla giovane generazione della regione prove concrete di ciò che realmente significa Europa.

Ci troviamo in un frangente critico nelle nostre relazioni con la Serbia. Nelle scorse due settimane, ho condotto intense discussioni con la Presidenza del Consiglio, gli Stati membri e le autorità serbe per quanto riguarda la situazione. Non sorprenderà che il processo sullo status del Kosovo e l’accordo di stabilizzazione e associazione, inclusa la condizionalità dell’ICTY, siano stati i temi principali.

La scadenza del 10 dicembre per i colloqui sul Kosovo si sta rapidamente avvicinando, e il lavoro della troika internazionale sta entrando in una fase decisiva. Sosteniamo appieno l’operato del rappresentante dell’UE, l’ambasciatore Wolfgang Ischinger, e non lasceremo alcuna possibilità intentata nel cercare una soluzione negoziata.

Ora è fondamentale che le due parti, Belgrado e Priština, si assumano le proprie responsabilità e s’impegnino seriamente in proposte costruttive e creative che possano condurre a una soluzione negoziata e sostenibile. Ho condotto inoltre intense discussioni con gli Stati membri e le autorità serbe sull’accordo di stabilizzazione e associazione. Tale accordo costituisce una pietra miliare politica nelle nostre relazioni con la Serbia. Sarà il passaggio verso lo status di candidato per l’adesione all’Unione europea.

La Commissione ha innanzi tutto negoziato e quindi completato il lavoro tecnico sul progetto di testo di questo accordo, che attualmente è in corso di valutazione da parte degli Stati membri nel gruppo di lavoro del Consiglio.

Sta collaborando in modo intenso con la Presidenza e gli Stati membri al fine di completare una revisione giuridico-linguistica del testo cosicché noi, come Unione europea, a livello tecnico, siamo pronti a siglare subito l’accordo, considerato che esistono le condizioni politiche, ovvero una piena cooperazione con l’ICTY, che dovrebbero condurre all’arresto dei restanti accusati. Quest’aspetto, per quanto mi riguarda, è in linea con la raccomandazione della sua relazione rivolta al Consiglio.

Per quanto riguarda l’ICTY, come ho sostenuto in precedenza, al momento noto che la parte serba del bicchiere è mezza piena, anziché mezza vuota. Ho spiegato al governo serbo che la firma dell’ASA è imminente. Ora è una questione di volontà politica e di traduzione delle capacità in risultati. Siamo pronti, non appena lo sarà la Serbia soddisfacendo le condizioni. La palla adesso si trova chiaramente in campo serbo.

Nel contempo, dovremmo anche apprezzare gli sforzi che la Serbia ha compiuto finora. Troppo spesso si tende a dimenticarlo nelle nostre discussioni. Dal 2004, la Serbia ha cooperato nel localizzare e consegnare oltre 20 dei 24 imputati dell’ICTY. Ciò dimostra che la nostra politica di condizionalità funziona.

Tuttavia, la cooperazione con l’ICTY non può essere un processo a singhiozzo, e occorre fare di più per ottenere una piena cooperazione, in particolare in merito a operazioni di ricerca potenziate e accesso ad archivi e documenti.

Il procuratore generale domani ritornerà a Belgrado per due giorni, e la Commissione terrà fermamente conto delle sue conclusioni nella nostra valutazione volta a siglare l’accordo ASA.

La firma dipenderà quindi da una piena cooperazione con l’ICTY, e la valuteremo insieme al Consiglio. Tale aspetto esorta la Serbia a fare tutto ciò che è in suo potere per localizzare arrestare i latitanti e fornire all’ICTY ogni informazione necessaria che possa condurre al loro arresto e trasferimento al tribunale dell’Aia.

Per concludere, la Serbia, in effetti, possiede un enorme potenziale economico, culturale e intellettuale che sta solo aspettando di essere liberato nel perseguimento del futuro europeo del paese.

La Commissione è del tutto impegnata per la dimensione europea della Serbia. Sono convinto che il paese sia in grado di compiere progressi relativamente rapidi sulla sua strada europea, una volta soddisfatte le condizioni essenziali.

Quest’aspetto è cruciale, non solo per le aspirazioni europee della Serbia, ma per la stabilità e lo sviluppo di tutti i Balcani occidentali. Per la Serbia è quindi giunto il momento di voltare pagina sul suo doloroso passato, e di avvicinarsi pienamente al suo futuro europeo.

 
  
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  György Schöpflin, a nome del gruppo PPE-DE. (EN) Signor Presidente, tutti in quest’Aula sono d’accordo che la Serbia abbia un futuro europeo e che questo futuro è molto allettante, sia per la Serbia, sia per l’Europa. Pertanto la questione è in che modo realizzare tale obiettivo.

Il cuore del problema è che, se la Serbia possiede di certo alcune delle caratteristiche di una democrazia, è tuttora lontana dal disporre di un’infrastruttura stabile e democratica. Il retaggio del comunismo e delle guerre successive alla disgregazione della Iugoslavia ha lasciato orme profonde sulla società serba, quindi l’efficacia di istituzioni sicure e neutrali è molto più difficile da sostenere. La debolezza dello Stato di diritto, la corruzione e il nepotismo, l’elevato livello preoccupante della violenza casuale sono tutti indicatori di una società che deve affrontare un cambiamento significativo prima che si possa considerare che la democrazia rispetti i criteri di Copenhagen.

Probabilmente la parte più tossica del retaggio è il modo in cui il nazionalismo mantiene la sua attrattiva per una porzione politicamente importante della società, compresa parte dell’élite. Per i protagonisti del nazionalismo etnico serbo, la cittadinanza serba è intesa come coestensiva con la nazione serba. Tale aspetto comporta un peso considerevole sulla quota non serba della società. In questo settore, l’élite politica del paese ha molto lavoro da compiere. Solo la Serbia, élite politiche e società serba, è in grado di effettuare la svolta necessaria verso la democrazia, i diritti umani e la cittadinanza.

Le conclusioni di questa seria relazione, dall’altro lato, offrono valide indicazioni per come realizzare questa trasformazione e in che modo la Serbia possa nuovamente riprendere il suo posto in Europa.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis, a nome del gruppo PSE. (EN) Signor Presidente, con l’inverno alle porte, l’atmosfera politica in Serbia si sta scaldando. Perciò, partecipando all’elaborazione di questa relazione, il gruppo PSE sta cercando soprattutto di comprendere la situazione di una nazione che ha perso una posizione privilegiata nell’ex Federazione iugoslava, una nazione in cui le rivolte nazionaliste hanno danneggiato l’intera regione, rovinato numerose vite, preteso molte vittime e ottenuto in cambio bombe e razzi.

Nonostante tutto, la maggioranza della popolazione del paese non vuole nient’altro che seguire il percorso europeo e, facendo ciò, guarire le proprie ferite e quelle dei paesi vicini. Questa relazione cerca di contribuire, in maniera affabile eppure esigente, a fissare gli indicatori stradali per questo importante percorso. Desidero ringraziare in particolare il nostro collega, l’onorevole Kacin, che ha riversato in questo documento non solo molto lavoro, ma anche buon senso e cuore.

Vorrei evidenziare l’attività di successo del governo serbo pro-europeo in questa situazione non molto semplice. Le sue iniziative hanno consentito al Parlamento europeo di proporre la firma dell’accordo di stabilizzazione e associazione, probabilmente entro la fine di quest’anno. Tuttavia, se il paese sarà in grado di voltare pagina nelle sue relazioni con l’UE, dipende ampiamente dai serbi stessi. Noi, da parte nostra, manterremo con decisione il nostro parere che l’accordo sarà siglato solo quando la Serbia mostrerà risultati nel catturare i restanti criminali di guerra.

Il gruppo PSE ha proposto pochi emendamenti alla relazione che cercano di moderare l’espressione delle questioni delicate per i serbi. Tra questi si suggerisce, inter alia, di modificare la formulazione del considerando M per sottolineare che una riconciliazione interetnica è della massima importanza al fine di garantire la stabilità nella regione.

Siamo dell’avviso che il Kosovo costituisca un problema separato, ragione per cui rimane pressoché non trattato in questa relazione. La soluzione a tale problema non dovrebbe deviare la Serbia dal percorso europeo lungo il quale, dopo molto, si prevede incontri le Repubbliche di Kosovo ed ex Iugoslavia, e in effetti il resto d’Europa.

 
  
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  István Szent-Iványi, a nome del gruppo ALDE. (HU) Signor Presidente, signor Ministro, signor Commissario, desidero innanzi tutto congratularmi con il relatore, l’onorevole Kacin, per questa relazione costruttiva ed equilibrata. Nel 2003, l’Unione europea si è impegnata per l’integrazione della Serbia nell’UE per la sua convinzione che la Serbia sia un elemento importante nella stabilità regionale, e che il futuro della Serbia sia in Europa. Da questo punto in poi, l’andamento dell’integrazione dipende interamente dalla Serbia.

Un importante prerequisito è rappresentato dalla piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia dell’Aia. Sono stati compiuti progressi; sono stati consegnati due dei sei criminali di guerra più ricercati, ma quelli più pericolosi, Mladić e Karadžić, sono ancora latitanti. Occorrono ulteriori sforzi. La maggiore dimostrazione di forza per Serbia ed Europa è la questione di stabilire lo status del Kosovo. La situazione attuale è l’ostacolo più serio sia per la stabilità regionale, sia per l’integrazione serba nell’UE. Ci aspettiamo che la Serbia agisca in maniera costruttiva al fine di risolvere tale situazione nel modo più rapido e soddisfacente possibile.

Sono stati compiuti progressi nell’ambito dei diritti delle minoranze; è calato il numero di attacchi violenti, e conformemente alla Costituzione alle minoranze sono stati concessi nuovi diritti. I progressi compiuti, tuttavia, sono tutt’altro che adeguati: i regolamenti relativi ai Consigli nazionali non sono ancora in vigore e manca una legislazione che garantisce l’autodeterminazione per le minoranze. Esistono inoltre incarichi europei che la Serbia ha bisogno di intraprendere, considerato che, in pratica, la Corte costituzionale non è funzionante, il sistema giudiziario è lento e soggetto a influenza politica, e corruzione e crimine organizzato permeano tutte le aree della vita economica e sociale. Se la Serbia desidera davvero un’integrazione, è estremamente importante che incrementi i suoi sforzi in questi ambiti. L’Europa offrirà alla Serbia tutta l’assistenza possibile affinché svolga con successo questi incarichi, ma spetta alla Serbia farlo. Dobbiamo evidenziare che la responsabilità e l’obbligo di fare tutto ciò che è in suo potere per garantire la riuscita integrazione della Serbia nell’UE competono ai nostri stessi amici serbi. La ringrazio, signor Presidente.

 
  
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  Brian Crowley, a nome del gruppo UEN.(GA) Signor Presidente, la Commissione prenderà presto una decisione sull’accordo di stabilizzazione e associazione che deve essere concluso tra UE e Serbia. Appoggio quest’accordo. Trasmetterà il chiaro messaggio a livello internazionale che l’adesione serba all’UE è sull’attuale agenda politica. Questo è il primo passo significativo del paese verso l’adesione all’UE.

(EN) Anche se numerosi colleghi hanno parlato delle difficoltà che la Serbia ha affrontato in passato e degli attuali problemi che esistono a riguardo dell’adesione serba e dell’accordo di stabilizzazione, dobbiamo anche riconoscere la strada terribile che è stata percorsa, nonostante le difficoltà occorse.

Per quanto riguarda tutte le relazioni tra i paesi limitrofi, in futuro si presenteranno ancora ostacoli in merito a come la Serbia si occuperà della questione del Kosovo, l’attuale cooperazione con il Tribunale internazionale per i crimini di guerra e, in particolare, i loro rapporti con altri paesi vicini che costituivano l’ex Jugoslavia.

Tuttavia, il preciso messaggio trasmesso dalle autorità serbe è che esiste, da parte loro, il desiderio di assistere a progressi. C’è la volontà di apprendere i modelli di buone pratiche che possiamo promuovere per loro. Pensiamo a ciò che l’Unione europea ha assegnato in passato, oltre 165 milioni di euro nello sforzo di ricostruzione. Il problema che tutti dobbiamo ricordare è che il conflitto dei Balcani continua a essere una grande cicatrice psicologica per lo sviluppo, non solo della Serbia, ma anche di altri paesi. E, in effetti, se si considera il recente passato di qualsiasi nostro paese, si riscontrano fratture psicologiche simili cui occorre tempo per essere superate.

Dovremmo concedere un po’ di margine per consentire alla Serbia di compiere questa transizione e questi progressi. Il nostro ruolo e il nostro dovere è garantire di agire come buoni vicini, insegnanti fedeli di come possano verificarsi condizioni positive, ma anche ricompensare i progressi compiuti.

 
  
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  Gisela Kallenbach, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, innanzi tutto, desidero estendere i miei calorosi ringraziamenti al relatore per il suo lavoro accurato ed esaustivo. Accogliamo con favore il fatto che il Parlamento europeo contribuisca in modo chiaro e regolare al dibattito politico relativo alla situazione nell’Europa sudorientale. La Serbia svolge, e lo ha sempre fatto, un ruolo considerevole in questa regione.

Perciò, è fondamentale sottolineare ripetutamente che il futuro della Serbia è nell’UE e che siamo partner validi e affidabili. Tuttavia, per costruire un partenariato occorrono due parti, e pertanto invito la Serbia a continuare lungo il percorso verso l’integrazione europea e a rivestire un ruolo costruttivo nella risoluzione della questione del Kosovo.

Ci attendiamo finalmente una cooperazione assoluta con il Tribunale dell’Aia, aspetto affrontato più volte, e il rispetto dei criteri delle norme europee. Spero fortemente che possibilità più vantaggiose di spostamento offriranno un contributo al proposito e determineranno miglioramenti in futuro.

Ciò che non possono appoggiare, tuttavia, sono le proposte avanzate di quando in quando per applicare standard differenti all’adesione all’UE. Sono lieta che il relatore, il Commissario e il rappresentante del Consiglio siano dello stesso parere, in particolare perché, non molto tempo fa, abbiamo pagato a caro prezzo per questo.

Ho grande comprensione per la posizione difficile e dolorosa in cui si trova la Serbia, ma, ripeto, per costruire un partenariato occorrono almeno due parti.

 
  
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  Erik Meijer, a nome del gruppo GUE/NGL.– (NL)Signor Presidente, come in qualsiasi paese che ha perso una guerra recente, terminata con la perdita di territorio e influenza, anche in Serbia i sentimenti nazionalistici di superiorità ottengono un forte sostegno.Anziché isolare e punire la Serbia poiché è impossibile individuare il criminale di guerra Ratko Mladić, dovremmo offrirle un futuro in cui si stabiliscano garanzie anche per le minoranze etniche di Vojvodina, Sandžak e Preševo.

Il mio gruppo appoggia gli sforzi della relazione Kacin a favore di approcci rivolti a un’adesione serba all’Unione europea. Purtroppo, il paragrafo 8 aggiunto dalla commissione per gli affari esteri previene la decisione riguardante il Kosovo. Dopo il 10 dicembre, forse il Kosovo sarà riconosciuto unilateralmente come uno Stato dall’America e da alcuni paesi membri dell’Unione europea, e la Serbia otterrà sempre unilateralmente la parte settentrionale del Kosovo. E’ per questa ragione che non condividiamo del tutto la fiducia che lo status futuro del Kosovo possa contribuire da solo a stabilità e integrazione.

Se si manterrà questo infondato ottimismo del paragrafo 8, il mio gruppo revocherà il suo sostegno a questa relazione.

 
  
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  Gerard Batten, a nome del gruppo IND/DEM. (EN) Signor Presidente, la frase di apertura della relazione è: “...il futuro della Serbia è nell’Unione europea”. Prosegue dicendo: “... il futuro di tutti i paesi della regione risiede nell’UE”. I paesi della regione naturalmente sono Croazia, Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Montenegro e Albania. Alcuni di questi presentano ostilità storiche sfociate in tempi recenti in tragiche guerre.

L’UE, certamente, crede che, se aderissero, tutto si risolverebbe a tarallucci e vino. Ma ecco una conseguenza di ciò che avverrebbe in realtà se procedessero con l’adesione. Questi Stati contano complessivamente oltre 24 milioni di abitanti. Molte di queste persone approfitterebbero del loro diritto a spostarsi in altre parti dell’UE. Dalle esperienze maturate nel passato, tanti andrebbero in Gran Bretagna. La Gran Bretagna è già invasa da immigranti e profughi dell’UE e non. Il Ministero degli Affari interni prevede una politica non ufficiale di spostare i diversi gruppi etnici e religiosi di profughi in parti differenti del Regno Unito per timore delle violenze e dei conflitti che potrebbero scoppiare tra loro. Qualora la Serbia e altri paesi dei Balcani alla fine aderissero all’UE, la Gran Bretagna introdurrebbe ancora maggiori ostilità storiche e faide sul suo territorio.

La strada per la Serbia e per i paesi confinanti è diventare Stati democratici e indipendenti che risolvono i loro problemi pacificamente, non di aderire all’Unione europea.

 
  
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  Carl Lang, a nome del gruppo ITS. – (FR) Signor Presidente, le autorità europee, e in particolare la relazione Kacin, sembra che in genere trattino la Serbia non come uno Stato sovrano, ma come uno scolaro disubbidiente, svogliato, a cui l’Unione europea ha il diritto di dare voti positivi o negativi.

La Serbia ottiene buoni voti quando conquista un governo descritto come pro-europeo. Tale riferimento pro-europeo naturalmente comporta essere responsabili e soggetti al dogma riguardante Bruxelles. Ottiene brutti voti quando i serbi si mostrano poco entusiasti nel collaborare con il Tribunale penale internazionale. A questo proposito, è utile ricordare che questo Tribunale ha svilito i due principi che di fatto sono al centro del nostro sistema giudiziario: la sovranità giuridica degli Stati e la libertà d’espressione. Di conseguenza, Vojislav Seselj, il leader del Partito radicale serbo che rappresenta il 28 per cento dell’elettorato, è in carcere all’Aia dal febbraio 2003 ed è tuttora in attesa di un verdetto, anche se si è consegnato volontariamente. Questo Tribunale sta quindi violando in maniera lampante i principi propri dichiarati dall’Unione europea, ovvero il rispetto per le libertà fondamentali e i diritti umani. A dire la verità, l’unico crimine di Seselj è essere un patriota serbo.

Chi governa l’Unione europea, che ha intenzione di smembrare le nazioni d’Europa, di fatto non può perdonare i serbi per aver resistito alla distruzione del loro Stato, e in particolare la secessione del Kosovo, il cuore storico della Serbia. Il trattamento riservato ai serbi in Kosovo è un avvertimento per tutti i popoli d’Europa. Se oggi gli albanesi chiedono l’istituzione di uno Stato kosovaro, è perché l’immigrazione dall’Albania e il tasso di natalità in calo tra i serbi hanno fornito loro una maggioranza in una provincia in cui, circa cinquant’anni fa, erano in minoranza. L’esempio del Kosovo dovrebbe costringerci più che mai a riaffermare il diritto dei popoli d’Europa a essere se stessi e a prendere le proprie decisioni, in altre parole a preservare la loro identità.

 
  
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  Doris Pack (PPE-DE) . – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’onorevole Kacin ha presentato una relazione che ha attratto un sostegno molto ampio in quest’Aula. Alcuni di noi hanno contribuito a questo sforzo. Pertanto, non ho intenzione di discutere i dettagli, ma vorrei semplicemente esprimere diversi commenti in veste personale.

Le forze democratiche della Serbia erano troppo in ritardo nel rompere radicalmente con l’era Milošević, oltremodo in ritardo. Di conseguenza, una cooperazione con il Tribunale dell’Aia non è stata considerata in modo serio e credibile, ragione per cui anche una collaborazione nell’accordo di stabilizzazione e associazione è stata rinviata, poi sospesa, quindi ripresa, e ora siamo nuovamente in attesa. In altre parole, il percorso della Serbia verso l’UE è già tracciato e la Serbia è dotata della capacità, ma ha bisogno di compiere sforzi propri.

La questione irrisolta del Kosovo è sospesa come una nuvola minacciosa sulla politica serba e comporta un effetto paralizzante. Di conseguenza, chi ne subisce i danni? La risposta è semplice: la giovane generazione. Dopo l’embargo e il bombardamento della NATO, e i serbi devono ringraziare Milošević per entrambi, non le forze democratiche oggi al governo, adesso i giovani devono affrontare un altro problema, ovvero il Kosovo. Tale situazione sta altresì ostacolando un lavoro politico efficiente, che gioca a favore dei radicali e dei loro amici al potere.

Per fortuna, la semplificazione nel rilascio dei visti offrirà finalmente un attimo di tregua, e si tratta di un aspetto per cui noi in Parlamento abbiamo condotto a lungo una campagna. Vorremmo vedere i giovani serbi partecipare molto presto ai nostri programmi in materia d’istruzione e gioventù che abbiamo avviato con effetto dal 2007. Vorrei inoltre lodare il lavoro molto positivo svolto dal Parlamento regionale diVojvodina in relazione a tolleranza e cooperazione giovanile, che sta avendo un grande impatto. Quest’anno molti giovani si sono riuniti nella regione del Danubio, e si tratta di un fantastico esempio di impegno a favore di tolleranza e relazioni sociali pacifiche.

In Serbia c’è un gran desiderio di normalità. I politici dovrebbero adoperarsi maggiormente per il presente e il futuro e dovrebbero lasciarsi il passato alle spalle, nonché migliorare la vita quotidiana dei cittadini comuni, per garantire che non perdano il sostegno popolare.

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE) . – (DE) Signor Presidente, nel discorso formulato dal nostro stimato collega, l’onorevole Kacin, a mio parere mancavano due aspetti. Il primo è rappresentato dai ringraziamenti per la generosità del Presidente, e il secondo, più importante, dall’equilibrio che è di certo espresso in questa relazione.

Abbiamo collaborato in modo positivo e desidero ringraziarlo per questo. Ritengo che sia progredito in un progetto di relazione molto valido. Nel dire ciò, ribadisco le affermazioni del Commissario Rehn. Sono stati compiuti progressi sostanziali, ma valutando un paese, si dovrebbero menzionare gli aspetti positivi e negativi. Sono stati compiuti progressi considerevoli anche in termini di cooperazione con l’ICTY. Tuttavia, e in questo caso siamo d’accordo, tali progressi non bastano. Mi auguro che nei prossimi giorni si raggiunga un accordo con Carla del Ponte, e l’ho chiarito a nome del mio gruppo quando ho dichiarato al Ministro Ljajić che occorre risolvere tutte le questioni. Non possiamo fermarci a metà strada e nemmeno oltre la metà. Si deve stabilire una cooperazione. Si tratta della posizione comune del Parlamento e dell’Unione europea nel suo complesso.

Per come considero la situazione, la questione decisiva in questo paese è che, purtroppo, e a questo proposito, ribadisco ciò che affermato Doris Pack, spesso sembra che i nazionalisti stabiliscano l’agenda. Non è possibile superare i nazionalisti dell’estrema destra ancora più a destra, cosa che alcuni stanno tentando di fare. Quest’azione conduce semplicemente al caos. Il fatto che Nikolić abbia rivestito l’incarico di portavoce del Parlamento, anche se solo per quattro giorni, è scandaloso. Viste le difficoltà e la delicatezza della situazione, in che modo qualcuno può pensare di avere il leader dell’estrema destra come portavoce del Parlamento? E’ vergognoso. Questo non è il modo di condurre la politica e far avanzare la Serbia. Si tratta di un aspetto che conferma ripetutamente che la Serbia stia in realtà perseguendo una via nazionalista. Spero che tutte le forze di centro riflettano per un momento e si rendano conto che debba esistere una precisa linea di demarcazione tra i nazionalisti da un lato e il resto, conservatori o socialisti che siano dall’altro. Il centro è l’unica forza in grado di far avanzare il paese, considerato che non è tentato dal perdere tempo con i nazionalisti.

Sì, occorre fare di più a riguardo della possibilità di spostarsi senza obbligo di visto. E’ stato compiuto un passo verso la semplificazione nel rilascio dei visti, e ora dovremmo muoverci verso questa possibilità di spostarsi senza visto in modo che i giovani possano venire in Europa e vedere di che cosa si tratta. E’ ciò di cui hanno bisogno i giovani serbi, nonché la Serbia.

 
  
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  Samuli Pohjamo (ALDE) . (FI) Signor Presidente, signor Commissario, desidero innanzi tutto ringraziare il relatore, l’onorevole Kacin, per una relazione eccellente e approfondita. Il documento menziona i problemi difficili che ostacolano le relazioni tra l’UE e la Serbia, ma evidenzia anche i numerosi fattori positivi emersi nello sviluppo della Serbia.

Vorrei sottolineare il significato delle relazioni naturali nello sviluppo della cooperazione tra UE e Serbia. E’ importante che i giovani serbi dispongano di maggiori opportunità di viaggiare all’estero grazie a scambi per studenti e programmi culturali. Si osservano esperienze positive in merito in molti paesi nel quadro, ad esempio, dei programmi Erasmus Mundus e Leonardo da Vinci.

Le relazioni naturali con la Serbia godranno di un nuovo impulso con l’accordo sui visti che è stato concluso. Dobbiamo garantire che quest’accordo entri in vigore prima della fine dell’anno, mentre acceleriamo l’elaborazione dei visti e lo sviluppo di azioni di sostegno per aumentare le possibilità di spostamento per i giovani e i professionisti in particolare.

Infine, voglio dire che l’Agenzia europea per la ricostruzione ha compiuto il suo ruolo in Serbia. Il suo lavoro sta ora giungendo alla conclusione e i compiti dell’Agenzia possono essere trasferiti ai gruppi della Commissione, prestando attenzione all’assistenza a favore dello sviluppo amministrativo e giudiziario. In questo modo, possiamo incoraggiare la Serbia e gli altri paesi della regione al fine di godere di relazioni più strette con l’Unione europea.

 
  
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  Hanna Foltyn-Kubicka (UEN) . – (PL) La relazione si riferisce ai recenti cambiamenti in Serbia. Tuttavia, resta ancora molto da fare, in particolare nell’ambito della cooperazione tra il governo e il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia. Malgrado le promesse fatte, Radko Mladić non è stato arrestato e consegnato al Tribunale dell’Aia. La mancanza di progressi in questo settore è fonte di preoccupazione e ha conseguenze negative sulla percezione delle azioni intraprese dalle autorità serbe volte a rafforzare lo Stato di diritto.

La nuova Costituzione e le disposizioni relative alla tutela dei diritti umani e di quelli delle minoranze nazionali, i servizi di sicurezza, l’ordinamento giudiziario e l’esercito, nonché gli sforzi per eliminare la corruzione, rappresentano uno spostamento nella giusta direzione. Tuttavia, esistono certi difetti per le riforme, come la mancata nomina di una Corte costituzionale che agirebbe in qualità di custode della democrazia. E’ essenziale controllare le misure adottate e gli impegni intrapresi in Serbia. Nonostante i progressi compiuti, in Serbia resta ancora molto lavoro da svolgere.

 
  
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  Joost Lagendijk (Verts/ALE) .–(NL) Signor Presidente, Parlamento, onorevoli colleghi, oggi stiamo cercando di sottolineare gli sviluppi positivi in Serbia, e facciamo sì che non si verifichino malintesi in merito, che nulla vada storto. Per l’Unione europea è importante che la Serbia progredisca verso la democrazia e che noi, l’Unione europea, riconosciamo tale processo e, ove possibile, sostenerlo. Si tratta del medesimo tentativo attualmente intrapreso da altre istituzioni europee, in particolare dal Consiglio.

Tuttavia, onorevoli colleghi, non dobbiamo eccedere. Anche se la Serbia fa tutto ciò che le è richiesto nella relazione, ma al contempo svolge un ruolo negativo e deleterio nei negoziati sul futuro del Kosovo, allora avrà di certo conseguenze negative per l’andamento dei tentativi di dialogo della Serbia nei confronti dell’Unione europea. Onorevoli colleghi, è come dovrebbe essere. Perciò, ritengo sia incomprensibile e inopportuno che finora non sia stato realizzato il collegamento, che penso sia reale, tutti lo sanno, tra la posizione serba nei negoziati sul Kosovo e il percorso della Serbia in direzione dell’Europa.

Mi appello quindi ai deputati affinché sostengano l’emendamento in cui si crea tale collegamento. Esiste un legame tra la posizione serba sul Kosovo e l’andamento e i contenuti dei negoziati tra Serbia e Unione europea. Il rifiuto di stabilire questo collegamento fino ad ora trova una spiegazione nel fatto che noi, l’Unione europea, non vogliamo rendere le cose ancora più difficili per i democratici in Serbia, per il Presidente Tadić, e pertanto dobbiamo tacere le questioni complicate.

Onorevoli colleghi, in sostanza non sono d’accordo con questa valutazione della situazione. Concordo con il predecessore dell’attuale Commissario, Chris Patten, che di recente ha scritto che si tratta di un equivoco se crediamo di aiutare i democratici comportandoci in maniera indulgente, non essendo schietti e onesti con la Serbia. Non agendo in modo aperto e onesto, rafforziamo Kostunica che può quindi affermare che se intraprende una linea dura può riuscire a costringere l’Unione europea a fare concessioni. Non è il modo di procedere. Vi prego ancora una volta, siate positivi, ma anche onesti e chiari. I cittadini dell’UE e della Serbia ne hanno il diritto.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL) . – (EL) Signor Presidente, l’UE condivide la responsabilità per la guerra ingiusta e scorretta iniziata dalla NATO contro la Iugoslavia. E’ corresponsabile per l’uccisione di migliaia di iugoslavi, l’enorme distruzione inflitta a infrastrutture, fabbriche e al paese nel complesso, nonché per l’uso di uranio arricchito. Chi dovrebbe essere arrestato, processato e condannato per crimini di guerra è rappresentato da Bill Clinton, Tony Blair, Javier Solana (l’ex Segretario generale della NATO) e gli altri leader dei paesi che hanno attaccato la Iugoslavia. Purtroppo, non si è verificato nulla di tutto ciò. La Iugoslavia è stata smantellata; si stanno creando protettorati e ora si sta cercando di annettere la Serbia. Chiedete una dichiarazione di pentimento da parte di un popolo che ha agito in una maniera che si spiega da sola: ha difeso l’indipendenza del proprio paese. E’ possibile ricevere questo tipo di dichiarazione da un governo, ma i giovani non dimenticheranno e non perdoneranno i crimini della NATO e dell’UE.

State continuando la medesima politica con l’indipendenza del Kosovo e la creazione di un nuovo protettorato. Tra le altre cose, le misure proposte nella relazione sono un tentativo di riscattare massacri e distruzione utilizzando denaro dei lavoratori europei. Le misure mirano a dipingere le uccisioni degli iugoslavi come salvifiche nello sforzo di creare condizioni favorevoli per legare la Serbia al carro imperialista, e affinché il capitale europeo rilevi il paese.

Il partito comunista greco condanna questa relazione e ritiene che gli interessi dei popoli dei Balcani saranno serviti se non dimentichiamo, ma ci battiamo contro l’UE e la barbarie che state alimentando.

 
  
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  Bastiaan Belder (IND/DEM) .–(NL) Signor Presidente, la solida ed esaustiva relazione Kacin offre una visione equilibrata dello sviluppo socioeconomico della Serbia. Sono presentati i dati positivi e negativi: dati di crescita eccellente opposti a un elevato tasso di disoccupazione, ad esempio; in termini concreti, il 7,2 per cento contro l’oltre 20 per cento degli ultimi tre anni.

Per lo sviluppo serbo sono essenziali investimenti stranieri diretti ed è proprio ciò che manca attualmente. Le cause sono ovvie. Possono essere individuate soprattutto al problema d’immagine di Belgrado. La cosa che più di ogni altra spaventa gli investitori stranieri è la protratta insicurezza politica, proverbialmente il Kosovo, nonché il marcato rallentamento nell’andatura delle riforme del mercato da parte di Belgrado.

Tale condizioni mi porta a una domanda decisiva. La Serbia ce la fa da sola? La relazione Kacin esordisce con l’asserzione che il futuro della Serbia è nell’Unione europea; le condizioni europee in questa direzione sono perfettamente note a Belgrado, come l’impegno europeo a collaborare in merito. Alla fine le autorità europee dovrebbe rispondere all’urgente domanda: la Serbia ce la fa da sola?

 
  
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  Zsolt László Becsey (PPE-DE) . (HU) Grazie, Signor Presidente. La relazione dell’onorevole Kacin è eccellente, un lavoro da professionista. Si può dire che è nato nella regione e la conosce bene. I miei commenti sono i seguenti:

1. Il principio dei valori. E’ essenziale che non si consenta a nessuno di entrare nell’Unione europea con il tipo di retaggio in cui non solo non si riesce a indagare su crimini collettivi e carneficine, ma in cui non è nemmeno permesso di ricordarli, di ricordare i morti. Questo è stato un diritto umano minimo, il diritto alla dignità dell’uomo, da Antigone. In un posto in cui non è ancora stato raggiunto questo risultato e neppure è stato richiesto, non dovremmo sorprenderci se i gruppi radicali si aggirano per le strade e riacquistano forza, o se i neofascisti sono in aumento a Vojvodina. E’ una situazione che deve essere risolta, poiché, qualora non ci riuscissimo, non dovremmo preoccuparci soltanto della Serbia, ma anche dell’Europa.

2. Ritengo che dovremmo almeno impegnarci per ciò che noi stessi abbiamo stabilito nella relazione. In altre parole, non indeboliamola con emendamenti, non censuriamo le risoluzioni elaborate o le puntualizzazioni espresse in merito, ma citiamola esattamente per com’è. La stessa cosa vale per le disposizioni territoriali, che l’onorevole Kacin ha mutuato piuttosto giustamente nella sua relazione dalla Commissione, visto che nessuno capirebbe ciò che vogliamo se lo mitighiamo senza un senso.

3. Dobbiamo aiutare la Serbia, e non solo dirlo. Dopo aver ridotto i requisiti per i visti, occorre abolirli del tutto in modo che i comuni cittadini serbi siano in grado di entrare in Europa in qualsiasi momento. Fino ad allora, non ha senso insistere sulle prospettive serbe dell’Unione europea, come non possiamo compiere il passo più lungo della gamba. Lo stesso discorso vale per l’adesione della Serbia al CEFTA, per l’attuazione del processo di associazione, e il suo futuro nell’OMC.

La mia ultima considerazione è che abbiamo bisogno di una società sana, che pretende proporzionalità, per la rappresentanza delle minoranze etniche nell’amministrazione pubblica, che è fondamentale, e per garantire forme appropriate di autonomia. Una mancanza di proporzionalità implica una mancanza di fiducia, e senza fiducia non saremo veramente in grado di avanzare verso una nuova e sospirata cooperazione nei Balcani. Vi ringrazio.

 
  
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  Véronique De Keyser (PSE) . – (FR) Signor Presidente, la relazione Kacin tratta la questione della Serbia, non il Kosovo, e neppure ciò che accadrà dopo il mese di dicembre. E’ anche corretto affermare che non collega la reazione della Serbia al problema del to say Kosovo alla promessa di adesione all’Unione europea. L’onorevole Lagendijk è preoccupato per quest’aspetto, mentre il mio gruppo lo accoglie con favore ed è del parere che in tal caso il Parlamento possa smentire qualsiasi contrattazione politica o duplice diplomazia.

E’ vero che esiste una questione che si solleva costantemente, vale a dire il Tribunale penale internazionale e la cooperazione della Serbia con quest’ultimo. Ora Carla Del Ponte ha appena suonato il campanello d’allarme, o almeno qualcosa di molto simile, nel riferirsi all’intransigenza manifestata e sta usando l’Unione europea come un anello a tutto ciò che influenza i diritti umani, in altre parole la condizionalità, e ritengo non abbia torto.

Non credo, come fa l’onorevole Lang, che si tratti semplicemente di distribuire buoni o cattivi voti. Sono dell’avviso che la questione del nazionalismo, questa cultura dell’impunità, con quattro criminali ricercati, e nemmeno pesci piccoli, che vagano ancora liberi per la Serbia, siano intollerabili. Inoltre, vorrei dire che sappiamo per esperienza che un paese ha tutto da guadagnare riconoscendo il proprio passato e ammettendo i propri crimini. Abbiamo invitato la Croazia a compiere grandi sforzi ed esortato la Bosnia a fare lo stesso; si tratta dei medesimi sforzi che ci hanno permesso di ricostruire l’Europa dopo la Seconda guerra mondiale.

Questi elementi rappresentano il centro di tutto ciò a cui attribuiamo maggior valore. Non si tratta di assegnare punti, è il cuore dei nostri valori e un fattore fondamentale per una riconciliazione nei Balcani. Infine vorrei aggiungere, anche se non stiamo discutendo del Kosovo, che il Primo Ministro serbo Bozidar Djelic, che ha visitato il Parlamento europeo diverse settimane fa, ci ha riconfermato che qualsiasi cosa sia accaduta in merito al Kosovo, il suo paese non ha avuto alcuna intenzione di ricorrere alle armi. Ricordo queste parole e, senza collegare questo episodio alla relazione Kacin, spero che questo appello sia giunto alle orecchie del suo popolo.

 
  
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  Andrzej Tomasz Zapałowski (UEN) . – (PL) Signor Presidente, ho osservato l’atteggiamento negativo adottato da certi paesi europei nei confronti della Serbia nel corso degli anni. La Serbia è considerata il paese che attua la politica della Russia per i Balcani. Tuttavia, un altro aspetto è stato ampiamente trascurato. La Serbia si trova su una delle rotte principali per l’espansione dell’Islam in Europa. Personalmente, sono favorevole a mantenere le migliori relazioni possibili con la Turchia e altri Stati musulmani, ma non è nell’interesse dell’Europa permettere una costante umiliazione di un paese cristiano, favorendo quelli musulmani. Ciò può condurre a conseguenze di vasta portata per il nostro continente in futuro. La regione interessata ha bisogno di stabilizzazione, non d’incitamento a tensioni razziali e religiose. L’attuale democratizzazione della vita politica in Serbia deve sicuramente essere gradita a tutti.

I nostri rapporti con la Serbia dovrebbero rispettare l’orgoglio e la tradizione nazionale. Soltanto allora la Serbia sceglierà l’Unione anziché altre potenze, stabilizzando nel contempo la regione.

 
  
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  Michael Gahler (PPE-DE) . – (DE) Signor Presidente, il futuro dell’ex Repubblica iugoslava di Serbia è in Europa. Quest’idea è adattabile a tutte le repubbliche dell’ex Iugoslavia. Come si verifica per ogni possibile candidato, esistono condizioni che sono applicabili all’adesione a questa comunità di valori, e desidero quindi ringraziare il relatore non solo per la sua relazione, ma anche per aver chiarito, nel suo intervento, quali sono queste condizioni. Una cooperazione illimitata con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia è effettivamente una precondizione per la firma dell’accordo di stabilizzazione e associazione. Trovo difficile accettare che criminali di guerra come Mladić e Karadžić abbiano tuttora molti simpatizzanti, non solo nell’opinione pubblica, ma anche nella polizia, nell’esercito e in numerosi funzionari pubblici in Serbia: in altre parole, proprio le persone con cui presto negozieremo relazioni serbe più strette con l’UE.

Affrontare il passato non è una condizione formale per rapporti più stretti con l’UE, ma aiuterebbe i serbi, i loro vicini più prossimi e l’UE nel complesso.

Anche la questione del Kosovo deve essere considerata separatamente in termini formali, ma considero di poco aiuto questo ostruzionismo nazionalista. Ritengo inoltre sia sbagliato ottenere un veto russo nel Consiglio di sicurezza con generose svendite di importanti società ad aziende russe. Al termine del processo, secondo i calcoli di Belgrado, si attende che l’UE fornisca una compensazione, sottoforma dell’accordo di stabilizzazione e associazione, per le concessioni che non sono state realmente accordate nella questione del Kosovo. Tale situazione diventerà evidente dopo il 10 dicembre.

Quindi, sostengo pienamente la posizione dell’onorevole Lagendijk. Il livello di cooperazione in merito al problema del Kosovo sarà pertanto uno dei fattori più utili o di maggiore impedimento per relazioni serbe più strette con l’UE, e Belgrado dovrebbe tenerne conto.

 
  
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  Libor Rouček (PSE) . – (CS) Onorevoli colleghi, lo scorso anno la Serbia ha attraversato alcuni significativi cambiamenti che sono certo siano stati negoziati con successo.

Il complicato e doloroso processo di scioglimento dell’Unione statale di Serbia e Montenegro è stato completato con esito positivo. Le elezioni parlamentari democratiche sono state condotte in modo equo e libero e si è insediato un nuovo governo pro-europeo. E’ seguita una crescita economica sostanziale ed estremamente necessaria.

Dopo una pausa di 13 mesi, sono ripresi i negoziati tra il governo serbo e l’UE in merito all’accordo di stabilizzazione e associazione (ASA). C’è la realistica possibilità che nel prossimo futuro possa avvenire la firma dell’ASA. Si tratterebbe di un passo considerevole sulla strada dell’adesione della Serbia all’UE. Come è già stata più volte menzionata oggi, la condizione per tutto ciò è rappresentata dalla cooperazione della Serbia con l’ICTY. Confido nel fatto che domani e dopo domani, durante la visita di Carla del Ponte a Belgrado, si superino almeno alcuni degli ostacoli, quali, ad esempio, un pieno accesso ai documenti di archivio nei dipartimenti ministeriali.

Nel mio breve contributo odierno, non esprimerò alcun commento a riguardo del Kosovo poiché stiamo discutendo la relazione sulla Serbia. Ciò che vorrei fare, tuttavia, è lodare la Serbia per il suo approccio responsabile e attivo e la sua collaborazione nel quadro delle iniziative regionali quali il Patto di stabilità e il CEFTA (Accordo centroeuropeo di libero scambio). Tale collaborazione è la prova del preciso interesse della Serbia nello sviluppare e mantenere buoni rapporti con i vicini della regione.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (UEN) . – (PL) Signor Presidente, la Serbia è un paese europeo che negli ultimi anni ha compiuto progressi considerevoli verso l’integrazione nell’Unione europea. Si potrebbero di certo menzionare alcuni problemi che in realtà non sono più gravi di quelli in Albania o Bosnia-Erzegovina, anche se sembra che siamo pronti a chiudere un occhio nel caso degli ultimi due paesi.

Ritengo dovremmo creare un sistema di incentivi per la Serbia al fine di incoraggiarla ancora di più a soddisfare gli standard europei. Ciononostante, il traguardo, ovvero l’Unione europea, dovrebbe essere chiaramente visibile. Hanno di certo un senso le affermazioni dell’onorevole Gahler in merito alle relazioni tra Russia e Serbia. Per la Serbia, tuttavia, deve essere assolutamente chiaro che il suo posto è nell’Unione europea e che per noi sarà più semplice lavorare con questo paese all’interno dell’Unione, anziché al di fuori di essa. Mi pare ovvio.

 
  
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  Marcello Vernola (PPE-DE) . Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che l’impegno delle autorità serbe a collaborare con il procuratore Carla Del Ponte debba continuare con maggiore decisione per poter assicurare la cattura dei criminali di guerra. E’ questa una condizione condivisa di sicurezza per l’intera area balcanica e per l’intera Unione europea, oltre che un obbligo giuridico e morale.

Bisogna anche garantire un rinnovo di impegno del governo serbo per un clima di serena convivenza di tutte le etnie presenti sul territorio. Il ministero degli Interni ha già intrapreso iniziative di prevenzione e controllo degli incidenti interetnici in Vojvodina sin dal 2004, ma occorre favorire la partecipazione delle minoranze alla vita sociale e la loro adeguata rappresentazione nelle istituzioni.

Siamo tutti a favore di un’immediata risoluzione dello status del Kosovo già a partire da dicembre, ma molti resteranno i problemi irrisolti, a partire dalla necessaria repressione della criminalità organizzata albanese che destabilizza tutta l’area geografica comprendente anche l’area confinante della Macedonia e dell’Albania, quindi un pericolo enorme per la sicurezza comune dell’intera area balcanica.

Non dobbiamo abbandonare il Kosovo a se stesso, dobbiamo esigere che tutta l’area balcanica venga messa sotto sicurezza attraverso una continua presenza dell’Unione europea. Da questo punto di vista un’accelerazione dell’ingresso della Serbia nell’Unione europea garantirebbe la stabilizzazione dell’area anche a fronte dei traffici illeciti in tutti i settori possibili e immaginabili che imperversano in tutta l’area balcanica, a partire dal settore ambientale.

Dobbiamo esigere che la Serbia affronti presto una seria politica ambientale nel settore dell’energia, nel settore della depurazione delle acque, nel settore del ciclo integrato dei rifiuti, per evitare che la criminalità organizzata metta le mani anche su questo settore.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE) . (HU) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Kacin segna un punto di svolta nell’atteggiamento del Parlamento europeo. Per molto tempo il Parlamento europeo ha premiato unilateralmente gli albanesi e punito i serbi in ogni dichiarazione espressa riguardante il Kosovo. Finalmente, disponiamo di un’idea credibile e oggettiva della Serbia, ragione per cui è un aspetto fondamentale poiché dobbiamo garantire che la Serbia non rivesta più il ruolo di punching bag o capro espiatorio. Ciò non significa, tuttavia, che i serbi prima o poi dovranno venire a patti con i crimini dell’era Milošević, proprio come gli albanesi del Kosovo, e ognuno deve venire a patti con i loro crimini storici.

E’ positivo e appropriato avvicinare la Serbia all’Unione europea, e sono d’accordo che la semplificazione nel rilascio dei visti non sia sufficiente; dovremmo stabilire un regime senza obbligo di visto per i cittadini serbi, cosa che è importante almeno quanto accelerare il processo di concedere alla Serbia lo status di candidato. A questo proposito esiste il Kosovo, che rappresenta un grande rischio; secondo le stime del servizio informazioni del Consiglio d’Europa, si presume che circa 100 000 rifugiati, rifugiati serbi, lascino il Kosovo, e sarà soprattutto Vojvodina a dover affrontare questa situazione.

I ringraziamenti sono opportuni per il fatto che gli emendamenti proposti dall’onorevole Kacin offrono un quadro oggettivo dei processi interetnici a Vojvodina, le atrocità che persistono tuttora, e l’esigenza di legiferare sullo status giuridico dei Consigli nazionali, la necessità di rappresentanza proporzionale delle minoranze nelle forze di polizia e nel sistema giudiziario, nonché di mantenere trasmissioni radiofoniche per le minoranze e il loro finanziamento. Tutto sommato, mi congratulo con l’onorevole Kacin: avvicinare la Serbia all’Unione europea è un passo importante. Grazie per la vostra attenzione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. RODI KRATSA-TSAGAROPOULOU
Vicepresidente

 
  
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  Kinga Gál (PPE-DE) . (HU) Signora Presidente, la ringrazio per avermi concesso la possibilità di intervenire. Onorevoli colleghi, accolgo con favore questa relazione, e ritengo che la versione adottata dalla Commissione sia particolarmente valida ed equilibrata. Le prospettive serbe per l’adesione all’Unione europea sono importanti soprattutto per l’Ungheria. Nutriamo un interesse fondamentale nell’assistere all’ammissione del nostro vicino in questa Comunità il più presto possibile. Questa è l’unica alternativa per una riconciliazione in confronto al conflitto interetnico, la guerra e le discriminazioni contro le persone o la loro umiliazione poiché la loro lingua madre o le loro tradizioni sono diverse.

Ovviamente, non siamo indifferenti di fronte al destino della minoranza etnica degli ungheresi di Serbia, e in effetti ci siamo adoperati per mantenere la questione di Vojvodina sull’agenda europea. Un aspetto molto importante, e sono lieta che sia presente nella relazione, è quello di richiamare l’attenzione alla necessità di conservare il carattere multietnico di Vojvodina, evolutosi in molti secoli. La base per tale multietnicità è la coesistenza di numerosi gruppi etnici, il tipo di coesistenza che si fonda non sul silenzio e l’umiliazione, ma su un’uguaglianza autentica di fronte alla legge e pari opportunità. Al momento, purtroppo, ciò non rientra nella realtà quotidiana.

Ritengo sia particolarmente importante mantenere l’equilibrio etnico della regione e le sue caratteristiche speciali, e, a mio parere, insediare i rifugiati serbi in questa regione metterebbe a rischio le opportunità di conservare il precario equilibrio e potrebbe esacerbare il conflitto interetnico. Abbiamo già osservato numerosi spiacevoli esempi di conflitti simili nel recente passato. A questo proposito, vorrei richiamare la vostra attenzione, ad esempio, su un caso che finora resta irrisolto: il destino dei giovani etnici ungheresi a cui è stata assegnata una condanna sproporzionatamente severa in un preciso esempio di discriminazione etnica a Temerin. Tutto sommato, quindi, i Balcani hanno bisogno dell’Unione europea, poiché lo spirito, i principi e il sistema istituzionale dell’UE, e il fatto che sia coerente, e pongo l’accento su quest’ultimo elemento, saranno in grado di determinare una vita degna di essere vissuta. Vi ringrazio.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, naturalmente ho seguito questo dibattito con grande interesse e ho tenuto conto dei suggerimenti e delle preoccupazioni che molti di voi hanno espresso.

Come accade, l’esito di questa discussione mi pare evidente: indica che solo offrendo alla Serbia una reale prospettiva europea è possibile ottenere pace, stabilità e progresso in questo paese, nonché la stabilità nell’intera regione dei Balcani occidentali. Questo aspetto è assolutamente condiviso, poiché il Consiglio ha ripetutamente asserito che il futuro della Serbia risiede nella prossima adesione all’Unione europea.

Tutti sappiamo che questo progetto non può essere realizzato senza condizioni. Certamente devono esistere condizioni che saranno e devono essere connesse al processo di politica interna nella Serbia stessa, al rispetto dei valori democratici e di quelli specifici per lo Stato di diritto. Tuttavia, tali condizioni sono altresì collegate all’essenziale cooperazione serba con il Tribunale penale internazionale. La Serbia ha compiuto molti progressi per quanto riguarda la collaborazione con il Tribunale. Tutti ci rendiamo conto che sono necessarie altre azioni e iniziative. Ciononostante, consentitemi di esprimere una nota di fiducia e incoraggiamento in merito al fatto che le autorità serbe riusciranno, entro la fine di questo processo, a compiere tutti i passi necessari in modo che tale cooperazione diventi completa.

Noi nell’Unione europea dobbiamo aiutare la Serbia. Riteniamo sarebbe un errore strategico lasciare il paese e i suoi cittadini in una sorta di limbo senza alcuna direzione, prospettiva o progetto. Si tratta di un errore strategico che non dobbiamo commettere e, a questo scopo, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per impedirlo.

Ovviamente devo anche accogliere con favore i progressi compiuti in relazione alla possibilità di una libera circolazione dei serbi nello spazio europeo. Dobbiamo proseguire lungo questa strada. Qualcosa è stato fatto e occorre lodare debitamente questa e altre iniziative che stiamo intraprendendo.

Dobbiamo inoltre offrire prospettive future ai giovani serbi, poiché naturalmente è tramite e con loro che può essere costruita una Serbia democratica che condivide pienamente i nostri valori e principi e che aspira a essere parte integrante dell’Unione europea.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. (FI) Signora Presidente, onorevoli deputati, desidero ringraziare tutti per una discussione oggettiva e responsabile, nonché il relatore per un testo molto reale. A giudicare dalla discussione, esiste un ampio consenso in Parlamento e nell’Unione nel suo complesso che il futuro della Serbia sia nell’UE e che la porta dell’Unione europea si aprirà alla Serbia quando il paese rispetterà le condizioni, e che il suo governo possieda i mezzi per condurre la Serbia in Europa. La maggioranza dei serbi sostiene e appoggia questo sviluppo.

Ora il governo serbo svolge il ruolo di custode: ha le chiavi nelle mani. Mi auguro che il governo serbo adesso usi le sue chiavi e attui la volontà dei serbi, ovvero di volgersi verso l’Unione europea. Potete stare certi che terremo conto delle opinioni espresse nella relazione, e che le includeremo anche nella nostra relazione sui progressi.

 
  
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  Presidente . La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, giovedì 25 ottobre 2007.

 

13. Situazione attuale delle relazioni UE-Africa (discussione)
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  Presidente . – L’ordine del giorno reca la relazione dell’onorevole Martens, a nome della commissione per lo sviluppo, sulla situazione attuale delle relazioni UE-Africa [2007/2002(ΙΝΙ)] (Α6-0375/2007).

 
  
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  Maria Martens, relatrice. (NL) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, stiamo discutendo la relazione sulla situazione attuale delle relazioni UE-Africa. Questo documento stabilisce una visione comune da parte di Africa ed Europa sulla cooperazione futura nell’ottica di promuovere lo sviluppo africano e combattere la povertà. La strategia deve equivalere a un qualcosa in più che difendere solo la politica attuale. Si tratta di una visione, fondata su valori e principi condivisi, su rispetto reciproco, designato al benessere delle persone.

Africa ed Europa hanno una lunga storia comune, ma le relazioni tra loro sono davvero cambiate: non possono più essere a senso unico. Ora si tratta di un partenariato tra pari per affrontare problemi che colpiscono entrambi i continenti, quali sicurezza, commercio, immigrazione e cambiamenti climatici.

L’Unione europea ha elaborato una strategia europea per l’Africa nel 2005. Sono stata relatrice anche in quella occasione. A nostro parere, tale strategia presentava due importanti difetti. Era una strategia troppo a favore dell’Africa, ma senza renderla partecipe, e il Parlamento e la società civile non sono stati coinvolti a sufficienza nell’elaborazione di tale strategia. Sono soddisfatta che adesso stiamo parlando di una strategia comune UE-Africa e che, stavolta, il Parlamento e la società civili saranno resi maggiormente partecipi.

Signora Presidente, questa strategia dovrebbe fornirci la struttura e la direzione per un’azione congiunta nel futuro. La lotta contro la povertà e gli obiettivi di sviluppo del Millennio devono continuare a occupare la scena principale. Anche se i dati più recenti relativi agli OSM consentono un certo livello di ottimismo, nell’Africa subsahariana il 41,1 per cento delle persone vive tuttora con 1 dollaro al giorno. Questa situazione non può migliorare esclusivamente con gli aiuti allo sviluppo, è altresì necessario favorire la crescita economica.

Gli accordi di partenariato economico negoziati attualmente potrebbero essere un valido strumento a questo scopo, purché, e sottolineo quest’aspetto, dispongano di uno sviluppo sostenibile e rappresentino più di semplici accordi commerciali europei. Vorrei che il Commissario trattasse la situazione relativa al possibile rinvio della scadenza del 1° gennaio 2008.

Signora Presidente, sono i governi africani, naturalmente, ad essere soprattutto responsabili dello sviluppo nei loro paesi. Sono diventati più indipendenti, a livello politico ed economico. Lo sviluppo africano è in pieno fervore, non da ultimo mediante la comparsa sulla scena di nuove istituzioni, quali il NEPAD (Nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa) e il Meccanismo africano di valutazione inter pares. Per molto tempo l’Europa è stata la sola ed esclusiva partner di un sostegno finanziario e politico. Altri paesi stanno iniziando a esercitare la propria influenza in e sull’Africa in un modo molto accentuato: consideriamo la Cina, ad esempio. Non possiamo più dare per scontato il nostro rapporto con l’Africa.

Signora Presidente, la relazione evidenzia tre ambiti politici prioritari: pace e sicurezza, buon governo, e crescita economica e investimenti sulle persone. Per quanto riguarda gli ambiti politici europei, il testo richiama l’attenzione sull’importanza di maggiore coerenza tra le attività di sviluppo da un lato e altre aree politiche dall’altro, quali commercio, agricoltura e immigrazione. Solo se l’Europa potesse fare un uso più coerente e coordinato in modo migliore del suo sostegno e perfezionare la propria contabilità finanziaria, la politica di sviluppo dell’Unione europea sarebbe in grado di diventare più efficace ed efficiente.

Pace e sicurezza costituiscono un grave problema in Africa. La relazione pone l’accento sull’importanza di un approccio integrato per affrontare situazioni di conflitto. La priorità principale in questo settore dovrebbe essere la nostra responsabilità nel proteggere le persone e contribuire a prevenire e risolvere i conflitti, nonché la ricostruzione. Ovviamente buon governo, Stato di diritto funzionante e democrazia stabile sono condizioni per stabilità e sviluppo. E’ estremamente importante un’elaborazione di capacità in quest’ambito. Appoggiamo le ambizioni della Commissione in questo settore.

Signora Presidente, il secondo Vertice UE-Africa si svolgerà a Lisbona nel mese di dicembre dopo sette anni. La strategia comune UE-Africa e il piano d’azione saranno decisi in questa occasione. C’è molto in ballo ed è nel nostro interesse che questo vertice sia un successo. Inoltre, benché la situazione in Zimbabwe sia fonte di grande preoccupazione, dovremmo ricordarci che si tratta di un Vertice UE-Africa e non UE-Zimbabwe, e che si tratta di un approccio incentrato sulle persone e non di un partenariato incentrato su un presidente.

E’ positivo che il Parlamento europeo e il Parlamento panafricano al vertice avranno la possibilità di esprimere chiaramente l’opinione parlamentare sulla strategia comune. Le delegazioni del Parlamento paneuropeo e il nostro Parlamento si sono incontrati la scorsa settimana per preparare una dichiarazione congiunta. Spero che i nostri Presidenti saranno in grado di presentarla ai capi di governo durante il vertice.

Signora Presidente, ovviamente ci sarebbe molto da aggiungere, ma il tempo a mia disposizione è terminato e, pertanto, lascerò la parola, ma non senza ringraziare innanzi tutto i miei colleghi e la Commissione per una cooperazione molto proficua.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, signora relatrice, l’Europa, l’Africa e il mondo sono cambiati molto negli ultimi dieci anni. Ora l’Europa è un blocco di 27 Stati membri che talvolta uniscono priorità di politica estera e approcci diversi. Anche se non è opportuno affermare che il continente africano sia stato trascurato, considerato il volume di aiuti pubblici allo sviluppo che l’Europa mette a disposizione di questo continente, possiamo, tuttavia, parlare di un vuoto strategico nelle relazioni tra Europa e Africa. Negli ultimi anni le conseguenze negative di tale vuoto sono diventate più evidenti. L’Unione europea e gli Stati membri ora riconoscono la necessità di condurre le relazioni con l’Africa a un nuovo livello, con il secondo Vertice UE-Africa che rappresenta il momento giusto per dare chiaramente voce a questo desiderio.

Ci sono numerose ragioni che giustificano questo nuovo riconoscimento dell’importanza delle relazioni tra Unione europea e Africa: la percezione diffusa che tutte le sfide globali come pace e sicurezza o il commercio internazionale richiedono azioni di concerto da parte della comunità internazionale, dimostrando pertanto la comparsa di nuove forme di cooperazione; la ricerca di soluzioni a problemi che colpiscono Europa e Africa, in particolare gli effetti dei cambiamenti climatici; la gestione delle risorse energetiche o i flussi migratori; il desiderio da parte dell’Africa di affrontare insieme problemi comuni, e la necessità di adattarsi a specifici cambiamenti geopolitici nel quadro internazionale.

Questa nuova relazione tra l’UE e l’Africa è indicata nei documenti che speriamo saranno adottati nel corso del vertice di dicembre: la strategia comune UE-Africa, il suo primo piano d’azione e, ci auguriamo, la dichiarazione di Lisbona. Tali documenti riflettono la natura specifica delle relazioni tra Europa e Africa. Hanno stabilito un approccio che, da un lato, favorisce canali multilaterali e, dall’altro, mira a trattare i diversi aspetti delle nostre relazioni in maniera più integrata. Tale approccio costituisce la differenza a cui l’UE può aspirare, in particolare in confronto ad altri attori internazionali. Il riconoscimento dell’Africa come partner strategico mondiale si riflette anche nel metodo utilizzato per preparare sia il vertice, sia i documenti da adottare. Se la strategia UE-Africa del 2005 rappresenta un documento europeo che vincola soltanto l’Unione, la nuova strategia, per la prima volta una strategia comune, e il piano d’azione sono il risultato di un’attività congiunta con i nostri partner africani.

Dall’inizio i documenti del vertice sono stati elaborati da un gruppo comune di esperti e speriamo saranno approvati in occasione di una riunione della troika ministeriale UE-Africa che si svolgerà il 31 ottobre, in un processo che ha coinvolto inoltre attori non governativi e società civili, sia africani, sia europei. La strategia comune e il primo piano d’azione sono quindi i risultati di un lavoro congiunto. Di conseguenza, la loro attuale formulazione riflette e risponde a numerose preoccupazioni e suggerimenti contenuti nella relazione dell’onorevole Martens, un testo che è chiaramente molto completo ed esaustivo.

I partenariati tra l’Unione europea e l’Africa individuati nella strategia comune e nel progetto di piano d’azione devono includere materia d’interesse comune. I loro criteri fondamentali devono costituire un valore aggiunto alla cooperazione e al dialogo politico che esistono attualmente e, a nostro parere, garantire un impatto positivo sulle vite quotidiane dei cittadini europei e africani. I partenariati che vogliamo costruire cercheranno anche di assicurare un equilibrio tra gli impegni presi da entrambe le parti, che modificheranno la logica unilaterale e basata sull’assistenza delle relazioni tra l’UE e i paesi ACP (di Africa, Caraibi e Pacifico).

L’esperienza ha inoltre dimostrato che gli impegni politici richiedono meccanismi di attuazione e controllo, in modo da tradursi in qualcosa di più di semplici buone intenzioni. Tra i vertici, in parallelo agli incontri regolari tra le due commissioni e la troika ministeriale, ora esiste la possibilità di riunioni ministeriali settoriali complementari ove appropriato. Tuttavia, un reale cambiamento nelle relazioni tra UE e Africa può avvenire soltanto se il processo è intrapreso in modo efficace anche da diversi altri attori.

A questo proposito, abbiamo intenzione di istituire gruppi informali comuni di esperti per l’attuazione di ciascun partenariato. Questi ultimi saranno aperti alla partecipazione di un grande numero di parti interessate: parlamenti europei e africani, autorità locali, società civile europea e africana, organizzazioni africane subregionali, istituti di ricerca, organizzazioni ed enti specializzati internazionali e settore privato. Nel contempo, saranno ampliati la cooperazione e il dialogo tra il Parlamento panafricano e quest’Aula e tali istituzioni agiranno anche in qualità di canali per l’attuazione della strategia comune e del piano d’azione.

Benché tali profonde modifiche non possano verificarsi immediatamente, ci troviamo a un bivio per un cambiamento nelle relazioni tra i due continenti. La sfida cui ci troviamo di fronte è godere del pieno vantaggio di questa opportunità, iniziando ad attuare questa nuova visione strategica a favore del dialogo tra UE e Africa. Tenendo presente tale obiettivo, abbiamo intenzione di svolgere, con la fiducia e la consapevolezza che quel che stiamo facendo è la cosa giusta, il prossimo Vertice UE-Africa a Lisbona nel mese di dicembre.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, desidero innanzi tutto congratularmi e ringraziare l’onorevole Martens per la sua eccellente relazione, che solleva diverse questioni e offre alcune utili iniziative, e che certamente ci fornisce una fonte d’ispirazione per quanto riguarda il contributo del Parlamento a ciò che di fatto è un tema estremamente importante e che richiede un nuovo approccio nel settore delle relazioni UE-Africa.

Com’è noto, il 2007 sarà un anno speciale per il futuro delle relazioni tra Europa e Africa. Cinque anni dopo la relazione sul vertice di Lisbona del 2003, e non meno di sette anni dopo il primo Vertice Africa-Europa svoltosi a Il Cairo nel 2000, mi pare occorra con urgenza ridefinire queste relazione su una nuova base. L’Africa è cambiata profondamente negli ultimi anni e ha acquisito una struttura istituzionale continentale che assomiglia alla nostra sotto molti punti di vista. La nuova istituzione, che è l’Unione africana, ha ora bisogno di essere rafforzata e consolidata. Questa istituzione ha sviluppato ambiziose politiche continentali in ambiti fondamentali quali lo sviluppo socioeconomico, pace e sicurezza, e in effetti anche buon governo, e tutti questi elementi meritano ovviamente il nostro sostegno e riconoscimento.

L’Africa ha ora assunto innegabilmente una dimensione internazionale. In questo caso, penso alla diversa natura delle sue relazioni con la comunità internazionale, come menzionato dall’onorevole Martens, e al nuovo ruolo che riveste la Cina, ad esempio, e la sua influenza sui progetti d’investimento in questo continente. Penso inoltre, naturalmente, alle sfide globali che l’Africa, come tutti gli altri attori mondiali, deve affrontare, vale a dire cambiamenti climatici, approvvigionamento di energia, riforma delle istituzioni multilaterali, il rischio di pandemie, emigrazione e così via, ed è evidente che l’Africa debba farsi sentire, far pesare la sua influenza e, soprattutto, far valere i propri diritti, poiché, dopotutto, queste sfide globali che ho appena elencato sono anche le nostre. Tutte queste sfide e problemi sono comuni anche a noi e, per di più, servono a evidenziare l’interdipendenza che esiste tra Europa e Africa, dato che condividiamo lo stesso destino.

Una strategia comune di natura maggiormente politica può fare la differenza per l’Africa e in effetti anche per l’Europa, e occorre dirlo al resto del mondo. Quindi i due continenti hanno urgentemente bisogno di stabilire un nuovo quadro e acquisire una nuova serie di strumenti al fine di innalzare il dialogo UE-UA a un livello più elevato. La strategia comune UE-Africa che abbiamo elaborato negli ultimi mesi con i nostri partner africani dovrebbe fornire questo quadro. Tuttavia, ciò non significa voltare le spalle al nostro tradizionale rapporto di solidarietà. Invece, occorre compiere un salto qualitativo che accompagnerà le relazioni UE-Africa in una nuova era, che unirà due partner dotati di pari diritti e responsabilità.

Sono queste le preoccupazioni ben documentate nella relazione e posso soltanto appoggiare le nuove idee significative che il Parlamento ha presentato per verificare e sostenere l’attuazione di questa strategia e dei piani d’azione che seguiranno. A questo proposito, considero decisiva l’istituzione di una delegazione comune PE/PPA (Parlamento panafricano) per portare a termine la struttura istituzionale che dovremo realizzare. A quest’aspetto vorrei aggiungere gli incontri regolari che si svolgeranno tra i Presidenti di queste due istituzioni, insieme all’organizzazione congiunta di udienze e la preparazione, sempre su una base comune, di relazioni politiche che descrivano i progressi ottenuti. Tutto ciò sarà essenziale per mantenere lo slancio del processo e offrire il vigore politico che occorre affinché abbia successo.

Siamo consapevoli che tale approccio richiede inoltre che l’Unione africana stabilisca istituzioni solide e stabili, organismi che saranno in grado di agire e interagire con i nostri. E’ chiaramente tenendo presente quest’aspetto che dovremmo continuare a sostenere l’Unione africana mentre trasforma e rafforza le sue istituzioni. In quanto precoce conferma di tale impegno, sono lieto di poter annunciare che il primo piano d’azione presentato dal Parlamento panafricano sarà sovvenzionato con una cifra pari a 275 000 euro dal programma istituzionale di sostegno, che è attualmente finanziato dal nono Fondo europeo dello sviluppo. Si trattava di una delle particolari preoccupazioni espresse dal Presidente Borrell.

Spero che questo finanziamento iniziale consentirà al Parlamento panafricano di partecipare pienamente all’iniziativa intrapresa verso l’organizzazione di un evento parlamentare congiunto prima del vertice di dicembre a Lisbona, per poter presentare i risultati del nostro lavoro ai capi di Stato nel corso del vertice.

Infine, come ho affermato in numerose occasioni, il coinvolgimento e l’impegno dei cittadini dei nostri due continenti e delle assemblee elette che li rappresentano, costituiscono un fattore essenziale per il successo di un processo efficace di dialogo e cooperazione tra Europa e Africa. Probabilmente talvolta tendiamo a dimenticarcene, ma stiamo parlando del destino comune di 1,5 miliardi di esseri umani e sono loro gli attori più importanti nel partenariato che ora stiamo istituendo.

Onorevole Martens, sono pienamente d’accordo con la necessità di coordinamento; perciò, abbiamo proposto un codice di condotta, che dovrebbe fornire una migliore divisione del lavoro tra i diversi donatori, il che significa maggiore armonia. Ritengo siamo stati coerenti a questo proposito poiché, come sapete, nel decimo Fondo europeo dello sviluppo abbiamo fornito una dotazione finanziaria speciale per la governance, che rappresenta uno degli aspetti, e chiaramente uno molto importante a questo punto, del dialogo politico che abbiamo intenzione di stabilire con i nostri partner africani. Per quanto riguarda gli APE (Accordi di partenariato economico), non ho dubbi che dovremo rispondere a domande in merito dopo i vostri interventi. Serberò pertanto la mia replica per gli interventi, in modo da non dire troppo adesso e quindi impiegare troppo tempo.

Il mio ultimo riferimento è a un fattore che ha evidenziato anche il Presidente in carica del Consiglio: nessuno nega l’importanza del Vertice UE-Africa. E’ giunta l’ora di svolgere questo incontro poiché adesso è il momento opportuno, è il momento di un cambiamento negli obiettivi. Sotto certi aspetti, è ora di un cambiamento nella natura delle relazioni tra i nostri due continenti. Occorre lasciarci alle spalle il rapporto tradizionale, potremmo definirlo banale, questo partenariato arcaico, nel verso senso della parola, di beneficiario e donatore, o donatore e beneficiario, e passare a un’associazione maggiormente politica che coinvolge due partner con pari diritti e responsabilità. A mio parere, ciò è chiaramente molto più importante. Pertanto è giunto il momento giusto, e sono sicuro che ritornerò su alcuni di questi punti quando avrete avuto la possibilità di pormi domande di natura più specifica.

 
  
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  Michel Rocard, relatore per parere della commissione per gli affari esteri. – (FR) Signora Presidente, signor Presidente in carica, signor Commissario, onorevoli colleghi, la commissione per gli affari esteri, che rappresento in quanto relatore per parere, è favorevole a tutti questi sforzi. E’ preoccupata per l’Africa e approva tutto ciò che è stato asserito. Vorrebbe soltanto sapere se siamo davvero abbastanza risoluti per l’incarico.

L’aspetto che non possiamo mettere per iscritto, anche se la nostra relazione lo lascia intendere ed effettivamente posso affermarlo, è che quando si tratta di Africa esiste molto politicamente corretto e molta asfissiante ipocrisia di cui dobbiamo liberarci prima di poter realizzare veramente i nostri obiettivi. Per quanto riguarda consentire all’Africa di progredire permettendo l’accesso dei suoi prodotti ai nostri mercati, è necessario ricordare che circa quaranta paesi africani non hanno nulla da esportare. Tale motto è proprio disonesto. Nessun paese africano è autosufficiente nel settore dei generi alimentari: devono importare per mangiare, mentre le esportazioni da questo continente e dal Brasile stanno distruggendo l’agricoltura locale di sussistenza. Dobbiamo aiutare l’Africa a proteggersi. E’ questo il messaggio che abbiamo ribadito nella relazione.

La corruzione agisce certamente come un influsso distruttivo sull’Africa. Eppure si tratta di un problema endemico nei paesi estremamente poveri. Occorre quindi iniziare con i pesci grossi e incentrarsi su di loro. Ciò implica i soliti ben noti sospetti, anche se sono ministri, e politici impegnati con la corruzione. La corruzione su piccola scala svanirà soltanto con lo sviluppo economico. Non cominciamo ad accusarli delle stesse cose che facevamo noi alcuni secoli fa, poiché anche la nostra espansione e la nostra crescita erano basati sulla corruzione.

Infine, una dittatura non può diventare una democrazia nemmeno con il sostegno del commercio e degli aiuti esteri. Tuttavia, può trasformarsi in un dispotismo illuminato. Porre fine a torture e rapimenti, consentire la libertà di espressione e stabilire l’indipendenza dei tribunali e il loro controllo sulla polizia ha la priorità sulle elezioni pluraliste organizzate semplicemente per accontentare l’Occidente, mentre rapiscono le persone e uccidono giornalisti e candidati alle elezioni. Le condizioni che imponiamo dovrebbero tenere conto di tali fattori. C’è ancora molto da dire a questo proposito.

 
  
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  Filip Kaczmarek, a nome del gruppo PPE-DE. – (PL) Signora Presidente, signor Commissario, l’onorevole Martens ha preparato una relazione eccellente che è stata adottata all’unanimità dalla commissione per lo sviluppo. Per la prima volta l’Africa e l’Europa stanno lentamente iniziando a lavorare in partenariato e stabilendo un approccio comune all’evoluzione di democrazia, sostegno allo sviluppo e rafforzamento di pace e sicurezza sul continente africano. Condivido la speranza espressa dai rappresentanti del Consiglio e della Commissione che tale relazione si dimostrerà una valida fonte d’ispirazione verso il Vertice UE-Africa di Lisbona. Molte delle disposizioni di questo testo, e più in particolare la loro attuazione, saranno di importanza cruciale per lo sviluppo delle relazioni tra Europa e Africa. Sarà difficile compiere progressi nelle nostre relazioni reciproche senza perfezionare la coerenza di diverse politiche dell’Unione, quali il commercio, lo sviluppo, la tutela ambientale, l’agricoltura e l’immigrazione.

E’ inoltre importante onorare le decisioni e gli impegni presi in passato. Nel 2005 il Consiglio dell’Unione europea ha stabilito di assegnare almeno il 50 per cento in più di risorse allo sviluppo per i paesi africani. Nel mio paese, la Polonia, negli ultimi anni gli aiuti allo sviluppo sono aumentati in modo significativo. La difficoltà è che, lo scorso anno, appena l’1,4 per cento di tutti gli aiuti polacchi bilaterali è stato stanziato all’Africa subsahariana. Il fatto che certi Stati membri abbiano ritardato a ratificare l’accordo modificato di Cotonou e l’accordo interno relativo al 10° Fondo europeo dello sviluppo è altresì fonte di preoccupazione. Attualmente, solo metà degli Stati membri dell’Unione ha ratificato l’accordo di partenariato con i paesi ACP (di Africa, Caraibi e Pacifico) che entrerà in vigore il 1° gennaio 2008.

Se non si verificherà una ratifica completa, sarà molto difficile portare avanti i programmi africani e i progetti per il sostegno all’Africa rimarranno sulla carta. Invito quindi i deputati di quest’Aula a insistere con i loro parlamenti e governi nazionali al fine di garantire la ratifica dell’accordo di Cotonou.

 
  
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  Alain Hutchinson, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signora Presidente, signor Presidente in carica, signor Commissario, il gruppo socialista del Parlamento europeo ha sempre sostenuto con forza il principio che le persone direttamente influenzate dovrebbero disporre del controllo sulle strategie dello sviluppo, poiché ciò significa che le loro priorità sono veramente tenute in considerazione.

In questa relazione abbiamo quindi evidenziato naturalmente che occorre coinvolgere i parlamenti nazionali e la società civile nella nuova strategia UE-Africa. Tale coinvolgimento era in larga misura assente dai preparativi attualmente in corso per questa nuova strategia, che cerca di schiudere una nuova forma di partenariato strategico. E’ necessario rimediare con urgenza a questa situazione. In questo quadro, accogliamo con favore l’iniziativa della Presidenza portoghese di invitare delegazioni dei parlamenti europei e panafricani a partecipare al vertice di dicembre a Lisbona. Speriamo non si tratti soltanto di un gesto simbolico.

Abbiamo anche insistito, e l’onorevole Martens lo ha appena menzionato, sul fatto che debba esserci una coerenza reale tra le diverse politiche europee. Ciò significa che le misure adottate in quanto parte delle nostre politiche in materia di commercio, agricoltura, pesca e immigrazione, ad esempio, hanno tenuto conto delle ripercussioni che potrebbero verificarsi per lo sviluppo nei paesi del sud e dell’Africa in particolare.

Abbiamo inoltre ricordato che l’Unione europea ha promesso di fare tutto ciò che è possibile per realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio e intraprendere tutte le iniziative necessarie per sradicare la povertà. Tenendo presente ciò, stiamo insistendo sul fatto che la nuova strategia UE-Africa dovrebbe indicare chiaramente i suoi impegni e specificare le misure concrete volte a garantire che siano mantenute per quanto riguarda l’Africa.

La nostra posizione in merito agli accordi di partenariato economico è piuttosto chiara: non siamo affatto contrari, a livello ideologico o a qualsiasi altro livello, alla firma di accordi che sanciscano i termini di un partenariato che sarebbe vantaggioso per gli europei e per i popoli dei paesi ACP (di Africa, Caraibi e Pacifico). Tuttavia, ci opponiamo in maniera risoluta a qualsiasi accordo che, una volta siglato, metta i popoli africani, in particolare, in una posizione che sia meno favorevole di quella che conoscono oggi. E’ questo l’obiettivo dell’emendamento che abbiamo presentato.

Infine, vorrei porre l’accento sul fatto che, attualmente, non conosciamo ancora la dichiarazione da presentare al prossimo vertice di Lisbona. Ci avete informato che il documento in questione è stato elaborato. Dobbiamo pertanto prestare la massima attenzione alla maniera in cui si terrà conto delle raccomandazioni espresse nella nostra relazione e dovremmo naturalmente riservarci il diritto di reagire di conseguenza non appena il testo sarà reso noto.

 
  
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  Johan Van Hecke, a nome del gruppo ALDE. (NL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione di Maria Martens contiene alcune interessanti raccomandazioni, anche se devo ammettere che il mio gruppo ha qualche problema con la connotazione piuttosto negativa e la mancanza, nella relazione, di una visione chiara e coerente per il futuro.

Sette anni dopo il primo vertice del Cairo, la Presidenza portoghese, insieme alla Commissione, sta cercando di elaborare una nuova strategia UE-Africa in un tentativo, credo davvero, onesto di liberarci del vecchio modello di donatori e beneficiati.Il fatto che questo vertice si svolga è estremamente importante, e non solo per ragioni negative, non solo a causa di un’ansiosa reazione alla crescente influenza della Cina.

Al contrario, la crescente realizzazione da entrambe le parti che Europa e Africa non siano più partner preferenziali esclusive a vicenda crea un’opportunità unica di sviluppare una relazione del tutto nuova e più equilibrata. A prima vista, l’acqua presente tra Europa e Africa non sembra così profonda. Per l’Africa è essenziale che ogni nuovo rapporto debba prendere le distanze dalla tradizionale dipendenza dagli aiuti e dalla cultura di carità e condizionalità. Stanno aumentando le richieste di maggiore industrializzazione e sviluppo del settore privato, e più investimenti nell’economia della conoscenza.

Per fortuna in Africa sta crescendo la consapevolezza che le persone devono essere in primo luogo responsabili della soluzione dei loro problemi. L’Europa ora dovrebbe chiarire in che modo sosterrà questi promettenti sviluppi, senza cadere nella trappola di paternalismo e ingerenza. Qualsiasi futuro partenariato tra l’UE e l’Africa dovrà inevitabilmente essere fondato sul principio di responsabilità reciproca. A questo proposito, una piena abolizione dei sussidi agricoli potrebbe, più di ogni altro intervento, rafforzare la credibilità dell’UE tra i suoi amici africani.

 
  
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  Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare il Presidente in carica e il Commissario per il loro intervento, ma soprattutto la nostra relatrice, l’onorevole Martens, per il suo lavoro relativo alla questione, poiché la realtà è che ci stiamo occupando di un nuovo partenariato, una nuova intesa tra Unione europea e Africa. Mi congratulo con il Consiglio per essersi esposto con il Vertice UE-Africa di dicembre e mi auguro che non si basi sul fatto che una persona partecipi o meno al vertice.

C’è troppo in ballo da decidere per quanto riguarda le relazioni tra Europa e Africa per chiedersi se Robert Mugabe sarà presente o meno. Tutti conosciamo e critichiamo le azioni di Robert Mugabe in Zimbabwe. Tutti difendiamo i diritti delle istituzioni e dei movimenti democratici in questo paese ed esigiamo la tutela di tali diritti di democrazia, ma ciò non dovrebbe ostacolare lo sviluppo e il lavoro appropriato che deve proseguire tra l’Unione europea e l’Africa nel loro complesso.

Le questioni riguardanti governance, aiuti allo sviluppo e, in particolare, il libero scambio sono estremamente importanti per gli sviluppi dell’Africa. Quando parliamo di sviluppo, l’Unione europea è il maggior donatore di aiuti del mondo. L’Irlanda, il mio paese, è il sesto maggior donatore pro capite di aiuti del mondo. Tuttavia, non si dovrebbe trattare di offrire aiuti per ottenere qualcosa in cambio, ma di concedere alle persone la libertà di essere indipendente, di commerciare senza difficoltà, di creare infrastrutture in materia di istruzione e salute al fine di garantire che non contino o non siano più dipendenti dagli aiuti in futuro.

Esistono problemi relativi al coinvolgimento della Cina poiché questo paese non attribuisce lo stesso valore a governance, assenza di corruzione, apertura e trasparenza dell’Europa. Dovremmo renderci conto dell’influenza che la Cina possiede in questo mondo in via di sviluppo. Signora Presidente, la ringrazio per avermi concesso la parola.

 
  
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  Marie-Hélène Aubert, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signora Presidente, malgrado le intenzioni espresse, non possiamo affermare che siano stati veramente introdotti nuovi elementi nelle discussioni avvenute negli ultimi mesi in merito al partenariato tra l’Unione europea e l’Africa. Naturalmente pace e Stato di diritto devono essere priorità assolute; ora l’UE riveste un ruolo crescente a questo proposito e ciò è alquanto positivo. Dobbiamo inoltre garantire che il sostegno fornito per l’organizzazione delle elezioni, ad esempio, sia soggetto ad attenzione e controllo effettivi in modo che le comunità interessate percepiscano i vantaggi pratici che la democrazia è in grado di fornire alle loro vite quotidiane.

Per quanto riguarda le altre misure, vorrei dire che nel complesso le proposte dell’Unione europea sono abbastanza tipiche, promuovendo buon governo e libero scambio, valorizzando lo sviluppo economico e la fornitura di assistenza sanitaria. Tuttavia, se esistono questioni scottanti da risolvere, tali strategie UE-Africa, a nostro parere, non riescono a trattare due problemi fondamentali. Primo, la sicurezza alimentare, da considerarsi nel quadro dei prezzi in rialzo per i generi alimentari di base, in particolare i cereali, e l’aumento dei biocarburanti, insieme alla necessità di proteggere e sviluppare l’agricoltura, benché il prossimo Fondo europeo dello sviluppo, come la maggior parte dei governi africani, abbia assegnato a questo scopo solo una piccola percentuale del proprio bilancio. Anche la Banca mondiale ha di recente sottolineato che fosse necessario ripensare questo settore, e sta intervenendo. La questione dell’approvvigionamento alimentare ora è diventata assolutamente cruciale, come il futuro dei piccoli agricoltori che sono troppo spesso trascurati dalle politiche in materia di aiuti allo sviluppo.

Il secondo aspetto fondamentale è che l’Africa, com’è noto, è un’immensa riserva di risorse naturali di cui gli africani, purtroppo, non sono in grado di approfittare, anche se il prezzo di tali beni è salito in modo spropositato. Tutte le principali potenze economiche, insieme alle nazioni emergenti come la Cina, si stanno affrettando per ottenere tali risorse che stanno diventando sempre più rare. La recente corsa all’oro, questa brama di materiali, sta ora avendo ripercussioni sociali e ambientali estremamente brutali e continuando ad alimentare guerre e corruzione.

Alla luce di tutto ciò, l’Unione europea si sta esprimendo in toni teorici, persino angelici, mentre è sempre impegnata nello sfruttamento delle risorse naturali africane. Allora come razionalizzare, gestire e condividere l’accesso a tali riserve in modo che le comunità interessate ne traggano veramente profitto senza assistere alla devastazione del loro ambiente? Si tratta di una domanda importante, che la strategia UE-Africa ha bisogno di considerare più seriamente, poiché ci sarà posta in ogni caso, considerata la velocità degli eventi in questo settore.

 
  
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  Luisa Morgantini, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, grazie a Martens, soprattutto per il modo in cui abbiamo lavorato insieme nella commissione, per l’attenzione e anche le contraddizioni che sono emerse, le differenze tra di noi, ma credo che il risultato, a parte alcuni punti, è un risultato molto importante.

Dalla dichiarazione del 2000 del Cairo, le relazioni tra UE e Africa hanno percorso in realtà una lunga strada. Molte cose sono cambiate in Africa, in un continente pieno di diversità e attraversato da guerre, si è fatta strada con la formazione dell’Unione africana, la politica dell’unità nella diversità.

Il Parlamento panafricano ha adottato il motto “un’Africa, una voce”, i movimenti sociali in Africa sono vivi e chiedono le cose di cui Öger parlava adesso; sono vivi e si riuniscono in reti e la loro visibilità è stata molto chiara al Forum sociale di Nairobi ed è davvero cresciuta non la concezione di una politica europea per l’Africa, ma una politica africana ed europea concertata in partnership.

Gli incontri fra il parlamento africano e il Parlamento europeo, la presenza al summit di Lisbona mettono in pratica ciò che noi abbiamo nel documento detto che mancasse e cioè il ruolo del Parlamento. Lo pratichiamo, non soltanto lo rivendichiamo, e credo che sia estremamente importante anche l’aiuto e il contributo che Louis Michel ha dato a questo, e ovviamente anche alla Presidenza portoghese, ma le contraddizioni che noi abbiamo sono evidenti.

I pilastri della strategia sono importanti, ma dobbiamo farli camminare con politiche di coerenza e parlo della vendita delle armi, del commercio, quindi andiamo avanti su questa strada ben sapendo però che la strada è piena di contraddizioni.

 
  
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  Kathy Sinnott, a nome del gruppo IND/DEM. (EN) Signora Presidente, l’istruzione rappresenta il ponte dalla miseria alla speranza. Si tratta di uno strumento per la vita quotidiana nella società moderna, il baluardo contro la povertà e il fondamento dello sviluppo. Così Kofi Annan ha descritto la strategia negli obiettivi del Millennio, che sono simili a quelli della strategia europea dello sviluppo per l’Africa, che colloca l’istruzione accanto al commercio come fattori essenziali per lo sviluppo del continente.

Ciononostante, l’UE è decisa a unirsi a nazioni ricche come gli USA, l’Australia, il Canada e la Nuova Zelanda per esportare in maniera sistematica le persone qualificate ed istruite da Africa e Asia.

Il Commissario Frattini lo scorso mese ha annunciato che, per garantire che l’Europa ottenga “i migranti di cui necessita la sua economia”, nei prossimi 20 anni l’UE importerà 20 milioni di lavoratori qualificati da questi continenti mediante il sistema della carta blu, simile a alla carta verde americana. Anche se la regolare fornitura di lavoratori qualificati per colmare le lacune lasciate dalla nostra forza lavoro in fase di invecchiamento apporterà benefici, questo tipo di fuga di cervelli avrà effetti devastanti sui paesi poveri e sottosviluppati dell’Africa.

L’Europa è anche impegnata in pratiche di smembramento delle attività tra i poveri dell’Africa. I bambini sono il futuro dei nostri paesi, eppure i fondi europei dello sviluppo sono ripetutamente collegati a programmi di controllo della popolazione destinati a eliminare i futuri africani.

Il Libro verde dell’UE relativo alla demografia stabilisce chiaramente che, senza crescita della popolazione, non si verificherà sviluppo economico. Ora l’Africa è l’unico continente del mondo con un tasso di natalità superiore al ricambio. Se manteniamo i nostri obiettivi del Millennio e le nostre promesse, in questo secolo l’Africa emergerà come leader mondiale.

 
  
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  Koenraad Dillen, a nome del gruppo ITS. – (NL) Signora Presidente, nessuno può negare che questa relazione descriva nel dettaglio i numerosi problemi del continente africano, e le diverse sfide per il partenariato tra l’Unione europea e l’Africa. Tuttavia, anche se nutriamo la massima fiducia nelle competenze della relatrice nel settore della politica dello sviluppo, ritengo ancora che questo documento non riesca a prestare sufficiente attenzione alla causa fondamentale dei problemi dell’Africa e non fornisce risposte a sfide basilari.

E’ possibile che non sia politicamente corretto fare questa affermazione, ma si tratta della realtà. Al contrario di ciò che sostiene la relazione, l’Africa e l’Unione europea attualmente non condividono lo stesso modo di pensare in merito a maggiore democrazia, al buon governo e ai diritti umani. La causa principale della povertà, della fame, della mancanza di sicurezza e dei problemi socioeconomici che affliggono il continente, e che giustamente sono elencati nella relazione, di fatto è rappresentata dai regimi scellerati e corrotti che non compiono alcuno sforzo per rispettare buon governo, democrazia e diritti umani.

Nessuno, ad esempio, discute più del fatto che Robert Mugabe sia un criminale che ha messo il suo paese in ginocchio e che terrorizza i suoi abitanti. Tuttavia, che cosa dicono i paesi in via di sviluppo dell’Africa meridionale? Che le elezioni sono state condotte in maniera adeguata e che i paesi occidentali dovrebbero occuparsi dei loro affari. Dubito davvero delle promesse fatte da questi stessi leader in merito al buon governo.

Tale relazione guarda giustamente a pace e sicurezza. In Africa, con i suoi innumerevoli regimi antidemocratici, la spesa per armi, secondo Oxfam, supera sempre di gran lunga la grande somma degli aiuti allo sviluppo assegnata a questi paesi. Tutti questi problemi, quindi, si riconducono alla stessa causa.

Infine, devo dire che non concordo con la parte relativa all’immigrazione, poiché chiunque pensi che il concetto di migrazione circolare possa interrompere la fuga di cervelli dall’Africa e la pressione di questo fenomeno sull’Europa, temo stia deludendo se stesso a questo proposito.

 
  
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  Michael Gahler (PPE-DE) . – (DE) Signora Presidente, desidero ringraziare la nostra relatrice per la sua relazione solida ed esaustiva. In quest’Aula esiste un ampio consenso sui principi generali in merito. Il Vertice UE-Africa di dicembre a Lisbona non può giungere prima. Accolgo con favore il fatto che concorderemo una strategia congiunta.

La posizione del Parlamento europeo sul caso particolare del Presidente Mugabe è nota da anni. Tuttavia, questo signore non deve diventare uno scoglio da superare per un nuovo capitolo delle relazioni Europa-Africa. Ritengo ci siano abbastanza capi di governo europei con un messaggio chiaro e inequivocabile per questo signore. Perciò, occorre che sia presente e sopporti il messaggio che sarà trasmesso.

In quanto presidente della delegazione per le relazioni con il Parlamento panafricano, posso esprimere alcune richieste parlamentari specifiche per la futura cooperazione che abbiamo concordato la scorsa settimana a Midrand. I parlamenti africani tendevano a essere istituzioni trascurate. Sulla carta dispongono di un importante ruolo costituzionale, ma i loro governi e, in effetti, i donatori hanno la tendenza a non considerarli molto seriamente. Eppure, con risorse appropriate e dopo un’efficace e completa realizzazione delle capacità per i membri e il personale delle amministrazioni, delle commissioni e dei gruppi parlamentari, questi parlamenti hanno la possibilità di esercitare il loro reale ruolo di effettuare un adeguato controllo politico dell’esecutivo. L’irresistibile interesse di questo scenario è costituito dal fatto che avremmo pertanto esaminato con attenzione organismi a livello locale con legittimità democratica, e quando sorgono problemi, si accetteranno più probabilmente le loro critiche di quelle di donatori stranieri.

Invito quindi la Commissione a integrare la realizzazione delle capacità parlamentari in maniera mirata nei suoi programmi per i paesi, in modo che, nell’arco di pochi anni, potremo naturalmente osservare che le politiche africane sono diventate più sensibili, in pratica, alle esigenze dell’opinione pubblica, anche grazie al coinvolgimento dei parlamenti nazionali.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE) . – Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo con il lavoro della collega Martens e con la volontà politica dell’UE e dell’Unione africana di costruire una strategia comune sui molteplici temi che interessano entrambe le comunità: dalla sicurezza all’ambiente, dall’emigrazione allo sviluppo e alla promozione dei diritti umani e della democrazia.

Perché questa strategia sia realmente efficace è importante che l’UE costruisca fin da subito questo partenariato, coinvolgendo realmente la società civile ed i parlamenti locali, e promuova azioni incisive e concrete per la difesa dei diritti umani e della libertà di espressione e di associazione e del principio di democrazia, perché lo sviluppo economico e sociale del continente africano possa essere davvero sostenibile e coinvolgere tutti gli strati della società africana.

Mi associo inoltre ad altri colleghi nel chiedere all’UE il massimo impegno nella realizzazione degli Obiettivi del millennio, nella lotta all’AIDS che sta decimando la popolazione attiva e nella formulazione di politiche europee realmente coerenti con lo spirito di cooperazione allo sviluppo, soprattutto nell’ambito del commercio internazionale.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE) . – (LT) Desidero congratularmi con l’onorevole Martens per la sua relazione sullo stato attuale delle relazioni UE-Africa e per le misure proposte volte a migliorare queste relazioni.

E’ vergognoso che l’Africa sia ancora il continente più povero del mondo. Nonostante gli aiuti internazionali concessi dall’UE e altri paesi, il livello di povertà non è stato ridotto, di fatto è aumentato. Occorre tuttora realizzare gli obiettivi del Millennio.

E’ ciò che sta avvenendo in Africa, il più ricco continente del mondo di risorse naturali. La ragione principale di tale condizione è che le materie prime sono esportate a prezzi minimi, mentre i costi elevati sono riservati ai prodotti finiti. La situazione potrebbe essere modificata mediante lo sviluppo dell’industria della lavorazione, piccole e medie imprese, l’introduzione di nuovi posti di lavoro e l’incoraggiamento della cooperazione regionale.

Non c’è dubbio che, come evidenziato nella relazione e costantemente da parte del Parlamento europeo, l’istruzione rimane uno dei fattori fondamentali nello sviluppo di un’economia africana indipendente.

Per quanto riguarda il futuro dell’Africa, vorrei menzionare i conflitti militari che continuano ad affliggere per anni di seguito alcune aree, come il Sudan. Da un lato, tale situazione implica insicurezza per gli investitori locali e stranieri. Dall’altro, alcuni paesi approfittano dei conflitti allo scopo di incrementare la produzione di materie prime a condizioni vantaggiose.

L’UE e la comunità internazionale dovrebbero impegnarsi maggiormente per risolvere i conflitti militari in Africa. Ciò stimolerebbe l’efficienza dell’attuazione del programma di cooperazione allo sviluppo.

 
  
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  Helmuth Markov (GUE/NGL) . – (DE) Signora Presidente, un elemento molto importante nella politica africana dello sviluppo è il commercio, e quest’ultimo, se impiegato in maniera adeguata, può ovviamente contribuire a ridurre la povertà e a migliorare l’assistenza sanitaria in Africa. Può favorire l’istruzione e l’eliminazione dell’analfabetismo. Tuttavia, non è in grado di agire nel modo previsto dalla Commissione.

Sono molto lieto che, sia grazie al fatto che è prevalso il buon senso, sia per l’intensa pressione esercitata dai paesi africani, da lunedì scorso la Commissione abbia assunto un approccio differente agli accordi di partenariato economico (APE). Di conseguenza, non esistono più richieste assurde di reciprocità nella liberalizzazione del mercato, né l’insistenza sull’inclusione delle questioni di Singapore. Ora è presente un accordo per affrontare i singoli argomenti in modo che ora i colloqui s’incentrino esclusivamente sui beni, mentre le altre questioni saranno trattate in seguito.

Qualora dovessimo proseguire il medesimo approccio con il ciclo di negoziati di Doha, allora forse potremmo ottenere alcuni successi anche in quest’ambito, poiché è il motivo per cui finora è ripetutamente fallito. E’ la ragione per cui l’OMC e il ciclo di negoziati di Doha non hanno avuto esito positivo, dal momento che la Commissione insiste sempre a inviare lo stesso messaggio, dicendo “occorre comprendere che vogliamo solo il meglio per voi, e se non lo capite, non raggiungeremo un accordo”.

Per fortuna, se consideriamo la relazione di questo Parlamento, che in questo caso si è dimostrato più abile della Commissione, che è stata elaborata dal mio collega, l’onorevole Sturdy, nel 2006, è evidente che il Commissario Mandelson avrebbe potuto riconoscere molto le esigenze a cui ora deve piegarsi, e probabilmente non saremmo giunti a questo punto.

Lei stesso è comparso di fronte a noi in sede di commissione e le abbiamo chiesto in merito in modo piuttosto specifico. Qual è stata la sua risposta? Ha affermato che il Commissario Mandelson sta svolgendo un ottimo lavoro! Francamente, anche il Consiglio ha la sua responsabilità al proposito, considerato che dovrà appoggiare l’accordo di partenariato al termine del processo. Potrebbe partecipare ai negoziati una volta ogni tanto, anziché ribadire semplicemente, “lasceremo che il Commissario proceda finché, alla fine, non giungerà a un risultato”. No, lei ha una responsabilità e, mio parere, quando si tratta di APE, non l’ha soddisfatta, almeno a giudicare dalle sue dichiarazioni alla nostra commissione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LUISA MORGANTINI
Vicepresidente

 
  
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  Robert Sturdy (PPE-DE) . (EN) Signora Presidente, sono piuttosto sorpreso di trovarmi sinceramente d’accordo con un collega dell’altra ala del Parlamento.

Mi congratulo con l’onorevole Martens per la sua relazione. In quest’Aula sono state spese numerose belle parole questo pomeriggio, ma hanno trascurato l’Africa. E’ accaduto nel passato e, come la relatrice in merito agli APE, mi auguro che questa Unione europea non lo faccia di nuovo.

Ieri, la Commissione ha pubblicato una comunicazione relativa agli APE, che finalmente ha ammesso l’impossibilità di portare a termine i negoziati entro la fine del 2007, come era stato progettato e riferito in precedenza nella mia relazione. Ma la Commissione continua a insistere che i paesi di Africa, Caraibi e Pacifico debbano impegnarsi a sottoscrivere appieno gli APE nel 2008 e che alcuni paesi della regione dovrebbero aderire agli APE, mentre altri no. E’ assolutamente ridicolo!

In questi colloqui ci sono troppi elementi poco chiari e incerti, con così poco tempo rimasto. La comunicazione è deliberatamente vaga e, comprendendo cosa rappresenta, mi preoccupa: non firmerei mai un accordo relativo a qualcosa che non capisco, eppure stiamo proprio chiedendo all’Africa di farlo.

Inoltre, queste nuove proposte di realizzare accordi subregionali all’interno delle regioni con i paesi africani che hanno intenzione di firmare, creerebbe una confusione di diversi accordi nei paesi confinanti.

L’idea che altri paesi e le regioni ACP debbano aderire in seguito comporterebbe la firma a un accordo che non hanno negoziato. In che modo si tratta di buona idea? Gli APE non dovrebbero implicare un’integrazione regionale?

Pertanto chi si sta concentrando su attuazione, sistemi di controllo e valutazioni d’impatto mentre le parti negoziali lottano per trovare un accordo su questi piccoli pacchetti? I paesi ACP non dovrebbero decidere tra accordi commerciali che potrebbero danneggiare i loro mercati locali/regionali o barriere che paralizzano i loro mercati d’esportazione. C’è ancora una scelta da compiere, ed espedienti politici dell’ultimo minuto da parte della Commissione non fanno nulla per ripristinare la fiducia in coloro che l’avevano persa.

 
  
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  Josep Borrell Fontelles (PSE) . (ES) Signora Presidente, signori Commissari, signor Ministro, questa discussione dovrebbe farci avanzare lungo il percorso verso Lisbona e il vertice, e dobbiamo ringraziare la Presidenza portoghese per aver concentrato la sua attenzione sulle relazioni tra Europa e Africa. Speriamo aiuti gli europei a comprendere, finalmente, che il loro destino è inestricabilmente connesso a quello dell’Africa, di riuscire a capire che lo sviluppo dell’Africa è una condizione per la nostra prosperità e che non saremo in grado di controllare i flussi migratori o disporre di un approvvigionamento energetico sicuro senza un solido partenariato con l’Africa.

Dobbiamo precisare che non si tratta di aiutare i poveri, me è nel nostro interesse. Dobbiamo anche rendere chiaro che talvolta gli africani ascoltano le nostre dichiarazioni con scarsa fiducia e le considerano retoriche poiché non abbiamo ancora superato il passato coloniale al fine di stabilire questo solido partenariato tra pari che tutti desideriamo, che annunciamo, ma che è tuttora lontano dalla realtà.

Il compito di modernizzare l’Africa è arduo. Gli africani hanno una grande responsabilità a questo proposito, ma lo stesso vale per noi. Senza di noi, il nostro aiuto e la nostra cooperazione, non usciranno dalla situazione descritta dalla relazione Martens, dal momento che non hanno bisogno solo di commercio, ma anche di sostegno e di relazioni che permettano loro di lasciarsi alle spalle il passato, per cui, chiaramente, siamo in parte responsabili.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE) . (SV) La ringrazio signora Presidente. In dicembre, dopo diversi anni, si svolgerà il primo vertice tra l’Unione africana e l’UE. Si tratta di un incontro importante per l’UE, che ha la grande responsabilità di sostenere lo sviluppo economico e democratico in Africa. La Presidenza portoghese merita un riconoscimento per tale iniziativa. L’UE deve diventare più attiva sul continente africano.

La cosa che mi preoccupa, a differenza di Brian Crowley, è che il dittatore dello Zimbabwe Robert Mugabe probabilmente parteciperà al vertice. Mugabe non è degno di sedere allo stesso tavolo negoziale dell’Unione europea. Il malgoverno e la corruzione di Mugabe stanno paralizzando l’intero paese. L’opposizione politica è perseguitata e rinchiusa in prigione, la libertà di parola non esiste, in un paese che una volta era considerato il granaio dell’Africa c’è carenza di cibo, e centinaia di migliaia di persone non possiede una casa. L’economia sta cadendo a pezzi, il tasso d’inflazione supera il 7 000 per cento, l’età media è la più bassa del mondo e il 25 per cento della popolazione è affetta da HIV. Signora Presidente, signor Commissario, Manuel Lobo Antunes, un metodo per dimostrare la nostra indignazione per la dittatura di Mugabe è che l’UE non accetti la sua presenza al vertice. Si deve porre fine al suo terribile dominio. Onorevoli deputati, le dittature necessitano di parole chiare. Grazie.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE) . (FI) Signora Presidente, signor Commissario, desidero ringraziare la relatrice, l’onorevole Martens, per questo importante documento. Da un lato, è una precisa indicazione per la Commissione che la dimensione parlamentare stavolta deve rivestire un ruolo nell’elaborazione della strategia comune UE-Africa. Il fatto che la Commissione abbia ignorato non solo la sua controparte, ma anche il Parlamento, mentre preparava la strategia europea per l’Africa nel 2005, purtroppo ha rappresentato un approccio comune per la Commissione. Dall’altro, la relazione, a suo favore, solleva alcune rilevanti questioni di contenuto che necessitano di una risposta, e il tipo di strategia da adottare.

Primo, la storia dimostra con evidenza che i diritti umani universali richiedono una tutela universale se occorre realizzarli. Per questa ragione, è essenziale che le priorità per la pace e la sicurezza nella strategia europea per l’Africa includano una visione che riconosca il concetto di responsabilità di proteggerli, e promuoverla. Abbiamo tale responsabilità, e anche quest’aspetto deve essere argomento di discussione nell’UE.

Secondo, come lodevolmente sottolinea la relazione, i cambiamenti climatici devono essere una delle massime priorità della strategia. L’acqua, la sua qualità e quantità sufficiente, insieme all’energia, diventerà un grave problema politico, e quindi l’Africa sarà la sua prima vera vittima. Ciononostante vorrei ricordare a tutti che i principali problemi ambientali dell’Africa attualmente sono rappresentati dall’erosione e dal pascolo intensivo. Ovviamente i cambiamenti climatici peggiorano la situazione. Inoltre, per l’UE l’Africa è un partner naturale nei contesti internazionali nella lotto contro i cambiamenti climatici.

Terzo, vorrei sottolineare l’importanza delle piccole imprese e dell’imprenditorialità locale come condizione di sviluppo economico sostenibile ed effettivo in Africa. Dovremmo garantire che l’azione intrapresa lo sostenga. Solo la stessa popolazione locale può far sì che l’Africa cammini sulle proprie gambe.

 
  
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  Ana Maria Gomes (PSE) . – (PT) Devo congratularmi con l’onorevole Martens per questa importante relazione in un periodo in cui l’UE sta ridefinendo le sue relazioni con l’Africa, in gran parte a causa della comparsa della Cina in quanto attore sul continente. Tuttavia, le relazioni UE-Africa possono procedere soltanto se il duplice approccio di sviluppo e sicurezza è coerente, in particolare per quanto riguarda diritti umani, democrazia e buon governo.

Considerata l’importanza della strategia comune e del piano d’azione ad essa associato da adottare nel corso del Vertice UE-Africa, vorrei chiedere alla Presidenza portoghese di informare debitamente il Parlamento europeo dei progressi compiuti nella negoziazione di tali documenti e del loro contenuto. Ciò sarà utile per garantire che le misure stabilite nella strategia comune, e nel successivo piano d’azione, diventino una realtà, con il sostegno del Parlamento europeo e sotto il controllo dei diversi strumenti finanziari applicabili.

In quest’Aula, speriamo che la strategia comune e il piano d’azione riflettano gli impegni presi dall’Unione europea, concedendo dovuta priorità alla lotta contro la povertà e agli obiettivi di sviluppo del Millennio, in particolare all’accesso all’assistenza sanitaria di base e all’istruzione. Vogliamo che siano aggiunte misure comuni sul controllo del traffico di armi leggere e di piccolo calibro, che sono le vere armi di distruzione di massa in Africa, nonché provvedimenti per la promozione dell’indipendenza della donna e delle società civili in cui risiede la forza per il cambiamento, la pace e lo sviluppo di cui l’Africa ha disperatamente bisogno.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE) . – (CS) L’Europa è solita avere una cattiva coscienza in merito all’Africa per le sue passate politiche coloniali. Oggi stiamo cercando di aiutare i paesi in via di sviluppo a entrare nel mondo globalizzato. Ragione per cui i riflettori, i relazione a questi paesi, si sono spostati sulle sfide globali. Oltre a malattie, fame e carenze di acqua potabile, tali questioni includono anche sicurezza, commercio, migrazioni, fuga di cervelli e cambiamenti climatici.

Accanto alla carità, il nostro compito è sorvegliare il processo decisionale responsabile basato su principi democratici da parte delle istituzioni africane. In quest’ottica, considero azzardata la strategia per lo sviluppo del Commissario Mandelson poiché s’incentra esclusivamente sulle relazioni commerciali nel Pacifico.

Onorevoli colleghi, dobbiamo insistere sul fatto che la Commissione incrementi la realizzazione delle capacità nell’ambito dell’agenda in materia di diritti umani. Senza di essa, la democrazia in Africa o in qualsiasi altro posto nel mondo non ha nessuna possibilità. La cosa che mi preoccupa è quanto l’ex ideologia comunista dei blocchi sia profondamente radicata in Africa. E’ altresì allarmante la crescente influenza del modello totalitario cinese di mercato, che insidia le materie prime africane e sottrae lavoro agli africani.

Vorrei congratularmi con la relatrice, l’onorevole Martens, per la definizione completa ed equilibrata della nuova strategia come stabilita nella sua eccellente relazione. Tuttavia, dobbiamo considerare anche il suo quadro finanziario e imparare a consultare i risultati degli indicatori appropriati.

Mi sembra inoltre che la Commissione non divulghi a sufficienza ai cittadini europei l’importanza della collaborazione dell’UE con il suo vicino più prossimo dell’Africa. Spero che il vertice di dicembre a Lisbona adotterà, anche in base a tale documento, una nuova visione delle relazioni radicata nell’agenda in materia di diritti umani.

Vorrei concludere affermando che il vertice sarà fondamentale per una svolta nelle relazioni UE-Africa, quindi non approvo il fatto che la Repubblica ceca e il Regno Unito abbiano intenzione di bloccare questo vertice panafricano a causa della partecipazione del dittatore dello Zimbabwe. Detto ciò, la sua presenza dovrebbe essere categoricamente messa in discussione e condannata.

 
  
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  Thijs Berman (PSE) . – (NL) Signora Presidente, le relazioni tra l’Unione europea e i paesi africani sono diventate inaccettabilmente forzate a causa dei negoziati con i paesi ACP (di Africa, Caraibi e Pacifico) in merito agli accordi di partenariato economico. Qualora tali negoziati avessero esito negativo, allora dal 1° gennaio Cotonou finirà in un buco nero per numerosi paesi poiché i nostri rapporti commerciali diventeranno quindi il sistema meno favorevole delle preferenze generalizzate.

Tuttavia, sarebbe una disgrazia se i paesi poveri fossero penalizzati in questo modo, visto che, in questo momento, percepiscono che l’UE e i paesi ACP non sono partner uguali. Dobbiamo offrire ai paesi poveri il diritto di proteggere i loro mercati in settori che sono deboli e che crollerebbero nei continui scossoni del libero scambio. Questi negoziati sono nettamente contrari ai buoni principi e agli obiettivi della relazione di Maria Martens, e condivido tali obiettivi.

Noi, in quanto socialisti, volevamo aggiungere che non si consentisse alle politiche dell’UE in materia di commercio e agricoltura di intralciare la politica dello sviluppo. Occorre coerenza, e non c’è bisogno di dire che la politica dovrebbe ancora essere finalizzata all’emancipazione e ai diritti delle donne. Spetta alla Commissione sviluppare quest’aspetto in una politica concreta. In seguito, la Commissione esaminerà accuratamente la cooperazione allo sviluppo.

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE) . – (PL) Nonostante i diversi miliardi di euro stanziati per l’Africa, la povertà in questo continente sta peggiorando, come indica la valida relazione preparata dall’onorevole Martens. Non ho consultato il Ministro Antunes, il rappresentante della Presidenza portoghese, o con l’onorevole Van Hecke, ma desidero evidenziare che la cooperazione con le entità africane locali è una condizione sine qua non affinché gli aiuti finanziari siano efficaci.

L’economia ha bisogno di assistenza relativa all’introduzione di tecnologie, al risveglio dello spirito d’imprenditorialità, incoraggiando l’impegno dei cittadini e sostenendo l’iniziativa individuale. I missionari, ad esempio, si adoperano per tali attività anche se non dispongono di fondi, laddove l’Unione non è coinvolta malgrado possa contare su considerevoli risorse finanziarie. Una delle sfide principali è l’istruzione, vale a dire un investimento in capitale umano, che conduce a grandi vantaggi. Anche l’Africa, tuttavia, ha preso alcuni impegni. Questi includono arrestare l’importazione di armi e introdurre certe disposizioni giuridiche, in particolare per quanto riguarda il diritto di proprietà, elemento essenziale per lo sviluppo dell’economia. Vorrei concludere affermando che il ruolo dei governi deve essere inteso a servire le persone, e non a trarre vantaggio dai nostri aiuti come simboleggiato dalle automobili di lusso utilizzate dai rappresentanti delle autorità africane.

 
  
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  Marie-Arlette Carlotti (PSE) . – (FR) Signora Presidente, l’Africa odierna ha due facce: la prima è di estrema povertà e di tragedia umana, come nel caso di Darfur e Somalia, e quindi c’è l’altra faccia, troppo spesso ignorata, di un continente che malgrado tutto compie innovazioni, che sta diventando più democratico, anche se troppo lentamente, e che poco per volta sta ritornando sulla strada della crescita.

La nuova strategia UE-Africa ha pertanto bisogno di tenere conto di questa duplice realtà e sostenere questo processo ancora fragile tramite un autentico partenariato politico: un partenariato fondato sull’unità, poiché è l’Africa nella sua interezza, mediante la voce dell’Unione africana, a dover essere il nostro principale punto di contatto; sulla parità con un’agenda elaborata insieme e non imposta dal nord, e sull’umiltà, visto che l’Europa non l’unico e solo partner dell’Africa. L’UE deve inoltre sostenere il processo impiegando gli obiettivi di sviluppo del Millennio come una tabella di marcia, mantenendo le sue promesse e soddisfacendo gli impegni finanziari presi dall’UE e dagli Stati membri e, infine, riconoscendo il ruolo svolto dai parlamenti africani. La relazione Martens di fatto è il messaggio che oggi inviamo alla Commissione e al Consiglio, e a dicembre saremo a Lisbona per controllare se è stato veramente trasmesso.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE) . – (PT) Signora Presidente, come stabilito nella relazione dell’onorevole Martens con cui concordo in larga misura, il fatto che l’attuale strategia europea per l’Africa non sia stata decisa in partenariato con i popoli africani è un ovvio limite al suo potenziale. Si è trattato di un errore che deve e sarà corretto nella prossima strategia dell’UE che deve potenziare il ruolo dell’Unione africana ed essere basata su concetti di partenariato e uguaglianza. Le questioni fonte di preoccupazione che bisogna includere sono la pace, il problema dei profughi e la lotta contro gravi malattie quali AIDS e malaria.

Lo sviluppo deve essere il nostro traguardo e il commercio una delle sue armi. A questo scopo, occorre sostenere le piccole e medie imprese e promuovere un commercio internazionale equo. Tuttavia, avremo successo in questa strategia solo se saremo in grado di rafforzare la democrazia e i diritti umani nel continente.

Nel riformulare e rinnovare la strategia europea per l’Africa, si deve tenere conto delle nuove circostanze locali e globali. Il fatto che oggi stiamo comunicando con un’Unione africana è un aspetto significativo in sé. Dall’altro lato, l’aumento generalizzato del consumo di petrolio e di cibo implica una necessità di accrescere la capacità globale di produzione e, a questo proposito, l’Africa è un continente ricco di petrolio e gas, ma anche di un enorme potenziale agricolo di cui servirsi.

Infine, c’è la questione del vertice. Non è necessario svolgere un vertice per determinare una strategia a favore dell’Africa. Tuttavia, siccome la Presidenza portoghese ha scelto questa strada, sarebbe sbagliato non continuare fino alla fine, altrimenti perderemmo un’opportunità di avere un impatto positivo sugli africani. I colloqui non possono incentrarsi esclusivamente sulla cancellazione del debito, dal momento che una maggiore ricchezza nel mondo può e deve essere, signora Presidente, una possibilità per una maggiore ricchezza in Africa. Questa ricchezza deve beneficiare i suoi abitanti e non solo l’élite.

Una cooperazione internazionale non può seguitare a costituire un problema per l’Africa, come ha affermato qualcuno. Perciò, dobbiamo migliorare quest’aspetto in modo da garantire istruzione, promozione della salute, democratizzazione e sviluppo.

 
  
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  Luis Yañez-Barnuevo García (PSE) . – (ES) Signora Presidente, desidero congratularmi con la relatrice e affermare che concordo con il Commissario Michel per quanto riguarda la creazione di un nuovo tipo di partenariato e di relazioni tra Europa e Africa. Vorrei congratularmi anche con il Ministro Lobo Antunes per l’organizzazione di un vertice Europa-Africa da parte della Presidenza portoghese.

Tuttavia, se si costruisce questo nuovo tipo di relazione, gli aiuti ufficiali allo sviluppo continuano a essere, e rimarranno per alcuni anni, uno strumento molto utile nelle relazioni dell’Europa con l’Africa, e non solo dell’Europa nel suo complesso, ma anche degli Stati membri.

Dovremmo promuovere una sana concorrenza tra i paesi membri in termini di miglioramento di quantità e qualità di aiuti allo sviluppo. Il mio paese, la Spagna, ha triplicato i suoi aiuti in questo mandato parlamentare e in confronto al governo precedente ha aumentato il suo contributo da 200 milioni di euro nel 2004 ai previsti 850 milioni di euro nel 2008. Ora la Spagna è il secondo maggior donatore di aiuti allo sviluppo nel mondo ed è inoltre il paese nel Comitato di assistenza allo sviluppo il cui contributo è aumentato maggiormente in questo periodo.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signora Presidente, onorevoli deputati, devo innanzi tutto ringraziarvi per i vostri commenti, suggerimenti e anche per le critiche delle proposte della Presidenza nei suoi progetti per le relazioni UE-Africa. Naturalmente ho preso nota di tutti questi suggerimenti, osservazioni e critiche.

Vorrei precisare che ciò che proponiamo in termini di una nuova relazione con l’Africa ha due aspetti che vorrei definire innovativi, o almeno ci auguriamo che lo siano o dimostrino di esserlo. Primo, prevediamo di stabilire un efficace partenariato con i nostri partner africani; anche questo partenariato deve dimostrare di essere efficace dal punto di vista della proprietà.

Come ho già menzionato, la strategia che stiamo sviluppando per l’Africa non è unilaterale ma comune, in altre parole una strategia elaborata, analizzata e discussa insieme cosicché ciò che risulta ed è proposto è davvero quello che i nostri amici africani sperano e si attendono da noi, nonché ciò che anche noi vorremmo ricevere naturalmente, in senso positivo, dai nostri partner africani.

Dall’altro lato, vorremmo inoltre aumentare il numero di attori coinvolti in questa strategia in modo da non coinvolgere soltanto i governi come di consueto. Oltre ai governi, vogliamo rendere partecipi altre istituzioni pubbliche, parlamenti, come ho già menzionato, e anche ampie porzioni della società civile, dei loro rappresentanti e attori. Il secondo aspetto che a mio parere è estremamente importante è l’intenzione di modernizzare l’agenda tra l’Unione europea e l’Africa. Vorremmo che questo fattore reagisse alle nuove sfide globali, che tenesse conto dei profondi cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo e, in particolare, che offrisse naturalmente all’Africa la possibilità di integrarsi pienamente nel nuovo ordine mondiale.

Perciò, discuteremo e rifletteremo con l’Africa a riguardo di tali nuove e moderne questioni relative a energia, cambiamenti climatici, migrazione, mobilità e occupazione, senza dimenticare ovviamente quei problemi che continuano a essere fondamentali nel nostro partenariato tradizionale, quali pace, sicurezza, governo democratico e diritti umani, nonché quelli connessi alla scienza e alla società dell’informazione.

Ritengo che quest’agenda sia esaustiva, ambiziosa e, come ho affermato, del tutto moderna. Dobbiamo modernizzare la nostra agenda con l’Africa siccome deve essere in grado di rispondere in maniera efficace alle necessità correnti. Inoltre, vorrei dire che la Presidenza portoghese e il Portogallo non hanno mai esitato a fare i nomi dei dittatori in Africa o in qualsiasi altra parte del mondo e di conseguenza a denunciarli, e seguiteremo a farlo ove necessario.

Infine, devo anche formulare i miei ringraziamenti per il lavoro svolto insieme alla Commissione nella preparazione del secondo Vertice UE-Africa. Abbiamo ricevuto dalla Commissione e dai Commissari, con una responsabilità specifica in questi settori, in altre parole commercio, azioni esterne e aiuti umanitari, un sostegno molto impegnato e di elevata qualità e siamo certi che tutti stiamo operando verso un obiettivo comune al fine di fare la differenza in Africa e per l’Africa.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione.(FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, desidero iniziare ringraziando il Consiglio per aver risposto in modo così esauriente agli interventi, e aggiungerei che appoggio i punti che sono stati sollevati.

Anch’io condivido molte delle preoccupazioni espresse. La Commissione sta tentando di applicare una maggiore coerenza alle proprie attività d’oltremare e, in effetti, la natura del dialogo tra Europa e Africa dovrebbe gradualmente permetterci di eliminare alcune contraddizioni, comprese quelle evidenziate dall’onorevole Rocard. Inutile dire che talvolta portiamo avanti politiche contraddittorie: basti pensare ai sussidi all’agricoltura. Si tratta di una contraddizione. Purtroppo, in questo caso si deve compiere una scelta tra interessi divergenti ed è proprio questo che talvolta si deve accettare. Probabilmente l’Europa è l’unico attore internazionale che si autocorregge di continuo e prova palesemente, in ogni caso, a procedere nella giusta direzione.

Un secondo punto che è stato sollevato è quello riguardante lo Zimbabwe. Non ho intenzione di ritornare su tale questione. L’onorevole Martens ha risposto meglio di quanto non potessi fare io. Ci stiamo occupando del Vertice UE-Africa, non UE-Zimbabwe. Questo è il fattore numero uno. Il fattore numero due è che sono ben consapevole delle richieste di denunciare il Presidente Mugabe. Anch’io potrei farlo, ma non cambierebbe nulla. La decisione di invitare il Presidente Mugabe non dipende da noi. Mi spiace, ma non possiamo sostituirci ai nostri partner africani. Parlando con l’incarico di Commissario per lo sviluppo e gli aiuti umanitari, con responsabilità speciale dei paesi ACP (di Africa, Caraibi e Pacifico) e delle relazioni politiche e del dialogo con l’Africa, devo informarvi, e mi dispiace doverlo fare, che non abbiamo il diritto di coercizione che ci consente di dire ai nostri partner africani: “Potete invitare tutti tranne lui”. A rischio di essere troppo sfacciato aggiungerei anche: se dobbiamo giudicare le cose con il metro dei dittatori, o piuttosto di chi consideriamo adatto per questo ruolo, incontreremmo problemi più che con il solo Mugabe. E permettetemi di dire ancora una cosa in merito: questa è la realtà.

L’aspetto importante è che si svolgerà il vertice e che durante questo incontro potremo discutere argomenti e sollevare la questione dei diritti umani in Zimbabwe. Questo è ciò che mi pare utile e importante, e non ho paura di affermarlo. Quindi il vertice si deve svolgere. Abbiamo atteso abbastanza. E’ già stato realizzato un Vertice Africa-Cina. Per di più, è in preparazione un Vertice Africa-Giappone a cui parteciperemo, anche se non so esattamente quando.

Inoltre, vorrei aggiungere che abbiamo ottenuto l’appoggio del Sudafrica. Se esiste un paese africano che ha compiuto considerevoli sforzi per cercare di risolvere tale questione nel migliore interesse di tutti è il Sudafrica. Per di più, questo paese molto probabilmente è ora impegnato nell’elaborare, ispirare e lavorare su un importante accordo tra maggioranza e opposizione in Zimbabwe, e quest’iniziativa dovrebbe risultare in elezioni oneste ed eque nel marzo 2008. Questi colloqui sono ancora in corso, ma in ogni caso l’ultima conversazione intercorsa con il Presidente Mbeki mi è sembrato offrisse speranze reali di successo. Pertanto, non critichiamo il Sudafrica, poiché sta facendo ciò che può e nemmeno un cattivo lavoro.

Per quanto riguarda la quota di finanziamenti assegnata all’agricoltura, vorrei semplicemente evidenziare che, tra il nono e il decimo Fondo europeo dello sviluppo, la cifra stanziata per questo settore è aumentata da 663 milioni di euro a 1,1 miliardi di euro. E’ vero che, nonostante l’aumento dei fondi tra il nono e decimo FES, si è verificata una riduzione in termini percentuali assoluti, ma in merito al denaro contante l’incremento attuale non è stato inconsistente. Inoltre, vorrei accennare al fatto che sono soddisfatto di aver sentito annunciare, alcuni giorni fa, dal Presidente della Banca mondiale a Washington, nel corso di una riunione a cui ho partecipato, che si presterà maggiore attenzione allo sviluppo dell’agricoltura, e pertanto condivido appieno le preoccupazioni sollevate poco fa.

Per quanto riguarda il ruolo della società civile e dei parlamenti, nonché del Parlamento panafricano, non posso fare altro che approvare l’approccio assunto nella relazione.

In una parola, e per essere brevi dal momento che il tempo assegnato è molto scarso, vorrei nuovamente riprendere la questione degli accordi di partenariato economico o APE, cosa che avevo promesso di fare. Sarete a conoscenza della mia posizione a riguardo di tali accordi. Sono una condizione essenziale per l’integrazione dell’Africa nella comunità mondiale. Come dimostra l’esperienza con l’Asia, non sono gli aiuti il fattore più decisivo per i progressi, piuttosto lo sviluppo economico e l’integrazione sul mercato globale. Personalmente ritengo che gli APE rappresentino un’opportunità con cui i paesi ACP possono integrarsi gradualmente nella comunità commerciale internazionale, realizzando per prima cosa i loro mercati regionali. Ciononostante, vorrei porre l’accento sul fatto che il 1° gennaio 2008 non preannuncerà l’avvio di un’improvvisa e drammatica liberalizzazione del mercato. Pertanto che cosa comporterà? Di fatto significherà la graduale apertura dei mercati soggetti a periodi variabili di transizione che dipenderanno dai prodotti in questione, con l’aiuto di fondi regionali che forniranno un sostegno finanziario e contribuiranno inoltre ad alleviare il problema della perdita fiscale netta in seguito alla liberalizzazione. Certamente non mancano proposte interessanti che potrebbero essere applicate in questo settore.

Per di più, saremo anche in grado di mobilitare risorse piuttosto considerevoli in un’intera serie di ambiti che potrebbe generare condizioni ottimali con cui tale processo di liberalizzazione che, di fatto, potrebbe essere progressivo, e rendere utile, positiva e produttiva questa graduale apertura dei mercati. Comprendo benissimo i timori che qualcuno ha espresso. Tuttavia, per quanto riguarda la richiesta di rinviare la data di conclusione di questi accordi di partenariato economico, devo informarvi che non riscontro alcun vantaggio. L’OMC non ci concederà un’eccezione per i paesi ACP, anche se potrebbe sembrare possibile, poiché il nostro attuale sistema sta danneggiando altri paesi in via di sviluppo che pretendono di essere trattati allo stesso modo delle ex colonie.

L’unica alternativa è quindi utilizzare il sistema delle preferenze generalizzate. I paesi meno sviluppati disporranno dell’accesso a tutto escluse le armi, ma per i paesi sviluppati, e vorrei soltanto puntualizzare che sono 36, ciò rappresenterebbe una riduzione del loro attuale livello di accesso. Gli APE ci consentiranno di continuare a garantire questo accesso preferenziale ai nostri partner tradizionali ma cosa più importante, contribuiranno a sostenere il processo di integrazione economica regionale. Ritengo che sia questo fattore a promuovere il potenziale reale per il commercio al fine di poter favorire lo sviluppo economico.

Siamo certamente consapevoli del problema che sorgerà per i nostri partner, ammettiamo la loro riluttanza e, bisogna riconoscerlo, comprendiamo le loro legittime paure. E’ proprio per questa ragione che inizialmente abbiamo proposto di concludere accordi stabiliti che in primo luogo risolverebbero il problema del commercio includendo l’apertura del mercato su base reciproca compatibile con le norme dell’OMC. Come ho sempre detto, le offerte di accesso al mercato dei nostri partner ACP si fonderanno ovviamente sul principio di asimmetria. Ricordando che da parte nostra stiamo aprendo completamente i mercati, intendiamo essere il più flessibili possibile e utilizzeremo tutti i margini disponibili per includere le preoccupazioni relative allo sviluppo, in particolare la necessità di proteggere il corpo principale della produzione agricola e le industrie con scarsa esperienza.

Attualmente, stiamo proseguendo il lavoro in merito. La sfida reale è impedire che il 1° gennaio i paesi sviluppati scivolino in una situazione commerciale disastrosa. Chiaramente questi paesi hanno in gioco grandi interessi commerciali. Se entro il 1° gennaio non avremo risolto la questione dell’accesso ai mercati, è ovvio che si ritornerà al sistema di preferenze generalizzate, il che significa che si troveranno agli estremi e quindi saranno in una posizione veramente disastrosa. Dobbiamo pertanto sbrigarci se abbiamo almeno intenzione di concludere accordi temporanei. Questo è ciò che riguarda gli APE.

Infine, vorrei dire che sono pienamente d’accordo con le opinioni che l’onorevole Borrell ha espresso così chiaramente. Il prossimo vertice e la strategia UE-Africa condurranno a un cambiamento fondamentale della natura delle relazioni tra Europe e Africa. Cerchiamo pertanto, e prendo a prestito una sua espressione, di creare un solido partenariato tra le due parti che rispetti entrambe e che preveda responsabilità e diritti reciproci, e lasciamoci alle spalle queste relazioni attuali, non le definirei banali, sono qualcosa di più importante, relazioni superate, arcaiche e controproducenti, questa associazione spesso umiliante di donatore e beneficiario.

 
  
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  Presidente . − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 25.10.2007 alle 11.30.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Il Vertice UE-Africa dovrebbe rappresentare un cambiamento nelle politiche dell’UE in materia di rispetto per la sovranità e il diritto allo sviluppo dei paesi e dei popoli africani, promuovendo un mondo più equo, pacifico e umano con un maggiore livello di solidarietà.

Ciò richiede, ad esempio:

– misure immediate di solidarietà per soddisfare le necessità più basilari di milioni di esseri umani;

- rispetto per la sovranità nazionale e l’indipendenza, non ingerenza negli affari interni di ciascun paese e una soluzione pacifica ai conflitti internazionali;

– demilitarizzazione delle relazioni internazionali e una graduale riduzione degli armamenti e della spesa militare;

– relazioni economiche giuste ed eque, che rifiutano le imposizioni del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale e dell’Organizzazione mondiale del commercio, nonché gli “accordi di partenariato economico” sulla liberalizzazione del commercio;

– cancellazione del debito estero, che è già stato più che risarcito;

– politiche appropriate di cooperazione e sostegno attivo e reciproco allo sviluppo;

– garanzia dei diritti degli immigrati.

Queste relazioni non devono più essere fondate su ambizioni neocolonialiste o visioni paternalistiche finalizzate a riguadagnare il terreno perduto quando i popoli africani hanno ottenuto la loro indipendenza nazionale, dopo essere stati conquistati nella seconda metà del XX secolo, e a favorire l’ingerenza, sulla presenza militare delle grandi potenze europee, e sul controllo e lo sfruttamento delle risorse naturali da parte di transnazionali.

 
  
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  Tokia Saïfi (PPE-DE), per iscritto. – (FR)Se dovessimo evidenziare l’importanza del documento del Parlamento relativo alle relazioni tra l’Unione europea e l’Africa, considerato il prossimo Vertice UE-Africa di dicembre, allora dovremmo soprattutto accogliere con favore il suo approccio realistico.

La relazione chiede un vero partenariato tra l’UE e l’Africa, un partenariato democratico e realistico basato su aiuti efficaci e coordinati, ma anche sul commercio.

Vorrei esprimere in particolare il mio sostegno ai negoziati sugli accordi di partenariato economico (APE) poiché, come sottolinea la relazione, il commercio internazionale deve essere concepito come uno strumento di lavoro per lo sviluppo. La povertà può essere ridotta su base permanente soltanto mediante una crescita economica equa, sostenibile e adeguatamente sorvegliata, una crescita che è il risultato di attività commerciali incentivate dall’accesso ai mercati.

Il libero scambio non è fine a se stesso, deve essere utile alle necessità dei paesi ACP (di Africa, Caraibi e Pacifico); per questa ragione i gruppi di nazioni ACP devono essere coinvolti in modo graduale e asimmetrico, per tenere conto delle caratteristiche locali.

Non possiamo ritenerci soddisfatti semplicemente offrendo aiuti in maniera selettiva, altrimenti non risolveremo i problemi, li rinvieremo solo di continuo.

L’Africa non è soltanto un teatro per aiuti umanitari, ha bisogno di essere un attore nel proprio sviluppo, con l’Unione europea come partner.

 

14. Trattato internazionale per l’interdizione di munizioni a grappolo (discussione)
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  Presidente . − L’ordine del giorno reca la discussione su:

– l’interrogazione orale al Consiglio sul trattato internazionale per l’interdizione di munizioni grappolo, a seguito della dichiarazione di Oslo, di Josep Borrell Fontelles, a nome della commissione per lo sviluppo (O-0048/2007 – B6-0319/2007)

– l’interrogazione orale alla Commissione sul trattato internazionale per l’interdizione di munizioni grappolo, a seguito della dichiarazione di Oslo, di Josep Borrell Fontelles, a nome della commissione per lo sviluppo (O-0052/2007 – B6-0320/2007).

 
  
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  Josep Borrell Fontelles, autore. – (ES) Signora Presidente, signora Commissario, signor Ministro, le richieste di interdizione delle munizioni grappolo si stanno facendo sempre più insistenti. L’uso di queste munizioni nell’estate del 2006 nella guerra del Libano ha mostrato la misura in cui possano causare un disastro umano.

Sono armi che costituiscono un pericolo per i civili e il personale militare, ma in pratica il 90 per cento delle loro vittime sono civili. Inoltre, il 10 per cento di queste bombe letali non esplodono: rimangono nel terreno e hanno lo stesso effetto delle mine terrestri.

Pertanto, bonificare i terreni contaminati da queste munizioni è pericoloso sia per le popolazioni, sia per le forze internazionali di mantenimento della pace. Queste bombe non sono impiegate esclusivamente nelle guerre; agiscono come impedimento a lungo termine per trasporti e agricoltura, e creano barriere al commercio e ostacoli agli aiuti umanitari.

Rappresentano quindi uno dei problemi principali che influenzano lo sviluppo dei paesi poveri: sono i paesi più indigenti a esserne maggiormente colpiti, e in queste regioni le vittime sono soprattutto le parti più povere e meno istruite della popolazione.

Non è più possibile affermare che bombardare un nemico da un’altezza di 10 000 metri e coprirlo di bombe che restano nel terreno sia un metodo efficace per mantenere la pace o intraprendere azioni militari.

Lo sviluppo di forze di mantenimento della pace e gli aiuti umanitari oggi sono essenziali per stabilizzare e ricostruire le zone colpite da conflitti, e ora queste bombe non hanno alcuna giustificazione, anche da una prospettiva militare.

Oggi presenteremo alla Commissione e al Consiglio proprio le iniziative che sono nate in seguito al mutamento generale di atteggiamento nella comunità internazionale verso le munizioni a grappolo.

Il Parlamento europeo ha ripetutamente adottato una posizione chiara: vorremmo vedere un regolamento internazionale di natura globale che vieti l’uso, la produzione, il trasferimento, il finanziamento e l’accumulo di bombe a grappolo. Nell’attesa, gli Stati membri dell’UE dovrebbero attuare azioni unilaterali al fine di proibire l’utilizzo e il trasferimento di queste bombe, come numerosi paesi hanno già fatto e altri sono in procinto di fare.

Signora Commissario, signor Ministro, il Parlamento europeo vorrebbe ringraziare la Presidenza del Consiglio, la Commissione e gli Stati membri per i loro sforzi volti a negoziare un nuovo protocollo alla convenzione delle Nazioni Unite sull’uso di alcune armi convenzionali, che si occupa di tutti i problemi umanitari associati all’utilizzo delle bombe a grappolo. Purtroppo, tuttavia, dobbiamo riconoscere che finora sono stati compiuti scarsi progressi.

Occorre quindi un solido processo di Oslo in base al quale gli Stati, le ONG, la Croce Rossa e le organizzazioni internazionali possano elaborare e rispettare un’agenda ambiziosa. Attualmente, Oslo è stato appoggiato da 80 paesi, inclusi numerosi paesi in via di sviluppo, ma non è ancora chiaro se questo processo risulterà infine in una completa interdizione delle bombe a grappolo.

E’ evidente che occorre un approccio integrato ed esaustivo dotato di inclinazione umanitaria e che si incentri non solo sul disarmo, ma soprattutto sulla protezione dei civili, aiutandoli ad affrontare le conseguenze della guerra, garantendo che le scorte esistenti di queste bombe siano distrutte e che le aree contaminate siano bonificate.

Visti i numerosi importanti eventi futuri, quali l’incontro di Vienna di dicembre e quello di Bruxelles della prossima settimana, nonché quello del 5 novembre, la Giornata mondiale di azione per l’interdizione delle bombe a grappolo, quando nel mondo avvengono molti eventi, noi che cosa facciamo?

In questo contesto, vorrei chiedere ai rappresentanti della Commissione e del Consiglio che cosa hanno intenzione di fare, quale sarà la nostra posizione? Quale sarà la posizione dell’Unione europea sullo status attuale delle discussioni nel quadro della convenzione sull’uso di alcune armi convenzionali?

A questo proposito si formulerà una posizione comune del Consiglio? Quali iniziative stiamo preparando per incoraggiare gli Stati membri ad adottare misure nazionali finalizzate a proibire le bombe a grappolo? In che modo interveniamo per sostenere i paesi terzi in termini di bonifica delle aree contaminate da tali munizioni, fornendo istruzione sui rischi e distruggendo le scorte di munizioni già vietate?

Infine, la Commissione considererà l’organizzazione di una conferenza internazionale sul ruolo dell’Unione europea nell’affrontare le conseguenze socioeconomiche, umanitarie e per lo sviluppo successive ai conflitti in cui sono state utilizzate queste armi?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, onorevole Borrell, desidero innanzi tutto ringraziarla per le sue tre domande in merito a tale questione specifica dell’interdizione delle bombe a grappolo. Cercherò di rispondere nel modo più breve e oggettivo possibile a ciascuna delle domande poste al Consiglio.

Per quanto riguarda la sua prima domanda, devo dire che, nel quadro della convenzione sull’uso di alcune armi convenzionali, per essere breve vi farò riferimento solo come la “convenzione”, la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, com’è noto, ha espresso la sua preoccupazione, a nome dell’Unione europea, in merito all’impatto umanitario delle munizioni a grappolo. In particolare, nel corso della Terza conferenza degli Stati parte della convenzione svoltasi a Genova dal 7 al 17 novembre dello scorso anno, l’Unione europea ha formulato l’opinione che le munizioni a grappolo rappresentino un elemento particolarmente importante del lavoro futuro della convenzione sull’uso di alcune armi convenzionali.

L’UE ha presentato una proposta che sostiene l’istituzione di un gruppo aperto di esperti di governo allo scopo di elaborare raccomandazioni per ulteriori azioni nel quadro della convenzione. Questa proposta non è stata adottata dalla conferenza degli Stati. Tuttavia, si è concordato di convenire con urgenza una riunione intersessione del gruppo di esperti governativi in materia di ordigni bellici esplosivi, con attenzione particolare alle munizioni a grappolo.

Questo incontro si è svolto a Genova dal 19 al 22 giugno 2007, quando l’UE ha presentato un progetto di mandato negoziale per uno strumento giuridicamente vincolante volto ad affrontare tutti gli aspetti delle questioni umanitarie sollevati dalle munizioni a grappolo. Questo strumento dovrebbe essere adottato entro la fine del 2008.

La troika europea ha condotto consultazioni approfondite con paesi terzi per promuovere l’approccio dell’UE. Il gruppo di esperti governativi ha deciso, tuttavia, di rinviare qualsiasi decisione su uno strumento giuridicamente vincolante fino alla riunione del 2007 delle Alte parti contraenti la convenzione che si svolgerà il mese prossimo.

Parallelamente a questi sforzi volti ad affrontare le preoccupazioni relative alle munizioni a grappolo, come sapete, alcuni Stati membri dell’UE hanno sottoscritto la Dichiarazione di Oslo e hanno partecipato a una serie di incontri organizzati nel cosiddetto “processo di Oslo”, finalizzato a un’interdizione completa delle munizioni a grappolo.

Gli Stati membri dell’UE hanno partecipato a titolo nazionale. Finora non è stato raggiunto alcun accordo riguardante una posizione europea sul processo di Oslo. La maggior parte dei paesi membri considera complementari questi due processi, nonché sforzi paralleli che conducono a un obiettivo comune, ovvero uno strumento internazionale giuridicamente vincolante sulle munizioni a grappolo.

Per quanto riguarda la sua seconda domanda, devo dire che, in relazione ai prossimi incontri di Bruxelles e Vienna, com’è già stato menzionato, gli Stati membri dell’UE, inclusa la Presidenza, parteciperanno a titolo nazionale qualora prendessero tale decisione. Non prevedo alcuna posizione comune a livello UE.

Infine, per quanto riguarda la sua terza domanda, posso dire che le recenti decisioni di Austria e Belgio relative all’interdizione delle munizioni a grappolo, a cui ha fatto riferimento l’onorevole Borrell nella sua interrogazione, sono state prese, com’è noto, su base puramente nazionale. Il Consiglio non ha intrapreso alcuna azione specifica in merito.

 
  
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  Presidente . Speriamo che si esprima presto.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, vorrei ringraziare l’onorevole Borrell Fontelles per aver posto la sua interrogazione orale. Sono soddisfatta, poiché ritengo si tratti di un’opportunità per rispondere in modo esaustivo a questa interrogazione su un aspetto che provoca conseguenze particolarmente terribili. Ha un impatto altamente negativo sugli esseri umani, soprattutto sui civili. Quindi, la domanda è molto importante per me dal momento che tengo sempre molto ad affrontare ciò che colpisce la sicurezza umana. Concordo pienamente con la posizione espressa dal Presidente del Consiglio, ma vorrei menzionare anche alcuni altri aspetti.

Lo scorso anno ho avuto l’opportunità di discuterne in diversi incontri formali e informali, comprese le riunioni, la prima a Parigi e la seconda ad Alessandria, organizzate dall’Istituto di studi per la pace e presiedute da Suzanne Mubarak. Ha preso molto seriamente la questione e ritengo abbia tentato di compiere progressi in merito. Come nel caso delle mine terrestri, gli ordigni bellici esplosivi costituiscono grandi minacce per la vita e la sicurezza delle popolazioni civili e vorrei rispondere in modo esaustivo alle domande poste dall’onorevole Borrell Fontelles.

I loro effetti possono essere immediati e duraturi. Disseminare esplosivi su vaste aree può uccidere e ferire, come tutti sappiamo, numerosi civili, molto spesso bambini. Inoltre, molte bombette e submunizioni non riescono a scoppiare e a esplodere al momento dell’impatto, e i loro effetti letali rimangono dopo il conflitto, pertanto le munizioni a grappolo intralciano seriamente l’assistenza umanitaria internazionale. Abbiamo assistito a ciò nella guerra del Libano.

Per quanto riguarda la gestione della crisi e i programmi di ricostruzione successiva al conflitto durante e in seguito alle guerre negli anni passati, noi della Commissione siamo stati molto attivi nel contrastare i problemi generati dalle mine terrestri e anche dagli ordigni bellici esplosivi, incluse le munizioni a grappolo.

Tramite le due strategie d’azione della Commissione europea sulle mine per il periodo 2002-2007, nel mondo sono stati assegnati oltre 300 milioni di euro per progetti che comprendono attività quali sminamento, distruzione dei depositi, istruzione sui rischi delle mine, assistenza per le vittime di mine, riabilitazione e reintegrazione sociale ed economica. In paesi estremamente colpiti da queste armi, come Afghanistan, Laos e Cambogia, solo per citarne alcuni, sono stati condotti progetti che prevedevano le munizioni a grappolo.

Per quanto riguarda il futuro, manterremo il nostro impegno attraverso azioni d’integrazione contro le mine antiuomo e gli ordigni bellici esplosivi nelle nostre strategie e nei nostri programmi di assistenza comunitaria esterna, iniziativa diffusa dappertutto.

La Commissione utilizza inoltre lo strumento degli aiuti umanitari gestito da ECHO per finanziare gli sforzi di sminamento. Il caso più recente di sostegno allo sminamento si è verificato in Libano, che ha ricevuto considerevoli aiuti umanitari in seguito al conflitto del dicembre 2006, che ho menzionato in precedenza.

Per quanto riguarda il ruolo della Commissione nella negoziazione dei trattati o delle convenzioni sul disarmo, vorrei ricordare che tali negoziati talvolta non ci competono. Se la Comunità non è parte dei trattati o delle convenzioni sul disarmo, allora può solo incoraggiare giuridicamente i paesi partner a impegnarsi appieno nel multilateralismo, in particolare mediante una partecipazione ai trattati e alle convenzioni. Ritengo che il nostro Presidente sia già intervenuto a sufficienza in merito.

Abbiamo preso parte alle nuove linee d’azione della troika europea attuate in paesi importanti come Stati Uniti d’America, Giappone, Brasile, Corea del Sud, Canada, Pakistan e Ucraina, al fine di promuovere le iniziative multilaterali sulle munizioni a grappolo nel quadro della convenzione sull’uso di alcune armi convenzionali, e in particolare una negoziazione su uno strumento giuridicamente vincolante che affronti le questioni umanitarie relative alle bombe a grappolo. L’obiettivo è concludere i negoziati entro la fine del prossimo anno.

Nel contempo, la Commissione segue con attenzione il processo di Oslo e intende partecipare come osservatrice agli incontri pianificati in tale contesto a Bruxelles e a Vienna.

In conclusione, vorrei garantire a lei, onorevole Borrell Fontelles, e anche al Parlamento europeo, che la Commissione continuerà a compiere il massimo sforzo per sostenere tutte le iniziative multilaterali finalizzate a un’interdizione esaustiva ed efficace delle bombe a grappolo.

 
  
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  Tunne Kelam, a nome del gruppo PPE-DE. (EN) Signora Presidente, vorrei comunicare al Commissario che sono incoraggiato dal fatto che nutriamo le medesime preoccupazioni e gli stessi obiettivi e la ringrazio per la sua presentazione e descrizione degli sviluppi. Sono inoltre soddisfatto della valida cooperazione tra i deputati del Parlamento nell’elaborazione di una pertinente proposta di risoluzione.

Innanzi tutto è urgente. Si tratta di un’urgenza umana e politica, poiché, nonostante i segnali d’avvertimento dal mondo, le bombe a grappolo sono tuttora usate in maniera attiva. Pertanto, occorre affrontare due problemi.

Primo, l’uso delle bombe a grappolo ha un aspetto particolarmente disumano. Chi lancia queste bombe di solito, non è in grado di indirizzarle in modo molto preciso. Accade che il margine di errore sia molto più elevato di quanto ci possa aspettare. Il tragico risultato, come si è detto, è costituito da un numero estremamente alto di vittime tra i civili, oltre il 90 per cento.

Un altro problema è la quantità di bombe a grappolo inesplose che giacciono in zone interessate da conflitti. Si tratta di un grande svantaggio per i paesi che hanno deciso di iniziare a ricostruire le loro economie dopo una guerra. Con queste premesse, ritengo che l’UE dovrebbe assumere la guida nel cercare di vietare qualsiasi tipo di produzione, uso e vendita di munizioni a grappolo.

Il primo passo dovrebbe essere introdurre una moratoria immediata sull’uso di queste armi. Inoltre, la nostra risoluzione insiste sul fatto che le truppe europee non dovrebbero in nessuna occasione utilizzare qualsiasi tipo di munizione a grappolo finché non sono stati raggiunti i relativi accordi internazionali. Invitiamo il Parlamento e la Commissione ad aumentare con urgenza l’assistenza finanziaria per le comunità e i soggetti colpiti da munizioni a grappolo esplose e inesplose, impiegando a questo scopo tutti gli strumenti disponibili.

 
  
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  Ana Maria Gomes, a nome del gruppo PSE. – (PT) Signora Presidente, intervengo a nome del gruppo socialista del Parlamento europeo. Tali richieste illustrano il ruolo guida assunto da quest’Aula in relazione al disarmo convenzionale, ai controlli sul trasferimento di munizioni e al consolidamento del diritto umanitario internazionale.

Abbiamo lottato per l’ampliamento della convenzione di Ottawa a tutti i tipi di mine. Ben prima del Consiglio europeo, abbiamo discusso di un trattato globale sul commercio di armi. L’essenziale necessità di convertire il Codice di condotta dell’UE per le esportazioni di armi in uno strumento giuridicamente vincolante è stata anche una costante richiesta di questo Parlamento.

Queste richieste relative alle bombe a grappolo guardano al futuro e a ciò che l’Europa deve fare per eliminare queste armi che non operano alcuna distinzione fra civili e militari e che distruggono così tante vite umane. Chiediamo una moratoria immediata sull’utilizzo, la produzione, il deposito e l’esportazione di queste armi. La moratoria deve essere convertita a tempo debito in uno strumento giuridico che ha l’effetto di bandire a lungo termine queste barbare munizioni dagli arsenali e dai campi di battaglia nello stesso modo in cui hanno iniziato a scomparire le mine antiuomo.

Oltre all’invito all’Unione europea di intraprendere un’offensiva diplomatica a favore di questo nuovo strumento, vorremmo che gli Stati membri fossero un modello ed eliminassero l’uso di queste armi da parte delle loro forze armate. Non solo, devono anche interrompere in maniera permanente la loro esportazione, produzione e deposito. Ogni giorno in Libano, Cecenia, Afghanistan e dozzine di altri paesi in cui le guerre sono già concluse, le persone pagano l’ultimo prezzo per l’irresponsabilità criminale e immorale delle forze armate che hanno perso qualsiasi senso del limite etico e giuridico che dovrebbe accompagnare le azioni delle persone civili.

Spetta all’Europa guidare un’alleanza globale per ristabilire, riaffermare e rafforzare tali limiti. Occorre con urgenza una posizione comune al fine di abolire le bombe a grappolo e altre munizioni di questo tipo.

 
  
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  Elizabeth Lynne, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signora Presidente, i civili, fra cui molti bambini, rimangono indiscriminatamente uccisi o feriti da bombe a grappolo. Si spezzano sogni e si distruggono vite. Prendiamo il caso del bambino iracheno Ahmed Kamel. Attratto da un oggetto luccicante, Ahmed ha raccolto una bombetta ed è esplosa. Egli ha perso entrambe le mani e la vista. Come si può presumere che ciò abbia un senso per un bambino di 12 anni?

E con tutto ciò, il fatto scioccante è che le munizioni a grappolo sono accumulate in depositi in oltre 15 Stati membri dell’UE. Ignobilmente, almeno 10 paesi membri dell’Unione europea sono produttori di queste armi: Francia, Spagna, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Svezia e Bulgaria. Sono dell’avviso che questi paesi, come quelli che le usano, compreso il Regno Unito, abbiano del sangue sulle loro mani.

Mentre accolgo con favore iniziative di paesi come il Belgio volte a stabilire una legislazione nazionale che vieti le munizioni a grappolo, tutti gli altri Stati membri devono fare lo stesso. Esorto il Consiglio e la Commissione a sostenere il processo di Oslo, poiché li abbiamo già invitati a farlo.

Non si devono considerare le manovre diplomatiche, da parte del governo britannico e di altri, volte a suggerire che esistono munizioni a grappolo “stupide” e “intelligenti”: tutte uccidono e mutilano. Il termine “intelligente” non potrebbe essere più fuorviante o inappropriato.

Occorre una moratoria immediata su utilizzo, investimenti, deposito, produzione, trasferimento o importazione di tutte le munizioni a grappolo da parte di tutti gli Stati membri dell’UE. Ogni paese che le ha impiegate deve accettare la propria responsabilità per la loro bonifica, e la Commissione deve aumentare con urgenza l’assistenza finanziaria alle comunità colpite da bombette inesplose. V’invito ad appoggiare questa risoluzione.

 
  
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  Frithjof Schmidt, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE)Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, il processo di Oslo offre un’opportunità storica per raggiungere un accordo internazionale, non solo una dichiarazione, ma un accordo internazionale, che vieti le bombe a grappolo. Per vent’anni sono comparse campagne e iniziative internazionali, ma si sono ripetutamente impantanate nella palude diplomatica degli interessi militari ed economici. Ora abbiamo la possibilità di ottenere un accordo nel 2008.

Quest’azione non richiede solo il sostegno del Parlamento, che mostra una posizione chiara in questo caso mediante tutti i gruppi parlamentari. Sono stato lieto e interessato per aver sentito, Commissario Ferrero-Waldner, che anche la Commissione approva questa posizione, che è la più gradita. Ora il Consiglio ha bisogno di seguire la precisa posizione adottata dal Parlamento e dalla Commissione; è un aspetto molto importante. Non si tratta soltanto di vietare l’uso e il deposito delle bombe a grappolo e il commercio di queste armi, ma anche della loro produzione. Dovremmo abolire la produzione di queste bombe, e l’Unione europea è tuttora uno dei principali produttori di queste armi. Si fabbricano ancora in Germania, nel Regno Unito, in Francia, Spagna e Belgio. In quest’ultimo paese e in Austria è ora stata adottata una legislazione per vietare la produzione, ma so che in Belgio non è stata interrotta del tutto. Anche in questa legislazione sono presenti lacune.

Dobbiamo insistere sull’interdizione di queste armi. Gli Stati membri devono avanzare verso un divieto, e il Consiglio deve difendere la chiara posizione espressa in quest’Aula. Questo è l’unico modo per garantire che, nel 2008, raggiungeremo veramente un accordo.

 
  
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  Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE)Signora Presidente, la prima volta che mi sono occupato personalmente di tale questione, è stato durante la guerra di aggressione della NATO contro la Iugoslavia, uno dei conflitti a cui mi sono opposto e che, come molti altri, è stato intrapreso da paesi occidentali.

Circa il 98 per cento delle vittime delle bombe a grappolo è costituito da civili. Dal 5 al 40 per cento delle submunizioni di bombe a grappolo non esplode. Sarò schietto: sono soprattutto i grandi paesi occidentali industrializzati a produrre e dotare i loro eserciti di bombe a frammentazione e a grappolo nelle guerre. Esistono 34 paesi che producono bombe a grappolo, inclusi 13 Stati membri dell’UE. Queste armi sono un elemento bellico fornito da paesi europei, ad esempio nell’ex Iugoslavia, in Afghanistan e Iraq, pertanto non versiamo lacrime di coccodrillo al proposito!

L’UE deve incassare il colpo. In termini specifici, ciò significa che occorre che l’Unione europea adotti una posizione comune che condanni queste armi letali. Tale azione comporta l’interruzione della produzione delle bombe a grappolo e, naturalmente, dell’impiego di bombe a frammentazione com’è accaduto nella guerra del Golfo, in Iugoslavia, Afghanistan, Iraq e Libano. Non possiamo permettere che continui.

 
  
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  Alain Hutchinson (PSE) . – (FR) Signora Presidente, signor Presidente in carica, signora Commissario, si è già detto molto a questo proposito e certamente deploriamo, il termine è abbastanza forte, l’uso delle munizioni a grappolo, che ha causato danni molto gravi in numerosi paesi, e desidero ringraziare l’onorevole Borrell per aver di fatto sollevato tale allarmante questione.

Tuttavia, se questo divieto deve essere efficace e se la decisione espressa nella risoluzione deve avere successo, occorre certamente andare oltre l’interdizione all’uso di queste armi. Occorre inoltre occuparsi della loro fabbricazione e vendita, poiché non possiamo condurre un dibattito umanitario da un lato (ed è vero che le bombe che non esplodono giacciono nascoste nel terreno in ogni sorta di luogo, impedendo quindi alle comunità e ai rifugiati di ritornare in patria, nonché la distribuzione di aiuti umanitari), non possiamo condurre un simile dibattito che cerca di evidenziare il lato umanitario del problema senza, allo stesso tempo, adottare misure efficaci contro quelle industrie interne che, purtroppo, stanno tuttora producendo e vendendo queste armi.

Vorrei concludere affermando che questa risoluzione probabilmente ci offre la possibilità di appellarci anche agli Stati membri. A questo proposito, il mio paese, il Belgio, ha approvato la legislazione necessaria, in effetti credo sia il primo ad averlo fatto, e ritengo che potremmo ispirarci alla legge adottata in Belgio per invitare gli altri 26 Stati membri a comportarsi analogamente.

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck (ALDE) . –(NL) Signora Presidente, signora Commissario, signor Ministro, signor Presidente in carica del Consiglio, vorrei impiegare il tempo a mia disposizione per sostenere l’interrogazione e la maniera in cui è stata formulata dall’onorevole Borrell, nonché la nostra proposta comune di risoluzione in merito.

Sono ben consapevole che tutti gli sforzi compiuti sul controllo delle armi sono sempre molto difficili e talvolta assomigliano a una processione di Echternach, in cui si fanno due passi avanti e uno indietro. Ritengo dovremmo incrementare questi sforzi, poiché mi sembra che, negli ultimi anni, le persone che lavorano per il disarmo e per il controllo delle armi siano modelli antiquati del passato, perché ora il riarmo è all’ordine del giorno. Trovo sia una situazione estremamente preoccupante.

Quando si pensa al fatto che un capo di Stato dell’unica superpotenza mondiale rimanente abbia recentemente minacciato una possibile terza guerra mondiale, si prova una sensazione di paura. In questo quadro, assai poco favorevole a sforzi congiunti, credo sia più importante che mai che sia il Consiglio, sia la Commissione sottolineino continuamente che gli Stati membri debbano agire insieme a questo proposito, cosa che, purtroppo, fino ad ora non è avvenuta.

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE) . (SV) La ringrazio signora Presidente. Intervengo anche a nome del mio collega Raül Romeva. Egli è spagnolo, io sono svedese, ed entrambi i paesi producono queste terribili armi e hanno promesso di vietarle. Ma che cosa sta facendo il mio paese? Nel corso dei colloqui a Oslo, la Svezia ha discusso del fatto che dovremmo introdurre un uso limitato, anziché un divieto. Si tratta di una posizione vergognosa. Nessun paese civile può difendere queste armi spietate, e sono lieto di notare la grande unità odierna esistente tra il Consiglio, la Commissione e il Parlamento a sostegno di un’abolizione totale.

Quando queste armi colpiscono, rappresentano un’arma contro bambini innocenti. Si tratta di un’arma efficace contro i diritti umani e lo sviluppo economico. Dobbiamo pertanto essere estremamente risoluti nella nostra lotta per vietarle. Questo è l’inizio, completiamo il processo il prima possibile, poiché ogni minuto muore un altro bambino. Grazie.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MANUEL ANTÓNIO DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  
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  Luis Yañez-Barnuevo García (PSE) . – (ES) Signor Presidente, vorrei ribadire ciò che è già stato detto in merito al divieto di produzione, esportazione e deposito di queste armi, le bombe a grappolo, che sono così dannose per i civili, ed esprimere il mio sostegno al processo di Oslo, malgrado il fatto che, come ha affermato il precedente oratore, il mio paese fabbrichi, accumuli scorte ed esporti questo tipo di armi.

Tuttavia, devo fare una precisazione: il 21 settembre, ovvero un mese fa, il governo, nella veste del partito che lo sostiene, il partito socialista, ha presentato in Parlamento un emendamento alla legge sul controllo del commercio esterno di materiali di difesa e a duplice uso, finalizzato in parte a limitare e, ove appropriato, a proibire, le bombe a grappolo che sono particolarmente dannose per i civili.

In altre parole, nel mio paese la tendenza sta cambiando: i governi precedenti approvavano la fabbricazione, il deposito e l’esportazione di queste armi. Questo governo è pienamente impegnato per il processo di Oslo e vuole assistere alla graduale eliminazione e, alla fine, il divieto totale della loro fabbricazione, deposito ed esportazione. Era questa l’importante osservazione che volevo esprimere.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, vorrei sollevare due aspetti essenziali, ma sarò molto breve perché so che stiamo superando il tempo a nostra disposizione. Il primo è che questa discussione mi ha trasmesso l’idea chiara e la convinzione che il Parlamento europeo seguirà molto attentamente tale questione, che preoccupa molti deputati. Pertanto, terrò di certo debitamente conto di questo fattore.

Secondo, vorrei porre l’accento sul fatto che l’Unione europea sta svolgendo un ruolo guida a questo proposito, non proprio con l’energia che molti deputati vorrebbero, e naturalmente con qualche difficoltà, ma, nonostante tutto, con un certo ottimismo.

Abbiamo già espresso in sede appropriata, ovvero nella convenzione sull’uso di certe armi convenzionali, la preoccupazione dell’Unione europea relativa alle conseguenze umanitarie di questo tipo di arma. Abbiamo anche già proposto la negoziazione di uno strumento giuridicamente vincolante da adottare entro la fine del 2008 al più tardi, anche se non proprio con l’ambizione che desiderano molti di voi. Tuttavia, il fatto è che siamo al punto di compiere passi decisivi. Si tratta di un processo che spero unisca ancora maggiore volontà politica, entusiasmo e sforzi in modo da poter realizzare, infine, gli obiettivi proposti.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, vorrei soltanto aggiungere un aspetto al mio intervento precedente. Naturalmente, posso parlare solo degli ambiti di competenza della Commissione, e sapete che questo è un settore che rientra nelle particolari competenze degli Stati membri. Tuttavia, posso trattare l’aspetto dell’assistenza finanziaria delle vittime.

Posso riconfermare ciò che ho detto in precedenza, ovvero che abbiamo fatto del nostro meglio per alleviare i problemi provocati da ordigni bellici esplosivi, comprese le munizioni a grappolo, in particolare tramite le nostre strategie d’azione per le mine e la relativa linea orizzontale di bilancio, che ammontava a circa un terzo dei fondi spesi in quest’ambito.

Posso garantirvi che continueranno a essere intraprese azioni contro le mine e gli ordigni bellici esplosivi mediante nuovi strumenti geografici, e ora sono anche integrati in modo migliore, aspetto nuovo, nelle nostre strategie e nei nostri programmi di assistenza esterna.

E’ inoltre possibile finanziare alcune iniziative con il nuovo strumento di stabilità, pertanto adesso disponiamo di più mezzi per affrontare questa grande sfida, e chiaramente terrò conto della decisa posizione espressa dal Parlamento per utilizzarli nella maniera più efficace possibile, ove necessario, poiché condivido pienamente l’obiettivo che avete formulato.

 
  
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  Presidente . − Comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione presentata conformemente all’articolo 108, paragrafo 5 del regolamento.(1)

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 25 ottobre 2007.

(La seduta è sospesa per alcuni minuti in attesa del tempo delle interrogazioni)

 
  

(1)Vedasi processo verbale.


15. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
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  Presidente . − Onorevoli deputati, l’ordine del giorno reca le interrogazioni al Consiglio. Come è avvenuto ieri durante le interrogazioni alla Commissione, sperimenteremo alcune nuove norme proposte in quanto parte della riforma del Parlamento. Tali norme sono state studiate da un gruppo speciale e fondamentalmente prevedono due aspetti. Primo, inviterei i deputati a spostarsi nei banchi anteriori in modo che la seduta sia maggiormente inclusiva e, secondo, il Presidente in carica del Consiglio replicherà in un’unica volta alle interrogazioni complementari dopo che sono state poste. Di conseguenza, siccome esistono abitualmente interrogazioni complementari, anziché ottenere una risposta immediatamente, il Consiglio replicherà alla fine alle interrogazioni.

L’ordine del giorno reca le interrogazioni al Consiglio (B6-0318/2007).

Le seguenti interrogazioni sono state poste al Consiglio.

Annuncio l’interrogazione n. 1 dell’onorevole Manuel Medina Ortega (H-0678/07)

Oggetto: Fondo di solidarietà per le catastrofi

Vista la gravità degli incendi forestali di quest’estate in alcuni paesi dell’Unione, quali Grecia e Spagna, e dimostrata la mancata rapidità ed efficacia della risposta dell’Unione in tali situazioni, intende il Consiglio sviluppare le norme del fondo di solidarietà affinché in futuro possiamo contare su meccanismi adeguati per affrontare questo tipo di catastrofi e ripararne i danni?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, onorevoli deputati, per rispondere a questa interrogazione direi che, come sapete, l’attuale Fondo di solidarietà dell’Unione europea è stato istituito per reagire alle catastrofi di proporzioni importanti e straordinarie, in seguito alle alluvioni che colpirono l’Europa centrale nell’estate del 2002.

Nel 2002, su proposta della Commissione europea, il Consiglio adottò un regolamento che istituiva il Fondo di solidarietà dell’Unione europea. L’articolo 14 del presente regolamento prevede che il Consiglio riveda tale regolamento, secondo una proposta della Commissione, al più tardi entro il 31 dicembre 2006.

Nel 2005 la Commissione ha proposto che il regolamento (CE) n. 2012/2002 fosse sostituito da un nuovo regolamento sul Fondo di solidarietà. Tale iniziativa era finalizzata soprattutto a estendere l’ambito dello strumento al fine di includere disastri industriali e tecnologici, emergenze di salute pubblica e atti di terrorismo, nonché a ridurre le soglie impiegate per classificare una catastrofe come di grandi dimensioni.

La proposta era rimuovere i criteri regionali eccezionali dal regolamento in vigore, ma che, in circostanze particolari, la Commissione avrebbe potuto riconoscere che si era verificata una catastrofe di grandi proporzioni.

Il Parlamento europeo, nel maggio 2006, ha presentato un parere a questo proposito e, sempre nello stesso anno, il Consiglio ha discusso la proposta della Commissione e il parere del Parlamento a livelli adeguati, benché non sia stato raggiunto alcun accordo.

Di conseguenza, continua a essere applicato il regolamento (CE) n. 2012/2002, con la Commissione che ha proposto la sua mobilitazione nel 2007. Come ho avuto la possibilità di comunicarvi lo scorso mese in risposta a un’interrogazione simile, per quanto il Consiglio ne è a conoscenza, in caso di catastrofe prevista dal regolamento, la sua applicazione è stata efficace. La Commissione europea prepara periodicamente relazioni che descrivono nel dettaglio l’uso del Fondo di solidarietà.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE) . – (ES) La proposta del Consiglio era del tutto chiara. Questo nuovo regolamento è estremamente tardivo. La domanda supplementare e concreta che desidero porre al Consiglio è la seguente: quest’estate la culla della civiltà occidentale, l’Antica Grecia, insieme agli stadi olimpici, è quasi completamente bruciata. Il Consiglio ha intenzione di aspettare finché non bruceranno il Vaticano, il Prado e Palazzo di Belém, o possiamo sperare che prima della prossima estate avremo un regolamento in grado di affrontare questi tipi di catastrofe?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Signor Presidente, onorevole Medina Ortega, ovviamente non aspetteremo che Roma, Lisbona, Londra o Parigi siano colpite da disastri naturali prima di considerare la questione maggiormente nel dettaglio. Ci auguriamo veramente che il Palazzo e la Torre di Belém restino in piedi per molti secoli, come hanno fatto finora.

Per quanto riguarda le scadenze delle modifiche alle norme attuali, naturalmente non posso impegnarmi per alcuna data specifica a nome del Consiglio.

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE) . (EN) La ringrazio per la sua risposta, ma vorrei contribuire con una domanda supplementare. E’ necessario sapere quando ci saranno dei cambiamenti.

Mi riferisco in particolare alle inondazioni nel Regno Unito. Ovviamente l’interrogazione riguarda gli incendi, ma il Fondo di solidarietà include le alluvioni. La mia regione nel West Midlands è stata pesantemente colpita. In particolare, è stato danneggiato il mio paese nel Worcestershire, insieme al resto della zona e alle aree confinanti di Hereford e Shropshire.

Naturalmente il governo britannico ha chiesto il denaro del Fondo di solidarietà. Spero che la Commissione abbia un parere favorevole in merito e che il Consiglio cercherà davvero di modificare il modo in cui opera il Fondo di solidarietà, cosicché, in futuro, potremo ottenere più rapidamente tali finanziamenti.

Inoltre, il rappresentante del Consiglio può dirci che cosa ne pensa della forza d’intervento rapido e se tale azione proseguirà in modo che le difese d’emergenza per le inondazioni possano essere dirette alle aree colpite?

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE) . – (DE) Signor Presidente, innanzi tutto, mi consenta di affermare che è molto piacevole essere in grado di sedere adesso in quest’Aula. Ritengo sia un’ottima idea.

Per quanto riguarda l’interrogazione, vorrei trattare brevemente la questione degli incendi, signor Ministro, che in alcuni casi sono provocati da cause naturali, ma in altri sono dolosi. In alcuni paesi la tutela legale favorisce l’atto di appiccare il fuoco, poiché offre determinati profitti a certe persone.

Non si è pensato alla possibilità di esercitare un po’ di pressione su questi paesi affinché modifichino la tutela legale in modo che in futuro non esista più tale incentivo?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Molto bene. Ritengo di aver risposto almeno ad alcune delle domande appena poste. Ho già anche affermato che la nostra valutazione del funzionamento del Fondo di solidarietà nel passato è stata positiva, nel senso che ha funzionato correttamente.

E’ stata considerata la questione delle forze d’intervento rapido. Tuttora non è stata presa alcuna decisione siccome non è ancora stata giudicata e discussa dal Consiglio. Non si è deciso nemmeno in merito alla prevenzione degli incendi, anche se si è fatto molto. Resta molto lavoro da svolgere e presumo si tratti di un settore in cui lo scambio di esperienze note come “buone pratiche” e la cooperazione tra Stati membri a livello europeo possa rivelarsi utile.

In quest’ambito occorre compiere ancora sforzi. Devo dire che il mio paese, anno dopo anno, è sistematicamente colpito da incendi, anche di origine dolosa, e da tutti i problemi legati ad essi, in particolare gli incendi boschivi. A livello nazionale, abbiamo adottato una serie di misure e iniziative che hanno avuto esito positivo in termini di prevenzione e siamo certamente molto felici di condividere le nostre esperienze con tutti gli Stati membri.

 
  
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  Presidente . −Annuncio l’

interrogazione n. 2 dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0680/07)

Oggetto: Politica europea integrata per le persone disabili

Considera il Consiglio la possibilità di adottare una decisione comune al fine di stabilire una politica europea integrata per il sostegno, la formazione professionale e l’integrazione dei cittadini disabili?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) La ringrazio per la sua interrogazione, onorevole Panayotopoulos-Cassiotou. Come sa, il Consiglio può agire esclusivamente nella sua veste di legislatore secondo una proposta avanzata in un certo momento dalla Commissione.

Allo stato attuale, il Consiglio non ha ricevuto alcuna proposta legislativa per una decisione volta a istituire una politica europea integrata per sostenere e offrire formazione professionale per cittadini disabili e garantire il loro inserimento nella società.

Come saprà, nel 2000 il Consiglio ha adottato la direttiva 2000/78/CE che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Tale documento vieta ogni forma di discriminazione, inclusa quella basata sulla disabilità. Inoltre, quest’anno (2007) è stato designato “Anno europeo delle pari opportunità per tutti” con una decisione che il Consiglio e il Parlamento hanno preso congiuntamente in conformità con la procedura di codecisione.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE) . – (EL) Signor Presidente, desidero ringraziare il Presidente in carica del Consiglio. L’eliminazione delle discriminazioni nel settore dell’occupazione non rappresenta un metodo efficace per risolvere il problema della disabilità. Solo ieri è stato annunciato il programma salute che prevede nuove tecnologie. Questa proposta non potrebbe essere utilizzata per consentire a gran parte dei cittadini europei, che può essere attiva e utile alla società nel suo complesso in un periodo di declino demografico, di realizzare il proprio potenziale e vivere in coesione sociale?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Signor Presidente, onorevole Panayotopoulos-Cassiotou, credo che l’intervento fosse più un commento generale che una domanda diretta. Tuttavia, ritengo che, nonostante tutto, abbiamo assistito a un graduale aumento di consapevolezza tra gli Stati membri e anche a livello europeo per quanto riguarda la necessità di collaborare al fine di rispondere adeguatamente alle questioni previste in questo settore.

Inoltre, devo dire che, durante la Presidenza portoghese e in quanto parte dell’Anno europeo delle pari opportunità per tutta, la Presidenza il 19 e 20 novembre ospiterà a Lisbona un’importante conferenza in merito che di certo tenterà di riesaminare la situazione per quanto riguarda le questioni pertinenti. Cercheremo naturalmente di ottenere impegni politici per il futuro a questo proposito.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE) . – (DE) Quali misure intende predisporre il Consiglio nell’ottica di rendere i trasporti pubblici più accessibili per le persone disabili? Vede qualche opportunità d’impiego di migliore prassi e parametri per contribuire, piuttosto semplicemente, a migliorare la situazione in merito?

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE) . – (DE) Signor Presidente in carica del Consiglio, abbiamo esplicitamente mantenuto i diritti dei disabili nella Carta dei diritti fondamentali, che farà parte del Trattato di Lisbona e pertanto sarà del tutto giuridicamente vincolante. Per la Presidenza del Consiglio è possibile esortare gli Stati membri a reagire in modo molto pratico alle nuove opportunità create e ad adottare le misure appropriate volte a garantire che i disabili abbiano migliori e più numerose prospettive?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Vorrei esprimere due commenti. La Carta dei diritti fondamentali non è del tutto in vigore e non è ancora stata pubblicata, e lo stesso vale per il Trattato di Lisbona, pertanto dobbiamo attendere che succeda. Naturalmente, non sono in grado di prevedere a ottobre quali iniziative o decisioni il Consiglio potrà adottare in quest’ambito. Inoltre, come sapete, la Carta dei diritti fondamentali non rappresenta in sé una base giuridica per iniziative legislative.

Per quanto riguarda la questione dei trasporti, poiché la Commissione non propone iniziative che il Consiglio possa adottare in quest’area, quest’aspetto rimane tuttora di competenza degli Stati membri. Chiaramente spetta loro, a livello nazionale, proporre le misure necessarie adeguate e conformi alle circostanze specifiche.

 
  
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  Presidente . − Onorevoli deputati, le prossime tre interrogazioni di Marian Harkin, Avril Doyle e Esko Seppänen sono state presentate nella discussione di ieri. Conformemente all’allegato II.A, paragrafo 2, del regolamento, tali interrogazioni non sono chiamate, pertanto passeremo all’interrogazione successiva.

Le interrogazioni nn. 3, 4 e 5 non sono chiamate, poiché l’oggetto figura già all’ordine del giorno dell’attuale tornata.

Annuncio l’interrogazione n. 6 dell’onorevole Sarah Ludford (H-0687/07)

Oggetto: Colpevoli di delitti sessuali

E’ convinta la Presidenza portoghese che l’Unione europea e i suoi Stati membri stanno prendendo tutte le misure possibili per identificare, assicurare alla giustizia e controllare dopo l’arresto i rei di crimini sessuali contro bambini, al fine di procedere ad uno scambio di informazioni sui crimini sessuali contro bambini e proteggere e ritrovare i bambini che possano essere dispersi, rapiti o in pericolo?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, onorevole Ludford, proteggere i minori dallo sfruttamento sessuale e combattere il traffico di esseri umani sono questioni estremamente importanti per l’Unione europea.

A questo proposito, farei riferimento alla risoluzione del Consiglio del 27 settembre 2001 sull’apporto della società civile alla ricerca di bambini scomparsi o sessualmente sfruttati in cui il Consiglio ha dichiarato che la lotta alla sparizione e allo sfruttamento sessuale dei minori rappresenta una priorità per l’Unione europea.

A questo scopo, il Consiglio ha adottato diversi strumenti giuridici che affrontano aspetti specifici di tale questione, inclusa l’azione comune del 27 febbraio 1997 per la lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini, la suddetta risoluzione del Consiglio del 27 settembre 2001 sull’apporto della società civile alla ricerca di bambini scomparsi o sessualmente sfruttati e, infine, la decisione quadro del Consiglio del 22 dicembre 2003 sulla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile.

La recente proposta di una decisione quadro sul riconoscimento e l’applicazione nell’Unione europea dei divieti derivanti dalle condanne per delitti sessuali commessi su minori, presentata dal Regno del Belgio, è stata esaminata dal Consiglio insieme ad altre proposte, quali quella di una decisione quadro del Consiglio per tenere conto delle condanne negli Stati membri dell’Unione europea nel corso di nuovi procedimenti penali e quella di una decisione quadro del Consiglio sull’organizzazione e i contenuti dello scambio di informazioni estratte dai casellari giudiziari tra gli Stati membri.

In seguito al processo negoziale, il Consiglio ha deciso di unire le disposizioni dell’iniziativa presentata dal Regno del Belgio allo strumento relativo allo scambio di informazioni estratte dai casellari giudiziari. Di conseguenza, i dati riguardanti la condanna di un soggetto per violenza sessuale su minori dovrebbero essere messi a disposizione alle autorità competenti dei paesi membri.

La decisione quadro del Consiglio del 22 dicembre 2003 sulla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile contiene una definizione dei reati relativi a questi due fenomeni ed esorta gli Stati membri ad adottare misure volte a garantire che tali delitti siano passibili di pene privative della libertà da uno a tre anni e, in alcuni casi, da cinque a dieci anni. La suddetta decisione quadro fissa il 20 gennaio 2006 come data di applicazione da parte dei paesi membri. Secondo le notifiche ricevute dal Consiglio e dalla Commissione riguardanti le misure d’attuazione e la relazione elaborata dalla Commissione, il Consiglio deve valutare, entro il 20 gennaio 2008, la misura in cui gli Stati membri hanno rispettato gli obblighi derivanti da tale decisione quadro.

 
  
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  Sarah Ludford (ALDE) . (EN) Ringrazio molto la Presidenza per questa risposta.

Il caso di Madeleine McCann ha generato molto interessamento e, in effetti, numerose polemiche. Non tratterò i dettagli della situazione, ma ciò che mi interessa è quale lezione possiamo ricavare in generale in merito all’adeguatezza dell’intervento europeo in caso di bambini scomparsi. Vorrei avere un chiarimento su tre aspetti.

Il primo è rappresentato da una hotline per i bambini scomparsi. Ieri il Commissario Frattini ci ha comunicato di non essere del tutto soddisfatto dell’azione degli Stati membri volta ad attuare, da febbraio, la decisione del Consiglio per il numero telefonico unico 116 a favore dei minori scomparsi, che avrebbe dovuto essere attivo in agosto. Solo quattro paesi membri hanno scelto un fornitore di servizi, tre non sono nemmeno riusciti a rispondere a una richiesta di informazioni. Non è molto positivo! Incalzerà gli altri 23 Stati membri?

Secondo, poche settimane fa, i ministri della Giustizia e degli Affari interni hanno chiesto una base dati europea sui bambini scomparsi. Ritengo siano stati compiuti alcuni tentativi personali in collaborazione con YouTube e i genitori di Madeleine McCann. L’UE offrirà un contributo nell’istituire una base dati adeguata?

Terzo, lei ha parlato di lavorare sullo scambio di informazioni sui colpevoli di delitti sessuali, ma quando disporremo di una base dati informatizzata?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Signor Presidente, onorevole Ludford, risponderò nel modo seguente alle diverse domande che sono state poste.

Primo, molte misure sono relativamente recenti o recenti e occorre quindi valutare i loro effetti. Si sta procedendo e di certo esamineremo ciò che ha funzionato e ciò che è stato inadeguato, e se stiamo compiendo buoni progressi in questo settore. Questo è il modo in cui dobbiamo intervenire, non accanirsi sugli Stati membri, cercando di attribuire o spartire le responsabilità.

Si tratta di un processo di cooperazione che richiede un dialogo tra gli Stati membri basato sulle esperienze che dobbiamo scambiare. Nonostante tutto, ritengo abbiamo compiuto validi progressi in quest’ambito in risposta alle situazioni che sono davvero terribili dal punto di vista umanitario.

Infine, credo che il Trattato di riforma rappresenti un aspetto positivo a questo proposito, poiché stimola e consente in modo efficace una più ampia e migliore cooperazione tra i paesi membri nella lotta contro questo tipo di reato.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE) . (EN) Signor Presidente in carica, lei ha menzionato (e sono lieta che abbia usato questa espressione) la questione della “tratta”, poiché ritengo che, se esiste pubblicità relativa ai bambini, incluso il caso McCann, ci sono numerosi bambini e giovani adulti che subiscono una tratta negli Stati membri dell’Unione. Vorrei chiederle se è del parere che sia stato fatto abbastanza in merito e, inoltre, di aiutare chi è stato ritrovato nel paese membro: reinserirlo e riportarlo nel proprio paese o garantire che non svolga attività criminose nello Stato membro in cui è stato condotto. Credo sia un problema veramente grave nell’Unione.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE) . –(DE) Signor Ministro, ho cercato di ascoltare molto attentamente la sua risposta all’onorevole Ludford. Le ha posto un’interrogazione alquanto specifica a cui lei non ha replicato, ovvero come propone di incalzare gli Stati membri che non hanno ancora istituito la hotline. Forse potrebbe essere più preciso nella sua risposta.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Non sono un esperto di politica penale né un ministro della Giustizia. In quest’Aula rappresento il Consiglio e posso soltanto dirvi ciò che, al momento, sembra essere la sensazione generale del Consiglio. E’ sempre possibile fare di più e meglio, ma la verità è che, come ho già affermato, esiste una serie di strumenti giuridici che concordano perfettamente con questo desiderio di combattere in modo efficace questo tipo di reato. Come ho detto, molte di queste misure sono recenti ed è necessario siano tutte adeguatamente valutate.

C’era una nuova domanda: aumentare la sensibilità degli Stati membri e dei loro cittadini in merito a un fenomeno che, per quanto riguarda un incremento di consapevolezza sulla sua misura e gravità, effettivamente è nuovo. Come accade sempre con fenomeni nuovi che devono essere esaminati e valutati, esiste di certo una procedura da seguire. Ove necessario, continueremo a esortare quegli Stati membri che forse non hanno ancora rispettato i loro obblighi in relazione all’attuazione delle iniziative o della legislazione a farlo il prima possibile. Se si è preso un impegno, va rispettato e applicato in questo e in tutti gli altri settori.

 
  
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  Presidente . −Annuncio l’

interrogazione n. 7 dell’onorevole Lambert van Nistelrooij (H-0689/07)

Oggetto: Fusione fra Suez e Gaz de France

Il 3 settembre 2007 è giunto l’annuncio che i consigli di amministrazione dell’impresa energetica francese Suez e della compagnia statale Gaz de France hanno deciso di realizzare il progetto di fusione da cui nascerà il quarto colosso dell’energia dopo Gazprom, Electricité de France e EON. La Commissione europea ha già imposto al nuovo gruppo di cedere talune attività in Belgio e in Francia.

Ritiene il Consiglio che questi piani di fusione siano ancora in linea con i suoi principi attuali per quanto concerne la liberalizzazione del mercato dell’energia nell’Unione europea?

In quale misura il nuovo gruppo risultante dalla fusione e lo Stato francese hanno promesso di scindere la proprietà delle reti principali, come richiesto dalla Commissione?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, onorevoli deputati, innanzi tutto devo dire che, come sapete, le conclusioni del Consiglio europeo di primavera del 2007 hanno incluso in modo esaustivo la politica energetica dell’UE, compresa la questione del mercato interno del gas e dell’elettricità.

Il Consiglio non può azzardare un parere se i progetti di fusione, allo stato attuale, siano conformi a quella parte delle conclusioni. Il Consiglio vorrebbe evidenziare che tali conclusioni del Consiglio europeo hanno rappresentato un contributo al terzo pacchetto energetico della Commissione europea, presentato nel settembre 2007, che si pone l’obiettivo di aprire successivamente il mercato interno del gas e dell’elettricità. Solo dopo aver raggiunto un accordo sulle direttive e i regolamenti proposti e dopo che questi ultimi sono entrati in vigore, sarà possibile valutare se la fusione nella società GDF Suez è conforme alle relative disposizioni legislative. Secondo, il Consiglio deve porre l’accento sul fatto che, secondo le disposizioni del trattato sulla concorrenza, la Commissione europea è responsabile della verifica della compatibilità di tutti gli accordi intrasocietari con le norme comunitarie.

 
  
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  Lambert van Nistelrooij (PPE-DE) . –(NL) Ritengo sia assolutamente giusto che la Commissione valuti politiche e azioni concrete. Ho una domanda complementare riguardante il mercato europeo, la realizzazione del mercato unico.

Il chiaro obiettivo della fusione di società è determinare investimenti reali nelle reti, possiamo notare che, in questo settore, così come tra paesi, non abbiamo mantenuto gli accordi stipulati. I paesi sono tenuti a essere in grado di scambiare il 10 per cento, iniziativa definita interoperazionalità, e siamo indietro.

La mia domanda è: quali attività sta intraprendendo il Consiglio per stanziare realmente gli investimenti al fine di migliorare, ad esempio, il collegamento tra Francia e Spagna? I cittadini possono acquistare a prezzi inferiori dai paesi vicini, ma se non esistono collegamenti di rete elettrica ciò non è possibile. Che cosa ha intenzione di fare a questo proposito?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Signor Presidente, onorevole van Nistelrooij, il Consiglio ha adottato una serie di misure relative alle questioni dell’energia durante lo scorso Consiglio europeo di marzo. Ora, ovviamente, deve essere attuata, in base alle proposte della Commissione. Ogni organismo e ogni istituzione deve assumersi la propria responsabilità: la Commissione avanzando le sue proposte, il Consiglio adottandole, respingendole o modificandole, e quindi la Corte verificando se la legislazione e le sanzioni degli Stati membri sono o meno conformi alla normativa in vigore. Questo, per adesso, è tutto ciò che posso dire.

 
  
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  Presidente . − L’interrogazione n. 8 è stata ritirata. L’interrogazione n. 9 decade, poiché il suo autore è assente.

Annuncio l’interrogazione n. 10 dell’onorevole Roberta Alma Anastase (H-0702/07)

Oggetto: Agevolazione del rilascio di visti per i cittadini della Repubblica di Moldova e della Georgia

I cittadini della Repubblica di Moldova e della Georgia incontrano notevoli difficoltà nell’ottenere i visti per gli Stati membri dell’Unione europea. L’entrata in vigore dell’accordo volto a facilitare il rilascio di visti tra l’Unione europea e la Federazione Russa ha generato una situazione paradossale, in cui gli abitanti delle regioni separatiste dell’Abcazia, dell’Ossezia del Sud e della Transnistria, molti dei quali sono titolari di passaporti russi, godono di un regime agevolato per quanto riguarda il rilascio di visti e la possibilità di viaggiare. Come intende il Consiglio contribuire ad accelerare il processo volto ad agevolare il rilascio di visti per i cittadini della Repubblica di Moldova e della Georgia nonché l’applicazione dei rispettivi accordi? Analogamente, è essenziale che il maggior numero possibile di Stati membri dell’UE aderisca quanto prima al Centro comune per il rilascio di visti di Chişinău, affinché il processo di agevolazione del rilascio di visti si realizzi nella pratica. Come si spiega il fatto che finora soltanto alcuni Stati membri hanno aderito a tale Centro, e come intende il Consiglio accelerare l’adesione degli altri Stati membri?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Onorevole Anastase, in una decisione del 19 dicembre 2006, il Consiglio ha affidato in mandato alla Commissione di negoziare un accordo tra la Comunità europea e la Repubblica di Moldova relativo all’agevolazione del rilascio di visti. Tale accordo è stato siglato a Chişinău il 25 aprile 2007 e a Bruxelles il 10 ottobre 2007, di fatto, da me.

Considerata la rapida conclusione di questo accordo, il Parlamento europeo sarà consultato sul progetto di decisione riguardante tale conclusione. Il 17 ottobre, il governo della Moldova ha approvato due disegni di legge che ratificano gli accordi con l’Unione europea sull’agevolazione del rilascio dei visti e la riammissione.

A nome del Consiglio, posso comunicarvi che, attualmente, la Commissione non dispone di alcun mandato per intraprendere negoziati su un accordo simile in Georgia. Per quanto riguarda Centro comune per il rilascio di visti di Chişinău, la cooperazione tra gli Stati membri è un problema la cui risoluzione spetta esclusivamente a loro.

 
  
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  Roberta Alma Anastase (PPE-DE) . (RO) Mi congratulo per la firma degli accordi con la Repubblica di Moldova. A questo proposito, vorrei evidenziare due aspetti: innanzi tutto, ritengo sia necessario includere nella discussione relativa alle relazioni tra il Consiglio e la Repubblica di Moldova una situazione che si è verificata subito dopo la firma di questi accordi. Il 12 ottobre, al confine della Repubblica di Moldova, ad alcune delegazioni ufficiali della Romania è stato negato l’accesso al territorio della Repubblica di Moldova. Poiché ritengo che un’agevolazione del rilascio dei visti per un paese terzo debba essere seguita, alla fine, dalla sua reciprocità, vorrei sapere se il Consiglio ha intenzione di trattare questo argomento. Secondo, negli accordi che ha siglato, si fa riferimento alla lingua moldava, una lingua che non è riconosciuta. Desidero evidenziare questo aspetto soprattutto perché nell’Unione europea l’unica lingua riconosciuta è il rumeno. Per quanto riguarda la Georgia, credo che si debba procedere evitando che la situazione che vivono i cittadini di questo paese sia paragonata a quella dei cittadini dell’Ossezia del Sud.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Signor Presidente, come ho detto, ho firmato quest’accordo sull’agevolazione del rilascio dei visti con la Moldova e posso affermare che tale azione, questa iniziativa, quest’accordo sono stati debitamente apprezzati e riconosciuti dal governo della Moldova.

Si tratta di uno strumento molto importante in termini delle nostre relazioni con la Moldova e con i paesi confinanti. Spero sinceramente che quest’accordo contribuirà, come previsto, a consolidare i rapporti tra l’UE e la Moldova e, in particolare, a potenziare la “dimensione umana” della politica europea di vicinato, in altre parole ad avvicinare le persone in modo da conoscerci tutti di più e meglio, poiché, senza dubbio, è un fattore che rafforza la comprensione e lo spirito europei.

Naturalmente occorre valutare qualsiasi difficoltà di applicazione di tale accordo. Questi problemi sono molto recenti, ma posso dire che, ogni volta che gli accordi conclusi dall’Unione europea con paesi terzi generano problemi od ostacoli, quando non producono i risultati sperati o quelli sbagliati, la Commissione, possibilmente in collaborazione con il Consiglio, deve analizzare la situazione e, ove appropriato, eseguire le modifiche necessarie.

Per quanto riguarda la Georgia, onorevole Anastase, ho preso nota del suo commento.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE) . – (LT) Rientra nei piani adottare un accordo su un regime di agevolazione del rilascio dei visti con la Bielorussia? In seguito all’ampliamento dello spazio Schengen, la Lituania, considerate le linee di confine con la Bielorussia, avrà difficoltà a invitare cittadini di questo paese e, inoltre, i bielorussi non potranno recarsi in visita ai parenti che vivono oltre confine. Esistono progetti in merito?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Signor Presidente, onorevole Budreikatė, come sa, le decisioni su una conclusione di accordi sull’agevolazione del rilascio dei visti sono prese su base individuale. Naturalmente tengono conto del paese in questione, del tipo di relazione con questo paese, delle questioni di sicurezza tecnica e così via. Di conseguenza, ove appropriato, in merito alla Bielorussia o a qualsiasi altro paese, la Commissione dovrebbe proporre debitamente una decisione al Consiglio e quest’ultimo dovrebbe pronunciarsi a questo proposito. Tuttavia, come ho affermato, non è possibile prendere semplicemente una decisione per concludere questo tipo di accordo o per avviare i negoziati senza rispettare determinate condizioni tecniche e politiche.

Tuttavia, laddove è possibile determinarle dal punto di vista tecnico e politico, gli accordi di agevolazione del rilascio dei visti contribuiscono, come detto in precedenza, alla “dimensione umana” o “dimensione umanitaria” della politica europea di vicinato. Non possiamo essere reciprocamente estranei; al contrario, dobbiamo e possiamo conoscerci di più e meglio.

 
  
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  Presidente . −Annuncio l’

interrogazione n. 11 dell’onorevole Dimitrios Papadimoulis (H-0703/07)

Oggetto: Creazione di una forza europea di protezione civile

Il Parlamento europeo ha approvato il 4 settembre 2007 una risoluzione (P6_TA(2007)0362) sulle catastrofi naturali in cui fa particolare riferimento agli incendi letali che hanno colpito la Grecia la scorsa estate. In detta risoluzione, come nella relazione (A6-0286/2006 del 18.9.2006) sulla creazione di un meccanismo comunitario di protezione civile, tra l’altro, si riconosce l’importanza del meccanismo comunitario di protezione civile e si chiede la creazione di una forza europea di protezione civile, che possa reagire immediatamente in situazioni di emergenza, come peraltro proposto nella relazione dell’ex Commissario Barnier.

Dato che la creazione di una forza di protezione civile aiuterà in particolare a titolo sussidiario le autorità nazionali degli Stati membri, che si addossano il peso della protezione civile, qual è l’avviso del Consiglio sulla creazione della forza in questione?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Onorevole Papadimoulis, il Consiglio vorrebbe evidenziare che, il 15 e 16 giugno 2006 e inoltre il 14 e 15 dicembre 2006, il Consiglio europeo ha sostenuto o preso in considerazione le relazioni della Presidenza sul rafforzamento della capacità di risposta dell’Unione in caso di emergenza e di crisi al fine di migliorare il coordinamento e lo stanziamento di risorse disponibili.

Anche il Consiglio europeo del giugno 2006 ha fornito ulteriori orientamenti sul miglioramento delle capacità di risposta dell’Unione europea in caso di emergenza e di crisi, sia all’interno sia all’esterno dell’UE. Ha richiamato particolare attenzione su uno sviluppo ulteriore dell’abilità di risposta rapida, basata su mezzi resi disponibili dagli Stati membri, incluse unità di protezione civile, e sul fatto di lavorare sulle proposte della Commissione relative a quest’aspetto.

Per quanto riguarda la relazione presentata da Michel Barnier nel maggio 2006, il Consiglio vorrebbe altresì rilevare che il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 ha accolto con favore questo documento come un importante contributo alla discussione. Anche se certe idee della relazione Barnier sono state integrate nelle norme o nelle pratiche comunitarie, finora al Consiglio non è stata avanzata alcuna proposta finalizzata a creare una forza europea di protezione civile.

Nelle sue conclusioni del 15 e 16 ottobre 2007, il Consiglio, tenendo conto della recente devastazione in alcuni Stati membri e riconoscendo la necessità di una risposta efficace e tempestiva da parte dell’Unione europea in relazione a situazioni di crisi ed emergenza in seguito a disastri ambientali, ha invitato la Commissione a continuare ad analizzare la questione e presentare proposte pertinenti prima dell’incontro del Consiglio Affari generali e relazioni esterne del 10 dicembre 2007.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL) . – (EL) Signor Presidente, desidero ringraziare il Presidente in carica, ma nelle consuete scadenze del Consiglio, ha fissato 18 mesi d’inerzia e rinvii. Il testo che ci ha illustrato riesce e indebolire l’intera proposta Barnier. Le chiedo: quante vittime di incendi e inondazioni dobbiamo ancora piangere? Quante proprietà devono andare perdute? Per quanto tempo gli Stati membri potranno sprecare le loro risorse prima che lei, finalmente, proponga in Consiglio la richiesta che il Parlamento europeo sta avanzando da tempo? Le domando: in quanto Presidente in carica, il 10 dicembre proporrà al Consiglio di esaminare ciò che il Parlamento europeo raccomanda, vale a dire che si dovrebbe istituire questa forza di protezione civile ausiliaria, o il suo successore ci racconterà di nuovo, tra 18 mesi, un’altra storia di ulteriori rinvii?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Onorevole Papadimoulis, il Consiglio è naturalmente in attesa, con grande interesse, della proposta della Commissione in merito a tale questione, in altre parole sulla possibile creazione di una forza di protezione civile. Si spera che la Commissione avanzi tali consigli o proposte prima dell’incontro del Consiglio Affari generali del 10 dicembre, di fatto tra meno di due mesi. Ci auguriamo di considerare e valutare le proposte della Commissione e quindi agiremo di conseguenza.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (PSE) . – (LT) Anch’io desidero porre l’accento sull’importanza di tale questione, pertanto sono lieto che il Consiglio si sia rivolto alla Commissione e stia aspettando una risposta. Ciononostante, vorrei chiedere: qual è il parere della Commissione sulla forza per quanto riguarda situazioni straordinarie e, tenendo presente tutte queste inondazioni e incendi, i cambiamenti climatici e gli eventi che si verificano lontano da noi, in America, e sul ruolo effettivo di una simile forza in tali situazioni?

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE) . – (DE) Signor Presidente in carica, ha menzionato molte volte la relazione Barnier. Tale documento ha generato timori tra le organizzazioni di assistenza, poiché sembra prevedere strutture direttive quasi militari o processi decisionali preliminari a livello militare. Il Consiglio è consapevole di questi timori relativi alla “militarizzazione” di questa forza di protezione civile, e come può e intende reagire a tali preoccupazioni?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Signor Presidente, come ho già affermato, la proposta del Consiglio e le conclusioni sulla relazione Barnier erano che sarebbe stato possibile costituire una base lavorativa per decisioni future. Non si trattava di un’approvazione totale e nemmeno parziale di tale iniziativa. Allora il Consiglio si è trovato semplicemente d’accordo. Come ho appena detto, non posso prevenire la reazione del Consiglio alle proposte, ai modelli e ai metodi che non esistono ancora, poiché sarebbe come precorrere la storia.

Dobbiamo attendere le proposte della Commissione e una valutazione. Quindi ne discuteremo in Consiglio e giungeremo alle conclusioni. Decideremo inoltre la direzione da prendere a questo proposito, cosa che mi conduce a un aspetto importante. Il Consiglio, chiedendo alla Commissione di presentare proposte in merito, ha inequivocabilmente dimostrato il suo interesse per la materia e il suo desiderio progredire. A mio parere, si tratta di un segnale innegabile e positivo.

 
  
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  Presidente . −Annuncio l’

interrogazione n. 12 dell’onorevole Bernd Posselt (H-0708/07)

Oggetto: Sorte del prof. Ukshin Hoti

Lo scienziato e pacifista di fama internazionale prof. Ukshin Hoti, che negli anni novanta fu Ministro degli Esteri della Repubblica democratica del Kosovo, guidata in clandestinità dal Presidente Rugova, è scomparso da anni senza lasciare tracce dopo essere stato arrestato sotto il regime Milosevic.

Può il Consiglio chiedere all’attuale governo democratico della Serbia notizie del professor Hoti ovvero sono le autorità di Belgrado disposte a istruire un’indagine su tale caso?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Onorevole Posselt, il professor Ukshin Hoti è una delle oltre 2 000 persone incluse nell’elenco del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), di cui i familiari hanno annunciato la scomparsa durante la guerra del Kosovo.

Il CICR, dal gennaio 1998, sta raccogliendo informazioni sulle persone scomparse in Kosovo. Tali informazioni sono state inviate alle autorità di Belgrado e Pristina, insieme alla richiesta di fare il massimo per scoprire dove si trovino queste persone.

Il CICR in Kosovo sta inoltre lavorando sul problema in stretta collaborazione con le missioni previste nel quadro delle Nazioni Unite in Kosovo. In quanto parte del dialogo relativo alle questioni di reciproco interesse tra Pristina e Belgrado, il gruppo di lavoro sulle persone scomparse, che ha rappresentanti in entrambi i governi, si riunisce periodicamente dal marzo 2004 sotto l’egida della Croce Rossa.

Si opera su entrambi i fronti al fine di scoprire dove si trovino le persone scomparse, ma i progressi sono lenti. Il diritto di conoscere il destino dei familiari scomparsi è una questione fondamentale del diritto umanitario e dei diritti umani.

Di conseguenza, il Consiglio dell’Unione europea sta sostenendo il lavoro svolto a questo scopo dalle autorità internazionali e locali in Serbia e Kosovo e le sta incoraggiando a incrementare i loro sforzi.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE) . – (DE) Signor Presidente, certamente ogni vittima è importante nella stessa misura, e pertanto accolgo con favore questa indagine. Tuttavia, il professor Hoti era veramente molto conosciuto. Sono a stretto contatto con la sua famiglia. Era il braccio destro di Ibrahim Rugova, il nostro Premio Sakharov, ed è stato ufficialmente imprigionato dai serbi. In questo caso, devono sapere dove si trova! Si tratta di una questione che deve essere formalmente chiarita con il governo di Belgrado, con il coinvolgimento del Consiglio. Che cosa dice il governo serbo dei nascondigli del suo prigioniero, per cui si è assunto la responsabilità, visto che lo tiene in custodia?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Signor Presidente, come ho già affermato, il Consiglio naturalmente sta sostenendo tutti gli sforzi compiuti dalle autorità dotate di responsabilità diretta in quest’ambito per cercare di determinare dove si trovi il professor Ukshin Hoti. Ci rendiamo conto inoltre, come ho detto, che si tratta di un problema relativo ai diritti umani e la loro tutela. A questo proposito, deve diventare parte del nostro dialogo politico con i rispettivi governi che sono responsabili in merito.

 
  
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  Presidente . −Annuncio l’

interrogazione n. 13 dell’onorevole Robert Evans (H-0710/07)

Oggetto: Mutamento climatico

Reputa tuttora il Consiglio che l’obiettivo dell’Unione europea di mantenere l’incremento di temperatura globale a 2° centigradi sarà probabilmente raggiunto?

Ha il Consiglio già discusso quali misure addizionali è necessario esaminare a livello UE per affrontare le preoccupazioni espresse nella relazione 2007 del Comitato intergovernativo sul mutamento climatico (IPCC)?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, com’è noto, i leader europei hanno deciso di inviare alla comunità internazionale un preciso segnale della loro determinazione a combattere i cambiamenti climatici prendendo gli impegni seguenti, nell’ottica di incoraggiare i negoziati su un accordo globale per il periodo post-2012.

Finché non si raggiungerà il suddetto accordo, l’Unione europea si è impegnata in modo deciso e indipendente a ottenere, entro il 2020, una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra pari almeno al 20 per cento dei livelli del 1990. Secondo, l’Unione europea è pronta ad adoperarsi per una riduzione del 30 per cento nel caso i paesi sviluppati facciano lo stesso.

L’Unione europea ritiene di dover assumere il ruolo di guida in termini di ambiziose riduzioni delle emissioni in modo che i paesi avanzati possano convincere i paesi in via di sviluppo a contribuire allo sforzo globale.

Chiaramente, un obiettivo ambizioso rafforzerà inoltre il mercato mondiale del carbonio, che deve rimanere operativo al fine di limitare i costi derivanti dalle riduzioni delle emissioni. Sono già state adottate diverse misure secondo il programma europeo per il cambiamento climatico, e ne sono previste altre nell’ambito dell’analisi strategica della politica energetica nell’Unione europea al fine di realizzare una parte significativa dell’obiettivo di riduzione dei gas a effetto serra.

Il regime delle quote di emissione rivestirà un ruolo essenziale nel concretizzare gli obiettivi a lungo termine dell’UE volti a ridurre le emissioni di gas a effetto serra e la sua analisi sarà fondamentale nel realizzare i traguardi complessivi stabiliti per l’Unione europea.

 
  
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  Robert Evans (PSE) . (EN) Signor Presidente in carica, la ringrazio per la sua risposta abbastanza incoraggiante. Ha affermato di voler trasmettere un segnale forte e che occorre un accordo globale. Ero interessato a sentire l’obiettivo del 30 per cento. Sono d’accordo con lei che occorra essere ambiziosi. Naturalmente, si tratta di una questione che non riguarda solo gran parte dei cittadini europei, ma che li preoccupa anche molto.

Mi chiedo se possa esprimere un po’ più nel dettaglio il suo parere su quali iniziative realmente positive potremmo intraprendere per incoraggiare quei paesi che dovrebbero essere in grado di fare di più, come gli Stati Uniti, e per aiutare quei paesi, come Cina, India o Russia, che probabilmente al momento stanno lottando. In che modo possiamo agire effettivamente per far proseguire questo processo, anziché parlare? Non insinuo che sia tutto ciò che avete fatto ma, invece di parlare della questione, cosa abbiamo effettivamente intenzione di fare perché si realizzi?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Gli strumenti disponibili per l’Unione europea sono strumenti diplomatici e, inoltre, la nostra convinzione e, dovremmo dire, determinazione politica. Ritengo che il metodo migliore per persuadere gli altri a seguire il nostro esempio è essere guida ed esempio, che è proprio ciò che stiamo facendo.

Chiaramente, fissando obiettivi ambiziosi che corrispondono alle aspettative che i nostri cittadini si attendono da noi, stiamo preparando la strada non solo nell’Unione europea, ma anche a livello globale. Questo aspetto ispira l’opinione pubblica in altri paesi che a sua volta spinge i rispettivi governi ad adottare misure conformi ai nostri obiettivi ambiziosi.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l’effetto di questa guida, a mio parere, è stato evidente. L’esempio offerto dall’Unione europea a questo proposito, a livello mondiale, ha fatto sì che la società statunitense abbia esercitato una pressione sulle rispettive autorità per dover essere anche maggiormente ambiziosi. La mia opinione personale è che Al Gore, avendo ricevuto il Premio Nobel per la pace per le questioni relative al mutamento climatico, ha molto a che fare con questa situazione, la nostra politica ambiziosa, la volontà di cambiamento, di far sì che gli altri si adoperino per i nostri obiettivi, naturalmente in un quadro di diplomazia multilaterale mediante le Nazioni Unite.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE) . (EN) Posso invitare il Parlamento ad assumere un ruolo guida spegnendo l’aria condizionata, considerato che sono congelata e che potrebbe favorire il nostro contributo ai cambiamenti climatici?

Signor Presidente in carica, ha risposto a una delle domande che avevo intenzione di porre, ma forse ci vorrà qualcosa più di Al Gore per coinvolgere l’opinione pubblica. Vorrei quindi chiedere al Consiglio di descrivere come intende tradurre la preoccupazione in azione a livello pubblico nell’Unione europea, e anche di tenere conto che non vogliamo bloccare i progressi del mondo in via di sviluppo, poiché, effettivamente, il fatto che siano in via di sviluppo è vantaggioso.

 
  
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  Presidente . − Cercheremo di risolvere il problema della temperatura in quest’Aula.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Onorevole McGuinness, la ringrazio per la sua domanda. Ciò che dobbiamo fare è impegnarci in una campagna continua relativa all’aumento della sensibilità e alle informazioni. Dobbiamo inoltre assumere un ruolo guida, ed è stato fatto.

Chiaramente c’è ancora molto da fare, ma ritengo che il processo di accrescere la sensibilità tra le persone in merito alla questione dei cambiamenti climatici stia guadagnando sempre più terreno, poiché gli effetti si notano ogni giorno, sono reali e si possono percepire. Potrei menzionare la mia esperienza personale, se è d’interesse. Il clima in Portogallo quando avevo sei o sette anni non è lo stesso di oggi che ho cinquant’anni. Di fatto, ho osservato, come altri, che la situazione è cambiata. Di conseguenza, le persone si domandano il motivo per cui è cambiata e quali sono le conseguenze.

Dall’altro lato, gli Stati membri devono adottare la legislazione necessaria per affrontare, arrestare o ridurre al minimo le cause dei cambiamenti climatici. I paesi membri si sono impegnati politicamente a livello europeo e ora devono mantenere tali impegni per adottare la legislazione necessaria e garantire che sia rispettata in maniera adeguata. Ancora una volta dobbiamo essere un esempio per il mondo.

Non vorrei sottovalutare la campagna dell’ex Vicepresidente Alle Gore poiché ha avuto un impatto significativo sull’opinione pubblica nel mondo.

 
  
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  Presidente . −Annuncio l’

interrogazione n. 14 dell’onorevole Mairead McGuinness (H-0713/07)

Oggetto: Agitazione sui mercati finanziari mondiali

La crisi verificatasi in Europa a seguito dell’instabilità dei mercati finanziari americani è stata oggetto di un dibattito, in occasione di una recente riunione informale dei ministri delle finanze dell’Unione europea (svoltasi a Oporto, il 14 e 15 settembre). Potrebbe il Consiglio delineare la natura di tale dibattito? Ha il Consiglio esaminato il caso particolare della banca Northern Rock, attualmente in gravi difficoltà finanziarie dovute all’instabilità che regna negli Stati Uniti?

Ritiene che tale questione avrà implicazioni più vaste per i mercati finanziari europei?

Infine, è convinto che le garanzie attualmente esistenti nel settore dei servizi finanziari forniscano una protezione adeguata ai consumatori, in particolare a quelli che hanno acquistato prodotti finanziari al di fuori del proprio Stato membro di residenza?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, ciò che devo dire in merito sono le seguenti considerazioni. Nella riunione informale dei ministri delle Finanze dell’UE e dei governatori delle banche centrali che si è svolto nella città portoghese di Porto il 14 e 15 settembre, sono state discusse diverse questioni, inclusi gli sviluppi della situazione economica e finanziaria.

Come indicato sul sito Internet della Presidenza portoghese, la nostra valutazione è divisa in due parti. Da un lato, riteniamo di attraversare un periodo d’instabilità e di riconsiderazione dei rischi sui mercati finanziari globali, provocati dalle difficoltà del mercato delle pratiche di concessione dei mutui subprime negli Stati Uniti, che sono passati sul sistema finanziario globale mediante complessi strumenti finanziari.

E’ stato colpito anche il funzionamento dei mercati monetari e ciò ha richiesto un intervento immediato e deciso dalle principali banche centrali, compresa la Banca centrale europea. Dall’altro lato, anche se è innegabile che il terremoto finanziario abbia accresciuto l’incertezza relativa alle prospettive economiche, le basi macroeconomiche dell’Unione europea sono solide e la crescita mondiale rimane vigorosa, nonostante il rallentamento degli USA.

Le istituzioni finanziarie europee sembrano forti e la loro sana redditività degli ultimi anni garantisce che siano nella posizione di superare l’attuale periodo di maggiore instabilità sui mercati finanziari.

Tuttavia, vorrei rilevare che non sono stati discussi casi specifici negli Stati membri. Durante tale valutazione, abbiamo anche esaminato le lezioni che è possibile trarre dalla recente instabilità dei mercati finanziari. E’ stato rilevato che, benché nel settore finanziario esista un solido quadro di regolamentazione e controllo che è stato consolidato dalla nuova legislazione come l’attuazione della direttiva sui requisiti patrimoniali e dal lavoro sulla direttiva Solvibilità II, dobbiamo restare vigili, in particolare alla luce dei rapidi e innovativi sviluppi nell’ambito dei prodotti finanziari.

Di conseguenza, il recente episodio del terremoto finanziario ha aumentato l’urgenza di certe questioni che sono ancora sull’agenda del Consiglio e ha accresciuto la necessità per l’Unione europea di trovare, oltre ai suoi partner internazionali, metodi volti a rafforzare la trasparenza, migliorare i processi di valutazione, continuare a potenziare la gestione dei rischi e perfezionare il funzionamento del mercato, in particolare per quanto riguarda i prodotti finanziari complessi.

Il Consiglio Ecofin del 9 ottobre ha concordato un dettagliato programma di lavoro che gli organismi pertinenti a livello UE devono eseguire fino alla fine del 2008, in stretta collaborazione con i principali partner internazionali.

Nella stessa riunione del Consiglio Ecofin di ottobre, sono state inoltre adottate conclusioni sul rafforzamento dei meccanismi di stabilità finanziaria nell’Unione europea. Tali conclusioni sono disponibili sul sito Internet del Consiglio e rappresentano il risultato tangibile di una preparazione di oltre un anno. In particolare, il Consiglio ha adottato una serie di principi comuni per guidare una cooperazione tra le autorità nazionali nell’ambito della stabilità finanziaria.

Inoltre, si è concordato di ampliare il protocollo d’intesa sulla cooperazione e lo scambio di informazioni firmato nel 2005 dalle autorità di vigilanza bancaria dell’UE, le banche centrali e i ministri delle Finanze al fine di includere tre nuovi elementi: primo, i principi comuni adottati formalmente nella riunione; secondo, un quadro analitico congiunto per la valutazione delle implicazioni sistematiche di una possibile crisi, e, terzo, orientamenti pratici comuni sulle procedure da seguire in potenziali situazioni di crisi transfrontaliere.

E’ stato quindi definito un programma di lavoro dotato di una tabella di marcia e di altre azioni da compiere per consolidare l’efficacia dei meccanismi di stabilità finanziaria nell’Unione europea. Chiaramente, tutto questo lavoro è destinato a proteggere i consumatori e gli investitori che dipendono dal corretto funzionamento dei mercati finanziari.

Consentitemi di concludere evidenziando che, per quanto mi è noto, il Consiglio, insieme al Parlamento europeo e alla Commissione, sottoscrive l’obiettivo di ottenere livelli efficaci di sorveglianza e regolamentazione attenta al fine di garantire stabilità finanziaria, competitività globale e tutela dei consumatori.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE) . (EN) Signor Presidente in carica, la ringrazio. Dovrei analizzare la sua risposta molto dettagliata, di cui riconosco il valore, poiché si tratta di una questione molto seria.

Si dovrebbe essere d’accordo che è stata annullata la fiducia dei risparmiatori della Northern Rock, e che si verifica una reazione a catena. La fiducia, in effetti, è fondamentale per la stabilità del sistema bancario e anche per i servizi transfrontalieri e l’attività nel settore dei servizi finanziari.

Ritiene che gli interventi che ha descritto siano sufficienti per ristabilire la fiducia?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Il Consiglio può sempre sorprendere i deputati. Come ho detto, il Consiglio Ecofin ha chiesto a un gruppo di lavoro di esaminare approfonditamente e nel dettaglio la situazione e, inoltre, qualsiasi nuovo strumento o misura che, in futuro, potrebbe evitare che situazioni simili colpiscano i mercati finanziari europei. E’ quindi pronto ad affrontare i problemi poiché ha invitato gli organismi competenti a svolgere un lavoro particolareggiato. Ha esortato questo gruppo di lavoro a proporre i provvedimenti che potrebbero essere necessario adottare al fine di prevenire situazioni simili a quelle attuali. Dovremo attendere e vedere se tali misure in pratica si dimostreranno efficaci. Tuttavia, il Consiglio sarà informato dei provvedimenti da adottare per evitare che la nostra economia, in futuro, subisca un ulteriore terremoto finanziario.

Devo dire che tale questione è stata inclusa nella riunione informale dei capi di Stato e di governo che si è svolta a Lisbona la scorsa settimana. Durante questa riunione, i nostri capi di Stato e di governo hanno sottolineato più volte il seguente messaggio: primo, che l’economia europea mostra ciò che gli economisti definiscono “buone basi”, in altre parole le nostre economie restano solide e, secondo, che sostiene le misure che sono state intraprese da Ecofin e che sono state proposte in questo settore.

 
  
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  Presidente . −Annuncio l’

interrogazione n. 15 dell’onorevole Johan Van Hecke (H-0717/07)

Oggetto: Aumento del numero di agenzie europee

Attualmente si contano 23 agenzie europee ripartite tra diversi paesi e diverse città dell’UE. Sulla loro attività e sul loro funzionamento non esiste praticamente alcun controllo. L’ultima in ordine di tempo è l’Agenzia per i diritti fondamentali, con sede a Vienna, che attualmente impiega 100 persone. L’obiettivo dell’Agenzia è quello di vigilare sul rispetto dei diritti dell’uomo nell’Unione europea, compito già perfettamente svolto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nonché dal Consiglio d’Europa, ambedue con sede a Strasburgo. Tutte queste agenzie spendono circa un miliardo di euro l’anno, finanziato dai contribuenti. Secondo alcuni osservatori, ad ogni Consiglio europeo nasce una nuova agenzia...

Intende il Consiglio istituire ancora nuove agenzie? Si è riflettuto con il necessario rigore sull’effettiva necessità di tale iniziativa? E’ il Consiglio consapevole del relativo impatto finanziario sul bilancio europeo? E’ disposto il Consiglio a sopprimere talune agenzie qualora la loro esistenza non sia sufficientemente giustificata?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, onorevole Van Hecke, vorrei porre l’accento sul fatto che le domande relative all’istituzione e la chiusura delle agenzie comunitarie dovrebbero essere rivolte alla Commissione che ha il diritto esclusivo d’iniziativa a questo proposito. Gli organismi legislativi, il Parlamento e il Consiglio, agiscono esclusivamente dietro proposte presentate dalla Commissione. Per quanto riguarda il Consiglio, l’onorevole deputato può stare certo che l’esigenza di istituire una nuova agenzia è considerata attentamente in ogni caso.

Per quanto riguarda l’aspetto relativo al bilancio delle agenzie, rimanderei il deputato alla dichiarazione comune del 18 aprile 2007 in cui le tre istituzioni hanno concordato una serie congiunta di principi per la gestione del bilancio delle agenzie comunitarie esistenti o future.

 
  
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  Johan Van Hecke (ALDE) . – (NL) Signor Presidente, desidero ringraziare il Ministro per la sua replica. Il mio interesse nel porre tale interrogazione era duplice: primo, l’esplosione del numero di agenzie istituite dopo ogni seduta del Consiglio; 12 nuove agenzie in cinque anni, con un incremento del personale che lavora per tali agenzie da 166 a 3 700. La seconda parte di questa domanda è: il Consiglio rivaluterà la necessità di mantenere queste agenzie su base regolare, quando non esiste più ragione della loro esistenza? La mia seconda preoccupazione è relativa al modo in cui il Consiglio in sé organizzerà il proprio controllo interno in merito alle spese di tutte queste agenzie, e al ruolo che prevede per il Parlamento in questo processo.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Onorevole Van Hecke, come ho già menzionato, la proposta di istituire un’agenzia è presentata dalla Commissione europea e quindi, insieme alla Commissione, il Consiglio valuta se è giustificata o meno. Pertanto, si decide conformemente alle norme del trattato. Devo dire che il Portogallo ospita un’agenzia, l’Agenzia europea per la sicurezza marittima che ha sede a Lisbona, che ritengo sia certamente un’agenzia europea molto utile.

Per quanto riguarda la gestione specifica delle agenzie, com’è noto, sono dotate dei propri sistemi di sorveglianza che, a mio parere, sono abbastanza rigorosi. Inoltre, le istituzioni hanno altresì concordato, come menzionato, una serie di principi applicabili direttamente alla gestione del bilancio di queste agenzie comunitarie.

La mia esperienza personale mi assicura che occorre prestare particolare attenzione a garantire una gestione inflessibile e un uso preciso dei fondi resi disponibili per queste agenzie. Si tratta della mia esperienza personale, per quanto vale.

 
  
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  Presidente . − Annuncio l’

interrogazione n. 16 dell’onorevole Bill Newton Dunn (H-0719/07)

Oggetto: Rete di contatto di emergenza 24/7 contro la cibercriminalità

Da fonti di informazione statunitensi risulta che dieci Stati membri dell’UE non fanno parte della rete di contatto di emergenza 24/7 contro la criminalità informatica. Si tratta di Belgio, Cipro, Estonia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Polonia, Slovacchia e Slovenia, nonché il Portogallo che detiene attualmente la presidenza in carica del Consiglio.

Quale importanza annette il Consiglio alla lotta contro la cibercriminalità internazionale?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, onorevole Newton Dunn, il Consiglio non è stato informato della partecipazione degli Stati membri a questa rete, che è soprattutto un’iniziativa del G8 e degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Di conseguenza, il Consiglio non può confermare o smentire. Tuttavia, il Consiglio considera estremamente importante la lotta contro la cibercriminalità, come dimostrato dall’adozione della decisione quadro 2005/222/GAI del 24 febbraio 2005 relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione e dal fatto che il Consiglio abbia appoggiato la rapida ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica del 23 novembre 2001.

Inoltre, le conclusioni del Consiglio su una politica generale in materia di lotta contro la cibercriminalità saranno presentate e discusse durante il prossimo Consiglio Giustizia e Affari interni che è previsto per novembre.

Per di più, il Portogallo è dotato di un punto di riferimento centrale nazionale che è sempre disponibile ed è responsabile della lotta contro questo tipo di crimine tramite Interpol e una rete operativa globale.

 
  
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  Bill Newton Dunn (ALDE) . (EN) La ringrazio, signor Presidente in carica, per questa risposta piuttosto aperta, onesta e che si limita ai fatti. Al prossimo incontro del Consiglio GAI, a cui ha fatto riferimento, farà notare l’aspetto interessante relativo al fatto che il Consiglio non sembra essere a conoscenza di ciò, e che 10 paesi membri non sono coinvolti, cosa che mi pare del tutto straordinaria? Solleverebbe tale questione nel Consiglio?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Tengo in considerazione la sua domanda e la sua preoccupazione. Se tale discussione sarà sull’agenda e affrontata, naturalmente sarà deciso in seguito, ma darò voce alla sua preoccupazione in merito.

 
  
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  Presidente . −Annuncio l’

interrogazione n. 17 dell’onorevole Ilda Figueiredo (H-0723/07)

Oggetto: Divieto di visita a cittadini cubani imprigionati negli Stati Uniti d’America

Nel corso di quest’anno, ho chiesto autorizzazione al governo degli Stati Uniti per visitare i cittadini cubani René González, Gerardo Hernández, Antonio Guerrero, Ramon Labañino e Fernando González, detenuti illegalmente in prigioni nordamericane. Tuttavia, tale autorizzazione mi è stata negata con la causale che non li conoscevo prima del loro arresto.

Sono venuto a sapere che, ancora una volta, nel settembre di quest’anno, sono stati altresì rifiutati i visti di visita a due delle mogli di tali prigionieri, che da nove anni non possono visitarli a causa di successivi rifiuti.

Che pensa di tale situazione che non rispetta i diritti umani dei cittadini in questione? E’ disposto a trasmettere la presente preoccupazione alle autorità nordamericane?

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. −(PT) Signor Presidente, onorevole Figuereido, come certamente sa, la decisione di un paese se concedere o meno l’accesso al proprio territorio è una questione di competenza nazionale. Nel caso specifico del trattamento riservato ai prigionieri cubani e ai loro familiari, si tratta di una questione bilaterale tra gli Stati Uniti e Cuba poiché, secondo la Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, la tutela dei diritti e degli interessi all’estero dei cittadini di un paese è responsabilità di quel paese.

Al Consiglio, quindi, non compete fornire un’opinione in merito.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL) . – (PT) Questo è vero, ma la Presidenza deve considerare quest’aspetto: ci sono cinque cittadini cubani detenuti da nove anni in carceri statunitensi e a cui sono state negate le visite da parte dei familiari e, inoltre, per due di loro, da parte delle mogli. Queste ultime sono giunte in precedenza in questo Parlamento e, di fatto, oggi sono presenti in Aula. E’ altresì vero che sono europarlamentare e che ho chiesto l’autorizzazione per visitare questi cittadini, ma mi è stata negata. Ora sono deputato di quest’Aula; non ho avanzato tale richiesta esclusivamente in quanto cittadina, ma anche come rappresentante di questo Parlamento. Ritengo che il Parlamento europeo e il suo Presidente, e naturalmente la Presidenza portoghese, dovrebbero prendere posizione a questo proposito, tenendo presente che negare l’autorizzazione alla visita di uno dei deputati di quest’Aula, in questo caso io, rappresenta una violazione dei diritti umani e dimostra inoltre una mancanza di rispetto per quest’Assemblea. Tuttavia, anche altri europarlamentari sono interessati a questo episodio e pertanto, signor Presidente, le chiedo di comunicare la nostra preoccupazione.

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Manuel Lobo Antunes . −(PT) Signor Presidente, ovviamente ho prestato attenzione alle osservazioni e i commenti espressi dall’onorevole Figueiredo, ma non ho nient’altro da aggiungere alla mia risposta precedente. Deve anche capire che non posso riferire un parere personale in merito.

 
  
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  Presidente . Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).

Il tempo delle interrogazioni riservato al Consiglio è chiuso.

(La seduta, sospesa alle 19.30, è ripresa alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARTINEROURE
Vicepresidente

 

16. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale

17. Produzione di oppio in Afghanistan a fini medici (discussione)
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  Presidente . L’ordine del giorno reca la relazione dell’onorevole Cappato, a nome della commissione per gli affari esteri, contenente una proposta di raccomandazione del Parlamento europeo al Consiglio sulla produzione di oppio in Afghanistan a fini medici [(2007/2125(INI)] (A6-0341/2007).

 
  
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  Marco Cappato, relatore. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, con questo rapporto noi proponiamo al Parlamento di prendere un’iniziativa, di fare una proposta al Consiglio, innanzi tutto nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune sulla questione della produzione di oppio in Afghanistan.

Partendo da una considerazione che è quella dei risultati che sono stati ottenuti finora, secondo cui nel giro di due anni vi è stato un aumento del 50 per cento della produzione di oppio utilizzato poi per produrre l’eroina, sembra che questa montagna enorme di produzione – che poi va tutta ad arricchire non certo i coltivatori, i contadini, ma le grandi narcomafie internazionali, i terroristi, i talebani – sembra che non si riesca a trovare una politica efficace per ridurla.

Allora il rapporto parte anche da un’altra considerazione: che in realtà al tempo stesso esiste una grandissima scarsità di accesso alle terapie antidolore: l’80 per cento della popolazione mondiale non ha alcun accesso alle terapie antidolore. Naturalmente le due questioni potrebbero essere considerate completamente separate, crediamo però che sia compito di istituzioni politiche anche essere pragmatici, quindi comprendere come di fronte a questa enorme quantità di produzione che viene utilizzata poi per l’eroina – e invece dall’altro lato enorme scarsità di un prodotto che deriva dalla stessa produzione agricola – non sia possibile, come dire, combinare i due dati di partenza.

Allora, grazie anche agli emendamenti che sono stati proposti in commissione affari esteri e al gruppo socialista, la collega Gomes, ma anche gli emendamenti che sono stati proposti dal gruppo popolare per la plenaria, hanno comunque contribuito a fare sì che la proposta oggi sul tavolo non è una proposta alternativa, diciamo di scontro o per sostituire dall’oggi al domani la politica fin qui seguita.

Quello che noi vi chiediamo, che chiediamo al Consiglio, che chiediamo alla Commissione, è di fare un esperimento, di fare un tentativo di provare dei progetti pilota per convertire una parte di quella coltivazione utilizzata oggi per produrre eroina, utilizzarla per produrre farmaci antidolore e avviare quindi, anche sul lato della domanda, delle politiche che vadano e che cerchino di portare terapie antidolore in quei continenti come l’Africa e l’Asia che sono praticamente sprovvisti di qualsiasi medicina di questo tipo.

Ecco perché il rapporto così come è uscito dalla commissione esteri, e come si propone anche di emendare, mi pare che rispetti un fondamentale equilibrio e parta da una concezione molto semplice: che probabilmente, io credo certamente, sia più facile collaborare con i contadini se gli si propone di convertire una parte della loro produzione a dei fini legali, che non invece andare unicamente con la risposta della eradicazione, della suffumigazione, della distruzione delle piantagioni, perché questa risposta in realtà crea una ragione di conflitto in più con le popolazioni locali e si è rivelata, quanto meno fino ad oggi, non produttiva e inutile.

Allora io spero che dietro al discorso ufficiale che comprendo dei governi europei, del governo afghano, che comunque rivendicano la necessità di lottare contro la produzione di oppio, oltre a questo discorso ufficiale, ci sia però anche e forse il Parlamento europeo è più libero di proporlo – ci siamo assunti e spero che ci assumeremo domani con il voto questa responsabilità – siamo più liberi di proporre che si facciano anche degli esperimenti alternativi da valutare in modo pragmatico, non ideologico.

Ciascuno qui ha le proprie idee sulla politica internazionale e sulle droghe, sulla politica internazionale in Afghanistan. Questo rapporto non vuole essere una proposta ideologica, ma un tentativo concreto di contribuire a trovare una soluzione a quello che è veramente un dramma di portata globale.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, anch’io desidero ringraziare l’onorevole Cappato – tante grazie!

Accolgo con favore questa discussione molto opportuna sul problema relativo alla droga, e in particolare a quello dell’Afghanistan, che, com’è noto, è una questione alquanto complessa nel contesto politico e in materia di sicurezza.

Di recente abbiamo condotto numerose discussioni a New York. Ci sono stati alcuni dibattiti molto importanti durante l’Assemblea generale dell’ONU con il Presidente Karzai, con il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, e con un gran numero di paesi. Tali dibattiti si sono incentrati proprio su questa complessa questione.

La discussione di stasera contribuisce a un dibattito più ampio sulla ricostruzione dell’Afghanistan, ma anche sul ruolo delle droghe. Permettetemi di farvi i complimenti per aver istituito la delegazione del PE per le relazioni con l’Afghanistan. Ci stiamo appassionando al vostro operato e riteniamo molto importante aver agito in questo modo.

L’industria della droga in Afghanistan presenta effettivamente un’enorme sfida per i progressi nella costruzione dello Stato. L’ultima relazione del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (PSNU) si dirige verso un’interpretazione problematica. Purtroppo, sia la coltivazione del papavero, sia la capacità di lavorazione hanno avuto un significativo incremento. Le province meridionali dell’Afghanistan sono le più colpite, con il 70 per cento dell’intera produzione. Il forte legame tra rivolte ed economia della droga rappresenta difficilmente una sorpresa. Tuttavia, non dobbiamo trascurare gli sviluppi positivi, in particolare nelle zone più stabili del paese, in cui sono avvenuti reali miglioramenti in salute e istruzione, nonché nella crescita economica.

Tredici province nell’Afghanistan settentrionale e centrale, in effetti, sono libere dalla coltivazione del papavero. Tale condizione, almeno, è molto promettente, e su cui possiamo compiere progressi. La relazione Cappato fornisce un quadro completo di questa situazione, e devo ringraziarla per i suoi incoraggianti commenti sull’operato della Commissione, e sottolinea inoltre, piuttosto giustamente, la responsabilità dell’Afghanistan nel trattare l’industria dell’oppio. A questo proposito siamo in totale accordo.

Eppure, devo dire che non posso approvare, almeno non ancora, le conclusioni raggiunte nella relazione, che propone di legalizzare il papavero da oppio a fini medici, sebbene a livello sperimentale. A prima vista potrebbe sembrare una proposta interessante, ma sfortunatamente non esistono risposte semplici al complicato problema della droga in Afghanistan.

Consentitemi di condividere con voi alcune delle mie preoccupazioni. Paesi come Australia, Turchia e India, che producono già oppio grezzo a scopo medico, di solito dispongono di un’efficace applicazione della legge e non presentano conflitti molto estesi. Anche in questo caso, l’applicazione è molto complicata. Laddove non si soddisfacessero tali condizioni, l’oppio coltivato legalmente è prontamente eliminato, come accaduto in Perù e Bolivia. Ovviamente, nel caso dell’Afghanistan, temiamo che una coltivazione legale si aggiungerebbe semplicemente a quella illegale, anziché sostituirla. Inoltre, la produzione legale di oppio non attrae gli agricoltori locali, poiché i loro ricavi sarebbero pari solo a circa il 25-30 per cento di ciò che possono ottenere adesso al mercato nero.

L’attuazione di un sistema simile è complessa, e fattibile solo con sussidi per il controllo della qualità e la distribuzione di prodotti medici. Dovremmo sostenere tutto ciò con il denaro dei contribuenti? Il governo afghano, che notoriamente è debole e dotato di istituzioni inefficaci, purtroppo, adesso non ha, ed è per questa ragione che ho detto “non ancora”, la capacità di soprintendere a tale sistema.

In alcune zone del paese, al momento, semplicemente non esiste governo, per non parlare di buon governo. Questa situazione è valida in particolare per le instabili province meridionali, in cui si produce la maggior parte dell’oppio. Finalmente lo stesso governo afghano ha escluso fermamente, e si tratta di un argomento importante, qualsiasi produzione legale di oppio.

Con queste premesse, il messaggio politico in questa relazione non trasmette veramente il giusto segnale ai nostri partner afghani. Potrebbe addirittura ritorcersi contro di noi. La dura e innegabile verità è che la ricostruzione in Afghanistan avrà bisogno di più tempo e risorse. Richiederà inoltre energia, se abbiamo intenzione di introdurre uno sviluppo durevole a questo paese distrutto dalla guerra.

Progressi nella costruzione dello Stato sono possibili soltanto con maggiore determinazione, anche da parte della leadership politica dell’Afghanistan, in particolare a livello locale. Era questo, per inciso, il messaggio che abbiamo comunicato a New York. Sono d’accordo che sia giunto il momento di affrontare apertamente la corruzione. Non solo abbiamo affermato ciò, ma stiamo anche cercando di contribuire a tale aspetto sviluppando un efficace sistema giudiziario e facendo sì che le forze di polizia funzionino davvero, al fine di convincere gli afghani comuni che spesso restano scettici.

La strada da percorrere è chiara: è attraverso una strategia nazionale di controllo delle droghe in Afghanistan, che è stata appoggiata dalla comunità internazione e che contiene tutti gli elementi necessari. Questa iniziativa merita veramente il nostro completo sostegno, essendo una strategia esaustiva che include interdizione, informazione pubblica, azioni penali contro noti spacciatori di droga e la promozione dello sviluppo locale.

Laddove è stata impiegata un’attenta combinazione politica simile, gli agricoltori hanno già abbandonato la coltivazione del papavero in modo equilibrato. In questo quadro, la Commissione ritiene che la proposta di legalizzare il papavero da oppio potrebbe solo indebolire il lavoro che sta attualmente svolgendo in altri settori, in particolare a riguardo dello Stato di diritto e dell’ordine pubblico.

 
  
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  Carlo Fatuzzo, a nome del gruppo PPE-DE. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, non ho il minimo dubbio che l’onorevole Cappato, al quale mi lega amicizia da lungo tempo, stia cercando disperatamente di dare un contributo alla lotta contro la droga nel mondo e all’aiuto agli sfortunati giovani o anziani che si trovano a soffrire vicini alla morte e possono essere aiutati anche dalle droghe, ma purtroppo non posso trovarmi sulla tua linea.

Non sono purtroppo, lo ripeto, del tuo pensiero, perché credo che il problema nasce proprio dal fatto che la tua proposta coinvolge l’Afghanistan, uno Stato nel quale più insicurezza non ce ne potrebbe essere. Sì, c’è l’Iraq che forse è più insicuro, ma credo che l’Afghanistan non sia certo il luogo dove si possa iniziare un tentativo di convincere i contadini ad abbandonare la coltivazione per loro molto lucrosa del papavero e passare a coltivazioni molto più giuste e molto più da Antico Testamento e anche da civiltà contadina che tutti quanti noi conosciamo.

Proprio dalla tua relazione si evince chiaramente che la più grande quantità di droga nel mondo, all’incirca la metà, proviene proprio dall’Afghanistan e in Afghanistan la coltivazione dell’oppio è illegale. Eppure, pur essendo illegale, da loro arriva la metà della materia prima necessaria per uccidere i nostri giovani o per renderli vittime dei trafficanti di droghe che li invitano come sappiamo a questa nefasta, per loro e per tutta la società, pratica della droga.

Credo che l’unica arma per lottare contro tutti i trafficanti di droga, a partire dai contadini dell’Afghanistan, che a mio parere sono i primi trafficanti di droga superati dall’incapacità del governo afgano, non per colpa sua in questo momento, ma dall’incapacità di controllarli e di vigilare che rende impossibile lottare contro la droga se non con la prevenzione e quindi contribuendo a ridurre al massimo la coltivazione dell’oppio.

Per questo motivo il gruppo del Partito popolare europeo è contrario a questa parte della relazione dell’onorevole Cappato e credo che debba questo che sto dichiarando essere chiaro a tutti al di là del risultato di domani.

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Ana Maria Gomes, a nome del gruppo PSE. – (PT) Devo congratularmi con il relatore, l’onorevole Cappato, non solo per questa relazione molto utile, ma anche per la prontezza ad accettare i contributi al fine di ottenere un accordo di più ampio respiro possibile.

Le sue intenzioni originali erano lodevoli, poiché tentavano di prendere due piccioni con una fava: legalizzare la coltivazione del papavero e la produzione di oppio a fini medici non avrebbe soltanto posto fine alla produzione di eroina in Afghanistan, ma anche la carenza di antidolorifici nel mondo.

Purtroppo, siamo incappati in diversi problemi pratici, quali la fragilità delle istituzioni afghane e la loro incapacità di disciplinare la produzione di oppio, l’incertezza per quanto riguarda la praticabilità economica di un tale sistema e il pericolo di consentire la reintroduzione dell’oppio in alcune delle tredici province afghane che avevano interrotto la produzione.

Gli emendamenti del mio gruppo hanno tentato di incentrare nuovamente la relazione su un elemento essenziale: la lotta contro la produzione di oppio in Afghanistan, che sta influenzando non solo questo paese, ma anche quelli confinanti. Le droghe prodotte illegalmente dall’oppio costituiscono ciò che alcuni definiscono le vere armi di distruzione di massa, in particolare in Europa.

Nella lotta contro la produzione di oppio, dobbiamo essere sensibili verso le caratteristiche individuali delle diverse regioni afghane. Solo una combinazione di misure avrà successo. Primo, deve essere sradicata la corruzione che permea l’amministrazione centrale afghana, soprattutto il Ministero dell’Interno e la polizia, poiché tale condizione ha paralizzato tutte le politiche volte a combattere la produzione di oppio. Secondo, i circa 30 trafficanti di droga identificati nel 2006 in una relazione dell’ONU e della Banca mondiale devono essere cercati, catturati e processati in modo da fermare questo traffico micidiale. Terzo, la NATO deve sostenere le operazioni afghane per lottare contro questo traffico, distruggendo laboratori e depositi, e impedendo il trasporto di droga. Quarto, le azioni di eliminazione del papavero devono essere attuate con attenzione e selezione e concentrate in zone in cui gli agricoltori dispongono di alternative reali.

Ciò ci conduce agli aspetti di accordo con il relatore. Tutti ci opponiamo alla suffumigazione indiscriminata delle piantagioni di papavero, come sostenuto dagli USA, che ingrosserebbe esclusivamente le file dei talebani senza alterare in modo sostanziale la produzione di eroina.

Infine, nel quadro di un pacchetto di misure per affrontare il problema afghano della droga, si dovrebbe studiare la proposta del relatore a favore di un progetto pilota per la produzione legale di analgesici a base di oppio. Più che altro, la relazione cerca di incoraggiare il Consiglio europeo a essere creativo e audace nella lotta contro la produzione di eroina in Afghanistan. Non esistono soluzioni semplici a questo problema, ma sappiamo che il terrorismo e il violento oscurantismo patrocinato da talebani e Al Qaeda saranno sconfitti solo quando l’Afghanistan sarà liberato dalle grinfie delle droghe.

Signora Presidente, sto per terminare. Questa relazione deve essere considerata come un urgente appello agli Stati membri a non risparmiare gli sforzi nella ricostruzione economica e politica di un paese che è stato colpito così duramente da conflitti sanguinosi e che è così importante per la sicurezza regionale e globale.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE) . (EN) Signora Presidente, intervengo in merito a livello personale, e non a nome del mio gruppo.

La produzione di oppio illegale in Afghanistan è cresciuta da quando gli USA e le forze alleate sono giunte nel paese, ciò malgrado l’istituzione di diverse autorità contro la produzione di droga e di programmi antinarcotici, utilizzando talvolta grandi somme di denaro europeo dei contribuenti.

Pertanto è ovvio, anche per un cieco, che gli afghani continueranno a produrre oppio qualunque cosa accada. La ragione di ciò è piuttosto semplice. Le agenzie mondiali antinarcotici stanno crescendo in dimensioni, numero e competenze, e stanno svolgendo il loro lavoro in maniera più efficace. Riescono quindi a confiscare maggiori quantità di droghe. Tuttavia, poiché la domanda di chi è dipendente dalla droga rimane inalterata e che i trafficanti continuano a ottenere grandi profitti dalla fornitura illegale di oppio a queste persone ammalate, il prezzo degli oppiacei sale e i guadagni del commercio di oppio aumentano.

Quindi, gli afghani stanno solo seguendo i principi di base del mercato libero. Stanno incrementando la loro produzione al fine di soddisfare la domanda illegale e di aumentare i loro profitti. Pertanto, è un autentico errore attendersi che sostenere maggiori programmi di controllo dell’oppio in Afghanistan avrà effetti significativi.

L’unico modo di affrontare efficacemente la produzione dell’oppio in Afghanistan, e in altri posti interessati, è affrontare il problema della droga a livello globale. L’unico metodo sensato per farlo è legalizzare le droghe e riconoscere che i tossicodipendenti non sono criminali ma persone malate bisognose d’aiuto.

Se a questi soggetti si offrissero droghe terapeutiche in sedi mediche sorvegliate, allora si migliorerebbe la possibilità di evitare gravi effetti collaterali, nonché di ottenere una disintossicazione. Nel contempo, l’enorme criminalità coinvolta nel traffico di droga scomparirebbe, e si smantellerebbero tutte le agenzie antinarcotici, conducendo a uno straordinario risparmio di bilancio.

La logica alla base di tale iniziativa è essenziale, ma i politici nel mondo hanno difficoltà a percepirla.

 
  
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  Salvatore Tatarella, a nome del gruppo UEN. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la questione affrontata dal rapporto dell’onorevole Cappato è di estrema delicatezza e richiede un’attenta valutazione da parte del Parlamento europeo per evitare che, pur mossi da buoni propositi, si arrivi a proporre soluzioni sbagliate e disastrose.

Mi preme evidenziare due considerazioni: primo, la crescente produzione di oppio e prodotti derivati in Afghanistan rischia di compromettere la ricostruzione del paese e la già difficile stabilizzazione di uno Stato di diritto in quella sfortunata regione; secondo, alla crescente produzione di oppio – aumentata in quest’anno del 30 per cento – non ha fatto riscontro un’adeguata strategia di lotta contro la droga.

Per queste ragioni ritengo del tutto inaccettabile la proposta avanzata dal rapporto e sottolineo:

1. quantità necessarie di morfina vengono già prodotte in Afghanistan dietro specifiche licenze e sotto il controllo dell’agenzia delle Nazioni Unite e del Ministero della lotta alla droga del governo afgano;

2. l’International Narcotics Control Board, un organo internazionale per il controllo degli stupefacenti, sostiene che a livello mondiale già si registra un’eccedenza di prodotti oppiacei per usi medici;

3. una produzione legale di morfina su larga scala determinerebbe un’ulteriore produzione di droga che finirebbe per incrociare la domanda proveniente dal mercato mondiale della droga ed immessa nel mercato a basso costo risulterebbe accessibile per tutti.

Occorre piuttosto contrastare la droga, sempre e comunque e con ogni mezzo, dalla produzione, al traffico, allo spaccio e contrastare la domanda attraverso una politica di valori e una costante e capillare azione di prevenzione e di informazione, soprattutto presso le giovani generazioni.

In un paese come l’Afghanistan, nelle condizioni in cui oggi si ritrova, la soluzione proposta da questo rapporto potrebbe essere riguardata come un segnale di resa e di sconfitta e potrebbe vanificare anche l’impegno che la comunità internazionale, l’Unione europea, le Nazioni Unite, le agenzie per la ricostruzione stanno promuovendo in Afghanistan attraverso programmi per la diversificazione di piantagioni di oppio in produzioni agricole sostenute da incentivi finanziari.

Chiudo soltanto citando che l’International Narcotics Control Board ha concordato con l’adesione del governo afgano che ha respinto la proposta di legalizzare la coltivazione illegale di oppio e ha ribadito il proprio impegno a rispettare gli obblighi sanciti dal trattato.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signora Presidente, desidero iniziare ponendo l’accento sul fatto che questa relazione è estremamente importante, opportuna e coraggiosa. Le due emergenze a cui si riferisce meritano un’attenzione e una risposta a livello politico che chiaramente non hanno ancora ricevuto.

Se la situazione in materia di sicurezza e di produzione di oppio in Afghanistan è sempre più preoccupante, la necessità di fornire analgesici su scala globale è una delle più serie emergenze umanitarie del nostro tempo, anche se, purtroppo, è anche una delle più trascurate.

Il relatore, l’onorevole Cappato, non ha avuto un compito facile con questo documento ed è a maggior ragione degno di nota, e ribadisco nuovamente il mio sostegno e quello del mio gruppo. Come ha affermato egli stesso, anche se il collegamento tra le due questioni non sia semplice, né necessariamente immediato, è nostra responsabilità in quanto politici analizzare le complesse realtà al fine di trovare soluzioni complicate a problemi complicati. E’ proprio ciò che fa questa relazione.

Per quanto riguarda la sicurezza in Afghanistan, non c’è dubbio che debba essere una priorità se abbiamo intenzione di attuare programmi di ricostruzione e sviluppo con garanzie future. Il problema, tuttavia, è che certi gruppi armati sono finanziati proprio in seguito alla mancanza di regolamento della produzione di oppio. Sappiamo inoltre che esistono coltivazione illegale e traffico di oppio, che costituisce il 40 per cento del prodotto interno lordo dell’Afghanistan.

Alla luce di questa situazione, ritengo sia appropriato almeno analizzare e tenere conto delle iniziative come questa del consiglio Senlis, che propone un sistema per autorizzare la coltivazione di oppio a fini medici in Afghanistan. Ciò si concentrerebbe soprattutto sulla produzione di antidolorifici quali morfina e codeina, che potrebbero anche essere venduti ad altri paesi che attualmente hanno scarso o nessun accesso a questo tipo di farmaci essenziali in seguito ad accordi commerciali preferenziali.

E’ spiacevole che questa proposta, al momento e in termini reali, non abbia ottenuto un sostegno più deciso dalla Commissione o dallo stesso governo afghano. E’ ancora più preoccupante il fatto che le misure propagandate come alternative spesso consistono nell’eliminazione chimica, come ripetutamente sottolineato dalle autorità statunitensi. Qualora si applicassero queste misure, si offrirebbe ai talebani un nuovo argomento per difendere le loro posizioni e alla fine si otterrebbe probabilmente che le comunità agricole diventino campi di ribelli.

Avrebbe inoltre ripercussioni molto gravi su salute e ambiente. E’ evidente sin dal principio che un’irrorazione aerea, soluzione che presumibilmente è stata proposta per l’Afghanistan, garantisce che la contaminazione si estenda a tutte le persone che vivono nelle zone trattate e in quelle circostanti. Ciò è stato dimostrato all’inizio dell’anno quando questa pratica è stata applicata dalla Colombia al fine di eseguire la suffumigazione della produzione di cocaina lungo il confine con l’Ecuador, con quest’ultimo che ha di conseguenza presentato una denuncia e il caso all’Aia.

Non sono un esperto e ovviamente tale questione chimica è più complessa, ma ritengo che, a questo punto, dovremmo essere ben consapevoli di alcuni dei disastri provocati da napalm e uranio impoverito. Non dovremmo ripeterli una terza volta e mi auguro che non lo faremo.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE) . – (SK) La produzione di oppio deve essere controllata. L’intera comunità internazionale deve interessarsi molto di più al controllo della produzione di oppio in ogni luogo del mondo. Gli sforzi intrapresi finora dall’ONU e dal suo Consiglio economico e sociale (ECOSOC), nonché dall’Organizzazione mondiale della sanità, per regolamentare l’uso degli oppiacei per il trattamento del dolore sono necessari, ma ancora insufficienti. Nel contempo, la comunità internazionale non deve consentire un utilizzo incontrollato di oppiacei e il loro abuso da parte di tossicodipendenti.

A mio parere, è nostro dovere non abbandonare la lotta contro l’abuso di droghe pesanti che chiaramente distruggono la vita di chi ne fa uso, né approvo l’opinione che la società dovrebbe fornire droga ai tossicodipendenti, anziché cercare di rieducarli e riportarli alla realtà. Di che cosa tratta esattamente la relazione Cappato? Secondo un punto di vista, la comunità internazionale soffre di una carenza di disponibilità di oppiacei, o potrebbe soffrirne nel prossimo futuro, ed è quindi necessario, dietro certe condizioni, acquistare questa droga dall’Afghanistan.

E’ vero che gli oppiacei sono necessari per il trattamento di diverse malattie, come analgesico post-operatorio e, ultimo ma non meno importante, per la cura di malati terminali. Tuttavia, questa teoria è soggetta ad alcuni difetti fondamentali che non è possibile ignorare nell’attuale situazione. Primo, l’attuale situazione politica in Afghanistan è instabile. In questo paese occorre combattere i talebani da un lato e favorire il mercato nero dell’oppio dall’altro. Questo mercato nero ha un impatto decisivo non solo sull’economia afghana, ma anche sulle politiche e le relazioni straniere di questo paese. Nutro seri dubbi e preoccupazioni in merito e ora spiegherò perché, a mio parere, un approccio simile non possa funzionare. I progetti che prevedono una coltivazione legale del papavero per produrre oppio non funzioneranno poiché l’International Narcotics Control Board può soltanto imporre successivamente sanzioni a un paese, ma quest’ultimo perderà una parte dei raccolti al mercato nero.

La domanda internazionale è costante. Il governo afghano non è in grado di agire come unico responsabile dei raccolti di oppio. E’ evidente che in queste circostanze il governo sarà sconfitto nella lotta contro i trafficanti. La concorrenza aumenterà il prezzo dell’oppio e gli agricoltori che coltivano legalmente papaveri passeranno al mercato nero. Oltre a ciò (ed è molto importante), i prezzi afghani non sono competitivi se paragonati all’Australia, dove un chilo di morfina costa 56 dollari, all’India in cui vale 159 dollari, o alla Turchia in cui è pari a 250 dollari. In Afghanistan il prezzo può superare i 450 dollari al chilo.

Per quanto riguarda l’uso a fini medici, se l’oppio afghano fosse utilizzato in prodotti medici, ciò si aggiungerebbe ulteriormente all’eccessiva saturazione del mercato in questo settore. Sto per concludere, signora Presidente. Mi opporrò a qualsiasi sostegno da parte dell’UE e degli Stati membri alla coltivazione del papavero in Afghanistan per almeno quattro ragioni: infrastrutture insufficienti, assenza di competitività economica, grande espansione nella direzione sbagliata e, infine, attualmente non esiste carenza di oppiacei sui mercati mondiali.

 
  
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  Józef Pinior (PSE) . – (PL) Signora Presidente, signora Commissario, vorrei iniziare ringraziando l’onorevole Cappato per il suo lavoro in merito a questa relazione. Il testo ha posto una grande sfida, poiché tenta di reagire a uno dei problemi più difficili del mondo contemporaneo.

La produzione di oppio in Afghanistan aumenta di anno in anno. Secondo l’ultimo rapporto annuale, è il doppio di due anni fa. In pratica, attualmente l’Afghanistan possiede il monopolio dell’offerta della droga più letale del mondo, costituendo il 93 per cento della produzione mondiale di oppiacei. Il nostro Presidente compare tra coloro che credono che il destino dell’Afghanistan sia una nostra causa comune. L’eroica battaglia degli afghani durante la Guerra fredda ha contribuito alla promozione della libertà nel mondo contemporaneo e alla caduta della Cortina di ferro in Europa. Adesso l’Unione europea ha il dovere di offrire all’Afghanistan assistenza militare, amministrativa ed economica.

Questa iniziativa prevede inoltre aiuti nella lotta contro la produzione di droga in questo paese. Dovremmo ricordarci che il principale incentivo per gli agricoltori afghani a produrre oppio è il profitto finanziario. Bisognerebbe tenerne conto quando elaboriamo il programma europeo di aiuti finalizzato a risolvere il problema. Perciò, desideravo complimentarmi in particolare con l’onorevole Cappato per le coraggiose proposte espresse nella sua relazione. Potrebbero contribuire ad appianare la situazione in questione.

Una di queste proposte prevede di offrire aiuti tramite l’introduzione di un progetto scientifico pilota per la produzione di papaveri a fini medici, che consentirà ulteriori ricerche nella misura in cui l’assegnazione di licenze potrà contribuire alla riduzione della povertà, alla diversificazione dell’economia rurale, allo sviluppo generale e a una migliore sicurezza. In breve, non si tratta di fare del moralismo, ma del fatto che l’Unione europea contribuisca in modo efficace a risolvere questo problema in Afghanistan.

 
  
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  Horia-Victor Toma (ALDE) . (RO) Secondo uno studio del 2007 sull’oppio in Afghanistan, condotto dall’Ufficio dell’ONU contro la droga e il crimine, la produzione di oppio ha raggiunto la cifra record di 8 200 tonnellate, con il 93 per cento della produzione mondiale di oppiacei. Pertanto, il 40 per cento del prodotto interno lordo in Afghanistan derivava dalla produzione e dal commercio illegale di oppio, coinvolgendo in questo processo 2,9 milioni di persone. Malgrado ciò, solo 10 paesi consumano l’80 per cento dei derivati dall’oppio legalmente disponibili nel mondo, mentre in oltre 150 paesi sono state riscontrate gravi carenze di trattamento determinate dal commercio illegale di oppio.

Dovremmo porre l’accento sul fatto che la fonte principale di finanziamento dei talebani e dei gruppi terroristici è il traffico illegale di droga. Inoltre, le azioni volte a eliminare o distruggere le droghe, che sono promosse dalla comunità internazionale, sono utilizzate dai leader tribali politici e militari a loro vantaggio e per annullare la concorrenza. In base a ciò che è stato detto finora, sono convinto che un approccio strategico ed equilibrato del processo di riduzione e controllo della produzione di oppio dovrebbe prevedere alternative sociali ed economiche per favorire la creazione dello Stato di diritto e delle istituzioni democratiche in Afghanistan. Perciò, un’azione simile potrebbe rappresentare una delle soluzioni fondamentali volte a prevenire ed eliminare il terrorismo.

Signora Presidente, ritengo che un piano antidroga in Afghanistan, che consiste nel controllo delle quantità di oppio impiegandole per ottenere analgesici e altri derivati, potrebbe costituire una e non l’unica soluzione economica alternativa e uno strumento per ridurre la coltivazione del papavero.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (UEN) . – (PL) Signora Presidente, desidero iniziare congratulandomi con il Commissario Ferrero-Waldner per la straordinaria esecuzione dell’Altenburg Boys’ Choir che abbiamo appena ascoltato. Ne sono rimasto veramente colpito.

Ora, tuttavia, devo passare ad argomenti meno piacevoli, ovvero alla relazione Cappato. I precedenti oratori hanno insistito sul dato del 40 per cento di PIL, poiché si tratta della quota del PIL afghano presumibilmente generato dalla produzione di stupefacenti. Questo dato è stato accettato, ma vorrei evidenziare che, un anno fa, i nostri rappresentanti in Afghanistan, dinanzi alla commissione per gli affari esteri del Parlamento, avevano chiaramente fatto dichiarazioni diverse. Avevano affermato che la quota di PIL superava il 50 per cento, percentuale persino più elevata. Sono riluttante a fornire spiegazioni, ma almeno il 10 per cento della popolazione afghana vive di produzione e commercio di droga. Inoltre, dovremmo ammettere che i soldati delle forze internazionali sono coinvolti in quest’attività, insieme agli americani presenti nel paese.

Ritengo che questa sia una proposta rischiosa, anche se certamente ammetto abbia determinati vantaggi di base. Sono fermamente convinto, tuttavia, che la proposta risulterà veramente nella legalizzazione del commercio di droga, anziché di aiuti medici.

 
  
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  Vittorio Agnoletto (GUE/NGL) . – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la questione non è semplicemente prendere atto che il 92 per cento dell’oppio nel mondo è prodotto in Afghanistan, ma del trend di crescita: nel 2001, secondo i dati dell’ONU, dell’agenzia per la lotta alla droga dell’ONU, erano 8 000 gli ettari coltivati a oppio, nel 2006, 165 000; nel 2001 le tonnellate erano 185; nel 2006, 6 100.

Questo significa in modo esplicito che l’attuale strategia di distruzione delle coltivazioni attraverso le fumigazioni non risolve nulla, ma anzi produce dei fenomeni sociali che vanno a moltiplicare poi la produzione di oppio. Distruggono altre coltivazioni, oltre l’oppio, e i contadini diventano sempre più poveri e finiscono nelle mani dei narcotrafficanti, che siano questi i talebani o i signori della guerra che siedono tranquillamente al governo.

Allora, l’obiettivo è quello di garantire ai contadini un sostegno che per lo meno nella fase iniziale deve essere allo stesso livello economico attuale e di sottrarli alle dipendenze dei narcotrafficanti. Certo, questo progetto non risolve il problema, ma credo che nessuno lo affermi. Stiamo parlando di una sperimentazione in uno spazio limitato e non potrebbe essere altrimenti in un paese che comunque è attraversato dalla guerra e che ha un territorio controllato da bande fra di loro rivali. Ma segna comunque un passo avanti, vuol dire che una parte comunque di quell’oppio non finirà in eroina, ma finirà in morfina. E questo credo che sia utile per l’Occidente, come anche a livello globale.

Non solo, io penso che dobbiamo chiarire che la possibilità di produzione di morfina è già prevista. A me, Commissaria, non risulta che vi siano tutti questi problemi in India e in Turchia, caso mai si tratterà di regolamentare, ma la risoluzione proposta prevede un ruolo degli organismi internazionali come regolamentazione e non sull’insieme dell’Afghanistan che oggi è ingestibile, ma su uno spazio estremamente limitato.

D’altra parte, sono le associazioni mediche internazionali che dicono con chiarezza che oggi c’è necessità ancora di morfina, non solo nel Sud del mondo, ma paradossalmente anche nel Nord del mondo. Certo, poi si tratta di venderla calmierando i prezzi, ma è un farmaco contro il dolore e credo che ne abbiano diritto tutti, anche le popolazioni africane o le popolazioni povere. Se parliamo però di spese, si spende sicuramente meno con interventi di questo tipo e con la calmierizzazione del prezzo della morfina, piuttosto che pensando di distruggere le coltivazioni con i sistemi attuali che non ottengono nulla.

Un’ultima osservazione: ho apprezzato il fatto che è un dibattito pragmatico, qui non stiamo discutendo tra chi vuole liberalizzare o legalizzare le droghe e il proibizionismo, stiamo cercando di fare un intervento concreto, pragmatico che possa aiutare una parte della popolazione afghana.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE) . (EN) Signora Presidente, è importante che le sostanze derivate dall’oppio, come la diamorfina (nota anche come eroina), siano disponibili a fini medici, in particolare in quanto analgesici, ma la coltivazione di papavero fornisce ai terroristi talebani il 20-40 per cento dei loro finanziamenti, cosa che permette loro di uccidere soldati della NATO.

Truppe del mio paese, il Regno Unito, stanno conducendo una lotta contro i talebani in quanto parte della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF) guidata dalla NATO. Non possiedono il mandato o la forza lavoro per presidiare un progetto medico di coltivazione del papavero su vasta scala, o, a tale proposito, per eliminare la coltivazione. Devono già preoccuparsi di schivare i proiettili, senza dover diventare coltivatori a tempo parziale.

Tuttavia, in qualche modo comprendo, in quanto medico, gli argomenti presentati dalla British Medical Association, che sostiene la coltivazione di papaveri, conformemente a rigorose condizioni sorvegliate, al fine di garantire la pronta fornitura di analgesici. Il mio collega deputato del Regno Unito, Tobias Ellwood, si è adoperato per sviluppare un progetto di sei anni per una graduale sostituzione delle colture di papavero in Afghanistan con colture commerciali che passino la produzione di oppio a uso medico.

Pertanto, dovremmo almeno esaminare l’idea di un progetto pilota molto ristretto di concessione di licenze, tenendo presente il pericolo di essere dirottati dai talebani a fini illegali. Ogni prova dovrà, inevitabilmente, essere confinata a una zona molto limitata. Occorrerà il sostegno di una serie di organizzazioni partner se si vuole che funzioni. Certamente non possiamo dirottare le nostre valorose truppe dal loro incarico essenziale di lotta al terrorismo ma quest’azione potrebbe nel complesso condurre ad alcuni vantaggi.

Per quanto riguarda la questione degli aiuti euro-afghani, occorre un approccio molto più coordinato da parte dell’UE per sviluppare le infrastrutture afghane e combattere la corruzione; altrimenti, i talebani prevarranno veramente, poiché li stiamo contenendo a fatica nel sud del paese.

L’Occidente deve prendere coscienza delle realtà dell’Afghanistan. Gli organismi internazionali non stanno coordinando adeguatamente le loro attività. La corruzione dilagante del governo afghano fa sì che le province stiano perdendo la pazienza con il governo del Presidente Karzai a Kabul.

L’attuale modello centralizzato di governo non si addice alla diversità di interessi e di etnicità nel paese, che non ha mai avuto una tradizione di forte governo centrale in passato. Le province al momento non ricevono finanziamenti operativi per realizzare obiettivi distinti da Kabul. Non è stato seguito alcun progetto economico a lungo termine per sfruttare l’abbondante disponibilità d’acqua, il 92 per cento della quale, in modo vergognoso e ridicolo, esce al di fuori del paese. La costruzione di dighe e di sistemi d’irrigazione consentirebbe una coltivazione su scala industriale di frutta e verdura.

L’Afghanistan un tempo era famoso per i suoi melograni, ora molto “in” con la lobby degli alimenti naturali. Realizzare una rete ferroviaria necessaria contribuirebbe a spedire queste merci sul mercato internazionale.

Signora Commissario, se si deve salvare il paese da un disastro politico ed economico, occorre svolgere con urgenza ancora molto lavoro.

 
  
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  Richard Howitt (PSE) . (EN) Signora Presidente, dato che mi sono opposto a lungo alla suffumigazione per eliminare la droga in quanto metodo inefficiente, spesso controproducente e sempre con effetti collaterali dannosi per la salute umana, mi spiace che questa risoluzione combini questa posizione con ciò che ritengo sia un tentativo mal indirizzato di incoraggiare una produzione legale di oppio in Afghanistan. Questa risoluzione cita la relazione del consiglio Senlis che prospetta una carenza globale di papavero; ma si tratta di una sciocchezza. L’International Narcotics Control Board indica scorte mondiali di oppiacei legali pari a due anni di domanda, mentre il londinese Johnson Matthey, il maggior produttore di morfina al mondo, attesta un’eccedenza mondiale di oltre 250 tonnellate.

Il Commissario ha ragione ad affermare che le condizioni in Afghanistan non consentiranno agli agricoltori afghani di trarne vantaggio. Questa è solo una delle presunzioni forzate in tale progetto di risoluzione. Il papavero da oppio è coltivato su meno del 4 per cento del terreno agricolo. La coltivazione legale si aggiungerebbe a quella illecita, anziché sostituirla. Secondo uno studio indipendente dell’Asia Foundation, l’80 per cento degli afghani è contrario al traffico di droga. Il governo afghano si oppone a questo traffico, con il Presidente Karzai che definisce l’oppio “il nemico dell’umanità”. Appena qualche settimana prima della semina del papavero, si trasmetterebbe proprio il segnale politico sbagliato.

Nutro ogni rispetto per il relatore, ma a questo proposito, mi spiace, l’Aula si dividerà. Il papavero a scopo medico un’espressione ingannevole; ma la verità, invece, è che l’oppio finanzia la violenza e l’insicurezza in Afghanistan. Papavero a scopo di corruzione e terrorismo sarebbe più appropriato.

 
  
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  Bogdan Golik (PSE) . – (PL) Signora Presidente, signora Commissario, vorrei esprimere il mio sostegno alla proposta di una raccomandazione del Parlamento europeo al Consiglio sulla produzione di oppio a fini medici in Afghanistan. Desidero inoltre congratularmi con il relatore per il suo coraggio. Combattere il commercio illegale di droghe è una delle grandi sfide di portata globale del mondo contemporaneo. L’Unione europea dovrebbe organizzare le proprie attività in modo tale da tentare e controllare efficacemente le droghe e ridurre l’offerta di droga nel mondo da un lato e, dall’altro, aumentare la disponibilità di analgesici e abbassare i prezzi.

La proposta di legalizzare la produzione di oppio per soddisfare le necessità dell’industria farmaceutica internazionale può rappresentare un metodo utile volto a realizzare i suddetti obiettivi. Seguendo l’esempio di Turchia e Australia, anche in Afghanistan si potrebbero concedere licenze per la coltivazione di papavero impiegato per la produzione di utili analgesici come morfina o codeina. Si deve, tuttavia, tenere conto delle condizioni particolari che prevalgono in Afghanistan qualora si procedesse con l’assegnazione di licenze.

L’Afghanistan è il fornitore principale di materie prime per la produzione di oppiacei nel mondo. La produzione e il commercio di oppio in Afghanistan sono diventati un importante fattore di crescita del PIL, la base del commercio transfrontaliero, la fonte primaria di reddito per gli agricoltori e l’unico modo, per la maggior parte della società, per accedere a terra, lavoro e guadagno. Legalizzare la coltivazione di papavero in Afghanistan avrà un senso solo se si creeranno le condizioni giuste. La situazione in materia di sicurezza deve migliorare e il paese deve diventare politicamente stabile se le autorità nazionali devono garantire un controllo efficace del processo di produzione dell’oppio. Deve esistere una democrazia effettiva e si devono mettere a disposizione sussidi statali per gli agricoltori. Inoltre, si dovrebbe regolamentare la gestione dell’attività economica.

 
  
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  Inger Segelström (PSE) . (SV) Signora Presidente, desidero iniziare ringraziando Marco Cappato per una relazione interessante. Sono responsabile della commissione LIBE per il bilancio a lungo termine del programma per le droghe. In sede di questa commissione, stiamo cercando di essere pratici nel nostro lavoro sul modo in cui, nell’UE, possiamo ridurre un’offerta e un uso dannosi. Ritengo quindi che la discussione relativa all’Afghanistan sia cruciale, poiché si tratta dell’origine della maggior parte dell’eroina (93 per cento) che uccide i nostri giovani per le strade. Qualora tramite la produzione di oppio a fini medici fosse possibile riorganizzare il controllo e la produzione per alcuni agricoltori dietro la sorveglianza di UE e ONU, allora approveremmo il progetto. Lo affermo io, che vengo dalla Svezia, un paese dotato di programmi antidroga molto severi e di politiche in questo settore. Purtroppo, non penso che sia sufficiente, ma di certo dobbiamo considerare anche altre possibilità, come la produzione di energia. Tuttavia, gli agricoltori hanno bisogno di posti di lavoro e mezzi di sussistenza, e noi del Parlamento europeo dobbiamo quindi assumerci la responsabilità e pretendere più azione. Sostituiremo il 40 per cento del PIL, e occorre assumersene la responsabilità! Per quanto riguarda il paragrafo 1, lettera a), che chiede al Consiglio di opporsi all’utilizzo della suffumigazione come metodo di estirpazione del papavero, ho un’opinione diversa. Credo dovremmo considerare anche questo al fine di uscire dal punto morto in cui ci troviamo adesso, senza che accada nulla. Infine, poche parole in merito alla sovrapproduzione. Non significa che esiste una maggiore necessità di analgesici tra i più poveri del mondo, tra donne e bambini: utilizzano meno analgesici in confronto a noi nell’UE. Pertanto, assumiamo una visione globale e troviamo soluzioni costruttive nell’UE e nell’ONU insieme all’Afghanistan, al fine di sostenere pace e democrazia e combattere terrorismo e droghe. Grazie.

 
  
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  Marco Cappato (ALDE) . – Signora Presidente, onorevoli colleghi, due tentativi di risposta diciamo sul lato della domanda e sul lato dell’offerta.

Sul lato della domanda, il collega Tatarella, che non c’è più, ma il collega Howitt hanno posto il problema in realtà di una sovrapproduzione, di una già disponibilità di oppio, che addirittura eccede la vera domanda di oppiacei da trasformare in oppiacei per medicine. Questo è vero, ma è vero solo sulla domanda attuale.

Quello di cui il rapporto cerca di parlare è la domanda potenziale, cioè l’80 per cento della popolazione mondiale è priva di qualsiasi accesso alle terapie antidolore, anche per le operazioni più banali, per le amputazioni, per la cura dei malati di cancro. Allora di questo stiamo parlando e l’International Narcotics Control Board ha una parte della responsabilità per il fatto che non esiste una politica globale di promozione di farmaci antidolore.

Sul lato dell’offerta io mi permetto di dire alla Commissaria: è vero, la proposta di questo progetto pilota costerebbe soldi, risorse di chi paga le tasse. Questo è vero, ma anche l’attuale politica costa soldi e tanti, di chi paga le tasse.

Allora il problema è semplice, è quello che noi vi chiediamo di verificare: se è più difficile, costa più soldi andare con i mezzi della forza a sradicare le coltivazioni di un territorio che poi molto spesso si spostano nel territorio di fianco, o invece cercare di comprare quel raccolto, di trasformarlo in loco, con il controllo della comunità internazionale, in modo che non possa essere utilizzata quella produzione per produrre eroina e sia utilizzata per produrre i farmaci in loco. Ecco, io credo che costi di meno questa seconda alternativa, anche da un punto di vista del cittadino europeo e del contribuente.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, ritengo sia stata una discussione molto interessante. Mi complimento, nuovamente, per la coraggiosa idea dell’onorevole Cappato. Ma, consentitemi, nuovamente, di affermare: sì, è vero che la nostra strategia non ha ancora avuto successo. Tuttavia, come ho sostenuto in precedenza, non si tratta di una strategia che riguarda solo le droghe; è una situazione estremamente complessa. Ci troviamo in una condizione post-bellica e, naturalmente, con tutti elementi differenti: la NATO, l’Unione europea e l’ONU. Abbiamo condotto questi incontri a New York proprio a tale proposito.

Ora torno alla questione delle droghe. Esistono effettivamente problemi relativi a domanda e offerta. Dal punto di vista della domanda, in questo momento, secondo l’International Narcotics Control Board non c’è richiesta di oppio legale supplementare a fini medici. E sono a conoscenza del fatto che oggi la domanda mondiale in realtà è pienamente soddisfatta, e che Turchia e India abbiano dovuto ridurre la loro produzione nel 2005 e nel 2006. Le scorte erano talmente considerevoli che nel mondo sarebbero durate due anni. Questo è un aspetto. Capisco quando affermate che forse le persone in altre parti del mondo non hanno nemmeno la possibilità di godere di un trattamento medico senza analgesici. Lo comprendo. Ma si tratta di un fattore che ci conduce fuori strada. Sono queste le realtà attuali.

Dal punto di vista dell’offerta, consideriamo brevemente le proporzioni. L’Afghanistan, come hanno affermato alcuni colleghi, è il paese che produce la quota più elevata di oppio e droghe: 8 200 tonnellate. Se li si autorizzasse a produrre legalmente, sarebbe possibile coltivare soltanto piccole quantità, che sarebbero molto scarse. Pertanto, benché ci fosse una possibilità, credo rappresenterebbe solo cinque tonnellate di produzione di oppio. Adesso paragoniamo 8 200 tonnellate a cinque tonnellate: non è nulla! Come potete notare, non esiste un reale equilibrio né a livello di offerta, né di domanda.

Quindi, a parte questa situazione molto complessa, ritengo che la sua idea sia coraggiosa, sono d’accordo. Ma credo che, in questa fase, probabilmente non sia utile per l’Afghanistan. Al contrario, penso che come strategia dovremmo disporre di una combinazione fra sostenere lo sviluppo a lungo termine del paese e offrire alternative alla coltivazione del papavero agli agricoltori, insieme a un migliore governo. Pertanto l’attenzione sarà su giustizia e polizia, come cercheremo e abbiamo iniziato a fare.

Siamo anche stati in prima linea per quanto riguarda l’agenda relativa ai mezzi rurali di sussistenza e all’assistenza volta a sostenere un’occupazione legittima. A questo scopo, la Commissione europea sta inoltre favorendo la strategia nazionale di controllo delle droghe del governo afghano mediante iniziative di verifica dell’offerta e di riduzione della domanda e il miglioramento della governance. Ad esempio, finora abbiamo finanziato il Fondo fiduciario per l’ordine pubblico con circa 135 milioni di euro, mentre per i prossimi due anni si prevede una somma pari a 70 milioni di euro.

Tuttavia, devo anche dire, siccome ci stiamo concentrando su sviluppo rurale, assistenza sanitaria e giustizia, nonché promuovendo la riforma di polizia e giustizia, oltre a una produzione alternativa, come Unione europea e Commissione europea, non possiamo fare tutto da soli in Afghanistan. Vorrei dire questo all’onorevole Tannock, poiché ritengo si stia rivolgendo solo a noi, Commissione europea e Unione europea, ma ci sono numerosi altri attori importanti a questo proposito. Penso dobbiamo agire tutti insieme. Perciò, stiamo tentando di fare sempre di più tramite una strategia molto coordinata, che, da un lato, combatterà le droghe. Ma, di nuovo, ritengo che, forse, sia troppo presto.

 
  
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  Presidente . – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 25 ottobre 2007.

 

18. Riconoscimento e sorveglianza della sospensione condizionale della pena, delle sanzioni sostitutive e delle condanne condizionali - Principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali (discussione)
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  Presidente . – L’ordine del giorno reca la relazione dell’onorevole Lechner, a nome della commissione giuridica, sul Libro verde sul miglioramento dell’efficienza nell’esecuzione delle decisioni nell’Unione europea: il sequestro conservativo di depositi bancari [(2007/2026(INI)] (A6-0371/2007).

 
  
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  Kurt Lechner, relatore. – (DE) Signora Presidente, è stato un dibattito molto interessante. Ora passiamo a un argomento del tutto differente. Vedremo se sarà possibile ottenere un risultato prima o poi.

Esiste un detto che presumo sia compreso in tutta Europa, ovvero che il denaro non fa la felicità, ma la tranquillità. Con questo spirito, consentitemi di iniziare augurando tranquillità a tutti i nostri cittadini europei.

Tuttavia, se si è debitori di un’altra persona, se qualcuno vi deve denaro per una vendita, per danni o simili, spesso tale situazione genera preoccupazione anziché tranquillità. Il debitore si sottrarrà ai propri impegni? Occulterà il suo denaro o i suoi beni, forse anche più tardi della nostra discussione di stasera?

Tutti gli Stati membri dispongono di procedure che mirano a impedire che ciò si verifichi. Comprendono sequestro, ingiunzione, confisca ed esproprio: esistono molti termini diversi. Le procedure variano estremamente e la situazione è alquanto complicata, anche certamente per quanto riguarda la questione della lingua. Chiunque intende fare uso delle diverse procedure transfrontaliere degli Stati membri potrà rendersi conto che i buoi sono scappati o, come diciamo in Germania, che la lepre è già dall’altra parte della collina. In altre parole, il debitore ha già avuto il tempo di occultare i propri beni.

Oggi si tratta di un problema diffuso nei confini d’Europa, e sta diventando sempre più pressante considerato che tutti miriamo a uno spazio unico di pagamento con transazioni gratuite. Ciò significa che le possibilità di occultare beni dall’altra parte della collina stanno crescendo costantemente. Perciò, la Commissione ha preso l’iniziativa e, sottolineerei, ha fatto bene ad agire in questo modo. Ha presentato un Libro verde molto accurato, che è esaustivo e dettagliato, anche se con alcuni punti che richiederanno senza dubbio ulteriori chiarimenti. E’ ancora valido ed è lo scopo del dibattito. A questo punto, il Parlamento europeo non è in grado di trattare tutti gli aspetti in dettaglio, e nemmeno io, pertanto menzionerò semplicemente alcuni degli elementi fondamentali.

Innanzi tutto, anche se è possibile darlo veramente per scontato, la relazione si occupa soltanto di sequestro conservativo dei conti bancari e di blocco temporaneo dei depositi bancari. Non si tratta di un regolamento definitivo. Secondo, riguarda esclusivamente beni finanziari contenuti in conti bancari, non ingiunzioni o la confisca di altri beni. Ciò solleva la questione se le nostre proposte saranno davvero utili attraverso l’armonizzazione dei 27 diversi sistemi. A mio parere, sarebbe un approccio estremamente difficile da controllare e avrebbe bisogno di un’eternità per essere realizzato. Viola talmente tanti ambiti che non sarebbe utile. L’approccio giusto è ciò che ha in mente la Commissione: una procedura europea indipendente e aggiuntiva, preferibilmente sottoforma di regolamento, in parallelo alle disposizioni nazionali, che rimarrebbero in vigore. A questo punto dovrei inoltre menzionare il regolamento “Bruxelles I”. Il regolamento che già esiste non è adeguato. Il creditore non deve solo dimostrare in modo credibile e rapido la sua rivendicazione, ma anche il rischio.

La nostra particolare preoccupazione, che condivido, è tutelare il creditore. In nessuna circostanza vorrei si verificasse una situazione in cui creditori o terze parti subissero un danno proprio perché disponiamo di un regolamento europeo. Ciò si ripercuoterebbe sulla stessa Europa. In alcuni casi, un sequestro ingiustificato può avere conseguenze gravi sull’esistenza di una persona. Vorrei semplicemente menzionare i punti principali: un creditore può essere responsabile dei danni che sorgono per il debitore, il creditore dovrebbe essere obbligato a intraprendere i procedimenti principali in un limite di tempo stabilito, è possibile richiedere al creditore fornire sicurezza, il debitore dovrebbe essere autorizzato ad appellarsi, una procedura non dovrebbe essere selezionata perché ci vuole un’eternità, ma perché è ampiamente in linea con i precedenti procedimenti, dovrebbero esistere disposizioni che impediscano che si congeli eccessivo denaro a vantaggio del creditore, e il debitore deve ottenere la garanzia dei mezzi con cui vivere.

Esiste il problema dei conti fiduciari. Qualora, in questo caso, ci fosse una possibilità di sequestro conservativo, e lascerei aperto quest’aspetto, hanno di certo bisogno di essere particolarmente salvaguardati. Lo stesso vale per i conti comuni, anche se non si tratta della stessa cosa; di fatto, questi due elementi non direttamente collegati. Il punto è che è altresì importante tutelare le terze parti, e sono necessarie speciali misure di salvaguardia per qualsiasi parte terza coinvolta.

Vorrei soltanto indicare che notifiche formali standardizzate sarebbero utili per le comunicazioni bancarie e, a questo proposito, desidero concludere affermando che sono indubbiamente necessari studi che confrontino le norme in vigore, nonché analisi dettagliate. Vorrei inoltre, e in particolare, ringraziare la Commissione per queste analisi e studi esaustivi, nonché i miei colleghi. Abbiamo collaborato in maniera molto efficace. Presumo si otterrà un vasto consenso a favore della relazione.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signora Presidente, ritengo che la relazione sia un interessante contributo per affrontare una questione molto complessa: la difficoltà del recupero transfrontaliero dei crediti. Penso ci si debba congratulare con il relatore, l’onorevole Lechner, per aver preparato la strada a una soluzione europea generale all’attuale frammentazione delle norme nazionali in materia di esecuzione che è un grave ostacolo per il recupero transfrontaliero dei crediti.

Tale situazione è particolarmente preoccupante per un creditore che ha la sfortuna di vedere il suo debitore spostare rapidamente il suo denaro da un conto conosciuto a un altro nello stesso o in un altro Stato membro. Quindi, la Commissione accoglie con favore la relazione del Parlamento.

Considererò con attenzione le principali preoccupazioni espresse dal relatore e dal Parlamento in relazione al Libro verde. In particolare, la forma e l’ambito del possibile strumento comunitario, gli effetti della procedura futura, la condizione giuridica per la concessione di un ordine di sequestro, la compensazione dei costi e la tutela dei debitori sono questioni importanti evidenziate dal relatore. Posso confermarvi che qualsiasi proposta o comunicazione in questo settore sarà preceduta da un’accurata verifica e da una valutazione d’impatto, in stretta collaborazione con questo Parlamento.

 
  
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  Sharon Bowles (ALDE), relatrice per parere della commissione per i problemi economici e monetari. (EN) Signora Presidente, accolgo con favore il Libro verde e attendo una prossima verifica su proposte più concrete.

E’ chiaramente nell’interesse di favorire il commercio transfrontaliero per le imprese possedere la fiducia al fine di essere in grado di recuperare crediti. Anche i cittadini hanno bisogno di tale fiducia a livello individuale e privato. Il mio parere ha ricevuto sostegno unanime in sede di commissione per i problemi economici e monetari, non perché abbiamo raggiunto compromessi lungamente dibattuti, ma perché esisteva un’opinione comune dall’inizio. Sono lieta che quasi tutti gli elementi adottati siano stati inseriti, o inclusi, nella relazione finale della commissione giuridica, cosa per cui ringrazio il relatore.

Due punti che non sono stati affrontati nella relazione erano la possibilità di applicare un sequestro a conti comuni e l’indagine di uso interno opzionale della disposizione transfrontaliera. In una forma meno prescrittiva, esiste un emendamento riguardante conti comuni che ha ottenuto sostegno altrove. Si tratta chiaramente di una lacuna se un conto comune nominale consente l’evasione di ordini di sequestro, ma devono essere protetti fondi autentici di parti terze.

A riguardo dell’uso interno opzionale della disposizione transfrontaliera, richiamo l’attenzione su ciò che hanno affermato i colleghi in sede di commissione giuridica in merito al fatto che l’unica misura possibile sia transfrontaliera, sia per ragioni giuridiche o pratiche di ottenere qualcosa in un periodo di tempo ragionevole. Tuttavia, a meno che non esistano rimedi alternativi in quei paesi membri in cui un sequestro non è possibile, o è estremamente difficile, potrebbe verificarsi uno sbilanciamento competitivo, almeno dal punto di vista delle imprese, per la situazione piuttosto insolita di un’attività transfrontaliera migliore di una interna. Forse gli Stati membri ne terranno conto e la concorrenza deciderà che cosa non possiamo legiferare.

 
  
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  Panayotis Dimitriou (PPE-DE), relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. –(EL) Signora Presidente, accolgo con favore l’iniziativa della Commissione sul regolamento transfrontaliero del sequestro e del congelamento temporaneo dei conti bancari. Mi congratulo in particolare con lei, Commissario Frattini, in quanto Commissario competente per questa iniziativa.

Il Libro verde della Commissione in merito ha stabilito procedure per affrontare il problema, che sorge quando si sfugge all’applicazione delle sentenze di tribunali a causa della gestione o del trasferimento di conti bancari al di fuori dei confini nazionali.

La misura in discussione è contenuta nella strategia volta a sviluppare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri dell’UE. La misura è una mossa nella giusta direzione; deve essere presto completata con la presentazione di una proposta pertinente. Non si serve l’ideale di giustizia se non è possibile applicare sentenze di tribunali civili o penali. Per questa ragione, la proposta relativa al sequestro e al congelamento di conti bancari transfrontalieri in esame contribuisce veramente all’evoluzione e al consolidamento della giustizia. Il Parlamento europeo assume giustamente un atteggiamento positivo nei confronti dell’iniziativa della Commissione e la procedura giudiziaria in fase di preparazione.

La relazione Lechner e i pareri delle commissioni per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni e per la finanza hanno stabilito i parametri fondamentali per elaborare una proposta equilibrata per una decisione del Consiglio a questo proposito.

Mi congratulo con l’onorevole Lechner per la sua concisa ma istruttiva e completa relazione. In quanto relatore della commissione per le libertà civili, mantengo posizioni che essenzialmente coincidono quasi del tutto con le sue.

Ci si attende che la relazione sia approvata da una decisiva maggioranza. Evidenzia la necessità di soddisfare i requisiti per spiccare un ordine transfrontaliero di sequestro dei conti bancari. Rileva inoltre l’esigenza concomitante di proteggere la procedura da abusi e di offrire garanzie di compensazione al presunto debitore qualora l’ordine fosse nullo.

Ritengo che un ordine di congelamento possa servire, al termine dei procedimenti giudiziari, come misura di applicazione per una sentenza definitiva di exequatur. Questa non è l’opinione dell’onorevole Lechner, ma deve essere seriamente considerata quando si presenterà la relativa proposta della Commissione, al fine di prevenire un’inutile duplicazione dei procedimenti.

Invito la Commissione a procedere subito come la preparazione della proposta in merito.

 
  
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  Tadeusz Zwiefka, a nome del gruppo PPE-DE. – (PL) Signora Presidente, signor Commissario, un’indiscutibile debolezza delle disposizioni attuali della legislazione di esecuzione è la situazione in cui, avendo verificato l’applicabilità di un ordine di tribunale in un altro Stato membro, l’applicazione rimane di competenza esclusiva della legislazione nazionale. Conformemente ad atti giudiziari comunitari attualmente in vigore, non c’è modo di ottenere un ordine al fine di sequestrare un conto bancario che possa essere eseguito sul territorio dell’intera Unione europea.

Perciò, un sistema europeo per un ordine che autorizzi il sequestro di conti bancari mi sembra una soluzione appropriata e necessaria. Consentirebbe ai creditori di difendere le somme dovute o il valore della loro rivendicazione rendendo impossibile prelevare o trasferire fondi depositati in uno o più conti bancari nel territorio dell’Unione europea. Un tale sistema dovrebbe essere creato seguendo lo sviluppo di una procedura aggiuntiva indipendente che esisterebbe accanto alle disposizioni nazionali a condizione che si applichi esclusivamente a questioni transfrontaliere. Vale la pena porre l’accento sul fatto che un ordine simile avrebbe solo un effetto preventivo. In altre parole, bloccherebbe i fondi del debitore nel conto bancario di quest’ultimo, senza che li trasferisca al conto del creditore.

Il tribunale deve ovviamente astenersi dall’esaminare o informare il debitore dei procedimenti prima di sequestrare il suo conto bancario, altrimenti l’effetto potrebbe essere opposto a quello che si prevedeva.

La somma da sequestrare dovrebbe essere calcolata sulla base della rivendicazione del creditore. Si dovrebbe rilevare, tuttavia, che il debitore deve avere il diritto di appellarsi all’ordine emanato, e l’istituzione competente cui presentare l’appello dovrebbe essere il tribunale in cui è stato spiccato l’ordine.

Si dovrebbe provvedere anche a deroghe di esecuzione per consentire di soddisfare le necessità basilari del debitore e della sua famiglia. Chiaramente, in questa fase, sarà necessaria un’analisi giuridica comparativa supplementare, poiché molti aspetti richiedono un’ulteriore indagine. Ciononostante, resta il fatto che l’introduzione di una procedura giuridica comunitaria come un ordine europeo per il sequestro di conti bancari finalizzato a ottimizzare l’esecuzione dei crediti pecuniari e migliorarne l’efficacia, sarebbe una pietra miliare lungo la strada della creazione di uno spazio economico e giudiziario europeo.

In conclusione, desidero congratularmi con l’onorevole Lechner per una relazione straordinaria e ben preparata. Quest’Aula deve essere consapevole, naturalmente, di quanto sia difficile modificare le disposizioni dell’Unione, soprattutto in questo settore.

 
  
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  Manuel Medina Ortega, a nome del gruppo PSE. (ES) Signora Presidente, desidero iniziare congratulandomi con il mio collega, l’onorevole Lechner, per l’eccellente relazione elaborata: è equilibrata e moderata.

A quest’ora, non posso fare altro che pensare a ciò che significa sequestro. In pratica, nella vita quotidiana, i creditori normalmente sono grandi istituzioni dotate di notevole potere economico, mentre i debitori, di solito, sono persone in una situazione economica più debole. In effetti, una delle più belle poesie in lingua spagnola è dedicata alla confisca di un povero lavoratore sfortunato.

E’ vero che, se non si eseguissero sequestri, se i creditori non avessero la possibilità di recuperare ciò che spetta loro, chi ha bisogno di credito non sarebbe in grado di ottenerlo. Siccome penso che siamo tutti un po’ annoiati, vi racconterò la storia di una delle dittature che abbiamo avuto in Spagna, quella del Generale Primo de Rivera. Egli credeva che il sequestro dei beni dei soldati fosse un insulto alla professione militare. Ha quindi bandito i sequestri dei conti dei soldati. Di conseguenza, le banche si rifiutavano di prestare denaro all’esercito, e quest’ultimo allora dovette chiedere al Generale di consentire di essere nuovamente soggetto a confisca.

Tuttavia, si tratta solo di una storia. Ritengo che l’onorevole Lechner sia riuscito a ottenere un equilibrio in termini di tutela dei diritti dei debitori, ma ho ancora una domanda, e probabilmente il Commissario Frattini sarà consapevole di ciò che vorrei dire a questo proposito.

Quando si tratta della resa dei conti, i grandi debitori, chi è coinvolto in importanti operazioni finanziarie e finisce per essere debitore di miliardi a migliaia di persone vulnerabili, questi grandi debitori solitamente non hanno i loro conti in una banca in Belgio, a Bruxelles o Strasburgo, e nemmeno a Londra, ma in paradisi fiscali.

Quest’aspetto, ovviamente, non è incluso nelle disposizioni del Libro verde della Commissione. Tuttavia, siccome so che il Commissario Frattini è interessato a questa materia, gli chiedo: non sarebbe preferibile proporre un modo per garantire il sequestro dei beni anche a questi grandi criminali internazionali che rovinano la vita di migliaia di famiglie?

Come ho detto, si tratta di uno scenario che non rientra nell’ambito del Libro verde, di ciò che stiamo discutendo stasera. Tuttavia, poiché mi pare che i temi principali siano già stati dibattuti molto chiaramente dai precedenti oratori e dal Commissario Frattini, penso sia un elemento che dobbiamo esaminare. Sono certo che il Commissario Frattini avrà qualcosa da aggiungere a questo proposito.

In conclusione, vorrei soltanto esprimere ancora una volta le mie congratulazioni all’onorevole Lechner. Ritengo abbia elaborato una relazione equilibrata e che la posizione dei debitori, dei debitori poveri, ovvero la maggior parte dei cittadini, sia garantita. Spero che la Commissione ci presenti presto un testo legislativo che consenta al mercato del credito transfrontaliero di continuare a funzionare.

 
  
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  Diana Wallis, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signora Presidente, anch’io desidero congratularmi con l’onorevole Lechner per la sua relazione. Vorrei iniziare, per così dire, con una confessione. Prima di giungere in quest’Aula, ero avvocato. Di fatto non solo avvocato, ma un avvocato che si occupava di recupero crediti, spesso transfrontalieri.

La mia esperienza in questo settore è che la maggior parte dei danni sono provocati a piccole imprese che si sono armate di coraggio per commerciare al di là dei confini, e che quindi sono rovinate da indampienze e un debitore professionista che si nasconde in un altro paese. Considero pertanto questa iniziativa un modo, se avessimo successo, di stimolare l’economia d’Europa e incoraggiare il commercio transfrontaliero.

Dobbiamo essere risoluti. L’ordine di pagamento costituiva un passo nella direzione giusta. Questo è un altro tassello del puzzle. Tuttavia, devo esprimere due puntualizzazioni. Innanzi tutto, trattiamo soltanto i casi transfrontalieri. Accettiamo la realtà di una costrizione, ma ciò che non voglio vedere sono i creditori che devono formulare due richieste ai tribunali: una nei confronti dei debitori del paese d’origine, seguita da un’altra in un paese diverso, transfrontaliera. Questa condizione potrebbe offrire un avvertimento al debitore e creare ogni genere di complicazione. Occorre quindi garantire la disponibilità di procedure concomitanti.

Secondo, si tratta, certamente, di un equilibrio d’interessi tra i creditori e i debitori. In Inghilterra esiste un sistema valido, in base a cui, laddove si concede una simile misura temporanea, si deve fornire un impegno al tribunale, in danni, per rispettare gli interessi di terze parti. Queste possono essere rappresentate da una banca che deve organizzare il sequestro, o una parte terza che detiene un conto comune. Consiglierei un sistema simile a questo.

Mi complimento per la relazione e le idee ivi contenute. Ritengo potrebbe fare di più per promuovere l’economia europea se riusciamo a sistemare le cose.

 
  
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  Marek Aleksander Czarnecki, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signora Presidente, il Libro verde sul miglioramento dell’efficienza nell’esecuzione delle decisioni nell’Unione europea rappresenta un’ulteriore fase dello sviluppo di uno spazio europeo di giustizia. Condivido la visione presentata dal relatore in questo documento e sostengo l’introduzione di una procedura rapida ed efficace per ottenere un ordine di sequestro di conti bancari nell’Unione europea. Nel quadro dell’attuale integrazione nell’area unica dei pagamenti in euro, una disposizione giuridica di questa natura sembra essere appropriata e auspicabile.

Nell’ottica delle numerose difficoltà previste nell’indagare le rivendicazioni, sono dell’avviso che l’Unione europea dovrebbe introdurre una procedura indipendente aggiuntiva accanto alle disposizioni nazionali. Una simile procedura si dovrebbe applicare solo a casi transfrontalieri e riguardare esclusivamente fondi in conti bancari e non altri beni. Si tratta soltanto cautelare provvisoriamente una rivendicazione di un creditore, non di stabilirla in maniera definitiva. Un sequestro ingiustificato può avere conseguenze gravi per il debitore e compromettere la fiducia nell’ordinamento giuridico europeo.

Ritengo quindi che si dovrebbe prestare particolare attenzione a proteggere il debitore. Ciò potrebbe prevedere, ad esempio, la costituzione di una garanzia da parte del creditore, il diritto d’impugnazione, la limitazione del sequestro conservativo dovuto o persino l’obbligo imposto al creditore di intentare l’azione principale entro un termine fissato.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE) . – (PL) Signora Presidente, le disposizioni relative all’applicazione della normativa sono spesso descritte come il tallone d’Achille dell’ordinamento giuridico europeo riguardante le cause civili. Finora, non è stata presentata alcuna risoluzione legislativa in merito agli attuali strumenti di esecuzione delle sentenze. Eseguire un ordine del tribunale dopo aver stabilito la sua applicabilità in un altro paese è ancora di competenza esclusiva del diritto nazionale.

Le attuali disparità tra i principi per il recupero crediti nei singoli Stati membri dell’Unione europea ostacolano seriamente il recupero di crediti transfrontalieri. I creditori che chiedono l’esecuzione di un ordine in un altro paese, si confrontano con ordinamenti giuridici sconosciuti e requisiti giuridici. Devono inoltre affrontare la barriera linguistica, che comporta costi aggiuntivi e ritarda la procedura di esecuzione. Le difficoltà connesse al recupero di crediti transfrontalieri intralciano la libera circolazione degli ordini di pagamento nell’Unione e influenzano negativamente il corretto funzionamento del mercato interno. I pagamenti rinviati o mai eseguiti mettono a repentaglio gli interessi di imprese e consumatori.

La proposta della Commissione di introdurre un unico strumento giuridico europeo indipendente dalla normativa nazionale e che la affianchi, sembra quindi essere del tutto appropriata, se non essenziale. L’articolo 65, lettera c), del Trattato che istituisce la Comunità europea potrebbe rappresentare la base giuridica per tale documento.

A questo proposito, conformemente alle disposizioni del Libro verde, il creditore dovrebbe godere del diritto di intentare un’azione per spiccare un ordine di sequestro conservativo dei conti bancari prima dell’inizio dei principali procedimenti. Nell’ottica della natura preventiva della procedura, tuttavia, si dovrebbe chiedere al creditore di giustificare la sua rivendicazione, nonché l’urgente necessità di spiccare un ordine di sequestro. Un sequestro ingiustificato può, naturalmente, avere implicazioni molto gravi per un debitore, e può persino privarlo dei mezzi con cui soddisfare le proprie esigenze di base.

Altre questioni importanti sono il diritto del debitore di contestare l’ordine e l’importo della somma da versare. Fissare una limitazione unica per la somma da esonerare dall’esecuzione a livello dell’Unione europea non sembra essere una buona idea. Tali decisioni dovrebbero restare nell’ambito del competenze dell’ordinamento giuridico del paese d’origine del debitore.

Per quanto riguarda gli ordini di confisca dei beni da conti bancari, è importante garantire la creazione di standard uniformi relativi alla comunicazione tra tribunali e banche nell’Unione europea. Sembra essenziale regolamentare la questione del recupero di crediti transfrontalieri mediante l’adozione di atti giuridici pertinenti. Tuttavia, è fondamentale non trascurare l’esigenza di intraprendere innanzi tutto uno studio approfondito delle disposizioni già in vigore nei singoli paesi della Comunità e valutare l’efficacia di soluzioni alternative riguardo alle normative europee.

Vorrei concludere ringraziando l’onorevole Lechner per una relazione ragionevole e ben preparata.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE) . – (PL) Signora Presidente, il problema dell’efficace esecuzione di rivendicazioni di denaro nel territorio dell’Unione europea è molto importante in termini di tutela del corretto funzionamento del mercato interno. Vale la pena considerare un’azione comunitaria a questo proposito. Quando ero apprendista avvocato, c’era un detto di grande importanza che mi ha influenzato profondamente, secondo il quale nel momento in cui facciamo un favore a qualcuno, ci indebitiamo con lui. Questo talvolta è vero. Ritardare i pagamenti o non riuscire a eseguirli mette a rischio gli interessi di imprese e consumatori. Le differenze nell’efficienza del recupero crediti che esistono attualmente nell’Unione europea, possono minacciare la competitività delle aziende le cui attività si estendono oltre i confini di un particolare Stato membro.

I sistemi di esecuzione degli ordini si differenziano da paese membro a paese membro. In alcuni Stati sono più efficaci che in altri. Attualmente, un debitore può trasferire quasi istantaneamente fondi da conti conosciuti al creditore ad altri conti situati nello stesso o in un paese membro diverso. Ciò rende praticamente impossibile per i creditori bloccare questi fondi. Inoltre, i creditori che chiedono l’esecuzione di un ordine in un altro Stato membro, si trovano di fronte a un ordinamento giuridico e requisiti procedurali differenti. La barriera linguistica e il costo dei procedimenti rappresentano ostacoli aggiuntivi.

Ritengo quindi dovremmo reagire in modo positivo alla proposta di creare un sistema europeo per collegare i conti bancari. Tenendo presente la crescente integrazione nell’area unica di pagamenti in euro, un regolamento giuridico di questo tipo è appropriato ed essenziale. Vorrei ringraziare l’onorevole Lechner per questa relazione. Sono sicuro che costituirà un punto di svolta nell’ordinamento giuridico dell’Unione.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. Signora Presidente, onorevoli deputati solamente una breve considerazione sulle osservazioni dell’onorevole Medina Ortega e poi ringraziare tutti coloro che sono intervenuti per dire che questo strumento europeo, questo mandato europeo di cui si parla, potrà essere davvero uno strumento complementare alla legislazione nazionale e quindi avere riguardo a quelle violazioni gravi dei diritti dei creditori che si consumano su base transnazionale.

Sono molto d’accordo con l’onorevole Medina Ortega sul fatto che si debba anche essere attenti ad un’azione di sequestro, di tutela, diciamo così, nei confronti di coloro che si rifugiano nei paradisi fiscali.

E’ chiaro, voi sapete tutti quanti: l’Europa non ha un potere d’azione unilaterale. Io credo che lo strumento su cui si debba lavorare sia quello di una cooperazione rinforzata, accresciuta fra le autorità giudiziarie, le autorità di investigazione finanziaria e i grandi gruppi bancari che operano in questi cosiddetti paradisi fiscali, convincendo poi i governi di quei paesi, che in fondo è anche loro interesse collaborare con l’Unione europea.

Quindi anche se noi non avremo nel prossimo futuro uno strumento attivo, uno strumento unilaterale per incidere sul sistema dei paradisi fiscali, credo che sarà con uno strumento di democrazia, da un lato, e di cooperazione giudiziaria, finanziaria, dall’altro, che potremo affrontare questo problema, che è un problema reale ed esistente.

 
  
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  Presidente . – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 25 ottobre 2007.

 

19. Riconoscimento e sorveglianza della sospensione condizionale della pena, delle sanzioni sostitutive e delle condanne condizionali - Principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali (discussione)
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  Presidente . – L’ordine del giorno reca la discussione congiunta sulle seguenti relazioni riguardanti questioni e condanne penali:

–la relazione di Maria da AssunçãoEsteves, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sull’iniziativa della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese in vista dell’adozione di una decisione quadro del Consiglio relativa al riconoscimento e alla sorveglianza della sospensione condizionale della pena, delle sanzioni sostitutive e delle condanne condizionali [06480/2007 – C6-0129/2007 – 2007/0807 (CNS)] (A6-0356/2007);

–la relazione di Ioannis Varvitsiotis, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sul progetto di decisione quadro del Consiglio relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea [09688/2007 –C6-0209/2007 – 2005/0805(CNS)](A6-0362/2007)

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signora Presidente, sostengo entrambe le iniziative che, a mio parere, sono complementari e che consentirebbero una maggiore reintegrazione sociale delle persone condannate a una pena non privativa della libertà o a una detentiva in uno Stato membro diverso da quello in cui risiedono abitualmente.

Appoggiamo inoltre iniziative simili a queste, che attuano il principio di riconoscimento reciproco. I progetti di testo di entrambe le iniziative si sono evoluti molto nel corso delle discussioni nel gruppo “Cooperazione in materia penale”. Molti degli emendamenti proposti dagli onorevoli Esteves e Varvitsiotis durante la prima consultazione parlamentare sono già stati approvati nelle seguenti discussioni. Ringrazio entrambi i relatori per i loro interessanti documenti e, in particolare, in merito alla prima iniziativa, l’onorevole Esteves ha svolto un’analisi giuridica alquanto rigorosa del testo franco-tedesco. Ha individuato come problemi principali le diverse sanzioni previste negli Stati membri e il modo di effettuare il riconoscimento reciproco laddove un ordinamento non ha un equivalente preciso.

L’altro problema che ha evidenziato, in quanto relatrice, è come trattare la violazione delle condizioni non privative della libertà, e quale Stato membro (emittente o di esecuzione) dovrebbe essere responsabile dell’imposizione della sanzione per tale violazione.

Alcuni commenti su certi emendamenti principali. Ho un’osservazione relativa all’emendamento n.1 alla prima relazione. Deve cambiare il titolo sull’adozione, dal momento che le condanne sono state rimosse dall’ambito. Quest’aspetto riguarda anche alcuni emendamenti diversi che fanno riferimento a condanne condizionali.

L’emendamento n. 12 riguarda la definizione di “residenza legale”. Tale elemento è attualmente in discussione in Consiglio, come la possibilità di recarsi in un altro Stato membro per lavoro o studio. Mi riferisco inoltre, in particolare, all’emendamento n. 16. Posso informarvi che le discussioni del testo in Consiglio stanno procedendo molto bene, e la Presidenza portoghese si augura, con il pieno sostegno della Commissione, un accordo politico entro la fine di dicembre 2007, prima del termine della Presidenza portoghese.

Per quanto riguarda la seconda iniziativa, quella sull’ordine europeo di esecuzione e il trasferimento delle persone condannate, accolgo con favore la seconda relazione dell’onorevole Varvitsiotis, che indica che le questioni sollevate dal Parlamento europeo nella prima relazione sono state ampiamente tenute in considerazione. E’ corretto: abbiamo tenuto conto degli emendamenti e delle proposte del Parlamento.

A riguardo dell’unico emendamento proposto dal relatore in merito al nuovo considerando 2a, condivido pienamente la sostanza della dichiarazione che i diritti procedurali nei procedimenti penali siano un elemento decisivo per garantire la fiducia reciproca tra gli Stati membri, e concordo inoltre che sia estremamente deplorevole che tale strumento relativo ai diritti procedurali non sia stato adottato, nonostante il sostegno del Parlamento e i nostri sforzi per rendere fattibile un accordo in merito. Ciò, purtroppo, non è stato possibile.

 
  
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  Maria da Assunção Esteves, relatrice. – (PT) Signora Presidente, signor Commissario, devo innanzi tutto ringraziare i deputati che hanno lavorato molto strettamente con me in sede di commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni e che mi hanno aiutato con i loro contributi critici, in particolare gli onorevoli Guardans, Demetriou e, ultimo ma non meno importante, l’onorevole Correia. L’onorevole Correia manca molto a tutti, membro del gruppo socialista del Parlamento europeo e collega portoghese. E’ morto dopo avermi aiutato con questa relazione. Credo che il migliore tributo che possa rendergli è una sorta di promessa pubblica per cui, mediante la mia presenza nel Parlamento europeo, cercherò di realizzare le sue idee sull’Europa come un progetto di ambizione e visione e un gigante in grado di portare al mondo la sua cultura dei diritti. E’ questo il tributo che voglio rendere, oggi in quest’Aula, a un nostro amico e collega, l’onorevole Fausto Correia.

Vorrei riepilogare brevemente le questioni sollevate da questa relazione. Innanzi tutto devo sottolineare che questo documento, come tutti gli altri, è aperto: aperto a cercare e trovare le soluzioni migliori. Esistono due vantaggi fondamentali in questa iniziativa di Francia e Germania, come evidenziato dal Commissario. Il primo è che, incoraggiando il riconoscimento e la verifica di misure alternative a sentenza detentive, promuoviamo una cultura politica che farà sì che i tribunali applicheranno con più probabilità tali misure. Favoriamo l’umanizzazione del diritto penale negli Stati membri e la qualità del diritto penale europeo. Il secondo vantaggio riguarda il fatto che tale iniziativa contribuirà a rendere il diritto penale sempre più europeo in termini di maggiore armonizzazione e meno feudalizzazione nello spazio europeo.

In realtà, l’integrazione europea, che ha compiuto un fondamentale passo avanti nel recente trattato su cui, la scorsa settimana, è stato raggiunto un accordo a Lisbona, è a un livello in cui il diritto penale nello spazio europeo non è ancora in grado di adattarsi. E’ essenziale promuovere sempre più una cultura non solo di riconoscimento reciproco, ma anche di armonizzazione nel diritto penale in termini di pianificazione delle condanne, il loro metodo di esecuzione, il legame tra i criminali e la società e una sempre maggiore corrispondenza tra le norme effettive e quelle penali procedurali degli Stati membri.

L’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea, riferendosi a una serie di principi fondamentali che costituiscono i principi comuni dell’Unione europea, dimostra chiaramente che ciò ha un senso soltanto se disporremo una volta di più di norme penali europee. La maggior parte di questi principi è protetta da una legislazione penale. In particolare per questa relazione, vorrei soltanto esprimere due o tre commenti che considero essenziali. Primo, il contributo del Parlamento ha evidenziato soprattutto la necessità della ripartizione delle competenze tra lo Stato emittente e quello di esecuzione. Esiste una logica chiara per lo Stato che esercita un potere concesso applicabile inoltre alle proprie norme. Secondo, esiste il principio che la ricusazione è l’eccezione, in modo che una futura decisione quadro possa essere, per quanto possibile, efficace. Terzo, esiste la logica secondo cui è impossibile adattare la natura delle misure, altrimenti si metterà in discussione il principio di una severa legalità penale. Infine, c’è inoltre la tutela del principio di giudicare gli imputati in cause che prevedono l’annullamento di una condanna sospesa o l’imposizione di una condanna condizionale.

Signora Presidente, terminerò dicendo che tutti questi progressi nel diritto penale europeo, nonostante tutto, ci sembrano subito molto limitati. L’Europa sarà ottenuta soltanto come progetto, quando potremo stabilire leggi antropocentriche e cosmopolite, che devono includere leggi penali più armonizzate e meno divise dai confini.

 
  
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  Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE), relatore. – (EL) Signora Presidente, vorrei iniziare ricordando con rispetto il nostro defunto collega, l’onorevole Correia, che ha contribuito in modo sostanziale all’elaborazione della relazione appropriata ed esaustiva citata dal Vicepresidente della Commissione.

Vorrei porre l’accento sul fatto che la materia che stiamo discutendo oggi ha una storia molto lunga. E’ iniziata nel 1983 con una convenzione del Consiglio d’Europa, che è stata accettata da tutti gli Stati membri. Tuttavia, la convenzione stabiliva che un detenuto potrebbe essere trasferito da un paese a un altro solo con il suo consenso. La convenzione è stata quindi inefficace. E’ stata elaborata una seconda convenzione che indicava che il consenso del detenuto non fosse necessario, ma non è stata sottoscritta da tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, e pertanto il tentativo è fallito.

In merito alla nuova iniziativa di tre Stati membri dell’UE (Austria, Finlandia e Svezia) è stato presentato un progetto, adeguatamente preparato dal Consiglio e trasmesso come accordo quadro. Che cosa prevede questa decisione quadro? Prevede che un cittadino condannato di uno Stato membro dell’UE debba essere trasferito nel paese membro d’origine o in cui ha la sua residenza permanente o i suoi interessi. Si tratta di un aspetto molto ragionevole, poiché possiamo osservare che diventerà più semplice riabilitarlo una volta uscito di prigione: chi è trasferito nello Stato membro d’origine disporrà di un accesso più facile alla lingua, ai suoi amici e parenti, e si troverà in un ambiente familiare.

Questa relazione, come lei ricorderà signora Presidente, è stata approvata nel giugno 2006 da una grande maggioranza in Parlamento. Purtroppo, ha incontrato una risposta burocratica dalla Polonia, che, per diverse manovre procedurali, ha rinviato l’attuazione di questa decisione quadro. Pertanto ci troviamo nel mezzo di una discussione rinnovata. Per fortuna, con una concessione alle richieste della Polonia, il problema finalmente è stato risolto con soddisfazione.

Tuttavia, signora Presidente, mi permetta di evidenziare che se la pensiamo in questo modo, è impossibile parlare di un’Europa unita. Non possiamo comunicare un consenso europeo quando ogni Stato membro, per le proprie futili ragioni, mina una misura così solida. In casi simili, di che Europa unita parliamo?

Vorrei sottolineare che il Trattato costituzionale presentato due giorni fa dal Primo Ministro del Portogallo fortunatamente prevede una maggioranza ampliata anche in questo settore, pertanto il veto, infine, sarà abolito.

Per concludere, consentitemi di ringraziare il Vicepresidente della Commissione, il Commissario Frattini, per il suo contributo, ed esprimere il desiderio che, dopo 25 anni, quest’iniziativa ben concepita diventi finalmente una realtà il più presto possibile.

 
  
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  Panayotis Dimitriou, a nome del gruppo PPE-DE. –(EL) Signora Presidente, libertà, sicurezza e giustizia sono tre parole che continuiamo a sentire nell’UE. Rappresentano tre elementi del programma dell’Aia che, combinati e singolarmente, sono stati invocati per essere utili a tutti gli Stati membri dell’Unione.

Il principio di riconoscimento reciproco e di esecuzione delle sentenze giudiziarie, che otto anni fa, nel 1999, era stato descritto dal Consiglio europeo a Tampere come la pietra miliare della cooperazione giudiziaria, non sta compiendo progressi. I pochi passi necessari per attuare questo principio sono intrapresi in maniera molto lenta. L’onorevole Varvitsiotis ha individuato e trattato adeguatamente la causa all’origine del problema: le posizioni individuali e nazionaliste di diversi Stati. La decisione quadro del Consiglio sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze in materia penale che prevedono la sanzione privativa della libertà emessa in altri Stati membri dell’UE è la materia della relazione dell’onorevole Varvitsiotis. La decisione dimostra quanto l’intervento sia stato lento e sporadico per creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, poiché tale decisione è solo una delle numerose misure che dovrebbero essere già state adottate e perché è occorso tanto tempo per prepararle.

In ogni caso, accogliamo con favore il completamento della procedura di delibera e l’adozione di una posizione comune a riguardo della questione di riconoscere le sentenze giudiziarie in materia penale.

L’onorevole Varvitsiotis merita un plauso per il suo contributo all’esito positivo della proposta, che abbiamo adottato e su cui esprimeremo voto favorevole.

Il riconoscimento e la sorveglianza della sospensione condizionale della pena, delle sanzioni sostitutive e delle condanne condizionali, l’argomento della relazione dell’onorevole Esteves, è di certo un altro passo tra i tanti tra intraprendere al fine di applicare il principio di riconoscimento reciproco e l’esecuzione delle sentenze giudiziarie.

La proposta franco-tedesca cerca di reintegrare nella società persone condannate. Prevede di consentire loro di scontare nello Stato membro di residenza la sospensione condizionale della pena, le sanzioni sostitutive e le condanne condizionali imposte dai tribunali di altri paesi membri.

La relatrice ha compiuto un lavoro eccellente e mi congratulo con lei. Tuttavia, ritengo che la definizione fornita di “residenza legale e abituale” non sia corretta. Sono inoltre dell’avviso che l’uso del termine “inaccettabile” per la violazione dei diritti umani non sia necessario, poiché non esistono violazioni accettabili. Comprendo, però, che ci sia un problema nella traduzione di questi due termini, e invito quindi l’onorevole Esteves a elaborare gli emendamenti verbali necessari in modo che il testo possa essere correttamente disponibile in tutte le lingue.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna, a nome del gruppo PSE. – (PL) Signora Presidente, signor Commissario, l’Unione europea non è semplicemente uno spazio economico comune. La dimensione europea ora deve anche essere intesa in termini di intensa integrazione politica e legale nell’Unione.

L’Unione è un esempio di organizzazione politica che unisce gli interessi dei singoli Stati membri nel quadro di un ordinamento giuridico cosmopolita in via di sviluppo. Alcune disposizioni giuridiche penali degli Stati membri sono ancora a una fase iniziale di armonizzazione. Ciononostante, dovremmo essere soddisfatti del fatto che le relazioni tra gli Stati membri siano caratterizzate da fiducia nei reciproci ordinamenti giuridici. Ciò facilita la cooperazione e rende possibile per lo Stato di esecuzione riconoscere una decisione presa dalle autorità dello Stato emittente.

Si dovrebbe notare che l’umanizzazione del diritto penale permea l’ordinamento giuridico europeo. Quest’ultimo è ovviamente fondato sul valore di entità fondamentale, vale a dire l’essere umano. Una politica europea dovrebbe essere coerente per quanto riguarda il trasferimento e l’esecuzione di condanne e i legami generali tra persone condannate e società. Semplificare l’ingiunzione di pene sostitutive contribuirà a promuovere un approccio umanitario al diritto penale e alle condanne, e di conseguenza al diritto europeo. Si deve prestare particolare attenzione al diritto e all’opportunità dell’individuo condannato di essere reintegrato nella società. Andrebbe considerata una serie più ampia di pene alternative che sostituiscano le pene detentive. E’ importante tenere presente che, secondo gli standard internazionali, lo status di una persona condannata è la base per valutare la misura in cui sia possibile civilizzare l’ordinamento giudiziario di ogni comunità politica.

Di conseguenza, le decisioni quadro su una migliore cooperazione nel settore del diritto penale presentate oggi meritano sostegno. Dopo tutto, l’attuale armonizzazione delle disposizioni in materia di diritto penale negli Stati membri è una condizione fondamentale per la creazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia.

 
  
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  John Attard-Montalto (PSE) . Signora Presidente, vorrei incentrarmi su un aspetto di ciò che è stato proposto. E’ evidente che la raison d’être per questa particolare legislazione è una base umanitaria. Se si considera il motivo per cui una sentenza espressa in un singolo paese possa essere eseguita in un altro a riguardo delle condanne penali, si apprezza che, fondamentalmente, ciò che stiamo facendo è migliorare la vita della persona che è stata condannata: far sì che sia più vicino, forse, alla sua famiglia, al suo luogo di origine.

Di fatto sono sorpreso che, se consideriamo questa legislazione da un punto di vista umanitario, uno dei criteri non presenti quando si tratta di trasferire una persona che sconta una pena in un paese particolare a un altro sia, a mio parere, l’aspetto umanitario. Fondamentalmente, stiamo basando i criteri su nazionalità, cittadinanza o residenza legale permanente. Dall’altro lato, parliamo, come proposta e controproposta, di “stretti legami”, ma l’aspetto umanitario in quanto criterio in sé è assente.

Prendiamo, ad esempio, un caso particolare: per un individuo che non è cittadino di un paese dell’UE che sconta una pena in uno Stato europeo non sarebbe possibile farlo in un luogo più vicino al proprio paese d’origine, poiché non è stato incluso questo aspetto, il criterio umanitario.

 
  
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  Presidente . – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 25 ottobre 2007.

 

20. Registri di imprese utilizzati a fini statistici (discussione)
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  Presidente . – L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura dell’onorevole Martin, a nome della commissione per i problemi economici e monetari, relativa alla posizione comune definita dal Consiglio in vista dell’adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro comune per i registri di imprese utilizzati a fini statistici e abroga il regolamento (CEE) n. 2186/93 del Consiglio [07656/5/2007 – C6-0218/2007 –2005/0032(COD)] (A6-0353/2007).

 
  
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  Hans-Peter Martin, relatore. –(DE)Signora Presidente, onorevoli colleghi, ora è talmente tardi che in quest’Aula posso contare soltanto quattro persone, compreso me. Tuttavia, uno dei prossimi oratori è un questore che, sono certo, coglierà quest’opportunità per garantire che tali forme di cosiddetta discussione, che in realtà avvengono solo allo scopo di essere verbalizzate, diventino più efficienti e razionali. Ciononostante, signor Commissario, le sono grato per la sua buona volontà a partecipare e a sottoporsi a questo dibattito. A mio parere, un governo migliore, efficiente e trasparente sarebbe piuttosto diverso da queste discussioni a un’ora così assurda.

Per quanto riguarda l’argomento in discussione, siamo presenti in quest’Aula per riprendere il lavoro su una questione che risale a qualche tempo fa. Si tratta di un settore fondamentale, ovvero di statistiche. Da un lato, esiste un interesse del tutto giustificato e necessario da parte della maggior parte delle persone coinvolte nel processo politico, che è informarsi e trovare in modo rapido e dettagliato i collegamenti esistenti, in particolare nel settore aziendale, e il metodo di lavoro, soprattutto oltre confine: confini che, per fortuna, abbiamo già smantellato con successo tra i numerosi paesi d’Europa.

Pertanto, abbiamo approvato la proposta della Commissione e l’abbiamo portata avanti in risposta a questa esigenza, restando sempre attenti, mediante le mie numerose discussioni all’epoca con il collega della segreteria della commissione per i problemi economici e monetari, dalla prima lettura in poi, a non generare ulteriore burocrazia, non erigere ostacoli burocratici ancora maggiori e non infliggere nuove compilazioni di moduli alle imprese dei paesi membri tramite emendamenti e semplificazioni e, in alcuni casi, controlli più scrupolosi che ciò prevede. Quest’obiettivo è stato realizzato.

L’elemento che non si è ottenuto è una situazione in cui i dati disponibili sulla base della nuova direttiva siano veramente accessibili a un pubblico interessato più vasto. Avremmo potuto agire in maniera più consistente per facilitare la trasparenza. Ciononostante, per quest’Aula era importante ottenere risultati rapidi e chiari dalla prima lettura in avanti. Purtroppo, avendo raggiunto un consenso appropriato, e subito dopo la sua adozione da parte del Parlamento (non sono a conoscenza del fatto che ci sia stato un voto sfavorevole), in altri ambiti della legislatura sono stati formulati emendamenti, con il risultato che la relazione, che ritenevamo di aver trattato in modo definitivo, all’improvviso non poteva più proseguire nella sua forma attuale. Ciò ha comportato che, in seconda lettura, ora abbiamo dovuto apportare alcune modifiche minori, costituite da solo due parole in tre punti.

Tenendo conto di tutto ciò che è accaduto, la domanda che sorge, come ho affermato, è la seguente: era veramente necessario? Non sarebbe stato possibile informarci, mediante un migliore coordinamento dello scambio di informazioni a riguardo e durante il processo decisionale, in modo da poterci risparmiare questo intero dibattito serale, che è un dibattito solo di nome? Avremmo potuto trattarlo in prima lettura, se avessimo adottato la relazione qualche settimana dopo.

Il fatto di sedere in quest’Aula è proprio un classico esempio del modo in cui, nell’Unione europea, spesso è un dettaglio secondario a causare difficoltà. Esiste l’urgente esigenza di stimolare tutte le iniziative che mirano a ottenere un migliore coordinamento dei dettagli secondari dei processi legislativi che sono quindi svolti su larga scala in Europa. Ciò, pertanto, eliminerebbe qualsiasi futura necessità del tipo di discussione che sta avvenendo ora e risparmieremmo anche denaro, se ne considerassimo i costi, dalla prima alla seconda lettura, con tutti i preparativi, gli interpreti e le traduzioni, e tutte queste riunioni a tarda ora, cosa che certamente sarebbe nell’interesse dell’Unione europea e migliorerebbe il suo lavoro a nome dei cittadini.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signora Presidente, sono molto grato al Parlamento per questa relazione, che dovrebbe consentire un accordo con il Consiglio in seconda lettura a riguardo della questione dei registri di imprese utilizzati a fini statistici, che è estremamente importante per l’elaborazione di statistiche armonizzate, complete e affidabili su imprese e altre attività economiche. Questo nuovo regolamento amplierà il quadro dei registri di imprese fino a comprendere l’intera economia includendo, su base obbligatoria, due settori che attualmente sono facoltativi: agricoltura e pubblica amministrazione.

Tuttavia, l’innovazione più importante di questa proposta è l’ampliamento ai dati relativi a gruppi di imprese multinazionali attivi nell’UE. Si tratta di un elemento fondamentale nel quadro della globalizzazione economica. In effetti, il Consiglio europeo non ufficiale a Lisbona della scorsa settimana ha sostenuto l’approccio proposto dalla Commissione per garantire che le politiche europee siano finalizzate a difendere i cittadini europei in un’economia globalizzata. A questo scopo, per i responsabili politici e i rappresentanti socioeconomici è essenziale avere a disposizione informazioni accurate riguardanti l’attività di ogni tipo di impresa transnazionale operante in Europa.

Per quanto riguarda la riduzione dell’onere gravante sulle persone interpellate dalle indagini necessarie per elaborare statistiche, la Commissione, nel quadro dell’iniziativa generale verso un migliore regolamento, ha prestato particolare attenzione alla semplificazione della raccolta di statistiche. I registri di imprese costituiscono un elemento importante in alcuni progetti finalizzati a limitare l’onere connesso alle statistiche delle imprese. Sono necessari per l’impiego efficiente di dati riguardanti le aziende da fonti differenti, come l’uso combinato di dati amministrativi e di indagini statistiche mirate.

Naturalmente, non occorrono nuovi studi per soddisfare i nuovi requisiti del regolamento, che può essere applicato utilizzando fonti amministrative supplementari disponibili a livello nazionale e informazioni di indagini esistenti.

 
  
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  Astrid Lulling, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signora Presidente, mi permetta di comunicare al relatore, che si è appena lamentato del fatto che siamo presenti in quest’Aula a un’ora assurda, che sono stata parlamentare nazionale per 20 anni. Non so se abbia mai partecipato a una seduta di un Parlamento nazionale, ma in questo Parlamento, ci si abitua a svolgere sedute a tarda sera, e per me non si tratta di un orario assurdo. Il relatore può affermare che la questione avrebbe potuto essere affrontata più rapidamente, ma gli ricordo che egli stesso si è preso il proprio tempo prima di sostenere di voler produrre questa relazione.

(FR)Signora Presidente, ciononostante vorrei dire che l’attuale regolamento relativo ai registri di imprese, che riguarda l’armonizzazione dei registri di imprese utilizzati dagli Stati membri a fini statistici, risale al 1993 e ora è in parte obsoleto. La proposta di regolamento contiene due importanti emendamenti in merito ai nuovi requisiti in materia di dati individuati in questo contesto. Tutte le imprese impegnate in attività economiche contribuiscono al PIL e le loro unità locali, nonché le corrispettive unità legali, d’ora in poi dovranno essere registrate su base obbligatoria. Secondo l’attuale versione del regolamento alcuni settori d’attività sono registrati su base facoltativa.

Il mio secondo commento è che dovrebbero essere inclusi i legami finanziari e i gruppi d’impresa, e che dovrebbero essere scambiati tra Stati membri ed Eurostat i dati relativi alle multinazionali e alle loro unità consultive.

Per quanto riguarda la raccomandazione per la seconda lettura della relazione, abbiamo presentato due emendamenti tecnici proposti dal servizio giuridico del Parlamento europeo. La commissione per i problemi economici e monetari ha suggerito, come ho fatto io, di seguire le raccomandazioni del servizio giuridico, che rileva piuttosto giustamente che l’inclusione dei termini “scopo” e “ambito” tra le competenze fornite alla Commissione, consentirebbe a quest’ultima di modificare gli obblighi dei paesi membri, delle autorità e delle banche centrali, nonché i propri obblighi. Tali impegni sono elementi dell’atto di base; qualsiasi modifica in una direzione o in un’altra potrebbe influenzare le scelte politiche compiute nell’atto di base e tali modifiche della posizione comune non rappresentano un ostacolo a un’intesa in seconda lettura, considerato che riflettono i risultati degli accordi raggiunti tra le tre istituzioni principali, consentendoci quindi di concludere tale questione in seconda lettura. Ritengo sia un fattore importante.

 
  
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  Margarita Starkevičiūtė, a nome del gruppo ALDE. – (LT) Desidero ringraziare il relatore per l’intenso sforzo compiuto nel preparare questo documento tecnico molto complesso, siccome le questioni statistiche solitamente interessano e attraggono poco l’opinione pubblica. Per questo motivo la discussione a tale proposito avviene piuttosto tardi. Sono molto lieta che sia presente il Commissario Frattini, anche se di solito le questioni statistiche rientrano nell’ambito di competenza del Commissario Almunia. Tuttavia, stiamo parlando di grandi basi di dati, il cui uso, la sicurezza e la gestione devono essere chiaramente definiti. Ritengo che il Commissario Almunia sia ben consapevole dei problemi che incontriamo con basi di dati differenti, con il loro impiego, la loro sicurezza e la possibilità di essere utilizzati per uno scopo sbagliato. Il documento riconosce alcuni punti che contribuirebbero a evitare problemi simili.

Esiste ancora un aspetto che mi soddisfa: il documento determinerà una maggiore trasparenza nelle funzioni amministrative del governo. A mio parere, è molto importante; questo tipo di informazioni dovrebbero essere accessibili all’opinione pubblica.

Dall’altro lato, in quanto rappresentante del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, non posso evitare di preoccuparmi che di recente abbiamo discusso numerosi documenti relativi all’ottenimento di dati statistici e all’inserimento di diverse attività in registri differenti. Si considerano sempre meno i vantaggi e il rapporto tra i vantaggi e il costo della raccolta dei dati,

Come esperta di economia, comprendo l’importanza di questi dati per definire una politica economica, il processo decisionale: anche nell’ottica della sicurezza è importante essere consapevoli dei vari aspetti delle attività delle imprese multinazionali nell’UE, negli Stati membri.

In quanto rappresentante della Lituania, un paese ai margini, un paese ai confini dell’UE, me ne rendo sin troppo conto. Ciononostante, all’inizio del mio incarico, è stato detto molto a riguardo della necessità di analizzare i costi del trasferimento e dell’elaborazione dei relativi calcoli. Alcuni paesi membri erano pronti a farlo. Ad esempio, i Paesi Bassi lo hanno fatto davvero.

Purtroppo, tale iniziativa si è indebolita. Posso solo spiacermi del fatto che, in questo caso, non sia stata considerata la possibilità di verificare l’onere gravante sulle imprese e la sua riduzione. Avrebbero potuto essere sviluppati e presi in considerazione piccoli gruppi europei di selezione al fine di servire da modello, analizzando la base statistica per l’Europa intera.

 
  
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  Hans-Peter Martin, relatore. – (DE) Signora Presidente, adesso che l’onorevole Lulling si è rivolta a me direttamente, posso dire che solo perché altri agiscono in modo inadeguato, ciò non dovrebbe essere un modello da imitare per noi. Il fatto che le discussioni sia tuttora condotte a quest’ora o addirittura più tardi nei Parlamenti nazionali, non migliora la situazione in quest’Aula. E’ un’esperienza poco piacevole, quando si formulano proposte di riforma, scoprire che altri le bloccano costantemente con riferimento a qualcos’altro.

La mia seconda considerazione è la seguente: non c’è stato un rinvio onorevole Lulling. Al massimo, si sono verificate incomprensioni. Il ritardo a cui mi riferivo era la sfortunata coincidenza di diverse questioni da affrontare simultaneamente.

Per quanto riguarda il terzo punto, resto della mia opinione. Ritengo che, da un punto di vista politico e, in effetti, democratico, non ha senso svolgere le cosiddette discussioni a un’ora così tarda, e attendo di incontrare nuovamente il Commissario con il nostro reciproco amico Staffler nell’Hotel Laurin di Bolzano e condurvi un dialogo. Penso sia molto probabile che in tale occasione, anziché in quest’Aula, si compiranno progressi politici, considerato che ora sono presenti solo tre deputati più il Commissario (sì, permettetemi di ribadirlo, solo tre di noi) impegnati in pseudo-discussioni a quest’ora assurda.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE) . – (DE) Signora Presidente, il relatore afferma di non essere responsabile del rinvio. Certo che lo era! E lo è stato anche del putiferio in sede di commissione, e non ho veramente nient’altro da aggiungere in merito.

(FR)Signora Presidente, vorrei aggiungere una cosa evidenziando che la motivazione elaborata dal relatore contiene commenti che sono del tutto fuori tema ed estranei al contesto della materia affrontata in questa relazione. I pareri personali del relatore a riguardo ...

(Il Presidente toglie la parola all’oratore)

Lei è il presidente di un gruppo di lavoro. Devo dire che le opinioni personali del relatore sulle pensioni corrisposte al personale dell’UE non ha posto in un documento ufficiale pubblicato da questa istituzione. Vorrei che questa affermazione fosse verbalizzata.

 
  
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  Presidente . – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 25 ottobre 2007.

 

21. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale

22. Chiusura della seduta
  

(La seduta è tolta alle 23.10)

 
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